Raccomandandola il Perticari al Conte Gabrielli di Fano, scriveva : « Fa ragione che le nove muse vengano di persona a salutarti, perchè elle ti mandano la Rosina Taddei loro amica e compagna. […] E sorgi, al fratel mio dicean concordi ; Dio nella nostra la sua man ti porge ; e i sensi, che all’udir pareano sordi, scuote, e risorge. […] Non sparger d’oblio sì dolce idea, fin che ti basti la novella vita : Dal giusto Dio che suscita e ricrea, venne l’aita. […] E poichè immenso don di sua pietade ti pose il fido Beniamin d’appresso, che, conforto a' tuoi mali, or la metade è di te stesso ; appena il potrai tu, fa ch'ei ti guidi al tempio di Maria, madre di Cristo, se delle offese membra ti confidi riaver l’acquisto ; e udrem, nuovo miracolo di Cielo, la stessa di Gesù voce divina, ripeterti col suon dell’ Evangelo : Sorgi e Cammina.
Lontano fatalmente dalla famiglia, a cui non può mai pienamente sostituirsi nessuna amicizia, anche se rara e quasi favolosa come fu quella che tra molte ti sapesti meritare, tu muori, o amico, con l’amarezza nel cuore e il pianto negli occhi ; tu che eri avvezzo a sentirti sonare dintorno il vasto riso dei popolosi teatri, suscitato dalla tua comicità arguta e gentille. […] Non ti lascio sotto silenzio li maccaroni, specialità unica e squisitissima del paese, e nota maccaroni non maccheroni, perchè un tale, che ne assaporava un piatto stupendo, entusiasmato all’ultima forchettata, esclamò : « Ma voi non siete cari, ma…. caroni…. » la qual cosa combina anche con l’etimologia greca Μαχαρ, che vuol dire felice, beato, carissimo ; e non ti taccio che conto pure sopra una mezza dozzina di finocchi, squisitissimi a Napoli quanto i maccaroni, e chiusura inevitabile del pranzo. […] , ai maccaroni e al finocchio aggiungi una buona dose d’allegria, che non può mancare, perchè conseguenza dell’atmosfera tiepida calma serena che ti circonda e che ti rende amabile (vedi difficoltà !!) […] come narra la favola, Abelardo magro come descrive Rousseau, Romeo magro come lo dipinge Shakspeare, Iacopo Ortis non lasciò tempo al tempo di farlo ingrassare come narra Foscolo, e se il Petrarca era grasso gli è perchè era canonico e non corrisposto…. ci scommetterei, malgrado i suoi « Fiori fronde erbe antri onde ombre auri soavi » fra le quali ti mando a prender fresco e ti saluto e ti salutiamo, vi salutiamo e sono l’amico MENICO.
Perchè talvolta chi ti siede accanto chinar ti mira tra le palme il viso, poi sollevarlo con un tal sorriso che men duro sarebbe un mar di pianto ? […] E in un pensier ti vola l’anima lagrimosa ai patrj flutti, e sempre indarno ! […] Perenne ti porgerà la tua virtù conforto. […] Credi : nè reo nè ingeneroso io sono Qual ti fui detto dal frequente vulgo, Misero d’opre e d’animo codardo. […] appena io ti conobbi, e sento Che potrei con l’ardente anima amarti !
Sei un briccone : e il Dio della scena ti punirà d’aver disertato la bandiera di monsignor Domeniconi, placida vittima della tua tirannia. […] Se i dilettanti non ti afferrano come un Messia del cielo io li compiango. Dove vogliono trovare un infaticabile che ti valga ? […] Forse farà ombra a Milano il tuo essere da Bergamo : ma Domeniconi ti ha tanto navigato che della natura prima non ti deve esser rimasto neppur l’odore.
Se di perir non brami in fiero ardore fuggi, fuggi mio core, nè ti fidar del finto nome, o stolto ; ma credi agli occhi, alle parole, al volto. […] Olivetta Se podesse za mai con Bagolin mio bell, ballar, tirarghe dentro, provandome con ti ; e per compir el ballo vogio sul fallo far comparir, la sguattara col cogo i quai tutt’unt interzeran corbette, e contrapunt. […] Bagolino No sastu donca, cruda, se cotto son per ti, e za mai nol se muda pensier notte, nè dì, anzi a quei che nol crede, ghe ne fa fede i miei sospir, che tanti per dessotto va scappand, che i me rompe i calzon de quando in quand. […] Bagolino Vien pur donca speranza presto a la conclusion ; confortame la panza con qualche bon boccon ; che dospuò te prometto con un balletto farte veder robba, che ti dirà dal gran stupor, viva el mio Bagolin, viva el mio cor.
Io non ti udii già dir come solevi, Cloride vita mia. Poi ti se’ data a gir d’intorno errando Torbida e lagrimosa. Io ti seguo, e tu fuggi: Io ti parlo, e tu taci: Io ti miro, e tu piangi: Sì m’odii forse? […] ch’io t’ami; Io t’amo, e se per altro Non t’è caro il mio amor, caro ti sia Perchè il mio amor sarà la morte mia. […] Sei pur bella, o natura, quando i pedanti non ti rassettano!
Ti veggio del secolo superbo e de’ suoi mali ignara giovinetta – io ti conosco alla modesta ilarità che spira dagli atti umìli – al semplice del volto atteggiamento, ed al sospir che sembra l’eco d’un’arpa, cui passando amore agitò con le penne. – In me che t’odo oh qual d’affetti simpatia segreta vai risvegliando ! – Oh come al giovanile desìo dài legge ed arbitra ti rendi dello spirto indomato ! […] O della scena intelligenza e vita, interpetre del vero. – O del Coturno gloria e del Socco, onde ti guarda e freme l’emula Francia a noi rivale eterna, vedendo dalla sua fronte rapita d’arte sì bella la corona illustre della gentile Italia !
Tu ti picchi ? Anch’io mi picco alla tua picca, se hai la pecca di aver pacche, non t’appicco, ma non pecco, se ti spicco e spacco il capo cupo, e dò alla parca un parco porco. […] Se la rabbia, fa ch’io rebbi, ti do un rubbio di rebbiate, ma se busso prendo un bosso, e t’abbasso nell’ abisso a suon di basso e busse. Io non beffo, goffo, buffo, se ti azzuffo per il ciuffo presso al baffo, quel tuo ceffo t’abbaruffo, e per caffo nel rabbuffo ti do il tuffo. […] Io mi batto fuor nell’atto fino all’otto ; mi ci metto come un matto nè vo in letto finchè a lutto non fai motto ; tu mi batti, io ti ribatto, e in baratto di tua botta, io ti butto giù in un botto ; se sei dotto, io sono addatto ; niuno editto nè altro detto che sia indotto non adotto.
Il lettore s’ interessa per essa fin dalla scena terza dell’atto I quando la finta Clori gentilmente si lagna della di lei freddezza: Sdegni ch’io ti riveggia? […] Poi ti se’ data a gir d’intorno errando Torbida e lagrimosa. Io ti seguo, e tu fuggi: Io ti parlo, e tu taci: Io ti miro, e tu piangi: Sì m’odii forse? […] Ella così conchiude: Per me non v’è conforto, Per te non v’è tormento, Che qual tu pur ti se’ perfido e crudo, E’ forza, oimè, ch’io t’ami; Io t’amo, e se per altro Non t’è caro il mio amor, caro ti sia Perchè il mio amor sarà la morte mia. […] Sei pur bella, o natura, quando i pedanti non ti rassettano!
Spettro ti fingi, eppur chi t’ode e mira ti giura Angel Celeste ai gesti e al viso, e all’alte grazie tue fervido aspira.
Morto il Ristori a Firenze il 3 settembre 1861, fu tumulato nel Cimitero del Monte alle Croci, ove la figliuola desolata fe' erigere, alla morte della madre, una cappella, co' medaglioni degli estinti, opera dello scultore Cambi, e con le seguenti epigrafi : AD ANTONIO RISTORI nato il 5 marzo del 1796 | mancato ai vivi il 3 settembre del 1861 || o mio dilettissimo padre | a te che mi fosti esempio | delle più belle virtù | che per generosità di cuore | e spirito di santa carità verso i miseri | fosti sempre benedetto dalla sventura | che fra gli stenti al lavoro | consacrasti tutta la tua vita | la tua figlia adelaide | che amavi tanto e che sì presto ti ha perduto | questo monumento | debole segno d’incancellabile affetto | tuttora in pianto poneva. […] La sua primogenita Adelaide Ristori Del Grillo con disperato accento esclama : Oh Madre mia tu sai quanto in terra t’amai ; Dal luogo ove tu sei or tu vedi il mio duol, gli affanni miei ; benedici i miei figli, il mio consorte nel cammin della vita ed anche in morte ; io con lagrime e fior vuo' darti addio fino a quel di che ti rivegga in Dio.