Polizia di Milano fanno credere che egli abbia introdotto, o restaurata in Modena la massoneria come incaricato dai comitati superiori di quella setta.
E se non temessi diffondermi troppo in una materia ch’è il fondamento del diletto che ci procurano tutte le belle arti, farei ancora vedere che l’ascosa origine del piacere, che certi tratti arrecano nella musica, nella poesia e nella eloquenza, è nel linguaggio d’azione principalmente riposta; che ciò che rende eloquenti i quadri oratori o poetici è l’arte di radunare in una sola idea più immagini, le quali rappresentino muovimento, come la maniera di render la musica espressiva si è quella di far sentire la successione regolata de’ tuoni e del ritmo; che la forza di certe lingue massimamente delle orientali deriva dall’accennato principio: osservazione che può farsi ancora nello stile de’ più grandi scrittori antichi e moderni, la magia del quale allora è portata al maggior grado quando le parole e le idee fanno l’effetto dei colori. […] Lo assicura Girolamo Ruscelli, testimonio di veduta, colle seguenti parole cavate dal primo volume della raccolta de’ migliori componimenti del teatro italiano ch’egli fece stampare nell’anno 1554, con alcune note infine, in una delle quali parlando della Calandra dice: «Onde a questi tempi in Francia sogliono rappresentare quelle loro farse mute ove solamente coi gesti senza una minima parola al mondo si fanno intendere con tanta gratia e con tanta sodisfatione degli spettatori, ch’io per me non so s’ho veduto giammai spettacolo che più mi diletti e molto mi meraviglio, che sin qui l’Italia, ove non si lascia indietro veruna sorte d’operatione valorosa, non abbia incominciata a riceverle e rappresentarne ancor ella ecc» 178. […] Balli dove si fanno gambettare gli esseri meno a proposito traendo dal loro ritiro i solitari e penitenti bramini, e persin dall’inferno i non troppo galanti né troppo gesticolatori demoni, dove non solo si da senso e vita agli spettri (lo che pur si concede ai pittori ed ai poeti) ma si fanno vedere dibattendosi in iscena colle donne come nella Semiramide dell’Angiolini; lo che sebbene formi un quadro spaventoso e terribile, fa tuttavia esposto sotto gli occhi troppo gran violenza all’imaginazione184. […] Ciò si scorge ora nell’adoperar che fanno sì spesso e senza verun discernimento il ballo chiamato “alto” dai facoltativi, il quale per ogni buona ragione dovrebbe dal teatro pantomimico onninamente sbandirsi siccome quello che nulla immitando, ed ogni muovimento del corpo ad una insignificante agilità riducendo, è inutile a produrre qualunque buon effetto drammatico; ora negli atteggiamenti uniformi e consimili con cui si presentano in iscena, cosicché in ogni circostanza, in ogni situazione, in ogni carattere ti si fanno avanti colla testa sempre alzata ad un modo, colle braccia incurvate a foggia di chi vorrebbe volare, coi talloni in aria sospesi, o premendo il terreno leggierissimamente come se Ninia, Ulisse, Idomeneo, Telemaco venissero allora da una sala da ballo dove pigliata avessero insieme lezione da uno stesso maestro; ora in quella smania di far ad ogni menoma occasione brillare le gambe quasiché in esse riposte fossero l’imitazione della natura e l’espressione degli affetti, e non piuttosto nei muovimenti delle altre membra, negli occhi e nella fisionomia lasciati per lo più da essi pressocchè inoperosi e negletti. […] Costume che riesce quivi assai meglio adattato e più naturale che nella tragedia o nella commedia recitata, perocché nel dramma si mantiene così facendo l’ipotesi ammessa fin dal principio, ma negli altri componimenti, essendovi soltanto ammessa la convenzione di parlare e non quella di suonare, il sentir poi gli strumenti che fanno in certo modo da interlocutori, non va disgiunto dal sospetto di piccola eresia in materia di gusto.
Ma per farui solo intendere, parte di quello che faccio io intorno a Recitanti, dico, che è da auertirli prima generalmente, a dir forte, senza però alzar la uoce in modo de gridare, ma alzarla tanto temperatamente, quanto basti a farsi udire comodamente a tutti gli spettatori, accio che non cagionino di quei tumulti, che fanno souente coloro, li quali, per esser più lontani, non ponno udire, onde ha poi disturbo tutto lo spettacolo, et a questo puo seruir solo, lo hauer il recitante bona uoce per natura, come dissi che dopo la bona pronuncia principalmente le bisognarebbe. […] Come uitio pestilente poi, li prohibisco, lo affrettarsi, anzi li costringo, potendo, a recitar molto adagio, Et dico molto, facendoli esprimere con tardità, ben tutte le parole fin all’ultime sillabe. senza lasciarsi mancar la uoce, come molti fanno, onde spesso lo spettatore, perde con gran dispiacere, la conclusione della sentenza. […] hora per tornar a parlar de recitanti in generale dico di nouo che bisogna hauerci dispositione da natura, altrimente non si può far cosa perfetta ma però chi intende ben la sua parte, et che abbia ingegno troua anco mouimenti et gesti assai apropriati, da farla comparire come cosa uera, Et a questo gioua molto [come anco in molte altre parti è utile] lo hauer per guida lo stesso autore de la fauola, il quale hà uirtu generalmente, de insegnar meglio alcuni ignoti suoi concetti, che fanno comparir il poema piu garbato, et i suoi recitanti per conseguenza paiono piu desti. […] Di atti, et di parole, ui ho detto altre uolte, che si compone la comedia, come di corpo, et d’anima siamo composti noi : l’ una di queste parti principali è del poeta, et l’altra è dello histrione. i mouimenti del quale, chiamati dal padre della lingua latina eloquenza del corpo, son di tanta importanza, che non è per auentura magiore l’ efficacia delle parole, che quella de i gesti. et fede ne fanno quelle comedie mute, che in alcune parti di europa si costumano, le quali, con gl’ atti soli si fanno cosi bene intendere, et rendono si piaceuole lo spettacolo, che è cosa marauigliosa a crederlo a chi ueduti non li habbia. […] Le tragedie come credo auer altre uolte significato, non hanno propriamente ad essere destinte in atti [quantunque i moderni per propria autorita le diuidono] et i chori che in esse si fanno da poeti, sogliono seruire per quella parte, che hà da trascorrer di tempo tra un successo et l’altro.
Non tutti esser ponno sì alti da toccare, com’essi fanno, le sublimi volte del tempio dell’Immortalità; ed havvi, com’io, chi si contenta appena di contemplarne le vicinanze, non osando neppure dì appressarsi alla soglia.
Di tre Cherili fanno menzione gli antichi.
Mentre voci sciogliete alte e festive, Odisio e Onofrio, a sollevare i cori, fanno nascer d’onor le Aonie Dive bella gara tra voi, Cigni Canori.
Ma la Satira giunge nella Reggia, e se il comico va fuor di misura, su la schiena gli fanno la fattura.
Testimonio fanno i poemi del Pulci, del Boiardo, del Berni, dell’Ariosto, e dietro a loro anche il Tasso, che non piccola parte introdusse negli episodi, e il Marini, e il Fortiguerra con altri. […] Non parlo di quelli del Chiari, quali per la scipitezza loro non possono far né bene né male: nemmeno di quella folla di romanzi francesi, frutto della dissolutezza e dell’empietà, che fanno egualmente il vituperio di chi gli legge, e di chi gli scrive: parlo soltanto dei due più celebri, che abbia l’Europa moderna, cioè la Clarice, e la Novella Eloisa. […] Volendo Richardson far il vero ritratto degli uomini, quai si trovano frequentemente nell’odierna società, dipinse nell’Amante di Clarice un mostro di perfìdia tanto più pericoloso quanto che si suppone fornito di gran penetrazione di spirito, e d’altre qualità abbaglianti, che fanno quasi obbliare le sue detestabili scelleraggini.
Compagnia. » Gaetano Coltellini, deciso di dividersi dal Vergnano, propone da Verona il 9 settembre 1840 la scrittura di Iª attrice alle identiche condizioni fattele dalla Compagnia Reale, e conclude : Gli attori principali che avrei in vista e che potrei con certezza stabilire sono questi : Ferri – Voller padre e Colombini brillante ; di questi due ultimi mi si fanno grandi elogi – la coppia Pedretti che non abbandonerò mai…. […] » E soggiunge : Sono ben semplici i comici di qualche fama, di legarsi a de’ speculatori senza fondi i quali ci pagano se fanno denari e falliscono all’occorrenza, e senza nulla arrischiare fanno commercio della vostra capacità e del vostro sapere !
Si prepara un sacrifizio, e si fanno nuove preghiere alla Pace. […] Dopo ciò il finto Menelao e la finta Elena fanno vista di ravvisarsi e riconoscersi. […] Sono tutti cianciatori che fanno vergogna al mestiere. […] Si sente il molestissimo coro delle Rane, le quali coll’ ingrato gracidare Brecececex coax coax fanno montar la stizza a Bacco. […] Ἵππος senza dubbio ha prodotto Ἵππεῖς, cavalieri, per lo nobile uso che essi fanno del cavallo.
Simili traduzioni animate, fedeli, armoniose de’ nostri cinquecentisti fanno vedere quanto essi intendevano oltre il vano suono delle parole, e come ben sapevano recare con eleganza lo spirito poetico nella natia favella. […] Io compiango coloro che ne giudicano con questo entimema, le nostre principesse non fanno così, dunque gli antichi offendono il decoro. […] Ma queste esagerazioni enfatiche oggi fanno poca fortuna, e si comparano alle precauzioni che prendevano i sacerdoti gentili per accreditare i loro responsi e venderli per oracoli celesti. […] Di tre Cherili fanno menzione gli antichi. […] Quando poi i moderni, partendo da altri principj e accomodandosi al gusto e a i costumi correnti, fanno uso di nuovi ordigni per cattarsi l’attenzione degli spettatori di questo tempo, essi fanno gran senno e meritano somma lode.
Della intelligenza e dello studio di Luigi Gattinelli fanno fede alcune sue lettere, in cui si discorre largamente di commedie originali e tradotte, del ’28 da Firenze ad Antonio Benci, in Livorno, autore della Bottega del libraio, del Salvator Rosa, e di altro, e del ’44 da Trieste al figliuolo Angelo in Vicenza.
del 1847, erroneamente fanno comparire in Francia la Celia il 1571 e '72.
A. sopra una salla grande di Palazzo dove fanno ordinariamente le comedie in pubblico.
Recitava come sempre nel dialetto napoletano, e alla scena XVI del primo atto, in cui tutti i Comici fanno « un paragone della Comedia ad altra cosa » egli, dopo il discorso del primo innamorato Ottavio, e del Pantalone Girolamo, dice : Platone nel settimo della sua Repubblica, obliga i Capitani d’eserciti ad essere buoni aritmetici, però io che rappresento la parte del Capitano, sosterrò che la Comedia costa di questa scienza matematica, e che sia il uero : l’aritmetica si diuide in prattica, e speculatiua ; la Comedia e composta di numero semplice non douendo uscire da i termini assegnati da Aristotile, di ventiquattr' hore ; e di numero diuerso, partito in tre parti che sono gl’Atti, ne quali si racchiude.
Ora a tali pastori disconverrebbe tanto il pensare e favellare alla foggia de’ nostri odierni pecorai, quanto a quella de’ cortigiani di Versailles, come fanno veramente i pastori del celebre Fontenelle. […] S. vuole aggiugnergliele ora, non so da che spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imprenderà a compire quattro canzonette colle circostanze richieste alle così fatte, le accrescerà bene il coro, ma le scemerà il decoro: e dico scemerà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti che alle loro il fanno ; e fra tali poeti si vuol ripore l’istesso Manfredi che il fece alla sua boschereccia. […] Ne fanno menzione Angelo Ingegneri nel Discorso della Poesia Rappresentativa, ed il Manfredi nelle citate Lettere chiamandola bellissima .
Or a tali pastori disconverrebbe tanto il pensare e favellare alla foggia de’ nostri odierni pecorai, quanto a quella de’ cortigiani di Versailles, come fanno veramente i pastori del celebre Fontenelle. […] S. vuole aggiugnergliele ora, non so da che spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imprenderà a comporre quattro canzonette colle circostanze richieste alle così fatte, le accrescerà bene il coro, ma le scemerà il decoro; e dico scemerà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti che alle loro il fanno; e fra tali poeti si vuol riporre l’ istesso Manfredi che il fece alla sua boschereccia. […] Ne fanno menzione Angelo Ingegnieri nel Discorso della Poesia Rappresentativa, ed il lodato Manfredi nelle più volte citate Lettere chiamandola bellissima.
In effetto non vi si trascurano le arti di necessità, di comodo, e di lusso, fabbricandovisi particolarmente per eccellenza quadri e stoffe di penne, antichi lavori messicani, non mai più da veruno imitati: vi si eseguiscono con destrezza tutti gli esercizi ginnici spagnuoli, come corse di tori, e giuochi di canne: vi si fanno combattimenti navali sul gran fiume che bagna la città: vi si formano alcuni castelli di legno coperti di tela dipinta, e se ne imprende l’assedio, e si difendono: e finalmente vi si coltiva la pittura, la danza, e la musica, e vi si trovano teatri.
Una versatilità prodigiosa, mercè che si accomoda ai caratteri i più opposti, una voce insinuante, ed a vicenda dolce, maschia, robusta, maneggiata nelle graduazioni con mirabile maestria ; un aspetto seducente, un portamento grazioso e nobilissimo, una tal verità nell’espressione delle passioni e nell’espansione degli affetti, fanno si che nessuno più di lui è stato padrone del cuore degli spettatori ; nessuno più di lui ha saputo, e sa agitarli, commoverli, straziarli ; ed ove avvenga che nel carattere da lui rappresentato s’incontrino scene comiche, il riso ch’ei promuove non è quello sganasciamento, a cui s’abbandona tanto facilmente e tanto volentieri la plebe per gli sconci e per le smorfie de’buffoni, ma quel riso eccitato nobilmente dalla naturalezza e dalla semplicità con cui sono espressi que’sali attici della commedia, che dilettando istruiscono : riso, che non va mai sino in obscuras humili sermone tabernas.
Non si fanno di seguito che le commedie nuove, e le tragedie che poche se ne permettono.
Come fanno appunto quelle donne, le quali, veggendo dalle ingiurie del tempo sfrondarsi a poco a poco sulle loro guancie le fresche rose e vivaci che rallumavano i desideri dell’amante, cercano pure nelle studiate maniere e nella licenza de’ voluttuosi atteggiamenti un riparo al successivo mancare delle loro attrattive. […] Ora tali sembrano a me que’ maestri, che senza consultar prima il buon senso, senza la debita graduazione e preparamento fanno all’improviso passaggio da un recitativo andante e negletto ad una sinfonia in forma. […] Se difficilmente si fanno intendere i musici ne’ ritornelli, i quali sono l’esposizione d’un’aria sola, ci sarà da sperare che riescano più chiari ed intelligibili nella esposizione di trenta e forse più scene? […] Peggio poi quando fanno dei solecismi in armonia esprimendo colla musica un senso intieramente contrario a quello che dicono le parole. […] [37] Che si dovrà pensare eziandio dello strapazzar che fanno miseramente l’espressione fermandosi soltanto nelle parole individuali che si trovano per accidente nella composizione, e tralasciando, anzi sfigurando con questo mezzo il sentimento generale dell’aria?
Sull’esempio del Muffato il patrizio veneto Gregorio Corraro, morto nel 1464, compose in versi, latini nell’età di soli 18 anni una tragedia intitolata Progne, alla quale fanno plauso con Lilio Gregorio Giraldi e Scipione Maffei tutti gl’intelligenti del latino linguaggio e della poesia drammatica. […] E un nostro scrittore anche così: «Il favor de’ monarchi fa germogliare nello stato gli uomini illustri, ed accende l’anime grandi ad operar cose grandi: quelle sono le molle che fanno muovere gli umani talenti.»
Sin dalla prima scena vi si espone lo stato del l’azione con arte e con garbo tale che l’antichissimo riformatore e padre della tragedia non ebbe bisogno dell’esempio altrui per condurre alla perfezione questa parte sì rilevante del dramma, nella quale tanti moderni fanno pietà, a differenza di Pietro Metastasio e di qualche altro che vi riesce felicemente. […] Io non mi sono proposto in quest’opera di copiar ciecamente gli altrui giudizj (che sarebbe una infruttuosa improba fatica) ma bensì di communicare co’ miei leggitori l’effetto che in me fanno le antiche e le moderne produzioni drammatiche.
L'ufficio dunque di chi concerta non è di leggere il soggetto solo ; ma di esplicare i personaggi coi nomi e qualità loro, l’argomento della favola, il luogo ove si recita, le case, decifrare i lazzi e tutte le minuzie necessarie, con aver cura delle cose che fanno di bisogno per la comedia. […] Troppo dolce suona negli orecchi il nome della libertà, et etiam gli animali vivuti qualche poco in sieme non si fanno dividere quando si viene all’atto et al fatto.
Tale è per esempio nel teatro francese il ballo dei pastori che celebrano le nozze di Medoro e di Angelica, e fanno venire Orlando, che in essi si abbatte, in cognizione dell’estrema sua miseria.
Lampillas, che i nazionali savj non fanno apologie de’ manifesti difetti, ma pongono l’energia del patriotismo nel confessarli, e riprovarli per promuoverne la correzione.
I Lapponi, popolo assai materiale e barbaro, fanno versi.
In tal guisa mescolandosi si allucinano a vicenda, fanno uso promiscuamente de’ medesimi caratteri e affetti, o più non si riconoscono, né si distinguono dall’occhio più acuto. […] Errore di tutti gli attori grossolani, i quali non fanno l’arte di accomodarti e alla verità del favellare cogli altri personaggi, e alla decenza teatrale, e al comodo dell’uditorio. […] Gli abiti, i popoli, le damigelle, le guardie, e le macchine vi fanno tutta l’azione». […] Dorat) coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, i quali ci fanno patire per gli loro strani sforzi di voce e pel dilaceramento del loro pettoetc.».
I Lapponi, popolo assai materiale e barbaro, fanno versi.
Di questa maschera fanno parimente menzione Polluce, e Boindin in una memoria consegnata all’Accademia delle Belle Lettere di Parigi, e Metastasio nel capitolo V dell’Estratto della Poetica di Aristotile.
Di questa maschera fanno parimente menzione Polluce nell’ Onomastico, e Boindin in una memoria consegnata all’Accademia delle Belle Lettere di Parigi, e Metastasio nel capitolo quinto dell’Estratto della Poet. di Arist.
Chi ha giudizio gusto e sensibilità noterà il dilicato contrasto che fanno nel l’atto terzo le innocenti naturali domande d’Ifigenia, e le risposte equivoche e patetiche di Agamennone, la di lei sincera gioja nel l’abbracciare il padre, ed il profondo dolore di costui nascosto sotto l’esteriore serenità e allegrezza forzataa. […] Lo compiango coloro che ne giudicano con questo entimema: le nostre principesse non fanno così, dunque gli antichi offendono il decoro . l’azione di questa tragedia acquista dal principio del l’atto quarto gran calore e movimento per l’avviso dato dallo schiavo a Clitennestra e ad Achille. […] Il tacciar quelli o questi per le maniere, per un decoro locale, variabile e incostante, al pari della moda (siccome fanno certi critici moderni) è un far la guerra agli accidenti e sfuggire la sostanza della contesa, è un volere allucinar volontariamente se stessi e chi loro crede. […] Essa addita alla gioventù l’arte vera di tessere un dramma, che consiste in porre sotto gli occhi un’ azione che vada sempre crescendo per gradi, finchè per necessità scoppi con vigore; e non già in ordinare una catena di elegie e declamazioni; perchè queste in vece di avvivare le passioni per renderle atte a commuovere, seguendone il trasporto progressivo, le fanno divenir pesanti e fuor di proposito loquaci; e quindi stancando la mente senza mai parlare al cuore, diminuiscono l’interesse, ed in conseguenza l’attenzione di chi ascolta. […] Quando poi i moderni partendo da altri principii e accomodandosi al gusto ed ai costumi correnti fanno uso di nuovi ordigni per cattarsi l’attenzione de’ contemporanei, essi meritano tutta la Iode.
[2] Quegli schiavi insensati del pregiudizi, que’ corpi senz’anima, quelle creature indifinibili, che si chiamano gente di mondo, le massime delle quali consistono nel distrugger i sentimenti della natura per inalzar sulle loro rovine l’idolo dell’opinione, nel ridurre ogni affezione del cuore alla sola voluttà, ogni morale al personale interesse, nel far che un’apparente politezza tenga luogo di tutte le virtù, e nel colorir con brillanti sofismi l’orrore del vizio non altrimenti che soglionsi coprire con vistosa vernice i putridi legni dalla vecchiezza o dal tarlo corrosi; fanno del teatro quell’uso appunto, che sogliono fare delle altre cose. […] Il celebre Conte Algarotti ne schizzò un breve Saggio, nel quale col solito suo spirito e leggiadria di stile olezzante de’ più bei fiori della propria e della peregrina favella si trovano scritte riflessioni assai belle, che lo fanno vedere quell’uomo di gusto ch’egli era in così fatte materie.
“Il nostro gusto e i nostri costumi (osservavasi nelle Lettere sulla moderna letteratura pubblicate dal 1759 sino al 1763) rassomigliano più agl’ Inglesi che a’ Francesi: nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa e non si vede nella timida tragedia francese: il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi più impressione del tenero e dell’appassionato, e in generale noi preferiamo le cose difficili e complicate a quelle che si veggono con una occhiata”. […] Le rappresentazioni tedesche si fanno in Vienna in un altro teatro ancor più grande di quello di corte.
Io converrei seco loro per la seconda fino a tanto che l’autore non vi sfumasse certe tinte d’ipocrisia troppo risentite, onde per altro ben s’imita l’abuso che fanno i falsi divoti delle pratiche e dell’espressioni religiose. […] L’azione consiste nella morte di Manolo ferito da Mediodiente di lui rivale cui tutti gli altri personaggi fanno compagnia, buttandosi in terra e dicendo che muojono, ma subito l’istesso feritore ordina che si alzino, ed essi risuscitano insieme col trafitto Manolillo belli e ridenti.
Ora un “si dice” in un luogo, ed un dubbio così decisivo in un’altro fanno chiaramente vedere ch’io sono ben lontano dal voler pigliare partito in così fatta questione. […] L’estrattista doveva esaminar queste ragioni e combatterle, e non contentarsi di citar se stesso e le Regole armoniche, perché ned egli né le sue Regole armoniche fanno autorità, quando non sono avvalorate dal giusto ragionamento. […] Ma fin tanto che il dotto scrittore non s’accigne a così magnanima impresa, noi continueremo a far uso dell’edizioni che abbiamo, e a prestar fede a que’ dotti commentatori, l’osservazioni de’ quali non ci fanno punto vedere ne’ drammi greci quelle rassomiglianze coi nostri ch’egli pretende che vi siano. […] E tanto è vero che i drammi del Metastasio non fanno più effetto sulle scene, che rare volte hanno gli impresari il coraggio di esporveli, e se talvolta lo fanno, non gli espongono se non mutilati, e così mal conci che appena sono riconoscibili. […] Gli altissimi e sinceri elogi dati da me a Metastasio, e la lode con cui ho nominati molti maestri della trascorsa età e della presente, fanno vedere ch’io non ho mai dubitato né dell’uno, né dell’altro.
E perchè mille o duemila altre commedie col medesimo merito dello stil fiorentino fanno sbadigliare, o giacciono sepolte sotto la polvere delle biblioteche?
Essi fanno ciò che di quella loro accademia che ha per divisa, «invenit et perfecit», dice il signor di Voltaire nel suo Candido: «Ah, voilà quatre-vingt volumes de recueils d’une Académie des sciences, s’écria Martin; il se peut qu’il y ait là du bon.
Ma tale argomento è manifestamente fallace; perchè tutti i comici antichi che conosciamo introducevano sì bene i numi e gli eroi della mitologia, ma essi vi facevano meschina ridevole figura di scrocconi, tagliacantoni, mezzani, paltonieri, siccome la fanno in Aristofane Ercole, Bacco, Mèrcurioa.
Giovanni Manzini della Motta, nato nella Lunigiana, scrisse verso la fine del secolo alcune lettere latine, ed in una parla di una sua tragedia sulle sventure di Antonio della Scala signore di Verona, e ne reca egli medesimo (dice il celebre Tiraboschi) alcuni versi che non ci fanno desiderar molto il rimanente.
Nella prima però i caratteri più importanti sono alcuni ribelli e traditori, i quali fanno vedere le più belle qualità per affrettare la ruina del loro paese, là dove nell’imprenderne la difesa gli avrebbero fatti ammirare come grandi uomini.
Si fanno ancora nella China alcuni concerti di musica e quando si presenta all’Imperadore un libro novellamente impresso, e quando i Mandarini d’armi e di lettere si uniscono per gli esami, e quando il Capo de’ discendenti di Confugio ed il Generale de’ Bonzi vengono alla corte, e quando si costruisce qualche nuovo edifizio28.
Tiraboschi, alcuni versi che non ci fanno desiderar molto il rimanente.
Nella prima però i caratteri più importanti sono alcuni ribelli e traditori, i quali fanno vedere le più belle qualità per affrettare la ruina del loro paese, che nell’imprenderne la difesa gli avrebbero fatti ammirare come grand’uomini.
rio e dirli che Non mi scordo receuer li suoi fauori per l’alloggio in sua Casa come per sua Gentilezza mi esebi e che tra poco potria seguire mi ualessi delle sue grazie, e qui con riuerenza per parte di tutti di casa resto dicendoli che le faccende Nostre per l’Estate, Vanno assai superiori alli guadagni che si fanno in Italia e mi sottoscriuo Di V.
Bartoli – i suoi modi graziosi e la di lei teatrale abilità forse non del tutto al teatro saranno tolti, essendo sparse alcune voci, che ci fanno sperare di rivederla ben presto sulle scene d’Italia. » Ma dal 1781 in poi non mi fu dato rivederne il nome in alcun elenco.
Maestà (senza speranza di riveder più l’Italia) « con provvigione di sedici mila franchi annui, oltre a quello si guiadagnano in far l’opre e le commedie, che tolto l’Aduento e la Quaresima sempre si fanno ; nè vi entra, senza pagare, se non la famiglia tutta del Palazzo del Re ».
Ivi gode d’un cielo men tempestoso, ivi respira un’aria più degna di sé, ivi conversa con uomini che fanno onore alla divinità, onde si scorge balenare sugli occhi quella luce primitiva del grande e del bello, che attesta la sua origin celeste. […] «Mio cor, tu prendi a scherno E folgori, e procelle, E poi due luci belle Ti fanno palpitar. […] Le quali lontane dallo spinger, come dovrebbero, l’azione verso l’oggetto principale, e di prepararne lo scioglimento, altro non fanno che romper l’unità, diviar le fila che tendevano al centro, e nuocer alla energia delle situazioni più vive. […] Da essa nasce che favellino alternativamente con troppo studio imitando l’uno i sentimenti dell’altro, come fanno i pastori nell’egloghe amebee di Teocrito. […] [NdA] Con questa espressione io non pretendo giustificare il celebre Clarck dalle ragionevoli accuse, che fanno i teologi al suo libro sulla esistenza di Dio; intendo solo di dire, che quanto v’ha in lui di sodo, e di vero tutto stato in brevissimi tratti, e con disinvoltura incomparabile espresso da Metastasio.
Da un altro canto esclama Burattino, che par che il boja gli dia la corda, col sacco indosso da facchino, col berettino in testa che pare un mariuolo, chiama l’udienza ad alta voce, il popolo s’appropinqua, la plebe s’urta, i gentiluomini si fanno innanzi, e a pena egli ha finito il prologo assai ridicoloso e spassevole, che s’entra in una strana narrativa del padrone, che stroppia le braccia, che stenta gli animi, che ruina dal mondo quanti uditori gli han fatto corona intorno ; e se quello co’gesti piacevoli, co’motti scioccamente arguti, colle parole all’altrui orecchie saporite, con l’invenzioni ridicolose, con quel collo da impiccato, con quel mostaccio da furbo, con quella voce da scimiotto, con quegli atti da furfante s’acquista un mirabile concorso ; questi collo sgarbato modo di dire, con la pronuncia bolognese, col parlar da melenso, con la narrazione da barbotta, collo sfoderar fuori di proposito i privilegi del suo dottorato, col mostrar senza garbo le patenti lunghe di signori, col farsi protomedico senza scienza, all’ultimo perde tutta l’udienza, e resta un mastro Grillo a mezzo della piazza. […] A riscontro della descrizione garzoniana, ecco un brano di Giambattista del Tufo, concernente il carnevale del 1588 in Napoli, ecc. ecc., riprodotto da Benedetto Croce nell’opera sua de’ Teatri Napoletani più volte citata : Vedresti ed anco allor tanti buffoni, Transtulli e Pantaloni, che, per tutti i cantoni, con le parole e gesti ed altri spassi fanno muovere i sassi ; sentireste d’intorno cento cocchi di musiche ogni giorno, come anco farse e tresche e imperticate da cento ammascherate, ed al suon del pignato e del tagliero cantar Mastro Ruggero, e simili persone col tamburello e con lo calassione, sentendo in giro chi da là e da quà : Lucia mia Bernagualà !
Arrestato da queste meschinità secentiste, che fanno di un remo una penna, di un mare un pezzetto di carta, in somma che avviliscono gli oggetti proprj con traslati poverissimi, chi si curerà di pescare in uno stagno fangoso, lasciando il vasto mare, e tanti copiosi fiumi ricchi di abbondante saporosa pescagione?
In Ancona non fanno niente, così sono venute le nuove, il principio è molto brutto.
Ai quali versi fanno riscontro questi altri del 18 ottobre dallo stesso autore pubblicati, quando si seppe che la notizia della morte di Scaramuccia era falsa : Petits et Grands, jeunes et vieux, Dont le tempérament joyeux Aime, presque, autant qu’un Empire, Les Personnages qui font rire, Cessez vos pleurs et vos zoûpirs, Purgez-vous de vos déplaizirs ; Sans prendre Casse, ny Rubarbe, Ne vous arachez plus la barbe, Métez tous vos chagrins à sac, Ne vous plombez plus l’estomac, Au Sort ne faites plus la moüe, N’égratignez plus vôtre joüe, Apaizez vos cris superflus, Ne pestez, ne rognonnez-plus, N’ayez plus le vizage blesme Comme un Bâteleur de Caresme, N’acuzez plus Dame Atropos, Bref, montrez par de gais propos. […] – Anche Scaramuccia col suo figlio mi fanno ammattire ; trotto, galoppo, vengono da me, e nulla si conclude. […] Il figlio scriverà una lettera a sua madre che piglio la libertà di mandarli qui ; glie la faccia dare e consigliare a dare le 20 doppie al Carlieri, perchè altrimenti bisognerà entri in sicurtà il Valenti, et in breve mi troverò addosso tante sicurtà che se mi fanno banco rotto non mi servirà il letto per sodisfare ; faccia pulito perchè prevedo ruine fra il padre, il figlio e la donna.
Nota alla nota d’autore n. 2: Hierone, IX, 4: «Infatti quando vogliamo che i cori vengano a gara, il sovrintendente propone i premi, e viene dato l’incarico ai coreghi di farli riunire e ad altri di istruirli e di dare una punizione a coloro che non fanno abbastanza bene qualcosa»; Senofonte (430 ca – 355 ca a.C.) scrisse il dialogo Ierone o della tirannide, in cui discutono della vita Gerone tiranno di Siracusa e il poeta Simonide. […] Nota alla nota d’autore n. 20: «Bisogna andare in questo palazzo magico dove i bei versi, la danza, la musica l’arte di ammaliare gli occhi con i colori l’arte più felice di sedurre i cuori di cento piaceri ne fanno uno solo.»
Io era persuaso che si darebbe nel secco, come ci danno sempre cotesti greci moderni, e fanno tanto mistero della loro erudizione e godo che così appunto sia accaduto15». […] [3.10ED] Lo fanno ancora talora sortire, perché venga a dire i suoi versi che dan progresso alla favola; lo fanno rientrare quando gli ha terminati e quando conviene far parlare altra persona di cose che il primo non dee ascoltare, ed in ciò son bene inferiori ai Franzesi e ad alcun di voi Italiani. […] [4.7ED] Le botteghe, che sono in numero quattro volte maggior delle case, fanno di sé medesime una scena assai vaga, che ad ogni passo si cangia e nella quale gli attori sono donne e donzelle leggiadramente abbigliate; e qui conobbi la sterminata possanza di questo gran regno, che se altra città non avesse come ne ha tante potrebbe da questa sola cavare a suo talento gli eserciti e, dopo trenta sconfitte, sostituirne de’ nuovi non meno formidabili e numerosi. […] [5.111ED] Uno sbarco, una moresca, uno spettacolo di lottatori o di altri simil cosa, fanno inarcar le ciglia a’ tuoi spettatori e benedicono quell’argento che hanno speso alla porta per sollazzarsi. […] [6.80ED] Ne fanno ben una peggiore: volgon talora le spalle all’uditorio, quasi vagheggiando i colonnati dell’orizzonte; fanno anche peggio, le volgono spesso a chi seco parla, ed ho veduto far l’uno e l’altro frequentemente al gran Baubour. [6.81ED] Egli è vero che questo famoso attore lo pratica in occasione di mostrare d’udire mal volentieri o una correzione o un rimprovero; ma, o l’oda da’ maggiori o da eguali, sempre quella positura di corpo è incivile e plebea, e vi sono ben altri modi di palesare il dispetto. [6.82ED] Appena lo ammetterei in una donna che udisse tentarsi impropriamente d’amore in circostanze dove il suo onore la volesse crucciosa di così fatta dichiarazione. [6.83ED] La verginità, la modestia ha talvolta un non so che d’incivile, che ben s’accorda con la custodia della virtù. [6.84ED] E per terminare quel tanto che ho impreso impensatamente a dir dell’azione, ella è veramente smaniosa nelle passioni più della nostra, ma lo è ancora fuori delle passioni.
Alcuni moderni autori Spagnuoli fanno menzione di altre rovine teatrali che si trovano nella loro penisola.
Piniere, autore dalla satira intitolata le Siècle, non ne parla diversamente, e si scaglia in ispecie contro la Prude, Ophis e Pinto, mostruosità, aggiugne, che fanno la vergogna del teatro francese.
Perciò i duetti, i terzetti, i quartetti ecc. di questo grand’uomo fanno sì maraviglioso effetto sul teatro. […] Anzi è questo per essi uno de’ più utili ricordi, al quale, se accordassero sempre quell’attenzione che merita, le arie più di rado che per ordinario non fanno, uscirebbero di tema. […] Che se due corde d’egual grossezza fanno in un medesimo tempo un medesimo numero d’oscillazioni, esse sono all’unisono, ciò è, danno lo stessto tuono ambedue. […] Se gli uditori si annoiano d’uno stile recitativo, cotal noia non procede dalla natura di questo stile, ma dal poco studio, che fanno sopra di esso i moderni maestri di cappella. […] Deve egli allora badare attentamente a colui che di presente tiene discorso, e mostrare col gesto l’impressione che fanno nell’animo suo le parole di lui.
Venne da una novella spagnuola la sua Zulima, i cui due ultimi atti deludono le speranze che fanno nascere i precedenti. […] Una folla di bastardi Volteriani scimieschi apportarono su quelle scene la decadenza, ed il gusto inglese ne accelerò la ruina, coprendole di mostruosità, di orrori, di ombre, di sepolcri e di claustrali disperati, che in vece di toccare il cuore spaventano e fanno inorridire. […] Che si dirà poi di quella specie di contradanza che fanno nell’atto IV Gastone, Avogaro ed Eufemia? […] I mali pubblici e le private offese fanno che si rivolga alla repubblica e prometta di aprire alle di lei truppe la porta delle Pile.
Nullameno vi sono delle ripruove, che fanno vedere la musica applicata alla poesia volgare non molto dopo a’ tempi di Guido Aretino. […] Di lui fanno menzione fra gli altri il Tritemio, Arrigo gandavense, e il Moreri, i quali l’annoverano anche fra gli scrittori ecclesiastici a motivo di dodici libri composti da lui sulla Grazia. […] Pure volendo giudicare dai frammenti che ci restano, essi ci fanno vedere tutto il contrario. […] «Questi sono (dice, parlando de’ Fiaminghi) i veri maestri della musica, e quelli che l’hanno restaurata e ridotta a perfezione, perché l’anno tanto propria, naturale, che uomini e donne cantan naturalmente a misura con grandissima grazia e melodia, onde avendo poi congiunta l’arte alla natura fanno e di voce e di tutti gli strumenti quella pruova ed harmonia, che si vede ed ode, talché se ne truova sempre per tutte le corti de’ principi Cristiani. […] Che fra gli eruditi vi siano delle controversie intorno agli autori di tale o tale componimento, e intorno al tempo in cui esso fu scritto, ciò nulla pruova contro la reale esistenza delle gotiche poesie, come le dispute che si fanno sul vero autore de versi aurei di Pitagora, degl’inni d’Orfeo, della batracomiomachia d’Omero, e d’altri simili rottami della greca letteratura, non sono una pruova che realmente non esistano, e non si leggano la batracomiomachia, i versi d’oro, e gl’inni.
Il palco scenario, sopra cui stanno gli attori, fanno ch’ei sporga per molti piedi all’infuori nella platea.
Oh quanto sono stimabili quegli scrittori che anche in cose di puro piacere discompagnar non fanno le loro vedute dalla sublime infallibile scorta della filososia, che é il più gustoso condimento di ogni opera, e senza di cui ogni opera non é che una pedanteria, una fanciullaggine!
Quel Superiore era Teologo, ma non era addottrinato nelle scaltritezze mondane ; e cosi quei benedetti Dottori che hanno detto contro le Commedie, Dio sa se mai avevano veduto Commedie ; o se pur, ne videro alcuna che non fosse qualche Farsa, o qualche Zannata oscena, e che la stimassero Commedia : poichè vi è taluno che dice Commedia alle bagattelle che fanno i bambocci de’ Ciarlatani.
Quivi per segni convenuti si fanno rientrare ne’ diritti e nelle cognizioni del resto della società quegli sventurati privi di due sensi necessarii per comunicare gli oggetti esteriori all’immaginazione. […] «Gli abiti, i popoli, le damigelle, le guardie e le macchine vi fanno tutta l’azione.» Il signor Clement nelle sue Osservazioni critiche sul poema della Declamazione teatrale di Dorat scrive ancora: «Io vorrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patire chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto.»
Alcuni moderni autori Spagnuoli fanno menzione di altre rovine teatrali che si trovano nella loro Penisola. […] Così ci avvezzammo a detestare indistintamente i teatri, e per fuggirne gli abusi, ci privammo ancor de’ vantaggi: a somiglianza di quegl’ impazienti coltivatori, i quali in vece di potare e recidere i rami lussureggianti, che fanno ombra inutile e perniciosa, danno al tronco e alle radici degli alberi, e privansi per sempre de’ loro frutti.
Oggi che l’ arte è giunta a tanta eccellenza, che ci fa vedere ciò che appena l’occhio può credere, e si fa con tanta sollecitudine e destrezza, che sembra farsi per arte magica ; io queste belle stravaganze non escluderei da’ teatri, essendo fatte usuali e tanto comuni che fanno stupire lo stesso stupore : anzi l’arte supplitrice della Natura, tante ne va di giorno in giorno inventando, che per tante stravaganze può dirsi l’Arte della Natura più bella. […] Debbe insieme chi legge operar, che l’ intelletto comandi alla memoria che dispensa il Tesoro de’ premeditati concetti nello spacioso campo delle continue occasioni, che la Comedia porge, in quel modo, ch’ egli possa pretender di mieter applauso, et non di raccoglier odio, come fanno certi, che trattano con un servo sciocco, od una femina vile, con quelle forme di dottrine, che solo vanno adoperate con huomini saggi, et di eminente conditione.
Anche il racconto del mostro marino è una prova del gusto del prelato Cosentino, che orna moderatamente l’originale senza pompeggiare come fanno Seneca e Racine, senza l’inverisimile ardire che si presta ad Ippolito nel l’affrontare il mostroa, senza imitar Seneca che quando Teseo dovrebbe solo essere occupato della morte del figliuolo, lo rende curioso di sapere la figura del mostro, Quis habitus ille corporis vasti fuit?
Sappia Vostra Ecc.ª che quando i grandi, riconciliano i Comici insieme, per rimaner seruiti ; odesi tallora dà i peggiori, per le piazze, per i ridotti dire, il tal principe mi li fà star per forza, la cui auttorità mi lega, la lingua, e le mani : le quai cose fanno stare in continua discordia le compagnie.
Egli dice: Dunque le altere doti che amabile lo fanno, Che fur già mia delizia, gli si volgono in danno? […] della dolce forza che ti fanno le passioni espresse in istil nobile ed accomodato agli affetti? […] Ma per tale utile tradimento, ben potrebbe egli ottener dal re l’immunità per gl’ inganni passati (come suol concedersi a’ rei che fanno denunzie utili allo stato) ma non già un privilegio di esser solo creduto fedele e veritiero. […] Nell’atto V Penelope si lamenta del tripudiar che fanno i proci per la morte di Ulisse, mentre stanno a mensa con Telemaco e con Ulisse sconosciuto. […] In essa non mostrasi che Ciro p. e. prevalga ad Astiage, o Alessandro a Dario, o Tamerlano a Bajazzette, sventure di personaggi eroici che altro non fanno che cangiar le catene de’ regni.
E intanto non fanno in tanti paesi la delizia de’ dotti? […] E con qual fondamento asserisce il Signor Eximeno, citato dall’Apologista, che i personaggi mascherati fanno il diletto e il piacere della Nazione Italiana?
., abbiano da molto tempo con egual buon senso e dottrina provato, che le arguzie viziose e i falsi pensieri con altra simile cattiva mercanzia venne dalla Spagna e dalla Francia, ove, da gran pezza, erano in credito, a sbarcare in Italia intorno al 1600, e che tutti gl’ingegni italiani non ne fecero incetta, e che cominciò a perdersene la moda verso la metà dell’istesso secolo pure i francesi fino, al dì d’oggi ci rinfacciano rimproverando cotesti difetti; tanto é vero che i pregiudizi e gli errori de’ criticastri gaulesi sulle cose straniere col passar che fanno di bocca in bocca e di penna in penna presso la loro nazione, vi si stabiliscono e perpetuano per secoli. […] E il dotto Giacomo Vernet anche così scrivea fanno 1729 da Roma agli autori del bel giornale intitolato, la Bibliotheque italique tom.
Io converrei secoloro per la seconda accomodandomi alle circostanze del paese, sino a che l’autore non vi avesse sfumate certe tinte risentite d’ipocrisia onde, per altro, ben s’imita l’abuso che fanno i falsi divoti delle pratiche ed espressioni religiose. […] L’azione consiste nella morte di Manolo ferito da Mezzodente di lui rivale, cui tutti gli altri personaggi fanno compagnia buttandosi in terra e dicendo che muojono, ma subito l’istesso feritore ordina che si alzino, ed essi insieme col trafitto Manolillo obedendo risuscitano belli e ridenti.
Gli abiti, i popoli, le damigelle, le guardie e le machine vi fanno tutta l’ azione”. […] Dorat scrive ancora: “Io avrei coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, e fanno patir chi gli ascolta per gli strani loro sforzi di voce e pel dilaceramento del loro petto”.
Lo studio è necessario per sapere occorrendo trattare di tutte le materie non solo in Commedia, ma nelle Accademie, poichè pure vi sono Accademie illustrissime che per testimonio che i comedianti, che fanno l’arte loro come si conviene, non sono indegni d’essere ammessi nelle loro adunanze ; hanno accresciuto il numero degli accademici accettando e uomini e donne, che ordinariamente comparivano in iscena…. ecc. ecc.
Siffatti personaggi, usando per lo più d’un tuono di voce uniforme e composto, non fanno spiccar nella favella loro quella chiarezza e forza d’accento, quella varietà d’inflessioni, che sono l’anima della musica imitativa. […] Callicrate nel Dione, Lusignano nella Zaira, Polidoro nella Merope, e simili altri fanno un gran effetto sul teatro tragico, perché i personaggi che imitano, parlano alla ragione eziandio, e perché la poesia piace non meno quando istruisce che quando commuove; la prima delle quali cose può conseguirsi egualmente coi caratteri freddi, tranquilli, o dissimulati, che coi loro opposti. […] I critici avrebbono allora cicalato altrettanto per provar che l’esito infelice era essenziale all’opera, quanto fanno ora per provare l’opposto.
Potta di me, che pazzie si fanno in quella prima gioventù ! […] Quegli occhi, che vibrano saette hanno pertuggiato, succhiato, bucato, perforato il cuore al cuore di tutti i cuori miei ; la bocca è un Fialone, ove fanno nido le Grazie ; e Amore fatto ape vola al Ozimo, o Basilico di frondi grandi per suggere il miele dall’alma del fiore di Zumpano (Casale di Cosenza), le tue narici son pezzi d’artiglieria, che sbarando, e colpendo in questo petto fanno un dirupo della Casa matta della Bravura del Mondo.
Rancida parrebbe ancora l’invenzione degli argomenti delle sue favole fondati sulla schiavitù di qualche persona in Turchia o in Affrica ma si vuole avvertire che in quel secolo essi doveano interessare più che ora non fanno, perchè tralle calamità specialmente delle Sicilie sotto il governo viceregnale non fu la minore nè la meno frequente quella delle continue depredazioni de’ barbari sulle nostre terre littorali non più coperte dalle potenti armate di mare di Napoli e di Sicilia.
Inglese era Samuele Johnson, e dopo del Rowe e del Pope e del vescovo Warburton, è stato comentatore delle opere del Shakespear pubblicate in Londra in otto volumi nel 1765; e pure nella prefazione dice di lui moltissimo bene e moltissimo male, che è quello appunto che fanno gli esteri imparziali.
Abbandonata o falsata la scuola del Modena, che pur teneva alcun che della scuola del Demarini, giacchè nelle arti non si rinnega mai il passato, si oscillò dapprima fra la verità e la forza, poi si trovò cosa comoda di scambiare il languore per verità ; tantochè oggi anche fra gli attori ben pagati non mancano taluni che fanno l’ arte a furia di vestiti e di perucche, impiastricciandosi il viso ; che non si sentono perchè non hanno fiato, che non si capiscono perchè si mangiano le parole ; e mostrano il gomito appena escono dal loro piccolo seminato.
I frammenti che se ne conservano ancora49, ci fanno desiderare che il tempo avesse distrutta l’Ottavia attribuita a Seneca, purchè ci fosse pervenuta la tragedia di Ennio detta Scipione. […] Queste cose pervenute nelle mani di Demone fanno ch’ei riconosca Palestra per la perduta sua figliuola. […] Gli Spagnuoli nelle commedie del passato secolo, che in questo continuano a rappresentarsi, fanno che il loro Grazioso quasi sempre narri al popolo ascoltatore i disegni del poeta. […] Nelle quali parole si vuol notare che mentovando il Corago e gli Edili si fanno sparire i personaggi immaginati, e venire avanti gl’ istrioni, siccome accennammo nel parlar delle commedie di Aristofane.
Il musico, servendosi di esse come di passaggio d’un accordo all’altro, preparandole prima che arrivino con suoni dilettevoli che cuoprano l’asprezza loro, facendo dopo succedere modulazioni vive e brillanti, che cancellino l’impressione sgradevole, giugne per fino a rendersele, a così dire, amiche, impiegandole in favore delle consonanze, le quali mescolate con quel poco d’amaro arrivano più gradite all’orecchio: nella maniera appunto che i nostri Apici sogliono pizzicar più vivamente il palato coll’uso degli aromati nelle vivande, o per valermi d’un’altra comparazione, come i pittori fanno servire le ombre a dar maggior risalto ai lumi nelle figure. […] Gli scrittori di quel tempo ci fanno sapere, che i madrigali suoi erano ammirati dai maestri e cantati da tutte le belle: circostanza che dovea assicurar loro una rapida e universale celebrità.
I drammi colla musica si fanno venir d’Italia. […] «Il nostro gusto e i nostri costumi (osserva l’autore delle Lettere sulla Letteratura moderna pubblicate dal 1759 fino al 1763) si rassomigliano più al gusto e ai costumi degl’inglesi che de’ francesi: nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa e non si vede nella timida tragedia francese: il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi maggiore impressione che non il tenero e l’appassionato; e in generale noi diamo la preferenza alle cose difficili e complicate sopra quelle che si veggono con un solo colpo d’occhio».
Permettete, o padre, che io consacri questo madhacu, i cui fiori rosseggianti fanno comparire questi boschi tutti di foco.”
Così ci avvezzammo a detestare indistintamente i teatri, e per fuggirne gli abusi ci privammo ancor de’ vantaggi: a somiglianza di quegl’impazienti matti coltivatori, i quali in vece di potare e recidere i rami lussureggianti, che fanno ombra inutile e perniciosa, danno al tronco e alle radici degli alberi, e privansi per sempre de’ loro frutti.
E il nostro celebre filosofo Antonio Genovesi (degnissimo di quanto ne ha maestrevolmente e veracemente ragionato nel V tomo delle Vicende della Coltura delle Sicilie lo Storico filosofo Don Pietro Napoli-Signorelli autore di quest’eccellente Storia de’ Teatri) anche così: Il favor de’ Monarchi sa germogliar nello Stato gli uomini illustri, ed accende l’anime grandi ad operar cose grandi: queste sono le molle che fanno muovere gli umani talenti.
Il severo e religioso contegno del papa Innocenzo XI trattenne in seguito per qualche tempo il corso a siffatti divertimenti, ma dopo la sua morte incominciò di nuovo la corte ad assaporarli, dando a ciò occasione il concorso di tanti stranieri e la magnificenza di tante famiglie principesche, le quali si pareggiavano coi sovrani nella sontuosità e nelle ricchezze. né troppo era strano il vedere i cardinali stessi impegnati nell’accrescer lustro e splendore a’ teatrali spettacoli; tra essi basti annoverare il cardinal Deti, il quale in compagnia di Giuglio Strozzi istituì l’anno 1608 nel proprio palazzo l’Accademia degli Ordinati, destinata a promuovere le cose poeti che e le musicali, come anche un altro porporato illustre scrisse, e fece rappresentar l’Adonia, melodramma di cui Giammario Crescimbeni fa ne’ suoi Commentari un magnifico elogio, ma che debbe riporsi tra i molti insensati panegirici, che il bisogno o la voglia di farsi proteggere detta non poche fiate a quelli scrittori che fanno della letteratura un incenso onde profumare gl’idoli più indegni di culto.
Di varie farse di Laberio fanno menzione gli antichi, e specialmente il nomato Gelliob: Theophinus, Fullonica, Staminarii, Restis, Compitalia, Cacomemnon, Nacca, Saturnalia, Necromantia, Scriptura, Alexandra, nel qual mimo diffinisce il giuramento, Quid est jusjurandum?
Di varie di lui farse fanno menzione gli antichi, e specialmente il nominato Gellio143: Theophinus, Fullonica, Staminarii, Restio, Compitalia, Cacomemnon, Nacca, Saturnalia, Necromantia, Scriptura, Alexandra, nel qual mimo diffinisce il giuramento, Quid est jusjurandum?
Vn’altra spetie Gratianatoria si è ritrouata, ed è che pensando questa di correggere l’vso del parlar rouerscio, si è posta à dir latini, & sentenze, con tirate, & ponga di memoria in guisa, che non lasciando mai parlare chi seco tratta, confonde, & snerva il filo della Fauola, & la mente di chi ascolta, che non riman campo per intendere, & molto meno per capire l’orditura de’ negotij ; e chi è poi colui, che voglia far credere agli Scolari di questa Scuola, che faccino, & dichino male, se ogni giorno cento beuanti gli fanno fede, che sono i primi huomini del Mondo ?
I frammenti che se ne conservanoa, ci fanno desiderare che il tempo avesse distrutta l’Ottavia attribuita a Seneca, purchè ci fosse pervenuta la nomata tragedia di Ennio detta Scipione. […] Queste cose pervenute nelle mani di Demone fanno ch’ei riconosca Palestra per la perduta sua figliuola. […] Gli Spagnuoli nelle commedie del XVI secolo che nel seguente continuarono a rappresentarsi, fanno che il loro Grazioso quasi sempre narri al popolo ascoltatore i disegni del poeta. […] Ora qui mentovando il Corago e gli Edili si fanno sparire i personaggi della favola, e venire innanzi gl’istrioni e le persone che assistono al l’esecuzione dello spettacolo, siccome accennammo nel parlar di Aristofane.
Similmente fra noi le persone di chiesa s’applicarono a siffatto esercizio, come sappiamo di molti, tra quali vanno attorno stampate le sei commedie sacre di Rosvita canonichessa di Gandersheim scritte prima del mille: si sa parimenti da un antico storico citato dal Muratori, che vi si usò dal clero recitar in pubblico i ludi, come fanno in oggi gli attori, e (ciò che dilegua affatto ogni dubbio) nel decretale di Gregorio nono si asserisce espressamente che i preti diaconi e suddiaconi comparivano mascherati in chiesa a divertir il popolo con simili spettacoli29 autorizzati qualche volta colla presenza del Vescovo. […] Il liquore della saviezza è troppo forte, noi siamo dei vasi troppo gracili per contenerlo, e però fa di mestieri dar un pò d’aria a cotesto vino a fine di scemarne il vigore, perché non si renda nuocevole, come fanno i cantinieri nelle cantine.»
M. de la Harpe, modernissimo scrittore di alcune tragedie già obbliate, diceva nel Mercurio di Francia del mese di marzo 1772, che «la gesticolazione e i lazzi fanno più della metà della commedia italiana, aggiungendo con gallica urbanità, come di gesticolazione e di lazzi é composta la più gran parte della conversazione e dello spirito degl’italiani» 157. […] Ma egli non ha capito che Aquilio si vale di quest’immagine come di un paragone conveniente a un cortigiano guerriero, il quale risveglia anzi idee marziali, e manifesta un contrasto di calore e di brio che Aquilio ha bisogno di contenere; e un Piccini e un Paiselli fanno coll’armonia animar questo pensiero vivace, imitar l’impeto guerriero che scappa fuori, e che la prudenza si sforza di raffrenare, e conchiudere col poeta col fare scoppiar il colpo ben guidato, e mostrar il trionfo che produce, ch’é quello che tuttoriempie il cuor d’Aquilio.
Quando poi, finito il ritornello, entra la parte che canta, quei tanti violini che l’accompagnano che altro mai fanno se non abbagliare e coprir la voce?
Su tal fondamento possiamo distinguere gli uomini in tre classi: la prima di quelli che riflettono senza curarsi di sentire, come il Dotto imperturbabile; la seconda di coloro che sentono unicamente senza neppure accorgersene, come i selvaggi, i fanciulli, i volgari; la terza di quei, che senza immollare le ali alla sensibilità, fanno servire la Natura e la riflessione, il Cuore e la Mente, a guardarsi dagli errori, e ad essere più sensibili, e perciò più socievoli, più compassivi, più uomini in somma, che pretese divinità.
Di questa precisione e aggiustatezza abbiamo pochi esempli tra’ moderni, i quali per lo più fanno rispondere a’ personaggi quel che comanda la rima o L’armonia de’ versi.
Ciò avverrà appunto quando scosso il volontario stupore gli uomini giungano a comprendere che oltre a i Tenori con tanto diletto ascoltati, le dolcissime naturali voci delle femmine fanno in iscena, senza che si violenti la natura, quanto mai sanno eseguire le non naturali de’ castrati.
«Il nostro gusto e i nostri costumo (osservavasi nelle Lettere sulla moderna Letteratura pubblicate dal 1759 sino al 1763) rassomigliano più agl’Inglesi che a’ Francesi; nelle nostre tragedie amiamo di vedere e pensare più che non si pensa, e non si vede nella timida tragedia francese; il grande, il terribile, il malinconico fanno sopra di noi più impressione del tenero e dell’appassionato, e in generale noi preferiampo le cose difficili e complicate a quelle che si veggono con una occhiata.»
Di questa precisione e aggiustatezza abbiamo pochi esempj tra’ moderni, i quali per lo più fanno rispondere a’ personaggi quel che comanda la rima o l’armonia de’ versi.
Della favola sono interlocutori : Astrea Cupido che fanno il prologo.
La regina riprende la timidezza dell’amante che si discolpa col rispetto; entrambi fanno pompa di acutezze là dove era da svilupparsi una tenerezza contrastata. […] Nell’atto II i maneggi di Elena fanno sì che per due anni e mezzo nè le lettere di Diego giungano alla cugina, nè quelle di lei siano a Diego consegnate. […] Sebbene per le passioni generali e per l’intreccio si è veduta con piacere anche ne’ teatri italiani, tuttavolta fuori delle Spagne è impossibile il ritenere scrivendo i tratti originali della dipintura degli zingani Andaluzzi che acquistano ancor grazia maggiore nella rappresentazione che ne fanno i nazionali. […] Vi si mette in vista la galanteria di una dama e di un cavaliere che fanno vista di amarsi, avendo però ciascuno più d’un intrigo amoroso per le mani.
Sin dalla prima scena vi si ammira lo stato dell’azione esposto con somma arte e nitidezza per maniera che l’antichissimo riformatore e padre della tragedia non ebbe bisogno dell’esempio altrui per condurre alla perfezione questa sì rilevante parte de’ componimenti drammatici, nella quale tanti moderni fanno pietà a’ savi a differenza del chiarissimo signor abbate Metastasio, che vi riesce sempre mirabilmente. […] Che delicato contrasto fanno nell’atto III le innocenti naturali domande d’Ifigenia e le risposti equivoche e patetiche di Agamennone, la di lei gioia sincera all’abbracciare il padre, e ’l profondo dolor di lui, nascosto sotto l’esteriore serenità e allegrezza forzata! […] «Lo scopo detta Poesia e dell’Eloquenza (dice ottimamente il Signor di Saint-Marc) é di commuovere vere e dilettare; e la vera pietra di paragone de’ Componimenti ingegnosi é l’impressione che fanno nell’animo de’ Leggitori».
Ma se Opulenza, e la fatal sua figlia Insolenza, vi fanno ebbri di entrambe, Me nomerete allora liberta. […] I congiurati contro i due sciocchi naturalisti a favore degli amanti, fanno piovere una tempesta di sassi sulle spalle di Don Sossio destinato sposo della nipote di Don Macario suo maestro. […] Queste angustie teatrali fanno riescire il melodramma italiano diversissimo dalla tragedia francese per la ricchezza e l’economia dell’azione(a). […] contro del padre Evelina e le compagne, nella guisa che fanno le ninfe fuggendo da’satiri. […] Lo spettatore pero curioso investigatore di quanto fanno o non fanno in iscena i personaggi, fa mille giudizii sull’inselvarsi de’ due fervidi amanti, involandosi agli occhi de’ loro confidenti stessi, e di mala voglia vedesi tenuto a bada da personaggi subalterni, i quali continuano ad orar nell’orto.
Frequenti rappresentazioni si son fatte, e si fanno tuttavia in Italia delle tragedie del P. […] Son rari assai coloro che fanno dare agli altrui pensieri quell’aria di naturalezza che si scorge in Metastasio, la quale fa sì, che si accordano con tutto il resto, e non se ne offende l’uguaglianza dello stile.
Non sono dunque i tragici Italiani del secolo XVI quelli soli che adoperano ornamenti epici e lirici che fanno arricciare il naso a i critici spigolistri ammiratori ciechi anco delle frascherie straniere, giacchè due secoli dopo ne troviamo nel poeta de’ savii Adisson. […] Giorgio Lillo giojelliere di Londra, il quale morì l’anno 1739, imprese a scrivere più d’una di simili favole tragiche di persone private sommamente atroci, per le quali si è communicata alle scene francesi ed allemanne la smania di rappresentare le più rare esecrande scelleratezze che fanno onta all’umanità.
Una folla di bastardi Volteriani scimieschi apportarono su quelle scene la decadenza, ed il gusto inglese ne accelerò la ruina, coprendole di mostruosità, di orrori, di ombre, di sepoleri e di claustrali disperati, che in vece di toccare il cuore spaventano e fanno inorridire. […] Che si dirà poi di quella specie di contradanza che fanno nell’atto IV Gastone, Avogadro ed Eufemia? […] Il conte Luigi viene particolarmente oltraggiato nella persona di un figliuolo dal figliuolo di Gambara natogli di una Francese, implora la giustizia de’ nuovi padroni della città, non è ascoltato, i mali pubblici, e le private offese fanno che si rivolga alla Repubblica, e promette di aprire alle di lei truppe la porta delle Pile.