E lo stesso Cicerone è di parere che siffatta appellazione data a’ poeti fosse comune a tutte l’età e a tutti i popoli, «ex eo hominum numero, qui semper apud omnes sancti sunt habiti atque dicti». […] Erano essi così persuasi che fossero una specie di rito religioso che per loro l’assistere a’ teatri era lo stesso che confessarsi tacitamente idolatra. […] Le rilegga egli adunque, rechi in mezzo le mie ragioni, le esamini, e non usi la poca onestà di far credere a’ lettori ch’io avventuro delle cose senza provarle. […] Il popolo italiano ora non chiede che panem, et circenses, come facevano i Romani a’ tempi di Giovenale. ecc.» […] «Tocca, dice Giovambattista Rousseau, a’ poeti far la poesia, e a’ musici far la musica, ma non s’appartiene che al filosofo il parlar bene dell’una e dell’altra.»
Morì in Mantova a’ 20 agosto del 1624. » Fin qui il D’Ancona. […] E quale ircana tigre, colma d’ira e di fellonia, non diventerà pietosa a’ miei lamenti ? Fillide, anima cara, e consorte mia carissima, mentre che tu vivevi, erano per me i giorni chiari e sereni ; mille e mille amabili pensieri m’ ingombravano la mente, la fortuna dolce e propizia a’ miei voti, e il cielo arrideva a’ miei contenti : ma ora che tu sei rinchiusa dentro a freddo sasso, avendo teco rinchiuse le virtù tutte, e le bell’opere, s’è talmente cangiato il mio destino, ch’altro non mi rimane, che la memoria d’averle vedute e amate. […] Ogni tanto gli bisogna sentirsi accarezzar l’orecchio delle sue lodi : e si volge a’ parassiti scritturati ad hoc. […] Ch’egli si vanti di generalissimo in Fiandra, questo si è veduto in altri a’ quali per ischerzo sono state appresentate Patenti false.
Nè lice a me da la squarciata spoglia Tergere il sangue, od ungerla, o l’errante Ombra invocare a’ freddi marmi intorno, E l’onda nera de le stigie rive Varchi non pianto! […] Quanto a’ moderni molto più lontana dal vero parrà la sua proposizione.
Questo re che non si è veduto ne’ primi quattro atti, comparisce nel V, ed il Coro apre la stanza ove dimorava Didone, e si vede questa regina trafitta dalla spada di Jarba, che ha la corona a’ piedi ed una lettera in mano. […] Impone dunque, altro non potendo, a’ Cartaginesi di adorarla come una divinità, e la tragedia finisce.
Ma non ostante il numero e la magnificenza de’ teatri, e le ricchezze e ’l favore degl’istrioni, noi cominciamo di qui a trovar il vuoto della storia teatrale, perché la poesia drammatica in tal periodo non acquistò veruno scrittore greco o latino che meritaste di passare a’ posteri. […] Furono pur versificatori, ma si limitavano per lo più a’ componimenti di non molti versi, ne’ quali facevano pompa di acrostichi, antitesi, e giuochetti sulle parole, e sembra che i loro talenti poetici non fossero atti a soffrire il peso d’un componimento grande e seguito come il drammatico.
È da notarsi, che a’ suoi dì già sulle scene inglesi si satireggiavano i nobili e i titolati. […] Si desidera però in essi scelta e venustà, e la decenza richiesta nella dipintura de’ costumi, per cui Terenzio tanto sovrasta a’ suoi posteri, l’unità di disegno nel tutto, e la verità, l’esattezza, e la precisione nelle parti: un motteggiar lepido e salso, pungente ma urbano alla maniera di Menandro che ammiriamo in Ludovico Ariosto: le grazie e le pennellate franche di Nicola Machiavelli che subito caratterizzano il ritratto: la vivacità ed il brio comico di Agostino Moreto: finalmente il gusto, l’amenità, e l’inarrivabile delicatezza nel ritrarre al vivo i caratteri e le ridicolezze correnti che danno al Moliere il principato tra i comici antichi e moderni.
E’ da notarsi che a’ suoi dì già sulle scene inglesi si satireggiavano i nobili e i titolati. […] Ma si desidera in essi la scelta, la venustà, la decenza richiesta nella dipintura de’ costumi, per cui Terenzio tanto sovrasta a’ suoi posteri; l’ unità di disegno nel tutto, e la verità e l’esattezza e la precisione nelle parti; il motteggiar lepido e salso, pungente ma urbano alla maniera di Menandro che ammiriamo nell’Ariosto; la grazia, la naturalezza e le pennellate sicure del Machiavelli che subito caratterizzano il ritratto; la vivacità, il brio comico di Moreto; e finalmente il gusto, l’amenità, la delicatezza inarrivabile nel ritrarre al vivo i caratteri e le ridicolezze correnti che danno a Moliere il principato su i comici antichi e moderni.
Manca ancora a’ Francesi l’arte d’inseguire col sale comico e colla sferza del ridicolo questa vanità ed ingordigia de’ capi delle famiglie che astringono le donzelle a seppellirsi per conservare a’ maschi intere le patrie ricchezze.
Tornò un nuovo triennio col Da Rizzo ; e si scritturò il '40-'41-'42 a' Fiorentini di Napoli nella Compagnia Alberti, Visetti e Prepiani ; ma non vi restò che il primo anno, per malaugurato e preparato insuccesso. […] » S'è detto, più a dietro, che la Pelzet non restò a' Fiorentini di Napoli che uno de'tre anni, pei quali fu scritturata.
Invano T’opponi a’ miei disegni. […] T’opponi a’ miei disegni. […] Il Prometeo al Caucaso p. e. è nazionale a’ Greci? […] Ne rimane atterrita Elfrida, si lascia cadere a’ piedi di Eggardo, e il vivace suo pregare ottiene la grazia e il perdono al marito. […] Ah tu vuoi che a’ tuoi piedi io versi l’alma!
Dee però notarsi in questa bella dipintura che il malvagio è troppo abbellito dallo spirito che gli presta il poeta per renderlo simile agli originali francesi e a’ malvagi che brillano nelle società polite. […] Più giustamente s’imputa all’autore l’aver dato a’ personaggi il proprio spirito in vece di farli parlare giusta i costumi e le condizioni, nel che segnalaronsi Moliere e Machiavelli. […] L’Abate de l’Epèe in fatti si stimò un tempo un personaggio istorico di cara memoria a’ Francesi, che istituì in Parigi un pietoso asilo per la parte più infelice degli uomini, cioè una scuola, pe’ sordi e muti. […] La maniera di rappresentare di quegl’Italiani diede motivo agli scrittori Francesi di rimproverare a’ commedianti nazionali l’affettazione e la durezza. «Io preferisco (dicesi nel libro l’Anno 2440) quest’Italiani a’ vostri insipidi commedianti Francesi, perchè questi stranieri rappresentano più naturalmente, e perciò con maggior grazia, e perchè servono il pubblico con più attenzione» .
Il Gozzi nel suo ditirambo pel Truffaldino Sacchi lo ricorda con onore ; e così di lui lasciò scritto Gianvito Manfredi nell’Attore in scena : Gaetano Casali, detto Silvio, non meno celebre che saggio ed onesto, il quale adempiedo a tutte le parti, che ad un saggio ed ottimo attore spettanti sono, tanto si distingue dagli altri nell’arte sua, che non cred’io che a’ suoi tempi tanto si distinguessero dagli altri gli attori antichi.
Della vasta opera goldoniana fu un interprete valorosissimo, il più valoroso forse di quanti furono a’ bei tempi di Goldoni stesso.
Francesco Bartoli le indirizzò il seguente sonetto : Alla Signora Caterina Manzoni Io, nel fiorir de' bei vostri anni acerbi sul picciol Ren per quella via vi scorsi, che a sottrarsi del tempo ai fieri morsi insegna, ed a' suoi fasti empj e superbi.
L''86 il Duca ordinava in data 28 giugno al tesoriere Zerbini di pagare a' seguenti comici due doppie il mese, principiando dal primo di maggio scorso : Martia Fiala, detta Flamminia.
Lascio le liti intorno all’origine particolare del linguaggio italiano, se si parlasse originariamente dal volgo a’ tempi de’ Latini, o se tutto debbasi al corrompimento della romana favella dopo le invasioni de’ barbari. […] Le quali diversità non vengono comunemente notate nella Lombardia, ma sono principalissime presso a’ toscani, come si vede negli autori loro, ed io ho non poche fiate osservato. E maggiore e più copiosa ricchezza in questo genere avrebbe il linguaggio italiano, se i nazionali da cieca venerazione sospinti verso i toscani, quantunque appoggiata su ragionevoli fondamenti, non si fossero lasciati imporre un despotico giogo di tribunale e di lingua, per cui vien tolta ad essi la facoltà di prevalersi di tanti modi leggiadri di profferire, di tanti suoni, ed accenti diversi che s’usano ne’ moltiplici e vari dialetti di questa penisola. né sono molto lontano dal credere, che se di comune consenso della nazione sene facesse una scelta giudiziosa di siffatte maniere, la quale poi avvalorata venisse dall’uso di scrittori egregi e di cantori bravissimi, la musica ne acquisterebbe un pregio maggiore assai di quello che attualmente possegga, udendosi ora l’accento molle de’ sanesi, che appena toccano a mezzo suono le vocali, e rendono alcune consonanti pressoché insensibili massimamente nel fine: ora l’intenso e veloce de’ napoletani, che squartano, a così dire, le sillabe colla loro larga pronunzia, che sarebbe perciò opportunissima a’ canti guerreschi, e vivaci: ora la soavità e la grazia del veneziano per la copia delle vocali, e per la prestezza nel profferirle atto all’espressione della voluttà: ora la chiarezza e sonorità del romano, che alle gravi e seriose melodìe mirabilmente si confarebbe. […] La prima, che non essendo stata l’Italia né tutta intiera, né lungo tratto di tempo soggiogata dai barbari, la favella italiana ha potuto conservar i suoi primitivi caratteri meglio delle altre nazioni, dove la lingua, e i costumi non men che la religione, e le leggi hanno dovuto piegare sotto il furore delle conquiste, come si vede nella lingua francese, la quale altro non è, se crediamo a’ loro autori più illustri, che un antico dialetto celtico diversamente alterato, e nella spagnuola tutta impastata di latino, e di gotico idioma, cui s’aggiunse dell’arabo non piccola parte. […] Nel far questa nota non mi sfugge quanto larga materia di riso abbia io preparato a’ zerbini, e a’ saccenti italiani; ma non mi sfugge altresì, che i saccenti, e i zerbini d’Italia sono, come quelli di tutti gli altri paesi, la più ridicolosa genia, che passeggi orgogliosamente sulla faccia della terra.
L’anno seguente il Mazzarini fe rappresentare nel Louvre l’Ercole amante in italiano che a’ Francesi non piacque. […] Ah ma l’offendo invan, d’amore è degno, E tu a’ meriti suoi giustizia rendi. […] La sua esitazione è bene espressa; la sua avversione si dissipa; desidera di renderlo suo amante; ordina a’ demoni che la trasportino insieme con Rinaldo au bout de l’univers .
Io presento a’ musici la rettorica della musica, e quest’è l’oggetto mio principale. […] Io voglio adunque persuadere a’ nostri musici quanto lor monterebbe di conoscere il meccanismo della loro lingua, e segnatamente di rivolgere l’attenzion loro all’energia de’ piedi onde ogni parola è composta. […] Platone paragona una vita menata in mezzo a’ disordini ad una melodia ove entrasse alla rinfusa ogni maniera di ritmo. […] Questi magistrati temettero senza dubbio riguardo a’ costumi de’ Francesi que’ tristi effetti che Platone presagiva a’ costumi de’ Greci, ove eglino permettessero che il disordine, la confusione, ed anche il solo cangiamento entrasse nella loro musica195. […] In secondo luogo, perché gli inconvenienti, a’ quali il Brown vorrebbe ovviare, rimangono gli stessi nel piano proposto.
Palissot, molta naturalezza e faciltà; ma troppo ha scritto per soccorrere a’ suoi bisogni. […] Dopo questi soprallodati autori comici M. de la Chaussée, nato in Parigi nel 1691, e morto nel 1754, ha maneggiato un genere di commedia tenera nel pregiudizio alla moda, qual genere, se si fosse contenuto ne’ giusti limiti, sarebbe a’ giorni nostri senza giustizia proscritto dal giudizioso abate Sabatier de Castres nel suo Dizionario di Letteratura tom. […] Alcuni eruditi francesi a vista della compagnia di Riccoboni han rimproverato a’ loro paesani l’affettazione e la durezza. «Io preferisco (si dice nell’ Anno 2440 di Voltaire) quest’italiani a’ vostri insipidi commedianti francesi, perché essi rappresentano più naturalmente, e per conseguenza con maggior grazia, e perché servono il pubblico con più attenzione». […] uscito in Roma nel 1774, che «nonostante la riforma del teatro francese, vi é rimasto da tempi antichi l’atteggiamento, il quale, quantunque a’ nazionali non paia strano, a’ forestieri sembra stravagante e ridicolo.
E che a’ Romani non riuscisse malagevole il gustare delle grazie di quella lingua, può dedursi da ciò che scrive Tito Livio del Console L. […] Questo è il destino di coloro che inventano o precedono ogni altro in qualche impresa; essi insegnano a’ posteri ad inoltrarsi sulle loro tracce per esserne censurati. […] Si avvede del parassito di cui abbisogna per l’esecuzione, e per adescarlo finge di non averlo veduto e di ordinare a’ servi di sua casa un banchetto per un suo amico che attende. […] Questi sali si passano a’ simili interlocutori e alla bassa commedia; ma fuori della scena riescono freddi, nè in teatro si ammettono in un genere comico più elevato. […] I Latini assai meno rigorosi de’ moderni accordarono a’ loro poeti comici più ampii confini della verisimiglianza.
Ognuno può osservare nelle aringhe de’ Greci oratori con quali forti ingiurie l’uno contro l’altro essi si scagliassero nel Pritaneo a’ tempi di Filippo, di Alessandro ed anche di Cassandro. Or quello che i Greci profferivano ne’ tempi della loro maggior coltura, nè già nel solo teatro, ma dove gravemente decidevasi del destino della patria, ci dee far risalire sino al tempo eroico di Achille e di Ajace, e guarirci dal pregiudizio di giudicare dal decoro osservato ne’ moderni tempi di quello che convenisse a’ tragici Greci nel copiare Teseo ed Agamennone. […] Con tutti questi pregi parrà forse, nè senza fondamento, troppo orribil cosa a’ moderni quel vedere due figli tramare ed eseguire l’ammazzamento di una madre tuttochè colpevole. […] L’opinione ch’io porto sulle novità introdotte di mano in mano da Tespi, da Eschilo e da Sofocle intorno agli attori, si allontana dal l’avviso di molti valorosi critici, e mi è questa volta paruto espediente additarne a’ miei leggitori la ragione.
Ma recitando le comedie poi a gli atti, a’ modi, a’ gesti ed alla voce gli altri strion restavan tutti buoi. […] Dato in Milano a’ 30 aprile 1645. […] E ne’ serii Teatri e ne’ Faceti, Fra le comiche larve ottenne il grido, E la Senna a’ suoi motti il nobil lido Fe’ d’intorno sonar d’applausi lieti.
[4.2] Chiunque, in ciò che si spetta alla danza, se ne sta alle valentìe di cotesta nostra e non va col pensiero più là, ha da tenere senz’altro per fole di romanzi molte cose che pur sono fondate in sul vero: quei racconti, per esempio, che si leggono appresso gli scrittori, degli tragicissimi effetti che operò in Atene il ballo delle Eumenidi, di ciò che operava l’arte di Pilade e di Batillo, l’uno de’ quali moveva col ballo a misericordia e a terrore, l’altro a giocondità e a riso, e che a’ tempi di Augusto divisero in parti una Roma.
Si segnalò a’ nostri di tra’ Danesi il barone Holberg con varie commedie che non mancano di merito.
Bon a’ filodrammatici di Padova.
Aveva sposato del '59 Graziosa Bignelti, comica e figlia di comici, compagna d’arte di lui, a' Fiorentini di Napoli, ove sosteneva con buon successo le parti di prima attrice giovane.
Egli stesso con amorevole modestia scriveva, a' primi del '900, di sè : « …. lo studio mi aveva reso più forte nelle interpretazioni, ma io adesso posso confessare candidamente che come ho recitato gli ultimi anni in Compagnia Morelli-Pieri non reciterò mai più.
La versificazione è la più accetta a’ moderni, cioè il verso sciolto endecasillabo; ma la locuzione non è sempre pura e corretta. […] Ottima lezzione a’ tiranni, morir nella maggior sicurezza. […] Finalmente sembra che Polifonte nell’ultima scena abbia più pazienza e meno scorgimento di quel che a lui starebbe bene in lasciar dir tanto a Merope che tiene discorsi sediziosi a’ Messenj. […] Monti o di qualche altro che non trascuri di colorire, a’ talenti veramente tragici dell’Alfieri60! […] Bettinelli confessò parer talora un pò uniforme quella stessa nobiltà che l’anima elevata del Granelli prestava a’ suoi personaggi.
Laonde per adempiere a questo mio dovere, anticipando colla presente le informazioni del di lei Congiunto, le quali certamente non possono essere così sicure, come le mie, intorno a’ miei disegni, le dico, che ho scarabocchiato, può dirsi, in sul ginocchio e come la penna getta, un Ragionamento, in cui ribatto le obiezioni del precitato suo Volume, e che già è nelle mani dell’Impressore. […] Detta a lei l’amore di fare de’ sogni piacevoli: a me di dar risalto a’ veri suoi pregi, i quali nè pochi sono, nè volgari, come mostrerò nell’ultimo Articolo del mio Discorso.
Secondo Lilio Gregorio Giraldi106 intorno a’ primi anni del secolo il Trissino avea per le mani la sua tragedia, benchè prima del 1514 non erasi tuttavia recitata. […] Tutte queste cose, delle quali niuna se ne scorge nelle commedie dell’Ariosto, rendono a’ miei sguardi il gran poeta Ferrarese di gran lunga superiore al cardinal Bibiena nella poesia comica. […] Ligurio parassito gli dice, ch’egli forse avrà briga di andar colla moglie a’ bagni, perchè non è uso a perdere la cupola di veduta. […] Ciò che dice poi dell’oscenità di tali commedie, potrebbe sì bene esser questa giusto motivo di vietarne la lettura a’ fanciulli, ma non già una prova contro la loro prestanza. […] L’ affettazione, il raffinamento, la falsità de’ concetti cominciavano a fare smarrire a’ poeti il sentiero della verità e della natura.
Pel popolo vi erano pozzi di vino; alle tavole piatti e vasi tutti d’oro e di argento; prodigiosa quantità di strumenti musicali, e di mimi, a’ quali dedit ingens Dux prœmiæ maxima. […] In tempo di pace ordinariamente cantavano l’ eroiche azioni de’ loro guerrieri per tramandarle a’ posteri; e per ciò Tacito disse de’ Germani, che altra storia essi non aveano che i canti de i loro Poeti; e i Bardi furono energicamente chiamati da Ossian i Re della fama. […] Pare dunque che il Trissino (il quale non so perchè e donde venga dal Voltaire ed indi da altri di lui compatriotti appellato Arcivescovo) abbia servito di lume e scorta a’ primi Francesi che si esercitarono nel genere tragico.
Io straniero, oltraggiato da Garcia de la Huerta e da Ramòn La-Cruz (se gli Huerta e i La-Cruz colle native villanie di Lavapies e de las Maravillas potessero oltraggiare altri che se stessi) perseguitato dagl’ingrati apologisti come antispagnuolo a dispetto della verità e dell’evidenza, io, dico, straniero mi accingo a rilevare i pregi di tal tragedia che avrei potuto impunemente dissimulare come negletta e ignorata da tanti nazionali sino a’ giorni miei. […] Fece anche venir fuori quei che prima cantavano dietro della manta, e forse egli stesso gli rendè più accetti coll’acccompagnamento della chitarra, che si è veduta uscire sulle scene ispane sino a’ giorni nostri. […] Sono state sepolte sino a’ nostri giorni, e la Filli si occulta ancora; ma le altre due si pubblicarono nel VI tomo del Parnasso Spagnuolo, in cui se ne dà un giudizio imparziale. […] Ma se i morti non possono rivendicare i proprii lavori, tocca a’ vivi che non pasconsi di rapina, a svellere da simili rochi corbacci le piume involate a’ nobili augelli. […] Se avesse prodotto il gran Prologo mentre io vi dimorava, avrei potuto disingannarlo, presentandogli molte prefazioni, approvazioni a’ libri ed altri papelillos di simil natura, dove ciò si asseriva.
La Gloria di colui che tutto muove, che riempie lo spazio immenso di Soli infiniti, intorno a’ quali altrettanti sistemi d’astri erranti con eterne invariabili leggi percorrono le loro orbite; è quella stessa che in sì picciol globo, com’è la nostra Terra, spiegò la sua potenza e si diffuse tanto nell’interna struttura organizzandone gli elementi, le fibre e gli strati, e rinserrando nell’ampio suo seno arcane sorgenti di fonti, di fiumi, di gemme, di metalli, di sali, di solfi, di piriti, quanto nell’aspetto esteriore di un maestoso disordine di rottami, i quali, agli occhi del profano, sembrano ruine, e pur sono armonici risultati di artificio creatore. […] La Grecia che dal picciolo recinto del suo angusto territorio seppe dettar leggi d’umanità, di coltura e di dottrina a’ popoli più remoti, trafficando e rendendo altrui con usura i semi delle arti e delle scienze ricevute da Egizj, Caldei e Fenici, e da essa accresciute di numero, di estensione e d’intensità; la Grecia, dico, bisognosa di una bell’arte più confacente al dilicato e fine suo gusto, poteva arrestarsi all’invenzione de’ nudi versi? […] È questa l’arte drammatica, i cui semi primitivi rinvengonsi in ogni clima barbaro o colto, quell’arte che mette in azione la morale, e che, come lo scandaglio e la stella polare a’ naviganti, è la fida scorta e la retta norma che ci scorge ad iscoprire il grado di coltura ove giunte sieno le nazioni.
Il sig. abate Saverio Lampillas esgesuita catalano che ha dimorato in Genova sin dal tempo dell’espulsione, e che non mai avea veduto Madrid, volle dubitare della verità di questa descrizione, per natural costume di non credere che a se stesso ed a’ suoi corrispondenti che tante volte l’ingannarono con false notizie. […] La capa parda ed il sombrero chambergo, cioè senza allacciarsi, ancor di cara memoria a’ Madrilenghi, un uditorio con tante spezie di nascondigli e di ritirate di certa oscurità visibile, per valermi dell’espressione di Milton, e l’abuso di mal intesa libertà, facilitava le insolenze di due partiti teatrali denominati Chorizos y Polacos, simili in certo modo a i Verdi e a’ Torchini dell’antico Teatro e del Circo di Costantinopoli.
Andrea Perucci più volte ricordato dà in modo particolareggiato tutte le regole del recitare all’improvviso, molte delle quali sparse in quest’ opera a' nomi de' più famosi recitanti. […] A nuove e più vive richieste del Duca, Don Giovanni rispose schermendosi ancora, finchè, insistendo quello, dovè (6 aprile 1619) mettersi devotamente a' suoi ordini e promettergli Scapino e Mezzettino (V. […] A. che senza far reflessione sopra cosa alcuna accomoderò il mio desiderio al suo gusto, nè penserò più a' commedianti, et lo Scala è tanto galanthuomo che egli medesimo instantemente mi ha pregato ch' io operi in questo affare in guisa che V.
Invece che uno badi a quanto gli dice un altro attore, e per via delle differenti modulazioni del gesto e del viso dia segno che sopra di lui ha fatto quella impressione che si conviene, non altro che sorridere a’ palchetti, far degl’inchini e simili gentilezze. […] A considerare il bene e il male che da ciò ne risulta, sembra che sia da preferirsi il costume dei Francesi, che non permettono a’ loro cantori quegli arbitri de’ quali troppo sovente sogliono abusare i nostri, riducendogli ad essere meri esecutori, e non più, de’ pensamenti altrui.
Scrivendo egli a Persio Caracci poi vescovo di Larino a’ 25 di marzo 1627, la chiama la mia povera Procri, e così ne parla a’ 15 di aprile a monsignor Ciampoli.
Manca ancora a’ Francesi l’arte d’inseguire col sale comico e colla sferza del ridicolo questa vanità ed ingordigia de’ capi di famiglie che astringono le donzelle a seppellirsi per conservare a’ maschi intere le patrie ricchezze.
L'artista più generico del nostro tempo, che fa pensare nella spontaneità maravigliosa, e nella prodigiosa multiformità, a' più grandi attori della Commedia dell’arte, i quali, recitando e le buffonate e la tragedia, eran capaci di rendere le idee più alte de' poeti drammatici, e d’imitar le più straordinariamente ridicole della natura (V. […] Ma coglie giusto sempre ; e il lavoro da lui così trasformato, non a caso, ma perchè così veduto e sentito, si rinsangua, ripiglia vigore, e sfida glorioso a' lumi della ribalta l’edacità del tempo.
La sua fama giunse oltre i confini d’Italia, e fu chiamata dall’Elettor di Sassonia, sotto a’ cui reali auspicj, onorata di favori e di generosa pensione, venne meno il viver suo in Dresda l’anno 1762, il cinquantesimo dell’età sua non interamente matura.
Quanto a' suoi pregi artistici, par ch' Ella ne avesse parecchi, e in ogni sorta di composizione, come accenna il Boldri in una sua canzone a pag. 80 : ……… Ancor le menti a volo trarrai nell’altro polo, e formando la voce or benigna, or feroce e mutando te stessa in Cavaliero, in amante, in guerriero, in Pastorella, in Dama, in Serva, ed in Regina, farai degli altrui cor dolce rapina.
Titiro e Montano cedon finalmente a' preghi delle ninfe, e quello diviene sposo di Ardelia e questo di Fiammella, e le due coppie abbracciate si riducono alle lor capanne.
S’impresse in Ferrara nel 1545, e si era rappresentata nel medesimo anno la prima volta in casa dell’autore a’ 24 di febbrajo, e la seconda a’ 4 di marzo alla presenza del duca Ercole II e del cardinale Ippolito di lui fratello. […] Nè a’ dotti nè alle persone che leggono per divertimento può esser ignoto l’argomento semplice di questa elegantissima favola che con una condotta regolare rappresenta una ninfa schiva e nemica di amore vinta e divenuta amante per mezzo della pietà. […] Al l’ebreo Leone di Somma che dovea inventar gli ahiti, raccomanda che sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza che si vede trascurata nel grottesco vestito eroico degli attori tragici francesi, ed in quello pure stravagante de’ cantori dell’ opera in musica.
S’impresse in Ferrara nel 1545, e si era rappresentata nel medesimo anno la prima volta in casa dell’autore a’ 24 di febbrajo, e la seconda a’ 4 di marzo alla presenza del duca Ercole II e del cardinale Ippolito di lui fratello. […] Nè a’ dotti nè alle persone che leggono per divertimento può essere ignoto l’ argomento semplice di questa elegantissima favola che con una condotta regolare rappresenta una ninfa schiva e nemica d’amore vinta e divenuta amante per mezzo della pietà. […] All’ Ebreo Leone di Somma che dovea inventar gli abiti, raccomanda che sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza che si vede trascurata nel grottesco vestito eroico degli attori tragici Francesi, ed in quello pure stravagante de’ cantori dell’opera in musica.
Si vede che non ebbe vigore alcuno in Atene, almeno a’ tempi di Aristofane, quella savia legge di Solone, dalla quale veniva proibito il dir male de’ morti, a cagion che la religione porta a tenere i defunti per sagri, la giustizia a risparmiar coloro che non più esistono, e la politica a non sofferire che gli odj sieno eterni. […] Si dee sapere, che fra gli altri ciarlatani, empirici ed istrioni, che a’ nostri giorni han fatto e fanno grandissima fortuna in Parigi, vi sono con carrozza ed equipaggio un certo Nicole, e un certo Nicolet, de’ quali il primo a forza di far correre avvisi stampati per guarire il mal francese, e ’l secondo a forza di rappresentar farse e buffonerie sopra i Baluardi e alle Fiere di San Germano, e di San Lorenzo, seppero così ben fare i fatti loro, che da molti anni sono padroni di varie terre, le quali hanno titolo di Signorie.
[12] Nei quali esempi, come generalmente nelle poesie di Metastasio, è da osservarsi la destrezza colla quale ha egli saputo dare a’ suoi versi quel grado di armonia che è necessaria affinchè la melodia musicale vi si possa insieme accoppiare senza renderli troppo sostenuti e sonori, come sono comunemente i versi dei poemi non cantabili. […] Ma se que’ marmi a’ saggi Fosser simboli sol delle immortali Essenze creatrici; ancor diresti, Che i miei Dei non son Dei! […] Ora ascolti il terrore umiliante di un’ambiziosa regina, la quale in faccia allo stesso santuario ch’essa meditava di profanare, sente aggravarsi sul suo capo la mano vendicatrice dell’onnipotente, a’ cui cenni la morte e la natura non che i turbini e le tempeste s’affrettano ad ubbidire; ora ti si appresenta uno spettacolo degno dei numi, cioè il dolore sublime d’un eroe che si vede accusato dal proprio padre in presenza del re, in vista di tutta la corte, e sugli occhi dell’oggetto che adora, di un delitto, del quale il solo reo è lo stesso accusatore. […] Eppure tal ne è l’argomento che serve di materia a’ discorsi di Emirena e di Aquilio. […] [56] Sarà dunque colpa delle circostanze l’alterar ch’egli ha fatto tante volte il costume, mettendo in bocca a’ suoi personaggi delle allusioni, le quali, atteso il paese ed il tempo, non potevan loro in veruna guisa convenire.
Questo è il destino di coloro che inventano o precedono ogni altro in qualche impresa, essi insegnano a’ posteri ad inoltrarsi sulle loro tracce per esserne in seguito censurati. […] Questo scrittore, che a’ suoi tempi recò grande ornamento alla città di Roma, e di anni settanta mori nel 584, l’anno 514 quando cominciò a comparire Andronico sul teatro latino, nacque in Rudia nella Japigia secondo Plinio e Silio Italico e Pomponio Mela. […] Si avvede del parassito, di cui abbisogna per l’esecuzione, e per adescarlo finge di non averlo veduto, e di ordinare a’ servi un banchetto per un amico che attende. […] Questi sali si passano a’ simili interlocutori e alla bassa commedia; ma fuori della scena riescono freddi, nè in teatro si ammettono in un genere comico più elevato. […] I Latini assai meno rigorosi de’ moderni accordarono a’ loro poeti comici più ampii i confini della verisimiglianza.
E forse trovereste ancora quel pregio nel saper ripetere tutto ciò che sulla ormai fino a’ barbieri nota diffinizione Aristotelica della Tragedia, sul terrore e la compassione da purgarsi in essa per mezzo di tali passioni, hanno ragionato, esposto, comentato i Robertelli, i Vettori, i Castelvetri, i Piccolomini, i Patrizj, i Riccoboni, i Maggi, i Villani, i Biscioli, i Gravini, gli Einsj, i Dacier, ed altri famosi trattatori di Poetica. […] Del pari i Dotti, i Filosofi che si deliziano nel coltivare le forze mentali, poco sensibili all’ambizione, e a’ piaceri tengono così compressa l’elasticità de’ sensi, che questi ne tornano ottusi, e la sensibilità del loro cuore è in ragione inversa della loro forza mentale, e reciproca della scarsezza di elasticità de’ loro sensi. […] Appello al sentimento interiore del Signor Apologista, e alla di lui imparzialità e buona fede, sempre che voglia leggere quei Drammi, fatto però anticipatamente uno sforzo generoso contro a’ pregiudizj nazionali, per portare a tal lettura vista chiara e mente serena.
Nuova rinomanza ha questo poeta acquistata a’ giorni nostri per l’elegante versione fatta delle sue poesie dal chiarissimo Giuseppe Maria Pagnini Escarmelitano che oggi ha ripigliato l’antico nome di Luc’Antonio e presiede al l’Accademia Imperiale in Pisa.
A quel tempo comparve in Alemagna un ingegno elevato che sulle orme del Petrarca mostrò a’ suoi la buona poesia, e traducendo alcun dramma greco, latino ed italiano aprì il sentiero della vera drammatica sino a lui colà sconosciuta.
Comparve in Alemagna a quel tempo un ingegno elevato che sulle orme del Petrarca mostrò a’ suoi la buona poesia, e traducendo qualche dramma Greco, Latino e Italiano aprì il sentiero della vera drammatica colà sino al suo tempo sconosciuta.
me Piante Vmilmente la suplicano ad esercitar seco in si urgente Ocasione gl’ atti di quella Generosità con cui assistè sempre a’ suoi Servi, accertandola, chè l’A.
Il più celebre capocomico del secolo xviii, che dovè gran parte della sua celebrità, se non tutta, a' vincoli artistici ch'egli ebbe con Carlo Goldoni, nacque a Roma nel 1706 circa da Giovanni Francesco, e gli furon messi i nomi di Agostino, Raimondo, Girolamo.
1601 a' 12 di giugno.
Egli piacque a’ suoi giorni ad alquanti letterati, ma senza vantaggio del pubblico teatro. […] Un anonimo arriva fino a rimproverare al Voltaire qualche errore di lingua e di rima; lo chiama copiatore e traduttor della Merope del Maffei; e asserisce che ne peggiorarla maggior parte, e se ne allontana con isvantaggio, come fece nell’atto V che non piacque a’ Francesi. […] Questo letterato avrebbe potuto far gran progressi nella drammatica; ma si é contentato di provar col fatto a’ suoi competitori, che ’l concorso del popolo non é argomento della bontà de’ componimenti scenici, e per conseguirlo é ricorso scaltramente al solito rifugio del maraviglioso delle macchine, trasformazioni, e incantesimi, o ha composto nuovi mostri teatrali, il Corvo, il Re cervo, l’Oselin bel verde, ne’ quali le perturbazioni tragiche, le piacevolezze comiche, le favole anili, le metamorfosi, un ricco fondo d’eloquenza poetica e di riflessioni filosofiche, concorrono tutte ad un tempo a incantare e sorprendere gli spettatori veneziani. […] Gl’Iddii vendono a’ mortali col prezzo di sudori immensi tutte le belle e buone cose, diceva Epicarmo, comico Filosofo. […] L’auris Batava può a’ nostri giorni applicarsi alla maggior parte de’ francesi amanti della loro musica vocale, la quale per lo più altro non é che una certa salmodia, o detestanda cacofonia, piena di false modulazioni, di frastuoni, urli e gridi arrabbiati, di trilli caprini, e di suoni gargarizzanti, che Dio ne scampi i cani.
E chi sa che le armi portate da’ Curaci in un luogo di pietà, di pace e di allegrezza, sia per pompa sia per cautela sia per insegnare a’ popoli coll’ esempio di vegliar sempre a difesa della religione e della patria, non destassero l’idea di una rappresentazione eroica e marziale? […] Quanto a’ Peruviani, i quali gemono avviliti da più dura schiavitù, hanno de’ loro antichi riti e costumi conservata una viva e cara rimembranza, che solo gli attuali loro padroni potranno a poco a poco cancellare o almeno indebolire, rendendo agl’ infelici il giogo meno pesante e più conforme all’ umanità.
Tolto à le scene il mascherato orfeo Sgridan le genti a’ morte, ahi fatto indegno Che l’ Vniverso lagrimar ne feo. […] A loro e a’ lor compagni furon date il 17 dicembre 1624 lire 2400 per aver recitato commedie alla presenza di S.
Ripigliano appena il canto le altre donne, che ecco Pirro che entra cacciandosi innanzi Polite, che cade morto a’ piè del padre.
Prende l’Apologista un altro argomento da ciò che scrisse il Signorelli d’intorno a’ trovatori della Drammatica, cioè doversi attribuire alla maggior parte delle nazioni.
Quanto a’ moderni molto lontana dal vero parrà la di lui opinione.
Nel luogo selvoso, ov’era Populonia una delle dodici principali città dell’Etruria, appajono molte vestigia di sì famosa città, e specialmente una porzione di un grande anfiteatro, che si congettura essere stato tutto di marmi: tralla Torre di San Vincenzo ed il promontorio dove era la nomata Populonia, veggonsi le reliquie di un altro anfiteatro, presso al quale giaceva un gran pezzo di marmo con lettere Etrusche: di un altro osservansi i rottami fralle antichità della città di Volterra5, Del magistero degli Etruschi nel dipingere, oltre ai vasi coloriti, de’ quali favella il Maffei6 e ad altri posteriormente scoperti, ci accerta il lodato Plinio7, affermando che quando in Grecia cominciava la pittura a dirozzarsi, cioè a’ tempi di Romolo, non avendo il Greco pittore Butarco dipinto prima dell’ olimpiade XVIII, in Italia già quest’arte incantatrice era perfetta, e le pitture di Ardea, di Lanuvio e di Cere erano più antiche di Roma fondata, secondo la cronologia del Petavio, nella VI olimpiade8.
Una sera ella mostrava con manifesti contorcimenti i dolori che la tormentavano ; un giovinotto della barcaccia di proscenio sussurrò a’ compagni, ma in modo da essere udito : « la prima donna ha i dolori perchè lascia il damo. » Ed ella di rimando, vòlta alquanto verso la barcaccia : « se tu avessi il mio male non parleresti così. » Il giovinotto, udita la frase, si abbandonò prima a una matta risata, poi lasciò il teatro ; quella recita fu l’ultima della Fusarini a Livorno.
Questa brava attrice, che molto lustro avrebbe recato a' Teatri italiani, divenne cagionevole nella salute affliggendola continuamente alcuni effetti convulsivi.
Lampillas non cerca se non diffusi panegirici di tutto ciò che appartiene a’ Drammatografi Spagnuoli, quanto ciò che dice del Signorelli a proposito delle Tragedie di questo buon Poeta. […] Ma con questi principj capricciosi, con tali assurdi e difetti ne’ caratteri, mi parve che riescir dovesse poco accetta a’ posteri la memoria di alcun pensiero elevato che vi si trovasse; che quanto alla concatenazione naturale degli accidenti, e alla proprietà della locuzione, mi sembrano cose che neglette partoriscono vergogna, ed osservate con tutta diligenza non producono lode. […] Ci vogliono cose che facciano stupire, e, secondo il medesimo Cicerone, inorridire in certo modo ed esclamare gli ascoltatori, per fare che degnamente passino a’ Posteri. […] Saverio, che il Signorelli non si allontana da’ sentimenti de’ Critici Spagnuoli nel giudicare de’ supraccennati Drammatici, e non legge alla sfuggita, nè sopprime i fatti, nè abbisogna di far dire a’ Giraldi quello che non dissero mai.
Non così Tu, che a senno tuo sapesti ciò che lice imitar, ciò che sconviene a' detti arguti, ed a' giocosi gesti.
Di fatti in Grecia gli uomini più illustri o composero essi stessi pel teatro, o ne promossero lo studio, o servirono di scorta a’ poeti.
In quanto al cibo Nel medesimo dì bianchi i brodetti, Indi neri gli vuol: se l’acqua è fredda, Tempesta e grida, poi vuol ber gelato, E che apprestin la neve a’ servi impone: Il vin raspante d’avidetto gusto Co’ primi labbri ei delibar disdegna, Poi mattamente barbare bevande Acetose fumose agre putenti, Birra cervogia e ponce e rac tracanna a Ah non senza ragion dissero i saggi, Bello è non esser nato, o tosto almeno Uscir d’impacci e abbadonar la vita.
Il Croce, nel quarto punto dell’appendice, oltre a' titoli delle parti, ond’è composto, riferisce alcuni brani di un codice dal titolo : La pazzia di Flaminio nel presupposto tradimento di Cintia – a 15 maggio 1680, ove sono soliloqui, parlate e dialoghi, relativi tutti alla parte di Flaminio.
A questa faccio seguire il sonetto in morte di un suo figlio, il quale ci dà ancor più chiara l’idea delle sue qualità poetiche, e del suo amore a' classici : Come candido fior, che nato appena, del vomere al passar cade reciso, Carlo, moristi, onde perpetua vena di pianto a me bagna le gote e il viso : C'ho sempre avante i tuoi dolci atti, e il riso, e i cari vezzi ; e per maggior mia pena, la Suora tua, ch'or vedi in Paradiso, la tua partita a ricordar mi mena.
Ignaro de la vita che fugge, a’ tuoi futuri danni non pensi allor che accovacciato sul pavimento dell’aprica stanza ti scaldi taciturno a’ rai del sole, ed all’ insetto che ti ronza intorno volgi obliquo lo sguardo, e lo sollevi fraternamente all’augellin che canta da la pensile gabbia.
Fu acclamato nelle principali, e più colte città d’Italia, e stette gigante in mezzo a' suoi rivali che pur volevano atterrarlo, assalendolo da ogni lato.
Aggiungiamo qui alcuni particolari che traggo da lettere inedite dell’ archivio di Modena, non accennati a' nomi degli attori suddetti.
Dunque relativa : ma allora tanto è verità quella d’oggi, quanto fu quella d’jeri e dell’altr'jeri, e magari di tre secoli fa a' bei tempi degl’incomparabili Gelosi, i quali apparivan veri allora oltre il confine, e a' quali, probabilmente, i giovani tirerebber oggi con poca riverenza le panche.
Fu allora che il Conte Carlo Gozzi, già forte estimatore dell’ingegno di lui, pensò di venirgli in ajuto, esordendo come autore la sera del 25 gennajo 1761 con la fiaba L'amore delle tre Melarance, « caricata parodia buffonesca sull’opere dei signori Chiari e Goldoni, che correvano in quel tempo ch'ella comparve. » Fu preceduta da un prologo in versi « Satiretta contro a' Poeti, che opprimevano la Truppa Comica all’improvviso del Sacco », e « nella bassezza de'dialoghi e della condotta e de'caratteri, palesemente con artifizio avviliti, l’autore pretese porre scherzevolmente in ridicolo Il Campiello, Le massere, Le baruffe Chiozzotte, e molte plebee e trivialissime opere del signor Goldoni. » Che Dio l’abbia in gloria ! […] Chi poi voglia avere un’ idea de' pregi del Sacco e della sua Compagnia, secondo il giudizio di esso Gozzi, non ha che a leggere il secondo volume delle Memorie inutili, e tutto il Canto ditirambico de' partigiani del Sacchi Truffaldino (opere c. s.), in cui fra l’altro è detto : Sacchi innocente, di nostra mente consolazione, tato e mignone, tu con le pure caricature, e con gl’imbrogli, quando tu il vuogli, e con gli amori, e co' furori, le gelosie, le braverie, senza osceni allettamenti, imposture, adulazioni, vinci tutte le invenzioni de' Poeti prepotenti ; e ci sollucheri, e i cori inzuccheri ; a' tuoi detti giriam gli occhi, tanto il mel par che trabocchi, e ci urtiamo e pizzichiamo, ci abbracciam, ridiam, gridiamo : O poeti da cucina, Viva il Sacchi, e Smeraldina.
Che questa altera Diua emula al sole Vnisce a’ raggi, onde s’infiamma il core, Armonia di dolcissime parole. […] ra Florinda FLORINDA, un fior tu sei entro a’ i giardini Di virtude, e d’Amore. […] ra Florinda Tu, che per faticosi erti camini Cerchi con nobil core Mercar sudando glorioso honore, MONTAN sublime, e saggio Non disdegnar d’un picciol fior l’homaggio ; Che forse di Parnaso a’ i colli aprici Produrà nel suo auttun frutti felici.
Queste cose io narrai nella mia Storia, che il Signor Abate Lampillas vuol non vedere, tutto che le vegga e le palpi; queste io dissi di presentare a’ poco instrutti dell’Italica Letteratura.
XV, n. 8) cogli acquisti fatti della dottrina Italiana; e leggendo per un gran pezzo in Salamanca, non ostante l’ opposizione degli Scolastici che di favorir la novità l’accusarono, inspirò a’ suoi nazionali l’amor delle lettere, onde fu caro al Re Cattolico, che lo volle perciò in Corte per iscrivere la sua storia, e fu dal Cardinal Ximenes impiegato nell’edizione della Bibbia Poliglotta, e di poi alla direzione dell’Università di Alcalà di Henares, ove si morì nel 1522, e lasciò molte opere.
Quanto a’ meriti artistici egli n’ebbe moltissimi.
Bisogna vederlo fra un atto e l’altro, e magari fra una scena e l’altra, in quel suo camerino, ingombro di giubbe di ogni specie, di spadini lucenti, di parrucche, vicino alla sua tavola di truccatura, sulla quale, accanto ai barattoli del minio, del bianco, della terra d’ombra scintillano anelli antichi enormi, e orologi istoriati e tabacchiere e ciondoli svariati, e al disopra della quale alla parete di fronte, accanto a un grande specchio vigila in bella e nitida incisione il ritratto di Lui, di Goldoni, in compagnia d’incisioni minori di suoi personaggi, di maschere, di mode del suo tempo ; bisogna vederlo, dico, col suo libricciuolo in mano di una commedia del Maestro, non mai tentata a' nostri tempi, per esempio, L'uomo prudente, o L'uomo di mondo, che studia, analizza, notomizza per la riduzione, pei tagli sapienti, per le trasposizioni di scene, di frasi, di parole !
In fatti nel consenso del popolo (non della plebe) consiste il vero giudizio quanto a’ caratteri, a’ costumi, alla condotta delle favole; e solo per mio avviso prevaler debbe il giudizio de’ conoscitori e scrittori trattandosi di stile e di lingua. […] Pacuvio colle sue tragedie procacciossi rinomanza di dotto, e la si conservò anco a’ tempi di Augusto, secondo l’istesso Cicerone dove parla dell’ottimo genere degli Oratori. […] Se i giovani leggeranno le opere teatrali in simil guisa, ravviseranno molte bellezze degli antichi e mostreranno a pruova di saper ben leggere e ben intendere, e daranno a’ critici di sistema occasione di rilegger canuti gli autori dal loro tripode mimico approvati o condannati negli anni loro più verdi. […] Comanda a’ seguaci che si cerchi Astianatte per tutto; indi finge che siasi trovato e preso alle spalle di Andromaca: Bene est; tenetur.
Egli ha bene il diritto di essere messo assieme a’ grandissimi che diedero al mondo tipi immortali, se bene i suoi sien condannati pur troppo a perire : chè è per essi di tal guisa la creatura legata al suo creatore, che dileguato l’uno, anche dileguerà l’altra, non lasciando tra’ posteri che un vago ricordo, andatosi serbando e ahimè modificando nella viva voce delle generazioni succedentisi.
Entrò il ’60 nella Compagnia di Luigi Domeniconi ; diventò socia il ’61-62 di Tommaso Salvini, e fu scritturata il ’63 da Antonio Stacchini e il ’64-65-66, a’ Fiorentini di Napoli, da Adamo Alberti. […] Quand’era a’ Fiorentini di Napoli, nel ’65, Alessandro Dumas figlio, recatosi dopo la rappresentazione della Signora dalle Camelie, sul palcoscenico, disse alla Cazzola : « Io mi inginocchio dinanzi a voi. […] I) : Prima che si lasciasse comparire alcuno in su le pubbliche scene, bisognerebbe intendere quel ch’egli sa, perchè vuol recitare, e se è instruito dell’ordine che si tiene, che in questo modo molti che vengono a far comedie per non lavorare, tornerebbero a’ lavor senza far comedie, e certo che questo sarebbe cagione di molti beni.
Nullameno vi sono delle ripruove, che fanno vedere la musica applicata alla poesia volgare non molto dopo a’ tempi di Guido Aretino. […] Niuna favola arabica posta in versi dai provenzali, niuna question filosofica, delle quali in singoiar modo si compiacevano i saraceni poeti , trattata da questi, niuna allusione a’ loro scritti, alla lor religione, a’ loro costumi. […] Siena ebbe la congrega de’ Rozzi, utile quanto fosse altra mai a’ progressi del teatro italiano non men che alla musica per gl’intermezzi di canto e di suono, che si frapponevano alle loro farse o commedie. […] Tommaso della Vittoria nativo d’Avila illustrò anch’egli moltissimo la musica italiana non solo con opere assai pregiate a’ suoi tempi, le quali furono stampate in Roma l’anno 1585, ma con belle composizioni di pratica, per cui divenne rivale e socio del celebre Palestrina nel riformare e migliorare la musica ecclesiastica. […] Oltre a’ mentovati che possono chiamarsi di prima classe, molti vi furono di qua dai monti peritissimi nell’uno e nell’altro genere.
[16] Strana non per tanto è da dirsi che fosse l’opinione del Signor Grimm, il quale desideroso di riunire a’ nostri tempi la danza colla poesia vorrebbe, appoggiandosi al testé citato esempio di Livio Andronico, che i ballerini cantassero eglino stessi nell’atto di danzare, oppure che mentre danzano, una voce nascosta dietro alle scene spiegasse cantando l’argomento del loro ballo. […] Per fortuna dell’arte Lulli non badò punto alle loro declamazioni, e seguitò l’intrapresa riforma contentandosi di segnar talvolta le figure e i passi a’ maestri di ballo, che pon ben sapevano tener dietro al suo violino. […] Il fine dell’arte oratoria è di persuadere, i mezzi che adoperava Cicerone erano i più atti alla persuasione, egli otteneva l’intenta di volgere ovunque gli tornava in acconcio le menti e lo spirito dei Romani; l’arte oratoria toccò dunque la perfezione a’ tempi di quel celebre oratore. […] Potrei ad evidenza dimostrare quest’asserzione prendendo a disaminare le prima pagine, a così dire, del dizionario ballerinesco185; ma basti il fin qui detto per far comprendere al lettore che l’arte pantomimica o si riguardi la facoltà in se stessa, o si ponga mente all’invenzione e all’esecuzione, lunghi dall’essere stata condotta a quel segno di perfezione, cui giunta pur la vorrebbono a’ nostri tempi i suoi fautori, appena può dirsi che sia nella sua fanciullezza, della quale havvi ogni apparenza di credere che non sia per sortire così presto. […] Mi pare che questa inrerpretazione faccia più onore a’ greci drammatici che non il crederli capaci di introdurre seriamente tali mostruosità in teatro.
» Se gli meni buona la nutrice alla foggia antica, i nunzi, l’indovino, qualche descrizione troppo circostanziata bocca di Torrismondo, la lunghezza di alcuni ragionamenti del consigliere, e una maniera di sceneggiare che oggidì, farebbe fuor di moda, cose che non ne guastano l’essenziali bellezze, anche a’ nostri giorni farà piacere e maraviglia a leggitori imparziali. […] E che si é scoperto di più a’ giorni nostri? […] Pare dunque che ’l Trissino, il quale non so perché, e donde venga dal signor di Voltaire, ed indi da altri di lui compatrioti, appellato Arcivescovo, abbia servito di modello a’ primi francesi che si esercitarono nel genere tragico, diciamolo qui di rimbecco e per incidenza a risposta e mortificazione di tanti ignoranti e boriosi critici francesi che a lor bel piacere sono andati e vanno, tutto giorno disprezzando e malmenando in generale con somma ingratitudine e malignità la nostra nazione e le cose nostre: Ogni uomo dotto sa, che per opera degl’italiani a poco a poco diradaronsi in Francia le densissime tenebre dell’ignoranza, dileguossi la stupenda barbarie gaulese, e forse non che il primo crepuscolo di luce letteraria, ma il buon gusto nelle belle arti, e scienze tutte. […] Se dopo il mio soggiorno di sedici anni nella capitale delle Gallie, io non fossi per cento e cento pruove persuasissimo di questa irrefragabile verità, conosciuta da tutti gli uomini dotti e assennati di Europa, basterebbero a convincermene le produzioni de la Harpe, e de’ sedicenti filosofi della Senna, a’ quali, salvo appena due o tre, iddio par che abbia voluto, per farli cadere nel disprezzo, torre quel gran dono fatto all’uomo, cioé quella libertà di fare buon uso della facoltà di pensare: «Evanuerunt (si può dir coll’Apostolo Rom.
Scrissero poi favole drammatiche Moncretien, Baro, ed Hardy, i quali, secondo il Voltaire, vendevano a’ commedianti che giravano per la Francia, le loro composizioni a dieci scudi l’una.
De Voltaire, vendevano a’ commedianti che giravano per la Francia, le loro composizioni a dieci scudi l’una.
[3] Si tratta di esprimere quella mescolanza di rimprovero e di preghiera, que’ sospetti mitigati dalla speranza, quella eloquenza timida insieme ed ardita che ispira l’amore a coloro, che antiveggendo da lontano l’incostanza dell’oggetto che adorano, cercano pure di richiamarlo con dolenti bensì ma dolcissime querele a’ primitivi trasporti? […] Sisara, Tobia, Naaman, Giuseppe, le Profezie d’Isaia, Daniello, Davide umiliato, Gerusalemme convertita, l’Ezechia colle altre saranno sempre le migliori rappresentazioni che abbia l’Italia fino a’ tempi di Metastasio.
., Francesi inferiori a’ nostri 385. […] 436. e la Lingua Italiana come la più adatta al canto e all’armonia 351., rimprovera a’ Francesi il difetto di sensorio nella musica 353., parla della critica 298.
Io, Sigre, intendendo con mio estremo disgusto questo, e sapendo che per essere io il minimo di compagnia, et egli il principale, a me haverebbe toccato l’uscio, perciò pensavo a’ casi miei havendo moglie in casa, debiti in quantità, e sorella in Monistero, anzi sopra le spalle, e tanto più ero necessitato a pensarci, quanto che mi riducevo a mente il periglio che passai di rimaner in asso quattr’anni sono, quando finimmo il carnevale a Lucca, che V. […] r Flavio le sarà stato detto, con fermo animo di gettarsi a’ piedi suoi humilmente, per suplicarla della sua gratia.
Opposero allora decorazioni a decorazioni, e musica a musica, e si sostennero alquanto con farsacce magiche piene di apparenze, voli, e trasformazioni, e con alcuni intermezzi musicali, passeggieri ripari a’ loro continui bisogni.
Fiorì Epicarmo insigne filosofo non meno che comico illustre in Siracusa a’ tempi di Gerone il vecchio.
Le commedie sono : la Rhodiana, l’Anconitana, la Piovana, la Vaccaria, la Moschetta e la Fiorina ; se bene il Calmo nella dedica della Rodiana che fa al Conte Ottaviano Vimercati, affermi questa commedia esser sua, così dicendo : e dia la colpa a’ maligni, che mi rubarono la Commedia Rhodiana, la quale fu recitata in Vinezia del 1540, e poi nella Città di Trevigi sotto il felice Reggimento del clarissimo M.
Fu anche voce comune che la chiusura del Teatro italiano nel 1697 (ritratta dal Watteau in uno splendido quadro che riproduco dalla superba incisione originale del Jacob), dopo la quale egli dovette andarsene in Germania, si dovesse alle allusioni mordaci da lui fatte alla Maintenon nella rappresentazione della Fausse Prude ; dopo le quali, il signor D’ Argenson, luogotenente generale di polizia, il 4 maggio 1697, accompagnato da gran numero di commissarj, si recò alle 11 del mattino al Teatro dell’ Hôtel de Bourgogne, e fece apporre i suggelli su tutte le porte, non solo di strada, ma dei camerini degli attori, ai quali fu vietato di presentarsi per continuar gli spettacoli, non giudicando più Sua Maestà opportuno di ritenerli a’ suoi servigi.
Andato il Colomberti a visitarla nella sua villa di Avesa, riferisce ne’ suoi scritti inediti, come, alludendo alle memorie artistiche che adornavano il suo salotto, ella dicesse : « Sono memorie di oltre tomba, e mi ricorderanno a mia figlia e a’ miei nipoti. » E domandatole perchè non avesse in sua figlia lasciata di lei una ricordanza sulla scena, rispose : « E perchè ?
Ecco la materia informe che nasce in ogni terreno senza che si prenda da altri popoli, nella quale per lungo tempo rimangono le antiche vestigia ruris essa rassomiglia a i primi inni ditirambici e a’ cori rustici de’ greci, e ai diverbi fescennini de’ villani etruschi. […] Il rapporto manifesto della riferita poesia romana gesticolata coll’arte ludicra etrusca fece pensare d’invitar a Roma uno degli attori di quella nazione, il quale colla sua nuova, graziosa, e piacevole agilità riuscì molto grato a’ romani. […] Oltre a’ soprannomati poeti, nel rimanente del tempo della repubblica e sotto, i primi imperadori molti uomini cospicui coltivarono la poesia rappresentativa. […] Il fanciullo tratto dalla tomba, e consegnato a’ greci, grida «Miserere, mater»; e l’infelice Andromaca, Quid meos retines sinus, Manusque matris? […] Le tragedie erano o palliate, che imitavano i costumi de’ greci, a’ quali apparteneva il pallio; o pretestate che rappresentavano il costume de’ romani che usavano la pretesta.
Anagilda Invano Ti opponi a’ miei disegni. […] Il Prometeo al Caucaso p. e. è nazionale a’ Greci ? […] di vederti M’è grave omai : serba i tuoi doni ad altri, Ne arrossirei : lieto a’ miei ferri io torno. […] Ottima lezione a’ tiranni, morir nella maggior sicurezza. […] Notabile in questa è pure il carattere di Annibale pel magnanimo costante odio serbato a’ Romani.
Que’ prologhi che servono puramente per dar lode a’ principi hanno il primo esempio nell’Orazia dell’Aretino. […] Dell’osservanza delle regole spettanti a’ costumi. […] Il raccogliere insieme le buone prerogative degli uni e degli altri sarebbe la via d’arrivare a’ primi gradi della perfezione. […] Non così saprei approvare tutti i suoi sentimenti spettanti a’ caratteri: quantunque alcuni sieno rettissimi. […] Né quantunque io conceda qualche pregio a’ drammi scritti in prosa, ammetterei però che fossero perfetti senza il metro.
La regolarità, il motteggiar salso, la naturalezza e vivacità de’ ritratti ne costituiscono il merito, e piacque a’ volgari ed agl’ intelligenti. […] Ignoro presentemente se l’abbia eseguito ; ma a’ 14 di maggio del 1796 ne rimise all’autore per saggio alcune scene. […] Vi apparisce la selva de’Magi, ed in uno specchio grande veggonsi gli eventi che stanno accadendo altrove a’ personaggi lontani. […] Verso gli ultimi anni del passato secolo si tolsero questi ostacoli al corso della voce, ed ai cristalli, alle dorature e a’ festoni indicati si sostituì la pittura fattavi dal toscano Domenico Chelli. […] Ne rimane atterrita Elfrida, si lascia cadere a’ piedi di Edgardo, ed il vivace suo pregare ottiene al fine il perdono al marito.
La lingua, e lo stile necessario a’ componimenti musicali richiede precisione e succintezza, ed esclude lo sfoggio di un’ armonia diffusa lussureggiante.
Antonio Scoro d’Hoochstraton compose anche una comedia rappresentata da’ suoi scolari in Heidelberg, nella quale si personificava la religione che andava mendicando alloggio fra’ grandi, ed era esclusa, e che poi ricorreva, a’ plebei, ed era riacettata.
Ma la nostra imitazion distaccata dai principi religiosi, naturali e politici che sostenevano l’original presso a’ Greci, e trasferita ad un sistema di religione, d’usi e di leggi in tutto differente per non dir contrario, non ha potuto produrre effetti simili a quelli che producevano fra loro le medesime cose. […] Quindi è che un urlo solo, un gemito, un sospiro d’un infelice tormentato trova subito il segreto d’intenerirci insinuandosi fino a’ penetrali dell’anima. […] Allora formando ciascuno di questi rami un’arte da sé, nacque presso a’ Greci la scienza che i moderni chiamano musica, cioè quella combinazione artifiziosa di suoni che può esistere e realmente esiste divisa dalle parole, e che ha i suoi colori, le sue figure, i suoi movimenti, in una parola il suo linguaggio indipendente e proprio; laddove prima di quel tempo l’armonia non era una scienza a parte, ma un rinforzo soltanto della espressione poetica, o per esprimersi con più esattezza, altro non era che l’arte di far valere gli accenti della poesia. […] [10] Potrebbero l’accennate riflessioni applicarsi con eguale felicità a molti altri popoli, presso a’ quali la musica vigorosa e commovente nel suo principio è venuta poi degenerando a misura che acquistava un maggiore raffinamento; ma basterà per conferma del fin qui detto recar in mezzo l’esempio dei Cinesi e degli Arabi, nazioni entrambe che hanno al paro dei Greci conosciuta l’influenza di quest’arte sui costumi e sulla politica. […] Quindi non è da maravigliarsi che ridotta quest’arte a trattar pochissimi generi non abbia acquistata né la perfezione, né la varietà di quella degli antichi, presso a’ quali non mai disgiugnendosi l’una dall’altra, i confini della musica erano gli stessi che quelli della poesia.
Amlet dà varj avvertimenti a’ commedianti per ben rappresentare; indi uscendo Orazio, di cui egli si fida, gl’ingiunge, che mentre si rappresenta la scena da lui aggiunta, tenga egli l’occhio attento su di suo zio; l’esamini con ogni cura; dice che egli farà lo stesso; uniranno poi le loro osservazioni per giudicare ciò che indicherà il di lui esteriore. […] Dopo simili osservazioni va a parlare a’ becchini, e la conversazione riesce lunga e comica per le loro risposte, e morale per le riflessioni di Amlet.
Lo Jal riporta la frase tradizionale de’ vecchi detta a’ giovani che andavano in visibilio alla ornata recitazione del Laporte, Arlecchino del Teatro del Vaudeville, che era : « Se aveste veduto Carlino ! […] La lettera diciottesima, per esempio, nella quale Carlino descrive al papa il suo debutto, e la ventesima, in cui parla della sua celebrità, e dell’esser diventato di moda, tanto che le belle signore davano il nome di Carlino a’ piccoli cani che tenevan sotto ’l braccio, o in tasca, sono veramente belle.
Nel Capitolo della mia Arte del comico (Milano, 1890) si trova scritto a pagina 215 : Nè qui posso tralasciar di ricorrere colla mente e rammentare a’ miei giovani lettori la fisionomia di Eleonora Duse. […] [http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img101.jpg] Parole che su per giù si posson ripetere oggi che la Eleonora Duse afferra e soggioga i pubblici di ogni paese, a’ quali, per nove decimi, la lingua italiana è straniera.
A queste lettere vanno aggiunte una lunga tiritera morale, affettuosa in prosa a’ parenti di ogni specie, e un polimetro, specie di cantata, alla quale ha posto il titolo di Sentimenti affettuosi di Paolo Belli nel rivedere la sua Patria Firenze, i suoi genitori, e la famiglia de’ suoi, e la quale comincia così : Care, beate mura cui lambe intorno con sue limpid’onde il rapid’Arno !
3° Essi domandano umilmente sien lor concesse le danze e la musica negl’intermezzi, come furon concesse a' predecessori.
Dalle leggi che pubblicarono gl’ Imperadori Cristiani del IV e V secolo intorno agli scenici e agli spettacoli teatrali, ricaviamo che le rappresentazioni mimiche di parole, di canti, di gesti e di salti, erano divenute anco a’ loro tempi così necessarie in alcune festive solennità, che doveansi esibire da’ magistrati maggiori non solo nelle principali metropoli dell’Imperio e in Occidente e in Oriente, ma eziandio nelle città municipali da i Duumviri, o magistrati minori.
Or quale doveva essere la declamazione conforme a tali soggetti e caratteri, a’ quali doveva principalmente servire? […] Esistono ancora i titoli che si davano a’ maestri che specialmente la professavano. […] Ma se fossero simili a’ moderni chi può asserirlo od indovinarlo? […] L’occhio per la sua mobilità è quello che a’ moti dell’anima più prontamente obbedisce, e per la sua trasparenza ci par di vedere l’animo stesso nel di lui fondo. […] E ciò sempre addiviene ove si vogliano empiricamente generalizzare certi fenomeni particolari, per non saperli ridurre a’ loro veri principî.
Sotto Augusto, il quale pure incominciò un Ajace, Aristio Fusco scrisse commedie togate: un altro Cajo Tizio (diverso dall’oratore soprannomato) secondo Orazio fu buon poeta lirico e scrisse ancora tragedie: Ovidio fece una Medea, della quale abbiamo un frammento in Quintiliano: e il famoso Mecenate, oltre a’ varii poemi, compose alcune tragedie, come il Prometeo citato da Seneca, e l’Ottavia mentovata da Prisciano. […] Se i giovani leggeranno le opere teatrali in simil guisa, ravviseranno molte bellezze degli antichi, e mostreranno a pruova di saper ben leggere e bene intendere, e daranno a’ critici di sistema occasione di rilegger canuti gli autori dal loro tripode approvati o condannati negli anni più verdi. […] Comanda a’ seguaci che si cerchi Astianatte per tutto; indi finge che si sia trovato e preso alle spalle di Andromaca: Bene est, tenetur.
., pag. 21) degli onori fatti a’ comici, dice : « Il Signor Gio. […] Ma se non ponno i fiori trar quel frutto ch’ io bramo ; movati almeno a’ generosi affari de’ tuoi grandi avi il sangue, de’ genitori il vanto di cui siglie noi siam, Lazaro insieme ; Ma se per mia sventura e per tuo danno nulla val memorar fatti sublimi a cui l’ orecchia hai sorda, movati almen del gran rigor di Dio giusto castigo eguale, a tua colpa mortale.
E chi sa che le armi portate da’ curaci in un luogo di pietà, di pace e di allegrezza, sia per pompa sia per cautela, sia per insegnare a’ popoli col l’esempio di vegliar sempre a difesa della religione e della patria, non destassero l’idea di una rappresentazione eroica e marziale?
Paulo Fabri non cedendo agli antichi, et non invidiando a’ moderni col mezo del recitare, et dello scrivere, fa conoscere non bisognar dormire ogni sonno a chi vuole per mezzo dell’arte sua farsi onore.
A ben sostenere la parte di Pantalone nella commedia a soggetto, il Perucci dà questo insegnamento : Chi rappresenta questa parte ha da avere perfetta la lingua veneziana, con i suoi dialetti, proverbi e vocaboli, facendo la parte d’un vecchio cadente, ma che voglia affettare la vioventù ; può premeditarsi qualche cosa per dirla nell’occasioni ; cioè, persuasioni al figlio, consigli a' Regnanti o Principi, maledizioni, saluti alla donna che ama, ed altre cosuccie a suo arbitrio, avvertendo che cavi la risata a suo tempo con la sodezza e gravità, rappresentando una persona matura, che tanto si fa ridicola, in quanto dovendo esser persona d’autorità e d’esempio e di avvertimento agli altri, colto dall’amore, fa cose da fanciullo, potendo dirsi : puer centum annorum, e la sua avarizia propria de'vecchi, viene superata da un vizio maggiore, ch'è l’Amore, a persona attempata tanto sconvenevole ; onde ben disse colui : A chi in Amor s’invecchia, oltre ogni pena si convengono i Ceppi e la catena.
Nel carnovale '90-'91 interpreta per la prima volta la parte di Jago al Niccolini di Firenze con Andrea Maggi, Otello : poi torna in Russia, acclamatissimo come a' primi tempi, poi si aggrega a questa o a quella Compagnia per dar di quando in quando alcuna rappresentazione in pro della Cassa di previdenza per gli artisti drammatici, di cui egli è Presidente ; poi, finalmente, nell’anno di grazia in cui scrivo (1903), egli crede di dare un addio alle scene a fianco di suo figlio Gustavo, recitando l’Otello, la Morte Civile, e l’Oreste (Pilade), e mostrando ancora, (tranne forse ne'rari momenti, in cui ricordavano i suoi ammiratori di altri tempi il cannoneggiar d’una frase), tutta la freschezza e la musicalità della recitazione, tutto l’impeto della passione, tutta la profondità dell’interpretazione.
Ci si trova dinanzi a’ soliti contrasti dalle imagini bizzarre a grossi paroloni, dalle sottigliezze lambiccate, dalle sdolcinature iperboliche a base di sole, di luna, di fontane, di fiumi, di aurore, di tramonti, con tutti gli dei e semidei dell’olimpo.
L’amante, che prostrato a’ piedi della sua bella, chiede la sospirata mercede de’ suoi lunghi sospiri, sa benissimo ch’egli non è debitore né al suo ingegno, né alla sua dottrina della fortuna d’essere riamato. […] Tutte le quali cose producono l’illusione, non solo come supplemento della musica, e della poesia, ma come un rinforzo eziandio dell’una e dell’altra, poiché assai chiaro egli è, che né l’azione più ben descritta dal poeta, né la composizione più bella del musico sortiranno perfettamente il loro effetto, se il luogo della scena non è preparato qual si conviene a’ personaggi che agiscono, e se il decoratore non mette tal corrispondenza fra gli occhi, e gli orecchi, che gli spettatori credano di essersi successivamente portati, e di veder in fatti que’ luogi ove sentono la melodia. […] L’Imperatore Carlo VI cui l’Italia è debitrice in gran parte della sua gloria drammatica, era uno di que’ Signori a’ quali non aggradavano gli spettacoli sanguinari, non volendo che il popolo tornasse a casa scontento dal teatro10.
Ed ecco il fondamento della massima di Orazio, colà dov’ei dice che né gl’iddi, né gli uomini, né le colonne permettevano a’ poeti di essere mediocri150. […] Gli mancano parole da mettere in bocca a’ suoi personaggi? […] Ora le passioni tragiche non divengono musicali se non quando sono vicine alla violenza, e dall’altra parte la classe dei personaggi illustri, a’ quali appartengono esse, è di numero troppo scarso rispetto alla massa generale della nazione; quindi minore altresì esser deve la somma degli argomenti onde formare una tragedia musicale.
Ma un autore di un foglio periodico spagnuolo intitolato Aduana Critica nel II tomo impresso nel 1763, ignorando l’indole della drammatica, ch’é di abbellire, e non di ripetere superstiziosamente la storia, pretendeva che si dovesse nella Lucrezia introdurre Bruto fìnto pazzo, senza accorgersi che un carattere siffatto con difficoltà verrebbe ammesso per tragico a’ nostri tempi. […] Una tragedia siffatta, quantunque non irreprensibile in tutto, non dovea esser lo scopo delle satire de’ piccioli verseggiatori chiamati in castigliano copleros, e a’ comici non dovea increscere di replicarla.
La tragedia de’ Sette a Tebe reca diletto ed invita a leggere anche a’ giorni nostri, essendo ripiena di bei tratti, di movimenti militari, di sospensioni meravigliose, fatta in somma per presentare uno spettacolo degno di ogni attenzione.
Ma con simili cose avrebbe meritati e gli elogii che sogliono darsi a’ dotti artefici e l’amicizia di un Petrarca ?
E non altrimenti avverrà finché si tralasci l’imitazione della natura il vero, il grande, il patetico, il semplice per correr dietro alle bambocciate, alle caricature e a’ falsi ornamenti. […] La dimanda che oggidì fa il popolo italiano a chi timoneggia nel governo, è la stessa che ne faceva sedici secoli addietro a’ tempi di Giovenale, vitto e spettacoli Panem et Circenses. […] Simili agli amanti presso a’ quali le donne amate sono sicure di ottener il perdono di qualunque loro arditezza, gli uditori sono indulgentissimi con chi è lo stromento de’ loro piaceri.
Scappino a’ Conseglieri Levè el cul da le sedie Bagollino e Brighella, e a zo ch’el possa recitar comedie deghe pur col Tabar, Bretta, e Scarsella ; che per mi me contento, pur ch’el ghe tira dentro, e avrò gusto a sentir per la confina, per tutto rebombar : Viva Muzzina.
— Notizie Istoriche de' Comici Italiani che fiorirono intorno all’anno MDL fino a' giorni presenti….
Il celebre Gian-Vincenzo Gravina, così perito nelle faccende poetiche e nella lingua greca, versa a piena bocca su questo comico le sue lodi per la verità e naturalezza delle invenzioni, per la proprietà de’ costumi, per la felicità delle allusioni, per la bellezza de’ colpi, e per la fecondità; la pienezza, il sale attico, di cui abbonda, e che oggi a’ nostri orecchi non può penetrare.
Verso la fine del paragrafo, un altro grande inserto assente nella prima redazione riprende argomentazioni classiciste arcadiche per promuovere armonia e semplicità come linee guida alle quali anche il discorso musicale si deve attenere in una visione organica dello spettacolo operistico, il cui fine deve essere quello di unire armoniosamente poesia e musica per muovere le passioni: «Talché un direbbe che a’ secoli nostri è tornato il secolo del secento per la musica.
e le dedica il seguente sonetto che tolgo dal suo Teatro celeste : Sopra la madre dell’Auttore, alludendo al Nome, al Cognome, all’ Accademia, all’ Impresa, al Titolo, & a’ Comici Gelosi.