Ma essa presenta una eroina violata da un Moro che incresce oggi che si esige una rigorosa decenza negli argomenti teatrali. […] Siffatta tragedia in una nazione che ne ha sì poche, dovea accogliersi, ripetersi, acclamarsi, e pure fu essa lo scopo delle maligne satire de’ piccioli rimatori. […] Stanno poi in essa assai bene accomodate allo stato de’ Numantini ridotti a mangiarsi l’un l’altro, le care espressioni di Aluro; addio, Olvia, col tuo nuovo amante vivi felice? […] Oggi si esige che l’azione inevitabilmente si avanzi al suo fine o sulla scena o fuori di essa. […] Adunque anche nell’intervallo degli atti è passata questa parte importante dell’azione, ed essa non è tutta alla vista, come si gloriava l’autore senza utilità e senza verità.
Trionfa in essa l’amor della patria in ogni incontro. […] Viene in essa espresso con vivacità e delicatezza l’amor conjugale e paterno. […] Si conviene che pregevole essa sia, ed una delle più perfette dell’ autore. Più rari in essa sono i difetti dello stile, e mirabilmente vi campeggia la forza tragica. […] Ciò parmi che non lasci desiderare in essa nè moto maggiore nè maggiore interesse.
Quando la madre Isabella morì in Lione, egli era colla moglie in Firenze, ove compose per essa la tragedia Florinda, la cui prima edizione fu da lui abbruciata per gli errori ond’era piena zeppa. […] Di questa ci serviremo come breve esame alla fine di questo studio ; poichè se in alcune parti essa può parere il più bel pasticcio comico-drammatico-tragico-melodrammatico-mimo-danzante che sia mai stato visto sulla scena a chi piuttosto la guardi un po’ superficialmente, in altre, senza dubbio, dopo un’ accurata analisi si manifesta opera fortissima, ricca di originali bellezze. […] A un dato punto si apre un antro, ove è immensità di luce, poi in essa luce un Crocifisso, davanti al quale Maddalena s’inginocchia e prega ; poi presoselo fra le braccia « e a capo chino rimirandolo, al suon d’un flebil Miserere passeggiato il teatro per un poco, parte ; e qui al suon di trombe s’apre la Gloria, dove si vedono molti Angeli, Maddalena altamente nello stil musical recitativo lodando. […] Quanto alla recitazione, ammettiam pure dal contesto del lavoro e delle note stesse che vi fosse alcun che di convenzionale a declamazioni e a passi in cadenza ; ma io non sono alieno dal credere che tale specie di recitazione musicale dovesse assai più convenire al lavoro che una recitazione parlata ; quanto alla musica, il nome del Monteverdi è tale da non far dubitare del valore di essa ; e quanto all’allestimento scenico, si può esser certi come nulla vi avesse di esagerato nelle scene indicate dall’Andreini, le quali saranno state sfarzosamente e con ogni fedeltà eseguite.
L’argomento consiste nella prigionia di Danae nella torre di bronzo, e nella discesa di Giove in essa convertito in pioggia d’oro. […] Manifesta parimente in essa il suo buon senno col seguire più fedelmente che in altre l’originale, non avendo dovuto risecar molto del dialogo giusto non meno che grave e naturale di Sofocle.
Di altre stagioni fatte dalla Compagnia dei Comici Confidenti al servizio di Don Giovanni De Medici abbiam date precise in molte lettere concernenti il capo di essa Flaminio Scala (V.) detto Flavio in Commedia. Francesco Bartoli fa cader la sua morte intorno il 1654, ma non sapremmo di essa precisare nè la date, nè il luogo.
E tanto quegli collo studio e l’amore in essa progredì, che divenne capocomico a sua volta e il primo artista del suo tempo.
I moti del '31 gli tolsero il padre ; ed egli crebbe assieme alla madre e ad una sorella, facendo prima le elementari nel Collegio de' Gesuiti, poi le ginnasiali fino all’anno '48, in cui, fuggito a Bologna con venti bajocchi in tasca, e a piedi, potè arruolarsi nella Legione Romana sotto il colonnello Gallieno, e con essa combattere a Vicenza.
L’ultima circostanza è più d’ogni altra legge necessaria alla pantomima, perché non avendo verun altro compenso, qualora non esprima una qualche situazione viva dell’anima, essa non significa niente. […] La quarta fu un carro di Giunone pur tutto pieno di fuoco, ed essa in cima con una corona in testa, ed uno scettro in mano sedendo sopra una nube, e da essa tutto il carro circondato con infinite bocche di venti. […] Così conosciuto il fine che si propone una facoltà, disaminata la convergenza de’ mezzi che vi pone l’artefice, e ponderato l’effetto che in me cagiona il rapporto tra questi e quelli, io n’avrò una misura inalterabile e certa per giudicare dello stato d’essa facoltà. […] Il volgo (e in questo nome comprendo non la sola plebe, ma tutti coloro che nella mancanza di coltura e di gusto s’avvicinano ad essa) il volgo, dico, è quello che regola gli spettacoli, e della sorte loro imperiosamente decide. […] Il quarto vantaggio si è di poter rappresentare colla pantomima qualunque argomento senza discapitare nel buon senso; perocché allora si suppone che sia essa non un intermezzo ma uno spettacolo nuovo, il quale non è obbligato ad averne verun riguardo, veruna relazione col primo.
I Francesi si confermarono nella credenza di esser passata la moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’effetto della particolar debolezza del Longepierre. […] Lo stile della Ines generalmente è migliore di quello del Romolo; ma essa non ha nè la versificazione nè l’eleganza nè la poesia nè l’abbondanza nè la grandezza nè la delicatezza de’ sentimenti di Giovanni Racine. […] Belo in essa è un traditore senza discolpa enunciato come virtuoso. […] Questo scrittore erudito ha dato anche al teatro Briseida rappresentata con applauso, racchiudendo in essa il piano dell’Iliade, in cui si valse di alcuni ornamenti Omerici. […] I Francesi osservarono dalla prima rappresentazione che sin da’ primi atti essa manca d’interesse e di azione.
Non era stata se non abbozzata dal primo autore (secondo il Pigna ne’ Romanzi) e pure si ravvisa in essa la diversità della seconda mano. […] Ma degna di notarsi è singolarmente con quanta verità parlino in essa gl’innamorati. […] Nè vano è questo vanto della picevolezza che promette; che ridicola essa riesce moltissimo per tutte le sue parti. […] Vedesi forse in essa sì grande studio di rendere italiane le maniere latine? […] Gisippo in essa è chiamato Tindaro che è il suo nome primiero; Dem.
Le Batteux, est le divin de l’Epopée mis, en spectacle, e ognun vede qual più vasto paese può essa scorrere senza errore. Inferno, Elisi, Olimpo, Numi, Incantatrici, Eroi, Esseri allegorici, sono materia ad essa accordata. […] Dunque la proposizione del Signor Lampillas è fantastica, è falsa. = Ma io non dico (non è improbabile, che egli tenti lo scampo per quest’altra viottola) che essa Drammatica non avea bisogno dell’indulgenza prima di trovarsi tal proprietà dell’Apparato, ma che al presente non ne abbisogni =. […] Avete su tali cose sì profondamente meditato, che già vedete chiaro, che essa ha quanto le occorre, e che per tutti i secoli d’altro non abbisognerà? […] Ciò si nega, di ciò appunto si questiona: che se non mostrate il modo di superare gl’inconvenienti in parte dal Signor Iriarte, e da me sopraccennati, la rappresentazione dee sempre essere imperfetta, e rimarrà sempre all’Uditorio qualche cosa da supplire per passare il tempo senza noja. = Dove essa (vostre parole ancora) è un ammasso d’inverisimili, non sarà convenzione, che basti a produrla =.
Di essa pare che avesse gettati i fondamenti il medesimo Aristofane col Pluto, dove abbiamo, sì, trovato un Coro, ma ben lontano dall’antica baldanza e mordacità. Anzi per ciò che si osserva nel parlarsi di una delle di lui commedie smarrite intitolata il Cocalo, da essa dee prendersi la vera sorgente ed il modello della commedia nuovaa.
Ma siccome la parte più essenziale del dramma viene comunemente riputata la musica, e che da lei prende sua maggior forza, e vaghezza la poesia, così le mutazioni da essa introdotte formano il principal carattere dell’opera. […] [11] Quindi l’andamento del dramma dee essere rapido: imperocché se il poeta si perde intorno ai punti troppo circostanziati, la musica non può se non assai tardi arrivare a quei momenti d’interesse e d’azione, dove essa principalmente campeggia. […] Certamente non è proprio di essa, se per «dommatizzare» s’intenda l’intuonar sul teatro un capitolo di Seneca, ovvero alcuna di quelle lunghe tiritere morali, di che tanto abbondano le tragedie de’ cinquecentisti, nel qual senso sono state ancora da me condannate: ma non è già così di piccole, e brievi sentenze, che spontaneamente vengono suggerite all’animo dallo stato presente del nostro spirito. […] Inoltre, dovendosi escludere dalla musica tutto ciò che non commuove, e non dipinge, e dovendosi in essa sfuggire le situazioni, ove l’anima rimanga, per così dire, oziosa, sembra, che ciò non s’ottenga così bene negli argomenti di storia, ne’ quali la verosimiglianza seguitandosi principalmente, ci entrano per necessità discussioni, moralità, ed altre circostanze che legano un accidente coll’altro, e che sostituiscono la lentezza alla passione. […] Se riguardasi la musica, poca unità d’espressione vi può mettere il compositore, perché essa non si trova nell’argomento, poco interesse nella melodia, perché poco v’ha nell’azione, e perché la poesia non è che un tessuto di madrigali interrotti da stravaganze, la modulazione non è che un aggregato di motivi lavorati senza disegno.
Ma i greci e gli etruschi seppero da essa senza soccorso straniero farli strada alla drammatica, e i romani per riuscirvi ebbero bisogno dell’Etruria, della Campania, e della Grecia. […] Se essa ne tollerò lo spettacolo senza amarlo gran fatto, non permise che vi si mettessero sedili, affinché il popolo astretto a goderlo in piedi, anche nel divertimento mostrasse virilità e robustezza73. […] Fiorirono in essa spezialmente Marco Pacuvio, Lucio Accio, o sia Azzio, Caio Tizio, e secondo alcuni, ancora il Seffano Satirico Caio Lucilio, zio materno del gran Pompeo. […] Al contrario fin qui essa non può dirsi incominciata. […] IV, V, XI) Il Tatari con maggior probabilità pretende, ch’ella fosse nelle vicinanze della città di Taranto, e che dalle ruine di essa sorgesse la terra delle grottaglie.
Ma in qual modo essa entra nel dramma cinese?
Il primo precettore in essa è stato Seit Hassan Choja Algerino perito nella nautica e nelle lingue araba, turca, inglese, francese e italiana, al quale è succeduto Seit Osman Efendi nativo di Costantinopoli abile geometra, che vi gode una pensione di quaranta piastre al mese, oltre a tutto il mantenimento necessario in casa.
La sua recitazione è stata sempre la medesima ; e nondimeno non è improbabile che essa sia apparsa, a volte a volte, romantica, classica, verista, simbolica.
Toltosi da quell’Ufficio, fu da altri incaricato di formar una compagnia per quella città ; e recatosi a Venezia, la formò difatti, e la condusse a Palermo ; ma essa era di sì mediocri elementi, che subito cadde, procurando allo Scherli rimproveri senza fine, e così fatti da essere forse principal causa della sua morte.
O essa, ignara pur anco dell’esistenza dell’attor Tabarini, fu la caricatura di Francesco Tabarin, contemporaneo di Salomon, parigino, e marito di una Francesca Coulignard (per l’appunto anche la moglie di Tabarino, maschera, si chiamava Franceschina) ?
Quando l’immaginazione a scioglier il nodo altre vie non sa rinvenire che le ordinarie, l’invenzione non può a meno di non essere imbarazzata e ristretta, ma qualora ne abbia essa la facilità di snodar per macchina ogni evento, avendo alla mano il soccorso di codeste intelligenze invisibili, i suoi voli diventano più ardimentosi e più liberi, e l’invenzione più pellegrina. […] Dall’altra parte questa rinata come la lingua più per caso o per usanza, che per meditato disegno d’unirsi alla poesia, crebbe in principio e si formò separatamente da essa. […] Per quanto adunque s’affaticassero que’ valent’uomini della non mai abbastanza lodata camerata di Firenze, non valsero a sradicare in ogni sua parte i difetti della musica, che troppo alte aveano gettate le radici, né poterono dar alla unione di essa colla poesia quell’aria di verosimiglianza e di naturalezza che avea presso a’ Greci acquistata, dove la relazione più intima fra queste due arti dopo lungo uso di molti secoli rendeva più familiare, e per ciò più naturale il costume d’udir cantar sul teatro gli eroi e l’eroine.
Egli solea in essa trattenere il re e la real famiglia con magnifiche feste singolarmente teatrali ricche di macchine e decorazioni, nelle quali accoppiavasi alla recita nuda di tutta la favola il canto di certe canzonette frapposte che diremmo arie. […] Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’ aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso e medita vendette, e nella seconda parte di essa, che non ha che fare col primo pensiere, si dice, sin tus perfecciones serà à mis passiones dificil la calma, quando à mi alma la quietud faltò; ciò in castigliano potrebbe dirsi una pura quisicosa, ed in francese un galimathias. […] L’apparato di essa sino a venti anni fa consisteva in un proscenio accompagnato da due telai o quinte laterali, e da un prospetto con due portiere dette cortinas, dalle quali solamente entravano ed uscivano gli attori con tutti gl’ inconvenienti che nuocono al verisimile e guastano l’illusione.
Come tutti i figliuoli d’arte, anche essa apparve al lume della ribalta, non a pena le fu dato di reggersi in piedi e di balbettar due parole, sostenendo a quattr’anni la parte di Cosette nei Miserabili. […] La persona poi, a significar ben compiuta la espressione del tipo, abbia essa guizzi serpentini, o abbandoni profondi, risponde perfettamente coll’azione e contrazione delle braccia, delle mani, delle dita, del busto, all’azione e contrazione del volto…. […] … Forse non l’ama più nè pur essa !
Aristotile lo caratterizzò egregiamente con questo esempio: cada una statua nel punto che passi sotto di essa l’uccisore di colui che rappresenta, e questa caduta naturale per combinazione diventa maravigliosa. […] Di essa si fece un’edizione in foglio nel 1726 colle annotazioni del dotto Anton Maria Salvini.
Lasciò questi dieci favole, una delle quali s’intitolava Pasifae, e con essa, secondo l’interprete di Aristofane nell’argomento del Pluto, contese con questo comico rinomato nel quarto anno dell’olimpiade XCVII. […] Veramente essa abbonda di pitture oscene, abominevoli e per niun modo confacenti per portare il nome di catechismo, come può dedursi dalla sola esposizione dall’argomento. […] Cade infine il sospetto sulla finta donna, per non essere essa da veruno di loro conosciuta. […] Ma se la copia (aggiugne l’avveduto scrittore) è più conforme a’ nostri costumi, non per tanto essa è men vivace dell’ originale. […] Di essa pare che avesse gettati i fondamenti il medesimo Aristofane col Pluto, dove abbiamo, sì, trovato un coro, ma ben lontano dall’antica baldanza e mordacità.
La mia opera è “realmente corredata di molta erudizione, di bei voli di fantasia, di paragoni adattati, e di filosofia”, ma venendo all’applicazione invece di quella filosofia e di quella erudizione altro in essa non ritrova l’estrattista fuorché “imperizia, declamazione, e contraddizioni”. […] Se v’era, essa sarà stata probabilmente simile alla presente, e se non v’era, sarà stata inferiore; perché il diventar più ricca specialmente in materia dì scienza, non crediamo che sia un demerito.» […] [27] «E il contrappunto non solo non ha pregiudicato alla musica, ma anzi, avendo fatto conoscere qual sia la buona armonia e buona modulazione, è stato quello che ha contribuito più di tutto all’avanzamento di essa. […] [38] E appunto perché di questa musica veramente la più perfetta, e perfettamente eseguita v’ha pochissimo fra i moderni, noi restiamo indifferenti all’azione di essa. […] La nostra musica è buona buonissima se si riguarda in essa la varietà, l’artifizio, la dottrina, il brio, la squisitezza, e il raffinamento.
Possono in essa notarsi diverse bellezze; ma noi accenneremo soltanto alcuna cosa della terza scena dell’atto secondo, la quale contiene venustà di più di un genere. […] Apollodoro cui appartiene questa favola, scrisse una commedia intitolata Epidicazomenos, e un’ altra detta Epidicazomene dal nome della fanciulla di cui in essa si tratta. […] Le parole non ricevono soccorso da veruna prosa marginale, che ne dichiari l’azione, e pure essa chiarissimamente si comprende; il che convince d’ignoranza qualche moderno mal instruito pedante, che crede essere state le antiche tragedie e commedie mutilate da’ gramatici di quella ideata prosa che notava le azioni de’ personaggi. […] Ci dice in oltre che Plauto dalla favola di Difilo trasse la sua intitolata Commorientes; ma che avendo in essa lasciata intatta l’avventura del giovane che tolse a viva forza una meretrice a un ruffiano, egli ha voluto approfittarsi di questa parte non toccata, per tessere questa sua commedia. […] Di essa favella Suetonio in Cæsar. c. 34, Varrone nel V e nel VI de Lingua Latina, e poi il Giraldi, il Crinito, il Vossio.
Cause generali di essa. […] A tutti scioglierne i dubbi paratamente, e a metter chi legge in istato di giudicare della decadenza attuale del melodramma, d’uopo è fermarsi alquanto intorno alle cause generali di essa per discender poscia a delle particolarità più interessanti. […] Ma gli antichi, i quali aveano di essa nozioni più generali, comprendevano sotto quella parola più cose. […] Siccome in tutte le belle arti riguardavano essi come oggetto principale l’imitazione della natura, e siccome la possanza imitatrice della musica, massimamente nello svegliar le passioni, dipende, come si provò nel capitolo ottavo del primo tomo di quest’opera, dalla sola melodia, così rivolsero ad essa principalmente la loro attenzione, la costituirono il fine ultimo dell’arte del suono, e il centro, quasi direi, intorno al quale aggirar si dovessero come subalterne e inservienti tutte le parti dell’armonia. […] [32] Il grande svantaggio della nostra musica è non per tanto quello che qualunque principio di conmozione venga eccitato da essa verso un tale oggetto è per sua natura indeterminato e generico, non individuale e preciso.
Sopra di essa si alzano due magnifiche logge, l’una d’ordine dorico, l’altra d’ordine jonico, ciascuna con una scalinata di quattro sedili.
Il primo precettore in essa è stato Seit Hassan Choja algerino perito nella nautica e nelle lingue araba, turca, inglese, francese, italiana, al quale succedette Seit Osman Efendi nativo di Costantinopoli abile geometra, che vi godeva una pensione di quaranta piastre al mese oltre a tutto il mantenimento necessario.
Tornarono all’assalto i comici, a lei dicendo rompersi il collo pigliando Buffetto, a lui avere essa dichiarato formalmente di non voler perdere la propria libertà….
Dei meriti di Anna Job, prima donna, possono far fede le compagnie primarie nelle quali essa fu : e fors’anco maggiore ne sarebbe stata la riputazione artistica, se vissuta in età più vicina alla nostra, e se non avesse avuto da lottare con attrici gloriosissime quali la Internari, la Marchionni, la Polvaro, la Bettini, la Robotti, la Rosa, la Pelzet.
Piissimi Vittoria, « celebre comica ferrarese, fioriva del 1579, nel qual anno fu ad essa dedicata da Bernardino Lombardi la Fillide, favola pastorale dell’ acceso accademico Rinovato. » Così il Quadrio.
Notava M. de Voltaire in tal tragedia come un principal difetto che essa, al suo dire, non produce interesse in pro di veruna persona. […] Affermava ancora che essa presso i Romani non ebbe felice incontro. […] Può non per tanto osservarsi in essa più di uno squarcio in cui è sobria la locuzione. […] , ma possono in essa senza oltraggio del buon senno ammirarsi varii tratti veramente sublimi, e certa vivacità di colorito nelle passioni che difficilmente si rinviene altrove. […] Al contrario; fin quì essa nè anche può dirsi incominciata.
Ciò che di lui si dice, indica l’intelligenza degli antichi nella prospettiva, mentre la veduta dipinta in quella scena compariva bella insieme e naturale a cagione delle diverse tinte che davano risalto a tutte le parti dell’architettura in essa espresse. […] Che, come, se rapisce un buon boccone Correndo in giro cerca la gallina Dove sicura il becchi, e intanto celere La segue un’ altra, ed essa più si affretta, Non altramente chi si avvenne il primo Nella delizia del prezioso pesce Ghiotto saltella col bel tondo stretto, E fugge intorno e ’l van seguendo gli altri.
Ma ciò, a dirla ingenuamente, é una spezie di tradimento fatto alla nazione, il quale presso di essa ritarda l’avanzamento delle arti. […] Quando si giunge a fare un grande abuso di una nobil professione, il nome di essa cambia significato, e rendesi odievole presso gli uomini virtuosi e assennati.
Fu essa poi reimpressa da Cummelino colle note del primo autore e del Rittersusio e del Grutero. […] Uno squarcio di essa però merita riflessione, e pare che la faccia ascendere sino alla fine del I secolo, mentovandovisi i Gaulesi della Loira, i quali scrivevano su gli ossi le sentenze di morte pronunziate sotto le querce: Habeo (vi si dice) quod exoptas; vade, ad Ligerim vivito.
Dante Alighieri, che col sumministrare all’ Italica favella per mezzo delle sue dotte e ingegnose produzioni non poca robustezza, vivacità ed energia, e coll’ arricchirla di molte e varie immagini, e di molti e varj colori poetici, mostrò con effetto, siccome disse il Boccaccio nella di lui Vita, con essa ogni alta materia potersi trattare, e glorioso sopra ogni altro fece il volgar nostro; Dante che perciò fu dal Petrarca chiamato ille eloquii nostri dux, da Paolo Giovio il fondatore del Toscano linguaggio, e da altri il Poeta de’ Pittori; Dante afferma nel capitolo X del suo Convivio, che per l’Italico idioma altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente, e acconciamente si poteano manifestare, quasi come per l’istesso Latino; e loda in esso l’ agevolezza delle sillabe, la proprietà delle sue condizioni, e le soavi orazioni che già fin d’allora se ne faceano, le quali chi ben guarderà, vedrà esser piene di dolcissima e amabilissima bellezza. […] Di tutte le traduzioni ed imitazioni di essa fatte da’ Francesi riferite dal nostro autore, quella di M.
Probabilmente essa fu figlia dell’arte, e nacque a Venezia, ove sua madre, incinta, era a recitare : questo il parere del D’Ancona, il quale cita al proposito i vari comici D’Armano, dei quali si parla più oltre. […] Bartoli prende tutto dal Valerini stesso ; se non che, la fa esordire a Modena, mentre il Valerini non ce ne dice nulla, ed esclude perfino Modena dalle città annoverate, nelle quali essa colse tanta messe di lodi.
: qui abbiamo liti e lotte fra la Florinda, ed altra Flaminia (la Cecchini), come si vede da una lettera che essa Florinda scrisse da Torino al Cardinal Gonzaga il 4 agosto 1609, e che dall’ introduzione di A. […] Morta questa, l’Andreini si unì in matrimonio con essa Lidia, imposta prima alla povera Virginia, la quale sopportava non rassegnata, per paura, come dice il Cecchini, che il marito non le facesse una qualche burla ! […] Dunque nel ’52, quando essa rappresentò la Marta, non poteva aver meno di 65 anni.
Il Signor Lampillas pretende che io abbia letto male un passo dell’Opuscolo di Luis Velazquez sulle Origini della Poesia Castigliana, ch’egli così traduce1: “Sindachè i Romani introdussero in Ispagna la buona Poesia, furono in essa conosciuti i Giuochi Scenici; e le rovine di tanti antichi Teatri, che sino a’ nostri giorni si conservano in diverse Città, sono altrettanti testimonj di quanto si fosse impossessato del Popolo questo genere di divertimento”.
Chiuse parimente gli occhi per non vedervi riferita la Filologia Commedia del dolcissimo Petrarca, ch’egli però non volle conservarci; ma, ad onta della delicatezza di questo grande ingegno, che fu uno de’ primi promotori dell’erudizione Greca e Latina, verisimilmente essa dovea essere Commedia ragionevole, se non perfetta.
Specialmente nella principal città di essa, chiamata Chiapa de las Indias, dove trovansi moltissime famiglie nobili americane, si vede quella cultura che indispensabilmente fiorisce dovunque si gode libertà e proprietà.
Ma dopo che nel 1777 uscì la Storia critica de’ Teatri antichi e moderni, in cui si parlava di poesia alemanna e di teatro prima di Opitz, s’avvide che poteva su i documenti che in essa si protersero, che poteva risalire un poco più.
Merope stessa, che abbiamo pur data una volta a Parigi, non gli può aver rappresentata l’idea della natura tragica italiana, essendo essa una di quelle Tragedie nelle quali, essendo miste di diversi gradi di persone, può discendersi ad una più familiare natura.
In essa troviamo il personaggio di Scaramuzza, servo del Capitan Squarcialeone, rappresentato molto probabilmente dal figliuolo Giovan Battista, scritturato pertal parte nella Compagnia che recitò a Genova il 1614, e divenuto poi famoso colla maschera di Trappolino.
Le stesse Nafissa vecchia ed Angelica cortigiana si può asserire che non sono come tutte quelle altre infinite cortigiane e vecchie della scena italiana. » Alla fine di essa è un suo sonetto, non brutto, al Pallavicino, che il Bartoli riferisce nel suo cenno : ma io preferisco metter qui una scena del Graziano (la 3ª dell’atto II), la quale ci darà meglio un’idea dello scrittore e dell’artista : III Pocointesta & Gratiano Poc.
CORO Sacrosanto Himeneo, Che alberghi in Helicona Con la tua casta madre, Là doue il Pegaseo Fonte, le dotte squadre De i Cigni a bere inuita, Per c’habbin la corona Dal figlio di Latona, Di quella fronde, ch'ha perpetua uita, E d’essa ornati poi, Cantin la gloria de gli eccelsi Heroi.
Eschilo in essa trasgredisce le regole del verisimile, facendo passare una parte dell’azione nel tempio di Apollo in Delfo, e un’altra parte in Atene. […] Tutti i Cori di essa ritraggono al vivo la gravità e sublimità dello stile di Sofocle; e ’l Giustiniano che gli ha tradotti con una elegantissima fedeltà, ci appresti il modo di farne concepire una giusta idea alla gioventù studiosa. […] Tutto in essa é grande e sostenuto fino al fine da un interesse ben condotto, tutto va al suo scopo con energia. […] Elettra si prende essa la cura di uccidere la madre, ed espone l’artificio, con cui pensa di trarla nella rete; orribile disegno d’una figlia, neppur mitigato dalle savie prevenzioni di Eschilo. […] Ha essa più parti: queste parti hanno bisogno di maggior arte per essere conciliate insieme; onde é più difficile di formarne un tutto naturale.
Trionfa in essa l’amor della patria in ogni incontro. […] Nel V essa riprende tanto di forza quanto permette la determinazione di Seila che vuol rimanere offerta volontaria in olocausto. Nel lasciare i genitori e l’amante altre lagrime essa non ottiene se non quelle che spargonsi oggidì per le nostre fanciulle che rendonsi religiose. […] Viene in essa espresso con vivacità e delicatezza l’amor conjugale e paterno. […] In essa non mostrasi che Ciro p. e. prevalga ad Astiage, o Alessandro a Dario, o Tamerlano a Bajazzette, sventure di personaggi eroici che altro non fanno che cangiar le catene de’ regni.
Anche in essa riprese i compatriotti che appiccavano indivisibilmente agl’ innamorati i buffoni con manifesto detrimento della verisimiglianza. […] In essa una baligia cambiata ed un nome preso a caso da un cavaliere cui importa di non esser conosciuto, forma un intrigo assai vivace. […] Notabili sono in essa il carattere del re Alfonso detto il Savio, e quello di un uomo di campagna pieno di virtù e di buon senso naturale. […] Le comuni passioni, le gelosie, gli amori, gli sdegni, le riconciliazioni, hanno in essa un grazioso colore di novità. […] Io credo che il maggior difetto di essa sia che manchi d’interesse tanto il carattere del Mugnajo quanto l’avvenimento di Peggy col Milord, il quale interesse ben si trova nelle favo. le spagnuole accennate.
Memore della sua antichissima gloria nelle lettere, e desiderosa di conservarla, essa fu quasi la sola che mantenesse nel secolo scorso le belle arti guaste per tutto altrove dal cattivo gusto dominante. […] Scaduta dall’antico privilegio che godeva ai tempi de’ Caledoni, d’animare, cioè, i popoli ai trionfi e alla osservanza de’ riti nazionali, essa prese il carattere della scostumatezza e della licenza nelle canzoni chiamate da loro Drinking Catches, ovvero sia da cantarsi nei brindisi.
Il suo adorno consisteva in una manta vecchia tirata con due corde, la quale dividea dal palco la guardaroba (che sarebbe il postscenium degli antichi); e dietro di essa stavano i musici che da principio cantavano senza chitarra qualche antica storietta in versi, che in castigliano chiamasi romance. […] S’inganna parimente, quando afferma che «Lope fu il primo che del secolo XVI ebbe idea della vera commedia, e circa di essa e le altre parti della poesia scrisse eccellenti riflessioni piene del sugo d’Aristotile e di Orazio».
Vedevasi in essa un luogo particolare chiamato Θυμελη che secondo Polluce, non era già il pulpito descritto, come scrisse Calliachio, ma sì bene una specie di ara o tribunale che si occupava da’ musici e da’ ballerini. […] In essa seguendo la circonferenza si elevava dal basso all’alto una continua scalinata.
A essa, come ho già detto, preluse con parole di molta lode Francesco Andreini, tra cui queste : Che il signor Flaminio Scala detto Flavio in Comedia, per non far torto all’ordine suddetto, e tanto da buoni filosofi lodato, nella sua gioventù si diede all’ esercizio nobile della commedia (non punto oscurando il suo nobile nascimento) e in quello fece tanto e tale profitto ch' egli meritò d’esser posto nel numero de' buoni comici, e fra i migliori della comica professione. […] Gabbrielli Francesco e Onorati Ottavio) non che lo Scala, rassegnandosi a vedere lo sfascio della Compagnia ; chè senza tali personaggi essa sarebbe stata priva dell’ anima e dello spirito.
La scelta di questa passione non è casuale, dal momento che essa è generalmente considerata come quella più multiforme. […] La lingua latina si spegne del tutto, e con essa si perde ogni comunicazione fra il tempo ch’era preceduto e quello che sieguì. […] In breve essa pone l’uomo nello stato di guerra. […] Oltre che per quanto perfetta riesca la loro espressione, essa è sempre simultanea, e a un punto solo si limita. […] E supposta tale abilità dalla parte dell’attore, essa non sortirebbe tutto l’effetto possibile dalla parte dello spettatore.
Viene pero essa disturbata, perchè un altro amante di Filenia rimasto escluso si vendica con avvisar di tutto la moglie di Demeneto. […] Giovanni Errico Majoc vuol provare non essere essa differente dall’idioma Maltese, nel quale secondo lui la lingua punica si è conservata. […] Come di mura essa è munita e forte! […] La pigrizia nell’ottavo, Prepotenza nel nono, e dietro ad essa Ogni malvagità. […] Notabile in essa è il personaggio del Corago introdotto nell’atto IV, il quale teme di perdere le vesti date in affitto a Curculione.
Circa un centinajo e mezzo di esemplari della Storia de’ Teatri essendosi sparsi per la Spagna, domandai a molti illuminati nazionali, che l’aveano acquistata, se trovavano in essa cosa veruna contraria a una moderata Critica intorno al Teatro Spagnuolo formale, e materiale, col disegno di approfittarmi del loro avviso nella ristampa; ed ebbi il piacere di udirgli affermare, che tutto era conforme al vero, e a’ dettati degli eruditi nazionali: che anzi delle rappresentazioni mostruose avea io ragionato con più contenenza di tanti loro Scrittori degli ultimi tre secoli, i quali sono tanti, Sig.
L’intelletto che in essa si spazia, nel vederle, separarle, combinarle, acquista la conoscenza de’ sogni distintivi delle cose.
ed in essa rappresentavansi in alcuni mesi dell’anno piacevolissime commedie.
Or da quanto si è ragionato scende per natural conseguenza che la poesia rappresentativa non nasce nelle tribù de’ selvaggi, perchè essa richiede maggior complicazione d’idee per saper volgere l’imitazione in satira ed istruzione.
Ma farei peccato veramente se osassi defraudare i lettori di questo gioiello di lettera ch'ella mi scrisse or son pochi mesi, la quale rispecchia tutta la benignità della sua natura, e con essa tutta la geniale semplicità dell’arte sua : Nata…. nel '52…. brrrr !
E fui con essa e quella notte ed altre. […] Ah che la scorgi, E pur troppo la scorgi, Che per essa or l’onori, il premj e l’ami, Là dove per tuo bene Dovresti per la stessa averlo a schivo, Noti poi quel magnanimo sembiante? […] Vedasi di essa ciò che ne dicemmo nel tomo V p. 353 delle Vicende della Coltura delle Sicilie.
Giovanni Errico Majo58 vuol provare non essere essa differente dall’idioma Maltese, nel quale secondo lui la lingua Punica si è conservata. […] Come di mura essa è munita e forte! […] Notabile in essa è il personaggio del Corago introdotto nell’atto quarto, il quale teme di perdere le vesti date in affitto a Curculione. […] Il prologo fatto dal dio Ausilio non trovasi premesso all’ azione ma in essa inserito, e collocato nella terza scena dell’atto primo. […] E’ stato osservato da Metastasio il bisogno che essa ha di mutazioni di luoghi per rappresentarsi67, ove non si sappia costruire una scena alla maniera di Liveri.
Era poi verisimile che farse così triviali languide insipide magramente scritte si tollerassero in Roma, quando in essa e nelle altre più chiare città dell’Italia si rappresentavano tante dotte eleganti ingegnose vivaci commedie dell’Ariosto, del Machiavelli, del Bibiena, del Bentivoglio? […] In essa sino all’anno 1772 in Madrid e per la Spagna tutta sono intervenuti nelle processioni non solo sonatori mascherati e danzantes (che nel tempo della mia dimora colà l’hanno sempre accompagnate) ma una figura detta Tarasca, simbolo a quel, che dicevasi, della gentilità o dell’eresia, che seguiva la processione in un carro, e quattro Gigantones figure colossali allusive alle quattro parti della terra, nelle quali si è il gran mistero propagato. […] Non così il signor Vincenzo Garcia de la Huerta (cui uniremmo il volgar saynetero Ramòn La Crux, se meritasse di contarsi tra gli scrittori almen dozzinali) il quale senza saper nè punto nè poco l’italiano idioma, e per conseguenza senza avere o letta o compresa la mia Storia, affettò di mostrar per essa un cieco orgoglioso disprezzo tutto suo, non per altro se non perchè il pubblico l’approvava, e Lampillas l’impugnava colle sue snervate forze. […] L’Italia ha perduto (aggiunsi in essa) uno de’ più zelanti suoi difensori letterarii, e l’autore della presente Istoria il suo antico verace amico in questo valentuomo nativo dì Marzano in provincia di Terra di Lavoro mancato di vivere in età di circa anni sessanta il dì 16 di novembre del 1788. […] S’inganna parimente quando afferma che Lope fu il primo che nel secolo XVI ebbe idea della vera commedia, e circa di essa e delle altre parti della poesia scrisse eccellenti riflessioni piene del sugo di Aristotele e di Orazio .
Stanno poi in essa assai bene ed accomodate allo stato de’ Numantini ridotti a mangiarsi l’un l’altro le care espressioni di Aluro: addio, Olvia, col tuo nuovo amante vivi felice (morendo di fame?) […] Oggi si esige che l’azione inevitabilmente si avanzi al suo fine o in iscena o fuori di essa. […] Or ciò essendo l’editore, ossia l’autore sotto il di lui nome, invano si millantò d’aver fatta una tragedia più artifiziosa di ogni altra francese, perchè per questa parte (e non è poco) essa nè migliora nè peggiora il metodo degli antichi e de’ moderni. […] Adunque anche nell’intervallo degli atti è passata questa importante parte dell’azione, ed essa non è tutta alla vista, come si gloriava l’autore senza utilità e senza verità. […] Non ragionata perchè nulla addita nè degli errori nè delle bellezze de i drammi: non completa perchè non poche altre doveano inchiudervisi: non iscelta, perchè alcune hanno in essa avuto luogo senza merito particolare.
Or da quanto si è ragionato scende per natural conseguenza, che la poesia rappresentativa non nasce nelle tribù de’ selvaggi, perchè essa richiede maggior complicazione d’idee per saper volgere l’imitazione in satira ed istruzione.
Per indagare a qual fine essa si adoperasse, gioverà qui recare ciò che leggesi nel trattato de Theatro del Bulengerob Ecco quello che riferisce coll’autorità dello Scoliaste di Aristofane. « I Villani oltraggiati da’ cittadini anticamente venivano di notte nel villaggio ove dimorava l’offensore e pubblicavano la propria ingiuria ed il di lui nome.
Fu essa poi più tardi da un altro Francese rimpastata e riprodotta sulle scene, come diremo a suo tempoa, Quanto dunque comparve sulle scene francesi anche sotto Francesco I, era una mescolanza grossolana di satira, di religione e di scurrilità, che cominciò a scandolezzare e ristuccare il pubblico, e fece sì che i Confratelli perdessero il teatro, che tornò a convertirsi in ospedale.
Per indagare a qual fine essa si adoperasse, gioverà recare ciò che leggesi nel trattato de Theatro del Bulengero143.
Fu essa poi più tardi da un altro Francese rimpastata e riprodotta sulle scene, come diremo a suo tempo4.
Presso gli Egizii, secondo Diodoro Siciliano, essa fu pena dell’adulterio. […] La real Cappella di quella corte (al cui servizio era addetto il nominato Pepito e Narciso allorchè io colà dimorava) è servita da numeroso coro di castratini educati espressamente in un collegio per cantaro in essa le divine laudi.
Tra’ personaggi s’introducono in essa Moloch e Chamos falsi numi personificati; ma l’autore se ne giustifica, considerandoli come demonii che prendono forma umana. […] Si ammira singolarmente in essa il tratto di generosità di Filto che vuol perdere per qualche tempo piuttosto la stima in apparenza che mancare di fedeltà all’amico.
Tutto in essa è sconcerto, stranezze, puerilità; nè lo stile nè la versificazione rendono tanti spropositi tollerabili.
Ma essa anche può ammettersi in grazia della varietà, e per servire al diletto e all’istruzione della parte più numerosa della società, e a produrre il bel piacere delle lagrime; specialmente quando non si distragga lo spettatore con tratti troppo famigliari ed atti ad alienarlo dall’impressione del dolore e della pietà.
Comunque sia, la Rodiana figura prima tra le commedie del Ruzzante (Vicenza, Giorgio Greco, 1584), e senza di essa non sarebbe la fama di lui attenuata, tanti sono i pregi onde abbondano le altre cinque, e le orazioni e i dialoghi rusticani.
Recitarono a Parigi fino alla fine di luglio del 1614, ora all’ Hôtel de Bourgogne per divertimento del pubblico, ora al Louvre per quello della Corte ; e a mostrar la famigliarità che Arlecchino s’era in essa acquistata, attesta il Malherbe che il 27 gennaio il Re e la Regina Reggente in persona tennero nuovamente un suo figliuolo a battesimo.
A pochi anni di distanza, dopo di avere scritto a essa Pelzet : « non vi faccia specie se (l’Internari) avrà qui quell’applauso che giustamente le nega Bologna.
Apollodoro cui appartiene questa favola, scrisse una commedia intitolata Epidicazomenos, e un’altra detta Epidicazomene dal nome della fanciulla di cui in essa si tratta. […] Scarmigliati i capelli, i piedi nudi, Incolta, rozza, e col pianto sul viso, Vestita malamente: alla per fine, Se in essa il fior della beltà non era, Avrian tai cose ogni bellezza estinta. […] Le parole non ricevono soccorso da veruna prosa marginale (pretesa dal fu Saverio Mattei) che ne dichiari l’azione, e pure essa chiarissimamento si comprende; il che convince d’ignoranza qualche mal istruito pedante, che stimò essere state le antiche tragedie e commedie mutilate da’ gramatici di quella ideata prosa marginale che dinotava le azioni de’ personaggi. […] Ci dice in oltre che Plauto dalla favola di Difilo trasse la sua intitolata Commorientes; ma che avendo in essa lasciata intatta l’avventura del giovane che tolse a viva forza una meretrice a un ruffiano, egli ha voluto approfittarsi di questa parte non toccata, per tessere questa sua commedia. […] Di essa favella Suetonio in Caesar.
L’autore di essa fu uno Spagnuolo domiciliato in Italia, chiamato, per quel che dice egli stesso, Alfonso Ordoñez32. […] Era poi verisimile che farse così triviali, languide, insipide e magramente scritte, si tollerassero in Roma, quando in essa e nelle altre più chiare città Italiane si rappresentavano tante dotte, eleganti, ingegnose e vivaci commedie del Machiavelli, dell’Ariosto, del Bibiena, del Bentivoglio? […] In essa sino all’anno 1772 in Madrid e per la Spagna tutta sono intervenuti nelle processioni non solo sonatori mascherati e danzantes (che nel tempo della mia dimora colà l’hanno sempre accompagnate), ma una figura detta tarasca, simbolo, a quel che dicevasi, della gentilità o dell’eresia, che seguiva la processione in un carro, e quattro gigantones figure colossali allusive alle quattro parti della terra nelle quali si è sì gran mistero propagato. […] Garcia de la Huerta (cui uniremmo il volgar Saynetero Ramòn La-Cruz, se meritasse di contarsi tra gli scrittori almen dozzinali), il quale senza saper punto nè poco l’Italiano, e per conseguenza senza aver letta o compresa la mia Storia, affettò di mostrar per essa un cieco ma orgoglioso disprezzo, non per altro se non perchè il pubblico l’ approvava e Lampillas l’impugnava. […] S’inganna parimente quando afferma che Lope fu il primo che nel secolo XVI ebbe idea della vera commedia, e circa di essa e delle altre parti della poesia scrisse eccellenti riflessioni piene del sugo di Aristotile e di Orazio.
In oltre lo stesso Castelvetro dice nel c. 86 che quando si ballava, si cantava e si sonava, non si recitava la tragedia ciò essendo bisogna dire che essa si recitasse da chi non ballava, non cantava e non sonava, e per conseguenza che gli attori introdotti contro l’esposizione del Castelvetro, avessero un uffizio diverso da quello del ballo, del canto e del suono. […] Ciò che di lui si dice indica l’intelligenza degli antichi nella Prospettiva, mentre la veduta dipinta in quel teatro compariva bella insieme e naturale a cagione delle diverse tinte che davano risalto a tutte le parti dell’architettura in essa espressa.
No, che vergogna in simil rissa rosso renderìa il viso, e più la detta indotta da mero amor fariami in fretta, e in frotta ferir, forar da drudi d’essa il dosso. […] Di questa frase press’a poco si servì il Callot per il frontespizio de’suoi balli di Sfessania (Lucia mia, Bernovallà, che buona mi sa), nel quale essa è intonata a suon di mandòla, di cembalo, e di armonica, e in mezzo alle danze, o meglio a’salti i più vertiginosi.
Quanto alla locuzione Voi sapete quale essa siasi.
Di essa però afferma saviamente uno scrittor francese, che per quanto si esageri dagli zelanti antiquari il merito e l’eleganza di tal componimento, la perdita fattane non apporterà molta pena a chi considera le pietose buffonerie teatrali che si componevano in tal tempo da’ francesi, inglesi, e alemani.
Laonde ci astringe ad una nota non breve e ad implorar per la lunghezza di essa il perdono de’ leggitori. […] Di fatti come non sarebbe la Spagna soggiaciuta a questa specie di anarchia de’ tribunali, e ad altri disordini, se in essa agiva con maggior forza la medesima cagione che gli produceva altrove? […] La pubblicazione poi degli Statuti di essa seguì nel 1584 nella stessa Roma, cioè trecentoventi anni dopo dell’istituzione.
Soprattutto in essa comendiamo il soliloquio di Prometeo nella 1 scena, e l’ultima sua disperazione. […] Calsabigi fermo nel proposito di raddrizzare il trono giacente dell’opera mitologica, impiegò tutto l’ apparato naturale di essa de’ demonj e delle furie danzanti e della descrizione del Tartaro nelle sue Danaidi che fe porre in musica dal nostro Millico; ma non si rappresentò. […] Molti che ci hanno preceduto (e l’accennai sin dal 1777) in parlar dell’opera, volendo additarci in che essa differisca dalla tragedia, posero tal differenza nell’unità di luogo, nell’esito tristo o lieto della favola, nel carattere del protagonista, nel numero degli atti, e nel verso.
Non potendo più applicarsi con frutto la più deliziosa fra le arti d’imitazione ai grandi oggetti della morale, della legislazione e della politica, come si faceva dai Greci, né trovandosi oggimai animata da quello spirito vivificante, che seppero in essa trasfondere i Danti, i Petrarca, i Tassi, gli Ariosti, e i Metastasi, si vede in oggi ridotta la meschinella a servir di patuito insignificante complimento per ogni più leggiera occasione di sposalizio, di monacazione, di laurea, di nascita, di accademia, e di che so io, senza che altre immagini per lo più ci appresenti fuor di quelle solite della fiaccola d’imeneo che rischiara il sentiero alle anime degli eroi, i quali attendono impazienti lassù nelle sfere il felice sviluppo del germe, o di quel cattivello d’Amore che spezza per la rabbia lo strale innanzi alle soglie che chiudono la bella fuggitiva, o di Temide che avvolta in rosea nuvoletta fa trecento volte per anno il viaggio dell’Olimpo fino al collegio dei dottori a fine di regalare la bilancia e la spada a saggio ed avvenente garzone, o della povera Nice, cui si danno dagli amanti più epiteti contradditori di pietosa e crudele, d’empia e benigna, di fera e di scoglio, di Medusa e di Aurora, d’angioletta o di tigre che non iscagliò contro a Giove il famoso Timone nel dialogo di Luciano. […] Posto questo principio chiaramente si scorge che il canto è il dominante oggidì nel melodramma, che su questo perno si raggira tutta l’azione, che 1a poesia ubbidiente allo stabilito sistema non è altro che una causa occasionale, un accessorio che dà motivo alla musica ma che dipende affatto da essa, e che per conseguenza, rinunziando ai propri diritti per modellarsi su quelli della padrona, ha dovuto metter in non cale la condotta, lo sceneggiar, l’orditura, trasandar lo stile e la lingua, perder mille situazioni vive e appassionate e accorciar i recitativi divenuti ormai fastidiosi e languidi, in una parola strozzar i componimenti per badar solo al pattuito cerimoniale di mezza dozzina d’arie cantabili, d’un duetto, d’un trio, o d’un finale tratto, come suol dirsi, pe’ capegli. […] Ma il peggio è che non ogni favella, non ogni tuono di essa è proporzionato al canto. […] Lo stesso dico delle similitudini posticcie attaccate in fine delle scene, lo stesso del numero e qualità dei personaggi, lo stesso della maniera d’intrecciare l’azione e dell’orditura di essa, cose tutte lavorate sul medesimo disegno e che dispensano il poeta dal badare alla retta imitazione della natura e alle difficoltà che presenti un tragico lavoro accontiamente eseguito.
Affermava ancora che essa presso i Romani non ebbe felice incontro. […] Può non pertanto osservarsi in essa più di uno squarcio in cui la locuzione è sobria. […] ma possono in essa senza oltraggio del buon senno ammirarsi varii tratti veramente sublimi, e certa vivacità di colorito nelle passioni che difficilmente si rinviene altrove. […] Al contrario; fin quì essa nè anche può dirsi incominciata.
E senza le ostilità, che incessantemente essa pratica contro gli ornati spropositatissimi e i ghiribizzosi fogliami e le triterie ridicole, quando spereremmo di vedere totalmente atterrate le reliquie della barbara Architettura? […] Coloro che rilevano la primera rozzezza de’ Romani non riflettono, che essa non l’impedi di gettare stabili fondamenti per divenire una Nazione grande, e possente?
Secondo ciò che ne scrive lo stesso Sulpizio nella dedicatoria delle sue Note sopra Vitruvio al cardinal Raffaello Riario nipote di Sisto IV, essa fu la prima veduta in Roma dopo molti secoli. […] Aggiugneremo con pace del Signor Andres, che essa parimente prevenne le altre nazioni Europee in produrre i primi indubitati pezzi teatrali in lingua volgare (giacchè è piaciuto a quest’autore altro non potendo ricorrere a quest’asilo) nè solo coll’ Orfeo, ma con altri drammi eziandio, per cui vedere basterebbe agli apologisti oltramontani rileggere i nostri libri senza gli occhiali colorati di Plutarco.
E tanti furon davvero gli applausi, che ad essa dovette il Goldoni la sua andata a Parigi, e a Parigi assistè a nuove rappresentazioni di quella fortunata bagattella, che ’sta volta, con suo grande stupore, fu innalzata alle stelle sul teatro della Commedia italiana. […] Dopo il successo entusiastico di questa, è ben naturale che si ascoltasse con rispetto un nuovo lavoro e magari con buon volere si applaudisse più qua più là nelle parti buone, tanto da fare scrivere dal Goldoni al Paradisi che la commedia fortunatamente era riuscita bene ; e far mettere nella prefazione di essa (Ediz.
Essendo lui morto nell’autunno del ’28 a Verona, e lei avendo terminato la scrittura col carnevale del ’29, si recò, in compagnia della madre, a Vicenza, per sostener le parti di prima attrice in quella filodrammatica…. che lasciò dopo un anno per formare una compagnietta, della quale essa era, si capisce, direttrice, prima attrice, matatrice, e…. si può capire anche questo, infelice ! […] Lottini a Giuseppe Bosio (Bassano, 1°maggio ’41) per sapere se la Bettini intenda o no di accettare le proposte Mascherpa, dipendendo da essa sola l’avvenire della Compagnia, della quale naturalmente il Lottini fa parte.
Ma, secondochè bene osserva il Maffei nel Ragionamento degl’Itali primitivi, a chi venne con Demarato si attribuisce altresì in parte la pittura, e pure, per osservazione dello stesso Plinio, era essa già perfezionata in Italia molto innanzi, come abbiam veduto.
Ognuno doveva pensare al proprio vestiario, eccettuato Fabio Sticotti, marito di Orsola Astori, la cantatrice, al quale eran forniti gli abiti dalla Compagnia, e da essa poi conservati insieme agli altri che le appartenevano, come di comparse, ecc.
Non farò discorso se non per incidenza di quella parte che spetta il costume de’ suoi personaggi, non già perch’io non la creda utilissima anzi necessaria al sommo in un poeta drammatico, né perché stimi che siasi Metastasio mostrato in essa più trasandato che nelle altre, ma perché dovendo restringermi fra i limiti di quella discreta brevità, che richiede il mio metodo, non potrei trattare se non di volo una materia, la quale avrebbe per esser collocata nel suo vero lume bisogno di lungo esame e d’indagine più circostanziata. […] Allora l’errore confuso colla verità si divinizza insieme con essa sulle are del pregiudizio, e lo stolido volgo dei lettori somigliante agli antichi abitatori dell’Egitto adora il fango del Nilo credendolo un germe di divinità. […] Da essa proviene che i personaggi vadino, venghino, si fuggano e s’incontrino in sulla scena non già come richiederebbero le circostanze e la situazione, ma come torna più in acconcio al poeta. Da essa deriva che gli attori parlino ad alta voce, se la intendano e siano intesi dagli uditori senza che il terzo, che è presente, se ne accorga pure d’un solo accento. Da essa nasce che favellino alternativamente con troppo studio imitando l’uno i sentimenti dell’altro, come fanno i pastori nell’egloghe amebee di Teocrito.
I Francesi si confermarono nella credenza di esser passata la moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’effetto della debolezza del Longepierre. […] Lo stile della Inès generalmente è migliore di quello del Romolo; ma essa non ha nè la versificazione, nè l’eleganza, nè la poesia, nè l’abbondanza, nè la grandezza, nè la delicatezza de’ sentimenti di Racine. […] Belo in essa è un traditore senza discolpa enunciato come virtuoso. […] Cesarotti, ed altri eruditi esteri ed Italiani, che certi sedicenti profondi pensatori (i quali non per tanto galleggiano come cortecce di sughero in ogni materia), quando non vogliano ripetere al loro solito senza citare, non saprei che cosa potranno dir su di essa, come millantano, in vantaggio dell’arte drammatica.
La fecondità dunque d’un’ idea vuole avere un termine, oltre al quale essa non sarebbe più grata. […] Le tragedie, che di essa rimangono, spirano da per tutto questo carattere della nazione: essendo i personaggi di quelle magnanimi e grandi, ma a un tempo stesso impetuosi e inumani. […] Non fu dunque senza ragione che essa cambiò il tragico finimento di tristo in lieto. […] Da che essa cominciò a comparire su’ teatri d’Europa, e a far sentire quel suo inudito, distintissimo, inimitabil gorgheggio, tutto divenne gorgheggio sopra i teatri. […] Infatti l’immodesta licenza, a cui altra volta si lasciaron trascorrere, rovinò la loro arte, attirando sopra di essa i fulmini del sacerdozio e dell’impero.
Scrivendo di essa a Firenze a Giovanni de’ Bardi de’ signori di Vernia, afferma lo stesso autore d’ averla cara quanto la tragedia , e che con tre lettere in otto giorni gliela dimandò il duca di Mantova per farla rappresentare. […] La lingua castigliana riuscirà sempre più della francese nel trasportare le poesie italiane, perchè oltre all’essere assai ricca, ed al possedere non poche espressioni che alle nostre si confanno, essa ha qualche parola poetica più della francese, e credo che ne avrebbe ancora più, se più conosciuto e secondato si fosse dalla propria nazione nel disegno di arricchire, ed elevare la patria poesia Fernando Herrera buon poeta Andaluzzo, e sovente armonioso e felice imitatore del Petrarca.
Scrivendo di essa a Firenze a Giovanni de’ Bardi de’ Signori di Vernia afferma l’istesso autore d’averla cara quanto la tragedia, e che con tre lettere in otto giorni gliela domandò il duca di Mantova per farla rappresentare. […] La lingua Castigliana riuscirà sempre più della Francese nel trasportare le poesie Italiane; perchè, oltre all’ essere assai ricca, ed all’avere non poche espressioni che alle nostre si confanno, essa ha qualche parola poetica più della Francese; e credo che n’avrebbe ancora in maggior copia, se più fosse stato pregiato e conosciuto e secondato dalla propria nazione nel disegno di arricchire ed elevare la patria poesia Fernando Herrera buon poeta Andaluzzo e sovente armonioso e felice imitatore del Petrarca.
Vago in essa è pur anco il colorito degli affetti episodici della virtuosa e sensibile Paolina e dell’appassionato e nobile Severo. […] In simil guisa declinando il passato secolo pose in Francia il suo seggio una specie di tragedia inferiore alla greca per energica semplicità, per naturalezza e per apparato, ma certamente da essa diversa per disegno e per ordigni, forse più nobile per li costumi, e fondata su di un principio novello.
Il Tafuri con molta probabilità pretende che fosse nelle vicinanze della città di Taranto, e che dalle ruine di essa sorgesse la terra delle Grottaglie.
Cade in fine il sospetto sulla finta donna, per non essere essa da veruna conosciuta. […] Il dotto Udeno Nisieli ha rilevate le sconcezze del viaggio fatto da Bacco in sì poco tempo dalla superficie della terra al centro, passando il semidiametro di essa di 3436 miglia; dalla qual critica s’impara il sito dell’inferno de’ Greci. […] Può ben dirsi però che in essa il Comico temerario osò attaccare la stessa virtù e preparare gli animi degli spettatori a udir senza ribrezzo calunniare un uomo di merito eminente e a vederlo poscia denunziare all’Areopago, o sia al Consiglio de’ Cinquecento. […] Ma se la copia (aggiugne l’avveduto scrittore) è più conforme a’ nostri costumi, non pertanto essa è meno vivace del l’originale. […] Questa è una scena episodica del comico più basso e triviale che forse per qualche allusione potè allora piacere agli Ateniesi, e che ha dato al Nisieli motivo di declamar fortemente, quasi in essa consistesse tutto il pregio della farsa degli Acarnesi.
Lilio Gregorio Giraldi ne’ dialoghi de’ poeti dice aver il Rucellai voluto in essa imitare l’Ecuba d’Euripide. […] Che se s’ammise sotto il nome della tragedia ogni sorta di fatti illustri indistintamente, non aveva essa ricevuta ancora dalle regole la spezial forma. […] Certo l’azione di Coreso che si scuopre nel terzo è distinta dalla prima da cui essa deriva. […] Io siccome riconosco in essa delle pregevoli qualità; così non la ritrovo senza difetti: ma dubito che il mio giudizio non s’incontrerà con quello degli altri che sinadora l’han censurata. […] Impropria stimo anche nella reina la digressione delle lodi della figliuola nella quale dice, fra l’altre cose, che il cielo non ha formato nulla di più bello e che la natura si è per essa resa esausta de’ suoi tesori.
Osservammo nel tomo precedente, che la legge or dirige or aguzza gl’ingegni, e l’ arte ne acquista perfezione; ma ciò s’intende quando la legge, cioè la ragione, gastiga i delitti, non già quando un’ arbitraria indomita passione infierisce contro l’innocenza, e punisce in essa i proprii sogni e vaneggiamenti. […] Non fu tragico Anassandride, come lo stimò il Signor Andres nel parlar rapidamente di ogni letteratura, ma comico della commedia mezzana, secondo Ateneo, ed in essa, e non nel teatro tragico, introdusse le deflorazioni e le avventure amorose.
Quindi è che appaiono come torrioni di giganti quei personaggi che si affacciano dal fondo della scena, facendocegli giudicare oltre modo lontani la prospettiva e l’artifizio appunto di essa scena.
Era essa chiamata nella sua patria la bella Cappellarina, perchè figlia di un fabbricante di cappelli.
Anzi in essa buona parte ebbe il Pasquati, chè, non solo, a dire del Porcacchi, s’ era in dubbio qual fosse maggiore in lui o la grazia, o l’acutezza dei capricci spiegati a tempo e sentenziosamente nella rappresentazione data in onore di Enrico III al Fondaco de'Turchi a Venezia la sera delli 18 luglio 1574 ; ma lo stesso Re, che desiderò poi di avere la Compagnia in Francia, scrivendone al suo ambasciatore a Venezia, Du Ferrier, il 25 maggio '76, gli chiedeva e raccomandava sopra tutto il Magnifico che aveva recitato a Venezia davanti a lui.
Lunga essa fia, Eterna fia! […] Parmi in essa singolarmente eccellente la scena di Ulisse con Ecuba e Polissena nell’ atto primo, dove coloro che intendono ed amano le dipinture naturali, si sentiranno, scoppiare il cuore per la pietà. […] E pure essa ne contiene una sola, cioè la vittoria riportata sopra Euristeo a favor degli Eraclidi, e ristretta dentro un discreto periodo di tempo. […] Nell’atto quarto essa riceve la notizia della vittoria d’Illo e di Jolao e degli Ateniesi, avvelenata però da quella della fanciulla immolata, ma neppure si mostra in alcun modo sensibile alla di lei morte. […] Per non rifare il fatto sull’accennata quistione, ei rimettiamo alle diligenze praticate intorno ad essa dal dotto Brumoy T.
197.) perchè, cercando l’origine delle arditezze della Commedia Italiana ravvisate anche dall’erudito Brumoy, accenna, che gli Autori di essa furono persone nobile condecorate, e perciò satireggiavano con franchezza. […] Ma i savj stessi della Nazione non rifinano di declamare contro di essa Commedia, conoscendone gli errori, e di consigliare una riforma.
E qual parte, e quanta di essa ha egli osservata? […] Favole sceniche parmi, che appena in essa se ne trovino finora inserite cinque o sei.
Essa possedeva Tassi, Ariosti, Trissini, Raffaelli, Buonarroti, Correggi, Tiziani e Palladii: essa volle ancora i suoi novelli Apollonii, Pappi, Taleti, Anassimandri e Democriti, e n’ebbe copiosa splendidissima schiera nel Porta, nel Galilei, nel Fontana, nel Borrelli, nel Cavalieri, nel Torricelli, nel Viviani, nel Cassini, nel Castelli, nel Monforte, e in tanti altri insigni membri delle Accademie de’ Segreti, de’ Lincei, del Cimento, degl’Investiganti, de’ Fisiocritici, degl’Inquieti, della Società scientifica Rossanese. […] E fui con essa e quella notte ed altre.
In simil guisa declinando il passato secolo pose in Francia il suo seggio una specie di tragedia inferiore alla greca per energica semplicità, per naturalezza e per apparato, ma certamente da essa diversa per disegno e per ordigni, forse più nobile per li costumi, fondata su di un principio novello. […] Sembra dunque che l’eroe legislatore diventi nullo nella tragedia, e che non si vegga in essa la sua virtù posta in azione sino a che non ne diviene la vittima.
Di fatti come non sarebbe la Spagna soggiaciuta a questa specie di anarchia de’ tribunali e ad altri disordini, se in essa agiva con maggior forza la medesima cagione che li produceva altrove? […] La pubblicazione poi degli Statuti di essa seguì nel 1584 nella stessa Roma, cioè trecentoventi anni dopo dell’istituzione.
[1.40ED] Ci sono certi invidiosi della felicità del loro secolo che attribuiscono tutto a’ passati e massimamente a quelli ne’ quali fiorivano i Greci; non vogliono che si possa più conseguire altra gloria che quella del somigliarli come ombra corporea. [1.41ED] Io mantengo che costoro sono pazzamente invidiosi della moderna gloria e sono evidentemente ingiusti al nostro confronto, non invidiando noi agli antichi l’onore di primi inventori. [1.42ED] Vogliamo ancora liberalmente attribuire a’ tuoi Greci qualche parzialità della provvidenza divina che abbia meglio organizati e disposti que’ primi ingegni destinati per essa ad inventare, con simmetria che potesse accreditarsi fra gli uomini, quelle cose che dovean servir d’esemplare e procacciar de’ seguaci; laonde si sono propagate tutte le arti nella posterità. [1.43ED] Vogliono di più i vostri Greci? […] — [2.64ED] — Mi vien supposto — soggiunsi — che i tragici greci non abbiano mutato mai scena e di questa costante opinione è il padre Scamacca in un suo discorso stampato in fronte di uno de’ volumi di sue tragedie italiane; e per ciò molti Franzesi appunto fanno del lor teatro una sala, nella quale sfogano per diverse porte più appartamenti, dimodoché quella sala diventa come un’anticamera degli appartamenti che in essa riescono ed ivi ciascun personaggio discorre i propri interessi, come in una sala di sua ragione. […] [4.77ED] Il ritmo dunque, che rende armoniosa l’orazione disciolta, non basta a separar da essa l’orazion legata italiana, quando non vi si aggiunga la rima, che sostanzialmente dalla prosa il verso italiano distingue. […] [4.149ED] Ma l’equilibrio della divisione vuole che, siccome per render musiche la lingua latina e la greca è stata assegnata la quantità tassata de’ piedi, così a render musiche le altre lingue di essa quantità non capaci fosse assegnato il ritmo e la consonanza. [4.150ED] Lo spagnuolo dunque nel suo verso drammatico usa le rime, le usa il tedesco, l’inglese e il franzese. [4.151ED] Ciascuna di queste nazioni ha misura e rima nel verso, e la sola lingua italiana, che nel verso tragico sciolto non ha che misura, vorrà essere la più povera d’armonia di tutte le altre lingue morte o viventi e dentro e fuori d’Europa? […] [6.44ED] E per spiegarmi più chiaramente, ti sia noto numerar noi tre sorte di musica, l’una naturale o diatonica per le poesie recitative; una figurata e cromatica per le poesie liriche, le quali si accompagnano co’ loro strumenti; un’altra enarmonica propria ad eccitare le passioni e i movimenti dell’animo. [6.45ED] Ora, queste tre specie di musica tutte si radunano nella tragedia per renderla affatto dolce, e principalmente le due diatonica ed enarmonica, imperocché quando in essa parlano gli attori senza passione, allora la voce dee uscir sostenuta ed eguale, senza arrestarsi ne’ tuoni alti e bassi, così convenendo alla diatonica; ma, quando passionatamente si esagera, allora la voce non è così eguale, ma si accosta più al cantare che al parlare, come è dicevole all’enarmonica.
L’arte del suono è stata coltivata dipersè in Italia e in Germania da uomini eccellenti, che hanno saputo ritrovar in essa bellezze inusitate e novelle modificazioni di gusto. […] E le circostanze particolari che danno sì gran mossa e vivacità alla eloquenza di Virgilio, come sarebbe a dire, le strane vicende per le quali è pervenuto quel ferro da i campi di Troia fino ai lidi di Cartago, il diverso fine cui serbavalo Enea, lo sfortunato e miserabil uso che ne fa Didone, l’eccesso di passione che la guida a troncare sì lagrimevolmente i suoi giorni, l’avvenenza, le grazie e le altre ragguardevoli doti che degna rendevano la bella regina d’assai più lieto destino, i benefizi renduti da essa al principe troiano, e l’ingratitudine imperdonabile di costui verso una principessa cotanto amabile, mille altri aggiunti insomma che feriscono, a così dire, il cuore a colpi raddoppiati, e dall’aggregato de’ quali risulta poi nello spirito quella sensazione complessa che ci intenerisce e ci attacca agli oggetti imitati; tutto ciò, io dico, è intieramente perduto per gli strumenti. E questa è la cagione altresì per cui le suonate, le sinfonie, i concerti e gli altri rami di musica strumentale, di rado o non mai svegliano in noi quel vivo interesse che sogliono destare il canto e la poesia, le quali esprimendo una qualche passione determinata che si contempla dall’anima in tutti i suoi aspetti, eccita in noi altrettanti motivi di attaccamento verso l’oggetto di essa quante sono le individuali circostanze, che vi si scorgono. […] Considerata dal compositore essa è l’espressione d’una idea o pensier musicale, che si chiama comunemente motivo, nel quale, come su una gran tela, la musica si propone di pennelleggiare un qualche oggetto propostole dal poeta, prendendo dalla melodia il disegno, e il colorito dagli strumenti.
Volle mostrare in essa come potevasi satireggiare comicamente l’abuso de’ nobili e de’ricchi che gli contraffanno in tutto, i quali costringono le loro donzelle a chiudersi ne’chiostri per non recare scapito alle sostanze della famiglia destinate a passare a’primogeniti. […] Sopravviene Cadigia prima moglie di Maometto, e Confucio per essa intende che Maometto è un Capisetta Legislator Profeta Condottiero arricchito da Cadigia. […] Per propria natura essa sarebbe una commedia musicale, cui al più si permette che si avvicini alla farsa, ma non già a’ vaneggiamenti di pazzie d’infermi, come sono i tanti malcuciti e sconnessi centoni che corrono per l’Italia e più oltre ancora. […] Comicamente si rilevano in essa le ridicolezze di coloro che vogliono dare ad intendere di studiare le dozzine di anni la natura de’ragni e de’gatti. […] E vero che la gallica peste lagrimante spazia ed infetta i commedianti Lombardi che la portano intorno, ed illude qualche elegante scrittore innocente e qualche lavorator periodico che in essa giurano alla cieca.
di quanta indulgenza dell’uditorio essa non ha bisogno per partorire una competente illusione!
., che essa vince di gran lunga il gregge numeroso de’ viaggiatori transalpini stravolti, leggieri, vani, imperiti e maligni, tuttochè tanti sieno i Sherlock e gli Archenheltz23.
Lo Scribe ad udirlo ne restò incantato ; e la famosa simpatica Malibran, grande attrice ancor essa, senza aver mai parlato con lui, scese dal suo palchetto in palco scenico a dargli un bacio ; ed ei dopo averlo cordialmente assa porato, le disse che non si sarebbe lavato il viso per cent’ anni.
Questo fu d’introdurre le dissonanze, cioè quell’intervallo ove l’accordo di due suoni si trova così differente e sproporzionato che l’orecchio non può determinare se non difficilmente il rapporto loro, lo che essendo cagione all’anima di qualche pena, a motivo che essa appetisce l’ordine fin nella varietà stessa56, rende cotal rapporto de’ suoni spiacevole. […] Il cavalier Planelli pretende che verso la metà del secolo scorso cominciassero «a inserirsi le arie nei melodrammi poiché fin allora tutto fu in essa recitativo, e la musica fu tutta in istile recitativo composta.
Alcuni contrapposti cittadineschi che in essa si trovano, la rendono più che ogni altra, varia ed interessante. […] Egli ci fa eziandio sperare un’idea del teatro tedesco, volendo in essa restringere quanto vanta di più eccellente la Germania in fatto di tragica e comica poesia.
Il nostro Fiorilli, divenuto, come abbiam detto, in essa famigliare, spillava di quando in quando dal tesoro dello Stato qualche supplemento straordinario. […] Da questo momento non s’han più indizj della presenza di Marinetta a Parigi, il che fa credere ch’ ella fosse in quest’ ultimo viaggio condotta a Firenze, ove si stabilì separata dal marito, forse per incompatibilità de’ caratteri, essendo essa più tosto uggiosa, e venendo egli di dì in dì più avaro.
El Amor al uso del medesimo autore é una commedia regolare che contiene un’azione di ventiquattr’ore, costumi ben delineati, e stile giudizioso: essa fu tradotta da Tommaso Corneille e intitolata l’Amour à la mode.
di quanta indulgenza dell’uditorio essa non abbisogna per partorire una competente illusione!
Di essa non sappiamo indicar edizione alcuna: contuttociò, per quanto ci riferisce il Tiraboschi, conservarsene copia a penna, ma senza nome di autore, nella Biblioteca Estense, e Alberto da Eyb ce ne ha dato un estratto144.
Se si attenda all’attività dell’azione, la commedia latina divideasi in motoria e stataria; se si miri alla natura de’ costumi imitati, essa era palliata, ossia greca, o togata, ossia romana; e quest’ultima dividevasi in togata propriamente detta, in tabernaria, ed in Atellana.
Se si attende all’attività dell’azione, la commedia latina dividevasi in motoria e stataria: se si mira alla natura de’ costumi imitati, essa era palliata, ossia greca, e togata, ossia Romana; e quest’ultima suddividevasi in togata propriamente detta, in tabernaria, e in Atellana.
Non ha essa altri mezzi e più certi e più efficaci per liberare il figlio e punire Asur? […] Ecco come in essa si favella de’ cattivi drammi francesi de’ giorni nostri: Je ne saurais souffrir ces bourgeoises douleurs, Dont on veut profaner la scène de Molière… Je ne me pique pas de ce ton emphatique, De ce style imposant, lugubre, magnifique; Mais j’ose maintenir que vos drames bourgeois Outragent Melpomène et Thalie à la fois; Que c’est mal à propos embrouiller les deux scènes; Que tous ces lieux communs, et ces peintures vaines De crimes révoltants, d’incroyables vertus, Ces traits exagérés et toujours rebattus, Aussi loin du bon sens que loin de la nature, Sont du plus mauvais goût la preuve la plus sûre.
[3] Il politico, osservando unicamente gli oggetti per la relazione che hanno colla civile economia e coi fini dello stato, lo riguarda come un luogo atto a far circolar il danaro dei privati e a render più brillante il soggiorno d’una capitale; come un nuovo ramo di commercio, ove si dà più voga alle arti di lusso pella gara che accendesi scambievolmente di primeggiare negli abbigliamenti e pel maggior concorso de’ forastieri chiamati dalla bellezza dello spettacolo; come un ricovero all’inquieta effervescenza di tanti oziosi, i quali in altra guisa distratti potrebbono alla società divenire nocivi, impiegando contro di essa non meno i propri divertimenti che le proprie occupazioni; come un mezzo termine infine opportuno a dileguar i bisbigli de’ malcontenti, o a impedire le ragunanze sempre di torbidezza feconde e di pericolo.
celebri professori di essa in Italia 352. in Germania 405. gl’Inglesi migliorano la loro sul gusto italiano 396.
Singolarmente si ammira in essa il tratto di generosità di Filto che vuol perdere per qualche tempo piuttosto la stima in apparenza che mancare di fedeltà all’amico.
E talmente mi compiacqui in essa, ch’io lasciai di recitare la parte mia principale, la quale era quella dell’innamorato. […] Di essa Compagnia facevano parte : UOMINI Andreini Francesco Capitano Spavento Lodovico da Bologna Dottor Graziano Giulio Pasquati da Padova Pantalone Simone da Bologna Zanne Gabriele da Bologna Francatrippe Orazio, Padovano Innamorato Adriano Valerini da Verona Id.
L’Imenea potrebbe dirsi delle otto la meno spropositata, ma essa in altro non consiste che in una languida filza di scene insipide e mal cucite, nelle quali si ripetono varie situazioni, si ritraggono i caratteri senza niuna verità, e l’azione si scioglie, non perchè trovisi giunta al segno di svilupparsi per necessità, ma perchè il poeta ha stimato arbitrariamente di conchiudere, facendo che quel marchese, il quale senza ragione si opponeva al matrimonio di Febea sua sorella con Imeneo che l’ama, senza ragione ancora poi vi consenta, tuttochè mutata non sia o la situazione, o lo stato, o le circostanze de’ personaggi.
In essa un eremita vestito da frate monta di notte per una scala sulla finestra di una donna maritata, e vi ricomparisce dicendo, questo è per mortificar la carne.
La terza tragedia del nuovo teatro tragico del Pepoli è l’Agamennone, la quale per compiacenza dell’autore che me la rimise, lessi inedita nel 1791, e si è poi impressa in Venezia nel 1794 con una mia lettera preliminare su di essa e sulle altre antiche e moderne tragedie intorno ad Agamennone, pervenute a mia notizia. […] Tutto in essa è patetico, tragico, ed in ottimo e puro stile espresso1. […] Si rende essa notabile per una fedeltà signorile che fa conoscere talmente le grazie latine di Plauto nelle maniere italiane, che pajono originali. […] In essa volle mostrare come potevasi satireggiare comicamente l’abuso de’ nobili e de’ ricchi che gli emulano, i quali costringono le loro donzelle a chiudersi ne’ chiostri per non recare scapito alle sostanze della famiglia destinate a passare a’ primogeniti; la qual cosa con mal consiglio e con poco frutto intrapresero in Francia gli autori della Melania e dell’Eufemia tragiche e lugubri rappresentazioni senza fortuna e senza merito. […] In essa gl’interessati all’impresa facevano finir così la prima scena ottimamente, Tutto perdei, per me non v’è più mondo.
Parmi in essa singolarmente eccellente la scena di Ulisse con Ecuba e Polissena nel l’atto primo, dove coloro che intendono ed amano le dipinture naturali, si sentiranno scoppiare il cuore per la pietà. […] Ma le ragioni che ne adduce mostrano di non essersi egli curato molto di provvedersi di lumi sufficienti per distinguere la tragedia maneggiata da’ Greci dalle specie di essa adottate da i loro posteri.
In questo si dimostra che tosto che la musica apprese a dipingere e a parlare, disparvero gl’incanti e la mitologia, e le divinità vidersi bandite dalla scena allorchè essa imparò ad introdurvi gli uominia.
Prima io ne cauo tutte le parti ben corrette, e quindi, eletti i personaggi che mi paiono più atti [auuertendo il più che si puo, a quei particolari di che ragionaremo più avanti] li riduco tutti insieme ; et consegnato a ciascuno quella parte che piu le si conuiene, fò legger loro, tutta la comedia tanto, che sino a i fanciulli che ui hanno d’ hauer parti ; siano instrutti del soggetto di essa, o almeno di quello che a lor tocca. imprimendo a tutti nella mente, la qualita del personaggio, che hanno da imitare ; et licentiati con questo, le dò tempo di poter imparar le parti loro. […] Et addice molto aggiungere sotto alla laurea, una capillatura posticcia, si per trasformare il personaggio, come per farlo parere persona antica. et questo haurà da uenire subito calate le tende, con passo lentissimo et graue da la estrema parte della scena. et giunto con tardità a mezo d’ essa ; fermarsi tanto ; che senta ridotto in silentio quel bisbiglio, che suol sentirsi in cosi fatti lochi : et poi agiatamente incominciare.
Ma, così parlando il Buontempi, o ingannò se stesso, o volle gittar la polvere sugli occhi a’ lettori: imperocché basta scorrer soltanto di volo le due prefazioni poste dal Kirchero avanti alla Musurgia per veder ivi espressi i nomi di quelli stessi compositori romani citati dal Buontempi con più altri assai de’ più famosi, i quali o consultati, o pregati, o con musica, o con trattato, o in altra maniera concorsero al compimento di quell’opera, di che l’autore ne ricava per essa un buon augurio di durevole fama.
I greci che nella poesia ravvisarono l’amore per l’aspetto del piacere de’ sensi, non l’ammisero nella tragedia, reputandolo fuor di dubbio ad essa non conveniente.
Il poetastro attende l’esito di una commedia che ha data al teatro, e col prezzo di essa promessogli nel caso che la commedia riesca accetta al pubblico, e col frutto sperato della impressione, si lusinga di ammobigliare la casa per la sorella, pagare i debiti dello sposo, e sostentar la propria famiglia.
In essa Dorante ingannato dagli abiti di Lisetta la prende per Lucilia, e la rimprovera per averla sorpresa nell’atto che Dami le bacia la mano.
Perché una general corruttela avea tarpate le ali dell’entusiasmo, come quelle della virtù; perché la poesia fu riguardata soltanto come ministra di divertimento e di piacere, non mai come strumento di morale o di legislazione; perché essendo disgiunta dalla musica aver non poteva un vigore che non fosse effimero, né una energia che non fosse fattizia; perché trar non si seppe alla unione di quelle due arti il vantaggio che sarebbe stato facile il ricavare in favore della religione, mal potendosi eccitar l’entusiasmo religioso nelle cerimonie ecclesiastiche colla musica semibarbara, che allora regnava, applicata ad una lingua, cui il popolo non intendeva, onde mancò la poesia innale, e con essa uno dei fonti più copiosi del sublime poetico; perché i governi non pensarono a dar all’impiego di poeta e di musico l’importanza che gli davano i Greci, giacché invece degli Stesicori e dei Terpandri, che in altri tempi erano i legislatori e i generali delle nazioni, si sostituirono ne’ secoli barbari i monaci e i frati che convocavano a grado loro il popolo, intimavano la guerra e la pace, si mettevano alla testa delle armate, ed erano non poche fiate l’anima de’ pubblici affari; perché finalmente, non potendo la lirica eroica giugnere alla perfezione, di cui è suscettibile, se non quando vien considerata come un oggetto d’interesse, e di generai entusiasmo, i poeti italiani d’allora non potevano eccitar né l’uno né l’altro per l’indole della loro lingua troppo fiacca per inalzarsi alla sublimità de’ Greci e degli orientali, e per le circostanze altresì della loro nazione troppo divisa perché lo spirito di patriotismo vi si potesse vivamente accendere, e troppo agitata da intestine discordie, e dalla inquieta politica di certe corti, perché vi si potesse sviluppare quell’interesse generale, che fu mai sempre il motore delle grandi azioni. […] Si fondarono ancora in Milano, in Bologna e altrove cattedre di musica teorica, donde incominciossi a scrivere intorno ai principi specolativi di essa, e vennero tra gli altri illustrandola il citato Gaffurio, il Valguglio, Ludovico Zucconi, Alessandro Canovio, Francesco Caza, Pietro Aron, Niccolò Burzio, Giovanni Spatario, Francesco Bocchi, il Doni vecchio, il Barocci, l’Artusi, il Bottrigari bolognese con altri molti, ma sopra tutti Zarlino di Chioggia scrittore insigne, che divenne colle sue istituzioni armoniche maestro fondamentale nel genere pratico.
Gli spettatori non vedevano tra essa e loro quella distanza infinita, la quale, togliendo ogni proporzion fra gli estremi, rende inapplicabile qualunque teatrale imitazione.