Ecco per quel che concerne la maschera del Dottore le parole di Pier Maria Cecchini, il famoso Fritellino : La parte del Dottor Gratiano tanto grato à chi l’ascolta (quando vien fatta da chi l’intende) vien hoggi dal poco conoscimento d’alcuni adulterata in guisa, che non gli vien lasciato altro, che ’l semplice nome. Ditemi, e chi è quello il quale possa trattare senza sdegno, con uno, che essendo tu Pantalone ti dica. […] Vn’altra spetie Gratianatoria si è ritrouata, ed è che pensando questa di correggere l’vso del parlar rouerscio, si è posta à dir latini, & sentenze, con tirate, & ponga di memoria in guisa, che non lasciando mai parlare chi seco tratta, confonde, & snerva il filo della Fauola, & la mente di chi ascolta, che non riman campo per intendere, & molto meno per capire l’orditura de’ negotij ; e chi è poi colui, che voglia far credere agli Scolari di questa Scuola, che faccino, & dichino male, se ogni giorno cento beuanti gli fanno fede, che sono i primi huomini del Mondo ? […] Questo personaggio malamente descritto dalla mia penna, vorrebb’esser maneggiato da chi hauesse pensiero di accender un gran doppiere al picciol lume di questa fiaccola da me solo allumata per iscorta, & non permeta, poich’io mi rendo sicuro, che il fine di colui, che vorrà far da Gratiano, sarà di voler far a suo modo. […] Come è probabile che un commediante fosse preposto a giostre e tornei, così è anche probabile che si desse in quel tempo il nome di Roscio a chi si mostrasse espertissimo di cose teatrali in genere, quali la musica, le giostre, i tornei, la declamazione, il canto….
Ed ecco ciò che per le mie stampe produco alla luce, implorando dalla garbatezza di chi ama le fatighe felici del sig. Napoli-Signorelli, di sapermi buon grado di simile cura, per cui chi possiede la Storia de’ Teatri impressa in Napoli, se ne assicura il compimento senza bisogno di comprare anche quella di Venezia, quando pur quivi si pensasse a conchiuderla approfittandosi di queste Addizioni.
Chi la vide rappresentare L'Alexina, La Fiera, La Lusinghiera, e La Vedova in solitudine del Nota ; La Sposa sagace, le due Pamele, Gl’Innamorati, le tre Zelinde del Goldoni ; La bella Fattora, traduzione del conte Piosasco ; le due Chiare di Rosenberg, La figlia della terra d’esilio, L'Orfanello suissera, drammi scritti a posta per lei dal fratello Luigi, non potè a meno di riconoscere e di applaudire in lei quei tratti di grande attrice, che caratterizzano il vero genio. […] E Francesco Righetti nel suo Teatro italiano, dopo di avere accennato alle invidie suscitate da lei nelle compagne d’arte, e di avere enumerati alcuni difetti di gesto e d’intonazione dovuti a mancanza di scuola, viene a concludere così : Ma io sfido tutti i delicati conoscitori dell’arte comica a dirmi in chi, dove, e quando si è veduto nella commedia italiana una donna, che con tanta grazia, con tanta decenza, e con tanta nobiltà passeggi la scena ? […] Chi sa comporre quello sguardo, accomodar quel labbro, emettere quel suono di voce in una scena d’ironia al pari di lei ? […] E qui fa un’analisi minuziosa e interessante dell’interpretazione, in cui la Carlotta si mostrò più che in altre artista di genio ; alla quale fa seguir quella della Mirra, che ne fu la creazione più maravigliosa, approdando alle stesse conclusioni, e terminando poi con queste parole : « la nostra Marchionni ha dei difetti : e chi non ne ha ? […] Illustre donna, chi non t’ammira ?
Chi fosse la Lucinda non so dir con certezza. […] Chi si nascondesse sotto questo importantissimo personaggio non ho potuto trovar finora.
Vi è chi attribuisce ad Epigene di Sicione il pensamento d’interporvi altri racconti chiamati Episodii per rendere la festa più varia, o per dar tempo a’ saltatori e cantori di prender fiatoa I primi cori contenevano le sole lodi di Bacco, e gli episodii parlavano di tutt’altro. […] Chi adunque arzigogolando sdegna di riconoscere da tali principii la tragedia e la commedia Greca, non vuol far altro che dare un’ aria di novità e di apparente importanza ai proprii scritti, e formar la storia della propria fantasia più che del l’arte. Solevano i riferiti cori ed inni nominarsi indistintamente tragedia e commedia, e chi ne scrisse ebbe il nome talvolta di tragico, talvolta di comico poeta. […] In una tragedia pose alcuni versi cosi pieni di robustezza, di energia e di arte militare, e gli rappresentò con tanto brio che scosse gli spettatori di un modo che nel medesimo teatro fu creato capitano; giudicando assennatamente gli Ateniesi che chi sapeva tanto solidamente favellare delle operazioni belliche, era ben degno di comandare elle squadre per vantaggio della patriaa.
Chi aveva da fare la serva ? […] Però se la Catrolli non poteva far Zelinda, a chi si sarebbe potuto affidarla ?
Ora cotal alienazione, o agitazione, o come vogliamo chiamarla, o ha per oggetto le cose che interessano vivamente il cuore, e allora lo stile di chi canta sarà appassionata, ovvero ha per iscopo quelle che colpiscono l’immaginazione, e in tal caso chi canta userà del linguaggio immaginativo, o pittoresco, il quale in sostanza non è altro che il lirico. […] Il canto è dunque il linguaggio della illusione, e chi canta inganna se stesso, e chi ascolta eziandio, facendogli parere d’esser divenuto maggior degli altri, e quasi divinizzatosi. […] non gli dite mai Chi fosse il genitor. […] Chi fu più gran poeta di Quinaut? Chi più di lui tra i Francesi è ricco d’armonia, di numero, di colorito, di genio, d’immagini, insomma di vera poesia?
Chi ha mai saputa concepire, chi l’ha mai neanche sognata, l’aurea, serena, magistrale naturalezza del nostro povero Toselli ? Chi può ricordar senza rimpianto le sue incomparabili creazioni del Pover paroco, del Tonio in Gigin a bala nen, del Medeo in Sablin a bala, del Travet, del Ciochè del vilage, del Papà grand, e di tante altre sue glorie imperiture ?
Pur della Senna e del Tamigi in riva Ricchezze e onori si profondon’anco A chi fa bella del natio suo riso La classica Commedia,16 e a chi l’accento Che immortale segnò tragica penna Fa possente suonar ;17 nè meno in folla A Riccardi, a Zaire, a Polïutti Che a Silfidi e ad Orfei traggon le genti ; Ove d’Italia in le città più vaste Ad armoniche gole e a piè danzanti Si posposero ognor Mirre e Medee E Saulli ed Oresti ; e scema spesso, Benchè a men costo aperta e men capace, Vider l’arena lor Vestri e Taddei. […] 18 Da l’arte intanto, a cui compagna andava La dispregiata povertà, fuggia Chi, l’anima temprata a bel sentire, Onorar la poteva ; e fior tra bronchi Si rimase l’egregio. […] Quindi una strana E di voci e di modi e fin di fogge Discordanza letale ; e scolorito D’ogni grazia natia l’altisonante Mal infinto colloquio ; e de’gagliardi Moti de l’alma interpetre il clamore, Il vulgo concitar, che più sonanti A chi gridar più sa batte le palme.
Venga il canchero a questa professione e a chi ne fu lo inventore ! […] Chi è la ? […] Chi scornò il superbo Acheloo, chi fra le proprie braccia fece crepar quel gigantonaccio di Anteo, e chi finalmente diè fine al resto di quelle dodici famosissime imprese, delle quali son piene l’istorie e le favole ? […] Chi t’imagini tu che sia stato quell’altro, che domò gl’infuocati Tori di Colco ? […] » Chi dovrebbe andare all’ ospedale ?
Sonetti, ed epigrafi e articoli di ogni specie s’ebbe dovunque ; e non sarà discaro a'lettori ch'io trascriva qui un epodo, offertole a Ravenna il 7 febbraio del 1877, mentre dilettava quel pubblico del Teatro Alighieri : epodo, il quale, se bene anonimo, sembra a me si levi, con altre poche, dalla schiera infinita di quelle poesie volgari di circostanza che sono la vergogna di chi le scrive e di chi le riceve.
Chi nol ricorda nel Pugno incognito e nella Bolla di Sapone di Vittorio Bersezio ? […] Chi può ripensar quei famosi or ora glie lo dico, senza riderne ?
E per chi non le intendeva, per chi non sapeva darsi alla patria collo slancio giovanile di vent’anni come seppe il Modena, e non sapeva rassegnarsi, quali avversità, quali stenti, qual vita !
Il Cavalieri nell’introvato libretto della Scena illustrata, dice di lui : E chi non vede la balordagine di Trappolino tanto ingegnosa, quanto piacevole, sconcertar l’orditura de’più serj negozi ? Onde il riso, e la facezia gareggiano tra loro a chi prima toccasse l’impossessarsi degli uomini ; e da questa gradita controversia nasceva il contento.
Ma a chi reca piacere, a chi dolore ; ed io il provai finora acerbo, e fiero : se per serbarne il suo dominio intero, di due morti sugl’occhi ebbi l’onore.
Come avrebbe potuto scrivere tali parole chi avesse letto il II. […] Chi di Voi due è un Proteo? […] Ma gl’instruiti sanno che il mio racconto è verace, e autenticato dalle prove, da’ passi degli Autori, e dagli Scritti stessi de’ riferiti Drammatici (che quì non si tratta di Drammi immaginarj come quelli del Vasco Dias, nè delle Mille Tragedie del Malara conservate nella Biblioteca della Luna); e i mal instruiti aveano bisogno di chi glielo dicesse. […] Io dunque diressi quelle notizie ad instruirne chi non le sapeva; e se Voi con questi altri gl’ignoravate, rimanete incluso nella lista de’ poco instruiti, che se poi ad arte fingete di esserlo tradite l’onestà.
Il buon Prelato ascoltò le ragioni de'Comici : non mancauano li dua di portar Testi contro le Comedie, e non voleuano, che i Comici altercassero ragioni ; quasi volendo che l’autorità dell’habito potesse far autentica legge alle loro opinioni : ma l’amoreuole Superiore diceua, lasciateli dire, il douere è, ch'ogn’ vno dica la sua ragione ; ma perchè la cosa andaua in lungo, si trasportò il ragionarne all’altro giorno ; e così il giorno seguente all’hora deputata comparuero i Comici con l’autorità segnata ne' libri, e così fecero gl’altri che si trouarono inuitati, chi da vna parte, e chi dall’altra, oue che si contrastò vn pezzo, in vltimo il benedetto Cardinale decretò, che si potesse recitar Comedie nella sua diocesi, osseruando però il modo che scriue San Tomaso d’Aquino ; et impose à Comici che mostrassero i Scenarij delle loro comedie giorno per giorno al suo foro, e così ne furono dal detto Santo, e dal suo Reuerendissimo Signor Vicario molti sottoscritti, ma in breue i molti affari di quell’ Vffizio, fece tralasciar l’ordine, giurando i Comici, che non sarebbero stati gli altri suggetti meno honesti dei riueduti : il Braga (così chiamano il Pantalone di quella Compagnia) et il Pedrolino haueuano ancora (e non è molto) di quei suggetti, ò siano Scenarij di Comedie sottoscritti, e quelli segnati da San Carlo, si tengono custoditi, e nella Compagnia, oue hora sono vi è chi ne ha due, e li tiene à casa per non li smarrire. Il Decreto è nell’Arciuescouato di Milano, chi hauesse curiosità di vederlo, fu fatto tre anni in circa auanti la morte del Glorioso Santo, e presto si potrà trouare.
Chi non sa quanto antica sia questa barbarie, ed in quanti paesi per diversi fini tutti abjetti e vili adoperata? […] Chi ignora poi quanto poco fossero gli eunuchi favoriti da’ legislatori? Soggiaceva alla pena della legge Cornelia chi avesse castrato un uomo b. […] Adriano con un suo rescritto condannò alla morte chi si lasciasse castrare, chi l’ordinasse, ed il norcino che l’eseguisse. […] Ma una filza inutile di nomi di scrittori di opere in musica di tal secolo sarebbe una narrazione ugualmente nojosa per chi la legge e per chi la scrive.
Ed a chi debbonsi in primi tentativi per la riforma del teatro alemanno? […] Venue poscia chi ne propose un terzo. […] Tristarello , ella risponde, chi vi permette questa libertà? […] chi ti consolerà? […] Egli vedeva ugualmente gli errori tanto di chi contento della regolarità de’ Francesi non sentiva il gelo e la languidezza di una servile imitazione, quanto di chi trasportato dall’entusiasmo di Shakespear senza possederne l’ingegno, ne contraffaceva piuttosto le mostruosità che le bellezze, il patetico, il sublime.
E a chi debbonsi i primi tentativi per la riforma del teatro Alemanno? […] Venne poi chi ne propose un terzo. […] Tristarello, ella risponde, chi vi permette questa libertà? […] Egli dice, Mirtillo infelice, chi ti consolerà? […] Egli vedeva ugualmente gli errori tanto di chi contento della regolarità de’ Francesi non sentiva il gelo e la languidezza di una servile imitazione, quanto di chi trasportato dall’entusiasmo di Shakespear senza possederne l’ingegno, ne contraffaceva piuttosto le mostruosità che le bellezze, il patetico, il sublime.
Già saprete che i miei primi passi io spesi nel Foro Napoletano; ora io ne ritrassi non solo certo fuoco non isconvenevole nell’atto della disputa, ma dopo di essa certa nobile serena giovialità verso l’avversario, che fa quivi distinguere la persona costumata da chi non è tale. […] E guai a chi ne scarseggiasse! […] Chi semina ironie, ne raccoglie: la sferzata produce sferzate. […] Una volta misteriosa si rinchiuse co’ Sacerdoti dell’Egitto: vaga di sapere, e di vedere navigò talora co’Fenici: errò fin anco per le nevose rupi del Caucaso: passeggiò gran tempo sotto i Portici di Atene: svolazzò su i cimieri degli Scipioni, e de’ Cesari: non si atterrì al feroce aspetto de’ Goti: oggi si delizia nell’amena Italia, ride sulla dilettosa Senna, milita nella potente Spagna, scherza lungo il Tamigi, volteggia sul Baltico; e chi sa che un dì non s’innamori di un Turbante? […] Non posso del pari assicurare, che in appresso niuno vi sarà ancora, Spagnuolo o Italiano, che le chiami spettacolo teatrale; perchè chi può indovinare tutti gli umani capricci, o gl’impulsi di un ignobile interesse!
Fu Eschilo che oscurando i predecessori Epigene e Tespi e Frinico, divenne il padre della tragedia, ed additò il sentiero a chi dovea su di lui stesso elevarsi. […] La poesia di Aristofane da non paragonarsi punto con chi maneggiò un’ altra specie di commediaa, e degna degli applausi di una libera fiorente democrazia appunto perchè osò intrepidamente d’innoltrarsi nel politico gabinetto, e convertir la scena comica in consiglio di stato, nulla ha di rassomigliante nè alla Nuova de’ Latini nè alla moderna commedia. […] E chi poteva dopo di lui calzar degnamente il greco borzacchino?
Chi non ricorda, per esempio, l’abate del Nessuno va al Campo di Paolo Ferrari ? […] E, tra' monologhi, chi meglio di lui, o come lui, direbbe il punto interrogativo di Salsilli ? Nè v' ha chi abbia maggiore il culto dell’arte : a volte parrebbe mutarsi in esagerazione o in posa, se non si conoscesse pienamente la sua buona fede.
Or si può senza biasimo da chi vuol ragionar di teatro negligentare la notizia di queste produzioni non ignobili, delle quali gli autori o tributo molto scarso pagarono al mal gusto che giva infettando l’eloquenza, o pur felicemente se ne guardarono? […] Noi più cose ne accennammo nella nostra opera appartenente alle Siciliea; e quì ci arresteremo anche un poco su di esse forse non inutilmente non solo per la gioventù, ma ancora per chi non leggendo osa ragionare, e per chi solo sa ripetere come oriuolo i giudizii portati dagli esteri su i nostri scrittori, favellandone iniquamente per tradizione. […] Direi ancora che il viluppo più acconcio ad appagar chi ascolta, altro non sia che una giudiziosa progressione di un’azione solo per la via del maraviglioso condotta al suo fine a. […] A tutte queste chi negherà il pregio della regolarità? Chi oserà dare il titolo in tutti i sensi sconvenevole di pasticci drammatici, che solo appartiensi agl’Inglesi, agli Spagnuoli ed agli Alemanni, ed anche a’ Francesi prima di Corneille e Moliere?
Le vide egli, se ne approfittò, e più oltre spingendo lo sguardo esaminò con maggior diligenza la natura, la quale essendo solita per lo più di corrispondere con una spezie di gratitudine a chi la contempla, si compiacque di premiarne le cure con manifestargli una parte de’ suoi misteri, e con alzare, per così dire, alcun poco quel velo di cui si ammanta. […] Or perchè questa spinta industriosa è comune a tutti gli uomini, e la natura da per tutto risponde a colui che ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che pochissime sono le arti che da un primo popolo inventore passarono ad altri, ed al l’incontro moltissime quelle che la sola natura, madre e maestra universale, va communicando a’ varii abitatori della terra. […] A chi attribuiremo la prima invenzione del l’arte drammatica? […] Per natura la trovarono i Greci, e da veruno non ne presero l’esempio, siccome è chiaro a chi passo passo la vada seguitando dall’informe suo nascere per tutti i gradi de’ suoi avanzamenti.
Le vide egli, se ne approfittò, e più oltre spingendo lo sguardo esaminò con maggior diligenza la natura, la quale essendo solita per lo più di corrispondere con una specie di gratitudine a chi la contempla, si compiacque di premiarne le cure con manifestargli una parte de’ suoi misteri, e con alzare, per così dire, alcun poco quel velo di cui si ammanta. […] Or perchè quella spinta industriosa è comune a tutti gli uomini e la natura da per tutto risponde a colui che ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che pochissime sono le arti che da un primo popolo inventore passarono ad altri, ed all’incontro moltissime quelle che la sola natura madre e maestra universale va comunicando a’ varj abitatori dell a terra. […] A chi attribuiremo la prima invenzione dell’arte drammatica? […] Per natura la trovarono i Greci, e da veruno non ne presero l’esempio, siccome è chiaro a chi passo passo la vada seguitando dall’informe suo nascere per tutti i gradi de’ suoi avanzamenti.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore, Metastasio nel Temistocle.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore, Metastasio nel Temistocle.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore, Metastasio nel Temistocle.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore, Metastasio nel Temistocle.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore, Metastasio nel Temistocle.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore, Metastasio nel Temistocle.
[Epigrafe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor che muore, Metastasio nel Temistocle.
Chi l’ha vista nel Bicchier d’acqua e nella Madamigella di Belle Isle, non dimenticherà al certo quel superbo sorriso, quell’altero portamento di capo, quell’eleganza aristocratica che traspariva da ogni suo moto, da ogni più lieve girar d’occhi. […] Perchè talvolta chi ti siede accanto chinar ti mira tra le palme il viso, poi sollevarlo con un tal sorriso che men duro sarebbe un mar di pianto ? […] Eppur…. chi lieta non dovria chiamarti ? […] Pensar tu dèi che di chi fece il torto è più caro al Signor chi lo sostenne. […] Ella invero si rende molto simpatica a chi la conosce perchè sparge abitualmente di un velo di melanconia i suoi discorsi, e perchè rapisce all’arte quelle egregie e fidate consolazioni che forse non le saprebbe dare la vita.
Icilio Polese nell’Arte drammatica del 18 gennajo '73 narrava di lui il seguente aneddoto : « Sandro rappresentava non so dove, nè quando, nè con chi Filippo di Alfieri. […] Chi mi suggerisce ora le parole e le imagini per dare non già un ritratto al vero, ma una pallidissima idea di questa gigantesca figura di Giove tonante ? […] Chi ricorda il non è vero di Giosuè il Guardacoste ? […] E il Chi mi trattien di Orosmane ? […] Chi è Salvini ?
Nel famoso prologo : Anton, chi chiama ? […] » Con tuttociò, pare che il Barlachia, citato sempre ad esempio come recitatore, non fosse, come tutti i suoi colleghi di scena un’arca di scienza : e nel Consiglio villanesco del Desioso (Siena, 1583) il dialogo comincia col chiedere scusa, per essere l’autore rappresentante, non letterato : « Chi fa l’arte che fece il Barlacchia non può come gli sdotti arrampicare. » A pagina 432 delle rime del Lasca curate dal Verzone (Firenze, Sansoni, 1882) abbiamo le due seguenti ottave : IN NOME DI CECCO BIGI STRIONE Alto, invitto Signor, se voi bramate ch’il Bigio viva allegro, e lieto moja, la grazia, che v’ha chiesto, omai gli fate, per ch’egli esca d’affanni e d’ogni noja ; ei ve ne prega, se vi ricordate delle commedie, ove contento e gioja vi dette già, e spera a tempo e loco farvi vedere ancor cose di fuoco.
Egli in somma é sì vario e sì vasto, che non fa un tutto se non all’occhio fino della storia che lo contempla tranquillamente, dall’alto d’una collina; e quei viaggiatori e criticastri di corta vista, scempi o impazienti, i quali si sono occupati sol di una parte di esso, e dalle loro scarse osservazioni han di poi tratto vanamente certi aforismi generali, che tengon per principio incontrastabili, in ogni tempo faranno pietà a chi ragiona. […] Ma v’é chi per riuscirvi si vale di troppe ipotesi, mostrando in un sol luogo differenti parti del mondo e in due ore di rappresentazione il corso di molti lustri, come si suol fare in Madrid e in Londra; e chi all’opposito se ne permette pochissime, come si usava anticamente in Atene e Roma, e oggi usasi in Italia e Francia.
La sua voce metallica, estesa, capace delle melodie più soavi e più aspre e forti, afferra l’anima di chi ascolta. […] Avrei dovuto aggiungere : inevitabili in chi si abbandona con tutte le esuberanti doti dell’anima sua d’artista, senza lasciar tempo nè modo alla mente d’infrenarla e guidarla con lo studio paziente, profondo dell’analisi psicologica in ogni minima parte : a quell’abbandono di anima si accoppia naturalmente, nell’improvvisazione, quell’abbandono di persona che non può tenere l’artista inconsapevole dal mostrare alcuna volta quelle siffatte scorrettezze. […] La parte è varia, complessa, multicolore come l’arte di chi la interpreta ; la parte non limita il vigore artistico dell’attrice, lascia che questa domini con tutta la sua originalità, con tutta la sua valentia.
… Chi volesse chiamarla con nome antonomastico, dovrebbe dire : La grande lottatrice ! […] chi ricorda, chi ricorda i tre gridi famosi del Suicidio di Paolo Ferrari, e il famoso Vedova di Donna o Angelo di Teresa Sormanni, senza fremere !
Tuttavia nessuno, come il Novelli, anche tra italiani, dalle altissime cime della tragedia potè scendere alle più basse della pochade, passando pel dramma moderno in tutte le sue svariatissime forme esprimenti le più calde passioni, e destando le più disparate commozioni in chi lo vede e ascolta. […] Chi non ricorda, per esempio, il Marecat de' Nostri intimi con quella enorme pancia, con quella faccia rosea, ridente, piena, fatta di bambagia, nè già grottesca come quella di un siur Cámola, ma ritraente un de'più belli e simpatici tipi di grasso borghese ? E chi nel Vouillard del Rabagas, una indovinata e non voluta caricatura carducciana, avrebbe riconosciuto a prima vista il Novelli ? […] Lottò con una pertinacia degna di chi ha la coscienza della propria forza, e vinse : chi gli rispose fu il pubblico….
Tutti proponevano chi una cosa chi l’altra. […] Sarà vero che molto in sua vita egli abbia guadagnato e molto speso : ma è vero non meno che l’arte comica in Italia non arricchisce nemmeno chi l’esercita colla più grande fortuna. […] Spera chi tien fra Lusitani il loco, Per vendicar le bestemmiate stelle, Se sfuggirete il mar, di darvi al fuoco. […] Visto poi che recitata da altri la Commedia non sortiva il medesimo successo, s’indusse a scriverla tutta, « non già, — aggiunge con gentile riserbo, — per obbligar quelli che sosterranno il carattere di Truffaldino a dir per l’appunto le parole sue quando di meglio ne sappian dire, ma per dichiarare la sua intenzione, e per una strada assai dritta condurli al fine. » E conchiude pregando chi reciterà quella parte, di volere in caso di aggiunte astenersi « dalle parole sconcie, da'lazzi sporchi…. » E qui forse intende di muover velatamente rimprovero al Sacco stesso, che in materia di sconcezze su la scena pare non avesse troppi scrupoli. […] Chi sa !
Chi è costei ? […] chi nol fece ? […] E da chi mai venne ? […] Chi sei ? […] Chi sa !
Chi oggi non fremerebbe alle parole di Elettra che incoragisce Oreste a ferise, a replicare i colpi, παισον διπλῆν? […] … É chi sarà quegli che avendo fior di senno, messe tutte insieme le opere di Jone, al solo dramma del l’Edipo ardisca contrapporle? […] Ma per non infastidire chi legge, accenniamo soltanto la memorabile patetica supplica di Priamo ad Achille nel 24 del l’Iliade per ricuperare e seppellire il corpo del lacerato Ettore. […] Io sventurato io nacqui Da chi l’esserne nato Ora è mia colpa. In detestabil nodo Con chi men lice il talamo io divisit Chi men dovea io scellerato uscisi.?
Chi sarà mai? […] Chi sei tu? […] Ma tu chi sei tu? […] E tu chi sei? […] chi costruir navi?
Chi si nascondesse il 1496 sotto questo nome di maschera non si sa.
Saverio, chi vi ha prestate queste parole, chi vi ha dato ad intendere generalmente siffatte cose della Drammatica del Cinquecento, non ebbe presenti i Fatti. […] Or chi si offende con osservar questo fatto? […] E a chi le avrebbero rappresentate? […] Chi si delizia nell’Arlecchino, come voi sognate, studia siffatti Drammi? […] E chi la legge degli stranieri e de’ nazionali!
V’Ha chi pone in dubbio, che il Cotta fosse l’autore del I atto della Celestina. […] Lo stesso Ferdinando de Roxas che la terminò, dice nel prologo di non sapere del Cotta o del Mena chi avesse composto quell’atto I.
In somma dice, e dice bene, che melius est nomen bonus, quam divitias multas ; ogn’uno Spacca di qua, Spacca di là, Spacca di sù, Spacca di giù, chi mi chiama, chi mi tira, chi mi prega, chi mi sforza a dispensargli parte della mia dotta dottoraggine ; di maniera, che spesso spesso son forzato di desiderare, ò che tutti i Dottori ne sappiano quanto Spacca, ò che Spacca non ne sappia tanto, per non hauer del continuo si gran fatiche in pacificar liti, accordar discordie, e pronuntiar sententie. […] Era nata la lor discordia, perche ciascuno di essi pretendeua d’essere stato il fondatore, il fabricatore della città di Bologna, e non hauendo chi desse sopra di ciò la sentenza erano quasi quasi venuti alle mani ; perciò tutti allegri del mio arriuo Con mille reverenze e mille inchini fattomi sedere pro tribunali, &c, volsero, ch’io gli fussi il Giudice ; e sul vero Ci voleua un tant’huomo in tanta lite. […] E però questa sera (nobilissimi Signori Bolognesi) pregato da’ miei compagni à farui il Prologo d’vna bella Comedia, che hanno in animo di recitare, in quel cambio hò voluto dirui, quanto per cagion vostra m’ è avvenuto, e quanto in servitio vostro hò operato ; se vi pare, che meum labor sit dignum mercedem suam, fate silentio, che io per hora altro non chieggo, e voi in tal modo confermerete esser vero, che in Bologna non ha luogo l’ignoranza, l’ingratitudine, ma la vera cognitione e ricognitione de’ buoni, e di chi merita, come si caua dalla voce Bononia diuisa in sillabe, Bo, bonorum, no, notitia, ni, nimis, a, amabilis.
Chi sia Amore, lo Amante o l’Amata. […] Chi più ami l’huomo o la donna. […] Che si deve amare chi non ama. […] Benchè habbi letto : Pazzo chi al suo Sig. […] Vi scuso, o Lucio, poichè hauendoui detto che tanto assomigliate a Celia ; è ben di dovere che difendiate la causa di chi tiene la vostra sembianza.
Chi ignora quanto poco fossero gli eunuchi favoriti da’ legislatori? Soggiaceva alla pena della legge Cornelia chi avesse castrato un uomo82. […] Adriano con un suo rescritto condannò alla morte chi si lasciasse castrare, chi l’ ordinasse e il norcino che l’eseguisse. […] Ma una filza inutile di nomi di scrittori d’opere in musica di tal secolo sarebbe una narrazione ugualmente nojosa per chi la legge e per chi la scrive. […] I lati retti della platea congiunti alla strettezza della bocca del palco occultano a chi siede lateralmente buona parte della scena.
Certamente parrà questa frivola oziosa occupazione a chi si crede nato a grandi imprese nelle scienze e nelle belle arti. […] Non tutti esser ponno sì alti da toccare, com’essi fanno, le sublimi volte del tempio dell’Immortalità; ed havvi, com’io, chi si contenta appena di contemplarne le vicinanze, non osando neppure dì appressarsi alla soglia. […] V’ha però chi sostiene loro in sul viso esser meglio calcar le tracce di Aristotile e dì Quintiliano, e mentovar dove bene stia que’ sagaci e graziosi attori, i quali seppero sulle scene delle più colte nazioni ritrarre al vivo i ridicoli del loro tempo, che rappresentar nella società gli originali di que’ medesimi oggetti rìdevoli mascherati da uomini d’alto affare e da filosofi e metafisici senza logica, e da poeti che non intendono nè rima nè ragione, e da pedanti pieni di stomachevole orgoglio e voti di ogni valore.
Mario Consigli, nel compilar la biografia della sua illustre concittadina, ricorda la potenza d’arte ch’essa spiegava nel proferir quel verso della Pia di Carlo Marenco : non temo il disonor, temo la colpa, e un anonimo livornese in una corrispondenza del ’37 al Giornale de’ Teatri in Bologna, ricorda quella da essa spiegata il 13 marzo agli Avvalorati, rappresentando per sua beneficiata la Mirra di Alfieri. « Quando al quinto atto, Ciniro, sdegnato del lungo e ostinato silenzio della figlia, le dice : Ma chi mai degno è del tuo cor, se averlo non potea pur l’incomparabil, vero, caldo amator Perèo ? […] Dio dia bene a chi me la procurò, a chi se ne privò, cui ringrazierai per me.
.), mantenendo così la promessa fatta nell’ Addio, recitato l’ultimo giorno del precedente carnevale dalla prima attrice Francesca Torri, di cui ecco alcune strofe : Chi di Sorte il cieco dono amò più del suo decoro loro infuse l’abbandono per saziar sua fame d’oro. […] Finito l’anno corrente, la lascio per chi la vuole, e gramo quel misero che se la piglierà. Intanto, Figlia mia, tenetevela pure con essa ; se volete ottenere quanto bramate, e col tempo…. chi sà ?
Datosi poi al ruolo di primo attor giovine, fu in Compagnia di Bellotti-Bon con Virginia Marini negli anni ’79-’80-’81, durante i quali s’era acquistato buon nome specialmente per la parte di Morto da Feltre nella Cecilia di Pietro Cossa ch’egli recitò di tal modo da non aver mai chi lo superasse.
Tra le parti ch’ella o veramente creò, o mirabilmente recitò oscurando chi la precedette, vanno annoverate quelle di Caterina nel Falconiere di Marenco, della protagonista nella Nonna scellerata di Torelli, di Madama Guichard nel Signor Alfonso di Dumas figlio, della Duchessa nei Mariti di Torelli, della Marchesa nei Danicheff di Dumas figlio, della Madre nel Marchese di Villemer di Giorgio Sand, della Palchetti nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa, della Duchessa nel Mondo della noia di Pailleron, di Margherita nella Medicina di una ragazza ammalata di Ferrari. […] Non vi fu chi la conobbe che non restasse vinto dalla mitezza dell’anima sua.
Quel comico, per sè stesso persona dabbene ed onesta, era stato ammestrato non so da chi (forse con di lui cecità), ne'gesti, ne'passi marcati del Gratarol per modo, che quantunque io non abbia giammai avuta la menoma inurbana mira di porre il Gratarol in sulla scena, devo dire con mio dolore : il Gratarol si è posto, e fu posto in iscena nella mia commedia : Le Droghe d’amore. […] E vedova di chi ?
Ti dimentichi di chi son io? […] Chi mi ajuta, Cieli! […] A chi miri? […] A chi dici tu queste cose? […] Chi mai?
chi era questo Azampamber ? […] Chi sa ! […] … « Con chi era il nuovo scritturato ?
E chi son codeste Malloni, o almeno codesta Lucilla Malloni, di cui trovo la seguente domanda senza data nell’Archivio di Stato di Modena ? […] O con abito pur, che rappresenti Ninfa selvaggia, il suo Pastore alletti, O dolce esprima in amorosi accenti Fatta Donna civile alti concetti, O talor spieghi in tragici lamenti Reina illustre i suoi pietosi affetti, Co' sospiri non men, che con la laude Chi ne langue traffitto, e chi l’applaude.
Chi fosse questo Aurelio non fu possibile sapere.
» risponde : « al sangue de cancaro, la sarà ben bella, chi poèsse fare, que na vacca tirésse per dù, e un pan fesse per quattro ! » Ma notevole è la schietta semplicità del monologo con cui egli apre la Moschetta, e in cui si lamenta con sè stesso, per essersi innamorato come mai non avrebbe dovuto della comare : « Putana mo del viver, mo a son pur desgratiò, a crego ch’a foesse inzenderò, quando Satanasso se pettenava la coa : a dir ch’ a n’ habbi me arposo, ne quieto, pi tromento, pi rabiore, pi rosegore, pi cancari, c’haesse me Christian del roesso mondo ; mo l’è pur an vera, Menato, cancar’ è ch’ a l’ è vera, ma a dire an la verité, a no m’ he gnian da lumentare lome de mè, perquè a no me diea mè inamorare in tuna mia comare con hè fatto, ne cercar de far becco un me compare : che maletto sea l’amore, e chi l’ ha impolò, e so pare, e so mare, e la puttana on l’ è vegnù ancuò.
Il cartellone annunzia una compagnia drammatica e delle produzioni drammatiche, ma potrei giurarvi che al teatro Leopoldo non si recita davvero ; qualcuno dirà che vi si canta, ma non è vero nemmen questo ; chi dicesse che vi si urla, vi si strepita, vi si fa un baccano da taverna, sarebbe il narratore più esatto. […] Fortunatamente ognuno è padrone di andarsene quando più gli aggrada ; ed invero questo è il solo mezzo che rimane, quando si è nauseati di vedere un pubblico, che fra le più volgari bassezze, dimentica interamente la sua dignità, fino al punto di far credere a chi non lo conosce, che esso non ha più nè buon senso, nè gusto, nè moralità, nè pudore.
Voci di poco galantuomismo co'suoi attori su Rossi, l’aver egli cessato affatto di scrivermi dopo mie ripetute lettere, e tante e tante altre cose m’hanno finalmente convinto che tutte le sue dimostrazioni d’amicizia per me in Torino erano interessate, e dirette al solo scopo d’abindolarmi, e far si che io sopportassi la sua concorrenza in Compagnia Reale ; per cui già garantisco fin d’ora, che fra me e lui non vi sarà più accordo, anzi urto continuo, disprezzando io per principio, chi si serve di gesuitico artificio per sorprendere l’altrui buona fede. […] Lo ricordo nel secondo, in cui, nonostante certi difetti di recitazione, emergeva l’antico pregio dell’originalità per alcune parti specialmente, come dell’ Oliviero di Jalin nel Demimonde, in cui non ho mai trovato chi per la eleganza e la verità, lo facesse dimenticare, o del Cavaliere d’ Industria, a proposito del quale, l’ Arte del 28 gennaio '55, in una lettera a Fanny Sadowski, dice : Vi ricordate di Peracchi nel Caralier d’Industria !
Forse, chi sa, il Voltaire confuse i due Adami ? […] V’ è chi è andato a tirar fuori l’Angeleide del Valvasone, e la Strage degli Innocenti del Marini, ed altro. […] Al tremoto di Morte ch’edificio mortal ritto se n’stia, non v’ è ch’ abbia tal sorte : chi ’l crede è frenesia. […] Ma chi di lei più tosto nell’ apparir sparisce ? […] Ma è da avvertire, che le parole susseguenti all’ imparate, vogliono hauer uniformità con le prime, acciò che il furto paja patrimonio, et non rapina ; onde per far ciò non mi pare auiso sprezzabile una frequente lettura di libri continuamente eleganti, poi che rimane a chi legge una tale impressione di amabilissima frase la quale ingannando chi ascolta, vien creduta figlia dell’ ingegno di chi fauella.
Vi fu chi erroneamente credè vedere in questo Bongiovanni (V.Carletta [Valeri] Un palcoscenico del’600) quel Giovanni Buono (V.), mantovano, nato il 1568 da Giovanni e Buona De’ Bonomi, al quale Gio.
Chi abbia ragione dei due non so.
Brighella con Leandro prima che la Compagnia fosse stata ricompensata dall’Em.º Signor Cardinale Antonio ; han chiesto per loro particolare, un regalo per uno ; e da me risaputo, come capo della Compagnia scrissi al Signor Martinozzi, maestro di Camera di detto Em.º che anch’io pretendeuo, se gli altri domandauano, come quello che ha il carico di regger la Compagnia e metter fuori soggetti ; ma che però non era in costume di far ciò ; Brighella risapendo quanto haueuo scritto, recitando noi, in casa dell’Arcivescovo di Rodi, uno de’ Signor di Nuelara, ad’arte cominciò à motteggiare sopra à detta poliza ; ond’io : gli dissi hauerla scritta ; ma che in quella però io, non l’ingiuriauo, risposeme con tante uillanie, e minacciamenti, ch’io fui sforzato à maltrattarlo di parole, ma non uillane ; Beltrame disse, quetatevi Cintio, che basta solo, che si sappia che un Brighella ui habbia perduto così infamemente il rispetto, ed il detto Signor Arciuescouo ciò risapendo, era d’animo di far poco piacere à Brighella, ed’egli stesso si obliga attestarlo à chi che sia. […] mo Signor Duca, e li mostri in uno l’estreme difficulta nostre mentr’io da chi può auguro à Vostra Ecc.ª il colmo d’ogni bene. […] Chi si nascondesse sotto questo nome non sappiamo di certo. […] Paulo Fabri) come ad Adriano Orazio (il Valerini) si può contrapporre Cintio Fidenzi, che grazioso, ma insieme anche studioso, adorna le scene, diletta a chi l’ascolta, non forma parola, non esprime concetto che non sia accompagnato da quel moto che gli è proprio, onde meritamente da più di un Principe accarezzato, fa conoscere non esser del numero di quelli che poco curandosi dell’onore, recitano per vivere, e vivono per impedire il luogo di un galantuomo. […] Non s’oltraggia (Ei rispose) di te chi è degno erede.
Chi sarà mai? […] Chi sei tu? […] Ma tu chi sei tu? […] Ma dico chi sei tu? […] E chi mi ajuterà?
Nel 1567 a Mantova recitavan due compagnie, una colla Flaminia e l’altra colla Vincenza ; chi lodava questa, chi quella : c’era gran fermento nel pubblico, e il Rogna, citato dal D’Ancona, in una lettera del 6 luglio ne parla assai chiaramente, descrivendo con particolari interessantissimi l’allestimento scenico delle due compagnie. […] Chi lauda la gratia d’una, chi estolle l’ingegno dell’altra : et cosi si passa il tempo a Mantova. […] Nel cucire, nel ricamare, anzi nel dipinger con l’ago avanzò non solo tutte l’altre compagne, ma quella favolosa Aracne, e Minerva che di si fatti lavori fu inventrice…….. nè avendo i tre lustri dell’età sua toccati appena, possedeva benissimo la lingua latina, e felicissimamente vi spiegava ogni concetto, leggeva tanto appuntatamente, e scriveva cosi corretto nel latino e nel materno idioma, che più non vi scriverebbe chi dell’ortografia diede i precetti e l’arte…. » E di questa guisa il fervido innamorato va enumerando tutte le grandi qualità della sua morta, additandola ai posteri come « Retore insigne, musica sublime, la quale da sè componeva i madrigali, e li musicava, e li cantava ; suonatrice soavissima di vari strumenti, scultrice in cera valentissima, faconda e profonda parlatrice, e comica eccellentissima. […] Ognuno fuggiva di venir con lei a disputa, e se alle volte sostentava il falso, lo faceva parere a chi l’udiva, il vero.
E chi negherà a questo Spirito gentile la profonda dottrina, che traluce ne’ suoi Poemi ugualmente, che una indubitata superiore sensibilità? Chi non dipenderebbe da’ suoi giudizj, intorno alla Poesia Drammatica più che da tutti i possibili Rapin, i quali decidono colla penna prima di aver sentito col cuore? […] Nè sesibilità nè maestria io trovo in chi pensa come Rapin (Rifles. […] E nell’intento di eccitare la compassione, essa non solo nulla quasi contribuisce, ma sovente nuoce, e chi la insinua mostra tutt’altro che sensibilità. […] Non vò dirvi di chi è figlia l’ammirazione.
Chi sei? […] Chi oggidì non fremerebbe alle parole di Elettra che incoraggisce Oreste a replicare i colpi, παισον διπλῆν? […] S’inganna però chi crede che si dicesse coronato Στεϕκνηϕορος, dalla corona riportata dal poeta. […] Chi è mai egli? […] Chi ardirà di sentenziare su i generi stessi?
Una bella presenza, un brio animatore, una soave favella erano cose che formavano la delizia di chi l’ascoltava.
A cagione di tale infermità fu accusato talvolta di freddezza : nullameno ebbe fama di comico egregio ; e nel Baldassarre di Ringhieri, ch'egli creò, e nella Favola del Corvo, non ebbe chi gli stesse a fronte.
E chi non lo riconoscerebbe a quell’aria di bontà e di dabbenaggine ? […] Attore ammirabile per un porgere che sembra tutto dono di natura a chi non sa che tale divien l’arte, quando è giunta alla sua perfezione.
A chi voglia avere un’idea chiara di quel che fosse Antonio Petito, raccomando la Cronaca del Teatro di San Carlino, di S. […] L'opera del Petito non regge d’avanti alla critica ; e a chi tuttavia volesse chiedere la ragione del successo clamoroso di alcuna delle sue commedie, il Di Giacomo risponderebbe che esso non fu se non il successo personale, comico di Antonio Petito.
A chi poi è ignoto che la vita di Apollonio scritta da Filostrato non sia un puro romanzo artificiosamente per malignità accozzato per contrapporla alla vita del nostro Salvadore? […] Ora a chi toccavano le altre quattro”? […] Antonio Ponz1: “Alla lettera del Martì non unisco la stampa del Teatro come difettosa, non essendo nè pianta nè alzato, ma un ammasso di cose nel modo che se la figurò chi non era Professore; ed in suo luogo può sostituirsi una pianta del Teatro di Marcello molto simile a questo di Morviedro.”
Ognuno dava a conoscere nelle divise la propria origine o prosapia; chi si attaccava al dorso due grandi ale, chi si copriva d’un cuoio di drago, chi d’una pelle di leone13.
E chi diavolo vorrebbe montar così alto per veder la Comedia ? […] Chi abbia come me veduto e sentito nella Cameriera astuta del Castelvecchio le finezze d’espressione, d’intonazione, di dizione della Daria Cutini-Mancini, benchè già fuor dell’arte, può ben essersi fatta una idea chiara e della importanza di quel ruolo, e del valore di chi lo rappresentava, e degli schietti entusiasmi del pubblico.
Chi non c’è andato, e chi non ci va, anche de' sommi, specialmente comici ? […] Chi vorrebbe adoperar la brutta parola per I Recini da festa, La Casa nova, Sior Todero brontolon, I Rusteghi, Oci del cor, e quel Fator galantomo, in cui egli, incredibile dictu, muore in iscena, e commuove il pubblico, tanto da sclamar la prima sera a Trieste (gennajo '96) a recita finita : « In malorsega che li go fati pianzer ?
Ma chi solo l’afferma? […] L’un l’altro include; Non si dà chi l’ignori. […] Chi potrà figurarlo? […] Si stanca il cielo D’assister chi l’insulta. […] Niegar la morte A chi vive morendo.
Se qualche differenza vi si osserva, questa consiste solo ne’ vizi dissimili di chi gli recita. V’è chi lo dice in confidenza, chi con una confusione che ributta. V’è chi affretta a guisa di chi vuol galoppare, v’è chi mostra una milensaggine che vi par quasi debba convertirsi in ghiaccio prima di finire. Chi sei mangia fra’ denti, chi lo canta ridendo. […] Chi crede abbia il torto fra noi?»
Se dunque avverrà che il maraviglioso, che si vuol introdurre, invece di appoggiarsi sulla popolare opinione, le sia anzi direttamente contrario, allora le poeti che e romanzesche invenzioni, prive d’ogni autorità e d’ogni esempio, non avranno altra regola che il capriccio di chi le inventa. […] Fu nondimeno tenuto a’ suoi tempi per ristorator del teatro: i suoi drammi furono ristampati non poche volte come cose degne di tenersi in gran pregio: i letterati sel proponevano per modello d’imitazione, e le muse anche elleno, le vergini muse concorsero a gara per onorar con inni di laudi chi più d’ogni altro recava loro vergogna ed oltraggio. […] Chi tanto abbondasse d’ozio e di voglia troverà ampiamente nel Quadrio di che soddisfarsi. […] La verità comparisce avanti chiedendo loro aita per trovarsi tutta pesta, e mal concia dalle mani de’ procuratori e degli avvocati, ma accorgendosi chi ella è, la sfuggono, dicendo: «A duo. […] Chi sapesse ben il vero Del mestiero Di chi va cercando i mali Manderebbe alla mal’ora Tutti i medici, e speziali Per goder la sanità.
Chi si nascondesse sotto questo nome non sappiamo. […] – Per mare. – Con chi ?
— [1.8ED] — Come — io risposi — potrò da qui avanti deridere chi ascolto sì ben ragionare? […] [1.145ED] Son anche compensati i viluppi esterni spagnuoli dai viluppi interni delle passioni, impegnate in maniera che impegnino gli affetti degli ascoltanti, quando ad amare chi odiavano e quando ad odiare chi amavano, con movimento sì vero e sì penetrante che poi nel fine della rappresentazione ricrea, mentre si conosce originato da false aeree cagioni; e ne lascia con quella meraviglia e con quel diletto con cui lascia un orrido sogno chi, ne’ maggiori perigli sognati, destatosi alla fine s’accorge di giacer sicuro e felice nelle sue piume. […] [2.124ED] Ma vuoi tu sapere chi sta di guardia alla porta della reggia? […] [3.82ED] E poi chi condanna gli amori? […] [6.60ED] Dice etiam in citharoedis, perché questi servivano non men a chi recitava che a chi cantava, cantando i cori e declamando gli attori con l’aiuto de’ concavi rami, che riflettevano sonoramente le voci.
Ma, secondochè bene osserva il Maffei nel Ragionamento degl’Itali primitivi, a chi venne con Demarato si attribuisce altresì in parte la pittura, e pure, per osservazione dello stesso Plinio, era essa già perfezionata in Italia molto innanzi, come abbiam veduto. […] Noto è pur troppo che barbaro di sua origine significò straniero, quale si considerava da’ Greci chi nasceva fuor della Grecia, e da’ Romani chi alla lor nazione non apparteneva. […] L’opinione di chi lo fissa all’imperio di Teodosio, è la più comune; ed il lodato Pietro Daniele l’avea abbracciata come semplice congettura, nè disconvennero Taubman, ed altri.
Chi morde, chi impallidisce all’udirle lodare, chi si scaglia in pubblico o in segreto contro di esse; ma queste superiori alle bassezze della timida malignità e dell’arrogante ignoranza poggiano in alto e s’incamminano all’immortalità. […] L’Alcippo impressa in Venezia nel 1615 gareggia per la semplicità colle stesse greche favole, e pure impegna a meraviglia chi legge ed ascolta.
Ma con chi parlo io? […] Chi t’ha offeso! […] A chi daranno fede i giovani? […] A chi andremo? […] Con chi combatti tu, Pirro?
» Chi fosse questo Arlichino, a cui succedè nel servigio del predetto Monarca – continua il Quadrio – Ganassa, non ho potuto sapere.
mo Padrone d’un Primo moroso hauerei caro d’intendere chi mandano in quà ; perche sè per mè Goderei che ui rimandassero uoi acciò che al’loro marcio dispetto doppo hauermi fatto tanti torti bisognasse che hauessero patienza di ripigliarui.
Chi serve al Re non è men caro a Dio. […] A chi è ignota la Merope del Maffei? […] Chi di quella interessante semplicità della condotta? […] Ma chi direbbe che lo spettro dell’Aristodemo sia la stessa cosa con quelli della Semiramide e dell’Hamlet, se non chi di tutto parla per tradizione? […] Oh chi congiungesse lo stile del sig.
Chi ha poi insegnato a codesto bibliografo che il poema epico aver debba sempre un esito felice? […] no; ella pensa a vendicare certo suo fratello già morto col sangue dell’uccisore che non sa chi sia. […] Non dubiti però chi ascolta; essi nulla diranno senza che vi sia chi ascolti. […] Chi sei? […] Chi vuol trattare dell’inflessibilità di Marzio espugnata da Vetturia, troverà sterile la materia per cinque atti.
Or perché quella spinta industrioso é comune a tutti gli uomini e la natura da per tutto risponde a colui che ben l’interroga, é chiaro a chi diritto mira, che pochissime sono le arti che se un primo popolo inventore passarono ad altri, ed all’incontro moltissime quelle che la sola natura, madre e maestra universale va comunicando a’ vari abitatori della terra. […] A chi attribuiremo la prima invenzione dell’arte drammatica? […] Per natura la trovarono i greci, e non ne presero da niuno l’esempio, come é chiaro a chi passo passo la vada seguitando dall’insonne suo nascere per tutti i gradi de’ suoi avanzamenti.
No: chi un altro ne impalma, il primo uccise. […] Ti dimentichi di chi sono? […] … A chi miri? […] A chi dici tu queste cose? […] Chi mai?
Francesco Artale oggi è stabilito a Napoli, ove, in unione alle sue due figlie prime attrici giovani e amorose, dotate di non comuni pregi artistici, trae vita modesta e onorata in mezzo alla stima e all’affetto di chi lo circonda, recitando pur sempre, e pur sempre applaudito.
E a chi gli domandava, meravigliato, quanto gli fosser costati progressi così rapidi, – ho molto pianto, – rispondeva con una soavità commovente e una modestia degna d’incoraggiamento.
A richiesta del Duca di Modena, rispose accettando di far parte della di lui Compagnia, di cui eran principale ornamento i Calderoni Silvio e Flaminia, con lettera da Roma del 19 aprile 1679, nella quale si lagna acerbamente del malo trattamento de' capocomici verso di lui, che non sa nè dove spedire la condotta, nè chi la riceverà, nè in che piazze andrà, nè come sia composta la Compagnia, e che soprattutto s’è visto, con suo danno e rossore, metter fuori una seconda donna già scritturata d’accordo con lui, certa Angiola Paffi : « danno, hauendo seco un antico, e non poco concerto (cosa mendicata, e ricercata da ogni Moroso), e rossore per esser tenuto un parabolano, et un falso ; e dopo essermi consumato in Venetia ad aspettare la certezza et unione di questa donna, si ritratta al presente ciò che si deve per debito, essendo stata accettata e corrisposta da tutti. » E si raccomanda al Duca di ordinare che i comici gli scrivano, perchè egli possa con loro più apertamente discorrere. « Alla Paffi – conclude – in cuscienza et appresso Dio et al mondo non si deve mancare. »
Quindi l’udj gridar, chi sei, che intorno Si ben ravvivi, e mia virtù propaghi, Attrice esperta, e la rimetti al giorno ?
Ella era assoluta Padrona del Teatro, e quando parlava, sapeva ben in qual modo incominciare e finire il discorso con intero compiacimento di chi l’ascoltava. […] Per la 2ª rappresentazione furon dati gratis i biglietti dall’ufficio del maresciallo di Corte, dietro domanda firmata e sigillata di chi desiderava assistervi.
Di animo generoso, quanto aveva era degli altri, e se nel momento del bisogno gli si ricordavano crediti che aveva per prestiti fatti, andava su tutte le furie, esclamando : « Debbo angariare chi non può dare ? […] Fu anche scritturato il '58 nella Compagnia Reale Sarda per fare tutte quelle parti di generico, di età avanzata, come parti di padre, tiranni generici in parrucca e senza, sia in tragedia che in commedia, ed altre simili che dall’Impresa o dal Direttore gli verranno affidate…………… attenendosi alla direzione del signor Gustavo Modena, o di chi sarà destinato : ed ebbe di stipendio 2400 lire.
Ma la pienezza di sè attenuava di molto e talvolta distruggeva agli occhi di chi l’accostava i pregi suddetti. […] Trasecolai nell’ udirla, e qui non la inserisco, perchè scrivo la mia, non quella delle altre ; ma dirò alcuni tratti particolari, che divertir potranno chi legge.
Ma chi sa, data questa base di pazzia, a quali spropositi letterari, storici, mitologici e a quali stranezze di espressione e di gesto e di voce si sarà lasciata l’attrice. […] Chi fu quel giorno a rimirar felice, di tutt’altro quaggiù cesse il desio, che sua vita per sempre ebbe serena. […] Pregò, l’udì chi sempre ascolta pio, noi perchè in guerra noi medesmi ogn’ora tener, se ’n pace ella contenta or siede ? […] Certo, che chi uolesse fare tutti i uestimenti apposta, ui andrebbe [come disse il Santini] uno tesoro. […] Il medesimo ui andarebbe anco, o poco meno, chi uolesse far di nouo apposta, tutti gl’ habiti da recitare una comedia, o anco una cosa pastorale.
Ma con chi parl’ io? […] A chi andremo? […] Con chi combatti tu, Pirro? […] Ogni parola è una bellezza per chi l’analizza, nè l’ analizza chi non ha il cuore fatto per ciò che i Francesi chiamano sentimento. […] E chi nol compiangerà?
Spettro ti fingi, eppur chi t’ode e mira ti giura Angel Celeste ai gesti e al viso, e all’alte grazie tue fervido aspira.
no: ella pensa a vendicare certo suo fratello col sangue dell’uccisore che non sa chi sia. […] Non vi sono più cadaveri, e si pensa a tirare a sorte tra’ vivi chi debba morire per alimento de’ superstiti. […] Chi sei? […] Chi vuol trattare dell’inflessibilità di Marzio espugnata da Vetturia, troverà sterile la materia per cinque atti. […] E chi oserebbe far motto di qualche squarcio prosaico, di alcun verso duro, di sentimenti spiegati men precisamente?
A me qui non le terge chi me le terse allora: Qui non vedo, e più forse non vedrò chi m’adora. […] E chi non preferirebbe la sorte delle tragedie di Shakespear a quelle del Gravina e dell’abate Conti? […] Ha bisogno che Tito faccia uno sforzo e rimandi Berenice, per risvegliare quella speranza di Vittelia, ma che poi elegga egli per consorte, chi? […] Chi imita con maestria migliorando, nasce per esser successivamente imitato. […] «Chi non imita non sarà mai imitato», diceva con ragione il dotto inglese Atterburì.
Una volta, giunto a Firenze in tal contingenza, ottenne dal general Botta, governatore, il permesso di recitare in Livorno, trovando chi gli sborsò il danaro occorrente.
Certo quell’occhio che sfavilla in viso A te compose di sua mano Amore ; Onde a chi 'l mira dolcemente al core Un dardo giunge da cui vien conquiso.
Onde la fabbrica potè riuscir bella agli occhi di alcuni, ma né buona né bella per chi dritto estima. […] Poiché, così adoperando, si andrebbe contro a un fine principalissimo a cui nel porre il teatro si dee aver l’occhio dall’architetto; e ciò è ch’esso riesca sonoro e tale, che le voci de’ cantanti vi spicchino il più che è possibile, e sieno a un tempo melodiose e grate a chi ode. […] E chi non vede che è un metter sossopra ogni buon ordine, ogni regola? […] Ciò potrebbe per avventura trovar fede presso a coloro che credevano dover correre di gran pericoli in acqua chi era nato sotto il segno dell’Acquario, che prescrivevano a’ tisici il giulebbo del polmone di questo o quello animale, alle partorienti la rosa di Gerico, e tenevano simili altre illazioni per figliuole legittime dell’analogia, quando dal sillogizzare scolastico travisata era del tutto la faccia della filosofia.
A chi ricordi il giovane atleta sullo scorcio del ’67 o sul cominciar del ’68, al fianco di Laura Bon, di Teresina Boetti, e di un Bianchi, pellicciaio livornese, cimentarsi nel Don Carlos e ne’ Masnadieri di Schiller, e toccar sotto le spoglie specialmente del tristo Moor, altezze non immaginate, non parrà strano che a soli ventiquattr’anni egli si disponesse, capocomico e primo attore assoluto, a lottare strenuamente colle maggiori difficoltà d’interpretazione, creando i caratteri più disparati comici e tragici, del teatro nostro e forastiero. […] Ci vuole quel certo non so che di convenzionale, senza del quale l’attore copia « la gretta natura. » O proprio sarebbe tempo, che critici ed attori non invadessero il campo altrui, e noi attori specialmente lasciassimo a chi ne ha il cómpito di fare e creare i personaggi. […] Chi ha udito al Valle l’ Emanuel nella Odette, nel Nerone e in questa Fedora, è costretto a riconoscere non esservi oggidi in Italia chi gli contenda il primato.
S’ inganna però chi crede che si dicesse coronato (Στεφανηφορος) dalla corona riportata dal poeta. […] Ah pensa Chi t’ascolta, ove sei. […] Chi è mai egli? […] Di grazia a ragionar dritto chi ardirà sentenziare su i generi stessi senza aver ragione di tempi, di luoghi e di costumi? Chi oserà preferire il moderno sistema al l’antico senza avere in testa un guazzabuglio di fosche idee?
Fu egregio nell’arte del leggere e nell’insegnamento drammatico, e non v’ha de’suoi allievi, divenuti poi artisti di alquanto merito come il Fagiuoli, il Parrini, il Tellini, chi non lo ricordi con affettuoso rimpianto.
Chi era essa ?
Duse-Maggi Alceste, torinese, fu moglie di Giorgio Duse, e attrice di gran nome per le parti di prima donna dialettali e italiane, comiche e drammatiche, destando il più schietto entusiasmo nelle commedie La Figlia del reggimento, La bona Mare, La Puta onorata, La bona Muggier, Il Campielo, La casa nova, e in altre più del repertorio goldoniano, in cui non ebbe chi le stesse a fronte, di tra le quali, ogni tanto, faceva capolino anche il drammone, come la Suor Teresa, o L’Indovina ebrea, che ella recitava se non con ugual maestria, certo con successo uguale.
La Gaetana non ebbe mai chi la superasse nella Gabbriella di Vergy, e fu grandissima nella Merope del Maffei e in quella dell’ Alfieri, di cui recitò poi col maggiore dei successi la Sofonisba, l’ Ottavia e l’Antigone.
Chi si nascondesse sotto questo nome di Lavinia non saprei dire.
Altre due lettere (entrambe dell’archivio Rasi) si hanno di lui : una da Venezia del 2 dicembre 1673, non sappiam bene a chi diretta, nella quale sono i ringraziamenti per l’avuta parte intera, e le assicurazioni della concordia completa della compagnia ; e l’altra da Bologna del 4 aprile 1679 appena decifrabile, nella quale domanda una lettera di raccomandazione pel Cavaliere Bartolomeo Longhi a Genova, a favore di sua moglie, comare della persona sconosciuta, a cui è indirizzata la lettera.
L'ultima sera del carnovale 1754, la Torri recitò un addio, di cui ecco alcune strofe allusive all’abbandono del Sacco e al suo mancato impegno : Chi di sorte il cieco dono amò più del suo decoro loro infuse l’abbandono per saziar sua fame d’oro, e noi pochi, e senza lena, travagliammo con gran pena.
E chi oggi ignora i rari pregi del Cinna? […] Queste parole manifestano certamente l’anima grande di chi le profferisce; ma il poeta stesso ne minora la grandezza in più maniere. In prima con fare che Augusto rimproveri a Cinna son peu de merite, e dicendogli, tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna, se io ti abbandonassi al tuo demerito. […] Con un tratto di peunello imprime in chi legge o ascolta la più sublime idea. […] E chi può dubitarne?
Chi volesse decidere del di lui Regimento dalle follie o da’ vizj di tal Soldato, mal si apporrebbe. […] Nè poteva dire altrimenti chi non ignorava che nell’altro secolo se n’erano composte in Latino. […] Or chi l’avrebbe pensato? […] Or chi avrebbe creduta tanta virtù occulta in quell’aggiunto triste? […] Chi si va lagnando abbattuto da gravi calamità fa di siffatte richieste?
[Intro.3] Ora chi ponesse l’animo a restituire all’opera l’antico suo pregio e decoro, gli converrebbe, prima di tutto, metter mano a una impresa non so se più difficile a riuscirne o a pigliarsi più necessaria. […] Ma chi si farà capo di tale impresa?
Feu in za vn po tutti du E tocheu vn poch la ma Za che a sem in su ’l mercà Concludem sto parentà In presenza di Zacagnina E chi lò de Zan Magagnia E la sposa ha nom Gnigniocola El sposo Zan Frogniocola Gnigniocola Frogniocola Toca la man alla sposa Che ’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Za che le chi lò vn Noder Che ’l se fazza una scrittura Testimonij vu Bertaz Vù Zambo e vù Pedraz Feu in za anca vu Scapì In compagnia de Brigolì E la sposa ha nom Gnigniocola El sposo Zan Frogniocola Frogniocola Gnigniocola Toca la man alla sposa Che ’l fa allegrezza tutta Val pelosa.
Alle di lui commedie romanzesche, salite alle stelle, altre non men romanzesche contrapponeva il Goldoni, come : La sposa persiana, Le Ircane, La Peruviana, La bella selvaggia ; a queste altre nuove e più romanzesche, o meglio, più ancor bislacche contrapponeva il Chiari ; e, tra' due litiganti, chi godeva era il solito terzo, che accumulava danaro. […] Grisostomo procuratagli ingratamente da chi mai nol dovea.
Chi non voglia arrogarsi una magistrale autorità che infastidisce in vece di persuadere, convien che dimostri ciò che asserisce. […] Intanto per chi ne volesse un saggio recheremo quì un passo della scena quarta del I atto in cui l’autore rileva i terrori notturni della Regina, calcando le tracce di Alvida nel Torrismondo del gran Torquato. […] Piano così assurdo verseggiato in istile tanto lontano dalla gravità e dalla correzione, a chi poteva parer tragedia perfetta se non all’ab.
Chi non temer potria la dubbia inappellabile sentenza di sì dotta città ? […] Voi tutti imploro : del purgato orecchio ritemprate il vigor, nè sia chi sdegni gradir cortese ed animar gli sforzi d’ uno stuolo divoto e che sè stesso tutto al vostro diletto offre e consacra. […] Cesarotti, che appena, per così dire, uscito dal teatro, prese la penna in mano per rendere italiano l’Oracolo del Saint-Foix ; in poche ore compi il suo lavoro, e mandollo tosto in dono a chi più d’ogni altro potea far conoscere il merito dell’ originale e quello insieme della versione.
Chi lo sa ! […] E a queste lodi schiettissime faceva seguire schiettissime osservazioni, per le quali m’ebbi a fin di stagione dalla eletta artista il ritratto che qui riproduco, con dietro queste parole : A chi m’incoraggia – A chi mi dice il vero, correggendomi – A chi mi analizza…. – A chi conosco e ricordo come compagno d’arte – A persona che stimo. – E. […] Ma negarlo chi osa, o signori irritanti, o isteriche signore ? […] Chi sa !
Chi si celasse sotto questo nome di teatro non sappiamo.
Arturo Garzes, che, se del fratello non ebbe il fine senso d’arte, ebbe una maggiore fecondità e conoscenza di teatro, scrisse in cotesto non breve periodo molti lavori, che ebber tutti, più o meno, lietissimo successo, quali : Maso, Stella, Chi sarà ?
Morto il Ricci di colera nel '55, Raffaello Landini prese lo scettro della maschera di stenterello, nè più ebbe chi lo imitasse o gli si accostasse.
Or chi tenersi e vaneggiar non vuole, se nel Leon di Flora in mezzo al verno della Prudenza è forsennato il Sole ?
Chi compone drammi per musica è oggimai divenuto un fanciullo di scuola che non può discostarsi dalla riga senza tema di battiture, un fenomeno di questa natura merita che ci fermiamo alquanto per isvilupparne le cagioni. […] Chi sà dirmi cosa diverrà la tragedia musicale ridotta a sì misero stato? […] Per ora non si può far a meno di non lodare la buona intenzione di chi cercando di rimediare agli abusi del moderno teatro, propone al pubblico un tentativo di questa sorta. […] [21] Non è dunque da maravigliarsi se mancando in chi ascolta la sorpresa derivata dal creder vero ciò che gli si racconta, manca in lui l’illusione eziandio, figurandosi d’esser presente ad una mascherata invece di assistere ad un’azione vera e reale. […] I ridicoli loro più evidenti e più caricati che è lo stesso che dire più acconci a piegarsi sotto la mano di chi vuol imitarli.
Che se per le colpe de’ Cristiani la Provvidenza avesse loro duplicate le forze della mano e del senno, se da’ loro acquisti sorta fosse, invece di varj piccioli dominj una sola potente Monarchia, o al più due, forse il loro Regno durerebbe tranquillo e rispettato, e forse ad esempio di altre colte nazioni, cangerebbero oggetti, così riguardo alla Filosofia, rigettando la Peripatetica, come alla Poesia rifiutando i frivoli giuochetti meccanici della loro versificazione, e camminerebbero sulle tracce di Galileo e Newton, di Virgilio e di Omero, in cerca della Natura; e chi sa che non ne nascesse un Euripide Moro? […] “Chi non sa (egli dice) quali e quante siene state le vicende dell’Imperio Africano in Ispagna, niente inferiori a quelle del Greco e Romano Imperio?
Chi è ’l nemico al Quirino ? […] Perchè solo coi raggi puote acciecar chi lo mira.
Non vi ha chi non possa imparare a memoria e recitar da la scena, ciò ch’egli ha imparato a memoria : ma dal comico italiano si richiede ben altro. Chi dice buon comico italiano, dice un uomo di fondamento, che esercita assai più la fantasia che la memoria, che compone, recitando, ciò che dice, che sa coadiuvare il suo interlocutore, vale a dire ch’egli sposa così bene le parole e l’azione con quelle del suo compagno, ed entra di punto in bianco in tutto il movimento drammatico dall’altro richiesto, di tal maniera da far credere agli ascoltatori che tutto sia stato anticipatamente combinato.
Chiede a un servo chi ella sia, gli è dato a credere essere una schiava comperata dal figliuolo per servire alla madre. […] Si giustifica il buon vecchio, e mostra la malignità mal fondata di chi va spargendo tali voci senza essere delle cose appieno informato. […] Tu vuoi che chi di sete stà morendo, Cavi acqua dalla pomice. […] La vede, e secondo l’usanza di chi vuol comperare per poco, l’approva a mezza bocca. […] Noto è pur troppo che barbaro di sua origine significò straniero, quale da’ Greci si considerava chi nasceva fuori della Grecia, e da’ Romani chi alla Joro nazione non apparteneva.
Ciascuno (dice in Euripide nell’atto I il Pedagogo alla Nutrice) ama più se stesso che gli altri, e chi ciò fa per giustizia e chi per proprio comodo. […] Non insinuarmi (dice Elettra a Crisotemi) a non serbar la fede a chi la debbo. […] Chi lascio? […] E chi potrà dubitarne? […] Ed a chi se non all’Italia si debbe l’aver fatte risorgere le sagge regole del teatro?
Commandiamo dunque á tutti li Ministri et officiali così di giustizia come di guerra, Datiari, Gabellieri et portinari et ad ogn’ altro á chi spetta, che non solo non gli diano molestia ne frapongano impedimento di sorte alcuna, nel loro viaggio, ma prestino piutosto ogni ajuto possibile, osservando e facendo osservare la presente valitura per giorni trenta prossimi. […] Ma chi era questa Diana che ha fatto almanaccare tanto gli studiosi di cose teatrali ? […] A. mi metta con chi uole e facci di me quello che li pare che sempre sarò pronto a seruirla ma l’esser poi strapazato con quella pouerazza de mia moglie sono cose che fano catiuo, tanto più che il dottore per essere a l’ombra del patrone me a fatto questo che se non fusse me farebbe li ponti d’oro per riunirci in sieme come me fano tutti li altri compagni li quali aspeteno con grandissima diuotione se sono in Compagnia si ò nò acciò poseno fare el lor uiagio per le lor case caso che fuseno esclusi ; di questo io ne suplico con ogni Umilta posibile il Sere.mo patrone di qualche ordine non solo per li miei interessi et mio gouerno ma per l’utile di chi sarà mio Compagno, il tutto però io scriuo con riserbo del gusto de S. […] A. ma almeno abbi a memoria per l’amor di dio chi suisceratamente l’ama, riuerisce et di tutto core lo serve — di bologna o letere che un pezzo fa ano inuiate li miei libri a V.
Interpretò magistralmente i varj caratteri delle commedie goldoniane, del Nota, di Giraud ; ma dove apparve davvero gigante fu nelle parti di seconda importanza, come, a esempio, in quella del Maggiordomo Longman di Pamela Nubilc, in cui non ebbe mai chi gli si accostasse.
La voce armoniosa, la correttezza della dizione, la spontaneità de'sali, lo fecer subito amato e ammirato dal pubblico della Piazza Vecchia, Teatro degli Arrischiati, sì che vi fu perfino chi lo paragonò a Vestri nella facoltà di trascinare il pubblico al pianto ed al riso.
… Chi può farsi una ragione del come potevan quell’anima soavissima e quella mente serena riprodurre al vivo tutte le simulazioni, tutta la perfidia di quella donna !
E chi oggi ignora i rari pregi del Cinna? […] Questo padre e legislatore del teatro francese morto nel 1684 in Parigi merita di studiarsi da chi voglia coltivar la tragica poesia. […] In tutti gli oggetti egli spande la propria sensibilità: riscalda ed avviva la stessa politica, come fece specialmente nel Sertorio e nell’Attila: con un tratto di pennello imprime in chi legge o ascolta la più sublime idea. […] E chi può dubitarne? […] Huerta una immonda arpia di Stinfalo che svolazzando imbratta e corrompe le imbandite dilicate mense reali di Fineo, chi gli darebbe torto?
Chi però fu esempio al Liveri, o chi potrà seguirlo nell’imitare con indicibile verisimiglianza e nel decoro che caratterizza la sua commedia? chi nell’esatta proprietà del magnifico apparato scenico che ne anima l’azione? […] Ma chi non vede il maestro nella Putta Onorata, nella Buona Moglie, nel Caffè, nel Cavaliere e la Dama, nella Pamela, nell’Amante Militare, nell’ Avvocato Veneziano? […] Chi di loro l’ha meglio risoluto? É permesso a chi non è architetto l’ avventurare il suo avviso in pro del teatro dell’ Anonimo?
Chi riflette alla vittoriosa forza della religione sugli animi umani, non istupirà dell’universale accettazione che ebbe sì importante argomento in tutta l’Europa Cristiana. […] V’ ha chi pone in dubbio che il Cotta fosse l’autore dell’atto primo della Celestina. […] Lo stesso Fernando de Roxas che la terminò, dice nel prologo di non sa pere tra il Cotta ed il Mena chi avesse composto quell’atto primo.
Chi credete voi, Signor Apologista, che io intenda per Dotti? […] E con chi vorreste convivere con i Mulattieri, i Tavernaj, los Tunos, y los Pillos? […] E chi non vi compiangerà! […] Le sue Opere-Tragedie non saranno mai sempre da chi ha senno, e buon gusto collocate accanto a quelle composte nella Caverna di Salamina? […] Si vede che i gusti non sono uguali: “A chi piaccion le fave, a chi i baccelli”.
Dunque (chi ’l crederia? […] Tra’ Celti cacciatori chi avrebbe sospettato di trovare una informe idea della poesia scenica, mancante, egli è vero, di un piano, rozza, senz’arte, ma non priva d’interesse? […] E chi lo saprà? […] Stà bene l’esser delicato a chi non ha pane! […] Egli come attore non ebbe colà chi lo pareggiasse; ebbe bensì chi gareggiò con lui.
E venendo a parlar delle Torri, due commedie di sua particolare fatica e di sua invenzione, il Bartoli assicura aver egli toccato il sommo dell’ arte, in una scena specialmente, per la quale ci dice che bisognava vederla per giudicare s’ ella meritava ogni lode di chi sa intendere la forza di quell’ arte, che è tutta propria d’ un bravo Comico e che non è permesso alla penna d’ uno scrittore d’ estenderla al Tavolino in pari modo.
Mise in iscena il 1765 una sua commedia, parte scritta, parte a soggetto, intitolata : Chi la fa l’aspetta, ossia I due fratelli veneziani perseguitati dalla calunnia e resi felici dalla magia, che « travagliata – dice Fr.
E perché tali pause giovassero a un tempo a chi parla ed a chi ascolta, furono regolate acconciamente secondo il senso delle parole. […] E così varia pure chi parla in verso da chi in prosa. […] … Ma chi il vede, e non l’ama? […] Chi sente, naturalmente li distingue e li pratica. […] Così parlando di una vittoria riportata a chi pur giovasse principalmente, quantunque ne sia lieto oltremodo, e l’allegria gli splenda nel viso e negli occhi, egli non può con l’accento e con l’attitudine non indicare simultaneamente o il lampeggiar delle spade, o lo strepitar e l’urtar dei cavalli, o lo squallor della morte, e i lamenti e le grida confuse di chi fugge, di chi incalza, di chi muore, di chi trionfa.
Chi lascio! […] E chi potrà dubitarne? […] Che mal si converria che un uom sì degnon Obedisse a chi men di lui potesse. […] Quanto è difficile entrare a sentenziare di cose che non sono della competenza di chi si arroga l’autorità di giudice! […] Ed a chi se non all’Italia si debbe l’aver fatte risorgere le sagge regole del teatro?
cioè, Chi mi difende? […] Chiede a un servo chi ella sia, e gli è dato a credere essere una schiava comperata dal figliuolo per servire alla madre. […] Si giustifica il buon vecchio, e mostra la malignità mal fondata di chi va spargendo tali voci senza essere delle cose appieno informato. […] Vuoi tu che io sia conosciuto da altri che da chi mi dà da mangiare? […] La vede e secondo l’ usanza di chi vuol comperare per poco, l’approva a mezza bocca.
Poffare, un grande impero, Sia chi vuol. […] Egli non sa chi fu Stilfon? […] Chi mi chiama? […] Chi? […] Da chi preso abbia questo vestimento?
Chi ne avea due, chi tre, alcuni fino a cinque. […] Chi è costei? […] chi nol vede? […] Chi sei? […] Chi sa; l’autore era toscano; fidiamci di lui.
Essi hanno cercato il modo di ben divertire questa amorevolissima Popolazione : onorate pertanto o LUCCHESI col vostro concorso gli umili Attori, e questi due Spettacoli ; perdonate loro ogni mancanza, mentre premiare il merito, proteggere la virtù è dovere ; ma il giovare e l’assistere chi di sì bei pregj è privo, proprio è soltanto di Anime grandi, sensibili, e generose.
Carolina Internari, abbandonate dopo tanti anni di gloria le tragiche scene, lasciava in retaggio alla Caracciolo il diadema ond’ella si cingeva in Medea, con queste parole : Eccoti, Carolina, una mia memoria : io portai questa corona per venti anni, e mi è cara sopramodo perchè tanti trionfi mi ricorda ; te la dono, perchè non saprei a chi meglio dedicarla.
Chi sa !
Lo dice avvezzo a tramutar le voglie, Capace di tradir al par di Gano, Chi in lui s’affida il seme butta invano ; E sol miete per fin affanni e doglie.
Il male ormai è radicato da secoli, ed estirparlo non è impresa agevole ; ma se uno v'ha che possa riuscirvi, egli è certo Virgilio Talli, che per la fierezza dell’indole e la pervicacia nella lotta non ha chi gli stia a paro.
Carlo Bertinazzi godè, in grazia del suo nome e dell’indole sua, dell’affetto e del rispetto di ragguardevoli personaggi ; e vediamo i sei figliuoli avuti dal suo matrimonio con Susanna Foulquier di Nantes, attrice e più danzatrice della Commedia Italiana, sorella della celebre Catinon, tenuti a battesimo, chi dall’Intendente degli ordini del Re, chi dall’Intendente di Palazzo, chi dal Ricevitor generale delle Finanze, ecc. […] Ella tenta nasconderlo ; ma egli lo vede e vedutolo, domanda a chi appartenga. […] Se l’è cavata, come chi dicesse, pe ’l rotto della cuffia. […] È lecito dunque a chi specialmente legga tra le linee, più che dal Malamani (op. cit.
A chi non potesse consultar L’originale, o increscessero le versioni latine letterali, o non avesse alla mano L’italiana del dottissimo Anton Maria Salvini, presentiamo L’annessa analisi di questa favola, di cui Omero fornì l’ argomento nel IX libro dell’Odissea. […] Chi ha legato questi capretti? Chi ti ha dato de’ pugni sul viso? […] Il Coro domanda chi abbia in lui commesso quest’eccesso? […] Di chi dunqne ti lagni , ripiglia il Coro, se niuno colpa al tuo male?
A chi non potesse consultar l’originale, o increscessero le versioni Latine letterali, o non avesse alla mano l’Italiana del dottissimo Anton-Maria Salvini, presentiamo l’annessa analisi di questa favola, di cui Omero fornì l’ argomento nel IX libro dell’Odissea. […] Chi ha legati questi capretti? Chi ti ha dato de’ pugni sul viso? […] Il coro domanda, chi abbia in lui commesso quest’eccesso? […] Di chi dunque ti lagni, ripiglia il coro, se niuno colpa al tuo male?
Il lume de’ Theatri e l’ornamento chi sott’ombra funesta oppresso tiene ? […] E. metteva ogn’uno in libertà : ma chi che fosse, che hauesse alla sua protezione ricorso, sarebbe benignamente della sua gratia fauorito ; là dove rincorati e rinvigoriti, si propose quella Compagnia che da detto Sig. […] E. mentre che viva, mi sarei partita subitto per non star dove lei ; ma per non disgustar chi n’ è padrone e sig. […] E tanto più che questa è cossa che non a porta disonore, anzi onore e riputacione, e infino si sa chi ella è, e di qual vallore ; ma perchè vedo che mio marito fa (come si suol dire) orecchie di mercante in detta materia, torno a dire che quest’anno che viene io non uscirò fora a recitare se questa donna è in compagnia, e più tosto mangerò radice di erbe e mi contentarò di adimandar la elemosina tanto che viva, quando fosse morto per me il soccorso a altra maniera. […] Dalle quali lettere, congiunte a tutte le altre di comici, e non son poche, si vede chiaro come essi non abbiano pensato a importunare l’Altezza Impresaria, o chi per essa, se non che per battere cassa, o narrar pettegolezzi di retroscena, o invocar la protezione a figliuoli, od altro di simil genere : e mai una lettera che accenni all’arte loro, mai la notizia di un successo o di un fiasco, mai un giudizio, sia pure per gelosia, sul modo di recitare del tale attore o della tale attrice ; nulla in somma di ciò che avrebbe potuto gettare e con tanto interesse un po’di luce in questo buio della nostra scena d’una volta.