In una di esse vedevansi due classi di attori distinti dal colore degli abiti; l’una di color bruno figurava un padrone co’ suoi servi, l’altra di bianco una comitiva di ladroni.
Paralello fra esse, e quelle dei Greci. […] Niuno, cred’io, pretenderà che mi trattenga a tutte narrarle minutamente, potendosi ciò ampiamente vedere in altri autori che ne parlano più di proposito; aggiugnerò bensì, che gran parte di esse scoperte non hanno altro fondamento se non quello appunto della comun tradizione. […] La prima la differenza degli autori di esse rappresentazioni nei diversi paesi. […] Ma ripullularono esse di nuovo col medesimo carattere di stravaganza e d’assurdità anche ne’ più colti secoli e in quelle nazioni altresì che si distinguevano nelle utili cognizioni, ed ottimo gusto. […] Havvi sempre a temere, che le verità più evidenti acquistino dalla discussione un’aria di problema poco vantaggioso per esse.»
In esse il Canova si manifesta comico di larghe vedute, che non vuol l’arte impastoiata nei vincoli di canoni assurdi.
In queste ottave, come in quelle cantate dal Corsini, potremmo forse, e senza troppa fatica, intravvedere il germe della maschera dello Stenterello, la quale sola serbò in teatro l’uso delle ottave, che furon poi come l’elemento primo della maschera, poichè in esse Stenterello mostrava senza inceppamenti il proprio io, dando bottate o politiche, o sociali, in cui emergeva l’inevitabile frizzo a doppio senso, generato forse dal Ciarli, e continuato dal Corsini e dal Del Bono entro una cerchia di relativa correttezza, e ridotto poi dal Cannelli a vera e propria sguajaterìa.
ra Lucrezia sua Madre, mi sono volontieri e di buon animo risoluto di mostrare ad esse un attestato della mia munificenza à loro utile e vantaggio, con le ingionte Propositioni.
La Nazione poco prima disposta ad ascoltare tutto un dramma cantato, accolse più favorevolmente le proprie Zarzuelas, benchè in esse il canto riesca più inverisimile che nell’opera vera. […] ed in qual vigore esse ritornano coll’aria pura? […] In una di esse si personificarono ed introdussero a confabulare le due statue di Apollo e Cibele, e fin anco l’istesso Passeggio del Prado; in un’ altra si personificò la Cazuela e la Tertulia, due palchettoni de’ teatria.
Pensava che questo Ruzzante avesse composte talora Commedie con più di un dialetto (e non già con quanti ne usò l’Autore della Rodiana), ma che esse non erano punto fredde, e insulse come le Spagnuole del Naarro, anzi festevoli e lodate assaissimo nell’ Ercolano da Benedetto Varchi giudice favorito dell’Apologista. […] Anzi al corrotto costume, a’ vizj palliati, alla prepotenza, alla venalità, all’avarizia, alla più d’ogni vizio detestabile ippocrisia, in esse si fa la guerra con una satira spiritosissima. […] Infine era il Signorelli persuaso, che, quando anche nelle Commedie dell’impareggiabile Poeta Ariosto vi fossero alcune cose non totalmente decenti, esse non potessero esser mai tante, quante se ne leggono nelle Commedie Latine, a cagione de’ caratteri che vi s’introducevano, e non pertanto da quasi diciotto secoli l’Europa Cristiana legge, studia, comenta, traduce, ammira Plauto e Terenzio, e se ne raccomanda la lettura alla gioventù. […] Se ne può vedere un esempio in una di esse intitolata il Poeta impressa in Venezia per Comin del Trino 1549., Composizione di Angelo degli Oldrati Romano, il quale non era un Commediante, ma un Individuo dell’erudita Congrega de’ Rozzi di Siona.
Erano esse figure sceniche e notabili per la sordidezza, goffagine e satuità. […] Sic ego Fulgentis splendore pecuniae volo Elucificare exitum aetatis meae, Ne in re bona videam esse nequam filium. […] Di esse vedasi Alberto Fabrizio Biblioth. […] Sed mihi succurrit, numen non esse severum, Aptaque deliciis munera ferre deam.
Erano esse figure sceniche e notabili per la sordidezza, goffaggine e fatuità. […] sic ego Fulgentis splendore pecuniæ volo Elucificare exitum ætatis meæ, Ne in re bona videam esse nequam filium. […] Di esse vedi il Fabrizio Bibliot. […] Sed mihi succurrit, numen non esse severum, Aptaque deliciis munera ferre deam.
La mitologia conduce sulle scene, a grado del poeta, le deità tutte del gentilesimo, ne trasporta nell’Olimpo, ne’ campi Elisi e giù nel Tartaro, non che ad Argo ed a Tebe; ne rende verisimile con l’intervento di esse deità qualunque più strano e maraviglioso avvenimento; ed esaltando in certa maniera ogni cosa sopra l’essere umano, può, non che altro, far sì che il canto nell’opera abbia sembianza del natural linguaggio degli attori. […] L’azion principale vi è come affogata dentro dagli accessori; e la parte poetica di esse ne rimane così debole e meschina, che con qualche color di ragione furono chiamate altrettante infilzature di madrigali.
Ed in effetto esse entrate, e quelle parti surriferite non pajono fabbricate colla mira dell’agio de’ concorrenti. […] Niuna offesa parmi che ne ridondi al gusto, se si osserva che esse possono essere una specie di asilo della male intesa libertà del volgo.
E’ noto dalla storia che le nazioni in se stesse ristrette esistono e fioriscono, e per molti secoli ripugnano a comunicare insieme, perché quel timore che raccoglie gli uomini in società, regna lungamente, e si conserva presso di esse, e le rende inospitali ed inaccessibili, siccome furono per gran pezza gli ebrei, gli egizi, gli sciti, i cinesi, i messicani, i moscoviti ecc. […] Esse più o meno remotamente hanno seco un rapporto proporzionato alla sensazione che ne ricevette la macchina, nella quale esso signoreggia e discorre di modo che le l’urto fu piacevole, cioé se scosse con soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme che ’l cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioé se con maggiore asprezza esse incresparono quella tela, le contempla come male.
É noto dalla storia che le nazioni in se stesse ristrette esistono e fioriscono, e per molti secoli si guardano dal comunicare insieme, perchè quel timore che raccoglie gli uomini in società regna lungamente, e si conserva presso di esse, e le rende inospitali e inaccessibili, siccome furono per gran tempo gli Ebrei, gli Egizzi, gli Sciti, i Cinesi, i Messicani, i Moscoviti. […] Queste più o meno remotamente hanno un rapporto proporzionato alla sensazione che ne ricevè la macchina nella quale esso signoreggia e discorre, di modo che se l’urto fu piacevole, cioè se scosse con soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme che la cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioè se con maggiore asprezza esse incresparono quella tela, le contempla come male.
È noto dalla storia che le nazioni in se stesse ristrette esistono e fioriscono e per molti secoli si guardano dal comunicare insieme, perchè quel timore che raccoglie gli uomini in società regna lungamente e si conserva presso di esse e le rende inospitali e inaccessibili, siccome furono per gran tempo gli Ebrei, gli Egizj, gli Sciti, i Cinesi, i Messicani, i Moscoviti. […] Queste più o meno remotamente hanno un rapporto proporzionato alla sensazione che ne ricevè la machina nella quale esso signoreggia e discorre; di modo che se l’urto fu piacevole, cioè se scosse con soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme che lo cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioè se con maggiore asprezza esse incresparono quella tela, le contempla come male.
Quindi sono esse state piuttosto credute portici, ne’ quali introducevansi le mercanzie in città dall’antico porto che ora è in secco, e di cui sussistono le ruine del molo ora chiamat omuraccio o il torrazzo dell’Ausa fiume che bagna la città dalla parte di Oriente.
Forse alle sue interpretazioni mancava .quello studio paziente, analitico, profondo che accoppiato alle naturali attitudini, innalza l’artista alle sfere più alte ; forse allo addentrarsi in esse profondità mancava in lui l’acume indispensabile ; forse…. ma lasciamo a tale proposito discorrer Tommaso Salvini, che il valoroso giovane seguì amorosamente a traverso le varie fasi : Andrea Maggi è uno dei più prestanti attori che abbiano calcate le scene nostre da mezzo secolo in qua.
A sciogliere la lite di precedenza fra esse, appariscono Apollo nel suo Parnasso coi Poeti ed Aristotele, il quale le affida a Felsina sovraggiunta sopra un carro trionfale, acciocchè essa decida del merito di ciascuna ; la quale dando termine a questa introduzione, così favella : Pregiate Donne, se alla vostra lite Sorta sol per aver la precedenza Delle vostre virtù rare, infinite, Bramate fine impor con gran prudenza : Meco omai, che son Felsina, venite Che m’offero condurvi alla presenza De'saggi figli miei, da'quali avrete Giudizio, onde contente alfin sarete.
Come il genere umano diviso in grandi famiglie e società civili ha la sussistenza di esse assicurata coll’unione delle forze particolari, e provveduto al comodo colla fatica, tosto si volge a procacciarsi riposo e passatempi. […] Allora le classi de’ cittadini si vanno aumentando, si assegnano a ciascuna di esse i limiti e le cure corrispondenti; e la religione intatta e rispettata va a sedere in un trono augusto e sublime, donde si vede a’ piedi gli autorevoli capi delle società, non che i poetici scherzevoli capricci.
Può vedersene un esempio ne’ motteggi lanciati in una di esse quando cadde dalla grazia di Luigi XII il maresciallo de Gie perseguitato da Anna di Brettagna regina-duchessa. […] Gli attori furono varie persone di buon nome e di talento, e tra esse, oltre al medesimo Jodelle, due altri poeti, Remigio Belleau e Giovanni de la Peruse, il quale compose ancora una Medea di assai infelice riuscita.
Appresso tutte le nazioni hanno esse provato una simile vicenda; e al di d’oggi è in esempio tra noi singolarmente la musica. […] Furono esse in ogni tempo la parte dell’opera che più delle altre risaltò. […] Tanto più che ne sono bene spesso cosi affollate le nostre orchestre, che avviene in esse come in un naviglio, che la gran moltitudine delle mani, in luogo che giovi al governo di quello, gli è al contrario d’impedimento. […] Con che si persuade, oltre all’aver dato alle parole quel sentimento che si conviene, di aver anche condito la composizione sua di varietà; ma noi diremo piuttosto che egli l’ha guasta con una dissonanza di espressione da non potersi in niun modo comportare da chi ha fior di ragione; chè già non si ha da esprimere il senso delle particolari parole, ma il senso che contiene il tutto insieme di esse, e la varietà ha da nascere dalle modificazioni diverse del medesimo soggetto, non da cose che al soggetto si appiccino e sieno ad esso straniere o repugnanti.
Ei solo, penetrando più addentro nello spirito delle regole, sa fino a qual punto debbano esse incatenar il genio, e quando questo possa legittimamente spezzarne i legami: sa stabilir i confini tra l’autorità e la ragione, tra l’arbitrario e l’intrinseco: sa perdonar i difetti in grazia delle virtù, e misurar il pregio delle virtù per l’effetto, che ne producono. […] Su questi materiali, e su altri che mi procacciai altronde colla diligenza, scortato ovunque dal giudizio di persone intelligenti nei vari e moltiplici rami di che mi convien ragionare, giunsi a distendere la presente storia di quel brillante spettacolo sì caro all’Italia, il quale pel complesso di tutti i piaceri dello spirito, della immaginazione, del cuore, della vista e dell’udito combinati insieme ad agitar l’animo dell’uomo e sorprenderlo, è senza dubbio il maggiore sforzo delle belle arti congiunte, e il diletto più perfezionato, che da esse attender possa la politica società. […] La tragedia, la commedia e persino la pastorale hanno delle leggi fisse, con cui possono giudicarsi, cavate dall’esempio de’ grandi autori, dal consenso presso che unanime delle colte nazioni, e dagli scritti di tanti uomini illustri, i quali o come filosofi, o come critici hanno ampiamente e dottamente ragionato intorno ad esse. […] Se le riflessioni in gran parte nuove che ho procurato spargere su tali materie, come su parecchie altre contenute in questo libro, non bastassero a formar un sistema completo (lo che non è stato mai il mio oggetto) e se i maestri dell’arte non le trovassero degne di loro, potranno, esse almeno divenir opportune ai giovani, pei quali furono scritte principalmente.
Ecco, signori, le obiezioni che mi permetto di farvi : esse mi paiono fondate su l’amore del vero che deve sempre essere la base delle arti….
In esse si distinse il Fiorio notabilmente, e fu in Venezia ed altrove applaudito.
Non sono però gl’intelligenti sempre d’accordo circa le favole intitolate Galatae, Ephebi, Lacaena, Icetes, Hecyra latinizzata da Terenzio, non sapendo a qual di loro esse si appartengano. […] Saverio Mattei nel lodato Nuovo sistema d’interpretare i Greci disse alcuna cosa dell’antica e della nuova commedia ben diversa da quanto di esse si è narrato da tanti autori antichi e moderni, di che conviene prevenire la gioventù vaga di erudirsi. […] In secondo luogo quel patto apposto di scegliersi argomenti finti dà ad intendere che nelle commedie di Aristofane gli argomenti fossero veri, la qual cosa, a non allucinarsi, nè anche è vera, perchè in esse veri e vivi e noti erano i personaggi introdotti per satireggiarli, ma le azioni, ma gli argomenti erano finti tutti, fantastici, capricciosi e bizzarri oltre misura.
Sono esse scritte in un latino assai barbaro, e ripiene di apparizioni e incoerenze, La prima di esse é divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, ch’é un pagano generale di Costantino, il quale va a combattere gli sciti, n’é vinto, é ricondotto da un angelo contra di essi, é vittorioso, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte l’imperadore non é più Costantino, ma Giuliano, dal quale Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Mancano esse d’arte e di grazia comica? […] Noi più cose ne accennammo nella nostra opera appartenente alle Siciliea; e quì ci arresteremo anche un poco su di esse forse non inutilmente non solo per la gioventù, ma ancora per chi non leggendo osa ragionare, e per chi solo sa ripetere come oriuolo i giudizii portati dagli esteri su i nostri scrittori, favellandone iniquamente per tradizione. […] Adunque anche in un tempo di decadenza nelle belle lettere debbono distinguersi le additate commedie erudite da ciò che in seguito si scrisse in Italia col disegno di piacere alla plebe ed esse debbono tanto più pregiarsi quanto più si vide il secolo trasportato dallo spettacolo più seducente dell’Opera in musica.
Nè in mezzo alle più volgari allusioni, ai frizzi improvvisati del Cannelli, mancavan le allusioni politiche ; chè, anzi, a lungo andare, ci avea fatto l’abito a segno ch’eran più le sere passate per esse in prigione che in teatro.
Alle severità della critica odierna, Antonio Cervi, dal cui opuscolo (Bologna '96) ho tratto in parte questi cenni, contrapponeva queste parole di Alamanno Morelli : « Io che ho saputo contraffare le varie interpretazioni di tutti i più grandi artisti, non sono riuscito mai a contraffare quelle del Papadopoli, tanto esse erano naturali e semplici, e di una meravigliosa efficacia. » Come uomo, egli si formò una travagliosa vecchiaja, confortata a pena da qualche sussidio strappato ai colleghi doviziosi, o che gli eran stati compagni, o che sentivan pietà della miseria sua.
Il Direttore di esse è il più bravo attore del Mondo.
Il musico, servendosi di esse come di passaggio d’un accordo all’altro, preparandole prima che arrivino con suoni dilettevoli che cuoprano l’asprezza loro, facendo dopo succedere modulazioni vive e brillanti, che cancellino l’impressione sgradevole, giugne per fino a rendersele, a così dire, amiche, impiegandole in favore delle consonanze, le quali mescolate con quel poco d’amaro arrivano più gradite all’orecchio: nella maniera appunto che i nostri Apici sogliono pizzicar più vivamente il palato coll’uso degli aromati nelle vivande, o per valermi d’un’altra comparazione, come i pittori fanno servire le ombre a dar maggior risalto ai lumi nelle figure. […] Aggiungasi ancora il frequente uso delle pause introdotte da loro, per cui molte volte avveniva che mentre l’una di esse parti cantava la metà o il fine d’un versetto scritturale o d’un ritmo poetico, l’altra le prendeva la mano, o restava indietro cantando il principio del medesimo verso, e talvolta anche il fine d’un altro. […] L’anima essendo fatta per sentire, cerca d’avere sensazioni diverse perché ciascuna di esse le arreca una novella modificazione di piacere: quindi l’amore della varietà. L’anima cerca di mettere una graduazione nelle proprie sensazioni, perché questa solletica più dolcemente la sensibilità, eccitando colla idea del godimento avuto, il desiderio d’un nuovo, e facendole sperare i diletti che nascono dalla novità; cerca altresì di mettere un ordine fra esse, perché queste risparmiandole la fatica, nella percezion d’un oggetto, le fa nascere una idea più vantaggiosa del proprio talento quasi che comprenda le cose, con maggiore facilità e prontezza: quindi l’amore della simmetria, la quale non è che il risultato della graduazione e dell’ordine che si mette nelle parti d’un tutto. […] Che niuna produzione dell’ingegno può dilettare compiutamente senza soccorso di entrambe, perché nessuna di esse in particolare è capace di soddisfare a tutte le facoltà dello spirito.
Le pastorelle indirizzano la parola alle piante del boschetto, mostrano l’affezione ed il rispetto che ha per esse avuto Sacontala, la quale parte per andare al palazzo dello sposo. […] Formando esse un circolo intorno a’ musici givano cantando alcune arie molto tenere, alle quali rispondeva il coro. […] Fecero esse due giri sopra se stesse saltando e battendo le mani l’una contra l’altra.
Avviene di esse, quel che de’felici grotteschi della pittura : basta conoscer il disegno per delineare un volto regolare ; ma per fare una caricatura perfetta, bisogna esser Grandville.
Lo scopo di quest’opera diretta non meno al progresso dell’arti imitative appartenenti al teatro che a far conoscere il merito della nazione italiana nel coltivamento di esse sembra esiger da me che se ne faccia in questo luogo la descrizione. […] Diamone anche un qualche saggio di esse rimettendo coloro che più oltre cercassero alla storia della danza del Cahusac e al bel trattato de’ balletti del gesuita Menestrier. […] Nessuna di queste cose, né molt’altre ancora può rappresentare la pantomima, eppure ognun vede quanto essenziali siano esse all’orditura di quella tragedia, cosicché chiunque levarle di mezzo volesse, verrebbe a tessere un insipido canevaccio anziché un ordinato drammatico componimento. […] Viene quindi a non molto a scontrarsi con esse un’altra bella fanciulla vestita parimenti all’eroica, la quale parlando all’orecchio ad una delle anzidette, la scosta dal coro, e si danno scambievolmente ballando segni di tenerezza, senza che gli spettatori possano comprendere il perché. […] Offrendo alla vista le varie mosse, e le seducenti attitudini che possono prender le membra del corpo umano regolate dall’arte, risveglia altresì l’idee della bellezzan fisica, e con esse l’immagine dei diletti che ne vanno congiunte.
Adunque o le favole del Malara chiamate Tragedie n’ebbero il nome per l’abuso nazionale d’intitolare alla rinfusa le favole sceniche or Tragedie, or Commedie, or Tragicommedie: o esse non meritarono la stima de’ savj per essere state scritte secondo il gusto volgare, e non secondo il metodo degli Antichi. […] perchè ad esse non vi atteneste in questa Tragedia? […] O seguir bisogna la fama, la voce comune, o fingere in modo che ad essa non disdicano le cose immaginate; esse debbono al possibile avvicinarsi alla Verità, non avendo il favoleggiatore diritto ad esser creduto in qualunque suo capriccio. […] Belle, felici, se non nuove, esse sono certamente: ma non conservano nella Drammatica la bellezza che hanno in altri generi: non erat hic locus, dice Orazio. […] E sebbene l’istesso Montiano dica che vi si osservano le tre unità, non si vede offesa la più importante di esse, cioè quella di Azione dalla moltitudine e complicazione di tanti e tanti fatti che ne offuscano la necessaria chiarezza?
Invece di trasportare l’arte di que’ primi Maestri a’ moderni costumi e genj delle Nazioni, esse si videro trasportate a’ tempi de’ Greci, e de’ Romani: e in vece di vedersi sul Teatro i ritratti de’ moderni Italiani, si videro quelli delle nazioni antiche”. […] Al contrario esse porteranno sempre incisa nel frontispizio un’ aria d’incertezza, di argomentazione precaria, di sospensione, che le cangia infine in pure declamazioni suggerite dalla paura di soggiacere, ed infonde brio e vigore negli emuli che se ne accorgono. […] Intanto esse si rappresentarono per tutta l’Italia, si applaudirono, si replicarono, s’impressero, si reimpressero, si studiarono. […] Le Dame, le fanciulle onorate, per lo più introducono i loro amanti in casa, gli occultano all’arrivo di un Padre o di un Fratello ne’ proprj appartamenti, vanno esse stesse alle Case, o Locande dove quelli dimorano medianto il soccorso de los Mantos, fuggono con esso loro di notte dalle paterne case &c. […] Antonio Lopez si lamenta delle irregolarità delle favole del Vega, e de’ suoi coetanei1: strepita contro il Comico in esse confuso col Tragico, per cui in una medesima occasione si piange, e si ride: si burla dell’ineguaglianza della locuzione nel tempo stesso nobile, e plebea &c.
[2] Sebbene sia fuor d’ogni dubbio che fra le potenze interne dell’uomo alcuna vene ha portata naturalmente verso il vero, e che in esso unicamente riposi non potendo abbracciar il falso quando è conosciuto per tale; è fuor di dubbio parimenti, che fra esse potenze medesime alcun’altra si ritrova, la quale senza poter fermarsi tra i cancelli del vero, si divaga pei mondi ideali da lei creati, e si compiace de’ suoi errori più forse di quello che farebbe della verità stessa. La prima di esse facoltà è l’intelletto, la seconda la immaginazione, e perciò in quest’ultima è riposta la sede del maraviglioso. […] Ma siccome troppo è difficile nei popoli rozzi estirpare in picciol tratto di tempo ogni radice d’antica credulità, così gran parte di esse superstizioni divelte dal sistema religioso durò lungamente nelle menti del volgo. […] Quindi per la ragion de’ contrari non men valevole nelle cose morali che nelle fisiche, nacque la custodia più gelosa di loro, e il combatter per esse, e il ritorle dai rapitori, e il farsi molti un punto d’onore cavalleresco nel diffenderle, sì per quell’intimo sentimento che ci porta a proteggere la debole ed oppressa innocenza, come per acquistarsi maggiormente grazia nel cuor delle belle riconquistate: grazia che tanto più dovea esser cara quanto più ritrosa e difficile, e quanto più erano consapevoli a se medesimi d’aversela meritata.
La nazione prima poco disposta ad ascoltare tutto un dramma cantato accolse più favorevolmente le proprie zarzuelas, benchè in esse il canto riesca più inverisimile che nell’opera vera. […] ed in qual vigore esse ritornano coll’ aria pura? […] In una di esse si sono personificate e introdotte a parlare le due statue di Apollo e Cibele ed il Passeggio del Prado: in un’ altra si personificò la Cazuela e la Tertulia, che sono due palchettoni del teatro32. […] Unico corpo secondo lui avrebbe potuto dirsi, se esse non avessero recitato in due teatri le proprie commedie.
Questo pregiudizio rinfacciato da Saint-Evremond e da Montesquieu alla nazione francese, trovasi presso tutte le altre ancora, senza eccettuarne la greca e la romana; e soltanto alcuni pochi fra esse a forza di osservare e riflettere se ne sottraggono.
In esse ha egli procurato d’essere spiritoso, ma non osceno ; pungente, ma non satirico.
., ottenendo ovunque successi invidiabili per il vivo sentimento patriottico che in esse sapeva trasfondere mercè i palpiti veri che gli venivano dal cuore.
Dopo che Fiammella ha promesso a Titïro, se cessi dalla sua crudeltà, un vaso per attinger acqua, fatto d’un teschio d’un uccello, ch'in aria si nutrisce di rapina, ………… e n’è intagliato con sottil lavoro tutt’all’intorno d’ogni sorte uccelli, ………… Ardelia dice : E tu, Titiro mio, se mi compiaci, ti vo' donar una bella ghirlanda da verginelle mani ben contesta di Rose, di Ligustri, e d’Amaranti, con molte foglie d’Ellera e d’alloro, nelle quali son scritte le mie pene, e come fui per te d’amor trafitta, con fregi che circondano le foglie ch'in esse si comprendono il trionfo del faretrato Dio, e di sua madre.
Le signore, senza le quali tutto langue, contente di piacere nel lor linguaggio naturale, nè parlano il nostro, nè lo intendono : come ci amerebbero esse ?
Le tradizioni della China parlano in guisa dell’armonia che quasi sembrano aver esse voluto copiar fedelmente le favole greche. […] Dalla perfezione ove fu condotta da loro ciascuna di esse parti separatamente prese, e dall’intima corrispondenza che metter seppero fra tutte come linee dirette ad un solo centro, devono ricavarsi in gran parte i prodigiosi effetti che ci vengono descritti. […] Ciascuna di esse era altresì a qualche particolar uffizio destinata colla esclusione d’ogni altro, dal che ne risultava una riunione di cause una convergenza di linee dirette ad un unico centro, che veniva a rinforzar la espressione in ragione dei mezzi. […] La qual cosa non osserva da noi, poiché ignorandosi nella nostra poesia la quantità sillabica, e badando per la formazione del verso al solo numero di esse sillabe, la misura musicale fa tutto da sé, e poche volte va d’accordo colla poesia. […] La prima di esse misure esprime quattro tempi, la seconda sei, la terza altri sei, e la quarta nove.
Oltrechè in molte migliaja di commedie recitate della medesima nazione, a riserba di qualche dozzina di esse, si trovano frequentemente alcune strofe o canzonette cantate in coro dalle damigelle di qualche principessa, nell’impressione delle quali se si avesse voluto conservare il nome del maestro, avrebbe potuto notarsi con ogni proprietà, vi fece la musica (p. e.) il maestro Ita, il maestro Corelli ec., benchè esse si sieno rappresentate e si rappresentino attualmente col solo canto naturale della favella. […] E come agli autori di esse sarebbe venuto in mente di farvi una musica continuata per tutto il dramma (come indi avvenne nell’opera) senza averne avuto esempio? […] Pochi son quelli che si sovvengono delle censure famose per altro di Giasone di Nores, di Fausto Summo, dì Giovanni Pietro Malacreta, di Angelo Ingenieri e di Nicola Villani, come altresì delle risposte che ad esse fecero, oltre dell’istesso Guarini, Giovanni Savio e Paolo Beni e Ludovico Zuccoli.
Esse non solo si recitarono con molto applauso in Napoli, ma nel resto dell’Italia, e si tradussero in diverse lingue, e singolarmente quattro di esse in inglese da Dorotea Levermour62. […] I Greci non cadevano in tale inverisimiglianza pel coro fisso; ma Liveri privo di simil presidio introduceva i suoi personaggi a favellare senza rendere le strade solitarie, la qual cosa dee osservarsi nella lettura di esse colla descrizione della scena. […] Comunque debbano esser chiamate o commedie lagrimanti o rappresentazioni tragicomiche (perocchè alle ridicolezze di Curcuma vi si congiungono situazioni tragiche, gran passioni e pericolosi contrasti) esse riuscirono prodigiosamente sulle scene. […] , dalle quali i comici Lombardi hanno colto tanto frutto che dovea guarirli da’ loro invecchiati pregiudizj; e l’Italia prende da esse nuova speranza di vedere ristabilito e condotto a perfezzione il sistema del sig Goldoni.
Sophocles (dicesi nella Vita di Sofocle tradotta dal greco per Giovanni Lalamanti) Homericam venustatem & majestatem exprimit, ut Jonicum quemdam dixisse ferant, solum Sophoclem Homero esse discipulum. […] Onde i Poeti Comici si servivano per il Coro, non delle persone date loro dal Magistrato, ma di quelli che eglino stessi a voglia loro o di esse, si provvedevano.
Or quando noi le leggiamo, non ci dispiacciono esse già; che anzi ci sembrano con lepore e con eleganza composte. Ma se tu prendi a paragonarle cogli originali Greci, da cui furono tratte, e ogni cosa di seguito e diligentemente tra lor confronti, cominciano le Latine pur troppo a cader di pregio e a svanire al paragone, così sono esse oscurate dalle commedie Greche cui in vano cercano di emulare“.
Aggiugneranno, che quantunque in tali forze attive debba riconoscersi una gradazione d’intensità, sia per la disuguaglianza delle organizzazioni, sia per la forza della Mente, che suole felicemente assoggettare il suo compagno, e regolarne la irritabilità, non per tanto sono esse forze comuni a tutta la specie umana. […] Scrisse egli buone Riflessioni sulla Poetica, benchè in esse in prima copiasse molte osservazioni Italiane, approfittandosi degli scritti del Tasso, del Riccoboni, del Castelvetro, e di Paolo Beni, che egli chiamava, Dottore in tutto, fuorchè nella corda che a lui dissonava, cioè quando parla della sua Nazione: di poi vi censurasse per lo più mal fondatamente gl’Italiani e gli Spagnuoli, chiamandoli ignoranti nelle regole Aristoteliche, malgrado di non pochi Italiani ch’egli pur cita e trascrive: e appresso vi attaccasse con armi fragili, non solo il Poema del Chiabrera e dell’Ariosto, ma quello del Tasso, e finalmente tratto tratto vi contradicesse e Aristotile, di cui pure affermava, che on s’égare dès qu’on ne le suit pas, e se medesimo ancora in più di una censura. […] Senza ciò come non avrebbe scorto il patetico di Euripide in quelle cose, che io scelsi di esse Tragedie?
Ci diede poi il Nasarre una notizia nè vera nè verisimile, allorchè scrisse che esse si rappresentarono con indicibile applauso in Roma e in Napoli sotto Leone X. […] In esse, oltre a’ soliti difetti circa le unità e lo stile, vedesi la stessa mescolanza di compassione e di scurrilità che regna nelle altre sue favole. […] Tali in fatti esse sono, sebbene non fatte sempre da verbo a verbo, perchè il Perez tratto tratto tronca, raccorcia, contorce, e peggiora gli originali, siccome trovasi provato nel mio Discorso Storicocritico artic. […] Noi le riconosciamo per tragedie, ma ci rapportiamo su di esse alla censura del nazionale Montiano. […] mostrò anzi di saper queste cose quali esse siensi prima che io le dicessi?
Tra esse nominansi due Edipi, Andromeda, Iceta, Ippolito, Cassandride, Penteo, Pelopida, Telegono.
La lunghezza delle scene, le stravaganze e le irregolarità che vi si osservano, non lasciano risplendere abbastanza qualche pensiero nobile che in esse si rinviene.
La lunghezza delle scene, le stravaganze e le irregolarità che vi si osservano, non lasciano risplendere abbastanza qualche pensiero nobile che in esse si rinviene.
Il Medebach recitava in esse la parte di Ottavio, scritte a posta per lui.
Ci diede poi il Nasarre una notizia nè vera nè verisimile allorchè scrisse che esse si rappresentarono con indicibile applauso in Roma e in Napoli sotto Leone X. […] In esse, oltre a i soliti difetti circa le unità e lo stile, vedesi la stessa mescolanza di compassione e di scurrilità che regna nelle altre sue favole. […] Tali in fatti esse sono, sebbene non fatte sempre da verbo a verbo, perchè il Perez tratto tratto tronca, raccorcia, contorce e peggiora gli originali, siccome trovasi provato nel mio Discorso Storico-critico articolo V. Ha però preteso il citato signor Andres che il Perez in esse talora migliora gli originali nel dialogo . […] Noi le riconosciamo per tragedie, ma ci rapportiamo su di esse alla censura del nazionale Montiano.
Insieme colle Arabe Poesie si è conservata memoria di tanti puerili contrapposti, giuochi di parole, e acrostichi adoperati da’ verseggiatori Arabo-Ispani; e intanto nè opera veruna di Poesie sceniche, nè memoria di esse trovasi in veruno Scrittore, e ciò non basta ad affermare che non ne avessero?
Che sieno però esse state composte avanti che l’Etruria fosse soggiogata da’ Romani, siccome pretenderebbe dare a credere il Dempstero12, è cosa incerta, nè apparisce dal passo di Varrone; ed il chiar.
Di tal guisa la maggior bellezza delle opere loro è inseparabile dall’ azione, dipendendo il successo di esse esclusivamente dagli attori che dànno loro maggiore o minor pregio secondo il maggiore o minore spirito, e secondo la situazione buona o cattiva nella quale si trovano recitando.
Ma basti affermare ch'Ella per sue doti fisiche e intellettuali è noverata oggi fra le rare attrici di pregio intrinseco della nostra scena di prosa ; e di esse prima senza dubbio per la spontaneità doviziosa, direi quasi per la improvvisazione, specie negli scatti della passione caldissima, in cui forse la moltitudine non avverte alcune scorrettezze di forma lamentate dall’acume della critica.
Se già esse non furono bizzarre fantasie prodotte dalla calda immaginazion de’ poeti, la quale non contenta d’ingannare se stessa vuol per fino tramandare le sue illusioni ai secoli futuri. […] In moltissime loro canzoni si trova alla fine il primo versetto o la prima parola dell’inno latino sulla cui composizione furono esse modellate. […] Ma contenti di dirlo, niuno ha voluto prendersi la briga di spiegarci partitamente le circostanze, dalle quali però, siccome dipende sovente la formazion delle cose così non si può senza risaperle formar intorno ad esse cose un diritto giudizio. […] Non trovandosi la menoma forza in veruna delle pruove particolari addotte dall’autore sarebbe inutile il cercarla nella riunione di esse; giacché la validità integrale d’un ragionamento non altronde risulta che dalla validità parziale delle ragioni che Io compongono. […] La tessitura ne’ versi, e la proposizione fra gli intervalli e i riposi sono essenziali ad ogni poesia, come il ritmo e la misura lo sono ad ogni musica, poiché altro esse non sono che la diversa combinazione del tuono e del tempo necessaria in qualunque verso per distinguersi dalla prosa.
Non pertanto faremo su di esse qualche riflessione passeggiera101. […] Matrem ex ea re me aut uxorem in culpa inventurum arbitror: Quæ cum ita esse invenero, quid restat, nisi porro ut fiam miser? […] Panfilo replica, Dabo jusjurandum, nil esse istorum, tibi. […] Nam si senserit te timidum pater esse, arbitrabitur Commeruisse culpam. […] Pudore & liberalitate liberos Retinere satius esse credo, quam metu.
Né solamente esse nacquero in mezzo alle passioni, ma né pure possono essere esercitate se non da uno spirito che da questa attualmente sia posseduto. […] Ma perché a facilitarsene il cammino giova moltissimo il guadagnarli prima i sensi, esse a questi diriggono i loro primi attacchi. […] Che se due corde d’egual grossezza fanno in un medesimo tempo un medesimo numero d’oscillazioni, esse sono all’unisono, ciò è, danno lo stessto tuono ambedue. […] Se esse ci si espongono nudamente, e senza grazia veruna, poca accoglienza ottengono da noi. Ma se ci vengono innanzi d’una maniera aggradevole e interessante, esse scendono senza opposizione nell’imo della mente e del cuore.
Nella II al tit. 21 si parla in 25 leggi de’ duelli, e tra esse nella 13 e 14 s’insegna il modo di fare i cavalieri e gli scudieri; e nella 21 si dice che gli antichi cavalieri combattevano a favor degli aggraviati. […] Avvenne a que’ tempi ancora, cioè sin dal 1001, che secondo Camillo Pellegrino un certo Capuano copiò in un codice membranaceo le leggi de’ cinque re Longobardi, le addizioni di Carlo Magno e de’ successori, e i capitoli e trattati de’ duchi di Benevento, frammettendovi alcune sue osservazioni intorno alla pratica di esse leggi; il qual codice serbasi nell’archivio della Trinità della Cava. […] Dovea piuttosto riflettersi alla saviezza che spirano quasi da per tutto le leggi Longobarde, e al vantaggio che alcune di esse hanno riportato ancor sulle Romane. […] Le leggi (egli dice nel libro XXVIII, c. 2) di Gondebaldo per li Borgognoni sembrano assai giudiziose, quelle di Rotari e degli altri principi Longobardi le sorpassano di molto; ma le leggi de’ Visigoti, di Recesvindo, di Chindesvindo, di Egica, sono puerili, goffe, idiote: esse non conseguiscono il fine delle leggi, sono piene di tinte rettoriche, vuote di senso, frivole nel fondo e gigantesche nello stile.
La quale non altronde deriva se non se dal prendersi le inflessioni musicali come altrettanti segni delle nostre affezioni e delle nostre idee: dal che nasce che risovvenendoci degli oggetti, che vengono per mezzo di esse rappresentate, ci sentiamo parimenti agitare da que’ movimenti medesimi che avrebbe in noi eccitati la presenza loro. […] La rettorica è quella che disponendo a sua voglia delle regole e delle parole, e servendosi di esse come di veicoli delle idee, comunica loro quella espressione, che da sé sole non avrebbero fra le mani di un grammatico. […] La munificenza d’un sovrano, che pagava con quattordici mila scudi un pessimo sonetto di Claudio Achillini, faceva con più ragione attendere non dissimili favori per sé ai belli spiriti tanto più bramosi nella pratica di ricchezze, e di un’agiata fortuna quanto più si mostrano disprezzatori di esse ne’ loro scritti; somiglianti appunto a que’ sacerdoti musulmani, di cui parlano i viaggiatori, i quali, predicando fervidamente ai turchi l’astinenza del vino, niun’altra cosa assaporiscono con tanto diletto quanto una bottiglia di eccellente liquore europeo. […] Se ciascuna di esse ha il suo canto peculiare e distinto, come può darsi che suonando tutte insieme e contemporaneamente, a vicenda non si distruggano? […] Nelle seconde, perché la perfezione di quelle facoltà è un indizio sicuro, che si coltivano pur ora, o si sono per l’addietro coltivate felicemente molte altre che dipendono dalle prime, o s’inanellano con esse in maniera che non possono reggersi da per sé; così una lingua ripolita, abbondante, armoniosa, e pieghevole suppone un lungo progresso di lumi, di coltura, e di cognizioni; una poesia ricca, e perfetta nei moltiplici rami che la compongono, suppone un uso quotidiano del teatro, una gran cognizione critica della storia, uno studio filosofico, analizzato e profondo del cuor dell’uomo; una musica come è l’italiana, suppone un avanzamento prodigioso nel gusto, e in tutte le arti del lusso.
Texentem telam studiosé ipsam offendimus, Mediocriter vestitam veste lugubri, Ejus anus causa, opinor, quae erat mortua, Sine auro tum ornatam, ita uti quae ornantur sibi, Nulla mala re esse expolitam muliebri: Capillus passus, prolixus, circum caput Rejectus negligenter. […] Avvegnaché alcune sentenze sieno ottime, e non paiano affettate, pure la maggior parte di esse ha un’aria di aforismi, o di responsi d’oracolo. […] Hercules monstri loco Jam coepit esse. […] Or quando noi le leggiamo, non ci dispiacciono esse già; che anzi ci sembrano con lepore e con eleganza composte. Ma se tu prendi a paragonarle cogli originali greci, da cui furono tratte, e ogni cosa di seguito e diligentemente tra lor confronti, cominciano le latine pur troppo a cadere di pregio e a svanire al paragone; così sono esse oscurate dalle commedie greche, cui in vano cercarono di emulare».
Allora le classi de’ cittadini si vanno aumentando; si assegnano a ciascuna di esse i limiti e le cure corrispondenti; e la religione intatta e rispettata va a sedersi in un trono augusto e sublime, donde si vede a’ piedi i seriosi capi delle società, non che i poetici scherzevoli capricci.
, e ad esse tenner dietro in vario tempo un brindisi in versi martelliani nel Convitato di Pietra, pubblicato in foglio volante a Livorno l’autunno del 1766 ; un piccolo libretto in-8° contenente alcune considerazioni sopra un parere del dottor Carlo Goldoni, pubblicato il 1767 non so dove, ma forse a Bologna, mentre lo Scherli era col Davia ; Sette Notti di Edoardo Young tradotte in versi, pubblicate in-4° a Palermo il 1774 nella Stamperia de' Santi Apostoli ; e una scelta delle Rime con aggiunta di poesie siciliane e di lettere varie, edita in Palermo il 1777 in-12°.
Prendendo a trattar buona Causa in ciascuna parte di esse. […] E che mai sappiamo noi, che esse c’insegnarono? […] Degli Uffizj: Vera gloria radices agit, atque etiam propagatur: ficta omnia celeriter, tamquam flosculi decidunt; nec simulatum potest quidquam esse diuturnum.
Non pertanto faremo su di esse alcune riflessioni passeggerea. […] Haec, ita ut liberali esse ingenio decet, Pudens, modesta, incomoda atque injurias Viri omneis ferre, et tegere contumelias. […] Lachete ascrive la di lui ritrosia agli antichi amori, Pamfilo replica, Dabo jusjurandum, nihil esse istorum, tibi . […] Nam si senserit te timidum pater esse, arbitrabitur Commeruisse culpam. […] Pudore et liberalitate liberos Retinere satius esse credo, quam metu.
Il filosofar sulle arti reca utile alla gioventù e lode al ragionatore; ma col fantasticar fu di esse con osservazioni mal digerite, si distrugge e non si edifica. […] Languide esse sono per lui, per volersi l’autore adattare al gusto allora regnante e trasportare al moderno idioma i complimenti, le frasi, e l’espressioni de’ comici latini . […] Ma di grazia incresce al gran censore Ignaziano l’oscenità di esse? […] Noi faremo menzione della maggior parte di esse senza trattenerci lungamente su di esse. […] E se ne ha lette alcune, come mai osò dire esser esse così sfornite d’arte, di spirito e di gusto che neppure di una sola possa sostenersi la lettura a?
Noi non seguiremo certo i due innamorati a traverso le loro peregrinazioni artistiche e amorose, nè metterem qui tutte le canzoni che in dialetto veneto il povero innamorato le indirizzava ; alcune di esse troverà il lettore al nome di Cantù.
Nella II al tit. 21 si parla in 25 leggi de’ duelli, e tra esse nella 13 e 14 s’insegna il modo di fare i cavalieri e gli scudieri, e nella 21, si dice, che gli antichi cavalieri combattevano a favor degli aggraviati. […] Avvenne a que’ tempi ancora, cioè sin dal 1001, che secondo Camillo Pellegrino un certo Capuano copiò in un codice membranaceo le leggi de’ cinque re Longobardi, le addizioni di Carlo Magno e de’ successori, e i capitoli e trattati de’ duchi di Benevento, frammenttendovi alcune sue osservazioni intorno alla pratica di esse leggi; il qual codice serbasi nell’archivio della Trinità della Cava. […] Dovea piuttosto riflettersi alla saviezza che spirano quasi da per tutto le leggi Longobarde, e al vantaggio che alcune di esse hanno riportato ancor sulle Romane. […] Le leggi (egli dice nel libro XVIII, c. 2) di Gondebaldo per li Borgognoni sembrano assai giudiziose, quelle di Rotari e degli altri principi Longobardi le sorpassano di molto; ma le leggi de’ Visigoti, di Recesvindo, di Chindesvindo, di Egica, sono puerili, goffe, idiote: esse non conseguiscono il fine delle leggi, sono piene di tinte rettoriche, vote di senso, frivole nel fondo, e gigantesche nello stile.
Sono esse composte in un latino barbaro, e ripiene di apparizioni ed incoerenze. La prima di esse è divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, che è un generale di Costantino pagano, il quale va a combattere contro gli Sciti, n’è vinto, è ricondotto contro di essi da un angelo, vince, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte non regna più l’imperadore Costantino, ma Giuliano, da cui Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Oltrechè in molte migliaja di commedie recitate della medesima nazione, a riserba di qualche dozzina di esse, si trovano frequentemente alcune strofe o canzonette cantate in coro dalle damigelle di qualche principessa, nell’impressione delle quali, se si avesse voluto conservare il nome del maestro, avrebbe potuto notarsi con ogni proprietà, vi fece la musica il maestro N, benchè esse si sieno rappresentate, e si rappresentino attualmente col solo canto naturale della favella. […] E come agli autori di esse sarebbe venuto in mente di farvi fare una musica continuata per tutto il dramma, come indi avvenne nell’opera, senza averne avuto l’esempio?
Le storie ragionate che per mano della filosofia si conducono per le varie specie poetiche e singolarmente teatrali, non son dettate per appagar soltanto una sterile curiosità: ma racchiudono in se mai sempre una Poetica a ciascuna di esse corrispondente, ed una Scelta de’ più cospicui esempj sì delle cadute che dei progessi che vi si fecero in diverse epoche.
Ora di questa Città, anche a’ tempi di Pomponio Mela abitata da’ Fenicj venuti dall’Africa, trovansi sparse le rovine per una lega e mezza, e veggonsi tra esse i vestigj di un Teatro, ed anche di un Anfiteatro.
Dopo l’invasione degli europei nel nuovo mondo, quando essi considerandolo come posto nello stato di natura, supposto d’aver diritto ad occuparlo e saccheggiarlo, senza por mente alla ragione degl’indigeni che ne avevano antecedentemente acquistata la proprietà, dopo, dico, l’epoca della desolazione di sì gran parte della terra, le razze africane, americane, ed europee, più o meno nere, bianche, ed olivastre, confuse, mescolate, e riprodotte con tante alterazioni, vi formano una popolazione assai più scarsa dell’antica, distrutta alla giornata da tante cause fisiche e morali, la quale partecipa delle antiche origini nel tempo stesso che tanto da esse si allontana.
Veramente esse sono sommamente basse, fredde, puerili, senza moto teatrale, senz’arte nell’intreccio, senza verisimiglianza nella favola, e senza decenza ne’ costumi. […] Di più annunziò egli nel suo prologo, come scritte con arte, le otto ultime sue commedie pubblicate un anno prima di morire; e pur sono talmente cattive e spropositate, che nel 1749, per procurar lo spaccio degli esemplari di esse mai più non venduti, il bibliotecario Nasarre prese il partito d’appiccarvi una lunga prefazione, nella quale si ammazzò per dimostrar che Cervantes le scrisse a bello studio così sciocche per mettere in ridicolo quelle di Lope di Vega.
Eschilo abbigliò ancora le persone tragiche con vestimenti gravi e maestosi, fece ad esse calzare il coturno, e migliorò l’invenzione della maschera di Cherilo e di Frinico. […] Io ardisco per saggio recare in italiano il principio di esse per coloro che non amano le latine traduzioni letterali e soffrono di vederne qualche squarcio comunque da me espresso: O spazii immensi ove ogni cosa nuota, O voi venti leggeri o fonti o fiumi, E voi del mare interminabili onde, O madre o Terra, o Sol che a tutti splendia.
Le poesie nomiche indirizzate ad Apollo, gl’inni ditirambici fatti per Bacco, le persone che sì sovente Omero introduce a favellare in sua vece, e la curiosità sempre attiva ed investigatrice dell’umana mente; tutte queste cose, dico, cospirarono col greco talento favoleggiator fecondo, espressivo, energico, ed al festevole motteggiar proclive, e da esse la grand’arte pullulò, con cui l’uomo prese a dipigner se stesso facendo i suoi simili alternativamente confabulare. […] L’eloquenza e la poesia, singolarmente drammatica, possono, è ben vero, secondochè la storia dimostra, allignare in ogni governo, purchè non sia corrotto; ma esse, come nel proprio elemento vivono, verdeggiano, fioriscono e fruttificano più che altrove nelle Repubbliche.
Confessa in oltre che allora si unirono gl’interessi delle due compagnie, e si fece una cassa sola; ma sostiene però che per questo non divennero esse un corpo solo. Unico corpo secondo lui avrebbe potuto dirsi, se esse non avessero rappresentato le commedie del rispettivo repertorio in due teatri.
Andreini poi spiega il perchè della pubblicazion delle Favole in Scenarj piuttostochè in disteso, nella prefazione di esse : Avrebbe potuto il detto signor Flavio (perchè a ciò fare era idoneo) distender le opere sue, e scriverle da verbo a verbo come s’usa di fare ; ma perchè oggidì non si vede altro che comedie stampate con modi diversi di dire, e molto strepitosi nelle buone regole, ha voluto con questa sua nuova invenzione metter fuora le sue comedie solamente con lo Scenario, lasciando ai bellissimi ingegni (nati solo all’ eccellenza del dire) il farvi sopra le parole, quando però non sdegnino d’onorar le sue fatiche da lui composte non ad altro fine che per dilettare solamente, lasciando il dilettare e il giovare insieme, come ricerca la poesia, a spiriti rari e pellegrini. […] ma quando esse abbiano le qualità volute, e specialmente una pratica singolarissima del teatro, certi inconvenienti lamentabili nella recitazione premeditata, sarebber più facilmente eliminati in quella improvvisa.
Mi farò dunque a ragionare paratamente di esse, lasciando per ora il parlare del ballo, il quale non sembra costituire parte essenziale dell’opera italiana, giacché quasi sempre si frappone come intermezzo, e di rado s’innesta nel corpo dell’azione. […] [15] Il canto è una espressione naturale degli affetti dell’animo ispirataci dall’istinto, come ci sono ispirati gli altri segni esterni del dolore, gaudio, tristezza, voluttà, speranza, e timore, colla circostanza che ciascuna di esse passioni ha il suo segno particolare, che la esprime, laddove il canto le esprime tutte senza differenza. […] Tutto in esse è metafora, tutto è comparazione. […] Ciò che dico della presente comparazione, dico di tutte le altre lavorate di simil gusto: potranno esse prese separatamente considerarsi come squarci bellissimi di poesia, sulle quali un gran musico potrà addattare una modulazione eccellente, ma sempre mancherà loro la primaria bellezza, che consiste nella fedele espressione della natura, e nella relazione col tutto. […] Ma molte di esse sono state di già accennate in passando, altre si ricavano facilmente da’ princicipi proposti, altre si toccheranno nel seguito di quest’opera.
Intorno ad esse leggesi un buono estratto nel Nuovo Giornale Modanese de’ Letterati d’Italia.
Allora le classi de’ cittadini si vanno aumentando, si assegnano a ciascuna di esse i limiti e le cure corrispondenti; e la religione intatta e rispettata va a sedere in un trono augusto e sublime, donde si vede a’ piedi gli autorevoli capi delle società, non che i poetici scherzevoli capricci.
Il cavaliere, avute le casse, richiese il Lolli della lettera per vedere, diceva, se il numero e la specie di esse corrispondevano alla descrizione fattane da Florindo ; e datagliela il Lolli in buona fede, quegli se la ritenne, e non volle a niun patto restituirla.
Lo spettatore avrà certamente desiderato in quel punto l’arrivo di Annibale, ed egli in fatti sopravviene, e le donne vogliono che dichiari qual di esse egli ami. […] Benchè in esse lo stile alcuna volta appalesi qualche studio soverchio, pur vi si notano molti pregi tragici, oltre alla costante regolarità de’ drammi Italiani. […] La Florinda del figliuolo della famosa attrice Isabella Giambatista Andreini, di cui favella il Baile, e il di lui Adamo recitato in Milano, onde dicesi d’avere il celebre Milton tratta l’idea di comporre il Paradiso perduto: il Radamisto di Antonio Bruno nato in Manduria nel regno di Napoli censore più volte e segretario degli Umoristi di Roma65: Ildegarde di monsignor Niccolò Lepori pubblicata nel XVII e reimpressa nel 1704 in Viterbo: la Belisa tragedia di lieto fine del cavaliere Napoletano Antonio Muscettola data alla luce in Genova nel 1664, ed altamente comendata col nome di Oldauro Scioppio da Angelico Aprosio uscita nell’anno stesso in Lovano; e la di lui Rosminda impressa in Napoli nel 1659 ed anche nella II parte delle sue poesie; ed il Radamisto tragedia destinata alla musica impressa nella III parte di esse poesie dell’edizione del Raillard del 1691: e finalmente le tragedie di Bartolommeo Tortoletti Veronese mentovate dal Maffei e dal Crescimbeni.
Per lo che, trovandosi con siffatto metodo liberi della fatica che doveva costar loro la verità e i tuoni più vicini al discorso naturale in quella sorta di composizioni, s’applicarono a coltivar principalmente le arie, dove potevano spaziare a loro talento mostrando tutte le delicatezze dell’arte, fossero esse o non fossero conformi al sentimento delle parole. […] La melodia è l’imitazione stessa di esse passioni eseguita pel mezzo d’una serie successiva di suoni aggradevoli. […] Come nelle arie ancora che si chiamano di mezzo carattere; perché non esprimendosi in esse veruno slancio di passione forte né alcun rapido affollamento d’immagini, la melodia naturale deve allora supplire con graziosi modi e con gruppetti vivaci alla scarsezza di melodia imitativa. […] coll’enorme guazzabuglio di note onde si vestono esse nel canto uscendo alla fine in un minuetto, o in un allegro, posciacchè il minuetto e l’allegro sono, come vede ognuno, il miglior mezzo possibile per enunciare una massima filosofica? […] Non avviene talmente nelle altre arti rappresentative come sono la scultura, la pittura e la poesia, o almeno non avviene così frequentemente, perocché in esse l’oggetto, cui si rapporta l’imitazione, è più vicino, e le relazioni sono più chiare, onde il gusto può aver un fondamento meno arbitrario.
[16] Minore fu il contagio nelle opere buffe sì perché avendo in esse meno luogo il maraviglioso più ne rimaneva pei caratteri, e sì perchè il loro stile più vicino al familiare non ammetteva le frascherie e gli stravizzi dell’eroico. […] L’esempio degli antichi Greci e Romani, che escluse le vollero costantemente; il rischio, cui si espone la loro virtù esercitando una professione, ove per un orribile ma universal pregiudizio, non ha alcun vantaggio il pudore, ove tanti ne ha la licenza; l’ascendente che prendono esse sugli animi dello spettatore non meno contrario al fine del teatro, che pericoloso al buon ordine della società; la mollezza degli affetti, che ispirano coi loro atteggiamenti espressivi di già troppo avvalorata colla seduzione naturale della bellezza e del sesso; lo spirito di dissipamento che spargono fra giovani scapoli, i cattivi effetti del quale si risentono in tutti gli ordini dello stato politico, sembrano legittimar il divieto ad esse pur fatto sul principio delle drammatiche rappresentazioni in Italia di comparir sul teatro.
Io trovo sulle Atellane così contrarie opinioni negli Scrittori, che non saprei determinarmi a diffinirle, se non col prendere il partito accennato nella Storia de’ Teatri, cioè assegnando loro due epoche, o sia riconoscendo in esse un’ alterazione successiva, che di sobrie, gravi, e degne di essere privilegiate, le converse in leggiere, oscene, e licenziose. […] 79.]: “Ora avendo egli composte le sue Tragedie nel tempo in cui dimorò in Italia, dovettero esse comporsi nel 1515., o 1516.”
Spiccano fra esse la Falsa Divota, la Donna ammalata, il Biglietto del Lotto, nelle quali si dipingono al naturale i costumo correnti. […] risponde pieno d’imbarazzo, esse sono, come sempre furono, molto stimate .
Spiccano tra esse la Falsa Divota, la Donna Ammalata, il Biglietto del Lotto, nelle quali si dipingono al naturale i costumi correnti. […] risponde pieno d’imbarazzo, esse sono come sempre furono molto stimate.
Due di esse scritte sin dal 1786 non hanno veduta la luce delle stampe; due altre si sono impresse nel 1786 e 1788. […] Le sue picciole farse sono state spesso ricevute con applauso, e per esse si sono talvolta tollerate goffissime commedie o scempie traduzioni del medesimo La Cruz.
E quantunque il giornalista non abbia addotta non che confutata neppur una sola di esse, nulladimeno sarà bene il confermarle qui con nuovi fatti e con nuove testimonianze degli antichi scrittori. […] Perciò è un paradosso che fa vedere una profonda ignoranza d’ogni filosofia l’asserire che la separazione d’esse facoltà non abbia ad esse pregiudicato, come un paradosso sarebbe in meccanica il dire che la velocità d’un corpo è la stessa quando le forze che lo spingono sono divergenti, o contrarie, che quando l’azione loro è verso d’un solo punto diretta. […] [54] «Insomma ci può dir quel che vuole per provare che la nostra musica è inferiore alla Greca, che non proverà mai nulla, non potendosene fare il confronto; e le autorità dei tre rispettabili professori che adduce in favor suo ancor esse sono inutili su tal questione. stanteché il Tartini, il P. […] Ma ciò che ho detto io, e che il Manfredini non vorrebbe che si dicesse, si è che dall’uso troppo frequente di esse comparazioni è risultato il troppo affollamento degli strumenti, e per conseguenza il prossimo pericolo d’affogar la voce del cantore. […] [71] «Senza tanto declamare e senza ripetere ciò ch’è stato già detto da altri (cioè che vi sono molti guastamestieri che le regole non sono ancora tutte perfette; e che se anche lo fossero esse non basterebbero per formare un grand’uomo, lo che è più vero) poteva dire che pochi riescono nell’arte musica, perché non tutti son nati per la medesima; ma non perché i maestri insegnano il contrappunto ai loro scolari col fargli ritrovare gli accordi, e concertare le parti sul cembalo mentre questo è falsissimo.»
Mostra in prima il poeta la loro scempiaggine nel modo da esse prescelto per ottenerlo. […] Il suocero di Euripide non so come si sviluppa e si distriga dalle donne che lo custodiscono, e strappata dalle braccia di una di esse una bambina tenta fuggire. […] sono esse regine? […] Qui a poco a poco andavano esse empiendo il teatro comparendo in sembianza di donne. […] Le Nuvole esortano il popolo a pregiarle e tenerle per Dee, mostrandogli i benefizii che da esse può ricevere, dispensando a tempo la piova e la serenità, e i danni all’incontro che gli arrecheranno non essendo da esse onorate.
Non vedemmo una parte delle copie impresse di un primo tomo di giurisprudenza feudale dedicata ad un personaggio che dimorava in Palermo, ed un’ altra parte di esse copie indirizzata ad un altro in Napoli?
E non ostante il titolo di tragedie e commedie, esse altro non erano che meri monologhi, o dialoghi satirici senz’azione, posti in musica da lui stesso118, e cantati insieme con sua moglie, ch’egli menava seco in cambio di menestrels, o jongleurs, da noi detti giullari.
Accoppiavansi in esse all’esatta imitazione della natura i voli più bizzarri della fantasia, e si nobilitavano colla poesia più vigorosa, colla morale più sana e colla politica più profonda i soggetti all’apparenza più frivoli e meno interessanti.
Ma si tradirebbe la verità, se si trascurasse, come di ordinario avviene, di rilevarne colla serenità di storico critico alcune bellezze che in esse si trovano. […] Ippolito col promettere semplicemente di proteggerla, Et te tuebor, esse ne viduam putes, Ac tibi parentis ipse supplebo locum, avviva le di lei speranze, e l’anima a palesarsi amante. […] Avvegnachè alcune sentenze sieno ottime e non affettate, pure per la maggior parte esse hanno l’aria di aforismi, o di responsi di oracolo. […] Hercules monstri loco Jam cœpit esse.
Io non credo, come parve ad altri, che la Zingara e la Pazzia fosser commedie dovute alla penna e alla fantasia dell’Isabella e della Vittoria : dicendo il Settimanni che fu recitato la Pazzia commedia d’Isabella commediante, e più giù, co’ medesimi intermedi che erano stati alla Zingara della Vittoria, certo egli volle alludere, piuttosto che a commedie scritte dalle attrici, a commedie che erano di esse il caval di battaglia. […] Coprir le gambe et le braccia, di drappo di color di carne, Et se sara il recitante giouane et bello, non si disconuerà, lo hauer le braccia, et le gambe ignude, ma non mai i piedi, i quali sempre hanno da essere da cothurni, o da socchi, leggiadradramente calzati. habbia poi una camisciola di zendado, o altro drappo di color uago, ma senza maniche ; et sopra quelle due pelli [nel modo che descriue Homero ne l’ habito del pastor troiano] o di pardo, o di altro uago animale, una su’ l petto, et l’ altra su’ l dosso, legandole insieme, con li piedi di esse pelli, sopra le spalle del pastore, et sotto i fianchi. […] Alle nimphe poi, dopo l’ essersi osseruate le proprietà loro descritte da poeti, conuengono le camisce da donna, lauorate, et uarie, ma con le maniche. et io soglio usare, di farci dar la salda, accio che legandole co munili, o con cinti di seta colorate, et oro, facciano poi alcuni gomfi, che empiano gl’ occhi, et comparano leggiadrissimamente. gli addice poi una ueste dalla cintura in giù, di qualche bel drappo colorato, et uago, succinta tanto che ne apaia il collo del piede ; il quale sia calzato, d’ un socco dorato, all’ antica, et con atilatura, ouero di qualche somacco colorato. gli richiede poi un manto sontuoso, che da sotto ad un fianco, si uadi ad agroppare sopra la oposita spalla. le chiome folte, Et bionde, che paiono naturali, et ad alcuna si potranno lasciar ir sciolte per le spalle, con una ghirlandetta in capo. ad altra per uariare aggiungere un frontale d’ oro, ad altre poi non fia sdiccuole annodarle con nastri di seta, coperte con di quei veli sutilissimi et cadenti giù per le spalle, che nel ciuil uestire, cotanta uaghezza accrescono ; et questo [come dico] si potrà concedere anco in questi spettacoli pastorali, poi che generalmente il uelo suentoleggiante, è quello che auanza tutti gl’ altri ornamenti del capo d’una donna, et hà pero assai del puro Et del semplice come par che ricerca l’habito d’una habitatrice de boschi In mano poi habbiano queste nimphe, alcune di esse un’arco, et al fianco la pharetra, altre habbiano un solo Dardo, da lanciare, alcune habbiano poi et l’ uno, et l’ altro. et sopra tutti gl’ auuertimenti, bisogna che chi essercita questi poemi, sia bene essercitato per che è molto piu difficile condur una sifatta rappresentatione, che stia bene : che non è a condurre una comedia ; et per la uerità fa anco molto piu grato, Et bello spettacolo. […] Le tragedie come credo auer altre uolte significato, non hanno propriamente ad essere destinte in atti [quantunque i moderni per propria autorita le diuidono] et i chori che in esse si fanno da poeti, sogliono seruire per quella parte, che hà da trascorrer di tempo tra un successo et l’altro. […] Il progresso dell’arte esteriore, se così posso dire, ossia di tuttociò che concerne il gesto, la voce, la dizione ; quel progresso che fa spesso proferire un discorso eterno colle spalle voltate al pubblico, e tutto d’un fiato, rapido, precipitoso, ruzzolato, che il pubblico non arriva mai ad afferrare ; quel progresso che fa del palcoscenico, nel nome santo della verità, e a scapito dell’arte e del buon senso, una stanza a quattro pareti, senza tener conto quasi mai che per una di esse, il boccascena, gli spettatori han diritto dai palchi e dalla platea di vedere e udire quel che accade lassù ; quel progresso, dico, ha vita da poco più che trent’ anni.
Scrisse il Carretto tre altre commedie, delle quali una s’intitolò i Sei Contenti; ma esse non videro la luce, per esserne forse gli eredi stati distolti da tanti altri drammi di maggior pregio che di poi apparvero. […] Questo maraviglioso ingegno scrisse anch’egli due tragedie, la Dalìda e l’Adriana; ma esse colle altre di lui produzioni drammatiche non sono le migliori di quel tempo, specialmente per lo stile talvolta troppo ricercato e più proprio di certi anni del seguente secolo che del cinquecentoa. […] Celia in esse riconosce la veste del marito traforata e sanguinosa, e trasportata dal dolore inveisce contro il fratello uccisore, indi vedendolo venire circondato dal popolo e acclamato, gli si presenta colla chioma scarmigliata e con tutti i segni del più vivo dolore. […] In esse vedesi talvolta troppo studio della semplicità greca, talvolta d’imitar Seneca nell’infilzar sentenze a guisa di aforismi, sovente di ornar con fregi proprii della poesia epica e lirica. […] A me non è permesso della lunga via di fermarmi su ciascuna di esse.
Si è però preteso da taluni troppo leggermente che esse fossero sin dalla loro origine basse non solo e buffonesche ma oscene ancora. […] E la corruzione di esse fu posteriore e contemporanea agli eccessi degli altri attori, e da ripetersi verisimilmente dall’imitazione contagiosa de’ mimi Greci già ricevuti nella scena Romana. […] Il Patrici conta fino a venti favole di Nevio che tutte trasportò dalle Greche, e tra esse nomina il Trifalo. […] Essendo esse nelle mani di tutti non esigono minute analisi, e basterà per la gioventù che quì se ne osservino alcune particolarità che reputo più degne di notarsi. […] La pigrizia nell’ottavo, Prepotenza nel nono, e dietro ad esse Ogni malvagità.
Eschilo abbigliò ancora le persone tragiche con vestimenti gravi e maestosi, fece ad esse calzare il coturno, e migliorò l’invenzione della maschera di Cherilo e di Frinico. […] Virgilio in simil guisa descrive Enea che osserva le dipinture del tempio di Cartagine; ma Virgilio le anima colla passione e coll’ interesse dell’eroe Trojano, perchè esse tutte rappresentano la distruzione di Troja. […] Nominansi tra esse due Edipi, Andromeda, Iceta, Ippolito, Cassandride, Penteo, Pelopida, Telegono. […] Non vuole adunque il Castelvetro che per gli rappresentatori successivamente introdotti s’intendano tre individui come si spiegò Laerzio, ma tre classi, e tra esse va ripartendo il ballo, il canto ed il suono. […] Quando il fatto deponesse ancora sì vantaggiosamente in favore delle tragedie moderne: quando si potesse assicurare che pari evento felice esse avrebbero avuto sul teatro Ateniese, pure dovremmo esser cauti nel pronunziare sulla preferenza.
Nocquegli in molte di esse la versificazione che prescelse, ad onta di averla renduta al possibile armoniosa, sì per esser nuova in teatro, sì per la rima e la monotonia che l’accompagna, e le di lui tragedie dopo alcuni anni cessarono di rappresentarsi. […] I cori di esse posti in musica da varj eccellenti maestri Napoletani si trovano stampati colle note musicali in fine di ciascun tomo. […] Il non esser esse però accomodate al bisogno de’ pubblici teatri, fece che ne fossero escluse, e che si rappresentassero solo nel collegio di San Luigi di Bologna nel 1732 e ne’ due seguenti anni, e si ripetessero in teatri privati dalla nobiltà Bolognese. […] Sono esse scritte alla greca maniera o alla moderna? […] Ciò che esse dicono, non conoscendosi, è senza riflessione se non per timore della loro vita, almeno per quello di non condurre a fine la meditata impresa.
Abate, che Metastasio impari da esse a ravviluppare, inviluppandosi nelle vostre spine?
Sembra che una delle più famose di esse sia stato l’Avvocato Patelin, la quale ebbe tanta voga che Patelin da nome proprio divenne appellativo, e restò per significare adulatore, e produsse patelinage, e pateliner.
Le prime, qualora siasi trovato il vero metodo di studiarle, e si seguiti a mantenerlo, acquistano maggiori progressi a misura che maggiore è il numero degli studiosi che le coltivano; imperocché dipendendo l’avvanzamento di esse o dalla moltiplicità e verificazioni e de’ fatti replicati, o dalle deduzioni che si cavano da un principio riconosciuto come incontrastabile, tutti sono in istato di rilevare l’esattezza di quelli, e d’aggiugnere loro maggior lume colle proprie scoperte, come molti possono ancora far una convenevole applicazione di questo. […] La natura dell’argomento è la cagion parimenti dello slegamento delle scene, succedendosi queste in tal guisa fra loro, che tolta via qualunque di esse, poco o nulla ne soffre l’intiera composizione160. […] Ora le passioni tragiche non divengono musicali se non quando sono vicine alla violenza, e dall’altra parte la classe dei personaggi illustri, a’ quali appartengono esse, è di numero troppo scarso rispetto alla massa generale della nazione; quindi minore altresì esser deve la somma degli argomenti onde formare una tragedia musicale. […] [NdA] «… Mediocribus esse poetis Non Dii, non homines, non concessere columnae».
Mancano esse forse d’arte e di grazia comica? […] Noi ne accennammo più cose nella nostra opera appartenente alle Sicilie71; e quì ci arresteremo anche un poco su di esse forse non inutilmente non solo per la gioventù, ma ancora per chi non leggendo osa ragionare, e per chi non sa se non ripetere come oriuolo i giudizj portati dagli esteri su i nostri scrittori, favellandone iniquamente per tradizione. […] Adunque anche in un tempo di decadenza nelle belle lettere vogliono distinguersi le additate commedie erudite da ciò che indi si compose col disegno di piacere alla plebe; ed esse debbono tanto più pregiarsi quanto più si vide il secolo trasportato dallo spettacolo più seducente dell’opera76. […] Le nazioni settentrionali aliene da questo obbrobrio in ogni tempo, nel venire a dominare ne’ paesi occidentali del Romano impero, non poterono comunicar loro ciò che esse detestavano o ignoravano.
Ne diremo ciò che altra volta ne scrivemmo, cioè che può ad esse bastare l’aver servito alcuni anni di capitale a parecchie compagnie comiche. […] Sono esse (domandiamo in prima) scritte alla greca maniera o alla moderna ? […] Se ne veggano alcune particolarità in ciascuna di esse. […] Terminano esse differentemente per l’oggetto che entrambi gli autori si prefissero. […] L’erudito Pietro Schedoni non pertanto non vorrebbe in esse rinvenire alcune maniere basse e famigliari, e ne trascrive alcune della Sofonisba nella pagina II del suo discorso.
Sotto il peristilo si veggono cinque porte che introducono a un vastissimo vestibolo ornato da sedici colonne doriche, il cui fondo ripete le cinque arcate dell’entrata che sono ad esse opposte, e formano altrettanti portici aperti. […] L’illuminazione poi facevasi con piastre di latta appiccate alle tapezzerie, e perchè la luce dava ne’ fianchi e alle spalle degli attori, e gli faceva comparire adombrati e neri, sostituirono ad esse alcune lumiere ognuna di quattro candele poste davanti al teatro, le quali con corde visibili si abbassavano per ismoccolarsi le candele da un uomo che saltava fuori a bella posta.
Arse l’Italia nel XV secolo di un alto incendio di guerra in più luoghi; ma le contese de’ Pisani co’ Fiorentini, de’ Veneziani co’ duchi di Milano, degli Angioini cogli Aragonesi, non impedirono l’avanzamento degli studii e delle arti, nè il favore e la munificenza di tanti principi e ministri verso i coltivatori di esse. […] Eccone l’argomento: Ephigeniam cum amaret Ephebus perdite, suasu et precibus eam noctu tandem domo adduxit, et clam parentibus, quamquam quaereretur tota urbe, ad Euphonium traducta est, porro ad alium ut lateret; hoc ubi vidit Ephebus Ephigeniam apud se esse non posse diutius, hanc pro virgine dat Gobio uxorem.
Arse l’Italia nel XV secolo di un alto incendio di guerra in più luoghi: ma le contese de’ Pisani co’ Fiorentini, de’ Veneziani co’ duchi di Milano, degli Angioini cogli Aragonesi, non impedirono l’avanzamento degli studj e delle arti, nè il favore e la munificenza di tanti principi e ministri verso i coltivatori di esse (Nota XIII). […] Eccone l’argomento: Ephigeniam cum amaret Ephebus perdite, suasu & precibus eam noctu tandem domo adduxit, & clam parentibus, quamquam quæreretur tota urbe, ad Euphonium traducta est, porro ad alium ut lateret; hoc ubi vidit Ephebus Ephigeniam apud se esse non posse diutius, hanc pro virgine dat Gobio uxorem.
Quindi esse sono state piuttosto credute portici, ne’ quali introducevansi le mercanzie in città dall’antico porto, che ora è in secco, del cui molo sussistono le ruine ora chiamate Muraccio o il Terrazzo dell’Ausa fiume che bagna la città dalla parte di oriente.
Questo felice ingegno compose alcune ottime Ecloghe, ed una di esse intitolata Albanio sembra al Lampillas un bellissimo Dramma Pastorale.
In prima esse continuarono a rappresentarsi in Roma nella patria lingua Osca ancora nel fiorir della Latina favella e sino all’età di Augusto, quando scriveva il grave geografo Strabonea. […] Si è pèrò preteso da taluni troppo leggermente che esse fossero sin dalla loro origine basse non solo e buffonesche ma oscene ancora. […] Francesco Patrizio conta sino a venti favole di Nevio che tutte trasportò dalle Greche, e tra esse nomina Trifalo. […] Essendo esse nelle mani di tutti, non esigono minute analisi, e basterà per Ila gioventù che se ne osservino alcune particolarità più degne di notarsi. […] Ma ciò si accenna appena con due soli versi dalla Caterva degli attori che congeda l’uditorio: Haec Casina hujus reperietur filia esse a proxumo.
Martirano conserva l’idea originale e si esprime con più semplicità e nettezza: Quilibet sibi vult melius esse quam alteri. […] Scrisse il Carretto tre altre commedie, una delle quali s’intitolava I sei Contenti; ma esse non videro la luce, per esserne forse gli eredi stati distolti da tanti altri drammi di maggior pregio che dipoi apparvero. […] Questo maraviglioso ingegno scrisse anch’egli due tragedie la Dalida e l’Adriana; ma esse colle altre di lui produzioni drammatiche non sono le migliori di quel tempo, specialmente per lo stile talvolta troppo ricercato e più proprio di certi anni del seguente secolo che del cinquecento. […] Celia in esse riconosce la veste del marito traforata e sanguinosa, e trasportata dal dolore inveisce contro il fratello uccisore, indi vedendolo venire circondato dal popolo e acclamato, gli si presenta colla chioma scarmigliata e con tutti i segni del più vivo dolore. […] Non per tanto esse, come ognun vede dal loro titolo, non sempre son tratte da argomenti maneggiati da’ tragici greci, ed apprestano più di una scena appassionata ed interessante; ma io non mi fermo su ciascuna, per non abusare della pazienza di chi legge con formare estratti e critiche di qualunque opera teatrale.
Ariosto è il primo ad ismentirlo con tutte le sue cinque commedie, perchè in veruna di esse non si vede pesta di quegl’ intrighi di gelosia e di vendetta funesta da lui urbanamente chiamata Italiana, per essersi dimenticato delle storie delle altre nazioni e della propria. […] Il filosofar sulle arti reca utile alla gioventù e lode al ragionatore; ma col fantasticar su di esse con osservazioni mal digerite si distrugge e non si edifica. […] Noi faremo menzione della maggior parte di esse, senza trattenerci su di tutte lungamente. […] In qual di esse ha trovato quella sognata mescolanza di dialetti, quei gesti di scimia, quella tremenda e pericolosa gelosia e vendetta Italiana? E se ne ha lette alcune, come mai osò dire esser esse così sfornite d’arte, di spirito e di gusto che neppure di una sola possa sostenersi la lettura 128?
Al presente sono esse così minute che non hanno luogo a fare una impressione durevole, né servono ad altro che a snervare, a così dire, la forza del suono spezzandolo in parti troppo deboli perché troppo leccate, nella stessa guisa che l’eccedente uso dei diminutivi nello stile rende molle di soperchio e stemperata la poesia132. […] Havvi degli accessori nelle passioni, dei contrasti fra le idee, delle alternative fra i sentimenti, dei silenzi che nulla dicono perché si vorrebbe dir troppo, delle circostanze dove si bramerebbe d’avere cento lingue per palesare con esse la folla e il tumulto delle sensazioni interne onde siamo la vittima. […] [18] Si pecca altresì frequentemente nel voler vestire di copiosi accompagnamenti le arie, che da se stesse abbondano d’espressione; laddove il buon gusto insegnerebbe che quando le parole sono talmente esprimenti che bastano esse sole a generare l’effetto, gli accompagnamenti divengono non solo inopportuni, ma nemici della verità musicale. […] Avvegnaché tutte l’affezioni dell’uomo non siano che altrettante modificazioni della fisica sensibilità, e che a siffatto riguardo esse non parlino che un solo linguaggio cioè quello del piacere o del dolore; tuttavia nella maniera d’esprimer l’uno e l’altro ciascuna si crea un particolare idioma composto d’inflessioni e d’accenti diversi da quello d’ogni altra. […] E tal è la bassezza dell’amor proprio, che quantunque la natura gli si appresemi con tutti i suoi vezzi, cerca nonostante di chiuder gli occhi alle vaghezze di lei, temendo che il mostrarsi sensibile ad esse noi faccia cadere dalla riputazione di uom dotto, ch’ei tanto pregia, fino alla debolezza d’averne dei piaceri comuni col volgo.
Forse vengono indebolite in qualche modo dalle arti cortigianesche che in esse campeggiano aliene dalla ferocità de’ Goti non da molto tempo avvezzi alla coltura che raffina gli artificii. […] Ma egli stesso no se ha hecho bien cargo di ciò che io dissi e ripeto, cioè che esse converrebbero a’ Numantini, usate a tempo e parcamente , la qual cosa tradotta in volgare significa che esse sono proprie di un popolo irritato contro Roma, ma non dovrebbero occupare il luogo dell’azione essenza del dramma; non risentire l’affettazione ma derivare naturalmente dalle situazioni, e non essere, come sono quasi tutte, una pretta borra intempestiva. […] Giugurta che avea udito Olvia che parlava sola, ora non ode più ciò che esse dicono. […] Altra volta , ella dice, avrebbe per esse dichiarata la guerra a chi che sia , e ciò non è fuor di proposito; ma soggiunge che avrebbe fatto retrocedere il Tago verso la sorgente e convertita la notte in giorno ; e ciò è scherzare, mentre queste espressioni appena si permettono al genere lirico in cui parla un poeta ispirato, ma si reputano sulla scena false fantastiche contrarie all’effetto ed allo stato di Rachele.
L’Ariosto prese per esemplari le commedie latine nella forma e disposizione del dramma; ma non ebbe bisogno di trar da esse o dalle greche gli argomenti; ond’é che venne a superar i latini per invenzione e conseguentemente per vivacità. […] in cogitationibus suis et obscuratum est insipiens cor eorum: dicentes enim se esse sapientes, stulti facti sunt. […] o pur contento di esse, passandovi sopra con indulgenza, ancorché le riconosca per false e ad ogni istante se ne sovvenga, si trasporta, si fa sedurre, piange, freme, s’adira seguendo i movimenti e le passioni de’ personaggi imitati?
E un edificio isolato che rappresenta un parallelogrammo circondato da portici, la cui facciata di 200 piedi consiste in un maestoso colonnato d’ordine corintio con peristilo, le cui colonne hanno tre piedi di diametro, e su di esse corre una balaustrata con piedistalli ornati di figure analoghe alla destinazione del luogo. […] Sotto il peristilo si veggono cinque porte che introducono ad un vasto vestibolo ornato di sedici colonne doriche, il cui fondo ripete le cinque arcate dell’entrata che sono ad esse opposte, e formano altrettanti portici aperti.
[Nota d’autore n. 18] «Itaque ex his indagationibus, mathematicis rationibus fiunt vasa aerea pro ratione magnitudinis theatri… Dicet aliquis forte multa theatra Romae quotannis facta esse, neque ullam rationem earum rerum in his fuisse; sed erravit in eo, quod omnia publica lignea theatra tabulationes habent complures, quas necesse est sonare … Cum autem ex solidis rebus theatra constituuntur, idest ex structura caementorum, lapide, marmore, quae sonare non possunt, tunc ex his hac ratione sunt explicanda», Vitruv.
Tre di esse appartengono a don Leandro de Moratin di Madrid figliuolo del prelodato don Nicolàs da cui ha ereditato l’indole poetica, la grazia dello stile, la purezza del linguaggio, e la dolcezza della versificazione.
Ma fra esse se ne leggono alcune più interessanti e più sobrie e per varii tratti poetici e per situazioni pregevoli, se voglia usarsi loro indulgenza per la solita irregolarità. […] Ed in ciò ancora è da riprendersi il poeta; perchè in vece di prefiggersi l’insegnamento di una verità, cioè che le passioni sfrenate e la pazza gelosia cagionino ruine e miserie, egli si è studiato d’insegnare che esse provengono dall’influsso degli astri. […] Ne darò una mia traduzione, e ne’ passi dove i tratti patetici vengono traditi dalle false espressioni, non sostituirò ad esse i miei pensieri, ma le trascriverò in margine. […] Non v’ha regola di verisimile che in esse non si trasgredisca, nè stranezza di stile che non possa notarvisi; e pur vi si divisa un artificio che ne rende gli argomenti interessanti. […] E che giovano esse quando non sono verificate su i medesimi drammi?
Traggono da esse i comici lombardi tanto frutto e riputazione, che finalmente saran costretti dall’evidenza a deporre il rimanente de’ pregiudizi mimici de’ loro predecessori. […] Di più alcuna di esse é anteriore alle opere di Apostolo Zeno; le altre sono uscite nell’istesso tempo. […] L’accoppiare quelle due virtù, tra se opposte, brevità e chiarezza, quanto sia difficile nelle composizioni (e massimamente ne’ drammi musicali che non possono adottare per loro uso nel canto serio più di sei in sette mila parole radicali tra le quarantaquattro mila noverate da Anton-Maria Salvini nella lingua italiana) ce l’insegna Orazio allorché dice nell’Arte poetica: ……… brevis esse laboro, Obscurus fio.
Chabanon tralle sue poesie ha pubblicate due commedie lo Spirito di partito ovvero i Contrasti alla moda, ed il Falso nobile; ma neppure esse, benchè prendano a ridicolizzare certe debolezze correnti, diedero molta speranza nella decadenza che regnava. […] Per indovinare donde effettivamente era venuto, si determinò a caminare a piedi, e scorse diverse città, senza che Teodoro mostrasse di essere mai stato in esse, pervennero a Tolosa. […] Il Convalescente di qualità è una fredda dipintura delle affettate grandezze di quelli che si credono per esse farsi tener per nobili.
Sono esse composte in un latino assai barbaro, e ripiene d’incoerenze ed apparizioni. La prima di esse è divisa in due parti, o atti, e s’intitola Gallicano, che è un pagano generale di Costantino, il quale va a combattere contro gli Sciti, n’è vinto, è ricondotto contro di essi da un angelo, vince, si battezza, e fa voto di castità; e nella seconda parte l’imperadore non è più Costantino, ma Giuliano, da cui Gallicano viene esiliato, e riporta la corona del martirio.
Qui, come in tutta la produzione letteraria dell’Andreini, è gusto per tutti i palati : chè a dare un’occhiata alle sue opere, si potrebbe affermare non essere in alcuna di esse l’espressione ben chiara dell’ animo suo, tanto son esse d’indole svariata.
E se, desiderosa di assurgere a somma altezza anche in quel genere, si diede con ogni studio e con ogni amore alla rappresentazione della Saffo e della Norma…. tragedie irte di difficoltà materiali, pur troppo ad esse più specialmente dovè la immatura sua fine. […] Di molte sentenze son esse ricche, in cui è la prova evidente che il Cecchini era un profondo e fine osservatore.
Quilibet sibi vult melius esse quam alteri.