Fanciulla bizzarra e alquanto leggiera nell’atto primo ; donna esitante, ignara di ciò che realmente prova nel suo petto, e sbalordita della mutazione che intravede dover fra poco accadere nella sua esistenza all’atto secondo ; nel quinto la gioja di sapersi madre la fa quasi ritornare alla ingenuità fanciullesca !
Costetti ne' Dimenticati vivi ci fa sapere che nel palazzo del Conte di Montecristo (il Pezzana ricorreva, costretto, alla risorsa della famosa quadrilogia), tutto il lusso orientale di lui consisteva in due moretti di stucco, che reggevano ciascuno un candelabro, e in un braciere di coccio dorato da cui usciva un fumo, poco voluttuoso, di mirra e di incenso, tal quale nelle chiese al momento della benedizione del Santissimo.
Mi pare sarebbe molto meglio ve ne faceste uno nuovo…. » L'attore lo guardò umilmente, e balbettò : « Si fa presto a dirlo…. ma…. » E Tessari di rimando : « Ho capito. » E senza perdere un istante lo condusse da un mercante di panni.
Cinque scene compongono l’atto I, in cui deliberata la restituzione di Crisia, Agamennone fa togliere Briseida ad Achille, il quale si allontana dal campo. […] Aggiungiamo solo alla sfuggita che tutte le arie sono stentate, inarmoniche, difettose nella sintassi e contrarie o distanti dal pensiero del recitativo: che vi si trova uguale ignoranza delle favole Omeriche e de’ tragici antichi: che Briseida augura ipocritamente ad Achille che giunga à gozar del amor de su Ifigenia, ignorando che la sacrificata Ifigenia per miracolo di Diana ignoto a’ Greci dimorava nel tempio della Tauride: che la stessa Briseida lo prega ad intenerirsi, y no qual fuerte hierro à tu Briseida aniquiles, abrases y consumas, colle quali parole par che attribuisca al ferro le proprietà del fuoco di annichilare, bruciare, consumare: che Achille vuole che gli augelli loquaci siano muti testimoni (los pajaros parleros sean mudos testigos): che il medesimo dice di avere appreso da Ulisse à despreciar la voz de las sirenas, la qual cosa non può dire se non con ispirito profetico, perchè Ulisse non si preservò dalle sirene se non dopo la morte di Achille e la distruzione di Troja: che anche profeticamente l’istesso Achille indovina che l’uccisore di Patroclo sia stato Ettore, perchè nel dramma niuno gliel’ ha detto: che Agamennone dice ad Achille che vedrà al campo il corpo di Patroclo pasto fatal de las voraces fieras, bugia che contraddice al racconto di Omero che lo fa venire in potere de’ Mirmidoni; nè poi Achille potrebbe mai vedere una cosa già seguita, purchè le fiere a di lui riguardo non vogliano gentilmente differire di manicarselo sino al di lui arrivo: in fine che l’autore dovrebbe informarci perchè Briseida di Lirnesso cioè Frigia di nazione mostri tanto odio contro le proprie contrade a segno di desiderarne l’ annientamento anche a costo di dover ella rimaner priva di Achille? […] Ignoro il tempo in cui essi edificaronsi, nè l’autore del Viaggio di Spagna cel fa sapere. […] L’apparato di essa sino a venti anni fa consisteva in un proscenio accompagnato da due telai o quinte laterali, e da un prospetto con due portiere dette cortinas, dalle quali solamente entravano ed uscivano gli attori con tutti gl’ inconvenienti che nuocono al verisimile e guastano l’illusione. […] Ma ciò lasciando mi dicano gli Huertisti (se pur ve n’ha qualche altro secreto oltre di Don Pedro suo fratello, e de’ Guarinos e de’ La Cruz) codesta profonda erudizione tutta chamberga, cioè che cade da tutti i lati, che cosa fa mai al caso nostro?
Però sia encomio tuo giusto e sincero : l’arte che tutto fa nulla si scopre nel dir, negli atti, e nel valor guerriero. L’ Elisabetta Caminer Turra, la nota traduttrice teatrale, ne fa l’elogio nel Giornale Enciclopedico (Vicenza, gennaio [e non febbraio, come cita il Bartoli] 1780.
In fatti l’eccidio de’ Macabei che avviene nell’atto primo, eccita tanta commozione che fa comparire languido il rimanente. […] Qualche durezza nella condotta dell’azione ci fa vedere in lui un’ arte non ancora perfezionata. […] La nobile e patetica preghiera che gli fa Marianna Prenez soin de mes fils &c. […] Ma egli si fa distinguere per l’umanità, pel patetico, per la libertà che regna nelle sue tragedie36. […] Ella però senza altro esame si abbandona alle prime furie, lo chiama mostro, perfido, lo fa trascinare presso la tomba di Cresfonte, e va per ferirlo.
Un Dramma fa distinguere il suo genere dall’Azione, da’ Caratteri, e dalle Passioni, come dalla divisa si conosce a qual Regimento appartenga un Soldato. […] So che Euripide per certi versi de’ suoi frammenti ci fa chiari che avesse anch’egli, come Sofocle scritta un’ Antigona. […] Chi si va lagnando abbattuto da gravi calamità fa di siffatte richieste? […] Assai diversamente le fa annunziare l’amara notizia il tragicissimo Euripide nella scena che incomincia, ιὠ μᾶτερ μᾶτερ τι βοᾶς.
Di un altro nobile oratore fa menzione Cicerone nel medesimo dialogo del Bruto, il quale sorpassò nell’eloquenza i predecessori e i contemporanei. […] quella delicatezza e matronal decenza che trionfa nelle dipinture ch’ei fa de’ costumi? […] Ma dall’altra parte che cosa risponderà egli a Lachete che fa premura che accetti il bambino? […] Osserva un poco Quel che fa l’avarizia. […] Il vecchio entrato a far l’elogio di se stesso non la finisce mai, e il servo fa una parodia delle di lui sentenze applicandole alla sua cucina.
Capocomico Andolfati a render conto da chi abbia avuto le teatrali produzioni, delle quali fa cenno il pregiato di lei foglio, 7 corrente, N.° 375 ; depose di avere acquistata l’opera « Il piano di fortificazione, » da certo Sig.
Perchè colla maschera non potrei mostrare sul mio volto gli sforzi che un bleso fa inutilmente per parlare e la tensione dei muscoli prodotta da quegli sforzi.
Fu in varie compagnie e a Palermo. « Se – aggiunge il biografo – a quel fuoco giovanile che lo fa essere poco costante nelle cose sue sapesse egli mettere un po’ di calma, potrebbe rendersi a sè medesimo più giovevole, e potrebbe agli onorati suoi genitori apportare in seguito una più perfetta consolazione. »
, I). » La qual cosa concorderebbe con quanto ci fa sapere il Casanova sulla minor figliuola dell’Imer, Teresa, « figlia d’un comico che abitava in una casa presso il palazzo del senator Malipiero, e le cui finestre davan sulla sua camera da letto.
In somma : la definizione del brillante nobile era in realtà questa : un brillante che non fa ridere.
Ma quello che ci fa godere che sia rimasta imperfetta, si è l’oscenità de’ fatti che vi si maneggiano con isfacciatagine da bordello. […] Nel meglio del recitare si distrae, e fa riflessioni morali sulla vanità de’ piaceri, che non entrano nella parte che rappresenta. […] Fa che egli imponga che nel passare Isabella sua sposa da Madrid a Toledo, si copra di una mascheretta. […] La gelosia gli fa vedere la sua Marianna in potere del nemico che ne tiene varii ritratti. […] Oimè, ben mio, Mio sposo, mio signor, tua schiava io sono, Fa di me quel che vuoi.
Lasciando da banda il romore che correva nella città, che nelle commedie di Terenzio avessero avuto parte Lelio e Scipione, ci fa sapere Plutarco che il Dittatore L. […] Oltre al nominato autore di quel dialogo, Tacito più di una volta negli Annali fa menzione di Pomponio Secondo, di cui Plinio il naturalista avea composta la vita. […] L’autor latino mostra lo stato compassionevole della regina, e la fa cadere tramortita nelle braccia d’Ippolito. Rinvenuta esita ancora, non sa risolversi a parlare; al fine si fa coraggio per le parole d’Ippolito, Committe curas auribus, mater, meis . […] II discorso di Megara nell’atto II fa desiderare il patetico che si ammira nella tragedia di Euripide, quando tutta la famiglia di Ercole spogliata del regno rifugge all’ara di Giove per evitar la morte.
Non avremmo noi quì ripetuto questo giudizio tanto vantaggioso al Caraccio, se un regnicolo pochi anni fa non avesse voluto asserire in una prefazione che lo stile di lui si risente dell’infelicità del suo tempo. […] Corrono altri sei anni dalla seconda alla terza giornata, in cui si tratta della dichiarazione che fa Semiramide di esser donna, della cessione dello scettro a Ninia dichiarandosene innamorata, e della morte che ne riceve.
In tempo di Antonino Pio da Capitolino si fa menzione solamente di Marco Marullo, attore e scrittore di favole mimiche, il quale ebbe l’ardire di satireggiare i principali personaggi della città, senza eccettuarne l’istesso imperadore; Marco Aurelio, di lui figliuolo adottivo e successore, diceva, che le commedie de’ suoi tempi altro non erano che mimi, Dagli Antonini fino alla divisione dell’imperio romano non si trova nominato, ch’io sappia, altro scrittore drammatico a riserba d’una commedia in prosa poco degna di lode, scritta da un autore incerto ad imitazione Aulularia di Plauto, e così pure intitolata109. […] Sono esse scritte in un latino assai barbaro, e ripiene di apparizioni e incoerenze, La prima di esse é divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, ch’é un pagano generale di Costantino, il quale va a combattere gli sciti, n’é vinto, é ricondotto da un angelo contra di essi, é vittorioso, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte l’imperadore non é più Costantino, ma Giuliano, dal quale Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Prima però verso il 1634 avea egli composta la famosa Maschera, intitolata Comus, produzione bizzarra che a guisa dell’opera dava luogo in un tempo al ballo ed al canto, di cui parla Paolo Rolli nella Vita di Milton, esponendone l’argomento, e commendandone la sublimità, di che non ci fa dubitare la vastità del suo ingegno. […] Questa commedia è ben condotta; ma il suo argomento che consiste in un cavaliere dissoluto, che per ingannare i mariti di Londra fa correr voce di essere stato in una malattia fatto eunuco da’ cerusici; i di lui progressi con tal salvocondotto; Lady Fidget che nell’atto IV esce fuori col catino di porcellana guadagnato; le azioni e i discorsi dell’atto V: tutto ciò, dico, convince che la commedia inglese punto non cede in oscenità alla greca commedia antica, e talvolta la sorpassa.
Prima però verso il 1634 avea egli composta la famosa Maschera intitolata Comus, produzione bizzarra, che a guisa dell’opera dava luogo in un tempo al ballo ed al canto, di cui parla Paolo Rolli nella Vita del Milton, esponendone l’argomento, e comendandone la sublimità, di che non ci fa dubitare il di lui ingegno. […] Questa commedia è ben condotta, ma il suo argomento che consiste in un cavaliere dissoluto che per ingannare i mariti di Londra fa correr voce di essere stato in una malattia fatto eunuco da’ cerusici, i di lui progressi con tal pretesto, Lady Fidget che nell’atto IV esce col catino di porcellana che ha guadagnato, l’azione ed i discorsi dell’atto V, tutto ciò, dico, punto non cede in oscenità alla greca commedia antica, e talvolta la sorpassa (Nota V).
Entra nel mio studio a passi contati, ed io mi alzo : costui fa un gesto propriamente pittoresco per dirmi che non m’incomodassi ; s’avanza, e lo fo sedere : ecco il nostro colloquio. […] Nell’atto appunto, che son per fargli i miei complimenti di congratulasione, egli si mette in una tal positura comica che mi fa ridere e m’impedisce d’andare avanti.
Cicerone fa menzione del Sinefebo, e Aulo Gellio del Plozio, commedie di Menandro imitate da Cecilio. […] quella vezzosa urbanità nel motteggiare, quella delicatezza e matronal decenza che trionfa nelle dipinture ch’egli fa de’ costumi? […] Svetonio fa menzione d’una di lui Commedia Togata, intitolata l’Incendio. […] L’Autor Latino inoltra lo stato compassionevole della Regina, e la fa cader tramortita nelle braccia d’Ippolito. […] La declamazione generale di Megara nell’atto II fa desiderar il patetico che si ammira in Euripide, quando tutta la famiglia di Ercole spogliata del regno rifugge all’ara di Giove per evitar la morte.
E discernerlo sì agevolmente, come fa se paragoni la statura d’un uomo con quella d’un fanciullo che sia alla metà del primo? […] Molte cose fa la nostra mente senza avvedersene, anzi senza saper mai d’esser capace di farle. […] Che fa l’inesperto compositore? […] Danza alta è quella che fa il ballerino, elevandosi da terra quanto più può con ambi i piedi. Danza bassa è quella ch’egli fa, appoggiando a terra tutteddue i piedi o uno almeno.
quella delicatezza e matronal decenza che trionfa nelle dipinture che fa de’ costumi? […] Non si vuol più conoscere suo padre; Di lei non si fa conto. […] Quel che fa l’avarizia. […] Quel che fa l’avarizia. […] Il vecchio entrato a far l’elogio di se stesso non la finisce mai, ed il servo fa una parodia delle di lui sentenze applicandole alla sua cucina.
Intanto uno scrittore di quelle contrade che volle anni sono filosofar a suo modo sulle nazioni, supponendo il teatro moderno, specialmente quello del suo paese, superiore all’antico, ne attribuisce l’ effetto alla libertà delle donne, e da questa fa discendere la gran varietà de’ caratteri.
Il che fa rimettere alla memoria quel tal comico che prima della distribuzione di una commedia soleva dire : « se ghe xe un bel primo attor, lo fazo mi ; se ghe xe un bel caratterista, lo fazo mi ; se ghe xe un bel brillante, lo fazo mi ; se ghe xe un sbrufarisi (parte inconcludente) ti lo farà ti !!!
Lo stesso Robinet in altra lettera dell’ 8 marzo 1670 ci fa sapere come, tornato Fiorilli d’Italia, e ripreso il suo posto in compagnia, l’attore che lo aveva in quei due anni sostituito, assumesse la maschera del Capitano : Depuis peu l’ancien Scaramouche, qui paroit une fine mouche, est dans sa troupe de retour, et divertit des mieux la Cour.
Bagolino No sastu donca, cruda, se cotto son per ti, e za mai nol se muda pensier notte, nè dì, anzi a quei che nol crede, ghe ne fa fede i miei sospir, che tanti per dessotto va scappand, che i me rompe i calzon de quando in quand.
Siedi, e fa per lo contrario, del Vitalba o Vedovella, perchè il popolo t’appella una fune del sipario.
Il soggetto si enuncia nel prologo che ne fa la Fama. […] Si fa in oltre menzione di un dramma detto Tragedia Policiana in cui si trattano gli amori di Poliziano e Filomena uscita in Toledo nel 1547. […] Il carattere di questo Tanco fa sì che senza molto esitare si ripongano tali tragedie nelle biblioteche immaginarie. […] Sventuratamente lo studio stesso ch’egli fa per allontanare da se il sospetto de’ suoi ladronecci, gli discopre e riscalda la bile dell’onesta gente. […] Egli fa pure autor di atti sacramentali il Cervantes gratuitamente; e ciò ha fatto ridere ancor più.
In secondo luogo il poeta giudizioso non lavora mai contro se stesso: or che altro fa colui, che, volendo intenerire e commuovere, impedisce egli stesso la riuscita del suo disegno, distraendo lo spettatore colla buffoneria intempestiva? […] Non l’ebbe presente ne’ rimproveri che ne’ Due Gentiluomini di Verona fa il Duca di Milano al Valentino. […] Sherlock, era anche nato in Inghilterra) perchè Menenio senator di Roma faccia il buffone; e Voltaire crede che sia un violar la decenza il dipingere che fa in Hamlet l’usurpator Danese ubbriaco.
La danza deve essere una imitazione che, per via de’ movimenti musicali del corpo, si fa delle qualità e degli affetti dell’animo; ella ha da parlare continuamente agli occhi, ha da dipingere col gesto.
Carlino, colla Compagnia rifatta, impresario Silvio Maria Luzzi, chiama l’Altavilla « attore valentissimo nelle parti di carattere, che con le sue grazie, con i suoi epigrammi ci muove al riso e fa dimenticarci della tristezza di che è circondata la vita.
È citato dal Quadrio sulla fede del Sansovino, che ne fa menzione assieme a un tal Franciotto, come Improvvisatori in maschera.
Il cartellone annunzia una compagnia drammatica e delle produzioni drammatiche, ma potrei giurarvi che al teatro Leopoldo non si recita davvero ; qualcuno dirà che vi si canta, ma non è vero nemmen questo ; chi dicesse che vi si urla, vi si strepita, vi si fa un baccano da taverna, sarebbe il narratore più esatto.
In lei trovava sempre e di preferenza un’interpretazione efficacissima ognuna di quelle forme d’arte che erano in maggior voga vent’anni fa. […] Quand’Ella appare, da’suoi labbri move uno spirto d’amore e di pietate, ch’empie ogni petto di dolcezze nove, sì che fa dire altrui : Quei che comparte il ben quaggiù, La diede a questa etate per mostrar quanto può natura ed arte. […] Un altro bene seguirebbe doppo questi, che ristretto il numero de’recitanti, quel poco sarebbe così virtuoso, et esemplare che non si vedrebbe altro che soggetti nuovi e corretti, e colui che gli mettesse fuori, sarebbe scarico di quel peso di leggere a un solo mille volte un solo soggetto, che in quello stesso fa poi anco mille errori, et si leverebbe quella spezie di gente, di che fa menzione l’eccellentissimo Garzoni nella sua Piazza Universale del Mondo, che si vede per le cittadi vestiti alla divisa con pennacchi, che prima che fossero suoi, furono di mille altri, con cappe bandate di veluto che inanzi che sia diventata banda era calzone affaticato prima nella cittade e poscia in villa. […] Raccordandosi l’autor della Comedia che il mettere in obbligo di ridir più volte una cosa che di già per parola e per effetto s’è veduta ed udita, recca nausea a chi ascolta, così anco fa bruttissimo vedere il personaggio che recita star attaccato alla scena, o venir troppo inanzi a recitare, non essendo in niun attione tolerabili gl’estremi.
Qui si dice che l’opera in musicha di Firenze non si fa per insino alla rinfrescata, però questa non è nova sicura, io ne avrei grand. […] te lo riverisce rendendole gratie della memoria che si compiace tener di lei, assicurandolo che non fa altro che studiare da Trufaldino per poter servire l’ A.
È prosa, dice l’invidia sotto la maschera del gusto; ma che bella prosa che fa obbliare tanti e tanti versi! […] Dal Petrarca, dallo Zeno, e da’ Francesi trasse del mele; ma chi nol fa? […] Non basta a Metastasio che Sesto ami Vitellia che lo seduce e lo precipita nella congiura; ma ha bisogno che questa aspiri a una vendetta, non di un padre come fa Emilia, ma di un’ attiva ambizione delusa nella speranza di regnare. […] Che contrasto sommamente interessante fa quell’aspetto franco e amichevole di Tito, e quella confusione di Sesto lacerato da’ rimorsi! […] Oggi dall’illustre autore si fa imprimere una raccolta di sue poesie teatrali in più tomi, ed il pubblico è vicino ad accertarsi de’ di lui progressi nell’arte d’incatenar gli eventi con verisimiglianza, nel colorir gli affetti, e nell’esprimersi con nobiltà e naturalezza, frutti saporosi e grati del tempo e di un ostinato travaglio.
Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro che abiti contratti per opinioni vere o false, nostre o straniere, a purificare i costumi bisogna raddrizzare le opinioni 3. […] La morale è la maestra de’ costumi, e la poesia drammatica è la stessa morale posta in azione: quella si trasmette per l’udito, questa si presenta alla vista: quella fa supporre un rigido precettore che gravemente ammonisce, questa affabile e popolare in aria gaja e gioconda non mostra all’uomo che l’uomo stesso: quella parla nudamente all’ intendimento, questa l’intendimento stesso illustra commovendo gentilmente il cuore: quella è un farmaco salutevole ma amaro, questa una bevanda vitale insieme e grata al palato. […] Bettinelli come vocabolo inusitato fra’ Toscani; ma io il feci senza pentirmene, perchè quell’istantaneo girare su di un piede che fa il ballerino, è così detto in Francia cui tanto debbe la danza moderna, e s’intende in Italia, dove la cosa è trasportata senza che abbiavi sinora un vocabolo patrio equivalente.
r Filippo Angeloni (V.) fa ogni opera acciò che noi non ci venghiamo, habbiamo prima voluto farne consapevole V.
La prima notizia troviamo in una lettera del 1661, che ci fa sapere come innanzi a quel tempo il Dottor Brentino facesse parte della Compagnia del Principe Alessandro Farnese.
Ma quello che ci fa godere dell’essere rimasta imperfetta si è l’ oscenità de’ fatti che vi si maneggiano con isfacciataggine da bordello. […] Elisabetta si fa dall’amore abbassare sino al vassallo; egli inalza a lei le sue speranze; l’uno e l’ altro frena la lingua che vuol trascorrere. […] Nel meglio del recitare si distrae, e fa riflessioni morali sulla vanità de’ piaceri, che non entrano nella parte che rappresenta. […] Fa che egli imponga che nel passare Isabella sua sposa da Madrid a Toledo, si copra d’una mascheretta. […] La gelosia gli fa vedere la sua Marianna in potere del nemico che ne tiene varj ritratti.
Vin è car, il mio cusin, Si mi fa ballar per via. […] Fa di mestieri confessare a gloria dell’Italia, che appunto in questa nazione troviamo i primi fonti del buon gusto in così fatto genere, come apparirebbe ad evidenza s’io presentar volessi un quadro storico delle ingegnose feste eseguite nelle antiche corti italiane in occasione di pubblica allegrezza. Ma tale non essendo il mio assunto, mi contenterò di recar in mezzo la descrizione d’un solo di cotali abbozzi drammatici, che fa epoca nella storia delle Arti, che divenne allora la maraviglia d’Europa, e che servì non meno di stimolo che di modello a quante feste se ne fecero in seguito nelle altre corti. […] [NdA] Un moderno scrittore, cui non nomino, mi fa a questo luogo parecchie accuse, tutte concludenti ad un modo. […] Quale spirito muove adunque questo scrittore qualora mi fa dire ciò che non ho mai sognato di dire, e qualora m’intenta un processo per aver detto ciò che dice egli stesso dietro a una folla di scrittori i più accreditati?
Tutto ciò dimostra i confini delle specie drammatiche, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione della nobile e gentile commedia tenera. […] Io veggo nelle sue espressioni certo studio non molto occulto di mostrarsi spiritoso, (Nota VII) ond’è che la sua maniera degenera alcuna volta in affettazione, e fa perdere di vista i personaggi palesando il poeta. […] Lepida è pure la sesta scena di Lisetta, che scaltramente fa confessare a Dami di esser egli l’autore anonimo di una commedia che poi si sa di essere stata fischiata nella rappresentazione. […] Degne di essere singolarmente notate mi sembrano le seguenti scene: la terza dell’atto II piena di pitture naturali del gran mondo di Parigi; la settima dell’abboccamento di Valerio con Cleone; la nona dell’atto III che contiene un giuoco di teatro di Cleone il quale sottovoce ora anima Valerio a farsi credere uno stordito, ora fa notare a Geronte le di lui sciocchezze ed impertinenze; mentre che Valerio adopera tutta la sua industria per riescire a screditar se stesso, e Geronte s’ impazienta, freme, si pente e risolve di rompere ogni trattato. […] Si accenna in questa favoletta che il modo di rendere gli uomini meno colpevoli non è già la sterile uguaglianza de’ beni che gli addormenterebbe, ma l’attività dell’amor proprio che rendendo operose e vivaci le loro passioni, fa nascere tutto il mondo civile, leggi, onori, divisioni di ordini, povertà, ricchezza: de l’indigence (vi si dice) naîtra l’industrie; l’industrie sera la mère des arts, des sciences, du commerce; on batira des villes, dans des villes des superbes palais; la mer se couvrira de vaisseaux &c.
Solone altro non fa che ondeggiare sperando nelle varie fazioni, e promettendo la pretesa figliuola a colui che contribuisca a distruggere il partito oppressore: opporsi alla fortuna di Pisistrato contro il volere del popolo e del senato ateniese: e svelare l’inutile arcano. […] Le situazioni patetiche che vi regnano, l’interesse che produce, la pompa dello spettacolo e dello stile (che però talvolta eccede, e cade nell’enfatico) ed il personaggio di Zuma rappresentato in quell’anno con molta energia da madamigella Rancourt, tutto ciò fa sì che questa tragedia non lascia di ripetersi ancor ne’ tempi correnti. […] Conviene all’imparzialità di uno storico l’avvertire, che la ridevole stravaganza degli abiti teatrali eroici derisa meritamente dal celebre Martelli, e osservata da altri in Francia sino a quindici anni fa in circa, vuolsi (se non s’ingannò chi vide Parigi nel 1787, e e nel 1792, e mel riferì con asseveranza) che oggi sia interamente bandita da quelle scene. […] Vero è pur anco che il teatro della commedia francese ha ricevuti pochi anni fa notabili miglioramenti.
Gli artisti nostri che recitano con verità si somigliano : la Duse è vera, ma fa razza da sè. […] È il tempo che fa e disfà per tutti. […] Ora sto per partire – e vi scrivo – cosa che non ho fatto arrivando, perchè ero tremante, e avevo paura. – Avevo paura, non ve lo nascondo. – Che volete…. io sono ancora impressionabile…. e l’ambiente può tanto sopra di me. – Lontana dal teatro – dalla famiglia artistica, sola – lungo il mare – che ne fa tanto capire la nostra piccolezza, mi pareva che non avrei più saputo rendere l’espressione d’un’arte – che ha qualche volta delle ritrosie, dei silensi così penosi…. per me ! […] A una rappresentazione del Chat noir di Parigi nel Casino-Théatre della Chaux-de-Fonds, entrai nel camerino di Grenet-Dancourt, il gentile poeta e amabile monologhista, che aveva recitato alcuni de’suoi versi più caldi ; e venuti a parlar della Duse, del suo legittimo trionfo di Parigi e della probabilità di un suo ritorno per recitarvi in francese, « ma non ne ha bisogno – rispose candidamente il Dancourt – ella si fa ben capire colla potenza dell’espressione.
Alla storia ed alla sola storia scortata da una sana filosofia chiaroveggente e sgombra di parzialità, al cui sguardo solo fa un tutto quel sì mirabile edifizio, ch’essa contempla tranquillamente come dall’alto d’una collina: a questa sola storia, dico, appartiene il giudicar di tanti grand’uomini che vi hanno lavorato per tanti secoli; ed il suo giudizio schietto e imparziale additerà agli artisti nascenti il sentiero che mena senza tortuosi giri alla possibile perfezzione drammatica.
E. ne sia auisata e se cio è la uerita, altro non posso significarle se non che Vicenza non fa per noi in modo alcuno per esser non solo stata sbatuta l’anno scorso, et per non esser hora la sua staggione, mi dò a credere che tutti li compagni insisteranno di non dare la parte alla Moglie di Bertolino, mentre non reciterà, e se ne starà a casa p. la sua insuficienza, non so che cosa andare a fare a Bologna con duoi Morosi che non li uogliono ne sentire ne uedere, e fuori di tempo ruuinando l’Autuno, quando la Compagnia ui debba andare.
Arriva intanto il Direttore, ne ride, scherza, fa carezze all’afflitta Signora.
Che altro fa la coregrafia se non prescrivere anch’essa al ballerino insieme col tempo i passi e i giri ch’egli ha da fare sopra le note dell’aria? […] Rimangono ancora nella memoria dei Francesi simili finezze usate dal Baron e dalla Le Couvreur, che tanto faceano risaltare i versi di Cornelio e di Racine; e si sentono tuttavia fedelmente imitare in un paese, dove il teatro, come in Atene, fa gran parte della vita e dello studio.
Anzi Plauto, nella sua commedia Miles gloriosus at. 2, sc. 2, fa che Palestrione greco personaggio lo chiami poeta barbaro, cioè non greco, ma latino, la qual cosa non avrebbe potuto dire senza sconcio, se Nevio nato fosse nella Magna Grecia. […] Il padre Rivet 2 fa risalire il Querolus almeno al cominciamento del V secolo fondandosi sulla dedicatoria fatta a Rutilio.
Il ’55 a Vercelli mette su uno spettacolo, I briganti calabresi, pel quale s’ingolfa in un mondo di spese : ma lo spettacolo fa furore, un forte guadagno è assicurato ; ed eccoti l’arena di legno, terminato appena lo spettacolo, tutta in fiamme, ecco ogni cosa letteralmente distrutta. […] I primi di giugno del ’64 se ne fa la solenne inaugurazione con opera e il ballo Carlo il Guastatore.
L'artista più generico del nostro tempo, che fa pensare nella spontaneità maravigliosa, e nella prodigiosa multiformità, a' più grandi attori della Commedia dell’arte, i quali, recitando e le buffonate e la tragedia, eran capaci di rendere le idee più alte de' poeti drammatici, e d’imitar le più straordinariamente ridicole della natura (V. […] Oggi, a cinquant’anni, fa il negoziante di oggetti antichi, e recita sempre bene.
Lattuertas La Huertas p. 176. v. 24. deturpano deturpava p. 177. v. 17. e due o due p. 177. v. 31. fuor dubbio fuor di dubbio p. 187. v. 25. che fanno che fa uno p. 199. v. 11. di buon secolo di un buon secolo p. 200. v. 12. così a loro soggetti così dediti a’ loro Soggetti p. 201. v. 11. di fatti de’ fatti p. 209. v. 1. dos edificies dos edificios p. 209. v. 5. hyzo hizo p. 210. v. 6. e si osserva se si osserva p. 220. v. 5. hosarascas hojarascas p. 221. v. 17. la felicità la felicita
Vitruvio ci fa sapere che in essi soltanto desideravansi que’ vasi di rame che rendevano la voce più sonora, e che questi non istimaronsi necessarii, perchè i tavolati a un di presse so facevano l’effetto medesimo de’ vasi.
Vitruvio ci fa sapere che in essi soltanto desideravansi que’ vasi di rame che rendevano la voce più sonora, e che questi non istimaronsi necessarii, perchè i tavolati a un di presso facevano l’effetto medesimo de’ vasi.
Fiorillo, del quale fa bella menzione Bartolommeo Cavalieri nella sua Scena Illustrata.
Nacquer dai coniugi Borisi Armando e Maria : quello, divenuto attore-cantante, fa parte della Compagnia di operette del Gargàno ; questa, fatte le prime armi come generica e amorosa in compagnia de’ genitori, sposò l’attore dialettale Francesco Micheluzzi.
. ; e sua moglie, che pure ha due lettere del ’92 e ’94, non ne fa più menzione.
ma obligargli piu tutta la compagnia no lo posso e no lo deuo fare p i rispetti sudetti di tener sempre imoto tutti co in ventioni Masanieleschi et un Cattiuo ne fa cento io no prometto che p la mia casa, e saremo a Dio piacendo quest’Autunno umilmente a seruire V.
Se il solito spazio tiranno non mi impedisse di volgere al fine, molti ed interessanti aneddoti potrei narrare ; mi limiterò al seguente, che fa comico contrasto a'molti atti veramente eroici, ai quali si lasciò non di rado : Si provava un dramma in cui il Pilla doveva lottare con uno degli interlocutori e soccombere.
[3] Essa in fatti è la sola che fa che la musica divenghi un’arte imitatrice della natura, esprimendo colla varia successione de’ tuoni e delle note i diversi accenti delle passioni. Essa è quella che adoperando i muovimenti or rapidi, or lenti, or con debita misura sospesi, ci strappa le lagrime nel dolore, affretta il corso del sangue nell’allegrezza, ci fa smarrire nell’abbattimento e ci determina alla speranza, al timore, al coraggio, ed alla maninconia. […] Simile al primo egli non ebbe altra guida che la natura, né altro scopo che di rappresentarla al vivo, «L’arte, che tutto fa, nulla si scopre.» […] Il Rousseau, che fa menzione di lui nel suo Dizionario, dice in pruova della sua abilità: «che egli saliva e discendeva in un fiato solo due piene ottave con un trillo continuo, marcando tutti i gradi cromatici con tanta giustezza di voce, benché senz’accompagnamento, che se l’orchestra suonava all’improvviso quella nota dove ei si trovava, fosse bemolle, o fosse diesis, si sentiva al momento una conformità d’accordo che faceva stupir gli uditori» 89. […] Non solo gli fu negato un impiego onde poter miseramente campare, non solo si vide vicino a perir di fame, ma (ciò che fa.fremere ogni cuor sensibile) in Italia, in quella città stessa, che dovrebbe andar più superba d’averlo avuto per figlio che de’ trionfi, che ne adornano il suo Campidoglio, ebbe egli a soffrire un ignominioso processo.
Sapevano que’ dotti Italiani, che l’istesso parlar naturale, non che l’aringare, per essere un canto, un’ armonia oscura 1, fa uopo imitarsi in teatro secondo i caratteri delle passioni, e perchè queste col loro impeto sogliono trasportare sovente fuor di tono i Recitanti, gli Antichi assennatamente gli soccorsero cogli stromenti. […] Erano più del Canto verisimili las Cortinas, che circa dodici anni fa componevano tutto l’apparato Scenico Spagnuolo, dalle quali entravano ed uscivano sovente personaggi, che l’azione richiedeva, che non si vedessero? […] E se lo spettatore vuol godere delle infinite perfezioni, che rendono questo gran quadro singolare1, fa uopo che in se stesso convenga in discolpare il Pittore di quell’accozzamento di persone non contemporanee di San Geronimo Cardinale, e di Tobia il giovane, e della Vergine. […] Dunque fa mestieri in Teatro la convenzione che voi negate. […] Il mostro Oraziano non ha più sconcezze; ed è un embrione fantastico fuori della quistione e della natura, a cui mai non risponderà chi fa conto del tempo.
Benchè le rappresentanze de’ martiri Cristiani sieno poco atte ad eccitar la tragica compassione, per esser la loro morte un vero trionfo che non ci lascia luogo a dolere, pure il Poliuto col nobile carattere del protagonista e coll’ amore che ha quest’eroe per la sposa Paolina, ch’egli fa servire a i doveri della religione abbracciata, è una tragedia che chiama l’attenzione. […] Ma l’eccessiva crudeltà di Cleopatra, che qual altra Medea trucida Seleuco suo figlio e perseguita gli altri, fa fremere lo spettatore ed irrita l’ indignazione. […] Cornelio che dopo aver cessato di scrivere pel teatro pur vi era stato indotto un’ altra volta, al fine da buon senno nel 1675 dopo la rappresentazione del Surena, che non fa scorno alla vigorosa vecchiezza di sì gran tragico, rinunziò alla poesia drammatica. […] Freddo è pure il complimento di Eraclio agli occhi tutti divini di Eudossa, e la protesta ch’egli fa di aspirare al trono unicamente per la sete che ha di farne parte alla sua bella.
alla cena che fa il di lei marito sul balcone? […] Quando questa insipida disposizione di figure non è che semplice disposizione, diviene una violenza inutile che si fa alla verità, per addormentar lo spettatore in vece di riscuoterne de’ bravi. […] Questo fecondissimo scrittore di 150 commedie cui tanto debbono le scene Veneziane e che fa tanto onore all’Italia già vicino a smascherare e a guarire i comici, ebbe a soffrire tante guerre suscitate da’ partigiani del mal gusto e dagl’ invidiosi di mestiere, che annojato dell’ingiusta persecuzione cesse al tempo e cangiò cielo. […] Ne’ quattro tomi da me veduti del suo Teatro ha publicate quattro commedie in prosa, l’Impressario di due atti dipintura molto comica e naturale in ciascun personaggio introdotto: i Pregiudizj dell’amor proprio in tre atti, i cui caratteri sono più studiati di quelli che presenta la natura: la Scommessa, ossia la Giardiniera di spirito parimente in tre atti, la quale supplisce colla scaltrezza all’effetto che fanno Pamela e Nanina coll’ amore, e con poco fa perdere la scommessa alla Baronessa tirando il Contino di lui nipote a sposarla: i Pazzarelli ossia il Cervello per amore in due atti con ipotesi alquanto sforzate e con disviluppo non troppo naturale, che però è una piacevole dipintura di que’ vaneggiamenti che se non conducono gli uomini a’ mattarelli, ve gli appressano almeno.
Del trattato fa cenno anche Giovanni Battista De Sanctis in Francesco Saverio Salfi. […] Sono invece impropri quelli che operano in maniera figurata, come fa la metafora nel linguaggio verbale. […] Salfi fa l’esempio della gelosia, frutto di sentimenti contrastanti che si alternano rapidamente e coesistono. […] Il suo tono allora non deve ricalcare quello dell’interlocutore, ma adattarsi alla passione di cui si fa portavoce. […] La pittura che allor se ne fa è significante, espressiva, necessaria.
Veramente un rivo che sbocca in un pantano, altro non fa che impantanarsi anch’esso, e nulla può sommergere prima di vincere l’ostacolo che si oppone al suo corso; ma passi ciò. […] Aggiungiamo solo alla sfuggita che tutte le arie sono stentate, inarmoniche, difettose nella sintassi, e contrarie o distanti dal pensiero del recitativo; che si trova in quest’atto secondo uguale ignoranza delle favole, ed invenzioni Omeriche, e degli antichi tragici; che Briseida augura ipocritamente ad Achille che giunga à gozar del amor de su Ifigenia; ignorando che la sacrificata figlia di Agamennone per miracolo di Diana ignoto a’ Greci si trova viva trasportata nel tempio della Tauride; che l’istessa Briseida la prega di volersi intenerire, y no qual fuerte hierro à tu Briseida aniquiles, abrases y consumas; colle quali parole attribuisce al ferro che non è rovente, le proprietà del fuoco di annichilare, bruciare, consumare; che Achille vuole che gli augelli loquaci siano muti testimoni, los pajaros parleros sean mudos testigos che lo stesso Achille dice di avere appreso da Ulisse â despreciar la voz de las sirenas, la qual cosa dimostra di possedere uno spirito profetico, perchè Ulisse si seppe preservare dalle sirene dopo la morte di Achille e la distruzione di Troja; che l’istesso Achille pure profeticamente indovina che l’uccisore di Patroclo sia stato Ettore, perchè nel dramma del La Cruz niuno glie l’ha detto; che Agamennone dice ad Achille che vedrà al campo il corpo di Patroclo pasto fatal de las voraces fieras, bugia che contraddice al racconto di Omero che lo fa venire in potere de’ Mirmidoni; nè poi Achille potrebbe mai vedere una cosa già seguita, purchè le fiere a di lui riguardo non vogliano gentilmente differire di manicarselo sino al di lui arrivo; in fine che La Cruz dovrebbe informarci perchè Briseida di Lirnesso, cioè Frigia di nazione mostri tanto odio contro le proprie contrade a segno di desiderarne l’annientamento anche a costo di dover ella rimaner priva di Achille?
Il celebre Hennino Medico Tedesco riferisce che nella China si mette a una certa distanza dagli Attori un Coro di Musica, che regola da lungi le variazioni delle loro voci, e che, quantunque non si sentisse ciò che dicono, pure fa sì, che l’ascoltatore a forza di quel suono sia commosso dalle passioni, ch’essi vogliono destare. […] Platone per mostrare più particolarmente la stima, ch’egli faceva di questo poeta, gli diede il miglior luogo nel suo Convito, ch’è uno de’ suoi più belli dialoghi, e mette sotto il di lui nome il bel discorso, ch’egli fa dell’amore, dando con ciò ad intendere che Aristofane era il solo che potesse con vaghezza e diletto parlare di questa passione.
Ulisse L’interrompe per L’arrivo del Ciclope, e Sileno lo fa nascondere. […] Polifemo rimane persuaso, e si fa porre accanto il vaso del vino. […] Di tali figurine che prendono il nome dall’esser tratte co’ nervi, si fa menzione da Aristotile de Mundo, da Senofonte in Symposio, parlando di un Siracusano interrogato da Socrate, da Erodoto nel libro il e da Luciano.
Ulisse l’interrompe per la venuta del Ciclope, e Sileno lo fa nascondere. […] Polifemo rimane persuaso, e si fa mettere accanto il vaso del vino. […] Di tali figurine che prendono il nome dall’esser tratte co’ nervi, si fa menzione da Aristotile de Mundo, da Senofonte in Sympos.
Eccone la descrizione che se ne fa nel trattato del Teatro.
Il Coralli non ha voluto riveder l’ Italia, ma avendo sposata una figlia del Ruggeri, fabbricatore di fuochi artificiali, è rimasto a Parigi, impiegato colla Truppa francese allo stesso Teatro, e un tal impiego gli fa onore e giovagli altresì per il congruo, e necessario suo decoroso mantenimento. » Una delle migliori creazioni del Coralli fu quella del fratello minore nei Gemelli Bergamaschi di Florian, dati la prima volta il 6 agosto 1782, in cui si fece molto applaudire al fianco del Bertinazzi che rappresentava il fratello maggiore : e una delle peggiori pare fosse quella nel Venceslao, dramma francese, come appare dalla prefazione del traduttore Francesco Gritti.
Ahi come ogni giorno ci si fa più vedova e disfatta la vita !
Il Neri propenderebbe a crederla figliuola del celebre Dottor Violone, Girolamo Chiesa, ma non saprei perchè, non essendosi mai trovato il suo nome preceduto da quel Della, che fa, pare a me, un diverso casato.
La prima rappresentazione del Sansone francese ebbe luogo il 18 febbrajo 1730, e Romagnesi vi ottenne un successo enorme, secondo che attesta Matteo Marais nel suo diario, alla data del 5 marzo 1730, che dice : « Agl’italiani hanno un lavoro che fa gran chiasso.
Egli nella scena II dell’atto II fa nella propria persona una dipintura curiosa di quelli che aspirano ad entrar nel parlamento. […] Ma il poeta che fa più onore alle scene tedesche, si é il patetico e spiritoso M. […] Lasciando da parte il cattivo, confesso che mi fa meraviglia l’imputazione della novità. […] Quest’autore ha felicemente copiato al vivo il popolaccio di Lavapiés e de las Maravillas, los Arrieros, cioé i mulattieri, i furfanti usciti da’ presidi, gli ubbriachi, e simil gentame che fa stomaco anziché piacere, e che il giudizioso M. de la Bruyère volea affatto esclusa dal buon teatro. […] Egli ci fa eziandio sperare un’idea del teatro tedesco, volendo in essa restringere quanto vanta di più eccellente la Germania in fatto di tragica e comica poesia.
Ma il Fiorilli non si fermò lungo tempo in Francia, secondo appare da una lettera inedita dell’Archivio modenese, in data di Firenze 26 maggio 1655, colla quale il Gran Duca di Toscana raccomanda vivamente al Duca di Modena il comico Scaramuccia che fa ritorno in Francia. […] Da questo momento non s’han più indizj della presenza di Marinetta a Parigi, il che fa credere ch’ ella fosse in quest’ ultimo viaggio condotta a Firenze, ove si stabilì separata dal marito, forse per incompatibilità de’ caratteri, essendo essa più tosto uggiosa, e venendo egli di dì in dì più avaro. […] Questo volentieri lascerebbe il padre che facesse e disfacesse del suo tutto quello che volesse, se li desse il denaro per ricondursi a Firenze ; il vecchio non vuol dar nulla, se non li fa un foglio nelle buone forme conforme questo che li mando qui segnato A ; il figlio ha fatta la risposta segnata B e poi li scrisse la lettera segnata C ; li lessi il tutto, ma il vecchio è più duro che il cuore di Faraone, maledice chi gli ha fatto levare la sua donna, che quello che diede al suo figlio fu un poltrone che non lo seppe finire, che lo metterà a S. […] Altezza nella quale li dirà tutte le pessime cose che fa suo figlio ; io li risposi che quello mi diceva a me non riguardava che la sua coscienza, che a questa doveva rimediar lui con il darli per tornare in Italia, ma è peggio di un ostinato Turco, che più è vecchio innamorato ! […] Ora egli fa le spese di un motto di Larochefoucauld, or di una comparazione della Duchessa d’Orléans, o di Furetière, o di Racine.
Tutto ciò dimostra i confini delle specie drammatiche, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione della nobile e gentile commedia Tenera. […] Quindi avviene che la maniera del Du Fresny alcuna volta degenera in affettazione, e fa perder di vista i personaggi imitati palesando il poeta. […] In questa favoletta si accenna, che il modo di rendere gli uomini meno colpevoli, non è già la sterile uguaglianza de’ beni che gli addormenterebbe, ma l’attività dell’amor proprio che rende operose e vivaci le loro passioni, e fa nascere tutto il mondo civile, leggi, onori, divisioni d’ordini, povertà, ricchezza. […] Ma il marito per abbattere l’ostinazione della moglie, cava di tasca un manoscritto delle poesie di Floricourt, fralle quali si legge una satira fatta contro della stessa Madama Armand, la quale convinta della pessima sua scelta, fa scacciare il poetastro, e permette che Dami sposi la figliuola. […] Interessa quest’azione, o che istorica sia, o verisimilmente inventata; e l’evento felice la fa tuttavia conservare tralle applaudite commedie di questi ultimi tempi.
Lasciando da banda il romore che correva nella città, che nelle commedie di Terenzio avessero avuto parte Lelio e Scipione, Plutarco ci fa sapere che il Dittatore L. […] Oltre al nominato autore di quel dialogo, Tacito più di una volta negli Annali fa menzione di Pomponio Secondo di cui Plinio il naturalista avea composta la vita. […] L’autor latino mostra lo stato compassionevole della regina, e la fa cadere tramortita nelle braccia d’Ippolito. […] Uno studio continuato di mostrare ingegno ad ogni parola fa sì che l’autore si affanni per fuggire l’espressioni vere e naturali, e per correr dietro a un sublime talvolta falso, spesso affettato e sempre nojoso per chi si avvede della fatica durata dall’ autore a portar la testa altà e a sostenersi sulle punte de’ piedi. […] Venuto Ercole il poeta fa che egli intenda lo stato del regno e voli a trucidare il tiranno; ma intanto che la sua famiglia dovrebbe mostrarsi sollecita dell’esito dell’impresa, Anfitrione si diverte ad ascoltar da Teseo l’avvenimento di cerbero tratto fuori dell’inferno, e a domandare, se in quelle regioni si trovino terre feraci di vino e di frumento.
… Aggiungetevi una musica e un allestimento scenico non meno grandiosi ; e non dobbiamo stupirci se il pubblico di due secoli e mezzo fa andava in visibilio. […] Oggi che l’ arte è giunta a tanta eccellenza, che ci fa vedere ciò che appena l’occhio può credere, e si fa con tanta sollecitudine e destrezza, che sembra farsi per arte magica ; io queste belle stravaganze non escluderei da’ teatri, essendo fatte usuali e tanto comuni che fanno stupire lo stesso stupore : anzi l’arte supplitrice della Natura, tante ne va di giorno in giorno inventando, che per tante stravaganze può dirsi l’Arte della Natura più bella. […] E il De Somi, dopo di aver parlato della sontuosità degli apparati antichi e di altri non men sontuosi, fatti per le nozze del Duca di Mantova ; dopo di aver parlato, solleticando al sommo la curiosità del lettore, della origine de’ lumi sui tetti delle scene, e degli specchi su certi luoghi del fondo, sui quali riflettendo i lumi, celati ad arte, si veniva a ottener la scena più luminosa e allegra ; dopo di aver parlato con molto acume del bujo della sala necessario al risalto maggiore della scena ; dopo di aver descritto con interessanti particolari e gli apparali pastorali e gli apparati marittimi, venendo a discorrer degl’intermedj e della loro attinenza colla favola, fa dire a Massimiano : Dallo Schiavetto- Edizione di Venezia, Gio.
Gli attori però sono tutti Americani, e tra essi intorno a diciotto anni fa (per quel che mi narrò un negoziante di Cadice che vi avea passata una parte della vita) spiccava una bella e giovane attrice figliuola di una Peruviana e di un Italiano chiamata Mariquita del Carmen, e conosciuta pel soprannome di Perra-chola. […] Il Lampillas che trionfandone fa ciò osservare, può addurre qualche pruova di non essere stato il Cabotto impiegato a cagione d’insufficienza e d’imperizia nella nautica?
Francesco Bartoli fa nascere il Fidenzi intorno al 1596. […] Paulo Fabri) come ad Adriano Orazio (il Valerini) si può contrapporre Cintio Fidenzi, che grazioso, ma insieme anche studioso, adorna le scene, diletta a chi l’ascolta, non forma parola, non esprime concetto che non sia accompagnato da quel moto che gli è proprio, onde meritamente da più di un Principe accarezzato, fa conoscere non esser del numero di quelli che poco curandosi dell’onore, recitano per vivere, e vivono per impedire il luogo di un galantuomo.
— I singulti, e sospiri, Le lagrime, e gli homei Del moribondo son cari trofei, Cosi fra gente amate, Così fra gente amate, L’ultima fa Scappin di sue cascate, Di sue cascate. […] Francesco Bartoli fa cader la sua morte intorno il 1654, ma non sapremmo di essa precisare nè la date, nè il luogo.
Calisto innamorato di Melibea ricorre a Celestina vecchia ruffiana e maliarda famosa, la quale fa varii scongiuri, incanta una matassa di filo, la porta a vendere a Melibea, e per incanto la rende perduta amante di Calisto. […] Il soggetto si enuncia nel prologo che fa la Fama. […] Si fa inoltre menzione di un dramma detto Tragedia Policiana, in cui si trattano gli amori di Poliziano e Filomena uscita in Toledo nel 1547. […] Il carattere di questo Tanco fa sì che senza molto esitare si ripongano tali tragedie nelle biblioteche immaginarie. […] La Ianguidezza de’ primi atti (dal Ferreira evitata in parte colla passione posta ne’ discorsi d’Inès) si fa sentire assai più nella Nise per la Iunghezza di essi che raffredda le situazioni.
Il celebre Storico Padovano Albertino Mussato, nato all’anno 1261 come prova l’abate Tiraboschi, e morto nel 1330, ci fa sapere che nel 1300 già comunemente si scriveano nell’Italia in versi volgari le imprese de’ re, e si cantavano ne’ teatri123.
Egli in somma é sì vario e sì vasto, che non fa un tutto se non all’occhio fino della storia che lo contempla tranquillamente, dall’alto d’una collina; e quei viaggiatori e criticastri di corta vista, scempi o impazienti, i quali si sono occupati sol di una parte di esso, e dalle loro scarse osservazioni han di poi tratto vanamente certi aforismi generali, che tengon per principio incontrastabili, in ogni tempo faranno pietà a chi ragiona.
Un secolo dotto fa risplendere di riverbero ancor quelli che non lo sono.
Intanto uno scrittore di quelle contrade che volle anni sono filosofare a suo modo sulle nazioni, supponendo il teatro moderno, specialmente quello del suo paese, superiore all’antico, ne attribuisce l’effetto alla libertà delle donne, e da questa fa discendere la gran varietà de’ caratteri.
Lo stesso Storico ci fa sapere che gli Etruschi possedettero la massima parte dell’Italia, e colle colonie si sparsero per le alpi ancora, e tennero il paese de’ Grisoni anticamente chiamato Rhaetia 3.
L’effetto che produce in una donna dimenticata una equivoca dichiarazione di amore, il passaggio che ella fa da una finta modestia ed un finto sdegno alle leziosaggini d’un simulato pudore, e ’l raccoglimento o sconcerto dello spirito, la ricomposizione o turbamento del volto, e la mutazione della voce che in lei succedono al disinganno, tutto questo ed altro ancora dipingevasi si vivo nella Colli, che la illusione toccava il massimo suo grado.
Altri guerra mi fa : parlar di pace non può colei ch’ ha acceso il cor dell’amorosa face (via).
Vaccaro Matonti scriveva : ……all’ effetto ed al successo gran parte vi ha tenuta Monti, del quale artista sarebbe ingiustizia non promulgare soprattutto il suo ardente zelo nelle parti che esprimono affetti e sentimenti di forte esaltamento ; egli non simula per arte il carattere che sostiene, ma se ne infiamma tanto che va a discapito della propria salute : bel sacrifizio in vero che egli tributa all’ arte sua, e per la quale si fa tanto pregiare ed amare da tutti.
Non quella di Euripide che da prima teme la morte, e poi l’affronta coraggiosa; ma bensì una Ifigenia sempre grande e costante nell’amore del pubblico bene, che si fa ammirare in tutte le vicende della sua sorte: vanto che sinora si è dato solo al celebre Racine da chi non seppe che l’aveva prima meritato il Dottori. […] Porta poi Aristodemo all’eccesso la vendetta del proprio onore, e sembra più proprio della tragedia greca che della moderna quell’aprire il seno verginale di Merope, onde si fa palese l’innocenza di lei. […] Il Caraccio secondando l’antica idea della bella contesa di Corradino e Federigo fa nascere una serie di colpi di teatro e di situazioni che tirano l’attenzione. Corradino si ritira a scrivere l’ultimo addio alla Madre; Carlo manda a chiamarlo; Federigo crede che debba esser menato a morte, e si fa condurre in di lui vece.
Si abbassa altresì il perdono di Augusto, perchè il poeta fa che Livia, personaggio affatto ozioso, sia quella che esorti Augusto ad esser clemente, togliendoli con ciò il merito di quel perdono magnanimo. […] Ma l’eccessiva crudeltà di Cleopatra, che qual altra Medea trucida Seleuco suo figlio, e perseguita gli altri, fa fremere lo spettatore ed ispira indignazione. […] Freddo è pure il complimento di Eraclio agli occhi tutti divini di Eudossa , e la protesta che egli fa di aspirare al trono unicamente per la sorte che ha di farne parte alla sua bella . […] Solone altro non fa che ondeggiare sperando nelle varie fazioni, e promettendo la pretesa figliuola a colui che contribuisca a distruggere il partito oppressore: opporsi alla fortuna di Pisistrato contro il volere del Popolo e del Senato Ateniese: e svelare l’inutile arcano.
Shakespear sembra aver preparata la materia della Zaira colla tragedia di Othello, mentre un eccesso di amore forma l’azione dell’una e dell’altra tragedia, la gelosia ne costituisce il nodo, e un equivoco appresta ad entrambe lo scioglimento; Othello s’inganna con un fazzoletto, Orosmane con una lettera; Otello ammazza la moglie, e poi disingannato si uccide, e Orosmane fa lo stesso. […] I caratteri di Catilina, Cesare, e Cicerone son bene espressi in Roma Salvata; ma una finzione ad ogni passo smentita dalla storia certa e conosciuta, non fa nascere l’illusione cercata con tanto studio. […] Ma ne’ componimenti di quest’autore vedesi uno studio assettato (ch’é pur generale in Francia) di mostrarsi spiritoso, che fa sovvenire spesso del poeta, e perder di vista i personaggi236. […] Lepida é pur la scena VI di Lisetta, che destramente fa confessare a Dami di esser l’autore anonimo della commedia, che poi si dice fischiata in Parigi. […] Una delle più belle é la IV dell’atto IV, nella quale Aristo, ch’é un personaggio virtuoso imitato dal Cleante del Tartuffo, cercando tutte le ragioni per distaccar Valerio dall’amicizia di Cleone, fa varie dipinture sommamente vivaci e naturali de’ malvagi che affettano di dare il tuono negli spettacoli, di quei che prendono l’aria beffarda, di quei che vogliono parer gravi e laconici.
Io son contento (dice Catone) egli ha fatto il suo dovere; Porzio, quando io morrò fa che la di lui urna sia posta accanto alla mia. […] Sopravviene Comala che si maraviglia che l’acque del fiume Carun corrano torbide e sanguinose, e fa una preghiera alla luna. […] Wilmot si fa sedurre. […] Patu traduttore delle opere di Gay e di altri ci fa sapere che Polly è fort inferieure à son premier ouvrage. […] I drammi, la musica, i cantanti, tutto vi si fa venire dall’Italia.
Se a me lice anatomizzare tal favola meglio dell’autore, il trascorso che dà moto alla catastrofe è la vendetta che fa Rodrigo dell’affronto fatto al padre. […] Inoltre il rimprovero, che egli fa nelle ultime parole al padre addolorato, hanno certa asprezza ed indecenza che pregiudicano a quella tenerezza che potrebbe cagionare. […] Il medesimo si potrebbe dire d’Orazio, a cui Cornelio ascrive un costume troppo aspro, il che non fa il nostro Aretino, che per altro lo rappresenta coraggiosissimo. […] Parimenti con giudizio vien mitigato da Seneca il discorso che secondo Sofocle fa Ercole al figliuolo per obbligarlo ad essere parricida e divenire consorte della concubina paterna. […] Sagge sono le considerazioni che fa intorno l’unità del luogo, del tempo e dell’azione; massimamente quella che riguarda l’unità d’interesse, che si distingue dall’unità dell’azione.
Egli o di notte ruba, o fa la vita De’ vagabondi, o di cotal genia Complice è certo, o giuntatore, o vende. […] Primieramente o egli ha voluto dire una cosa, e ne ha detto un’altra, o quel di nuovo sarà errore di stampa; altrimente introdurre di nuovo fa supporre che in altro tempo vi fosse stata in Grecia la commedia moderata prima dell’antica,il che dalla storia non appare.
» E nel Ragionamento XXVIII egli fa dire a Trappola : « Padrone, la vostra amata donna si può dir viva e non morta, se viva è colei che gloriosa rimane al mondo per mezzo della virtù. […] D’ogni gloria maggior scena fastosa, fatti giardin d’un sempiterno alloro, giardiniera bellissima Gelosa, o qual di ricca statua alto lauoro fa colonna poggiar ambizïosa, di’ : base fui d’ un simulacro d’oro. […] Prima che si conduca a questo, si suol fare una rassegna, de i personaggi, et uedere, se sono tutti prouisti di quelle cose, che fa lor bisogno, nel modo che in una lista [come quella ch’ io faceua pur dianzi] bisogna hauer notato : per che una poca cosa che si scordi, può in gran parte sconcertar lo spettacolo. […] Lasciando di parlar di quelli che apaiono in scena, di che si trattarà dimane, come ui ho detto, e darouui anco sopra essi il mio parere circa il loro accrescere o scemare riputatione a le comedie, dico, che gl’ intermedij di musica almeno, sono necessarij alle comedie, si per dar alquanto di refrigerio alle menti de gli spettatori ; et si anco per che il poeta [come ui cominciai a dir hieri] si serue di quello interuallo, nel dar proportione alla sua fauola. poscia che ogn’uno di questi intermedij, ben che breue, puo seruir per lo corso, di quattro, sei, et otto hore a tale che quantunque la comedia, per lunga che sia, non hà da durar mai piu che quattro hore ; spesso se le dà spatio di un giorno intiero, et anco alcuna uolta di mezzo un’ altro, et il non comparire personaggi in scena ; fa questo effetto con maggiore eficacia. […] Il progresso dell’arte esteriore, se così posso dire, ossia di tuttociò che concerne il gesto, la voce, la dizione ; quel progresso che fa spesso proferire un discorso eterno colle spalle voltate al pubblico, e tutto d’un fiato, rapido, precipitoso, ruzzolato, che il pubblico non arriva mai ad afferrare ; quel progresso che fa del palcoscenico, nel nome santo della verità, e a scapito dell’arte e del buon senso, una stanza a quattro pareti, senza tener conto quasi mai che per una di esse, il boccascena, gli spettatori han diritto dai palchi e dalla platea di vedere e udire quel che accade lassù ; quel progresso, dico, ha vita da poco più che trent’ anni.
E siccome tali esempli di errori e di bellezze vanno alla giornata moltiplicandosi, fa mestieri tenere istruita tratto tratto la gioventù de’ continui passi che con felicità o traviamento si danno nelle arti.
La storia però ci fa vedere che non sia sì grande la loro rozzezza e barbarie.
Dominique, stando sempre al Cicalmento (pag. 46) non si recò allora a Parigi per la prima volta : egli vi andò sul finire del’45, quando da quella Cristianissima Maestà vi fu chiamato Buffetto, il quale anche ci fa sapere come, presentate le commendatizie e ricevuti con ogni degnazione da’Sovrani e dall’eminentissimo Cardinal Mazzarini, fosser dati a Menghino e denari e un vestito bellissimo.
Era il nostro comico Flaminio. » Una sua lettera del 30 agosto del '57 da Bologna a un Ministro del Duca, ci fa sapere come il settembre e l’ottobre la Compagnia si recasse a Firenze e l’autunno a Venezia al San Samuele, chiamatavi da S.
Aman tuo vago stil d’Arno le rive, che altro non fa, che meritarsi allori, quai meritò là sulle arene argive Pindaro eccelso in fra gli achei Pastori.
Poi in Italia ancora scritturata, o capocomica, fino al '98, anno in cui fa parte come prima attrice tragica e prima attrice madre della Compagnia del Teatro d’Arte.
Al proposito di questo modo di chiamare la signora Bertinazzi (e a questo modo soltanto è pervenuta fino a noi), Vittorio Malamani ne’suoi Nuovi Appunti Goldoniani (Venezia, 1887) fa le grandi maraviglie, leggendo come lo Spinelli aggiunga alle parole « madama Carlin »moglie di Carlin Bertinazzi. […] E. mi aveva onorato, veggio la stima, ch’ella fa di tale soggetto, e l’interesse ch’ella prende per lui. […] Tale esercizio li fa capaci di rendere le idee più alte de’poeti drammatici, e d’imitar le più straordinariamente ridicole della natura.
Nell’accumolar fatti come si fa nelle commedie romanzesche? […] Intanto non posso dispensarmi dall’osservare che il chiarissimo abate esgesuita Giovanni Andres asserisce con una franchezza che fa meraviglia, che il Teatro Italiano regolare da principio ma languido e freddo (di che vedasi ciò che si è detto nel precedente volume della nostra Storia) sbandi poi nel passato secolo e nel principio del presente (parla del decimottavo) ogni legame di regolarità, e lasciate le tragedie e le castigate commedie altro non presentava che pasticci drammatici, come dice il Maffei .
Talia, che ha de' Teatri il sommo onore, Invida, a costei cede il primo vanto, Onde veggendo pur la Dea d’ Amore, Che le Grazie di grazia avanza tanto, Non sol degna la fa del suo favore Fra l’altre tutte, e del commercio santo, Ma per renderla in tutto al Cielo eguale Sempiterna l’ha fatta, ed immortale.
E il Garzoni, dopo di aver parlato dell’Andreini, dell’ Armani, e della Lidia : Ma soprattutto parmi degna d’ eccelsi honori quella divina Vittoria, che fa metamorfosi di sè stessa in scena, quella bella maga d’ amore, che alletta i cori di mille amanti con le sue parole, quella dolce sirena, ch' ammalia con soavi incanti l’ alme de' suoi divoti spettatori : e senza dubbio merita di esser posta come un compendio dell’ arte, havendo i gesti proporzionati, i moti armonici e concordi, gli atti maestrevoli e grati, le parole affabili e dolci, i sospiri ladri e accorti, i risi saporiti e soavi, il portamento altiero e generoso, e in tutta la persona un perfetto decoro, qual spetta e s’ appartiene a una perfetta comediante.
Il Coviello, tranne alcuna eccezione, è uno stupido che fa il bravaccio, come il Capitano ; e di Capitano ha il costume con grandi piume al cappello, grandi stivali, e grande spada.
Son contento , dice Catone; egli ha fatto il suo dovere; Porzio, quando io morrò, fa che la di lui urna sia posta accanto alla mia. […] La Contessa pel corso di quattro atti manifesta il suo pentimento, e fa ammirare varie sue azioni lodevoli, ignorandosi tuttavia il suo delitto. […] Sopravviene Comala che si meraviglia che le acque del fiume Carun corrano torbide e sanguinose, e fa una preghiera alla luna. […] Wilmot si fa sedurre. […] Patu traduttore delle opere di Gay e di altri inglesi, ci fa sapere che Polly è fort inferieure à son prèmier ouvrage .
Rivetb fa risalire il Querolus almeno al cominciamento del V secolo fondandosi sulla dedicatoria fatta a Rutilio. […] La prima di esse è divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, che è un generale di Costantino pagano, il quale va a combattere contro gli Sciti, n’è vinto, è ricondotto contro di essi da un angelo, vince, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte non regna più l’imperadore Costantino, ma Giuliano, da cui Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Esige dunque che Prassitele ne scelga una parte sola, cioè o il cuore, o il cinto, ciò che fa una situazione poco decente. […] Di più giunge un altro uomo e vede, che Zoe loriceve con tutti i segni di viva affezione, e lo fa occultare nel suo gabinetto all’arrivo di Dulinval, cui già la madre avea accordato di sposar Zoe. […] Zoe fa uscire Delancourt dal gabinetto, e palesa esser colui che dall’infanzia l’ha protetta, soccorsa e sollevata nelle sue disgrazie, e che essendo ora nell’estrema povertà, ella per sovvenirlo ha preso danaro da Furard lusingandolo.
.]: “L’Autore della storia de’ Teatri fa onorevole menzione di molti illustri Romani che abbellirono la scena .... ma non ricordò quanto splendore dovette a Cornelio Balbo”; dicendo ciò per le quattro colonne di onice che egli espose rel suo Teatro.
Francesco Bartoli dà invece la data del 1713, e fa morire la Balletti verso il 1730, mentre sappiamo essere morta a Parigi il 29 dicembre del 1771, ed essere stata sepolta il domani nella cripta della Cappella della Vergine nella Chiesa del San Salvatore.
Uscita di casa per darsi all’arte, dopo di aver fatto in famiglia la serva alla madre e alle sorelle, con un sentimento di guitteria della peggiore specie, s’accorse che, pur troppo, in teatro, è sempre l’abito che fa il monaco, specialmente nelle attrici, e specialmente al cospetto del capocomico.
Ond’ hebbe l’ or, che ti fa biondi i crini ?
Queste smancerie e turbolenze ispirarono allora a Paolo Costa dei versi di questa specie : Mal abbia l’istrion che con orrendo artificio sonar fa la parola che il latrato dei cani, il rugghio, il fremito dei rabidi leoni e delle strigi le querimonie imita…… Per la qual cosa il Domeniconi, dolente, si recò dal Costa e gli disse che sua non era la colpa, ma del pubblico : e che glie lo avrebbe provato il domani.
E non con gli occhi sol, ma ancor col fiato il ciel spaventa, ed ogni stella errante, e se contro gli vien nemico stuolo, lo fa col soffio gir per l’aria a volo.
Secondo il racconto che ne fa Lattanzio nel libro I, c. 20 delle sue Istituzioni Divine, questi giuochi Florali furono istituiti da una cortigiana chiamata Flora, la quale lasciò il popolo Romano erede de’ beni da lei guadagnati, assegnandone una parte per la celebrazione del suo giorno natalizio, e pe’ giuochi che dal suo nome doveano chiamarsi Florali. […] Così fa dire Ovidio alla stessa dea Flora nel V de’ Fasti: …… Consul cum Consule ludos Posthumio Laenas persoluere mihi.
Questi giuochi Florali, secondo il racconto che ne fa Lattanzio nel libro I, c. 20 delle Instituzioni Divine, furono istituiti da una cortigiana chiamata Flora, la quale lasciò il popolo Romano erede de’ beni da lei guadagnati, assegnandone una parte per la celebrazione del suo giorno natalizio, e per li giuochi che dal suo nome doveano chiamarsi Florali. […] Così fa dire Ovidio alla stessa dea Flora nel V de’ Fasti: . . . . . .
Capua stessa, anticamente chiamata Volturno, al dir di Livio, fu città Etruscac Lo stesso Istorico ci fa sapere che gli Etruschi possedettero la massima parte dell’Italia e colle colonie si sparsero ancora per le Alpi, e tennero il paese de’ Grisoni anticamente chiamato Rhaetia a Se si attenda al grado di coltura a’ cui pervenne, essa inventò e sece ne’ dilatati suoi dominii fiorir tante arti di commodo e di lusso.
Quando si corre al galoppo, e si vuol salutare una dama che s’incontra distesa nella sua calèche, non si fa, come vidi fare a lei, un semplice movimento col capo e col frustino, ma bisogna voltarsi con grazia verso di quella, portar la mano destra alla punta del cappello, velocemente alzarlo, velocemente rimetterlo, spronare di fianco, e là….
mo Il mio fiero destino mi riduce agl’estremi, mentre doppo una si lunga serie di disgrazie, e miserie, più fiero, et implacabile, che mai si fa conoscere.
Menestrier, quando fa conoscere le Jeu du Prince de Sots, et de la Mere-Sotte.
Cleopatra fu una delle sue tragedie, e nell’atto III l’autore, senza verun riguardo nè al decoro nè al costume, fa che questa regina alla presenza di Ottaviano prenda pe’ capelli un suo vassallo, e lo vada seguitando a calci per la scena, cosa che certamente non tradusse da veruna tragedia Italiana.
Il divino Euripide, che tirava al Teatro anche un Socrate, che da Quintiliano vien detto il Filosofo coturnato, che fa uno de’ più stimabili ornamenti delle più famose Biblioteche, dispiacque forse al Popolo, o fece anzi le delizie degli Ateniesi, e di tutti gli altri Greci? […] Ma del Signor Eximeno accennammo alcuna cosa nella Storia de’ Teatri, che non ci fa camminar sicuri ed a chiusi occhi su quanto egli asserisce. […] Ma la dimora in Italia gli avrà fatto dimenticare ciò che si fa in Ispagna.
Egli si dimostra in tal fatto così poco instruito, che fa sospettare di essergli stata da altri suggerita così secca e digiuna notizia; laonde ci astringe ad una nota non breve, e ad implorare per la di lei lunghezza il perdono de’ leggitori. […] Noi adunque che sappiamo quel che seppe il Lampillas, e quel che non seppe ancora (e cel perdonino i Lampigliani), gli facciamo avvertire che quì non si questiona se la Spagna col resto dell’Europa avesse avuto alcun codice di leggi, no; ma sì bene, se queste fossero state per più secoli in vigore, della qual cosa non si fa motto nel Saggio Apologetico. […] Si prosegue nel tit. 4 a sviluppar la materia e a prescriverne le leggi; e finalmente nel tit. 11 si fa lo stesso.
Non solo la cognizione richiedesi, e il possesso di quelle leggi ricavate dal consenso comune, e dalla esperienza, onde l’autore possa dettare intorno alle cose un ben fondato giudizio: non sol gli è d’uopo investigare il legame segreto, che corre tra il genio della nazione e la natura dello spettacolo, tra il genere di letteratura, che è il principal argomento dell’opera, e gli altri che gli tengono mano, ma indispensabile diviene per lui eziandio l’erudizione, quell’erudizione medesima, della quale l’uomo di genio fa così poco conto, e senza cui niuno storico edifizio può alzarsi. […] Questo dottissimo religioso, del quale è inutile fermarsi a tesser l’elogio, poiché meglio di me lo fa l’Italia tutta e l’Europa, fu il primiero, che mi confortò alla intrapresa, che rimosse da me ogni dubbiezza, che m’indicò le sorgenti, che mi fornì buon numero di libri rari, e di manoscritti, e che m’aprì ne’ suoi famigliari discorsi fonti d’erudizione vieppiù copiosi di quelli che ritrovassi negli autori.
[7] S’avverta innoltre al discorso che fa Ercole a Plutone; si rifletta al coro che nella Proserpina ringrazia gli dei per la sconfitta de’ giganti; si leggano i versi dove si fa per ordine di dio la creazione del mondo; si paragonino poi codesti squarci e molti di più che potrebbero in mezzo recarsi coll’ode sulla presa di Namur, dove Boeleau ha voluto far pompa di lirica grandiosità, indi si giudichi, se sia o no più facile il criticar un grand’uomo che l’uguagliarlo.
Egli è badiner l’avvenirsi ch’ella fa in Pastori tranquilli, liberi da appetiti e dall’ambizione, ma per altro i più serj del Mondo? […] Rapin nel dire, che niuna cosa fa la bellezza delle Tragedie, se non i ragionamenti appassionati.
È da osservarsi ancora l’effetto che fa in lei l’immagine del corpo di Edoardo grondante di sangue. […] Una delle opere assai applaudite in Berlino fu l’Ifigenia di cui fa menzione l’Algarotti.
Un carattere virtuoso ma intollerante, che si maraviglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo della politezza e senza necessità, si pregia di dire ad un cavaliere il quale ha la debolezza di voler esser poeta, che i suoi versi son cattivi: che in vece di compatire gli errori umani vuol perdere la rendita di quarantamila lire, per lasciare a’ posteri nel suo processo un testimonio di una sentenza ingiusta; un carattere, dico, siffatto, sebbene amabile e caro a i buoni per la virtù che ne fa il fondo, ha pure il suo ridicolo degno d’esser corretto, ed il genio di Moliere seppe seguirlo alla pesta e riprenderlo comicamente. […] Ma la filosofia di Moliere non fu quella che orgogliosa e vana sdegna di piegarsi al calore della passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di perdersi in esso per celare i suoi ordigni e le sue forze; non fu quella filosofia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’ austerità della sua dottrina.
È da osservarsi ancora l’effetto che fa in lei l’ immagine del corpo di Edoardo grondante di sangue. […] Una delle opere assai riuscite in Berlino fu l’Ifigenia di cui fa menzione l’Algarotti.
Si dee anche considerare, che l’intelletto dell’uomo non avendo se non se una misura fissa e molto stretta di quello che si può sapere, perde da una parte quanto acquistai dall’altra; e perciò dice assai bene il dottissimo conte Lorenzo Magalotti «che il capitale del sapere sia stato appresso a poco sempre l’istesso in tutti i tempi, e che la differenza sia consista nell’essersi in un secolo saputo più di una cosa in uno più di un’altra, come quel magazzino che oggi é pieno di spezierie, domani di tele, quell’altro di lana, e va discorrendo; ma di tutte quelle mercanzie non ve n’é mai più di quello che importano i corpi e il credito di quella casa di negozio, che lo tiene in affitto… Bisogna poi ricordarsi, che quello che noi sappiamo adesso, si sapeva tremil’anni fa, e ch’é della Filosofia, come delle mode, che non sono mode, perché comincino a usare adesso, ma perché é un pezzo che non erano usate».
Con ciò fa perdere di vista alla gioventù la vera fisonomia del teatro greco, ed occulta specialmente i lineamenti del periodo in cui fiorì la Commedia Antica, quando poeti e spettatori erano egualmente animati dello spirito geloso che dettava sì spesso l’ostracismo contro il merito e la virtù.
Albertino Mussato Padovano, nato nel 1261, e morto nel 1330, ci fa sapere che già nel 1300 scriveansi comunemente tra noi in versi volgari (cioè facili ad esser compresi da’ volgari, benchè latini) le imprese de’ re, e si cantavano ne’ teatria.
Mentre esse ballano, il brutto musico ripete questa parola con una vivacità continua, rinforzando per gradi la voce e stringendo il tempo del suono in maniera che egli palesa il proprio entusiasmo con visacci e strane convulsioni, e le ballerine muovonsi con una maravigliosa agilità, la quale accoppiata al desiderio di piacere e agli odori de’ quali tutte sono esse sparse e profumate, le fa grondare di sudore e rimanere dopo il ballo pressochè fuori di se.
Albertino Mussato Padovano, nato nel 1261 e morto nel 1330, ci fa sapere che già nel 1300 scriveansi comunemente tra noi in versi volgari (cioè facili ad esser compresi da’ volgari, benchè latini) le imprese de’ re, e si cantavano ne’ teatri27 (Nota VII).
Dopo il qual tempo ritornò in Italia, e precisamente a Mantova, come abbiamo da una lettera dell’Elettore al Duca ; a cui raccomanda nel lor ritorno la coppia D’Orsi, e da una nota che ci fa sapere come « i loro abiti da commedianti furono spediti a Mantova in 29 casse.
Se la rabbia, fa ch’io rebbi, ti do un rubbio di rebbiate, ma se busso prendo un bosso, e t’abbasso nell’ abisso a suon di basso e busse.
Alberghini), che da tre settimane si trovava già in Lione, ebbe ordine da Enrico di tornare a Torino a prendervi la Compagnia ; che si recò subito in fatti a Lione, come appare dal dispaccio dell’ambasciador di Venezia delli 8 di agosto, che ci fa sapere come andasse il Re quasi ogni giorno alle commedie degl’ italiani.
Il Colomberti (le notizie gli furon date da vecchi attori, alcuni de' quali compagni d’arte dello Zanarini, come Nicola Vedova, Federico Lombardi e Lorenzo Pani) ci fa sapere la tragica fine di Don Pietro, prete intransigente, e della povera madre.
Un carattere virtuoso ma intollerante, che si meraviglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo della politezza e senza necessità, si pregia di dire ad un cavaliere, il quale ha la debolezza di voler esser poeta, che i suoi versi sono cattivi: che in vece di compatire gli errori umani vuol perdere la rendita di quarantamila lire, per lasciare a’ posteri nel suo processo un testimonio di una sentenza ingiusta; un carattere, dico, siffatto, sebbene amabile e caro a’ buoni per la virtù che ne fa il fondo, ha pure il proprio ridicolo degno di esser corretto; ed il genio di Moliere seppe seguirlo alla pesta e riprenderlo comicamente. […] Ma la filosofia di Moliere non fu quella orgogliosa e vana che sdegna di piegarsi al calore della passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di perdersi in esso per celare i suoi ordigni e le sue forze; non fu quella filosofia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’austerità della sua dottrina.
Ma il Signor Lampillas mi fa una dimanda, a cui vò soddisfare, imitando “La gran bontà de’ Cavalieri antiqui.”
Nel tragittar che fa, per consiglio di un’ eremita, i viandanti da una sponda all’altra di un fiume, porta sopra le spalle un bambino, il cui peso crescendo a dismisura in mezzo all’acqua, si avvede della propria debolezza, e ne stupisce.
S. alla nostra compagnia, Brescia è bona e vi anderemo volentieri, Vicenza non fa per noi, essendoci noi stati tre anni in fila, et vi ci siamo morti di fame, tutta quando doppo Brescia non si potrà haver altra piazza ne procuraremo una noi medemi.
Egli si dimostra in tal fatto così poco istruito, che fa sospettare di essergli stata da altri sugerita così secca e digiuna notizia. […] Noi dunque che sappiamo quel che seppe il Lampillas, e quel che non seppe ancora (e cel perdonino i Lampigliani) gli facciamo avvertire che quì non si questiona se la Spagna col resto dell’Europa avesse avuto alcun codice di leggi, no; ma sì bene, se queste fossero state per più secoli in vigore, della qual cosa non si fa motto dall’esgesuita Lampillas net Saggio Apologetico. […] XI si fa lo stesso.
Interrogate un amante, addimandate ad un poeta, perché raminghi e soli inoltrandosi fra le più cupe foreste, e fra deserti inerpicati dirupi sfuggano l’uman commercio mesti in apparenza e pensosi: e’ vi risponderanno che ciò si fa da loro per poter liberamente badare agli amabili deliri della propria immaginazione, a quei soavi e cari prestigi, a quelle illusioni dolcissime, che gli ricompensano dalle torture della verità trista spesse fiate e dolorosa. […] E non potendo rinvenire per mancanza di quella intellettuale attività che fa vedere la concatenazione delle cause coi loro effetti, le occulte fisiche forze, che facevano scorrere quel fiume, vegetar quella piantale mover quel sole, trovarono più facile inventar certi agenti invisibili, a’ quali la cura commettessero di produrre simili effetti.
Mentre esse ballano, il brutto musico ripete questa parola con una vivacità continua rinsorzando per gradi la voce e stringendo il tempo del suono in maniera che egli palesa il proprio entusiasmo con visacci e strane convulsioni, e le ballerine muovonsi con una maravigliosa agilità, la quale accoppiata al desiderio di piacere e agli odori de’ quali tutte sono esse sparse e profumate, le fa grondare di sudore e rimanere dopo il ballo pressochè fuori di se.
Tacito fa menzione della colonia de’ Veterani di Camaloduno, dove era un tempio dell’imperador Claudio, e un teatro, il quale, fra gli altri prodigii osservati nella rìbellione de’ Trinobanti governando Paulino Suetonio i Brittanni, s’intese risonare di gemiti ed urlamentia.
Sin dal principio dell’atto II desta curiosità il ben colorito amor fanciullesco di costei e del suo Tirsi in Tracia, e nel racconto che se ne fa, niun belletto, niuna arditezza di figure si scorge, ma bensì una verità di espressione che diletta e invita a leggere.
Sin dal principio dell’ atto II desta curiosità il ben colorito amor fanciullesco di costei e del suo Tirsi in Tracia; e nel racconto che se ne fa niun belletto nè arditezza si scorge, ma sì bene una verità d’espressione che diletta e invita a leggere.
Il Conte di Calepio, parlando del decoro, osserva in questa tragedia dell’ Ercole Eteo, che con giudizio vien mitigato da Seneca il discorso che secondo Sofocle fa al figliuolo per obbligarlo ad esser parricida e divenire consorte della concubina paterna.
Partendomi da Vercelli mia patria l’anno 1596, mi accompagnai con un mont’inbanco sopranominato il Monferino, e passando per Augusta, o sia Aosta, città del Serenissimo di Savoja, questo Monferino chiese licenza di montar in banco al Superiore ; ma perchè non era in uso il montar in banco in quei paesi, il Superiore non sapea come deliberarne : però quello mandò da un Superiore spirituale, il qual negò la licenza collericamente, dicendo che non voleva ammettere le Negromanzie in quei paesi : il Monferino stupefatto, gli disse (come era vero) che non sapeva manco leggere, non che saper di Negromanzia : il Superiore gl’impose che non altercasse con parole ; che egli ben sapeva come si fa, e che in Italia aveva veduto ciarlatani prender una picciola pallotta in una mano, e farla passar dall’altra ; che un picciolo piombo entra da un occhio, e per l’altro salga, tener il fuoco involto nella stoppa buona pezza in bocca, e farlo uscir in tante faville, passarsi con un coltello un braccio, e sanarsi per incantesimi subito, ed altre cose del Demonio ; e non voleva che il Monferino parlasse, e da sè scacciollo, minacciandolo di carcere.
Per la triste costituzione delle nostre compagnie, se non fosse più tosto per una triste consuetudine, che fa dell’artista un cavallo da tiro e da sella, ella dovette dalle patetiche paure, se così posso dire, della fanciulla goldoniana, balzare aspramente nelle passionalità brutali della donna isterica, nevroastenica, sensuale, ribelle, audace : oggi Pamela, domani Fedora ; una sera Cesarina, un’altra Giulietta ; ora Dionisia, ora Margot.
Pochi anni fa questa scimmia viveva nei boschi, mangiava radici e carne cruda, era una bestia : in poco tempo un uomo ha fatto di lei una gentile ed educata signorina.
Tacito fa menzione della colonia de’ veterani di Camaloduno, dove era un tempio dell’ imperador Claudio, e un teatro, il quale, fra gli altri prodigii osservati nella ribellione de’ Trinobanti governando Paulino Suetonio i Britanni, s’intese risonare di gemiti ed urlamenti163. […] La prima di esse è divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, che è un pagano generale di Costantino, il quale va a combattere contro gli Sciti, n’è vinto, è ricondotto contro di essi da un angelo, vince, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte l’imperadore non è più Costantino, ma Giuliano, da cui Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Fanno dipoi i più belli effetti e un gioco grandissimo all’occhio le scene vedute per angolo, che con gran discrezione di giudizio conviene per altro mettere in pratica, e in quelle vedute di faccia i punti accidentali che vi fa nascere il movimento vario della pianta su cui si alzano.
Il Lampillas che trionfandone fa ciò osservare, può addurre qualche pruova di non essere stato il Cabotto impiegato a cagione d’insufficienza e d’imperizia nella nautica?
Nell’accumular fatti come si fa nelle commedie romanzesche? […] Espero vi fa il prologo, e v’intervengono i personaggi allegorici la Notte, la Religione, la Gloria ec.. […] Passando da un tuono all’altro fa talvolta sentire le divisioni de’ generi enarmonico e cromatico con tal destrezza e leggiadria che incanta tutti”91.
Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro che abiti contratti per opinioni vere o false, nostre o straniere, a purificare i costumi bisogna raddrizzare le opinionia.
Nel V si veggono benchè in iscorcio i vaneggiamenti de’ due amanti, la sorpresa di Rinaldo al raffigurare nello scudo incantato la propria mollezza, la deliberazione che egli fa di partire, l’arrivo e gli sforzi di Armida per trattenerlo, il di lei svenimento, la partenza de’ guerrieri, i pianti e la disperazione della maga.
L'analisi ch'egli fa in un suo studio della tragedia shakspeariana, è minuta e acuta, e dà prove non dubbie dell’amore e della tenacia con cui s’era venuto facendo il suo personaggio, carne della sua carne, anima dell’anima sua.
Il che ci fa conoscere già introdotto il costume, che durò poi per più secoli, che a simili feste concorrevano in folla tutti i buffoni, giocolieri, cantambanchi, e simili che portavano via de’ grossi regali”.
. – Mi fa da ridere quando parla dei Faigny e dei Doligny, e altri francesi : quei poveri infelici, dopo d’aver divertito il colto pubblico italiano, han dovuto far delle collette per tornare in Francia ; e qui si son mangiati gli abiti, i bijoux, le camicie, e fin le unghie.
Dunque relativa : ma allora tanto è verità quella d’oggi, quanto fu quella d’jeri e dell’altr'jeri, e magari di tre secoli fa a' bei tempi degl’incomparabili Gelosi, i quali apparivan veri allora oltre il confine, e a' quali, probabilmente, i giovani tirerebber oggi con poca riverenza le panche.
Il severo e religioso contegno del papa Innocenzo XI trattenne in seguito per qualche tempo il corso a siffatti divertimenti, ma dopo la sua morte incominciò di nuovo la corte ad assaporarli, dando a ciò occasione il concorso di tanti stranieri e la magnificenza di tante famiglie principesche, le quali si pareggiavano coi sovrani nella sontuosità e nelle ricchezze. né troppo era strano il vedere i cardinali stessi impegnati nell’accrescer lustro e splendore a’ teatrali spettacoli; tra essi basti annoverare il cardinal Deti, il quale in compagnia di Giuglio Strozzi istituì l’anno 1608 nel proprio palazzo l’Accademia degli Ordinati, destinata a promuovere le cose poeti che e le musicali, come anche un altro porporato illustre scrisse, e fece rappresentar l’Adonia, melodramma di cui Giammario Crescimbeni fa ne’ suoi Commentari un magnifico elogio, ma che debbe riporsi tra i molti insensati panegirici, che il bisogno o la voglia di farsi proteggere detta non poche fiate a quelli scrittori che fanno della letteratura un incenso onde profumare gl’idoli più indegni di culto.
Sebastiano Rinaldi, e nelle opere inedite di Giacomo Fella e di Pietro Polidoro se ne fa menzione; aggiungendo che anche nel secolo XVI n’esistevano varii rottami.
Ma lo spirito indagatore irrequieto che lo predomina, scorrendo rapido e curioso per tanti oggetti sensibili che lo circondano, fa germogliare in lui con incredibile fecondità nuovi desiderj, gli presenta nuovi bisogni da soddisfare, e gliene addita le guise.
Vincenzo) codesta profonda erudizione tutta chamberga, cioè che cade da tutti i lati, che cosa mai fa al caso nostro?
[2.8] La prima cosa è piena veramente di pericolo, se uno guardi al buon effetto della melodia che, stando anch’essa nel mezzo, tiene maggiormente della virtù; e nella musica si vuol fare quell’uso degli acuti che si fa dei lumi ardenti nella pittura.
Passando da un tono all’altro fa talvolta sentire le divisioni de’ generi enarmonico e cromatico con tal destrezza e leggiadria che incanta tutti ”a.
VII, c. 5 fa menzione dell’antico pittore teatrale Apatario, il quale dipinse acconciamente la scena nel teatro di Tralles.
Per la chiesa ha pubblicato a Venezia circa trenta anni fa i primi cinquanta salmi messi in musica.
Ma ecco su di ciò come ragiona l’erudito Autore della Lettera, che ci risparmia il travaglio di far quì delle riflessioni: “Quello che più mi fa stordire è l’ammasso di supposizioni aeree, dalle quali si deducono asserzioni positive.