E che hanno a fare gli errori del Poeta, il meccanismo della versificazione da lui scelta, la divisione inusitata degli Atti, colle note caratteristiche del genere? […] E che ci volete fare, Signor Lampillas?
E che mancava a Corneille, a Racine, a Voltaire per fare discorsi appassionati nell’Agesilao, nell’Alessandro, negli Sciti? […] Dico solo, che troppo vi è da spigolare nelle di lui bellissime Riflessioni, e che un cuore, che si è mostrato sì poco sensibile alle grazie, alle delicatezze, al calore, al patetico della maggior parte degli ottimi Poeti antichi, e moderni, poca impressione dovea fare nel vostro buon gusto, e non riscaldare il vostro zelo in sua difesa, perchè io dissi, che in quanto accennò delle Tragedie del Trissino, e del Tasso, dimostrò mancar di cuore per giudicarne drittamente.
Aumenta il ridicolo del carattere di Don Lucas il capriccio di voler fare esperienza di Leonora a lui promessa, e prega un suo amico che è di lei occulto amante, a fingere di amarla, e gliene dà tutto l’agio. […] può fare ch’egli non sia el poetilla La Cruz?
Signore, che pensieri si devono fare nell’intendere di simil cose ? […] Come entrano questi dentro a una città, subito col tamburo si fa sapere che i Signori Comici tali sono arrivati, andando la Signora vestita da uomo con la spada in mano a fare la rassegna, e s’invita il popolo a una comedia, o tragedia, o pastorale in palazzo, o all’osteria del Pellegrino, ove la plebe desiosa di cose nuove, e curiosa per sua natura subito s’affretta occupare la stanza, e si passa per mezzo di gazzette dentro alla sala preparata ; e qui si trova un palco posticcio : una Scena dipinta col carbone senza un giudizio al mondo ; s’ode un concerto antecedente d’Asini, e Galauroni (garavloni) ; si sente un prologo da Cerretano, un tono goffo, come quello di fra Stoppino ; atti rincrescevoli come il mal’anno ; intermedij da mille forche ; un Magnifico (pag. 180) che non vale un bezzo ; un zanni, che pare un’oca ; un Gratiano, che caca le parole, una ruffiana insulsa e scioccherella ; un innamorato che stroppia le braccia a tutti quando favella ; uno spagnolo, che non sa proferire se non mi vida, e mi corazon ; un Pedante che scarta nelle parole toscane a ogni tratto ; un Burattino (pagg. 181, 183), che non sa far altro gesto, che quello del berettino, che si mette in capo ; una Signora sopra tutto orca nel dire, morta nel favellare, addormentata nel gestire, ch’ha perpetua inimicizia con le grazie, e tiene con la bellezza diferenza capitale.
Arteaga che l’opera italiana sia ora in decadenza: di addurre i motivi di ciò, e di fare il parallelo della nostra musica con quella dei Greci. […] Ecco un elogio della nostra armonia maggiore assai di quanti ne possa fare l’estrattista. […] [40] Che la musica cangiasse al tempo dei Greci, come ha fatto nel nostro; che presso loro fosse prima bambina; che indi a poco a poco crescesse, e poi divenisse adulta al paro dell’italiana; che i Greci avessero i loro guastamestieri come abbiamo noi; ciò ha tanto che fare colla questione come i porri colla luna. […] [54] «Insomma ci può dir quel che vuole per provare che la nostra musica è inferiore alla Greca, che non proverà mai nulla, non potendosene fare il confronto; e le autorità dei tre rispettabili professori che adduce in favor suo ancor esse sono inutili su tal questione. stanteché il Tartini, il P. […] E se il ragionare gli costa fatica, tralasci di fare il censore e il Radamanto degli altrui libri colla sicurezza che la repubblica letteraria ne farà piccolissima perdita.
Si dee osservare che i soprannominati ed altri filosofi italiani, nel consultar il gran libro della natura furono i primi a scoprire in buona parte gli arcani di essa, a diradar le tenebre dell’ignoranza con utili cognizioni, e a fare gran conquiste sulle terre del vero; e perciò possono chiamarsi a giusto titolo «primi duci e maestri del moderno sapere».
Os quoque eructat levem Flammam, perennis lambit et barbam focus etc, Di tale origine soprannaturale rallegrasi col fratello Ezzelino, indi si rivolge a fare una preghiera al padre novellamente scoperto.
Non solo ha fatto parte del dramma Cinese, ma essendo negli ultimi tempi caduta in disistima29 (siasi ciò avvenuto per l’ introduzione della musica Europea che pretese fare nel paese l’Imperadore Kam-hi per mezzo del Portoghese Pereira e del P.
Di tale origine soprannaturale rallegrasi col fratello Ezzelino, indi si rivolge a fare una preghiera al padre.
E. non uol saper niente, si che non si pol far un opera che sia bona, ma non solo le opere anche le comedie ; l’altra sera appunto si fece ti tre finti turchi e recito il secondo Zanni nouo che andò così bene che tutti si partirno inanzi fornita ; dicendo che se si fariano di quelle ci daranno delle Pomate. dove che ardisco suplicarla il dar ordine à qualcheduno che regoli la compag.ª pchè ò bisogno di studiare è tirarmi inanzi non di star à spasso p. i capricci d’altri ; la Sig.ª Flaminia à dato una delle sue parte che ne faceva due à mia sorella addesso pare che la Sig.ª Ippolita con la colega fatta tra di loro abbiano disgusto è la uoriano far fare alla guercina basta doppo dificultà si sono contentati ma però di nouo lo suplico il scriverli che la facciano recitare è la lettera onorarssi d’inuiarla à me però diretta alla Comp.ª non dirò più per non incomodarla, solo che se segue così non occorre uenir a Ferara p. che so che se non fosse in riguardo alla protetione di V.
Dell’ingresso in arte di lui discorre il Paese di Pistoia del 15 ottobre 1887 in un articolo firmato X, nel quale è detto ch’egli cominciò a fare il commediante in una compagnia comica che recitava al Teatro del Cocomero (oggi Niccolini) di Firenze.
Un po' di tara dobbiamo fare alle lodi del Niccolini, il quale, con la debolezza di quasi tutti gli autori di teatro, ha lodi per gli artisti che han fatto piacere l’opera sua.
L'autore insistè su l’opinione che la parte del protagonista non conveniva al comico Zanarini, mostrando ogni timore sulla buona riuscita dell’opera, anche per la mancanza d’intreccio, e la lunghezza soverchia ; ma, per questo, i comici a cui premeva di fare un bel teatro, rispondevano col dargli del modesto e dell’umile affettato.
Al presente sono esse così minute che non hanno luogo a fare una impressione durevole, né servono ad altro che a snervare, a così dire, la forza del suono spezzandolo in parti troppo deboli perché troppo leccate, nella stessa guisa che l’eccedente uso dei diminutivi nello stile rende molle di soperchio e stemperata la poesia132. […] Ma siccome l’utilità d’un ritrovato non dee misurarsi dall’abuso che se ne può fare da chi non sa acconciamente metterlo in opera, così vuolsi rendere la dovuta giustizia a quel gran maestro per aver saputo guidare con un tal mezzo la voce del cantore senza imprigionarla, e aggiugnere a quella parte così disprezzata del melodramma un interesse neppur sospettato dagli altri compositori. […] Quindi è che il volgo de’ compositori allora si delizia sopra ogni modo quando trova nei versi del poeta replicate le parole “caro anima mia” dove possano fare una qualche smanceria, oppure quelle piccole immagini del fiume che mormora, dello zeffiro che tremola, del gorgeggiante augellino, dell’eco che ripete, del fragore del tuono, del turbo nereggiante con siffatte anticaglie, che sono (quasi direi) venute a nausea per la loro frequenza. […] Sarebbe più facile «Ad una ad una annoverar le stelle» che il fare patitamente menzione di tanti altri compositori o esecutori più giovani, che sotto la scorta degli accennati maestri coltivano quest’arte deliziosa in Italia. […] Ciò però non deroga per niente al mio assunto, giacché di gran parte delle arie dei moderni maestri si può fare la stessa analisi ch’io fo della presente.
Egli è costretto a venir fuori da un bisogno naturale, per fare in piazza ciò che la decenza prescrive di farsi nel più segreto della propria casa. […] Trovano Caronte che ammette solo Bacco nella sua barca, e Santia è costretto a fare a piedi il giro della palude. […] Socrate per fare che il giovane impari più facilmente, vuole che ascolti il favellare del Dritto e del Torto. […] Quest’amator della pace, il quale in fatti si è di lui avveduto, per fare vie più manifesto il suo trionfo si rallegra a misura che Lamaco si lamenta. […] E chi vorrà più fare il fabbro?
Il tentativo di mediazione di Pier Jacopo Martello era rimasto un caso isolato; in Della tragedia antica e moderna (1714), lo scrittore, con fare un po’ provocatorio, sosteneva che era la musica a ispirare la poesia e prendeva le distanze dal logocentrismo primosettecentesco in nome di un riconoscimento del piacere suscitato dalla musica. […] La vivacità del discorso fin dalla prima redazione è data anche dalla prassi di Algarotti di fare sfoggio dei suoi molteplici saperi e interessi e di operare continui parallelismi tra l’opera in musica, la pittura, la scultura, l’architettura, chiamate in causa in varie parti del Discorso e soprattutto in quelle dedicate alla scenografia. […] Il tono pamphlettistico in questa seconda redazione è ridotto a vantaggio di un’orchestrazione più controllata del discorso; ad esempio è espunta una critica agli impresari che nella prima redazione precedeva le osservazioni relative al libretto, evidentemente considerata troppo contingente e non adatta all’andamento più formale che Algarotti vuole dare al Saggio: «Ma questa così solenne riforma in vano noi l’attenderemmo dalle nostre tumultuarie compagnie di teatro e da’ nostri impresari che ne sono alla testa; i quali o non sanno ciò che fare si convenga, o pure, atteso i mille rispetti che sono forzati di avere, nol possono mandare a esecuzione17.»
Egli voleva in questo modo oltrepassare una lacuna intrinseca all’arte della declamazione, ossia l’assenza di una tradizione a cui l’attore potesse fare riferimento per ispirarsi. […] Si richiedeva inoltre la creazione di giornali espressamente dedicati alla critica delle recite, in cui fare menzione degli attori che si fossero maggiormente segnalati e dei quadri e delle figure che avessero suscitato più effetto sul pubblico. […] Sotto questo rapporto l’oratore più tranquillo e contento, l’istruttore più riflessivo e più semplice, il narratore di cose che men lo riguardano, non può fare a meno di essere soggetto a questa legge fisiologica. […] Imperocché in ogni altro genere di imitazione può l’artista avere il tempo di esaminare e correggere quel che ha fatto, ma l’attore non può ciò fare, se non sia sorpreso al momento ch’egli declama. […] E perché su tal particolare o variano più, o s’intendono meno coloro che ne han ragionato, io mi studierò di meglio determinare i principî onde essi abusano, e l’applicazione che se ne dee fare.
La sua maniera d’imitare è così indeterminata e generica, i sagrifizi che ci costrigne a fare nella poesia e nella declamazion naturale sono tanti sì replicati e sì grandi i segni esteriori delle passioni che servono di materia al linguaggio musicale sono così poco energici e così ambigui a cagione di quel contegno, di quella tinta di falsità, o di riserba che hanno sparso sopra di noi i sistemi d’educazione, e i successivi progressi della cultura o piuttosto del corrompimento nella società, i punti insomma dov’ella può afferrare gli oggetti sono sì oscuri e sì rari che la musica non ci offrirebbe verun compenso, né meriterebbe gli omaggi delle persone di gusto se l’arte d’illeggiadrire le cose, e per conseguenza una discreta licenza negli ornamenti non supplisce in lei alle altre mancanze. […] Perché dovrò con soverchia stitichezza rinunziare ai vezzi musicali e agli ornamenti che mi ricompensano dei sagrifizi che sono costretto a fare in grazia del canto? […] [42] Se i maestri dell’arte invece di consultar la moda sempre capricciosa e incostante, o di abbandonarsi allo spirito di partito che non coglie nel vero giammai, avessero, siccome ho io cercato di fare, fissati i principi analizzando le idee ne’ suoi primitivi elementi, da una banda non si vedrebbero essi aggirarsi tastoni dentro al buio di mille inconcludenti precetti, e dall’altra la musica vocale si troverrebbe in Italia in istato assai diverso da quello che si trova presentemente. […] [43] Dicendo quello che dovrebber fare i cantori, ho detto appunto quello ch’essi non fanno. […] Dove all’aria stessa cioè alla stessa passione che conserva la tinta e il colore medesimo si dà tutte le volte che si torna da capo un tuono affatto diverso cambiando il tempo, il movimento e il ritmo, quantunque il cambiamento non abbia punto che fare col basso e coi violini?
I comici d’oggi dicono ancora : fare uno sbianchimento ; e vuol dire più specialmente : metter sotto gli occhi del pubblico l’errore di un compagno di scena, non rilevato avanti. […] Torino, Paravia, 1826) : A Giovanni Boccomini fu genorosa natura ; di bella figura, di voce sonora, di avvenente aspetto ; quasi sempre applaudito, soventi volte encomiato, oltre le qualità fisiche possiede un tatto giusto e perfetta cognizione degli spettatori con che ha a fare.
Detta a lei l’amore di fare de’ sogni piacevoli: a me di dar risalto a’ veri suoi pregi, i quali nè pochi sono, nè volgari, come mostrerò nell’ultimo Articolo del mio Discorso.
Non è vero ciò che diceva Voltaire che solo in Francia prevale l’impertinente costume di fare assistere allo spettacolo la maggior parte dell’uditorio all’erta.
E perchè forsi qualcheduno de comici pensa di fare il padrone, a questo dico che non voglio riconoscere altro padrone che il Ser.
Per fare da madre e da nonna v’ era la famosissima e celebratissima Ircana(cosi fu chiamata la Bresciani dopo l’interpretazione della Sposa Persiana), che fece tanto romore ne’ tempi andati.
La comedia in musica che si doveva fare qui non si farà per adesso, poichè volevano che vi cantassi io, ma perchè non possono essere al ordine per questo mese non ò voluto per non far danno alla Comp.
Non metto poi a conto quella maladetta cicalata che mi convenne fare. […] E che diavolo avea io a fare del Parlamento?». […] La regina Elisabetta che l’amava, e che volle fin anche spirare con un concerto di musica, fece fare a quell’arte qualche progresso maggiore, prendendone in parte il gusto dall’Italia, dove fioriva.
… Altro dunque io non so fare che piangere? […] Che pensi di fare? […] Il re bee e vuole che egli beva ancora; Amlet vuol prima fare il secondo assalto, e dà al competitore un altro colpo.
Una giornaliera esperienza può fare accorgere ognuno che a qualunque movimento d’affetto corrisponda infallibilmente un altro moto nelle anzidette regioni della nostra macchina. […] Ravenna 1638; e l’altro di Ferdinando Galli Bibbienna sul modo di fare scene vedute in angolo, da lui inventate. […] Si baderà dunque a rendere ottusi, o almeno retti quegli angoli, o pure (e sarà ancor meglio) a spuntargli, e fare che i lati del palchetto vadano a terminare in un concavo cilindrico. […] Il danzatore se ha un ballo prediletto, lo menerà in iscena, abbia pure tanto che fare col dramma, quanto la luna co’ granchi. […] Felice in piazza […] furono trovati da Filippo [Brunelleschi], per fare la rappresentazione o vero festa della Nunziata, in quel modo che anticamente a Firenze in quel luogo si costumava di fare.
Nelle commedie Italiane del XVII secolo si vuol fare la medesima distinzione del precedente in erudite e in buffonesche ed oscene destinate al divertimento del volgo. […] Si nota solo dagl’ intelligenti che i teologi moralisti del XVI secolo non muovono la questione, se lecito sia il castrare per fare un musico; nè pare che ciò prendesse ad investigarsi prima del secolo XVII. […] Il nominato autore dell’opuscolo del Teatro osserva che la bocca del palco scenario eccessivamente angusta e molto lontana dalla scalinata nuoce al vedere, là dove si avrebbe potuto fare più larga e più vicina agli spettatori; e così parve anche a me; allorchè vidi questo gran teatro. […] Ha sei ordini di palchetti; ma (dice l’autore dell’ opera del Teatro) de’ comodi interni, e dell’abbellimento esteriore, non vi è occasione di poterne fare neppure un cenno.
Rachele viene a fare l’ultima pruova del potere del suo pianto. […] Mentre Fañez pensa a fare uccidere Rachele, Ruben fra tanti robusti armati solo, debole e vile cava un pugnale (come dice) per difendersi, e Fañez per non far macchiare le spade de’ compagni nel sangue di una femmina, impone all’Ebreo di ucciderla promettendo a lui la vita. […] Egli incomincia dal fare l’ uffizio del carnefice nella persona di Ruben; ma, benchè prima alla sola idea che Rachele dovea allontanarsi avea voluto che un vassallo gli togliesse la vita, ora alla vista del sangue e del cadavere di Rachele caldo ancora, repentinamente acquista dominio sulla sua disperazione, ed ammette in quel medesimo punto gli uccisori alla sua presenza e gli perdona, contentandosi di dire che serva loro di pena contemplar lo horroroso de la bazaña. […] Si restringono poi troppe cose in un giorno, dovendosi fare accampare i Volsci, dar luogo a una tregua, superare il Gianicolo, tramarsi una congiura contro Marzio dichiarato dittatore, rompersi la tregua, venirsi a un altro fatto d’armi, allestirsi barche e legni per passare il Tevere, farsi due abboccamenti colla madre, una zuffa nel campo Volsco, seguir la morte di Tullo, la sortita de’ Romani, la fuga de’ Volsci, l’uccisione di Coriolano. […] L’incisione del rame fu opera di Don Isidro Carnicero, e l’autore volle fare una puerile allusione al di lui cognome Carnicero scherzando sulla parola carnifex con darle un doppio erroneo significato.
Un Gabinetto di Storia Naturale stabilito in Madrid sotto gli auspicj del medesimo Sovrano Regnante, oggi ricchissimo, e da divenirlo ognora più colle produzioni vegetali, minerali, e animali del Nuovo Mondo per la maggior parte soggetto all’Ispana Monarchia, qual guerra non è per fare a’ pregiudicati lodatori temporis acti, qual nuova, qual varia ricchezza di giuste idee non isveglierà nella Nazione? […] Buona Causa dunque, o Signori Apologisti, se volete fare ammutolire gli avversarj.
Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’ aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso e medita vendette, e nella seconda parte di essa, che non ha che fare col primo pensiere, si dice, sin tus perfecciones serà à mis passiones dificil la calma, quando à mi alma la quietud faltò; ciò in castigliano potrebbe dirsi una pura quisicosa, ed in francese un galimathias. […] questa: che il regolamento di fare una sola cassa seguì due anni dopo.
Se poi la smontatura che traspare dalla vostra lettera, è dovuta ad altre cause — forse troppo intime — « benedetto ragazzo che siete » con tutto il bene bono che vi voglio mi permetto di dorlotarvi con queste parole : fate quello che credete sia un dovere di fare e lasciate fare al tempo.
Che altro fa la coregrafia se non prescrivere anch’essa al ballerino insieme col tempo i passi e i giri ch’egli ha da fare sopra le note dell’aria?
Ma che simili poesie pervenissero ad essere spettacolo decorato per fare illusione e dilettare la moltitudine non apparisce.
Egli altro non sa fare che piangere a tutte le ore, e filosofare cicalando y mentre è tempo d’operare.
Venere stessa vi fa il prologo, e ne accenna l’argomento: Miracol novo a fare or m’apparecchio In questo istesso loco. […] Sotto nome di Flori egli pretese introdurre la signora Campiglia, come egli stesso a lei scrive, e sotto quello di Celia la signora Barbara Torelli, facendole fare insieme una scena in lode delle donne virtuose, ed in biasimo di chi non le ossequia.
Così Racine, tuttochè mirabile per tanti pregi, non ci obbliga a fare una piena eccezione alle tragedie francesi, che quasi tutte sono un tessuto d’interessi proprj del socco trattati con tetra gravità. […] Ma si loda con ragione l’ elezione ch’egli seppe fare de’ principali personaggi proprj ad eccitar la pietà tragica.
Questo buon pittore della natura, come a ragion veduta l’ appellò Voltaire, prima di fare assaporar agl’ istrioni la commedia di carattere da Macchiavelli sì di buon ora mostrata sulle scene di Firenze, servì al bisogno ed al mal gusto corrente: entrò poi nel camin dritto sulle orme di Moliere: deviò in seguito alquanto alterando ma con felice errore il genere: e terminò di scrivere pel teatro additando a Francesi stessi la smarrita via della bella commedia di Moliere. […] O perchè maggior difficoltà s’incontra in iscerre i tratti più espressivi dal vastissimo campo della natura, come dee fare il comico, che in calcare le orme del picciol numero de’ buoni scrittori che il tragico prende a modelli?
Bisognava non fare sgarbi alla baldina, perchè se no l’innamorato Andreini si sarebbe rifatto con la moglie. […] Mi fano parlare che io resti questo verno a Milano, et perchè non mi pare giusto, et che io niego di restargli, mi ha il ditto marito di Florinda tirato a termine di fare questione, il che succedeva se Iddio non gli metteva la mano.
La stessa sensazione che ci strappa un urlo di spavento o un grido di gioia, ci spinge a fare eziandio certi determinati gesti analoghi alla natura dell’affetto che ci predomina. […] Così perché la danza rappresenta le azioni umane per mezzo de’ muovimenti e de’ gesti, l’arte del bravo pantomimo consiste nel fare che i suoi gesti e i suoi muovimenti esprimano con tutta la verità ed evidenza compatibile coi principi dell’arte sua l’originale preso a rappresentare. […] Il carro era tirato da due pavoni tanto belli e tanto naturali, ch’io stesso non sapeva come fosse possibile, e pur gli avevo visti e fatti fare. […] [31] Dopo avere in succinto narrate le rivoluzioni del ballo pantomimico siami lecito in mezzo al plauso generale e le grida d’approvazione che dappertutto si sentono per così fatta scoperta, fare due richieste al rispettabile pubblico italiano. […] Sfido poi quel Tiresia e quella sacerdotessa a capire cosa abbiano a fare colle feste d’Imeneo la grotta, il mare, il vascello, i marinari, la tempesta con tutti gli altri episodi posticci ed inutili.
Ambivio Turpione, il quale tolse sopra di se il carico di fare il prologo per raccomandarla al popolo, L’istrione accreditato, colle parole dell’incomparabile autore, nel bellissimo prologo mette in vista gli antichi suoi meriti; e siccome per opera sua alcune favole di Cecilio alla prima rigettate si riprodussero, e col meglio conoscersi riceverono migliore accoglimento, così si lusinga che abbia in questa di Terenzio a rinnovarsi il passato esempio, fidando nella benignità e nel silenzio degli ascoltatori. […] Ma questa cosa potrebbe fare che un poeta assennato chiamasse doppia una favola di argomento semplice? […] Secondo me Terenzio, nel servirsi del semplice argomento Greco, v’ inserì al suo solito la traccia di un’ altra azione forse di sua invenzione, per fare la favola più ravviluppata, accomodandosi al piacere del popolo, cui già increscevano gli spettacoli troppo semplici, come suole avvenire allorchè il buon gusto comincia a vacillare. […] Ed a me sembra potersi ciò fare in due sole maniere ragionevoli. […] Fedria parte dal proscenio dopo il verso, Meus fac sis postremo animus, quando ego sum tuus, e con Parmenone entra nella propria casa per accingersi al picciolo viaggio che vuol fare in villa per passarvi il biduo penoso.
Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso, e medita vendetta, e nella seconda parte, che non ha che fare col primo pensiere, si dice, Sin tus perfecciones serà à mis pasiones dificil la calma, quando à mi alma la quietud faltò.
Si dee sapere, che fra gli altri ciarlatani, empirici ed istrioni, che a’ nostri giorni han fatto e fanno grandissima fortuna in Parigi, vi sono con carrozza ed equipaggio un certo Nicole, e un certo Nicolet, de’ quali il primo a forza di far correre avvisi stampati per guarire il mal francese, e ’l secondo a forza di rappresentar farse e buffonerie sopra i Baluardi e alle Fiere di San Germano, e di San Lorenzo, seppero così ben fare i fatti loro, che da molti anni sono padroni di varie terre, le quali hanno titolo di Signorie.
Erano così destri e maravigliosi in ciò fare, che Manilio d’un d’essi ebbe a dire: Omnis fortunæ vultum per membra reducet, . . . . . . .
Quel bagagliume non la riguarda ; lei sente che il momento umano, della situazione e del carattere, non deve essere alterato da impeti vanitosi che non hanno nè la ragione nè il sentimento dell’arte ; lei sente che i prontuari, le tradizioni, le pratiche di quel mondo artificiale non hanno il potente alito di vita della creatura fatta ad imagine e similitudine ; lei sente che l’applauso del pubblico, dal mormorio di approvazione al grido entusiastico, deve prorompere spontaneo, non deve essere strappato con le tenaglie arroventate del mestiere ; e per quanto non abbia dato finora delle interpretazioni complete, nel tono generale della recitazione della Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bellezza dell’arte della scena ; vivere una creatura, non fare una parte con tutti gli annessi e connessi del macchinario, e si scorge nella dizione, dalla piana a quella che si eleva nel vario erompere di una passione, nel vario avvicendarsi di una situazione ; e si scorge nel modo di concludere la frase, senza finali di maniera ; e si scorge nello sprezzo, costante, tenace, di quelle note stridenti, le quali anche a volte, rarissime, innocenti, riuscirebbero all’effetto dell’applauso plateale …… Dal terzo articolo : « quello che non c’è.
Ma per venire a particolarità maggiori e notare i difetti ch’io ritrovo negli episodi francesi, come le lodi ch’essi meritano per li medesimi, esporrò le osservazioni che m’avvenne di fare nella lettura di tali tragedie. […] L’inavvertenza d’alcuno nel fare uso del coro è giunta a lasciargli udire gli stessi soliloqui. […] Cioè, come io spiego, «con l’applicazione della domestica forma migliorano le immagini che prendono a fare in quel genere». […] La malvagità punita, tuttoché non necessaria, sarebbe soffribile in tragedia di lieto fine, ma in una di fin lugubre come è quella non può fare si non effetto nocivo, distraendo l’uditore in affetti diversi dalla pietà. […] Se Antioco aveva avuto queste precauzioni non serve il riferirgliele, né ciò puote fare Antigone verisimilmente.
L’usurpatore Andronico, l’uccisore fraudolento di Alessi Comneno, colui che al contrario di Tito diceva di aver perduto il giorno, in cui non gli era riuscito di fare strangolare o almeno accecare qualche personaggio illustre, costretto da Isacco Comneno a fuggire, s’imbarcò in un picciol legno colla moglie e con una mima che egli amava192. […] Vero è che gli antichi poeti Ebrei, Davide, Salomone, Asaf, Eman ed altri, si crede che scrivessero ancora drammatici componimenti, e per tale senza contrasto è considerata la Cantica di Salomone, ma che simili poesie pervenissero ad essere spettacolo decorato per fare illusione e dilettare la moltitudine, non apparisce.
E più giù : In Bologna, dove per lo più si recita il Verno, et dove sono sempre chiamate le buone compagnie ; al mio arrivo, già anni sono, mi fu detto da un Mastro Dionisio Bruni padrone d’ una bottega di carte da giuoco, le precise parole : « S’ io non amassi tanto voi e le vostre virtù, e s’ io non avessi qualch’ altro comodo fuori del mestier delle carte, non potrei fare di meno di non vi maledire, et desiderarvi ogni male, acciò lasciaste di venire in questa città, poichè siate cagione, che i ridotti si chiudono, e che con essi la mia bottega fallischi. » Le Lettere facete e morali (ivi, m dc xxii) gli procacciaron da molti poeti una bellissima corona di sonetti, che poi non fece imprimere, egli dice modestamente, essendosi accorto, che per abbassare il suo povero stile non ci voleva altro che l’altezza de’ loro concetti (Lett. […] II) : Voi che fate professione di parlare in pubblico, raccordatevi d’aver pronto l’occhio, la mano, il piede, anzi tutta la persona, non meno che habbiate la lingua, poichè il concetto, senza il gesto, è appunto un corpo senza lo spirito, havertendo che non si vuol gesticolare in quel modo che molti sogliono fare, e ch’io molte volte ho veduti, che se girano gli occhi pajono spiritati, se muovono il piede sembrano ballerini, se le braccia barbagiani che volano, e se voltano il capo, scolari di Zan della Vigna ; però il capo, le braccia, i piedi, gl’occhi si deono muovere a tempo, con modo, con ordine e con misura, havertendo ancora che non è poco vitio adoprar sempre un sol braccio, o una sola mano, ma che si dee hor l’ una, hor l’altra et hora tutte due muovere, come più comporta il discorso che si recita.
Ciò si auera frà trappolino, e Bagolino, uenuti frà loro à rompimento di capo. or ueda Vostra Ecc.ª come poss’io sofferire senza perder il corpo, ell’anima cosi barbara unione. il Signor Duca mio Signore per cui prego ogni giorno, cosi Dio, mi faccia degno d’essere esaudito ; rimarrà da me seruito con ogni affetto, ma non con questi dui, e poi uolendo Trappolino e la moglie, non u’ hà che fare, l’Aurelia. il carpiano oltre l’essere buono nella sua parte, e suauissimo di costumi, e seruirà con ogni spirito, e dà pantalone marauiglioso. u’è buffetto ; dirà Vostra Ecc.ª questo non brama il S.
Nel 1770 usci in Madrid la commedia intitolata Hacer que hacemos, cui noi potremmo dare il titolo di Sex Faccendone, di uno che vuol mostrarsi sempre affaccendato, ma che nulla ha da fare. […] Potè mai fare ch’egli non fosse sempre el poetilla La Cruz?
Ma è questo appunto il fare degli apologisti d’ultima moda, combattere l’evidenza che gli molesta, con un solo nome, fosse poi anche quello, non che dell’eccellente Denina, di un Sherlok, purchè dica male dell’Italia. […] Nella II al tit. 21 si parla in 25 leggi de’ duelli, e tra esse nella 13 e 14 s’insegna il modo di fare i cavalieri e gli scudieri; e nella 21 si dice che gli antichi cavalieri combattevano a favor degli aggraviati.
E quando, vinto dalla umile e calda intercessione di Flaminio Scala, il direttore, scrisse di continuar la protezione a’comici con patto di fraterna concordia, il Bruni che a detta dell’Antonazzoni aveva più volte affermato voler fare d’ogni erba fascio, ove dovesse restare in compagnia, e che sembra fosse stato davvero la pietra dello scandalo, mandò pel primo a Don Giovanni colla seguente lettera le sue giustificazioni e le sue proteste di obbedienza e di reverenza.
Imperocché ha ella una variazione d’accento che la rende molto a proposito per la formazione de’ piedi: può, per esempio, in una parola di cinque sillabe, mettendo l’accento sulla seconda, far brievi le tre che le rimangono, come in “determinano”: può fare lo stesso in una parola di quattro sillabe, come in “spaventano”: abbonda moltissimo di piedi dattili come “florido, lucido”, piedi che molto giovano all’armonia a motivo dell’ultima, e penultima breve precedute danna sillaba lunga, circostanza, che più agevole rende la musicale misura: adatta l’accento ora sulla penultima, come in “bravura, sentenza”, ora sull’ultima, come in “morì, bontà, virtù”, dal che vario e differente suono risulta sì nelle rime che nei periodi, e più facile diviene la poggiatura nella cadenza. […] Al che s’aggiugne eziandio l’indole de’ loro versi, i quali, essendo dappertutto rimati, e dovendo la musica fare su ogni rima una qualche pausa, l’andamento del recitativo divien tardo, noioso, e difficile.
O dunque debbesi moderatamente fare uso della severità de’ puristi’ intorno alle parole di straniera origine, o riceverne e concederne a vicenda il perdono, giacchè Iliacos intra muros peccatur, et extra.
Faceva intanto il Marchese di Surdeac rappresentare a sue spese nel Castello di Neoburgo in Normandia il Toson d’oro; e l’abate Perrin tentava di fare un’ opera francese componendo in cattivi versi una pastorale posta in musica da Cambert cantata la prima volta in Issy nel 1659.
Sull’incominciar della guerra di Olinto volle Apollodoro fare un decreto che questo danajo ritornasse all’uso antico; ma egli fu per questo accusato e punito con una grossa pena pecuniaria.
Ma egli forse non volle vedere che Aquilio si vale di questa immagine come di un paragone conveniente ad un cortigiano guerriere, il quale risveglia anzi idee marziali, e manifesta un contrasto di calore e di brio che Aquilio comprende che dee contenere; e un Piccini, un Sacchini, un Gluck, saprebbero coll’ armonia animar questo pensiero vivace, imitar l’impeto guerriero raffrenato dalla prudenza, e conchiudere col poeta con fare scoppiare il colpo ben regolato e mostrarne la conseguenza ch’è il trionfo che tutto riempie il cuor d’Aquilio.
Non è maraviglia che abbia scarabocchiato un libercolo picciolissimo in tutti i sensi, per provare che in Italia la poesia non è uscita ancora dalla fanciullezza; non consistendo la sua grand’opera che in pagine 104 in picciolo ottavo, delle quali (sebbene protesti di voler fare un libro picciolo) ne impiega ben quaranta solo in esagerate lodi della sua innamorata, cioè di Shakespear.
Faceva intanto il marchese di Surdeac rappresentare a sue spese nel castello di Neoburgo in Normandia il Toson d’oro; e l’abate Perrin tentava di fare un’ opera francese componendo in cattivi versi una pastorale posta in musica da Cambert cantata la prima volta in Issy nel 1659.
E il tristo andazzo durò per altri anni ; e Salvini rappresentava l’Orosmane, e Rossi l’Oreste, e la Ristori rappresentava tutto ; ed essendo tutti nel pieno vigore dell’ età dovevano fare anche meglio.
Torna fuori Tossilo, ed ha pensato con un’ astuzia di fare che lo stesso padrone della sua bella sborsi il danaro per pagarne il riscatto. […] Trionfa Tossilo colla sua Lenniselene e coll’ amico Sagaristione, e dispone un magnifico banchetto, non solo per tripudiare con gli amici e coll’ amata, ma per fare arrabbiare vie più lo scontento ruffiano. […] Un servo autore dei di lui disordini appena ha tempo da fare menar dentro un commensale ubbriaco e chiudere la casa. […] E’ noto l’epitafio che Plauto compose a se stesso, in cui dimostra la perdita che nella sua morte era per fare la commedia: Postquam est morte captus Plautus, Comoedia luget, Scena est deserta.
Ma è questo appunto il fare di certi apologisti di ultima moda, combattere l’evidenza che gli molesta, con l’autorità di un nome solo, fosse poi anche quello, non che dell’erudito sig. […] Nella II al tit. 21 si parla in 25 leggi de’ duelli, e tra esse nella 13 e 14 s’insegna il modo di fare i cavalieri e gli scudieri, e nella 21, si dice, che gli antichi cavalieri combattevano a favor degli aggraviati.
Le di lui ariette furono per lo più poco musicali; ma mostrò talora di saperne fare, come si vede in questa dell’Eraclea: Incominciai per gioco, E poi m’innamorai Quanto potesse mai Innamorarsi ancor. […] Passiamo a fare un motto della danza e della musica.
L’usurpatore Andronico (colui che al contrario di Tito diceva di aver perduto il giorno, in cui non gli era riuscito di fare strangolare o almeno accecare qualche personaggio illustre) uccisore fraudolento di Alessio Comneno, costretto da Isacco Comneno a fuggire, s’imbarcò in un picciol legno colla moglie e con una mima che egli amavaa.
Ma egli forse non volle vedere che Aquilio si vale di questa immagine come di un paragone conveniente ad un cortigiano guerriere, il quale risveglia anzi idee marziali, e manifesta un contrasto di calore e di brio che Aquilio ben comprende che gli fa uopo contenere, ed il maestro di musica che ragiona dritto, saprebbe coll’armonia animar questo pensiero marziale, imitar l’impeto raffrenato della prudenza, e conchiudere col poeta con fare scoppiare il colpo ben regolato e mostrarne la conseguenza che è il trionfo che tutto riempie il cuor d’Aquilio.
Ma sebbene in Italia da qualche tempo suol farsi de’ Letterati e degli Artisti quell’uso che fassi de’ limoncelli, come diceva l’eloquente Cardinal Cassini, i quali, trattone il sugo, si gittano nel letamajo, pur con tutto ciò a disinganno di certi mal prevenuti e mal istruiti Oltramontani si vuol avvertire, che gl’ Italiani nell’opere d’alto ingegno, ove han posta cura, e in tutte le produzioni delle arti dell’ immaginazione, del genio, del sentimento, e del gusto, per la leggiadria, dolcezza, energia, e maesià della lingua, pe ’l propizio influsso del cielo, per la serenità, fervenza, e temperatura dell’aere, per le ridenti e maravigliose prospettive, per la vaghezza, amenità e fertilità del paese, o come diceva il buon vecchio Ippocrate, per l’arie, l’ acque, i terreni, per l’armonica tempera, e per la delicatezza de’ sensi, per la proprietà del loro temperamento, per la massima parte melancolico sebbene poco o niente apparente nell’esteriore, per la placidezza, avvenenza, e gentilezza de’ costumi, per lo sodo, nobile, e grazioso modo di pensare, e di fare, in somma per la natural vampa d’ingegno fervido, elevato, sagace, ed inventivo, sono stati, sono, e saranno in ogni età eminenti, ed a tutte le più culte nazioni moderne, uguali, e ad alla maggior parte, superiori; perchè (dicasi con altre parole dell’ anzilodato Ab.
Il Battaglia vuol fare una compagnia per il suo teatro Re ; ma in questa io non entro per nulla.
E ciò esegui col fare apprendere a'piccoli fanciulli figliuoli de'Comici suoi alcune Commedie del Goldoni, le quali erano da essi, benchè di tenera età, meravigliosamente eseguite.
Ma per quante ricerche abbia io fatte affine di verificar l’epoca indicata dal Grillo non mi è avvenuto di poterlo fare, né ho ritrovato notizia alcuna del dramma musicale avanti ai tempi di Carlo Secondo, nelle nozze del quale con Marianna di Neoburg si rappresentarono alcuni drammi colla musica del Lulli, il primo dei quali fu intitolato l’Armida.
I primi che in questo secolo, e probabilmente verso il 1480, cominciarono a fare rappresentare in Roma le commedie di Terenzio e di Plauto, ed anche altre composizioni drammatiche di poeti moderni, e a istruire la gioventù a ben recitarle e declamarle, furono due illustri grammatici e filologi di que’ tempi, Giulio Pomponio Leto dell’Amendolia di Calabria, institutor dell’Accademia Romana, e Giovanni Sulpizio da Veroli dello Stato Pontificio, per opera de’ quali i due cardinali Pietro e Rafaello Riari fecero vedere a Roma moderna per la prima volta spettacoli teatrali fatti con gran magnificenza.
Or perché poi cotesto scempiato eremita, il quale, senza sapersi perché, si rende complice d’un attentato sì atroce, aspetta fino a quel punto a fare una richiesta sì importante e necessaria per impedir l’uccisione d’Orfea poco meno che eseguita?
Sul cominciar della guerra di Olinto volle Apollodoro fare un decreto che questo danajo ritornasse all’uso antico; ma egli fu per ciò accusato e punito con grossa pena pecuniaria.
A un cenno del popolo nel tempo de’ Giuochi Florali dovevano snudarsi e fare spettacolo del proprio corpo.
A un cenno del popolo dovevano nudarsi e fare spettacolo del proprio corpo.
S. di farmi apresentare delle prime caccie dal Poggio che se haveano da fare, gli mando queste poche righe attento che gli rinfreschino la memoria di mandarmela secondo l’ordine, et così ancor io vado agumentando et crescendo quello ch’io sono obligato per mia parola d’appresentare a V.
Passi che una commedia di giusta mole siesi recitata in Roma in due giorni, cioè la sera dell’uno i primi due atti, e il rimanente all’albeggiar dell’altro, cosa, per quanto si sa, mai più non avvenuta, e di cui non potrà rendersi veruna adeguata ragione, siccome è stato anche da altri avvertitoa Ma questa cosa potrebbe fare che un poeta assennato chiamasse doppia una favola di argomento semplice? […] Secondo me Terenzio, nel servirsi del semplice argomento greco, v’inserì al suo solito la traccia di un’ altra azione forse di sua invenzione, per fare la favola più ravviluppata, accomodandosi al piacere del popolo, cui già increscevano gli spettacoli troppo semplici, come suole avvenire allorchè il buon gusto comincia a vacillare. […] Ed a me sembra potersi ciò fare in due sole maniere ragionevoli. […] Fedria parte dal proscenio dopo il verso, Meus fac sis postremo animus, quando ego sum tuus , e con Parmenone entra nella propria casa per accingersi al picciolo viaggio che vuol fare in villa per passarvi il biduo penoso.
Cominciossi allora ad applicar la musica ai funerali, alle nozze, e ad altre solennità, come ancora a’ Ludi o misteri della Passione, de’ quali, per essere stati in certa guisa i primi abbozzi del dramma musicale, ci convien fare più distinta menzione affinchè si vegga la rassomiglianza d’origine nella poesia drammatica di tutti i tempi. […] Imperocché il primo inciso “Peccavi, Domine, mi severe mei” tutto spirante compunzione e mestizia è d’indole affatto diversa del “te diligit anima mea”, nel quale spicca, un’amorosa tenerezza, come il “te quaesivit cor meum”, ch’esprime uno slancio d’amore, non ha niente che fare col “demitte culpas”, che si dovrebbe render in tuono d’umiliazione.
Non più si collocarono alla rinfusa gli strumenti, né si credette che il numero e la scelta di essi nulla avesse che fare colla espressione, ma si pensò bensì che l’una e l’altra di queste cose contribuissero assai a produrne il total affetto. […] Antesignano di essa divenne il celebre Antonio Bernacchi, il quale, comechè avesse fievole voce e disadorna, tanto ei seppe fare a forza di studio, che attissima la rese pel canto, nel quale maravigliosamente poi si distinse pel facile spianamento, per l’arte di graduar il fiato, per la leggiadria degli ornamenti, e per la esatta maniera di eseguir le cadenze.
Non metto poi a conto quella maladetta cicalata che mi convenne fare: sa dio come la pronunziai, e come la Camera l’ascoltò! […] E che diavolo avea io a fare del Parlamento?”
Ne tralascio le buffonerie frammischiate alle cose sacre: l’infelice esposizione della favola, non avendo saputo introdurla se non con fare che il buffone in 160 versi ne racconti a se stesso i fatti che la precedono: le meschinità e improprietà dell’intreccio, l’insipidezza, la moltiplicità delle azioni, l’irregolarità e la mancanza d’interesse. […] Di poi la lunghezza del discorso riesce inverisimile all’improvviso nel parlare, dovendosi fare due discorsi seguiti di materie differenti colle medesime parole. […] Linguet hadel Solis tradotto soltanto Un bovo hace ciento, commedia avviluppata che si continua a rappresentare; ma forse poteva fare scelta migliore fralle seguenti: Amparar al enemigo, che dal Celano in Napoli si tradusse in prosa intitolandola Proteggere l’inimico che ha più di una situazione interessante, locuzione propria, nè l’azione dura più di due notti e tre giorni. […] Possa questo mio lavoro inspirar loro il disegno di fare una collezione di favole sceniche spagnuole scelta e ragionata, mille volte promessa, e mai non intrapresa!
E si accende, e si dà moto per eseguire ciò che le rimane a fare. […] Ma ciò serve punto a fare avanzar l’azione?
Diogene Laerzio nella vita di Platone accennò che la tragedia veniva prima rappresentata dal solo coro, e che dipoi Tespi, per fare ch’esso riposasse, trovò un nuovo attore per gli episodii, Eschilo ve ne aggiunse un altro, e Sofocle il terzo .
Un’ altra apparente opposizione sogliono fare i poco esperti al carattere di Achille, per essersi prima mostrato tutto fervoroso a difenderla, e per soffrirne poi pacificamente il sacrifizio senza nulla tentare in di lei prò. […] É da credersi che prima di fare questa censura quel dotto critico si sarà assicurato della distanza del campo e dell’altezza delle mura, per convincere d’inverisimilitudine Euripide, Omero e Torquato. […] Oltre a molti altri tratti assai patetici, vi si trovano varie allusioni alle Greche antichità e tradizioni; il che, come altrove accennammo non lasciavano di fare i tragici Greci per mostrare la nobiltà remota delle loro leggi ed origini, e de’ loro costumi a gloria della nazione. […] Diogene Laerzio nella Vita di Platone accennò che la tragedia veniva prima rappresentata dal solo coro, e che dipoi Tespi, per fare che esso riposasse, trovò un attore degli episodj, Eschilo ve ne aggiunse un altro, e Sofocle il terzo.
E si accende, e si dà moto per eseguire ciò che le rimane a fare. […] Ma ciò serve punto a fare avanzar l’azione?
Bartolommeo Bocchini), è fra gli Zanni un Zan Gurgola, da cui forse è venuto erroneamente il nome di Giangurgolo, come da Zan Ganassa si volle fare da alcuni Giovanni Ganassa (V.). […] Io ho udito in Pariggi stando a mensa con alcuni (non so s’ io dica strauaganti, o bestiali humori) auuezzi però alle più rabbiose guerre di Europa : Io con tanti cavalli, in tanti giorni, mi darebbe l’animo di prender il Castel di Milano, & poi passarne per Italia, debellare, distruggere, fare, dire ; & perchè uno de’suoi camerata manco furioso li disse ciò non poter essere, costui saltò di tauola, & con un senso rabbioso disse : hor hora ve lo vo a far vedere ; & così veloce partì, che se non mi fosse stato detto, ch’ egli era andato a dormire io gli voleuo raccomandar certe cose, ch’io ho in Ferrara : orsù, vno di quest’ huomini si può rappresentare, su le scene, & lasciar per gli hospitali quelli, che con un salto vanno all’ Impirio a cena con Giove.
Introduzione [commento_Introduzione.1] ad allettare… mente: ed. 1755: «a incantare i sensi, a sedurre il cuore, e a fare illusione allo spirito».
Dal che si vede che gli uomini si dilettano del maraviglioso mossi dal medesimo principio, che gli spinge a crearsi in mente quegl’idoli imaginari chiamati fortuna e destino, per fare, cioè, maggiormente illusione a se stessi.
Tanto stentò a crederlo il gesuita Lampillas, che chiuse gli occhi, e negollo rotondamente, altro non potendo fare.
Torna fuori Tossilo, che ha pensato con un’ astuzia di fare che lo stesso padrone della sua bella sborsi il danajo per pagarne il riscatto. […] Trionfa Tossilo colla sua Lenniselene e coll’amico Sagaristione, e dispone un magnifico banchetto, non solo per tripudiare con gli amici e coll’amata, ma per fare arrabbiare vie più lo scontento ruffiano. […] È nato l’epitafio che Plauto compose a se stesso, in cui dimostra la perdita che nella sua morte era per fare la commedia: Postquam est morte captus Plautus, Commoedia luget, Scena est deserta.
Danae s’ accorge dell’aquila ministra di Giove, e ne prende felice augurio, e va a fare una preghiera al Tonante. […] Fare. […] In somma il vescovo Martirano quasi ne’ primi lustri del secolo colle otto sue tragedie e colle due commedie eseguì egli solo con ottima riuscita quanto a fare imprese in tutto il secolo l’Italia tutta, cioè fe rinascere con decenza e maestria la maggior parte del teatro Greco.
Ne tralascio le buffonerie frammischiate alle cose sacre: l’infelice esposizione della favola, non avendo saputo introdurla se non con fare che il buffone in 160 versi ne racconti a se stesso i fatti che la precedono: la meschinità e improprietà dell’intreccio, l’insipidezza, la multiplicità delle azioni, l’irregolarità e la mancanza d’interesse. […] Di poi la lunghezza del discorso riesce inverisimile all’improvviso nel parlare, dovendosi fare due discorsi seguiti di materie differenti colle medesime parole. […] Possa questo mio lavoro inspirar loro il disegno di fare una collezione delle favole sceniche spagnuole scelta e ragionata mille volte promessa e mai non intrapresa!
S’io volessi fare un processo formale alla nostra musica, larga messe mi si presenterebbe di riprensione disaminando l’imbarazzata e difficil maniera d’impararla, l’imperfezione delle chiavi che servono di regola all’armonia, i vizi radicali del nostro solfeggio, e la falsità di tanti principi ricevuti come incontrastabili unicamente perché nessuno ha voluto chiamarli a contrasto. […] egli è chiaro che al maestro resterebbe pochissimo da fare nel primo, poiché, trovando di già misurata ogni sillaba, non doveva far altro che impiegar quattro tempi nella parola “dulces” composta di due lunge, due nell’“ex”, un solo nell’“u”, un altro nel “vi”, e così per tutto il verso di mano in mano, al fine del quale si troverebbe esattamente aver corrisposto al pensier del poeta.
L’altra commedia che neppure si curò l’autore di fare imprimere, è il Politico da me veduta solo accennata a soggetto, come sono tutte le altre ingegnose favole del Cirillo, il Saturno, il Metafisico, i Mal’occhi, il Dottorato, il Salasso, l’Amicizia. […] Questo buon pittore della natura, come lo chiamò Voltaire, prima di fare assaporare agl’istrioni la commedia di carattere dal Machiavelli sì di buon’ora mostrata sulle scene di Firenze, servì al bisogno, ed al mal gusto corrente. […] Ma Mercurio prima di ogni altro giudizio propone dì fare colla sua verga una finestrina nel cuore de’giudicandi onde apparisca l’intimo e la sorgente delle azioni. […] Nell’atto I si vedono alcuni che frequentano la casa del Cherdalosi per la Lucrezina sua figlia, e mentre se ne disviluppano i caratteri, si vede che Prosperino disposto a fare un viaggio, lo differisce per essere invaghito di Lucrezina. […] L’avvertisce che Settimio non le lascerà fare, com’ella pensa, quello che fan tutte.
Nella invenzione del dramma siccome i ritrovatori pretesero d’imitar i Greci, presso a’ quali le rappresentazioni non erano mai interrotte dal principio sino alla fine, così non introdussero né intermezzi, né balli, e riempirono gli intervalli coi soli cori; ma tosto degenerando fra le mani degli altri compositori, né sapendo questi come fare per sostener l’attenzione degli spettatori cori azioni prive di verosimiglianza e d’interesse, cominciarono a tagliar i componimenti in più parti frammezzandovi tra atto ed atto intermezzi di più sorta.
Torno a ripetervelo, caro Signor Abate, voi avete bisogno di fare migliore studio delle cose letterarie Italiche, se volete combatterle, e non fidarvi delle altrui capricciose asserzioni.
Un’altra apparente opposizione possono fare i poco esperti al carattere d’Achille, che essendosi mostrato prima sì fervoroso a difenderla, ne soffre poi pacificamente il sagrifizio senza nulla tentare in suo pro. […] Oltre a molti tratti assai patetici, vi si trovano varie allusioni alle Greche antichità e tradizioni; il che alle occasioni non lasciavano di fare i tragici greci per mostrare la nobiltà e antichità de’ loro costumi, leggi, e origini a gloria della nazione.
Aristotile, questo è un episodio che ha che fare con la materia non meno di quel delle navi che tu tanto lodi per la connessione sì necessaria che ha con la favola dell’Iliade. […] [4.99ED] Non è però che nella locuzione tragica non sia più periglioso il parlare ornato che il naturale, mentre nella prosa l’oratore si mostra, ma nel verso jambo tragico non si palesa il poeta nascosto sotto l’attore; e però non essendo tanto propri di questa sorta d’imitazione tutti quegli ornamenti poetici che convengono alla poesia lirica ed epica, tu vedi bene che la tragedia abbisogna di una dolcezza forse maggiore di quella che si ricerca negli accennati poemi, la qual dolcezza due effetti produce: l’uno è che aiuta notabilmente a condur le passioni dell’uditore in quella dell’attore; imperocché non si può esprimer quanto possa l’armonia variamente usata o a commuovere o a tranquillare gli affetti; e questa è una forza fisica, di cui più si vede l’effetto di quel che se ne possa immaginar la cagione; lo che ha fatto fare tante speciose meditazioni a’ platonici e a’ pitagorici, per mostrare di asserir qualche cosa, ove per verità poco o nulla dicono che vaglia a convincere. […] [4.130ED] Di questi pure hanno usato con lode universale nel Torismondo Torquato Tasso, nell’Arsinda il Testi, nel Corradino il Caracci, e nella Merope il Torelli e il Maffei, per non fare un catalogo di tanti altri. […] [5.81ED] Ma a buon conto que’ sentimenti erano facili, lisci e distesi quel solo e non più che richiedevan le note, che forse in quel tal sito egli credé necessarie alla musical simetria; né mai la musica al verso, ma questo a quella serviva, e serviva piuttosto come volontario che come schiavo; e però vorrei mediocremente poeta il componitore, e questo sarebbe il meglio per l’opera, imperocché potrebbe egli ordirsi in mente e tesser poi sulle carte tutta la tela musicale dal principio alla fine del dramma; e visto primieramente dove la forza, dove la tenerezza, dove i recitativi, dove l’arie più convenissero: dove il soprano, dove il basso, dove il contralto o il tenore per la legatura ed intrecciamento di una perfetta armonia dovessero fare maggior figura, vi adatterebbe appresso gli avvenimenti o tolti dalle favole greche o affatto affatto dal suo capriccio inventati qualunque si fossero, e le parole ed i versi facili, andanti e sonori, e caverebbe dalle bocche e dalle borse degli uditori non meno i ‘viva’ che la moneta. […] [6.63ED] — Convengo con te — ricominciò l’Impostore —. [6.64ED] Più caricano la tragedia che la commedia, tanto nella lunghezza del ragionare quanto nella declamazione, e così per l’appunto hanno a fare per conformarsi alla natura ed a’ Greci. [6.65ED] Quanto a me, credo che i discorsi lunghi sian del carattere vero della tragedia, perché di cose gravi da gravi e gran personaggi gravemente si parla. [6.66ED] La materia grave esigge lunghezza: il parlar de’ gravi personaggi con gravità, porta che senza interruzione procedano i ragionamenti sino alla fine, anche per la creanza, da non obbliarsi mai fra i signori, i quali né debbono mai interrompere, né essere mai interrotti, se non per importantissimi e violenti riguardi; che sebbene i discorsi tragici appaiono lunghi, non lo saranno paragonati a quel vero che si vorrebbe dalla materia, e che in grazia dell’uditorio si abbrevia, ma si abbrevia in modo che l’imitazione moderi il vero, non lo distrugga.
[13] A imitazione de’ Provenzali molti Italiani distinti per nascita, dignità e sapere fiorirono in Milano, Mantua, Vinegia e in Sicilia principalmente pella dominazione degli Angiovini ivi stabilita, dei quali non mi fermerò a fare particolar menzione dappoiché il Crescimbeni, il Quadrio, e meglio di loro il Tiraboschi hanno sparsa cotanta luce su quella parte di storia. […] Peggio per noi se il facile contentamento del Signor Abbate ci ha privati delle altre ricerche ben più concludenti ch’egli avrebbe potuto e dovuto fare relative alla natura della gamma degli arabi paragonata colla nostra, alla disposizione dei loro intervalli musicali, al numero delle consonanze, alla varietà de’ modi, alla differenza e divisione de’ tuoni, alle regole del loro canto, al genere della loro melodia, s’eglino conoscessero, o no, il nostro contrappunto, s’usassero per segni delle nostre note, e non piuttosto delle lettere dell’alfabeto con più altri punti importanti, dalla cognizione de’ quali dipende la forza, o la debolezza del sistema da lui adottato.
Non so, che alcun metafisico abbia data una spiegazion convenevole a questo fenomeno, ne io sono da tanto che speri di poterlo fare: abbiano, ciò nonostante, le seguenti conghietture il peso che meritano.
Però senza pretender che il mio giudizio faccia autorità, anzi lasciando il lettore in piena libertà di non dargliene alcuna, io seguiterò ad esporre le mie riflessioni su questo punto colla stessa schiettezza e imparzialità, che finora ho procurato di fare sugli altri argomenti. […] La sublime tristezza della tragedia ha tanto che fare col carattere del dramma in musica quanto avrebbe la romana madre de’ Gracchi con una ballerina.
Voltaire si é di fare i suoi personaggi troppo ragionatori, e di mostrare in essi assai frequentemente se stesso232.
Questo esser dee l’uffizio della vera storia teatrale ragionata ; e questo non sanno fare, nè i plagiarii di mestiere quando copiano o furano a mettà, nè gli apologisti preoccupati. […] Quanto a ciò dobbiamo fare osservare che l’autore in prima confessa che la sua tragedia senza amori sarebbe stata più tragica ; e perchè dunque ha voluto fare una tragedia men tragica ? […] Per fare un atto V(a).
E che diavolo aveva io a fare col Parlamento?
Questo esser dee l’uffizio della vera storia teatrale ragionata; e questo non sanno fare nè i plagiarj di mestiere quando copiano e furano a metà, nè gli apologisti preoccupati. […] Di tanto non faceva mestieri con un traditore com’ è Jemla per fare che scoprisse Dara.
Altri rapporti ne trova il citato gesuita, appoggiato ai quali stabilì il suo famoso clavicembalo oculare, dove i colori doveano fare lo stesso effetto che i suoni, e la musica dovea essere di luce, ma il progetto svanì, perché nella esecuzione mostrò più ingegno che giudizio.
Leonida ed Ansare vengono per fare uccidere Agide. […] La fama e l’invidia bentosto diedero al re indizio della perfidia di Athelwold; ma dissimulando obbligò il favorito ad accompagnarlo, volendo fare una visita alla sposa. […] Con ciò il poeta vuol fare intravedere il disegno ch’egli ha di morire.
Un’ altra apparente opposizione sogliono fare i poco esperti al carattere di Achille, per essersi prima mostrato tutto fervoroso a difenderla, e per soffrirne poi pacificamente il sacrifizio senza nulla tentare in di lei prò.
Qual è maggiore scelleraggine, fare avvelenare un marito, o condurre un figlio a trucidare sua Madre?
Al contrario Lope pressato dalle critiche di Manuel de Villegas, di Miguèl Cervantes, di Leonardo di Argensola, di Antonio Lopez e di altri moltissimi nazionali contemporanei, i quali mormoravano delle mostruosità delle di lui favole, ed obbligato dall’Accademia a giustificarsi il fece col mentovato discorso in versi el Arte Nuevo de hacer comedias en este tiempo, nel quale in vece di fare riflessioni piene del sugo di Aristotile e di Orazio, confessò di averne scosso ogni giogo, e diede precetti adattati alle proprie commedie, affermando che per non udire i clamori di Plauto e di Terenzio, mentre le componeva, tenevagli chiusi con sei chiavi.
Al contrario Lope pressato dalle critiche di Manuel Villegas, di Miguèl Cervantes, di Leonardo d’Argensola, di Antonio Lopez, e di altri moltissimi nazionali contemporanei, i quali mormoravano delle mostruosità delle di lui favole, ed obbligato dall’Accademia a giustificarsi, il fece col suo discorso in versi El Arte Nuevo de hacer comedias en este tiempo, nel quale in vece di fare riflessi oni piene del sugo di Aristotile e di Orazio , confessò di averne scosso ogni giogo, e diede precetti adattati alle proprie commedie, affermando che per non udire i clamori di Plauto e di Terenzio, mentre le componeva, tenevagli chiusi con sei chiavi.
Bella in Euripide é la narrazione dell’incendio e della morte del re e della figliuola, e serve a fare trionfar Medea per la ben riuscita vendetta; ma forse non men bellamente Seneca se ne’ disbriga in quattro o sei versi, scorrendo più rapidamente alla gran vendetta su i figliuoli per trafiggere il cuor del padre nella parte più delicata.