Nato a Napoli il 1770, più noto col diminutivo di Ciccio, fu uno de' più chiari del suo tempo nelle parti di caratterista e promiscuo. Aveva esordito come amoroso, riuscendo egregio nelle scene all’improvviso. […] Condusse compagnia per trent’anni, e ne fu la colonna a fianco della moglie Marianna, che da lui educata all’arte riuscì a farsi molto apprezzare dai vari pubblici sì nelle commedie e nei drammi, sì nelle tragedie.
Soleva passar le notti nelle case del vizio e nelle bettole da cui usciva quasi sempre ubbriaco. […] In alcune parti, come in quella di Flodder nella Teresa e Claudio e del Re nell’Ines di Castro, ambedue del Greppi ; in quelle di Bonfil nelle varie Pamele del Goldoni e in altre moltissime non ebbe rivali. […] Solitario nelle Lacrime d’una vedova del Federici.
Sacco Antonia, moglie del precedente, e figlia di Elisabetta Franchi, fu assai pregiata artista per le parti di donna seria col nome di Beatrice, sì nelle commedie a soggetto, sì nelle scritte. […] Figlia dei precedenti e moglie di Giovanni Vitalba, fu egregia nelle parti di prima donna, che sostenne sempre nella Compagnia di suo padre che le fu ottimo maestro. Molte delle parti nelle Fiabe del Gozzi e nelle sue Commedie tratte dallo spagnuolo furono scritte per lei.
Fu attrice di grandissimo slancio, benchè non di imponente figura, nelle parti tragiche, acclamatissima specialmente in America, ov'ebbe onori di rime non ispregievoli. […] Nel '63 era già prima attrice egregia sì nelle parti drammatiche, sì nelle tragiche, ma più in queste che in quelle, e nel '69-'70, conduttrice ella stessa d’una compagnia comica, sollevò quasi all’entusiasmo i pubblici più varj d’Italia. […] Celestina De Paladini, sposa a Flavio Andò, primo attore e direttore della Compagnia da lui formata in Società con Tina Di Lorenzo, è oggi di essa compagnia pregiato ornamento nelle parti di madre, ch'ella sostiene con quella innata signorilità, che non è facile di ritrovare nelle sue compagne di ruolo.
Generalmente i pubblici commedianti andavano per l’Italia rappresentando certe commedie chiamate dell’Arte per distinguerle dalle erudite recitate nelle accademie e case particolari da attori nobili civili istruiti per proprio diletto ed esercizio. […] Queste farse istrioniche aveano per oggetto primario l’eccitare il riso con ogni sorte di buffoneria, e vi si faceva uso di maschere diverse, colle quali nel vestito, nelle caricature e nel linguaggio si esagerava la ridicolezza caratteristica di qualche città. […] Il volgo Italiano sene compiacque per la novità e per quello spirito di satira scambievole che serpeggia tra’ varii popoli di una medesima nazione, siccome avviene in Francia ancora tra’ Provenzali, Normanni e Gasconi, e nelle Spagne tra’ Portoghesi e Castigliani e Galiziani, Valenziani, Catalani, Andaluzzi, le cui ridicolezze e maniere di dire e di pronunziare rilevansi con irrisione vicendevole. In queste farse dell’arte, nelle quali erroneamente varii oltramontani male istruiti sogliono far consistere la commedia Italiana, possiamo ravvisare qualche reliquia degli antichi mimi, la cui indole libera e buffonesca è stata sempre d’introdurre prima certo rincrescimento della buona e bella poesia scenica, indi di cagionarne la decadenza. […] Si ha memoria per ventura che i comedi e tragedi Roscio, Esopo, Ambivione ecc. avessero sulla scena latina prodotte commedie e tragedie eccellenti, superando nelle prime Cecilio, Lucilio, Nevio, Plauto, Afranio Terenzio, e nelle seconde Ennio, Pacuvio, Accio, Varo, Mecenate, Germanico, Ovidio, Stazio, Seneca?
Ne abbiamo invece sul suo esordire a Parigi il 21 novembre del 1739 nelle Furberies de Scapin, che, non piaciute il 1726, ebber liete accoglienze, in grazia dell’arte sua. Qualche giorno dopo si fece molto applaudire in un vecchio Scenario italiano Arlequin Bouffon de Cour, e il 3 dicembre ottenne un compiuto successo nelle Métamorphoses d’ Arlequin, una di quelle cosiddette commedie di fatica, scritte apposta per far brillare un solo attore. […] Si sa ancora che l’ 11 maggio del ’40, la commedia di Arlequin au désespoir de ne pas aller en prison dovè per la sua meschinità cadere, nonostante l’arte di Costantini ; e che il 5 agosto del ’41 egli sostenne la parte di Scapino nelle Fourberies de Scapin, al fianco di Bertinazzi Pantalone, al quale dovette lasciar ben presto il posto di Arlecchino. […] Questo troviam nelle note francesi (Campardon, op. cit.
Francesco Bartoli ha per l’Androux parole di encomio, da quando era col Lapy ; il giornale dei teatri di Venezia del ’96 ha di lui : « col Ruggero nelle Lagrime d’una vedova e col Saggio nella Lauretta di Gonzales, si assicurò sempre più la fama di buon comico. » E altrove : « Roberto nella Pulzella d’Oxford, Alvise nelle Tre Tonine e Filippo nell’ Annetta veneziana di Spirito, parti assai distanti l’una dall’altra, diedero a conoscere l’estensione del suo talento comico. » E altrove ancora : « sublime nelle parti da padre, ha saputo mostrar non ordinario valore anche in caratteri disparati….
Quanto alla forma gli antichi nelle maschere rappresentavano i volti umani quali sono, per valersene nelle tragedie e nelle commedie. […] Le maschere moderne coprono il solo volto, e talvolta non interamente; e le antiche coprivano tutto il capo; e può additarsi come una rarità l’unica mezza mascheretta simile a quella che oggi noi adopriamo nelle feste di ballo, la quale si vede nella Tavola XXXV del IV volume delle Pitture di Ercolano sulla testa di una figura di donna che dimostra che stà cantando. […] Da ciò si deduce, che non vi è altro modo di rettificar le maschere moderne, che col bandirle d’un colpo dal teatro istrionico ancora, come si fece nelle accademie che coltivarono la commedia.
Memore della sua antichissima gloria nelle lettere, e desiderosa di conservarla, essa fu quasi la sola che mantenesse nel secolo scorso le belle arti guaste per tutto altrove dal cattivo gusto dominante. Tra queste fiorirono principalmente la pittura nella pregievolissima scuola de’ Carracci, e la musica nelle tante accademie erette a fine di perfezionarla. […] In seguito preser voga gl’intermedi nelle commedie o feste, massimamente ne’ conviti e ne’ tempi di pubblica allegrezza, tra le quali assai bella e ingegnosa comparsa ne fece quella rappresentata nel palazzo di San James l’anno 1613 nelle nozze di Federigo V Palatino del Reno colla principessa Isabella d’Inghilterra e di cui ne daremo in altro luogo la descrizione. […] Ciò si scorge dalla inclinazione al canto e al suono nella gente ancor più rusticana, nelle feste villerecce che celebransi spesso con istromenti propri di quella gente di minor dilicatezza forse che gl’Italiani, ma più atti a svegliar le passioni, nelle serenate urbane, nelle ciaccone, nelle follie, nelle sapate, moresche, sarabande, fandanghi, pavaniglie ed altri balli sparsi per tutta l’Europa colla dominazione spagnuola, e massimamente in Italia, la quale ora disdegna di confessare nel tempo della sua decadenza ciò che non ebbe a schifo di accogliere nel secolo più illustre della sua letteratura. […] La Gusli, stromento più nobile perché usato nelle città eziandio, rassomiglia nella fabbrica interna, nella grandezza e nella figura ad un clavicembalo senza tasti.
In versi erano le memorie de’ defunti scolpite nelle colonne Egiziane, ed intorno alle urne lagrimali poste ne’ sepolcri d’Iside e di Osiride vedevansi incise alcune canzoni, come può leggersi nel primo libro della storia di Diodoro Siculo. […] Secondo Ateneo nelle feste degli Ateniesi cantavansi le leggi del nostro Caronda. […] Cresce poi nelle nazioni colla coltura la popolazione, colla popolazione la ricchezza, colla richezza il lusso, e col lusso crescono nuovi bisogni e nuovi mali. […] Or da quanto si è ragionato scende per natural conseguenza, che la poesia rappresentativa non nasce nelle tribù de’ selvaggi, perchè essa richiede maggior complicazione d’idee per saper volgere l’imitazione in satira ed istruzione. In fatti nelle picciole nascenti popolazioni del vecchio e del nuovo continente trovansi sì bene i semi della drammatica, cioè saltazione, canto, versi ma non rappresentazione che meriti di chiamarsi teatrale.
Pavoni Ginevra, romana, figlia di un medico, nata, si può dire, con la passione per la scena, che fu divisa dalle sue sorelle, esordì a quattordici anni nella Compagnia di Bellotti-Bon, rivelandosi attrice di assai liete promesse con la parte di Margherita nelle Due Dame di Ferrari, di cui era protagonista Virginia Marini. […] Ai successi di Margherita nelle Due Dame, di Susanna nel Mondo della Noja, di Pia nel Cantico dé Cantici, successer quelli di Dora nella commedia omonima di Sardou, di Cipriana nel Divorziamo, di Fedora, ecc. […] La morte della madre che l’aveva accompagnata sempre nelle sue peregrinazioni artistiche, le diè tale intensità di dolore, che la poveretta fu per morirne.