Ci è noto il suo valore artistico per questi versi del Loret pubblicati nella sua Muse historique del 16 agosto 1653 : Une troupe de gens comiques, venus des climats italiques, dimanche dernier, tout de bon, firent dans le Petit-Bourbon, l’ouverture de leur théâtre, par un sujet assez folâtre, où l’archiplaisant Trivelin, (Domenico Locatelli) qui n’a pas le nez aquilin, fit et dit tout plein de folies qui semblèrent assez jolies.
Se glorifica in parte i versi miei, nel giubilo del sen farò che sia gloria del suo bel cor la gloria mia.
Non sappiamo di qual terra fosse nativa la Rocca, e questi versi del Fidenzi (pag. 36) Delia qui giace, il cui almo sembiante ornò le Tosche Scene,…..
È palese ancora che le parole atte a formare la misura propria di ciascuna spezie di versi furono chiamate piedi o numeri secondo il maggior o minor numero di sillabe di che eran composti. […] Essi ci rendono consapevoli all’opposto che l’opere di Empedocle, di Parmenide, di Nicandro, e di Teognide, comecché fossero scritte in versi, pure non furono giammai comprese nel numero de’ poemi, non perché loro mancava l’entusiasmo, ma perché era da loro sbandita la finzione. […] Io ho voluto tanto più applicarmi all’esame di questa parte quanto più vedeva l’affinità di essa col mio soggetto, sendochè il canto era inseparabile dalla poesia degli antichi, appo i quali l’arte di comporre in versi era secondo l’Abate Vatry l’arte d’unire delle parole acconcie ad essere cantate, com’io proverollo più a lungo parlando della loro declamazione. […] Le perpetue desinenze in vocale, che mollezza spesse fiate e grazia le aggiungono ne’ versi corti d’undici sillabe, fievole e cascante la renderebbero nell’esametri, i quali per sostenersi nella loro pienezza e rotondità hanno bisogno dell’aiuto delle consonanti, come si vede aver fatto i Greci ed i Latini. […] [NdA] Questa legge fu costantemente osservata fintantoché i poeti formarono eglino stessi la musica de’ loro versi, ma quando la poesia e la musica si separarono, i musici non ponendo più la medesima cura nell’espressione non ebbero nemmeno il dovuto riguardo alla quantità, e osarono di sminuire, spezzare, e moltiplicare il suono d’una stessa sillaba.
Il piano, la sceneggiatura, tutto l’atto III col sogno d’Inès; tutto il IV colla patetica aringa fatta al re Alfonso dalla stessa e col congedo che ella prende da’ figliuoli; la forma de’ versi saffici de’ cori, l’atto V, in somma tutto involò al Portoghese senza avvertirne almeno in qualche modo il pubblicoa. […] Il suo ornato consisteva in una manta vecchia tirata con due corde, la quale divideva dal palco la guardaroba (che sarebbe il postscenium degli antichi) e dietro di questa manta stavano i musici, cioè gli attori che da principio cantavano senza chitarra qualche antica novella in versi che in castigliano chiamasi romance. […] I drammi di Lope consistono in commedie, tragicommedie, pastorali, tramezzi ed atti sacramentali, tutti in versi, a riserba della Dorotea già nominata voluminosa novella in dialogo scritta in prosa per leggersi e non per rappresentarsi. […] Il Perez benchè mancato immaturamente di anni trentacinque, avea col nome latinizzato di Petrejo acquistata molta fama pe’ suoi pregevoli versi latini. […] Amendue le tragedie di questo Galiziano mancano di azione e d’intrigo: abbondano amendue di lunghissimi discorsi episodici intarsiati di fregi lirici: sono amendue estremamente languide, specialmente nello scioglimento: amendue sono verseggiate con ottave, ridondiglie e sonetti, con faleucii, saffici e gliconici castigliani, e con ogni sorte di versi rimati.
Si richiede dal tragico, che esprima le passioni, e i caratteri, ma che gli esprima cogli stromenti propri dell’arte sua, cioè col verso, e collo stile poetico; altrimenti s’avesse a dipignere veramente le cose quali furono, sarebbe costretto a far parlar Maometto, e Zaira in linguaggio arabo piuttosto che in francese, in prosa familiare, e non in versi alessandrini. […] Può nulla meno la musica accompagnare le sentenze istruttive della poesia, se non colla viva espressione d’un canto imitativo, almanco seguitando colla misura, coll’andamento e col tempo il tuono generale del discorso, purché i versi, che s’accompagnano, non abbiano suono così malagevole e rozzo, che al canto inetti riescano, e per conseguenza non siano drammatici. Per esempio in codesti versi: «Comincia il regno Da te medesmo: i desideri tuoi Siano i primi vassalli: onde i soggetti Abbiano in chi comanda L’esempio d’ubbidir. […] In contraccambio la musica è più espressiva della poesia, perché imita i segni inarticolati che sono il linguaggio naturale, e per conseguenza il più energico, egli imita col mezzo de’ suoni, i quali, perché agiscono fisicamente sopra di noi, sono più atti a conseguire l’effetto loro che non sono i versi, i quali dipendendo dalla parola, che è un segno di convenzione, e parlando unicamente alle facoltà interne dell’uomo, hanno per esser gustati bisogno di più squisito, e dilicato sentimento. […] Perché tutto è anima, tutto immagine, tutto dilicatezza nel poeta mantovano. perché sa parlare alla fantasia idoleggiando ogni cosa, al cuore scegliendo i quadri più interessanti, all’orecchio lavorando i suoi versi con una varietà e dolcezza d’armonia, che incanta.
I della Poetica nella Deca istoriale, su il primo inventore del verso tragico, e del Coro similmente tragico, ed introdusse Satiri in scena a parlare in versi. […] Fu posta sulla tomba di Sofocle la figura di uno sciame di api per perpetuare il nome di ape, che la dolcezza de’ suoi versi gli avea procacciato; il che probabilmente fece immaginare, che le api si erano fermate sulle di lui labbra quando stava in culla.
Più d’ogni altra cosa contribuì l’eleganza, la precisione e chiarezza dello stile, la naturalezza e facilità del periodo, la varietà, mollezza, ed armonia de’ versi, la dilicatezza dell’affetto, tutte quelle doti insomma che caratterizzano la poesia musicale, e nelle quali Quinaut non ha avuto alcun rivale in Francia né prima né poi. […] Leggansi nell’atto quinto dell’Attide que’ versi, dov’egli rimprovera a se stesso di essere stato l’omicida di Sangaride: «Quoi! […] [7] S’avverta innoltre al discorso che fa Ercole a Plutone; si rifletta al coro che nella Proserpina ringrazia gli dei per la sconfitta de’ giganti; si leggano i versi dove si fa per ordine di dio la creazione del mondo; si paragonino poi codesti squarci e molti di più che potrebbero in mezzo recarsi coll’ode sulla presa di Namur, dove Boeleau ha voluto far pompa di lirica grandiosità, indi si giudichi, se sia o no più facile il criticar un grand’uomo che l’uguagliarlo.
» Dryden avea detto in alcuni versi a Sir Godfrey Kneller: For what a song, or senseless opera Is to the living labour of a play, Or what a play to Virgil’s works would be, Such is a single piece to history.
Mori questo poeta trafitto da un colpo di freccia, siccome appare da versi di Ovidio in Ibin, Utque cothurnatum periisse Locophrona narrant, Haereat in fibris missa sagitta tuisa.
Tutti poi, senza che gli uni sapessero degli altri, i popoli sotto la linea o nelle opposte zone nell’incaminarsi alla coltura s’imbattono nella drammatica, la coltivano colle medesime idee generali, favoleggiano da prima in versi, ed hanno sacre rappresentazioni, e passano indi a ritrarre la vita civile, ad eccitar ne’ grandi delitti l’orrore e la compassione, a schernire e mordere i vizii de’ privati, e ad esser dalla legge richiamati a temperar l’amarezza della satira; dal che proviene la bella varietà e delicatezza delle nuove favole nate a dilettare ed istruire.
Il Romagnesi fu veramente lodato da chiari ingegni del suo tempo, e ha versi diretti all’Abati e a Salvator Rosa.
Alcuni versi inseriti in un’ altra, e dalla malignità naturale de’ cortigiani interpretati contro del Principe, cagionarono la morte del poeta. […] Furono anche versificatori; ma per lo più (almeno per quel che apparisce da i libri dell’Escoriale) si limitavano a’ componimenti di non moltissimi versi, ne’ quali facevano pompa di acrostichi, antitesi e giuochetti sulle parole, sembrando che i loro talenti non si fussero avvezzati a soffrire il peso di un poema grande e seguito come il drammatico. […] Il primo del 746 dell’Egira scritto parte in versi e parte in prosa, è di Mohamad Ben Mohamad Albalisi, nel quale trattengonsi a darsi vicendevolmente il giambo cinquantuno artefici. […] Tutti poi, senza gli uni saper degli altri, i popoli sotto la linea o nelle opposte zone nell’incamminarsi alla coltura s’imbattono nella drammatica; la coltivano colle medesime idee generali; favoleggiano da prima in versi, ed hanno sacre rappresentazioni; passano indi a dipignere la vita civile, ad eccitar ne’ gran delitti l’orrore o la compassione, a schernire e mordere i vizj de’ privati, e ad esser dalla legge richiamati a temperar l’ amarezza della satira, dal che proviene la bella varietà e delicatezza delle nuove favole nate a dilettare ed instruire.
Gli applausi che ne riscosse gl’ inspirarono il disegno di proseguire nella carriera tragica, e diede alla luce due altre tragedie di cristiano argomento, la Giustina in versi sciolti impressa in Milano nel 1617, e l’Irene impressa in Napoli nel 1618 dedicata alla città di Lecce58. […] Tiberio Gambaruti d’ Alessandria morto nel 1623 pubblicò la Regina Teano: Filippo Finella filosofo Napoletano pubblicò nel 1617 la Cesonia e nel 1627 la Giudea distrutta da Vespasiano e Tito: Ettore Pignatelli cavaliere Napoletano compose co’ materiali del greco romanzo di Eliodoro di Cariclea e Teagene la sua tragedia la Carichia che uscì alla luce delle stampe in Napoli nel 162759: il Luzzago pubblicò l’Edelfa nel 1627: il Pistojese Francesco Bracciolini la Pentesilea, l’Evandro, l’Arpalice: il Bolognese Batista Manzini la Flerida gelosa mentovata dal Ghilini: Melchiorre Zoppio anche Bolognese fondatore dell’Accademia de’ Gelati morto nel 1634, il quale mostrò troppo amore per le arguzie, ne compose cinque, Medea, Admeto, i Perigli della Regina Creusa, il Re Meandro, e Giuliano; ma il suo Diogene accusato che il Ghilini credè tragedia, è una commedia in versi di cinque, di sette e di nove sillabe, e s’impresse nel 1598: ed il Pindaro di Savona Gabriele Chiabrera pubblicò in Genova la sua tragedia Erminia nel 1622, nella quale non rimane a veruno de’ precedenti inferiore per regolarità, per economia, per maneggio d’affetti, sebbene manifesti di non aver nascendo sortiti talenti per esser un gran tragico, come era nato per essere un gran lirico. […] Desta tutta la compassione così appassionata dipartita, e più commoverebbe senza le studiate antitesi de’ versi seguenti. […] Non manca nè di regolarità nè di nobiltà, nè porta la taccia degli eccessi ne’ quali trascorse al suo tempo l’amena letteratura; ma col discorso egli tentò invano insegnare che nelle tragedie, sul di lui esempio, dovessero usarsi i versi rimati.
Accanto ad opere di un ascetismo oserei dire ridicolo, alle solite difese del teatro virtuoso, alle lacrime, alle penitenze stemperate in versi più o meno barocchi, troviamo commedie, nelle quali sono frasi e parole da far arrossire il più spregiudicato. […] » Finita la gloria, « spiccheransi a volo il Favor Divino e l’arcangelo Michele, su’ l Palco discendendo, e cantano i seguenti versi, congedo all’ Auditorio donando. » E aggiunge l’Andreini in nota che « conforme il solito, li duo versi segnati di stella (che sono gli ultimi), il Favor Divino, e Michele Arcangelo anderan quelli con ischerzi musicali iterando ; poi tutti gli Angeli a tutto coro di voci ed istromenti replicando gli stessi versi, l’opera sarà finita a gloria di tal Santa Penitente.
Fioriva la prima in molte arti di lusso non che di necessità, ma non ebbe della drammatica se non que’ semi che sogliono produrla da per tutto, cioè travestimenti, ballo, musica e versi accompagnati da gesti. […] Ebbe pure gli Haravec (vocabolo corrispondente ad inventore, trovatore, poeta) ne’ cui versi scorgonsi lampi di poesia; e l’inca Garcilasso ci ha conservato un componimento in cui veggonsi le meteore bellamente personificate e arricchite d’immagini giuste e vivacia.
Euripide rende al solito assai ragionatrice Medea e per più di quaranta versi lussureggia con varie sentenze morali, e con riflessioni generali sulle donne incominciando da Κορινθιαι γυναικες. Martirano risecando quasi tutto questo squarcio attende solo alla passione di Medea per l’ingratitudine e l’infedeltà di Giasone, consumandovi appena intorno a quindici versi, Corinthiae puellae, acerbus est quibus etc.
Fioriva la prima in molte arti di lusso non che di necessità, ma non ebbe della drammatica se non que’ semi che sogliono produrla da per tutto, cioè travestimenti, ballo, musica, e versi accompagnati da gesti. […] Ebbe pure gli Haravec (vocabolo corrispondente a inventore, trovatore, poeta) ne’ cui versi scorgonsi lampi di poesia; e l’Inca Garcilasso ci ha conservato un componimento in cui veggonsi le meteore bellamente personificate e arricchite d’immagini giuste e vivaci35.
Nella Essagerazione fatta in riva al Serchio, abbiamo più distesamente che qui il vivo desiderio di monacar le due figliuole, alle quali mostra a color fosco le pene del matrimonio, a esempio di sè forse, alla cui poca felicità maritale accenna in quei versi della Canzone : Imeneo legommi, avvinto ne’ cui lacci or vivo, e stommi venduta libertà senz’alcun prezzo ; e ’l pentirsi non vale in ciò da sezzo. […] Danaro, anche al solito, mandatogli, pel quale scrisse poi al Thon un nuovo capitolo di ringraziamento, ove son questi versi accennanti, ancora, alla figliuola Tranquilla : …………… questa è una Bambina, che in Brescia, non ha molto, a patir venne ; E d’età di tre mesi, una mattina, perchè trovò alla madre il seno asciutto, isvenne, e fu quasi al morir vicina.
Che quantità e varietà di note in questi quattro versi ! […] Niun meglio di lui seppe sospirar la parte di Bonfil ; niuno, meglio di lui, i versi di Orosmane….
Longepierre non lavorava con diligenza i suoi versi, non si elevava per lo stile, non conosceva il teatro francese, e la sua tragedia cadde ed annojò. […] Ersilia che nell’atto terzo dice da parte di avere scritto il biglietto, manifesta mancanza di arte nel poeta, ed oltre a ciò con poca verisimiglianza e ragione i versi ch’ella profferisce si sentono benissimo dagli spettatori, e non da Romolo. […] Le poetiche di tutti i possibili Marmontel, i discorsi, le lettere, le infelici cartucce critiche meditate da’ pedanti nella loro povertà, non vagliono unite insieme quattro versi di questa scena. […] Voltaire afferma ch’egli nel medesimo anno ne produsse due uno in versi che si rappresentò, l’altro in prosa non mai recitato. […] Ne traduco per saggio gli ultimi versi: Procolo, che a morir menisi il figlio.
Nell’Atto secondo Sinone è condotto prigioniero dinanzi al re, e vi tiene quel discorso dove Virgilio ha cosi bene espresso in versi latini la greca eloquenza.
Con questo corredo di preparazione ho ripreso, per poco, lo studio dei versi e poi le prove lentamente, tentando di dar vita a quella figura che sapevo e che…. il pubblico solo ora può dire in quanta parte di vero abbia reso.
Niuno meglio di lui ha saputo piegar la lingua italiana all’indole della musica ora rendendo vibrati i periodi nel recitativo; ora scartando quelle parole che per esser troppo lunghe o di suono malagevole e sostenuto non sono acconcie per il canto; ora adoperando spesso la sincope e le voci che finiscono in vocale accentuata, come “ardì”, “piegò”, “sarà”, lo che molto contribuisce a lisciar le dizioni; ora framischiando artifiziosamente gli ettasillabi cogli endecasillabi per dare al periodo la varietà combinabile coll’intervallo armonico e colla lena di chi dee cantarlo; ora smozzando i versi nella metà affinchè s’accorcino i periodi, e più soave si renda la posatura; ora usando discretamente ma senza legge fissa della rima servendo così al piacere dell’orecchio e a schivare la soverchia monotonia; ora finalmente adattando con singolar destrezza la diversità de’ metri alle varie passioni, facendo uso dei versi curti negli affetti che esprimono la languidezza, allorché l’anima, per così dire, sfinita non ha forza che basti a terminar il sentimento. […] [12] Nei quali esempi, come generalmente nelle poesie di Metastasio, è da osservarsi la destrezza colla quale ha egli saputo dare a’ suoi versi quel grado di armonia che è necessaria affinchè la melodia musicale vi si possa insieme accoppiare senza renderli troppo sostenuti e sonori, come sono comunemente i versi dei poemi non cantabili. […] Quella azione, che è l’anima del teatro, e la quale sola ha rendute durevoli molte produzioni per altri versi ridicole. […] [36] Chi gusta la lingua francese troverà questi versi d’un’armonia e pienezza mirabile. […] Nulla di più comune ne’ suoi componimenti quando il sentir i personaggi, allorché danno un consiglio o sono agitati da qualche passione, trattenersi tranquillamente a paragonar se medesimi alla nave, al fiore, al ruscello, alla tortora, allungandone la comparazione per sei e otto, alle volte per dieci e dodici versi.
In questi versi si vede egregiamente espresso quell’ἀίμʹ εμφύλιον, sanguinem cognatum , che il dottissimo Brumoy desiderava nella per altro elegante traduzione di questo passo fatta da Niccolò Boileau. […] Anche Euripide compose un’ Antigone, della quale si sono conservati alcuni pochi versi. […] Tra’ frammenti di Euripide trovansi alcuni versi di una sua tragedia sul medesimo personaggio.
Questi sono que’ d’Andrea Salvadori, il quale meglio d’ogni altro seppe dopo il Rinuccini far versi accomodati alla musica, alcuni del Conte Prospero Bonarelli, dell’Adimari, del Moniglia, il Trionfo d’Amore di Girolamo Preti, e pochi altri. […] Non si può meno di non ridere nel vedere nella musica fatta dal Melani sul dramma intitolato il Podestà di Coloniola affaccendato sommamente il compositore per rendere cogli strumenti il suono dei rispettivi animali descritti ne’ seguenti versi: «Talor la granocchiella nel pantano Per allegrezza canta qua quarà: Tribbia il grillo tre, tre, tre: L’agnellino bè, bè, bè: L’assiuolo uhu, uhu, uhu, Et il gal cucchericcù; Ogni bestia sta gaia, io sempre carico Di guidaleschi a ugni otta mi rammarico.» […] Aggiungasi inoltre che i versi piccoli di quattro e cinque sillabe soliti a usarsi allora ne’ drammi mettevano i compositori in necessità di valersi di note minutissime, lo che rendeva la musica stemperata, e che la frequenza de’ versi rimati gli costringeva a far sentir troppo spesse, e vicine le consonanze, lo che la rendeva monotona.
Degni d’un eroe sono i versi dell’ultima scena: Je suis maître de moi comme de l’univers, Je le suis, je veux l’être. […] Uno ne fece nelle nozze del duca di Joyeuse e di madamigella di Vaudemont, aiutato nella musica da Beaulieu e da Salmon, e ne’ versi da Chesnaye, il quale li ballò nel 1582206. […] Questo monarca ballò in pubblico nell’opera italiana dell’Ercole amante insieme colla regina; e di poi la varie commedie-balletti di Molière coi principali personaggi della sua corte e cogli attori e ballerini fino al 1670 trentesimo secondo dell’età sua, quando scosso da alcuni versi del Britannico di Racine207, si astenne di ballar più in teatro. […] Ecco i versi: Pour mérite premier, pour vertu singulière, Il excelle à traîner un char dans la carrière, À disputer des prix indignes de ses mains, À se donner lui-même en spectacle aux Romains.
Gli applausi che ne riscosse, gl’ispirarono il disegno di proseguire nella carriera tragica, e diede alla luce due altre tragedie di cristiano argomento, la Giustina in versi sciolti impressa in Milano nel 1617, e l’Irene in Napoli nel 1618 dedicata alla città di Lecce. […] Melchiorre Zoppio anche bolognese fondatore dell’Accademia de’ Gelati morto nel 1634, il quale mostrò troppo amore per le arguzie, ne compose cinque, Medea, Admeto, i Perigli della Regina Creusa, il Re Meandro e Giuliano; ma il suo Diogene accusato che il Ghilini credè tragedia, è commedia scritta in versi di cinque, di sette e di nove sillabe, e s’impresse nel 1598. […] Desta tutta la compassione così appassionata dipartita, e più commoverebbe senza le studiate antitesi de’ versi seguenti. […] Non manca nè di nobiltà, nè di regolarità, nè porta la taccia degli eccessi di stile, ne’ quali trascorse a suo tempo l’amena letteratura; ma col disborso l’autore tentò invano insegnare che nelle tragedie, sul di lui esempio, dovessero usarsi i versi rimati.
La traduzione dell’Aminta in bel versi castigliani del Jauregui, e quella del Pastor Fido del Figueroa, meritano tutta la stima degl’intelligenti. […] La musica, costante amica dei versi ancor de’ selvaggi, la quale nell’oriente si frammischia senza norma fissa neller, e in Atene e in Roma avea accompagnata or più canoramente, come ne’ cori, or meno, come negli episodi, la poesia rappresentativa, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò divisa. Lasciato il teatro alla poesia e alla rappresentazione, la musica si conservava nelle chiese, e accompagnava la danza e i versi che ne’ caroselli soleano cantarsi sui carri e altre macchine161. […] Il signor Riccoboni nella seconda parte dell’Istoria del Teatro Italiano diede il piano e la critica di quella tragedia del Trissino, della quale i francesi hanno due antiche traduzioni, l’una in prosa, e i cori in verso, fatta da Mellin de Saint Gelais, e stampata in Parigi nel 1560; l’altra in versi fatta da Claudio Mermet, e impressa in Lione nel 1585. […] Di grazia, parlano in versi gli uomini?
Citansi ancora con molti elogii altre sue commedie, il Colace, il Fasma, la Taide, della quale si ha questo frammento, Colloquia mores prava corrumpunt bonos, i Fratelli, di cui si conservano questi versi Communia amicos inter, non pecuniæ Tantum, sed et mens pariter et prudentia, l’Incensa, di cui Grozio traduce quest’altro squarcio, Pereat male qui uxorem ducere Instituit primus, tum secundus qui fuit, Tum tertius, tum quartus, tum postumus, e la commedia intitolata Plozietta (Plotium) imitata da Cecilio il più accreditato Comico Latino. […] Ma perchè le mirabili sue dipinture della vita civile e le preziose sue riflessioni filosofiche riferivansi a gara nelle migliori opere de’ sacri scrittori Cristiani, non che de’ più illustri filosofi gentili, se ne sono conservati molti versi.
Ibraim Gran Visir e genero dell’imperadore Acmet III, è stato un poeta che ne’ versi fatti per la sultana che poi fu sua moglie, ha mostrato d’ intendere e sapere esprimere le delicatezze dell’ amore78.
Io son sempre per la prima ipotesi, aggiungendo l’altra che col nome di teatro e con quel della Compagnia a cui appartenne, abbia fatto per un volume di versi un nome di guerra.
Dopo la morte del grande artista il Mercurio di Francia pubblicò i seguenti versi : SUR LA MORT D’ARLEQUIN Les plaisirs le suivoient sans cesse, Il répandoit partout la joie et l’allégresse.
Scrisse in prosa con chiarezza e semplicità :… mediocremente in versi.
Aveva la parrucca goldoniana incipriata, veste, panciotto e calzoni corti color marrone, calze rosse al di sopra de' calzoni, scarpe con fibbia e cappello rotondo. » Un opuscoletto edito dal Cairo a Codogno (s.a.) sulle cinquanta maschere italiane, poco attendibile per quanto riguarda la esattezza de' costumi, benchè graziosamente disegnati, e dei caratteri, non saprei dire su che basati, benchè descritti in versi abbastanza garbati, ci mostra Tabarrino in perfetto costume di gentiluomo spagnuolo del secolo xvii con sotto questa sestina : Tabarrino dal palco satireggia contro i nobili finti e cortigiani.
Algarotti dialoga con d’Alembert, autore del Discours préliminaire de l’Encyclopédie, fin da questa prima redazione nella parte relativa alla trattazione della musica13, ma cita, tra i contemporanei, anche Metastasio, Leibnitz, Antonio Maria Salvini, Voltaire, di cui sono riportati dei versi tratti dal poema Le Mondain 14 del 1736 che scompaiono nella seconda redazione del 1755 e sono invece ripresi nella redazione livornese del 1763. […] La conclusione si distanzita decisamente da quella della prima redazione; proprio in virtù di una ricomposizione del discorso in termini meno militanti e immanenti, sono espunti i toni anche polemici che avevano caratterizzato la prima redazione, laddove Algarotti prendeva le distanze dal dibattito e dalle censure primosettecentesche, criticava il costume corrotto del teatro contemporaneo20 e citava i versi provocatori di Voltaire tratti da Le Mondain. […] La prima delle due edizioni del 1755, conclusa nel 1754, fu pubblicata all’inizio di una raccolta che comprendeva i seguenti discorsi: Sopra la durata de’ regni de’ re di Roma; Sopra la giornata di Zama; Sopra il Cartesio; Sopra la pittura; Sopra la rima e le Epistole in versi. […] Si trova inserita qui nella conclusione la citazione da Orazio, Epistola ad Augusto, che diventa nell’edizione del 1757 l’epigrafe e nelle edizioni successive è inserita a conclusione del paragrafo dedicato a Della maniera di cantare e recitare: «Garganum mugire putes nemus, aut mare Tuscum: tanto cum strepitu ludi spectantur et artes» (Orazio, Epistola 1, libro II, versi 202-203: «potresti credere che i boschi del Gargano o il mare Tirreno urlino, tanto è lo strepito con cui guardano gli spettacoli teatrali»).
Nota alla nota d’autore n. 10: «Dobbiamo considerare che gli antichi attribuivano alla musica un significato più ampio di quello odierno: poiché la poesia e la danza (o il movimento aggraziato) furono poi considerate parti della musica, quando la musica arrivò ad una certa perfezione… Quello che ora chiamiamo musica è quello che essi chiamavano armonia, che era solo una parte della loro musica (costituita da parole, versi, voce, melodia, strumento e recitazione) e non dobbiamo aspettarci che lo stesso effetto derivi da una parte come dall’intero»; John Wallis, «A Letter of Dr. […] Nota alla nota d’autore n. 11: Orazio, Epistola 1, libro II, versi 202-203: «potresti credere che i boschi del Gargano o il mare Tirreno urlino, tanto è lo strepito con cui guardano gli spettacoli teatrali». […] Nota alla nota d’autore n. 20: «Bisogna andare in questo palazzo magico dove i bei versi, la danza, la musica l’arte di ammaliare gli occhi con i colori l’arte più felice di sedurre i cuori di cento piaceri ne fanno uno solo.»
Commedia di Aristofane, volgarizzata in prosa con prologo in versi di A. […] — Traduzione in versi sciolti di alcuni esametri latini di Marco Antonio Rosa Morando a Vincenzo Barziza. […] Tradotte in versi.
Farsa Tragi-Comi-Pastorale, in cui non meno che nella prefazione viene finamente e con grazia comica deriso il teatro di Shakespear in mille guise, formandosi fin anche de’ di lui versi piacevolissime parodie. […] Egli scrivea un medesimo componimento parte in versi e parte in prosa.
Ho seguito nella cronologia il Bonazzi stesso, di cui una breve autobiografia, dettata interamente alla sua nipotina Fiordilinda Agostini, e rivista poi nel febbraio del ’79, fu testè pubblicata dal dottor Cesare Agostini (Perugia, 1896) assieme ad altri scritti minori in prosa e in versi ; e ho seguito il Morandi che del Bonazzi fu scolaro, e di lui parla colla più schietta delle ammirazioni e delle affezioni. […] E di questi soavissimi versi metto a riscontro questi altri, che tolgo dall’ epistola a Gustavo Modena sulle comiche compagnie italiane, inserita nel citato libretto del Bonazzi, e che, pur non essendo cattivi, son ben lontani, pare a me, dall’aurea semplicità dei primi.
Longepierre non lavorava con diligenza i suoi versi, non si elevava con lo stile, non conosceva bene il teatro francese, e la sua tragedia annojò e cadde. […] Ersilia che nell’atto III dice da parte di avere scritto il biglietto, manifesta mancanza d’arte nel poeta, ed oltre a ciò con poca verisimiglianza e ragione i versi ch’ella profferisce si sentono benissimo dagli spettatori, e non da Romolo. […] Ne traduco per saggio gli ultimi versi: Procolo, che a morir menisi il figlio. […] Non ostante l’autor giovane non ancora avea acquistata l’arte di pulir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza della versificazione e la scorrezione dello stile. […] Voltaire afferma ch’egli nel medesimo anno ne mandò fuori due, l’uno in versi che si rappresentò e l’altro in prosa non mai recitato.
Ibraim Gran Visir e genero dell’imperadore Acmet III, fu un poeta che ne’ versi fatti da lui per la sultana che poi gli divenne moglie, mostrò d’intendere e sapere esprimere con grazia le delicatezze dell’amorea.
De Moliere oublié le sel est affadi, E i bei versi di Racine hanno perduto l’impero de’ cuori?
L’invito al pubblico, s’intende, è in versi martelliani, e di che tinta,… qua e là modificati poi sett’anni più tardi nell’invito al pubblico per la beneficiata del Cannelli.
Carlo Cantù, comico, sotto nome di Buffetto, che aveva già ammirato e i meriti e le virtù di lei, la tempestò di lettere in prosa e in versi per piegarla a un secondo matrimonio.
.), le dedicò del ’41 questi versi.
I versi, nella sua bocca, si andavano aprendo e sviluppando in melodie nuòve…. forse non sincere talvolta, forse non sempre d’intonazione perfetta, ma di una maravigliosa efficacia sul pubblico, che rimaneva vinto di sorpresa, e soggiogato….
Nessuno potrà contrastare al nostro Morrocchesi esser egli stato il primo fra' comici a penetrare ben addentro ne' reconditi pensieri di quel gran tragico, a colpirne i caratteri, a regolare la declamazione de' suoi versi meno pomposi, che ricchi di pensieri, ed indigesti alla più gran parte de' comici d’allora.
Vi si veggono sparsi qua e là alquanti versi robusti e patetici; e l’endecasillabo coll’assonante da lui adoperato é uno de’ metri che più convengono alla poesia drammatica spagnuola. Un rispettabilissimo personaggio che ha voluto occultare al grosso de’ lettori un nome grande, di cui andrebbe superba la poesia, come ne va la nazione spagnuola, ha proposto all’altrui imitazione un modello di tragica poesia nell’Ifigenia di Racine da lui ottimamente trasportata in versi castigliani e impressa nel 1768. […] Alonso il Dotto, figlio di San Fernando, compose molti versi alessandrini, a imitazion di Berceo, nel dialetto di Galizia; che nel Cisne de Apolo, o sia arte poetica di Carvallo, impresso nel 1602, si novera questo verso di quattordici sillabe tra’ castigliani; e ultimamente che D. Nicolàs Antonio lo riconosce per tale parlando de’ versi di Berceo, e gli dà il nome di endochat dobles 260.
Egli stesso prima ne declama con forza ed energia alcuni versi; ordina poi all’attore di proseguire, il quale eseguisce. Domani , aggiunge indi Amlet, rappresenterete la Morte di Gonzaga, cui io aggiungerò alcuni versi ; e gli fa partire. […] Farsa tragico-comi-pastorale, nel corso della quale non meno che nella prefazione viene finalmente, e con grazia comica deriso il teatro di Shakespear, in varie guise, formandosi fin anche de’ versi di lui piacevolissime parodie. […] Egli scriveva un medesimo componimento parte in versi, e parte in prosa.
Qualche poetastro povero di principi, d’ingegno, e di fantasia, il quale nella mollezza corrente non ha passate le notti d’inverno e i giorni d’està a formarsi uno stile, col solo torre qualche canavaccio lirico francese e porlo in cattivi versi italiani, favorito da una musica eccellente, come quella del celebre signor Gluck nell’Alceste, ha creduto di pareggiar di gloria Pietro Metastasio, ed ha aperto questo cammino tortuoso, che invece di menarci avanti, ci fa rinculare almeno d’un secolo. […] Il signor Palissot in una nota posta sotto questi due versi del canto II della sua ingegnosa Dunciade, On y voyait et le sombre Falbaire, Et Beaumarchais, et l’ennuyeux Mercier , dice, auteurs de drames, bien ampoulés, bien sombres, bien lugubres, et plus ennuyeux encore.
Esse sono (il sappia l’Apologista a suo dispetto) Favole Tragiche divise in cinque Atti, scritte in versi Giambici con uno stile facile, e per quei tempi non inelegante, e coll’intento d’imitar Seneca, a cui per altro rimane inferiore.
Nè io sarei alieno dal crederlo ; parendo omai accertato che le grazie della Flaminia suscitasser tali discordie tra il Maffei e l’abate Conti e Pier Iacopo Martelli, da invogliare quest’ultimo a scrivere il Femia, acerbissima satira, in versi sciolti e divisa in cinque atti, della quale sono interlocutori Mercurio, Fama, Radamanto, Anima di Mirtilo (Mirtilo Dianidio fu il nome arcade dello stesso Martelli), Ombra di Bione (il Conti), Ombra di Femia (anagramma di Mafei) e Cori.
Per la Pazzia di Flaminia, scrisser versi l’Olimpico (11), il Sofferente Incognito (14), e l’Afferrante (60) ; un madrigale dettò Incerto Autore, quando ella rappresentò Angelica nella Pazzia d’Orlando (57) ; altro ne dettò il Zifferante, quando ella era in abito d’Iride (94) ; ne abbiamo del Crivellato sopra un bacio colto da lei in scena, per lo quale s’arrossì (65), dell’Acuto, sopra l’archibugiata sparata da lei (48) ; un sonetto scrisse il Sofferente Incognito, al’hora che risero alcuni al veder che molti veramente piangessero (13), e altro ne scrisse il Galleggiante, mentre ella recitava in habito virile (54).
Che i Greci, massimamente i primitivi, considerassero i loro musici e i loro poeti come rivestiti d’un carattere legislativo si vede da ciò che le loro prime leggi, le prime politiche istituzioni, furono tutte promulgate in versi accompagnati dalla musica. […] Gli oracoli si rendevano in musica, cioè cantando in versi la profezia. […] Fino i ragazzi che imparano i primi rudimenti della rettorica sanno che la nostra poesia non ha quantità sillabica, e che questa era propria soltanto dei versi greci e latini, e in generale dei versi appartenenti alla poesia chiamata metrica, i quali si regolavano col numero e varietà dei piedi, e colla lunghezza e brevità delle sillabe; all’opposto dei versi appartenenti alla poesia detta armonica come la nostra, i quali badano soltanto al numero delle sillabe e all’acutezza e gravità degli accenti. […] Per esempio, nella prima scena dell’Atto IV. dell’Ecuba d’Euripide tradotta dal Signor Mattei con molto brio e molta disinvoltura, trova egli un duetto in due versi greci d’Euripide tradotti da lui in questa guisa: Ecuba ed uno del coro } a 2: «Ahi chi udì, chi vide mai Chi provò di quel ch’io sento Un affanno, ed un tormento Più terribile e crudel? […] I versi sono giambici, come tutti gli altri di puro recitativo, non anapestici o lirici d’altra natura, quali essere dovrebbono se formassero un duetto. 4.
Egli è vero che qualche antico romanzo in versi non rimati si conserva tuttora presso al popolo, come quello del gigante Ilia Murawiz, del grande Estergeon, ed altri di simil guisa, ma le moderne canzoni tutte in prosa altro per lo più non sono che improvvisate, che ciascuno compone a suo talento, senza curarsi d’osservare il numero delle sillabe o il ritorno delle rime76. […] Oggidì i Russi conoscono i versi, la rima, e l’arte di comporre in musica.
Il giugno dell’ '80 partì da Modena, e giunse dopo ventidue giorni a Napoli, d’onde scrisse al Duca mandandogli una descrizione in versi del suo viaggio, non rinvenuta nel carteggio.
Hullin di tradurla interamente in versi francesi dopo il saggio fattone della prima scena, il sig. […] L’atto poi termina all’inglese, cioè con una poetica comparazione, compresa nell’ originale in sei versi, di una corrente imbrattata dal fango per le piogge, che poi si affina e per via diviene limpida come specchio, Riflettendo ogni fior che a riva cresce, E nuovo ciel nel suo bel sen ne mostra. […] Tale è quella in cui Catone è paragonato al monte Atlante; tale l’altra con cui termina quest’altro atto distesa in sette versi de i deserti di Numidia che scherzano per l’aria in fieri giri, ravvolgono l’arena, ed il viaggiante (secondo la traduzione del Salvini) A se d’intorno l’arido ermo scorge Levarsi tutto, e dentro al polveroso Turbin rapito ed affogato muore. […] Barthie Graathead rappresentata in Drury-Lane si dice ben condotta e interessante, ma i personaggi subalterni vi parlano in prosa ed i principali in versi, giusta l’ antica usanza de’ tragici Inglesi.
E l’eccellente versificatore dispone e congiunge i suoi versi in modo che servano unicamente al periodo, che pur sembra indipendente da quelli. […] [4.5] Per la qualcosa siccome il periodo secondo la natura delle parole e del senso dee pronunciarsi, i versi debbono declamarsi in maniera che il senso non si alteri, non s’interrompa o soffochi, ma del ritmo, del periodo e de’ versi ritragga nuova forza e risalto. […] Ed il suono generale della cadenza de’ versi viene via via così ad essere modificato da quello del senso, che sempre più nuova, varia e grata armonia ne acquistano i periodi ed i versi. […] Ma quanta finezza non richiedono siffatte cadenze e congiungimenti, che pur l’autore fa maravigliosamente servire al genere di pronunciazione, a cui ha destinati i suoi versi! […] [4.13] Pare dunque che il declamatore non deggia ancor trascurare questa parte della pronunciazione che serve a rilevare non pur l’armonia, che il significato de’ versi.
Meritano anche attenzione varii versi dell’Ippolito, e più quelli del racconto della di lui morte, de’ quali Racine non isdegnò di approfittarsi ed inserirli nella Fedra.
La maschera adunque presso gli antichi servì per occultare il volto dell’ attore, per imitare quello del personaggio rappresentato, e per ajutar la voce; nè mai nelle tragedie e commedie si adoperò per eccitare il riso colla stravaganza, come s’intonò parecchi anni sono dalle scene e per le stampe in prosa e in versi martelliani dall’Ab.
Meritano anche attenzione varj versi dell’Ippolito, e più quelli del racconto della di lui morte, de’ quali Racine non isdegnò di approfittarsi e d’inserirli nella Fedra.
Scrisse tragedie e commedie, altre ne tradusse dal francese e dallo spagnuolo ; altre ancora, del Goldoni, ridusse malauguratamente in prosa dall’originale in versi.
Proprio suo uffizio è il dispor l’animo a ricevere le impressioni dei versi, muovere cosi generalmente quegli affetti che abbiano analogia colle idee particolari che hanno da essere eccitate dal poeta; dare in una parola al linguaggio delle Muse maggior vigore e maggiore energia43. […] Imperciocché se tacessero i trilli, dove parlano le passioni, e la musica fosse scritta come si conviene, non vi sarebbe maggior disconvenienza che uno morisse cantando, che recitando dei versi.
Questi non trova calore che in Virgilio e in Omero, l’altro, concessi ad Omero i primi onori, osserva che l’elevatezza impareggiabile di Pindaro, la robustezza de’ versi di Simonide, Stesicore, ed Alceo, e la grazia e piacevolezza di quelli di Anacreonte, mai non si rimarranno sepolti nell’obblio. […] Neppure vò riferire certi versi Oraziani dell’Arte Poetica dell’evento, piacevole per gli astanti, di chi si mette in danza a giocare alla palla, al disco, al trottolo, e a maneggiare altri simili campestri arnesi.
Alessandrini versi antichi nella Spagna 410. […] 111. scritte in versi 11. rappresentare in musica 104. erano scuola di morale 12.
Diede egli nel 1751 alla luce in Madrid sotto il nome del Pellegrino una giudiziosa traduzione in versi coll’ assonante del Pregiudizio alla moda di M. […] Mariano indicate ottimamente nella 2 scena dell’ atto I: la di lui vita oziosa descritta da lui stesso in pochi versi nella 7 del medesimo atto25: l’incontro comico della 13 dell’atto II di D.
) come, rappresentato per la prima volta all’Accademia Reale di musica a Parigi il 5 dicembre 1749, il Zoroastro di Rameau con parole del nobile signor di Cahusac, sotto la direzione scenica del veneziano Pietro Algeri, Giacomo Casanova che viveva allora a Parigi, e che oltre quella del Faraone, aveva anche di sfuggita, la occupazione di scrittore, fosse dal grande successo dell’opera invogliato a tradurla in versi italiani e ridurla per le scene di Dresda.
Lasciò tre figliuoli, tutti e tre soggetti di bell’ingenio, duoi dottori, uno di legge, l’altro di medicina, et un prete, ma ornati tutti di belle lettere sì in prosa che in versi !
Indi collo stesso tritume di note si ripiglian di nuovo i due primi versi “Nel lasciarti, o Prence ingrato mi si spezza in seno il cor”, impiegando qualche minuto in gorgheggiar su quel povero core. […] Alle volte la scena costerà di venticinque versi perché altrettanti vi vogliono per bene esprimere il sentimento, e di questi venticinque il compositore ne mutila dieci. Se il senso rimane imperfetto poco gli cale; basta che non si generi fastidio al cantante, e che si facciano sui quindici versi le stesse sfoggiature che si farebbero sui venticinque. […] Galuppi, rinomatissimo fra i maestri, ha nel dramma intitolato I tre amanti ridicoli posto sotto i due versi seguenti «Oh che rabbia, o che furore! […] Quindi è che il volgo de’ compositori allora si delizia sopra ogni modo quando trova nei versi del poeta replicate le parole “caro anima mia” dove possano fare una qualche smanceria, oppure quelle piccole immagini del fiume che mormora, dello zeffiro che tremola, del gorgeggiante augellino, dell’eco che ripete, del fragore del tuono, del turbo nereggiante con siffatte anticaglie, che sono (quasi direi) venute a nausea per la loro frequenza.
Hullin di tradurla interamente in versi francesi, dopo di averne fatto un saggio sulla prima scena, il sig. […] L’atto poi termina all’inglese, cioè con una poetica comparazione compresa nell’originale in sei versi di una corrente imbrattata dal fango per le piogge, che poi si affina e per via diviene limpida come specchio, Riflettendo ogni fior che a riva cresce, E nuovo ciel nel suo bel sen ne mostra. […] Tale è quella in cui Catone è paragonato al monte Atlante; tale l’altra con cui termina anche quest’atto distesa in sette versi de i deserti di Numidia che scherzano per l’aria in fieri giri, e ravvolgono l’arena, ed il viaggiante, secondo la traduzione del Salvini, A se d’intorno l’arido ermo scorge Levarsi tutto, e dentro al polveroso Turbin rapito ed affogato muore. […] Barthie Graathead rappresentata in Drury-Lane si dice ben condotta ed interessante; ma i personaggi subalterni parlano in essa in prosa, ed i principali in versi, giusta l’antica usanza de’ tragici inglesi.
I maggiori poeti d’Italia facean tutti a gara in celebrar questo tipo singolare di donna, che al raro sapere sembrò congiungere una rara virtù, con versi di ogni maniera. […] nè mancaron i versi latini del Pola, del Tedeschi, e di altri. […] Prima della sua partenza da Parigi, il poeta Isaac Du Ryer (Le tems perdu, pag. 65) le presentò a nome del pubblico la seguente lettera in versi per invitarla a restare. […] Ma dove pare a me che l’Andreini si levi talvolta a grande altezza è nelle rime ; in cui non sappiamo se ammirar più la scorrevolezza e armonia dei versi, o la leggiadra semplicità dello stile. […] Benchè in versi, non toccherò della Mirtilla, Pastorale scritta nella età giovanile, che ha i soliti lambicchi, i soliti contrasti, non però peggiori di quelli onde son seminate quasi tutte le produzioni sceniche del genere e del tempo ; trascriverò dalle Rime (Milano, Bordone, 1601) per dare un saggio del suo poetico stile, due sonetti amorosi (pag. 59 e pag. 144), de’quali parmi vi sieno di assai meno valore in poeti del suo tempo e di maggior grido, e ai quali farò seguire come chiusa una canzone, la seconda delle poesie funebri (pag. 217) nitida e piana a mio giudizio, e soavissima quant’altre mai.
Nel Canto carnascialesco di Zanni e Magnifichi di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, già pubblicato da Francesco Bartoli è accennato al Cantinella con questi ultimi versi. […] Ad altro Brighella che sostituì il Locatelli, morto, accenna il Robinet nella sua lettera in versi del 13 giugno 1671.
Ma sceneggiava alla foggia antica, introduceva o faceva partire i personaggi senza perchè, trascorreva nel lirico, faceva versi stentati, imbrattava alcune volte la locuzione con formole poco pure, inusitate e scorrette. […] E scritta in versi sciolti, con regolarità, con vivace colorito ne’ caratteri e nelle passioni, ed in istile lodato dagl’ intelligenti. […] Otto di esse sono in prosa, cioè Don Alfonso, Jefte, Matilde, Tommaso Moro, Demetrio, Marianna, Dina, Ruggiero, e quattro in versi Atalia, David, Gionata, Virginia. […] Il fondo istorico dell’azione consiste nel perdono dato ad Atene da Demetrio, ma nel disviluppo prende la favola il portamento del Cinna di Pietro Cornelio, di cui s’imitano singolarmente i memorabili versi di Augusto, o siècles, o memoires &c. […] L’imitazione può chiamarsi esatta, e pur questi versi non pare che abbiano destato la commozione che recitandosi quelli del Cinna facea piangere il gran Condè all’età di venti anni.
Il Recitativo astretto a posarsi non può seguire l’esuberante fluidità di Calderòn, che spazia per molti versi, quelle rettoriche espolizioni, quelle amplificazioni ridondanti, che costituiscono la di lui gala.
Molti squarci felici, tratti dalla sacra scrittura, notansi nella tragedia de’ Giudei e alcuni versi dell’Ippolito meritarono di essere inseriti da M.
Dalle virtù della Signora Eularia comica illustre, un tal mosso a far versi alcuni ne sputò de’ così tersi, che parver d’ un Toscan nato in Canaria.
È prosa, dice l’invidia sotto la maschera del gusto; ma che bella prosa che fa obbliare tanti e tanti versi! […] La sua rima è discretissima ed esente di legge, i versi, in quanto lo permette la lingua, sono pieni di ritmo, e però facili d’adattarsi alla musica. […] Dopo ciò, studiosi giovani, che amate la poesia scenica e Metastasio, non vi potrete consolare del molesto ronzio di qualche povero mendicante, che, avendo sempre scritto scorrettamente in italiano e prose e versi, ardisse esitare intorno al valersi di qualche vocabolo non da altri usato che da Metastasio?
Molière non lasciava una rappresentazione, ove avesse parte principale Scaramuccia, e prese dall’incomparabile artista tutto quel che potè di naturale e di originale ; il che generò poi i famosi versi che si leggon sotto a uno dei ritratti di Bonnart, identico a quello di le Blond (V. pag. 901). […] Ai quali versi fanno riscontro questi altri del 18 ottobre dallo stesso autore pubblicati, quando si seppe che la notizia della morte di Scaramuccia era falsa : Petits et Grands, jeunes et vieux, Dont le tempérament joyeux Aime, presque, autant qu’un Empire, Les Personnages qui font rire, Cessez vos pleurs et vos zoûpirs, Purgez-vous de vos déplaizirs ; Sans prendre Casse, ny Rubarbe, Ne vous arachez plus la barbe, Métez tous vos chagrins à sac, Ne vous plombez plus l’estomac, Au Sort ne faites plus la moüe, N’égratignez plus vôtre joüe, Apaizez vos cris superflus, Ne pestez, ne rognonnez-plus, N’ayez plus le vizage blesme Comme un Bâteleur de Caresme, N’acuzez plus Dame Atropos, Bref, montrez par de gais propos. […] A questa del Gherardi fo seguire i versi che il Loret pubblicò nella Muse historique del 23 marzo 1658, a proposito della Rosaura, Imperatrice di Costantinopoli, rappresentata il mercoledì 20 marzo, nella quale anche, a ogni intermezzo, il Fiorilli ballava : ………… Mais entre cent choses exquises, qui causent d’aimables surprises, entre quantité d’accidens, qui fon rire malgré les dents et qui raviroient une souche c’est la table de Scaramouche contenant fruit, viande & pain, et pourtant il y meurt de faim, par des disgraces qui surviennent, et qui de manger le retiennent ; or, comme en tout événement, il grimace admirablement, il fait voir en cette occurence, la naïve et rare excellence de son talent facétieux, et ma foi, divertit des mieux.
« Egli — aggiunge il Bevilacqua in una nota al citato studio, pag. 88, 4 — pubblicò ancora Alcune Rime, fra quelle di diversi altri, In morte di Camilla Rocha Nobili, comica confidente, detta Lelia (Venezia, Ambrogio Dei, 1613) ; due Sonetti ed un Madrigale, premessi fra versi d’ altri autori, al Mincio ubbidiente di suo figlio G. […] Il capitolo è preceduto da una lettera dedicatoria al detto Serenissimo Prencipe, che non è davvero il migliore esempio di stile epistolare, e consta di 265 versi sdruccioli mediocrissimi per concetto, per forma, per…. tutto. […] » La recitazione di Corinto alternava con la musica, « suonando varii e diversi stromenti da fiato, composti di molti flauti, cantandovi sopra versi boscarecci e sdruccioli ad imitatione del Sannazaro, detto Atio Sincero pastor Napolitano. » – Parlando alla sua boscareccia zampogna, nel discorso citato, dice : « rimanti per sempre appesa a questa verde et onorata pianta, e teco rimangano per sempre appesi a questi verdi e onorati tronchi tutti gli altri miei pastorali strumenti solo inuertiti a gloria e onor della mia cara Fillide. […] L’operetta scritta in settenarj accoppiati ha 733 versi, di cui il primo sciolto ; ed è il solito dialogo del Capitano col servo (Frisetto), rappresentati nel frontespizio da una sgorbiatura che vorrebb’essere una incisione in legno ; dialogo di cui dà il sunto lo stesso Croce in un avviso Agli nobillissimi Lettori, in data 1° gennaio 1596.
Egli stesso prima ne declama con forza ed energia alcuni versi; indi ordina all’attore di proseguire, come eseguisce. Domani, gli dice poi, rappresenterete la Morte di Gonzago, cui io aggiugnerò alquanti versi; e gli fa partire.
Avendo omai stabilito la Commedia-Italiana di non più rappresentare se non commedie francesi, licenziò tutti i suoi attori, ad eccezione del Bertinazzi, il quale, nonostante l’enorme pinguedine e l’età soverchia, recitò ancora il 1782 con molto successo ne’ Gemelli bergamaschi, commedia in un atto di Florian, per la quale gli furon dettati questi versi : Dis-moi, Carlin, par quel avantage ne vois-tu point s’affoiblir par les ans Ni ton esprit ni tes talens ? […] Mai una compagnia italiana conta più di undici attori o attrici, fra’quali cinque, compreso Scaramuccia, non parlano che bolognese, veneziano, lombardo, napoletano : e quando s’abbia a recitare una tragedia, dov’entrin molte persone, tutti vi prendon parte, non escluso l’ Arlecchino, che toglie la sua maschera ; e tutti declamano de’ versi in buon italiano (il testo ha : en bon romain….).
Dai versi di un cigno livornese, non certo morente, che qui riproduco, e che debbo alla cortesia del dott. […] A questi assedii di proposte, di preghiere, di suppliche, a queste espressioni di ammirazione e di devozione, si aggiungon lettere e versi di grandi che facevano a gara nel tributarle degnissime lodi.
Aulo Gellio nel rimproverare a Nevio il fastoso epitafio che egli compose per se stesso, dice che i suoi bei versi mostravano tutta la nativa alterigia Campana, cioè del proprio paese.
La Gelopea scritta in versi endecasillabi e settenarii liberi s’impresse in Venezia nel 1607, e colle opere dell’autore nel 1610.
La Gelopea scritta in versi endecasillabi e settenarj liberi s’impresse in Venezia nel 1607, e colle opere dell’autore nel 1610.
Ove gli dei lasciando ai filosofi la cura d’ammaestrar gli uomini nella morale, si prendevano soltanto il pensiero di divertirli, inventando i balli, i suoni, i versi e la maniera di coltamente parlare, la poesia, la musica, il ballo, l’eloquenza, e tutte le belle arti dovevano riguardarsi come oggetti celesti da pregiarsi sopra qualunque cosa terrena. […] Nel giorno in cui si presentava in pubblico per la prima volta, il suo elemosiniere conferiva agli ascoltanti le indulgenze a nome del padrone pronunziando in tuono grave e serioso certi versi, il cui senso era il seguente: «Da parte di Monsignor Arcivescovo che Domenedio mandi a tutti voi un malanno al fegato con un paniere colmo di perdoni, e due dita di rogna sotto il mento». […] Si cangia la scena, e comparisce Satanasso in trono con gran forcone in mano invece di scettro, avanti al quale Asmodeo presenta Epulone, intuonando certi versi i più ridicoli del mondo.
Si sono renduti assai memorabili pel pubblico plauso e per le lagrime del gran Condè i versi dell’ultima scena (Nota II): Je suis maître de moi comme de l’univers, Je le suis, je veux l’être. […] Faceva versi ben torniti, ma non mostrò di esser nato per la poesia tragica.
In fatti sono assai pochi coloro che sanno, spezialmente in teatro, discernere e distinguere in un dramma gli errori di lingua, i versi cattivi, i pensieri falsi, e ciò che non conviene, e quell’ incantesimo che fin anco nelle cose non buone possono e sogliono produrre gli abili e destri rappresentatori e le decorazioni.
Il Fidenzi, oltre all’essere stato attore preclaro, fu preclaro poeta ; e pubblicò un volume di versi a Piacenza del ’52, ch’egli intitolò Poetici Capricci, e dedicò ad Alessandro Farnese, in cui sono, se non sempre, vivezza e semplicità di imagini, tanto più rare e pregiate, in quantochè apparse in mezzo al dilagar delle strampalerie del tempo, e di cui metto qui come saggio il principio del vigoroso canto : I fifgli famelici della Vedova Ebrea assediata Di Sion l’alte mura Tito ricinte havea di genti armate : E gli assediati Ebrei, Con dolorosi omei, Chiedean pietade a l’indurato Cielo : E di viveri affatto impoveriti Con lagrimosi inviti De la Morte chiedean l’orrida falce.
E l’eccellenza della poesia e della musica greca consisteva in ciò appunto che nessun effetto naturale poteva concepirsi che non venisse espresso dall’una e dall’altra colla maggior esattezza ora col numero de’ tempi sillabici impiegati nel formar un piede, ora colla rapidità o lentezza del movimento impresso alle parole o al suono, ora coi vari generi di ritmo di cui potevano far uso, ora finalmente colla successione e intrecciamento diverso dei medesimi ritmi secondo la differenza e il numero dei versi, e l’ampiezza e volubilità del periodo. […] Essi facevano uso più volte nei loro versi di due piedi il giambo e il trocheo composti egualmente d’una sillaba lunga e d’un’altra breve con questa differenza però che il giambo incomincia da una breve, ed il trocheo da una lunga. […] Ora la nostra poesia, che tutta quanta è appoggiata al regolamento del tuono, altro ella non considerando nella formazione dei versi fuorché l’ordine degli accenti e il numero delle sillabe, è sommamente difettosa nel regolamento del tempo non avendo veruna misura fissa con cui poter regolare la durazion relativa della pronunzia nelle parole. […] Eguale nel regolamento del tuono, perché sebbene non badassero eglino per formare i versi al numero materiale delle sillabe, avevano tuttavia la stessa cura, che abbiamo noi nella opportuna collocazione degli accenti sulle parole, della quale nasceva in gran parte il numero, e la cadenza delle loro poesie125.
La satira de’ poeti contemporanei, e spezialmente de’ tragici, era uno de’ principali oggetti della commedia antica, non leggendosi favola veruna, ove contro di essi non si avventino strali di fuoco, e non si facciano de’ loro versi continue parodie. […] Una donna lo rimprovera per questa nuova follìa; ma egli senza darle retta pronunzia alcuni versi tragici come se veramente fosse Elena. Questi versi non possono essere imitazione di alcun passaggio di tragedia? […] Euripide torna vestito da Ecco, e la finta Andromeda recita alcuni versi tragici. […] Ma perchè le mirabili sue dipinture della vita civile e le preziose sue riflessioni filosofiche inserivansi a gara nelle migliori opere de’ sacri scrittori Cristiani, non che de’ più illustri filosofi gentili, se ne sono conservati molti versi.
È scritto in versi sciolti, con regolarità, con colorito vivace ne’ caratteri e nelle passioni, ed in istile dagli intelligenti commendato. […] Notabili sono questi versi. […] È un infelice guazzabuglio scenico scritto in affettata prosa mista a frequenti involontarii versi. […] Il dialogo non ha naturalezza, i versi spesso rassomigliano alla prosa, nella locuzione si desidera purezza e proprietà. […] Si trova nel libro III de’ suoi versi latini impressi nel 1742.
Piacevole e senza inverisimiglianze grossolane è il Trimbella trasformato commedia in versi del Martellini stampata nel 1618.
Frinico rappresentatore e autore fu, come abbiam veduto, creato capitano dagli Ateniesi in grazia de’ suoi versi.
Non vi fu città, si può dire, nostra o forestiera, in cui l’estro poetico, non si risvergliasse a dir le sue lodi : tra i tanti versi (ve n’han già dell’83, quand’egli era al Pantera di Lucca, presagenti la gloria futura) scelgo questi di Achille Testoni, dettati l’ottobre del '95 quando al grande attore drammatico | vanto dell’arte italiana | il pubblico modenese | l’entusiasmo più alto e sincero | addimostrava.
La satira de’ poeti contemporanei, specialmente de’ tragici, era uno de’ principali oggetti della commedia antica, non leggendosi favola veruna, ove contro di essi non si avventino strali di fuoco, e non si facciano de’ loro versi continue parodie. […] Una donna lo rimprovera per questa nuova follia; ma egli senza darle retta pronunzia alcuni versi tragici come se veramente fosse Elena. Questi versi non possono essere imitazione di alcun passaggio di tragedia? […] Euripide torna vestito dá Ecco, e la finta Andromeda recita alcuni versi tragici. […] Quanta filosofia ci nascondeva Sotto il velame degli versi strani di codesto Comico così dispregevole agli occhi cisposi di molti scioli oltramontani e nostrali!
Alla pagina II della musica del Peri alla citata Euridice si vede che Tirsi canta a solo i seguenti versi: «Nel puro ardor della più bella stella Aurea facella di bel fuoco accendi, E qui discendi sull’aurate piume Giocondo nume, e di celeste fiamma L’anime infiamma. […] [28] Facendo adunque la distribuzione di laude che a ciascun s’appartiene nell’invenzione dell’opera seria, si vede che dee la città di Firenze il vanto riportarne principalmente, che Giovanni Bardi e Jacopo Corsi furono i mecenati, Girolamo Mei e Vincenzo Galilei i precursori nella parte teorica, e nell’arte d’intavolar le melodie Emilio del Cavalieri il primo, che da lontano adittò agli altri la strada, Giulio Caccini e Jacopo Peri nella esecuzione, ma che deesi principalmente l’elogio al Rinuccini, il quale coll’armonia e bellezza de’ suoi versi mirabilmente adattati alle mire dei compagni, e più colla sua autorità, collo studio degli antichi e colla dipendenza in cui teneva gli altri, si fece il ritrovatore d’un nuovo genere che tanto lustro ha recato alla poesia, alla musica e alla sua nazione.
L’Armani si chiamava Lidia nelle commedie e Clori nelle pastorali, e sotto questi nomi fu ancora celebrata in versi.
Fu allora che il Conte Carlo Gozzi, già forte estimatore dell’ingegno di lui, pensò di venirgli in ajuto, esordendo come autore la sera del 25 gennajo 1761 con la fiaba L'amore delle tre Melarance, « caricata parodia buffonesca sull’opere dei signori Chiari e Goldoni, che correvano in quel tempo ch'ella comparve. » Fu preceduta da un prologo in versi « Satiretta contro a' Poeti, che opprimevano la Truppa Comica all’improvviso del Sacco », e « nella bassezza de'dialoghi e della condotta e de'caratteri, palesemente con artifizio avviliti, l’autore pretese porre scherzevolmente in ridicolo Il Campiello, Le massere, Le baruffe Chiozzotte, e molte plebee e trivialissime opere del signor Goldoni. » Che Dio l’abbia in gloria !
Eschilo trasportato una volta dal proprio entusiasmo cantò alcuni versi notati di manifesta empietà, cd il governo che vigila per la religione e per li costumi, condannò alla morte l’ardito poeta.
Frinico era rappresentatore e fu, come vedemmo, creato capitano dagli Ateniesi in grazia de’ suoi versi che mostravano la di lui perizia nelle çose belliche.
Garcia de la Huerta, il quale contro questa mia breve evidente narrazione de i teatri di Madrid diresse una tremenda batteria fluttuante di undici pagine ed otto versi del suo formidabile Prologo, cui nulla manca che un morrion.
Egli cita in prova della sua asserzione i seguenti versi macaronici : Ego Gratianus sum Franculinensis Filius quondam d’ Mser Tomas ; Nobilis civis erat Mutinensis Oculos habens d’fora dal nas.
Belloy certe qualità che annunziano l’uomo di buon gusto e d’ingegno, e benché si osservi ne’ di lui versi molta durezza e negligenza, e uno stile poco naturale e pieno di altri difetti notati con laudevol cura e magistrale intelligenza dal fu M. […] Maillard poeta brettone, il quale avendo pubblicate varie poesie di poco momento sotto il nome di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevé gli elogi de’ più celebri poeti francesi, e varie dichiarazioni d’amore in versi; ma gli elogi e gli amori si convertirono in dispregi tosto che l’autore ebbe l’imprudenza di smascherarsi.
So che Euripide per certi versi de’ suoi frammenti ci fa chiari che avesse anch’egli, come Sofocle scritta un’ Antigona.
Quali però si fussero i versi che animarono tali invenzioni, da noi s’ignora a.
E questo monologhino tira avanti di questo passo per 19 pagine ; e chiude l’atto terzo coi versi seguenti che sono l’espressione più chiara di questa strana pazzia : L’ardir mi porge aita, l’arroganza mi scorta, l’astuzia fa gli agguati, l’audacia move i passi ; Dai Costumi di varie Nazioni di Pietro Bertelli.
Piacevole e senza inverisimiglianze grossolane è il Trimbella trasformato commedia in versi del Martellini stampata nel 1618. […] Quali però si fussero i versi che animarono tali invenzioni da noi s’ignora78.
A una rappresentazione del Chat noir di Parigi nel Casino-Théatre della Chaux-de-Fonds, entrai nel camerino di Grenet-Dancourt, il gentile poeta e amabile monologhista, che aveva recitato alcuni de’suoi versi più caldi ; e venuti a parlar della Duse, del suo legittimo trionfo di Parigi e della probabilità di un suo ritorno per recitarvi in francese, « ma non ne ha bisogno – rispose candidamente il Dancourt – ella si fa ben capire colla potenza dell’espressione.
V’hanno versi per la Pazzia di Florinda, ve n’hanno Pe’l suo vestirsi da uomo, Pel suo meraviglioso modo di cantare e di suonare.
Voi già saprete come Orazio3 dava la berta a quel Crispino, che lo disfidava a vedere a prova qual de’ due facesse più versi in un tempo prefisso; saprete che nell’Epistola a’ Pisoni consigliava, . . . . .
Ma la poesia rappresentativa meglio sviluppata negli episodi, si appropriò certi attori più esperti nel declamare, cioé nel recitar i versi con un’azione naturale e con un canto parlante, il quale, sebbene accompagnato dagli stromenti, non lasciava di appressarsi più al favellare che al canto corale; e allora questa classe di attori ad altre non attese che ad animar con musica moderata e con vivace energica rappresentazione la poesia.
[NdA] Il problema intorno alle cagioni della deliziosa malinconia generata dalla tragedia che tanto ha occupate le penne di alcuni celebri scrittori del nostro secolo cioè dell’Abate Du Bos, di Fontenelle, di Hume, e di Cesarotti si trova molto prima sciolto mirabilmente da Lucrezio ne’ seguenti magnifici versi Suave mari magno, turbantibus aquora ventis, E terra magnum alterius spectare laborem; Non quia vexari quemquam est iucunda voluptas, Sed quibus ipse malis careas, quia cernere suave est, Suave etiam belli certamina magna tueri Per campos instructa, tua sine parte pericli.
[NdA] La Musique, Epistola in versi divisa in quattro canti, Chap. 3, inserita nel libro che ha per titolo Les dons des enfants de Latone.