Messa assieme una discreta fortuna, lasciò il teatro per darsi alla mercatura, nella quale, ingannato da’più scaltri di lui, perdè tutti li averi e con essi la ragione.
Passò poi primo attore e padre con Romualdo Mascherpa, e ridiventò in vario tempo e con varia fortuna capocomico, ora solo, ora in società.
Talvolta avventurosa, talvolta rovinosa gli riuscì l’impresa ; sicchè travagliato dalla instabilità della fortuna, e occupato tutto dall’idea d’un triste avvenire, pensò bene di accettare l’ufficio di Direttore d’un giornale politico-umoristico, offertogli quando si trovava a Malta.
Corsini Alceste, figlio di Ludovico Corsini, Stenterello di pregio, nacque a Firenze, e si diede giovanissimo all’arte di suo padre, esordendo con una Compagnia da lui accozzata alla meglio a Piombino nella maschera di Stenterello, e peregrinando poi con incerta fortuna da Piombino a Cecina, da Cecina a Montecatini, da Montecatini a Pontedera, poi a Pistoia, poi…. poi…. fino a Nizza, lottando colla fame, affrontando privazioni di ogni specie, senza che mai lo prendesse lo sconforto.
Tornato a Napoli vi morì, non ancora compiuto il suo settantesimo anno, lasciando la moglie Enrichetta, mediocre seconda donna e madre, poi caratteristica, e due figliuole, una delle quali, la Claudia, che sostenne per alcun tempo il ruolo di prima donna, ma con poca fortuna, a cagione specialmente del fisico nè bello, nè simpatico….
Arriso dalla sorte s’andò formando una conveniente fortuna, che permise a lui e a'suoi di viver nell’agiatezza.
Diventò poi conduttore d’opere in musica, ma con poca fortuna ; chè il '79, s’incendiò il Teatro di Gorizia, del quale egli aveva l’impresa.
Ma se l’arte le arrise dal suo inizio, non le arrise fortuna materialmente : chè, sbalzata di compagnia in compagnia di varia specie e non certo delle migliori, trascinata di paesucolo in paesucolo, ebbe a patire ogni sorta di peripezie, sin chè, nel ’70, scritturatasi come prima donna assoluta con Achille Dondini, cominciò la sua vita nuova, che fu vita dell’arte propriamente detta.
Tornato in Italia, riposò un anno per crear poi la società Pasta-Garzes-Reinach, nella quale fu assunta al grado di prima attrice assoluta, e con fortuna inattesa, Tina Di Lorenzo.
Aggiunge il Bartoli che non contento di rimaner ristretto nei confini della Toscana, il Roffi percorse con grande fortuna la Lombardia, il Piemonte e il Genovesato.
ma dolendosi della poca fortuna c’ haveva havuta col detto S. […] mo di Cell, « ch'è un Principe così grande – dice il Sacco nella prefazione – così giusto, e così pio, e ci grazia non solo dell’alta sua protettione, ma ci comparte una mercede così copiosa, che può far la fortuna, anche a chi pretende distintione assai superiore a quella di Comico », è forse la più importante opera del Sacco, sì per la varietà imaginosa delle scene, sì per la comicità ond’è piena, e anche per lo stile men reboante del solito.
Le commedie La bozzetta dell’ ogio, Le barufe in famegia, El moroso della nona, I recini da festa, La famegia in rovina, Mia fia, I oci del cuor furon la fortuna di Moro-Lin ; ma quest’ ultima segnò anche la sua nuova e non più mutabile sciagura.
La fortuna gli sorrise, e per molti anni gli fu larga di applausi e di vistosi guadagni.
Deve al Teatro de’ Fiorentini la maggior sua fortuna artistica.
Fatto grandicello e ritentata la prova, passò progressivamente, nè con maggior fortuna, dai servi ai mami, ai secondi amorosi, ai brillanti, ai meneghini, ai primi atori ; poichè, al finire del disastroso capocomicato di suo padre, nel ’59, egli, cavallo da tiro e da soma, alternava le parti comiche colle tragiche, fra cui, incredibile a dirsi, quella dell’ Amleto e dell’ Otello !!!
E se non ebbe in arte maestri, se non ebbe la fortuna di metter piede mai nelle compagnie privilegiate, ebbe nullameno quella di brillare accanto agli astri massimi Salvini e Ristori.
Lavaggi fece poi società con Zerri ; poi, sposatosi a Giuseppina Boccomini, diventò capocomico solo, con varia fortuna.
Fu poi capocomico con varia fortuna ; e, or è qualche anno, fu nominato direttore dell’ Accademia de' filodrammatici di Milano, non lasciando ogni tanto, di mostrarsi al pubblico sotto le spoglie di quei personaggi che più gli acquistaron fama di eletto artista.
Condusse poi un’ottima compagnia di cui era prima attrice la Carolina Internari ; fu il ’40-’41-’42 a Napoli colla Società di Alberti, Monti e Prepiani ; e formò per proprio conto e per un quadriennio due compagnie, che ridusse poi dopo due anni di mala fortuna a una sola. […] Ne uscì per formare una gran Compagnia, che durò quattr’anni (1847-’48-’49-’50) con grande fortuna, e della quale ecco l’elenco : ATTRICI Adelaide Ristori Socia dell’ Accademia di S.
Tentò il capocomicato in società con Federigo Boldrini, ma con poca fortuna ; e si scritturò, terminato l’anno, e per un triennio, con Giuseppe Trivelli, col quale ebbe la fortuna di recitare al fianco di Gustavo Modena, sostenendo le parti di David nel Saul, di Nemours nel Luigi XI, di Lowendegen e del Duca d’Alba nel Cittadino di Gand.
La natura, che non ha voluto annoverarmi tra quelli, è andata perfettamente d’accordo colla fortuna che mi frappone l’inciampo di queste.
Grisostomo con molta fortuna di Girolamo Medebach.
Prima, un amico di lui, tornato d’ Egitto, tanto seppe avvilupparla con parole lusinghevoli, descrivendole gl’ingenti guadagni che si potevan fare colà, ch'ella gli affidò due terzi della sua fortuna.
Sorte t’arrise ; ed oggi brami in pace finir tuoi dì sotto Destin più certo, lasciando un’arte, il di cui frutto incerto potrìa fortuna a te render fugace.
Mi fece poi brevemente la narrazione delle sue avventure, che eran quelle di un povero diavolo ; e fini col dirmi ch’egli andava a Venezia, ov’era sicuro di far fortuna nel carnovale. » Povero Bassi !
Rovesci di fortuna obbligaron la giovinetta a calcar le scene, e la maestra si recò il 1867 a posta da Torino a Milano per assistere all’esordir della sua allieva, che andava a sostituire a metà d’anno la Guendalina Dominici Scalpellini in quella celebrata Compagnia di Bellotti-Bon, nella quale ella salì poi al più alto grado dell’arte, ove seppe mantenersi anche dopo, alternando il ruolo di prima attrice assoluta colle sue creazioni di bimba, quali la Carolina nel Codicillo dello Zio Venanzio di Ferrari, la Ivonne nella Serafina di Sardou, la Celeste nell’Idillio Campestre di Marenco, la Silvia nella Famiglia pur di Marenco, la Ida nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa, l’Emma nei Mariti di Torelli, ed altre molte, in cui non ebbe chi la superasse, nè chi la uguagliasse.
Luigi Pezzana era nato il 1814 a Verona da Giuseppe Pezzana, ultimo rampollo d’una nobile famiglia di Venezia, che per rovesci di fortuna aveva ottenuto un impiego giudiziario a Verona.
Bravissima per certi caratteri, si poteva stabilire nel suo mestiero una riputazione onorevole, se contenta d’aver posto il piede nel Socco ridevole, non avesse avuta la smania di calzare il grave Coturno. » Ma il Bartoli si oppone a tale giudizio, dicendo ch’ ella fu somma anche nel tragico, e che se avesse avuto la fortuna di nascere in Toscana, nessuna attrice avrebbe potuto eguagliarla.
Rovesci di fortuna la sbalzarono, il 1869-70, ancor giovinetta, nella Compagnia Dondini, Ciotti e Lavaggi, quale amorosa, dando subito prova di non dubbio valore, e io stesso la ricordo all’ Arena Nazionale, applauditissima nella fischiatissima commedia I matrimoni del Laurati.
Io ancora aveva proposto di andarvi, allorchè cominciassero a recitarla ; ma divenni ad un tratto il giuoco della fortuna.
Eccone l’elenco : Paladini Francesco Primo attore e padre Antonio Casigliani Caratterista Odoardo Venturini Altro padre e tiranno Giuseppe Beltrami Generico dignitoso Nicola Pescatori Alessandro Ferroni Generici Amalia Pieri Prima attrice Angela Dal Buono Ferroni Madre nobile e caratteristica Giuditta Feoli Amorosa Clotilde Sacchi-Paladini Servetta Carlotta Beltrami Seconda donna Caterina Raftopulo Carolina Pescatori Elena Cristiani Carolina Paladini Generiche Adele Feoli Carlotta Raftopulo Parti ingenue Dario Bacci Primo attor giovine Antonio Zanzi Amoroso Francesco Zocchi Brillante Giuseppe Feoli Secondo caratterista Leonardo Raftopulo Antonio Biasci Generici Facevano parte del repertorio le seguenti produzioni : Il Ventaglio – Un bicchier d’acqua – Trent’anni di vita di un giuocatore – Rosmunda – Le risa della disperazione – Caterina Howard – Giulietta e Romeo – Le Donne di buon umore – Saul – Il diplomatico senza saperlo – Il cieco e lo scultore – Luigi di Valois – Il progetto della strada di ferro, o sia la maniera di far fortuna, ecc.
Esso fu il primo ad avvertir la marcia de’ nemici in Italia, dai quali ebbe poi manomesso ogni suo avere ; e il Cavaliere di Lislière, inviato dal Re in Italia, ne rilasciò ampia testimonianza, in forza della quale egli potè al suo ritorno in Parigi, che fu il 1708, avere in ricompensa l’ufficio d’ Ispettore di tutte le barriere di Parigi, che lo mise in grado d’intraprender nel 1712, con varia fortuna, spettacoli di opera comica alle fiere di S.
II), il quale, accennando al fatto che la Manzoni, da lui scritturata pel Sacchi, si sciolse poi dall’impegno, vinta dalle supplicazioni e dalle lagrime de' suoi compagni e delle sue compagne, che vedeansi alla rovina, abbandonati da lei, conchiude : Ella ha abbandonata in età giovanile la comica professione in cui si distingueva dalle altre attrici, per abilità, e per educazione, pochi anni dopo l’accennato accidente, e s’è ben meritata la fortuna che la pose in istato di poter fare un tal passo, per dedicarsi, com’ella fa con tutto lo spirito, a istillare in due suoi figliuoletti, le massime più austere della virtù sociale e spirituale.
Passato come secondo amoroso con Tommaso Salvini, ebbe la fortuna, per la insufficienza del primo attor giovine Bregaglia, di averne tutte le parti e di poter mostrare tutte le sue attitudini.
Visse per tal modo coi parenti sino al 1873, nel quale anno passò con Giuseppe Peracchi, avendo il cognato, per cattiva fortuna, dovuto scioglier la compagnia.
Ammalatasi la Pedretti, in Compagnia di Amilcare Bellotti, la Biagini andò per breve tempo a sostituirla con molta fortuna ; e ritiratasi poi definitivamente dall’arte, si recò a Trieste col marito, ove stette diciotto anni ammirata maestra di recitazione, e d’onde si restituì in Italia, a Milano, ove è tuttavia col marito in ottima salute.
Recatasi a Padova la Compagnia di Angelo Rosa, il Duse (aveva già sposato una Elisabetta Barbini, padovana, e ne aveva avuto il figlio Eugenio), vi si scritturò in qualità di primo attore giovine per un triennio, formando poi la famosa compagnia (che dal suo nome s’intitolò Compagnia Duse), colla quale, a Padova specialmente e a Venezia, passò di trionfo in trionfo, sia per la prontezza dell’ingegno e i pregi artistici, sia per la fortuna che gli arrise sempre e dovunque. […] Nè il successo del Duse fu esclusivamente locale ; chè ugual fortuna l’accompagnò nelle principali città del Veneto, della Dalmazia, di Lombardia e di Romagna.
Samuele, e continuò per alcuni anni a condur la Compagnia con buona fortuna, recandosi in vario tempo a Milano, Torino, Genova, Bologna. […] Sarà vero che molto in sua vita egli abbia guadagnato e molto speso : ma è vero non meno che l’arte comica in Italia non arricchisce nemmeno chi l’esercita colla più grande fortuna. […] Bartoli che fu nella sua Compagnia sei anni, senza buona fortuna, tesse di lui le più ampie lodi ; lo dice istruito, specialmente intorno alla Storia Universale, direttore egregio per le opere serie come le comiche, gran comico, ritrovatore di molte scene, di cui lardellava i vecchi soggetti dell’arte, che ne venivan così risanguati, autore di scenarj, fra cui del fortunatissimo Truffaldino molinaro innocente.
In que’ tempi, che bastava assai poco a far ridere, colui ebbe fortuna.
Questa rappresentava le serve nelle commedie italiane : faceva le delizie di Parigi sopra la scena, e quelle della Società dove avevasi la fortuna d’incontrarla.
Molta parte della sua fortuna la dovette però, come qualche suo compagno, alla voce armoniosa, che insinuante accarezzava l’orecchio del pubblico ; e nei paesi meridionali il giudizio dell’orecchio è superbissimo, prepotente.
Italia Vitaliani non ha avuto prima d’ora la fortuna che meritava. « Se Italia Vitaliani volesse, – scriveva alcun tempo fa Alberto Manzi — vedrebbe i pubblici entusiasti di lei, come sempre, quando ha voluto, li ha veduti : se sinceramente volesse, tornerebbe ad essere, come anni or sono, la Vitalianina adorata…. » E oggi pare abbia voluto e voglia davvero, dacchè i pubblici nostri e quelli di Spagna e d’America s’inchinano ammirati all’astro di prima grandezza.
La munificenza d’un sovrano, che pagava con quattordici mila scudi un pessimo sonetto di Claudio Achillini, faceva con più ragione attendere non dissimili favori per sé ai belli spiriti tanto più bramosi nella pratica di ricchezze, e di un’agiata fortuna quanto più si mostrano disprezzatori di esse ne’ loro scritti; somiglianti appunto a que’ sacerdoti musulmani, di cui parlano i viaggiatori, i quali, predicando fervidamente ai turchi l’astinenza del vino, niun’altra cosa assaporiscono con tanto diletto quanto una bottiglia di eccellente liquore europeo. […] Gli sforzi fatti adunque per superarli, o per distinguersi dovettero necessariamente portare ciascun’arte alla rispettiva lor perfezione, fra le quali la musica ebbe non mediocre fortuna. […] Intuonazion perfettissima che poteva servir di canone di Policleto nella sua professione, agilità incomparabile, destrezza inaudita ne’ trilli, sobrietà e vaghezza negli ornamenti, ugual eccellenza nello stil leggiero che nel patetico, sopra ogni cosa graduazione esattissima nel sollevare e diminuire successivamente la voce secondo l’indole del sentimento: ecco le mirabili prerogative che gli vengono unanimemente accordate, e che poscia a quella sublime fortuna il condussero che non può ignorarsi da chicchessia. […] Divenne egualmente insigne pel proprio merito che per la fortuna di esser la sposa del gran Sassone. […] [NdA] Un siffatto carattere dovea render al nostro Tartini vie più insopportabile la compagnia d’una moglie riottosa e caparbia, che gli toccò in sorte simile alla Santippe di Socrate: invaghitosi della quale in Padova avea egli disgustatosi il genitore, abbandonato lo studio del foro e rovinata la propria fortuna.
Si sono parimente rappresentate nel medesimo teatro ed in altri di Parigi con varia fortuna le seguenti opere comiche. […] Altre opere possono parimente rammentarsi di non meno varia fortuna; ma ad accezione di alcune che ne accenneremo nel parlar del Vaudeville e de’ teatri materiali francesi, abbandoneremo tutto il resto all’obblio che le ricopre. […] Questo repertorio è composto di commedietto alquanto serie che per buona fortuna non sono molte, di una galleria vastissima di ritratti di scrittori francesi e stranieri, di alcune pastorali, di parodie, di opere musicali e di tragedie e commedie altrove rappresentate, di arlecchianate, di parate ancora, tuttochè questo genere insipido sia già quasi totalmente abbandonato. […] Nel teatro de’ Giovani Artisti fecero qualche fortuna le Petit-Jule, e la Lanterne magique.
Uno de’ più noti imitatori di Lohenstein fu Giovanni Hallemann, il quale dal 1660 al 1673 compose sei tragedie, Marianna, l’Amor celeste, il Teatro della fortuna, la Tenerezza paterna, la Vendetta divina, la Vendetta astuta, in oltre la Virtù trionfante commedia, l’Amore ingegnoso pastorale, e l’Innocenza moribonda opera.
La serena speranza al cor ti serra, e tu di terra trapassando in terra col plauso arrivi, e insiem con lui ti parti ; memore sempre d’onde nata sei, la polve teatral varchi superba, e t’aman quanti alla fortuna acerba servono muti, ma non son di lei ! […] Nè molte parole ci vollero a farla risolvere di darsi tutta all’arte ; chè alle innate attitudini e alla recente e pur viva e radicata passione s’aggiungeva la speranza di recare alcun sollievo allo stato allor triste della famiglia, la quale dal più alto fastigio di fortuna era caduta in una relativa povertà.
I suoi pregi d’avvenenza, non meno che la sua abilità, la vanno sostenendo sui teatri con una mediocre fortuna. » Così Francesco Bartoli.
Ti sorrida costante la fortuna, come fai costantemente sorridere la platea ; e se avverrà (ah !
Forse per brevità questi aveva mutato in quel di Reiter il nome di Reiterer, lasciatogli dal padre, tedesco, uno de' più fidati del Duca di Modena, dal quale anche fu mandato a Vienna con missioni segrete, e si dice vi accompagnasse il Conte Tarrabini, Ministro delle Finanze Estensi, in qualità d’interprete : nel 1859, fedele al Padrone nella prospera e nell’ avversa fortuna, seguì a Vienna il Duca, ed ivi morì nel 1880, d’anni 78, lasciando tra altri il figliuolo Carlo, padre della piccola Virginia, che educò alla Scuola di Carità dalle monache figlie di Gesù.
Grisostomo la Compagnia Toffoloni composta di mediocri artisti, e vi ebbe, naturalmente, la più meschina fortuna. […] Sarebbe una fortuna straordinaria vedere almeno una commedia di Goldoni e ne' costumi del paese ; poichè i lavori dati finora eran tedeschi, olandesi o inglesi.
La fortuna di D.
Fu in Portogallo e in Ispagna, con poca fortuna : e, tornato in Italia, pensò di riformar la compagnia, scritturandovi per un anno la Faustina Tesi.
Lo vediamo il '66 in Compagnia di Pietro Rossi ; poi, allontanatosi per alcun tempo dal teatro, bibliotecario del Senatore Davia a Bologna, poi di nuovo attore, recitando in varie compagnie, ma con poca fortuna, a cagione della sua austerità e taciturnità, a proposito della quale il Bartoli racconta che « andando un giorno a desinare con Andrea Patriarchi, non fu mai sentito pronunziare una parola durante tutto il tempo della tavola, e col solo saluto da quella casa partì. » Fu anche a Palermo, e quivi stette alcun tempo col Nobile Spaccaforni, qual segretario.
L’una è che da Augusto vien Cinna troppo avvilito con dirgli: “tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna, Si je t’abbandonnois à ton peu de merite; per la qual cosa non ebbe torto quel maresciallo de la Feuillade, che ciò udendo esclamò; oimè! […] Solone altro non fa che ondeggiare sperando nelle varie fazioni, e promettendo la pretesa figliuola a colui che contribuisca a distruggere il partito oppressore: opporsi alla fortuna di Pisistrato contro il volere del popolo e del senato ateniese: e svelare l’inutile arcano. […] La fortuna gli ha abbandonati in molti loro drammi.
In prima con fare che Augusto rimproveri a Cinna son peu de merite, e dicendogli, tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna, se io ti abbandonassi al tuo demerito. […] Le tragedie sono la Morte di Ciro uscita nel 1656, in cui si veggono stranamente avviliti i caratteri del gran Ciro, degli Sciti e della loro regina Tomiri, oltre ai difetti di arte e di verisimiglianza nelle situazioni e ne’ consigli; Astrato re di Tiro rappresentata per tre mesi nel 1663, e rimasto al teatro malgrado de’ motteggi di Boileau; Bellorofonte tragedia fischiata nel 1665 senza esser peggiore delle altre; e Pausania uscita nel 1666 che ebbe miglior fortuna. […] Solone altro non fa che ondeggiare sperando nelle varie fazioni, e promettendo la pretesa figliuola a colui che contribuisca a distruggere il partito oppressore: opporsi alla fortuna di Pisistrato contro il volere del Popolo e del Senato Ateniese: e svelare l’inutile arcano.
Bartoli – potè farvi qualche fortuna, e ritornò in Italia ben provvisto e fornito d’abiti e di denaro.
Il figlio Virginio è quegli che l’Allori chiama inetto al recitare, e di cui dice che ha tanto poca fortuna da per tutto che la compagnia patisce pur assai).
mo Dalla compitissima Sua sento le glorie fracesi, che già comincio a vedere che la fortuna, a cura ma questo poco m’importa, sono gl’otto scudi delle botte che mi danno fastidio, La pregho andare dal Signor Giuseppe Priori, cassiero del Monte, e dirli che mi fauorisca auuisarmi per qual causa non ha pagato una mia polizza d’una doppia dicendo non auer denari de miei, e farsi dare una notarella del nostro, conto, perche mi pare che tenghi assai più nelle mani, se pure a riscosso li denari dal Ebreo Rossi al quale uendei il Vino, auendo il suddetto Signor Priori acettato di riceuer lui il mio credito e darmene credito, che in tal caso corre la somma per conto suo, che per altro, io non avrei dato il Vino, oltre di che di Conto Vecchio ui è qualche bagatella senza questi che lo pregho prenderne Nota distinta accio possa regolarmi, e ne do carico a V.
Nè Teresa11 insensibili vi scorse ai strani casi suoi, vedova e sposa, di fortuna e d’amor misero scherno.
Voi avete per voi il suffragio d’Italia : io che sono l’ultimo dei suoi scrittori, riconosco intieramente da voi la fortuna delle mie tragedie, ed è impossibile far meglio la parte di Teresa.
Galealto nella non finita l’avea con giudizio accennata: Quando ecco la fortuna e il cielo avverso Con amor congiurati, un fiero turbo Mosser repente, il qual grandine e pioggia Portando, e cieche tenebre sol miste D’incerta luce e di baleni orrendi Volser sossopra l’onde, e per l’immenso Grembo del mar le navi mie disperse, E quella ov’era la donzella et io Scevra di tutte l’altre a terra spinse ecc. […] Faccia La sua fortuna, anzi la lor fortuna Ch’io non discopra in ciò cosa diversa, Non pur contraria, al desiderio mio, Che a Dirce, a lei, a Nino istesso, a quanti Colpa n’avranno, io mostrerò che importi Il macchinar contro il voler di donna Che possa quanto vuol. Preparata con tal maestria sì pressante angustia alla fortuna di Nino e Dirce, per le nozze detestabili del figlio colla madre, e per quelle di Anaferne con Dirce, riesce nell’atto II al sommo interessante l’abboccamento di Dirce oppressa dal dolore con Nino che cerca consolarla. […] Regnino i cari al ciel, vivano i cari A la fortuna: lascia pur ch’io mora…. […] Dessa è tale per l’azione grande che chiama l’attenzione delle intere nazioni, e non già di pochi privati, per le vicende della fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizione di Teofrasto), per le passioni fortissime che cagionano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra della vita comune.
no in particolare per la sua parte et per i travestimenti spagnoli ne è oltre modo desideroso che sia in compagnia, perchè il figlio di pantalone per queste parti non è bono, et poi ha tanto poca fortuna da per tutto che la compagnia patisce pur assai.
Amante sempre dell’ordine, avrebbe dovuto formarsi una onesta fortuna : ma la bontà del suo cuore gli procurò sciagure da parte di coloro cui diede intera la sua fiducia. […] Pasquali, Venezia,mdcclxi, Tomo V), che la fortuna avea voluto fargli del bene, che la commedia era stata ben ricevuta, e che il pubblico lo aveva incoraggito.
V’auguro fortuna e quando vi verrà in capo di pensare a me ricordatevi di parlare sul serio e che io non scherzo mai. […] Dato il caso io vado in tracia della mia fortuna, si come fu di Nardelli, che non fa che ripetere, la mia sorta la Devo alla Bettini….
Di lui allora si conosceva il poeta traduttor di Catullo, l’attore, l’artista colto e coscienzioso ; ma non ancora egli si era rivelato autore di quei monologhi che trovarono sulle scene maggiori e su quelle dei filodrammatici tanta e così invidiata fortuna ; non ancora gli si era sviluppato così nocchiuto il bernoccolo dell’ erudito e del feroce raccoglitore di qualunque cosa avesse attinenza con la storia del nostro Teatro.
Galealto nella non finita l’avea con giudizio appena accennata: Quando ecco la fortuna e il cielo avverso Con amor congiurati, un fiero turbo Mosser repente, il qual grandine e pioggia Portando, e cieche tenebre sol miste D’incerta luce e di baleni orrendi, Volser sossopra l’onde, e per l’immenso Grembo del mar le navi mie disperse, E quella ov’era la donzella et io Scevra di tutte l’altre a terra spinse ecc. […] Riflette poi che Imetra debbe aver qualche secreto nel cuore contro al disegno delle sue nozze e di quelle di Dirce, e soggiugne, faccia La sua fortuna, anzi la lor fortuna Ch’io non discopra in ciò cosa diversa, Non pur contraria al desiderio mio; Che a Dirce, a lei, a Nino istesso, a quanti Colpa n’avranno, io mostrerò che importi Il macchinar contro il voler di donna Che possa quanto vuol. Preparata con tal maestria sì pressante angustia alla fortuna di Nino e Dirce, per le nozze detestabili del figlio colla madre, e per quelle di Anaferne con Dirce, riesce nell’atto II interessantissimo l’ abboccamento di Dirce oppressa dal dolore con Nino che cerca consolarla. […] Regnino i cari al ciel, vivano i cari A la fortuna: lascia pur ch’io mora .... […] Dessa è tale per l’azione grande che interessa l’intere nazioni, e non già pochi privati, per le vicende della fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizione di Teofrasto), per le passioni fortissime che cagionano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra della vita comune.
[1.22ED] Questi ebbero fortuna non dissimigliante alla mia. [1.23ED] Dormirono alcuni più lungamente perché a misura che il farmaco è più o meno possente, lavora in più breve o in più lungo tempo di sonno una nuova tempra di umori che purgano le viscere infracidite e le ristoran mancanti, ed uom si desta appresso e vegeto e rinnovato. […] [1.61ED] Vi sono alcune cose mirabili nei tre citati poeti, ma ve ne sono delle insoffribili, e chi queste imita se meriti fortuna nol so, so ben che non l’ha. […] [4.153ED] Così la sua invenzione immortalò Saffo, la sua Alceo, e fra voi non già il verso, ma la materia giocosa ha solamente al Berni accordata simil fortuna. […] [commento_2.2ED] la casa… Chiabrera: Gabriello Chiabrera (1552-1638), savonese, godette nel primo Settecento arcadico una considerevole fortuna, sia per l’interpretazione di una linea poetica seicentesca di matrice ‘classicistica’ sia per la sua poesia pindarica, cui si ispirò tra gli Arcadi Alessandro Guidi. […] [commento_3.42ED] clima: allude alla teoria dei climi e dei loro effetti sugli uomini, di origine ippocratea e poi aristotelica, ma recuperata in Francia da Jean Bodin nel XVI secolo e poi dal padre Bouhours, e destinata a una considerevole fortuna nel secolo dei Lumi: cfr.
L’unica sua fortuna in tali fastidiosi rincontri é stata il poter affidare questo suo parto alle vostre mani, riveritissimo signor D.
Si dee sapere, che fra gli altri ciarlatani, empirici ed istrioni, che a’ nostri giorni han fatto e fanno grandissima fortuna in Parigi, vi sono con carrozza ed equipaggio un certo Nicole, e un certo Nicolet, de’ quali il primo a forza di far correre avvisi stampati per guarire il mal francese, e ’l secondo a forza di rappresentar farse e buffonerie sopra i Baluardi e alle Fiere di San Germano, e di San Lorenzo, seppero così ben fare i fatti loro, che da molti anni sono padroni di varie terre, le quali hanno titolo di Signorie.
Passò di là a Caserta, Capua e Santa Maria Vetere ; poi (con Luigi Ferrati, al fianco dell’ Anna Pedretti), al Rossini di Napoli, ov’ebbe la fortuna d’interpretare con successo strepitoso la parte di protagonista in un nuovo dramma del Duca Proto di Maddaloni « Ruit-hora.
Ma di questi ed altri portoghesi e castigliani che tralasciamo, non essendo state le sceniche produzioni nè per numero nè per fortuna nè per eccellenza degne dell’altrui curiosità, rimasero seppellite ed obbliate universalmente sopraffatte dalla celebrità di quelle che si composero sotto Filippo IV. […] Con un discorso interrotto mostrano i loro interni movimenti; pugna nell’una l’amore colla maestà, nell’altro la speranza di una fortuna brillante colla condizione di suddito. […] Il vecchio riceve con sommo piacere le istanze del ricco, ma alle fervide insinuanti preghiere del povero egli rimane intenerito ed irresoluto a segno che al fine la nega ad ambedue; al povero perchè è tale, ed al ricco per non dispiacere al povero valoroso degno di miglior fortuna. Diego si avvisa d’implorare un altro favore, cioè di permettergli di sperare la mano della figliuola nel caso che egli migliorasse di fortuna; ed a tale effetto chiede che destini uno spazio competente per tentar la sorte. […] Niuno ignora la fortuna di questa stravagantissima composizione.
Ma di questi ed altri Portoghesi e Castigliani che tralasciamo, non essendo state le sceniche produzioni nè per numero nè per fortuna, nè per eccellenza degne dell’altrui curiosità, rimasero sepolte ed obbliate universalmente sopraffatte dalla celebrità di quelle che si composero sotto Filippo IV. […] Con un discorso interrotto mostrano i loro interni movimenti; pugna nell’una l’amore colla maestà, nell’altro la speranza di una fortuna brillante colla condizione di suddito. […] Il vecchio riceve con sommo piacere le istanze del ricco, ma alle fervide insinuanti preghiere del povero egli rimane intenerito ed irrisoluto a segno che al fine la nega ad ambedue, al povero perchè è tale, ed al ricco per non dispiacere al povero valoroso degno di miglior fortuna. Diego si avvisa d’implorare un altro favore, cioè di permettergli di sperare la mano della figliuola nel caso ch’egli migliorasse di fortuna; ed a tale effetto chiede che destini uno spazio competente per tentar la sorte. […] Niuno ignora la fortuna di questa stravagantissima composizione.
Ciò che mi spingeva a studiare l’opera di questo conte bergamasco, nato nel feudo di Calepio nel 1693, e autore di alcuni saggi critici che avevano ottenuto maggior fortuna al di là delle Alpi che non in patria, era un concorso di moventi di diversa natura. […] Anche dal punto di vista drammaturgico il prototipo delineato da Calepio parrebbe avere fortuna nel Settecento, se si pensa alle tragedie di Antonio Conti, ma anche, sebbene con le dovute distinzioni, al progetto del teatro alfieriano. […] Tale è la favola di Prometeo, ove egli si scorge punito d’una colpa compatibile da tutto il genere umano che fu da lui beneficato, ancorché non sia commendabile per avere un sol tenore di fortuna. […] Leggesi82 che la fortuna e la vittoria celavano i capegli canuti di Mitridate sotto trenta diademi. […] Sulla nozione aristotelica di catarsi e sulla fortuna della Poetica nel Cinquecento cfr.
Formò poscia compagnia, nella quale assunse la parte di prima attrice assoluta : ma dovette, costrettavi dalla avversa fortuna, accettare il ruolo di madre nobile, seconda donna e caratteristica, offertole da Romualdo Mascherpa, col quale stette fino alla morte di lui che accadde nel ’48.
Divenuto in vario tempo capocomico, n’ebbe varia fortuna ; ma più spesso non buona per cattiva amministrazione.
Ma questa famosa letterata, se mancava di quel gusto poetico necessario per ben tradurre i poeti, almeno intendeva pienamente il greco, ed ha voto autorevole allorché afferma, che Aristofane é fino, puro, armonioso, ed empie di dolcezza e di piacere coloro che possono aver la fortuna di leggerlo originale, fortuna che auguriamo a quel moderno Scrittore di una lunga, strana e inutile poetica44.
Or come saggio, se a’ capricci esposto Di fortuna pur sei, t’acqueta e soffri.
Questo giorno la fortuna mi ha condotto in questo luogo, perchè io adempisca il decreto del Destino che mi fece nascere per servirvi.
O fortuna inconstante, o corso variabile, o speranze di vetro, o sorte nemica a’ miei desiderj : qual cuore di durissima selce, saldo alle più dure lagrime non verserà per gli occhi duo vivi fonti d’amarissimo pianto ? […] Fillide, anima cara, e consorte mia carissima, mentre che tu vivevi, erano per me i giorni chiari e sereni ; mille e mille amabili pensieri m’ ingombravano la mente, la fortuna dolce e propizia a’ miei voti, e il cielo arrideva a’ miei contenti : ma ora che tu sei rinchiusa dentro a freddo sasso, avendo teco rinchiuse le virtù tutte, e le bell’opere, s’è talmente cangiato il mio destino, ch’altro non mi rimane, che la memoria d’averle vedute e amate. […] Trema, si crolla, s’ange, e si tormenta il Mondo tutto al mover le mie piante, da me fuggon le belve e si spaventa il fier Leone, il Drago, e l’Elefante ; geme la Terra e forte si sgomenta, cadono i monti e seccansi le piante, fa il Mar tempesta, e mena gran fortuna, e per non mi veder fugge la Luna.
Algarotti interpreta una risposta italiana alla querelle des bouffons e nonostante le critiche e la consapevolezza dell’esistenza dei consueti problemi della rappresentazione operistica, promuove un genere al quale nel Settecento è affidata la fortuna europea della lingua e della letteratura italiane e spende quindi la sua esperienza cosmopolita al servizio di una causa volta a valorizzare non solo la tradizione letteraria italiana, ma anche la creazione, attraverso il dramma per musica, di un linguaggio poetico universale, di grande diffusione, capace di parlare alle corti e al popolo e in grado di esprimere le passioni dell’uomo moderno. […] Franceschetti, «La fortuna di Francesco Algarotti nel tardo Settecento e nell’Ottocento», in Nel terzo centenario della nascita di Francesco Algarotti (1712-1764), a cura di M.
Nell’atto terzo ne mantiene l’interesse la scena in cui Ati divenuto Gran Sacrificatore si dimostra poco sensibile a’ favori della fortuna, e nel sentire che Sangaride piange pel suo imminente imeneo e pensa a palesare il proprio amore, Ati con poche voci mostra lo stato del suo cuore, Je souhaite, je crains, je veux, je me rèpens.
Passò da questa in quella di Alamanno Morelli, allora sconosciuto al teatro italiano, come generico dignitoso, poi in quella di Gustavo Modena, in cui sostenne e con buona fortuna le parti di Lusignano nella Zaira, di Lowendeghen nel Cittadino di Gand, di Maresciallo nei Due sergenti.
Ma per fortuna il padre, uomo di buon senso, la scritturò invece (1837-38) nella Real Compagnia Sarda, come amorosa ingenua, poi prima attrice giovine sotto Carlotta Marchionni, che le fu amica, madre, maestra amorosissima ; ai sacri precetti della quale, affermava ne'suoi ricordi con raro, e direi quasi unico esempio di gratitudine nell’arte nostra, di non essere mai, giovine e adulta, venuta meno.
Per fortuna la quaresima veniente, egli entrò in Compagnia Calloud, Fusarini e Marchi ed esordì al Pantera di Lucca con la Fedeltà alla prova, facendosi notare subito per la dizione garbata e spontanea, non che per una papera colossale.
Sofocle però vince in tal riconoscenza e l’uno e l’altro per l’effetto che produce in teatro; perocchè Oreste creduto morto che si trova inaspettatamente vivo, apporta la rivoluzione della fortuna di Elettra, e la fa passare da un sommo dolore ad una somma gioja. […] Me nel tuo grembo pria d’ogni altro assisa Scherzar vedesti, e a me dicesti allora: Deh quando fia che a nobile consorte E di me degno e di fortuna amico Ti vegga unita trarre i dì felici? […] Ma questo enfatico cicaleccio oggi fa poca fortuna, e suol compararsi alle precauzioni che prendevano i sacerdoti gentili per accreditare i loro responsi e venderli per oracoli celesti.
Tutta volta presso di una nazione per tante vie incoraggiata e premiata (fortuna invidiabile) e che abbonda di tanti modelli eccellenti, i quali non lascia di veder rappresentar di quando in quando, questa decadenza sarà sempre passeggiera e ’l gusto adulterato non debbe tardar molto a rinvenir dallo stordimento269.
Ammirato e amato come artista e come patriota, percorse il Veneto e la Lombardia, ove potè mettere assieme una mediocre fortuna ; ma quando la rivoluzione di Milano preluse a quella del '48, egli, chiamato a soccorrer la patria del suo braccio e del suo nome, tutto abbandonò e sacrificò, come nel '31 ; e fu il primo a entrare in Palmanova con in mano spiegata la bandiera d’ Italia.
Da questo punto comincia la fortuna di Cesare Rossi, e la sua vita artistica gloriosa.
Sofocle però vince in tal riconoscenza e l’uno e l’ altro per l’effetto che produce in teatro; perocchè Oreste creduto morto che si trova inaspettatamente vivo, apporta la rivoluzione della fortuna di Elettra, e la fa passare da un sommo dolore a una somma gioja. […] Me nel tuo grembo pria d’ogni altro assisa Scherzar vedesti e a me dicevi allora: Deh quanto fia che a nobile consorte E di me degno e di fortuna amico Ti vegga unita trarre i dî felici? […] Ma queste esagerazioni enfatiche oggi fanno poca fortuna, e si comparano alle precauzioni che prendevano i sacerdoti gentili per accreditare i loro responsi e venderli per oracoli celesti. […] Altrove ne cita un verso, il cui senso è questo: bisogna che la fortuna sia ajutata dall’ industria, e che l’industria venga pur dalla fortuna ajutata.
E il Perrucci, che colla sua arte rappresentativa ha gettato veri sprazzi di luce in mezzo al bujo che avvolge le nostre scene ne’secoli xvi e xvii, dice : La parte del Dottore non ha da esser tanto grave, servendo per le seconde parti di Padre, ma per la vivacità dell’ingegno, per la soverchia loquela può darsele qualche licenza d’uscire dalla gravità ; ma non tanto che si abbassi al secondo Zanni, perchè allora sarebbe un vizio da non perdonarsele ; il suo linguaggio ha da esser perfetto Bolognese, ma in Napoli, Palermo ad altre città lontane da Bologna, non deve essere tanto strigato, perchè non se ne sentirebbe parola, onde bisogna moderarlo qualche poco, che s’accosti al Toscano, appunto come parla la nobiltà di quell’inclita Città, e non la Plebe, di cui appena si sente la favella : onde allora ch’ebbi la fortuna di esservi, al mio Compagno sembrava d’esser fra tanti Barbari, non intendendo punto quella lingua.
Egli assunse in teatro il nome di Flavio (lasciatoci dal Ruzzante), specchio degli Innamorati, che, bello, galante, poeta, musicista, gentile come un cortigiano, attillato come uno spagnuolo, la vince nel cuore di Fiorinetta su tutti gli altri, per quanto sfoggio essi facciano delle loro ricchezze ; e tra' suoi Scenarj cinque ve n’ha intitolati dal suo nome di teatro, e in cui egli è protagonista : La fortuna di Flavio, Flavio tradito, Flavio finto negoziante, Le disgrazie di Flavio.
Se non diciamo come l’enciclopedista che questa tragedia sia un capo d’opera e la più bella che sia comparsa sulle scene, ravvisiamo pure nel Catone dipinto da Addisson quel gran Romano della storia che solo osò contendere colla fortuna e colla potenza di Cesare e prolongare i momenti della spirante libertà di Roma, quell’uomo prode, per valermi dell’espressione di Pope, Che lotta col destino Tralle tempeste e grandemente cade Misto a ruine di cadente stato. […] vuoi mutar fortuna?
Alfonso riposando su tali disposizioni riflette sulla condizione infelice de’ principi, valendosi di alcuni pensieri Oraziani, O fortuna invidiable del villano &c. […] dice l’Elettra dell’ Huerta; ed il di lui Oreste risponde a maniera di oracolo, Un hombre soy que en su sepulcro sulca los mares de fortuna. Così si sarebbe spiegato Gongora nel colmo del delirio, e così si è spiegato il di lui ammiratore Huerta, il quale apparentemente fece il cambiamento dell’urna in atahud per mettere in bocca di Oreste l’ indovinello, io sono un uomo che nel mio sepolcro solco i mari della fortuna.
185. sua fortuna 286, Young Edoardo p.
Il re di Danimarca Federigo V l’aveva tirato ne’ suoi dominii, ove Schlegel godeva di una commoda fortuna essendo cattedratico a Soroë.
Niuno al pari di lui possedeva l’arte di scoprire il ridicolo d’ogni oggetto: niuno mosse con più fortuna e destrezza la guerra agl’ impostori: niuno innalzò la poesia comica sino al Misantropo: niuno copiò più al vivo la natura seguendola da per tutto senza lasciarla prima d’ averne raccolti i tratti più rassomiglianti.
Il re di Danimarca Federigo V l’aveva tirato ne’ suoi dominj, ove Schlegel godeva di una comoda fortuna essendo cattedratico a Soroë.
ecco il biasmo che scopre le bruttezze dell’alma ; la confusione è meco, il contrasto m’irrita, il cordoglio m’affligge, la vendetta mi sprona ; nobil desìo m’accende, la discordia mi chiama, il disprezzo mi spinge, il dolor m’avvalora, il proprio error mi sforza, la rotta fe’ m’irrita, la fierezza m’abbraccia, la fortuna m’aggira, la forza mi sospinge, le furie mi dàn l’armi, il mio furor m’accieca, la gelosia m’aggela, la guerra m’accompagna, Dai Costumi di varie Nasioni di Pietro Bertelli.
Alfonso riposando su tali disposizioni riflette sulla condizione de’ principi bene infelice, e si vale di alcuni pensieri di Orazio, o fortuna invidiabile del villano ec. […] dice l’Elettra dell’Huerta, ed il di lui Oreste risponde a maniera di oracolo, Un hombre soy que en su sepulcro sulca los mares de fortuna. […] Così si sarebbe spiegato Gongora nel colmo del delirio, e così si è spiegato il di lui ammiratore Huerta, il quale apparentemente cambiò l’urna in atahud, per mettere in bocca di Oreste l’indovinello, io sono un uomo che nel mio sepolcro solco i mari della fortuna .
Ringhieri, le quali hanno fatta la fortuna di parecchie compagnie d’istrioni. […] Dunque a Silvio Stampiglia, e non allo Zeno, come asserisce nel trattato della musica il signor Eximeno, si dee con più ragione attribuire il costume osservato poi costantemente nello scioglimento de’ drammi musicali di far mutare di sinistra in prospera la fortuna dell’eroe.
Se non diciamo come l’enciclopedista, che questa tragedia sia un capo d’opera e la più bella di qualunque teatro , ravvisiamo pure nel Catone dipinto da Adisson quel gran Romano della storia che solo osò contendere colla fortuna e colla potenza di Cesare e prolongare i momenti della spirante libertà di Roma, quell’uomo grande, per valermi dell’espressiòne di Pope, Che lotta col destino Tralle tempeste, e grandemente cade Misto a ruine di cadente stato. […] vuoi mutar fortuna?
Ottavia senza cagione ancora comparisce di nuovo a lamentarsi della fortuna. […] Le nostre osservazioni sulle tragedie di Seneca di poco in quest’edizione alterate, ebbero, sin da che videro la luce nel 1777 nella prima Storia de’ Teatri, la rara fortuna di essere pienamente approvate e citate in favore del Cordovese dagli stessi apologisti Spagnuoli; siccome può vedersi ne’ saggi apologetici dell’Ab.
Vuol sapere, se dee fargli cangiar costume, e renderlo malizioso, scaltro, disleale, malvagio, affinchè abbia miglior fortuna e più ricchezza del padre. […] Viene un uomo giusto per ringraziarlo della mutata sua fortuna; e nella dipintura che ne fa Aristofane maestrevolmente, possiamo ravvisare il modello di tutti i prodighi, dissipatori e discoli comparsi sulle moderne scene, convertiti e ravveduti nella miseria per l’ingratitudine degli scrocchi che gli adulavano nell’abbondanza. […] Ma questa famosa letterata, sebbene mancava di certo gusto poetico necessario a ben tradurre i poeti, almeno intendeva pienamente il Greco, ed ha voto autorevole allorchè afferma che Aristofane è fino, puro, armonioso, ed empie di piacere coloro che hanno la fortuna di leggerlo originale, fortuna che auguriamo al traduttore di Lucano e all’ autore della Poetica Francese (Nota XXI). […] Or come saggio, se a’ capricci esposto Di fortuna pur sei, t’acqueta e soffri.
O fortuna, ut nunquam perpetuo es bona! […] La fortuna ai forti Ajuto dà. […] Il poeta memore della disgrazia dell’Ecira implora nel prologo il silenzio degli spettatori, dicendo: Ne simili ut amur fortuna atqueusi sumus, Cum per tumultum noster Grex motus loco est, Quem actoris virtus nobis restituit locum, Bonitasque vestra adjutans atque æquanimitas.
Niuno al pari di lui possedeva l’arte di scoprire il ridicolo di ogni oggetto: niuno mosse con più fortuna e destrezza la guerra agl’impostori: niuno innalzò la poesia comica sino al Misantropo: niuno copiò più al vivo la natura seguendola dapertutto senza lasciarla se non dopo di averne raccolti i tratti più rassomiglianti.
Nel prologo di accettazione nella Zagnara era certo rappresentato al vivo il suo stato miserevole. « Le vicissitudini della mia fortuna » dice nelle parole al lettore (V. la Corona maccheronica) « dopo la mia nascita, hanno stillato sempre di farmi vivere in angoscie.
L’amante, che prostrato a’ piedi della sua bella, chiede la sospirata mercede de’ suoi lunghi sospiri, sa benissimo ch’egli non è debitore né al suo ingegno, né alla sua dottrina della fortuna d’essere riamato. […] L’oggetto che questa si propone di sovrastar tutti gli altri, e di regnar, se potesse, in un universo di schiavi, non può conseguirsi senza un intima cognizione degli uomini, delle loro proprietà, e debolezze, delle vicende della fortuna, delle circostanze de’ tempi, e de’ mezzi di prevalersene.
Ivi non comparisce magnanimo, né eroe, né uomo di genio, ma piuttosto un farnetico divenuto giuoco della sua eccessiva sensibilità, uno schiavo della mollezza che ci vendica fra le sue catene dell’ascendente che aveva sopra di noi acquistato la sua fortuna. […] Tutto ciò deriva dalla eterna providenza di colui che, reggendo con invariabil sistema le cose di quaggiù, mette un perfetto equilibrio fra gli esseri morali, amareggiando col sospetto, col rimorso, colle spinose e tacite cure la condizione de’ potenti schiavi sempre della fortuna e del pregiudizio nell’atto stesso che alleggerisce i disagi involontari del povero colla maggior apertura di cuore, indizio d’un’anima più ingenua, e colla non mentita allegrezza, indizio d’uno spirito più contento.
Ottavia senza cagione ancora comparisce di nuovo a lamentarsi della fortuna. […] Le nostre osservazioni sulle tragedie di Seneca di poco in questa edizione alterate, ebbero fin da che videro la luce nel 1777 nella prima Storia de’ Teatri in un volume la rara fortuna di essere pienamente approvate e citate in favore del Cordovese dagli stessi apologisti Spagnuoli; siccome può vedersi ne’Saggi apologetici dell’abate Lampillas, e nell’opera sopra ogni letteratura dell’abate Andres.
Nota alla nota d’autore n. 15: Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. ca – 15 a.C. ca), architetto romano, autore di un trattato in dieci libri, De architectura, che ebbe una grandissima fortuna in epoca rinascimentale.
Dal che si vede che gli uomini si dilettano del maraviglioso mossi dal medesimo principio, che gli spinge a crearsi in mente quegl’idoli imaginari chiamati fortuna e destino, per fare, cioè, maggiormente illusione a se stessi.
Qual è più degna impresa dell’animo, tollerare i colpi penetranti dell’avversa fortuna, ovvero opporsi fortemente a questo torrente di calamità?
O fortuna, ut nunquam perpetuo es bona! […] La fortuna ai forti Ajuto dà. […] Il poeta memore della disgrazia dell’Ecira implora nel prologo il silenzio degli spettatori, dicendo: Ne simili utamur fortuna atque usi sumus, Cum per tumultum noster Grex motus loco est, Quem actoris virtus nobis restituit locum, Bonitasque vestra adjutans atque aequanimitas.
Le tragedie sono: la Morte di Ciro uscita nel 1656, in cui si veggono stranamente avviliti i caratteri del gran Ciro, degli Sciti e della loro regina Tomiri, oltre a’ difetti d’arte e di verisimiglianza nelle situazioni e ne’ consigli; Astrato re di Tiro rappresentata per tre mesi nel 1663 e rimasta al teatro malgrado de’ motteggi di Boileau; Bellerofonte tragedia fischiata nel 1665 senza esser peggiore delle altre; e Pausania uscita nel 1666 che ebbe miglior fortuna.
Vuol sapere, se dee fargli cangiar costume e renderlo malizioso scaltro disleale malvagio, affinchè abbia miglior fortuna e più ricchezza del padre. […] Viene un uomo giusto per ringraziarlo della mutata sua fortuna; e nella dipintura che ne fa Aristofane maestrevolmente possiamo ravvisare il modello di tutti i prodighi dissipatori e discoli comparsi sulle moderne scene convertiti e ravveduti nella miseria per l’ingratitudine degli scrocchi che gli adulavano nell’abbondanza. […] Ma quella celebre letterata, sebbene maneasse di certo gusto poetico necessario a ben tradurre i poeti, almeno intendeva pienamente il greco idioma, ed ha voto autorevole allorchè afferma che Aristofane è fino puro armonioso, ed empie di piacere coloro che hanno la fortuna di leggerlo originale; sortuna che auguriamo al traduttore di Lucano autore della Poetica Francese a Il riputato Gian Vincenzo Gravina così perito nelle materie poetiche e nella lingua greca versa a piena bocca su questo comico le sue lodi per la verità e naturalezza delle invenzioni, per la proprietà de’ costumi, per la felicità delle allusioni, per la bellezza de’ colpi, e per la fecondità la pienezza il sale attico di cui abbonda e che oggi a’ nostri orecchi non può tutto penetrare.
Mustafà dice: Fugga chi ha il cuor nocente, a me conviene Sostener di fortuna il duro incontro . . .
VII) : Prima guardarsi di parlar con il popolo, raccordandosi che non vi si prossume persona in quel luoco, se non quello con cui si parla in scena, et se per sorte si parla solo fra sè stesso, si dee andar discorendo, se della sua donna si querella, alla casa di quella si volta gli occhi, se d’amore, se di fortuna, o d’altro, hora il cielo, hora alla terra, et hor in un luoco, et hor nell’altro, e non far come quelli ch’ apostano nel auditorio uno o due amici, et a quelli vanno dicendo le loro raggioni, questo precetto è di tanta osservanza, quanto mal osservato quasi da tutti.
Mox trahitur manibus Regum fortuna retortis, Esseda festinant, pilenta, petorita, naves, Captivum portatur ebur, captiva Corinthus.
Finalmente una terza compagnia fece più fortuna, e rappresentò alternativamente colla compagnia francese nel Teatro di Borgogna, nel Piccolo Borbone, e nel Palazzo Reale.
Mustafà dice: Fugga chi ha il cuor nocente, a me conviene Sostener di fortuna il duro incontro.
L’argomento consiste in un giovane ben nato che sacrifica la propria fortuna alla smania di poetare.
Questo è di avvilir la dignità delle muse, adulando i potenti degni talvolta d’essere incoronati dalle mani del genio, ma per lo più stimatori ingiusti del vero merito, e che avvezzi a non pregiare altro fuorché le distinzioni della fortuna, riguardano l’uomo di talento come un pappagallo, una scimia, o qualche strano animale, cui si dà volentieri da mangiare purché divertano il padrone. […] In una serie cronologica de’ drammi rappresentati sui pubblici teatri di Bologna dall’anno 1600 fino al 1737 fatta per opera de’ Soci filopatri si pretende sulla fede d’un manoscritto del celebre Ulisse Aldrobrandi, che fin dall’anno 1564 si cantasse nel palazzo della nobilissima Casa Bentivoglio un dramma intitolato l’Incostanza della fortuna.
Gli occhi nostri lo ritroverebbono senza dubbio biasimevole, né io voglio in modo alcuno giustificarlo avendo la fortuna di professare una religione non meno rispettabile per la purità della sua morale che veneranda per la santità ineffabile de’ suoi dogmi; ma riguardandolo unicamente con occhio politico, né potendo argomentare dalla profonda sagacità del legislatore di Lacedemonia che un sì bizzarro costume fosse privo d’ogni ragion sufficiente che rendesse non solo utile ma legittima la sua istituzione, bisognerà confessare, come dice un moderno filosofo, il quale aveva l’anima Spartana e le viste di Platone, «che l’usanza di cui si tratta conveniva solamente agli allievi di Licurgo; che la vita frugale e laboriosa, il costume puro e severo, la loro naturale robustezza d’animo erano qualità e circostanze atte a render innocente uno spettacolo così stravagante per qualunque popolo non d’altre virtù posseditore che della sola decenza» 162. […] Per fortuna dell’arte Lulli non badò punto alle loro declamazioni, e seguitò l’intrapresa riforma contentandosi di segnar talvolta le figure e i passi a’ maestri di ballo, che pon ben sapevano tener dietro al suo violino.
[19] Molto maggior fortuna sortì in appresso un altra sua pastorale intitolata L’Euridice Tragedia per musica, la quale fu con più accuratezza modulata nella maggior parte dal Peri fuori d’alcune arie bellissime che furono composte da Jacopo Corsi, e quelle del personaggio d’Euridice e dei cori, nelle quali ebbe mano il Caccini.
Qual è più degna impresa dell’animo, tollerare i colpi dell’avversa fortuna, ovvero opporsi con tutta la fortezza e gire incontro a questo torrente di calamità?
Eximeno attribut al Zeno il costume osservato poi costantemente nello scioglimento de’ melodrammi istorici di far mutare di sinistra in prospera la fortuna dell’eroe.
Ed io dimanderò di nuovo, se più pericolosi gli stimi nelle tragedie che per la loro grandezza riverberano meno sulle persone volgari, o ne’drammi cittadineschi al popolo di fortuna e di pensare più prossimi ? […] Simile disegno intrapresero in Francia gli autori della Melanie e dell’Eufemia, ma con mal consiglio e con niun frutto ne fecero due rappresentazioni tragiche e lugubri senza merito e senza fortuna. […] Scrisse il Trinchera moltissime altre opere buffe di varia fortuna, e singolarmente la Tavernola abbentorata cagione di ogni sventura dell’autore, in cui fece una dipintura vivace di un Fra Macario equivalente ad un Tartuffo recitata colla musica di Carlo Cecere. […] Eximeno attribuì ad Apostolo Zeno l’usanza osservata indi costantemente nello scioglimento de’melodrammi istorici di far mutare di sinistra in prospera la fortuna dell’eroe.
Ogni fortuna è pena, È miseria ogni età: Tremiam fanciulli D’un guardo al minacciar: Siam giuoco adulti Di fortuna, e d’amor: Gemiam canuti Sotto il peso degli anni.
Non della gloria il lampo, Non la fortuna toglieran, che l’uomo Misero infine non divenga. i numi Turban le cose, negli umani eventi Confusion, disordine mischiando Perché dell’avvenir nulla sapendo Siamo costretti a venerarli…»30 [12] Al che s’aggiugne che, avendo il gentilesimo presi i suoi fondamenti nella storia greca, il rappresentar sul teatro le opinioni religiose era lo stesso che richiamar il popolo alla ricordanza e all’ammirazione de’ fatti patriotici, e conseguentemente risvegliar in esso l’amore della libertà, e della patria, virtù delle più utili per tutto altrove, ma necessarissime nella costituzione de’ Greci, i quali aveano scacciati i re per divenir repubblicani.
Dessa é tale per l’azione grande che interessa le nazioni, e non già pochi privati, per le vicende della fortuna eroica, secondo la giudiziosa definizione di Teofrasto, per le passioni fortissime, cagioni di disatri e pericoli grandi, e per gli caratteri elevati al di sopra della vita comune.
L’argomento consiste in un giovane ben nato, il quale sacrifica alla smania di poetare la propria fortuna.
L’argomento consiste in un giovane ben nato che sacrifica la propria fortuna alla smania di poetare.
Il nostro cuore non siegue con tanta agitazione le varie vicende del primo, vedendo in lui delle qualità poco amabili, ed accorgendosi aver egli con qualche suo fallo meritati que’ rovesci di fortuna. […] Le altre non hanno se non quella passione, che nasce dalla consapevolezza dell’altrui buona o rea fortuna, o dall’essere apportatore dì felice o di trista novella: passione limitata, che con termine dell’arte si chiama mezza passione. […] Più: non dico tra’ sermoni, ma tra que’ libri stessi che hanno avuta più fortuna e più voga, qual è quello che si sappia per lo senno a mente, come avviene d’un dramma musicale? […] • il Crebillon e ‘l Lazzarini: Prosper Jolyot de Crebillon (1674-1762, detto anche Crebillon père, per distinguerlo dal quasi omonimo figlio (il romanziere erotico degli Égarements du coeur et de l’esprit), ebbe fortuna nel primo Settecento soprattutto con la tragedia Rhadamiste et Zénobie (1711); il menzionato maceratese Domenico Lazzarini (1688-1734) insegnò a lungo eloquenza greca e latina all’Università di Padova. […] • Vò solcando un mar crudele: Artaserse, atto I, scena XV (chiusura d’atto): «Vo solcando un mar crudele, / senza vele e senza sarte; / freme l’onda, il ciel s’imbruna, / cresce il vento e manca l’arte / e il voler della fortuna / son costretto a seguitar. / Infelice in questo stato / son da tutti abbandonato; / meco sola è l’innocenza / che mi porta a naufragar».
nelle quali avendo voluto il poeta esprimere il giubbilo d’un appassionato sposo sul punto di rivedere dopo lungo tempo e dopo una travagliata fortuna la sua amatissima sposa, egli è chiaro che il compositore avrebbe dovuto seguitar l’espressione delle parole rappresentando in maniera siffatto giubbilo che, volendo ancora cambiar la composizione questa non potesse applicarsi giammai fuorché all’espressione dell’allegrezza.
Quella di Sofocle però supera l’una e l’altra per l’effetto vivace che produce in teatro; perocché Oreste creduto morto, e trovato inaspettatamente vivo, apporta la rivoluzione della fortuna di Elettra, e la fa passare da un sommo dolore a una somma gioja.
Ottavia senza cagione ancora comparisce di nuovo a lamentarsi della fortuna; la Nutrice ascolta la di lei voce, e apostrofando la propria vecchiaia, Cessas thalamis inferre gradus.
Mi rivolgerei a quel sesso da cui non si dovrebbe aspettare che patrocinasse una simile causa, ma tra il quale gl’inconcepibili progressi della corruzione fanno pur nascere più di una spiritosa avvocata, pregandolo a concorrere per mezzo della influenza cui la natura, non so se per nostra fortuna o per nostra disgrazia, ha dato alle donne sopra di noi, a sradicar un costume il quale divenuto che fosse più generale renderebbe affatto inutile sulla terra l’impero delle loro attrattive, e persin la loro tanto da noi pregiata esistenza140.
Si dispera, si chiama imprudente, insensata; ed assicura Montcassin che si lagna della sua fortuna, che ella non sarà mai d’altri che di lui.
Non può negarsi all’Alfieri il vanto di tragico egregio al veder trattato con superiorità quest’argomento da molti abili Francesi maneggiato con poca fortuna. […] In essa volle mostrare come potevasi satireggiare comicamente l’abuso de’ nobili e de’ ricchi che gli emulano, i quali costringono le loro donzelle a chiudersi ne’ chiostri per non recare scapito alle sostanze della famiglia destinate a passare a’ primogeniti; la qual cosa con mal consiglio e con poco frutto intrapresero in Francia gli autori della Melania e dell’Eufemia tragiche e lugubri rappresentazioni senza fortuna e senza merito.
Nel quinto intermedio Roma stessa comparisce scapigliata iucatenata innanzi ad un carro trionfale occupato da Alarico, Genserico, Ricimero, Totila, Narsete, e dal duca Borbone generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta che dice, Quella che il Mondo vinse abbiamo vinta, alla quale succede il lamento di Roma, in due ottave che conchiudono Già vinsi il Mondo, or servo a gente vile, Come fortuna va cangiando stile.
Nel quinto intermedio Roma stessa comparisce scapigliata, incatenata innanzi a un carro trionfale occupato da Alarico, Genserico, Ricimero, Totila, Narsete e dal duca Borbone generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta, che dice Quella che il mondo vinse, abbiamo vinto, alla quale succede il lamento di Roma in due ottave, che conchiudono, Già vinsi il mondo, or servo a gente vile, Come fortuna va cangiando stile.
La scarsezza dei bravi artisti non può mai derogare alla perfezione d’un arte; anzi ci sembra che questo appunto sia un segno del suo valore sublime; mentre il diventare artista quando l’arte è ancor fanciulla è facile a molti, ma diventarlo eccellente quando l’arte è quasi giunta alla perfezione, è fortuna di pochi.
Introduzione […] concediamo pure che ci sia (che esista primariamente e assolutamente; si vuol dire: indipendentemente dallo studio che se ne effettua) un oggetto degli studi teatrali. Quale sarebbe? Lo spettacolo, certo. Ma l’oggetto, oltre che significante, deve essere dato, presente: il che non avviene per nessuna, o quasi, componente dello spettacolo escluso il testo verbale cioè, per indebita identificazione, il testo letterario1. Come sottolinea Franco Ruffini all’interno del suo studio Semiotica del testo.