Nato a Lucca il 1807 da Domenico e da Angela Rosignoli, entrò in arte la quaresima del '26 nella Compagnia di Carlo Spinola. Salito al grado di generico primario, si mantenne in quel posto, ammirato e acclamato, al fianco de' migliori artisti del suo tempo, e scritturato da' migliori capocomici, quali Vergnano, Bon, Mascherpa, Bazzi, Presciani, Alberti, Monti, Domeniconi, Coltellini, Dondini, Salvini, sino al 1879, anno in cui si ritirò dalle scene, poverissimo, soccorso da' suoi concittadini, e da qualche compagno d’ arte.
Ma la passione per l’arte drammatica lo vinse a segno, che, dato un addio ai libri mastri, si scritturò in una Compagnia comica in qualità di amoroso, diventando in breve attore di qualche pregio. Ma forse egli s’avvide più tardi, e i suoi compagni con lui, che per gli studj a'quali s’era dato prima di calcar le scene aveva assai più inclinazione che per l’arte.
Cominciò a esercitar l’arte di suo padre con infime parti fino a’ 17 anni ; compiuti i quali entrò amoroso nella Compagnia Pieri e Vedova. […] E questo aggettivo concorderebbe col nomignolo che gli venne da’fratelli d’ arte di Re Pausania. […] Negli ultimi anni dell’ arte sua, a’ Fiorentini di Napoli, i compagni suoi, mossi forse da alcuna bizzarria del caso, gli dieder fama di jettatore, o apportator di sventura.
Benchè non figlia d’artisti, ebbe sin da piccola una passione viva per l’arte della scena, che coltivò poi alla filodrammatica milanese sotto gli ammaestramenti dell’artista Giovanni Ventura (V.). […] Avrebbe voluto allora, nel momento della grande sciagura lasciar l’arte, ma l’arte, entrata ormai nel suo sangue, non la lasciò.
Germano di Drancy-le-Grand, presso Parigi, una sua compagna d’arte, la Giovanna Benozzi, artista rinomatissima sotto il nome di Silvia, dalla quale ebbe quattro figli, di cui uno solo, Antonio Stefano, seguì l’arte de’genitori.
Morto il padre nel febbraio del '62, egli entrò di punto in bianco primo amoroso ai Fiorentini di Napoli, dove, mercè gli ammaestramenti del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola, della Pezzana, della Marini, salì a tal grado d’arte, che la quaresima del '70 partiva con la madre per Cremona a raggiunger la Compagnia di Alamanno Morelli, della quale egli era il primo attore assoluto. Due anni di arte, due anni di trionfo !
L' '86 gli morì il padre, ed egli, interrotti dell’ '88 gli studi liceali dopo il secondo corso, entrò in arte come primo attore giovine della Compagnia Benincasa, poi, nello stesso anno, di quella delle sorelle Marchetti. […] Al pari del suo collega Ciro Galvani, benchè in altro modo, egli unisce a questa del comico l’arte del disegnatore.
Belli Paolo (Blanes Pellegrino), figlio di Vincenzo Belli e di Maria Romei, fu trascinato dall’ amore dell’ arte comica, tenuta in non troppo alto conto al suo tempo, a fuggire di casa per iscritturarsi non sappiamo più in quale compagnietta di zingari. […] Dotata di un annuo assegno ed arricchita di privilegi e d’onorificenze, contribuì potentemente a sollevare quasi alla perfezione l’arte drammatica, e a diffondere per tutta Italia il gusto vero per la medesima. […] Il Bonazzi (Gustavo Modena e l’arte sua, Perugia, 1865) dice del Blanes che calzava con mitica dignità l’alto coturno dei classici. […] Il Bartoli dice che l’arte del comico e del lavorator di mode andava alternando e che per la squisitezza de’modi e l’avvenenza della persona, era accolto e gradito dalle dame di ogni città. […] Maritatasi la figlia al Colomberti nel ’27, Antonio Belloni si ritirò dall’arte, istituendo una agenzia d’affari per l’arte comica in Bologna, ove morì nel ’42, a 83 anni.
Il nonno, orefice, non avuto in troppo odore di santità, dovette abbandonare Roma, sua patria, col figliuolo, giovanissimo, e rifugiarsi a Buje nell’ Istria, dove continuò a esercitar l’arte sua, e dove Augusto, era il nome del figlio, si unì con Antonietta Mazzari, istriana, in matrimonio, dal quale nacque il maggio del 1841 Florido Bertini. Giunta colà una compagnia comica, il padre pensò bene di lasciar l’arte dell’oreficeria per abbracciar quella del palcoscenico. […] Una sera in cui egli rappresentava al Gerbino di Torino l’A’ basso porto di Cognetti, l’Emanuel che assisteva alla recita da una poltrona, con sentimento di schietta ammirazione pel fratello d’arte, gli mandò sulla scena un bellissimo anello con pietre preziose, accompagnato da queste parole : Giovanni Emanuel all’inzupperabile o’ Zi Pascale lu cantiniere.
Mòrtagli la moglie, il Cristiani passò a seconde nozze con Amalia Pieri, che s’ebbe la piccola figliastra, come vera figliuola : e questa, entrando in arte, adottò forse, invece del paterno, il nome della matrigna, a cui tanto lustro aveva cresciuto il fratello Gaspare. […] Attrice modesta e amantissima dell’ arte sua, fu sempre decoro delle compagnie in cui militò.
Nato di padre orologiajo, non volle continuar l’arte paterna, e si diede al teatro, scritturandosi amoroso nella Compagnia Reale Sarda il 1827, al posto di Vincenzo Monti, nella quale stette fin oltre il '40. […] Io ho qui sott’occhio la prolusione alle sue lezioni di arte drammatica recitata nella solenne apertura della scuola la sera del 9 novembre 1859 ; e molto mi maraviglio che nulla vi apparisca di quel pedante, che in un maestro di oltre mezzo secolo a dietro parrebbe doversi inevitabilmente trovare.
Ed è in codesta versatilità sbalorditiva, che risiede principalmente l’arte vera, la grande arte.
Se di tutti i grandi della scena si avesser studi compagni, ci si farebbe una idea ben chiara di quel che fosse l’arte rappresentativa ne’vari periodi : ma sciaguratamente il libro del Bonazzi è unico. […] Non ebbe la malvagità di animo di fissarsi acerbo su que’ poveri attori che a tutto eran chiamati fuorchè all’ arte del teatro, e che traevan la vita a stento peregrinando di paesello in paesello…. : ma per gli attori che, pur essendo al par di quegli sciagurati negazione di arte, con illeciti mezzi strappavan applausi a i pubblici che avean nome d’intelligenti, e che preferivano, ad esempio, una meschina compagnia rappresentante il Prometeo di Troilo Malipiero ad altra di cui faceva parte il gran Vestri ; che accorrevan a un teatro ove recitava una compagnia Zocchi, composta degli attori più abbietti, mentre in altro era la grande trinità artistica De Marini, Vestri e Modena…. ; oh, per quelli, il Bonazzi fu un vero demonio ! E siccome di arte s’intendeva assai, e siccome, essendo stato attore valente tanto da sostituire talvolta il Modena in alcuna delle sue parti e uno de’ più acuti e profondi critici, quando mena la sferza ha sempre ragione da vendere, dirò anch’io col Morandi : Dio gli benedica le mani e la lingua. […] Ma per la mancanza di grandi successioni, mano a mano che crescevano le paghe da sette a dieci, a quindici e fino a venti mila lire all’anno, l’arte sempre più decadeva. […] Che la Pezzana e la Tessero, anime artistiche, recitassero egualmente bene in italiano e in piemontese, lo si comprende facilmente ; ma che quegli che per anni ed anni fu sempre un attore da museruola recitando in italiano, diventi ad un tratto artista, cavaliere e milionario recitando in piemontese, ciò non si comprende, se non supponendo che chi recita in dialetto non faccia un’ arte.
Entrata nella Società Cuore ed Arte, al momento della sua formazione, vi emerse in poco tempo, mostrando assai chiare attitudini alla scena : e fu gran ventura pei parenti ai quali non volgevan troppo al bene le cose, che Virginia potesse abbracciar l’arte drammatica : ciò fu il maggio dell’ '82 con Giovanni Emanuel, che le fu poi maestro, compagno, amico fino all’anno 1894. […] Così, e assai bene, il mio Ugo De Amicis comincia uno studio sull’ arte della Reiter nell’interpretazione della prima : Credo che se Sardou fosse un autore italiano il pubblico direbbe ch'egli ha scritto la Madame Sans-Gêne per la signora Reiter, ch'egli ha svolto così largamente il carattere di Caterina perchè l’illustre attrice, presentandosi nei diversi aspetti di questo personaggio storico, potesse in una sola parte spiegare tutte le sue doti ; e credo che chiunque avesse letta la commedia prima di vederla rappresentata e avesse voluto distribuire idealmente i ruoli, avrebbe scritto a fianco del nome della protagonista : Virginia Reiter. La parte è varia, complessa, multicolore come l’arte di chi la interpreta ; la parte non limita il vigore artistico dell’attrice, lascia che questa domini con tutta la sua originalità, con tutta la sua valentia. […] Veramente, oggi che l’arte drammatica mostra di tendere alla radicale rinnovazione del dramma storico, mirando in ispecial modo alla ricostruzione fedele dell’ambiente, la Messalina di Pietro Cossa, che pur segnò al suo apparire un sì gran passo nel progresso della scena, non mi pareva tale da invogliare un’artista a infonderle nova vita.
Niente vi ha di meno degradato e connesso, che proceda più per salti, se in tale occasione è lecito il dirlo, che sia più contrario alla legge della continuità legge inviolabile della natura e che l’arte, di lei imitatrice, dee fare in ogni cosa di non trasgredire. […] [4.2] Chiunque, in ciò che si spetta alla danza, se ne sta alle valentìe di cotesta nostra e non va col pensiero più là, ha da tenere senz’altro per fole di romanzi molte cose che pur sono fondate in sul vero: quei racconti, per esempio, che si leggono appresso gli scrittori, degli tragicissimi effetti che operò in Atene il ballo delle Eumenidi, di ciò che operava l’arte di Pilade e di Batillo, l’uno de’ quali moveva col ballo a misericordia e a terrore, l’altro a giocondità e a riso, e che a’ tempi di Augusto divisero in parti una Roma. […] L’arte della coregrafia nacque già tra loro alla fine del Cinquecento, e tra loro apparirono in questi ultimi tempi i balletti della Rosa, di Arianna, di Pigmalione e parecchi altri, i quali si avvicinano di molto all’arte di Pilade e dei più nobili antichi pantomimi.
Se non seppe levarsi ad alto grado di arte come attore (non uscì mai dal ruolo di generico) egli ha diritto qui a un cenno speciale di lode pel posto al quale, mercè l’amore dello studio e la svegliatezza dell’ingegno e una particolare attitudine, seppe salire come autor comico. […] 1877 Prima di entrare in arte aveva già scritto Zio e Nipote, Giovani e vecchi, Maria o Amore, La camorra, e Ada o l’angelo della famiglia. […] Egli il quale non aveva che un fine nella vita : lo studio ; e un fine nello studio : l’arte ;…. che, vittima di una modestia fuor di misura, il più bello e il più fatale degli ornamenti umani, avea l’animo delicato a segno da accoglier ogni dolorosa sensazione che la superbia e ignoranza e invidia gli venivan man mano generando, egli, dico, inconscio della sua forza, si ritrasse alla fine dalla battaglia, più rassegnato che sfiduciato.
L'arte drammatica lo adescava fatalmente. […] Formò società fino all’ '88 con Raspantini, facendosi poi da solo capocomico con avversa fortuna ; tanto che il padre dovè corrergli in ajuto ; ma col patto ch'egli avrebbe lasciato l’arte per sempre. […] Gli ostacoli non lo impacciano, lo studio non lo prostra, purchè quelli affronti, si dia a questo per l’arte sua, nella quale, e ciò forse gli nocque veramente a conseguir la purezza classica delle linee, si gittò a capo fitto, troppo presto liberato dalla man forte del guidatore.
E siccome quel ch’egli è, è perfezione, così accade che quei dieci o dodici tipi da lui creati, che avrebber dovuto, più che venire a noia, nauseare un ascoltatore assiduo di venti anni, si trovin oggi come venti anni addietro, al suo cospetto, freschi, saltanti, vivi, quasi opera d’arte non mai veduta, nè imaginata ! […] ecco ciò che costituisce tal grandezza e finezza di arte da collocar lui fra i primissimi nostri ! […] Il modo di salire al posto, di scenderne, di ascoltar le parole sommesse dei compagni sulla scoperta fatta dal maestro delle buccie di salame ; e quel comico venir alle mani, e le risposte all’esame, e il dialogo improvviso, e tutto, tutto di quella ineffabile scipitaggine non è nel tutto di Edoardo Ferravilla perfezione di arte ? […] E dove mettiam noi l’arte del cammuffarsi o truccarsi, che è somma in lui ? […] Possiate esercitare questa arte benefica per cent’anni ancora e possa la sana gioia, che voi seminate con tanta larghezza, esservi restituita in tanta salute e in tanta gloria.
La Giurlì o La famiglia indiana, la Lauretta di Gonzales, e varie altre erano da lei con tale innocenza rappresentate, e nel tempo stesso con una verità si grande da far supporre che l’arte non vi aggiungesse nulla del proprio, quando invece era la sublimità di questa che le faceva raggiungere il vero ; e se questa somma attrice fu a tante superiore nella commedia e nel dramma, con non minore maestria seppe innalzarsi nella tragedia, poichè la Francesca da Rimini, ch'ella creò, la Pia de' Totornei, la Mirra, l’Ottavia, e tante altre le procuraron sempre nuovi trionfi. E Francesco Righetti nel suo Teatro italiano, dopo di avere accennato alle invidie suscitate da lei nelle compagne d’arte, e di avere enumerati alcuni difetti di gesto e d’intonazione dovuti a mancanza di scuola, viene a concludere così : Ma io sfido tutti i delicati conoscitori dell’arte comica a dirmi in chi, dove, e quando si è veduto nella commedia italiana una donna, che con tanta grazia, con tanta decenza, e con tanta nobiltà passeggi la scena ? […] L'arte che professava fu sempre per lei una seconda esistenza. […] A questo erami dunque la tua maravigliosa arte serbata, questo voleva il mio destin, che tutto l’amaro e il dolce, in che passai la vita, « quand’era in parte altr'uom da quel ch'i' sono ; » tutto m’avesse a ribollir nel petto, e traboccarmi in lagrime dagli occhi ; e me da me diviso, e in te pendente confondermi con teco ? […] Natura ed arte Ti componeano al bello ed all’onesto.
Mancò ch'io era giovinetta, e venni affidata a mio fratello maggiore che era in arte (fu per molt’anni brillante, discreto, con Zoppetti, poi caratterista con Ernesto Rossi e con la Ristori). Quando andai con lui era maritato, e aveva una figlia ; per dire la verità, le prime particine andarono bene, ma mio fratello scrisse a mia madre di non calcolare su di me, perchè in arte non potevo far nulla, priva affatto di avvenenza, e troppo piccina…. […] Ma…. avevamo fatto un sogno : stabilirci…. lasciar l’arte. […] Ritornai frattanto in arte con la Compagnia Benini (compagnia mista allora e di secondo ordine) ; poi con Gallina, poi con Zago-Gallina, e finalmente del '91, Gallina autore, col fratello Enrico…. a cui, come sapete, subentrò proprietario il Benini, e…. eccomi ancora qui. […] La vivacità della sua dizione, la snellezza della sua figurina, l’agilità dei suoi movimenti, l’eloquenza della sua espressione la fan parere ancor giovinetta ; specie quando rappresenta la Cameriera astuta del Castelvecchio, in cui ella profonde tutto il tesoro delle sue grazie, richiamando alla memoria le monellerie della Cutini (V.), che, appunto in quella commedia, sentii a oltre cinquant’anni, e pur sempre maravigliosa d’arte e di freschezza.
E in questa trasformazione gli pareva dovesse essere tutta l’arte…. C’era un po’ di vanità, un po’ d’ignoranza anche ; ma c’era tanto culto per l’arte sua da fargli perdonare ogni esagerazione ridicola.
Lasciata l’arte si diede a fare il maestro di recitazione ; e tale lo vediamo il ’46, accademico onorario de’ filodrammatici di Siena, nel qual tempo diede alle stampe co’ tipi del Mariani a Firenze, e dedicò alla incomparabile attrice Adelaide Ristori, alcuni Cenni sopra l’arte drammatica.
E venendo a parlar delle Torri, due commedie di sua particolare fatica e di sua invenzione, il Bartoli assicura aver egli toccato il sommo dell’ arte, in una scena specialmente, per la quale ci dice che bisognava vederla per giudicare s’ ella meritava ogni lode di chi sa intendere la forza di quell’ arte, che è tutta propria d’ un bravo Comico e che non è permesso alla penna d’ uno scrittore d’ estenderla al Tavolino in pari modo.
Il ' 56 diventò capocomico egli stesso, e continuò a esserlo fino alla fine della sua vita artistica che si chiuse il '69 ; anno in cui si recò definitivamente a Firenze (vi si era già recato nel '64 col fermo proposito di lasciar l’ arte, alla quale tornò poco di poi, sollecitato da Riccardo Castelvecchio ad assumere la direzione della sua Compagnia Dante Alighieri), affine – dice un suo biografo, Cesare Calvi – « di proseguire alcuni studj sull’arte e sul teatro che durante il suo artistico peregrinaggio non poteva condurre a fine, » ma in realtà – dice un annotatore – per darsi a non so che lucroso commercio. Antonio Stacchini non ebbe, in arte, fama di buon direttore ; piuttosto di buon artista per le grandi parti di primo attore padre, e tiranno, fra le quali primeggiava sempre quella di Aristodemo di V. Monti, che io stesso gli sentii fare, quand’egli era fuor dell’ arte a Firenze, di cui serbo ancora il ricordo di un insieme ampolloso di esposizione. – Vittorio Cavalieri (Trieste, 1864) e Cesare Calvi (Firenze, 1872) dettarono di lui alcuni cenni biografici ; ma a quelli del Calvi non troppo, secondo il solito annotatore (Brunone Lanata) sarebbe da prestar fede, essendo essi una iperbolica apologia dell’artista e dell’uomo.
Quand’egli lasciò l’arte, chiamò a sè la piccola Maria per metterla in un collegio di Milano : ma, lui morto, le angustie di famiglia le fecer troncare gli studî e la sbalzaron su le scene a soli 13 anni. […] Ma se l’arte le arrise dal suo inizio, non le arrise fortuna materialmente : chè, sbalzata di compagnia in compagnia di varia specie e non certo delle migliori, trascinata di paesucolo in paesucolo, ebbe a patire ogni sorta di peripezie, sin chè, nel ’70, scritturatasi come prima donna assoluta con Achille Dondini, cominciò la sua vita nuova, che fu vita dell’arte propriamente detta.
Come donna era di un carattere gioviale, bonacciona, la ben amata di tutti i suoi compagni ; e la perdita di questa eminente attrice fu un vero lutto per l’arte che l’amava e l’onorava. Dal suo secondo matrimonio ebbe una bellissima figlia, Elisa Mayer, che per parecchi anni esercitò l’arte della madre, per la quale addimostrava tendenze non comuni, ben lontana però dal pervenire all’eccellenza della madre sua.
Più l’attore di cui parlo è ricco di grazie, di genio, di arte, di tutto ciò in somma che in altri si cercherebbe in vano, più l’accostarglisi è difficile. […] Pensate di grazia che l’arte non si ottien che col grande esercizio.
Sposatasi il '73 a Giuseppe Pietriboni, ne fu anche la prima attrice assoluta, sino al dì della sua morte, avvenuta a Torino per carcinoma il 21 febbraio del '92 ; e in codesti diciannove anni fu l’anima della Compagnia, nella quale recò tanto di bontà, di grazia, di gentilezza, che non vi fu, credo, compagno d’ arte che a lei non fosse come me affezionato e devoto, e come me non piangesse la sua morte sì come quella di una buona amica, di una sorella. […] Così furon commedie predilette e da lei e dal suo pubblico Le prime armi di Richelieu, Il Positivo, Il Cantico, Il Bicchier d’ acqua, I nostri buoni villici, La Sposa sagace, ecc. – Nel primo anniversario della sua morte (21 febbraio '93) il marito raccolse con pietoso pensiero in un volume, che pubblicò a Palermo pei tipi del Barravecchia col titolo In Memoriam, quanto fu scritto e stampato nelle sue esequie dagli amici, dalla critica, dall’ arte tutta.
Io credo che niuno abbia capito e rivelato ai posteri l’arte somma di Giovanni Toselli, meglio di quanto facesse il compianto Luigi Pietracqua, del quale mi piace riferir qui tradotte le belle parole : I posteri riconoscenti, artisti e ammiratori, gli dedicaron monumenti marmorei così a Cuneo sua terra natale, come al Teatro Rossini di Torino, dove si ammira un suo busto assai rassomigliante ; ma il più bel monumento se lo eresse da sè, creando un teatro popolare, che prima non esisteva ; inventando, per dir così, un nuovo genere d’arte così viva e possente, che per bestemmiar che facciano certi ipercritici della moderna tubercolosi artistica (leggi : teorica nova) non morrà più mai nè nella memoria nè nel cuore del nostro popolo che pensa colla sua testa e giudica col suo buon senso, infinitamente superiore a tutte le fisime più o meno isteriche di certi scrittorelli, più o men camuffati da Aristarchi Scannabue. […] Nemico di ogni convenzionalismo anche sul palcoscenico, egli ha saputo trasformare il trovarobe, i macchinisti, gli scenografi, portandoli tutti al suo grande concetto costitutivo della grande arte : verità, sempre verità in tutto e per tutto.
Padovano, figlio della precedente, si diede agli studj legali ; ma poi, vinto dall’amor del teatro, nonostante il divieto de’genitori, entrò in arte come amoroso, passando in capo a un triennio (1821) primo attore assoluto in Compagnia Toffoloni. Il veneziano Giornaletto ragionato teatrale d’allora così lasciò scritto : Quest’attore, figlio della rinomata signora Maddalena Gallina che nell’arte comica lasciò si onorevole ricordanza e che ora vive unitamente al marito ne’ proprj beni in vicinanza di Cremona, si è dato all’ arte malgrado le opposizioni de’suoi genitori.
V. humilmente li narra, come ha esercitato l’arte comica per il spatio d’anni quatro, e ciò ha fatto per esser figlio d’Antonio che ha seruito tant’anni la Ser.ma Casa per Pantalone nel qual tempo ha conosciuto apertamente, et indubitatamente esser impossibile, esercitandola, il poter saluar l’anima sua, e sù questa certezza l’anno scorso haueua determinato di lasciar tal arte, e ritirarsi in un Monastero, e che sij il uero col Padre Guardiano de Zocolanti di Cento trattaua tal interesse ; ma perchè quelli che esercitano tal arte sono senz'anima, e pieni d’iniquità fecero che fu chiamato a recitare dal Ser. […] S. che non l’impiegasse, che non uoleua più far tal arte, ma guadagnarsi il pane in gratia di Dio, e più honoratemente, e perchè hora li peruiene al orechio che Leandro primo Moroso l’habbi destinato per suo secondo, e che ui sij l’assenso del sud.º Sig. […] S. a gratiarlo che non sij sforzato a far arte di tanto suo pregiuditio, e non dubita d’ ottener ciò, sapendo quanto l’A. […] A. il Riccoboni, che aveva già cominciato a far tanto parlar di sè pe' suoi tentativi di Riforma del Teatro Italiano, sostituendo alla Comedia dell’ arte, buone opere scritte, tolte dall’ antico repertorio, quali Sofonisba del Trissino, Semiramide di Muzio Manfredi, Edipo di Sofocle, Torrismondo del Tasso, e altre, e altre, che troppo sarebbe voler qui enumerare, le quali allestì al pubblico con molto decoro, e recitò con molto valore. — A proposito della recitazione tragica, è opportuno riferire quel che dice Pier Jacopo Martello nel volume I delle sue opere (Bologna, Lelio dalla Volpe, MDCCXXXV) : ..… ti vo'dar gusto con sentenziare, che l’ Italiano va a piacere con più ragione degli altri, se più commozione dagli Franzesi, e più gravità dagli Spagnuoli prenderà in prestito nelle Scene.
Ma qual degna mercè l’itala terra Diede al suo Roscio,14 che a l’ingenue De la bella natura alfin rendendo [norme L’arte che dal clamor nome prendea, E le leggi cangiate onde costretta Aveala il vulgo letterato e i molti Ampollosi istrioni15 a cui la sagra Fiamma del genio non ardeva in petto, D’Adria il Terenzio e il Sofocle astigiano E quant’ altri ha poeti estrania scena Multiforme abbellia ? […] 18 Da l’arte intanto, a cui compagna andava La dispregiata povertà, fuggia Chi, l’anima temprata a bel sentire, Onorar la poteva ; e fior tra bronchi Si rimase l’egregio. Il sol desio D’andar vagando a sostentar la vita, O la mal tramandata arte degli avi Gl’ istrioni creò, che più dispersi Di nomadi pastor mai non s’uniro A durevol tribù. […] Quindi deserte, o mal calcate, ancora Le domestiche scene, un di palestra D’egregia gioventù ; si che la grande Del porger arte, che pur tanta un giorno Parte si fu de l’eloquenza, e tante A Demostene, a Tullio, a Eschine, a Gracco Cure costava, abbandonò ben’anco Accademie e Licei : se pur non vuolsi Arte nomar e gl’ incomposti accenti Ed i lezi e le fredde enfasi ingrate, O i noievoli modi onde un antico Purissimo scrittor legge il pedante, Di come e punti osservator solerte.
Entrò poi l’Amalia il ’44 con Luigi Domeniconi prima attrice assieme a Maddalena Pelzet, quindi (1846) prima attrice assoluta con Angelo Lipparini, col quale stette cinque anni, mostrando, e nel dramma e nella commedia, a qual grado di arte ella era salita. […] O della scena intelligenza e vita, interpetre del vero. – O del Coturno gloria e del Socco, onde ti guarda e freme l’emula Francia a noi rivale eterna, vedendo dalla sua fronte rapita d’arte sì bella la corona illustre della gentile Italia !
Egli incominciò a esercitar l’arte comica sotto il nostro celebre Pertici, e sostenne sempre con qualche decoro quei caratteri, che gli venivano destinati dal sopraffino discernimentò del suo direttore. » A ventidue anni perdè improvvisamente la vista, e si diè allora a scrivere poesie, specialmente bernesche, in cui riuscì egregio. […] Perdei la luce al fin di Carnevale, e volendo alla meglio avanti gire, l’arte mi posi a far delle cicale.
Battaglia Carlo), non aveva compiuto i quindici anni, quando nella Compagnia di sua madre e del patrigno Francesco Toffoloni, entrò a sostenere il ruolo di prima donna ; nel quale tanto e in sì breve tempo s’innalzò, che Salvatore Fabbrichesi la scritturò nelle veci di Anna Fiorilli Pellandi, quando questa s’unì in società con Paolo Belli-Blanes : e seppe la Cavalletti vincere allora con l’arte sua calda e spontanea la reluttanza del pubblico milanese che credeva di dover sempre sentire la mancanza della celebre artista. […] alla sublime attrice la signora CAROLINA CAVALLETTI TESSARI che in giovanile età sostenendo il carattere di prima donna su le scene del teatro valle nel carnevale dell’anno 1815 ha riscossi plausi veraci ed universali per la rara maestria nella difficil arte della declamazione ODE Qual su i mattin d’Aprile Vola di fiore in fior La breve Ape gentile Formando il suo tesor ; Su la vetta Dircea Talìa rivolge il piè La Primavera Ascrea A impoverir per te. […] Figlia di artisti, cominciò a esser nota in arte come prima donna giovane della Compagnia Goldoni-Riva.
Sotto quella sua dolce serenità si vedevano la risolutezza, la fermezza e la nobiltà dello stupendo carattere dell’avvocato ; e la sua voce seppe trovare inflessioni piene d’affetto gentile, di dignità profondamente sentita ma senza albagia, che improntavano al personaggio una vita dove l’arte pareva affatto estranea, e dove intanto fors’era più grande. Francesco Ciotti vive oggi a Pistoia, dove di quando in quando mostra ancor l’arte sua forte e gentile a quei filodrammatici ; e d’onde si recò a Firenze il ’93 nella ricorrenza del 1° centenario dalla morte di C. […] Fu la Costanza amantissima dell’ arte, attrice accurata, elegantissima della persona, e dell’aspetto leggiadra.
Il Goldoni ha parole di calda ammirazione per l’ingegno e l’arte del Collalto, alla grandezza della quale egli aveva, come ho già detto, contribuito in Venezia co’suoi insegnamenti. […] III, 3) : Quest’ uomo intimamente comico, aveva l’ arte di far parlar la sua maschera, ma a viso scoperto brillava ancora di più. […] Dell’ arte del Collalto nella rappresentazione di questa commedia dice con più larghezza il Bartoli : Il Collalto rappresentava fra l’ altre una Commedia di sua particolare fatica, che aveva per titolo : i tre veneziani gemelli.
E se non ebbe in arte maestri, se non ebbe la fortuna di metter piede mai nelle compagnie privilegiate, ebbe nullameno quella di brillare accanto agli astri massimi Salvini e Ristori. […] Fu una scena meravigliosa a cui il pubblico assistette stupefatto e quasi non credendo ai propri occhi, dinanzi a quei due uomini trasfigurati in quella stupenda manifestazione d’arte ; e quando la tela cadendo ruppe l’incanto, un applauso entusiastico, incessante li salutò, confermando all’uno la fama gloriosa, battezzando solennemente l’altro come grande e vero artista ; e questo giudizio resterà.
Ma essendo quella città sotto Papa Clemente VII soggiaciuta a un lagrimevole saccheggiamento, egli di là si fuggi a Venezia, dove l’arte sua comica esercitando, grandemente piacque ; e fu inventore in quelle parti di recitar Commedie a suggetto. […] A questo punto si arrestan le notizie di recitazioni a Venezia in cui prese parte il Cherea ; ma sappiam poi dal diarista Sanudo che il Cherea, stretta amicizia con l’oratore ungaro, di passaggio a Venezia, aveva lasciato la città, nella quale aveva raccolto tanta messe di lodi, per recarsi in Ungheria, dov’era nel 1532, non sappiam bene se per ispasso, o ad esercitar l’arte sua.
In Egitto, a Costantinopoli, a Smirne, in Atene, s’ebbe grido di celebrità, e conquistò con l’arte sua due croci : quella dell’ordine del Megediè, e altra datagli dal vicerè Ismail. […] E tanta arte e tanta verità mise poi nel punto in cui a Nerone si affiochisce la voce, che l’Autore e gli amici che gli facevan corona su la scena, temetter per un istante che il Diligenti non potesse per afonia improvvisa continuar la rappresentazione.
Rimasto vedovo, pensò da solo all’educazione dei figli (la maggiore, Anagilda, sposò un Francesco Arisi) alcuni dei quali seguiron l’arte dei parenti. […] Era ancora in arte il 1821 caratterista al S.
Amava svisceratamente l’arte e sè stesso…. […] Certo egli credette che l’arte dovesse molto a lui, non ch'egli dovesse molto all’arte…. […] Modena tanto s’infiammò, che risolse di abbracciar l’arte del comico. […] Modena, che fu pel Rossi una grande rivelazione d’arte. […] Il buon predicatore, com’ è avvenuto in ogni epoca d’arte, avrebbe potuto razzolar male.
Come tutti i figliuoli d’arte, anche essa apparve al lume della ribalta, non a pena le fu dato di reggersi in piedi e di balbettar due parole, sostenendo a quattr’anni la parte di Cosette nei Miserabili. […] La grandezza della Duse era tutta grandezza di analisi, che sfuggiva all’occhio e alla mente dello spettatore, perchè l’arte era sempre soccorsa dalla natura, e questa da quella…. […] Dacchè si poteva notar colà un fenomeno maraviglioso e miracoloso delle forze e della nobiltà dell’ arte vera. […] Essi eran la traduzione incosciente, impulsiva del loro amore per la loro arte, era tutto un omaggio di commozione che mandava oltre l’artista di passaggio, era il loro ideale ch’essi salutavano, era la loro arte nobilitata, dinnanzi alla quale si sentivan fatti più grandi essi stessi, e la quale dava loro tanto orgoglio ! […] « Essere stazionarj in arte è un retrocedere.
A queste parole vanno unite alcune sestine pur del Cuciniello, di cui riferisco le due ultime : Addio, bell’alma, addio, prodigio, a cui Volle il ciel rivelare e donar tutto Quell’ incanto e quell’ arte, che in altrui Sol di vigilie e di sudor son frutto ; Dono fatal però, che consumava Come fiamma quel petto, che animava : La farfalla così, l’ala agitando, Spezza l’invoglio, in cui prigion giacea ; Così affilato adamantino brando Logora la guaina, che il chiudea ; E la perla, che al genio s’assomiglia, Rode così la povera conchiglia. […] Vaccaro Matonti scriveva : ……all’ effetto ed al successo gran parte vi ha tenuta Monti, del quale artista sarebbe ingiustizia non promulgare soprattutto il suo ardente zelo nelle parti che esprimono affetti e sentimenti di forte esaltamento ; egli non simula per arte il carattere che sostiene, ma se ne infiamma tanto che va a discapito della propria salute : bel sacrifizio in vero che egli tributa all’ arte sua, e per la quale si fa tanto pregiare ed amare da tutti.
» Gli dedicò il comico Bartoli per la sua tragica rappresentazione Le glorie della Religione di Malta il seguente sonetto : Se de’ Maltesi Eroi su finte scene le gesta vittoriose esprimi e mostri, or ben vegg’io che ne’ tuoi dotti inchiostri evvi quanta in piacer arte conviene. […] Però sia encomio tuo giusto e sincero : l’arte che tutto fa nulla si scopre nel dir, negli atti, e nel valor guerriero. […] Essa prelude al suo articolo con queste parole : « il giovane attore che compose questa rappresentazione merita i nostri elogi e gl’ incoraggiamenti del Pubblico, il quale avvezzo ad applaudire a’ suoi non ordinarj talenti nell’ arte del declamare, potrà, s’ egli non si stanca d’ impiegarli eziandio nello scrivere, dovergli dei drammi, pei quali anche il Teatro italiano conti un autore fra’ suoi attori. » E dopo avere esaminata e magnificata l’opera, trascrivendone un brano, riportato poi a sua volta dal Bartoli stesso nelle sue Notizie de’ Comici italiani, conclude : « noi non possiamo se non consigliar questo giovane autore a proseguire la carriera dello scrivere, in cui può avanzarsi cotanto per avventura, quanto non ha fra Comici italiani e difficilmente può avere chi lo superi nel sostenere le Parti più ardue ed interessanti, e nel produrre quell’ illusione impegnante ch’è la sola prova della perfezione. » Ecco l’elenco su citato : SIGNORE SIGNORI Anna Andolf ati Pietro Andolfati Gaetana Andolfati Luigi Delbono Antonia Andolfati Giovanni Delbono Maddalena Nencini Gaetano Michelangeli Rosa Foggi, da Serva Giovanni Ceccherini Lorenzo Pani Giulio Baroni Filippo Nencini, caratterista MASCHERE Bartolommeo Andolfati, Pantalone Giorgio Frilli, Dottore Gaspare Mattaliani, Arlecchino, e subalterni A questo elenco, ne farò succedere uno del 1820, il quale mostra chiaramente il progredire che fece l’arte nel non lungo periodo di circa trent’ anni : DONNE UOMINI Andolfati Natalina Andolfatti Pietro Garofoli Giuseppa Andolfatti Giovanni Pollina Margherita Garofoli Luigi Cappelletti Laura Cavicchi Giovanni Cavicchi Carlotta Carraro, Giovanni Bonsembiante Bianca Bonuzzi, Francesco Maldotti Adelaide Bonsembiante Giovanni Maldotti Marietta Maldotti Ermenegildo Lensi Anna Cappelletti Gaetano Astolfi Marianna Astolfi Giuseppe Coccetti Antonio Maldotti Eugenio Andolfatti Luigi Nastri Leopoldo Astolfi Tommaso, suggeritore Tommaselli Luigi, macchinista La Compagnia recitava a Bologna all’Arena del Sole, di giorno, e al Teatro del Corso, di sera ; e aveva cibo conveniente ai due palati.
Una lettera al celebre attor dialettale Giuseppe Moncalvo, meneghino, nella quale sono espressi i suoi intendimenti d’arte, e le vie da seguirsi ad arrestarne il precipitoso decadimento, riprodotta poi dal Bertolotti nel suo studio sul Moncalvo. […] Gustavo Modena e l’arte sua di Luigi Bonazzi, che ha data un’idea abbastanza chiara, a noi che non avemmo la sorte di sentirlo, della sua artistica grandezza. […] Quando un giornalista vuol gridare contro la meschinità della mise en scène, deve anche dire al pubblico : « tu pubblico asino e spilorcio, che dài tanti paoli all’ opera ; e voi accademie orecchiute che per l’opera date migliaja di scudi, date anche alla commedia i mezzi di decorare la scena. » Ma egli, il giornalista, comincia dall’ abonarsi con due crazie per recita, tante quante ne dà al decrotteur per pulirgli gli stivali ; e poi grida : arte, arte ! – arte un cazzo : poveri saltimbanchi che vi facciamo i buffoni per strappar la vita ; ecco cosa sono i comici. – Mi fa da ridere quando parla dei Faigny e dei Doligny, e altri francesi : quei poveri infelici, dopo d’aver divertito il colto pubblico italiano, han dovuto far delle collette per tornare in Francia ; e qui si son mangiati gli abiti, i bijoux, le camicie, e fin le unghie. […] Grande e bella figura questa del Modena, di cui non sappiam bene se più e meglio valesse la modestia sincera, l’arte potente, o il patriottismo caldissimo.
Si sposò con un giovane parmigiano, non figlio d’arte, e nel 1782 era (V.
Era però più valente nell’ arte del canto che esercitava con la moglie, alternandola pur sempre con quella di comico, secondo gli tornava più il conto.
Abbandonata l’arte, si recò presso un suo figlio a Genova, ove morì, più che sessagenaria.
Abbandonata l’arte, si restituì in patria, ove stette più che trent’anni.
Fu prima Innamorato negli accademici della città, poi Dottore in arte, cominciando con compagnie secondarie, e passando poi con quelle di Pietro Ferrari e del Menichelli.
Fratello minore del precedente, lasciò nel 1768 l’arte dell’oreficeria per darsi a quella della scena, in cui riuscì egregiamente per le parti di primo Innamorato.
Istruita nell’ arte comica dal suo primo marito, detto il Barbieri, riuscì egregia artista specialmente nel carattere della serva.
Richiamo vivamente tutta l’attenzione dei miei lettori sopra una grande e coraggiosa pubblicazione d’un erudito coraggioso e pieno d’ingegno e d’amore per l’arte e per la storia dell’arte. […] L’arte italiana dev’essere molto riconoscente al Rasi del grande servigio che egli le rende con tanto affetto e con tanta capacità. […] C’è tutto in essa ; la data e l’episodio, la persona e l’ambiente, la diligenza dell’archivista e l’amore per l’arte. […] E lo accompagni e lo sorregga l’illuminato e sollecito interesse degli studiosi, di quanti hanno gusto e sentimento d’arte ; rimeritando così, giustamente, l’ingegno, la coltura, la volontà, e la bella fede, della quale l’opera di Luigi Rasi è manifestazione singolare.
Figlia dei precedenti, continuò l’arte di sua madre, diventando una servetta non comune.
Altri Boldrini esercitaron l’arte drammatica, tra’quali :
Entrato in arte, si diede anch' egli al ruolo dell’ innamorato, nel quale fu molto apprezzato, specialmente per le parti spigliate.
L’ ’82 era, ancor giovanissimo, nella Compagnia di Pietro Ferrari, « facendosi molto onore — dice il Bartoli — e mostrando chiaramente nella sua abilità d’esser egli un comico studioso, da cui l’arte poteva in appresso molto promettersi in virtù de’ suoi perspicaci talenti. »
Questa istoria ci si presenta ad ogni passo nelle opere de’ più veridici scrittori dell’antichità, e punto non ripugna al l’ordinata serie delle umane idee, le quali vanno destandosi a proporzione che si maneggia l’arte, e che la società avanza nella coltura. Chi adunque arzigogolando sdegna di riconoscere da tali principii la tragedia e la commedia Greca, non vuol far altro che dare un’ aria di novità e di apparente importanza ai proprii scritti, e formar la storia della propria fantasia più che del l’arte. […] In una tragedia pose alcuni versi cosi pieni di robustezza, di energia e di arte militare, e gli rappresentò con tanto brio che scosse gli spettatori di un modo che nel medesimo teatro fu creato capitano; giudicando assennatamente gli Ateniesi che chi sapeva tanto solidamente favellare delle operazioni belliche, era ben degno di comandare elle squadre per vantaggio della patriaa.
Fu il ’50 con Coltellini a Trieste, e il ’52 si unì madre nobile con Adelaide Ristori, risolvendo il ’57 di abbandonare il teatro, e di cedere tutto il suo ricco patrimonio di scena al figliuolo Giovanni, capocomico e mediocre brillante (morì nel ’76 a Livorno), col quale recitò alla Stadera di Milano il 13 marzo di quell’anno il terzo atto della Medea del Ventignano, maravigliando per la potenza d’arte, e gagliardia di mezzi, tanto da far dire a un accreditato giornale, che al suo confronto le celebrità d’allora impicciolivano a vista d’occhio. […] Mario Consigli, nel compilar la biografia della sua illustre concittadina, ricorda la potenza d’arte ch’essa spiegava nel proferir quel verso della Pia di Carlo Marenco : non temo il disonor, temo la colpa, e un anonimo livornese in una corrispondenza del ’37 al Giornale de’ Teatri in Bologna, ricorda quella da essa spiegata il 13 marzo agli Avvalorati, rappresentando per sua beneficiata la Mirra di Alfieri. « Quando al quinto atto, Ciniro, sdegnato del lungo e ostinato silenzio della figlia, le dice : Ma chi mai degno è del tuo cor, se averlo non potea pur l’incomparabil, vero, caldo amator Perèo ? […] Se l’arte che fu, gli occhi riaprisse, in vedere quali cenci indossa la sciagurata sua figlia, talchè le vergogne fan mostra, generosa addosso i suoi vecchi panni le getterebbe, e la decenza, almeno, sarebbe salva.
Adorna di fisico elegante, di fisionomia aperta, di voce armoniosa, di sufficiente sentire, e di una grande passione per l’arte, è passata al ruolo di prima attrice assoluta, nel quale va oggi affrontando, con onore, i pubblici più severi, e le parti più scabrose.
Ricci Anna, bolognese « figliuola — dice il Bartoli, di Paolo Ricci, accademico recitante, — che ne' privati teatri di Bologna fece per alcuni anni un’ottima comparsa. » Entrò con lui in arte, sostenendovi le parti d’ingenua ; e di lei dice ancora il Bartoli che « nelle cose dove la tenerezza affettuosamente compeggi, a meraviglia riuscì. » Si recò dopo di aver vagato in compagnie di giro, in Napoli, ov'era nel 1782 ; passò poi al ruolo di Donna seria, ammiratissima.
Dondini Ettore, noto in arte con l’appellativo di Bazza, nacque a Capua del ’22.
Rimasto vedovo, abbandonò l’arte, e vestì l’abito talare, lasciando – dice il Bartoli – delle azioni sue una fama onorata, e morendo in quella città (Venezia) per lui tanto benefica nel decorso dell’ anno 1766.
Un particolare d’arte : Per quanto magra e sottile, è forte e resiste alle fatiche. […] Passò il ’96 con Zacconi, che fu come la scintilla che le fe’ divampar in incendio (e specialmente nelle Anime solitarie di Hauptmann) tutto il tesoro d’arte che possedeva e sapeva di possedere ; poi con Raspantini e Reinach, prima attrice assoluta, coi quali si trova ancora.
Lasciata poi l’arte della scena e tornato a quella del fòro, tanto vi si distinse che a’tempi del Bartoli (1782) egli passava per uno de’ migliori avvocati, sapendo anche ne’ più astrusi juridici contrasti con raffinato acume a favore de’ suoi clienti vantaggiossamente affaticarsi.
Era il primo innamorato di quella famosa Compagnia dei Comici Gelosi, che pose termine alla drammatica arte, oltre del quale non può varcare niuna moderna compagnia di comici (V.
Ma dopo soli quattro o cinque anni, dovè per necessità di famiglia, abbandonare l’arte, e restituirsi a Bologna.
L’affetto alla grande artista, e la innata modestia le procacciarono una vita artistica piena di sagrifici e di rassegnazioni : nonostante, anche in piccolissime parti, ella potè sempre mostrare il valor suo, e il grado d’arte a cui si troverebbe oggi, se data a ruoli di maggiore importanza.
Lasciato per vicende politiche l’impiego, studiò musica sotto il maestro Pacini, suo cugino ; ma non lungo tempo : chè un secreto malore gli tolse la voce, obbligandolo ad abbracciar l’arte comica, nella quale riuscì non ispregievole attore.
Lasciò l’arte ancor giovane, e si recò a Roma, custode del Palazzo di Firenze, ove albergava l’ambasciatore del Granduca di Toscana, e morì verso il '40.
Dopo il qual tempo, maritatasi fuor del teatro, abbandonò definitivamente l’arte.
Tal segreto egli ha avuto da un dotto a Parigi, mentre forse vi esercitava l’arte comica.
.), che era « rarissimo in rappresentare la persona di un facchino bergamasco, ma più raro nelle argutie e nelle inventioni spiritose : » il Rossi, nella Fiammella, lo loda insieme a Battista da Rimino, perchè « osservano il vero dicoro de la Bergamasca lingua ; » e Francesco Andreini (Bravure, XIV) lo cita insieme a' comici di quella famosa Compagnia, « che pose termine alla dramatica arte, oltre del quale non può varcare niuna moderna Compagnia di Comici. »
Era il '24 col fratello Luigi in Compagnia Fini, che lasciò dopo un anno per quella della Toffoloni, nella quale tanto piacque al Teatro Nuovo di Firenze come cantante, che l’impresario Feroci le offrì di abbandonar l’arte comica per la lirica, scritturandola per quattro anni ; compiuti i quali, ella passò stipendiata dal celebre Lanari per altri quattro.
Nè solamente a Firenze gli accadde di dover cedere alle insistenze del pubblico, e replicar sul momento or questo, ora quel brano, chè anche la narrazione di Pilade dovè replicare immediatamente « siccome un pezzo applauditissimo di scelta musica — com’egli ci avverte — nelle scene illustri di Ferrara, di Siena, di Pavia, di Torino, di Bologna. » Fu il 1811 nominato Professore di declamazione e d’arte teatrale nella Accademia di belle arti a Firenze, e vi stampò nel 1832 un corso di lezioni, corredando la duodecima, dei gesti, di quaranta tipi che rappresentano l’attore ne'momenti più importanti della sua arte, e di cui do qui dietro un piccol saggio. […] M. il re di Sardegna, e non temo d’errare se dico, che questo tragico attore era l’attore di genio ; il suo difetto nell’analisi dei caratteri traspariva nelle particolarità, non nel tutto ; e se talvolta deviava dalla retta declamazione, e si abbandonava a conati troppo più violenti del bisognevole, era meno per mancanza d’intelligenza, e d’arte, che per la foga di strappare al pubblico que'clamorosi applausi, che lo inebriavano, e di che era quasi sempre padrone.
Scrisse molte commedie rappresentate e non istampate, e, lasciata l’arte, si ritirò prima a Mirandola, poi a S.
Non dandogli l’animo che l’arte comica cedesse il campo alla forense, pien di coraggio condusse i suoi comici fuor di Firenze, per tutta la Toscana, in Lombardia e a Malta.
In arte non recitò che un anno, dopo il quale, benchè favorevolmente accolta, si restituì a Roma, abbandonata dal marito, dove continuò a recitare in Società private, alternando le sceniche rappresentazioni con declamazioni dantesche a cui dedicò studi speciali, e dov'è anche oggi, maestra di recitazione.
Non vi fu compagno d’arte che nel limite de’suoi mezzi non cercasse di addolcirgli la lunga agonia. […] In quella sera Felice Cavallotti improvvisava durante lo spettacolo un’ode che lesse l’Annetta Campi-Piatti, prima attrice della Compagnia, e che trascrivo qui, perchè mirabilmente compendia in poche strofe l’arte veramente grande di Giovanni Ceresa.
Vòltegli la sorte le spalle, incalzando la vecchiaja e i malanni, i suoi compagni d’arte si ricordaron di lui, ma non così da risparmiargli l’ultima ora nella miseria. Aveva sposato del '59 Graziosa Bignelti, comica e figlia di comici, compagna d’arte di lui, a' Fiorentini di Napoli, ove sosteneva con buon successo le parti di prima attrice giovane.
Chiamato il '54 a diriger l’Accademia de'filodrammatici di Milano, vi recitò fino al '58, tornando in arte il '59, direttore della Compagnia Cazzola-Dominici, e rifondando il '60 la Lombarda che visse quindici anni di vita gloriosa, e in cui militaron gli artisti di maggior fama, quali Pia Marchi, Luigi Monti, Guglielmo Privato, Virginia Marini, Francesco Ciotti, Giulio Rasi, Sante Pietrotti, Anna Job. […] Dalle quali si può capire a che grado di pieghevolezza egli era pervenuto collo studio, colla riflessione, coll’ arte, nonostante l’aspetto non bello, e la voce asprissima.
Il Casanova, trovatolo del '60 mutato in commediante, così ne scrisse : Vidi Pertici con piacere : essendo vecchio e non potendo più cantare, recitava la commedia e da buon comico, il che è raro, dacchè i cantanti, maschi e femmine, confidando nella durata della lor voce, trascuran l’arte della scena. […] Propostole il Pezzana, dietro suggerimento del Morelli, che avevala sentita nella Suonatrice d’Arpa, di andar nella sua Compagnia a prendervi il posto di Amalia Fumagalli, vinta dalle lusinghe di lui e dalle preghiere della madre, risolse finalmente di abbandonar l’arte sua diletta, ed esordì a Livorno con grandissimo successo, col nome di Giuseppina Biagini, che fu quello del secondo marito di sua madre.
Benini Gaetano, bolognese, nato da famiglia agiata, si diede agli studi legali, poi, dopo le noie venutegli dall’avere appartenuto a’carbonari del’ 31, abbracciò l’arte drammatica, nella quale riuscì ottimo primo amoroso e primo attor giovane.
Figlio di Giuseppe Ciarli, artista drammatico, cominciò a recitare, come tutti i figli d’arte, appena potè spiccicar parola.
La via dell’ arte le fu contesa dal padre, tanto che per imprenderla, dovette sottrarsi alla soggezione di lui, prendendo marito.
Ma ottenuta la laurea, egli risolse di non indossar la toga dell’avvocato, per abbracciar l’arte del comico. […] In lei trovava sempre e di preferenza un’interpretazione efficacissima ognuna di quelle forme d’arte che erano in maggior voga vent’anni fa. […] L’arte, che pur sempre si appalesa nel riprodurre la natura, si ritirava vergognosa di fronte all’eccellenza di quella realtà. […] Forse, chi sa, anche la seconda volta, nel 1608, il Cecchini riuscì a tornare in Francia direttore di compagnia a forza d’intrighi, e certo entusiasmò il pubblico e la Corte con l’arte sua. […] E ciò fece perchè quello et altri comici moderni, non sono del numero di coloro che poco intendendosi di comedie pervertiscono l’arte, rendendosi indegni d’ esser posti nel numero de’ buoni, tal che, è necessario lo studio, e studio assiduo.
.), seppe serbare coll’ arte sua la bella rinomanza nella quale era salita come prima donna.
Rimasto orfano, abbracciò l’arte del padre suo, scritturandosi nella Compagnia di Gaetano Nardelli.
Esordì con la Battaglia, come generico di niun conto, poscia, a dar pieno sfogo alla sua viva passione per l’arte, entrò in una compagnia di infimo ordine, ove s’innamorò della prima donna, giovinetta di qualche pregio, che sposò più tardi e col padre della quale formò compagnia.
Abbracciaron tutti l’arte dei parenti.
Dagli spogli fatti da Adolfo Bartoli sulle notizie dell’omonimo Francesco, abbiamo che appartennero alla lodata Compagnia del Ferrari, Camillo Friderici, detto da lui il più virtuoso comico che avesse allora l’arte comica, Nicola Menichelli, Serafino Valeriani, Bonifazio Valenfeld, Antonio Bazzigotti, Anna Garelli e Giulia Pizzamiglio.
Recatosi il padre, impiegato, a Palermo, essa fu colà istruita per l’arte, ed esordì il ’92-’ 93 come seconda donna a Siena colla parte di Valentina nel Demi-monde di Dumas figlio in Compagnia Paladini-Talli.
Tormenti assai fuggevoli, chè dopo di averla il Brandi seguita a Roma, in Ancona, a Venezia, vedutosi posposto al compagno d’arte, se ne tornò a Napoli.
Quando il Magni lasciò l’arte, il Mantovani passò con molto successo alle parti di primo attore : ma recatosi colla Compagnia a Vercelli, l’autunno del '65, vi morì, a trent’anni circa, colpito da malattia violenta.
Figurasi un Uomo di buona fede, facile a lasciarsi ingannare, ed è quasi sempre nelle Commedie dell’ arte lo scopo delle furberie del Brighella, delle impertinenze dell’ Arlecchino, e della derisione degli amorosi.
Restituitosi a Livorno il luglio del 1890 per l’aggravarsi della sua malattia di cuore, vi morì l’ 11 di ottobre, compianto da tutta l’arte.
Recitò ne'suoi primi anni d’arte una commedia, nella quale, sotto nome di Zanetto, rappresentava ammiratissimo diversi personaggi.
Conosciuto in arte col nome di Rodolfo Barac, nacque a Spalatro in Dalmazia circa il 1821.
Unitosi il ’27 in matrimonio colla figliuola minore del Dorati, Alamanna, formò con lui società, passando dal ruolo di brillante in quello di caratterista e promiscuo, ch’egli sostenne con tanta arte e con tanto favore del pubblico da entrare il ’36 con Luigi Domeniconi e restarvi sino al’ 40 colla moglie servetta, per andar poi nella Compagnia di Carlo Re ad assumere il posto di secondo caratterista al fianco del gran Luigi Vestri ; morto il Vestri, Giuseppe Guagni lo sostituì decorosamente.
Entrò poi in arte ; e non tardò ad acquistarsi le lodi di tutti i pubblici nel ruolo di amoroso e nelle Compagnie di Goldoni, Perotti e Dorati.
Condotta, a sollievo de' suoi mali, a sentire una piccola compagnia di comici che recitava in un’arena modesta di legno, destinata anche alla caccia del toro, tanto s’invaghì dell’ arte, che risolse di consacrarsi ad essa.
Una lettera dell’attore Beltramo a Icilio Polese così descrive la morte eroica del povero amico, noto in tutta l’arte per la soavità dell’indole : Il mattino che precedette la sua morte si ritirò in casa, accomodò la sua cameretta cambiando posizione al letto ed al comodino, si vesti da garibaldino, mise le sue decorazioni sul guanciale accanto al revolver, sfoderò la spada e la mise in croce col fodero ai piedi del letto, si coricò, e si sparò un colpo al cuore con una rivoltella a due colpi con tanta sicurezza e precisione che restò fulminato.
Nata a Bassano del 1782, fu una egregia comica per le parti di serva, che cominciò a sostenere all’improvviso, sì in dialetto che in italiano, con tal grazia ed eloquenza, che i più provetti dell’ arte si dice non potessero starle a fronte.
Ma poi lasciata la comica arte, e distribuito a' poveri tutto il suo avere, ritirossi a Mestre, luogo da Venezia non più distante, che sette miglia : dove in un romitaggio, macerandosi continuamente con asprissime penitenze, passò molti anni ; finchè divotissimo e vecchissimo chiuse con morte felice i suoi giorni circa il 1630.
Suo padre lo destinò agli uffici delle finanze, ma appassionatissimo per l’arte comica, sordo a ogni rimostranza, dopo di avere recitato co’filodrammatici, comparve sulle scene di Lodi il 1798, come primo amoroso della Compagnia di Pietro Pianca, dalla quale passò in quella di Andrea Bianchi, sino al 1801. […] Egli è in forza di questa maravigliosa unione di sublimi qualità di natura e di arte, che quest’insigne attore ha saputo cattivarsi l’ammirazione di tutta l’Italia, ad onta di due importantissimi difetti, cioè dell’uso troppo più del bisognevole della mimica. […] E mentre nel suo pensiero era tutto preparato, riesciva a far credere allo spettatore esser tutto opera del caso : tanto in lui l’arte imitava la natura.
Dotata di squisita bellezza, di prodigiosa memoria, e di singolar senso d’arte, divenne in poco tempo una delle migliori prime donne, così nelle commedie e nel dramma, come nella tragedia.
Billi Giacomo (in arte si fece chiamar Iacopo) nacque a Fano dal Conte Antonio Billi.
L’esilità della persona e la tenuità dei mezzi accoppiate a una persistente sfortuna non le permisero di esser prima in compagnie di primo ordine ; ma la correttezza della dizione, la non comune intelligenza, e l’amore per l’arte che è culto in lei, le dieder sempre e le dan tuttavia soddisfazioni artistiche non comuni.
Così ce lo descrive l’anonimo critico di Stuttgart nel suo Contributo alla storia e alla prosperità del Teatro : Gioacchino Limperger è giovane ; ni arte, nè natura lo innalzano.
E se Mescolino era tacciato di freddezza perchè si asteneva dalle sboccataggini, quella taccia era ingiusta, e doveva essergli data da persone poco amiche all’onestà ; ove all’incontro era degno di lode, perchè nel moderno Teatro serbava le regole della convenevole moderazione ; e sapeva recitare, e dilettare senza offesa dell’ arte, e senza oltraggio della virtù.
Bon, di un banchiere per nome Sacerdote : un epigramma del tempo e di un compagno d’arte (Miscellanea poetica di Luigi Forti, artista drammatico [Manoscritto della Raccolta Rasi]) accenna con poco rispetto alla prodigalità di lei.
Restituitigli finalmente per legge i suoi beni, abbandonò l’arte e si stabilì in Venezia, ov’ ebbe un onorevole impiego.
Fu detto ch’egli era giureconsulto innanzi di darsi alle scene ; ma il Perrucci nella sua arte rappresentativa dice in proposito : « in Napoli ci sogliamo servire della Parte di Pulcinella, personaggio non già inventato da un giurisconsulto, che si diede a farlo su i pubblici teatri, chiamato Andrea Ciuccio, come sognò l’Abbate Pacicchelli ; ma da un comediante detto Silvio Fiorillo, che si facea chiamare il Capitan Mattamoros : è vero che poi vi aggiunse con lo studio e la grazia naturale, perfezione Andrea Calcese, detto Ciuccio per soprannome, sartore e non tribunalista, come è noto a tutti coloro che ancora se ne ricordano, essendo morto nel passato contagio del ’56. » Il Bartoli poi alla sua volta, cita contro quella del Perrucci l’asserzione di Bernardo de’ Dominici, che nel Tomo III delle sue Vite de’ Pittori napolitani (pag. 87) afferma essere stato il Calcese giureconsulto.
L ’attore Carlo d’ Antoni dettava una affettuosa epigrafe per la tomba del perduto compagno d’ arte.
Filippo Foscari, dato un ultimo sguardo al Palazzo magnifico, dal quale, lui tuttavia padrone, Vittorio Emanuele assisteva alle Regate, domandò alla scena un qualche sollievo all’angoscia sua ; e l’arte lo accolse pietosa, e Filippo Foscari doventò di punto in bianco un buon mamo, sotto le spoglie di giacometto, la maschera inventata da Luigi Duse, poi un mediocre caratterista.
Si scritturò poscia, caratterista assoluto, con Domeniconi, poi con Pieri, Peracchi, Vitaliani, la Pasquali, Ernesto Rossi, e Amato Lazzari, dopo il quale, a cinquant’anni, abbandonò l’arte per andare a stabilirsi a Milano, ove anch’oggi vive col modesto frutto del suo onorato lavoro.
Lasciata poi la milizia per l’arte della scena, si scritturò quale amoroso dando subito prova di certa riuscita, mercè le sue doti fisiche e intellettuali che mostrava con ugual successo e nel premeditato e nell’improvviso.
Nato a Bologna nel 1718, abbandonò il mestiere del sarto per l’arte del teatro, dopo di aver dato prove di singolare attitudine tra' filodrammatici della sua città.
Ma l’arte, che su i cuor ti dà l’impero, e quei modi, con cui tratti animosa il Socco umile, ed il Coturno altero, mano incider non puole, oppur non osa.
Abbandonata l’arte, aprirono a Ferrara bottega di caffè all’insegna di Caffè di Pantalone.