Nell’opuscolo intitolato : La pompa funebre di Arlecchino (Paris, Jean Musier, 1701), abbiamo il seguente ritratto del nostro artista : Je commence par son portrait.
Quanto al Meneghino, egli s’adontava ogni qualvolta gli si desse il nome di maschera…. e lo si mettesse in mazzo con Arlecchino, Brighella e Pantalone. « Meneghino – egli diceva – è carattere e non maschera, » e Ambrogio Curti, da cui tolgo le presenti parole, aggiunge : « ed io credo fosse proprio nel vero, perocchè egli fosse la sintesi fedele del carattere milanese o piuttosto ambrosiano, che, per il confluire nella mia città di tanti diversi elementi d’ogni popolazione d’Italia, si va ogni dì più perdendo. » Alcuni fecer derivare il nome di Meneghino da Domenico, altri da omeneghino, piccolo uomo : altri ancora da Menechino, come s’usò per erronea lettura chiamare I Menechini, facendo risalire il nostro tipo, non so con quali argomenti, alla Commedia plautina.
Toltosi dalla società il Tessari, colpito d’apoplessia il Visetti, l’impresa venne assunta da Prepiani, Monti e Alberti, assumendo il nostro artista per la prima volta il ruolo di primo attore assoluto, che sostenne con clamorosi successi fino al '49, nel quale anno fu colto da alienazione mentale, che lo condusse in breve tempo a morte.
Scoprendosi la scena, si vede il Re Scappino con Brighella e Bagolino suoi consiglieri, uno da un canto, e l’altro dall’altro con una mano di Paggi Zagnetti, dove arrivando Muzzina senza Tabarro e Beretta, gli dà una Supplica, e Scappino così cantando dice : Varda un poco, Brighella, mio conseglier fidado, se sto Zagno ha portà qualche novella, che possa desturbar el nostro stado : spiega tosto la carta, e inanzi, ch’el se parta, saveme dir, s’el brama pase o guerra, e che bon vento l’ha portà in sta terra. […] Stupin Candelotto De Stupin Candelotto zonto adesso è a l’orecchio, el gran valor de quel Muzzina dotto, in zovanil età Zanno sì vecchio, a te digo, Signore, ch’el merita ogni onore, per esser fio de la Zia Mona solo, ch’un tempo fu sì grata al nostro stuolo. […] Da un canto della piazza tu vedi il nostro galante Fortunato insieme con Frittata cacar carote e trattener la brigata ogni sera dalle ventidue sino alle ventiquattro ore di giorno, finger novelle, trovare istorie, formar dialoghi, far caleselle, cantar all’improvviso, corucciarsi insieme, far la pace, morir dalle risa, alterarsi di nuovo, urtarsi in sul banco, far questione insieme, e finalmente buttar fuora i bussoli e venire al quamquam delle gazzette (moneta venesiana da dieci centesimi) che voglion carpire con queste loro gentilissime e garbatissime chiacchiere.
Dopo i felici seguaci di Moliere del passato secolo Regnard, Brueys e Dancourt, troviamo tra’ buoni comici ne’ primi lustri del nostro Du Fresny nato nel 1648 e morto nel 1724, il quale dopo aver lavorato per l’antico teatro Italiano di Parigi insieme con Regnard, diede al Francese diciotto buone commedie. […] Meraviglioso in tutto è il secol nostro. […] Eximeno sia stato testimonio oculare di ciò che asserisce; ma ben lo fu il nostro Pier Jacopo Martelli. […] I Francesi che somministrarono opere musicali a’ comici Italiani di Parigi, sono stati Favart, Saint-Foix, Boussy, Marivaux, Marmontel, Sedaine e Framary autore di Nannete & Lucas, e dell’Isola deserta traduzione di quella di Metastasio nel 1775 animata dalla musica del celebre nostro Sacchini, ed anche della traduzione dell’Olimpiade pure rappresentata colla musica del medesimo eccellente maestro.
Ma questo nostro gran Critico che cosa riprova nell’Opera? […] Duclos: “Io credo (egli dice2), che potrebbe prendersi un partito di mezzo tra coloro che riguardano la Declamazione degli Antichi come un Canto somigliante all’Opera Moderna, e coloro che stimano che fosse del medesimo genere di quella del nostro Teatro”. […] Se io pretendessi difendere gli abusi del nostro Canto, non mi varrebbe l’antico esempio, e direste bene. […] Seguitiamo adesso ad imperlare il nostro scritto col resto delle parole dell’Apologista. […] E così abbigliato il nostro Melodramma, malgrado di un sistema, che può migliorarsi, ha fatto la delizia dell’Europa.
Ma parliamo della vita del nostro artista. […] L’opera di Messer Domenico Bruni da Pistoja, ch’io posseggo stampata in Milano da Giovanni Antonio degli Antonij, e che non è nè men la prima edizione, ha la data del 1559 ; mentre il nostro Bruni nacque nel 1580, cioè ventun’anni dopo.
Tentiamo, se si può, di metter in chiaro cotal questione, che abbraccia tutto l’argomento del nostro discorso. […] Commuove il poeta or direttamente scoprendo negli oggetti quelle circostanze, che hanno più immediata relazione con noi, e che ridestano per conseguenza il nostro interesse, giacché niuna viva affezione può nascere nell’animo nostro verso un oggetto, il quale indifferente del tutto ci sia: ora indirettamente muovendo col ritmo, e colla cadenza poetica, colla inflessione, e coll’accento naturale della voce quelle fibre intime, all’azione delle quali è, per così dire, attaccato il sentimento. […] Dipinge ora imitando col romore degli stranienti dal ritmo musicale dottamente regolati il suono materiale degli oggetti fisici, che sono capaci d’agire sull’animo nostro qualora li sentiamo nella natura, come fa la musica allorché esprime l’armeggiar d’una battaglia, o il fragore del tuono: ora risvegliando colla melodia le sensazioni, che in noi producono le immagini di quegli oggetti, i quali per esser privi di suono non cadono sotto la sfera della musica, come allorché non potendo significare la tomba di Nino, l’odore de’ fiori, o tai cose, che appartengono ad altri sensi e non all’udito; il musico rappresenta invece loro l’effetto, che in noi cagiona la veduta maninconica di quel mausoleo, o il placido languore che inducono i fiori odorati: ora eccitando per mezzo dell’udito movimenti analoghi a quelli, ch’eccitano in noi gli altri sensi; come allora quando il musico volendo esprimere il tranquillo riposo d’uno che dorme, ovvero la solitudine della notte, e il silenzio maestoso della natura, trasporta, dirò così, l’occhio nell’orecchio, e ci rappresenta la sospensione e il terror segreto, onde vien compreso lo spettatore nel rimirare siffatti oggetti. […] Certamente non è proprio di essa, se per «dommatizzare» s’intenda l’intuonar sul teatro un capitolo di Seneca, ovvero alcuna di quelle lunghe tiritere morali, di che tanto abbondano le tragedie de’ cinquecentisti, nel qual senso sono state ancora da me condannate: ma non è già così di piccole, e brievi sentenze, che spontaneamente vengono suggerite all’animo dallo stato presente del nostro spirito. […] Quindi è che poco fondata mi è sembrata mai sempre la rassomiglianza, che alcuni hanno preteso di ritrovare fra il nostro sistema drammatico-lirico, e quello degli antichi.
Il nostro intendimento poi, il quale da’ sensi attende le notizie delle cose esteriori, non in un tratto, ma successivamente si arricchisce.
Non mancherò indegnamente di raccomandarvi tutti a quel degno santo che fu asperso di quel sangue prezioso dove su d’esso spirò l’adorabile nostro Redentore.
Era il nostro comico Flaminio. » Una sua lettera del 30 agosto del '57 da Bologna a un Ministro del Duca, ci fa sapere come il settembre e l’ottobre la Compagnia si recasse a Firenze e l’autunno a Venezia al San Samuele, chiamatavi da S.
Al fianco di Ernesto Rossi pare ella rivelasse in uno scatto improvviso, inatteso, l’arte suprema che avrebbe poi fatto di lei una delle più geniali attrici del nostro teatro di prosa.
Io dettava allora le appendici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entusiasmo suscitato dalla Bernhardt, pubblicavo : Da un gran pezzo in qua non m’era accaduto di notare sul nostro teatro di prosa certi sgattajolamenti nervosi, certi contorcimenti serpentini, certi sfiaccolamenti veri, sentiti. […] Io che ho ammirato sinceramente, e sinceramente ammiro altri artisti maschi e femine del nostro teatro di prosa per la loro maniera schietta di porgere senza avviluppamenti accademici, non so, mi trovo inceppato a parlare della verità di questa piccola fata. […] Ch’ella miri sinceramente a una rigenerazione dell’arte nostra, e soprattutto a un risollevamento della coscienza artistica de’ nostri attori è fuor di dubbio ; e di questo anche le va data la maggior lode ; ed essi debbono a ogni modo vedere in lei un esempio salutare ; in lei che volendo, fermamente volendo, s’è venuta formando una vasta coltura dell’antico e moderno, del nostro e forestiero, e compiendo una educazione la più raffinata esteriore e interiore.
Scuoprono talora le scienze esatte alcune verità ingegnose che pur non recano utilità verunaa: a somiglianglianza, come altri pur disse, delle stelle chiamate nebulose, la cui esistenza è per gli ultimi telescopii inglesi ugualmente assicurata che inutile a tramandare al nostro pianeta luce maggiore. […] Pugnano i doveri della religione e delle leggi con molte opinioni adottate dagli uomini, ed in tal contrasto, quando più ci farebbe d’uopo al fianco una Minerva sotto forma di un Mentore, ci troviamo abbandonati a noi stessi, alla nostra scelta, al nostro discorso.
Rileggendo la citazione del Maffei egli si accorgerà subito che quel nostro letterato non intese al certo di parlare di tanti buoni componimenti de’ quali non ignorava l’esistenza e conosceva la prestanza, perchè avrebbe fatto gran torto a se stesso e non mai all’Italia. […] Ma quando anche il dotto Maffei e qualunque altro uomo di lettere più illustre pretendesse formare un mucchio spregevole di tutto ciò che si scrisse in quel secolo pel teatro, noi gli diremmo con rispetto ma con franchezza che s’inganna, ed avremmo dal canto nostro gl’imparziali e meglio informati.
Egli si sedeva sulla cattedra fiutando una presa, e a poco a poco si rasserenava, perchè la nostra compagnia gli faceva bene, e noi ce ne accorgevamo, e a modo nostro se ne cavava profitto. […] È ben vero che quando recitavano sì fatti artisti, la platea del nostro teatro era illuminata a candele di sego, e la ribalta con fiaccole che ardevano in teglie ripiene di grasso ; ma questa illuminazione non era particolarità di Perugia.
E la risoluzione, infatti, fu presa irrevocabilmente, e la Ristori si diede attorno con tutti i mezzi che le offrivan la sua grandezza artistica e il suo nuovo stato per « rivendicare all’estero — com’ella dice — il nostro valore artistico, mostrando che anche in ciò la nostra non era terra dei morti. […] Il nostro giovine Re Vittorio Emanuele III andò in persona a ossequiarla, recandole un dono e gli auguri della Regina : il Ministro dell’Istruzione le coniò una medaglia d’oro ; e un’altra, d’oro gliene coniò la R.
Motivi della perfezion degli antichi, e inconvenienti intrinseci del nostro sistema musicale. […] Indarno la storia ci somministra esempi maravigliosi della possanza della musica presso ai Greci; indarno la filosofia, disaminando la relazione che hanno i movimenti dell’armonia col nostro fisico temperamento, stabilisce sistemi e ne ritrae le conseguenze; la sperienza, quello scoglio fatale contro a cui si spezzano tutte le teorie, ci fa vedere che il superbo e dispendioso spettacolo dell’opera altro non è se non, un diporto di gente oziosa che non sa come buttar via il tempo e che compra al prezzo di quattro o cinque paoli la noia di cinque o sei ore. […] Imperocché codesta seconda maniera d’agire dei suoni tanto è più efficace quanto più gagliarde sono le impressioni che per mezzo delle vibrazioni dell’aria comunicano i suoni ai nostro orecchio. […] S’io volessi fare un processo formale alla nostra musica, larga messe mi si presenterebbe di riprensione disaminando l’imbarazzata e difficil maniera d’impararla, l’imperfezione delle chiavi che servono di regola all’armonia, i vizi radicali del nostro solfeggio, e la falsità di tanti principi ricevuti come incontrastabili unicamente perché nessuno ha voluto chiamarli a contrasto. […] [34] Ricercata filosoficamente l’intima differenza che corre tra il nostro sistema musicale e quello degli antichi, e indicati in generale gli inconvenienti annessi alla nostra armonia, pare che la serie di ragioni addotte fin qui bastar dovesse a pienamente confermare il mio assunto.
Il nostro secolo filosofico e calcolatore non permette che s’ignorino in verun angolo dell’Europa le principali regole del verisimile, nè che si sprezzino se non dagli stolti.
Giuseppe Angeleri, il più celebre di tutti, morì sulla scena, appena entrato fra le quinte, d’un colpo a Milano, l’estate del 1754 ; e il nostro Zannoni uscendo da una cena sontuosa a Venezia il 22 febbrajo del 1792, cadde in un canale profondo, e poco tempo dopo morì.
Meraviglioso in tutto è il secol nostro. […] Eximeno sia stato testimonio oculare di ciò che asserisce, ma ben lo fu il nostro Pier Jacopo Martelli. […] Confessano i Francesi di dovere le prime idee delle vere bellezze musicali di genere comico alla Serva Padrona dell’immortale nostro maestro napoletano Pergolese, la quale si cantò in Parigi sin dal 1753. […] Vi si segnalarono Favart, Saint-Foix, Boussy, Marivaux, Marmontel, Sedaine e Framary autore di Nannete et Lucas, e dell’Isola disabitata traduzione di quella di Metastasio che si animò colla musica dell’insigne nostro Sacchini nel 1775, come ancora della traduzione dell’Olimpiade recitata colla musica del medesimo esimio nostro maestro.
Il nostro secolo filosofico e calcolatore non permette che s’ignorino in verun angolo dell’Europa le principali regole del verisimile drammatico. […] Io aspetto e invito un qualche altero ed elevato ingegno che imitando nobilmente, e non da servo, il nostro gran poeta imperiale, e migliorando, ove ne bisogni, il giudizioso sistema dell’opera italiana, dissipi questo nembo apportatore di manifesta decadenza.
Scuoprono talora le scienze esatte alcune verità ingegnose che pur non recano utilità veruna 2: a somiglianza, com’ altri pur disse, delle stelle chiamate nebulose, la cui esistenza è per gli ultimi telescopii Inglesi ugualmente assicurata che inutile a tramandare al nostro pianeta luce maggiore. […] Pugnano i doveri della religione e delle leggi con molte opinioni adottate dagli uomini, ed in tal contrasto, quando più ci farebbe d’uopo al fianco una Minerva sotto forma di un Mentore, ci troviamo abbandonati a noi stessi, alla nostra scelta, al nostro discorso.
A chi poi è ignoto che la vita di Apollonio scritta da Filostrato non sia un puro romanzo artificiosamente per malignità accozzato per contrapporla alla vita del nostro Salvadore?
Il Watteau, uno de’ più geniali illustratori della Commedia italiana, del quale verrò riproducendo le principali opere, ci ha dato il costume dell’ Arlecchina in una delle sue incomparabili acque-forti (pag. 441) : e ce lo ha dato Geremia Wachsmuth col suo Inverno (pag. 439), nel quale, come si vede, figurano, a lato di Arlecchina, il Dottore, Scaramuccia, e altri tipi del nostro antico teatro.
Non molto noto forse è l’aneddoto che trovo ne’ricordi del Minghetti, al proposito del metodo e dell’ingegno del nostro artista.
Arse l’Italia d’un grand’incendio di guerra in diversi suoi paesi nel secolo XV, ma le contese de’ pisani co’ fiorentini, de’ veneziani co’ duchi di Milano, degli angioini cogli aragonesi, non impedirono l’alto favore, la generosa protezione, e la magnanima liberalità e munificenza de’ nostri principi, ministri, generali, e grandi verso le lettere, scienze ed arti tutte, e verso i coltivatori di esse133, non la fervida e quasi generale applicazione di ogni uomo di lettera ad apprender profondatamente le due più famose lingue de’ dotti, non l’universale entusiasmo di quanti a quel tempo eruditi viveano, di andare da per tutto, anche in lontane regioni ricercando e disotterrando i codici greci e latini134, non l’ardente premura di moltiplicarli colle copie, confrontarli, correggerli, interpretarli, tradurli, comentarli, non il raccorre da ogni banda diplomi, medaglie, cammei, iscrizioni, statue ed altri antichi monumenti, non lo stabilimento di varie accademie, non la fondazione dì altre università, non l’istituzione di nuove cattedre, non l’aprimento di pubbliche biblioteche e di teatri, non la rapida e maravigliosa moltiplicazione delle stamperie per le città e sin anco per le più ignote contrade d’Italia, non il promovimento dello studio della platonica filosofia per mezzo di Giorgio Gemisto Pletone, e singolarmente di Marsiglio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola in Firenze, e del cardinal Bessarione in Roma, non il risorgimento dell’epopea italiana e i progressi dell’arte drammatica, non il felice coltivamento dell’eloquenza e della poesia latina, e di ogni altro genere di erudizione, precipuamente per le cure, l’ingegno e ’l buon gusto del degretario e vonsigliere de’ nostri re aragonesi Giovanni Pontano135, e del precettore di Leone X Agnolo Poliziano, e del nostro Regnicolo Giulio Pomponio Leto, non impedirono in somma l’acquisto e ’l dilatamento delle piacevoli ed utili cognizioni letterarie e scientifiche, né l’attività e ’l progresso dello spirito umano136. […] E un nostro scrittore anche così: «Il favor de’ monarchi fa germogliare nello stato gli uomini illustri, ed accende l’anime grandi ad operar cose grandi: quelle sono le molle che fanno muovere gli umani talenti.»
Fu anche il Bellotti scrittor di commedie, tra le quali Spensicratezza e buon cuore non compiutamente bandita dal nostro teatro, in virtù dell’interesse che ne desta l’intreccio e della vena di comicità di cui abbonda.
| Cesare Augusto del nostro secolo.
La prima tragedia scritta nel nostro regolare idioma fu la Sofonisba di Galeotto del Carretto de’ marchesi di Savona nato in Casal Monferrato nel secolo XV. […] Nel nostro secolo non solo non è stata intollerabile la rappresentazione dell’Edipo in Verona e in Venezia, e della Semiramide in Verona, e dell’Aminta e del Pastor fido in Napoli ed altrove, e di molte e molte commedie di quel tempo con leggieri cambiamenti in più di un luogo; ma piacquero sommamente; e questa è storia ancora. […] Quindi è che il Capitano Virues e don Pedro Calderòn de la Barca si avvisarono di maneggiarlo in Ispagna nel secolo seguente, e nel nostro vi si sono appigliati il Crebillon ed il Voltaire, su i quali potrebbe osservare l’avvocato Linguet, se vi sieno stati piuttosto determinati dalla tragedia del Manfredi abbigliata alla greca, che da’ gotici drammi del Virues e del Calderòn. […] Noi esaminammo questa singolare opposizione con gran diletto nel nostro Discorso Storico-Critico intorno al Lampillas nell’articolo V, pubblicato in Napoli nel 1782, col quale rallegrammo i nostri leggitori a sue spese. […] Lasciamo pare al gesuita Lampillas il giudizio del Varchi dichiarato nemico del Trissino, che nelle sue Lezioni biasimava la locuzione della Sofonisba (di che vedasi il citato articolo V del nostro Discorso Stor.
Roma è quella che chiede il nostro pianto. […] Il nostro delitto, la nostra disperazione passerà di secolo in secolo per insegnare alle razze future, che il cielo irritato sa trovare certe vendette che l’umana mente non può prevedere. […] La musica italiana (diceva lodandolo Swift) è pochissimo fatta pel nostro clima settentrionale e pel genio della nazione. […] In questo nostro secolo il famoso Tedesco Hendel ha cagionato in Inghilterra la rivoluzione che avea già prodotto in Francia il Fiorentino Lulli.
L’antica illustre danza, Questi quei cori son che al nostro Bacco Si cantavano un tempo? In tal Timele Canterà il nostro Coro?
Noi nel nostro secolo XVIII ne abbiamo avuti luminosi esempli nella Cuzzoni, nella Tesi, nella Faustina, nell’Astroa, nella Mingotti, nella Gabrieli, nella Toti, nella Bandi, nella Correa Spagnuola. Soprattutto quale concepibile superiorità non avea Angelica Bilington sopra il castrato Mattucci sul nostro teatro di San Carlo, tutto che questi avesse una voce eccellente?
Questi quei cori son che al nostro Bacco Si cantavano un tempo? In tal Timele Canterà il nostro coro!
L’ invenzione di questa favola appartiene al nostro Goldoni, il quale scrisse in Italia il Padre di famiglia commedia per altro non poco difettosa.
Non posso, gentilissima Madonna, fare ch’io in quello che servirò quella Magnifica Madonna per la cui generosità sarò riscattato non dica che il padre mio doi figliuoli ebbe senza più, ed egli è il vero che la madre noi d’un medesimo parto avendo partorito passò di questa vita ; per il che dall’avo materno nostro, fummo fino alli sette anni allevati, di poi, per odio di nostri parenti a noi portato, e per fuggire le insidie loro a noi nella vita tese, fummo disgiunti : quello che di mio fratello avvenisse non potei mai risapere ; io in abito di donna fino alli diciotto anni stei rinchiuso in un monasterio di monache, ove, in cambio delle lettere, allo ago, alla rocca ed al fuso diedi opera, e prima imparai a tirar in filo il lino e la lana, di poi a comporre e tessere le tele, e di poi con l’ago di seta di varj colori trapungerle e ricamarle d’oro e d’argento, ed in quelle dipingere e colorire figure di uomini, di animali, di arbori, di paesi, di fontane, di boschi…. ed in breve, quello che faria con un pennello un dotto dipintore, io con l’ago, con la seta tinta di varj colori farò.
L’opera del Rasi, opera che contiene tesori d’erudizione, sarà la più completa e geniale storia del nostro Teatro drammatico.
mo Dalla compitissima Sua sento le glorie fracesi, che già comincio a vedere che la fortuna, a cura ma questo poco m’importa, sono gl’otto scudi delle botte che mi danno fastidio, La pregho andare dal Signor Giuseppe Priori, cassiero del Monte, e dirli che mi fauorisca auuisarmi per qual causa non ha pagato una mia polizza d’una doppia dicendo non auer denari de miei, e farsi dare una notarella del nostro, conto, perche mi pare che tenghi assai più nelle mani, se pure a riscosso li denari dal Ebreo Rossi al quale uendei il Vino, auendo il suddetto Signor Priori acettato di riceuer lui il mio credito e darmene credito, che in tal caso corre la somma per conto suo, che per altro, io non avrei dato il Vino, oltre di che di Conto Vecchio ui è qualche bagatella senza questi che lo pregho prenderne Nota distinta accio possa regolarmi, e ne do carico a V.
E nelle notizie che seguono l’Oracolo tradotto dal Cesarotti (Venezia, 1797) : A quel meraviglioso accoppiamento di comici pregi, che forma nella signora Anna Fiorilli-Pellandi il prodigio della declamazione scenica, dee unicamente l’Italia la presente egregia traduzione che col nostro mezzo comparisce ora la prima volta alle stampe.
Qua bisogna far di tutto, da Marta e da Maddalena, e questo nostro pubblico impastato di fango non è contento se non ci vede vomitare i polmoni !
Nel Viaggio di Francia (1664 e 1665) costumi e qualità di quei paesi – relazione di Sebastiano Locatelli, prete bolognese, tradotto sui manoscritti originali dell’Università di Bologna e della Biblioteca Comunale di Perugia, e arricchito di una introduzione e di note storico-critiche per opera di Adolfo Vautier, archivista paleografo di Parigi, sono alcuni passi interessantissimi che concernono l’attrice Eularia (V. in Supplemento) e il nostro Zanotti.
Questo che le scrivo è solo perchè Flaminio si è lasciato intendere qui in Bologna che per tutto estate non vuol partirsi di Roma, e questo sarebbe di troppo nostro danno.
Ah pian co’sto pastiso, perchè el xe un lavoro del nostro immortalissimo Carlo Goldoni, intitolato, La Bona Mugier ; e le commedie de Goldoni non le ga mai fato fiasco.
[25] Maestri e musici del nostro tempo, che col fasto proprio della ignoranza vilipendete le gloriose fatiche degli altri secoli, ditemi se alcun si trova fra voi che sappia tanto avanti nei principi filosofici dell’arte propria quanto sapevano quegli uomini del secolo decimosettimo, che voi onorate coll’urbano titolo di seguaci del rancidume. […] [27] Più grossolano e meno scusabile è lo sbaglio del Crescimbeni, il quale scrivendo nel principio del nostro secolo si spiega in questi termini: «Intanto dobbiamo avvertire che nei drammi per lo passato non hanno mai avuto luogo i cori, invece de’ quali sono stati inventati intermedi d’ogni maniera»64. […] «Tocca (dice un celebre scrittore dei nostro secolo) a’ poeti il far la poesia, e a’ musici far la musica, ma non appartiene se non al filosofo il parlar bene dell’una e dell’altra.»
Capo VI Teatro inglese, alemano, e spagnuolo del medesimo nostro secolo. […] «Il nostro gusto e i nostri costumi (osserva l’autore delle Lettere sulla Letteratura moderna pubblicate dal 1759 fino al 1763) si rassomigliano più al gusto e ai costumi degl’inglesi che de’ francesi: nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa e non si vede nella timida tragedia francese: il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi maggiore impressione che non il tenero e l’appassionato; e in generale noi diamo la preferenza alle cose difficili e complicate sopra quelle che si veggono con un solo colpo d’occhio». […] Nell’altra tragedia del signor Moratin lo stile si vede migliorato di molto, e lo sceneggiamento é più conseguente; ma presenta un’eroina violata da un moro, la quale forse dispiacerà alla delicatezza del nostro secolo; dacché gli odierni teatri culti esigono una rigorosissima decenza.
[17] Ma non tutti i poeti del nostro tempo si sono rivolti alla imitazion dei Francesi: molti ancora vi sono che vollero piuttosto seguitar Metastasio nella sua luminosa carriera somiglianti a que’ satelliti che s’accerchiano intorno all’orbita del pianeta maggiore. […] Senza però ch’io inclini per questo ad abbracciare i brillanti e poco solidi pensamenti che intorno alla convenienza del sistema drammatico degli Ateniesi col nostro ha l’autore con molto ingegno ed erudizione ma non con uguale giustezza proposti nella sua dissertazione intorno alla maniera d’interpretare i tragici greci. […] Lo Scipione in Cartagine dell’Abate Colomes merita un luogo distinto fra quelli del nostro tempo, ed io non avrei difficoltà di dir che fosse il primo, se alla semplicità della condotta, alla scelta e varietà nei metri, alla ricchezza lirica delle arie, e al merito di qualche scena degna di Metastasio avesse l’autore voluto congiugnere maggior rapidità nell’intreccio, più di calore nell’azione, e un più vivo contrasto negl’incidenti. […] [NdA] Il problema intorno alle cagioni della deliziosa malinconia generata dalla tragedia che tanto ha occupate le penne di alcuni celebri scrittori del nostro secolo cioè dell’Abate Du Bos, di Fontenelle, di Hume, e di Cesarotti si trova molto prima sciolto mirabilmente da Lucrezio ne’ seguenti magnifici versi Suave mari magno, turbantibus aquora ventis, E terra magnum alterius spectare laborem; Non quia vexari quemquam est iucunda voluptas, Sed quibus ipse malis careas, quia cernere suave est, Suave etiam belli certamina magna tueri Per campos instructa, tua sine parte pericli.
Rimettendoci al nostro Discorso Storico critico riguardo al Lampillas, parliamo ora del sig. […] Ma ciò lasciando mi dicano gli Huertisti (se pur ve n’ha qualche altro secreto oltre di Don Pedro suo fratello, e de’ Guarinos e de’ La Cruz) codesta profonda erudizione tutta chamberga, cioè che cade da tutti i lati, che cosa fa mai al caso nostro?
Passiamo alle commedie postume del nostro gran tragico di Asti. […] Ma chi pareggiò in Italia la grazia delle commedie musicali del nostro Gennaro Antonio Federico inimitabile pel colorito veramente tizianesco de’ suoi ritratti comici ? […] Nel nostro melodramma però che cosa produce lo scoprimento della congiura ? […] Torni nel nostro core… Osm. […] Questi sono i ventilatoi delle passioni, diceva un nostro filosofo.
Pur ne piace rammemorare un tondo medaglione di marmo posseduto da Tommaso Manso nostro antiquario morto nel 1650, di cui favella il suo contemporaneo Niccolò Toppi nella Biblioteca Napoletana.
tanto amico del nostro Gio: Vincenzo Gravina, nella lettera scrittane a monsignor Zondadaria.
L’invenzione di questa favola appartiene al nostro Carlo Goldoni, il quale scrisse in Italia il Padre di famiglia, commedia per altro non poco difettosa.
[1] Gl’inconvenienti annessi al nostro sistema musicale non impedirono ai compositori il creare delle bellezze parziali, e il condurre ciascuno dei rami del melodramma al grado di perfezione ond’era capace. […] Checché ne sia di ciò siamo pervenuti alla fine del nostro viaggio? […] La quale proprietà, volendo per poco inoltrarsi nell’abisso della sensibilità umana, sembra forse che debba ritrarsi da una persuasione intima che l’amor proprio fa nascere in noi, che se gli uomini, i numi, od il destino non rendono giustizia alla nostra causa, e non ascoltano con benignità e conmiserazione le nostre richieste, il motivo ne sia perché non hanno inteso abbastanza le nostre ragioni, e perché a lor non è noto quanto sarebbe di mestieri il nostro cordoglio. […] Non s’insegna loro la fisica propria del mestiere che consisterebbe nello studio dell’acustica, ossia nello esame di quei rapporti che la risonanza dei corpi sonori ha colla macchina umana, e in particolare col nostro orecchio, quantunque sia fuor d’ogni dubbio che tali notizie gioverebber moltissimo alla perfezione e maggior finezza dell’arte. […] Algarotti, Planelli, Borsa, Rameau, Burette, le Saveur, Dodart, Alambert, Eximeno, Burney, Grimm, Blainville e tali altri uomini di merito, che hanno con tanta lode avanzata la teoria, la pratica, o la metafisica della musica nel nostro secolo, sono nomi egualmente sconosciuti a loro che al gran Lama del Tibet, o ai Telapoini del Siam.
L’altro insigne tragico di cui può vantarsi la Francia nel nostro secolo, è il celebre Francesco Maria Arouet di Voltaire, la cui gloria niuno de’ suoi contemporanei sinora ha pareggiata, non che adombrata. […] Ella offendeva il nostro Dio, dice il primo, Et ce Dieu la punit d’avoir brûlé pour toi. […] Noi seguendo il nostro costume quello ne diremo che possa darne la più adeguata idea, non pensando servilmente con gli altrui pensieri, nè vendendogli per nostri quando ci sembrino giusti. […] In prima un’ ombra che apparisce nel più chiaro giorno alla presenza de’ principi, de’ satrapi, de’ maghi e de’ guerrieri della nazione, riesce così poco credibile al nostro tempo, che lascia un gran vuoto nell’animo dello spettatore e non produce l’effetto tragico.
I pellegrini, che spinti dalla divozione erano andati a visitar i luoghi ove nacque e morì il comun Redentore, a San Giacomo di Galizia, alla Madonna di Puy e tali altri santuari, cominciarono i primi nel ritorno loro a farsi sentire or soli, or molti insieme cantando sulle pubbliche strade cogli abiti coperti di conchiglie, di medaglie e di croci la Passione del nostro Signore, le gesta di Maria Vergine, di San Lazzaro, degli Apostoli, ed altri argomenti sacri tratti dalla Divina Scrittura, o dalle Leggende de’ Santi. […] Un Francese dottore in teologia giunse a sostenere in una pubblica tesi che la surriferita festa era non meno grata al nostro Signore di quello che fosse alla Madonna la festa della sua Concezione. […] [23] Ritornando al nostro proposito, e raccogliendo in breve quanto a noi s’appartiene, quattro furono i gradi o l’epoche dell’accrescimento della musica sacra.
L’Italia non dovrà mai al nostro avviso riputar vana una lode che suppone in suo favore una decisiva maggioranza nelle doti dell’ingegno, e in quelle dell’arte. […] L’altro è il famoso Benedetto Marcello patrizio veneto, genio fra i più grandi che abbia nel nostro secolo posseduti l’Italia, e che nella sua immortale composizione de’ salmi gareggia col Palestina se non lo supera. […] [NdA] Un siffatto carattere dovea render al nostro Tartini vie più insopportabile la compagnia d’una moglie riottosa e caparbia, che gli toccò in sorte simile alla Santippe di Socrate: invaghitosi della quale in Padova avea egli disgustatosi il genitore, abbandonato lo studio del foro e rovinata la propria fortuna.
Fu posta in musica da Berton uno de’ migliori allievi francesi del nostro egregio maestro Sacchini, di cui con gran ragione pregiasi la Francia. […] Moline opera detta eroicomica che manca di comico e di eroico, posta in musica dal nostro Paisiello, e Tarara di Beaumarchais stravaganza in cinque atti con prologoche incresce al buon senso, benchè diverta i volgari colle decorazioni spettacolose, e l’Anfitrione in tre atti nato e morto in un giorno nel 1788.
Le donne, presso alle quali l’elogio fatto alla bellezza fu sempre l’omaggio più caro, e la più spedita via di guadagnarsi il lor cuore; le donne che riguardano la costanza dell’uomo come il mezzo più sicuro di mantenere ed accrescere la loro influenza sul nostro sesso; le donne finalmente in cui la vanità è la passione per eccellenza fomentata dagli usi politici per nasconder agli occhi loro il sentimento della propria dipendenza, non poteano far a meno di non compiacersi del volontario tributo che pagavano ad esse i poeti . […] Potrei citare Filippo di Comines, che lo dice, potrei aggiugnere l’Abate du Bos, che di proposito lo pruova, autori entrambi di sommo grido e di sicura critica; ma essendo eglino stranieri, come son io, non debbono chimarsi in giudizio contro all’Italia, essendo tale la debolezza degli uomini, alla quale gl’Italiani al paro degli altri, e forse più degli altri partecipano, che chiunque di patria e di linguaggio è diverso si stima, qualora non parla a grado nostro, che debba esser acciecato dall’odio o dall’ignoranza. […] Se l’aver aggiunto una nota di più all’“ut re mi fa sol la” inventato, come si pretende, da Guido Aretino è di gran vantaggio per la musica, e se questa può dirsi una gran scoperta, che meriti, che si scriva un libro a bella posta per risaperne l’autore, come pur si fece da un musico chiamato De Nivers sul principio del nostro secolo; cotal onore è certamente dovuto a questo religioso spagnuolo, poich’egli ne fu l’inventore. […] Forse avrà Giove udito il pianto nostro.» […] Peggio per noi se il facile contentamento del Signor Abbate ci ha privati delle altre ricerche ben più concludenti ch’egli avrebbe potuto e dovuto fare relative alla natura della gamma degli arabi paragonata colla nostra, alla disposizione dei loro intervalli musicali, al numero delle consonanze, alla varietà de’ modi, alla differenza e divisione de’ tuoni, alle regole del loro canto, al genere della loro melodia, s’eglino conoscessero, o no, il nostro contrappunto, s’usassero per segni delle nostre note, e non piuttosto delle lettere dell’alfabeto con più altri punti importanti, dalla cognizione de’ quali dipende la forza, o la debolezza del sistema da lui adottato.
Un solo inconveniente ha il semicerchio adattato a’ moderni teatri; ed è che, per la costruzione del nostro palco scenario, differentissima da quella degli antichi, troppo grande viene a riuscire la imboccatura o la luce di essa scena.
Una parte (vi si aggiugne) assai numerosa della nazione mira con dolore la decadenza del nostro teatro, e desidera che si dissipino gli ostacoli che ne impediscono il miglioramento.
A chi ricordi il giovane atleta sullo scorcio del ’67 o sul cominciar del ’68, al fianco di Laura Bon, di Teresina Boetti, e di un Bianchi, pellicciaio livornese, cimentarsi nel Don Carlos e ne’ Masnadieri di Schiller, e toccar sotto le spoglie specialmente del tristo Moor, altezze non immaginate, non parrà strano che a soli ventiquattr’anni egli si disponesse, capocomico e primo attore assoluto, a lottare strenuamente colle maggiori difficoltà d’interpretazione, creando i caratteri più disparati comici e tragici, del teatro nostro e forastiero.
(risponde Eaco furibondo) colui che rubò il nostro cane Cerbero? […] Per la destrezza e per l’ammonizione, sendo nostro dovere il render gli uomini migliori nelle città. […] Questo nostro padlone (aggiugne Demostene) al principio del passato mese ha comprato uno schiavo tintore di pelli di nazione Paflagone calunniatore e ribaldoa. […] Degno di lode (ei dice) è questo nostro al pari de’ poeti antichi, perchè egli abborrisce que’ medesimi che noi detestiamo, e perchè non teme di dire con franchezza ciò che è giusto… Egli è vero che da alcuni di voi, o spettatori, gli è stato amichevolmente insinuato di astenersi dal troppo accusare; ma egli ne ha imposto di rammentarvi la gran difficoltà di comporre ottime commedie atte a piacere, e quanti pochi sinora vi sieno riusciti. […] Voi adunque benignumente compatite e perdonate al nostro poeta, e animandolo con applauso strepitoso fate che parta lieto dal teatro .
Roma è quella che chiede il nostro pianto. […] Il nostro delitto, la nostra disperazione passerà di secolo in secolo per insegnare alle razze future, che il cielo irritato sa trovare certe vendette che l’umana mente non può prevedere. […] La musica italiana (dice lodandolo Swift) è pochissimo fatta pel nostro clima settentrionale e pel genio della nazione.
Era questo teatro capace di circa novemila persone, secondo il calcolo fattone dal dotto Decano di Alicante Don Manuel Martì tanto amico del nostro Gravina, nella lettera scrittane a Monsignor Zondadari. […] Sofocle si forma su di lui; rende il proprio stile più grave, più maestoso, più sublime; aumenta di vivacità, di decenza, di verità, di splendidezza la scena tragica; e diviene nostro modello con Edipo, Elettra, Antigona e Filottete.
A queste del Panzacchi faccio seguir le parole di due massimi artisti del nostro teatro di prosa. […] Non posso parlare di questo lucido astro dell’arte venuto per illuminare un momento il triste e oscuro nostro orizzonte, e poi sparito per sempre per lasciarlo nuovamente nelle tenebre.
Può dirsi anzi che per lei il nostro teatro comico siasi arricchito di un intero genere di componimenti da prima quasi ignorati.
Don Giovanni Giuseppe Lopez de Sedano compilatore del Parnaso Español accrebbe le tragedie del nostro tempo colla sua Jahel in versi sciolti in cinque atti, là dove la morte di Sisara appena darebbe materia a un oratorio di due parti. […] Chi vuole spaziarsi sullo stato di Roma, è costretto a rendere Marzio invisibile, come fece nella sua tragedia il nostro Cavazzoni Zanotti. […] Don Pedro Garcia de la Huerta non ha preso a tradurre o imitare favole straniere, ma pieno dello spirito del fratello volle recare al nostro idioma in versi sciolti la di lui Raquel, come egli dice, Per la gloria di dare all’un germano Dell’altro un segno di verace amore. […] Ne’ medesimi termini parlammo della Lucrezia nell’edizione del 1777, e l’autore con nobile docilità prese in buon grado il nostro giudizio senza punto alterare la nostra antica famigliarità.
Perchè, secondo il nostro avviso e del Casaubonb, gli arguti copiosi sali e le vivaci piacevolezze che le condivano, non erano da oscenità veruna contaminate, ma talmente dalla naturale gravità Italica temperate, al dir di Valerio Massimoc, che non recarono taccia veruna a chi le rappresentava. […] Eaque nubet Euthynico nostro herili filio. […] Notando al nostro solito le scene più belle, ottima fralle altre ci sembra la 2 dell’atto I di Callicle e Megaronide. […] Vedasi il nostro tomo I delle Vicende della Coltura delle Sicilie. […] Pur ne piace rammentare un rotondo medaglione di marmo posseduto da Tommaso Manso nostro antiquario morto nel 1650, di cui favella il suo contemporaneo Niccolò Toppi nella Biblioteca Napoletana.
L’onore di primo restauratore di essa nel nostro secolo debbesi senza dubbio al Bolognese Pier Jacopo Martelli nato nel 1665 e morto nel 1727 secondo l’epitafio fattogli dall’illustre matematico e poeta Eustachio Manfredi. […] Questa buona tragedia colle precedenti smentisce l’asserzione di chi imparando la storia letteraria d’Italia sulle notizie giornaliere francesi, afferma che ne’ primi lustri del nostro secolo il teatro italiano non ebbe che drammi irregolari e mostruosi. […] Egli pur ebbe molte situazioni interessanti e teatrali in mezzo alle stranezze; egli fu dunque calzando il coturno ciò che era il nostro Cerlone nelle sue chiamate commedie mostruose e talvolta interessanti reimpresse in Roma colla falsa data di Bologna. […] Il nobile autore de’ Baccanali tragedia pubblicata in Venezia nel 1788, colla regolarità della condotta, colla forza de’ caratteri, con varj tratti robusti e colla gravità dello stile fa concepire alte speranze ch’egli esser debba uno de’ tragici pregevoli del nostro tempo. […] Due elegantissime iscrizioni fatte dal nostro celebre ab.
Io credo, che più che ogni altra cosa questo genio di precipitazione nel comporre facesse credere al nostro Dottor Goldoni di essere invasato dello spirito di Lope. […] Non si può appropriare al nostro Teatro (scrive con istupenda franchezza) ciò che dice il Menzini, “Un che al prim’ atto le sue guance ha nude “Di pelo, al terzo poi mel fai barbuto, “Quale il Nocchier della infernal palude.”
Si è giá parlato del secolo scorso, diciamo ora qualche cosa del nostro. […] I Napolitani dal principio del secolo avvivarono le Scene con gli Amenti, i Federici, i Belvederi, e in seguito co’ Liveri e i Cirilli: per nulla dire di quello spirito Drammatico, che dal XVI. fino al nostro tempo ha dominato nelle due Sicilie, per cui varie private Accademie e radunanze di gioventù ben nata, e bene educata ha coltivata estemporaneamente la rappresentazione.
Tuttavolta la parola ludus usata da’ cronisti par che più favorisca il nostro avviso che il dubbio del celebre storico. […] Debellato poi Desiderio, Carlo Magno nell’anno 801, e i di lui successori sino a Corrado il Salico, fecero varie aggiunte alle leggi Longobarde, e se ne venne a formare un codice, che secondochè ben dice un nostro dotto scrittore, non ostante il ritrovamento delle Pandette, ebbe il suo corso nell’Italia trasteverina per sino al 1183, delle quali cose vedasi il Conrigio, il Lindebrogio, il Montesquieu.
Un curioso prologo è questo, composto, al dire di esso Bartoli, in occasione di dover recitare a Bologna nel carnevale del 1611…. e che qui io pubblico intero, assieme alla riproduzione del frontespizio, per dare una idea ben chiara di questa variazione (sudiciotta, se vogliamo) della maschera del Dottore, di cui, per quanto io mi sappia, non è traccia fuorchè nel nostro Aniello.
Perciò quando l’Etruria sfoggiava con tante arti, e spettacoli voluttuosi, e quando la Grecia produceva in copia filosofi, poeti, e oratori egregii, e risplendeva pe’ suoi teatri, Roma innalzava il Campidoglio, edificava tempi, strade, acquidotti, prendeva dall’aratro i dittatori, agguerriva la gioventù, batteva i fidenati e i veii, scacciava i galli, trionfava de’ sanniti, preparava i materiali per fabbricar le catene all’Etruria, alla Grecia, e quasi alla metà del nostro emisfero63. […] Ubi animus errat, optimum est casum sequi; il che leggiadramente fa dire a Massimo nell’Ezio il nostro Metastasio: Il commettersi al caso Nell’estremo periglio E’ il consiglio miglior d’ogni consiglio. […] ………………………………………… O si pateant pectora ditum, Quanto intus sublimis agit Fortuna metus, pur leggiadramente imitato dal nostro poeta drammatico: Se a ciascun l’interno affanno Si vedesse in fronte scritto, Quanti mai che invidia fanno, Desterebbero pietà. […] «Il dispotismo dell’impero romano (asserisce un nostro scrittore), funesto a se stesso, alla ragione, al gusto imbarbarì la commedia in un assurdo di mimi, di pantomimi, d’istrioni, e in quel comico grossolano, velenoso allo spirito ed al cuore; e fino al secolo XVI non seppe più l’Europa che cosa fosse commedia.»
Il difetto più notabile del nostro poeta è il gusto singolare che avea pel giuoco puerile sulle parole; non v’ha cosa che non sacrifichi al piacere di dire un’ arguzia ecc. ecc.
Io, schiettamente, passato sopra alla sciattezza della lingua e dello stile, e alla piccola vanagloria che emergon da tutta l’opera, ho trovato e trovo codeste pagine (del primo volume specialmente) un preziosissimo contributo alla storia del nostro teatro del secolo xix, specie per la dovizia degli aneddoti di ogni genere e pei giudizi chiari e precisi di tutti gli artisti, e non furon pochi, i quali militaron con lui.
Giovanni Boscano non prestò picciolo servizio alla nazione col porre in pratica il consiglio del nostro Andrea Navagero d’introdurre nella poesia Castigliana la tessitura de’ metri Italiani. […] La necessità di apprendere l’artifizio e il portamento del nostro sonetto, della canzone, dell’ottava, della terzina, rendè loro famigliare la lettura di Dante, Petrarca, Sannazzaro, Ariosto e Bembo, ed in quel puro fuoco che spirano tali scrittori si riscaldarono i Garcilassi, gli Errera, gli Argensola ed altri valorosi poeti Spagnuoli del secolo XVI. […] Sotto il nome di Hija del aire (figlia dell’aria) Calderon, non altrimenti che il nostro Muzio Manfredi, pubblicò due favole sulle avventure di Semiramide. […] Tralle commedie di Antonio Zamora che raccolte in due tomi si sono impresse ne’ principj del nostro secolo, havvene due che oggi si rappresentano. […] Il giudizioso Luzàn nel nostro secolo si è scagliato parimente contro i di lui spropositati groppi di matte metafore.
L’altro insigne tragico di cui può vantarsi la Francia nel nostro secolo, è il celebre Francesco Maria Arouet di Voltaire, la cui gloria niuno de’ suoi contemporanei sinora ha pareggiata, non che adombrata. […] Ella offendeva il nostro Dio, dice il primo, Et ce Dieu la punit d’avoir brûlè pour toi. […] Noi seguendo il nostro costume quello ne diremo che possa darne la più adeguata idea, non pensando servilmente con gli altrui pensieri, nè vendendogli per nostri quando ci sembrino giusti. […] In prima un’ ombra che apparisce nel più chiaro giorno alla presenza de’ principi, de’ satrapi, de’ maghi e de’ guerrieri della nazione, riesce così poco credibile al nostro tempo, che lascia un gran voto nell’animo dello spettatore e non produce l’effetto tragico.
Il nostro legno poco veliero ci obbligò a porre tutta la nostra speranza nel valore. […] Non può essere lungo tempo tenero e patetico… Il difetto più notabile del nostro poeta è il gusto singolare che avea pel giuoco puerile delle parole; non v’ ha cosa che non sacrifichi al piacere di dire un’ arguzia ecc. ecc.
Il nostro Fiorilli, divenuto, come abbiam detto, in essa famigliare, spillava di quando in quando dal tesoro dello Stato qualche supplemento straordinario. […] Del valore del nostro artista infinite sono le testimonianze : comincio da quella di Evaristo Gherardi, che mi par s’abbia a ritener la migliore ; ed ecco perchè : il celebre Arlecchino sostenne contro il Fiorilli un processo per certi denari a questo dovuti, pei quali fu dal Gherardi rilasciata una obbligazione alla Duval come di somma prestata, e i quali egli negava di dover pagare, affermando che l’obbligazione gli era stata carpita in quei termini, ma che la somma era dal Fiorilli pretesa quale mediazione all’ entrata del Gherardi nella Compagnia italiana.
Comparve in Alemagna nel secolo XVII un ingegno, che imitando il nostro Petrarca, introduce nel settentrione la buona poesia, e traducendo alcuni drammi de’ greci, de’ latini, e degl’italiani mostrò a’ suoi compatriotti la vera drammatica che fino a quel tempo non ben conobbero.
(risponde Eaco furibondo), colui che rubò il nostro cane Cerbero? […] Per la destrezza e per l’ammonizione, sendo nostro dovere il render gli uomini migliori nelle città. […] Questo nostro padrone (aggiugne Demostene) al principio del passato mese ha comprato uno schiavo tintore di pelli, di nazione Paflagone, calunniatore e ribaldo105. […] Degno di lode (ei dice) è questo nostro al pari de’ poeti antichi, perchè egli abborrisce que’ medesimi che noi detestiamo, e perchè non teme di dire confranchezza ciò che è giusto . . . […] Voi adunque benignamente compatite e perdonate al nostro poeta, e animandolo con applauso strepitoso fate che parta lieto dal teatro.
Ma nè da lui nè dal Vega si fece menzione del dotto Toledano Giovanni Perez professore di rettorica ammirato da varii letterati Spagnuoli e dal nostro rinomato Andrea Navagero. […] Bisognerebbe aver la di lui impudenza e malignità per confondere nella mia storia l’Accademia di Madrid che fioriva sin dal declinar del secolo XVI e nel cominciar del XVII con l’altra qui vi pur incominciata sul finir del terzo lustro del nostro secolo instituita da Filippo V. […] Ecco buona parte di sì bella scena da me recata nel nostro volgare dall’originale Portoghese: Tutti, o signor, me trafiggendo uccidi; Tutti morremo.
I Saynetes, sorta di frammessi bellissimi che sono nel teatro spagnuolo l’immagine della vera e genuina commedia, e nella composizione dei quali ebbe gran nome Don Luigi di Benavente nel secolo passato e Don Raymondo de la Cruz nel nostro, servirono a promuovere maggiormente la musica teatrale aprendo talora la scena con qualche coro di musica e anche framischiando talvolta qualche dialogo musicale.
Questa Prima Cagione del tutto che abbellì la superficie del nostro pianeta col vago variamente colorito ammanto di tutto il regno vegetabile, la popolò d’innumerabili esseri animati, quali d’ingenti forze dotati come i leoni, quali in mille guise proficui come tanti armenti, pesci e volatili, quali di vaghe e care spoglie abbigliati, come le martore, gli armellini, le zebre e le americane tigri, quali per dolci concenti commendabili come usignuoli, canarii, uccelli-mosche e colibrì, quali notabili per sagace istinto come le api, i destrieri, i cani, le scimie, gli elefanti, ed i castori operai insieme ed architetti de’ loro borghi.
Vincenzo) codesta profonda erudizione tutta chamberga, cioè che cade da tutti i lati, che cosa mai fa al caso nostro?
Possibil mai che una notizia di sì gran momento non avesse solleticato la curiosità de’ letterati che sino al secolo xvi trovaron le scene del nostro teatro di prosa ravvolte della più fitta tenebra ?
re, È venuto da me per licenziarsi per costà il nostro Sig.
Il nostro studio ha dunque seguito le linee guida proposte da Federico Doglio all’interno dell’articolo Appunti per un progetto di ricerca su F. […] Noi diremo adunque di questa ciò che reputeremo al nostro intento più necessario. […] Per questa legge fisiologica l’uomo pronuncia, si muove e si atteggia analogamente agli oggetti che più lo feriscono per l’imperio di quell’azione, che gli obbietti esercitano su l’animo nostro, e l’animo nostro sui nostri organi interni ed esterni. […] Quindi procede la varietà di sistemi, che hanno seguito i filosofi nell’ordinarne ed esporne le classi; e noi a quello ci appiglieremo che parendoci il più conforme alla ragione, ed il più semplice ed efficace per l’uso nostro, noteremo le principali che più convengono al nostro fine ed al nostro disegno. […] E questa specie di perfezione immaginata e artificiale tanto più ci diletta, quanto che rappresentando il vero sotto la forma del verisimile ci rappresenta ad un tempo il nuovo che diletta pur sempre, ed il nostro miglioramento, che pur tanto lusinga il nostro amor proprio.
S’egli capisse Nel nostro immaginar, Dio non sarebbe. […] Ma io non avrei che per metà eseguito il disegno di quest’opera se dopo averne additate ai giovani le virtù che possono imitare nel nostro amabil poeta, non avesse anche il coraggio d’indicar loro i difetti, dai quali debbono tenersi lontani. […] [49] Come una conseguenza di ciò che abbiamo indicato ne deriva un altro diffetto, dal quale il nostro poeta non ha potuto liberarsi abbastanza. […] risplendi, o chiaro nume Fausto sempre al nostro amor.
Sogliono per lo più gli nomini involti nelle spesse tenebre dell’ignoranza, ed eziandio i mentecatti, mancando di quel lume di ragione che ci fa conoscer le facoltà del nostro spirito, credersi dotati di buon senno, perciò si veggono in Francia moltissimi infarinati, superbi nel loro patrio sapere, parlar alla cieca e pazzescamente delle nazioni straniere, e biasimare tutto ciò che non conoscono; e quante cose, oh Dio, non conoscono! […] «Ogni imitazione poetica (diceva il dottissimo nostro Gravina) é il trasporto della verità nella finzione.»
Dal medesimo inglese trasse la Morte di Cesare, che il nostro abate Antonio Conti avea pur maneggiata spogliandola de’ difetti dell’originale, ma seguendo la storia dipinse per modo i caratteri di Cesare e Marco Bruto che l’interesse resta diviso fra i due. […] Egli é purtroppo vero ciò che dice qua il nostro autore.
Il dramma in musica all’opposto, come parto ancora recente nato sotto il cielo dell’Italia, giacciuto lunga stagione nell’avvilimento, ne rivestito dal suo splendore se non al nostro secolo, non ha avuto per anco di qua dai monti un grande ingegno, il quale prendendolo a disaminare nella interna sua costituzione ne abbia indicati i veri principi, fissate le regole, stabilito il sistema, e dataci, a così dire, l’arte poetica.
Questo celebre poeta tanto criticato nel suo secolo quanto lodato nel nostro, avea avuta la disgrazia di comporre alcune cattive tragedie, per le quali era talmente incorso nella disgrazia di Boeleau, che il satirico non perdeva occasione di motteggiarlo ovunque gli cadeva in acconcio.
.: “Ma dove trovare ne’ moderni censori del nostro Teatro quelle qualità necessarie a giudicar dritto delle opere d’ingegno che noi ammiriamo in un Brumoy e in un Rapin?”
«Il nostro gusto e i nostri costumo (osservavasi nelle Lettere sulla moderna Letteratura pubblicate dal 1759 sino al 1763) rassomigliano più agl’Inglesi che a’ Francesi; nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa, e non si vede nella timida tragedia francese; il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi più impressione del tenero e dell’appassionato, e in generale noi preferiampo le cose difficili e complicate a quelle che si veggono con una occhiata.»
Si vide allora al maggior Cornelio succedere l’immortal Racine, e all’uno e all’altro qualche tragico del nostro secolo; ma dove è il degno successore di Moliere?
“Il nostro gusto e i nostri costumi (osservavasi nelle Lettere sulla moderna letteratura pubblicate dal 1759 sino al 1763) rassomigliano più agl’ Inglesi che a’ Francesi: nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa e non si vede nella timida tragedia francese: il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi più impressione del tenero e dell’appassionato, e in generale noi preferiamo le cose difficili e complicate a quelle che si veggono con una occhiata”.
E. consideri che abbiamo bisogno di gente che s’affaticha per far guadagnare, ma non di gente che goda della nostra rovina ; ad ogni modo come serrà quadragesima e che non si vedranno dinari, averano gracia di noi e bisognerà che facino a nostro modo ; ma s’inganano di gran lunga poichè non abiamo più che impegnare, e dinari noi non abbiamo, non n’aspetto da nessuna parte e pure sono risolutissima di non essere con loro.
Tu, Re di Licia, ancora Il nervoso e aurato arco tendendo, L’infallibili tue forti saette In nostro aiuto spendi. […] Finalmente con somma conoscenza del cuore umano quello grande ingegno mostra più eloquentemente l’immenso dolore del padre di quello che altri fatto avrebbe con una lunga declamazione: Poiché fu l’innocente al loco giunta Dove i greci facean larga corona Al nostro re, come venir sa vide Benché fuori di tempo e troppo tardi Da paterna pietà gelossi ’l sangue, E la pallida faccia addietro volse, Indi col manto si coperse il volto. […] Termina il nostro signor abate le Batteux questo parallelo, che non può estere né più giudizioso, né più vero, con attribuire alle nazioni il diverso carattere dei poeti.
Ella anzi dovea rispondere al Padre: ricordatevi che sinora gli avete permesso di parlarmi, di cavalcare a me dappresso in vostra presenza, di esser nostro commensale. […] Ponendo noi pur fine al ragionarne aggiugniamo, per chi amasse di udirlo, il nostro avviso qualunque siesi sul merito di ciascuna sua tragedia nella guisa che si presenta a’ nostri sguardi. […] Torni nel nostro core . . . […] Elvira dice, ne’ fati è scritto il nostro amor; e Adallano, A eterni Caratteri di stelle Segnata fu l’union nostra. […] pronostico puro di campagna, perchè essendo sera nel nostro emisfero, non si vede in Granata il sole nè offuscato nè chiaro; la rassomiglianza dunque e l’espressione mal si adatta.
thalamis Troja prælucet novis, ed il nostro Drammatico nella Didone, Va pure, affretta il piede, Che al talamo reale ardon le tede. […] Lo stesso nostro celebre Drammatico ne trasse un’ altra sentenza detta pure da Clitennestra, Remeemus illuc, unde non decuit prius Abire: sic nunc casta repetatur fides.
Negli affetti di spavento o di mestizia servono essi ad eccitar in nostro aiuto l’altrui commiserazione facendo vedere, che ci sovrasta un qualche pericolo. […] Lo spiritoso ed elegante autore del discorso intorno al poema lirico non ha riflettuto essere incompatibile colla natura del nostro canto sminuzzato acuto squisito e sottile l’azione violenta che richiede la danza, mettersi i polmoni e la glottide dei cantanti nell’atto d’eseguire l’arie in una posizione che verrebbe alterata necessariamente dal ballo o affatto distrutta, trovarsi nella poesia molte idee astratte, molte relazioni puramente riflessive e mentali che non potrebbono in verun conto eseguirsi dal ballerino, contener la musica strumentale mille artifizi, mille pitture degli oggetti esterni che non possono essere rappresentate coi piedi, dover non per tanto l’imitazione della natura riuscir imperfetta oscura ed equivoca, essere finalmente nel presente nostro sistema la simultanea riunione del ballo e del canto in una sola persona una caricatura non minore di quella che sarebbe il prevalersi d’una traduzione ebraica per facilitare l’intelligenza d’una lettera scritta in latino.
Perchè, secondo il nostro avviso e del Casaubon28, gli arguti copiosi sali e le vivaci piacevolezze che le condivano, non erano da oscenità veruna contaminate, ma talmente dalla natural gravità Italica temperate, al dir di Valerio Massimo29, che non recarono veruna taccia a chi le rappresentava. […] Ma ciò si accenna appena con due soli versi dalla Caterva degli attori, che congeda l’uditorio: Hæc Casina hujus reperietur filia esse e proxumo, Eaque nubet Euthynico nostro herili filio. […] Notando al nostro solito le scene più belle, ci sembra ottima fralle altre la seconda dell’atto primo di Callicle e Megaronide.
thalamis Troja praelucet novis , ed il nostro drammatico nella Didone, Va pure, affretta il piede, Che al talamo reale ardon le tede. […] E lo stesso nostro celebre Melodrammatico ne trasse un’altra sentenza detta pure da Clitennestra: Remeemus illuc unde non decuit prius Abire: sic nunc casta repetatur fides; Nam sera nunquam est ad bonos mores via.
Noi nel nostro secolo ne abbiamo avuti luminosi esempj nella Cuzzoni, nella Tesi, nella Faustina, nell’Astrua, nella Mingotti, nella Gabrieli. […] Rileggendo la citazione del Maffei egli si avvedrà subito che quel nostro letterato non intese al certo di parlare de’ buoni componimenti teatrali da noi mentovati, ma sì bene de’ pasticci reali, eroici, regiocomici oltramontani adottati in un breve periodo del passato secolo, imitati da Italiani di pessimo gusto e rappresentati da’ commedianti.
Il nostro legno poco veloce ci obbligò a porre tutta la nostra speranza nel valore; gettaronsi i rampiconi; io prima di tutti saltai nell’imbarcazione nemica, la quale nel tempo stesso si dispiccò dalla nostra, ed io rimasi solo e prigioniero.
Se l’istesso nostro Monarca non avesse secondata questa prima felice operazione colle altre, p. e. permettendo a’ suoi Vassalli un libero Commercio alle Provincie Americane, alleggerendo varj gravosi dazj posti su i generi portati in quelle Contrade, e stendendo la corrispondenza, e il traffico parimente di una Colonia coll’altra, e della Nuova-Spagna colle Filippine, si sarebbe ad occhi veggenti scorto il miglioramento del Commercio Spagnuolo1?
Passando poi a componimenti veramente scenici composti in tal secolo da non volgari ingegni, troviamo una tragedia di Gregorio Corraro patrizio veneto morto nel 1464 composta in versi latini nel l’età di soli anni diciotto, intitolata Progne, alla quale fanno plauso, secondo Lilio Gregorio Giraldi, moltissimi eruditi del XVI secolo, e nel nostro col Marchese Scipione Maffei altri letterati ragguardevoli.
Passando poi a’ componimenti veramente scenici latini composti in tal secolo da non volgari ingegni, troviamo una tragedia di Gregorio Corraro patrizio Veneto morto nel 1464 composta in versi latini nell’età di soli anni diciotto, intitolata Progne, alla quale fanno plauso, secondo Lilio Gregorio Giraldi, moltissimi eruditi del XVI secolo, e nel nostro col marchese Maffei altri letterati ragguardevoli.
Il Domeniconi, il 18 detto, parlando delle pretese, dice : Circa all’onorario vi prego di considerare che la Compagnia Reale di Torino ha un provvedimento sovrano che manca alle altre Compagnie girovaghe e le 12,000 lire austriache che vi avevo accordato credo che sia il maggiore stipendio che queste possano accordare ; non è questa un’ offesa al vostro sommo ed incontestabile merito, ma sono i meschini proventi che si ricavano dagli esercizi drammatici nel nostro disgraziato paese….
Florinda già da tre giorni fuggi et piangendo se n’andò in verso chiesa dove si faceva tenir per spiritata, et voleva mandar per una carozza per venirsene a Mantova, quando suo suocero con suo compare, et il Moiadé nostro portinaro corsero a rimediarvi et la fecero rimanere, di queste cose ce ne sono ogni giorno, et questa sgratiatuzza ride et gode sott’ occhio havendo ridotto questo negotio con una tal volpagine che l’istessa Florinda prega che lei non si disgusti acciochè il marito non li faccia qualche burla. dico signore che si tratta di cose concernenti alla vita e da queste che V.
Gl’ Italiani del secolo XVI aveano trasportati nel nostro idioma i greci argomenti con troppa scrupolosa osservanza delle antiche vestigia. […] Questa buona tragedia colle precedenti smentisce l’affettazione di taluno che imparando la storia letteraria d’Italia sulle importanti notizie giornaliere delle gazzette straniere, afferma che nei primi lustri del nostro secolo il teatro italiano ebbe soltanto drammi irregolari e mostruosi. […] Il tomo primo contiene l’Appolito di Euripide e la Fedra di Giovanni Racine trasportate nel nostro idioma e comparate. […] Non possono negarsi a questo nostro valoroso tragico i notabili progressi fatti nella carriera intrapresa mostrati nell’ edizione di Parigi del 1788. […] Due elegantissime iscrizioni del celebre nostro abate Gaetano Migliore prefetto degli studii nell’Università di Ferrara, si posero nella sala dell’accademia degl’Intrepidi, e nella porta della cattedrale per onorare la memoria di sì illustre letterato.
Ma nè da lui nè dal Vega si fece menzione del dotto toledano Giovanni Perez professore di rettorica ammirato da varii letterati Spagnuoli e dal nostro rinomato Andrea Navagero. […] Ecco buona parte di si patetica scena da me recata nel nostro volgare dall’originale portoghese.
Perciò si trovano alcune degne di miglior secolo, e quali a stento si vedrebbono nel nostro.
La spoglia allegorica di questa favola vela un tesoro di filosofiche verità, e mette in azione sotto l’aspetto piacevole e popolare di una favoletta anile le sode dottrine sulle grandi richezze, vigorosamente e dottamente esposte dal nostro immortal filofoso Antonio Genovesi.
Una parte, vi si aggiugne, assai numerosa della nazione mira con dolore la decadenza del nostro teatro, e desidera che si dissipino gli ostacoli che ne impediscono il miglioramento.
Chi vuole spaziarsi sullo stato di Roma, è costretto a render Marzio invisibile, come fece nella sua tragedia il nostro Cavazzoni-Zanotti. […] L’esgesuita Pedro Garcia de la Huerta non prese a tradurre o imitare favole straniere; ma pieno dello spirito di Vincenzo suo fratello volle recare al nostro idioma in versi sciolti la di lui Raquel, com’egli dice.
Io che mi risento più d’ogni altro degli abusi del nostro teatro di musica, più d’ogni altro vi son tenuto del coraggio col quale ne intraprendete la cura.
Felici le arti e le lettere se di tal rimprovero potessero incolparsi soltanto i passati secoli, senza che nulla avessimo a rammaricarci pel nostro!
At nemo jure crimini aut probro duit Huic nostro adolescentum ingenuorum cœtui Sine pretio prodire ornatu scenico, Moresque vitæ deteriores fingere, Non ut cuiquam incommodet, sed ut simul Spectatorum delectet animos & iuvet, Terentiana agetur ergo fabula, Cui Phormio nomen. […] Di questo parere fu ancora nel nostro secolo Gio: Maria Lancisi chiamato dal Gravina interpres naturæ solertissimus, il quale ne compose una dissertazione autorizzata poi dalla Ruota Romana.
Non così fece il Trissino nostro, nel cui dramma non solamente si rende ella in ogni incontro aggradita al popolo, ma non abbandona il marito che con ribrezzo, vinta dalla necessità. […] Il medesimo si potrebbe dire d’Orazio, a cui Cornelio ascrive un costume troppo aspro, il che non fa il nostro Aretino, che per altro lo rappresenta coraggiosissimo. […] Non saprei scusare neppure monsieur de La Fosse per avere nella Polissena fatto Pirro reo senza necessità d’essersi opposto al paterno comando con pertinacia irreligiosa e con civile dissenzione; da che s’è ben guardato il nostro Annibale Marchesi. […] Ma certo quantunque fosse scrittore assai degno, prese egli non lieve sbaglio sì nel credere che mancasse alla nostra lingua metro convenevole per sostener la tragica gravità, sì nello stabilire che il metodo de’ versi francesi sia più d’ogni nostro metro confacente alla tragedia, come quindi mostrerò. […] Vero è che il verso esametro è più lungo del nostro, ma non può ridursi a ciò tale differenza.
At nemo jure crimini aut probro duit Huic nostro adolescentum ingenuorum coetui Sine pretio prodire ornatu scenico, Moresque vitae deteriores fingere, Non ut cuiquam incommodet, sed ut simul Spectatorum delectet animos et juvet, Terentiana agetur ergo fabula, Cui Phormio nomen ecc. […] Di questo parere fu ancora nel nostro secolo Giovanni Maria Lancisi chiamato dal Gravina interpres naturae solertissimus , il quale ne compose una dissertazione autorizzata poi dalla Ruota Romana.
La necessità di apprendere l’artificio e il portamento del nostro sonetto, della canzone, dell’ottava, della terzina, rendè loro famigliare la lettura di Dante, Petrarca, Sannazzaro, Ariosto e Bembo; ed in quel puro fuoco che spirano siffatti scrittori, si riscaldarono Garcilasso, Errera, Argensola ed altri valorosi poeti del secolo XVI. […] Il giudizioso Luzan nel nostro secolo si è seagliato parimente contro gli spropositati groppi gongoreschi di matte metafore.
Di questi tempi, il signor Domenico Lanza pubblicò per le nozze Solerti-Saggini (Pinerolo, Tipografia Sociale, 1889) un capitolo inedito del nostro Francesco, tratto dalla Biblioteca nazionale di Torino, e segnato nel catalogo pasiniano col numero cxlii (Codex CXLII, chartaceus, constans foliis II, sœculi XVII).
Il Dolce così l’espresse: Poichè fu l’innocente al loco giunta, Dove i Greci facean larga corona Al nostro re, come venir la vide, Benchè fuori di tempo e troppo tardi, Da paterna pietà gelossi il sangue, E la pallida faccia addietro volse, Indi col manto si coperse il volto.
Hor noi siam qui, e per far come il pardo, al primo salto la preda, cominciaremo a dimandarui del modo che uoi terreste essendo [poniam caso] ricercato hoggi dal principe nostro, a farle rappresentare una comedia.