Nel tragittar che fa, per consiglio di un’ eremita, i viandanti da una sponda all’altra di un fiume, porta sopra le spalle un bambino, il cui peso crescendo a dismisura in mezzo all’acqua, si avvede della propria debolezza, e ne stupisce. Il bambino che era Gesù-Cristo gli si mostra circondato da’ raggi della propria gloria, e vola fralle nuvole. […] Fu il secondo una festa fatta rappresentare dal conte de Ureñas nella propria casa ospiziando il re Ferdinando che passava a Castiglia per isposare la regina Isabellaa, e non già in occasione delle nozze de’ Cattolici re , come asserì il Lampillas.
Nel tragittar che fa, per consiglio di un eremita, i viandanti da una sponda all’altra di un fiume, porta sopra le spalle un bambino, il cui peso crescendo a dismisura in mezzo all’acqua, si avvede della propria debolezza e ne stupisce. Il bambino che era Gesù Cristo si fa ravvisare circondato da’ raggi della propria gloria e vola sopra le nuvole. […] Fu il secondo una festa fatta rappresentare dal conte de Ureñas nella propria casa ospiziando il re Ferdinando che passava a Castiglia per isposare la regina Isabella71, e non già in occasione delle nozze de’ Cattolici re, come afferma il Lampillas.
Il suo Pregiudizio alla moda ben dimostra che la commedia può avere certe lagrime senza cangiare la propria natura. […] L’argomento consiste in un giovane ben nato che sacrifica la propria fortuna alla smania di poetare. […] Duru che poco verisimilmente si trattiene molto tempo sconosciuto nella propria casa. […] Vi si disviluppa bellamente il carattere delle madri che vedono con gelosia il merito nascente delle figliuole, e si studiano di tenerle lontane dalla conversazione temendo che ne rimanga la propria gloria ecclissata. […] Dorat noto poeta morto nel 1780 d’anni quarantasei coltivò anche la poesia drammatica per avventura poco propria de’ di lui talenti.
Bene : Flavio Andò ha saputo, direm così, staccarsi dalla cornice, e formar quadro esso stesso : egli ha saputo brillare di luce propria.
Marchese Canossa ; tutta uolta non mancherò al debito, et alla propria inclinatione, è porgendone hajuto sincero, prostrato le baccio il piede.
E venendo a parlar delle Torri, due commedie di sua particolare fatica e di sua invenzione, il Bartoli assicura aver egli toccato il sommo dell’ arte, in una scena specialmente, per la quale ci dice che bisognava vederla per giudicare s’ ella meritava ogni lode di chi sa intendere la forza di quell’ arte, che è tutta propria d’ un bravo Comico e che non è permesso alla penna d’ uno scrittore d’ estenderla al Tavolino in pari modo.
.), indirizzata al Duca di Mantova per offerirgli in carnevale la propria Compagnia, e sottoscritta Drusiano Martinelli, marito di M.ª Angelica, il D’Ancona (op. cit.
Recitò le parti di caratterista con molto favore, prima nella Compagnia di Onofrio Paganini, poi in quella di Gerolamo Medebach a Venezia, l’anno 1772, finchè si fece conduttore di una Compagnia propria, che intitolò dal nome di sua moglie, la rinomata Maddalena, e pella quale scritturò, dice il Bartoli, una scelta de’ migliori commedianti che vantasse allora l’Italia.
Dal che si capisce chiaro che la Catrolli era la vera e propria servetta, spigliata, birichina, intrigante, piena di furberie, punto tagliata a rendere i timori, i dolori, le inquietudini, le lagrime di Zelinda.
Costretto a partirsene il ’91 per malattia, fu sino al ’92 con Serafini ; dopo il qual tempo ebbe compagnia propria fino al ’95.
Il sergente in forza della propria patente militare e perchè così richiedeva il benefisio e il servisio di Sua Maestà, si credette autorizzato a portar le terzette e richiese in grazia al Governatore che il Podestà di Cremona desistesse durando il servizio di dare alcuna molestia al supplicante il quale con ogni accurata diligenza invigila alla cura e difesa della città.
… Le profondità degli studj sono il più spesso, rispetto agli artisti di teatro, nella immaginazione dello spettatore ; e gli attori, in genere, che ne senton solleticata la propria vanità, a coltivarla, e ad afforzar quella immaginazione, discuton volentieri di malattie e di ospedali che non han mai visto, di notti vegliate su libri, di cui non sanno nè meno il frontespizio, di pensieri riposti dell’autore in una parola della lingua originale, di cui non conoscono l’alfabeto. […] I più tra noi che di arte antica non capiscon jota, ridon delle compere del Novelli, che dicon vittima della propria ignoranza ; i più, tra noi, che dell’arte tragica del Novelli non han pur l’ombra d’idea, ridon d’una sua interpretazione di tragedia, dicendolo vittima della sua presunzione. […] Lottò con una pertinacia degna di chi ha la coscienza della propria forza, e vinse : chi gli rispose fu il pubblico….
Abbandonato allora il capocomicato, diventò segretario del Toselli ; poi, tornato capocomico, tentò riduzioni di commedie piemontesi nel dialetto veneziano, quali Maridemo la putela, e La fia de Sior Piero all’asta ; e vistone il successo, formò una vera e propria compagnia dialettale, e andò a riaprire a Venezia quel Teatro Comploy, dove appunto la commedia veneziana era morta.
Egli avea in mente un embrione accozzato di molti tratti ridicoli di un uomo che vuol mostrarsi pieno di affari, e non fa mai nulla; ma gli mancò la necessaria sagacità nella scelta de’ più teatrali, nel dar loro la dovuta graduazione, nell’incatenarli ad una azione vivace propria della commedia, e nel prestarle interesse e calore. […] Trigueros osserva in questa favola le regole dell’unità, si attiene scrupolosamente alla pratica moderna di non mai lasciar vota la scena, e si vale di una locugione propria della mediocrità de’ personaggi imitati. […] Il trage de por la mañana di don Mariano indica che egli venga a casa prima dell’ora dipranso; e se egli non ha desinato nella propria casa, non dovea dirsene un motto? […] Il poetastro attende l’esito di una commedia che ha data al teatro, e col prezzo di essa promessogli nel caso che la commedia riesca accetta al pubblico, e col frutto sperato della impressione, si lusinga di ammobigliare la casa per la sorella, pagare i debiti dello sposo, e sostentar la propria famiglia. […] La locuzione è propria e naturale, l’azione semplice condotta felicemente, lo scioglimento fa onore all’umanità ed in conseguenza all’autore.
E la promessa fu tenuta largamente, quando sei anni più tardi nella terza Compagnia di Bellotti-Bon, capitanata da Cesare Rossi, l’Amalia Checchi si presentò prima attrice assoluta, piacendo sempre, talora fanatizzando come nel Vero Blasone di Gherardi del Testa, e nella Dora, ch’ella creò, e che fu una vera e propria rivelazione.
In queste ottave, come in quelle cantate dal Corsini, potremmo forse, e senza troppa fatica, intravvedere il germe della maschera dello Stenterello, la quale sola serbò in teatro l’uso delle ottave, che furon poi come l’elemento primo della maschera, poichè in esse Stenterello mostrava senza inceppamenti il proprio io, dando bottate o politiche, o sociali, in cui emergeva l’inevitabile frizzo a doppio senso, generato forse dal Ciarli, e continuato dal Corsini e dal Del Bono entro una cerchia di relativa correttezza, e ridotto poi dal Cannelli a vera e propria sguajaterìa.
L' istanza fu respinta con data del 25 marzo, stesso anno, dietro informazioni del Presidente del Buon Governo, il quale oltre ad aver trovato che i comici del Rafstopulo erano scarsi di merito, mostrava come, aderendo a tal domanda, si sarebbe danneggiato un disegno emesso da tre o quattro anni di una vera e propria Compagnia Toscana, autorizzata e sovvenzionata dallo Stato, quantunque tal disegno avesse poca probabilità di essere nonchè approvato, solamente discusso.
Detta la propria causa di scoprire la sorgente dell’errore, ma intanto ne soffre la moderazione sempre bella nelle difese. […] Così dopo di aver commesso un manifesto delitto contro la veracità propria dell’uomo onesto, dopo di aver dissimulati, a guisa di un astuto inonesto Curiale, i fatti istorici innegabili, si lusingava il buono Signor Lampillas di uscir dal giudizio impunito con una (perdoni se nomino quì, come diceva Aristofane, zappa la zappa) con una buffoneria, fidando forse nel verso Oraziano, Solventur risu tabulæ, tu missus abibis.
Indi a eterna sua memoria decretò di propria mano che mai più nel Regno Comico sorga un altro Cammarano.
Infatti, il ruolo della servetta vera e propria era finito : subentrava la seconda donna, ossia un ruolo di comicità più oggettiva, come chi dicesse la donna emancipata, spesso vedova, desiderosa di nuove nozze, ed alla quale per solito annodavasi l’intrigo galante delle commedie nuove.
Benchè da tanti obblighi non ritraesse che un piccolo stipendio, pure non solo provvedeva alla propria sussistenza, ma siccome era studiosissimo, toglievasi spesso il pane dalla bocca, per comprare dei libri.
In questo frattempo, il capocomico Pietro Rossi offrì la propria figliuola in moglie al Perelli, che andò a sposarla a Gorizia sul finir del carnovale '77, restando poi col suocero tutto il '78, e assumendo l’impresa e la direzione della Compagnia l’anno successivo, in cui il Rossi avea abbandonato l’arte.
Il ritratto che do qui, alcun po'ridotto, fu pubblicato a Roma del 1806 da Luigi Perego Salvioni, con in fronte il seguente sonetto : al merito sublime della signora ASSUNTA PEROTTI che con plauso universale ha sostenuto in roma nel teatro valle e nell’altro di apollo per più stagioni il carattere di prima attrice tanto nelle comiche quanto nelle tragiche rappresentazioni SONETTO Là su le piaggie apriche d’ Elicona avea Talia di propria man contesta nobil ghirlanda, e dicea lieta : or questa della PEROTTI io reco al crin corona ; Ma Melpomene allor : men chiaro suona forse il nome di Lei, se in regal vesta calza il coturno, e se feroce, o mesta, a terrore o a pietà gli animi sprona ?
Alle maschere italiane seguì una vera e propria Compagnia di comici, che dopo aver ajutato il loro padrone a ricevere il denaro che veniva loro buttato in fazzoletti annodati, ed a rimandare i fazzoletti medesimi con iscatolette o vasetti, davano poscia la rappresentazione di commedie in tre atti a lume di torcie di cera bianca con una specie di magnificenza.
Anche la facciata vorrebbe essere più propria della luce di questa età, e più vaga, come par che richieda un luogo di una pubblica concorrenza ad oggetto di divertirsi. […] Tutte queste cose nemiche della decenza propria degli spettacoli delle nazioni culte, mostravano in tal volgo la male intesa libertà da me accennata per esserne in parte stato testimonio di vista.
Ed un’altra vanità pur anco pressoché universale fra’ dotti li conduce ad attribuire alla propria nazione, o a quella da loro più studiata, tutte le arti e invenzioni seminate qua e là. […] Cantano gli augelli, latrano i cani, perché gli organi che servono all’espulsione della voce, facilitano loro l’imitazione di quelli della propria specie che si avvezzano a veder prima d’ogni altro.
E un’ altra vanità forse non meno generale conduce i dotti ad attribuire alla propria nazione, o a quella da essi più studiata tutte le arti e invenzioni quà e là disseminate. […] Cantano gli augelli, latrano i cani, perchè gli organi che servono al l’espulsione della voce facilitano loro l’imitazione di quelli della propria specie, i quali prima di ogni altro si avvezzarono a vedere.
E un’ altra vanità forse non meno generale conduce i dotti ad attribuire alla propria nazione o a quella da loro più studiata tutte le arti e invenzioni quà e là disseminate. […] Cantano gli augelli, latrano i cani, perchè gli organi che servono all’espulsione della voce, facilitano loro l’imitazione di quelli della propria specie i quali prima di ogni altro si avvezzarono a vedere.
Ne segue parimente un’ altra filosofica, e sicura conseguenza, cioè che la poesia teatrale prende l’aspetto della cultura di ciascun popolo: se esso non eccede i costumi primitivi e semplici, l’imitazione scenica ne seconderà la materia: se ha costumi barbari, feroci, romanzeschi, il teatro gl’ imiterà: e se si giunga all’ultimo raffinamento e alla doppiezza propria de’ popoli culti, nasceranno i Tartuffi de’ Molieri e i Cleoni de’ Gresset21. […] E perchè poi la delicatezza delle arti viene colle filosofie, questo genere di poesia non tocca l’eccellenza se non quando la nazione giunta sia ad uno stato florido, e quando i vizj dell’uomo colto e del lusso, i quali sono sì complicati, e sì bene nascondono sotto ingannevoli apparenze la propria enormità o ridicolezza, apprestano al poeta drammatico una materia moltiforme e delicata, che sfugge al tatto che non è molto fine.
La sola Repubblica di Tlascala nemica del l’impero Messicano, e poi stromento della distruzione di esso, e della propria schiavitù, amando la poesia e la danza, seppe usare l’una e l’altra nelle rappresentazioni teatrali; ma non se ne fà più oltre. […] Ognuno dava a conoscere nelle divise la propria origine o prosapia; chi si attaccava al dorso due grandi ale, chi si copriva di un cuojo di drago, chi di una pelle di leonea. […] Questi nobili attori, prima e dopo la rappresentazione, occupavano tra’ loro uguali i luoghi corrispondenti alla propria dignità e agl’impieghi: e quei che si distinguevano per la delicatezza e proprietà di rappresentare, ne riportavano ricchi doni e favori particolaria.
La sola Repubblica di Tlascala nemica dell’Impero Messicano e poi stromento della distruzione di esso e della propria schiavitù, amando la poesia e la danza, seppe usare l’una e l’altra nelle rappresentazioni teatrali; ma non se ne sa più oltre. […] Ognuno dava a conoscere nelle divise la propria origine o prosapia; chi si attaccava al dorso due grandi ale, chi si copriva di un cuojo di drago, chi di una pelle di leone36. […] Questi nobili attori, prima e dopo la rappresentazione, occupavano tra’ loro uguali i luoghi corrispondenti alla propria dignità e agl’ impieghi; e quei che si distinguevano per la delicatezza e proprietà di rappresentare ne riportavano ricchi doni e favori particolari38.
Noi infatti credevamo che ancora le mancasse quella perfetta sicurezza di tocco nella rivelazione d’un carattere che è propria soltanto degli artisti provetti.
Compagna esemplare non abbandonò mai il marito, sostenendo con decoro il ruolo di prima attrice nella propria compagnia, e passando poi a quello di madre e seconda donna.
Interrogate un amante, addimandate ad un poeta, perché raminghi e soli inoltrandosi fra le più cupe foreste, e fra deserti inerpicati dirupi sfuggano l’uman commercio mesti in apparenza e pensosi: e’ vi risponderanno che ciò si fa da loro per poter liberamente badare agli amabili deliri della propria immaginazione, a quei soavi e cari prestigi, a quelle illusioni dolcissime, che gli ricompensano dalle torture della verità trista spesse fiate e dolorosa. […] Se gli andava amale qualche intrapresa, non dovea incolparsi per ciò la propria imprudenza o poca destrezza, ma bensì il maligno talento di quello invisibile spirito, che perseguitavalo occultamente. […] Che le cose accaggiano secondo l’ordinario tenore, ciò non desta la maraviglia, ma il sentire avvenimenti stravaganti e impensati, il vedere una folla d’Iddi, i quali sospendono il corso regolare della natura, e intorno a cui non osiamo pensare se non se pieni di quel terrore sublime che ispira la divinità, ciò sorprende gli animi consapevoli a se medesimi della propria debolezza, ne risveglia la curiosità e ne riempie d’un certo sensibile affetto misto d’ammirazione, di riverenza e di timidezza. […] Era perciò ben naturale che queste consapevoli a se medesime della propria fievolezza pregiassero molto i cavalieri prodi e leali, dai quali oltre l’istinto naturale del sesso, attendevano aiuto e patrocinio nelle occasioni. […] Gl’Italiani adunque, attendendo procacciarsi diletto, fecero uso di queste in mancanza di buona musica, allorché essendo conducente il sistema del maraviglioso, e trovandolo di già stabilito a preferenza degli argomenti storici, fu maggiormente promosso nel melodramma, e vi si stabilì come legge propria di tai componimenti.
Ecco quel che egli riferisce coll’ autorità dello Scoliaste di Aristofane: “I villani oltraggiati da’ cittadini anticamente venivano di notte nel villaggio ove dimorava l’offensore, e pubblicavano la propria ingiuria e ’l di lui nome. […] Per sicurezza adunque della propria vita sacrificarono la verità dell’imitazione, facendo dagli artefici formar le maschere capricciose e stravaganti per fuggire il pericolo che alcuna per disgrazia riescisse simile al volto di qualche sovrano146.
Adocchiare per esser adocchiati, aggirarsi da scioperati da palchetto in palchetto, scoprir nelle regioni della galanteria paesi non per anco tentati, spiar in aria di somma importanza i segreti movimenti d’Irene o di Nice verso Celadone o Silvandro, riempiere l’intervallo di quelle ore lunghissime con isquisita e deliziosa mormorazione, oppure col giuoco (quella occupazione insipida ritrovata dall’ozio, e dall’avarizia per consolar tante anime vuote, che non sanno che farsi della propria esistenza) ecco il fine, al quale rivolgono essi la grand’arte di Sofocle e di Menandro. […] Avrebbono forse desiderato, ch’io fossi stato più circospetto: cioè nella significazione che danno essi a tal parola, che non avessi osato, di profferir il mio sentimento se non colla timidezza propria d’uno schiavo, che avessi incensato gli errori e i pregiudizi del secolo, e che avessi fatto l’eco vituperevole di tanti giudizi stoltissimi, che sentonsi ogni giorno ne’ privati discorsi e nelle stampe. né vi mancheranno di quelli, i quali, ricorrendo a’ luoghi topici della ignoranza, troveranno nel titolo di straniero una suspizione d’invidia contro l’Italia. Quanto a me animato perfettamente da spirito repubblicano in punto di lettere ho sempre stimato, che la verità e la libertà debbano essere l’unica insegna di chi non vuol avvilire il rispettabile nome d’autore: ho creduto, che l’accondiscender ai pregiudizi divenga egualmente nuocevole agli avanzamenti del gusto di quella che lo sia ai’ progressi della morale il patteggiare coi vizi: ho pensato, che la verace stima verso una nazione non meno che verso le persone private non si manifesti con cerimoniosi e mentiti riguardi, figli per lo più dell’interesse, o della paura, ma col renderle senza invidia la giustizia che merita, e col dirle senza timore le verità di cui abbisognai ho giudicato, che siccome l’amico, che riprende, palesa più sincera affezione che non il cortigiano che adula, così più vantaggiosa opinione dimostra ad altrui chi capace il crede d’ascoltar ragione in causa propria che non faccia quell’altro, il quale tanto acciecato il suppone dall’amor proprio che non possa sostener a viso fermo l’aspetto della verità conosciuta: mi sono finalmente avvisato, che se il rispetto per un particolare mi sollecitava a usare di qualche parzialità, il rispetto vieppiù grande che deggio avere per il pubblico , mi vietava il farlo, facendomi vedere cotal parzialità biasimevole, e ingiusta. […] Il celebre Conte Algarotti ne schizzò un breve Saggio, nel quale col solito suo spirito e leggiadria di stile olezzante de’ più bei fiori della propria e della peregrina favella si trovano scritte riflessioni assai belle, che lo fanno vedere quell’uomo di gusto ch’egli era in così fatte materie.
Il dialogo di Sileno e di Ulisse nel darsi vicendevolmente contezza de’ proprii casi e di quanto importa al secondo per propria istruzione, è giusto, naturale, preciso, degno di Euripide. […] Ma questi gonfio della propria robustezza e potenza prende il linguaggio di uno spirito-forte, e beffeggia gli Dei nominati da Ulisse. Descrive poi la propria felicità e le ricchezze pastorali di cui abbonda. […] Fu egli una volta chiamato in giudizio come reo; ma Alcibiade di propria mano cancellò gli atti formati contro di lui.
Il dialogo di Sileno e di Ulisse nel darsi vicendevolmente contezza de’ proprj casi e di quanto importa al secondo per propria instruzione, è giusto, naturale, preciso, degno di Euripide. […] Ma questi gonfio della propria robustezza e potenza prende il linguaggio di uno spirito-forte e beffeggia gli dei nominati da Ulisse. Descrive poi la propria felicità e le ricchezze pastorali di cui abbonda: Per me solo pasce questa greggia immensa; per me si scanna, per questo ventre per questa gola, e non già per alcuno di questi tuoi numi. […] Fu egli una volta chiamato in giudizio come reo; ma Alcibiade di propria mano cancellò gli atti formati contro di lui.
La giudicatura cadde nelle mani d’uomini senza lettere, i quali non di rado venivano dalle parti obbligati a provar coll’armi la propria integrità e la giustizia della sentenza data, per la qual cosa richiedevasi in essi più forza di corpo che di mente. […] S’indebolì l’indipendenza de’ baroni, le corone accrebbero la propria prerogativa, e ’l popolo uscendo della schiavitù, diede allo stato cittadini utili, liberi, industriosi.
E perché portò già il caso che io dovessi distendere quest’ultimo in francese, in francese l’ho lasciato per essere quella lingua fatta oramai tanto comune, che non vi è in Europa uomo gentile che non la possegga quasi al pari della propria.
Una copia esatta del vero (osserva egregiamente l’immortal Metastasio nel capitolo IV dell’Estratto della Poetica d’ Aristotile) renderebbe ridicolo lo scultore, il pittore ed il poeta, essendo essi obbligati ad imitare, non a copiare il vero in maniera che non perdano di vista ne’ loro lavori la materia propria delle rispettive loro arti. […] Legge egli, per esempio, che l’ ambizioso e innamorato Aquilio, il quale usa ogni arte per rompere la corrispondenza di Sabina, al vedere che l’amor novello di Augusto e gli sdegni di Sabina combattono per lui, prevede la propria vittoria, ma si dispone ad attendere che si maturi, e ad usar tutta l’arte di un esperto schermidore, il quale esamina il nemico, frena l’ira ed aspetta il momento che lo renda vincitore. Chiunque voglia far uso della propria ragione, ciò leggendo, dirà fra se: Conviene ad Aquilio quest’immagine?
Scorrendo per le provincie egli giva studiando l’uomo e la propria nazione. […] Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere accoppiò quello degli scrittori teatrali, e seppe approfittarsi delle loro invenzioni, non da plagiario meschino, ma da artefice sagace che abbellisce imitando. […] Bisogna però mostrare ingenuità maggiore di codesti Francesi eruditi, e confessare che Moliere abbelliva le altrui invenzioni, accomodandole così acconciamente al suo tempo ed alla propria nazione, che, quando non lavorava con fretta, gli originali sparivano sempre a fronte delle sue copie. […] Moliere condusse diversamente quest’argomento, lo spogliò delle mostruosità originali, e vi fece una dipintura dell’empio dissoluto tutta propria del pennello di Moliere.
Con la propria coscienza egli potè transigere attenuando le decadi, e tal volta anche impegnando i cassoni de' comici inconsapevoli ; ma non mai con la tavola e con la gola : e si racconta che dopo una recita all’Argentina di Roma, una delle tante di addio, ch'egli era costretto a fare, dicean le gazzette, per trascinar meno peggio la vita travagliatissima, convitò tutti coloro che preser parte alla recita, dando fondo, in una gustosa cenetta, alle duecento lire che avea guadagnate nette per sè.
Una copia esatta del vero, osserva egregiamente l’immortal Metastasio nel capitolo IV dell’Estratto della Poetica d’Aristotile, renderebbe ridicolo lo scrittore, il pittore, ed il poeta, essendo essi obbligati ad imitare non a copiare il vero, in maniera che non perdano di vista ne’ loro lavori la materia propria delle rispettive loro arti. […] Legge egli, per esempio, che l’ambizioso e innamorato Aquilio, il quale usa ogni arte per rompere la corrispondenza di Sabina, al vedere che l’amor novello di Adriano e gli sdegni di Sabina combattono per lui, prevede la propria vittoria; ma si dispone ad attendere che si maturi, e ad usar tutta l’arte di un esperto schermidore, il quale esamina il nemico, frena l’ira ed aspetta il momento che lo renda vincitore. Chiunque voglia far uso della propria ragione, ciò leggendo, dirà fra se: Conviene ad Aquilio quest’immagine?
Nell’inverno di quell’anno 1855 mio padre lasciò per la terza volta la propria casa, e fu scritturato in Compagnia del Calamai ; però siccome i precedenti insuccessi lo avevano persuaso, così lasciò le parti di amoroso e prese il ruolo di brillante. […] Sia che il pubblico fosse pentito della propria ferocia, sia che sapesse l’affare della malattia, sia che mio padre non sapendo quella sera le norme altrui recitasse a modo suo e apparisse un attore diverso, fatto è che dopo la prima scena cominciarono gli applausi, gli applausi continuarono, e calata la tela mio padre si trovò fra le braccia di Ernesto, che era felice quanto lui, perchè Ernesto Rossi era buono. […] Nel settembre di quell’anno liberate le Marche, Ernesto Rossi raccolse la propria Compagnia per riprendere i propri viaggi, e senza maggiori avvenimenti le cose procedettero così sino al 1860, quando essendosi ammalato improvvisamente Gaetano Vestri, che sosteneva il ruolo di promiscuo nella Compagnia di Bellotti-Bon, a mezzo anno il Bellotti si rivolse ad Ernesto Rossi pregandolo di cedergli l’attore Cesare Rossi.
Con lettera del 3 marzo 1683, il Duca di Mantova scriveva al Duca di Modena, per chiedergli insieme ad altri comici il Dottor Brentino, da aggregare alla propria compagnia.
Dir però non saprei quando avrebbero essi trasportate nel loro volgare le antiche bellezze, se più lungamente persistevano ad usare la propria versificazione. […] Bianca amante del conte e fiera nemica occulta d’Elisabetta ne trama la morte introducendo di notte alcuni congiurati in una propria casa di campagna, dove trovasi a diporto la regina. […] L’incontra, offerisce liberarla (quando che dovea e potea farlo decentemente colla propria autorità). […] Vendicarsi vorrà, quando non sia Altri uccidendo, colla propria morte. […] Se egli trasse dal fatto della Caraìba l’argomento del suo dramma, perchè mai trasportò dalla nazione inglese alla propria quell’infamia che eccita il fremito dell’umanità?
Dir però non saprei quando essi avrebbero trasportate nel loro volgare le antiche bellezze, se più lungamente persistevano ad usare la propria versificazione. […] Bianca amante del conte e fiera nemica occulta d’Elisabetta ne trama la morte introducendo di notte alcuni congiurati in una propria casa di campagna dove trovasi a diporto la regina. […] Interessante è il secondo incontro della regina tiranneggiata dal fasto e rapita dalla propria debolezza, e del conte combattuto dall’ amore di Bianca e dalla speranza del possesso di una bella regina. […] L’incontra, offerisce liberarla (quando che dovea e potea farlo decentemente colla propria autorità); Marianna gli dice che la sua prigionia è volontaria. […] Se egli trasse dal fatto della Caraiba l’argomento del suo dramma, perchè mai trasportò dalla nazione Inglese alla propria quell’infamia che eccita il fremito dell’umanità?
Ma Porzio che parimente ama mentre la vita del padre stà in periglio, non reca una ragione che dovea internamente rimproverargli la propria debolezza? […] Lord Oxford compose la Madre Misteriosa tratta o da’ racconti della Regina di Navarra, o dalla novella 35 della II parte del Bandelli, in cui racconta che un gentiluomo sposa una propria sorella, e figliuola a un tempo senza saperlo. […] Egli poi nell’impressione lo produsse come l’aveva scritto da prima, e con questo lasciò una pruova dell’intelligenza del pubblico, e della propria indocilità ed imperizia. […] Il ridicolo di un marito amante della propria moglie senza aver coraggio di manifestarsi, è più rilevato nella favola di Murphy che in quella di La-Chaussèe. […] Curiosa è la dipintura di coloro che aspirano ad entrare nel parlamento fatta da Constant nella propria persona.
La vittoria li dichiarò per gli comici, se non si riguardi ad altro che al merito dell’invenzione, e al piacer che produce la novità degli argomenti; imperciocché i tragici traevano i propri dalle favole di Omero e dalla mitologia assai ben nota; e i comici che provvedeansi nella propria immaginazione, presentavano uno spettacolo tutto nuovo. […] Ma che un venditor di porci insegni ai figli contraffare il loro grugnito per invitar alla compera, egli é una scena propria del più basso comico36. […] La commedia delle Vespe consiste in un magistrato impazzito per la smania di giudicare, il cui figliuolo tenta di guerirlo con lusingare alla prima la di lui passione, proponendogli di giudicare nella propria casa, e sentenziar fu di un litigio ridicolo d’un cane che ha rubato una forma di cacio. […] L’istesso Platone proccurava di formar la propria maniera di scrivere sullo stile elegante, polito, dolce e armonioso di questo poeta, e se n’era talmente invaghito che, onorò un sì eccellente comico con un distico del tenor seguente: Avendo le Grazie cercato da per tutto un luogo per farvisi un tempio eterno, elessero il cuore di Aristofane, e mai più non l’abbandonarono 46. […] Or perché eccitato una volta in qualunque guisa lo spirito filosofico, rinasce l’ordine, e ogni cosa rientra nella propria classe, il gabinetto allora si separò dal teatro, e più non si agitarono questioni politiche in uno spettacolo di puro divertimento.
Ora si può esitare un sol momento a scegliere tra il restar tosto sepolto nella propria terra in compagnia di tante migliaja di scheletri mostruosi, e tra il convivere con Euripide ne’ gabinetti de’ savj di tutti i tempi e di tutti i paesi?
Non frequentava nessuna società, amantissima della propria casa e dello studio.
Azzolini pubblico in fine, e da un’altra del Gualengo scritte da Roma il ’51, ella appare colà con propria compagnia.
Ma Porzio che parimente ama mentre la vita di suo padre stà in periglio, non reca una ragione che dovea internamente rimproverargli la propria debolezza? […] Un di loro figliuolo savio ed onesto amante corrisposto di Carlotta bella e virtuosa giovane ma non ricca, per non comunicarle la propria indigenza, abbandona la patria e l’amata colla speranza di migliorare il suo stato nell’Indie, e si sparge poi il romore di esservi morto. […] Egli poi nell’impressione lo produsse come l’avea scritto da prima, e con questo lasciò una pruova dell’intelligenza del pubblico, e della propria indocilità ed imperizia. […] Il ridicolo di un marito amante della propria moglie senza aver coraggio di manifestarsi, è più rilevato nella favola di Murphy che in quella di La Chaussée. […] É curiosa la dipintura di coloro che aspirano ad entrare nel Parlamento fatta da Constant nella propria persona.
Laonde noi incliniamo a prestar tutta la fede a que’ Latini scrittori che ebbero sotto gli occhi le tragedie romane da essi esaltate, a que’ Latini che sapevano bene quel che si dicessero sulla propria lingua e poesia; ed assai peco in concorrenza (non ci s’imputi a colpa) crederemo al lodato Denina che con tutta la posterità non ha veduta nè anche una delle tragedie latine. […] Non è meno vivace l’atto III in cui Fedra accusa della propria colpa l’innocente Ippolito, e Teseo in di lui danno invoca il soccorso di Nettuno obbligato a compiere l’ultimo di lui desiderio. […] Querelasi Ecuba nobilmente de’ mali della patria e della propria famiglia nell’atto I, malgrado di quel falso pensiero, Priamus flamma indiget ardente Troja . […] La Nutrice ne ascolta la voce e facendo un’ apostofo alla propria vecchiaja ( cessas thalamis inferre gradum, tarda senectus) le va incontro, e cominciano le nenie a due. […] Or chi lo spinse a mettere alla vista codeste bellezze neglette, se non la propria candidezza e giustizia?
Di un reo che involge gl’innocenti nella propria ruina, dicesi con felicità, proprietà, ed eleganza, hizo partecipantes del castigo gl’innocenti. […] Or tocca al La Crux o al Sampere, e a tutta la turba che lo encomia, a conciliar tutto ciò colla propria lingua, colla poesia, e col senso comune.
» Come nella vita così sulla scena soddisfa e rinvigorisce tutto ciò che è frutto della propria operosità, tanto più adorato quanto più contrastato. […] Poichè il domani è della giovanezza, sorreggiamola senza fiacchezza e senza ferocia nella via disagevole, non le nascondiamo il pericolo ma rassicuriamola sul valore della propria forza : e se precipita, per disgrazia o per errore, non ci sia rimorso in noi : rimorso di ostacolo corrivo, rimorso di entusiasmo cieco.
Scorrendo per le provincie egli giva studiando l’uomo e la propria nazione. […] Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere accoppiò quello degli scrittori teatrali, e seppe approfittarsi delle loro invenzioni, non da plagiario meschino, ma da artefice sagace che abbellisce imitando. […] Moliere condusse diversamente quest’argomento, lo spogliò delle mostruosità originali, e vi fece una dipintura dell’empio dissoluto tutta propria del pennello di Moliere.
Il re O-Too padrone di tutta l’isola di O-Taiti essendosi recato in Oparre il mentovato capitano Cook nel 1777 nel terzo suo viaggio, volle fargli godere nella propria casa un heevaraa spettacolo pubblico, nel quale le tre sue sorelle rappresentavano bellamente i principali personaggi, seguito da alcune farse che riescirono assai grate al numeroso concorso.
Pietro Bembo, che prendendo a imitar il cantore di Laura altro non ritrasse da lui che la spoglia; Angelo di Costanzo celebre per robustezza de’ concetti, e per unità di pensiero benché sovente privo di colorito, e qualche volta prosaico; Giovanni della Casa ricco nella frase, lavorato nello stile, abbindolato ne’ periodi, autore più di parole che di cose; Sanazzaro più vicino ai Latini nel suo poema che scrittor felice nella propria lingua; Rinieri, Varchi, Guidiccione, Molza e mille altri versificatori stitici e insipidi benché puri e regolari non poteano somministrar gran materia alla musica. […] Lo studio delle cose antiche fece loro conoscere che quella sorte di voce, che da’ Greci e Latini al cantar fu assegnata, da essi appellata “diastematica” quasi trattenuta e sospesa, potesse in parte affrettarsi, e prender temperato corsa tra i movimenti del canto sospesi e lenti, e quelli della favella ordinaria più spediti e veloci, avvicinandosi il più che si potesse all’altra sorte di voce propria del ragionar famigliare, che gli antichi “continuata” appellavano. Le riflessioni sulla propria lingua fecer loro avvertire, che nel parlar comune alcune voci s’intuonano in guisa che vi si può far armonia, o ciò che è lo stesso, distinguerle per intervalli armonici, alcune non s’intuonano punto, per le quali leggiermente si scorre finché si giugne ad altre capaci d’intonazione o d’armonico movimento. […] [25] Maestri e musici del nostro tempo, che col fasto proprio della ignoranza vilipendete le gloriose fatiche degli altri secoli, ditemi se alcun si trova fra voi che sappia tanto avanti nei principi filosofici dell’arte propria quanto sapevano quegli uomini del secolo decimosettimo, che voi onorate coll’urbano titolo di seguaci del rancidume. […] Che la cagion formale di esso piacere consiste nella soddisfazione che ha l’anima conoscendo la propria perfezione, e la facoltà che ha di poter formare rapidissimamente una serie di combinazioni e di raziocini taciti intorno all’oggetto propostole.
Giorgio Lillo, onorato gioielliere di Londra, morto nel 1739, quantunque posseduto avesse un carattere dolce, e costumi semplici, é autore di due atroci tragedie cittadinesche, l’una intitolata Barnwell 247, o il Mercante di Londra, e l’altra la Fatale Curiosità, fatali veramente e contagiose composizioni che hanno comunicata alle scene francesi e alemane la propria tristizia le dipinture delle scelleraggini più esecrande e vergognose per l’umanità. […] Egli poi coll’istruirci di tal ordine del pubblico, e col rimettervi nell’impressione quello che ne avea tolto per obedire, diede una pruova della perizia di esso pubblico e della propria indocilità. […] Il ridicolo d’un marito amante della propria moglie senza aver coraggio di manifestarlo, é più marcato che non é nella commedia di M. de la Chaussée. […] Egli nella scena II dell’atto II fa nella propria persona una dipintura curiosa di quelli che aspirano ad entrar nel parlamento. […] Or quando i poeti apprendessero a dare a questi sainetti la propria forma, non introdurrebbero a poco a poco nel teatro castigliano la bella commedia di Menandro e Terenzio, e di Molière, Goldoni, e Albergati?
Alzò sulle nostre ruine il suo trono il governo feudale, tremenda polizia sino a quel punto a noi ignota e per propria natura poco propizia all’ordine e alla pubblica tranquillità. […] La giudicatura cadde nelle mani di uomini senza lettere, i quali non di rado venivano dalle parti astretti a provar coll’armi la propria integrità e la giustizia della sentenza profferita, per la qual cosa in essi richiede vasi più forza di corpo che di mente. […] Così venne a indebolirsi l’indipendenza de’ baroni, le corone accrebbero la propria prerogativa, ed il popolo spezzate gran parte delle sue catene diede allo stato cittadini utili e industriosi. […] Essi tennero nella città di Aix capitale della Provenza e in Avignone la famosa Corte o Parlamento d’Amore, e poscia in Tolosa l’Accademia de’ Giuochi Florali, ove ognuno sceglievasi un’ Amica e la stabiliva sovrana dominatrice delle sue azioni e de’ suoi pensieri, e ne portava la divisa, ed a lei dedicava tutti i frutti poetici della propria fantasia, o le propensioni ed il pendio del proprio cuore. […] Ebbero questi conquistatori, per governare non meno la propria nazione tra noi traspiantata, che gl’Italiani che volessero soggettarvisi, il celebre editto di Rotari settimo re d’Italia, pubblicato nel 643, quello di Grimoaldo del 668, i capitoli di Luitprando incominciati ad uscire dal 713, quelli di Rachi del 746, e di Astolfo del 753.
Nell’Uomo singolare egli ne prende le tinte dalla propria fantasia, o da qualche originale particolare da non poter riuscire importante pel pubblico che nulla in esso impara per correggersi, nè prende diletto di un ridicolo non manifesto. […] L’argomento consiste in un giovane ben nato che sacrifica la propria fortuna alla smania di poetare. […] Durn che poco verisimilmente si trattiene molto tempo sconosciuto nella propria casa. […] Dorat noto poeta morto nel 1780 di anni quarantasei coltivò anche la poesia drammatica per avventura poco propria de’ suoi talenti. […] Ciò mosse alcuni Francesi a comporre per essi qualche favola nella propria favella, in cui cercarono di unire la ragione e la novità alle grazie dell’Arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava. della francese, e dell’italiana istrionica.
Per quanto riguarda la gradazione dei sentimenti, Shakespeare manifesta la sua capacità di mettere in scena una vera e propria “histoire de l’âme”. […] Ciascuna però ha adottato de’ principî e degli usi analoghi alla propria indole, ed ha per conseguenza la sua propria scuola, che gli stessi poeti hanno in certo modo fondata e determinata col genere dei loro drammi. […] E in tale stato ciascuna passione ha la sua espressione particolare e la sua propria fisonomia. […] Dalle precedenti considerazioni io raccolgo l’idea più propria del bello dell’espressione, che alla declamazione appartiene. […] Sotto questo rapporto ella soffre nuove modificazioni, che la rendono propria di lui, e costituiscono la natura della declamazione tragica.
Or si può esitare un sol momento a scegliere tra ’l restar tosto sepolto nella propria terra in compagnia di tante migliaia di scheletri mostruosi, e tra ’l convivere con Euripide ne’ gabinetti de’ savi di tutti i tempi e di tutti i paesi?
Lasciando di favellare delle sue prime tragicommedie la Criseide, e la Silvia, e la Silvanira, ossia la Morta viva, egli sulle tracce del Trissino produsse la sua Sofonisba, e benchè nell’imitarlo variasse la condotta della propria favola, osservò non pertanto le tre unitàa, ed il popolo nella rappresentazione seguitane nel 1609, ad onta dei difetti che vi notò e della debolezza dello stile, ne sentì il merito e l’applaudì.
Gli spettacoli destinati al ristoro della società dopo la fatica, furono un bisogno conosciuto dalla nuova città più tardi di quello di assicurare contro gli attentati domestici e stranieri la propria sussistenza per mezzo della religione, della polizia e delle armi.
Se l’apprensione è d’un male, i muovimenti del corpo sono diretti a slontanarlo lungi da noi, come si cerca con ogni sforzo di avvicinarlo qualora si crede di ritrovar in queir oggetto la propria felicità. […] Si può nondimeno far uso talvolta di esso purché non si prenda come una vana ripetizione delle parole, o come una voglia indeterminata di ballar per ballare, ma come una usanza propria del popolo o dei personaggi che parlano, appoggiata sulla storia o sulla tradizione. […] I Francesi disposti ognora a perfezionare l’invenzioni altrui, e adatti per educazione e per istudio alla scienza del ballo, si prevalsero tosto della scoperta rendendola in tal guisa propria di loro che parve affatto francese all’altre nazioni. […] Come dunque si può con qualche ragionevolezza aspettare da lei che diventi sobria di propria scelta e regolata nell’uso de’ suoi piaceri? […] Tanto è vero che gli uomini giudicano degli oggetti a misura delle disposizioni del loro spirito, e che tutti più o meno rassomigliamo a quei popoli della Guinea, che prestano agli angioli del paradiso il proprio colore e la propria fisionomia.
È vero poi che l’Ariosto si valse di alcuni caratteri antichi, ma seppe adattarli alla propria età e nazione con un colorito fresco ed originale, e moltissimi nuovi ne introdusse, come avvocati, cattedratici, teologi. […] Venendo messer Lazzaro, il quale non conosce personalmente l’amico Bartolo, Bonifazio ne prende il nome, e come tale lo riceve colla famiglia nella propria casa. […] Ella non cessa di rampognar la tardanza della vecchia coll’impazienza propria della gioventù e dell’amore. […] Nel parlarsi de’ gemelli si dice che essi sono in Roma, e che gli spettatori vedranno comparirli nella propria loro città. […] Buona ed imitata da un frammento di Plauto è pure la disperazione di Fausto che nella scena quarta dell’atto V vuole andar via per vincere la propria passione; e bella è poi la quinta in cui riceve la notizia del suo conchiuso matrimonio con Livia.
E’ vero poi che l’Ariosto si valse di alcuni caratteri antichi, ma seppe adattarli alla propria età e nazione con un colorito fresco ed originale; e moltissimi nuovi ne introdusse, come avvocati, cattedratici, teologi. […] Lazzaro, il quale non conosce personalmente l’amico Bartolo, Bonifazio ne prende il nome, e come tale lo riceve colla famiglia nella propria casa. […] Ella non cessa di rampognare la tardanza della vecchia coll’ impazienza propria della gioventù e dell’amore. […] Nel parlarsi de’ gemelli si dice che essi sono in Roma, e che gli spettatori vedranno comparirli nella propria loro città. […] Buona ed imitata da un frammento di Plauto è pure la disperazione di Fausto che nella scena quarta dell’atto V vuole andar via per vincere la propria passione; e bella è poi la quinta in cui riceve la notizia del suo conchiuso matrimonio con Livia.
Mercurio gli dice che se vuol parlare a Giove, è venuto a mal tempo, essendo fuori di casa con gli altri Dei, per cedere alla Guerra la propria abitazione, e lasciare agli nomini il pensiero di se stessi. […] Un vecchio chiamato Blepiro viene fuori con una veste di donna addosso, essendo li stata dalla moglie portata via la propria. Egli è costretto a venir fuori da un bisogno naturale, per fare in piazza ciò che la decenza prescrive di farsi nel più segreto della propria casa. […] Questa scena è propria de’ pulcinelli e degli arlecchini, ma è vivace e ridicola. […] Entrato il padre ed il figliuolo nella propria casa, viene un creditore a domandare i suoi denari.
Imperocché egli è certo che fra l’imitazione che si propone la musica vocale, e quella ch’è propria della strumentale, la prima è più fedele, più circostanziata e più immediata che non è la seconda, dove la distanza tra la maniera d’imitare e l’oggetto imitato è assai grande a motivo di non imitatisi le cose se non se in maniera troppo vaga e generica. […] Così almeno sono costretto a pensare dietro alla propria esperienza, qualora l’inconcepibile magia dei suoni da me in altri tempi sentiti non debba ripetersi dall’amabile persona che percuoteva lo strumento, la quale rientrata troppo immaturamente ne’ regni della morte mi lasciò per ogni retaggio il dolore d’averla conosciuta così tardi, e la disperazione d’averla così tosto perduta. […] Non s’insegna loro la fisica propria del mestiere che consisterebbe nello studio dell’acustica, ossia nello esame di quei rapporti che la risonanza dei corpi sonori ha colla macchina umana, e in particolare col nostro orecchio, quantunque sia fuor d’ogni dubbio che tali notizie gioverebber moltissimo alla perfezione e maggior finezza dell’arte. […] Io medesimo benché alieno dal mestiero e poco iniziato in siffatte materie mi sono maravigliato spessissimo della profonda e totale ignoranza in cui vive la maggior parte di essi di quei principi dell’arte propria, per comprenderne i quali basta una mente avvezza a ragionare che abbia avuto qualche consorzio colla filosofia. […] Desideroso di esser grande piuttosto colla lode propria che coll’altrui, cerca d’avanzarsi nella sua carriera per sentieri non battuti dai concorrenti.
[2.1.9] Nelle tragedie italiane non s’è trascurata la meraviglia propria di tale poesia. […] Basta fra l’altre osservare l’Edippo e l’Antigone di Sofocle per rinvenire in quello il carattere d’un buon Re, che con paterno amore verso de’ suoi sudditi, scordato quasi della propria dignità e della cura della propria salvezza, esce dalla sua reggia come un privato per provvedere a’ loro bisogni, dando saggi di vigilanza, d’umanità, di modestia e di pietà, ed in questa il ritratto d’una religiosa, pia ed intrepida principessa, che per seppellire il cadavere del fratello s’espone a pericolo di morte. […] Né propria del sesso e della sua educazione è la risposta che ella rende a’ consigli materni laddove invidia fuor di proposito la sorte de’ guerrieri. […] Niuno di coloro ch’entrano ne’ teatri crede di andare a veri spettacoli; pure la gente vi si appassiona, e vi piange in virtù d’una anticipata supposizione con cui s’inganna la propria fantasia. […] Questa favola parmi lodevole per passioni vivamente espresse, per frequenza di nobili sentimenti, per elocuzione propria e sublime: almeno vi s’incontrano poche reliquie di quella affettazione di stile che è comune a’ Francesi.
Mancano adunque i poeti cinesi d’arte e di gusto ne’ drammatici componimenti, che seppero inventar sì a buon’ora; e con tanto agio ancor non hanno appreso a scegliere dalla serie degli eventi un’azione, per la verisimiglianza delle circostanze propria a produrre quell’illusione che sola può trasportar lo spettatore in un mondo apparente per insegnargli a ben condursi nel vero.
L’Italia conta i cardinali Bibiena, Delfino, Pallavicini tra gli scrittori drammatici, e San Carlo Borromeo che di propria mano correggeva le rappresentazioni de’ commedianti; il nobile Bentivoglio, i tre grandi epici Trissino, Ariosto, Torquato Tasso, il bravo istorico e politico sommo Machiavelli, e Salviati e Secchi ed il patrizio veneto Antonio Conti, e il duca Annibale Marchese, e Scipione Maffei, e Bernardino Rota, ed Angelo di Costanzo, e il duca Gaetani di Sermoneta, e cento altri personaggi chiari per nascita e letteratura e per gradi, intenti a promuovere co’ loro lavori gli avanzamenti della teatral poesia.
Chi adunque arzigogolando sdegna di riconoscere da tali principii la tragedia e la commedia Greca, non vuol far altro che dare un’ aria di novità e di apparente importanza ai proprii scritti, e formar la storia della propria fantasia più che del l’arte.
Il pregio singolare del suo stile è la gravità, la precisione e la verità propria della passione e del teatro, per la quale il Conti costantemente schiva ogni vano ornamento. […] In procinto di restare ucciso è salvato da un guerriero ignoto ; ne cerca contezza, e trova che dee la propria vita alla grata virtuosa Ormesinda, la quale gli è condotta innanzi mortalmente ferita. […] È questa la materia propria di tal situazione. […] Siface non è men generoso per amore di quello che si dimostra la consorte per fuggir la propria vergogna. […] Si separano fermi l’uno di secondare la propria ambizione, l’altro di rendere a Roma la libertà.
E lasciando a parte i rimproveri della propria coscienza, e il deterioramento della riputazione presso il pubblico, si dee poi riflettere, che parlando in tempo, che gli avversarj vivono, e mangiano, e beono, e agiscono, essi per diritto di difesa non ometteranno di notare le vostre petizioni di principj, ignorazioni dell’elenco, i circoli viziosi, le anfibologie, e in oltre i fatti soppressi, i passi degli Autori stiracchiati, le congetture sofistiche, e allora il credito va tutto in fumo, e cadono al piano le apologie, e gli Apologisti. […] In questa guisa ragionano i veri dotti Spagnuoli, i veri amatori della propria Nazione. […] Ha bisogno delle glorie immaginarie della Letteratura Fenicia, Celtica, Greca, Cartaginese, una Nazione generosa difenditrice della propria libertà per tanto tempo contro le forze più poderose della Romana Repubblica, che tante pruove di eroico invincibile valore diede nella Guerra Numantina, e nella Portoghese sotto Viriate?
Chi non sa che nel XV secolo foriero dell’aureo seguente divenne l’Italia l’emporio del sapere, chi nella propria casa non vide spuntare altrettanta luce, stenterà a crederea che dentro delle Alpi gli studii teatrali nelle mani di molti cospicui letterati fossero divenuti comuni e maneggiati con arte maggiore. […] Si produsse la prima volta in Venezia nel 1558, ed il Domenichi la tradusse in italiano, spacciandola come cosa propria. […] E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo come la Celestina (che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il componimento e mai non si rappresentò nè per rappresentare si scrisse) a tanti per propria natura veri drammi Italiani rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
Chi non sa che nel XV secolo foriero dell’aureo seguente divenne l’Italia l’emporio del sapere: chi nella propria casa non vide spuntar altrettanta luce, stenterà a credere42 che dentro delle alpi gli studj teatrali nelle mani di molti cospicui letterati fossero divenuti comuni e maneggiati con maggior arte. […] Si produsse la prima volta in Venezia nel 1558, ed il Domenichi la tradusse in Italiano, spacciandola come cosa propria. […] E chi allora metterebbe più in confronto una ventunesima parte di una novella in dialogo, che ebbe nel secolo vegnente per altra mano il compimento e mai non si rappresentò, a tanti per propria natura veri drammi Italiani, rappresentati con plauso e per tali riconosciuti, cioè alla Catinia, al Cefalo, al Gaudio d’amore, alla Panfila, ai Menecmi, all’Anfitrione, alla Casina, alla Mostellaria, all’Amicizia, al Timone?
Non furono certamente commedie scritte unicamente per dilettar la plebaglia quelle degl’Intronati di Siena, i quali dopo che nel principio del secolo ebbero dal governo la permissione di tornare agli antichi esercizii, nel 1611 ne pubblicarono una collezione, dove si veggono caratteri ben condotti, costumi bellamente dipinti, economia regolata, il ridicolo destramente rilevato, ed una dizione propria del genere comico. […] Egli sulle orme degl’Intronati e de’ Rozzi e di altri che introdussero qualche personaggio che parla veneziano, bolognese, spagnuolo, napoletano, frammischiò ancora qualcheduno che si vale del dialetto napoletano, ma coll’atticismo patrio e con ogni lepore cittadinesco come nato in Napoli e versato nelle grazie della propria favella.
Egli ha dunque parlato di tal componimento per volgar tradizione ovvero secondo che gliel dipinse la propria poetica immaginazione. […] Tali cose traggonsi dalle tenebre de’ secoli rozzi quando vogliono scoprirsi i principii delle arti; ma quando queste già vanno altere di grandi artisti, lasciansi nella propria oscurità gli operarii volgari. […] Semiramide all’intenderlo si accende si una rabbia tremenda, ed in conseguenza nel l’atto III minaccia di trarre a Dirce di propria mano il cuore. […] Ma quella legge che in diamante saldo Scrisse di propria man l’alma natura, Sola può dare e variar gl’imperi. […] E pure il signor Andres stesso non fu astretto dalla forza della verità a contradirsi: Si distingue l’Italia sopra le altre nazioni per la superiorità di parlare con tanta coltura la propria lingua, come se di questa facesse tutto lo studio.
Scherza egli in tal guisa sull’indole della propria favola che non ignorava di essere una vera commedia, come è da credersi che fossero ancora le Rintoniche. […] Il vecchio si abbocca col figlio, gli parla della schiava, dicegli non esser propria per faticare nella loro casa, ma volerla comperare a conto di un amico che gliel’ha chiesta. […] S’incontrano poi i due messaggi Sofoclidisca e Pegnio, e la loro scena è vivace e propria di tali persone, cioè di una fante di un ruffiano e di un ragazzaccio monello. […] Ma figurandosi cambiato il luogo in una stanza propria per una tavola, come può seguire la venuta del ruffiano da’ commensali schernito? […] Per rimediare a siffatto disordine Palestrione le insinua di fingersi una propria sorella gemella venuta da poco tempo coll’ amante in Efeso.
L’effetto di questa favola è l’ ammirazione che risulta dall’eroismo di Gusmano il quale preferisce la propria fede alla vita di suo figlio. […] Il padre trafitto dal dolore ma sempre eroe gli getta dalle mura la propria spada perchè esegua la minaccia. […] Le di lei lagrime, la costanza di Gusmano, la fierezza del Moro, la nobile rassegnazione del giovane Gusmano, formano una situazione tragica assai teatrale, che si risolve colla magnanimità di Gusmano che getta la propria spada al nemico. […] Ma non dovea il poeta riflettere che la di lei passione poteva scemare per sì cruda richiesta propria a scoprire tutta l’ambizione del Moro? […] Aluro non distingue la voce della propria innamorata da quella di Terma, due persone a lui sì note?
La moglie Teodora, tornata da Parigi, continuò a recitare, divisa dal buon marito, il quale, pover’uomo, nell’articolo che la concerne, le ricordava con semplicità non mai intesa, « che l’onestà è un pregio stimabile, che il marito non deve trascurarsi, che le vanità del mondo sono fugaci, e che la moglie onorata ama il Consorte, nelle disgrazie il solleva, e nol rende avvilito tra le dicerie del volgo, potendo colla di lui cooperazione esser anch’egli d’efficace sostegno alla propria famiglia.
Tornarono all’assalto i comici, a lei dicendo rompersi il collo pigliando Buffetto, a lui avere essa dichiarato formalmente di non voler perdere la propria libertà….
Poi ebbe Compagnia propria, entrò nella Compagnia Nazionale, tornò a formar Compagnia….
Egli, non sapendo se Ninia viva, machina la rovina della propria sorella, cui, mancando il di lei figliuolo, apparterrebbe il trono. […] A vista della manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi così inetta, che non sa prendere verun partito per la propria salvezza. […] Nobile e propria de’ tempi della cavalleria è pure il bell’ orgoglio di Amenaide nella scena quinta dell’atto IV, Lui me croire coupable! […] Egli vi cade in assurdi manifesti, non vi guarda verisimiglianza, vi accumula alla rinfusa eventi pieni d’ incoerenza, tradisce la storia, oltraggia e calunnia le nazioni straniere, e disonora in certo modo la propria colle sue impudenti menzogne. […] Bajardo chiama augusta la propria umiliazione?
Ma Elio Donato e Servio credettero che il Tieste fosse stato scritto da Virgilio, e dato alla moglie di Vario, la quale coltivava le lettere, e che di poi da costui si fosse pubblicata come propria. […] Non è meno vivace l’atto terzo in cui Fedra accusa della propria colpa l’innocente Ippolito, e Teseo in di lui danno invoca il soccorso di Nettuno obbligato a compiere l’ultimo di lui desiderio. […] La Nutrice ne ascolta la voce, e facendo un’ apostrofe alla propria vecchiaja (cessas thalamis inferre gradus, tarda senectus) le va incontro, e cominciano le nenie a due. […] Sopraggiugne Nerone; insorge una disputa generica tra il discepolo e ’l maestro; sostiene ciascuno la propria tesi con caparbieria scolastica; lancia l’una e l’altra parte un cumulo di sentenze proposte o risposte ex abrupto; e dopo una lunghissima tiritera di più di cento versi, si manifesta l’ intento di Nerone di ripudiare Ottavia e sposar Poppea, che è la meschina azione della tragedia, sulla quale si favella appena in poco più di trenta versi. […] Or chi lo spinse a mettere alla vista queste neglette bellezze, se non la propria candidezza e giustizia?
Si occupò il Goldoni tutto nella posizione esteriore mal motivata, e non si avvide che mancava alla propria imitazione l’essenza, l’anima che dovea renderla interessante. […] Gl’interpilastri che dividono i palchetti, gl’intagli, le centinature, la propria costituzione in somma lo rendono sordo. […] Ebbe poi notizie diverse da quelle che Adelvolto gli avea recate, e portatosi in provincia trovò Elfrida più bella ancora che non si diceva, ed uccise di propria mano il favorito in una caccia e sposò Elfrida. […] Gennaro Magri napoletano per leggiadria e leggerezza riscosse generali applausi in Venezia, in Torino, in Napoli, e vi espose di propria invenzione diversi balli. […] E questo fu il primo cangiamento piggiorativo fatto dal poeta nella propria ristampa dell’ Elvira.
Ognuno dava a conoscere nelle divise la propria origine o prosapia; chi si attaccava al dorso due grandi ale, chi si copriva d’un cuoio di drago, chi d’una pelle di leone13.
Quella degl’ Investiganti si formò in Napoli verso il 1679 dal Marchese di Arena Andrea Concubleto nella propria casa, come accenna il Gimma pag. 483.
Un vecchio chiamato Blepiro viene fuori con una veste di donna indosso, essendogli stata dalla moglie portata via la propria. Egli è costretto a venir fuori da un bisogno naturale, per fare in piazza ciò che la decenza prescrive di farsi nel più segreto della propria casa. […] Questa scena è propria de’ pulcinelli e degli arlecchini, ma è vivace e ridicola. […] Entrato il padre e ’l figliuolo nella propria casa, viene un creditore a domandare i suoi danari. […] Persuaso il coro e convinto il padre, il figliuolo lo prega a desistere dal giudicare in pubblico ed a contentarsi di esercitare il suo impiego nella propria casa e nelle domestiche occorrenze.
L’effetto primario di questa favola è l’ammirazione che risulta dall’eroismo di Gusmano, il quale preferisce la propria fede alla vita di suo figlio. […] Il padre trafitto dal dolore ma sempre eroe gli getta dalle mura la propria spada perchè esegua la minaccia. […] Le di lei lagrime, la costanza di Gusmano, la fierezza del Moro, la nobile rassegnazione del giovane Gusmano, formano una situazione tragica assai teatrale, che si risolve colla magnanimità di Gusmano che getta la propria spada al nemico. […] Ma per togliere al di lui cangiamento un’ aria di volubilità, non conveniva manifestar l’interna pugna della propria ragione con una passione eccessiva di sette anni di durata? […] Andres errò anche in ciò che la stimò originale e propria di Huerta, non sapendo che egli altro non fece che versificare in nuova forma la Judia de Toledo.
E’ questa la materia propria di tal situazione. […] Siface non è men generoso per amore di quello che si dimostra la consorte per fuggir la propria vergogna. […] Arriva Cecri, ode che Mirra giace svenata di propria mano, vuole appressarsi, Ciniro l’impedisce: Cin. […] Si separano fermi l’uno di secondare la propria ambizione, l’altro di rendere a Roma la libertà. […] E su questo il primo cangiamento peggiorativo fatto dal poeta nella propria edizione.
Alla pagina 240 scrissi le seguenti parole parlando del comporre a’ più parti: «Senza decidere se cotesta invenzione sia propria de’ secoli moderni, e del tutto sconosciuta agli antichi (questione odiosa intorno alla quale non potremmo assicurarci giammai nonostante i molti e celebri tutori che l’hanno trattata).» […] L’ignorare queste cose note, come suol dirsi lippis et tonsoribus, sarebbe di poco decoro per qualunque erudito ma è un vitupero e un’obbrobrio per un maestro di musica, scrittore di professione, il quale dà con ciò a divedere essergli affatto sconosciuti i fondamenti filosofici dell’arte propria. […] Finora s’era parlato della musica moderna in generale paragonandola coll’antica; ora il generale si converte all’improvviso in parziale, la parola “moderna” si confonde con quella “de’ nostri tempi”, dal sistema si salta al gusto e da tal confusione propria dell’estrattista risulta un’accusa contro di me, che mai non ho pensato a confondere una cosa coll’altra. […] E se ognuno che coltiva una professione vuol distinguersi dai compagni, desidera di esser grande piuttosto colla lode propria che coll’altrui, cerca di avanzarsi nella sua carriera per sentieri non battuti ecc., perché farlo reo, quando al contrario giusto per questo è degno di lode? […] Se questi devono avere la prudenza di non mischiarsi nel tecnico e nel pratico dell’armonia, per non precipitar negli sbagli (dei quali per altro il giornalista non ha saputo ritrovare neppur un solo nel mio secondo volume), i maestri devono guardarsi non meno dal farla da filosofi, da eruditi, e da metafisici nell’arte propria per non palesare la propria ignoranza.
Del resto egli con una evidenza propria del suo famoso saggio dimostra tali miei Pregiudizj, ed io non solo mi dispongo a contenermi nel replicare, ma penso di più dargli un attestato di rassegnazione col disfarmene e riprovargli; e per mia umiliazione vò prima ripeterli, I. […] Che importa che si dovrebbe supporre questo Scrittore assai stupido e nemico della propria riputazione, perchè sotto gli occhi suoi vedesse e tollerasse cotal forfanteria senza ricercare novella delle sue Commedie soppresse?
La togata propria era seria, e corrisponderebbe alla moderna commedia nobile, e talvolta giugneva ad essere pretestata, a cagione de’ personaggi cospicui che soleva ammettere, ed anche trabeata, così detta dall’antica trabea reale degli auguri e de’ re. […] Il nominato Ila però sommamente licenzioso ad istanza del Pretore fu da Augusto nella propria casa fatto pubblicamente bastonarea.
Provvida nonpertanto la Natura lo fornì di tali secreti efficaci espedienti, che nella propria essenza e nelle circostanze della sua esistenza egli rinvenne i mezzi d’escire dallo stato ferino e selvaggio e di respingere e tener lontano ogni assalitore. […] I quali nel pronunciarsi con certa cantilena e con espressivo atteggiamento diedero la vita anche alla pronunziazione, che è la prima musica della natura, e poi alla musica stessa artificiale; da che l’uomo solingo posto in mezzo alla silenziosa amenità della campagna sentesi sensibilmente invitato e rapito a mandar fuori di se i versi e a modular la propria voce per incantar dolcemente i sensi di chi l’ascolta; prendendone l’esempio dal concorde suono del grato mormorar de’ ruscelli, del susurrar dell’aure leggiere, del frascheggiar de’ teneri frondosi virgulti, e del lieve aleggiare e del gorgheggiar soave de’ canori augelletti.
La togata propria era seria, e corrisponderebbe alla moderna commedia nobile, e talvolta giugneva ad essere pretestata, a cagione de’ personaggi cospicui che soleva ammettere, ed anche trabeata, così detta dall’antica trabea reale degli auguri e de’ re. […] Ila però come sommamente licenzioso ad istanza del Pretore fu da Augusto nella propria casa fatto pubblicamente bastonare148.
Gli spettacoli destinati al ristoro della società dopo la fatica, furono un bisogno conosciuto dalla nuova città più tardi di quello di assicurare contro gli attentati domestici e stranieri la propria sussistenza per mezzo della religione, della polizia e delle armi, Perciò quando l’Etruria sfoggiava contante arti e con voluttuosi spettacoli, e quando la Grecia produceva copiosamente filosofi poeti e oratori insigni e risplendeva pe’ suoi teatri, Roma innalzava il Campidoglio, edificava templi, strade, aquidotti, prendeva dall’aratro i dittatori, agguerriva la gioventù; batteva i Fidenati e i Vei, scacciava i Galli, trionfava de’ Sanniti, preparava i materiali per fabbricar le catene all’Etruria, alla Grecia, e ad una gran parte del nostro emisfero.
Il Giouine, ch' assisteua al mio negozio di libri ; doppo hauere pagato di mano propria molti mesi del suo salario ; se n’ è d’improuiso fuggito in Messina in una Naue Inglese, portandosi uia tutto il buon della Bottega.
Egli non sapendo se Ninia viva, macchina la rovina della propria sorella, cui, mancando il di lei figliuolo, apparterrebbe il trono. […] A vista della manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi così inetta che non sa prendere verun partito per la propria salvezza. […] Lascio di favellare nè punto nè poco del Nadal, Le Blanc, Pavin ed altri ad essi somiglianti obbliati dalla propria nazione. […] Che rappresentarono i Greci se non gli evenimenti della propria storia? […] Bajardo chiama augusta la propria umiliazione?
È palese ancora che le parole atte a formare la misura propria di ciascuna spezie di versi furono chiamate piedi o numeri secondo il maggior o minor numero di sillabe di che eran composti. […] Né mi dimenticherò di riflettere che ogni sorta di misura ha l’energia sua propria, e che siffatte energie non ponno trasferirsi, scomporsi, o simplificarsi, ove non se ne alteri l’espressione. […] Aristotile dopo aver notati i differenti generi di musica soggiugne che ognuno di questi avea un modo e un’energia sua propria, e che il carattere dell’uno non si affacceva all’altro. […] [NdA] Claudio Tolomei, celebre letterato sanese del Cinquecento, aveva deliberato di far man bassa su tutto ’l presente apparato metrico, e d’introdurre l’antica usanza del ritmo, tentando in tal guisa d’inalzare la propria lingua fino a renderla capace di gareggiar colla greca.
Ma la lingua castigliana é ricchissima, e ha non pochi giri ed espressioni simili a quelle dell’italiana, e non manca di qualche sorta di linguaggio poetico; e n’avrebbe ancor più, se fosse stato dalla propria nazione più conosciuto, e fecondato nel disegno d’arricchire e nobilitar la poesia castigliana, l’andaluzzo Herrera, buon poeta e felice imitator del Petrarca. […] «Quaedam gentes (scrisse fin dal IV secolo Giulio Firmico Materno ne suoi libri astronomici) ita a Caelo formatae sunt ut propria sunt morum unitate perspicuae. […] Legge egli, p. e., che l’ambizioso e innamorato Aquilio, il quale usa ogni arte per romper la corrispondenza di Sabina e Adriano, vedendo che l’amor d’Augusto e gli sdegni di Sabina combattono per lui, prevede la propria vittoria, ma si dispone a vederla matura, e ad usar tutta l’arte d’un esperto schermidore, il quale esamina il nemico, frena il proprio sdegno, e attende il momento, che lo rende vincitore. Chiunque sappia far uso della propria ragione, ciò leggendo, dice fra se, conviene ad Aquilio quest’immagine?
Ne segue parimente un’ altra filosofica e sicura conseguenza, cioè che la poesia teatrale prende l’aspetto della coltura di ciascun popolo: se esso non eccede i costumi primitivi e semplici, l’imitazione scenica ne seconderà la materia: se ha costumi barbari, feroci, romanzeschi, il teatro gl’imiterà: e se si giunga all’ultimo raffinamento e alla doppiezza propria de’ popoli culti, nasceranno i Tartuffi de’ Molieri e i Cleoni de’ Gresset a a.
Chiamar Clitennestra nella propria casa perchè l’assista nel finto parto imminente. […] Ora in tal congiontura la situazione dì Agamennone che si copre il volto, è perduta, e parer debbe men bella e men propria. […] Fedra in mezzo alle donne del Coro, assistita dalla nutrice, piena della propria passione, distratta, fuori di se, secondo la mia versione, favella in Euripide in tal guisa: Fedra Ah perchè non poss’io spegner la sete Nel l’onda pura di solingo rio? […] Ercole furioso sino al l’atto III tratta della giusta vendetta presa da Ercole contro il tiranno Lico oppressore degli Eraclidi: negli ultimi due atti cambia di oggetto, ed una Furia chiamata da Iride viene a turbare la ragione di Ercole a segno che questi di propria mano saetta i figliuoli. […] L’oracolo che comanda un sacrifizio di una vergine illustre, perchè gli Ateniesi possano trionfar degli Argivi, apporta una rivoluzione interessante, facendo ricadere gli Eraclidi in una penosissima incertezza, non essendo nè onesto nè sperabile che qualche illustre Ateniese s’induca in favore di persone straniere a versare il sangue di una propria figlia.
Io quì vedo un manifesto decreto di condennazione positiva della licenza immoderata della scuola Lopense e Calderonica, la quale, traviando dalla norma comune, e da’ precetti indispensabili, permise a’ Poeti l’abbandonarsi alla propria intemperanza. […] Nella Dama Melindrosa (posta tralle eccellenti Commedie del Vega dal Signor Lampillas forse senza averla letta) si vede Celia Dama principale che fugge dalla propria Casa con Felisardo suo amante, e si rimane (contro la verisimiglianza ancora) nell’istesso Madrid, dove pure stà suo Padre, fingendosi schiava Mora e servendo in una Casa. […] Un rompicollo perseguitato dalla Giustizia, incapace di amistà, senza rispetto di Leggi, nè di Religione, non solo ammesso da Leonora nella propria Casa, ma da lei cercato fino nella Locanda, come farebbe una donnicciuola di mondo.
Confessiamo non pertanto che nè tragico timore nè compassione desta il pericolo del protagonista Cinna, che è un traditore senza scusa, che al proprio dovere verso un sovrano e un benefattore contrappone la sola propria compiacenza per una donna. […] In tutti gli oggetti egli spande la propria sensibilità. […] Tommaso con più debolezza di stile e con minore ingegno del fratello merita ancor la stima de’ nazionali per essere stato più di Pietro castigato nell’uso delle arguzie viziose, per la scelta degli argomenti, per la vasta letteratura ond’era ornato, e per la purezza con cui parlava la propria lingua.
La giudicatura cadde nelle mani di uomini senza lettere, i quali non di rado venivano dalle parti astretti a pruovar coll’ armi la propria integrità e la giustizia della sentenza profferita, per la qual cosa in essi richiedevasi più forza di corpo che di mente. […] Così venne a indebolirsi l’ indipendenza de’ baroni; le corone accrebbero la propria prerogativa; ed il popolo spezzate le sue catene diede allo stato cittadini utili ed industriosi. […] Ebbero questi conquistatori, per governare sì la propria nazione tra noi traspiantata, che gl’ Italiani che volessero soggettarvisi, il celebre editto di Rotari settimo re d’Italia pubblicato nel 643, quello di Grimoaldo del 668, i capitoli di Luitprando incominciati ad uscire dal 713, quelli di Rachi del 746 e di Astolfo del 753.
Perrino, che fu il primo poeta che componesse opere nella propria lingua, Cambert, primo direttor francese della orchestra drammatica, e Sourdiac, primo macchinista, divertirono per molti anni la corte con spettacoli sconci in quel tempo medesimo che il gran Cornelio creava il teatro tragico, che Racine incominciava a gareggiar con Euripide, e che sorgeva Moliere oscurando colle sue commedie la gloria degli Aristofani e de’ Terenzi. […] Ne addurrò dunque alcuni squarci nella propria lingua, non osando trasferirli nella italiana per non toccar con mani profane la Venere ignuda de’ Medici.
Il Tesoro più della precedente sembra propria della scena, meno della prima prolissa, ed in generale più comica ed interessante. […] L’autore si prefisse la più bella azione che possa onorare un buon padre di famiglia per farlo trionfare utilmente sulla scena; cioè l’obbligare, ad onta della propria nobiltà, il figliuolo a mantener la fede ad una fanciulla di condizione inferiore ch’egli avea renduta feconda.
Il Tesoro a me sembra più interessante, più della precedente propria per la scena, meno della prima prolissa, e in generale più comica. […] L’autore si prefisse la più bella azione che possa onorare un buon padre di famiglia per farlo trionfare utilmente sulla scena; cioè l’obbligare, ad onta della propria nobiltà, il figliuolo a mantener la fede ad una fanciulla di condizione inferiore, ch’ egli avea renduta feconda.
Il favor del padron gonfio ti rende; Perchè ti liscia, ti vezzeggia, e pettina, Perchè di propria man ti lava al fonte.
Lepido Mnestere; e quando egli ballava, se qualche spettatore inconsiderato faceva il minimo romore, comandava che gliel recassero innanzi, e di propria mano lo flagellava106.
Andrea concubletto nella propria casa.
Imperciocchè i tragici ricavavano i loro soggetti dalle favole di Omero e dalla mitologia; ma i comici soccorsi soltanto dalla propria immaginazione gli traevano, per così dire, dal nulla, e presentavano uno spettacolo tutto nuovo.
Non v’ha che Monrose il quale pieno de’ suoi spaventi e pericoli porta nella favola la propria tristezza quasi tragica.
Nè sa come tu dolce il cor saetti coi due begli occhi, dove in propria sede regnan le grazie, e i cari genj eletti a cento belle e gloriose prede.
Ma tutto ne imitò di mano in mano, a misura che andava prendendo forma; e gli spettacoli destinati al ristoro della società dopo la fatica, furono un bisogno conosciuto dalla nuova città più tardi di quello di assicurare la propria sussistenza contro gli attentati domestici e stranieri colla religione, colla polizia, e colle armi. […] E’ sublime la risposta che dà alla nutrice, la quale le rappresenta la propria debolezza: Nut. […] Ottavia senza cagione ancora comparisce di nuovo a lamentarsi della fortuna; la Nutrice ascolta la di lei voce, e apostrofando la propria vecchiaia, Cessas thalamis inferre gradus. […] La togata propria era seria, e corrisponderebbe alla nostra commedia nobile; e talvolta arrivava ad esser pretestata a cagione de’ personaggi cospicui che solea ammettere. […] Questo medesimo Ila sommamente licenzioso ad instanza del pretore fu da Augusto nella propria casa fatto bastonar pubblicamente97.