A Milano siamo stati all’opera buffa, ove canta la Morichelli, e fanno l’opera che faranno a S.
[8] Inoltre la giusta misura e proporzione delle parole, che più acconci e le rende a ricever il valor delle note, a fissar con esattezza il tempo, e a seguitar il movimento, unita all’intervallo così proporzionato, che trovasi ne’ versi italiani tra parola e parola, tra sillaba e sillaba, tra vocale e vocale, tra articolazione ed articolazione, e alla felice mescolanza delle medesime fanno sì che la poesia italiana, ove maneggiata venga a dovere, abbia una certa evidenza d’armonia maravigliosa. […] [9] Nè dalla delicatezza, che scorgesi in questi e simili esempi si debbe argomentare, come fanno alcuni critici francesi, i quali si compiacciono di giudicare di ciò che mostrano di non intendere, che la lingua italiana sia troppo effemminata e cascante12. Tale sarebbe certamente se gl’Italiani non avessero a ciò provveduto ora col frequente raddoppiamento delle medesime consonanti, come “alloppiare, oggetto”, il quale, oltre il sostenere che fa la pronunzia, serve a dividere più esattamente i tempi nella musicale misura: ora battendo fortemente su alcune consonanti “b, ff, r” come “arruffa, vibrato”, sulle quali, principalmente sulla prima, i toscani formano un suono, ch’io assomiglierei volontieri al romore, che fanno le penne degli augelli nel tempo, che spiccano il volo: ora colle frequenti elisioni, che spesseggiano il rincontro delle consonanti, dando alle parole una certa asprezza e gravità, ora colla inversione della sintassi i della quale parleremo tra poco. […] Non è per questo ch’io approvi l’inversione troppo intrelciata di alcuni cinquecentisti specialmente quando è affettata, e lunga, come adiviene fra gli altri nello Speroni, nel Dolce, e nel Casa, i quali ti fanno sfiatare i polmoni prima che arrivi a terminar un periodo: né che non preferisca sì in verso che in prosa uno stile conciso, e pieno di cose all’abbindolato e pieno di parole massimamente nel genere filosofico, di cui la precisione, la chiarezza, e la disinvoltura sono i principali ornamenti. […] Ma assai si è detto onde si conoscano le sue prerogative per la musica, e l’ingiustizia altresì con cui parlano di essa alcuni scrittori francesi, tra quali il gesuita Bouhours colla leggerezza sua solita nel giudicare non ebbe difficoltà di dire: «Che è una lingua affatto giochevole, che altro non intende che di far ridere coi suoi diminutivi», e notisi, che molti di quelli ch’ei nomina non si trovano frale parole toscane: «Che le continue terminazioni in vocale fanno una musica molto sgradevole», quando le principali bellezze della musica italiana nascono appunto da queste: «Che la lingua italiana non può esprimere la natura, e ch’essa non può dare alle cose l’aria, e vaghezza lor propria, e convenevole: Che le metafore continue, e le allegorie sono le delizie degl’Italiani, e degli Spagnuoli ancora: Che le loro lingue portano sempre le cose a qualche estremo: Che la maggior parte delle parole italiane, e spagnuole è piena d’oscurità, di confusione, e di gonfiezza», come se la gonfiezza, e l’oscurità fossero un vizio delle parole, e non degli autori: «Che i Chinesi e quasi tutti i popoli dell’Asia cantano, i tedeschi ragliano, gli Spagnuoli declamano, gli Inglesi fischiano, gli Italiani sospirano, né ci ha propriamente che i Francesi, i quali parlino».
mo Principe Tomaso di Savoja, compreso le spese della venuta loro da Venezia e per ritornarsi, fanno L. 2205. […] Cintio per suoi interessi non si partirà dalla Franceschina, e suo marito che in tutto fanno tre parti manco un quarto ; e dove è un’altra serva non ci ha a che fare mia moglie e per conseguenza manc’io. […] A. e che verrò a servirlo con la lingua per terra io, la moglie, la madre, figliuoli e servitore, che fanno in tutto quatordeci persone.
Molto meno nei recitativi obbligati, ove rappresentandosi la dubbiezza dello spirito nata dal contrasto dei motivi che gli si fanno innanzi, l’anima concentrata nella sua irresolutezza non ha tempo di badare alle frascherie. […] Queste non veggono altro oggetto fuorché se sole, e gli ornati aggiunti in tal caso fanno il medesimo effetto che le nuvole frapposte a ciel sereno fra l’occhio dello spettatore e l’astro luminoso del giorno. […] [43] Dicendo quello che dovrebber fare i cantori, ho detto appunto quello ch’essi non fanno. […] Sarà vero talvolta questo difetto ne’ compositori, ma ciò non basta a scolparne i cantanti, che quasi sempre lo cantano male oltre l’inciampar che fanno in mille altri vizi, i quali nulla hanno di comune col movimento del basso. […] Che sì che Giovenale nel vedere la strana violenza che fanno i cantori al senso comune avrebbe avuto ragion di esclamare «Quis tam ferreus ut teneat se?»
Composto più sorprendente di così belle sociali pitture noi non troviamo che nelle Allegorie, nelle quali con vive immagini osserviamo i diversi mostri, che mascherati di soave apparenza, si fanno i tiranni dei nostri affetti, e tutto sfigurano il nostro spirito.
Indi in quantità sufficiente seminando Argenteo Sale nel fertile terreno della nostra Pouertà, già sterille l’hà reso ; Siamo dunque richi, perchè la Compagnia [è| senza debiti ; Infermità, che ci haueua ridotti poco [più] che alli estremi ; se con Aurei siroppi non ueniua cu[ra]ta ; Piaga così Vasta, che per medicarla Vna sol uol[ta] è stato neccessario Adoprare ottocento Pezze ; rissanati dunque, senza altra licenza del Medico, Vogliamo mutar aria à Dio Piacendo, è si i disgusti ch'io prouo dà questa turba di Compagni sregolata, non mi fanno ricadere, spero di ritornare con salute à riuedere il Panaro, terminato che haurò di piu mirare l’Abhorito Tamiggi ; Attendo perciò un Ostro fauoreuole per scostarmi quanto prima dà questi lidi ; Nel’ quali' tempo là prego di nouo à non scordarsi di me'è di quanto nel’ultima mia lè scrissi poichè là mia Flemma si è resa in tutto è per tutto in habile à poter più proseguire auanti ; ò mutatione di Compagni, ò libertà ; Londra li 17 febraro 1679.
E anche a lui si raccomanda perchè il signor Girolamo Pompei favorisca i versi che desidera di aggiungere alla sua Calliroe, avendo il bisogno di darla nuova a Venezia, poichè – aggiunge – in questa Dominante, se non si fanno cose nuove, e non vedute, non si fa mai bene il nostro interesse.
Pare che e’ si sien fitti nell’animo di non mentire per conto niuno, di non volere a niun patto darla ad intendere all’udienza; e se ella per caso gli avesse mai presi in iscambio di Achille o di Ciro, che sono da essi rappresentati sulle scene, fanno ogni lor potere di trarla d’inganno e di certificarla, come disse un bello umore, che essi pur sono in realtà il signor Petriccino, il signor Stoppanino, il signor Zolfanello. […] Al quale pongono così poco mente i nostri virtuosi, che del sostenerla e portarla a dovere, che è il gran secreto di muovere gli affetti, non fanno quasi studio niuno.
Si fanno ancora nella China alcuni concerti di musica, e quando si presenta al l’imperadore un libro novellamente impresso, e quando i mandarini d’armi e di lettere si uniscono per gli esami, e quando il capo de’ discendenti di Confucio ed il generale de’ bonzi vengono alla corte, e quando si costruisce qualche nuovo edifizioa. […] Permettete, o Padre, che io consacri questo mudhacu, i cui fiori rosseggianti fanno comparire questi boschi tutti di fuoco» «Can.
Lattuertas La Huertas p. 176. v. 24. deturpano deturpava p. 177. v. 17. e due o due p. 177. v. 31. fuor dubbio fuor di dubbio p. 187. v. 25. che fanno che fa uno p. 199. v. 11. di buon secolo di un buon secolo p. 200. v. 12. così a loro soggetti così dediti a’ loro Soggetti p. 201. v. 11. di fatti de’ fatti p. 209. v. 1. dos edificies dos edificios p. 209. v. 5. hyzo hizo p. 210. v. 6. e si osserva se si osserva p. 220. v. 5. hosarascas hojarascas p. 221. v. 17. la felicità la felicita
Gran parte vi ha l’Eco, il quale comincia a farsi sentire in un lungo monologo di Pantalone al primo atto, tutto a bisticci : La sorte s’urta, e fa che morte m’urta se vago vuogo, e se sto fermo formo affanni, e fanno che me liga e laga la fina funa, che me strinze e stronza e moro, e miro se con passi posso far scherno e scorno, a chi mi tira in tara le parche porche se le fila il filo della mia vita, vota d’ogni degni contenti……… e via di seguito per trentacinque versi, dopo i quali comincia una comica lotta di parole con l’Eco, che torna poi in scena, per dir così, con Titiro al secondo atto, e con Montano, poi con Graziano e Bergamino, e con Fiammella e Ardelia, al quarto.
Egli vorrà dire che le Ariette improprie, riposate, inanimate, che portano in conseguenza il Cantabile degli Attori evirati, sono le cose, che gli fanno detestare la Musica teatrale; altrimenti egli adoprerebbe il linguaggio de’ Criticastri. […] Il Signor Lampillas vorrebbe accontare il Martelli a i Criticastri; ma oh di quanto egli dista da loro, e da quei svaporati cervellini, che io diceva, i quali si fanno lecito inveire contro il Canto teatrale! […] introduce i Buffoni, come fanno gli Arlecchini Spagnuoli, a trattar famigliarmente con Principesse e Regine, a intervenire in qualità di servidori tra’ Grandi, Ambasciadori, e Principi, a ragionare, buffoneggiando coi Sovrani occupati in gravi affari? […] Egli dice: Chi pensarebbe alla conosciuta falsità della tela dipinta al vedere i quadri di Raffaello e di Tiziano, ed al provare gli effetti che fanno nell’animo suo quelle immagini? […] I Drammi di Shakespear, e di Otwai nella filosofante colta Nazione Inglese, ad onta delle mostruosità, fanno le delizie del Popolo Britanno.
E piacesse al cielo che queste arie, questi duetti o questi finali isolati fossero tali almeno che colla loro vaghezza, novità od interesse ci ricompensassero dei sagrifizi che si fanno del buon senso in grazia del canto; terremmo allora con essi il costume, che suol tenersi col frammenti della greca scultura de’ quali in mancanza d’una intiera statua s’ammira pure e si custodisce un braccio solo, una gamba, od una testa. […] «Voi altri poeti avete certe regole di stile che vi fanno lambiccar il cervello per tornire acconciamente un periodo. […] Mi fanno pensare in tal guisa il Teodoro re di Corsica, e molto più la Grotta di Trifonio, due commedie musicali di questo poeta che si sono rappresentate nell’imperial corte di Vienna e che ci fanno desiderare di vederne sortire altre molte dalla stessa penna. […] Tali sonetti eternamente ripetuti ed eternamente obbliati cadono gli uni sugli altri, come la polvere sopra le strade ove si cammina senza che tali elogi facciano ni piccoli né grandi più di quello che sono coloro che gli fanno o che gli ricevono, e si riducono ad una moda, come è una moda, un saluto, una riverenza.» Che avrebbe poi detto s’avesse saputo che si fanno persino pei cocchieri e pei cuochi, e che persin la moglie d’un facchino fu nella sua gravidanza complimentata da un sonettista con questo poetico augurio: E da te sortirà prole d’Eroi?
Lo scopo della Poesia e dell’Eloquenza (dice ottimamente il Signor Raimondo di Saint-Marc) è di commuovere e dilettare; e la vera pietra di paragone de’ componimenti ingegnosi è l’impressione che fanno nell’animo de’ leggitori. […] Si dee sapere, che fra gli altri ciarlatani, empirici ed istrioni, che a’ nostri giorni han fatto e fanno grandissima fortuna in Parigi, vi sono con carrozza ed equipaggio un certo Nicole, e un certo Nicolet, de’ quali il primo a forza di far correre avvisi stampati per guarire il mal francese, e ’l secondo a forza di rappresentar farse e buffonerie sopra i Baluardi e alle Fiere di San Germano, e di San Lorenzo, seppero così ben fare i fatti loro, che da molti anni sono padroni di varie terre, le quali hanno titolo di Signorie.
., in Firando lo fanno i Nobili e i Sovrani 15., così anche nei Perù 22., in Roma erano in disonore 167., in Italia e in Francia anche persone di nome 219. […] Grisio e Lohenstein il fanno ricadere 288. […] XV Sulpizio e Pomponio Leto insegnano a recitare i Drammi e per opera de’ Cardinali Riarj fanno rappresentare azioni teatrali in Roma 197.
Si prepara un sacrifizio e si fanno nuove preghiere alla pace. […] Dopo ciò il finto Menelao e la finta Elena fanno vista di ravvisarsi e riconoscersi. […] Sono tutti cianciatori che fanno vergogna al mestiere. […] Simili circostanze e allusioni per noi perdute accrescevano pregio alle finzioni di Aristofane, e fanno in generale rimaner la copia francese superata per vivacità e interesse dal greco originale. […] Ὶππος senza dubbio ha prodotto Ὶππεις, cavalieri, per lo nobile uso che essi fanno del cavallo.
Vi si eseguiscono poi con destrezza tutti gli esercizii ginnici spagnuoli, come corse di tori e giuochi di canne; si fanno combattimenti navali sul gran fiume che bagna la città; si formano castelli di legno coperti di tela dipinta, e se ne imprende l’assedio e la difesa; vi si esercita la pittura, la danza, la musica; e vi si trovano teatri. […] Tutto ciò e peggio fanno i rigiri degl’invidiosi, da’ quali viene il merito conculcato.
Vi si eseguiscono poi con destrezza tutti gli esercizj ginnici Spagnuoli, come corse di tori e giuochi di canne: si fanno combattimenti navali sul gran fiume che bagna la citta: si formano castelli di legno coperti di tela dipinta, e se ne imprende l’assedio e la difesa: vi si esercita la pittura, la danza, la musica: e vi si trovano teatri. […] Tutto ciò e peggio fanno i rigiri degl’ invidiosi, da’ quali viene il merito conculcato.