E. a Londra, e facci sulla mansione doppo il mio nome Chez Monsieur Gallini.
ra Clarice il mio attual servizio con l’annuo stipendio di Doppie trecento all’anno, et in oltre m’obligo à luogare le sue due sorelle della medes.ª nelgrado di loro inspiratione, si di monacare, come di maritarsi, fitto di casa p habitatione della med.ª S.ª Clarice, come della sud.ª sig.ª Lucretia sua madre coll’obligo di habitare continuam.
mo mio Signore Ho presentata la lettera di V.
Cotesto al tempo mio non era solito. […] E stà sicuro, Calandro mio, che chi fa questo, non è mai morto . . . . […] che vi duol, padron mio caro? […] Egli poi tutto ardore vuol tirarle un anello in segno di volerla sposare, ed ella l’impedisce dicendo: Non gittate, non gittate che io l’accetto, e come mio ve lo ridono, acciocchè se a Dio piacerà mai che io possa, come vorrei, esser vostra, ne leghi eternamente ambedue; e tenete per certo, che ogni mio desiderio, ogni mio pensiero, ogni mia speranza è che voi o per serva, o per altra che mi vogliate, abbiate ad essere scudo dell’onor mio: questo vi basti: ricordatevi di me. […] Anima mia (dice nell’atto II Gisippo che crede morta la sua bella Giulietta) tu sei pure in luogo da poter chiaramente vedere la costanza dell’animo mio, la grandezza del mio dolore, e il desiderio di venir dove tu sei.
Gran salto cogli occhi dovè fare l’Apologista per non vedere registrate nel mio Libro l’Achilleis, e l’Eccerinis Tragedie Latine del dotto Padovano Albertino Mussato! […] Ma gl’instruiti sanno che il mio racconto è verace, e autenticato dalle prove, da’ passi degli Autori, e dagli Scritti stessi de’ riferiti Drammatici (che quì non si tratta di Drammi immaginarj come quelli del Vasco Dias, nè delle Mille Tragedie del Malara conservate nella Biblioteca della Luna); e i mal instruiti aveano bisogno di chi glielo dicesse.
Che risposta recherò al mio re? […] mucho de ti recelo valor mio. […] Rachele stessa non può dissimularlo, e gli dice: non ordinaste voi stesso il mio esiglio? […] Huerta, ma da me non lette a cagione del mio passaggio in Italia. […] Intanto l’anzilodato bibliografo ha voluto rimproverarmi questo grave errore nel ribattere il mio sentimento sulla Numancia.
Il giornalista “non intende di criticar il mio libro”, ma il suo estratto non è che una critica continuata dal principio sino al fine. […] Leggete, o mio caro giornalista, l’aureo trattato del Brown sull’unione della musica e della poesia, e imparerete molte cose che ignorate. […] Ma oh mio Signor Manfredini dolcissimo! […] [76] Quando l’estrattista avrà un pò più di filosofia in testa, intenderà facilmente il mio modo di ragionare. […] Ma l’andare più oltre né piace, né giova, non essendo il mio scopo il tessere una nomenclatura od un catalogo, ma presentare soltanto agli occhi de’ lettori una rapida prospettiva.
Povero il mio Prometeo! […] Popol mio, babbo mio, esci. […] Popol mio, babbo mio, esci. […] Anzi nel mio. […] Nel mio, nel mio.
A provare in ogni circostanza l’esattezza e l’innocenza del mio racconto, basti accennare quanto contro di esso si oppose da’ capricciosi apologisti e da’ villani declamatori. […] E qual risalto non avrebbe ciò dato al mio racconto? […] Ma per giustificare vie più il mio racconto e per manifestare a un tempo la poca sincerità del sig. […] Il leggitore su di ciò può leggere l’articolo XIV del mio Discorso Storico-critico.
[4] Degnate non per tanto onorare dell’autorevol vostro suffragio codesto tenue saggio del mio zelo per gli studi voi, che siete solito d’accogliere con tanta benignità tutto ciò, che spetta l’avanzamento delle arti, e delle lettere; voi, che in una città maestra della religione e della politica sostenete con tanto decoro i diritti di un monarca cognito all’universo non meno per la sua pietà nella prima che per la sua prudenza nella seconda; voi, che collocato ih carica sì luminosa rarissimo esempio avete dato a’ vostri pari di sensibilità spargendo lagrime, e fiori sulla tomba d’un amico illustre; voi, finalmente, che nelle vostre sensate, profonde e per’ogni verso filosofiche riflessioni intorno alle opere di Mengs avete fatto vedere che il talento di regolare gli affari non è incompatibile con quello di conoscere le più intime sorgenti del bello, e che il più’gran genio del nostro secolo nella pittura era ben degno d’avere per illustratore de’ suoi pensieri, e confidente uno degli spiriti più elevati della Spagna nella penetrazione e sagacità dell’ingegno come nella squisitezza del gusto.
Al molto Illustre Sig. mio, Sig. e Padron colendissimo il Signor Antonio Francesco Facini, uno de’ Signori Tribuni della Plebe.
r mio col.
Conobbi il mio caro Angelo, quando si era giovani entrambi.
Appoggiatevi pur sopra il mio petto. […] O figlio mio, tu non avrai più madre; Ella già se ne va, statti con dio. […] Porto la morte del mio Oreste; a cui? […] Con che volto potrò veder mio padre? […] E questi è il mio diletto, e la mia vita?
Al vantaggio non mediocre che gli amatori illuminati di siffatte materie potranno cavare da tal lettura s’aggiunge ancora un conforto non debole per il mio amor proprio quello cioè di trovare gran parte di quelle idee sparse nella mia opera, che da alcuni imperiti sono state riputate insussistenti, avvalorate dall’autorità d’uno scrittore non meno rispettabile per la sua filosofia che per la sua critica, e la sua erudizione. […] Io presento a’ musici la rettorica della musica, e quest’è l’oggetto mio principale. […] No, mio Signore, egli è impossibile il ridurre tutte le parti di essa a questi capi generali. […] Ma posciacchè vi ho comunicato il mio progetto, e voi avete creduto bene d’ispirarmi coraggio, tutto il mio ardore s’è acceso di nuovo. Il vostro consenso ha dileguati gli ostacoli, che fin ora aveano rallentato il mio corso, e dacché posso nodrire la dolce speranza, che voi seconderete i miei sforzi, e m’aiuterete coi vostri lumi non v’ha cosa, ch’io non osassi d’imprendere.
Che risposta recherò al mio re? […] mucho de ti recelo valor mio. […] Rachele stessa non può dissimularlo, e gli dice; non ordinaste voi stesso il mio esiglio? […] Huerta, ma da me non lette a cagione del mio passaggio in Italia. […] Zenobia dice, Salvami entrambi, Se pur vuoi ch’io ti debba il mio riposo, E se entrambi non puoi, salva il mio sposo.
« Quando la compagnia si fu tolta i suoi costumi di teatro, per indossar quelli di tutti i giorni, la laide Bassi, infilato il mio braccio, mi trascinò fuori, dicendo che io doveva recarmi a cena da lei.
E sorgi, al fratel mio dicean concordi ; Dio nella nostra la sua man ti porge ; e i sensi, che all’udir pareano sordi, scuote, e risorge.
– gli disse ; – per ridurre un abito mio al vostro dosso, ci avreste da dare al sarto una somma….
[1] Tra i fenomeni letterari che si presentano avanti a chi vuol osservare le rivoluzioni del teatro italiano non è il minore a mio avviso quel maraviglioso strabocchevole, che accoppiandosi col melodramma fin dalla sua origine, lo seguitò passo a passo per tutto il secolo scorso e parte ancor del presente, non solo in Italia ma nelle nazioni oltramontane ov’esso fu trapiantato. […] Ma onde sia venuta in mente a’ poeti siffatta idea; per qual istrano cangiamento di gusto una nazione sì colta sene sia compiacciuta a tal segno, che abbia nel teatro antiposta la mostruosità alla decenza, il delirio alla verità, l’esclusione d’ogni buon senso alle regole inalterabili di critica lasciateci dagli antichi; se il male sia venuto dalla poesia ovver dalla musica, o se tutto debba ripetersi dalle circostanze de’ tempi, ecco ciò che niun autore italiano ha finora preso ad investigare, e quello che mi veggo in necessità di dover eseguire a continuazione del metodo intrapreso, e a maggior illustrazione del mio argomento. […] Non è proprio di questo luogo, e nemmeno del mio debole ingegno il diffondermi circa un argomento, che richiederebbe più tempo, e penna più maestrevole. […] Perciò insiem coi palazzi e le selve incantate, colle anella, le armi, e le verghe fatate, cogli endriaghi, e gl’ippogrifi dotati d’intelligenza, coi giganti, nani, damigelle, e scudieri a servigio delle belle o in loro custodia, cogl’incantatori, le fate, e i demoni or favorevoli or nemici, vi si leggono fellonie de’ malandrini severamente punite, provincie liberate dai tiranni e dai mostri, cortesie, e prodezze impareggiabili de’ paladini, pudor seducente nelle donne e costanza congiunta a dilicatezza inesprimibile, e tali altre cose, le quali schierate innanzi agli occhi d’un tranquillo filosofo, e paragonate con quelle d’altri tempi, lo conducono alla cognizione generale dell’uomo, e a disingannarsi della vana e ridicola preferenza che gli interessati scrittori danno ai costumi delle nazioni e de’ secoli che essi chiamano illuminati, sopra quei delle nazioni e de’ secoli che chiamano barbari66, [15] Alle accennate cause della propagazion delle favole debbe a mio giudizio aggiugnersi un’altra. […] Tale fu a mio giudizio l’origine del maraviglioso nel melodramma.
Parole, che se rappresentano un mio legittimo orgoglio, rappresentano anche, e soprattutto, la modestia grande con cui la già grande artista accoglieva quelle osservazioni. […] Il 16 giugno dell’ ’83 scriveva da Bologna all’incomparabile amico Antonio Fiacchi, il Piccolet allora del Piccolo Faust : È sempre cosa gradita alla nostra vanità – o meglio alla nostra fibra – il non vedersi sconosciuti nel mondo ove viviamo – e per quanto io cerchi isolarmi – non lusingandomi troppo – nè degli elogi – nè delle affascinanti profezie sul mio conto – pure – una parola – una approvazione intelligente – mi rimettono in cammino con più lena – e con un coraggio che non è senza fiducia. […] Insomma, una grande pace nello spirito – un gran sorriso – per Lei – la piccina mia – e un benessere assoluto del mio fisico, che cominciava a tarlarsi alla radice. – Ecco tutto. […] — Andrò a Parigi — e se al mio ritorno non troverete in me tutte le qualità accademiche dell’arte e del bel mondo — vorrà dire che sarò abbrutita del tutto ! […] ), che si divertiva a fissar le diverse espressioni ch’ egli coglieva a volo in teatro sul volto della Duse, aveva tappezzato il suo studio a Palazzo Borghese di trenta schizzi che personificavano i diversi moti dell’anima umana, uno dei quali io metto qui, a mio parere il migliore.
Lagrime vili, il corso Frenate: ahi per cent’occhi bastami il mio rimorso! […] avrebbe egli penetrato il senso iniquo del mio discorso? […] Morir m’era dovuto: Accogli il pianto mio . . . […] schiavo il sangue mio? […] Il chair mio amico il P.
Qualunque sia stata la mia premura nel rintracciar la verità delle notizie, mio principal assunto non è d’offrire una sterile compilazione di reminiscenze, ma di ragionare sui fatti, di far conoscere le relazioni che gli legano insieme, e d’abbracciare gli oggetti analoghi, i quali, entrando comodamente nel mio argomento, potevano servire a maggiormente illustrarlo. […] Avrebbono forse desiderato, ch’io fossi stato più circospetto: cioè nella significazione che danno essi a tal parola, che non avessi osato, di profferir il mio sentimento se non colla timidezza propria d’uno schiavo, che avessi incensato gli errori e i pregiudizi del secolo, e che avessi fatto l’eco vituperevole di tanti giudizi stoltissimi, che sentonsi ogni giorno ne’ privati discorsi e nelle stampe. né vi mancheranno di quelli, i quali, ricorrendo a’ luoghi topici della ignoranza, troveranno nel titolo di straniero una suspizione d’invidia contro l’Italia. […] Se le riflessioni in gran parte nuove che ho procurato spargere su tali materie, come su parecchie altre contenute in questo libro, non bastassero a formar un sistema completo (lo che non è stato mai il mio oggetto) e se i maestri dell’arte non le trovassero degne di loro, potranno, esse almeno divenir opportune ai giovani, pei quali furono scritte principalmente.
Perchè colla maschera non potrei mostrare sul mio volto gli sforzi che un bleso fa inutilmente per parlare e la tensione dei muscoli prodotta da quegli sforzi.
[9] Da questo paragone della musica colla poesia risultano due osservazioni spettanti al mio proposito. […] Voi foste il mio diletto, Voi siete il mio terror.» […] Un esempio rischiarerà meglio il mio pensiero. […] Nel che è da osservarsi in confermazione del mio proposito, che l’uso del parlar figurato e comparativo tanto è maggiore in un popolo quanto è più scarso il linguaggio, e meno progressi v’ha fatto la coltura delle artie delle scienze. […] [40] Riandando le cose anzidetto possiamo a mio parere determinare in che consista il vero carattere dell’opera.
Chè non moristi allor pria ch’al materno Minaccevol sembiante io t’involassi, Comune almen col genitor l’avello Avuto avresti; or dal mio grembo lungi, Lungi dal patrio suol, misero, cadi! […] Tu cadi, e lieve pondo in vase angusto Di te rimane, e al mio dolore insulta L’empio nemico, e gongola di gioja La madre, ah non mai madre!
Prèmare e tratto da una collezione di un centinajo di drammi scritti nella dinastia di Yuen: “Io sono Tching-poei, mio padre naturale è Tungan-cu; io soglio la mattina esercitarmi nelle armi, e la sera nelle lettere; ora vengo dal campo per veder mio padre naturale”.
Non posso, gentilissima Madonna, fare ch’io in quello che servirò quella Magnifica Madonna per la cui generosità sarò riscattato non dica che il padre mio doi figliuoli ebbe senza più, ed egli è il vero che la madre noi d’un medesimo parto avendo partorito passò di questa vita ; per il che dall’avo materno nostro, fummo fino alli sette anni allevati, di poi, per odio di nostri parenti a noi portato, e per fuggire le insidie loro a noi nella vita tese, fummo disgiunti : quello che di mio fratello avvenisse non potei mai risapere ; io in abito di donna fino alli diciotto anni stei rinchiuso in un monasterio di monache, ove, in cambio delle lettere, allo ago, alla rocca ed al fuso diedi opera, e prima imparai a tirar in filo il lino e la lana, di poi a comporre e tessere le tele, e di poi con l’ago di seta di varj colori trapungerle e ricamarle d’oro e d’argento, ed in quelle dipingere e colorire figure di uomini, di animali, di arbori, di paesi, di fontane, di boschi…. ed in breve, quello che faria con un pennello un dotto dipintore, io con l’ago, con la seta tinta di varj colori farò.
mo Dalla compitissima Sua sento le glorie fracesi, che già comincio a vedere che la fortuna, a cura ma questo poco m’importa, sono gl’otto scudi delle botte che mi danno fastidio, La pregho andare dal Signor Giuseppe Priori, cassiero del Monte, e dirli che mi fauorisca auuisarmi per qual causa non ha pagato una mia polizza d’una doppia dicendo non auer denari de miei, e farsi dare una notarella del nostro, conto, perche mi pare che tenghi assai più nelle mani, se pure a riscosso li denari dal Ebreo Rossi al quale uendei il Vino, auendo il suddetto Signor Priori acettato di riceuer lui il mio credito e darmene credito, che in tal caso corre la somma per conto suo, che per altro, io non avrei dato il Vino, oltre di che di Conto Vecchio ui è qualche bagatella senza questi che lo pregho prenderne Nota distinta accio possa regolarmi, e ne do carico a V. […] mo Lordinario passato non scrissi stante esser ritardato il procaccio, ora non manco al mio debito pregandolo di nuouo far por in Monte il denaro del fitto è così il S.
Chiari figli d’Euganea, eccovi innanzi la Nina vostra (ah si permetta al grato e sensibil mio cor si caro vanto !). […] Dell’inesperte forze a far cimento altrove andai, ma sull’ Euganea scena ben tosto apparvi palpitante, incerta sul mio destin.
che ho finito il mio ! […] Ma che il rigor del mio destin non cangia ! […] Eugenio Pretendi dunque il mio morir ? […] Beato voi, gli dice il padre, figlio, mio caro figlio, abbracciami, sei salvo. […] Ah tu che sai Tutti i pensieri miei : che senza velo Hai veduto il mio cor : che fosti sempre L’oggetto del mio amor, dimmi se questa Aspettarmi io dovea crudel mercede.
» sclamava poi ; « voi tutti ben conoscete i miei rimedj, poichè son gli stessi che spaccia nella piazza vicina il mio rivale, di cui io sono il figliuolo. » E qui si diede ad architettare una storiella verosimile, secondo la quale, per certe sue ragazzate, sarebbe stato maledetto e scacciato dal padre.
Una certa serietà nel sembiante, una certa durezza nella persona, un’inclinazione involontaria del fianco e della spalla verso il Personaggio con cui recitava, lo facevano scomparire, malgrado le belle cose ch’egli diceva : all’incontro nelle Tragedie riusciva mirabilmente, e sopratutto nelle parti gravi, come nel Catone del Metastasio, nel Bruto dell’abate Conti, nella parte di Giustiniano nel mio Belisario, ed in altre simili.
Ond’oggi il mio desir più non v'ascondo, il qual con prosa incolta e bassa rima, tenta innalzarvi, e farvi eterna al Mondo.
Li gondolieri del mio paese hanno sempre sostenuto colle loro mani callose, che quel Brighella è un grande uomo.
Di lui scrive suo padre : I caratteri che, a mio credere, più gli si addicono sono i virili, gli energici : ai languidi, amorosi, sentimentali non sembrami inclinato.
Quel comico, per sè stesso persona dabbene ed onesta, era stato ammestrato non so da chi (forse con di lui cecità), ne'gesti, ne'passi marcati del Gratarol per modo, che quantunque io non abbia giammai avuta la menoma inurbana mira di porre il Gratarol in sulla scena, devo dire con mio dolore : il Gratarol si è posto, e fu posto in iscena nella mia commedia : Le Droghe d’amore.
Bisogna dire che questi sieno i pretti originali degli eruditos à la violeta dell’ ingegnoso mio amico il signor Cadalso y Valle, e che appena leggano pettinandosi alcuni superficiali dizionarj o fogli periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua, e che con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral sicurezza, che il canto rende inverisimile le favole drammatiche. […] Dopo che io ebbi queste cose ragionate nella Storia de’ teatri del 1777, le vidi con ugual mio piacere da due Spagnuoli accolte diversamente; avendole (siccome avviene di un umore stesso, che nella serpe divien veleno e nell’ape si converte in mele) l’uno impugnate, l’altro trascritte. […] Don Tommaso Yriarte di porre in eleganti versi castigliani il mio raziocinio, facendo una bella parafrasi delle mie espressioni nel canto IV del suo poema della Musica pubblicato due anni dopo della mia Storia, cioè nel 1779; e benchè egli non si sia curato di citar la fonte onde bevve, pur mi piace di recarne uno squarcio: Los Cantores Son acaso los unicos que ofendan La ilusion teatral, cuya observancia El Comico y el Tragico pretenden?
A evitare conflitti o semplici malumori fra' due artisti, fu convenuta la seguente divisione di repertorio, da loro e dal direttore Domenico Righetti accettata e sottoscritta : Parti di spettanza del signor Rossi Parti di spettanza del signor Peracchi Caterina Howard Avviso alle mogli Cittadino di Gand Arturo Cola di Rienzo Bruno filatore Calunnia Bastardo di Carlo V Conte Hermann Battaglia di donne Clotilde di Valery Don Cesare di Bazan Duello al tempo di Richelieu Duchessa e Paggio È pazza Dramma in famiglia Francesca da Rimini (Lanciotto) Elemosina d’un napoleon d’oro Fornaretto Guanto e Ventaglio Foscari Innamorati Luisa Strozzi Mac Allan Maria Stuarda Maria Giovanna Marchese Ciabattino Presto o tardi Proscritto Ricco e povero Riccardo D'Harlington Ruy Blas Segreto Fortuna in prigione Signora di S.t Tropez Tutrice Stifelius Sorella del Cieco Tre passioni Mentre il Peracchi, come s’è visto al suo nome, scongiurava il Righetti perchè lo sciogliesse dal contratto, per non trovarsi con Ernesto Rossi che gli aveva mancato di fede, il Rossi in data 17 settembre 1851, scongiurava il Righetti allo stesso intento : ….. io ora vengo quasi ginocchioni a pregarti, a supplicarti per quanto hai di più sacro e caro su questa Terra, tanto pel mio interesse e per la mia quiete, quanto pel tuo riposo, a volere presentare questa lettera alla nobile Direzione, fare conoscere l’immensi danni che potrebbero avvenire tenendo due primi attori, non più amici fra loro, ma bensì accaniti nemici, il poco studio delle parti, le continue dispute, l’odio implacabile nel piacere più l’uno che l’altro, e forse, forse tante e tante altre dimostrazioni, che arrecherebbero anche l’intiero disgusto del Pubblico…. […] Se poi tu mi avessi a rispondere un No, assicurati che ne sarei così colpito ed irritato, che adesso non so spiegarti a che potrei giungere per non venire ad adempiere il mio contratto ; e ne avverrebbe allora, che tu maggiormente irritato mi obbligheresti con forza armata a venire a Torino, e là incominciare una guerra, una guerra implacabile ! […] Io sarò intrepido, sarò forte contro all’invidia e alla tua inimicizia, e mi lagnerò sol quando mi farai vedere che questa sia cessata ; sono avvezzo a vedermi trattar male, e sconoscere gli affetti del mio cuore, ma ho tanta superbia, tanto orgoglio, e forza per calpestare la serpe che mi morde.
Tu hai all’infelice mio figlio rapita quest’armatura, dice Merope. […] Se l’armatura apparteneva all’ucciso, l’ucciso è mio figlio (dir dovea Merope a se stessa): se all’uccisore, io trovo in lui mio figlio. […] Alzira insino ad or non è vissuta Che sventurata per le mie fierezze, Pel maritaggio mio. […] L’amor mio, replica Bianca; quando mio padre è venuto a prevenirmi di avermi destinata al maggiore degli eroi di Venezia, ho creduto ch’egli con ciò ti avesse voluto indicare, ed ho dato di buon grado il mio consenso! […] Questi dice al Collega, perchè mi riveli in questo punto che Montcassin è mio rivale?
Io venni al mondo in tristissimi tempi, ed educato alla meglio seguii modestamente l’arte del padre mio, che mi lasciò per patrimonio la volontà del lavoro e dello studio.
Quando poi le ho vedute in Firenze io stesso rappresentare, non posso bastantemente esprimere quanto siasi accresciuto il mio giubbilo, e quanta compiacenza mi abbia recato il vederle con tanta esattezza, con tanta verità e spirito rappresentate.
Io Antonio Rico Bon mi confermo uero e legitimo Debitore et obliga ogni mio Avere.
Benchè lo stile non possa dirsi difettoso per arditezze o arguzie, essendo anzi elegante, vivace, naturale, è non per tanto a mio avviso lontano dal carattere tragico; nè credo che il rimanente, cioè azione, caratteri, interessi, alla tragica maestà più si convenga. […] Ella le dice: Il Padre mio ben sai che a maritarmi Pensa assai poco . . . . E poi che il padre mio non mi marita, Maritar me per me mi son disposta. […] La stagion crudele Mi fa crudel, gli dei negletti giusto, La patria e ’l padre offesi Giudice rigoroso, il mio furore Vendicator . . . . […] Non vedrà alcuno mai Questo mio capo alle corone avvezzo Ad inchinarsi ad altri che alla morte.
Un Letterato Spagnuolo mio amico anni sono mi diceva in Madrid, che Metastasio avea imitato alcuna cosa di Calderòn. […] Questo spirito, questo perchè, Signor Lampillas mio, consiste singolarmente in una prodigiosa varietà di accidenti accumulati un sopra l’altro, in modo che lo spettatore ne rimanga incessantemente sorpreso.
L’impugnò Saverio Lampillas, ma in un modo così grazioso nel suo Saggio Apologetico, che mi diede motivo di rilevare la piacevolezza delle sue opposizioni nell’articolo XII del mio Discorso Storico-critico. Piacque poì al signor don Tommaso Yriarte di porre in versi castigliani il mio raziocinio non solo, ma le mie parole trascritte nella sua lingua, facendone una parafrasi nel canto IV del suo poema della Musica pubblicato due anni dopo della prima edizione della Storia de’ Teatri, cioè nel 1779. […] Il Signor Yriarte anzi che dissimular ciò che avea letto nel mio libro, e porsi nella classe de’ plagiarii, avrebbe potuto citarlo con ingenuità mostrando che i ragionatori di diverse nazioni concorrono nel medesimo sano sentimento, giacchè egli accumulò nel suo poema varie citazioni per avventura inutili e pedantesche.
E giudicando degli autori secondo il mio criterio senza spirito di partito o di sistema, con moderazione insieme e con libertà, ho procurato conservare quella imparzialità che non può dall’onesto scrittore andar disgiunta 13. […] ), ma al mio inganno non avrà mai parte il cuore, che non che farmi Cieco su’ miei stessi capricci, ardisco Contro de’ vizii miei darmi battaglia, per valermi del concetto di Pope e delle parole del Gozzi che tradusse il di lui Saggio di Critica. […] Esse si collocheranno alla fine di ciascun volume, così per non alienar troppo spesso il leggitore dalla catena delle idee del testo, come per evitar gli equivoci e per non far che a me talvolta si arroghi il merito di ciò che avrà detto il mio dotto amico 14.
Vita comune, uguaglianza; questo è il mio progetto . . . . […] Popol mio, babbo mio, esci. […] Anzi nel mio. Cle. ) Nel mio, nel mio. Salc. ) Nel mio, nel mio.
Io farò che quegli attori rappresentino avanti di mio zio qualche scena che rassomigli alla morte di mio padre. […] Voi, Madre, troppo avete offeso il mio. […] Mio Padre, mio Padre co’ suoi medesimi arnesi . . . vedete . . . ora va via.”
Lo rimpiangerai…. ma io già non credo che tu voglia davvero voltargli le spalle : sospetto bensì che tu tiri il roccolo per farti esibir maggior paga da X e poi dire con tuono flebile a Domeniconi : Papà mio, mi piange il cuore, ma vedi, mi offrono 500 di più ; io sono pover’uomo, crescimi tu i 500 ed io resto con te fino alla morte.
Non lasciò mai travedere ciò che pensava ; fu stimato e riverito da molti : io pure lo stimai, ma non l’ebbi mai nel mio calendario.
mo Gran Duca mio S. […] E il Perrucci, che colla sua arte rappresentativa ha gettato veri sprazzi di luce in mezzo al bujo che avvolge le nostre scene ne’secoli xvi e xvii, dice : La parte del Dottore non ha da esser tanto grave, servendo per le seconde parti di Padre, ma per la vivacità dell’ingegno, per la soverchia loquela può darsele qualche licenza d’uscire dalla gravità ; ma non tanto che si abbassi al secondo Zanni, perchè allora sarebbe un vizio da non perdonarsele ; il suo linguaggio ha da esser perfetto Bolognese, ma in Napoli, Palermo ad altre città lontane da Bologna, non deve essere tanto strigato, perchè non se ne sentirebbe parola, onde bisogna moderarlo qualche poco, che s’accosti al Toscano, appunto come parla la nobiltà di quell’inclita Città, e non la Plebe, di cui appena si sente la favella : onde allora ch’ebbi la fortuna di esservi, al mio Compagno sembrava d’esser fra tanti Barbari, non intendendo punto quella lingua. […] Per rappresentare adunque (secondo il mio senso) questo così gratioso personaggio direi che quello il qual si dispone di portarlo in iscena, si formasse ben prima nell’ idea un tal huomo il quale voglia esser moderno al dispetto dell’antichitá, & che a tempo isguainasse fuori sentenze propositate quanto alla materia ; ma sgangherate quanto all’espressura, il condimento delle quali fosse vna lingua Bolognese in quella forma, ch’ella viene essercitata da chi si crede, che non si possa dir meglio, & poi di quando in quando lasciarsi (con qualche sobrietà) vscir di bocca di quelle parole secondo loro più scielte ; ma secondo il vero le più ridicole, che si ascoltino ; come sarebbe a dire.
Mentre ciò accadeva, il Gagliardi vedendo perduta ogni speranza di salvezza, ed essendo bravissimo nuotatore, pregava la moglie di seguirlo sul mare, attaccandosi a lui, ma essa gli rispose : – Luigi, prima di me, pensa a’tuoi figli ; salva prima essi, poi, se lo potrai, vieni in mio soccorso. […] Il buon uomo piangeva ; si convenne che dopo che mi fossi tornato a tuffare, egli mi avrebbe ajutato tirando la fune : abbracciai il corpo a mezza vita, l’uomo tirò a sè la fune, e venni alla superficie carico del mio funebre fardello.
L'Ati è un giojello ; l’ epistola ad Ortalo e la Chioma di Berenice più spigliata, non più bella di quella di Foscolo ; il carme a sè stesso così così : il mio è forse migliore. […] Mi perdoni questo mio giudizio schietto e senza ipocrisie.
Per la disposizione sembra questo dramma gettato nella stampa del l’Ifigenia in Tauride; ma a mio giudizio cede a questa assai in patetico, in moto, in nobiltà e in interesse. […] Mai più le vaghe Tue spaziose vie, Non calcherà il mio piè! […] Inerme ingombra Già il mio consorte le sicure piume Nè a’ liti intorno pei Trojani campi Sorgon le Argive tende. […] Perchè mai stringi L’imbelle madre tua e ti raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sotto l’ali materne? […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno e del mio sangue Io ti nutrii?..
Ferma : l’onore è mio Disse, e il serto rapi, E ad insultar l’oblìo Te cinse, e poi spari.
Io in tempo della sua malatia ho impegnato ogni cosa dell mio, et adesso per la prigionia l’ ho uenduto è non so più come mi fare, à mantenerlo la dentro, onde lascio considerare alla prudenza di V.
sta bene : non dimenticherò l’indirizzo della sua ditta, quando avrò bisogno de'suoi prodotti. » E di un altro giovine autore, pallido, mingherlino, dal volto triste e spaurito, seminascosto dietro una quinta, a cui la Vitaliani spontaneamente si volse, incoraggiandolo con dolci parole ; e promettendogli di leggere la commedia, che prese con gentile violenza, pose con grazia squisitamente signorile la sua piccola mano nella mano tremante dell’incognito drammaturgo ; e, accomiatatolo, si volse alla Tartufari dicendo : « Umile con gli umili, superba coi superbi : tale è il mio motto. » E di questa sua bontà anche fa fede sua madre, in una lettera a me diretta del '900, in cui dice : « L'Italia è una buona figlia, amorosa ; essa viene spesso a trovarci, e si trova beata e felice quando rimane qualche giorno fra le braccia di sua madre che adora, e dei suoi fratelli e sorelle. » E parlando poi la Tartufari della vasta e solida coltura, di cui la egregia attrice non fa alcuna pompa, intesala un mattino discorrere nel Duomo di Siena dei tempi torbidi e poetici dei comuni con parola sobria, ma colorita e precisa, « Dove trova il tempo lei d’imparare tante cose ?
Fà venir il mio voltin Di color di melaranza. […] Vin è car, il mio cusin, Si mi fa ballar per via. […] I miei canti hanno cangiato di natura, come s’è cangiata la disposizione del mio spirito. […] «Io finisco il mio canto. […] Ma mi dica di grazia, in qual parte del mio libro ha egli trovata cotal asserzione?
Nel rifletter che Beroe allorché parlando con Samnete gli dice: «Idol mio per pietà rendimi al tempio.» invece d’intuonare quell’“idol mio” verso l’amante, si rivolge al vicino palchetto dove lo scimunito protettore accoglie l’inzuccherato complimento con un sorriso di compiacenza e colla stolidezza degna di cotai mecenati? […] [9] Una folla di corollari luminosi e brillanti mi si fanno innanzi dopo l’enunciato problema, sui quali però mi è forza passare di lungo per fermarmi soltanto nelle cose che tendono direttamente al mio assunto. […] Attalchè molto male, a mio avviso, opinò quel moderno autore141 che ripose l’imitazion musicale nel rango delle chimere; opinione che non potè nascere in lui se non di poca filosofia, o dal desiderio di distinguersi con qualche novità stravagante. […] Mi muovono a farlo due argomenti, i quali al mio parere convincono che la melopea degli antichi fosse diversa da quella che usiamo in oggi nell’opera.
Il mio? […] Il mio debol conosco, e il mal ch’ho fatto. […] E continui ancora, o lingua fracida, A strapazzare il mio padrone assente? […] Addio, mio caro Fedria; vuoi tu da me qualche altra cosa? […] In questo punto Cancello dal mio cuor tutte le donne, Che mi fan noja i visi del paese.
Il mio? […] Il mio? […] Il mio debol conosco, e il mal ch’ho fatto. […] E continui ancora, a lingua fracida A strapazzare il mio padrone assente? […] Addio, mio caro Fedria; vuoi tu da me qualche altra cosa?
Ah mio caro, ella risponde, sento venire alcuno, ho paura che ci osservino; sentite; io men vado fingendo di essere con voi in collera, seguitemi, ma non si presto, perchè non s’insospettiscano. […] Era la voce di mio padre… Misera me! […] Io co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio e l’immerge nel mio petto, dicendomi, io ti ho salvata per perderti.
Ah mio caro, ella risponde, sento venire alcuno, ho paura che ci osservino; sentite io men vado fingendo di essere con voi in collera, seguitemi, ma non sì presto perchè non s’insospettiscano”. […] Era la voce di mio padre . . . […] Io co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio e l’immerge nel mio petto, dicendomi, io t’ho salvata per perderti”.
.° Couiello Cardocchia, e per Armellina mio matrimonio Galeazzo Sauorini d.° il Dottore Marco Ant.° Zanetti d.° Truffaldino Carlo Zagnoli detto Finochio Antonio Rico Boni Pantalone.
E qui finisco, che di quest’acqua « sat prata biberunt » una bistecca mi attende, una buona bottiglia mi chiama ; e la bistecca è il mio debole che mi rinforza, il vino la mia passione che mi rasserena, dappoichè, come dice Byron, è solamente in fondo al bicchiere che non si trovano inganni, e « un peu de vin pris moderement est un remede pour l’ame et pour le corp. » Addio dunque, opprimi, ammala anche Alarico (nome teutonico che vuol dire molio potente) e di’ lui che sto bene quantunque sia sempre magro come una colonna gotica, ma la magrezza non guasta, anzi interessa ; vedi Paride magro, come lo dipinge Virgilio, Eneide ; Leandro magro….
Esordì bambino nella Compagnia di suo padre, e così, egli stesso, mi descrive i suoi primi passi : « quella che non mi andava giù era la parte di uno dei figli nell’ Edipo Re : non potevo resistere allo strazio di vedere all’ ultimo atto mio padre senza occhi ; anzi, al Filodrammatico di Trieste, una sera, ho piantato tutti e me ne sono andato via di scena piangendo.
E a pagina 96 : Il vecchio Pinotti ha in tutte le parti che gli ho visto recitare, e non son poche, pienamente confermato il mio primo giudicio.
Io farò che quegli attori rappresentino avanti di mio zio qualche scena che rassomigli alla morte di mio padre. […] Voi, madre, troppo avete offeso il mio. […] Mio padre, mio padre co’ suoi medesimi arnesi… vedete… ora va via. […] Mi vieta il mio argomento l’andar ricercando dietro ad ogni particolarità della scrittura di costui, nella quale trovansi sparse senza che vengano citate moltissime cose che leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da questo e da quello Italiano sugeritegli, le quali ha egli registrate senza esame, e senza ben ricucirle col rimanente del suo libretto.
E ier sentii nella profonda notte Del mio pensiero un tremito di vita, Una fiera allegrezza ; e con la muta Ala del desiderio io ti deposi Lagrimando sull’omero la fronte E ti parlai così : Misterïoso È veramente de’mortali il Fato. […] Sol ti rivenga Qualche volta al pensier, quando t’ascolti Suonar per questo italico deserto Riverito il mio nome o vilipeso, Ti rivenga al pensier che un’infinita Riconoscenza a te, pia creatura, Mi lega d’invincibili catene, E seguirò coll’anima le tue Poche gioie, o diletta, e i tuoi dolori Sin che tra questo di civili belve Covo io rimanga alla calunnia, e al canto !
Non vuoi del mio servir, dolce mia Lidia, aver pietà ?
Una sera ella mostrava con manifesti contorcimenti i dolori che la tormentavano ; un giovinotto della barcaccia di proscenio sussurrò a’ compagni, ma in modo da essere udito : « la prima donna ha i dolori perchè lascia il damo. » Ed ella di rimando, vòlta alquanto verso la barcaccia : « se tu avessi il mio male non parleresti così. » Il giovinotto, udita la frase, si abbandonò prima a una matta risata, poi lasciò il teatro ; quella recita fu l’ultima della Fusarini a Livorno.
Così, e assai bene, il mio Ugo De Amicis comincia uno studio sull’ arte della Reiter nell’interpretazione della prima : Credo che se Sardou fosse un autore italiano il pubblico direbbe ch'egli ha scritto la Madame Sans-Gêne per la signora Reiter, ch'egli ha svolto così largamente il carattere di Caterina perchè l’illustre attrice, presentandosi nei diversi aspetti di questo personaggio storico, potesse in una sola parte spiegare tutte le sue doti ; e credo che chiunque avesse letta la commedia prima di vederla rappresentata e avesse voluto distribuire idealmente i ruoli, avrebbe scritto a fianco del nome della protagonista : Virginia Reiter.
Ermete Novelli, uno dei pochi, il solo forse, veramente capace d’intendere quella recitazione tutta impulsi, senza un fil di meccanica, dettò nel Fanfulla domenicale del 31 gennaio '92, poco dopo la morte di lei, un articolo ricco di commovente entusiasmo, da cui mi piace, per chiuder degnamente questo mio, stralciare un brano, che si riferisce a una recita di Fernanda al Margherita di Genova per la famiglia di Carlo D'Antoni.
Però senza pretender che il mio giudizio faccia autorità, anzi lasciando il lettore in piena libertà di non dargliene alcuna, io seguiterò ad esporre le mie riflessioni su questo punto colla stessa schiettezza e imparzialità, che finora ho procurato di fare sugli altri argomenti. […] Purché si possa dir: Quel core è mio. […] «Mentre dormi Amor fomenti Il piacer de’ sonni tuoi Coll’idea del mio piacer. […] E da quel giorno in poi fino al presente Non trovai pace, o tregua al mio martoro. E tu crudele l’amor mio non curi?
E se bene nè il Fantuzzi, nè il Quadrio, nè altri, a mio sapere, accennino al Bocchini attore, pure gli scritti suoi (Corona Maccheronica, ecc., Modena, Soliani, 1665, in-12), nei quali sono particolarità curiose sulla schiera infinita degli Zanni e una conoscenza profonda dell’arte e della vita loro, starebbero a provare che non solo egli montò in banco, ma che nè men fu de’peggiori recitanti, di cui alcuni eran gente di moltissimi pregi nell’arte comica, che esercitavan non solo recitando, ma, come i grandi colleghi, suonando, cantando e ballando. […] Scoprendosi la scena, si vede il Re Scappino con Brighella e Bagolino suoi consiglieri, uno da un canto, e l’altro dall’altro con una mano di Paggi Zagnetti, dove arrivando Muzzina senza Tabarro e Beretta, gli dà una Supplica, e Scappino così cantando dice : Varda un poco, Brighella, mio conseglier fidado, se sto Zagno ha portà qualche novella, che possa desturbar el nostro stado : spiega tosto la carta, e inanzi, ch’el se parta, saveme dir, s’el brama pase o guerra, e che bon vento l’ha portà in sta terra. […] Faza donca la sorte, ch’altro mai, che de morte no avrò spavento più, no avrò timore, sotto a la protezion del mio Signore.
Nella Ipermestra del Moniglia la castissima sposa, apostrofando alle labbra dello sposo, dice in piena udienza: «Belle porpore vezzose Onde Amore i labbri inostra Pur son vostra: Di rubini almo tesoro, Mio ristoro, idolo mio, E che più bramar degg’io?» […] [11] Nella Dorinda d’un poeta sconosciuto si trova un monologo fatto ad imitazione di quello d’Amarilli nel Pastor fido, dove fra le altre cose Dorinda dice: «Niso amato ed amante, Se giugnesti a veder quanto mi costa Questo finto rigore, So che avresti pietà del mio dolore. Anch’io vorrei potendo Arciera fortunata Dall’arco di due labbra Scoccar contro il tuo sen dardi amorosi E delle braccia mie Far zona al fianco tuo salda, e tenace; Ma, sopportalo in pace, Forse verrà quel giorno In cui del fato a scorno Potrai, caro Ben mio, Stemprare in vivo fuoco il tuo desio.» […] Nell’Elio Pertinace dell’Avverara havvi un personaggio che si spiega pei seguenti termini: «Orologio rassembra il mio cuore Di quel sole, ch’è l’anima mia Serve d’ombra crudel gelosia, E di stilo spietato rigore.
E se il Malara fu uno Scrittore, che probabilmente si accomodò al gusto generale introdotto nella Penisola, pare al Signor Apologista, che, dove di molti Greci, Latini, Italiani, Spagnuoli, Francesi, de’ quali abbiam pure più fide memorie, ed anche opere, io tralasciai di far menzione, per non potersene, a mio avviso, trarre molto vantaggio per la gioventù, dovessi poi consumare il tempo sulle favole del Malara che non esistono, nè si sa che cosa fossero? […] Torno a replicarvi che dovevate leggere nel mio Libro, che io non avea avuto sotto gli occhi le favole del Cueva. […] Della Tragedia Los Amantes di quest’altro Scrittore favellarono non solo il Ximeno, ma l’Antonio, e il Montiano, ed altri, ed io non ho voluto ometterla nella preparata nuova Edizione del mio Libro, tuttochè non se ne trovi pesta, ad onta dell’impressione di Valenza del 1581. […] Non mi distendo di vantaggio, non essendo mio intendimento di mettere in vista tutte le pruove, che ha dato in questa favola il per altro famoso Poeta Argensola, e della poca età in cui la scrisse, e del gusto al suo tempo dominante nella Penisola, che non gli permise maggiore esattezza.
Benchè lo stile non possa dirsi difettoso per arditezze o arguzie, essendo anzi elegante, vivace, naturale; è non pertanto a mio avviso lontano dal carattere tragico, nè credo che il rimanente, cioè azione, caratteri, interessi, alla tragica maestà più si convenga. […] Ella le dice: Il padre mio ben sai che a maritarmi Pensa assai poco… È poichè il padre mio non mi marita, Maritar me per me mi son disposta. […] Non vedrà alcuno mai Questo mio capo alle corone avvezzo Ad inchinarsi ad altri che alla morte.
E mostrando Sempronio qualche pena di lasciar Marzia, Siface se ne maraviglia; ma l’altro risponde, erri se credi che io l’ami, Stringere io bramo sol l’altiera donna E piegar l’inflessibile al mio foco; Fatto ciò, la rigetto. […] É condotto in iscena il corpo di Marco, e Catone gli va incontro dicendo, welcome my son, ben venuto mio figlio; ponetelo alla mia vista, lasciate ch’io conti le sue ferite; chi non torrebbe esser questo giovane? […] Approfittati del mio esempio e ricordati di questa lezione: osserva il mondo e sii malvagio e felice; addio”. […] Il giovane Wilmot esclama dalla prossima stanza, oh padre, oh padre mio. […] Per essere eletto non mi son fatto veder per un mese più ubbriaco del mio cocchiere?
Se in generale fosse men nobile ne' suoi portamenti, le genti, avvezzate al peggio, mal saprebbero rimproverargli le alcune volte ch' ei rinnega sè stesso per seguire il mal vezzo degli' istrioni dozzinali : e ciò, perchè non si dica soverchiamente sfoggiato il mio panegirico. […] Egli mi ha fatto spesso ridere e piangere : effetti non facili entrambi da prodursi ora sul mio animo, almeno da un commediante.
l’idolo mio». […] m’uccida, astri tiranni, Il mio barbaro dolor.» […] Ma l’andare più oltre né piace né giova, non essendo il mio scopo tessere una nomenclatura od un catalogo, ma presentare soltanto agli occhi de’ lettori una rapida prospettiva. […] [NdA] Questa proposizione non è un mio sogno. […] Ciò però non deroga per niente al mio assunto, giacché di gran parte delle arie dei moderni maestri si può fare la stessa analisi ch’io fo della presente.
Ella dopo le dolorose esclamazioni della madre dice: «la medesima misura di versi conviene allo stato mio»; al che il P. […] Quanto alla disposizione, ella sembra gettata nella stampa dell’Ifigenia in Tauride; ma, a mio giudizio, le cede assai in patetico, in movimento, in interesse, e nobiltà. […] mai più le vaghe Tue spaziose vie Non calcherà il mio pié! […] Perché mai stringi L’imbelle madre tua, e ti raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sotto l’ali materne? […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi ’l seno, e del mio sangue Io ti nutrii?
Voi col pennello il mio ritratto fate, et io con la mia penna formo il vostro ; voi stemprate i colori et io l’inchiostro ; io carta adopro e voi tela adoprate.
Ogni volta, mi disse, che incomodo il mio scrignetto, dò questo bacio, e finora tanti ne diedi, che più non c’è numero.
Dentro il mio core intanto sento pugnar insieme A gara col dolore anco il timor, la speme.
XIV del mio Discorso Storicocritico. […] A provare in ogni circostanza l’esattezza e l’innocenza del mio racconto, basti accennare quanto contro di esso si è opposto da’ capricciosi apologisti e da’ villani declamatori. […] Ma per giustificare sempre più il mio racconto e per manifestare a un tempo la poca sincerità del sig.
E giudicando degli autori secondo il mio criterio senza spirito di partito o di sistema, con moderazione insieme e con libertà, ho procurato conservare quella imparzialità che non può dall’onesto scrittore andar disgiuntaa. […] ma al mio inganno non avrà mai parte il cuore, imperocchè, non che farmi Cieco su’ miei stessi capricci, ardisco Contro de’ vizii miei darmi battaglia, per valermi del concetto di Pope e delle parole del Gozzi che tradusse il di lui Saggio di Critica.
E tu con me mio fido cane. […] A te della ragione non fu dato il tormento ; e sul mio letto forse inconscio alzerai la zampa e il muso, allor che quivi cesserà per sempre il solingo, inudito, entro gli arcani del cerebro sentieri, inane bisbigliar de’ miei pensieri.
Ecco come ne pervenne a me la notizia in una lettera di un amico Spagnuolo de’ 22 agosto 1786: Muy Señor mio = El dia catorze del presente vi representar en el Coliseo del Principe su comedia de vm.
Ma ho trovato invece l’Anzampamber del mio giovinotto professore : sicuro !
.), è la seguente nota manoscritta del figliuolo Angelo : È qui dimenticato il più bell’ elogio di mio padre come uomo. — Iddio, a cui ricorse in pensiero senz’ira, gli concesse alcune ore di mente serena, prima della sua agonia.
E per la pastorale infatti abbiamo nuova testimonianza nel seguente sonetto che le indirizzò il conte Ridolfo Campeggi, quand’ella recitò in Bologna l’ Aminta del Tasso : Alla Signora Celia Comica Confidente, Silvia nell’ Aminta rappresentando Donna, s’io miro gli occhi, o il crine in onde, La bella fronte, e le serene ciglia, In sè (dico al mio cor) con meraviglia Le bellezze del Ciel Celia nasconde.
Carlo Gozzi, sostenitore per cinque lustri di quella Compagnia, parlando dell’imminente suo sfasciarsi, dopo di avere citato i nomi di coloro che se ne allontanarono, dice : « Atanasio Zannoni di lui cognato, valentissimo comico, onest’uomo, e d’indole dolcissima, ferito dalle stravaganze del vecchio inviperito, trattava di sottrarsi dalla Compagnia, ecc. » Il Gozzi, pregato dal Sacco d’interporsi perchè egli non se n’andasse, lo pregò a sua volta, promettendogli di far firmare al Sacco quella famosa scrittura che lo spogliava di ogni despotismo, e il buon uomo Atanagio…. diè la parola di rimanere, ridendo però sulla scrittura disegnata, perocchè (diss’ egli) lei vedrà che con mio cognato le scritture non vagliono un fil di paglia.
Ditemi (aggiugne) ditemi almeno, mio Figlio, Bruto non ti odia; basterà questa parola a rendermi la gloria e la virtù; si dirà che Tito morendo ebbe un vostro sguardo per mezzo de’ suoi rimorsi, che voi l’amavate ancora, che alla tomba egli portò la vostra stima. […] Tu hai all’infelice mio figlio rapita quest’armatura, dice Merope. […] Se l’armatura apparteneva all’ucciso, l’ucciso è mio figlio (dir dovea Merope a se stessa): se all’uccisore, io trovo in lui mio figlio. […] Ravvisa, dice Gusmano a Zamoro De’ Numi che adoriam la differenza; I tuoi han comandata a te la strage E la vendetta, il mio, poichè il tuo braccio Vibrommi il colpo micidial, m’impone Ch’io ti compianga e ti perdoni. […] Alzira insino ad or non è vissuta Che sventurata per le mie fierezze, Pel maritaggio mio.
E mostrando Sempronio qualche pena di lasciar Marzia, Siface se ne maraviglia; ma l’altro risponde, erri se credi ch’io l’ami: Stringere io bramo sol l’altiera donna, E piegar l’inflessibile al mio foco. […] È condotto in iscena il corpo di Marco, e Catone gli va incontro dicendo, Welcome mi son, «benvenuto, mio figlio; ponetelo alla mia presenza, lasciate ch’io conti le sue ferite; chi non torrebbe esser questo giovane? […] Io sono stato corrivo, vorrei che tu fossi più accorto; vorrei che tu trattassi gli uomini come essi meritano, come hanno trattato me, come ti tratteranno, amico… Approfittati del mio consiglio, e ricordati di questa lezione. […] Il giovane Wilmot esclama dalla prossima stanza: oh padre oh padre mio. […] Per essere eletto non mi son fatto vedere per un mese più ubbriaco del mio cocchiere?
Non mi son fatto per un mese veder più ubbriaco del mio cocchiere per esser eletto? […] Ah, mio caro, ella risponde; sento venir qualcheduno: ho paura che ci osservino, che ci ascoltino: io men vado, fingendo di essere in collera con voi, ma non mi seguite sì presto ciocché non s’insospettiscono». […] Era la voce di mio padre… Misera me! […] Io co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio, e l’immerge nel mio petto, dicendomi: Io t’ho salvata per perderti» etc.
Gli altri anni indi trascorsi ci apprestano nuovi materiali, e le posteriori mie osservazioni su ciò che narrai intorno all’epoche precedenti, mi suggeriscono nuovi, e, se io dritto estimo, non inutili miglioramenti, che vi rimetterò come vi accingerete a pubblicarne di mano in mano i sei volumi che lo compongono, trattando in guisa il vostro affare, che meglio far non mi saprei, se fosse unicamente mio.
Non sarà infruttuoso questo mio Discorso, qualora le censure del Signor Apologista mi porgano occasione d’illustrare qualche punto curioso della Storia teatrale.
II del Saggio Apologetico, attribuendola per abbaglio al mio dotto amico il Dottor Napoli-Signorelli.
E chi era il Capitan Matamoros che vediam nel quadro dei Buffoni francesi e italiani (riprodotto poi dall’Huret nell’incisione che qui riferisco), di cui do nella testata la riproduzione, per gentil concessione del signor Rambaud, che fu anima dell’esposizione drammatica di Parigi (1896), e di cui non esistono che due esemplari : uno che è nel foyer della Comedia Francese, l’altro appartenuto già al signor De la Pilorgerie, che sarebbe, secondo il Baron de Wismes, di quello una copia ; ma anch’esso, a parer mio, originale ?
Ed è con l’accenno a sì grande idea, e con due parole di lieto augurio, ch'io metto fine al mio piccolo dire : Dio voglia !
Passeri, favella parimente il già mancato mio amico Giovanni Cristofaro Amaduzzi nella seconda sua edizione dell’Alfabeto Etrusco premesso al Tomo III Pictur.
A questo erami dunque la tua maravigliosa arte serbata, questo voleva il mio destin, che tutto l’amaro e il dolce, in che passai la vita, « quand’era in parte altr'uom da quel ch'i' sono ; » tutto m’avesse a ribollir nel petto, e traboccarmi in lagrime dagli occhi ; e me da me diviso, e in te pendente confondermi con teco ?
Però seguitando il mio solito metodo ch’è quello di risalire fino ai principi a fine di cavare più ovvie e più legittime le conseguenze, cercherò di restringere colla brevità e nettezza possibile tutto ciò che nella presente materia ha uno stretto legame col mio argomento ai capi seguenti. […] Il mio metodo non mi permette il trattenermi a narrare i progressi di quest’arte sotto gl’imperatori, né i miracoli de’ celebri pantomimi che tanta impressione fecero su i Romani, e sì pericolosa influenza ebbero sulla loro libertà e su i loro costumi. […] Tuttavia due cose relative al mio assunto meritano di essere rilevate. […] Innanti due aquile e due struzzi; dietro due uccelli marini e due gran papagalli di quelli tanto macchiati di diverso colore, e tutti questi erano tanto ben fatti, Monsignor mio, che certo non credo che mai più si sia finto cosa simile al vero; e tutti questi uccelli ballavano ancor loro un brando, con tanta grazia quanto sia possibile a dire né immaginare. […] I poeti dal loro canto non potendo scuoter il giogo si vendicavano deridendolo, e tale fu al mio avviso il pensiero d’Eschilo allorché introduce nell’Eumenidi il coro delle furie che russavano ridicolamente, come tale può credersi ancora che fosse la fantasia d’Aristofane, allorché componeva i suoi cori d’uccelli, di vespe e di rane.
Il Pentateuco mio questo è alla fè.» […] Così vorrebbesi far credere a chi non ha letto il mio libro, ch’io porto la stravaganza a segno di condannar l’uso della filosofia nelle produzioni letterarie, nonostante che le Rivoluzioni del teatro musicale formino una serie di pruove convincentissime del mio pensare incontrario. […] Lascio giudicare a chi è qualche cosa di più ch’erudito se questo mio sentimento debba chiamarsi una profanazione del sacro nome della filosofia, e non piuttosto una proposizione verissima appoggiata sulla cognizione dell’uomo, sulla lettura riflessa della storia, e sulla quotidiana esperienza.
Ecco come il mio dotto amico D. […] Se dopo il mio soggiorno di sedici anni nella capitale delle Gallie, io non fossi per cento e cento pruove persuasissimo di questa irrefragabile verità, conosciuta da tutti gli uomini dotti e assennati di Europa, basterebbero a convincermene le produzioni de la Harpe, e de’ sedicenti filosofi della Senna, a’ quali, salvo appena due o tre, iddio par che abbia voluto, per farli cadere nel disprezzo, torre quel gran dono fatto all’uomo, cioé quella libertà di fare buon uso della facoltà di pensare: «Evanuerunt (si può dir coll’Apostolo Rom. […] Sulzer; perché se ’l mio piacere mi riempie e trasporta, se l’affetto é vero, non mi trattengo a metterlo in musica, o cantandolo lo tradirò. […] Sulzer taccia a torto e inurbanamente di puerilità un grand’uomo, cui tanto dee il teatro musicale, egli poi non ha totalmente torto quando afferma che l’opera merita esser riformata; e tengo anch’io per fermo, (e ciò non pregiudicherà mai alla gloria immortale del gran poeta cesareo) che si fatto dramma non ha tuttavia la sua vera e perfetta forma, come di proposito ho trattato nel mio Sistema drammatico inedito.
Sofocle a mio giudizio rimane pure ad Eschilo inferiore allorchè scema la sospensione dell’uditorio col far seguire la morte di Clitennestra prima di quella di Egisto, perchè ne rende meno interessante lo scioglimento. […] La madre ha detto: ah figlia, ah madre sventurata per cagione della tua morte; ed ella ripiglia: la medesima misura di versi conviene allo stato mio, o come traduce il dotto P. […] Per la disposizione sembra questo dramma gettato nella stampa dell’Ifigenia in Tauride; ma a mio giudizio cede a questa assai in patetico, in moto, in nobiltà, e in interesse. […] mai più le vaghe Tue spaziose vie Non calcherà il mio piè! […] Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno e del mio sangue Io ti nutrii?
Tralle di lui vaghissime tragedie senza dubbio più giudiziosamente combinate, meglio graduate, e più perfette di quelle di Corneille, trionfano, a mio credere, l’Ifigenia rappresentata nel 1675, l’Atalia nel 1691, il Britannico nel 1670, e la Fedra nel 1677, la quale contenderebbe a qualunque il primo posto senza il freddo e inutile innamoramento d’Ippolito e Aricia. […] Tragico é lo stato di Torrismondo, e disperato il suo amore: ………………………………… Ove ch’io volga Gli occhi, o giri la mente e ’l mio pensiero, L’atto che ricoprì l’oscura notte, Mi s’appresenta, e parmi in chiara luce A tutti gli occhi de’ mortali esposto. Ivi mi s’offre in spaventosa faccia Il mio tradito amico: odo le accuse ec.
Non se ne può dare a mio giudizio la più manifesta prova, quanto adducendo in esempio la maggior parte dell’ultimo atto della Didone del Vinci, che è tutta lavorata a quel modo. […] Fanno fede al mio detto parecchie fatture del Pergolesi e del Vinci, rapitici da morte troppo di buon’ora; del Galuppi, del Iomelli e del Sassone, che non potranno mai abbastanza vivere.
Che se poi il Signor Abate sia pur fermo nella determinazione di sconfiggermi, il modo più proprio di conseguirlo si è mostrare a dirittura la mia mala scelta, il mio mal gusto nella citata scena, palesandone la mancanza di verità e di patetico. […] Bel bello, Signor mio, che Voi fate certi salti più prodigiosi di quello di Alvarado nel Messico.
Ma pregherò (se trai nemici i prieghi Loco aver pon) che così tronco almeno Il cadavere mio le si conceda, Sovra di cui sfogar l’acerba doglia La sventurata possa e consolarsi Almen co’ funerali ultimi ufficj . . .
Lampillas aggiugnere ora a quanto in tal proposito a lui scrissi nel mio Discorso Storico-critico, l’autorità del di lui amico l’abate Andres che gli farà più forza della stessa ragione ed evidenza.
Lampillas aggiugnere ora a quanto in tal proposito a lui scrissi nel mio Discorso Storico-critico, l’autorità del di lui amico l’Ab.
È un mar di bene, è una gioja, un piacere, un dolce ardore, prodotto non da frali aure terrene, ma dall’Eterno Iddio, dal mio Signore.
Sesto, mio caro Sesto, io son tradito. […] Ah tu che sai Tutti i pensieri miei; che senza velo Hai veduto il mio cor; che fosti sempre L’oggetto del mio amor, dimmi se questa Aspettarmi io dovea crudel mercede. […] Se Anocreonte rinascesse, dubito che scrivesse in Italiano un’ode né più armoniosa, né più dolce di questa: Oh che felici pianti, Di due bell’alme amanti Purché si possa dir, Quel core é mio.
Il suo componimento Amor per amore è sul medesimo gusto alieno dal vero comico, ma più languido ancora ed a parer mio meno pregevole per aver l’autore in tal favola voluto valersi delle fate e delle trasformazioni. […] L’Irresoluto per mio avviso è un carattere errato, equivocandosi talvolta l’irrisoluzione colla pazzia. […] Come autore però a mio avviso egli primeggia tra gli ultimi autori comici, ed oscura i viventi. […] Conviene però all’imparzialità di uno storico avvertire che simile improprietà di vestiti si è posteriormente corretta, e l’osservò prima un mio amico spagnuolo che visitò Parigi nel 1787 e nel 1792, e poi io stesso nel 1800; ed i personaggi vi si abbigliano con naturalezza giusta le nazioni ed i tempi, e colla decenza richiesta negli argomenti e ne’ costumi che rappresentano.
Io lascio volentieri agli altri questa ricerca, che non è strettamente ligata col mio argomento, e che apprendersi non potrebbe senza troppo apparato scientifico. […] [17] Se fosse mio avviso il diffondermi su questa materia, molto ancora rimarrebbe adirsi intorno agli altri pregi dell’italiana favella, della evidenza delle sue frasi imitative, delle quali si trovano esempi maravigliosi negl’autori, della ricchezza determini cagionata dal gran numero di dialetti, che sono concorsi a formarla, della sua varietà nata appunto dalla ricchezza e moltiplicità delle sue forme, dell’abbondanza d’augmentativi e di diminutivi, che la rendono opportuna quelli per lo stile ditirambico, questi per l’anacreontico, e della pieghevolezza che in lei nasce dal concorso di queste e d’altre cause. […] [18] Che se alcun volesse filosofando ricercare onde abbiasi la lingua italiana acquistata quella dolcezza, che sì abile al canto la rende, e da quai fonti siano derivati i successivi cangiamenti ad essa avvenuti dai Romani in quà, potrà egli a mio giudizio rinvenirli nelle cagioni seguenti.
Ho voluto pormi sotto gli occhi il prologo di Miguèl Cervantes, la dissertazione del bibliotecario don Blàs de’ Nasarre, i discorsi del Montiano, e del mio amico Don Nicolàs de Moratin, il tomo VI del Parnaso Espanol del Sedano: non ho voluto trascurar di rivedere nè gl’infedeli sofistici Saggi apologetici di Saverio Lampillas, nè le maligne rodomontate e cannonate senza palla di Vincenzo Garcia de la Huerta, nè i rapidi quadri di ogni letteratura del gesuita sig.
Per dar giusta ed istorica idea dello stato della drammatica del XV secolo in Ispagna, ho voluto rileggere con somma pazienza quanto ne scrissero di passaggio o di proposito i critici e gli storici della nazione: ho voluto pormi di bel nuovo sotto gli occhi il prologo di Miguèl Cervantes, la dissertazione del bibliotecario Nasarre, i discorsi del Montiano, e del mio amico Moratin, il tomo VI del Parnaso Español del Sedano: non ho voluto trascurar di rivedere nè gl’ infedeli sofistici saggi apologetici del Lampillas, nè le maligne rodomontate e cannonate senza palla di Garcia de la Huerta, nè i rapidi quadri d’ ogni letteratura del Signor Andres.
Io invio il mio servitore a Mantova acciò che questa mia le giunga più presto di quello che farebbe per la posta, prego l’A.
Cosi pago la cambiale, fazo bona figura col mio creditor, dago la paga a sti comisi che go da drio del sipario, e che i me sta sempre alle coste a domandarme soldi, posso portar allora la testa alta e fazo figura de galantomo.
Dal quale principio si ricavano alcune conseguenze, che possono a mio giudizio servire a spiegar lo scadimento presso di noi delle belle arti in generale, e più immediatamente di quelle che contribuiscono a formar il melodramma. […] Mille pruove di fatto mi fornirebbe la storia loro se il mio scopo fosse quello di far pompa d’erudizione121. […] Ma siccome a sviluppar bene tante e sì spinose materie vi si vorrebbe un intiero volume, e che altronde il fermarsi su tali cose non è necessario al mio assunto, così mi restringerò a toccar brevemente quei difetti che nella nostra musica impediscono, secondo il mio avviso, i maravigliosi effetti che dovrebbono attendersi dalla sua unione colla poesia. […] [34] Ricercata filosoficamente l’intima differenza che corre tra il nostro sistema musicale e quello degli antichi, e indicati in generale gli inconvenienti annessi alla nostra armonia, pare che la serie di ragioni addotte fin qui bastar dovesse a pienamente confermare il mio assunto.
Sopra simili fondamenti i due citati autori, seguiti pochi anni fa dal riputato cavaliere Antonio Planelli mio amico, veggono l’opera in musica dovunque cantaronsi versi, cioè ne’ canti de’ pellegrini di Parigi, nelle sacre cantate delle chiese, nelle cantilene riferite di Albertin Mussato. […] Orfeo mio, vale.
Ammetto intanto la correzione già da me stesso fatta anticipatamente nel mio Libro dell’enorme equivoco di aver chiamati Colloqui Pastorali tutte le Favole del Lope, quando tra essi vi sono anche delle Commedie.
Ma per avviso venutomene dal riputato professore della Sapienza in Roma Giovanni Cristofano Amaduzzi mio dotto amico, m’indussi a credere che nè l’uno fosse nè l’altro.
Aspettate, e ditemi per grazia; mi sapreste insegnare dove potrei trovare dodici bottiglie di vin vecchio di Cipro, che ho finito il mio? […] Ad altro io non aspiravo (dice nelle sue Memorie) che a riformar gli abusi del teatre del mio paese.
Ed eccovi quanto divisar ha potuto il debole mio intendimento per rendere consapevoli preventivamente i lettori del merito e del valore dell’opera.
Parimente un’opera d’architettura cogli ornati e colle misure, che osserva nelle parti e nell’insieme, desta nell’occhio mio una grata sensazione. […] Ma io non posso arrestarmi a mettere in chiaro questa teoria del piacere in generale, come quella che troppo mi distrarrebbe dal mio suggetto. […] Ogni ballo dovrebbe a mio parere offerire una scena, che incatenasse e legasse intimamente il primo atto al secondo, il secondo col terzo ecc.» […] Megacle: Taci bell’idol mio. Aristea: Parla mio dolce amor.
Lucifero Chi dal mio centro oscuro mi chiama a rimirar cotanta luce ? […] Il ciel che che si sia, saper non voglio ; che che si sia quest’ uom saper non curo : troppo ostinato e duro È il mio forte pensiero in mostrarmi implacabile e severo contra’l ciel, contra l’uom, l’angelo e Dio !
Il prestigio volgar che vi circonda, me non accieca…. e in mio poter tu sei !
Vero è bensì, che l’opinione troppo vantaggiosa, ch’avete del mio poco sapere dovrebbe rendermi timoroso di non incontrare aggradimento in voi pari alla favorevole aspettazione: Ma come colui, che son più vago di dottrina, che di lode risolvo ciò non ostante di scrivervi il mio parere, più valendo a muovermi il profitto ch’io spero dalla vostra censura, che il timore della insufficienza per rattenermi. […] Di tale dilicatezza è per mio avviso la tessitura loro che troppo difficile è lo schifare ogni imperfezione. […] Per mio avviso vi sono lodevoli solamente quando giovano allo scopo di chi vi favella. […] Io siccome riconosco in essa delle pregevoli qualità; così non la ritrovo senza difetti: ma dubito che il mio giudizio non s’incontrerà con quello degli altri che sinadora l’han censurata. Le qualità d’Inès sono proprissime per un tragico protagonista ed i pregi di questa favola sono per mio parere assai superiori alle sue imperfezioni.
Ma in Italia, Signor mio? […] Per la qual cosa, mio Signor Lampillas, non piacemi (benchè ciò nè me, nè l’Italia tocchi poco, nè punto), che tanta pompa facciate dell’abbondanza di Lope, e della felicità di schiccherare in uno o due giorni una Commedia.
«Osservate, o popoli, un silenzio religioso, or che il coro delle muse disceso nel gabinetto del mio padrone, gli sta inspirando nuovi poemi. […] Infinita esser dovea la distanza dell’uno all’altro, e ben manifesta giacché Menandro avendolo un giorno incontrato, con tranquilla superiorità gli disse: «Di grazia, Filemone, dimmi senza alterarti, non arrossisci al sentirti proclamare mio vincitore50?»
Il suo Amor per amore è sul medesimo gusto alieno dal vero comico, ma più languido ed a parer mio meno pregevole per aver l’ autore in tal favola voluto valersi delle fate e delle trasformazioni. […] L’Irresoluto per mio avviso è un carattere errato, equivocandosi talvolta l’irrisoluzione colla pazzia.
Menandro riputavasi di gran lunga a lui superiore, e mal soffrendo di vedersi a Filemone posposto, il punse un dì con questo motto conservatoci da Aulo Gellio: Senza andare in collera, dimmi di grazia, Filemone, quando ti senti proclamar mio vincitore, non arrossisci?
E a dirne il vero, quantunque io non gusti nella caricatura dei buffi quel diletto intimo che pruovo nelle lacrime dolci e gentili che mi costrigne a versare una bella musica tragica, e benché per una non so quale disposizione del mio temperamento mi vegga sospinto ad amare nella letteratura tutto ciò che parla fortemente alla immaginazione e alla sensibilità senza curarmi gran fatto di ciò ch’eccita il riso; nulladimeno siccome la prima legge del critico filosofo esser debbe di non istabilire massime generali su casi particolari, e molto meno ritraendole da se medesimo, così, riflettendo ai pressoché incorreggibili abusi dell’opera seria e alla maggiore verità di natura e varietà di espressione che somministra l’opera buffa, concederò volontieri che non deve facciarsi di stravaganza o di cattivo gusto chiunque sopra di quella a questa dasse la preferenza. […] «Io vi credo abbastanza istrutto ne’ principi dell’arte drammatico-musicale; nulladimeno siccome trattasi del mio guadagno o della mia perdita, così mi permetterete che vi dia alcuni suggerimenti dai quali non vi dovrete dipartire. […] Sarà poi mio pensiero far che il maestro vi adatti sopra una musica sfoggiata e pomposa, e affinchè spicchi di vantaggio la di lui abilità, faremo nascere una tenzone musicale fra la voce del cantante e un qualche strumento con botte, e risposte da una parte e dall’altra, che sarà proprio una delizia.
Mi vieta il mio argomento l’andar ricercando dietro ad ogni particolarità della scrittura di costui, nella quale trovansi sparse senza citarsi moltissime cose che leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da questo e da quello suggerite in Italia le quali ha egli registrate senza esame e senza ben ricucirle col rimanente del suo libretto.
Una volta imparata, l’abbandono, e non la riprendo più ; ma mentre continuo ad occuparmi di altro, vedo sempre il mio personaggio, ne analizzo l’anima, il carattere, i sentimenti, a traverso le parole che io già so ; e quando credo di possederlo interamente, di sentirlo, di viverlo, riprendo le prove.
Deh Padre mio, poichè questa cara gazella, che ora pel peso che porta nel ventre, camina con tanta pena, avrà partorito, ti prego di mandarmene il dolce avviso e di farmi sapere lo stato di sua salute.
. – Ho già licenziata la mia compagnia, ed ho messa in libertà la quaresima di Padova, e coll’ultimo di carnovalone 45 in 46 finisce il mio capocomicato.
Questa Commedia l’ho disegnata espressamente per lui, anzi mi ha egli medesimo l’argomento proposto, argomento un po' difficile in vero, che ha posto in cimento tutto il genio mio per la Comica artificiosa, e tutto il talento suo per l’esecuzione (V. anche nelle Memorie il Cap.
Di quest’ultima favola parlando Scaligero intorno a Varrone, dice: Pomponio poeta Atellanario intitolò certo esodiob Pitone Gorgonio, il quale, a mio credere, altro non era che il Manduco, perchè il nome di Pitone è posto per incutere terrore, e Gorgonio equivale a Manduco, dipingendosi i Gorgoni con gran denti.
Di quest’ultima favola parlando Scaligero intorno a Varrone, dice: Pomponio poeta Atellanario intitolò certo esodio 131 Pitone Gorgonio, il quale, a mio credere, altro non era che il Manduco, perchè il nome di Pitone è posto per incutere terrore, e Gorgonio equivale a Manduco, dipingendosi i Gorgoni con gran denti.
L’Oreste della sua Elettra, a mio credere, é ben delineato; e tutto quello che appartiene alla vendetta di Agamennone é maneggiato con vigore. […] Negli attori spagnuoli osservo due difetti rimarchevoli derivati dalla poca destrezza in conciliare quelli due riguardi; l’uno si é il parlar di profilo, come i francesi; l’altro il mettersi dirimpetto all’uditorio a declamar le loro relaciones con una incessabile gesticulazione, non che delle braccia, delle dita, facendo consistere l’abilità in accompagnar ciascuna parola con un atto che la denoti; ma di ciò e di altro nel mio Sistema Drammatico.
Io non voglio Signor Lampillas, accumular quì tutte le false applicazioni fatte dal Rapin della Dottrina Aristotelica agli esempj delle altrui Poesie, perchè di molto mi dilungherei, nè l’oggetto di questo mio discorso è il formare Autos contro Rapin, bensì il desiderio di scagionarmi presso di Voi.
Nella real chiesa dell’Incarnazione pure di Madrid tra’ sacerdoti che vi uffiziano, si veggono (almeno vi si vedevano nel lungo mio soggiorno di diciotto anni colà) molti vecchi ecclesiastici smaschiati.
Non si può mettere in dubbio (disse il mio dotto amico Carlo Vespasiano) che otto Poeti Francesi, senza contare quelli delle altre nazioni, hanno lavorato intorno al medesimo soggetto, Brisson, Garnier, Prevost, Bedouin, P.
In fatti nel consenso del popolo (non della plebe) consiste il vero giudizio quanto a’ caratteri, a’ costumi, alla condotta delle favole; e solo per mio avviso prevaler debbe il giudizio de’ conoscitori e scrittori trattandosi di stile e di lingua. […] Tale per mio avviso è Seneca, o per meglio dire ciascuno autore delle dieci tragedie latine che sotto il di lui nome ci sono rimastea.
Orfeo mio, vale.
Celio giunge ; e vedendo le fiamme, esclama : « Oh mio povero figlio !
Così nella Conclusione egli ricorda «non altro essendo stato l’intendimento mio, che di mostrar la relazione, che hanno da avere tra loro, le varie parti constitutive dell’opera in musica, perché ne riesca un tutto regolare, ed armonico».
E perchè l’autorità che ne reca, riduce ad evidenza il mio avviso che dal primiero suo discordava, ne trascriviamo le parole.
Così nell’esordio della Lettera V: A quanto pare la situazione si è ribaltata e proprio lei che non voleva neanche sentir parlare di mimica adesso è diventato il mio primo sostenitore. […] Nel Filippo: Desio, timor, dubbia ed iniqua speme, Fuor del mio petto omai. […] ben sovvienimi: Elettra, a fretta, per quest’atrio stesso Là mi portava, ove pietoso in braccio Prendeami Strofio, assai men tuo, che mio Padre in appresso. […] [5.19] Ora la vergogna: Allor con gli occhi vergognosi e bassi, Temendo che ‘1 mio dir gli fosse grave, Infino al fiume di parlar mi trassi. […] Io mi tacea, ma il mio desir dipinto M’era nel viso e il dimandar con esso, Più caldo assai, che per parlar distinto.
S’io desidero qualche celebrità pel mio nome, e qualche durevolezza pe’ miei scritti, non è l’ultimo tra i motivi quello di tramandare alla posterità i sentimenti d’ammirazione che m’ispira la tua memoria.