Lo essere l’azione a noi tanto peregrina ne renderà meno inverisimile l’udirla recitare per musica.
Lo sfascio della compagnia generò lo sfascio dell’arte.
Lo stesso Azzio conosceva la propria superiorità su i contemporanei, e la sosteneva con degnità, se di lui favella Valerio Massimo82. […] Lo scioglimento avviene col conoscersi Gliceria per un’ altra figlia del medesimo Cremete chiamata Pasibola. […] Lo segue Mirrina sciolta in lagrime, gli si butta a’ piedi, e palesa la disgrazia. […] Lo stato di Panfilo va poi peggiorando a’ momenti. […] Lo cercate da me, come se a voi Non fosse noto.
Formava il cuore, ed accoglieva i voti Lo schietto cuor, che allora il labbro avea Interprete fedel de’ proprj moti.
Lo stile sobrio per la giustezza de’ sentimenti e per la proprietà dell’espressione, ricco e copioso d’immagini e di maniere poetiche ammesse nel dramma pastorale, appassionato ne’ punti principali della favola; la verificazione armoniosa di endecasillabi e settenarii alternati e rimati ad arbitrio; i caratteri singolarmente di Basilio, di Chiteria, di Petronilla, Don-Chisciotte ben sostenuti; la passione espressa con vivacità e naturalezza; lo scioglimento felicemente condotto sulle tracce dell’autor della novella; l’azione che in ciascun atto dà sempre un passo verso la fine; tutto ciò raccomanda a’ contemporanei imparziali questo componimento e l’avvicina in certo modo alle buone pastorali italiane. […] Se pasa un rato De paseo, otro de juego, Quattro amigos, al teatro, Algun baile, la tertulia, Tal qual partida de campo; Y uno gasta alegramente Lo poco que Dios le ha dado. […] Lo so; va pur, te lo consiglio io stessa, Vanne, crudel; se hai tu valor bastante Per eseguirlo, anch’io, se pria non l’ebbi, Tanto or ne avrò per affrettar co’ prieghi L’infausto istante.
Lo che era incorrere nello stesso errore in cui incorrerebbe un retorico, il quale dasse principio ad un discorso colla perorazione, facendo in seguito succeder l’esordio. […] Lo stile dei drammi di Jacopo Martelli bolognese è vago, ricercato e fiorito, ma l’autore disegna bastevolmente i caratteri e lavora qualche aria di buon gusto.
Sì che ten vai, Lo so: va pur, te lo consiglio io stessa, Vanne crudel: se hai tu valor bastante Per eseguirlo, anch’io, se pria non l’ebbi, Tanto or ne avrò per affrettar co’ prieghi L’infausto istante: Gio: Ah che non sai qual pena . . . […] Se pasa un rato De paseo, otro de juego, Quattro amigos, el teatro, Algun baile, la tertulia, Tal qual partida de campo; Y uno gasta alegramente Lo poco que Dios le ha dado.
Lo stesso sig. ab.
Lo spirito non prende il suo vigore, e non si sviluppa, per così dire, da’ sensi, che quando questi non lo deviano col bisogno.
Lo stile è facile; gli eventi dipingonsi con evidenza, benchè vi si desideri maggiore eleganza e purezza, ed oggi più, leggendosi molto scorretto.
Lo storico Guglielmo Abington pubblicò una tragicommedia.
Lo stile è facile; gli eventi dipingonsi con evidenza, benchè vi si desideri eleganza e purezza, ed oggi più, leggendosi molto scorretto.
Lo storico Guglielmo Abington pubblicò una tragicommedia.
Lo prego de’ miei affettuosissimi saluti al nostro carissimo signor Girolamo, a cui ora non iscrivo per non moltiplicar lettere superfluamente ; siccome la prego de’ miei complimenti alla Signora Sua, ed a tutta la gentilissima famiglia.
Lo preghiam, lo speriam : se i nostri voti vani non sono, un grazïoso assenso o il grato suon delle percosse palme deh ce lo attesti ; e i vacillanti spirti empia di forza, e di conforto i cori.
Lo troviamo poi nella Compagnia di Pedrolino, Giovanni Pelesini, dalla quale, com’egli scrive a un famigliare del Duca da Cremona, il 4 dicembre '95, si partì per mali trattamenti e più per insofferenza di giogo, passando in quella de'Desiosi o della Diana, in cui lo troviamo ancora l’anno successivo a Mantova e a Bologna, il '97 a Piacenza, onde scrive gajamente a Ferdinando de'Medici, chiamandolo nell’ intestatura misericordioso tutore, e nella sopra- scritta « suo come fratello minore Messer Ferdinando Medici, ma non de quei che toccano il polso », e il '99 a Verona, anno appunto, in cui, con decreto del 29 aprile, fu fatto dal Duca Vincenzo soprastante ai Comici mercenarj, ciarlatani, ecc., di Mantova e distretto ; carica che gli suscitò contro l’invidia de' malevoli, com’ egli ebbe a dolersi col Duca in una lettera del 7 di agosto, riferita intera dal D'Ancona.
Lo afferma lo stesso Francesco Maria, che fu l’ultimo d’essi. » Diciotto figliuoli !
Lo stesso Azzio conosceva la propria superiorità su i contemporanei, e la sosteneva con dignità, se Valerio Massimo di questo poeta favella nel libro III, c. 7. […] Lo scioglimento avviene col conoscersi Gliceria per un’altra figlia del medesimo Cremete chiamata Pasibola. […] Lo segue Mirrina sciolta in lacrime, gli si butta a piedi, e palesa la disgrazia. […] Lo stato di Pamfilio va poi piggiorando a momenti. […] Lo cercate da me, come se a voi Non fosse noto.
Lo stile di Sofocle è talmente sublime, magnifico e degno della tragedia, che per caratterizzare la maestosa gravità di tal componimento, dopo Virgilio suol darsi al coturno l’aggiunto di Sofocleo. […] Lo chiama indi servo e barbaro di stirpe .
Lo sceneggiamento n’é sopra tutti quelli di quel tempo ben connesso, e vi si osserva scrupulosamente le quantità delle sillabe in tutti i differenti metri che l’autore volle adoperare in ciascuna scena.
Lo spirito d’apologia nemico della verità e del merito straniero imbratta molte belle opere in più d’un luogo.
Lo spirito di rappresentazione che anima i Francesi, i gran modelli nazionali che riempiono le loro scene, il gusto di cui credonsi tutti con privilegio esclusivo in possesso, tutto ciò non basta ad obbligarli a volgere un solo sguardo alla meschinità de’ loro pubblici teatri.
Lo si vede prender parte nella nona comparsa del Ballet des Muses, rappresentato il 2 dicembre 1666, e in qualche commedia.
Lo prego a non tralasciare di favorirmi con sue lettere, unita con padre e madre e Alessandrina humil.
Lo strumento chiamato zir era simile al fuoco pei suoni animati ed acuti che rendeva, il metsni somigliava all’aria pella dilicatezza della sua melodia, il bem aveva simpatia colla terra di cui ne imitava coi suoni la pesantezza e la gravità, e i motsellets l’avevano coll’acqua pei suoni freddi che generavano. […] Lo ritrovava nel camminar lento non meno che nell’affrettato galoppar dei cavalli. Lo sentiva nell’acqua, che a stilla a stilla grondava chetamente sui sassi. Lo riconosceva nel volo degli uccelli, nella pulsazion delle arterie, nei passi d’un ballerino, e persino arrivava il sagace suo orecchio a ravvisarlo negli alterni battimenti del pettine allorché il suo parrucchiere gli pettinava i capegli. […] Lo che si vede da ciò che sovente la stessa composizion musicale produce il medesimo effetto applicata a parole di sentimento intieramente diverso, siccome notarono alcuni nel famoso monologo di Armida di Giambattista Lulli, e nello stabat mater del Pergolesi.
Lo stesso avvenne per molti secoli de’ romanzi e delle avventure degli erranti cavalieri, i quali libri, quantunque pieni fossero di menzogne assurde e ridicole, pur di sollazzo e di piacevole intertenimento servirono alla più colta e più gentil parte d’Europa a preferenza degli storici e filosofici. […] [9] Lo squallido aspetto della natura ne’ paesi più vicini al polo per lo più coperti di neve, che ora si solleva in montagne altissime, ora s’apre in abissi profondi; i frequenti impetuosi volcani, che fra perpetui ghiacci veggonsi con mirabil contrasto apparire; foreste immense d’alberi folti e grandissimi credute dagli abitanti antiche egualmente che il mondo; venti fierissimi venuti da mari sempre agghiacciati, i quali, sbuccando dalle lunghe gole delle montagne, e pei gran boschi scorrendo, sembrano cogli orrendi loro muggiti di voler ischiantare i cardini della terra; lunghe e profonde caverne e laghi vastissimi, che tagliano inegualmente la superficie dei campi; i brillanti fenomeni dell’aurora boreale per la maggior obliquità de’ raggi solari frequentissimi in quei climi; notti lunghissime, e quasi perpetue; tutte insomma le circostanze per un non so che di straordinario e di terribile che nell’animo imprimono, e per la maggior ottusità d’ingegno che suppongono negli abitanti a motivo di non potervisi applicare la coltura convenevole, richiamandoli il clima a ripararsi contro ai primi bisogni, doveano necessariamente disporre alla credulità le rozze menti de’ popoli settentrionali.
Lo stesso Grimm, che della Commedia Italiana si mostrò sì poco tenero, ebbe parole di calda ammirazione per lo spirito che il Bertinazzi sapeva mettere ne’suoi gesti, nella sua fisonomia, nelle inflessioni della sua voce. […] Lo amavo !
Lo troviamo nel 1812 a Tolentino colla sua regia Compagnia, della quale eran prime parti la celebre Pellandi, Luigi Vestri e Carolina Internari.
Lo ringraziai e lo pregai di dirci il suo nome : « Io sono Francesco Voller, comico, » mi rispose. « Ed io ho una lettera di sua madre da consegnarle ; » e glie la diedi.
Lo stile di Sofocle é talmente sublime e grande che, per ben caratterizzare la gravità della tragedia, dopo Virgilio suol darsi al Coturno l’aggiunto di Sofocleo. […] Lo scioglimento si fa per macchina (come nella maggior parte delle tragedie antiche) dalla musa. […] Lo spettacolo della prima scena dovea far somma impressione. […] Lo vedo bene. […] «Lo scopo detta Poesia e dell’Eloquenza (dice ottimamente il Signor di Saint-Marc) é di commuovere vere e dilettare; e la vera pietra di paragone de’ Componimenti ingegnosi é l’impressione che fanno nell’animo de’ Leggitori».
Lo stesso autore pubblicò nel 1725 Giocasta la giovane di scena mutabile. […] Lo stile era più metastasiano che non richiede la tragedia. […] Lo stile è robusto, grave, degno del coturno ; cui gioverebbe purgare di alcune poche maniere che si risentono di troppo studio. […] Lo stile è nobile ne’ grandi affetti, ma talora dimesso e famigliare particolarmente in bocca di Zambrino. […] … Ci rivedremo… Lo spirito è immortal.
Lo compiango coloro che ne giudicano con questo entimema: le nostre principesse non fanno così, dunque gli antichi offendono il decoro . l’azione di questa tragedia acquista dal principio del l’atto quarto gran calore e movimento per l’avviso dato dallo schiavo a Clitennestra e ad Achille. […] Lo ardisco dissentire dal di lui avviso. […] Lo scioglimento avviene per macchina (come in gran parte delle tragedie antiche) per mezzo della Musa Tersicore madre di Reso, la quale apparisce in aria sopra di un carro, tenendo il di lui cadavere sanguinoso sulle braccia. […] Lo spettacolo della prima scena delle Supplici di Euripide dovea produrre un pieno effetto.
Lo stile del Romolo si risente più della precedente del difetto generale delle tragedie francesi, cioè vi si scorge più copia delle stesse espressioni poetiche solite a praticarsi da’ Francesi e più lontane dalla natura. […] Lo stile della Inès generalmente è migliore di quello del Romolo; ma essa non ha nè la versificazione, nè l’eleganza, nè la poesia, nè l’abbondanza, nè la grandezza, nè la delicatezza de’ sentimenti di Racine. […] Lo sforzo dell’ingegno consiste nel ben concatenare i pensieri co’ fatti in guisa che gli eventi sembrino fatali, e facciano pensare allo spettatore, che posto egli in quella situazione si appiglierebbe all’ istesso partito e soggiacerebbe a quel medesimo infortunio. […] Lo spettatore fu indulgentissimo verso questi argomenti domestici ne’ quali a tutto andare si piaggia la nazione.
[1] Lo spettacolo dell’opera tutto insieme piaceva nondimeno agli Italiani ad onta de’ suoi difetti sì per la novità, sì perché non ne avevano un altro migliore. […] Lo che egli fece imitando la musica sacra qualmente si trovava allora ne’ bravi compositori italiani, e trasferendola al proprio idioma ed al teatro con quelle mutazioni che esigeva il genio dell’uno e dell’altro. […] Lo stesso Lulli si riconobbe inferiore a lui, allorché spinto da bassa e indegna gelosia si prevalse della grazia in cui si trovava presso alla corte di Francia per iscacciarnelo da quel regno.
Lo stesso autore pubblicò nel 1725 Giocasta la giovane di scena mutabile, la cui invenzione non gli appartiene, perchè il conte Antonio Zaniboni avea già tratta da un dramma musicale la sua Antigona in Tebe, detta opera tragica, scritta in prosa e impressa in Venezia nel 1722. […] Lo stile di questa favola non è quello del Granelli o del Varano, ma è pregevole perchè naturale e patetico senza veruna bassezza. […] Lo scettro a te cagion di lungo affanno Osa deporre, cittadin diventa; Imita Silla, e sii maggior d’Augusto. […] Lo stile è nobile ne’ grandi affetti e talora alquanto dimesso e famigliare specialmente in bocca di Zambrino. […] Lo stile enfatico, e troppo, manca di ogni poesia, di colori, di ornamenti, non dico già de’ vietati epici e lirici da lui meritamente abborriti56, ma di quelli che l’uso costante de’ tragici eccellenti antichi e moderni accorda alla scenica.
Lo spettatore vede sotto gli occhi suoi nascere la potestà popolare in Roma., e prendere il romano eroismo un maraviglioso incremento scosso il giogo de’ Tarquinj. […] Lo cuor mi squarcia . . . . . […] Lo stile è fiorito e talvolta lussureggia, ma la varietà delle idee, e l’eloquenza poetica lo rende pregevole. […] Lo spettatore esige sempre il motivo dell’entrare e dell’uscire de’ personaggi. […] Lo preferisci!
Lo stile sobrio per la verità de’ sentimenti e dell’espressioni, ricco e copioso d’immagini e di maniere poetiche ammesse nel drammatico pastorale, appassionato ne’ punti principali della favola; la versificazione armoniosa di endecasillabi e settenarj alternati e rimati ad arbitrio; i caratteri di Basilio, Chiteria, Petronilla, Don-Chisciotte &c. ben sostenuti; la passione espressa con vivacità e naturalezza; lo scioglimento felicemente condotto sulle tracce dell’autor della Novella, l’azione che in ciascun atto dà sempre un passo verso la fine: tutto ciò raccomanda a’ contemporanei imparziali questo componimento, e l’avvicina alle buone pastorali italiane.
Lo scopo della Poesia e dell’Eloquenza (dice ottimamente il Signor Raimondo di Saint-Marc) è di commuovere e dilettare; e la vera pietra di paragone de’ componimenti ingegnosi è l’impressione che fanno nell’animo de’ leggitori.
Lo stile in cui si scrivevano questi Mimi, si accostava al nostro Bernesco, secondochè pretende il dotto Ab.
Lo schermirsi è naturale fino ne’bruti.
Lo stesso dicasi delle rappresentazioni sceniche. […] Lo dice espressamente l’Alembert nella introduzione a’ suoi elementi di musica, «Le ton, sono le sue parole, s’appelle encore seconde majeure ecc. le demi-ton, seconde mineure». Lo dice lo stesso giornalista, «come se questi due (cioè il tuono e il semituono) non fossero due altre seconde la maggiore, e la minore?» […] Lo ringrazio quanto debbo, e debbo ringraziarlo moltissimo per la prima, la quale cortesemente mi dispensa senza meritarla; e in quanto al secondo compreso nella parentesi mi protesto che attenderò per conoscer meglio la letteratura italiana, che l’eruditissimo Sig. […] Lo compatisco.
Lo troviamo nel’38 a Pavia e nel’39 a Bologna. […] Lo stesso Bruni dice di lui : « Di Gio.
Lo troviamo sul finir del 1595 a Firenze, come appare da questa sua lettera, diretta allo jll. […] Lo stare avviluppato nel ferrajolo a chi fà parte di moroso non piace, però bisogna hor sotto mano, hor sopra tutte due le spalle, et hora in un modo, et hora in un altro andarlo accomodando, mentre camina, o passeggi…..
Lo troviamo il 1613 a Milano, dove pubblicò, terminate le recite, un sonetto di ringraziamento, già riferito dal Paglicci (op. cit.)
Lo spirito umano nella mescolanza delle tinte e de’ suoni non meno che nella moltiplicità mal graduata delle stragi rimane, diciam così, ottuso, rintuzzato, privo di sensibilità; là dove la tragedia esige energia ed elasticità per eccitar la commiserazione e conservar la sua natura e non convertirsi in flebile elegia o lugubre epicedio. […] Lo stile è diffuso, compassato, pesante, e sparso nel tempo stesso di formole famigliari e poco gravi, come questa della prima scena Romper de mi silencio la clausura, e quest’altre Basto à quedar solvente de mi cargo, Y aùn tal vez accreedor à gracias tuyas. […] Lo stile manca di precisione, di forza e di sublimità, lussureggia, ed enerva i sentimenti distendendoli. […] Lo domandi egli stesso all’orecchio il cui giudizio vien da Cicerone chiamato superbissimum.
Lo spettacolo, certo. […] Lo rende grave e tardo l’orgoglio, affrettato la gioja, debile o incerto il timore, ineguale e tumultuoso l’ira ecc. […] Lo stesso mento, ancorché meno docile, pur talvolta o si aguzza e si contrae, o si abbandona e si appoggia sul petto. […] Lo stato ordinario dell’uomo non presenta di tali fenomeni, che sono gli effetti d’impressioni e di bisogni non ordinarî. […] Lo stesso effetto ed anche maggiore produce la frequenza del teatro, e la virtù de’ buoni attori.
Lo stile dell’Ariosto poi si presta mirabilmente, alla maniera di Menandro, a tutti gli affetti, ed a tutti i caratteri. […] Lo stile puro ed elegante della Calandra non può essere nè più grazioso nè più proprio per gli personaggi che vi s’imitano. […] Lo stile è al solito felice ed elegante da per tutto, di che molti passi assai belli si potrebbero addurre in prova; ma ci contenteremo di un solo dell’atto III, cioè di una parte del racconto che fa il servo al vecchio Basilio intorno a’ fantasimi che gli dà a credere che appajono nella loro casa. […] Lo stesso Panzana favella indi al medesimo uditorio, e descrive il carattere del napoletano Ligdonio. […] Lo stesso Fabrizio nel III dubitando d’una fante, dice: Crede farmi stare a qualche scudo; ma è male informata, che io sono allievo di Spagnuoli.
Lo stile dell’Ariosto in questa e nelle altre si presta mirabilmente, alla maniera di Menandro, a tutti gli affetti e a tutti i caratteri. […] Lo stile puro ed elegante della Calandra non può essere nè più grazioso nè più proprio per gli personaggi che vi s’imitano. […] Lo stile è al solito felice ed elegante da per tutto, di che molti passi assai belli si potrebbero addurre in pruova; ma ci contenteremo di un solo dell’atto III, cioè di una parte del racconto che fa il servo al vecchio Basilio intorno ai fantasimi che gli dà a credere che appajono nella loro casa. […] Lo stesso Panzana favella indi al medesimo uditorio e descrive il carattere del Napoletano Ligdonio. […] Lo stesso Fabrizio nel III dubitando d’una fante, dice: crede farmi stare a qualche scudo; ma è male informata, che io sono allievo di Spagnuoli.
Lo scarso affetto che regna è tutto lirico, cioè tratto dalla immaginazion del poeta, ma che lascia il cuor vuoto. […] Lo sfondo del teatro rappresentava una vastissima pianura, in mezzo alla quale si vedeva sospeso in aria un globo che avea la figura di mappamondo.
Lo scioglimento corrisponde alle grazie di questa commedia eccllente, nella quale colla sferza comica ottimamente si flagella una ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto della natura, il quale argomento fu infelicemente trattato in Italia dal signor Goldoni nella commedia intitolata i Poeti. […] Lo scioglimento del Méchant avviene senza sforzo per mezzo di una lettera del medesimo Cleone.
Lo studio è necessario per sapere occorrendo trattare di tutte le materie non solo in Commedia, ma nelle Accademie, poichè pure vi sono Accademie illustrissime che per testimonio che i comedianti, che fanno l’arte loro come si conviene, non sono indegni d’essere ammessi nelle loro adunanze ; hanno accresciuto il numero degli accademici accettando e uomini e donne, che ordinariamente comparivano in iscena…. ecc. ecc.
Lo stesso dico s’egli prendesse a rappresentare i mugiti d’un mare agitato, gli urli dei mostri vaganti per le foreste, il romore del tuono, il cupo chiarore dei lampi, l’albeggiare della rosata aurora e l’armonioso canticchiare degli augelli. […] Lo spettatore non può a meno di non riconoscere l’inganno, sentendo il cantante che rallenta all’improviso il corso della passione, che sospende e tronca il pendio naturale del periodo per dar luogo agli strumenti; dovechè il sano giudizio vorrebbe che il passaggio dal recitativo all’aria fosse naturalissimo e pressoché insensibile. […] Lo stesso motivo che serve di fondamento ad un’aria d’amore viene da loro impiegato per significare la benivolenza, la divozione, la pietà e l’amicizia, passioni fra loro cotanto differenti. […] Lo sdegno non si distingue dalla disperazione, né questa dal terrore, e così via discorrendo.
Lo svizzero nella collera grida egualmente e fortemente, mantenendo a un dipresso la voce nello stesso tuono. […] Lo che essi non avrebbero mai eseguito se il desiderio di celebrar la sua Laura nel primo, e di far leggere il suo Decamerone dalle femminette nel secondo, non avesse lor fatto nascere il pensiero di divenire scrittori.
Lo stile è comico buono per lo più, benchè talvolta soverchio affinato alla maniera Plautina per far ridere.
Lo vediamo nel ’54 esercitare in tutta la sua estensione il primo ruolo di caratterista colla Botteghini e colla Majer, poi col Santecchi, poi in compagnia propria, poi col Peracchi, poi, nel ’62, tornare a Perugia a insegnare storia e geografia in quel liceo ; dal quale uscì dopo tre anni, per andar a sostituire a Napoli con ottomila lire di stipendio il Taddei, il primo caratterista italiano ancora vivente, ma irreparabilmente colpito da apoplessia.
Una delle scene che più mi ferì fu quella del teatro, quando il Re, veduto versar nell’orecchio del Re del dramma il veleno, alle parole di Amleto : Lo avvelena per carpirgli lo Stato.
E se di grazia ti vuò far mendica, Convenesi, ch’io dica Lo tuo fallir d’ogni torto tortoso. […] Altra parte: Qui di carne si sfama Lo spaventoso serpe: in questo loco Vomita fiamma e fuoco, e fischia, e rugge; Qui l’erbe e i fior distrugge. […] Lo stesso si deve dire della stima, favore e accoglienza, che presso ai signori ebbero i poeticomune a tutte l’età, e a quasi tutti gli antichi popoli. Lo stesso dell’usanza de’ trovatori o giullari propria non solo degli arabi e de’ provenzali, ma sotto diversi nomi, e con piccole mutazioni di molte e diverse genti eziandio.
[19] Lo scopo delle arti imitative non è di rappresentar la natura semplicemente qual è, ma di rappresentarla abbellita. […] Lo scopo del canto drammatico è quello di rappresentar le passioni, le quali non si manifestano nell’uomo col suono dell’oboè, né del violino. […] Lo stesso filosofo parlando della corruttela dell’antica armonia e dell’antico teatro attribuisce l’una e l’altra alla debolezza de’ poeti e dei musici, che presero per regola del bello nelle due facoltà il piacere del volgo trascurando quello dei più saggi145. […] Lo stesso avviene degli strumenti, coi quali s’accompagnavano presso ai Greci e Latini tante cose che non erano canto né potevano esserlo (come sarebbe a dire i bandi, le dichiarazioni di guerra, e le concioni al popolo) che l’uso di essi nelle rappresentazioni drammatiche non può servire di pruova esclusiva a stabilire che le tragedie o le commedie fossero in tutto somiglievoli alle nostre opere in musica.
Lo spiritoso ed elegante autore del discorso intorno al poema lirico non ha riflettuto essere incompatibile colla natura del nostro canto sminuzzato acuto squisito e sottile l’azione violenta che richiede la danza, mettersi i polmoni e la glottide dei cantanti nell’atto d’eseguire l’arie in una posizione che verrebbe alterata necessariamente dal ballo o affatto distrutta, trovarsi nella poesia molte idee astratte, molte relazioni puramente riflessive e mentali che non potrebbono in verun conto eseguirsi dal ballerino, contener la musica strumentale mille artifizi, mille pitture degli oggetti esterni che non possono essere rappresentate coi piedi, dover non per tanto l’imitazione della natura riuscir imperfetta oscura ed equivoca, essere finalmente nel presente nostro sistema la simultanea riunione del ballo e del canto in una sola persona una caricatura non minore di quella che sarebbe il prevalersi d’una traduzione ebraica per facilitare l’intelligenza d’una lettera scritta in latino. […] Lo assicura Girolamo Ruscelli, testimonio di veduta, colle seguenti parole cavate dal primo volume della raccolta de’ migliori componimenti del teatro italiano ch’egli fece stampare nell’anno 1554, con alcune note infine, in una delle quali parlando della Calandra dice: «Onde a questi tempi in Francia sogliono rappresentare quelle loro farse mute ove solamente coi gesti senza una minima parola al mondo si fanno intendere con tanta gratia e con tanta sodisfatione degli spettatori, ch’io per me non so s’ho veduto giammai spettacolo che più mi diletti e molto mi meraviglio, che sin qui l’Italia, ove non si lascia indietro veruna sorte d’operatione valorosa, non abbia incominciata a riceverle e rappresentarne ancor ella ecc» 178. […] Lo scopo di quest’opera diretta non meno al progresso dell’arti imitative appartenenti al teatro che a far conoscere il merito della nazione italiana nel coltivamento di esse sembra esiger da me che se ne faccia in questo luogo la descrizione. […] Lo scopo della musica è quello d’eccitar le passioni per mezzo d’una combinazione aggradevole di suoni.
Lo scioglimento é fatto, si é ricuperato il biglietto se n’é destinato il guadagno, lo spettatore crede di esser congedato, quando nell’ultima scena comparisce un nuovo personaggio, un signor Antonio, un amante della Carolina, e incominciano esami, discussioni, prosteste d’amore, di disinteresse, o tutto così a bell’agio come si sarebbe nel bel mezzo della commedia256. […] Ah, se la rimembranza é a lui così amara e crudele, s’egli ancora non può obbliarmi… Ma no, egli a me più non pensa… Almeno lo spero… Lo spero?
Lo sfidatore dee dire al chiamato, sei un traditore; e il disfidato rispondere, tu ne menti; e questa disfida dee farsi per corte nella presenza del re. […] Lo confutò il Quadrio nel t.
Lo trafiggerò così nella parte più sensibile del cuore, osserverò i suoi sguardi, se cangia colore, se si agita… sò quello che saprò far io. […] Lo prega ad ascoltarlo da parte, protestando che se lo trovasse colpevole, gli cederebbe di buon grado il regno; ma se conoscerà la sua innocenza, si uniranno insieme cercando entrambi ogni più opportuno sollievo al proprio dolore.
Lo stesso Cassiodoro nell’epistola 21 del IX scritta da Atalarico al Senato di Roma.
Lo stesso Muratori, negli Annali d’Italia all’anno 1036 parlando delle famose nozze di Bonifazio marchese di Toscana con Beatrice di Lorena, dice coll’ autorità del celebre Donizione citato qual testimonio di vista che “per tre mesi nel luogo di Marego sul Mantovano si tenne corte bandita.
Lo stipendio era meschino e l’impegno di vestiario assai costoso.
Lo vediamo la primavera del’69 nel Nuovo Teatro di Corte di Modena (V.
Lo stile di Sofocle è talmente sublime, magnifico e degno della tragedia, che per caratterizzare la maestosa gravità di tal componimento, dopo Virgilio suol darsi al coturno l’aggiunto di Sofocleo (Nota VIII). […] Lo chiama indi servo e barbaro di stirpe. […] Lo scioglimento avviene per macchina (come in gran parte delle tragedie antiche) per mezzo della musa Tersicore madre di Reso, la quale apparisce in aria sopra di un carro, tenendo il di lui cadavere sanguinoso sulle braccia. […] Lo spettacolo della prima scena dovea produrre un pieno effetto. […] Lo vedo bene.
Lo stesso Tournefort tom.
Lo stesso Suetonio nella Vita di Nerone, c. 4.
Lo veggiamo agiato non solo e fornito di quanto bisogna alla sua sussistenza, ma disdegnoso de’ primi cibi non compri, dell’erbe su cui giaceasi ne’ tugurj, delle lanose pelli onde copriva la sua nudità, passare alle delizie più ricercate della gola, alle soffici oziose piume, alla delicatezza delle sete, de’ veli, de’ bissi, alla pompa degli aironi, degli ori, delle perle, dei diamanti di Golconda, in somma al fasto Persiano e Mogollo, e alla mollezza Sibaritica e Tarentina.
Lo stesso autore nella V. di Ner.
Lo che è un indizio manifesto che avanti a lui si conosceva. […] Lo spettatore, che vede da lontano unirsi la terra col cielo, crede che colà siano posti i limiti del mondo, ma a misura ch’egli avanza il passo, l’illusione sparisce, e più non vi si trova il confine.
Lo stesso m’è venuto fatto d’osservare in tutti gli altri piedi da me indicati, ed ho ravvisato con piacere (e meco l’hanno parimenti ravvisato i più dotti artisti e gli amatori dell’arte, ai quali comunicai le mie esperienze) accordarsi esattamente l’osservazioni degli antichi colla natura, e gli esempi miei colle osservazioni degli antichi. […] [NdA] Lo stimato autore d’un Giornal periodico che si stampa a Parigi, parlando dell’opera italiana chiama la sua musica seducente e magica.
Lo spettatore che intende, tacitamente assentisce a quell’anacronismo, discolpandolo alla meglio, per pascere l’avido sguardo di quel quadro incomparabile, senza idea alcuna, che disturbi il suo piacere. Lo stesso avviene nell’altra non meno preziosa Pittura del medesimo sommo Pittore, il quadro detto la Madonna del pesce fatto per i Domenicani di S.
Lo stile adunque dell’Ariosto é ad un tratto famigliare, grazioso, e poetico, e perciò il più conveniente alla commedia, e dovrebbe da’ giovani che vogliono esercitarsi in tal genere, studiarsi bene insieme con Menandro e Terenzio. […] E di ciò contento, non si sovviene della musica, Lo spettatore ch’é sul fatto, se ne sovviene, ma non altrimenti che sovviene del verso, del musico, delle gioie false, delle scene dipinte, e dice a se stesso, il poeta fa parlare Aquilio come si dee, come richiedesi al di lui stato?
Lo scoglimento corrisponde alle grazie di quest’eccellente commedia, nella quale si motteggia con tanto garbo su di un ridicolo comune a tutte le nazioni colte, il quale infelicemente fu maneggiato dal signor Goldoni nella commedia de’ Poeti. […] Lo scioglimento del Méchant avviene felicemente senza violenza, e senza sforzo per mezzo d’una lettera di propria mano di Cleone.
Lo scioglimento è seguito, si è ricuperato il biglietton, se n’è destinato il guadagno, e mentre lo spettatore attende di essere congedato, comparisce nell’ultima scena un nuovo personaggio, un signor Antonio amante di Carolina, e incominciano esami, discussioni, proteste di amore e disinteresse, e tutto così a bell’agio come si farebbe nel bel mezzo della favola.
Lo scioglimento è seguito, si è ricuperato il biglietto, se n’è destinato il guadagno, e mentre lo spettatore attende di essere congedato, comparisce nell’ultima scena un nuovo personaggio, un signor Antonio, un amante di Carolina, e incominciano esami, discussioni, proteste di amore e disinteresse, e tutto così a bell’ agio come si farebbe nel mezzo della favola.
Lo stile poi è comico, sobrio e vivace in tutto, eccetto nel dialogo degl’innammorati, perchè allora i poeti credevano di cader nel basso, nel famigliare, nel triviale, se i concetti amorosi si esprimessero con semplicità e naturalezza. […] Lo stile è proprio del genere eccetto quando gli amanti vogliono parere spiritosi, fioriti, leggiadri, perchè allora diventano enimmatici e pedanteschi. […] Lo stile di Moreto generalmente è moderato e proprio del genere comico, eccetto quando parla l’innamorato, perchè allora egli si perde nel lirico e nello stravagante al pari degli altri. […] Lo spettatore volgare che altra scuola pubblica non suole avere che il teatro, si conferma con ciò nell’abito di abusare delle sacre espressioni.
Lo stile poi è comico, sobrio e vivace in tutto, eccetto nel dialogo degl’ innamorati; perchè allora i poeti credevano di cader nel basso, nel famigliare, nel triviale, se i concetti amorosi si fossero espressi con semplicità e naturalezza. […] Lo stile è proprio del genere eccetto quando gli amanti vogliono parere spiritosi, fioriti e leggiadri, perchè allora diventano enimmatici e pedanteschi. […] Lo stile di Moreto generalmente è moderato e proprio del genere comico, eccetto quando parla l’innamorato, perchè allora egli si perde nel lirico e nello stravagante al pari degli altri. […] Lo spettatore volgare che altra scuola pubblica non suole avere che il teatro, si conferma con ciò nell’abito di abusare delle sacre espressioni.
Lo spirito umano nella mescolanza delle tinte e de’ suoni non meno che nella moltiplicità mal graduata delle stragi rimane, diciam così, ottuso, rintuzzato, privo di sensibilità; là dove la tragedia esige energia ed elasticità per eccitar la commiserazione e conservar la sua natura, e non convertirsi in flebili nenie elegiache, in lugubri epicedii. […] Lo stile è diffuso e pesante, e sparso nel tempo stesso di formole famigliari, e poco gravi, sia per esempio questa della prima scena Romper de mi silencio la clausura, e quest’altra Basta à quedar solvente de mi cargo, Y aùn tal vez accreedor à gracias tuyas. […] Lo stile manca di precisione, di proprietà, di forza, e di sublimità, lussureggia, ed enerva i sentimenti col distenderli con verbosità.
Lo scioglimento corrisponde alle grazie di questa eccellente commedia, nella quale colla sferza comica ottimamente si flagella una ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto della natura, il quale argomento su poco felicemente trattato in Italia da Carlo Goldoni nella commedia intitolata i Poeti. […] Lo scioglimento del Mèchant avviene senza sforzo per mezzo di una lettera del medesimo Cleone.
Lo scioglimento poi con somma arte maneggiato nella tragedia greca, qui si precipita, non avendo saputo il tragico latino mettere a profitto quelle patetiche situazioni che nello svilupparsi la stessa favola naturalmente appresterebbe. […] Lo stesso nostro celebre Drammatico ne trasse un’ altra sentenza detta pure da Clitennestra, Remeemus illuc, unde non decuit prius Abire: sic nunc casta repetatur fides.
Lo stupore, tuttavia, dovette presto trasformarsi in sconcerto e poi in esplicita condanna, come avverte ancora Manfredi nel giugno di quell’anno: «So qualche cosa delle persecuzioni che voi mi accennate di avere in Bologna, ma so anche che sono appunto ridicole e che l’effetto universale sarà per noi 6. […] [2.81] Lo che, comentato da Servio appresso Filandro, s’interpreta: «Ea autem versatilis fuit, cum subito tota machinis quibusdam verteretur, ut aliam picturae faciem ostenderet; aut ductilis, cum tractis tabulatis hac, atque illac species picturae nudaretur interior». […] [2.89] Lo replica più a basso, soggiungendo: Serra prestamente le porte. […] [3.10ED] Lo fanno ancora talora sortire, perché venga a dire i suoi versi che dan progresso alla favola; lo fanno rientrare quando gli ha terminati e quando conviene far parlare altra persona di cose che il primo non dee ascoltare, ed in ciò son bene inferiori ai Franzesi e ad alcun di voi Italiani. […] [5.150ED] Lo chiaroscuro allora non è nella musica.
Ma d’un Eolo potente aura improvvisa Lo spinse a valicar nuove pendici, Là su la Senna, ove fra colli aprici La Regina de’ Regni è in trono assisa.
Lo stesso dico dello sdegno, il quale determinandosi sul momento, non ha né il tempo né l’occasione di generalizzare le idee. […] [25] Lo stesso dee dirsi delle comparazioni.
Lo schema di analisi calepiano risponde del resto in tutto il quarto capo ad un criterio distintivo semplice, puntualmente ribadito: i Francesi sono superiori dal punto di vista scenico agli Italiani perché cercano nelle proprie composizioni una maggior naturalezza. […] Lo stile dell’abate Conti, ancorché in politezza e leggiadria ceda a quello d’altri poeti, contuttociò sì per la precisione, come per una austera avversione de’ vani ornamenti è proprissimo per la tragedia. […] Lo studio di render mirabili i sentimenti ha fatto sì che dietro la scorta de’ primi, certi moderni non si sono talvolta rattenuti da qualche simile affettazione. […] Lo stile di questo dramma per frasi poetiche ed espressioni strane non si distingue punto da quello ch’è consueto a’ tragici francesi. […] [1.1.3] Lo scarso successo della tragedia rinascimentale francese è dovuto, secondo Calepio, non tanto alla pedissequa imitazione della tragedia greca, quanto alla scarsa perizia degli autori e all’immaturità della letteratura francese.
Lo prega ad ascoltarlo da parte, protestando che se lo trovasse colpevole, gli cederebbe di buon grado il regno; ma se conoscerà la sua innocenza, si uniranno insieme cercando entrambi ogni più opportuno sollievo al suo dolore.
— Lo spirito delle maschere.
Lo stile è nobile ma lirico come quello di tutte le altre; e l’azione, benchè non mi sembri abbastanza interessante, è pure regolare.
Lo spirito di rappresentazione che anima i Francesi, i grandi modelli nazionali che riempiono le loro scene, il gusto di cui credonsi con privilegio esclusivo in possesso, non basta ad obbligarli a volgere un solo sguardo alla meschinità de’ loro pubblici teatri.
Lo stile è nobile, ma lirico come quello di tutte le altre; e l’azione, benchè non mi sembri molto interessante, è pure regolare.
Lo stile è nobile e grave e rare volte ammollito da qualche ornamento lirico, i costumi vi sono ben coloriti, e i discorsi vivacemente appassionati. […] Lo stile è fluido e armonioso, benchè non sempre proprio per la drammatica poesia; ma il piano, i caratteri, l’ economia, tutt’altro in fine abbonda di gran difetti; nè so in che mai avesse il Cervantes fondati i suoi esagerati encomj.
Lo stile è nobile, è grave, e rare volte ammollito da qualche ornamento lirico, i costumi vi sono ben coloriti, e i discorsi vivacemente appassionati. […] Lo stile è fluido e armonioso, benchè non sempre proprio per la poesia drammatica; ma il piano, i caratteri, l’economia, tutt’altro in fine abbonda di grandi e molti difetti; nè so in che mai Cervantes avesse fondati i suoi esagerati encomii.
Lo stesso Ciascun di voi vorria sotto altra maschera. […] Lo spettatore pero curioso investigatore di quanto fanno o non fanno in iscena i personaggi, fa mille giudizii sull’inselvarsi de’ due fervidi amanti, involandosi agli occhi de’ loro confidenti stessi, e di mala voglia vedesi tenuto a bada da personaggi subalterni, i quali continuano ad orar nell’orto. […] Il padre allora tutto austerità impallidendo ed infiammandosi di rossore, Lo proferisci ! […] e I Pag. 146, lin. 17 18 Flaminio Scarpelli Flaminio Scarselli Nel Tomo X PeII Pag. 97, lin. 14 conceda congeda 100, 5 Annella Annetta 137, 14 Fragoni Frugoni 202, 8 Lo proferisci ! Lo preferisci !
Lo spettatore sdegna in sentire il maestro di cappella far del poeta. […] Ecco allora l’elogio della medietas espressiva, con l’invito, nel canto, a evitare le note troppo acute o troppo basse e nel privilegiare i recitativi: Lo stil teatrale ama il canto parlante, non quello di gorgheggio. […] Terza legge [Sez.III.2.3.1] Lo stil teatrale ama il canto parlante, non quello di gorgheggio. […] Lo spettatore sdegna in sentire il maestro di cappella far del poeta. […] Lo stesso evento / a chi reca diletto, a chi tormento. / Ah che né mal verace, / né vero ben si dà; / prendono qualità / da’ nostri affetti. / Secondo in guerra o in pace / trovano il nostro cor, / cambiano di color / tutti gli oggetti».
Qual cosa così viene poi riferita dal Grazioso: “Lo que es la paz de Francia fuenotable, “Como suelen tal vez mansas palomas “Embaynarse los picos uno en otro, “Y decirse requiebros en el cuello.”
Lo sfidatore dee dire al chiamato, sei un traditore, e ’l disfidato rispondere, tu ne menti; e questa disfida dee farsi per corte e alla presenza del re.
Lo spirito riformista che anima lo scritto di Algarotti converge verso posizioni comuni ai teorici del teatro del tempo, a partire da Ranieri Calzabigi che nell’edizione pubblicata proprio a Parigi nel 1755 delle opere di Metastasio10 elogiava l’autore cesareo, pur indicando anche delle strade alternative rispetto alla drammaturgia metastasiana che avrebbe messo in pratica attraverso la collaborazione con il compositore Cristoph Willibald Gluck.
Lo spirito d’ingenuità e di gratitudine che mosse prima il Cornelio, indi il Linguet a confessare il debito contratto con Guillèn de Castro pel Cid, non avrebbe dovuto stimolarli ugualmente a riconoscere nell’Orazia dell’Aretino gli Orazii del padre del Teatro Francese, componimento di gran lunga superiore al Cid? […] Lo stesso Folengo, ad istanza del vicerè di Sicilia don Ferrante Gonzaga, compose in Palermo, ove erasi rifugiato, un’ azione drammatica intitolata la Pinta o la Palermita, intorno alla creazione del mondo e alla caduta di Adamo.
Lo studio delle cose antiche fece loro conoscere che quella sorte di voce, che da’ Greci e Latini al cantar fu assegnata, da essi appellata “diastematica” quasi trattenuta e sospesa, potesse in parte affrettarsi, e prender temperato corsa tra i movimenti del canto sospesi e lenti, e quelli della favella ordinaria più spediti e veloci, avvicinandosi il più che si potesse all’altra sorte di voce propria del ragionar famigliare, che gli antichi “continuata” appellavano.
» Lo stesso Re si meravigliò col Principe di Condè del favore con cui furono accolte le licenze di quella commedia, mentre al Tartufo di Molière s’era gridata la croce. « Maestà – gli rispose il Principe : – Scaramuccia si prende giuoco del Cielo e della Religione di cui a questi messeri non cale nè punto nè poco ; Molière si prende giuoco di essi stessi…. ed è ciò che non posson patire. » 1.
Lo spirito d’ingenuità e di gratitudine che mosse prima il Cornelio, indi il Linguet a confessare il debito contratto con Guillèn de Castro pel Cid, non avrebbe dovuto stimolarli ugualmente a riconoscere nell’Orazia dell’Aretino gli Orazj del padre del teatro Francese, componimento di gran lunga superiore al Cid? […] Lo stesso Folengo, ad istanza del Vicerè di Sicilia Don Ferrante Gonzaga, compose in Palermo, ove erasi rifugiato, un’ azione drammatica intitolata la Pinta, o la Palermita intorno alla creazione del mondo e alla caduta di Adamo.
Tal, poichè il pesce comperò, pergiunta Domanda un porro per la salsa, bieco Lo guata l’erbajuola, e porro porro, Dice, tu osi domandarmi? […] Lo stesso Platone studiavasi di formare la propria maniera di scrivere sullo stile elegante polito dolce e armonioso di questo poeta, e se n’era talmente invaghito che onorò un sì eccellente comico con un distico del tenor seguente: Avendo le Grazie cercato da per tutto un luogo per farvisi un tempio eterno, elessero il cuore di Aristofane, e mai più non l’abbandonarono a Ecco quello che agli occhi de’ dotti era Aristofane.
Lo scioglimento poi con arte somma maneggiato nella tragedia greca, quì si precipita, non avendo saputo il tragico latino mettere a profitto quelle patetiche situazioni che nello svilupparsi la favola stessa naturalmente appresterebbe.
Lo stile è comico, buono per lo più, benchè talvolta soverchio affinato per far ridere alla maniera Plautina.
Lo pubblico nella sua integrità per alcune frasi di non poco interesse nella storia intima, dirò così, dell’arte drammatica.
Tal, poichè il pesce comperò, per giuntu Domanda un porro per la salsa; bieco Lo guata l’erbajuola, e porro porro, Dice, tu osi domandarmi? […] Lo stesso Platone studiavasi di formare la propria maniera di scrivere sullo stile elegante, polito, dolce, e armonioso di questo poeta, e se n’era talmente invaghito, che onorò un sì eccellente comico con un distico del tenor seguente: Avendo le grazie cercato da per tutto un luogo per farvisi un tempio eterno, elessero il cuore di Aristofane, e mai più non l’abbandonarono (Nota XXII).