Ferrario « I Teatri » (Milano, 1828, vol. 2, P. 1). si legge : « La Sig.
Velli Luigi, veronese, ebbe da' suoi parenti una educazione compiuta ; e laureatosi in legge, sorpassò per sapere e intelligenza tutti i giovani praticanti nello studio di un celebre avvocato della città.
Niente vi ha di meno degradato e connesso, che proceda più per salti, se in tale occasione è lecito il dirlo, che sia più contrario alla legge della continuità legge inviolabile della natura e che l’arte, di lei imitatrice, dee fare in ogni cosa di non trasgredire.
Nacque a Palermo l’ottobre del 1828, e fu da suo padre, impiegato governativo, avviato all’avvocatura ; ma, appassionato filodrammatico, preferì la scena alla legge, e dopo di aver preso parte ai moti della Sicilia del '48, si scritturò a ventidue anni in una compagnia d’infimo ordine, poi in quella di Robotti, poi fu in America colla Pezzana, e mercè un suo lavoro dialettale, in cui dipinse al vivo la mafia di Palermo, quest’uomo singolarissimo, celebre in Sicilia, conosciuto a Napoli, sconosciuto a noi, potè girar trionfalmente i più riposti angoli d’Italia, ammirato e stimato come attore, come autore, e come uomo.
Compiti gli studi di legge in quella Università, s’innamorò perdutamente di una comica, dalla quale fu persuaso di darsi all’arte drammatica.
Restituitigli finalmente per legge i suoi beni, abbandonò l’arte e si stabilì in Venezia, ov’ ebbe un onorevole impiego.
I due segni d’oro mandati da Filli ridotta all’estremo al suo Tirsi infedele, perturbano sommamente l’azione, che viene nobilitata nel V atto col pericolo della vita di Tirsi, il quale avendo gettati via que’ cerchi dov’era l’immagine del Sultano, per una legge è divenuto reo di morte. […] L’Alcippo impressa in Venezia nel 1615 gareggia per la semplicità colle stesse greche favole, e pure impegna a meraviglia chi legge ed ascolta. […] Una legge condanna a morire sommerso nell’Erimanto chiunque ardisca insidiare l’onestà di quelle rigide seguaci di Diana; ed Alcippo scoperto dee soggiacere a questa pena. Tirsi il giudice più zelante per l’osservanza della legge, si scopre esser e il padre di Alcippo ignoto a se stesso.
Giovanni Aliprandi fu primo a dar nome al cognato Ettore Dominici, rappresentando con ottima riuscita le sue commedie Un passo falso, La legge del cuore, La Dote, La Moda, Una società anonima.
Era studente di legge, quando, lasciati a mezzo gli studi (1866), entrò per le parti di generico giovine in Compagnia Sterni.
Dopo di essersi addottorato in legge, fatte alcune buone prove coi filodrammatici della città, deliberò di abbandonar codici e pandette per l’arte comica, nella quale riuscì egregio.
Quivi, alla Certosa, in memoria di lei, si legge : ANTONIETTA ROCCHI, moglie a L.
Nell’uno e nell’altro caso viene dalla vigilanza della legge corretto e richiamato al suo dovere. Ma questo freno che apparentemente avrebbe dovuto inceppar l’attività degl’ingegni, in tutti i teatri che conosciamo bene, ha prodotto felicemente un effetto assai diverso; perocché in cambio di trattenere il volo delle fantasie de’ poeti, la legge gli ha costretti ad uscir dell’uniformità, a spianarsi nuove strade, ed a rendere il teatro più vago, più vario, e più delicato.
Nel Trovatore del ’57 si legge al proposito della Caracciolo, dopo un lungo articolo di lodi sperticate : « questo registriamo per amore di verità e per rispondere alle stolte e villane critiche di un giornale senza credito che si stampa a Torino.
Or per moderare alquanto questo pericoloso concorso, si emanò una legge che niuno potesse sedervi, se non pagava un picciolo prezzo fisso a favore de’ fabbricatori del teatro, perchè si rimborsassero delle spese fattevi. I poveri per questa legge rimanevano esclusi, e i ricchi pagando per gli poveri approfittaronsi di tale occasione per comperarsene i voti ed il favore. […] Laonde Eubulo cittadino potente e adulatore del popolo promulgò una strana legge, cioè che chiunque proponesse di trasportare ad uso di guerra il danajo che si chiamava teatrale, fosse reo di morte169. […] Di questa legge parla Demostene nella III Filippica.
In una nota manoscritta, fra le carte del conte Paglicci Brozzi, si legge : La Giovanelli era stata maritata, ora era vedova.