Quando il comico Zanuzzi fu mandato dalla Compagnia di Parigi in Italia (1775) a provvedere una prima attrice, egli trovò che la più a proposito era la Elisabetta Vinacesi. Il Gozzi si affaticò a provare allo Zanuzzi che la Vinacesi era poca cosa al confronto della Ricci (V.), che era stata con altre in predicato per andare a Parigi ; ma pare invece ch' ella fosse di gran pregio, chè sappiam troppo bene come il Gozzi profondesse lodi alla Ricci in danno di qualsiasi altra, nella speranza di togliersela di torno.
A questo si aggiunge l’elenco per l’autunno 1795 e carnovale 1796, nella quale stagione la Compagnia era al S. […] Come si vede, la Battaglia era passata al ruolo di madre, e il Battaglia, già vecchio, aveva abbandonato quello di caratterista per non figurar più nell’elenco della Compagnia come attore. La Compagnia era sociale, come appare dal manifesto che ha : Impresari : Carlo Battaglia e Compagni ATTORI ATTRICI Antonio Belloni a vicenda Luigia Belloni Angelo Venier Angelo Roberti Francesco Cavalletti Maddalena Corticelli Teresa Zappi Gaetana Cavalletti Gaetano Fiorio Giacomo Modena, per le parti da padre Giambattista Pavoni, caratterista Maddalena Battaglia, per le parti da madre Maddalena Gallina, servetta MASCHERE Alberto Ferro, Pantalone Gaspare Marzocchi, Anselmo Innocente De Cesaris, Brighella Felice Villani, Arlecchino. Nell’estate del ’95 la Compagnia era a Trieste, ove recitò per la prima volta e con gran successo L’Avventure notturne del Federici.
Di solito era affidato a lui, uomo colto, l’incarico d’invitare il pubblico alla commedia ; e anche in ciò seppe farsi apprezzare per la eleganza di modi e di parole ch’egli adoperava. […] Bartoli — fu il primo che recitasse la parte d’Osmano nella Sposa Persiana del Goldoni. » Nel 1754 era la Compagnia scritturata per la primavera a Genova, e per l’estate a Milano. […] » Ecco come Goldoni racconta il triste fatto : Quest’uomo pure era ipocondriaco, ed avevo seco avuti in Venezia parecchi colloqui relativamente agli stravaganti effetti delle nostre malinconie. Al mio arrivo in Milano lo incontro in peggiore condizione di prima ; da una parte era combattuto dal desiderio di far conoscere la singolarità del suo ingegno, ritenendolo nel tempo medesimo dall’ altra il rossore di comparir sul teatro nel proprio paese. […] Resta vuota per tale accidente la scena, gli attori non vengono più fuori ; a poco a poco spargesi la nuova e giunge fino al palchetto dove era io.
.), e a sua moglie Marzia, della quale il Narici era parente ; probabilmente fratello (V. […] Corallina era Domenica Costantini, moglie di Gradellino. Diana era Teresa Corona Sabolini. Cintio era Giovanni Battista Costantini, fratello di Mezzettino e figlio di Domenica.
chi era questo Azampamber ? […] … Mio nonno era il famoso Azampamber, Io Stenterello. – Stenterello ? […] – Omnes composui. » Mio nonno era il famoso Azampamber, lo stenterello. […] … « Con chi era il nuovo scritturato ? […] E la somma era di cento cinquanta scudi : il Cannelli, più modesto, ne chiedeva ottanta.
Andò a sostituire il 1826, nella Compagnia Reale di Torino, l’amoroso Giacomo Borgo, al fianco della Marchionni e di Luigi Vestri ; e quivi lo vediamo nel’29 primo attore a vicenda or col Boccomini, or col Perini : ruolo che sostenne con crescente favore sino al’35 ; nel qual anno uscì dalla Reale, sostituitovi da Giovanni Battista Gottardi, per divenir conduttore di Compagnie or buone, or mediocri, delle quali egli era l’anima. Cammillo Ferri era più tosto piccolo di statura e alcun poco tozzo : ma la voce magnifica, il volto espressivo, il sentimento vivo, l’ingegno pronto lo compensarono a esuberanza del difetto : e dice il Regli (op. cit.) che, affidatogli il Paolo nella Francesca da Rimini del Pellico, la bella sua voce che era tanto unisona a quella della Marchionni, vi produceva un mirabile effetto.
Incredibile era la loro sontuosità. […] Il pulpito Romano era più spazioso del Greco, perchè in Roma ogni spezie di attori operava nel-pulpito, ed all’opposto i Greci, come dicemmo, si valevano dell’orchestra per una specie di attori, cioè pe’ musici e danzatori. In oltre il pulpito Romano non dovea passare l’altezza di cinque piedi, perchè collocato più alto avrebbe incomodato i più ragguardevoli spettatori, i quali sedevano nell’orchestra che ad esso pulpito era immediata. L’ordine di sedere agli spettacoli Romani era il seguente. […] La media però era più decente della summa, perchè in questa sedevano le persone più vili e mal vestite.
Incredibile era la loro sontuosità. […] Nella stessa regione del Circo Flaminio, ove era questo teatro Pompeano, se ne vedevano tre altri, cioè il teatro nominato Lapideo, quello detto di Cornelio Balbo, e l’altro eretto da Augusto sotto il nome di Marcello, il quale era il più picciolo di tutti non potendo contenere che ventiduemila spettatori151. […] Il pulpito Romano era più spazioso del Greco, perchè in Roma ogni spezie di attori operava nel pulpito; e all’opposto i Greci, come si disse; si valevano dell’orchestra per una parte degli attori, cioè per gli musici e i danzatori. In oltre il pulpito Romano non dovea passare l’altezza di cinque piedi, perchè posto più alto avrebbe incomodato i più ragguardevoli spettatori, i quali sedevano nell’orchestra che era ad esso pulpito immediata. L’ordine di sedere agli spettacoli Romani era il seguente.
» Quella specie di ordine del Marchese dovette essere molto arrischiato, dacchè il Bozzo rientrò a’ Fiorentini un anno dopo, facendo dire all’ istoriografo di quel teatro, Adamo Alberti, ch’egli era già divenuto artista pregevolissimo ; e artista pregevolissimo fu davvero, e divenne de’ Fiorentini un idolo, e vi restò sino alla fine della sua carriera, festeggiato, acclamato, senza che mai gli fosse passato pel capo di modificar la sua pronuncia siciliana. […] Accanto a queste vocali strascicate, altre ne proferiva scivolate, guizzate, salterellate…. nè questo accadeva per la volata incettatrice di applauso, come, ad esempio, nella Orfanella di Lowood, se ben ricordo, in cui colla frase « ed anche i cani delle reggïe muteee van rispetttati (alzata massima di tono, con immediato ruzzolamento delle parole che seguono) perchè portano sul collare una corona reale, » strappava i più calorosi applausi ; ma per le scene piane, nelle quali poi il difetto era più palese. Ma dove il difetto della pronunzia siciliana, se non spariva, si nascondeva, sopraffatto, dirò così, dalla acuta interpretazione del testo e dalla fine cesellatura delle frasi e delle parole, rivelando al pubblico, colla maggior semplicità di mezzi il più riposto concetto dell’ autore, era nelle cose comiche. […] Alta e svelta la persona, quadrate le spalle, toroso il collo ; fisionomia aperta con misto di ferocia e di dolcezza ; carnagione bruna, occhio saettante ; era nell’insieme un uomo che avventava.
Io riporto quelle che ci descrivon gli ultimi tempi della Ceccherini, le quali non son meno incantevoli nella lor poetica tristezza (XVII-517) : L’ultima caratterista è morta nel settembre del 1889, per gli anni ch’eran molti e per la miseria, che era grave non meno. […] Una sera, quand’ ella era già caduta nell’indigenza, la vidi gironzare nell’ambulatorio del Fondo. […] Un giovanotto che l’aveva riconosciuta e s’era fermato, esclamò, indicandola a un altro : « Guarda la Checcherini. […] La Checcherini, come la pioggia era cessata, se n’ andava con i suoi dieci soldi, pian piano, infagottata in una veste scura, tutta rammendata, tutta insozzata di mota e così rifinita che pareva le dovesse a momenti cascar di dosso a brandelli.
Nato a Mortara il 2 di ottobre del 1854, ne partì a quattordici anni per recarsi colla famiglia a Torino, ov’essa si era stabilita. D’ingegno svegliatissimo, di memoria facile e pronta, s’era dato allo studio delle lettere, del disegno e della musica, con tutto l’ardore della sua giovinezza gagliarda : ma sciagure domestiche lo distolser presto a’suoi amori per confinarlo in una casa di commercio. […] Da quel momento figure e squarci poetici si succedevan nella sua mente accesa : ora era un pezzo dell’ Otello, ora uno della Zaira che egli diceva ad alta voce con febbrile concitazione…. e da quel momento non ebbe più che uno scopo nella vita : salire sul palcoscenico. […] Egli era soldato ; di una fibra forte, robusta ; a volte aspro e rude nella voce ; ma di una fisionomia dolcissima, così dolce che tutta rispecchiava la mitezza angelica dell’indole sua.
La sua figura era rettangola dalla parte che serviva alla rappresentazione, e circolare da quella dell’uditorio. […] Nell’alto era ancor situata la macchina versatile, dalla quale giove lanciava i suoi fulmini, come dinota la voce Κεραυνοσκοπειον che le diedero. Dietro della scena era il βροντειον, il luogo, in cui con otri ripieni di selci che si agitavano, imitavasi lo strepito de’ tuoni. Anche al di dietro era il coragio che oggi si direbbe la guardaroba del coro, serbandovisi quanto faceva d’uopo alla rappresentazione. […] L’ultima gran curva della scalinata terminava in un portico che pareggiava l’altezza della scena ed era anche coperto da un tetto, rimanendo il resto alla scoperto.
Ma Silvio Fiorillo era già stato conduttore di compagnia a Napoli, il 1584 (v. […] Il 1614 era a Genova, come appare dalla lista di comici pubblicata al nome di Bernardini, nella quale figura, oltre a Gio. […] Il ’59 partiron gl’ Italiani, ma per tornare il ’61, anche ’sta volta recitando alternativamente coi Comici di Molière, non più alla Sala del Petit-Bourbon, ch’ era stata demolita, sì a quella del Palais-Royal. […] E il Matamoros del quadro che non ha nel costume veruna somiglianza colla incisione contemporanea (pag. 926) rappresentante il vero matamoros fiorilliano, era un Matamoros, o non piuttosto un Matamore ? Vale a dire : era un personaggio della compagnia italiana o di quella francese ?
Più cantatrice che comica, era scritturata per gl’ Intermezzi, a vicenda colla Zanetta Casanova, nella Compagnia di Giuseppe Imer che recitava nell’Arena di Verona il 1734. Se ne servì il Goldoni per far eseguire una sua canzone musicata da Francesco Brusa, quando non era ancora moglie dell’armeno Amurat […] L’Astrodi (V.) esordì con un duetto, e l’Astori (V.) s’era fatta celebre cantando una canzonetta italiana con accompagnamento di trombe.
Per 23 anni di seguito fui amministratore, segretario, attore ed amico di Ernesto Rossi attraverso a quasi tutto il mondo ; ed ora eccomi qui, rappresentante l’Accademia dei Filodrammatici e direttore di un teatro…… Quanto al teatro (il Filodrammatico di Milano) ch’ egli cominciò a dirigere nell’ ’85, sappiamo che la sua attività e la sua intelligenza si sono affaticate nervosamente, prepotentemente per dargli quel primato al quale aveva diritto, quello splendore a cui lo si era destinalo. […] … Quella era vita ! […] … Quella era vita !! […] … Quella era vita !! […] … Divenir vecchi ; assistere, Se il senno ci rimane, Al trapassar monotono Delle miserie umane, E l’uom che prima impavido Uso a tremar non era, Volgersi malinconico Stupidamente a sera.
Ma se creazioni tipiche nello stretto senso della parola non vi furono (nella recitazione del Papadopoli non era celato lo studio, ma, al dire di più contemporanei non era studio affatto), tutti i suoi personaggi acquistaron tale apparenza di realtà, che non era possibile il desiderar di più. […] Con la propria coscienza egli potè transigere attenuando le decadi, e tal volta anche impegnando i cassoni de' comici inconsapevoli ; ma non mai con la tavola e con la gola : e si racconta che dopo una recita all’Argentina di Roma, una delle tante di addio, ch'egli era costretto a fare, dicean le gazzette, per trascinar meno peggio la vita travagliatissima, convitò tutti coloro che preser parte alla recita, dando fondo, in una gustosa cenetta, alle duecento lire che avea guadagnate nette per sè. […] Avea sposato una Giuditta Girometti, mortagli il 2 novembre 1872 a Milano, mentr' era con Alessandro Salvini e Cesare Vitaliani.
Preso d’amore per Antonietta Robotti, formosissima donna e valentissima attrice della Compagnia Reale Sarda, si diè a seguirla per quasi due anni, finchè ammalatosi quel primo amoroso, Pietro Boccomini, egli, che s’era già acquistata fama tra'filodrammatici di artista promettentissimo, fu scritturato qual primo amoroso a vicenda col Boccomini, passando poi per la morte di Giovanni Battista Gottardi, al posto di primo attore che sostenne con molto onore al fianco di artisti egregi, quali la Robotti e la Romagnoli, il Gattinelli, il Domeniconi, il Dondini. […] Passò nuovamente, e per un triennio, con Antonietta Robotti, uscita dalla Reale Sarda, poi con Giuseppe Trivelli, conduttore di una Compagnia, famosa allora per ricchezza di arredo scenico, di cui era prima attrice Elena Pieri Tiozzo. […] E il Costetti ne'suoi Dimenticati vivi aggiunge : « O era la vanità che lo dominava, o la voglia d’imitare l’artista Majeroni che non toglieva per niun conto l’enorme pizzo, serbandolo fin anco nel Luigi XI. […] È impossibile di trovare qualcosa di più perfetto ; la parte era tagliata per lui meglio del suo abito nero – è tutto dire ! […] Io dissi solamente che egli era stato degno della sua parte – se fosse valso meno, ne avrei parlato di più.
La interpretazione dell’alto dramma e della tragedia fu buttata dall’artista al pubblico, quando questi era più imbevuto di tutta l’arte comica di lui…. […] Il Novelli d’allora era ben altro dal Novelli d’adesso. […] In quella compagnia disciplinata, egli, se bene spirito indipendente, sapeva essere disciplinato, perchè la disciplina era fatta tutta d’amore. […] Da quelle del primo brillante, Bassi, era stato generosamente liberato, ma da quelle del secondo, Canevari, no. […] Per tal guisa il pubblico era sempre alle prese con un forte e geniale artista, dicesse quattro parole, o recitasse i primi attori.
Il febbrajo del '52 la Compagnia era a Modena, e la sera del primo, Ottavio, venuto a parole, s’ebbe un pugno da Trivellino, il quale per ciò fu attaccato alla corda in piazza (V. […] L'agosto del '55 egli era a Genova, come si rileva dalla lettera inviata a Modena al Conte Cimicelli (V. […] L'11 di gennajo del '68 gli morì la moglie, Teodora Blaise (forse Blasi), che era, dice Corrado Ricci in Ottavio dalle Caselle, bolognese : e l’atto d’inumazione chiama lo Zanotti « Capitano del Ponte della Samose ». […] Ma se non v' era più. […] Non era forse ragione bastevole per farsi chiamare Vecchio Ottavio il recitar gli amorosi a quasi settant’anni ?
Mentr’ era il 1850 al Teatro Re di Milano con una compagnia di prim’ ordine, della quale prima attrice era la Carolina Santoni, i giornali del tempo lo disser caratterista eminente. « In lui – è scritto nella Moda del 1°febbraio ’50 – nessuna affettazione, nessuna ricercatezza : le scene da lui riprodotte son quali tuttogiorno succedono nel domestico focolare e d’ una naturalezza sorprendente. » Nel 1857 era a Tolentino, capocomico e attore applauditissimo con la Feoli e la Miutti. […] Ma visto che il prezzo di tali bollettini era eccessivo, la Florinda chiese e ottenne che le tre parpajole fosser ridotte a due per ciascun bollettino. » « Nel 1612 – dice ancora il Paglicci Brozzi nell’ Appendice del suo lavoro – si ebbe una nuova concessione, in forma tutta gentile e direi quasi sentimentale, onde poter recitare insieme alla sua compagnia nel teatro solito del palazzo Ducale.
Quanto all’essere stata l’amante del Valerini, prima o dopo la Vincenza Armani, vediamo : l’Armani era morta nel 1569, e il Valerini pubblicò l’orazione funebre nel '70. […] Forse Lidia era già in Compagnia, quando viveva l’Armani ? […] Eppure l’unione di questi tre nomi, Vincenza, Lidia, Orazio, potevan benissimo essere insieme a quell’epoca : Orazio era il Rossi stesso, autore della Fiammella. E se Lidia era nella Compagnia con la Vincenza, forse dovette ella entrare un po', per dispetto, invidia, e gelosia, nell’attossicamento dell’Armani ?
Qui dunque non son donne ; ma esse dovevano esserci – dice il Neri ; – e riporta le parole del Barbieri : « ve n’era bisogno di tre : prima, seconda e fantesca. » Infatti ne’Gelosi abbiam l’Andreini, la Prudentia e la Roncagli (V. […] L’aver fatto un uomo la parte della Franceschina, si può attribuire al ritegno che avevan sempre le donne di apparir sulla scena (e però più vivo per le parti di fantesca), ma fors’anche al fatto che un uomo, Battista degli Amorevoli (V.) aveva già recitato la Franceschina e s’era fatto celebre in tal parte. Giovanni Salina bolognese, servitore da palco, era probabilmente la maschera incaricata alla porta del palcoscenico di non lasciar passare le persone estranee alla Compagnia, com’ è in uso anche oggi.
La sera del 21 alle sei e mezzo era morto. […] – Stenterello e il suo cadavere non era più una commedia, ma l’epilogo tragico di un’esistenza : quasi appena cessato il suono della sua ultima risata, e gittati gli screziati abiti della Maschera, dava l’ultimo sospiro…. era avvolto nello squallido lenzuolo funerario. »
Forse figlia dei precedenti e sorella di Antonio Torri detto Lelio, fu attrice al servizio del Duca di Modena per la parte musicale, come si rileva da una sua curiosissima lettera al Duca stesso da Bologna, in data 2 giugno 1683 in cui si lagnava che certo signor Francesco Desiderij suo famigliare facesse da padrone assoluto con lei e la madre (il padre era già morto) senza aver riguardo alcuno alla lor povertà, vantandone autorità da Sua Altezza. Senza un permesso di lui, che talvolta si faceva molto aspettare, talvolta non veniva affatto, la Torri nè poteva ricever in casa Cavalieri o altre persone da cui farsi sentir cantare, nè recarsi ad accademie, o altre funzioni musicali, proprie, e solite di sua professione, alle quali era invitata dalle Dame protettrici, nè accettare scritture, come accadde per la recita di Reggio, della quale era restata priva.
Papà mio, Giovanni Zanon, era di famiglia benestante, e pei moti politici (mi pare del '21) fuggi da Venezia, e si rifugiò in una compagnia drammatica – Refugium peccatorum – (che latesin !). […] Suo padre era avvocato, ma alla discesa in Italia di Napoleone e al saccheggio di Genova, fuggi con la famiglia, e si mise a fare il suggeritore : viaggiava con otto figliuoli. […] Dunque, quando venni al mondo, mio padre s’era già ritirato dall’arte, e impiegato nell’Amministrazione dell’Ospedale Civile di Venezia. Notate questa originalità : era veneziano puro sangue, fanatico della sua città, e non era buono di dire una parola in veneziano : a Venezia i vicini lo chiamavano El Foresto. Mancò ch'io era giovinetta, e venni affidata a mio fratello maggiore che era in arte (fu per molt’anni brillante, discreto, con Zoppetti, poi caratterista con Ernesto Rossi e con la Ristori).
A tredici anni appena era già l’amorosa della Compagnia italiana di Giovanni Toselli, che andava maturando il disegno di una Compagnia piemontese. […] E infatti, era tanta e così evidente la precocità artistica in quell’ adorabile fanciulla, che io stesso udii ripeter le mille volte in platea : « Ecco una vera prima donna ideale. » A quello delle Sponde del Po, seguì il successo di Sablin a bala ; ma dove la splendida farfalla si levò sulle ali poderose, dove la Tessero diè prova di tutti i suoi mezzi artistici, si fu in Margritin dle violette, una felice riproduzione, o riduzione, del dramma tipico di Dumas. […] Lei più nulla aveva di donna ; era diventata una belva : il suo viso, così dolce di solito, non era riconoscibile…. […] Me le avventai addosso furibondo, la presi alla vita, strappandole con le unghie la stoffa del corsage, tentando trascinarla verso la quinta, senza riuscirvi, tanta era la forza, l’agilità con cui mi sfuggiva di mano…. urlando, sibilando ! […] Il teatro sembrava deserto, tanto era profondo, spaventoso il silenzio che vi regnava.
Ebbe numerosa famiglia, di cui era composta per metà la sua compagnia. […] L’intuizione psichica di questa attrice era unica più che rara. […] Nella Piccarda Donati era seducente : nella Vita color di rosa era meravigliosa ; nella Dama dalle Camelie era ammaliatrice ; nella tragedia Saffo, del Marenco, era immensa ; nella Pia de’ Tolomei era sublime ! […] Clementina era il tipo incarnato dell’attrice romantica drammatica. […] V. mentre era nel ventre della madre, et spero di servir nel ventre della Ser.
Intanto le opere del Goldoni e del Chiari andavan acquistando sempre maggior grido, e il pubblico s’era diviso in due parti, disertando il teatro del povero Sacco. […] Gozzi scrisse infatti le due tragicocommedie : Il Cavaliere amico e Doride, recitate la prima volta, quella a Mantova il 28 aprile del 1762, questa, pure a Mantova, il 21 di giugno dello stesso anno ; ma non v'eran cagioni di rivolta, non vi recitava il Sacco, e la compagnia era…. quello che era : il successo ne fu meschino. […] La sera dopo egli era al teatro in Mantova ; e lo Spinelli riferisce questo brano di lettera di Luigi Galafassi a suo padre Consigliere ducale : L'Imperatore disse che a Modena la Commedia era ottima, e quell’arlecchino molto vivace e bravo, e che una sua facezia gli sarebbe sempre stata impressa, ma che non voleua dirla. Il vecchio marchese Zanetti disse che la Compagnia Sacco era veramente buona, che si era sentita in Mantova, e che quell’arlecchino era stato applaudito. […] L'arlecchino di Dresda del 1723 non era Natalino Bellotti (V.), uno dei Beniamini della Corte ?
Quando i comici italiani furono licenziati (10 aprile 1732), si fece eccezione per la coppia Bertoldi, alla quale era stata assegnata la non pingue pensione di 400 fiorini annui. […] E tanto co’suoi modi, col suo ingegno, colla sua rettitudine aveva saputo acquistarsi la benevolenza della Corte, che dietro sua proposta i comici italiani poteron dare nel carnovale del 1735, mentre il Re era a Varsavia, nella prima anticamera de’Grandi appartamenti ufficiali, nel palazzo di Dresda, piccole rappresentazioni e intermezzi, davanti ai principi e alla principessa, sotto la direzione di Giovanni Alberto Ristori ; rappresentazioni che attenuarono temporaneamente le ristrettezze penose de’poveri artisti. Dopo la morte del re Augusto II, la Corte sassone si era volta di nuovo e con occhio ancor più benigno alla commedia italiana ; e il re Augusto III e la regina Maria Giuseppa, sentito il bisogno di ripristinar ne’loro palazzi la commedia italiana, dieder carico al Bertoldi di recarsi in Italia a scritturarvi una compagnia, la quale coll’aiuto dell’Ambasciator sassone a Venezia, Conte di Villéo, riunita sul finire del 1737, arrivò al principiar del nuovo anno a Dresda.
Vestri-Michelli Annetta, moglie del precedente, nata nel villaggio di Ajello presso Palmanova l’8 marzo 1840 da Nicolò Michelli e Anna Lamerz, e cresciuta, si può dire, in un ambiente drammatico (il patrigno nobile Carlo del Torso udinese era presidente del Teatro di Palmanova), ebbe fin da giovinetta il più grande trasporto alla scena, in cui fece non dubbie prove di buona riuscita coi dilettanti del paese. Recatasi col patrigno a Milano, all’insaputa della madre, che pei soliti vecchi pregiudizj era avversa alle inclinazioni della figlia, entrò nell’Accademia de' Filodrammatici, diretta allora dal Morelli, ed esordì il '55-'56 nella Compagnia di Adelaide Ristori, in cui stette oltre due anni, come generica, amorosa, seconda donna, servetta, e talvolta anche, nonostante la tenera età, madre o nutrice. […] Entrato poi il Vestri nella Compagnia Nazionale, dove non era alcun posto per lei, non volendo ella creare ostacoli alla scrittura del marito, si ritirò dalle scene, e, dopo la morte di lui, a Bologna, traendo meschinamente la vita.
Ristabilitosi alquanto, ritornò a Napoli, e ricominciò a recitare, ma egli non era più il celebre Visetti : più che l’ammirazione s’ebbe il compianto del pubblico ; e in capo a due anni, tocco da un secondo colpo, rese l’anima a Dio. […] Tutti ebbero del suo valore artistico un grande concetto, e più specialmente il Colomberti e l’ Aliprandi, i quali lasciarono scritto ne' lor ricordi che egli era fortissimo attore in ogni genere di lavori, ma sopr' a tutto in quelli del Metastasio. […] E Adamo Alberti : Visetti era un pregiatissimo attore.
Il giurì drammatico di Milano le conferì il premiò di primo grado e con ragione ; poichè l’Emilia era tra le giovani una delle più forti promesse. […] ), che il Valerio sconosciuto al Sand e ai Parfait era il modenese Giacinto Bendinelli o Bendinely, come si trova scritto nel suo atto di matrimonio colla Poulain ; o Bandinelli, come egli nel medesimo atto si sottoscrive. […] È strano però che il marito saluti il ministro in nome della putta, senza mai accennare alla moglie, che per di più era la Prima Donna della Compagnia. […] Noto incidentalmente che a Roma nel 1658 era con lui nel distretto della Parrocchia di S. […] La pazzìa del Dottore era un Caval di battaglia dell’attore, come quella d’Isabella di F.
Appassionato dell’arte, entrò a venti anni in una compagnia d’infimo ordine, e dopo aver passato peripezie di ogni specie in altre compagnie mediocri, nelle quali però era già divenuto un buon artista, riuscì a entrar socio il 1811 con Elisabetta Marchionni, recitando al fianco della celebre Carlotta le parti di primo amoroso. […] Condusse poi un’ottima compagnia di cui era prima attrice la Carolina Internari ; fu il ’40-’41-’42 a Napoli colla Società di Alberti, Monti e Prepiani ; e formò per proprio conto e per un quadriennio due compagnie, che ridusse poi dopo due anni di mala fortuna a una sola. […] La sua recitazione era, si può dire, un commento in azione. […] Anzi da quel suo svisceramento di ogni frase, di ogni parola, di ogni sillaba, usciva naturalmente una dizione quasi direi faticosa, voluta, convenzionale, che fu detta al suo tempo antiquata, ma che probabilmente non era mai stata prima di lui. […] Non una commedia era da lui restituita senza che l’accompagnasser le più chiare e minute ragioni che ne avean determinata la restituzione.
Pasquali) egli dice : Io anzi aveva prima un tal Personaggio scritto nella nostra favella, perchè destinato era a sostenere la parte un valorosissimo Pantalone, vale a dire il Sig. […] E intorno ai tre gemelli veneziani, di cui il Collalto era l’autore (Mem. […] Aveva rappresentata in Italia una delle mie commedie intitolata i due gemelli veneziani, l’uno de’quali era balordo, e l’altro spiritoso : vi diede una nuova forma a questo soggetto, ed aggiunse un terzo gemello cruccioso e collerico, rappresentando a perfezione questi tre differenti caratteri. […] Sosteneva con molta anima e con molta intelligenza il ruolo di Pantalone, ed era specialmente ammirato nelle scene appassionate, in cui l’anima sua ardente poteva mostrarsi tutta intera. […] In essa egli era alla sua volta galante, amoroso, appassionato, brusco, impetuoso, duro, sciocco, imbecille e fin anco sfigurato.
Come si vede, dunque, base del repertorio era il teatro di Goldoni. A dare un saggio della mente poetica e della prontezza di spirito di Iacopo Corsini, metto qui le tre ottave cantate nelle tre recite delle Donne curiose : 22 maggio 1778 Quanto rider mi fe’ quell’ assemblea di Donne fisse all’ uscio unitamente, che una dal posto l’altra rimovea, e l’altra l’una ne traea sovente ; felice era colei che più vedea dallo spiraglio la racchiusa gente : e ve n’era una sì ostinata e dura che ceder non volea la sua fessura. 11 giugno 1778 Sien maritate, vedove o ragazze, cercan tutte scovar le altrui freddure, e van per le Botteghe e per le Piazze anche in Zendale a far triste figure ; son sì curiose queste donne pazze, che se l’ Uscio era pieno di fessure, purchè a ciascuna ne toccasse alcuno avrian pagati i Buchi un Zecchin l’uno. […] Altra ne troverà il lettore al nome della prima donna della Compagnia, che era la Giuseppa Fineschi, a proposito della commedia : Colombina spirito folletto.
.), comico e istoriografo napoletano, che in quel tempo appunto era al servizio del Duca di Modena. E chi era il Padre Francesco ? […] A poco, a poco, e dalle vicine gondole, e da quegli che passavano si formò un semicircolo intorno alla sedia, sulla quale era seduto il suddetto, che tutti salutava, e sorrideva a tutti. […] Nè mi trovai deluso, perchè il vecchio caffettiere del Teatro mi disse che quell’ uomo chiamavasi Giulio Minelli, che alla sua epoca era stato un bravo Pantalone ; ma che, in vecchiaja, datosi al vino, si era ridotto in miseria.
Eppure piaceva al pubblico ; ed era l’idolo di Venezia ; e licenziato qualche anno dopo dalla Compagnia di San Samuele, fu preso con avidità dalla Compagnia di San Luca (Gold. […] Vitalba era un bell’uomo, un eccellente comico, un gran donnajuolo ed un gran libertino. […] Del resto, Antonio Vitalba, che uscì vittorioso dall’intrigo, fino a burlarsi di Goldoni, pranzando e cenando colla Passalacqua, proprio dopo ch'ella aveva giurato di averlo lasciato per sempre, era ammogliato ; e il Loehner riferisce dai registri di San Samuele l’atto di morte della moglie Costanza in età di circa 35 anni, avvenuta il 17 ottobre 1736, cioè quasi un anno dopo l’intrigo. […] Ma si vede bene che Vitalba era pauroso all’estremo. Curioso il metodo di cura seguito scrupolosamente. « Io prendo — scrive — l’acqua col litro la mattina, sugo di portullona e piantagine, e li protesto che la fame la patischo, voglio un poco vedere cosa è per essere. » Il marzo del '25 era novamente in Bologna, d’onde prega il solito medico di disimpegnargli un abito scarlatto, ricamato d’argento, senza il quale non può cominciar le recite, promettendogli di restituirgli il denaro che dovrà sborsare, non appena sarà a recitare a Ravenna ov'è un regalo di cento Filippi.
Egli era dunque il Fregoli d’allora, preceduto dall’arlecchino Gabbriele Costantini, che fu il primo inventore di questo trasformismo che il Goldoni chiama novità incantatrice. […] Il carattere del Gandini pare non fosse de’più dolci : egli era soprattutto il vero marito della prima donna, e a ogni più piccola quistione di palcoscenico, negava doveri, accampava diritti. Fu con Goldoni gran tempo al San Luca, ma dopo la recita della Sposa persiana (del 1755), in cui il pubblico s’interessò maggiormente al personaggio della giovane schiava che a quello della prima donna, la moglie di lui, sommamente irritato contro il pubblico e contro Goldoni, disse che gli era stata fatta un’ azione da forca, protestò col Vendramini, andò in iscandescenze, mandò in pezzi il suo orologio contro la vetrata di un paravento di cui frantumò i vetri, e piantò tutti in asso scritturandosi con la moglie per la Compagnia del Re di Polonia a Dresda. […] Forse Dionisio Gandini che sostituì il Bertinazzi era un fratello di Pietro ?
Carlo Goldoni, che principiò a scrivere per essa (a Verona nell’ estate del 1734 lesse il Belisario, che fu poi rappresentato a Venezia il 24 novembre), ci dice di lui, che era « pulitissimo ed onestissimo (Mem. […] Amava la Commedia con passione, era di natura eloquente, ed avrebbe molto ben sostenute le parti degli amorosi all’improvviso secondo l’uso d’Italia, se la sua figura e grandezza avessero corrisposto ai suoi buoni talenti. Corto, grosso, senza collo, con occhi piccoli, e con un nasino schiacciato, era ridicolo nelle parti serie, e i caratteri caricati non erano alla moda. […] Nullameno Teresa veniva ogni giorno a vederlo, ma sempre accompagnata dalla madre, vecchia attrice che s’era ritirata dal teatro, e che aveva santamente divisato di legare gl’interessi del cielo coll’ opere mondane.
Il dicembre del '48 era a Piacenza, e il dì 8 (la lettera è pubblicata dal D'Ancona nella nozza Martini-Benzoni), congratulandosi col Duca di Mantova che sia risanato delle varole, gli dà notizia che a Piacenza ov' è la miglior Compagnia di commedia, recitò per tre sere nella parte di Bertolino. Dal’ 48 si salta all’autunno del '59, e l’8 novembre annunzia a un Segretario del Duca, che era per recarsi a Reggio ; ma gli era stato detto « che vi erano alcuni che recitavano mezzi comici principianti e mezzi ciarlatani, che camminavano sotto nome di due donne, dette le Marchette » quando gli capitò l’avviso che erano andati a recitar fino a Natale a Bologna, e sarebber andati a Modena, a servir S. […] Una lettera v'ha ancora del 21 aprile 1660 da Parma, la quale mostra la grande famigliarità ch' era fra lui e le varie Corti, annunciando a un Segretario del Duca di Mantova la scelta degli appartamenti pel suo prossimo arrivo a Parma ove doveva recarsi anche il Ser.
recasse, come bomba, l’annunzio che tutta la condotta era sotto sequestro. […] che già haueua la bocca aperta per dire il fatto suo ; però fattolo accostare, gli diedi cenno, che parlasse ; Egli con la testa rossa per la collera, disse che quello, che era opera manarum suorom, quegli altri babbuassi se lo voleuano attribuire a sè stessi ; ma che la vera verità era, che egli già innamorato morto della Ninfa Dafne, non potendola con preghi, e promesse ridurre alle sue voglie, faceua quasi le pazzie per amore ; pure al fine risoluto di non star sempre come le zucche (co ’l seme in corpo) determinò di pigliarla per forza, e contrar seco legitimo adulterio ; la Ninfa, che era furba, auuedutasi della ragìa, à gambe fratello, e lui dietro ; corsero tanto, che arriuarono alle sponde del fiume Reno in Toscana, e non del fiume Peneo in Tessaglia (come dice quel minchione di ser Nasone), doue la Ninfa per opera di Gioue fù trasformata in alloro. […] Non vi ricorda bestiazze, quando io spasimauo per Venere, e lei in amarmi non era un’ oca, che quel becco cornuto di Vulcano voleua far del ritroso non si contentando, ch’ io dormisse con la moglie ? […] Non vi restava se non quel folletto di Mercurio a farmi sentire le sue ragioni, il quale senza aspettar l’inuito, cauatosi il capelletto, e di mio ordine messo in vn canto quel baston, che suol portare in mano, fece vna bella, e lunga cicalata, mostrando come tutto quello, che haueuano ditto gli altri Dei era Alchimia, e non poteua stare a martello ; e che lui solo era il pater patriæ Bononiensis ; vedendosi che tutti i Bolognesi come figliuoli, e descendenti di Mercurio Dio dell’eloquenza, nascono con vna buona inclinatione naturale alla Rettorica, e son dotati d’vn facondo parlare. […] Voleuano tutti quanti replicare, e mandar la cosa in infinito : anzi Saturno haueua già preso in mano la sua falce fenaja, Gioue vn buon tizzon di fuoco, Apollo la piua, Marte un’archibugetto a ruota, Venere s’era messa a parata, Minerua haueua scoperta la sua rotella, e Mercurio s’era armato del baculo ordinario ; quando questo petto informato in facto, e resoluto in jure, impostogli il debito silentio, così pronuntiò.
Le cronache non ci dicono quale essa si fosse, ma non è dubbio che la prova riuscisse eccellente, se l’anno dopo lo vediam generico della rinomata Compagnia Consoli e Zuccato, di cui era primo attore Gio. […] Da quel punto ch'egli entrava sulla scena fino a che non ne fosse uscito, era tutto immedesimato nel personaggio che prendeva a rappresentare : nè v' era imprevista circostanza che mai potesse farlo uscire dalla qualità ch' ei vestiva : non lo vedevi dardeggiare gli sguardi nei palchi o nella platea, mentre l’altro attore ch'era in scena con lui favellava ; non ammiccare al suggeritore ; non mendicar le parole ; non distrarsi insomma in quelle cose, da cui anche gl’ infimi tra' nostri comici sarebbe ormai tempo cessassero, perchè non addimandano sublimità d’ingegno, ma solo diligenza nei proprj doveri, amore dell’ arte che professano, rispetto verso quel tremendissimo giudice innanzi a cui stanno. La sua voce era chiara, aggradevole, risonante ; se non che nelle più alte commozioni degli affetti forse con troppa forza tuonava ; ma altri che il Vestri avria potuto in quel punto rattenere la foga delle passioni, egli non già, che troppo sentiva altamente. […] Ma il Carrer dettava queste parole, quando il Vestri era ancora a Napoli col Fabbrichesi : e lo Scifoni, accennando al difetto, quando l’artista era in Compagnia Reale Sarda, così conclude : Notavano in esso gli intelligenti che alcuna volta, troppo compiacente all’ uditorio, nel rappresentare le parti comiche scendeva alquanto dalla sua dignità, abbandonandosi a certe facezie che poco si convenivano. […] Venne, si allontanò di nuovo, ma il pubblico non era ancora contento, ed egli dovette venir fuori un’altra volta.
La tavola per la cena era a ferro di cavallo in una vasta sala, ov’ era innalzato nell’una estremità un piccolo teatro, in cui i comici italiani recitarono una commedia alla loro maniera. […] Si sa che il Bellotti era retribuito con 600 fiorini annui, i quali pare non fosser punto sufficienti al suo quieto vivere, se fu costretto a muover suppliche per un impiego, magari di portinaio, che lo sottraesse alla miseria, accampando i suoi meriti d’Arlecchino per 17 anni : e il Directeur des Plaisirs, in una Istanza dell’ 11 febbraio 1734, indica il Dottore Malucelli e l’Arlecchino Bellotti, come coperti di debiti.
Percorse dal '45 al '50 il napoletano e la Sicilia con una società, di cui egli era capo. […] A Livorno (in quaresima del '22), la signora Perotti dovè pagare, all’oste della Pera, quaranta francesconi per tanti tordi mangiati dal Miutti, il quale era tenuto in ostaggio…. A Napoli, avuto dal capocomico un magnifico soprabitone, e non avendo un soldo in tasca, per certa merenda che s’era proposto di fare coi compagni Bon e Romagnoli, corse alla Villa e ne vendè le lunghe falde a un rigattiere per quindici carlini, coi quali potè allo Scoglio di Frisi far la sospirata merenda.
Altro figlio di Andrea, marito di Elisa Duse, artista mediocre, era il 1848 con la famiglia in Compagnia Lipparini, col ruolo di generico. […] Il '69 era con la moglie prima donna in Compagnia Carbonin, diretta da Antonio Giardini, e il '76 in quella di Luciano Cuniberti.
Aurelia era la Brigida Bianchi. Leonora era la Castiglioni. Il Carpiano era Marcantonio Carpiani detto Orazio. […] Buffetto era Carlo Cantù. Beatrice era la moglie di Fiorillo.
La togata propria era seria, e corrisponderebbe alla moderna commedia nobile, e talvolta giugneva ad essere pretestata, a cagione de’ personaggi cospicui che soleva ammettere, ed anche trabeata, così detta dall’antica trabea reale degli auguri e de’ re. […] L’Atellana era una commedia bassa sì ma piacevole, lontana alla prima da ogni oscenità e licenza scurrile (siccome nel secondo capo del presente volume abbiamo osservato), indi contaminata dall’esempio de’ mimi. […] Questo personaggio era menato intorno ne’ giuochi con altre maschere spaventevoli e ridicole, principalmente nel rappresentarsi le Atellane. […] Col vestito di uno schiavo che era bastonato, gridava fuggendo, Porrò, Quirites, libertatem perdimus. […] Tale era l’ accuratezza degli esperti pantomimi antichi (Nota XIX).
Per questo forse la sua carriera, che fu lenta fino all’entrata in Compagnia di Calloud e Diligenti nel 1872 come primo attore a vicenda col Diligenti (era stato quattr'anni primo attor giovine in quella di Peracchi), diventò poi rapidissima, affermandosi egli, un anno dopo, primo attore assoluto nella Compagnia N. 1 di Bellotti-Bon, l’aspirazione suprema dei giovani artisti, al fianco di Adelaide Tessero. Francesco Pasta era nato, si può dire, primo attore, sì pel fisico, era di figura più tosto forte e di fisionomia marcatissima, sì pe 'l carattere, come s’è detto, freddo, talvolta serio, talvolta anche accigliato.
L'autunno dell’ '86 era a Torino, raccomandato da Sua Altezza al signor Marchese di Dronero ; e 1' '88 a Milano, ove gli furon pagate lire 740 dal tesoriere Zerbini (V. l’elenco di quest’anno al nome di Torri Antonia). […] Forse dalla Compagnia era uscito il Caccia, primo nell’ elenco, ed egli ne aveva assunto il nome e l’importanza. […] L'ottobre del '93 era a Fermo, il dicembre a Chieti, il carnovale a Roma.
Tuttavia abbandonò il ruolo di Arlecchino, e prese quello di Dottore e di parti staccate, che sostenne fino alla chiusura del teatro nel 1767, dal quale si ritirò, essendogli morta l’aprile dell’anno prima in ancor giovine età la moglie Elena Savi, che aveva esordito come amorosa il 28 maggio 1760 con molta intelligenza e con molto brio nell’Homme à bonne fortune, ed era stata accolta poco tempo dopo a mezza parte. […] III) che la signora Savi era la prima attrice della Commedia italiana, e abitava con Zanuzzi al sobborgo di S. Dionigi, come pure (ivi, 19) che non aveva disposizioni felici per la commedia, ma che era giovane e di assai buona volontà.
Pieri era guidato dall’arte ; Bellotti-Bon dalla sua natura…….. […] Ma torniamo alla sua Compagnia unica, la vera Compagnia modello, nella quale egli era tuttavia per viscomica, per finezza, per verità, il principe de’brillanti. […] Gherardi del Testa : s’era, se ricordo bene, nel maggio del ’64 (epoca della gran fiera), stagione splendida allora per le compagnie drammatiche di grido, poichè alla molta frequenza del pubblico andava congiunta una forte dotazione. […] E questa del vero blasone era una delle innumerevoli parti, in cui fu sommo davvero. Una vena inesauribile di comicità sapeva congiungere, come niun altro mai, a una singolare elettezza di modi : a una inflessione di voce, a un movimento del capo, a una occhiata, scoppiavan risa convulse ; ma il pubblico era sempre in faccia a uno specchio di vera eleganza….
Un amico di suo figlio, il Casanova, che la conobbe nel 1751, ne fece un ritratto evidente con pochi tratti di penna : dopo di avere parlato del fisico (non era nè bella, nè brutta, ma aveva un non so che, che saltava subito agli occhi, e affascinava), dopo di avere parlato delle sue maniere gentili, dello spirito fine e abbondante, concludeva : …. non s’è potuto trovare sin qui un’attrice che ne prenda il posto, poichè è poco men che impossibile trovare un’attrice la quale riunisca in sè tutte le doti ond’era ornata la Silvia nell’arte difficile del teatro : azione, voce, spìrito, fisonomia, portamento, e una grande conoscenza del cuore umano. Tutto in lei era natura, e l’arte che la perfezionava era sempre nascosta. […] Salvatore, col pieno assentimento del parroco, il quale, degna persona, allontanato, per intolleranza anticristiana, dalla maggior parte de’ suoi confratelli, diceva che il mestiere di comica non le aveva impedito di essere cristiana, e che la terra era la nostra madre comune, come Gesù Cristo il Salvatore di tutto il mondo.
Il ciarlatano era fuor de’gangheri e dichiarava non solo di non esser suo padre, ma di non averlo mai conosciuto :… e più inveiva contro di lui, più cresceva nella folla la compassione pel disgraziato ragazzo, di cui furon comperate tutte le droghe, e a cui furon fatti per giunta molti regali. […] Abbiamo una stampa di questo costume, disegnata e incisa a Parigi dal Bel, che era un famoso disegnatore italiano. Questo costume, stando alle apparenze, era sul teatro innanzi a quello di Beltrame, Niccolò Barbieri, che era milanese, e che volendo parlar la lingua del suo paese, ne portava anche il vestito.
La Compagnia era della Maddalena Battaglia e n’era primo attore e direttore Salvatore Fabbrichesi.
E ho detto in forma di teatro, chè prima era un baraccone, con la loggetta al di fuori pe’suonatori chiamanti il pubblico sotto le spoglie di Pagliaccio, Arlecchino e Donna Cannone. […] Immaginatevi da quale specie di pubblico era frequentato ! […] Animati da ciò, andaron formando una Compagnia non delle peggiori, con proprietà di abbigliamento e di allestimento scenico ; tanto che, mentre essa al suo esordire era composta di quattro attori, finì poi coll’averne ben trenta ; il pubblico scamiciato restava al di fuori a guardar le eleganti signore che scendevan di carrozza per recarsi al teatro ; e l’incasso della stagione, che durò tre mesi, fu di 37,000 lire.
Fra molte cose belle e gentili che improvvisò Felice Cavallotti sul feretro di lei, queste bellissime riferisco, le qualisintetizzano, come niuno potrebbe meglio, i grandi pregi dell’artista incantevole, squisita : Pierina Giagnoni era davvero una predestinata dell’arte. Elle veniva in linea diretta da quella splendida pleiade di artisti che ora non son molti anni lasciò credere un momento avverata la superba speranza di giorni di gloria per il teatro italiano, e della quale solo pochi superstiti dispersi, affannosamente cercanti uno dopo l’altro meno ingrato cielo, restano ad attestare che la speranza non era nè temeraria nè vana. E di quei giorni, in cui artisti ed autori, veri autori e veri artisti, pareano spuntare dal suolo, in cui la febbre dell’arte, la curiosità d’ogni artistico evento affollava i teatri, rendeva secondi i confrontie le gare di quei giorni, una luce avvolgeva ancora la Giagnoni : cosi la sua mirabile artistica natura s’era venuta via via formando alle perfezioni di un’arte, che non già sostituiva al convenzionalismo antico un altro convenzionalismo più melenso e più povero, mache assorgeva dalle raffinatezze e dalle delicatezze più squisite del gusto e della modernità alle energie, agli impeti, alle lagrime della passione, alle grazie della comicità più festiva, ai fascini di un’idealità che si rispecchia nel vero.
Ella rivaleggiò con le maggiori artiste del suo tempo : a niuna seconda in nessun genere di parte, le superò tutte nella commedia, in cui, dice il Regli, era una potenza ; e aggiunge che : « Pamela nubile, Zelinda e Lindoro non ebbero più mai un’interpetre così fedele e così perfetta. » Ritiratasi dall’arte, andò a recitar co' filodrammatici a Vicenza, dove, a soli cinquantun’ anni trovò la più tragica fine. « Afflitta da molte sventure di famiglia, angosciata di cuore e alterata di mente, uscì di casa una mattina senza dire ove andasse, nè mai più fu veduta…. […] Il marito della Vidari era un impenitente beone, e Francesco Regli riferisce l’aneddoto che una sera a Milano, scordatosi dopo una buona bevuta di dover recitare, andò a teatro assai tardi ; ed entrato in camerino, cominciò a svestirsi. E quando un compagno gli disse che la recita era sul finire, e ch' egli aveva ripiegata la sua parte, il Vidari trasse di tasca il borsello, vi diè dentro un’occhiata, e tornò pacifico all’osteria.
), la data della morte sarebbe quella del 21 marzo 1853 ; ma è un errore evidente, poichè nel 1844 egli non era più nella Compagnia Reale Sarda, alla direzione della quale successe interinalmente Domenico Righetti, e nel ’45 la moglie Marianna, come vediam più giù, era già vedova. […] Ecco le parole del Brofferio al proposito di un suo lavoro giovanile, La saviezza umana : …… Bazzi ponea mano alla rappresentazione ; e allora la commedia era sua, allora con uno zelo, con un amore, con una intelligenza che non era in altri che in lui, metteva tutto in movimento, e l’autore vedeva sotto i suoi occhi trasformarsi quasi per incantesimo il proprio lavoro, e i suoi pensieri si animavano, il suo dialogo si vestiva di arcane significazioni, le sue scene si succedevano cosi naturalmente che era una maraviglia, e i suoi personaggi si sentivano trasfuso nelle vene tanto sangue che il medico avrebbe perduto il suo tempo.
Ecco quello che agli occhi de dotti era Aristofane. […] Filemone, poeta molto a lui inferiore, gli era sempre preferito. […] Rimase al coro il pensiero d’intrecciar parole cantando; e in questo la poesia, per accomodarsi al canto, era più lirica, e la rappresentazione, per servire al Ballo, era men naturale. […] Presso gli antichi coribanti e cureti era un rito strepritoso e bellico più, che un ballo delicato. […] Questo terzo era da pensarsi interamente avanti di animar colla locuzione la prima scena della commedia.
Secondo che scrive il Piazza nel Teatro, egli era ancora quarant’anni dopo la sua morte nella memoria de'comici, come valentissimo arlecchino, sotto il nome di Truffaldino, e autore di scenarj, pei quali esso Piazza lo qualifica autore di commediacce. Nella fede di nascita del figliuolo non abbiamo le notizie personali del padre, e però non sappiamo nè dove, nè quando sia nato : sappiam soltanto ch'egli era a Vienna comico al servizio di quella Corte, quando nacque il celebre figlio Antonio (1708), e che « fu — dice Fr.
Il fiorentino Giovan Battista Marini, discreto artista (era generico dignitoso il 1853 in Compagnia Sadowski-Astolfi), sorpresala nelle sue declamazioni, scoprì il tesoro magnifico della sua voce, e, vedovo da poco e per giunta con figliuoli, propose alla Virginia di sposarla, coll’intento d’iniziarla alla vita dell’arte. […] La modista era lei, la Marini. […] Il '64-'65 era di nuovo con Adamo Alberti ai Fiorentini di Napoli, e questa volta prima attrice giovane ; dal '66 al '68 con Alessandro Monti, dal '68 al '69 con Tommaso Salvini, dal '69 al '72 con Alamanno Morelli. […] Quando non si andava svogliatamente com’oggi a teatro, per veder la riuscita di un nuovo lavoro, sul quale si ha già una preventiva poca fede ; ma ci si accorreva entusiasti a giudicar di una interpretazione, suscitante poi ne' confronti le più vive discussioni, la vita artistica di Virginia Marini era il trionfo non interrotto di ogni sera. […] … Perchè, Virginia Marini, al fianco di Tommaso Salvini, diventò una di quelle artiste, rimasta unica poi, che sollevava, come il suo grande compagno e maestro, le platee con una semplice inflessione di voce ; era quella una forza sua.
XIII dell’ edizione Pasquali, dice di lui : Primo vecchio, cioè Pantalone, Andrea Cortini del Lago di Garda, il quale aveva la figura disavvantaggiosa, e non era buon parlatore ; ma gran Lazzista e ottimo per li Zanni ; poichè avea moltissima grazia, e contraffaceva assai bene i personaggi ridicoli, e soprattutto era ammirabile nelle scene di Spavento, e di agitazione.
Fu nelle principali Compagnie di Marta Coleoni, Dorati, Goldoni, Perotti e Fini, e il critico delle Varietà teatrali di Venezia per l’anno 1821, quando il Verzura era in Compagnia Perotti, lasciò scritto ch' egli era eccellente attore, se non maggiore, non certo ad alcun altro secondo.
Il Bellotti comprese subito da quell’esperto conoscitore che era, il merito dell’opera : fece subito copiare le parti e le distribuì. […] Atte era la Tessero, Egloge la Campi, Menecrate Belli-Blanes, Icelo Salvadori : non c’era male ! […] Il giorno dopo, tutto venduto ; era il teatro delle grandi occasioni…. il quale continuò, inalterato, per quattordici sere di fila. […] Egli tradusse poi in atto le speranze che di lui si eran concepite ; ma se Bellotti non accettava il lavoro, se Milano non era all’altezza dell’autore, chi sa se l’umile maestro avrebbe potuto diventare il pittore di quell’epoca, a cui poteva egli solo dar vita sulla scena.
Formò Compagnia nel 1866, e quando il nostro esercito prendeva possesso del Veneto, la Compagnia Majeroni era la compagnia di moda. […] Come artista, era bravo senza essere ottimo ; era bello, aveva una voce armoniosa, incantava la sua figura statuaria. […] Achille Majeroni fu il più generoso degli artisti drammatici ; ma la sua generosità era piuttosto prodigalità, o meglio scialacquo.
., II, 110 : Mar[illisible chars], il Brighella della Compagnia, era maritato : sua [illisible chars], la quale era stata ballerima da corda al pari di lui, era una giovine veneziana molto bella ed [illisible chars], poema di spirico e di talenti, e mostrava felici disposiricai per la commedia : ella aveva abbandonato suo marito per giovanile inconsideraterra, e venne a riunirsi con lui dopo tre anni, preadendo l’impiego di serva nella Compagnia di Medebach sotto il nome di [illisible chars].
Al principio del ’38 era a Dresda scritturato nella Compagnia di Corte assieme a sua moglie Gerolima ( ?) […] Nel ’54 era al S.
Rubatogli di notte quanto s’era venuto accumulando co' suoi risparmi, risolse di tornarsene in Lombardia ; e si unì alla Compagnia di Nicola Menichelli, col quale si recò a Vienna. Tornato in Italia si scritturò con Pietro Rossi, poi con Antonio Sacco, con Pietro Rosa, con Maddalena Battaglia, a Venezia, con Luigi Perelli, e con Antonio Camerani, col quale era ancora il 1781.
Il ’63-’64 era ai Filodrammatici di Trieste ultima per le parti ingenue nell’elenco della Compagnia Duse Lagunaz, di cui era direttore Luigi Aliprandi e amorosa la Celestina Paladini, oggi Paladini-Andò. […] La grandezza della Duse era tutta grandezza di analisi, che sfuggiva all’occhio e alla mente dello spettatore, perchè l’arte era sempre soccorsa dalla natura, e questa da quella…. […] E finalmente : la grandezza grande della Duse era nell’eloquenza di uno sguardo, nell’ intonazione di una parola, in un gesto, in una pausa, che fu sempre il maggiore e miglior patrimonio degli artisti più celebri, da cui il pubblico era trascinato di sorpresa. […] In quella maniera di scrivere era qualcosa della sua recitazione. […] Essi eran la traduzione incosciente, impulsiva del loro amore per la loro arte, era tutto un omaggio di commozione che mandava oltre l’artista di passaggio, era il loro ideale ch’essi salutavano, era la loro arte nobilitata, dinnanzi alla quale si sentivan fatti più grandi essi stessi, e la quale dava loro tanto orgoglio !
Probabilmente essa fu figlia dell’arte, e nacque a Venezia, ove sua madre, incinta, era a recitare : questo il parere del D’Ancona, il quale cita al proposito i vari comici D’Armano, dei quali si parla più oltre. […] Vi era l’Ill. […] E. che si unisca in una, et ha tolto li miliori : li era la Sig.ª Vicenza et la Sig. […] Nella comedia era giocosa secondo le occasioni, mordace nel riprendere i vizj, arguta nelle subite risposte, mirabile nei bei discorsi d’amore ; e non era alcuno che le potesse, parlando, stare al paro. […] Aveva del virile nel volto e nei portamenti, onde se talora in abito di giovanetto si mostrava in scena, non era alcuno che donna l’avesse giudicata.
.), fu trattenuto ad arte nella Compagnia del futuro suoceto, della quale il Salvini era un de' primi sostegni nel ruolo di padre nobile. […] Il figlio non aveva alcun ruolo speciale, e lo stipendio annuo era di lire austriache 3000, coi viaggi pagati a entrambi, e 400 lire in più all’arrivo sulla piazza. Il quale onorario, considerati i tempi, fa fede, mi pare, del gran conto in che Giuseppe Salvini era tenuto dal sommo artista.
Pucci e Carlo Dondini, della quale era anche primo attore. Richiamato dal padre a Milano, ove gli fu permesso di alternar l’arte della scena con la professione paterna, istituì filodrammatiche società, di cui egli era esperto direttore, recitandovi con successo parti di tragedie alfieriane, quali di Filippo, di Agamennone, di Egisto, ecc. […] Nel Mattino di Napoli dell’ 11 agosto '97 un abbonato milanese dice che Meneghino trae la sua origine da Domenica, essendochè era uso in Milano, nei secoli passati, di chiamare in servizio, per tutta la giornata di Domenica, un uomo del popolo, il quale si prestava al disimpegno di molteplici faccende, acconciandosi anche a fungere da servo straordinario. E poichè quell’ uomo del popolo era di solito sollazzevole e burlone, ed era al fatto di tutti gl’intrighi e degli avvenimenti del quartiere, intorno ai quali emetteva giudizî pieni di acume e di sale ; così si affibbiò il nomignolo di Meneghino alla maschera del popolo milanese, nella stessa guisa che si battezzò col nome di Pulcinella, la maschera del popolo napoletano.
Nato a Roma il 1799, vi perdè, bambino, la madre, e dovè, giovinetto appena, seguire il padre in Sicilia, che era maestro di casa di una famiglia d’inglesi. […] Egli non era stato fatto artista dallo studio, ma creato tale da Dio ; e però di quanto il genio soprasta gl’insegnamenti delle scuole, di tanto il Monti, nel signoreggiar gli animi dei suoi spettatori, superò gli altri artisti. Regolari ed espressivi furono i lineamenti del suo volto, vivi gli occhi e nerissimi, proporzionate ed armoniche le forme della persona, e la sua voce, la quale nella conversazione comune era d’un metallo piuttosto spiacevole, nei momenti poi di passione e di concitamento di affetti acquistava tanta drammatica energia, metteva tali suoni, da scuotere prepotentemente le fibre dei suoi uditori. – Quando un carattere, un personaggio, lo avevano commosso ed interessato, Monti non temeva rivali nell’ immaginarselo col pensiero e nel dargli una forma sulla scena. Egli allora non fingeva più ; ma per uno sforzo di fantasia, di cui solo conosceva il segreto, s’immedesimava, si trasfigurava nel personaggio, che aveva preso a ritrarre, illudeva in somma sè stesso prima d’illudere gli altri ; e quindi, piangendo, tremando, rallegrandosi davvero, senza obliar mai quel bello ideale, che la mano stessa del Bello eterno gli aveva stampato nell’anima, costringeva gli spettatori a piangere, a tremare, ad allegrarsi con lui. – Era tanta la potenza del Monti nel trasfondere, dirò così, in sè stesso il soggetto da lui rappresentato, che spessissime volte, calato il sipario, egli rimaneva come stupito e fuori di sè, e visibile era il suo sforzo per passar da quella esistenza creatasi con la fantasia, nell’esistenza sua propria. […] Il portinajo ignorava lo stato della sua mente, e gli disse che il Re era in colloquio col ministro.
Enrico IV, entrato il maggio 1599 in trattative di matrimonio colla principessa di Toscana, Maria de' Medici, e divenuto ufficialmente suo promesso sposo nell’ inverno del '600, avendo stabilito di andarla ad incontrare a Marsiglia o a Lione, pensò per la fine del '99 di accaparrarsi in Francia la Compagnia del Duca di Mantova, di cui era ornamento principale il Martinelli. […] A questo tempo il Martinelli, che, avido com’ era, non lasciava nulla d’intentato pel mantenimento sollecito d’ogni promessa che gli veniva fatta, pubblicò un libro per ottenere dal Re e dalla Regina la promessa collana con medaglia d’oro, del quale il Baschet, alla cui opera magistrale più volte citata vo queste notizie attingendo, ha fatto un largo cenno, ma il quale per la sua curiosità e rarità, riporto qui per intero. […] Recitarono a Parigi fino alla fine di luglio del 1614, ora all’ Hôtel de Bourgogne per divertimento del pubblico, ora al Louvre per quello della Corte ; e a mostrar la famigliarità che Arlecchino s’era in essa acquistata, attesta il Malherbe che il 27 gennaio il Re e la Regina Reggente in persona tennero nuovamente un suo figliuolo a battesimo. La Compagnia allora era composta di : Tristano Martinelli, Arlecchino ; Federigo Ricci, Pantalone ; Ricci, suo figlio, Leandro ; Giovanni Pellesini, Pedrolino, che aveva allora ottantasette anni ; Baldo e Lidia Rotari ; Gio. […] Contro il Tesoriere dalla mezza collana, al quale accenna, s’era già scagliato Arlecchino in un poscritto di altra lettera con data di Mantova, 3 dicembre 1611, in cui lo chiama cane cornuto, e gli prepara un purgante per renderlo uomo dabbene.
Di una rettitudine a tutta prova, di una mente penetrativa, di un gusto squisito, odiava tutto ciò che era, o gli pareva ingiustizia…. […] Nelle situazioni patetiche gli usciva dall’occhio una grossa lacrima che gli si spandeva per la guancia ; ed era un pietoso incanto per la platea quel suo lamentarsi col viso umido di pianto, che luccicava al lume della ribalta. […] È ben vero che quando recitavano sì fatti artisti, la platea del nostro teatro era illuminata a candele di sego, e la ribalta con fiaccole che ardevano in teglie ripiene di grasso ; ma questa illuminazione non era particolarità di Perugia. […] Nè per tale privazione il pubblico era meno esigente verso gli artisti minori. […] Il Bonazzo, bolognese, era chiamato Gabucetto (?)
Al Gallo vi era Emilio Balduino, da Parma, comico, con spada. […] Paolo Fabbri, il più letterato dei compagni ; ma il capocomico, probabilmente, era Girolamo Salimbeni.
La compagnia si era data più specialmente al repertorio goldoniano, alternato coi vaudevilles, di cui s’era fatta come una specialità ; tanto che, avendo fanatizzato a Milano, lo stesso Verdi ne vedeva talvolta le prove.
Ed esordì infatti nella Compagnia Taddei, ov’ era già il padre, con tal successo di fischi da deporre per sempre il pensiero dell’arte. […] Il ’30-’31 egli era per la stagione di autunno e carnevale in uno de’teatri di Roma, in società con Giacomo Job ; poi, preso parte ai moti di quell’anno, fu guardia nazionale a Bologna, volontario dragone ad Ancona sotto il generale Zucchi, compagno d’ armi del conte Giuseppe Mastai a Sinigaglia, poi…. […] Il ’60 dirigeva una compagnia detta dell’Italia centrale, di cui principale ornamento era la figliuola Antonietta, avuta dalla moglie Amelia Prina di Brescia, che vediam con esso il ’62 e ’66 a Tolentino, e che andò poi sposa all’avvocato Polveroni. […] , I, 62), che pur dichiara di non averlo avuto mai nel suo calendario : Egli era un attore che conosceva molto gli effetti : coscienzioso, intelligente per lo studio di un carattere, ma un poco artificioso.
La togata propria era seria, e corrisponderebbe alla moderna commedia nobile, e talvolta giugneva ad essere pretestata, a cagione de’ personaggi cospicui che soleva ammettere, ed anche trabeata, così detta dall’antica trabea reale degli auguri e de’ re. […] L’Atellana era una commedia bassa, sì, ma piacevole, lontana alla prima da ogni oscenità e licenza scurrile (siccome nel secondo capo del presente libro abbiamo osservato) indi contaminata dall’esempio de’ mimi. […] Manduco era un personaggio ridicolo coperto di una maschera di grandi guance con certi dentacci che si movevano e facevano molto strepito, ond’è che i ragazzi se ne spaventavanoa. Questo personaggio era menato intorno ne’ giuochi con altre maschere spaventevoli e ridicole, principalmente nel rappresentarsi le Atellane. […] Ma Laberio che non cedeva all’Arpinate nel motteggiare, rispose che non si meravigliava che stimasse di stare a disagio in un solo sedile chi era solito di occuparne due in un tempo, satireggiando in tal guisa la doppiezza ed incostanza dell’Oratore.
Passare il tempo ridendo era la prima cura di quei felicissimi, e Giancola era l’uomo nato ad hoc. […] La morte di Vincenzo Cammarano fu cantata in uno scherzo poetico da Giulio Genoino che il Di Giacomo reputandolo inedito, pubblica per intero : L’invidia piena il cor di rabbia muove reclami a Giove contro il Cammarano che non era un uomo semplice ma un Demonio in forma umana (che giammai non fu possibile arte tanto singolare cui la forza dell’ Invidia non è giunta a denigrare !)
Il ’59 entrò in Compagnia Dondini qual primo attor giovine sotto Salvini, e nel 1860 sposò la nota attrice Anna Pedretti che era allora nella compagnia stessa. […] Conobbi il mio caro Angelo, quando si era giovani entrambi. […] Il Cossa che dell’interpretazione del Biagi e del Monti si diceva lietissimo, e di quella di Ernesto Rossi era supremamente orgoglioso, chiamava Diligenti il suo Nerone ideale.
Bartoli che appartenne alla sua Compagnia – era buon direttore, e buon attore ; e recitava assai bene le parti serio-facete, specie quella di negoziante Friport nella Scozzese di Goldoni. […] Urlava quand’ era minaccioso, e parlava sberleffando con una voce crepata, quando pretendeva d’intenerire. […] Dopo il carnovale del '78, fatto prima al Comunale di Bologna, poi a Firenze, egli cedè la compagnia a suo genero (ne era prima donna Anna Lampredi (V.), e andò a ritirarsi con la moglie e due figlie a Cento, ove aprì una bottega di commestibili ed altro.
Mentre questi era a Milano, gentiluomo di Camera del Residente veneto (1733), arrivò, nel principio di quaresima, il Vitali. Di buona famiglia, aveva avuto un’ educazione eccellente, ed era stato prima gesuita, poi medico di Reggimento, poi professore di medicina all’ Università di Palermo, poi ciarlatano. […] La piazza ov'egli agiva era piena sempre di gente a piedi e in carrozza ; ma, naturalmente, difettandovi i dotti, egli, all’intento di allettare la folla ignorante, ebbe l’idea peregrina e geniale delle quattro maschere italiane, che lo ajutavan co' lor lazzi nello smercio de'suoi specifici.
Fu al fianco della Pellandi il primo attore per le tragedie (quello per le commedie era il celebre De Marini) nella Compagnia Reale istituita dal Principe Eugenio Beauharnais, impresa Paganini. […] Compagnia istituita dal Vicerè d’Italia, che era stata diretta fino al Carnevale del 1812, in cui si sciolse, dal celebre artista Salvatore Fabbrichesi. […] La voce era piuttosto rauca, ma nel calor della recitazione si faceva forte e pastosa. […] Ormai il nome di Blanes col quale salì in tanta rinomanza lo zio, non poteva essere abbandonato dal nipote che si dava alle scene : quel nome era come un augurio…. pe ’l suo avvenire artistico. […] Il Bartoli dice che l’arte del comico e del lavorator di mode andava alternando e che per la squisitezza de’modi e l’avvenenza della persona, era accolto e gradito dalle dame di ogni città.
Oltre agli artisti da lui stipendiati per dare un corso di recite in quella città, aveva seco la moglie Luigia, nata dal comico Cavicchi, bravo brighella da molti anni estinto, e figli : una bambina chiamata Adele che non giungeva all’età di cinque anni, ed un maschio di due, il di cui nome era Ettore, ma che per esser piccolo e grasso era stato da quei comici soprannominato Tom-Pouce. […] Il legno appena ondeggiava per la mancanza di vento, per cui, accesi i lumi, diedero principio alla danza, al suono di un pianoforte che era nella sala grande da pranzo, e che venne suonato dal tenente del vapore. […] Disperato, si volse indietro per ritornare al vapore, ma quella massa nera era sparita. […] Sorgeva il sole, l’acqua del mare era chiarissima, e si scorgeva quasi il fondo. […] Meno una ferita alla fronte, il corpo era intatto e punto trasfigurito.
Passata a seconde nozze col celebre attore e autore Francesco Augusto Bon, che la sposò per procura, trovandosi egli allora in compagnia Perotti, diventò la migliore interprete dell’opere sue, vuoi comiche, vuoi drammatiche, serbando intatta la fama che s’era prima acquistata. Morì Luigia Bon dopo lunga e penosa malattia in Milano, verso il 1845, non ancor tócco i cinquant’anni, compianta dai pubblici e da’ fratelli d’arte che amavano in lei la squisita bontà, e ammiravano il non comune ingegno, al quale era accoppiata quella dovizia di mezzi materiali, che dovrebbero essere l’indispensabile patrimonio di un’attrice : figura slanciata, volto geniale e piacevole, voce melodiosa, occhi vivaci, capelli d’oro filato.
Egli, che aveva circa due anni, era di pessimo umore, e nulla poteva calmar le sue grida e il suo pianto. […] Che il giorno avanti era stata a Versailles dove Mad. […] Lazzero era una casa di correzione di Parigi. […] Mesmè era il maggiordomo o maestro di casa della Granduch.ª Margherita. […] La Cinzia era una fiorentina, camerista della Granduchessa Margherita d’Orleans.
La Gemma era bimba, bimba a rigor di termini…. giocava fra le quinte, saltava…. poi…. entrava in iscena trasformata, e il pubblico era tutto suo.
Il primo anno fece società con Francesco Coltellini, da cui essendogli pervenute alla resa dei conti cinque o seimila lire di guadagno, oltre a quel tanto da vivere che s’ era assegnato giornalmente per sè e la moglie, si sciolse amichevolmente, e diventò capocomico solo, mettendo subito piede al primo teatro di prosa di Milano (ora Manzoni) il settembre, e all’Arena Nazionale di Firenze la primavera. […] Egli ebbe aperto da lui un nuovo orizzonte…. il metodo suo seguì, si assimilò ; grande interprete del concetto, non lo era meno della parola. […] … Certo non era ingiusta la pecca che trovaron nella sua dizione, saltellata e martellata talvolta in una pronunzia dialettale che non l’abbondonò più…. Ma il concetto della parte era sempre qual si doveva, e si mostrasse egli come Esopo, o Padre Prodigo, o Bernard, o Cavalier di Spirito, o Fabrizio, o Bolingbrocke, o Carlo V o Camillo Blana, o altro…. se non potè essere per l’ orecchio del pubblico attore eccellente, fu certo e sempre pel suo cervello eccellente artista.
Magnifica di figura e di voce, ricca d’intelligenza, parlatrice elegante, piena di cuore verso i suoi compagni, era una specie di Ristori d’allora. […] Ognuna, che se le presentava, le accomodava, pareva fatta per lei, e non passava un giorno che la buona diventava cattiva, ed era licenziata, o andava a sua posta. Per mangiare s’era servita a tutte le osterie di Milano, e per necessità facevasi cuocere in casa ; perocchè nessuno voleva più aver a fare con lei. […] Un giorno, dopo aver strapazzato ingiustamente il garzone d’un caffettiere, che la serviva ed era uno svizzero, gli diede uno schiaffo.
Di faccia espressiva, di voce bellissima, fu anche attore egregio nelle parti di tragedia, sebbene pel fisico alcun po'deficiente, era piccolo di statura, non gli si attagliassero troppo. […] Scrisse molte opere teatrali, in cui la sciattezza della forma era compensata da una cotal vivacità di dialogo e fecondità d’intreccio. […] Dall’Ammiraglio a Dio era una parabola ascendente, maravigliosa : ah ! […] : il racconto dell’evasione nella Morte Civile era tutto un poema di sordine. […] Se mi fosse lecito un paragone, direi che l’anima del sommo artista era un superbo corridore, passante di vittoria in vittoria, sorretto dalla man forte di un savio condottiero : la mente.
Trasferito il padre a Torino, era impiegato di Prefettura, l’Annetta ottenne di poter frequentare la rinomata Scuola di Carolina Malfatti, dalla quale uscirono la Tessero, la Pezzana, Emanuel, Maggi, Diotti. […] Nè si potrebbe dir meglio : nel girar de’ grandi occhi neri, nel muover della bocca breve, in una certa aggraziata e naturale infantilità di pronunzia, dell’s e del c specialmente, nella spontaneità incomparabile della dizione era un cotal fascino, al quale non si poteva resistere…. […] In quel momento di sosta (1880-81), quando si trovava fuor dell’arte a Genova, dove s’era sposata a un banchiere Camillo Piatti di Piacenza, rottasi la Pietriboni un braccio, andò lei a sostituirla, creando quasi d’improvviso e in modo incantevole la parte di Cipriana nella commedia Facciam divorzio di Sardou.
Di lui riferisco le parole di Yorik, come quelle che ci dàn chiaro il ritratto dell’artista e dell’uomo : Aveva appena trent’anni, era pieno di vita e di speranza, forte, robusto, gagliardo, ricco d’ingegno, lieto della sua sorte, felice della simpatia, dell’affetto, della stima, in che lo tenevano i suoi concittadini. […] Scriveva con garbo in prosa ed in verso ; aveva anche fra le sue carte qualche non infelice tentativo drammatico ; si era fatto largo nella schiera degli artisti per l’ingegno suo vivace, per la festività dello spirito, per l’arguzia della parola, per la bontà del cuore, per l’ardore infaticabile de'suoi studj continui. […] Sappiamo dal Bartoli essere stato un uomo de'più capricciosi ; giuocatore arrabbiato del Lotto, dilettante alchimista, era riuscito a comporre un metallo somigliante all’argento, di ben poco valore ; ma, soprattutto, uomo probo, e come tale amato, e stimato da tutta l’arte.
Fu in varie compagnie, encomiatissimo sempre, e specialmente nelle commedie goldoniane ; si meritò l’amicizia di Gustavo Modena, il quale invitato a recarsi or a Torino, or a Cuneo, or a Genova a recitarvi con la Compagnia di Cesare Asti che faceva magri affari e di cui il Bottazzi era ottimo ornamento, gli scrisse parecchie lettere che son pubblicate nel volume Politicae Arte. […] » E il crociato, dice in nota il compilatore dell’epistolario, era un parafuoco dipinto dal Bottazzi che i Modena dovettero rimpiccolire per adattarlo al nuovo appartamento di Torino.
Costantini Pietro, detto el Putin, a cagione della sua piccola statura, era figlio di un suggeritore non maggiore di lui nella persona. […] Egli era giunto a tal perfezione di copia del suo maestro, che chiudendo gli occhi si poteva scambiar l’uno con l’altro.
Infatti un contemporaneo, il Gueullette, dice che Sticotti era un grand’uomo assai ben fatto, di viso tondo e piatto, e di fisonomia piacevole ; di umore gajo al sommo, e amabilissimo in società. E aggiunge : « egli era di buona famiglia veneziana ; s’innamorò della figlia d’un orologiajo, e la sposò.
Tornato a Firenze, formò la quaresima del 1821 un’ ottima Compagnia, che condusse gran tempo, rimanendo poi capocomico in sino a che, fatto vecchio, s’unì prima al figlio Guglielmo, col quale era il '46, poi si ritirò a Firenze del '50, ove morì settuagenario. […] Facean parte della Compagnia Grassi, Martinez, Salvini, Angela Zocchi moglie del capocomico, e lo Stenterello, che dello spaventoso repertorio, era magna pars.
La sua voce era rauca, e mal atta a colorire tenere espressioni, imponente, terribile nell’espansione di violenti affetti ; il suo portamento, il suo gesto erano nobili, e dignitosi, nè perdevano della loro dignità, e della loro nobiltà, che quando voleva dipingere gli oggetti fisici con gesti di contraffazione. […] M. il re di Sardegna, e non temo d’errare se dico, che questo tragico attore era l’attore di genio ; il suo difetto nell’analisi dei caratteri traspariva nelle particolarità, non nel tutto ; e se talvolta deviava dalla retta declamazione, e si abbandonava a conati troppo più violenti del bisognevole, era meno per mancanza d’intelligenza, e d’arte, che per la foga di strappare al pubblico que'clamorosi applausi, che lo inebriavano, e di che era quasi sempre padrone. […] Eccellente in tutta la tragedia, tranne alcuni abbagli di situazione, e di minute particolarità, in quell’ atto era perfetto.
XIII dell’ edizione Pasquali : Prima donna a vicenda colla Bastona, Cecilia Rutti detta la Romana, Moglie del comico Collucci ; ma che non vivendo con suo Marito aveva ripreso il nome della famiglia, dov’ era nata. […] Ella non valeva gran cosa nelle commedie dell’ Arte ; ma era eccellente nelle parti tenue delle Tragedie, conservando ancora una grazia e una delicatezza nel gesto, nella voce e nell’ espressione che la faceano piacere e applaudire.
Molto probabilmente la moglie è quella tal Marchetta, citata al nome di Girolamo Chiesa, la quale appunto, nel 1664, s’era fatta autrice d’una Compagnia, in cui s’erano impegnati il Dottor Violone e Bagolino : impegno che, a detta dello scrivente Ludovico Bevilacqua, era più atto di perfidia, e liuorc contro la signora Marzia (la Fiali) che sincero, et anteriore à quello, che haueuano con questa signora….
Il caso occorse a Capo d’Orlando, ove da una fortuna di mare sequestrata una Compagnia, trovò che l’albergo era occupato per rispetto dell’arrivo di Monsig. in visita, col quale erano quattro venerabili Religiosi. […] A mezzo dell’azione la camera risonava per l’applauso, e la porta era spalancata.
Innamoratosi poi d’ Isabella Belloni, prima donna della compagnia, figlia del rinomato artista Antonio, che da attore era passato al grado di direttore, assenziente il Salvini, l’ebbe in isposa, e con lei si recò in Compagnia di Romualdo Mascherpa, prima, poi in quella del caratterista Belisario Viti. […] Quanto alla recitazione sua, dice il Bonazzi ch’ essa era lapidaria. […] E prima aveva detto che era eloquentissimo quel suo sguardo dei grandi e grossi occhi di color grigio, di che, consapevole, abusava talora negli effetti detti di controscena.
La rinomanza sua era giunta a tale, che non gli occorreva più spedir l’ elenco della Compagnia a'vari teatri : il suo nome era più che sufficiente. […] Per mia beneficiata feci il Goldoni e le sue sedici commedie, in cui sostenevo la parte del protagonista ; ebbene, quantunque stravecchia la commedia, pure il teatro era quasi pieno, e rimasero nette 314 lire, senza alcuni regali che mi vennero fatti, mentre in festa con Dramma nuovo, non abbiamo mai incassato più di 160 lire.
Mortogli il padre nel’700, e rimaritatasi la madre coll’avvocato Duret, egli ebbe da entrambi tali maltrattamenti, che, sebbene avesse già esordito a quindici anni con buon successo nella compagnia materna, si trovò costretto a prendere il servizio militare, arruolandosi con un tal Capitano, dal quale non ebbe trattamento migliore, nonostante il dono che gli fece d’un piccolo orologio, che era tutto quanto ei possedeva. […] Alle porte della città, il povero ramingo dovette fermarsi, chè non era permesso l’entrata a chi veniva dalla Savoja, senza un chiaro esame sul suo nome, sul suo stato, sui suoi disegni. […] Ma il successo non essendo stato qual era da sperare, dopo non molte recite, egli fu ancora in Provincia, a Bordeaux, a Bruxelles, a Cambrai, donde restituitosi a Parigi, fu accolto nella Compagnia dei Nuovi Comici italiani. […] Fuori di ciò egli era attore egregio in ogni genere di parti, eccellente in quelle di ubbriaco e di svizzero.
Il dramma era stato da poco rappresentato dalla signora Tessari con esito felicissimo. La signora Pelzet era venuta a Napoli con molte lettere di raccomandazione dirette a persone stimabili ed influenti. […] Si trovò prima di tutto che era vecchia (non ancor quarant’anni ?), poi che era manierata, ed in ultimo che faceva pompa di una pronunzia eccessivamente fiorentina, lochè diveniva stucchevole e nojoso. […] L'Impresa per sostenerla le fece rappresentare alcune tragedie da lei scelte, come la Rosmunda, la Medea ; ma il confronto colla signora Tessari era troppo fresco e la signora Pelzet cadde senza potersi alzare mai più ; tanto che ella stessa domandò di esser sciolta per l’anno venturo.
Le credette, perché un sistema, che spiegava materialmente i fenomeni della natura, era più adattato a quegli uomini grossolani, su i quali aveano i sensi cotanto imperio. […] Non erano i Greci coloro che nell’orribil notte dell’incendio portavano scorrendo per ogni dove la strage: era la dea Giunone, che minacciosa e terribile appiccava con una fiaccola in mano il fuoco alle porte Scee; era l’implacabil Nettuno, che scuotendo col tridente le mura, le faceva dai fondamenti crollare. […] Mara era un altro che gettavasi sopra coloro che riposavano tranquillamente sul letto, e levava loro la facoltà di parlare e di muoversi. […] Rath era un genio sitibondo del sangue de’ fanciulli, il quale invisibilmente succhiava qualora trovati gli avesse lontani dalle braccia della nutrice. […] E siccome trascuravasi allora lo studio pratico della natura, senza cui vana e inutil cosa fu sempre ogni filosofica speculazione, così altro non era che un ammasso di bizzarre cavillazioni e di fantasìe.
La flessibilità della persona era tale da non si dire : non camminava, scivolava ;… in ogni ripiegatura della vita, in ogni passo, in ogni torcimento di collo era una delicatezza di linee, una siffatta eleganza di contorni, da muover l’applauso del pubblico, senza che il suo labbro avesse profferito una sillaba. […] La sera della rappresentazione (8 aprile 1741) fu anche quella della riapertura del teatro, che secondo il costume era stato chiuso durante la quindicina di Pasqua. […] Se Carlino era il cucco del pubblico per l’arte sua, non l’era meno di quanti lo conobbero, per le sue qualità morali. […] Fra gli oggetti, che in un ingente furto commesso in suo danno un giorno che egli era andato a desinar fuori di casa gli furon rubati, era anche un orologio antico portante incisa in un sigillo di pietra nera inglese la testa del celebre attore Garrick, amico e ammiratore profondo del nostro Arlecchino. […] Si conosceva che qualche scena era stata fatta da un autore, ma l’insieme dell’opera da uno scolaro…… Il suo errore principale, per esempio, era quello dell’inverisimiglianza : questa vi si ravvisa in tutti i punti.
Metto fra i comici anche il nome di questo scrittóre ben noto, nato a Venezia nel 1756 dal Conte Casimiro, napoletano, e da Angiola Olivati, veneziana, perchè, già vedovo della comica Monti, « che in quell’epoca – scrive Iacopo Ferretti – in cui era di moda recitare il verso tragico cadenzato, come i sonetti si recitavano dai novizii di Parnaso, era una rediviva figlia di Roscio, » fatta società colla insigne comica Marta Colleoni, si diede anche all’arte del recitare, nella quale riuscì mediocremente ; « fu discretissimo – dice lo stesso biografo – e non apparve più sulle scene. » Visse col De Marini, collo Zuccato, col Fabbrichesi, col Vestris e col Blanes, e ne fu poeta.
Nè ad un genere solo si attenne ; chè tanto era valente nelle parti comiche, quanto nelle drammatiche ; e le commedie del Goldoni, e le tragedie del Ringhieri ebbero in lei una interprete valorosa. […] Sposò l’anno dopo in seconde nozze l’artista Giacomo Modena, che trovossi con lei a Napoli, e che come lei n’era fuggito.
Percorsero in lungo e in largo la Dalmazia ove stetter quattr’ anni, e tanto avevan progredito nell’ arte che l’ uno era divenuto il primo amoroso della compagnia e l’ altra la prima donna. Così duraron qualche anno ancora, studiando accanitamente, sfogandosi in crear parti di grande rilievo, e guitteggiando pei teatri delle Marche e dell’ Umbria, fino a che gli omai valenti artisti, saliti a grado a grado in rinomanza, condussero e diressero essi stessi una compagnia ricca di ottimi elementi, della quale era lei prima donna applauditissima e nelle commedie scritte e in quelle improvvise, e nelle parti comiche e in quelle tragiche ; e lui primo amoroso e incomparabile Arlecchino.
Il carnevale del 1817, egli era, (dopo di essere stato alcun tempo capocomico con la moglie prima attrice) al Tordinona di Roma in Compagnia Benferreri, di cui era parte principale la maschera del Pulcinella, con la moglie e il figliuolo Cesare allora decenne.
Prese alla morte del padre le redini della compagnia, egli seppe colla sua sagacia di conduttore e la sua valentìa di maestro e attore, serbarle il bel nome che s’era a ragione acquistato. […] Era una domenica d’estate, e s’era già rappresentato di giorno il Campanaro di Londra.
XLV delle sue Memorie ; che tra il giugno e il luglio del 1743 era in riposo a Bologna, alla vigilia di recarsi a Rimini, scritturato da una compagnia comica che quivi recitava al servizio del Quartier generale Spagnuolo, era, come afferma il Loehner, marito dell’Antonia.
Morto il padre nel febbraio del '62, egli entrò di punto in bianco primo amoroso ai Fiorentini di Napoli, dove, mercè gli ammaestramenti del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola, della Pezzana, della Marini, salì a tal grado d’arte, che la quaresima del '70 partiva con la madre per Cremona a raggiunger la Compagnia di Alamanno Morelli, della quale egli era il primo attore assoluto. […] In quelle che richiedevano accenti di passione gagliarda era artista de' più forti.
Il 10 di agosto era colla compagnia a Verona, come si vede dalla supplica di cui si è parlato al nome di Fiala Giuseppe Antonio (V.) ; e vi era ancora l’ 8 di settembre, sotto la qual data riferisce a un famigliare del Duca, come non essendosi negoziata a dovere l’andata a Venezia, probabilmente la compagnia non avendo l’autunno, dovrà sciogliersi, per riunirsi poi nel carnovale ; annunzia che Colombina (la Franchini) vuol andarsene a Bologna, e ch'egli è costretto, secondo l’ordinazione de' medici, a condur l’ Angiola sua moglie a Venezia per una tosse di cattiva conseguenza ; e conchiude con l’annuncio di due lettere (non potute trovare), le quali avrebber fatto conoscere le doplicate malignità de' comici parmiggiani, capo de' quali è Brighella(V.
Recitava di rado ; ma nelle sere in cui recitava, era un avvenimento artistico. […] Come era egli nobile, e maestoso !
L’armonia, secondo gli Arabi, era la panacea, ovvero sia rimedio universale del corpo e dello spirito. […] Tal era l’affetto che quest’autore portava al ritmo, che lo credeva compagno indivisibile di tutta la natura. […] Il ritmo musicale era in tal guisa modellato sul ritmo poetico che l’indole, natura e durazione dell’uno era precisamente conforme all’indole, natura e durazione dell’altro. […] Il madrigale, che prima era in uso nelle musiche di camera, giace oggidì inoperoso fra le raccolte dei rimatori. […] Non così accadeva nella poesia musicale degli antichi, la quale era eguale alla nostra nel primo pregio, e superiore assai nel secondo.
La Ricci era una ragazza ignorante, vana, ambiziosa, civetta, cinica, invidiosa. […] Al capocomico Sacchi, vecchio bavoso, schifoso, geloso, successe il Gratarol, segretario del Veneto Senato, l’eleganza in persona, che s’andava cattivando la benevolenza delle comiche, col recar loro ne’ camerini le saccoccie piene di confetti (diavoloni) di ogni specie ; la Ricci non era caduta, era precipitata. Non v’era più bisogno della malignità dei comici per architettare aneddoti saporiti : la sua vita sbrigliata e sregolata era ormai palese…. […] Coll’immaginazione fissa a Parigi dov’ella doveva andare, Venezia era divenuta per lei una cloaca.
Egli fu, secondo un contemporaneo, eccellente artista ; recitava ordinariamente nelle commedie italiane le parti di nobile veneziano, e sotto la maschera di Pantalone era impareggiabile. […] Il collega rifiutò l’incarico e lo pregò di darlo in sua vece a Tommasino, altro collega, del quale era ben nota la probità, e il quale in fatti dopo aver avuto l’assentimento di un fratello dell’Alborghetti all’intiera esecuzione del testamento, pare l’acconciasse nel miglior modo con la vedova che molto ebbe a lodarsi di lui, e che poi andò a seconde nozze con un comico italiano, Francesco Materazzi, detto il Dottore. […] Egli si unì dapprima con alcuni artisti, rimasti a spasso a fin d’anno, tra’quali la vedova del vecchio Fabbrichesi ; e andò a Foggia, ove la Compagnia si trattenne un intiero anno, invece dei quattro mesi pei quali era stata scritturata.
Il nonno, orefice, non avuto in troppo odore di santità, dovette abbandonare Roma, sua patria, col figliuolo, giovanissimo, e rifugiarsi a Buje nell’ Istria, dove continuò a esercitar l’arte sua, e dove Augusto, era il nome del figlio, si unì con Antonietta Mazzari, istriana, in matrimonio, dal quale nacque il maggio del 1841 Florido Bertini. […] Licenziato dopo la presa di Capua, raggiunse ad Alessandria il padre (che sin dal ’50 era passato a seconde nozze), col quale fu scritturato dal conte Iacopo Billi di Fano pel teatro di Naum di Costantinopoli. Dopo un anno, il padre formò compagnia per teatri di minor conto, e fu con quella a Smirne, ad Atene, nelle Isole Ionie, e nell’ Egitto, ove s’era finalmente domiciliato.
Non si capiva se recitasse ; non faceva nulla ; discorreva : ma intanto il pubblico era tutto suo. […] Forse aveva un difetto : la sua natura emergeva troppo nei caratteri da lui rappresentati ; ma era una natura così simpatica, omogenea, che dal critico poteva esser perdonato il vederla spesso riprodotta. […] Buffet era piccolo, magro e nervoso. e suppliva ai suoi difetti collo studio e l’intelligenza.
Altri il vero nasconda Io no ; povere fasce i primi segni Dier d’infelicitate in quelle parti, Che poi seguimmi in ogni estran paese ; Così Penia mi prese Allevatrice infausta, e mi percosse Ne’ miei primi vagiti ; indi si scosse Torbida stella ; era morir pur meglio, Ch’esser altrui d’alta miseria speglio. […] Tolto da lui dove col senno è giunta Lodata libertà, che ogni altra vince, Semplice mossi il travagliato fianco Da celeste desir l’anima punta ; Che ne fu poi disgiunta Da chi togato altrui sembrava Lince, Ed era talpa in sua ragion non franco ; Onde mi volsi ad essercizio industre ; Così dal loco illustre Di chi tra pietre vide il ciel aperto Sciolto, feimi tra libri un tempo esperto ; Ma, perchè m’era troppo il piè legato Fuggitivo mi trassi ad altro stato. […] A Trento era colla compagnia l’autunno del 1608, quando cioè pubblicò i Capitoli e le suppliche ; e innanzi di partire si duole nella seconda di esse al Capitan di Trento, Barone di Thon, della miseria dei comici non andando gente a teatro. […] Il 26 ottobre 1612, Tristano Martinelli scriveva da Firenze al Cardinal Ferdinando Gonzaga, mandando una lettera di Maria de’ Medici, nella quale era il desiderio di mettere assieme una compagnia di comici tra cui figurava il nostro Fabbri. […] Quel sopranome era da lei meritato, perchè ad una figura venerea univa un volto di bellissimi lineamenti.
Educato, gentile, senza albagia per il suo merito, era amato e stimato non solo da’ suoi fratelli d’arte, ma da tutti quelli che lo conoscevano. […] Egli non era più giovane, ma ambiva di comparirlo, e vi si fece condurre avendo indossato un abito elegante, ma leggiero assai.
Ancor bambina s’era già fatta un nome, recitando, protagonista, in farse o in commediole, e riuscendo di non poco utile al capocomico. […] E d’altronde : la Ristori si era disfatta, coll’allontanarsi dal teatro, di ogni suo corredo…. […] Ma la Ristori non era il solo ornamento della Compagnia. […] E le lodi non mancarono, non mancarono gli applausi ;… ma chi mancava era il pubblico. […] Tutta la scena della denunzia in Patria era del Ristorismo più puro.
Trovato modo di spingersi fino a Milano, la Letizia potè entrare in Compagnia di Giuseppe Moncalvo, nella quale, se accrebbe di molto le sue doti artistiche, non migliorò per niente la sua posizione materiale, dacchè Moncalvo non mai ricompensò la sedicenne artista fuorchè di savj e utili insegnamenti, e se l’arte era allettatrice potente, le esigenze dello stomaco facendosi di giorno in giorno più imperiose, ebbero il sopravvento. Capitato allora a Milano Romualdo Mascherpa con la compagnia della quale era amoroso il Landozzi, e sentita la Fusarini, le propose di andar subito con lui prima attrice. […] La compagnia si era già recata a Parma. Ella sola col padre era rimasta, ma non mai abbandonata ; chè tutti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia facevano a gara nel prodigarle affettuose cure.
Da alcuni manifesti di sua serata, rilevo che Stenterello non era la sola maschera che figurasse nella Compagnia. […] Infatti, al proposito della pantomima, era detto : « verrà questa rappresentata da varj componenti la Comica Compagnia, che graziosamente si prestano. » I manifesti di beneficiata avevan, come per tutti gli Stenterelli, il solito invito al pubblico, ordinariamente in brutti versi martelliani.
Padovano e non figlio d’arte (il nome di Parpagiola gli venne da una prossima parente, Dama di Corte di Maria Luisa di Parma, che gli aveva lasciato parte delle sue fortune) era il 1824 primo amoroso in Compagnia Duse ; e il n. […] Mercè la sua cultura e la sua intelligenzanoncomuni fu chiamato dall’ Italia artistica di Torino, iniziatrice, a dirigere alcune rappresentazioni di commedie classiche italiane, tra cui era La Mandragola di Macchiavelli.
Carlino, nel 1835, ove era ancora nel 1847, al fianco di Salvatore Petito e di Serafina Zampa. Poco dopo, di attore egli si era, come il Cammarano e lo Schiano, mutato in autore. […] Egli era il vero artista del momento : spigliato, arguto, di vena inesauribile.
Fu sua l’idea di far andare il Goldoni a Parigi, dopo il successo del Figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato, per rinsanguare la povera commedia italiana che dava i segni manifesti della sua prossima fine di anemia ; e n’ ebbe infatti incarico ufficiale da' Gentiluomini di Corte, e trattò la cosa in tal modo, che il poeta veneziano già ammiratore e conoscitore dei di lui pregi, lasciata la sua cara patria, ov' era accarezzato, festeggiato, applaudito, se n’andò il '62 alla gran capitale. […] Oltre ai documenti che riguardano l’accettazione di Zanuzzi in Compagnia a tre quarti di parte e a parte intiera, Campardon pubblica in data 2 febbrajo 1767 la querela di una portinaja contro di lui, certa Anna Angelica Guerrier, perchè, avendo risposto allo Zanuzzi che certa Joinville avea dormito in casa la sera precedente, mentre non era vero, s’ebbe da lui una sequèla d’ingiurie le più atroci e volgari, e l’iterata minaccia di uno schiaffo, al cospetto della gente che s’era andata adunando.
Un altro genere da lei insuperabilmente rappresentato era quello delle parti ingenue. La Giurlì o La famiglia indiana, la Lauretta di Gonzales, e varie altre erano da lei con tale innocenza rappresentate, e nel tempo stesso con una verità si grande da far supporre che l’arte non vi aggiungesse nulla del proprio, quando invece era la sublimità di questa che le faceva raggiungere il vero ; e se questa somma attrice fu a tante superiore nella commedia e nel dramma, con non minore maestria seppe innalzarsi nella tragedia, poichè la Francesca da Rimini, ch'ella creò, la Pia de' Totornei, la Mirra, l’Ottavia, e tante altre le procuraron sempre nuovi trionfi. […] , 38) dice : E quando si rifletta che la verginità di Carlotta Marchionni non fu una maschera astuta per gabellare irresponsabilmente non dirò la scostumatezza, ma nemmeno le facili mondanità della vita del teatro, ma fu invece una castità immacolata e tersa, non appannata mai neppure dal soffio della maldicenza che, fra le quinte, è vipereo ; è da pensare piuttosto che quell’anima forte e quella vigorosa fantasia si piacessero del contrasto fra la severità del costume che s’era imposta, e le sfrenate amorose passioni che doveva rappresentare. […] Tanta era l’attrattiva del suo conversare, che la di lei casa era in ogni città frequentata dai più rinomati ingegni in Arti, Scienze, e Letteratura.
Facendosi allusione al nome Anna della regina e al grado di maresciallo del favorito, dicevasi nella farsa che un maniscalco (che in Francia parimente si chiama maréchal) avea voluto ferrare un asino (in francese âne), e ne avea ricevuto un calcio molto impetuoso, onde era stato rovesciato e fatto precipitar giù dalle mura167. Il re medesimo non era risparmiato nelle momerie. […] Da simili rappresentazioni scorgesi che tutto ciò che comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era un misto grossolano di religione e buffoneria, che scandalezzò il pubblico talmente che i Fratelli ne perderono il teatro, il quale tornò a convertirsi in ospedale. […] «Quel secolo (dice Fontenelle) non era dilicato su tal materia, e professava apertamente la dissolutezza, che in altri tempi si cerca di dissimulare; egli é solo sorprendente (soggiugne) che gli ecclesiastici, i quali vi son ritratti, non abbian messo schiamazzo». […] Antonio Scoro d’Hoochstraton compose anche una comedia rappresentata da’ suoi scolari in Heidelberg, nella quale si personificava la religione che andava mendicando alloggio fra’ grandi, ed era esclusa, e che poi ricorreva, a’ plebei, ed era riacettata.
Annunziò la recita a suo beneficio, il 2 giugno 1832, al Teatro del Giglio di Lucca, nella quale si rappresentò Il Gran Los-Rios Assassino delle Alpi, con Pasquale spaventato dai Masnadieri (Pasquale era Giuseppe Guagni) e nella quale egli sosteneva la parte del protagonista, con un programma reboante (degno dell’attore capocomico), di cui ecco una parte : Per le anime d’altissimo sentire non riescirà stravagante il fatto che si espone di quest’uomo, il quale profugo dalle terre native per un fallo d’amore, dalla malvagità attribuito ad altissimo delitto, a rifugiarsi costretto si vide nelle Alpi, ed a condurre una riprovevole vita in odio di tutta la terra e fulminato dalla celeste maledizione. […] — Il dramma era nuovo per Lucca, e fece fiasco.
Adamo Alberti ne’ suoi Quarant’anni di Storia del Teatro de’ Fiorentini in Napoli (ivi, 1878), dice che Luigi Belisario era un distintissimo attore comico ; ei recitava con grande spontaneità, e spesso improvvisava la sua parte con tanta verità, che il pubblico lo applaudiva credendo che la sapesse a memoria. Egli era un uomo molto erudito, traduceva dal francese con molto spirito e le migliori opere del repertorio erano sue traduzioni.
Il signor Bettini dacchè è stabilita la Compagnia Reale fa sempre il primo amoroso giovine : e quantunque qualche cosa siasi sempre detto sul suo conto, si è sempre concluso che era il meno cattivo, e fu ed è il più ben pagato di tutti gli amorosi attuali nella Comica Italiana, quindi niuno mi ha mai detto di cangiarlo, bensì io più che altro in obbligo di conoscere i bisogni della mia Compagnia, ho cercato fra gli Accademici, se si poteva trovare uno che con decoro potesse servirgli di supplemento ; nei Commedianti era inutile cercarlo ; non ci è assolutamente : trovai, per mala mia ventura, il sig.
Nè il repertorio era molto diverso da quello di compagnie di maggior conto. […] L’Otello era dell’attore Luigi Bellotti, e il n. 7 del Giornale delli Teatri Comici delle città principali d’Italia, dice che poteva passare nel genere degli spettacoli, ma che non conveniva esaminarlo, nè farne commenti.
Dice di lui Francesco Bartoli che « la sua prontezza nelle risposte, la sua pantomima naturale e graziosa, e una profonda intelligenza delle commedie improvvise, furono tutti meriti, che gli acquistarono fama e riputazione. » Domenicantonio di Fiore, nato il 1711, s’era dato giovanetto alle scene. […] Mala tempora pe’ comici di bassa levatura ; il di Fiore, straccione famoso, era un sole spogliato de’ suoi raggi.
Nel 1796, probabilmente, o era morto, o s’era ritirato dalle scene, giacchè nol vediam figurare nell’elenco del S.
Il Corbinelli era a Parigi, e il Pinelli a Padova. Con qual Compagnia era dunque l’Amorevoli ? […] S., di nuovo tornata insieme la Compagnia di Pedrolino, come già era, et anco migliorata di personaggi famosi nell’arte comica, et desiderando noi venire a recitare a Mantova con buona gratia di V.
(Vi era entrato il 1852 e vi morì il 26 marzo 1876, d’aneurisma). […] Caduto appena il sipario sul terz'atto della Dama bianca, egli era andato a seder, come al solito, nel corridojo sul quale dava il suo camerino. […] L'attore era veramente grande, la sua figura illuminava tutta la scena, riempiva tutti i vuoti, raccoglieva tutte le emozioni e gl’interessamenti ; così le volgari stupidaggini della commedia, il suo difetto d’umanità, di nesso logico, di spirito, eran dimenticati in un godimento che pervadeva tutto il pubblico e durava ancor fuori del teatro : una felicità che accompagnava fin a casa gli spettatori, e lasciava ancor sorridere, nel sonno, le loro labbra dischiuse.
Fu dal ' 48 al ' 54 con Domeniconi, generico per parti di prima importanza, e direttore il ' 55 di una delle compagnie di lui, della quale era prima attrice Laura Bon. Il ' 56 diventò capocomico egli stesso, e continuò a esserlo fino alla fine della sua vita artistica che si chiuse il '69 ; anno in cui si recò definitivamente a Firenze (vi si era già recato nel '64 col fermo proposito di lasciar l’ arte, alla quale tornò poco di poi, sollecitato da Riccardo Castelvecchio ad assumere la direzione della sua Compagnia Dante Alighieri), affine – dice un suo biografo, Cesare Calvi – « di proseguire alcuni studj sull’arte e sul teatro che durante il suo artistico peregrinaggio non poteva condurre a fine, » ma in realtà – dice un annotatore – per darsi a non so che lucroso commercio. […] Monti, che io stesso gli sentii fare, quand’egli era fuor dell’ arte a Firenze, di cui serbo ancora il ricordo di un insieme ampolloso di esposizione. – Vittorio Cavalieri (Trieste, 1864) e Cesare Calvi (Firenze, 1872) dettarono di lui alcuni cenni biografici ; ma a quelli del Calvi non troppo, secondo il solito annotatore (Brunone Lanata) sarebbe da prestar fede, essendo essi una iperbolica apologia dell’artista e dell’uomo.
Facendosi allusione al nome di Anna della regina ed al grado di Maresciallo del favorito, dicevasi nella farsa, che un mariscalco (che in Francia pur si chiama marèchal) avea voluto ferrare un asino, ( in Francia ane ) e ne avea ricevuto un calcio così gagliardo che n’era stato rovesciato al suoloa. Il re medesimo non era risparmiato nelle momerie, ed egli ne tollerava le punture, contentandosi soltanto di prescrivere agli attori di rispettar la regina, altrimenti gli avrebbe fatti impiccare. […] Fu essa poi più tardi da un altro Francese rimpastata e riprodotta sulle scene, come diremo a suo tempoa, Quanto dunque comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era una mescolanza grossolana di satira, di religione e di scurrilità, che cominciò a scandolezzare e ristuccare il pubblico, e fece sì che i Confratelli perdessero il teatro, che tornò a convertirsi in ospedale. […] Fe la legge ciò che ormai era tempo che facesse il gusto. […] de Fontenelle) non era delicato su tal materia, e professava apertamente la dissolutezza che in altri tempi si cerca dissimulare.
Facendosi allusione al nome Anna della regina ed al grado di maresciallo del favorito, dicevasi nella farsa, che un maniscalco (che in Francia chiamasi pur marêchal) avea voluto ferrare un asino (in Francia ane) e ne avea ricevuto un calcio così gagliardo che n’era stato rovesciato al suolo3. Il re medesimo non era risparmiato nelle Momerie, ed egli ne tollerava le punture, contentandosi soltanto di prescrivere agli attori di rispettar la regina, altrimenti gli avrebbe fatti impiccare. […] Quanto dunque comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era una mescolanza grossolana di satira, di religione e di scurrilità, che cominciò a scandolezzare e ristuccare il pubblico, e fece sì, che i Confratelli perdessero il teatro, il quale tornò a convertirsi in ospedale. […] Fe la legge ciò che ormai era tempo che facesse il gusto. […] Quel secolo (osserva su di ciò M. de Fontenelle) non era dilicato su tal materia, e professava apertamente la dissolutezza che in altri tempi si cerca dissimulare.
L’annotatore dice di lui : Di questo vecchio non si può dir male ; mentre essendo vecchio nell’arte sapeva stare sulle scene ed era sicuramente il meglio che fosse in compagnia. […] Eccone l’elenco : DONNE UOMINI Prima donna Primo uomo Ronzoni Antonietta Paci Luigi Madre Caratterista Fanfani Teresa Bianchi Andrea Seconda donna Primo amoroso Gherardi Giuseppa Ferroni Bandino Padre Serva Paladini Carlo Graffi Anna Tiranno Generiche Cavalieri Francesco Paci Francesca Altri amorosi Paladini Maria Marini Gaetano Ceccatelli Giuseppe Servolini Angiolo Fece l’autunno (50 recite ; dal 10 ottobre sino al 10 dicembre) al teatro Castiglioncelli di Lucca, e l’annotatore, dopo aver chiamato la Ronzoni bella giovine e assai comica, il Paci buono, e il Bianchi assai buono, aggiunge in calce : Tutta la compagnia era cattiva, eccettuati vedi sopra : e però la compagnia restò senza un soldo e rovinata.
Di lei mi scrisse Tommaso Salvini : Non aveva l’attraente prerogativa della bellezza, ma i suoi occhi vivacissimi, e la folta e leonina capigliatura la facevano simpatica, sebbene tutto l’insieme tendesse al volgare : era il tipo della popolana romana. […] Come donna era di un carattere gioviale, bonacciona, la ben amata di tutti i suoi compagni ; e la perdita di questa eminente attrice fu un vero lutto per l’arte che l’amava e l’onorava.
Luca in Venezia, quando Carlo Goldoni ne era il poeta comico. […] Dal che si capisce chiaro che la Catrolli era la vera e propria servetta, spigliata, birichina, intrigante, piena di furberie, punto tagliata a rendere i timori, i dolori, le inquietudini, le lagrime di Zelinda.
Nato a Trapani il 24 ottobre del 1850 da Carlo, ufficiale di dogana, e Francesca Lombardo, fece il suo ingresso in arte, rappresentando per favore nei Mafiusi di Rizzotto (1864), che era amicissimo del padre di lui, una particina da ragazzo di poche parole ; particina che poi, mercè la svegliatezza e spontaneità del giovinetto, divenne a poco a poco la più importante dopo quella del protagonista, e diè forse l’idea del maggiore sviluppo del lavoro, allora in un solo atto. Dopo alquante peripezie or con una Compagnia Stecchi, di cui la prima donna era guercia, or con la Pochini, e di nuovo col Rizzotto in Sicilia, poi coll’Arcelli in Calabria, poi soldato nell’8° granatieri, finì coll’entrare il 1872 primo attore nella Compagnia di Federigo Boldrini, diretta dalla Pezzana, colla quale fu in Ispagna e nell’America del Sud.
Così il canto fermo nella sua prima origine era il perfetto genere chiamato diatonico degli antichi, il quale, o per la maggior divozion de’ cristiani, o per la naturale sua semplicità era più atto a commuovere di quello che sia la sfoggiata pompa della musica presente. […] Siffatta invenzione nacque dalla necessità di dover leggere in lontananza su’libri posti in mezzo al coro delle chiese, onde era d’uopo il rappresentar all’occhio l’alzamento e l’abbassamento de’ tuoni con segni marcati e visibili. […] L’impiego di poeta fra i primi Greci era di somma importanza, e consideravasi come una delle cariche più rispettabili dello Stato. […] La rubrica del secondo giorno era questa: «Monsignore ch’è presente, vi dona venti panieri pieni di dolori ai denti, e aggiugne agli altri donativi già fatti quello della coda d’una carogna». […] Un Francese dottore in teologia giunse a sostenere in una pubblica tesi che la surriferita festa era non meno grata al nostro Signore di quello che fosse alla Madonna la festa della sua Concezione.
siffatto scongiuro era più a proposito per mandar in inferno i viventi che per trarne fuori i demoni. […] Lo che era incorrere nello stesso errore in cui incorrerebbe un retorico, il quale dasse principio ad un discorso colla perorazione, facendo in seguito succeder l’esordio. […] Il mostro descritto da Orazio, che aveva sembianza di donna su una cervice di cavallo, le piume sul dosso e il restante pesce, era il vero emblema del teatro musicale. […] [13] La scerta italiana non era per anco avvezza a sentir una poesia cotanto severa e robusta. […] Non era nemmeno dotato d’orecchio bastevolmente dilicato; quindi il suo recitativo riesce alquanto duro, e non è molto felice nella composizione delle arie.
Sileno sbigottito accusa Ulisse, dicendo che voleva rubarli, e per essersi egli opposto, n’era stato così mal concio. […] Aristosseno affermò che l’ilarodia era il dramma più importante dopo della tragedia, e la magodia dopo della commedia. […] Ciò però non era particolare ad essi soltanto. […] Presso gli antichi Coribanti e Cureti essa era un rito strepitoso e bellico più che un ballo leggiadro. […] L’Emmelia era saltazione tragica.
Fratello del precedente, Arlecchino anch' egli, era nel 1572 capocomico in Inghilterra, secondo il Collier, citato da Adolfo Bartoli (op. cit. […] Nessun documento ci parla del valor suo artistico ; e forse egli era più bravo armeggione che buono attore, se, più tosto che Drusiano Martinelli, spesse volte veniva altrui designato fratello di Arlecchino, o marito di Madama Angelica, com’ egli medesimo si sottoscrive in una lettera al Duca di Mantova, del 17 settembre 1580, da Firenze. […] E anche Tristano era siffattamente intricato nelle faccende del fratello, che da lui stesso sappiamo in una lettera del 2 maggio '98 al Duca, come entrambi fosser perseguitati e minacciati di morte ; onde chiedeva protezione al Duca, non volendo ricercar nè vendetta, nè giustizia, ma desiderando solo di viver da cristiani e giustamente.