., mostrò a quale altezza avrebbe potuto salire : s’ebbe onori e lodi dai critici migliori, e Paolo Ferrari, Filippi, Arbib, dichiararon riserbato per lui il posto di Tommaso Salvini.
Anche nel '54 pare vi fosse timore di smembramento della compagnia, e il Nelli avendo saputo che le carrozze eran già state licenziate, si rivolge il 3 di aprile a un famigliare del Duca per sapere se la compagnia debba andare a guadagnare, o pure aspettare in Bologna, a ciò possano tutti i compagni dipendere dai commandi dell’ A.
L'incalzar degli anni accennava pur troppo a privarlo della vista, sì che dovette abbandonar l’arte, povero : e anche oggi vive, cieco e vecchio, a Forlì, soccorso di quando in quando dai pietosi compagni d’arte.
Abbandonata il primo attor giovine D' Ippolito la Compagnia, nel carnovale dello stesso anno, il Rasi ne prese il posto, che tenne fino a tutto l’anno veniente, dopo il quale passò primo attor giovine sotto Francesco Ciotti, al fianco di Virginia Marini, in Compagnia di Alamanno Morelli facendosi notare dai compagni e dal pubblico per la elettezza dei modi, e la correttezza della dizione.
L'auge della sua vita artistica fu quand’egli ebbe Compagnia in società con Gaspare Lavaggi, nella quale potè mostrar liberamente tutte le sue qualità di artista, interpretrando con molta intelligenza e con molto successo Luigi XI, La Gerla di Papà Martin, Don Marzio, e specialmente L'Aulularia di Plauto, in cui fu riconosciuto, anche dai più severi, artista sommo.
Noi lo vediamo il 1796 nell’elenco dei componenti la gran Compagnia del San Carlino di Napoli al fianco dei Cammarano e dei Fracanzano, dalla quale uscì il 1803, già ottimo caratterista, a niuno secondo per la grande spontaneità, acquistata su quelle scene, ricercato dai migliori capocomici.
Figlio, il primo, del precedente, e buon caratterista anch'esso, fu scritturato dai migliori capocomici, insieme a sua figlia Elena, egregia amorosa.
Lontani dai parenti vecchi, da' figli adorati, spinti quasi nelle braccia della morte, in quella terra fatale che avea già tolto brutalmente all’arte Arturo Diortti, fiorente di giovinezza !
Annunziò la recita a suo beneficio, il 2 giugno 1832, al Teatro del Giglio di Lucca, nella quale si rappresentò Il Gran Los-Rios Assassino delle Alpi, con Pasquale spaventato dai Masnadieri (Pasquale era Giuseppe Guagni) e nella quale egli sosteneva la parte del protagonista, con un programma reboante (degno dell’attore capocomico), di cui ecco una parte : Per le anime d’altissimo sentire non riescirà stravagante il fatto che si espone di quest’uomo, il quale profugo dalle terre native per un fallo d’amore, dalla malvagità attribuito ad altissimo delitto, a rifugiarsi costretto si vide nelle Alpi, ed a condurre una riprovevole vita in odio di tutta la terra e fulminato dalla celeste maledizione.
Nel secondo caso, che accadeva non di rado, era costretto dai moti nervosi o di mal celata insofferenza, o di aperta ribellione, batter la ritirata : e questo egli faceva senza verun atto di risentimento ; anzi inchinandosi a più riprese con esagerate cerimonie.
Traeva, a rovescio di quel che si farebbe oggi, le commedie dai balli più applauditi di Gioja e Viganò, come il Prometeo, I Riti Indiani, Cesare in Egitto, ed altri.
Bella di aspetto e di persona, dotata di non comune intelligenza, entrò in Compagnia Moncalvo il ’26 come prima donna giovine ; e tanto progredì con l’ammaestramento del chiaro artista, che fu il ’28 scritturata per un triennio qual prima donna dai soci Petrelli e Fabrici.
Robotti Antonietta, nata a Como il 1817 dai conjugi Rocchi, fu raccolta, educata e amata qual figlia dalla famiglia comica Torandelli, che l’ebbe sostegno prodigioso delle sue travagliate peregrinazioni, in cui si mescolava la recitazione alle farse in musica e ai balletti giocosi.
Capitato a Venezia un Francesco Colleoni di Brescia, giovane elegantissimo, dai modi eletti, dalla fisionomia aperta, secondo amoroso della Compagnia di Petronio Zanerini, e occorsagli sulla riva degli Schiavoni la Marta, giovinetta allora sedicenne, tanto egli se ne invaghì che la domandò in isposa.
Lo vediamo in tale ufficio a Modena il 1758, dove immaginò I fuochi teatrali, cioè : Due fontane versanti nella platea le composizioni presenti allusive alle suddette fonti, e ai componimenti suddetti, che pure alludono alle Medesime, siccome all’arme de la serenissima Casa d’Este alle stelle che la circondano, all’ecclissi del sole, ed ai segni del zodiaco, rappresentati dai fuochi sopraddetti, spieganti in generale le glorie della suddetta serenissima casa, alla quale umilmente li dona, dedica e consacra l’ossequiosissimo servidore.
Della morte di Bartolommeo Cavalieri ecco l’atto tolto dai Registri di S.
Il Paglicci propenderebbe a credere che la Lucilla costante di Silvio Fiorillo, rappresentata a Milano il 1632 dai Comici Accesi, fosse scritta per la Trenta, e da lei rappresentata.
Uscito dai Fiorentini il '61, si scritturò con Alamanno Morelli, tornando poi a Napoli il '64 al Teatro del Fondo con Achille Majeroni con cui stette sino al '67.
Artista e capocomico pregiato, padre e marito de’ più sciagurati, patriota caldissimo, nacque a Venezia il 5 ottobre del 1817 dai coniugi Antonio, veronese, e Luisa Ciappi, senese, comici nella Compagnia Andolfati, i quali passaron poi in quella di Ghirlanda, Ficarra, Martini, Ciabetti, Bianchi, Miuti, Colomberti ed altre, fino a quella di Carlo Mancini, nel ’32, ov’erano la Polvaro, il vecchio Modena, l’Adelaide Borchi, Andrea Vitaliani, Martinengo, ecc., e nella quale egli esordì a Caltanissetta colla parte di Riccardo ne’ Figli di Odoardo, acquistandosi tosto le simpatie del pubblico, che andaron poi viepiù crescendo. […] Difficile è l’entrata del porto di Bastia, a cui non si giunge che attraversando un breve si, ma pericoloso canale irto di scogli dai due lati, avendo quasi la forma di un collo d’imbuto. […] Ai due urti fecero eco due urli di spavento, non solo dei passeggieri, ma di tutti i marinaj ; ed ognuno può immaginare il terrore e il tremito, dai quali tutti furono invasi, sentendo il legno colare a fondo.
I Greci, dai quali gl’Italiani si vantano d’aver tratto il loro spettacolo, cosiffatto abuso mai non conobbero. Le loro azioni drammatiche formavano un tutto non mai interrotto dal principio sino alla fine, e persino ignota fu a loro la divisione delle tragedie in iscene oin atti, nomi che noi abbiamo appresi soltanto dai latini autori. […] Sopra una gran nube portata dai venti si vide l’Apparenza vestita a colori cangianti, e con piccole striscie d’argento collo strascico a guisa di pavone, e coll’ale. […] Io sfido il leggitore più acuto e lo spettatore più sagace a sapermi dire dopo averlo letto o veduto cosa significhi il seguente ballo di cui ne soggiungo in appresso la descrizione, il quale passando dai teatri di Francia in quelli d’Italia viene dai facoltativi considerato come il modello dei balletti chiamati di mezzo carattere. […] Nella rappresentazione ella è circoscritta dai sensi, e per conseguenza non può spaziare al di là di quello che questi le somministrano, e che viene appoggiato ad un’intima persuasione.
Rare volte s’imita dai maestri il naturale andamento della voce, e la lentezza o velocità ch’esigerebbe l’indole del discorso. […] Ogni anno s’eseguiscono di quà dai monti più d’un mezzo centinaio di rappresentazioni musicali diverse. […] Ognuno che coltiva una professione vuol distinguersi dai compagni. Desideroso di esser grande piuttosto colla lode propria che coll’altrui, cerca d’avanzarsi nella sua carriera per sentieri non battuti dai concorrenti. Quindi l’amore della singolarità, il disprezzo per gli antichi metodi, il discostarsi dai maestri e il creder che hanno fatto meglio di loro quando hanno fatto diversamente.
Ma per un difetto prodotto dai costumi ora dominanti fra noi, la poesia non osa più trattar argomenti che non versino sull’amore, e che non si rivolgano intorno ai sospiri, ai lamenti, e alle nenie di quella passione. […] [9] Questo abuso è stato poi abbracciato dai compositori drammatici perché favoreggia mirabilmente la loro ignoranza e s’accomoda più d’ogni altro alla loro inerzia. […] E che importa a lui della unità di pensiero e d’argomento tanto raccomandata dai gran maestri? […] Lo spettacolo altresì ha gran luogo ne’ suoi componimenti, ma si trae per il comune dai fonti della storia, e i costumi e i riti de’ popoli vengono osservati a dovere. […] Mi si risponderà ch’egli è mosso a farlo dal desiderio di vendicar i Mani de’ Greci trucidati in altri tempi dai persiani, lo che ad un atto di giustizia o di patriotismo dovrebbe attribuirsi piuttosto che ad un capriccio irragionevole.
In una lettera al Duca di Modena, la Fiala si dice carica di famiglia ; ma di due figliuoli soltanto sappiamo che intrapreser l’arte dei genitori, come appare dai due documenti che qui riferisco : Ser.
Ricoveratosi a Venezia, si fece maestro di recitazione, finchè, vinto dagli anni e dai fastidi, abbandonò il mondo la mattina del 9 febbraio 1898.
Ora in niuno di cotai luoghi potea impararsi dai primi cristiani la musica, perché l’uno, e l’altro erano a loro religiosamente vietati, siccome domicili di gentilesca superstizione, e di disonestà. […] Attalchè, quando i cristiani divennero padroni de’ paesi dianzi posseduti dai gentili, si trovarono quasi affatto sprovveduti di musica, qualora non vogliamo con siffatto nome chiamare il canto de’ salmi, che poco differiva dalla pronunzia ordinaria, o quello degli inni, che eseguivasi a due cori da’ Terapeuti, spezie di monaci orientali, che da alcuni eruditi sono stati, non so se con tutta la ragione, confusi coi cristiani del primo secolo. […] Sant’Ambrogio ampliò il canto fermo, o vogliamo dire canto ecclesiastico usato nella chiesa fin dai primi secoli: lo che ei fece raccogliendo gli scarsi ma pregievoli frammenti della musica greca guasta e mal concia, come era a suoi tempi, e trasferendoli al culto divino nella chiesa di Milano. […] [11] Di più: in una religione che parlava molto ai sensi e pochissimo alla ragione, e che rappresentava l’essere supremo sotto velami corporei, gl’iddi non si distinguevano molto dagli uomini: anzi, ponendo mente alle assurdità e ai vizi attribuiti a loro dai poeti , chiunque avea fior di senno dovea pregiare assai più un vile schiavo virtuoso, che non gli oggetti della pubblica venerazione. […] Però il Pontefice Marcello Secondo avrebbe scacciata vergognosamente dai templi la musica come cosa profana, se il celebre Luigi Palestrini trattenuta non avesse l’imminente proscrizione, componendo la sua Messa, ove si vede adombrata la decenza e maestà che conviensi ad una musica sacra.
Documento luminoso a’ sovrani per far loro conoscere che la sola maniera d’eternar il lor nome e di farsi adorare dai posteri è quella di rendersi veramente utili alla umanità, promovendo le arti che soddisfanno a’ bisogni degli uomini, e favoreggiando le scienze che perfezionano il loro spirito. […] La prima, che ebbe origine dal più grande armonista che mai ci sia stato di qua dai monti, spiccava principalmente nell’artifizio e maestria delle imitazioni, nella destrezza del modulare, nel contrasto delle parti diverse, nella semplicità e vaghezza dell’armonia. […] [16] Ma niuna cosa contribuì tanto a render chiara la musica italiana in quest’epoca quanto l’eccellenza e la copia de’ cantori, che fiorirono di qua dai monti. […] Agilità di voce, cui non è facile trovar l’uguale, facilità senza pari, speditezza ne’ passaggi, destrezza nel conservar e ripigliar il fiato, vaghezza nei trilli, nuovi, e brillanti pasteggi amenti di voce, mille altre qualità insomma, la rarità e il pregio delle quali viene stimato soltanto dai conoscitori, scrissero il nome di questa cantatrice nei fasti del genio. […] Alcuni affermano che di veleno preparatogli dai maestri di cappella suoi rivali.
Tornato in patria, e mortogli il padre, intento alla ricerca d’un impiego che gli desse da vivere, con il suffragio delle sole quattro classi elementari, sognò di diventare un artista drammatico, e cominciò coll’entrare in una società di dilettanti che recitavano in un buco di teatrino improvvisato, posto in un solaio ; passò poi in altra società meno peggio, sostenendo le parti di primo attor giovine, fino a che, incoraggiato dagli applausi e dai consigli de’concittadini, esordì alle Logge di Firenze con Adelaide Ristori nel’70, in qualità di secondo amoroso.
Fatto grandicello e ritentata la prova, passò progressivamente, nè con maggior fortuna, dai servi ai mami, ai secondi amorosi, ai brillanti, ai meneghini, ai primi atori ; poichè, al finire del disastroso capocomicato di suo padre, nel ’59, egli, cavallo da tiro e da soma, alternava le parti comiche colle tragiche, fra cui, incredibile a dirsi, quella dell’ Amleto e dell’ Otello !!!
Pippo Bergonzoni, allettato dai grandi successi che ottenevan dovunque le fiabe musicate dallo Scalvini, determinò di darsi a quel genere, con nuovi intendimenti d’arte, trascegliendo le migliori operette del repertorio forestiero, e formando in società con Achille Lupi una compagnia, della quale fu direttore appassionato e intelligentissimo, e dalla quale s’ebbe ne’ primi tempi lodi e guadagni !
Fu poi scritturato pel ’22 e ’23 dai soci Assunta Perotti e Luigi Fini ; pel ’24, qual primo attore assoluto dal Fini stesso, rimasto solo a capo della compagnia, e dal ’25 al ’29 da Romualdo Mascherpa.
Moglie del precedente, nacque a Fivizzano da Francesco Rappì-Venturelli e da Natalina Salvatori il 18 agosto del 1816, come appare dai registri parrocchiali della chiesa prepositurale di Fivizzano.
La notizia della morte di Finocchio a Lione, mentre era in viaggio per Parigi, l’abbiam dai fratelli Parfait per detta di Antonio Riccoboni, ma la data di essa (tra ’l ’73 e il ’75) è assolutamente erronea.
L'anno seguente, fattosi capocomico, uccise nel teatro di Reggio l’apparatore Spisani, e fu messo in carcere, poi assolto, per constatata provocazione, come dai due documenti che trovo nell’Archivio di Modena.
Partendo dai Nostri Stati per portarsi altrove Antonio Marchesini Capo della Compagnia de' Comici, che ha esercitata per più mesi tal professione ne' Teatri di Modena, e di Sassuolo con piena nostra sodisfazione, e della nostra Corte, ed’auendo percio motivo d’accordargli la nostra prottezione, con ascriverlo nel numero de nostri attuali Sruitori, l’accompagniamo colle presenti nostre lettere patenti, in vigore delle quali preghiamo i Signori Principi per i Stati de quali gli occorrerà transitare, e rispettivamente ricerchiamo i loro Ministri a far godere allo stesso Marchesini i suoi cortesi riguardi, lasciandolo passare liberamente col suo seguito, e Bagaglio, e tanto poi comandiamo espressamente aj Ministri, Officiali, e Sudditi Nostri per quanto stimano la gratia.
Dopo due mesi e mezzo di soggiorno a Parigi, ricevette notizie dal suocero del rapido aggravarsi della malattia di lei, e dovè, scioltosi amichevolmente dai compagni, tornare in patria.
Non è che i Francesi non avessero anche avanti notizia di qualche spezie di rappresentazioni musicali, poiché senza risalire fino a’ provenzali, che furono i primi a introdurle in Italia, sappiamo ancora che erano conosciute fin dai tempi di Francesco I, il quale fece venir da Firenze parecchi uomini celebri in questo genere, annoverandosi tra loro corte il più distinto un certo Messer Alberto chiamato dall’Aretino in una lettera scrittagli nel 6 di luglio del 1538: «lume dell’arte, che l’ha fatto sì caro alla sua Maestà e al mondo». Furono poi maggiormente promosse sotto la regenza di Caterina de’ Medici, la quale chiamò musici e suonatori italiani per rallegrare con balli, mascherate e festini la corte, ove gran nome s’acquistò il Baltassarini conosciuto dai Francesi col nome di Beaujoieux colle sue leggiadrissime invenzioni, onde ottenne l’impiego di cameriere della regina, e in seguito di Arrigo Terzo. né dee tralasciarsi Ottavio Rinuccini inventore del dramma in Italia, il quale allorché accompagnò la regina Maria de’ Medici, di cui ne fu perdutamente innamorato, col titolo di gentiluomo, il gusto delle cose musicali grandemente promosse. […] Musica più composta fu ancora in uso ne’ tempi più antichi, rimanendo per testimonianza non solo la memoria delle canzonette arabiche cantate dai mori, ma componimenti spagnuoli eziandio posti sotto le note da Alfonso il Savio re di Castiglia. […] Ma ciò che ha la moscovitica di particolare, si è che la poesia veniva esclusa dai loro componimenti musicali, perocché i russi non cantavano se non la prosa.
» Per dare un’idea di questo scenario, il primo della serie Biancolelli tradotta dal Gueullette e pubblicata dai fratelli Parfait, (Histoire de l’ancien Théâtre italien, etc.
Il ’97 egli non si chiama più arlecchino ma Truffaldino, e il Giornale dei teatri di Venezia dice di lui : Se al merito singolare di questo insigne attore accoppiate si fossero alcune felici combinazioni teatrali, egli solo sarebbe bastato per far riempiere ogni sera dai più intelligenti dell’arte, non che dal popolo, il vasto teatro in cui recitava.
Dopo alcuni anni passò a Venezia, poi a Verona, chiamatovi per una malattia epidemica mortale, ch'egli infallantemente guariva con mele appiole e vin di Cipro, dove morì di peripneumonia nello stesso anno (2 ottobre 1745) col titolo di Primo medico di Verona, compianto da tutti, fuorchè dai medici.
Balzò di punto in bianco dai silenzi del chiostro alle lusinghe della scena, in cui passò di compagnia in compagnia sostenendo parti or di paggetto, or di amorosa, or di seconda donna, sinchè il 1811 fu scritturata prima attrice dal capocomico Lorenzo Pani, sino al '14 ; nel quale anno appunto, essendo a spasso in Firenze gli artisti Antonio Belloni, Ferdinando Meraviglia, Carlo Calamai e Luigi Domeniconi, formarono con Elisabetta Marchionni una società, di cui fu prima donna assoluta la diciassettenne Carlotta, la quale esordì al piccolo teatro della Piazza Vecchia nella Pamela nubile del Goldoni. – Narra il Colomberti che la società iniziò il corso delle sue recite, non solamente senza alcun corredo di scena, ma senza fin anco il libro della commedia che fu per buona ventura trovato sur un banchetto. […] Tanta era l’attrattiva del suo conversare, che la di lei casa era in ogni città frequentata dai più rinomati ingegni in Arti, Scienze, e Letteratura.
Lasciò l’arte per alcun tempo : vi tornò fiorente ancora, e ancor bene accolta dai pubblici, ma conducendo sempre vita travagliosa anche in mezzo alle dovizie che le piovver più volte in ogni modo e da ogni parte.
Il teatro francese ci guadagnerebbe qualche lavoro di Marivaux, ben recitato dai nostri artisti, e massacrato oggi da codesti buffoni d’ italiani.
Sull’origine del teatro le azioni drammatiche furono talmente considerate dai Greci, che secondo la testimonianza del giudizioso Plutarco gl’inventori delle tragedie si paragonavano coi più gran capitani. […] Coll’aiuto d’una sconosciuta e barbara musica richiama alla vita il moribondo abbandonato dai medici. […] «L’astuto uccellatore adopera una musica che imita il canto dei diversi uccelli ingannati dai suoni omogenei che fa egli sentire nel silenzio della notte. […] [22] Ma da un complesso di ragioni indirette cavate dai fatti si diduce che i Greci mostraron nell’uso che facevano della musica vocale e strumentale la medesima profondità di riflessione che nelle altre cose. […] Se prestiamo fede all’erudito Bochard, un siffatto costume fu tramandato a noi da quei poeti e musici antichi chiamati Bardi dai settentrionali, parola che, secondo lui, significa in ebreo lo stesso che “cantar in suoni sminuitati e rotti”.
Troviamo ancora l’Andolfati nel 1834 in Compagnia di Nicola Medoni ; dopo il quale anno, probabilmente, morì in Piacenza prostrato dai rimorsi e dalla fame.
Lasciata Genova per condursi a Pisa, ella, vinta dalla passione, volle accompagnarlo : ma, creduta fuggiasca, fu inseguita dai parenti, e, raggiunta a Sarzana, ricondotta a Genova, mentr'egli fu messo in carcere.
Destinato dai parenti alla musica, un bel giorno gettò in un fosso i documenti coi quali avrebbe dovuto presentarsi al Conservatorio di San Pietro a Majella, e confessò a' parenti il suo singolare trasporto per l’arte drammatica.
Ma ragioni d’interesse lo tolsero dopo varj anni dai suoceri per fare una società con Antonio Feoli, che sortì esito disastroso, sì ch'egli ritornò attore scritturato nella nuova Compagnia di Luigi Bellotti-Bon, dove, ahimè !
Fu il ’60 con Prina e Asti, dai quali si sciolse per pagare alla patria il suo tributo di buon cittadino.
I del Teatro di Gherardi) fu rappresentato la prima volta dai comici italiani del Re all’ Hôtel de Bourgogne il 4 ottobre 1682 ; e nell’ Industrie, prologo alle due operette Zemine et Almanzor e Les Routes du Monde, rappresentato alla Foire Saint Laurent, il 1730 (Théâtre de la Foire, raccolto da Le Sage e D’Orneval.
Esso fu il primo ad avvertir la marcia de’ nemici in Italia, dai quali ebbe poi manomesso ogni suo avere ; e il Cavaliere di Lislière, inviato dal Re in Italia, ne rilasciò ampia testimonianza, in forza della quale egli potè al suo ritorno in Parigi, che fu il 1708, avere in ricompensa l’ufficio d’ Ispettore di tutte le barriere di Parigi, che lo mise in grado d’intraprender nel 1712, con varia fortuna, spettacoli di opera comica alle fiere di S.
Nata dai precedenti a Cividale del Friuli il 29 gennajo del 1822 quand’erano in Compagnia Cavicchi, fu per universale consentimento la più grande artista del suo tempo. […] Tale verità fu conosciuta, ed apprezzata mai sempre dai popoli più illuminati. […] Recitò la commedia e la farsa, il dramma e la tragedia in italiano, in francese e in inglese con attori italiani, francesi, inglesi e tedeschi ; e dovunque ammirata, festeggiata, acclamata dal pubblico, dalla stampa, dai poeti.
E noi singolarmente non ci dovremmo mostrar ritrosi di prendere dai Francesi con che perfezionare la nostra opera; da quella nazione cioè che ha preso da esso noi la opera medesima.
Quanto al repertorio Cannelliano, i soliti spettacoloni con trasformazioni, combattimenti, naufragi, incendj, in cui lo Stenterello ci faceva la solita parte di servo perseguitato dai ladri, dalle ombre, dalle balene, ecc., ecc.
Sul letto di lunghi dolori sta il pallido artista sognando ; passeggia fra ignoti bagliori dai vivi lo spirito in bando : E mentre le strofe dei canti sommesso parlando gli van, gli passan, gli passano avanti le larve di un giorno lontan !
Come presto fosti dimenticato, specialmente dai tuoi concittadini !
Andava poi così diritto e impettito, che si volle dai più portasse il busto.
Lauro Corniani d’ Algarotti gli dedicò il seguente SONETTO Ai prischi di della Superba Roma Roscio dal palco gli animi volgea, e dai signori della terra doma alta mèsse di plausi allor cogliea. […] Ivi '73) – per la colpa d’essere stato ferito dai manigoldi austriaci, » riparò a Bologna, ove si laureò avvocato, recitando talvolta co' filodrammatici le parti di primo attore, nelle quali mostrava di riuscir sommo. […] Guerrazzi, dal suo banco ministeriale, pallido, terreo, mandando lampi di collera dai cristalli dei suoi occhiali d’oro, irruppe con brusca impazienza : Non feci allusioni : – non si accalori così.
Gli vietavano i confini del Regno Lombardo-Veneto il coraggio civile e la bella fiamma d’affetto ed intelligenza con cui egli alzava la sua voce a far più bello il grido della libertà e della indipendenza nazionali che usciva dai nostri Poeti, e che il di 8 dello scorso febbrajo metteva all’ ordine del giorno.
Manetone afferma che il padre del famoso Sesostri re di Egitto ucciso fosse dai propri eunuchi. […] Presso ai Latini sebbene non avessero lingua tanto bella qianto i Greci, nulladimeno la pronunzia doveva essere assai musicale, come si vede dal gran conto che facevano degli accenti, chiamandoli così dal canto quasi ad concentum, e dai precetti premurosi che davano gli oratori intorno alle intonazioni della voce. […] Essi sortivano alla scena con una gran maschera che copriva loro la testa, la quale era chiusa da per tutto se non che verso la bocca s’apriva in una larga fissura chiamata dai Latini hiatus. […] I.) un suono di voce quale non si crederebbe che potesse sortire dai polmoni d’un uomo. […] Perché si misurava colle note musicali che regolavano i tempi e le cadenze, lo che si chiamava dai Latini facere modos, non essendo concepibile che in tanto numero di cantori si lasciasse all’arbitrio di ciascuno il regolar a sua voglia la voce, altrimenti partorirebbe dissonanza perpetua.
Il dio del mare invitò i sovrani, le dame, e i cavalieri a entrar in codesto vascello ove furono serviti a suntuosa cena dai Tritoni i quali portavano le vivande sul dosso de’ mostri marini. […] Nel terzo si trovava a Corinto dove il re Periandro volle udir narrare le sue disavventure, facendolo dappoi riconoscere dai marinari che l’aveano tradito. […] I lumi erano in tanta copia e con tal artifizio disposti che gli occhi degli spettatori sostener non potevano il vivace chiarore dei raggi, che dai cristalli venivano ripercossi e vibrati. […] [8] Intanto la poesia era quella parte del dramma cui meno si badava dai compositori. […] Solo una lagrimetta Che da magiche stille esca di fuore, Fassi un Egeo cruccioso, Che sommerge l’ardir, l’alma e il valore; E il vento d’un sospiro Esalato dai labbri ingannatori, Dai campi della gloria Spiantò le palme, e diseccò gli allori.»
Prode fra l’armi allor ogn’un incanti Nè movi piè che non inceppi in core ; Voce non dai che non risvegli amanti Suono non fai che non ne danzi amore.
Ed è per questo che il suo nome glorioso non sarà più obliato dai veri cultori dell’arte drammatica.
Altezze erano stimatissime, e massime più quando erano conferite con preferenza, alludendo alla venuta delle Serenissime piuttosto da lui che dai Cavalieri, i quali adontati, ottennero che il Marchese Lodovico Rangoni lo consigliasse a costituirsi in prigione, al che aderendo il Lelio, venne nella sera stessa per mezzo delle Serenissime fatto porre in libertà all’ora della recita. […] Milano, Classici, M DCCCXXX), in cui dà ragguaglio della Fulvia, pastorale dell’abate Giovanni Bravi, della quale tutti i letterati dicevan mirabilia, giudicandola superiore all’Aminta nello stile, al Pastor Fido nello spirito, e impeditane la stampa dai Revisori « per certi baci ed amplessi forse un po' troppo teneri. » Fra le tante curiosità bibliografiche del teatro italiano, è da notare un rarissimo libretto di M.
In Roma dai Torchi di Crispino Puccinelli in Via Valle, n. 53.
Incoraggiato dai più, accarezzato come una energia saliente, non fu offuscato dal demone della vanità e della superbia….
La Comedia non osa più mostrarsi in scena, perchè aborrita da gente neghittosa a cagion d’ignoranze, e chiamata dai più dotti infame.
Del resto, Antonio Vitalba, che uscì vittorioso dall’intrigo, fino a burlarsi di Goldoni, pranzando e cenando colla Passalacqua, proprio dopo ch'ella aveva giurato di averlo lasciato per sempre, era ammogliato ; e il Loehner riferisce dai registri di San Samuele l’atto di morte della moglie Costanza in età di circa 35 anni, avvenuta il 17 ottobre 1736, cioè quasi un anno dopo l’intrigo.
Avvegnaché vi sieno dei filosofi, i quali sostengono che parlando a rigore non avvi lingua alcuna che possa dirsi superiore ad ogni altra, e che le diverse qualità degli idiomi essendo puramente arbitrarie e dipendenti dai costumi, dagli usi, e dal carattere dei popoli non contengono cosa che meriti una preferenza esclusiva: io porto ciò nonostante opinione che sebbene le lingue sieno strumenti arbitrari e fattizi delle nostre idee, niente di meno questi strumenti ponno essere, e sono in realtà più aspri o più dolci, più lenti o più rapidi, più deboli o più forti gli uni degli altri. […] L’idea delle proprietà, e di caratteri insensibilmente dileguasi, e poco manca che le lettere e le arti non ricadano in quella confusione onde furono tratte dai riflessivi nostri antenati per opera appunto di coloro, la fama, e il grado de’ quali sembra che renderli dovesse non i distruggitori ma i sostenitori del decoro delle arti e delle scienze. […] Poscia mi rivolgo al canto italiano, il quale giusta la definizione per me data innanzi della melodia, e giusta le osservazioni ch’io farò su d’esso trattando dell’analogia del canto colle lingue, debbe così differir dal nostro, come l’accento, le inflessioni, il meccanismo della lingua, e i costumi degli Italiani differiscono dalla prosodia, dai costumi, e dal genio de’ Francesi. […] Ardisco adunque di ravvivare la disputa che sembrava conchiusa da lui, e reco a pro dell’opinion mia una folla di passaggi, dai quali sfido chiunque a trarne un senso favorevole ove non suppongasi la cognizione, e l’uso dell’armonia presso agli antichi. […] E poi questo coro si suppone composto da quelli stessi, che ascoltano il poeta, oppure dai personaggi, che vengono indicati nell’oda narrativa?
Questa è al mio parere la sola maniera di render utile ed instruttiva la critica d’un grande autore, quella cioè di tesser la storia de’ suoi pensieri coll’indicare le strade battute da lui nella carriera del gusto, per le quali poscia inoltrandosi chiunque ha vaghezza d’imitarlo sappia trarne egualmente vantaggio dagli errori e dai lumi di chi l’ha preceduto. […] [15] Nelle quali parole egli mi sembra così grande, l’eroismo giugne a segno così eminente che se fra noi si dasse un ostracismo poetico, come presso ai Greci era in uso l’ostracismo politico, il Temistocle di Metastasio correva rischio di esser di nuovo scacciato dai confini della poesia non altrimenti che il Temistocle di Atene lo fu dai domini della repubblica. […] Ma io non avrei che per metà eseguito il disegno di quest’opera se dopo averne additate ai giovani le virtù che possono imitare nel nostro amabil poeta, non avesse anche il coraggio d’indicar loro i difetti, dai quali debbono tenersi lontani. […] [40] Molto più mi rincrescerebbe il non poterlo scolpare da altri difetti, i quali imitati incautamente dai giovani potrebbero condurli alla rovina del buon gusto. […] Mi fa tremare l’amore di Mitridate scortato dai furori, mi raffreddano le scene di pura galanteria tra Monima e Siffare.
(senza anno) : È una mattinata , il sole, « ministro maggior della natura, » già sorge sfolgorante dai balzi d’oriente…
Baschet 244 — a proposito dei Due Simili recitati al Louvre dai Fedeli la sera del 14 settembre 1613, dice che il Pellesini aveva allora ottantasette anni : sarebbe nato dunque il 1526), fu uno dei più grandi Zanni del suo tempo, più noto col nome di Pedrolino.
Dopo molte peregrinazioni artistiche, in cui, talvolta, soddisfare alla fame era problema di assai difficile soluzione, riuscì attore egregio per le parti generiche, e fu nelle migliori nostre compagnie, amato dai compagni per la innata bontà, e ammirato dal pubblico per la sobrietà e verità di recitazione, e per quella specie di bonomia ch'ei sapeva trasfondere ne' personaggi.
Ma di ciò a me non s’appartiene il parlare; basterà dire soltanto che la disputa su tali oggetti fra il Vicentini e Vincenzo Lusitanio scrittore di musica anch’egli, che fioriva verso la metà del secolo decimosesto, divenne così interessante che divise la maggior parte dei letterati italiani, e si sostenne dai due campioni una spezie di pubblica tesi nella cappella del papa alla presenza del Cardinale di Ferrara, e di tutti gli intelligenti nelle scienze armoniche che allora si trovavano in Roma. […] Gli scrittori di quel tempo ci fanno sapere, che i madrigali suoi erano ammirati dai maestri e cantati da tutte le belle: circostanza che dovea assicurar loro una rapida e universale celebrità. […] Angelo Grillo scrisse a sua richiesta i Pietosi affetti, e il Conte di Vernio compose l’intermezzo mentovato di sopra. né tralasciò di concorrer anch’egli poetando al medesimo fine, di che può far testimonianza la seguente canzonetta, ch’io qui ho voluto trascrivere dalle carte musicali dove si trova, a fine di render più noto a’ suoi nazionali codesto valentuomo ignorato in oggi dai poeti e dai musici, ma che merita un luogo distinto fra gli uni e fra gli altri: «Udite, udite, amanti, Udite, o fere erranti, O Cielo! […] Il cangiar ch’ei fa la scena; quantunque alla natura del dramma non si disdica per le ragioni da me addotte nel capitolo primo di questo libro, è tuttavia troppo violente nell’Euridice, poiché ad un tratto si passa dai campi amenissimi nell’Inferno senza che venga preparato, qualmente si dovrebbe, il passaggio.
Se il solo merito dovesse essere premiato, l’umile e rispettosa Attrice conoscendosi spoglia di questo, non potrebbe sperare di ottenere i favori di un Pubblico tanto intelligente ; ma incoraggiata dai molteplici tratti di cortesia, con cui si vede seralmente onorata, essa osa invitare questa rispettabile Popolazione, ed inclita Guarnigione alla sua Beneficiata, che avrà luogo in detta sera.
Polizia di Milano fanno credere che egli abbia introdotto, o restaurata in Modena la massoneria come incaricato dai comitati superiori di quella setta.
Moisè, colà, terminato il Casotto, recitavano delle Commedie, le quali sostenute principalmente dalle apparenze, dai giuochi, e dalle grazie del Marliani, che facea l’Arlecchino, non lasciarono di attirare buon numero di spettatori.
Avea lo sguardo profondo, espressivo, sereno e soave a un tempo, intelligentissimo ; un complesso di fisionomia che avea qualcosa delle Madonne del Murillo e del Dolce, che facea ricordare le più belle incarnazioni dell’arte bizantina, e che, tutto ben considerato, somigliava un’educanda uscita fresca fresca dai nostri Collegi-Convitti delle monache.
Egli allora si tolse la parrucca, si mise il cappello, si buttò sulle spalle un mantello, e si recò in platea, dove, ordinato all’orchestra di cessare dai suoni, cominciò a dire : « Grazie anzitutto, o Signori, della vostra fedeltà ; ma io desidero che non restiate qui ad annojarvi in questa specie di deserto ; e in cambio della Bottega del Caffè, vi do una sala della Trattoria del Selvatico, dove dividerete con me una modesta cena che ardisco di offerirvi. […] Ma, in conclusione, la recita non ebbe luogo, e di lì a due ore, parte degli spettatori si recò davvero al Selvatico, ove trovò imbandita una sontuosa mensa con gran dovizia di cibi e di bevande, rallegrati dai motti di spirito e dall’umor gajo e giocondo dell’anfitrione.
Incontratolo per via, sapendo com’egli era amato dai grandi e dal popolo, gli ordinò di seguirlo.
E per questa insigne donna, che non ha mai troppo amato l’eleganza, che ha sempre eliminato stranamente dalla sua personalità quella forza muliebre che dai palcoscenici ha tanta virtù soggiogatrice, per questa donna che non s’ è mai riscaldata alla fiamma d’ una grande ambizione, per questa donna che ha facilmente rinunziato alle lotte contemplando senza rancore i fulgidi astri che l’ hanno seguita e indicandoli con fiducia ai diffidenti, io ho una speciale predilezione fatta di convincimenti e di reminiscenze.
Fu egli senza dubbio uomo di pregi singolari, e come tale considerato dai più.
Forse ci è sempre stato, e forse si aggira anche adesso nei botteghini dei teatri a controllare gli incassi, o freme sulle rupi di carta rimesse in onore dai moderni drammi.
Intanto a ragionare io ti sentenzio della Carnovalesca e lieta festa, che dileguar seppe dai cor l’assenzio spargendoli di gioja immensa e presta, narra del grasso giovedì il concorso, che la Donna dell’Arno avea sul corso.
Caduta nel sangue la Repubblica Romana, mio padre ritornò a casa, ma ormai non era più tempo di riprendere in mano il De Amicitia, e la vita a Fano era diventata per lui impossibile, essendo spiato notte e giorno dai Barbacani e Caccialepre, chiuso l’adito ad ogni impiego, sospettato di eresia e scomunicato. […] A Fano lo colse una febbre violenta, causata dai disagi patiti, e la convalescenza fu lunga.
Egli è nel terzo piano dietro a Le Grand, il celebre Turlupin ; e a guardar bene, noi potremmo stabilire che la parte sinistra è occupata dai comici francesi, e la destra dagl’italiani.
Per questi anzi se n’ avrebbe tale da escluderlo assolutamente dai Gelosi. […] S. che saprà con la conveniente circuspezione et riverenza ritenere alquanto con dolcezza, certi impeti vivaci, soliti a regnare nelle menti de gran Principi, che dai buoni ser.
Le quali lontano dal disconvenirsi ad una persona appassionata le sono anzi naturalissime per quel segreto vincolo, che lega insieme tutte le facoltà interne dell’uomo, onde avvien che la riflessione desti in noi le passioni, e queste destino la riflessione scambievolmente, come ognun può osservare in se stesso, e come vedesi praticato dai primi autori. […] L’uomo generalmente è più dominato dai sensi che dalla ragione. […] Quindi l’origine della metafora, figura la più conforme di tutte alla umana natura, poiché la veggiamo usarsi ad ogni momento dai fanciulli, e dalle persone più rozze anche inavvertentemente ne’ loro famigliari discorsi. […] Le ragioni che s’arrecano da alcuni, sono di poca o niuna conseguenza, oppure, s’hanno un qualche valore, l’avrebbero nella tragedia egualmente, dove però si vede praticato con evento felice dai più gran poeti l’uso di far morire i personaggi in teatro. […] Settima: la diversità dei colori nasce dalle differenti vibrazioni che riceve la luce dalle particole eteree di diversa natura; la diversità de’ tuoni proviene dagli urti differenti che le corde aeree ricevono dai corpi sonori.
[1.3] Non istette lungo tempo l’opera a uscire dai palagi e dalle corti per mostrarsi al pubblico ne’ teatri da prezzo, dove la bellezza e novità della cosa facea correre in frotta la gente.
Lui morto, mi capitò sott’occhi un volume di Edmondo De Amicis « Costantinopoli, » nel quale è la seguente dedica autografa, colla data di Torino 1 settembre ’77, che sotto la celia gentile ben compendia, nella infinita modestia del geniale poeta, le grandi qualità dell’artista : Al Pascià dai mille amori, Al Muftì dei commedianti, Al Sultano dei brillanti Il Rajà degli Scrittori.
Coltivarono l’antica commedia varii altri comici non molto dai nominati lontani, come Cratete, Archesila, Cherilo, Eviso, Apollofane, Ipparco, Timocle, di cui Ateneo ci ha conservato un frammento in lode della tragedia, nel quale afferma essere agli uomini utilissima, e Timocreonte, il quale ebbe nimistà con Simonide Melico e con Temistocle Ateniese, contro di cui scrisse una commedia.
Questo il valore vero dell’opera del Rasi – tanto diverso dai dizionari biografici consueti ; – questo il motivo per cui ogni biblioteca, anche privata, che si rispetti, dovrebbe contarla nel proprio elenco.
Stenterello non ha carattere spiccato : esso può esser tal volta amante fortunato, tal altra marito ingannato ; ora servo sciocco spaventato dai morti, ora arguto dispensator di morale ; ma sempre, nelle quistioni più vive politiche o sociali, de’grandi e piccoli errori satirico flagellatore.
Non vedo l’ora di finirla, e voglio venire a mangiare pane e fagioli, ma lontana dalla scena e dai suoi indegni cultori.
Egli si ricoverò in un’isola della laguna, confortato dalla moglie, dai figli e dagli amici di Venezia ; e dopo un anno, ceduto finalmente alle nuove istanze di Goldoni, si unì con lui pel triennio 1800-01-02, trascorso il quale si ritirò per sempre dalle scene, passati appena i sessantacinque anni di età.
E in casa Volta, infatti, a Bologna, nel carnovale del 1693 (a settantun’anno) « recitò una bella commedia, » secondo la notizia che i Ricci ha tratto dai Diarj legatizi (vol.
A lui fu per tal modo concesso dai padovani di erigere un teatro in legno, presso il Caffè Pedrocchi, detto allora Teatro Duse, di cui metto qui la riproduzione dell’interessantissimo sipario, il quale, oltre al comprender Luigi Duse nel suo costume, e gli altri di famiglia, l’Alceste sopr’a tutti, in quello de’personaggi nella Figlia del reggimento, dà anche una idea ben chiara di quel che fosse codesto teatro popolare, composto di tutta una famiglia, che viveva patriarcalmente, come non si potrebbe dire, e nella più perfetta delle armonie.
E se una melodia espressiva accompagnata da strumenti convenevoli avesse per base una bella poesia, e fosse dal cantore eseguita senza affettazione e animata con un gesto decente e nobile, la musica avria potere di accendere a voglia sua e di calmare le passioni; e si vedrebbe ai dì presenti rinnovare forse anche tra noi quegli medesimi effetti che cagionava anticamente, perché accompagnata appunto e fortificata dai medesimi sussidi della espressione, del conveniente accompagnamento, della energia dei versi, dell’azione e dell’arte del cantore.
Nella stessa abjezione vivono le commedianti della China, avveguachè non manchino ne’ fasti di quella nazione esempli di regnanti, che vinti dai vezzi delle sirene teatrali giunsero al l’eccesso di prenderle per consorti, come fece l’imperadore Kingn che regnò quaranta anni in circa prima del l’era Cristianab.
Egli ammirava la pazienza de’ Romani nel l’ascoltare Cicerone chiacchiarone che non la finisce mai; essi doveano (aggiugne) aver la testa d’une furieuse trempe per resistere a un torrente di loquacità che nulla dice… Ma è dunque una fatalità che gli antichi e chi li ammira, abbiano ad esser perseguitati dai più ridicoli e dai più sciocchi delle moderne nazioni! […] Oltre a molti altri tratti patetici, vi si trovano varie allusioni alle Greche antichità e tradizioni, la qual cosa, come altrove accennammo, di rado si trascurò dai Greci tragici per mostrare l’antichità remota delle loro leggi ed origini e de’ loro costumi a gloria della nazione.. […] Secondo Pausania quando fu sacrificata la vergine Macaria, regnava in Atene Teseo; ma il poeta valendosi de’ privilegii della poesia fa che la protezione degli Eraclidi si prenda dai di lui figli Demofonte e Acamante, forse per diversificare alquanto il presente dramma rassomigliante di molto alle Supplici, dove avea già introdotto Teseo che guerreggia e vince per essi.
In sul principio L’Inavvertito fu uno scenario, e Beltrame dovette veramente all’ingegno de’suoi comici, in gran parte, il successo di esso ; ma le libertà che si pigliaron poi le nuove compagnie, tali da ridurlo pressochè irriconoscibile, fecer prendere all’autore la risoluzione di spiegarlo per iscritto, seguendo in tutto le traccie lasciate dai comici egregi che lo recitaron prima.
… » E la dolorosa sentenza ebbe origine da una velatura ch’egli recava nella voce dai primi anni ; velatura che andò poi coll’esercizio attenuandosi, fino a permettergli da un buon trentennio di sputar, non sangue, ma polmoni, rinnovantisi ogni sera, sotto le spoglie de’ molti e svariati personaggi del gran repertorio.
La partenza de’ guerrieri dai loro villaggi (cosi ne parla lo storico Robertson a), la marcia nel paese nemico, le cautele colle quali si accampano, l’accortezza con cui pongono alcuni del loro partito in agguato, la maniera di sorprendere l’avversario, lo strepito e la fierezza della battaglia, lo strappamento del pericranio a quegli che sono uccisi, la presa de’ prigionieri, il ritorno dei conquistatori in trionfo, ed il tormento delle vittime sventurate, sono tutte cose che vi si rappresentano una dopo l’altra.
La partenza dei guerrieri dai loro villaggi (così ne parla lo storico Robertson 34), la marcia nel paese nemico, le cautele colle quali si accampano, l’accortezza con cui pongono alcuni del loro partito in aguato, la maniera di sorprendere l’ avversario, lo strepito e la fierezza della battaglia, lo strappamento del pericranio a quegli che sono uccisi, la presa dei prigionieri, il ritorno de i conquistatori in trionfo, ed il tormento delle vittime sventurate, sono tutte cose che vi si rappresentano una dopo l’altra.
Abbiano il ben degli immutati affetti e non sappiano mai siccome pesa in cor gentile una inclemente offesa più rea se vien dai consanguinei tetti !
Anchora che da Mantoua non habbia hauuto tal auiso nondimeno qua si dice ch' essendo uenuto capriccio al Duca di uedere una Comedia dai Gelosi che fosse tutta redicolosa et faceta, i recitanti lo seruirno con farne una ingieniosissima et ridicolosissima solo che tutti i recitanti erano gobbi della qual cosa Sua Altezza rise tanto, et tanto piacere se ne prese che niente più, finito il spasso, chiamo quei Principali comedianti et disse qual di loro era stato l’inuentore.
Fra i Greci Sofocle è giudicato l’autore più regolare; fra gli italiani si distinguono il Trissino, capace di offrire il prototipo dell’eroina tragica — a tutti gli effetti mediocre — con la sua Sofonisba, il Rucellai della Rosmunda, il Giraldi Cinzio, il Bonarelli e il Dottori: in queste scelte, spesso dipendenti dai canoni precedentemente forgiati dal Crescimbeni e soprattutto dal Maffei del Teatro Italiano, si scorge una certa originalità, dovuta proprio all’assunto di partenza e alla scelta di analizzare le tragedie dal punto di vista della qualità del protagonista e del grado di patetismo della favola. […] Calepio non contempla nel sistema tragico che va delineando l’introduzione di personaggi assolutamente malvagi, a differenza di quanto facevano per ragioni diverse Du Bos — il quale si diceva convinto che questi amplificassero nello spettatore l’effetto catartico — e Muratori, che ne reputava utile l’inserimento soltanto nel caso in cui le loro azioni fossero costantemente accompagnate dai rimorsi dell’attore e dalla condanna degli altri personaggi. […] [6.5.10] Trasmodato, per non dir ridicolo, è pur nel Coreso 105 quel detto d’Agenore, in cui s’appella dai rigori della sorte alla gloria. […] Nel Cinquecento si insisterà molto sull’utilità della letteratura, proprio a partire dai versi oraziani, ma non mancano posizioni divergenti, anche in margine ai dibattiti sulla Poetica di Aristotele. […] Fu assai dibattuta, a partire dai commenti cinquecenteschi, l’entità delle passioni oggetto di questa purgazione; Calepio, ammettendo che essa «si possa estendere al regolamento d’ogni passione», si schiera con decisione dalla parte di coloro che intendevano quel «τὴν τῶν τοιούτων παθημάτων κάθαρσιν» con «la catarsi di tutte le passioni» — scorgendo nella definizione aristotelica della tragedia un afflato prioritariamente morale —, piuttosto che con «la purgazione di quelle stesse passioni», ossia pietà e terrore.
L’estensione degli interessi di Algarotti, che scrisse su argomenti disparati, può spiegare il giudizio negativo espresso da Foscolo, in parte ripreso dai letterati del Sette e dell’Ottocento, polemico nei confronti di una comunicazione letteraria che sacrificava l’eloquenza all’intento divulgativo. […] La lettera prende spunto proprio dalla Dissertazione di Calzabigi, pubblicata anche a puntate nel «Journal étranger»30, e riconosce la necessità di una riforma dell’opera che agisca nel concreto, nelle scelte tematiche (con risultati affini a quelli di Algarotti), nella revisione del rapporto tra aria e recitativo, nella drammaturgia tratta anche dai modelli francesi.
., e gli uomini dai signori Leopoldo Orlandini, Luciano Cuniberti, Giacomo Brizzi, Giuseppe Trivelli, Leopoldo Vestri, Filippo Parducci, Carlo Perrucchetti, ecc., ecc.
La pastorale scenica vien coltivata dai tedeschi con gran successo. Il signor Rost é stato il primo a comporre in quello genere; ed ha avuto la soddisfazione di veder corrisposte le sue fatiche dagli applausi e dai tentativi di moltissimi fautori, e seguaci.
In oltre la necessità di soddisfar l’occhio, e l’amor natural del maraviglioso introdusse ne’ teatri e fa sussistere le decorazioni; ma un ingegno illuminato dal Dio del buon gusto, qual’é il Metastasio, ha saputo profonderle nella Nitteti, destinata pel teatro del ritiro di Madrid, ricorrendo al tesoro della natura, doveché i poeti musicali francesi le hanno cercate nel miracoloso e nelle trasformazioni istrioniche; e i nostri poetastri incapaci di vagliar il grano e separarne le paglie, di distinguer un francese dall’altro, e l’Ifigenia dai Silfi e dalle Barbe turchine, van dietro ai loro errori.
I Poeti Provenzali, che per quanto chiaramente ricavasi da due passi del Petrarca l’uno del Trionfo d’Amore cap. 4, e l’altro della Prefazione alle sue Epistole Famigliari, vennero dopo i nostri Siciliani a verseggiare e a far uso della rima nelle moderne lingue volgari, si distinguevano con varj nomi secondo i loro varj mestieri, in Troubadores, cioè trovatori, così detti dal trovar prontamente le rime, e dall’inventar favole verseggiando, in Canterres, o cantori, i quali cantavano i versi composti dai Trobadori, e in Giullares, o siano Giucolari, o Giullari, che vale lo stesso che giocolieri, o buffoni, i quali nelle pubbliche piazze, o nelle fiere intertenevano il popolo con varie buffonerie, sonando qualche stromento, o sollazzavano i conviti de’ Principi e gran Signori con canti, suoni e balli, celebrando le gesta de’ Paladini, e le bellezze delle donne.
Nasceva il profilato naso dai confini delle ciglia, scendendo per mezzo il volto con debita convenienza, fiammeggiavano gli occhi a guisa di Zaffiri, nei quali irraggi il sole…..
Le Coefore, ovvero Donne che portano le libazioni, rappresentano la vendetta di Agamennone presa da’ suoi figliuoli, argomento poi trattato ancora dai due gran tragici che vennero appresso. […] E quì veramente si vede il patetico eloquente silenzio partorir tutto l’ effetto teatrale invano cercato dai declamatori e ragionatori. […] Ma è dunque una fatalità che gli antichi e chi gli ammira, abbiano ad esser perseguitati dai più ridicoli e dai più sciocchi delle nazioni moderne? […] Etra madre di Teseo stà coll’ offerta in mano a piè dell’altare in mezzo a’ sacerdoti: il tempio è pieno di donne che portano rami di olivo: Adrasto Re d’Argo resta nel vestibulo colla testa velata circondato dai figliuolini delle Argive in atto supplichevole.
Baccini, la notizia, già accennata dal D’Ancona, che il « 13 maggio 1589 » fu recitato la Pazzia, commedia d’Isabella commediante, dai Comici Gelosi, favorita dal Granduca, Granduchessa (Francesco I de’ Medici e Bianca Cappello), con tutti li Principi e Personaggi e co’ medesimi intermedi che erano stati alla Zingara della Vittoria. […] S’esser cruda per me deuesse, ed empia L’innessorabil Parca Col leuarmi dai viui Ben ella in ciò saria veloce, e presta Come fù alhor, che tè da noi diuise ; Ma perch’ella conosce, Ch’essendomi crudel fora pietosa, Perdona al viuer mio, Quando l’alma dolente altro non brama, Che trar gli infausti giorni Per l’occaso di morte al fin de gli anni. […] Il progresso dell’arte esteriore, se così posso dire, ossia di tuttociò che concerne il gesto, la voce, la dizione ; quel progresso che fa spesso proferire un discorso eterno colle spalle voltate al pubblico, e tutto d’un fiato, rapido, precipitoso, ruzzolato, che il pubblico non arriva mai ad afferrare ; quel progresso che fa del palcoscenico, nel nome santo della verità, e a scapito dell’arte e del buon senso, una stanza a quattro pareti, senza tener conto quasi mai che per una di esse, il boccascena, gli spettatori han diritto dai palchi e dalla platea di vedere e udire quel che accade lassù ; quel progresso, dico, ha vita da poco più che trent’ anni.
E questa è l’opinione accettata dai più, i quali anche son d’accordo nell’affermare che la maschera del Dottore cominciò ad aver vita sulle scene italiane verso il 1560 per opera di Luzio Burchiella.
Il dramma in musica all’opposto, come parto ancora recente nato sotto il cielo dell’Italia, giacciuto lunga stagione nell’avvilimento, ne rivestito dal suo splendore se non al nostro secolo, non ha avuto per anco di qua dai monti un grande ingegno, il quale prendendolo a disaminare nella interna sua costituzione ne abbia indicati i veri principi, fissate le regole, stabilito il sistema, e dataci, a così dire, l’arte poetica.
Il marchese Scipione Maffei nella Ninfa fida fece vedere che i talenti per la poesia tragica sono diversi dai talenti per la poesia musicale, imperocché niun crederebbe che l’autore di quella pastorale scritta senza interesse, senza dolcezza di stile e senza spirito teatrale fosse lo stesso che avea composto la bellissima Merope.
Spagnuoli antichi se abbian avuto teatro 177sModerni loro ignoranza 258. n. illuminati dai Nebbrissense e dal Barbosa istruiti dagl’Italiani 259. n. se precederono a quelli nella poetica 262. n.
Della natura di questa seconda revisione non è possibile, allo stato attuale, dire molto se non ipotizzare che Martello avesse già integrato il passo di Bulinger (III.[90]-[97]) sulla presenza delle donne nel teatro latino in risposta alle critiche giuntegli dai ‘lettori’ parigini37. […] Han dato ad intendere al povero abate Conti che le femmine greche non andavano alla comedia, ed egli se l’è creduto, e su ciò fonda che noi dobbiamo far capital degli amori, perché i nostri teatri son pieni di donne, dove, essendo rimosse dal teatro antico, questa effeminata passione venia trascurata dai loro tragici. […] Trissino, gentiluomo vicentino, che con l’Italia liberata dai Goti (1547) tentò la restaurazione dell’epica classica di matrice omerica; Scamacca: Ortensio Scamacca, gesuita siciliano di Lentini, autore, con lo pseudonimo di Martino Lafarina, di dieci tomi di tragedie sacre stampate a Palermo tra il 1632 e il 1648, anno della sua morte. […] La cittadina era celebre all’inizio del Settecento per essere la sede dei «Mémoires pour servir à l’histoire des sciences et des beaux-arts» («Journal de Trévoux»), redatto dai gesuiti del collegio parigino di Louis-le-Grand. […] [commento_4.50ED] quelli: l’Italia liberata dai Goti derogò dal metro canonico della narrativa lunga (l’ottava), in ossequio a un più rigido principio di imitazione classica adottando gli endecasillabi sciolti.
E quì si vede il patetico eloquente silenzio partorir tutto l’effetto teatrale invano cercato dai declamatori e ragionatori moderni.
Grandissimo artista fu veramente il Cantù per le parti di secondo Zanni, e dal suo Signore e dai pubblici tutti e dalla Corte di Francia ebbe onori e lodi senza fine.
Tuttavia a partire dai testi che riflettono su come la recitazione di un attore dovrebbe essere, è possibile ricostruire quello che la recitazione non era. […] In questa sede abbiamo deciso di adottare una prospettiva che tenesse conto della natura fluida dell’orizzonte dell’arte attoriale, in grado di recepire gli impulsi derivanti dai dibattiti letterari, filosofici e politici coevi. […] Egli sottolinea come, nei drammi dell’autore inglese, le azioni compiute dai personaggi non siano ricondotte a fattori esterni ma al carattere individuale, nel tratteggiare il quale egli è maestro. […] Ebbero dunque i loro suoni particolari le virgole, i punti virgole, i punti finali; e i punti interrogativi, dagli ammirativi e dai sospensivi pur si distinsero. […] [8.19] Possiamo dunque sicuramente conchiudere che non solo dai modelli della natura, ma eziandio dai monumenti dell’arte possiamo e dobbiamo raccogliere moltissime osservazioni, che l’indole, lo sviluppo e gli effetti delle passioni riguardano.
Compiè l’opera il lodato Presidente di Castiglia con isbandire dai due teatri le cortine, sostituendovi bellissime vedute di scene; con fornirli entrambi di una buona orchestra, discacciandone la ridevole comparsa della chitarra; con decretare che all’alzarsi il sipario tutti dovessero togliersi il cappello, che per la platea e per la scalinata più non vagassero i venditori d’acqua, di aranci, di nocciuole, che più non si fumasse, non si fischiasse, non si schiamazzasse gridando fuera suera contro gli attori mal graditi: inconvenienti che e prima della Guardia Chamberga e fin dal passato secolo avea additati Luis Velez de Guevara nell’atto I della Baltassarra, e molto dopo di detta Guardia sussistevano, e ne fui io stesso testimonio nel primo anno della mia dimora in Madrid.
Ecco una lettera che il Goldoni scrive da Parigi l’8 di novembre 1774 al marchese Francesco Albergati Capacelli, al proposito dell’Arlecchino Coralli, e che tolgo dai Fogli sparsi del Goldoni raccolti da A.
Io pure se Dio mi darà forza e salute ho ferma intenzione di ritirarmi dalle scene dopo altri cinque anni, ma prima di far ciò desidero ardentemente (per quanto il mio scarso ingegno lo permetterà) cooperare con que’ pochi ottimi artisti drammatici che abbiamo in Italia (dai quali cerco imparare e le massime e l’arte) onde formare un buon gusto generale in tutta Italia che va purtroppo scadendo colpa la noncuranza in che si tengono le cose vere e naturali, le finitezze, le sfumature dell’arte come noi le chiamiamo, per applaudire soltanto alle esagerazioni, contrarie il più delle volte al buon senso.
Allora vien subito « sollevata da terra con ingegno sotterraneo alquanto in alto » sostenuta dai lati da due Angioli : e nello stesso tempo la scena si muta in asprissimo deserto.
Fu in Francia una seconda volta, dai primi giorni di febbraio al 26 d’ottobre del 1608, e questa volta direttore e conduttore della Compagnia ; a proposito della quale il Duca Vincenzo in data 10 novembre 1607 annunziava al suo ambasciatore alla Corte Messer Trajano Guiscardi, Fritellino e sua moglie come i migliori personaggi non solo della sua compagnia ma di tutta Italia.
Le Coefori, o sia donne che portano le libazioni, rappresentano la vendetta di Agamennone presa da’ suoi figliuoli, la quale fu trattata ancora dai due gran tragici che vennero dopo. […] Quest’esame, ben degno della dottrina, e del discernimento e buon gusto del celebre autore delle Belle Arti ridotte a un Principio, compensa solo tutte le fanfaluche affastellate lungo la Senna contro gli antichi dai Perrault, La Motte, Terrasson, e dal marchese d’Argens, il quale colla solita sua superficialità e baldanza asseriva, che i poeti tragici francesi tanto sovrastavano agli antichi, quanto la repubblica romana del tempo di Giulio Care superava in potenza quella che era sotto il consolato di Papirio Cursore.
E quante gemme avesse tratte dai di lui poemi l’impareggiabile Virgilio per lo più trascritte da verbo a verbo, può ricavarsi dal sesto libro de’ Saturnali di Macrobio. […] Di siffatte commedie, nelle quali i buoni diventano migli ori, se ne inventano ben poche dai poeti di oggidì”.
• Trissino: si riferisce naturalmente alla Sofonisba (pubblicata nel 1524) del vicentino Gian Giorgio Trissino (1478 – 1550), considerata, per la stretta imitazione dei modelli classici, la prima tragedia ‘regolare’ del Cinquecento: tanto lodata dai letterati, pur con le importanti riserve del Tasso, quanto raramente messa in scena. […] [commento_Sez.I.1.0.18] • tuttor gli mancava: Planelli rievoca brevemente in queste pagine la storia della Camerata fiorentina, che costituisce il vero e proprio atto di nascita dell’opera in musica, di là dai vaghi precorrimenti di cui ha sin qui discorso. […] [commento_Sez.II.7.2.8] • va prigioniera in fonte: questo l’intera arietta (fa séguito ai versi sopra citati di Arbace): «L’onda dal mar divisa / bagna la valle, il monte, / va passaggiera in fiume, / va prigioniera in fonte. / Mormora sempre e geme / fin che non torna al mar. / Al mar dov’ella nacque, / dove acquistò gli umori, / dove dai lunghi errori / spera di riposar». […] [commento_Sez.III.1.4.12] • la sua patria: cfr. il capitolo II della Vita di Temistocle di Plutarco: il giovane condottiero è motteggiato dai giovani esperti nelle arti liberali perché non sa accordare la lira o maneggiare il salterio.
Ciò vuolsi dai poeti fuggire con somma cura; perchè lo spettatore che ha motivo d’ingannarsi sul di loro disegno, se ne vendica col disprezzo.
L’egregio traduttore, per mostrare in un sol quadro tutte le tenere espressioni usate dai due rivali, ha omesso la maggior parte del loro dialogo, nel quale Agoracrito rimprovera a Cleone le arti, colle quali ricava danaro dalle città vendendo la patria, e l’ardire che ha di uguagliarsi a Temistocle ecc. […] Ciò rilevasi dai frammenti che se ne sono conservati, de’ quali alcuni ne traducemmo nelle Vicende della Coltura delle Sicilie tomo I.
Quanto all’origine di questi atti sacramentali il dotto bibliotecario Nasarre vorrebbe trarle dai canti de’ pellegrini che andavano al sepolcro di San Giacomo in Galizia, dicendo, de cuya costumbre quedaron las oraciones de ciegos, y los Autos que llaman Sacramentales, ò por mejor decir la interpretacion comica de las Sagradas Escrituras.
Fu notabile sotto il medesimo Augusto il chiaro Caio Asinio Pollione, pe’ talenti tragici e per altri meriti letterari, per la presa di Salona in Dalmazia, per lo trionfo, e pel consolato, celebrato dai due maggiori ingegni, di cui si vanti la poesia latina, Virgilio ed Orazio.
Era egli troppo angustiato dentro di casa, e spogliato da’ Mori di Spagna, e dai quattro re Cristiani di Leone, di Portogallo, di Aragona, e di Navarra.
Non si vuole omettere che il fondamento de’ dubbii e delle correzioni proposte si è l’asserzione di Eusebio di Cesarea autore del quarto secolo dell’Era Cristiana, in cui più di una volta dai dotti si desidera maggiore esattezza.
Per tali cose la favola Pseudolo fu da Gellio chiamata festivissima ed ammirata dai moderni più sagaci interpreti, tra’ quali si distinse Federigo Taumanno.
Strepsiade padre di Fidippide si vede oppresso dai debiti contratti per compiacere al figliuolo.