Prima di chiudere la classe de’ nostri moderni tragici, per dar certo riposo all’ammirazione di chi legge, e per riserbarla agli ultimi due buoni scrittori de’ quali rimane a dire, mentoveremo alcune tragedie latine di questo secolo, indi altre italiane rimaste inedite, ed alcune altre che i proprj autori hanno voluto imprimere. […] Ad esserne questo un requisito essenziale, ne seguirebbe, che per noi moderni non sieno tragedie quelle che ci rimangono del teatro greco, non potendosi avere in conto di nazionali nè da noi, nè dagli Spagnuoli, nè da’ Francesi, nè dalle altre nazioni settentrionali. […] Ma perchè non imparar prima quest’arte da Sofocle, da Eschilo, da Euripide, o almeno tra’ moderni dall’Alfieri, dal Maffei, dal Granelli, dal Pindemonte? […] Questa tragedia di personaggi troppo moderni di picciolo stato non regge al confronto di quelle ove intervengono Romani, Greci, o Barbari antichi grandi nella pubblica opinione, i quali opprimano o difendano la libertà. […] Non mi spiace che in una breve strofetta da cantarsi si accenni che Adelvolto avea un pugnale ascoso, che gridò, Elfrida, se l’immerse nel seno, e spirò; imperocchè colla musica si fugge la noja di una narrazione finale; che ne’ moderni teatri musicali non suole ascoltarsi.
Ma il Montiano incalza il nemico che si ritira, e grida, e pretende che ciò sia contrario all’uso antico e al moderno, e aggiugne: “Questa intolerabile licenza, se vi ha alcuno che ne abbia usato o ne usi, è la cosa più sconnessa degli antichi e de’ moderni, e la più assurda e riprensibile di tutte le stranezze, nelle quali si è incorso o s’incorre contro i preziosi statuti della Ragione.”
Nella prima rappresentata nel 1760 con amarezza e libertà Aristofanesca motteggiò su i moderni filosofi francesi, servendo al piano delle Letterate di Moliere.
Il carattere di Megara si allontana dal gusto greco, e prende l’aspetto di certo eroismo più propio de’ costumi romani, il quale a poco a poco si é stabilito ne’ teatri moderni, e ne forma il sublime: Patrem abstulisti, regna, germanos, larem Patrium. […] Ritrovandomi un giorno in un luogo, in cui erano parecchi giovani alterosi di quella solita superficiale tintura di lettere, che basti in Francia per farli ammirare, gl’intesi discorrer sul merito degli antichi e moderni comici.
Or ciò essendo l’editore (cioè l’autore sotto il di lui nome) invano si millantò di aver fatta una tragedia più artificiosa di ogni altra, perchè per questa parte (e non è poco) in essa nè si migliora nè si peggiora il metodo degli antichi e de’ moderni. […] Il Bermudez fu un plagiario convinto, il Trissino inventore nel suo dramma; il primo peccò nelle unità, il secondo insegnò all’Europa la greca esattezza; il primo formò un atto quinto assai freddo ed insipido, il secondo riuscì molto interessante appunto nello scioglimento; il primo intepidì la passione di Don Pietro colle affettate espressioni, il secondo è tutto semplicità e verità; il primo posteriore a tanti altri moderni tragici ebbe pur bisogno di copiare la favola e i pensieri del Ferreira, il secondo formandosi su i Greci servì di esempio a tutte le moderne nazioni nel far risorgere la tragedia regolare in Europa.
Le donne inoltre, dalle quali ogni civile socievolezza dipende, avendo per cagioni che non sono di questo luogo acquistata una influenza su i moderni costumi che mai non ebbero appresso gli antichi, giovarono al medesimo fine eziandio ora per l’agio, e morbidezza di vivere, che ispira il loro commercio, onde s’addolcì la guerresca ferocia di que’ secoli barbari: ora per l’innato piacere che le trasporta verso gli oggetti che parlano alla immaginazione ed al cuore: ora per lo studio di molte posto nelle belle lettere, e nelle arti più gentili, dal che nacque il desiderio d’imitarle ne’ letterati avidi di procacciarsi con questo mezzo la loro grazia, o la loro protezione, massimamente nel Cinquecento, secolo illustre quanto fosse altro mai per le donne italiane: ora per le fiamme che svegliano esse nei petti degli uomini, onde questi rivolgonsi poi a cantare la bellezza, e gli amori, piegando alla soavità lo stile, e la poesia.
E se non temessi diffondermi troppo in una materia ch’è il fondamento del diletto che ci procurano tutte le belle arti, farei ancora vedere che l’ascosa origine del piacere, che certi tratti arrecano nella musica, nella poesia e nella eloquenza, è nel linguaggio d’azione principalmente riposta; che ciò che rende eloquenti i quadri oratori o poetici è l’arte di radunare in una sola idea più immagini, le quali rappresentino muovimento, come la maniera di render la musica espressiva si è quella di far sentire la successione regolata de’ tuoni e del ritmo; che la forza di certe lingue massimamente delle orientali deriva dall’accennato principio: osservazione che può farsi ancora nello stile de’ più grandi scrittori antichi e moderni, la magia del quale allora è portata al maggior grado quando le parole e le idee fanno l’effetto dei colori. […] [19] Nello stato di decadenza in cui ricevettero i moderni l’arti musicali e rappresentative, e nella poca filosofia di coloro che furono i primi a restituirle, non è maraviglia che s’introducessero non pochi abusi avvalorati in seguito dall’usanza, e dal gusto del popolo.
Dicesi appena del re Edoardo VI, grandemente esaltato da Cardano, che avesse composta una commedia elegantissima intitolata la Puttana di Babilonia esaltata dagli antiquarii ma sfuggita all’esame de’ moderni per essersi perduta.
«I moderni», dice, «usano presentemente di misura molto tarda».
Codesto pregio, che non sembra a prima vista né straordinario, né difficile ad ottenersi, è nullameno uno degli sforzi più grandi che abbiano fatto i moderni italiani.
I più degli autori moderni che han trattato di tale materia, anzicchè svilupparla e rischiararla l’hanno involta in maggiori tenebre, e confusione; lo che nacque dal non avere studiata accuratamente l’origine, e il genio della poesia antica.
Nella prima rappresentata nel 1760 con amarezza e libertà aristofanesca motteggiò su i moderni filosofi francesi, servendo al piano delle Letterate di Moliere.
Il carattere di Megara si allontana dal gusto greco, e prende l’aspetto di certo eroismo più proprio de’ costumi Romani, il quale a poco a poco si è stabilito ne’ teatri moderni, e ne forma il sublime: Patrem abstulisti, regna, germanos, larem Patrium.
Di questa nazione, ragionando de’ tempi più moderni, furono Giovanni del Tintore di Nivelle menzionato più avanti nella sua terra, Iusquino de Pres, Obrecht, Ochegem, Ricciafort, Adriano Willaert, Gioanni Mouton, Verdelot, Gomberto, Lupuslupi, Cortois, Crecquillon, Clemente non papa, e Cornelio Canis i quali tutti sono morti, e di presente vivono Cipriano di Rore, Gian le Coik e Filippo di Monti, Orlando di Lassus, Mancicourt, Bassi, Iusquino Baston, Cristiano Holland, Giaches di Waer, Bonmarche, Severino Cornetto, Piero du Hot, Gherardo di Tornout, Huberto Walcrant, Giachetto di Berckem vicino d’Anversa, e molti altri tutti maestri di musica celeberrimi, o sparsi con onore, e gradi per il mondo.»