Ma essi furon sempre inferiori alle ingenti spese ch’egli faceva, tali che determinaron la moglie a separarsi da lui per non finir miseramente all’ospedale.
Nè la collera dei compagni contro il fuggitivo si spense sì facilmente : essi obbligarono l’ Andreini a redigere una lunga requisitoria, che firmarono tutti, compreso il Nettuni.
É noto che scena deriva da Σκιας, umbra, per quell’ombra che formavano i rami e le fronde soprapposte ai tabernacoli o alle tende fatte di tela, di lana, o di pelli per difendere gli attori dal sole e dalle piogge prima che essi fossero ammessi a rappresentare in città. […] Erano essi fra loro accordati con musica ragione in guisa che scossi dalla voce la rimandavano più sonora e modulata. Ponevangli a tal fine in un luogo vuoto rivolti verso la scena e sostenuti da cunei che si ponevano sotto di essi, perchè non toccassero le pareti. […] Colui che ad essi presedeva, riceveva un presente o sussidio considerabile che esauriva l’erario pubblico, e pure non bastava alle spese necessarie. […] Di essi abbiamo più distintamente favellato nelle Vivende della Coltura delle Sic.
Nè cred’io già che d’altri sensi impresso Sia il tuo bel cor ; essi (non l’abbi a sdegno) Fan testimon di tua bell’alma espresso ; Così quest’opra tua recando al segno, Gli atti, gli accenti che t’è usar concesso Fan testimon del tuo felice ingegno.
Risorta ne’ più barbari tempi in Italia, si diffuse tosto per tutta Europa, e venne anche dagli oltramontani coltivata a segno, che ben si può dire aver essi per qualche tempo dato la voce e fatto agl’Italiani la battuta. […] Erano essi nondimeno dispensati con sobrietà, aperti, chiari, di gran tocco, dirò cosi, non leccati e minuti. […] [2.10] Quelle repetizioni poi di parole e quegli accozzamenti fatti soltanto in grazia della musica e che non formano senso veruno, quanto non sono essi mai noiosi ed insoffribili? […] Non si trovava la via da accordare col nostro canto le orecchie dei Francesi, ed era da essi loro rigettata l’oltramontana melodia, come vi fu altre volte aborrita la oltremontana reggenza. […] Che già avendo essi scosso di per sé il giogo di alcuni vecchi pregiudizi, come è aperto a vedersi in alcune delle loro composizioni, e nell’Andromaca singolarmente del Iomelli, riuscirebbe loro meno difficile che agli altri lo entrare nella intenzion nostra, che è di secondar sempre e di abbellir la natura.
Adocchiare per esser adocchiati, aggirarsi da scioperati da palchetto in palchetto, scoprir nelle regioni della galanteria paesi non per anco tentati, spiar in aria di somma importanza i segreti movimenti d’Irene o di Nice verso Celadone o Silvandro, riempiere l’intervallo di quelle ore lunghissime con isquisita e deliziosa mormorazione, oppure col giuoco (quella occupazione insipida ritrovata dall’ozio, e dall’avarizia per consolar tante anime vuote, che non sanno che farsi della propria esistenza) ecco il fine, al quale rivolgono essi la grand’arte di Sofocle e di Menandro. […] Se per disavventura delle lettere s’affibbiano essi la giornea d’Aristarco per giudicare, l’impegno loro si riduce ad accozzar con freddissima logica una serie di precetti comunali tratti dall’esempio e dall’autorità degli antichi mal intesi e peggio gustati da loro per misurar poscia su quelli come sul letto di Procuste i più celebri ingegni. […] Non dee solamente cercare sterili fatti, ma l’ordine e il congegnamento tra essi: dee usar di stile conveniente al soggetto, ma senza tralasciar le riflessioni opportune, e il colorito talvolta vivace: ora rispettar modestamente l’autorità, ora aver a tempo e luogo il coraggio di misurarla colla bilancia della ragione: quando apprezzar le particolarità, che servono ad illustrar l’argomento, quando troncarle allorché divengono oziose: dove avvicinar i secoli passati e presenti per rilevar col confronto i progressi delle arti, dove risalire fino ai principi a fine di rintracciar meglio l’origine della perfezione loro, o del loro decadimento. […] Avrebbono forse desiderato, ch’io fossi stato più circospetto: cioè nella significazione che danno essi a tal parola, che non avessi osato, di profferir il mio sentimento se non colla timidezza propria d’uno schiavo, che avessi incensato gli errori e i pregiudizi del secolo, e che avessi fatto l’eco vituperevole di tanti giudizi stoltissimi, che sentonsi ogni giorno ne’ privati discorsi e nelle stampe. né vi mancheranno di quelli, i quali, ricorrendo a’ luoghi topici della ignoranza, troveranno nel titolo di straniero una suspizione d’invidia contro l’Italia. […] Che se ciò nonostante alcun m’attribuisse intenzioni che non ho mai sognato d’avere: se dalla stessa mia ingenuità si prendesse argomento a interpretare malignamente le mie intenzioni, come dall’aver Cartesio inventato un nuovo genere di pruove fortissime a dimostrar l’esistenza d’Iddio, non mancò ch’il volesse far passare per ateista: se altro mezzo non v’ha di far ricreder costoro, che quello d’avvilir la mia penna con adulazioni vergognose, ovvero d’assoggettarmi ad uno spirito di partito ridicolo; in tal caso rimangano essi anticipatamente avvisati, che non ho scritto per loro, e che la mia divisa per cotal genia di lettori sarà sempre quel verso d’Orazio: «Odi profanum vulgus, et arceo.»
Ma il primo di essi, se si scompagna dal secondo, giudicherà dell’arte, e non del patetico; e sembra che il secondo per senso, trattandosi di commozioni e di affetti, perviene più prontamente del raziocinio a ravvisarli. […] Ma con tutte le sue ottime Riflessioni fatte sulla Poetica in generale, egli intanto conchiude, che solo “Omero l’incoraggisce, e Virgilio lo riscalda, e gli altri Poeti lo assiderano, tanto sono essi per lui languidi e freddi”. […] de’ quali il primo fu di età non meno che di frase ed espressione, e di naturalezza e semplicità vicino ad Omero, ed il secondo abbonda di tanta soavità, grazia, e delicatezza: così che da essi prese l’Epico Latino non poco di quel fuoco, che infiamma il P. […] Lascio Orazio, lascio Ovidio, non che il Tasso e l’Ariesto, e il Camoens, e Dante, e il Petrarca, benchè in essi di bell’ardore si accendano tutti quelli, che ambiscono diventar Poeti, e che trovano le loro Poesie fatte appunto per mettere in movimento la sensibilità. […] Intanto essi in tali favole sembrano meno eloquenti e meno appassionati, che non sono nel Poliuto, nella Fedra, nell’Alzira.
Lo secondarono con debolezza alcuni scrittori; ma in vece di tener dietro alla luce permanente de’ buoni esemplari imitati da Opitz, essi corsero appresso ad uno splendore efimero che gli abbacinò e fè loro perdere le tracce del buon sentiero. […] Pensarono poi a formarsi un’opera nazionale, ma sia per debolezza di coloro che l’intrapresero, ovvero sia per l’indole dell’idioma, essi riuscirono così infelicemente, che atterriti dalle critiche tralasciarono di più comporre opere in lingua tedesca.
Maria di Parma, che pretendeva il pagamento di un debito di lire trecento che essi non riconoscevano, sapendo di dovergli solo il fitto del palco, il quale anche speravano fosse loro condonato in ragione della scarse faccende. […] In un d’essi Eularia è chiamata gloria della Compagnia del Zanotti, la più stimata che vadi a torno : ma si trova fermata in Parigi da S. […] Lo afferma lo stesso Francesco Maria, che fu l’ultimo d’essi. » Diciotto figliuoli !
Sia poi che il nobile fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale fu gentiluomo di camera di Errico IV re di Francia, e non commediante, come disse ne’ suoi Giudizii il Baillet ripresone a ragione da Pietro Baile) s’inducesse per l’esempio del Vecchi a formar del dramma e della musica un tutto inseparabile in un componimento eroico e meglio ragionato, ovvero sia che le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti amici sopravvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo che il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Corsi intelligente di musica, mostrò all’Italia i primi veri melodrammi eroici nella Dafne, nell’Euridice e nell’Arianna, i quali per l’eleganza dello stile, per la felice novità musicale e per la magnificenza dello scenico apparato, riscossero un plauso universale. […] Bisogna dire che questi sieno i pretti originali degli Eruditos à la violeta dell’ingegnoso nostro amico Joseph Cadhalso y Valle, e che appena leggono pettinandosi alcuni superficiali dizionarii o fogli periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua, e che con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral franchezza che il canto rende inverisimili le favole drammatiche . […] Ma bisognerebbe prima di ogni altra cosa far loro intendere che cosa importasse appo gli antichi orchestra, timele, melopen, tibie uguali, disuguali, destre, sinistre, serrane, e modo Frigio, Ipofrigio, Lidio, delle quali cose è forza che essi non abbiano mai avuta veruna idea. […] Una copia esatta del vero, osserva egregiamente l’immortal Metastasio nel capitolo IV dell’Estratto della Poetica d’Aristotile, renderebbe ridicolo lo scrittore, il pittore, ed il poeta, essendo essi obbligati ad imitare non a copiare il vero, in maniera che non perdano di vista ne’ loro lavori la materia propria delle rispettive loro arti. […] Ma sottilizzino pure a loro posta per confinar la drammatica a questo vero immaginario, che essi dureranno la vana fatica delle Danaidi, e nol conseguiranno, o rinunzieranno al teatro.
Così duraron qualche anno ancora, studiando accanitamente, sfogandosi in crear parti di grande rilievo, e guitteggiando pei teatri delle Marche e dell’ Umbria, fino a che gli omai valenti artisti, saliti a grado a grado in rinomanza, condussero e diressero essi stessi una compagnia ricca di ottimi elementi, della quale era lei prima donna applauditissima e nelle commedie scritte e in quelle improvvise, e nelle parti comiche e in quelle tragiche ; e lui primo amoroso e incomparabile Arlecchino.
« Modenese, nacque – dice il Bartoli – da onesta e civilissima famiglia, occupando il padre suo la carica di cassiere nell’ impresa dei pubblici lotti di tutto lo Stato del Serenissimo di Modena. » Dallo spoglio fatto nell’Archivio comunale di Modena, più Goldoni col nome di Antonio risultan quivi nati nella prima metà del secolo scorso, ma non si può dire qual sia il nostro di essi.
Grisanti Agostino) ; che non contenti d’ haverci stancato le città la Compagnia del Duca di Parma aveva prima d’essi recitato a Verona trenta commedie) dove dovevamo andarci noi, cercono ancora di non lasciarci fare le nostre opere, che sono mie, in Venetia.
II, pag. 143), che è questo : il Sacco aveva una Compagnia troppo ricca di attori pagati, e voleva disfarsi di alcuni di essi.
La seconda, che essendo ciascuno di essi rami rinato dipersè e cresciuto separatamente dagli altri, la loro unione non ha potuto rendersi tanto adattata e pieghevole quanto la medesima lo era presso agli antichi. […] Quanto più moltiplicavano essi i capricci dell’arte tanto più si scostavano dalla natura. […] Noi non possiamo abbastanza comprendere cosa fossero i loro generi diatonico, cromatico, edenarmonico, parole che la moderna musica prende in significazione affatto diversa da quella che da essi ci vien tramandata. […] Ma parlando in tal guisa qual idea si formano essi della imitazion poetica e musicale? […] Non s’accorgono essi che dove la lingua non ha una prosodia regolare e stabile, la misura musicale debbe anche partecipare di siffatta irregolarità?
Imperocchè io pensava che i Poemi Comici si dovessero esaminare dall’arte, dal colorito, dal piacevole, e dallo stile, e circa l’oscenità di alcuno di essi bastasse accennarla, come ho fatto io, ad esempio del dottissimo Brumoy che così trattò nelle Commedie di Aristofane, e come fece D. […] Quando pensai a distendere una Storia Critica de’ Teatri a vantaggio della gioventù, credei a ciò conducente renderle, prima di ogni altra cosa, più famigliari i Drammi Greci, e Latini, che per la mollezza del tempo corrente, e per essersi essi allontanati dalle nostre usanze, venivano negligentati. […] Credeva, che se essi non recitavano l’eleganti Commedie surriferite, altre ne producevano scritte da loro con purezza, grazia, ed arte (lontane certamente dalla freddezza, intollerabile in tutti i secoli, e in tutti paesi, di quelle di Naarro), e perciò comprese sotto il titolo di Commedie erudite 1. […] Siccome non si schiva il frequentare la Casa dell’Orazione per l’abuso fattone talvolta da chi vi amoreggia con cenni, sorrisi, e parolette; nè si bandisce il ferro, perchè con esso si versa il sangue umano; nè dobbiamo fisicamente cavarci gli occhi, perchè per essi può entrar la morte: così pensava il Signorelli non doversi trascurare lo studio di un eccellente modello dell’arte, quando anche alcuna cosa vi si dicesse con qualche libertà. […] Ma questo Achille degli argomenti Lampigliani sembra assai debole al Signorelli: perchè potevano quei zelanti Accademici essere spinti a riconvenir Lope, non per aver veduto in migliore stato il loro Teatro, ma per sapere teoricamente che in migliore stato erano i Teatri Greci, e Latini, e che le stranezze di Lope si opponevano alla ragione, di cui essi, come Letterati instruiti, non ignoravano gl’insegnamenti.
La tragedia di Medea espressa mirabilmente per gesti da Mnestere, poteva recar vergogna alla ragione perchè le matrone Romane innamoravansi di tali istrioni ballerini, o perchè essi prendevano dominio su gl’imperadori e influivano negli affari del governo? […] Divennero poi essi giuochi annuali l’anno 580 per un editto pubblicato nel consolato di Lena e Postumio. […] La stagione poi in cui essi celebravansi, era quella del piacere: Quaerere conabar, quare lascivia major His feret in ludis, liberiorque jocus. […] A poco a poco la libertà e la lascivia di tali giuochi arrivò agli eccessi narrati, nè in essi si sofferse veruna rappresentazione seria e tragica: Scena levis decent hanc; non est, mihi crede, non est Ista cothurnatas inter habenda deas. […] Or qual meraviglia che in essi le mime comparissero tutte nude sulle scene?
La tragedia di Medea espressa mirabilmente per gesti da Mnestere poteva recar vergogna alla ragione, perchè la vita del pantomimo era dissoluta, o perchè le matrone Romane innamoravansi di tali istrioni ballerini, o perchè essi prendevano dominio sugl’ imperadori e influivano negli affari del governo? […] XVIII, c. 29) per ordine della Sibilla; nè prima dell’anno 580 essi divennero annuali per un editto pubblicato nel consolato di Lena e di Postumio. […] La stagione poi in cui essi celebravansi, era quella del piacere: Quærere conabar, quare lascivia major His foret in ludis, liberiorque jocus. […] A poco a poco la libertà e la lascivia di tali giuochi arrivò agli eccessi narrati, nè in essi si sofferse veruna rappresentazione seria nè tragica nè comica: Scena levis decet hanc; non est, mihi credite, non est Ista cothurnatas inter habenda deas. […] Or qual maraviglia che in essi le mime comparissero nude sulle scene?
In tale stato potevano essi conoscere altri spettacoli scenici, che quelle prime rozze, ed informi rappresentazioni chiamate sacre, nelle quali si accoppiavano sconciamente la farsa, e la religione? […] Incoraggir bisogna innanzi altro i poeti che sono l’anima degli spettacoli teatrali; cercare ogni via perchè si sollevino dalla turba de’ versificatori; instruirli della ragion poetica stella polare delle rappresentazioni; essi così formati sapranno l’arte di dipingere i caratteri e le passioni, e guidati da un soprio discernimento inspireranno il proprio entusiasmo agli attori, i quali pieni di questo spirito rappresenteranno con energia, naturalezza e sensibilità quanto la natura umana loro presenta; là dove copiando unicamente gli attori stranieri confonderanno gli eccessi e le bellezze per mancanza di vero lume e rappresenteranno sempre con istento e durezza.
Si distinguevano essi con vari nomi secondo i vari mestieri. […] Noi ignoriamo se gli arabi conoscessero le note figurate, o per dir meglio, abbiamo non poca ragione di credere che fossero affatto sconosciute ad essi. […] Pure volendo giudicare dai frammenti che ci restano, essi ci fanno vedere tutto il contrario. […] I vantaggi che recarono essi alla musica non meno pratica che teorica sono tanto riguardevoli, che ommettendoli, farei torto alla scienza, alla storia e alla mia patria. […] Si facevano essi colla cinnira o cetra strumento non conosciuto da noi, che rassomiglia ad una spezie di lira od arpa piccola.
Il Pepoli fece imprimere una parte di essi ne’ due suoi tometti che abbracciano il tomo primo e parte del secondo dell’edizione dell’autore, e pur mancanti dell’erudite Note del fu Carlo Vespasiano.
Messa assieme una discreta fortuna, lasciò il teatro per darsi alla mercatura, nella quale, ingannato da’più scaltri di lui, perdè tutti li averi e con essi la ragione.
Il Salveraglio pubblicò per le nozze Pupilli-Kruch (Milano, Bortolotti, 1890) la descrizione contemporanea dello spettacolo ; in cui, oltre alla nota particolareggiata e interessantissima delle spese per l’allestimento scenico e il vestiario degli attori, è anche l’elenco di essi e de' personaggi che figuravano nell’Intermedio del precipizio di Fetonte.
Furon poi con Petronio Zanerini, alla cui scuola ella salì al grado di prima donna assoluta, e finalmente formaron essi compagnia, che durò fino al 1802, anno della morte della moglie.
Zingari della commedia dell’arte essi si sbandavano paurosamente, a quando a quando, come, nel verno, soffiasse sulla loro straccioneria la raffica della miseria, livida nemica di Talia ridente, oppur come – impensierito da’ reclami dei padri di famiglia che vedevano i lor figliuoli impegolati fra le attrici – il severo Tanucci fulminasse la banda comica con decreti di immediato scioglimento.
Sanno ben essi di non doversi il Buon Teatro considerar come semplice passatempo, ma sì bene come saggio espediente sugerito dalla filosofia per diffondere, per la via del diletto, la coltura e la virtù e la morale nella società, e per secondar le vedute de’ legislatori; di che mi occupai ne’ miei Elementi di Poesia Drammatica impressi in Milano. […] Di fatti in Grecia gli uomini più illustri o composero essi stessi pel teatro, o ne promossero lo studio, o servirono di scorta a’ poeti.
Non ha d’avere dittonghi di suono indeterminato, e confuso, perché non avendo essi un valore determinato nella pronunzia, non possono né meno riceverlo dalle note, le quali non hanno in tal caso che una espressione insignificante. […] Ne’ versi fatti per musica cercasi non tsnto la forza determini quanto la relazione che hanno essi col canto: per lo che voglionsi parole composte di vocali chiare ed aperte, vuolsi un tal collocamento d’accenti, che affretti o rallenti in proporzione il movimento senza che abbia a inceppare in articolazioni troppo difficili, o in suoni confusi, dal che ne risulti sintassi più facile, e, a così dir, più scorrevole, che metta ne’ suoni una opportuna distanza tra il piano, e il forte, e tra le variazioni, e le pause della voce. […] Cotal lingua confusa poi colla latina, e notabilmente alterata in seguito da gotiche, e longobardiche mischianze ha conservato nondimeno nella volgare favella l’originaria dolcezza di suono in gran parte orientale, onde molti di essi popoli traevano principio, per quella ragione avverata in tutti i secoli e da tutte le genti, che l’accento naturale è più durevole delle leggi e dei governi. […] Lo che essi non avrebbero mai eseguito se il desiderio di celebrar la sua Laura nel primo, e di far leggere il suo Decamerone dalle femminette nel secondo, non avesse lor fatto nascere il pensiero di divenire scrittori. […] Parlo del celebre Alambert, nel quale essi neppur sospettano, che si possano trovare le seguenti parole: «Una lingua che abbondasse in vocali, e sopra tutto in vocali dolci come l’italiana, sarebbe la più dolce di tutte.
Sia poi che il nobile Fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale fu gentiluomo di Camera di Errico IV re di Francia, e non commediante, come disse ne’ suoi Giudizj il Baillet ripresone a ragione da Pietro Baile) s’inducesse per l’ esempio del Vecchi a formar del dramma e della musica un tutto inseparabile in un componimento eroico e meglio ragionato, ovvero sia che le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti amici sopravvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo che il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Corsi intelligente di musica, mostrò all’Italia i primi veri melodrammi eroici nella Dafne, nell’Euridice e nell’Arianna, i quali per l’ eleganza dello stile, per la felice novità musicale e per la magnificenza dello scenico apparato, riscossero un plauso universale. […] Bisogna dire che questi sieno i pretti originali degli eruditos à la violeta dell’ ingegnoso mio amico il signor Cadalso y Valle, e che appena leggano pettinandosi alcuni superficiali dizionarj o fogli periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua, e che con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral sicurezza, che il canto rende inverisimile le favole drammatiche. […] Una copia esatta del vero (osserva egregiamente l’immortal Metastasio nel capitolo IV dell’Estratto della Poetica d’ Aristotile) renderebbe ridicolo lo scultore, il pittore ed il poeta, essendo essi obbligati ad imitare, non a copiare il vero in maniera che non perdano di vista ne’ loro lavori la materia propria delle rispettive loro arti. […] Ma sottilizzino pure a loro posta per confinar la dramatica a questo vero immaginario, che essi dureranno la vana fatiga delle Danaidi, e nol conseguiranno, o rinunzieranno al teatro.
Se alcuno di essi bestemmiasse e fosse inteso da’compagni, questi dovevan subito andarlo ad accusare.
Pare che e’ si sien fitti nell’animo di non mentire per conto niuno, di non volere a niun patto darla ad intendere all’udienza; e se ella per caso gli avesse mai presi in iscambio di Achille o di Ciro, che sono da essi rappresentati sulle scene, fanno ogni lor potere di trarla d’inganno e di certificarla, come disse un bello umore, che essi pur sono in realtà il signor Petriccino, il signor Stoppanino, il signor Zolfanello. […] E per essi non rimane che, quando bene la musica fosse bella e costumata, non riuscisse stemperata e leziosa.
E perchè questo è uno de’ possibili non lontanissimi dal convertirsi in atto, e un tanto accurato ragionatore come il Signor Lampillas, non avrà avanzata simil cosa senza documenti, vediamo quali essi siano. […] Perchè, risponde, essi non meritano il nome di Pastorali. […] Ammetto intanto la correzione già da me stesso fatta anticipatamente nel mio Libro dell’enorme equivoco di aver chiamati Colloqui Pastorali tutte le Favole del Lope, quando tra essi vi sono anche delle Commedie.
Negli affetti di spavento o di mestizia servono essi ad eccitar in nostro aiuto l’altrui commiserazione facendo vedere, che ci sovrasta un qualche pericolo. […] Ciò nonostante gl’Italiani non devono escludersi dalla gloria che giustamente ad essi appartiene. […] Erano essi preceduti e seguitati da un numero infinito di strumenti che suonavano diverse sinfonie rispondendosi gli uni agli altri a vicenda. […] Formavano essi una spezie di dramma composto di parole e di danza. […] Permettasi ai miei giusti timori la dura sentenza che m’ispirano essi.
I Cinesi soli par che avessero avuti musici castrati; ma sebbene di essi, come narrammo nel tomo I, si servissero ne’ musicali trattenimenti dati nelle stanze delle imperadrici, non gli adoperarono mai nelle recite teatrali. […] Potrebbe affermarsi sulla storia che tra’ Greci cominciasse la castrazione ad usarsi per mestier musicale trovandosi fra essi introdotta intorno al secolo XII. […] Dá ciò si deduce che molti anni prima del 1640 (in cui scrisse Pietro della Valle che essi erano assai comuni sulle scene Italiane) gli eunuchi si erano introdotti ne’ nostri melodrammi. […] Ha cinque ordini di palchetti alla moderna; il proscenio per ogni lato ha due pilastri con una nicchia nel mezzo di essi colle figure di Pallade; e nel mezzo vi è scritto Theatrum Fortunæ. […] E’ ciò in essi mala fede o ignoranza?
Il giorno seguente alcuno del nostro equipaggio credette di veder rappresentar da essi una specie di dramma diviso in quattro parti.
Sapevano essi non pertanto trovar i mezzi più acconci a perfezionar il teatro, e a renderlo ognor più conforme alle mire che si proponeva il governo. […] Si riputava dotto fra essi chi sapeva leggere, e molti ignoravano persin la maniera di scriver il proprio nome. […] 31 Basta la semplice esposizione dei fatti per capire quanto la rappresentazione di essi divenga impropria sul teatro, ove la libertà degenera sì spesso in licenza, e l’allegrezza in tripudio. […] Giova fermarsi alquanto sopra di essi per conoscere i vari costumi de’ secoli, e fin dove possa giugner l’abuso che fa talvolta l’uomo degli oggetti più rispettabili. […] «Diffatti (dicevano essi, appigliandosi a quella ragione, ch’è stata mai sempre lo scudo della ignoranza, e il baloardo del fanatismo) i nostri Maggiori persone illibate e santissime, la celebravano, perché non dovremo celebrarla ancor noi?
Se il cuore non vi si mischiava per nulla, gli occhi almeno trovavano il loro pascolo, e se il terrore e la pietà non laceravano gli animi degli spettatori, si sentivano essi rapiti dall’ammirazione, il quale affetto sostituito ad ogni altro rendeva pregievote uno spettacolo contrario per se stesso al buon senso. […] O fosse che la riflession gli portasse a così interessante scoperta, o si lasciassero essi condurre da quell’intimo sentimento del bello che genera il gusto e che vien generato dall’istinto, o nascesse ciò dalla perpetua e inalterabile oscillazione, per cui le facoltà appartenenti alla immaginazione, e alla sensibilità passano dal pessimo stato al mediocre, e dal mediocre all’ottimo per ricader di bel nuovo nel pessimo; certo è che il cuore riacquistò i suoi diritti, che dai sensi gli erano stati ritolti, e che la musica da un puro accozzamento di suoni divenne un’arte imitativa capace di esprimere tutte le passioni e di rappresentare tutti gli oggetti. […] Non più si collocarono alla rinfusa gli strumenti, né si credette che il numero e la scelta di essi nulla avesse che fare colla espressione, ma si pensò bensì che l’una e l’altra di queste cose contribuissero assai a produrne il total affetto. […] Ivi ad imitazione di Demostene, di cui si dice che andasse ogni giorno al lido del mare affine di emendare la balbuzie della sua lingua col suono de’ ripercossi flutti, gli esercitavano essi facendoli cantare dirimpetto al sasso, il quale, replicando distintamente le modulazioni, gli ammoniva con evidenza de’ loro difetti, e gli disponeva a correggersi più facilmente. […] Questa volava indistintamente per tutti i tuoni per quanto fossero essi gravi, acuti, e profondi.
E primieramente mercè la scelta e il giudizioso intreccio di tali piedi, e di tali numeri essi perverrebbero a fissare, e a determinare l’espressione vaga, e sovente difettosa delle lor sinfonie. Mi farò in oltre a svegliare la loro emulazione mostrando il grado di perfezione a cui essi potrebbero inalzare la nostra lingua. […] E questo ci rende ragione della quantità prodigiosa de’ loro strumenti, e in un ci scopre come essi giunsero a formarsi delle proprietà e de’ modi un’idea così ben fondata che giammai li confusero insieme. […] Onde può rilevarsi a qual segno monti a nostri compositori il fare uno studio serio e profondo non solo delle differenti proprietà de movimenti e de’ modi, ma ancora di quelli de’ suoni; studio che gli antichi aveano molto a cuore, e che caldamente raccomandavano ai principianti, come la parte della musica la più utile all’eloquenza e in cui mostrerò a qual grado di perfezione essi salirono. […] I filosofi gridarono forte contro tale abuso che se ne faceva: pure malgrado il loro zelo e l’eloquenza loro i piaceri della ragione furono sagrificati a que’ dell’orecchio, e d’allora in poi essi compiansero la perdita della musica antica.
Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi della buona condotta, dell’urbanità e del rispetto che essi mostravano per la nazione, e con pena gli vedeva partire. Ciò mosse alcuni Francesi a comporre per essi qualche favola nella propria favella in cui cercarono di unire la ragione e la novità alle grazie dell’arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava della francese e dell’ italiana istrionica. […] Ecco come egli ne ragiona con conoscimento nel Dialogo sopra la tragedia antica e moderna nella sessione VI: Osservo ne’ Francesi piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie che un attore che esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliano rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno del tragico. […] Senza tale affettazione, parlando essi secondo che esige la natura del dialogo stesso, le parole profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo della scena, e più spiccate a misura che si avvicini l’attore; l’arte che non sappia combinare il comodo di chi ascolta colla verità dell’espressione, è la madrigna della natura. […] “L’arte della declamazione (dice uno di essi ironicamente) si è fra noi inalzata a un punto sublime.
Ma di essi a me non occorre di ragionare particolarmente. […] In effetti che non doveano essi attendere da un’arte destinata a sì nobil uso ? […] Dal che si vede, che quanto meno interessanti sono gli attori, tanto più deve essere in essi perfetta la pronunziazione. […] Ciò che sono le note per essi, è la coregrafia pe’ ballerini, come ben notò l’Algarotti. […] Ecco ciò che scrive uno di essi, che più si è distinto a’ nostri giorni ne’ balli teatrali: «Finché i balli dell’opera in musica non saranno uniti strettamente al dramma, e non concorreranno alla sua esposizione, al suo nodo e al suo scioglimento, essi saranno freddi e spiacevoli.
Il Baschet determina il numero delle persone componenti le due compagnie dal numero delle persone sovvenute in essi documenti.
Bartoli — d’una figura assai gentile, di sembianze geniali, e gli occhi suoi sono due vivi specchi in cui sulla scena conosconsi chiaramente gli affetti interni dell’animo, spiegando con essi valorosamente a meraviglia e il duolo e il gaudio e l’amore e lo sdegno.
[4] Alla sconvenevolezza nella figura s’aggiugne come una conseguenza la poca espressione nei movimenti, difetto che hanno essi comune con quasi tutti gli altri cantori. […] Quale idea si formano essi adunque del luogo dove si trovano, e dei personaggi che rappresentano? […] Dovrebbe dar maggior lume e risalto all’idioma imitativo degli strumenti ora con lunghe pause e marcate che aprano largo campo all’azione di essi, ora con quei segni inarticolati che sono la favella dell’anima, e che mostrano la superiorità di un attore che sente e conosce non solo quello che dice, ma quello ancora che deve tacersi. […] Cose tutte che non ponno provenire da una serie indeterminata di suoni, ma dalla determinazione bensì che ricevono essi suoni dalle parole, le quali, facendo vedere la dipendenza in cui sono gli uni dalle altre, eccitano le stesse idee e i movimenti stessi ch’ecciterebbe la presenza degli oggetti rappresentati. […] Quindi non è da maravigliarsi se l’uditore, il quale prende i suoni per se stessi e non per quello che rappresentano, cerca appunto nella diversa combinazione di essi quel piacere, che non può ricavare da una poco intesa e mal conosciuta imitazione.
Quando poi si costruirono edifizii chiusi addetti unicamente agli spettacoli scenici, essi presero la forma di quelle case e corti nella costruzione sì de’ palchi superiori, e della platea, e dello scenario inferiore che ne occupava una porzione, e ritennero il nome di corales. Madrid ne ha due che appartengono al corpo amministrativo che rappresenta la Villa che tra noi si diceva Città, e dalle due strade ove essi sono dette del Principe, e della Cruz, chiamaronsi Coràl del Principe, Coràl de La Cruz. […] L’apparato di essi sino al 1770 in circa consisteva in un proscenio accompagnato da due telai o quinte laterali, e da un prospetto con due portiere dette cortinas, dalle quali solamente entravano, ed uscivano gli attori con tutti gl’inconvenienti che nuocono al verisimile e guastano l’illusione. […] Avendo io scritto che di essi rimane oggi appena una fredda e serena parzialità , non ne ho anzi espressa implicitamente l’esistenza?
Egli assunse in teatro il nome di Flavio (lasciatoci dal Ruzzante), specchio degli Innamorati, che, bello, galante, poeta, musicista, gentile come un cortigiano, attillato come uno spagnuolo, la vince nel cuore di Fiorinetta su tutti gli altri, per quanto sfoggio essi facciano delle loro ricchezze ; e tra' suoi Scenarj cinque ve n’ha intitolati dal suo nome di teatro, e in cui egli è protagonista : La fortuna di Flavio, Flavio tradito, Flavio finto negoziante, Le disgrazie di Flavio. […] Egli dice : Il suo teatro non è scritto in dialogo, ma solamente esposto in semplici scenarj, che non sono così concisi come quelli di cui facciamo noi uso, e che esponiamo attaccati ai muri del teatro dietro le quinte, ma che pure non sono tanto prolissi da poterne trarre la minima idea del dialogo : essi spiegano soltanto ciò che l’attore deve fare in scena, e l’azione di che si tratta, e nulla più. […] Porta, e su di esso distende minutamente le sue regole, enumerandone prima i personaggi, assegnando a ciascuno di essi le case, prima o seconda, di destra o sinistra, dicendo l’argomento, spiegando i lazzi e assegnandoli a'varj punti della Commedia. […] i et ambiziosi di dominio et d’impero, talchè questi poveri huomini usi a una fratellanza fra di loro, mai si ridurrebbon con essi in una servitù pacifica et quieta, et questi altri mai si divezzerebono dal voler dominare et comandare, perchè si san troppo usi, et hanno rotte troppe scarpe in quel mestiero, et io gli ho per scusati, perché ancor' io più volentieri ho comandato che ubbedito, et questo è desiderio innato in ciascun’ huomo, et però ardisco di dire immutabile, anzi che cresce cogli anni.
Passò poi al ruolo de’ fratelli, nel quale non fu ad essi inferiore ; e sposatosi colla comica Malvina Simoni, egregia prima attrice giovine, si fece conduttore di una buona compagnia, in cui la moglie assunse il grado di prima donna assoluta.
Il Gherardi nella prefazione alla sua Raccolta del Teatro Italiano, dice di non aver conosciuto che Gradelini e Pulcinelli che non piacquer mai ad alcuno ; e però non se ne trova traccia nelle scene della sua raccolta, e se li ha nominati nella prefazione, si è perchè essi sono stati alla Porta del Teatro italiano.
Dove sono essi andati? […] Noi ad essi siamo Ammone, Delfo, Dodona, Febo, o Apolline . . . […] Nettuno gli ricorda che essi vengono per trattar di pace. […] Ἵππος senza dubbio ha prodotto Ἵππεῖς, cavalieri, per lo nobile uso che essi fanno del cavallo. […] ovvero altri scrittori prima di essi ne composero a tal uso?
L’amor d’Oreste, e quello d’Elettra mi sembrano il fianco debole di tal componimento, mentre essi con pena del leggitore lo distolgono da un oggetto che tutto lo debbe occupare, e accrescono circostanze che gli rendono penosa l’attenzione senza aumentar l’interesse dell’azione principale. […] Voltaire si é di fare i suoi personaggi troppo ragionatori, e di mostrare in essi assai frequentemente se stesso232. […] Non piacquero gli ultimi due atti della Zulima, e infatti essi deludono le speranze concepute ne’ primi ec. ec. […] «Osservo (egli dice tralle altre cose nella sessione VI) ne’ francesi piuttosto un poeta, il quale recita le sue poesie, che un attore, il quale esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliono rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno del tragico». […] «L’arte della declamazione (dice ironicamente un di essi) si é fra noi alzata a un punto sublime.
Dovesono essi andati? […] Tutto ciò che vedesi sul teatro viene da essi adattato alla storia di Elena. […] Noi ad essi siamo Ammone, Delfo, Dodona, Febo e Apolline…. […] Nettuno gli ricorda che essi vengono per trattar di pace. […] Ὶππος senza dubbio ha prodotto Ὶππεις, cavalieri, per lo nobile uso che essi fanno del cavallo.
I), perciochè in essi si legge che i canonici di quella chiesa doveano dare in anno quolibet dicte Schole duos Clericos sufficientes pro Maria & Angelo & bene instructos ad canendum in festo fiendo more solito in die Annuntiationis; e i Castaldi della Scuola eran tenuti providere dictis Clericis qui fuerint pro Maria & Angelo de indumentis sibi emendis per dictos Castaldiones; e nelle Parti della medesima scuola si legge: Cantores . . . habeant soldos X pro quolibet . . . in die Annuntiationis B.
Oltre la lettera dedicatoria, il Montini diresse ad essi il seguente SONETTO Del Felsineo Leon regger il freno, Librar con giusta lance e premj e pene, Donar a' Patrj Figli ore serene, Renderli in pace fortunati appieno : Nudrir quasi in bel Ciel sul picciol Reno Lucide stelle di saver ripiene, Fra' magnanimi Eroi fruir quel bene, Premio della virtù, che non vien meno : Poggiar di gloria all’ultimo confine, Opre son vostre, il cui alato suono, Vola alle regïoni alte, e divine.
Ma è da credersi che gran parte de'costumi del Sand, e specialmente de'colori di essi, sieno immaginari, non essendo determinati da alcun documento.
Il legislatore deificato poi da’ suoi seguaci veniva onorato da essi col titolo di padre della strage, di nume delle battaglie, di struggitore e d’incendiario. […] A questo fine era lor d’uopo farsi creder dal volgo superiori agli altri nella scienza e nella possanza, ritrovando una tal arte che supponesse una segreta comunicazione tra il mondo invisibile e il nostro, e della quale essi ne fossero esclusivamente i possessori. […] [12] La religione cristiana, apportando seco l’idea semplice, vera e sublime d’un unico iddio, distrusse nella Scandinavia i deliri della idolatria, e con essi la potenza dei Rymers, che ne erano il principale sostegno. […] Perciò insiem coi palazzi e le selve incantate, colle anella, le armi, e le verghe fatate, cogli endriaghi, e gl’ippogrifi dotati d’intelligenza, coi giganti, nani, damigelle, e scudieri a servigio delle belle o in loro custodia, cogl’incantatori, le fate, e i demoni or favorevoli or nemici, vi si leggono fellonie de’ malandrini severamente punite, provincie liberate dai tiranni e dai mostri, cortesie, e prodezze impareggiabili de’ paladini, pudor seducente nelle donne e costanza congiunta a dilicatezza inesprimibile, e tali altre cose, le quali schierate innanzi agli occhi d’un tranquillo filosofo, e paragonate con quelle d’altri tempi, lo conducono alla cognizione generale dell’uomo, e a disingannarsi della vana e ridicola preferenza che gli interessati scrittori danno ai costumi delle nazioni e de’ secoli che essi chiamano illuminati, sopra quei delle nazioni e de’ secoli che chiamano barbari66, [15] Alle accennate cause della propagazion delle favole debbe a mio giudizio aggiugnersi un’altra. […] E siccome per le cagioni esposte fin qui le favole e il maraviglioso erano, per così dire, l’anima di cosiffatti spettacoli a que’ tempi, perciò la musica ad essi congiunte fu creduta da tai cose esser inseparabile.
Esce un Morto, in cui essi ravvisano le sembianze del defunto re Amlet vestito di armi, il quale nel voler parlare al cantar del gallo sparisce. […] Parte con essi dicendo fra se: “La natura è sconcertata . . . . iniquità esecrabile! […] Amlet parla ad alcuni di essi con famigliarità; vuol poi sentir declamare una scena sulla morte di Priamo. […] Guildenstern, e Rosencrantz hanno seguito il lor camino verso Inghilterra; molto debbo dirti su di essi. […] Sull’esperienza del passato (io lo prevedo) non imiteranno la nostra ingenuità, come non l’hanno imitata finora, gli apologisti Spagnuoli; e se mai s’intalenteranno, scossi al fine dalla mia storia teatrale, di compilarne anch’essi una particolare del proprio teatro, che prima non ebbero in verun conto, essi del Signorelli non saranno menzione, se non per declamar contro di lui allorchè non dice a lor modo.
E quando non fossero per voi di uso veruno, potranno essi per avventura giovare a qualche altro, che si sentisse inclinato a scrivere Apologie. Felice se potrò far con essi, o che voi sempre con più vigore assaltiate, ed esterminiate i vostri avversarj, formando della Letteratura Spagnuola un’ Apologia da essere un monumento della vostra sapienza ære perennius; o se potrò almeno rimettere nel buon cammino qualche altro futuro Apologista traviato, sendo questo uno de’ benefizj chiamati innoxiæ utilitatis, che la Natura c’insinua di praticare, Ἐις ὀδὸν ἀλὐοντα ἀγε. […] E lasciando a parte i rimproveri della propria coscienza, e il deterioramento della riputazione presso il pubblico, si dee poi riflettere, che parlando in tempo, che gli avversarj vivono, e mangiano, e beono, e agiscono, essi per diritto di difesa non ometteranno di notare le vostre petizioni di principj, ignorazioni dell’elenco, i circoli viziosi, le anfibologie, e in oltre i fatti soppressi, i passi degli Autori stiracchiati, le congetture sofistiche, e allora il credito va tutto in fumo, e cadono al piano le apologie, e gli Apologisti. […] E benchè non parmi da rivocarsi in dubbio, che avessero gli Spagnuoli dato in essi alcun passo, anche prima del dominio Romano nella Penisola, non perciò si può mostrare, che questo vantaggio ricevuto avessero dal commercio co’ Greci, mancandone i documenti. […] Saverio Lampillas, che è certo, è incontrastabile, che essi vi vennero 1500. anni prima di Cristo1?
Avanti a loro Arrigo Glareano, scrittore svizzero, e Don Niccolò Vicentino de’ Vicentini, tentarono d’accomodar alla pratica moderna essi generi e modi, ma con evento poco felice, imperocché non compresero che la nostra musica appoggiata su fondamenti troppo diversi non ammettea il severo andamento di quella dei Greci. […] L’osservazione replicata di tal fenomeno fece considerar essi suoni come parti costitutive dell’armonia. […] Così era indifferente per essi qualunque cosa si mettesse sotto le note: prosa o verso, rozzo o gentile tutto era buono, e si giunse per fino a modular a più voci, e cantare il primo capitolo di San Matteo pieno, come sa ognuno, di nomi ebraici. […] La musica strumentale venne anch’essa perfezionandosi di mano in mano se non in quanto alla fabbrica più esatta di essi almeno nella maggior destrezza nel suonarli. […] Lo studio delle cose antiche fece loro conoscere che quella sorte di voce, che da’ Greci e Latini al cantar fu assegnata, da essi appellata “diastematica” quasi trattenuta e sospesa, potesse in parte affrettarsi, e prender temperato corsa tra i movimenti del canto sospesi e lenti, e quelli della favella ordinaria più spediti e veloci, avvicinandosi il più che si potesse all’altra sorte di voce propria del ragionar famigliare, che gli antichi “continuata” appellavano.
Sotto il regno del medesimo Francesco I vissero Antonio Forestier e Giacomo Bourgeois autori di alcune favole comiche già perdute; nè di essi altro ci rimane che il nome. […] Il motto che siamo per farne farà vedere che essi appena ne trassero i nudi argomenti che abbigliarono alla loro foggia.
Sotto il regno del medesimo Francesco I vissero Antonio Forestier e Giacomo Bourgeois che composero alcune favole comiche già perdute; nè di essi ci rimane altro che il nome. […] Io sono però d’avviso che essi appena ne trassero i nudi argomenti, che poi vestirono alla loro foggia.
Contemporaneo di Andronico e di Nevio fu Quinto Ennio poeta di essi più chiaro per sangue, per valore, per illustri amicizie e per lettere. […] Da loro frammenti non si ravvisa la via che essi tennero in costruire i loro Anfitrioni; ma è verisimile che come Plauto nel suo essi vi trattassero comicamente l’avventura di Giove con Alcmena, dipartendosi dal sentiero tragico probabilmente battuto da Euripide nella sua favola perduta intitolata Alcmena. […] Ciò che all’orecchio il Re da solo a sola Susurra alla Regina, essi pur sanno. […] Il padre di queste giovani indarno tenta di persuaderle ad abbandonare la casa de’ mariti; e la loro fermezza è premiata col ritorno di essi già divenuti ricchi. […] Abbondano anche oggi, ed abbonderanno sempre simili Ennii critici di que’ medesimi che essi saccheggiano.
E per ischivar l’infamìa che ad essi ne ridondava, si avvisarono probabilmente di guadagnar qualche poeta per attribuirne l’assassinamento alla stessa madre. […] Interessante e tenero n’è l’ultimo congedo ch’ella prende da essi e da Iolao. […] In tal periodo essi non cessavano di recitar versi tragici, e specialmente quelli del l’Andromeda come se si trovassero sul teatro. […] i posponeva Eschilo di lunga mano agli altri due, e fra questi affermava non potersi di leggieri decidere qual di essi fosse meglio riescito ne’ due differenti sentieri che corsero. […] Quando poi i moderni partendo da altri principii e accomodandosi al gusto ed ai costumi correnti fanno uso di nuovi ordigni per cattarsi l’attenzione de’ contemporanei, essi meritano tutta la Iode.
Io non ne nomino i meschini autori per rispettar la nazione; ma probabilmente essi troveranno ricetto nella Biblioteca del Sampere per morire in coro in siffatto scartabello, di cui in Ispagna altri già più non favella se non che il proprio autore. […] Tutto per essi è sconcerto, amarezza, disperazione, quando Agnese pietosa e magnanima intercede per la cugina da cui era stata offesa, promette di rinunziarle i beni ereditati per non lasciarla cadere nella miseria, e la riconcilia col padre. […] Ora quando a tali sainetti, ossieno salse comiche sapessero i poeti dar la giusta forma, essi a poco a poco introdurrebbero la bella commedia di Terenzio e Moliere. […] L’azione consiste nella morte di Manolo ferito da Mediodiente di lui rivale cui tutti gli altri personaggi fanno compagnia, buttandosi in terra e dicendo che muojono, ma subito l’istesso feritore ordina che si alzino, ed essi risuscitano insieme col trafitto Manolillo belli e ridenti.
Errico P. 1) perciocchè in essi si legge che i canonici di quella chiesa doveano dare in anno quolibet dicte Schole duos Clericos sufficientes pro Maria & Angelo, & bene instructos ad canendum in festo fiendo more solito in die Annunciationis”; e i Castaldi della scuola eran tenuti providere dictis Clericis qui fuerint pro Maria & Angelo de indumentis sibi emendis per dictos Castaldiones; “e nelle parti della medesima scuola si legge, cantores . . . habeant soldos X pro quolibet . . in die Annunciationis B.M.V., cum fiet representatio.”
Presso gli antichi tutti gli attori rappresentavano mascherati, essendo tra essi un delitto di mostrarsi al popolo con volto nudo; e se tra’ Romani alcuno deponeva la maschera era solo in pena di avere male rappresentato, per soffrire a volto scoperto le fischiate della plebe.
Presso gli antichi tutti gli attori rappresentavano mascherati, essendo tra essi un delitto il mostrarsi al popolo col volto nudo; e se tra’ Romani alcuno deponeva la maschera, era solo in pena di avere male rappresentato, per soffrire a volto scoperto le fischiate della plebe.
Laddove se le si accoppia una poesia troppo carica d’incidenti, l’affollamento di essi fa che l’una non vada mai d’accordo coll’altra, e che la musica non possa marcar le situazioni, che le somministra la poesia. […] Però si dee schivare che s’introducano nei melodramma, oppure se vi si introducono, non dovranno occupare se non un luogo subalterno, lasciando ad essi l’onore d’ottener posti più riguardevoli pella tragedia, dove una orditura più circostanziata apre più vasto campo allo sviluppo di tai caratteri. […] Ma, poiché essi sono talvolta necessari allo sviluppo degli avvenimenti, qual luogo deggiono ottenere precisamente nel melodramma? […] Le catene colle quali la natura l’ha legato agli altri esseri dell’universo, e la necessaria dipendenza, in cui vive, degli oggetti esteriori, lo costringono sovente a paragonarsi con essi, e a discoprirvi le relazioni segrete che passano tra la natura loro e la propria. […] È possibile trovar i gesti e il linguaggio, che s’appartiene ad essi.
Fin dal regno di Tiberio erano essi sì numerosi, e riceveano paghe sì esorbitanti, ch’egli si vide obbligato a rimediarvi104. […] Sono esse scritte in un latino assai barbaro, e ripiene di apparizioni e incoerenze, La prima di esse é divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, ch’é un pagano generale di Costantino, il quale va a combattere gli sciti, n’é vinto, é ricondotto da un angelo contra di essi, é vittorioso, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte l’imperadore non é più Costantino, ma Giuliano, dal quale Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Se però verso l’anno 1300 erano comuni in Italia tali divertimenti ne’ teatri di qualunque specie si fossero, non dee dirsi che essi cominciassero nel 1304 allorchè nella Toscana fecesi la festa, in cui s’imitava l’inferno co’ demoni e dannati che gridavanoc. […] Adeleita madre di Ezzelino e di Alberico palesa a’ figli di esser essi nati dal demonìo, e nell’accingersi a scoprire questo gran secreto perde i sensi, indi rivenuta racconta l’avventura.
Quanto al teatro la nazione sin dal regno di Carlo I avea cominciata una guerra letteraria che durò dieci o dodici anni, altri sostenendo gli spettacoli scenici, altri contro di essi scagliandosi. […] Si desidera però in essi scelta e venustà, e la decenza richiesta nella dipintura de’ costumi, per cui Terenzio tanto sovrasta a’ suoi posteri, l’unità di disegno nel tutto, e la verità, l’esattezza, e la precisione nelle parti: un motteggiar lepido e salso, pungente ma urbano alla maniera di Menandro che ammiriamo in Ludovico Ariosto: le grazie e le pennellate franche di Nicola Machiavelli che subito caratterizzano il ritratto: la vivacità ed il brio comico di Agostino Moreto: finalmente il gusto, l’amenità, e l’inarrivabile delicatezza nel ritrarre al vivo i caratteri e le ridicolezze correnti che danno al Moliere il principato tra i comici antichi e moderni.
Se però verso l’anno 1300 erano comuni in Italia tali divertimenti ne’ teatri, di qualunque spezie si fussero, non dee dirsi che essi cominciassero nel 1304 allorchè nella Toscana fecesi la festa, in cui s’imitava l’inferno con i demonj e i dannati che gridavano28. […] Adeleita madre di Ezzelino e di Alberico palesa a’ figli di esser essi nati dal demonio, e nell’accingersi a scoprire questo gran secreto perde i sensi, indi rivenuta racconta l’avventura, Qualis (avendole domandato Ezzelino) is adulter, mater?
Quanto al teatro la nazione sin dal regno di Carlo I avea cominciata una guerra letteraria che durò dieci o dodici anni, altri sostenendo gli spettacoli scenici, altri contro di essi scagliandosi. […] Ma si desidera in essi la scelta, la venustà, la decenza richiesta nella dipintura de’ costumi, per cui Terenzio tanto sovrasta a’ suoi posteri; l’ unità di disegno nel tutto, e la verità e l’esattezza e la precisione nelle parti; il motteggiar lepido e salso, pungente ma urbano alla maniera di Menandro che ammiriamo nell’Ariosto; la grazia, la naturalezza e le pennellate sicure del Machiavelli che subito caratterizzano il ritratto; la vivacità, il brio comico di Moreto; e finalmente il gusto, l’amenità, la delicatezza inarrivabile nel ritrarre al vivo i caratteri e le ridicolezze correnti che danno a Moliere il principato su i comici antichi e moderni.
Se non si può legitimamente pretendere che il compositore, il musico, il poeta ed il ballerino diano alle rispettive lor facoltà la forma stessa che avevano venti secoli a dietro, si può bensì con ragione esiger da essi che non isformino quella di cui lo stato loro presente le rende capaci. […] [11] Ad essi appartiene altresì il servire di supplemento alla voce umana nella espressione degli affetti. […] Intendono essi nemmeno in che consista l’espressione poetica? […] Hanno essi delle cose eccellenti in dettaglio, i loro diversi stili abbondano di tratti vivi, animati e piccanti, superiori a quanto in quel genere ci offrono gli oltramontani, ma sono tratti staccati cui manca la primaria bellezza che consiste nella esatta relazione colle parole e col tutto. […] Quanto maggiore è il trasporto di un popolo per gli spettacoli tanto più grande è la libertà che concede ai coltivatori di essi.
L’uno di essi è Enea in Troia, l’altro Ifigenia in Aulide 60.
D’indole severa, trattava un poco duramente la moglie Vincenza Gallini-Berttoï ; e giunto all’ultim’ora, uno de’suoi colleghi gli richiamò alla mente i suoi torti, che riconobbe tosto ; e volle, a emendazione quasi di essi, nominar lui legatario universale, a patto ch’egli ne usasse convenientemente colla moglie.
Lui stesso confessa che li sbiri l’assalirono per pigliarlo in Piazza, e che nel correre in detta speciaria, vedendosi seguire da essi sbiri pose mano alla spada contro di loro, ne voleva che lo pigliassero, e che voleva sapere prima d’ordine di chi lo volevano pigliare, sì che poi loro li dissero essere per ordine di Vostra Altezza Serenissima, onde si rese a detti Esecutori, che condussero prigione, che sono le formali della di lui confessione.
Il primo, recatosi una sera dopo il suo lungo esilio, al Carignano, ove recitava la Compagnia Reale, e richiesto del parer suo su di essa, rispose : « È senza dubbio una compagnia composta di ottimi attori ; ma sembra a me che fra essi molti declamino, e due soli veramente parlino ; cioè Cesare Dondini e la Romagnoli. » Ed Ernesto Rossi (op. cit.
Molto saviamente di lui scrisse Piccini (Jarro) nella prima serie dell’opera Sul palcoscenico e in platea : Andare in un paese forestiero : andare in città come Nuova York, Boston, Washington, Filadelfia, Nuova Orlèans : riuscir a parlar in una lingua straniera, e non pur a parlare, ma a recitare in essa : farsi ascoltare, non da migliaja, ma da milioni di uomini : riuscire ad essere celebrato fra tutti gli attori paesani, essere ascoltato con affetto e con deferenza da alcuni fra essi, può davvero sembrar un prodigio, che sapeva effettuare un giovane italiano, innanzi di toccar i trent’anni.
Non son essi i primi nostri scrittori italiani, specialmente del cinquecento, quelli che inoltrarono all’Europa l’erudizione del greco teatro? Non ci hanno essi insegnato tutto ciò che di quello si é poi detto in altre guise di là da’ monti? […] Erano in tal tempo cresciuti i commedianti di professione, e fra essi si trovava più d’un commediografo spiritoso. […] Ma che s’intenderanno essi d’orchestra, di tibie uguali, disuguali, destre, sinistre, serrane, di Melopea? […] Ma fossilizzino pure a loro posta per confinar la drammatica a questo vero immaginario, che essi dureranno una fatica vana al pari delle Danaidi, e nol conseguiranno, o rinunzieranno al teatro.
Non si sa per via di quali ragioni, fu stabilito che i comici, ignari della gran vita che si agita fuor da essi, e parte attiva di quella sola artificiale che metton loro davanti agli occhi autori dall’indole più svariata, non posson dare, divenendo autori alla lor volta, che raffazzonamenti di commedie o scene altrui.
Si fecer conduttori di Compagnia essi stessi, che dovetter poi sciogliere per vicende politiche, deliberando di ritirarsi dall’arte e fermarsi a Genova, tutt’intesi all’educazione dei figli.
) come si presentasse a San Beneto in ca da Pesaro tra un atto e l’altro del Miles gloriosus di Plauto (16 febbrajo 1515), recitato dagli Accademici Immortali, con una « comedia nova, fenzando esser negromante, et stato all’Inferno, e fe' venir un Inferno con fogi e diavoli : fense pur farsi Dio d’Amor : e fo porta a l’inferno : trovò Domenico tajacalze cazava castroni, el qual con li castroni vene fora ; fe' un ballo essi castroni ; poi venne una musica di Nimphe, in un carro trionfai, quali cantavano una canzon, batendo marteli, cadauna sopra una incudine a tempo, et fenzando bater un cuor ».
Narrasi in essa la conversione del gigante Reprobo chiamato poi Cristofano, il quale serve a varii re, perchè gli crede potenti, indi al diavolo da lui stimato di essi più potente; ma vedendo che si spaventa di una croce ed udendone dall’istesso diavolo la cagione, ne abbandona il servizio, e va in traccia di colui che l’aveva vinto. […] Era il primo di essi una serenata o favola allegorica, nella quale favellava la giustizia, la pace, la verità e la misericordia, la quale secondo il cronista Gonzalo Garcia di Santa Maria citato anche dal Nasarre, si rappresentò alla presenza del sovrano in Saragoza.
Narrasi in essa la conversione del gigante Reprobo chiamato poi Cristofano, il quale serve a varii re, perchè gli crede potenti; indi al diavolo da lui stimato di essi più potente; ma vedendo che si spaventa d’una croce, e dal diavolo stesso udendone la cagione, ne abbandona il servizio e va in traccia di colui che l’avea vinto. […] Era il primo di essi una serenata o favola allegorica, nella quale favellava la giustizia, la pace, la verità e la misericordia, che secondo il cronista Gonzalo Garcia di Santa Maria citato anche dal Nasarre, si rappresentò avanti del sovrano in Saragozza.
Reca in vero stupore che i migliori letterati, i Fontenelle, i Voltaire, i Batteux, i Marmontel, lungi dall’inspirare a’ compatriotti il saggio gusto dell’opera istorica di Stampiglia, Zeno e Metastasio, o si applicarono a comporre essi stessi opere mitologiche, o presero a screditar l’opera istorica per sostener la miracolosa. […] Supplirono essi co’ cartelloni, ne’ quali scriveano in prosa ciò che non si poteva dir colla voce, ma in fine questo spettacolo fu totalmente abolito.
La giudicatura cadde nelle mani di uomini senza lettere, i quali non di rado venivano dalle parti astretti a provar coll’armi la propria integrità e la giustizia della sentenza profferita, per la qual cosa in essi richiede vasi più forza di corpo che di mente. […] Non può ragionevolmente rigettarsi l’opinione di chi afferma che tali poeti degl’infimi tempi e de’ mezzani non avessero preso l’esempio da essi conosciuto per sola tradizione da primi antichissimi Cantori e Rapsodi della Grecia, e posteriormente dagli Scaldi della Scandinavia e da’ Bardi poeti Celti della Gallia, della Scozia, dell’Irlanda e del paese di Galles nella Gran Brettagna. […] In quanta stima essi fossero si rileva da’ fatti seguenti. […] Ma sotto il regno di Riccardo II verso la fine del secolo XIV trovansi i ministrieri decaduti, nè altro essi erano che cantori volgari poco pregiati; anzi a tal segno degenerarono che verso la fine del secolo XVI fu pubblicata una legge, per cui i menestrels erranti si considerarono nella classe de’ mendici, de’ vagabondi, delle persone senza mestiereb Tornando al secolo XIII osserviamo che in Alemagna fiorivano i Minnesoenger, ovvero Cantori d’Amore, nelle cui poesie tuttavia esistenti non si rinviene pezzo veruno teatrale. […] Che se le parole vi si fossero introdotte non già dal XIII come a noi sembra, ma dal XV, in cui si compose indubitatamente il dramma del Dati, nell’imprimersi che si fece nel declinar del secolo XVI il libro degli Statuti della Compagnia, non avrebbe in essi dovuto esprimersi questa varietà essenziale, cioè, che le rappresentazioni da mute che si furono nel XIII, passarono poscia ad animarsi con parole?
E piacesse al cielo che queste arie, questi duetti o questi finali isolati fossero tali almeno che colla loro vaghezza, novità od interesse ci ricompensassero dei sagrifizi che si fanno del buon senso in grazia del canto; terremmo allora con essi il costume, che suol tenersi col frammenti della greca scultura de’ quali in mancanza d’una intiera statua s’ammira pure e si custodisce un braccio solo, una gamba, od una testa. […] Basta fìngerli innamorati che larga materia di discorso sapranno essi trovare ricorrendo ai luoghi topici della galanteria. […] Vengono essi divisi in due classi. […] Benché vi si scorga correzione di lingua e qualche aria ben lavorata, ciò nonostante non si ritrova in essi spezzatura né concisione nel recitativo, né rapidità nelle scene, né calore nell’azione, né contrasto negli incidenti, nulla insomma di ciò che rende interessanti e vive cotali produzioni. […] La sfera d’imitazione per la moltiplicità de’ caratteri, per la forza di essi, e per la verità della espressione è più dilatata nella prima che nella seconda.
Nel primo caso, fu sempre con essi la Diana ?
. – Vittorio Cavalieri (Trieste, 1864) e Cesare Calvi (Firenze, 1872) dettarono di lui alcuni cenni biografici ; ma a quelli del Calvi non troppo, secondo il solito annotatore (Brunone Lanata) sarebbe da prestar fede, essendo essi una iperbolica apologia dell’artista e dell’uomo.
Di grazia in che mai essi discordano da Eschilo su questo punto? […] Ognuno può osservare nelle aringhe de Greci oratori con quali forti ingiurie l’uno contro l’altro essi si scagliassero nel Pritaneo a’ tempi di Filippo, di Alessandro ed anche di Cassandro. […] Interessante e tenero n’è l’ultimo congedo che prende da essi e da Jolao. […] In tal periodo essi non cessavano di recitar versi tragici, e specialmente quelli dell’Andromeda come se si trovassero in teatro. […] Ora avendo essi l’immaginazione piena della mentovata tragedia altro non vedevano se non Perseo, Andromeda, Medusa, e ne recitavano i versi, imitando il modo di rappresentare di Archelao.
L’incontro di Arpagone col-figliuolo nell’Avaro si è rinnovato in certo modo in quello di Balivò con Dami suo nipote, al cui vero stupore creduto effetto dell’arte da essi posta in rappresentare una scena, Francaleu grida attonito: Comment diable! […] Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi della buona condotta, dell’urbanità, e del rispetto che essi mostravano per la nazione, e con pena gli vedeva partire. Ciò mosse alcuni Francesi a comporre per essi qualche favola nella propria favella, in cui cercarono di unire la ragione e la novità alle grazie dell’Arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava. della francese, e dell’italiana istrionica. […] Ecco come egli ne ragiona con conoscimento nel dialogo sopra la tragedia antica e moderna nella sessione VI: Osservo ne’ Francesi piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie, che un attore che esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi, e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliano rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno dello scrittore tragico. […] «L’arte della declamazione (dice uno di essi ironicamente) si è fra noi innalzata ad un punto sublime.
Io non ne nomino i meschini autori per rispettar la nazione; ma probabilmente essi troveranno ricetto nella Biblioteca de’ viventi del Sampere per morire ed esser seppelliti in coro in siffatto scartabello, di cui sento che in Ispagna altri già più non favella se non che il proprio autore. […] Tutto per essi è sconcerto, amarezza, desolazione; quando Agnese umana pietosa magnanima intercede per la cugina da cui era stata offesa, promette di rinunziarle parte de’ beni ereditati per non lasciarla cadere nella miseria, e la riconcilia col padre. […] Ora quando a tali sainetti ossiano salse comiche sapessero i poeti dar la giusta forma e grandezza, essi a poco a poco introdurrebbero la bella commedia di Terenzio e Moliere, che con tentativo felice ebbero in mira Trigueros, Valdès, Yriarte e Moratin senza essere stati nè approvati nè seguiti. […] Inoltre perchè hanno dato a credere che essi ignorassero la guisa di fissar l’altrui attenzione su di un solo carattere principale che trionfi fra molti; e sino al tempo che io vi fui, esposero per esempio alla vista una sala di conversazione composta di varii originali con ugual quantità di lume, i quali dopo di avere successivamente cicalato quanto basti per la durata del tramezzo, conchiudono, perchè si vuole, non perchè si dee, con una tonadilla. […] L’azione consiste nella morte di Manolo ferito da Mezzodente di lui rivale, cui tutti gli altri personaggi fanno compagnia buttandosi in terra e dicendo che muojono, ma subito l’istesso feritore ordina che si alzino, ed essi insieme col trafitto Manolillo obedendo risuscitano belli e ridenti.
In prima in quest’azione niuno di essi può dirsi un traditore, e l’istesso Agamennone col prendersi Briseida usa una prepotenza una tirannia, ma non un tradimento; pure quando voglia concedersi agli amanti un’ espressione per isdegno men misurata, come mai Agamennone che offende Achille col togliergli l’ amata, può per soprappiù lagnarsi di essere ingiuriato e tradito da Achille? […] Quando poi si costruirono gli edifizj chiusi addetti unicamente agli spettacoli scenici, essi presero la forma di quelle case e di quelle corti nella costruzione sì de’ palchi superiori che della platea e dello scenario inferiore, e ritennero il nome di corrales. Madrid ne ha due che appartengono al corpo politico che rappresenta la Villa, come in Napoli la Città, e dalle strade ove essi sono del Principe e della Cruz, chiamaronsi Corral del Principe, Corràl de la Cruz. Ignoro il tempo in cui essi edificaronsi, nè l’autore del Viaggio di Spagna cel fa sapere.
Ma la storia pronta a diradar ogni nebbia, gli avvertisce che le facili farse romanzesche e i mostri scenici non allettano che l’ultimo volgo, e dopo una vita efimera corrono a precipitarsi nell’abisso dell’obblìo; dovechè il Misantropo e l’Atalia ed i componimenti che ad essi si appressano, non solo sforzano alla per fine il pubblico a vergognarsi del primo giudizio, ma ricreano la parte più pura e illuminata della società che sono i dotti, e passano indi a’ posteri insieme con quelli che furono scritti ne la caverna di Salamina.
Con qualche passo di più forse l’ultimo di essi l’avrebbe condotta a quel grado di prefezione, in cui le arti, come ben dice Aristotile, si posano ed hanno la loro natura. […] Noi ci contentiamo di osservare che quantunque l’azione sembri languire alquanto ne’ primi atti, pure da essi vien preparato ottimamente l’orribile evento dell’atto quinto, in cui si veggono le passioni condotte al più alto segno. […] Di grazia in che mai essi discordano da Eschilo su questo pnnto?
È noto che scena deriva da Σκεας umbra, per quell’ombra che formavano i rami e le fronde soprapposte ai tabernacoli, o alle tende fatte di tela, di lana, o di pelli per difendere gli attori dal Sole e dalle piogge prima che essi fossero ammessi a rappresentare in città. […] Erano essi fra loro accordati con musica ragione in guisa che scossi dalla voce la rimandavano più sonora e modulata. Si collocavano a tal fine in un luogo voto rivolti verso la scena e sostenuti da cunei ad essi sottoposti perchè non toccassero le pareti.
Liberi al pari de’ Greci, di essi al pari agognar potrete a far che abbarbichino nel vostro ferace suolo e mettano salde e profonde radici le belle arti che alla foggia delle Grazie tengonsi per mano e si sostengono a vicenda. […] In Francia, dove tanto si studia e fiorisce la declamazione, gli attori per la maggior parte sono autori essi stessi, come già furono Moliere, la Place, Dancourt, Baron, e come oggi sono Piccard, Duval, la Molè e tanti altri. […] Ignorate che ne’ tempi bassi, quando essi gemevano solto il ferreo giogo del più umiliante dispotismo, essa diede loro fin anche il grand’ esempio di vendicarsi in libertà?
mo di Mantova, dal quale non si pote diffendere con tutto li rapresentasse l’impegno che haueua con tal Padre, le lettere che fra essi correuano, e l’ inclinatione e genio che haueua di farsi Religioso ; si conuenne adunque continuare il recitare con mille inquietezze d’animo, pretendendo li Compagni farli sposare l’Argentina Comica, del che se ne diffese. […] 5° I Comici supplicano Sua Altezza Serenissima di far vive istanze alla Corte, perchè sia loro concesso, come in Italia, il libero uso dei Santi Sacramenti ; molto più che essi non reciteranno mai nulla di scandaloso, e Riccoboni s’ impegna sottopor gli scenarj delle comedie all’ esame del Ministero, e anche di un Ecclesiastico, per la loro approvazione.
I numi stessi erano creduti musici e ballerini, e niente v’era di più comune quanto il vedere le loro imagini o sculte o dipinte con in mano qualche strumento musicale, di cui veniva ad essi attribuita l’invenzione. […] Erano essi così persuasi che fossero una specie di rito religioso che per loro l’assistere a’ teatri era lo stesso che confessarsi tacitamente idolatra. […] E il tuono e il semituono non sono essi appunto gli intervalli che si chiamano con altro nome seconda maggiore, e seconda minore? […] [64] Se i difetti da me apposti alla musica de’ nostri tempi sono stati conosciuti da tanti altri, essi adunque sono verissimi, e il quadro ch’io ho proposto non è per niente alterato, come ha finora preteso il giornalista. […] Chiunque si prenderà la pena di leggerle troverà ch’io, facendo in quel luogo il paragone tra l’armonia e la melodia, esalta i pregi della melodia in riguardo all’espressione e all’imitazione della natura, e che favellando di essi dico che dobbiamo a lei principalmente «quell’energia dominatrice, che ne componimenti s’ammira de gran maestri».
Coloro che dimorano fra di essi, e che leggono con sano criterio i libri che ne parlano, si disingannano ben presto.
Vitruvio ci fa sapere che in essi soltanto desideravansi que’ vasi di rame che rendevano la voce più sonora, e che questi non istimaronsi necessarii, perchè i tavolati a un di presse so facevano l’effetto medesimo de’ vasi.
Vitruvio ci fa sapere che in essi soltanto desideravansi que’ vasi di rame che rendevano la voce più sonora, e che questi non istimaronsi necessarii, perchè i tavolati a un di presso facevano l’effetto medesimo de’ vasi.
Nel 1750, ossia dopo le accennate rappresentazioni di Varsavia, apparve a Stuttgart una specie di contributo alla Storia e alla prosperità del Teatro, in cui è uno schizzo critico sugli artisti della commedia, che il lettore troverà al nome di ciascun d’essi.
Il padrone del fondaco, grato a codesti piccoli eroi, volle regalarli di 50 scudi, ma il padre inibi loro d’accettare ed essi non opposero verbo, ossequenti alla patria potestà.
Imitinsi questi venerabili maestri nella grande arte che ebbero di ritrarre quasi sempre al vivo la natura; sieguansi con critica e sagacità ne’ generi da essi maneggiati, ma non si escluda tutto ciò che dopo di essi può l’umano ingegno inventare con la scorta degli eterni principii della poetica ragione superiori sempre alla pedanteria scrupolosa. […] E se l’avessero tratto dagli antichi, non ci avrebbero essi informato di sì notabile novità, quando di altre particolarità più leggiere ci diedero contezza? […] Per quanto si abbia di amore e di rispetto per gli antichi, convien confessare che essi, tuttochè vadano fastosi per un Sofocle ed un Euripide, se fossero stati contemporanei del Tasso, ci avrebbero invidiato l’Aminta a.
Solo si è detto che hanno essi abusato del maraviglioso con tanti voli d’ippogrifi, con Atlanti e Melisse, con eroi fatati, con mille avventure stravaganti e incredibili ecc. […] Se dunque havvi de’ nei nel Torrismondo, essi certamente non provengono da i costumi della cavalleria additati dal Rapin come contrarii al carattere tragico di Sofocle. […] Per l’altra parte ha per avventura oggi il gesuita Andres fatta di alcuni di essi qualche esperienza, onde senza taccia di leggerezza potesse affermare che ne sarebbe intollerabile la rappresentazione ? […] E come non seppero essi che cosa fossero le tragedie greche? […] Non insegnarono essi tutto ciò che poi si è ripetuto in altre o simili guise al di là da’ monti?
Si pensò pertanto verso l’ anno 391 di Roma ad invitare un attore scenico dell’Etruria, il quale per la sua nuova, graziosa e dilettevole agilità (all’usanza de’ Cureti e de’ Lidii, da’ quali traevano l’origine gli Etruschi) riuscì ad essi molto grato. […] Questo è il destino di coloro che inventano o precedono ogni altro in qualche impresa; essi insegnano a’ posteri ad inoltrarsi sulle loro tracce per esserne censurati. […] Da’ loro frammenti non si scorge la guisa che essi tennero nel condurre i loro Anfitrioni; ma è verisimile che come Plauto nel suo essi vi trattassero in una maniera tutta comica l’avventura di Giove con Alcmena, dipartendosi dal camino tragico probabilmente battuto da Euripide nella sua favola perduta intitolata Alcmena. […] Ciò che all’orecchio il re da solo a sola Susurra alla regina, essi pur sanno. […] Il padre di queste giovani indarno tenta di persuaderle ad abbandonare la casa de’ mariti; e la loro fermezza è premiata col ritorno di essi già divenuti ricchi.
Cornelio Scipione Nasica vietò che si terminasse, e fece vendere all’incanto tutti i materiali a tale oggetto da essi accumulati72. […] Bayle però avverte che oltre alla diligenza del Douza essi aveano bisogno di essere anche rischiarati da qualche altro dotto comentatore. […] Senza l’approvazione di alcuno di essi non compariva sulla scena componimento veruno. […] Vi sono alcuni autoruzzi d’oggidì, i quali non vorrebbero che si parlasse degli antichi, perchè (dicono) di essi si è tanto scritto. Ma questi gigantelli letterarii manifestano essi stessi il bisogno che si ha di ben ragionar dell’antichità; perchè nel voler essi talora su di quella balbettare, cadono ad ogni passo in mille errori istorici, in giudizii iniqui e stravolti ed in madornali eresie di gusto.
In essi. […] A che poi Filinto dice che essi furono presi da un corsaro? […] Ma Filinto sa forse che il re ignora tuttavia qual d’essi due sia Gerbino? […] Spicca tra essi il carattere di Sofonisba. […] Ma ci pensino essi.
Cornelio Silla amasse così eccessivamente i buffoni, o sia attori di farse, che quando essi riuscivano di suo gusto, regalava loro in ricompensa molte moggia di terra. […] Erano così destri e maravigliosi in ciò fare, che Manilio d’un d’essi ebbe a dire: Omnis fortunæ vultum per membra reducet, . . . . . . .
Bayle però avverte che oltre alla diligenza del Dousa essi avevano bisogno di essere rischiarati da qualche altro dotto commentatore. […] Mentre Parmenone si studia di consolarlo, ecco sentesi in casa della moglie un mormorio, un movimento, un andare avanti e indietro, onde essi pongonsi in curiosità e apprensione. […] Ma forse per non avere essi ad altra gloria aspirato che a quella di traduttori ingegnosi, si rimasero indietro mostrando nell’ordinar le cose tolte a’ Greci una immaginazione più testo temperata e giudiziosa che originale ed atta ad inventare. […] Senza l’approvazione di alcuno di essi non compariva sulla scena componimento veruno. […] Ma cotali gigantelli letterarii manifestano essi medesimi il bisogno che si ha di ben ragionar dell’antichità; perchè nel voler essi talora su di quella balbettare, cadono ad ogni passo in mille errori istorici, in giudizii iniqui e stravolti, ed in madornali eresie di gusto.
La mercede ad essi distribuita, l’ebbrezza che gli opprime, la pugna che ha con gli altri Polifemo, e la di lui morte, empiono la maggior parte dell’atto. […] Solo si è detto che hanno essi abusato del maraviglioso con tanti voli d’ ippogrifi, con Atlanti e Melisse, con eroi fatati, avventure incredibili ecc. […] E da qual altra cosa doveano essi incominciare, se non dallo studiare e ritrarre talora con più recenti colori le bellezze de’ greci esemplari? […] Ma come non seppero essi che cosa fossero le greche tragedie? […] Non insegnarono essi tutto ciò che poi si è ripetuto in altre e simili guise di là da’ monti?
Ma se avesse scorsi i passi di questi Letterati meno alla sfuggita, avrebbe osservato che essi dicono che il Vicentino fu il primo a scrivere una degna Tragedia in questa lingua, cioè in idioma Italiano. […] Adunque addio Eraclidi di Euripide, poichè l’argomento, il piano, il nodo, lo scioglimento, la morte di Macaria, la protezione di essi presa dagli Ateniesi contro di Euristeo, è una storia delle antichità Attiche, che si legge nel I. […] Egli crederà che in tutte la cose si combacino questi due generi, o che essi siano un solo genere eterogeneo, come furono nelle mani di Lope e Calderon.
Per l’idea lasciatane da Ateneo era una favola festevole di lieto fine, nella quale intervenivano personaggi grandi ed eroici, ma vi si dipingevano i fatti che ad essi accadevano come uomini, e non come eroi. […] Ciò però non era particolare ad essi soltanto. […] Certo è però che il meno antico di essi, se furon due, non inventò i mimi, come erroneamente asserì Cassiodoro che ne fu ripreso dal Calliachioa.
Per l’idea lasciatane da Ateneo era una favola festevole di lieto fine, nella quale intervenivano personaggi grandi ed eroici, ma vi si dipingevano i fatti che ad essi accadevano come uomini, e non come eroi. […] Ciò però non era particolare ad essi soltanto. […] Certo è però che il meno antico di essi, se furon due, non inventò i mimi, come erroneamente asserì Cassiodoro che ne fu ripreso dal Calliachio135.
Trovasi in generale ne’ drammi lugubri di Lessing invenzione, forza, patetico e giudiziosa economia dell’azione, e ne incresce che tutti essi fieno così lunghi, e che si disviluppino sì lentamente. […] Quanto a’ poeti melodrammatici tedeschi, mal grado dell’esempio del gran Poeta Cesareo Italiano, essi hanno coltivata l’opera mitologica rifiutata dall’Italia. […] Essi però ridevolmente hanno chiamati monodrammi questi componimenti scritti in prosa, benchè non favelli in essi un solo personaggio; e piacesse al cielo e fosse questa la sola cagione che tiene sino a questo dì tanto lontani questi ed altri freddi monodrammisti dal Pigmalione che cercano di copiare senza ingegno!
Essi si fermano ad ascoltare, et ella comincia a dire : « Io mi ricordo l’anno non me lo ricordo, che un Arpicordo pose d’accordo una Pavaniglia Spagnola con una gagliarda di Santin da Parma, per la qual cosa poi, le lasagne, i maccheroni, e la polenta si uestirono a bruno, non potendo comportare, che la gatta fusa fusse amica delle belle fanciulle d’Algieri : pure come piacque al Califfo d’Egitto fu concluso, che domattina sarete tutti duo messi in berlina. » Seguitando poi di dire cose simili da pazza, essi la vogliono pigliare, & ella se ne fugge per strada, & essi la seguono. […] Deue fermar i piedi con appropriata maniera quando parla, et mouerli con leggiadria quando gl’ occorre, seruar co ’l capo un certo moto naturale, che non paia che egli l’ habbia affissato al collo co chiodi. et le braccia et le mani [quando non facci bisogno il gestar con essi] si deono lassar andare oue la natura gl’inchina. et non far come molti, che uollendo gestar fuor di proposito, par che non sappiano che se ne fare. […] Habbia poi alcuno d’ essi un fiaschetto, o una scodella di qualche bel legno a cintola, altri un Zaino legato sopra una spalla, che gli penda sotto l’opposito fianco. […] Et spinger fuori ogn’ un d’ essi, alla sua desinenza, e porli anco in bocca la parola, con che haurà da cominciare. […] Questo per proua ho ueduto io far grande effetto. hor ueniamo ai prologhi et alle qualita di essi.
E come potrà egli essere sensatamente composto e scritto, se quegli che dovrebbono ubbidire sono pur essi che dettan leggi e comandano?
Il giorno seguente alcuno del nostro equipaggio credette di veder rappresentar da essi una specie di dramma diviso in quattro parti.
Pensarono poi a formarsi un’ opera nazionale; ma sia per debolezza di coloro che ciò tentarono, ovvero sia per l’indole dell’idioma, essi riuscirono così infelicemente, che atterriti dalle critiche tralasciarono di più comporre opere tedesche.
., non esigga da essi Piggione alcuna, il che sarà motiuo di pregare assiduamente l’ Altissimo, che doppo più Secoli di felicissima Vita, conceda all’ Altezza Vostra Serenissima una Reggia di Luce nell’ Empireo, e lo sperano.
Non mai accolse l’idea di circondarsi d’astri minori per emerger di tra essi come sole, ma volle sempre che le altre figure del gran quadro fosser tra le migliori.
Parte con essi dicendo fra se: La natura è sconcertata… Iniquità esecrabile! […] Essi in fatti arrivano, ed Amlet parla ad alcuni di essi con famigliarità, e vuol poi sentir declamare una scena sulla morte di Priamo. […] Molto debbo dirti su di essi. […] Dopo simili osservazioni si avvicina a’ becchini e parla con essi lungamente. La conversazione riesce totalmente comica per le risposte che essi danno, e morale insieme per le riflessioni di Amlet.
Soprattutto il decoro de’ costumi e la verità de’ caratteri v’é guardata esattamente, e, quello che si desidera per lo più ne’ tragici francesi, i romani vi compariscono veri romani, e vi si riconosce Cassio, Bruto, Cesare, i Tarquini ai loro particolari lineamenti, all’indole, ai sistemi da essi seguitati, tramandatici dagli scrittori antichi. […] Meno sono essi in istato di comprendere, per mancanza di principi e di notizie, quando gli autori s’incontrano per ventura, e quando si sieguono a bello studio218. […] Ma Scudery e Boisrobert aveano scritte in Francia due tragedie su Didone; e in Ispagna molto prima di essi Cristofano Virues avea pubblicata la sua intitolata Elisa Dido. […] E come non avrebbero gl’italiani e meglio e prima degli altri coltivata quella dominatrice de’ cuori, essi che a tutti gli altri precedettero in istudiar l’uomo, in fecondar per tante vie l’immaginazione, in arricchirsi di cognizioni scientifiche? […] Leggansi le varie lezioni di Marcantonio Mureto, e si vedrà di quanti fiori e gemme de’ nove lirici greci Orazio siasi fatto corona, comeché poco di essi ci resti perché si possano puntualmente simili usurpazioni notare».
Tu da essi imparerai a nascondere i tuoi fini e a prendere la maschera dell’onore e della probità per arrivare al tuo intento a costo di chiunque sarà così sciocco di fidarsi della tua apparente onestà. […] Io sono stato corrivo, vorrei che tu fossi più accorto; vorrei che tu trattassi gli uomini come essi meritano, come hanno trattato me, come ti tratteranno, amico… Approfittati del mio consiglio, e ricordati di questa lezione. […] È accolto cortesemente; ma parlandosi di un figlio che hanno perduto, mostrano essi tanto dolore, che il giovane intenerito temendo di cagionarli una commozione troppo viva col palesarsi in quel momento, si ritira per riposare, consegnando prima alla madre la cassetta con dire di guardarla contenendo cose preziose. […] Agnese dice che essi possono evitare il suicidio detestabile per mezzo di un delitto minore. […] Ma quanti di essi scritti pessimamente sono stati meritamente scherniti alla lettura, e non pertanto riuscirono di profitto a’ commedianti nel rappresentarsi a cagione di qualche situazione interessante, o di un’ attrice accetta al pubblico, o di un partito che mai non manca agl’impostori?
Eliogabalo distribuì le maggiori dignità a’ pubblici ballerini; molti di essi destinò procuratori delle provincie; uno ne pose nell’ordine de’ cavalieri, un altro nel senatorio; un altro che da giovane avea rappresentato nella medesima città di Roma, fu da lui creato prefetto dell’esercito177. […] La prima di esse è divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, che è un pagano generale di Costantino, il quale va a combattere contro gli Sciti, n’è vinto, è ricondotto contro di essi da un angelo, vince, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte l’imperadore non è più Costantino, ma Giuliano, da cui Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio. […] I Selvaggi d’Ulietea, anzi d’ogni contrada e d’ogni tempo, non oltrepassando i balli o pantomimi accompagnati dal canto, danno a divedere al filosofo investigatore in qual distanza dalla coltura essi ritrovinsi. […] Posero essi in quel clima la meta alla gloria tragica, che spirò pur con loro, ancor prima che la Grecia divenisse schiava.
Nelle forme di essi e ne’ sobri ornamenti che ricevono da’ colossi e dalle sfingi onde sono accompagnati, spicca singolarmente la maniera terribile e, se vogliamo cosi chiamarla, michelagnolesca, la qual potrebbe anche talvolta con buonissimo effetto mostrarsi sugli teatri. […] Dal sito il più orrido ti fanno tutto a un tratto trapassare al più ameno; né mai dal diletto ne va disgiunta la maraviglia, la quale, nel porre un giardino, essi cercano egualmente che da noi fare si soglia nel tesser la favola di un poema.
Dopo l’invasione fatta dagli Europei in quelle vaste regioni, che abbracciano forse poco meno della terza parte del globo terrestre, quando essi considerandole come poste nello stato di natura supposero di aver diritto ad occuparle e saccheggiarle senza tener conto della ragione degli indigeni che ne aveano antecedentemente acquistata la proprietà; dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze Affricane, Americane ed Europee, più o meno nere, bianche ed olivastre, confuse, mescolate, riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa del l’antica distrutta alla giornata da tante cagioni fische e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che se ne allontana. […] Gli attori però sono tutti Americani, e tra essi intorno a cinque o sei lustri indietro (per quel che mi narrò in Madrid un negoziante di Cadice che vi avea passata una parte della vita) spiccava una bella e giovane attrice figliuola di una Peruviana e di un Italiano chiamata Mariquita del Carmen, e conosciuta pel soprannome di Perrachola.
Dopo l’invasione fatta dagli Europei in quelle vaste regioni, che abbracciano forse poco meno della terza parte del globo terrestre, quando essi considerandole come poste nello stato di natura supposero di aver diritto ad occuparle e saccheggiarle senza tener conto della ragione degl’ indigeni che ne aveano antecedentemente acquistata la proprietà: dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze Affricane, Americane ed Europee, più o meno nere, bianche ed olivastre, confuse, mescolate, riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa dell’antica distrutta alla giornata da tante cagioni fisiche e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che se ne allontana. […] Gli attori però sono tutti Americani, e tra essi intorno a diciotto anni fa (per quel che mi narrò un negoziante di Cadice che vi avea passata una parte della vita) spiccava una bella e giovane attrice figliuola di una Peruviana e di un Italiano chiamata Mariquita del Carmen, e conosciuta pel soprannome di Perra-chola.
mo Signor Duca, ch’io non m’impegnassi, con nessuna Compagnia di Comici, intendendo Sua Altezza di seruirsi di me, per il Carneuale, et unirmi, con Beatrice, Trappolino et altri Comici. or’io, per guarire d’un mio male, uenni à padoua, e mi couenne recitare in una Compagnia che uiue sotto la prottetione del Signor Marchese Obizij. questa Compagnia si è obbligata per l’Autunno, è Carnouale al Signor Almoròzane ; la quale non à che far di me, mentre il Carnouale non possa essere con essi loro. et essendomi stato acertato, che Beatrice, con altri Compagni se ne ua per il Carnouale à Roma ; e che l’Angiolina si è obligata in altra stanza à Venetia ; non ueggo forma di Compagnia per seruir cotesta Altezza, et à me non istà bene, essendo pouer huomo uiuer sù l’incertezze. perciò suplico Vostra Signoria Ill. […] Quando il Direttore Salvoni risolse di formare una Compagnia stabile pel Teatro Ducale di Parma, chiamò a sè i coniugi Fineschi, ma l’impresa ebbe poca durata, ed essi tornarono a Firenze, ove, al Teatro della Piazza Vecchia e del Cocomero, ella recitò alcuni anni acquistandosi buon nome in ogni genere di lavori, e specialmente nella tragedia francese Giulietta e Romeo, tradotta dall’abate Bonucci.
Ma la lettura riposata è la pietra di paragone de’ drammi, ed essi non passano alla posterità quando mancano di stile, di lingua, di buona versificazione, d’interesse; ed in quelli di Campistron si desidera forza, calore, ed eleganza. […] Se queste riflessioni imparziali parranno ben fondate, veggano certi eleganti ma ciechi panegiristi de’ drammatici Francesi qual vantaggio essi rechino alle belle arti e alla gioventù coprendo di fiori i loro difetti. […] “Tutti coloro (diceva l’istesso Voltaire) che si vogliono far giudici degli autori, sogliono su di essi scriver volumi; io vorrei piuttosto due pagine sole che ce ne additassero le bellezze”. […] perchè disporre senza bisogno che uno di essi truciderà Bajardo e l’altro Gastone? […] Invano per fuggir l’ignominiosa morte essi rappresentavano di esser nati sudditi de’ Veneziani . . .
Anche in questo secolo troviamo i misteri rappresentati dagli ecclesiastici e scolari in Inghilterra; anzi essi talmente se ne credevano i propri e legittimi attori, che non soffrivano che altri se ne ingerisse.
Si trovò allora tra essi più di un commediografo ingegnoso.
Madre di due pittori di grido, è assai probabile ch’ella fosse da uno di essi serbata ai posteri in una immagine che ne offerisse i tratti caratteristici, e soprattutto togliesse ogni dubbio sulla maggiore o minor sua bellezza, sulla quale i pareri furon diversi, come abbiam visto nell’anonimo critico tedesco, e come vediamo in Carlo Goldoni, che chiama la Zanetta (Mem.
Venuta nel suo paesello una piccola compagnia di comici, egli, da essi istigato, si diede al teatro, passando di peripezia in peripezia, ma acquistandosi pur sempre una crescente fama di buon attore.
Se queste riflessioni imparziali parranno ben fondate, veggano certi eleganti ma ciechi panegiristi de’ drammatici francesi qual vantaggio essi rechino alle belle arti e alla gioventù col coprir di fiori i loro difetti. […] Lascio di favellare nè punto nè poco del Nadal, Le Blanc, Pavin ed altri ad essi somiglianti obbliati dalla propria nazione. […] perchè disporre senza bisogno che uno di essi truciderà Bajardo e l’altro Gastone? […] Vi sono per essi tre sedie nere su di uno strato nero ancora. Il Greffiere al di sotto di essi siede con una tavola davanti.
quando più testimonj affermano la stessa cosa, e più se essi appartengano a diversi popoli, o sieno dichiarati emuli, o nemici. […] Per chiamare l’attenzione degli ascoltatori gli si vuol parlare di cose, benchè finte, simili a quelle di cui essi conservano le idee; che se voi gli parlerete delle idee fantastiche sugli abitatori di Saturno o di Mercurio, delle quali niun seme rinvengono nella loro fantasia, si ristuccheranno presto, ascolteranno senza credere. In somma bisogna che essi trovino corrispondenza tralle immagini apportate dalle parole del Poeta, e tra quelle che conservano nella fantasia; dalla qual comparazione risulta il loro diletto e la loro istruzione. […] Questo Letterato detestava gli errori scenici de’ suoi compatrioti (e noti l’Apologista che allora fiorivano i Drammatici Andaluzzi nominati dal Cueva, e tra essi spiccava l’Autore delle Mille Tragedie); e mostrava di avere gusto migliore; e quindi così declamava1.
Nè di essi soli, ma de’ Macedoni? […] Secondo lui essi corteggiarono il mal gusto del Volgo. […] Oggi la gravità della sua Polizia vi produce l’effetto stesso; si abbandonano gli spettacoli scenici nelle mani di particolari Impressarj, che cercano di tirare il volgo e la folla per uscire dalle spese, e si tollerano dal Governo in que’ giorni di allegria universale, purchè non ledano il buon costume; ma punto non si bada al miglioramento di essi in quanto all’arte ed al gusto, come addiviene in tante altre Provincie Italiane. […] Basta intanto, che essi abbiano giuste nozioni della virtù per ben ricevere gl’insegnamenti seminati dal Poeta.
La giudicatura cadde nelle mani di uomini senza lettere, i quali non di rado venivano dalle parti astretti a pruovar coll’ armi la propria integrità e la giustizia della sentenza profferita, per la qual cosa in essi richiedevasi più forza di corpo che di mente. […] Due fatti istorici manifestano in quale stima essi erano ne’ primi tempi appresso i Sassoni e i Danesi. […] Che se le parole vi fossero introdotte non già dal XIII, come a noi sembra, ma dal XV, in cui si compose indubitatamente il dramma del Dati, nell’imprimersi che si fece nel declinar del secolo XVI il libro degli statuti della Compagnia, non avrebbe in essi dovuto esprimersi questa varietà essenziale, cioè che le rappresentazioni da mute che furono nel XIII, passarono poscia ad animarsi con parole? […] Nel citato Discorso si va continuando la storia de’ menestrels, e si dice che sotto il regno di Riccardo II verso la fine del secolo XIV, altro essi non erano che musici ed anche poco pregevoli.
Sì, eruditissimo Signor Abate, essi sapevano, che Plutarco nel Trattato Del frenar la collera mentova questa pratica tenuta da C. […] Cita poi questo Scrittore e Dacier, e Sant Evremont; ma Voi, quando non altro, dalla Storia de’ Teatri avreste potuto osservare quelche di essi, e singolarmente del Dacier senza nominarli scrisse sensatamente il Filosofo M. […] Molti pezzi di Musica del famoso Gluck comprovano ancora, che havvi oggi più di un genio, che con poco saprebbe convertire l’Opera all’antica verità mista alla delicatezza moderna, serbando per i Cori una Musica più Lirica, figurata, Cromatica, e dando a’ Recitativi l’espressione opportuna in qualunque sito di essi si elevi la passione, e non aspettando il colpo dell’Aria che troppo tranquilla e parlante intepidisce l’azione, e fa trascurare i pezzi più appassionati de’ Recitativi. […] In essi recitativi l’Attore o l’Attrice interrompe le parole come sospesa dalla novità de’ pensieri che le sopravvengono, o dalla varietà delle passioni, o dall’orrore del proprio stato, o dalla confusione, e intanto la Musica secondandola ricerca le vie del cuore dello Spettatore. […] E’ più conforme al vero il Secreto a voces di Calderón, in cui il Galán e la Dama mostrano sapere, che essi parlano in versi?
Gli Dei son raunati in consiglio, & è nato tra essi vn gran disparere, però hanno bisogno della presenza vostra ; Io galantamente rispondo, che per fargli seruitio sono in ordine, lui di posta mi piglia in braccio, & in vn batter d’occhio mi porta in Cielo, e non ve ne voleua di manco, perchè vn poco più ch’io fussi tardato, quei Barbassori si sarebbon date tante le maledette pugna nel naso, che sarebbe piouuto mostarda per otto giorni, e la spetiaria di maestro Apollo sarebbe stata sfornita d’vnguento di biacca, e difensiuo. Era nata la lor discordia, perche ciascuno di essi pretendeua d’essere stato il fondatore, il fabricatore della città di Bologna, e non hauendo chi desse sopra di ciò la sentenza erano quasi quasi venuti alle mani ; perciò tutti allegri del mio arriuo Con mille reverenze e mille inchini fattomi sedere pro tribunali, &c, volsero, ch’io gli fussi il Giudice ; e sul vero Ci voleua un tant’huomo in tanta lite.
E queste manifestazioni genuine di arte somma paiono specchi che riflettano tutto quanto accade dinanzi ad essi.
Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro che abiti contratti per opinioni vere o false, nostre o straniere, a purificare i costumi bisogna raddrizzare le opinionia. […] E quando pure gl’insegnamenti domestici potessero in ogni occorrenza soccorrerci posti nel gran mondo, quanta parte di essi si apprende nel l’età prima?
Dir però non saprei quando avrebbero essi trasportate nel loro volgare le antiche bellezze, se più lungamente persistevano ad usare la propria versificazione. […] Molte commedie essi diedero al teatro spagnuolo, benchè oggi poche se ne rappresentino. […] Se come Alfonso che fu detto il Savio, studieranno l’astronomia a segno di credersi abili a dar consigli all’Autor delle cose per migliorare il sistema celeste, essi diventeranno astronomi temerarii e principi inetti. […] Ed appunto nella prima parte Virues mostra il caso d’Isabella condotta da tre seguaci del suo amante e restata in potere di uno di essi preso per lei d’amore, il quale allontanato con un pretesto il più forte de i due, ferisce l’altro. […] Io ne ho scelti ed esaminati i migliori, ed ho potuto su di essi particolareggiare, ed accennarne con fondamento i difetti assai noti, e le bellezze, delle quali non ancora si erano avvisati i nazionali di far diligente inchiesta.
Dir però non saprei quando essi avrebbero trasportate nel loro volgare le antiche bellezze, se più lungamente persistevano ad usare la propria versificazione. […] Molte commedie essi diedero al teatro spagnuolo benchè oggi poche se ne rappresentino. […] Se come Alfonso che fu detto il savio, studieranno l’astronomia a segno di credersi abili a dar consigli all’Autor delle cose per migliorare il sistema celeste, essi diventeranno astronomi temerarj e principi inetti. […] Se s’illumineranno co’ viaggi, co’ libri savj e colla conversazione de’ sapienti e de’ buoni, come fece Pietro il Grande di Russia, essi sapranno in pochi anni rifondere le nazioni ed esserne i creatori. […] Questi ornamenti ridondanti, strani, capricciosi, contrarj al genere rappresentativo, formavano allora il sublime delle favole spagnuole, e niuno di essi ne andò libero.
Il primo di essi fu Gil Vicente detto il giovine tenuto per più eccellente del padre, e tra i di lui drammi credesi il migliore quello intitolato don Luis de los Turcos. […] Non è vero che essi non ne hanno veruna o che le loro tragedie non possono distinguersi dagli altri drammi, come abbracciando l’avviso di m. […] Dice che nella sua giovanezza compose quarantotto componimenti inediti sacri, storici e morali, e che fra essi erano anche alcune tragedie di Assalone, Ammone, Saule e Gionata. […] La Ianguidezza de’ primi atti (dal Ferreira evitata in parte colla passione posta ne’ discorsi d’Inès) si fa sentire assai più nella Nise per la Iunghezza di essi che raffredda le situazioni. […] Sventuratamente lo studio stesso che fanno i plagiarii per allontanar da essi il sospetto de’ ladronecci, gli discopre, e riscalda la bile dell’onesta gente.
L’atto II incomincia con una scena della medesima Olvia con Aluro, e poi viene Megara, come si è detto nell’atto I; ma se quegli amanti non sono rimasti alla vista dello spettatore come Prometeo attaccato al Caucaso, essi, come partirono senza perchè, senza perchè son tornati. […] Non possono essi stessi assaltar le trincere e morir nell’impresa? […] Rachele ammette al bacio della mano i Castigliani trattandogli con sommo orgoglio; essi si maravigliano della leggerezza di Alfonso, e non hanno torto, giacchè ora minaccia ora teme, ora ordina ora si pente, e non è mai lo stesso. […] E non dee almeno sospettare che i nobili vantati da Garcia possano aver fra essi qualche aderenza? […] Nel poema Rachele vuol dire che ferendola essi macchiano i loro acciari col sangue di una femmina: nella tragedia si chiama obbrobriosa l’ azione di armarsi contro della di lei vita, ritrattando così la correzione e rimproverando loro la ribellione, la qual cosa rende inutile la preghiera.
Non è credibile l’immensa quantità di drammi usciti in tal periodo; e pure essi eccedono ancor più nella stravaganza che nel numero.
Nella stessa avvertenza a’ lettori, il Bartoli annunzia la pubblicazione della sua prima commedia di Magìa, che avrà per titolo : Il Mago salernitano ; e Le Pitture, Sculture ed Architetture della città di Rovigo con undici illustrazioni — operetta di Francesco Bartoli accademico d’onore clementino (Venezia, mdccxciii), di cui traggo dal proemio a’lettori di Pietro Savioni veneto stampatore, le seguenti parole : Sono più di due lustri che il medesimo amico Autore dopo d’aver per più di quindici anni scorse varie parti d’Italia a fissar giunse il suo domicilio in Rovigo ; e credette di far cosa grata a’ Cittadini, e a’ Forestieri il metter sotto gli occhi loro tuttociò, di che s’adornano le Chiese, i pubblici Luoghi, e le private nobili Abitazioni ; acciocchè essi conoscano che l’innato suo genio per simili erudizioni non ha voluto trascurare di dar qualche lustro ad una Città, alla quale deve esso Autore la sua quiete, il Religioso collocamento della sua Figlia, e del suo Figliuolo ; e altresì una probabile sicurezza di non aver giammai a temere che gli manchino que’sussidj, de’ quali la Providensa insieme col Padre lo ha sino ad ora benignamente soccorso.
E un giorno che l’Isabella col padre, la madre e i figliuoli era a colazione da Buffetto, egli la pregò di volergli lasciare per tutta la giornata il minor di essi Domenico Giuseppe, cognominato Menghino, d’anni 7 e mezzo, ma di tanta svegliatezza che il più delle volte si faceva a racconsolar con belle parole Buffetto dei suoi dolori.
L’autore stesso ha data la più giusta idea di tali sacri componimenti: In essi (ei dice) studiai di far ragionar le persone, e in particolare i Patriarchi, i Profeti e gli Apostoli collo stile delle Scritture, e co’ sentimenti de’ Padri e de’ Dottori della Chiesa, stimando, che quanto meno fossevi frapposto del mio, tanto più di compunzione e di diletto avesse a destarsi negli animi degli uditori. […] I momenti più favorevoli dell’opera mitologica cessarono tosto, e si ricorse di bel nuovo a i riposti arredi di Zeno e Metastasio, ma essi furono mutilati al pari di coloro che reggono le parti de’ loro protagonisti. […] Son pur essi medesimi gli ammiratori degli eccellenti musici teorici e pratici che in prodigiosa copia escono da Bologna, da Firenze, da Venezia, da Milano ed altronde, ma singolarmente da Napoli reggia e fonte perenne della scienza musica. […] Non son essi ritratti istorici?
Ma ei pensino essi. […] Sulle scene de’comici Lombardi si videro più volte sempre acclamate, e tanto frutto essi ne raccolsero che dovevano guarirli degl’invecchiati abusi che fra essi regnavano. […] Non sono essi ritratti istorici ? […] Mancò veramente ad essi buona parte della delicatezza, del patetico e del calore di Metastasio. […] Sono essi intanto accertati di utlicio dal sig.
Avvegnaché poi alcuni scrittori comici non abbiano composto in quel genere di commedia che Molière portò a sì alto punto, e che Goldoni avea cominciato a risuscitar sulla Senna col mentovato Stravagante Benefico, pure i signori Palissot, Collé, e Beaumarchais han mostrato sufficienti talenti comici, e l’ultimo di essi é riuscito in un genere che ha degenerato in vizioso nelle mani di Falbaire, Mercier, Sedaine, e di altri, i quali erano nati per maneggiar maravigliosamente le passioni, se non si fossero fatti trasportar dalla corrente delle commedie piagnevoli e delle tragedie urbane difettose, cioé di quelle che accoppiano a’ fatti tragici qualche carattere comico266. […] Di cambiar con pravo consiglio il sistema dell’opera italiana per quello della francese, mentre che i francesi alquanto spregiudicati si studiano d’imitar la nostra; di maniera che noi siamo in procinto di cader nelle miracolose stravaganze del teatro lirico francese, ed essi in caso di cagionare in questo una crisi favorevole, e convertir l’opera loro in tragedia confinata all’imitazione della natura, com’é la nostra.
L’orleanese Pietro Daniele approfittandosi del saccheggio dell’Abadia di san Benedetto sulla Loira fatto dagli Ugonotti, s’impossessò di varii manoscritti che vi erano, molti comprandone a vil prezzo; e fra essi trovò questa commedia, che il Vossio chiama dramma prosaico a. […] La prima di esse è divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, che è un generale di Costantino pagano, il quale va a combattere contro gli Sciti, n’è vinto, è ricondotto contro di essi da un angelo, vince, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte non regna più l’imperadore Costantino, ma Giuliano, da cui Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro che abiti contratti per opinioni vere o false, nostre o straniere, a purificare i costumi bisogna raddrizzare le opinioni 3. […] E quando pure gl’ insegnamenti domestici potessero in ogni occorrenza soccorrerci posti nel gran mondo, quanta parte di essi si apprende nell’età prima?
Cooper Walke, non solo conservavano per mezzo della tradizione tutte le poesie composte da’ loro predecessori, e di continuo coltivavano la memoria ed esercitavano la fantasia sopra idee di eroismo, ma in tempo di battaglia, come tanti Tirtei, accendevano gli animi de’ soldati al furor marziale, battendo con entusiasmo l’arpa; e fu Eduardo I talmente persuaso della loro potente influenza su di essi, che avendo fatta la conquista del paese di Galles, per assicurarsela, per una politica (come dice Davide Hume nel vol. […] In tempo di pace ordinariamente cantavano l’ eroiche azioni de’ loro guerrieri per tramandarle a’ posteri; e per ciò Tacito disse de’ Germani, che altra storia essi non aveano che i canti de i loro Poeti; e i Bardi furono energicamente chiamati da Ossian i Re della fama.
Imitiamo questi nostri maestri nella grande arte ch’essi ebbero di ritrarre al vivo la natura; seguiamoli con critica e giudizio ne i generi da essi maneggiati: ma non escludiamo tutto ciò che dopo di essi può l’ingegno umano inventare colla scorta degli eterni principj della poetica superiori alla scrupolosa pedanteria. […] E se l’avessero tratto dagli antichi, non ci avrebbero essi informato di sì notabile novità, quando di altre particolarità più leggiere ci diedero contezza?
Palissot ebbe ragione di così dire: “Per mezzo degli stessi capi d’opera di Cornelio abbiamo noi imparato a conoscere l’ esagerata mediocrità degli ultimi suoi drammi; e pure i più deboli di essi potrebbero passar per eccellenti oggi che ci troviamo sì bisognosi”. […] Per avviso dello stesso suo compatriotto Giambatista Rousseau egli invece di esprimere negli amanti il carattere dell’amore, ha in essi dipinto il proprio, trasformandoli per lo più in avvocati, in sofisti, in declamatori e qualche volta in teologi (Nota III). […] Palissot, ne sono essi divenuti ridicoli; or che diremo di certi ultimi Italiani che hanno portato al colmo questo difetto?
Dopo l’invasione degli europei nel nuovo mondo, quando essi considerandolo come posto nello stato di natura, supposto d’aver diritto ad occuparlo e saccheggiarlo, senza por mente alla ragione degl’indigeni che ne avevano antecedentemente acquistata la proprietà, dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze africane, americane, ed europee, più o meno nere, bianche, ed olivastre, confuse, mescolate, e riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa dell’antica, distrutta alla giornata da tante cause fisiche e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che tanto da esse si allontana.