Attore pregiato nelle parti di Coviello, e più pregiato Impresario del Principe elettorale di Sassonia Giovanni Giorgio III, ch'egli aveva accompagnato nel suo viaggio in Olanda, nacque il 1600. […] Tornò il '17 in Italia per iscritturar nuovi attori da sostituire agl’insufficienti, e sotto la direzione del figlio Giovanni furon rappresentati Intermezzi e Pastorali : e sebbene il Re Augusto prediligesse la Compagnia francese, ch'egli manteneva alla Corte insieme alla italiana, questa non ebbe mai a patirne ; e Tommaso Ristori, specialmente, s’ebbe per grazia del Re con decreto del 20 marzo 1717, un regalo di 269 scudi, come « chef de la Troupe italienne, tant pour faux frais dans son voyage, que pour autres pertes et dépenses extraordinaires. » Licenziata la compagnia del 1732, anche il vecchio Ristori con la moglie se ne tornò in Italia, ove morì poco tempo dopo.
Di solito era affidato a lui, uomo colto, l’incarico d’invitare il pubblico alla commedia ; e anche in ciò seppe farsi apprezzare per la eleganza di modi e di parole ch’egli adoperava. […] Quella sciagura sembrò collegarsi intimamente colla ripugnanza ch’egli ebbe di recarsi a Milano, e Bartoli stesso afferma ch’egli morisse non senza sospetto d’essere stato col veleno in quel momento tradito.
Alle quali osservazioni il Bigottini rispose con lettera del 22 febbraio 1777, in cui pur accettando l’osservazione del giuoco della bandiera ch’egli poi soppresse, rigettava, discutendole, quelle concernenti la maschera. […] Nel 1780, Bigottini fu congedato con una indennità equivalente alla metà dell’assegno ch’egli aveva allora. […] Il modo di recitare del signor Bigottini non ha nulla che vedere con quello dell’attore ch’egli deve surrogare ; egli non ne ha nè la grazia, nè la finezza, nè la semplicità : tuttavia le sue metamorfosi sono ingegnose e variate ; e i suoi movimenti senza avere la flessibilità e la mollezza che caratterizzano ogni menomo gesto di Carlino, sono d’una esattezza e d’una rapidità singolari.
» Ma Barese gli fa tutt’a un tratto sapere ch’egli non può partire per Roma, poich’è scritturato a Napoli con un’altra Compagnia istrionica. […] L’apparire ch’egli fa più spesso in quelle di Francesco Cerlone, potrebbe dimostrar questo, che cioè, avendolo il Cerlone conosciuto da Pulcinella nella Cantina, ove appunto si recitarono le commedie cerloniane, lo ebbe in tanto conto da farlo chiamare al Nuovo, quando vi si rappresentassero cose sue. […] Non è possibile ch’egli li abbia passati, tutti, fuori della sua patria.
Colpito il Taddei d’apoplessia, il Majeroni gli diè gratuitamente per due anni la cospicua somma di diciottomila lire, procurandogliene poi altre dodicimila con una solenne rappresentazione ch'egli fece insieme a Tommaso Salvini. […] Una caratteristica di Achille Majeroni fu il gran pizzo ch'egli non tolse mai, fuorchè pel Goldoni e le sue sedici commedie di Paolo Ferrari, ch'egli recitò stupendamente al Teatro Gallo di Venezia il 16 dicembre del '53.
A conferma di quanto scrisse il giornaletto citato, diremo ch’egli aveva grossa la testa, sproporzionata alla persona esile. […] E mentre a’ suoi tempi facean chiasso i drammi a colpi di scena e combattimenti, egli s’acquistò fama di eletto artista col Cavalier di spirito, col Cavaliere di buon gusto, col Bugiardo, con L’Avventuriere onorato, con L’Avvocato veneziano, col Medico olandese, col Tasso, e più altre commedie del Goldoni ; nè minore successo egli aveva con l’Atrabiliare e il Filosofo celibe del Nota, con il Filippo e il Bruto primo dell’Alfieri, ne’ quali si trasformava a segno da parer veramente il personaggio ch’egli rappresentava.
Ma non andò molto ch'egli ebbe a pentirsi di tal passo ; e avvicinatosi alla Francia per le montagne della Svizzera, scrisse al celebre attore Quinault, che allora recitava a Strasburgo, esponendogli il suo triste stato, e chiedendogli soccorso. […] Il maggio del 1742, si recò a recitare a Fontainebleau davanti alla Corte, nonostante alcuna indisposizione, ch'egli aveva avuta, e ritenuta passeggiera, sul finire dell’aprile ; ma l’11 di maggio, côlto da male improvviso, mentre passeggiava nelle foreste, potè appena metter piede in casa, ove, caduto a terra privo di sensi, morì in poche ore tra le braccia della zia Belmont. […] » Molte sono le opere ch'egli diede al teatro, vuoi solo vuoi in società con Davesnes, Niveau, Laffichard, Dominique, Riccoboni figlio, ecc. ; ma quella che par gli dèsse maggior grido fu una traduzione, o meglio, una trascrizione in versi francesi del Sansone, tragedia italiana in prosa di Luigi Riccoboni, che l’aveva recitata con grande successo la prima volta il 28 febbrajo 1717, sostenendovi la parte principale.
Dice il Bartoli ch’egli « recitò con infinito valore nell’astuto Personaggio di Scappino ; e che in Parigi fu onorato de’più sonori applausi.
Un attore, servo della Compagnia, che portava lunghi mustacchi, a motivo delle parti di assassino e di ladro ch’egli recitava, servi un enorme piatto di carne riscaldata nuotante in mezzo a una quantità di poltiglia, a cui avevano affibbiato il nome di salsa ; e la famiglia affamata si mise a intingervi del pane che andava spezzando colle dita o coi denti, in mancanza di coltello e di forchetta. […] Mi fece poi brevemente la narrazione delle sue avventure, che eran quelle di un povero diavolo ; e fini col dirmi ch’egli andava a Venezia, ov’era sicuro di far fortuna nel carnovale. » Povero Bassi !
Coll’avanzar dell’età, si diede alle parti gravi ch’egli recitò valorosamente ne’ varj teatri del Piemonte, della Liguria, della Lombardia.
E poco prima del ’700, caduto in una rappresentazione ch’egli diede con Thorillière e Poisson a Saint-Maur, n’ebbe tal colpo alla testa, che, tornando da Versailles, ove s’era recato a offrire il suo Teatro italiano a Monsignore, morì improvvisamente il 31 agosto del ’700, mentre teneva fra le ginocchia il figliuolo che avea avuto da Elisabetta Danneret, la cantatrice della Comedia italiana, nota col nome di Babet la chanteuse. […] Non vi ha chi non possa imparare a memoria e recitar da la scena, ciò ch’egli ha imparato a memoria : ma dal comico italiano si richiede ben altro. Chi dice buon comico italiano, dice un uomo di fondamento, che esercita assai più la fantasia che la memoria, che compone, recitando, ciò che dice, che sa coadiuvare il suo interlocutore, vale a dire ch’egli sposa così bene le parole e l’azione con quelle del suo compagno, ed entra di punto in bianco in tutto il movimento drammatico dall’altro richiesto, di tal maniera da far credere agli ascoltatori che tutto sia stato anticipatamente combinato.
Bartoli ch’egli fu pittore napoletano di fiori e frutta ; e che datosi all’arte comica, vi riuscì a meraviglia per ogni genere di parti, specialmente per quella di S.
Dones Francesco, milanese, nacque verso il 1785, e tenne dal 1810 al 1830 il posto di caratterista con grandissima lode nelle primarie Compagnie, quali di Consoli, Zuccato, Goldoni e Perotti, e in quella poi ch’egli formò al finire della sua carriera.
La morte del padre lo richiamò in Atene, donde non uscì più, troncando la carriera artistica ch’egli aveva abbracciata con tanta passione, e nella quale dava di sè così belle speranze.