Io credo, Signor Lampillas, che potremo per lo meglio affermare, che le favole del Malara fossero state Tragedie, come le sei del Vega. […] Io cedo volentieri questo campo agli Apologisti. […] Io del Torrismondo, oltre all’averne rilevati i pregi con parole, addussi alcuni squarci che forse presso gl’Intelligenti giustificano le lodi date a quella Tragedia. […] Io non vi trovo, egli afferma, i pretesi gran difetti che altri dice. […] Io non rapporto ora nè gli altri assurdi, nè la falsità e inuguaglianza di varj caratteri.
Io credo che se invece di invadere un campo non loro, si fossero contentate di quello naturale cioè a dire di satira in azione, non mai com’oggi avrebber potuto essere salutari al popolo di su la scena. […] Io non beffo, goffo, buffo, se ti azzuffo per il ciuffo presso al baffo, quel tuo ceffo t’abbaruffo, e per caffo nel rabbuffo ti do il tuffo. […] Io mi batto fuor nell’atto fino all’otto ; mi ci metto come un matto nè vo in letto finchè a lutto non fai motto ; tu mi batti, io ti ribatto, e in baratto di tua botta, io ti butto giù in un botto ; se sei dotto, io sono addatto ; niuno editto nè altro detto che sia indotto non adotto.
Io dirò sempre che siete una moglie virtuosa e una grande attrice. […] Io godo della vostra riputazione più che della mia : avete il suffragio dell’Italia, e voi non avete bisogno di me per avere un gran nome nell’arte vostra, pure non ho desiderato essere un buon tragico quanto adesso che conosco andare in voi le doti dell’animo del pari con quelle dell’ingegno. […] Io ho fatto il contrario, e mio marito non ha potuto secondare i vizi dei comici e le loro abitudini, ed ecco il motivo per cui non abbiamo amici in quest’arte.
Io senza inoltrarmi in così spinose ricerche ho cercato di far conoscere la rettorica e la filosofia dell’arte, quelle parti cioè le più trascurate dai moderni musici, ma le quali io giudico essere le più essenziali fra tutte, poiché c’insegnano l’uso che dee farsi de’ mezzi particolari ad ottenere nella maggior estensione possibile il fin generale.
Convien pur dir, ch'ei sia di quella razza ch' Argo ingannò perch' Io dappoi gl’invole ; oppur del ceppo della scaltra Iole, che ad Ercol feo filar, depor la mazza.
Io ho qui sott’occhio la prolusione alle sue lezioni di arte drammatica recitata nella solenne apertura della scuola la sera del 9 novembre 1859 ; e molto mi maraviglio che nulla vi apparisca di quel pedante, che in un maestro di oltre mezzo secolo a dietro parrebbe doversi inevitabilmente trovare.
Io sento fin qui il rumore dello applauso che vi danno le genti : le quali montando le mura del loco dove sete, rompendo porte e passando canali et d’alto smontando, si pongono a periglio di mille morti per poter solamente godere una sol hora la dolcezza delle vostre parole.’ […] Io, anche di fronte a nomi di persone reali, le une ritengo non mai inviate, gli altri non mai accaduti.
Io, che fra l’ombre osai trarle alla luce, gran Ferdinando, le consacro a voi, e in voi più bello il fasto lor riluce. […] Io ho veduto soltanto il Romolo, opera scenica di Pietro Cotta detto Celio accademico Costante, che è dedicato all’abate Vincenzo Grimani.
Io (che non avevo mai salito un palcoscenico, e uscivo dal collegio della Marca, ove avea compiuto il mio corso di filosofia sotto il dottor signor Balli), la scelsi per mio primo esperimento (1 ottobre 1689), quando apparvi al pubblico d’ ordine del Re e di Monsignore, e tale e tanto ne fu il successo, che procurò ai comici moltissimo guadagno. […] Io direi che ho più fatto io, al cominciar della mia carriera, e ne’ miei teneri anni, che non attori illustri dopo venti anni di esercizio e nella pienezza de’lor mezzi.
Gli Dei son raunati in consiglio, & è nato tra essi vn gran disparere, però hanno bisogno della presenza vostra ; Io galantamente rispondo, che per fargli seruitio sono in ordine, lui di posta mi piglia in braccio, & in vn batter d’occhio mi porta in Cielo, e non ve ne voleua di manco, perchè vn poco più ch’io fussi tardato, quei Barbassori si sarebbon date tante le maledette pugna nel naso, che sarebbe piouuto mostarda per otto giorni, e la spetiaria di maestro Apollo sarebbe stata sfornita d’vnguento di biacca, e difensiuo. […] O buono, ò buono, diss’io allhora ; ma perche dice odi l’altra parte, chiamo Gioue ; lui mi viene innanzi, e dice : Io sono stato il fondatore di Bologna ; e poiche M. […] Io hò fabricato Bologna di mia mano, e molto prima, che impregnando Rea dessi cagione all’origine di Roma. […] Io, io fui quella che spalancata la mia larga bottega, chiamai quella Città Felsina, cioè tutta dolcezza, e senza alcuna sorte d’amaritudine, dal nome fel, lis, che vuol dir fiele, e dalla prepositione sine, che significa senza, quasi Felle sine, senza fiele, senza amarezza.
Io dico: Voi avete poche Tragedie (regolate o sregolate che siano); ed egli replica: Voi ne avete poche ben regolate. […] Io penso che esse ascendano a un centinajo e mezzo; e che se si comparino quelle delle due nazioni, si troverà, che le Spagnuole stanno alle Italiane a un di presso come il 2. sta al 18.
Io stimo la signora Catrolli, ma questa parte non è adattata alla sua abilità.
Nel 1780 cominciò a uscir di Firenze, sotto la protezione di Pietro Leopoldo, con privilegio di occupar egli solo con la sua comica compagnia i teatri varj della Toscana ; e lo vediamo l’autunno di quell’anno a Livorno, ove per l’apertura del Teatro di San Sebastiano fu composto un prologo (Livorno, Falorni), che finisce con queste parole di Minerva volta alla Compagnia schierata in sulla scena : ….. scendete O miei figli scendete ; eccovi aperto Vasto campo al valor ; dell’arti mie Fate qui prova ; Io non vi guido al varco D' incognita region ; del patrio Mare Rivedete le sponde ; in ogni volto Distinguete la gioia ; in voi si scorga Un’umiltà non vile ; assai decente Abbia lo scherzo il suo confin ; il gesto Non si avanzi di troppo, il fasto improprio Nel vestir non deformi Il carattere altrui ; fate che sia Esatta ognor l’esecuzion, ma prima, Lungi dall’adularvi Fate che ognor risulti Ad eterna memoria, Dall’altrui perdonar la vostra Gloria ; Solo pregio del terreno Non è il darne il frutto, o il fiore Pregio è pure del calore Dell’umore È pur mercè.
Io vorrei vedere cotesti greci metter in scena una tragedia di gusto loro. […] Io era persuaso che si darebbe nel secco, come ci danno sempre cotesti greci moderni, e fanno tanto mistero della loro erudizione e godo che così appunto sia accaduto15». […] — [2.130ED] Io volea replicar qualche cosa, ma postosi il dito alla bocca, mi accennò di tacere e si ritirò. […] [3.100ED] Io non intendo quella frase del purgare il mal col malanno, cioè del purgar gli affetti col terrore e con la compassione. […] — [4.131ED] — Io non intendo di scemar la gloria a costoro — ripigliò quegli —.
Ati Lieti vivete; i voti miei son questi; Così bel nodo io strinsi; i vostri amori Io secondai, … Ah de’ tuoi dì felici Questo il più glorioso Sarà del viver mio l’estremo giorno. […] Giove intercede per Io, e giura al fine di più non amarla purchè l’infelice cessi di patire. Giunone caccia allora la furia nell’inferno, ed Io sotto il nome d’Iside diventa immortale. […] Pur vi si trova una bella scena di Jerace ed Io.
Io lo faccio con la presente, e m’ assicuro che l’A.
Prèmare e tratto da una collezione di un centinajo di drammi scritti nella dinastìa di Yuen: «Io sono Tching-poei, mio padre naturale è Tun-gan-cu; io soglio la mattina esercitarmi nelle armi, e la sera nelle lettere; ora vengo dal campo per veder mio padre naturale.» […] Io ti allevai allorchè perdesti la madre poco dopo del tuo nascere, il caro padre che mi ha rilevata, prenderà di te cura nella guisa che io ho fatto, poichè ci faremo separati. […] Io rimandai al prelodato Catanti le sue commedie Cinesi.
Io mando lo studioso alla lettura di quel saporitissimo libretto di Jarro, ove della prima recita del Saul, e della quinta alla presenza dell’autore, è riferita la cronaca del Morrocchesi : qui basterà dire che il nostro attore dovè ripetere alcun brano subito la prima sera fra le acclamazioni del pubblico, e che la quinta, al cospetto di Alfieri, si abbandonò con tal violenza su la spada nel proferir l’ultimo verso Me troverai, ma almen da re [quì…. morto…. […] Io lo presi a modello in tutta quella difficilissima scena perchè, per quanto studio avessi posto onde variare modi, ed atteggiamenti, m’ avvedeva che tutto sarebbe rimasto al disotto d’ una felice imitazione.
Io la conobbi il ’71-’72 nella Compagnia di Fanny Sadowski diretta da Cesare Rossi, in cui sosteneva mirabilmente le parti di madre e caratteristica, che avea già recitate in quella di Bellotti-Bon.
Serenissimo Principe, Io ho inteso i comandi di Vostra Altezza Ser.
Io farò che quegli attori rappresentino avanti di mio zio qualche scena che rassomigli alla morte di mio padre. […] … Io acquisterò prove più solide; e la rappresentazione ordinata sarà il lacciuolo per sorprendere e avviluppare la coscienza del re. […] Io? (risponde la regina) Io! […] Io tanto più di buon grado ne trascriverò qualche osservazione, quanto più mi sembra conducente a far meglio conoscere per mezzo di un nazionale il carattere del poeta drammatico inglese.
Io tento di fuggir ma non so dove . . […] Io vidi, e che non vidi? […] Io taccio. […] Io di Cassandra ancella? Io di te priva?
Io mi voglio vendicar di costoro.
Io sono più misero di voi, perchè ho la madre moribonda, e non ho da mantenerla.
Io riporto quelle che ci descrivon gli ultimi tempi della Ceccherini, le quali non son meno incantevoli nella lor poetica tristezza (XVII-517) : L’ultima caratterista è morta nel settembre del 1889, per gli anni ch’eran molti e per la miseria, che era grave non meno.
Io ho uoluto dar questo motiuo à Vostra altezza in segno dall’ottima volontà mia, che professo di caminaretrà di noi con ogni uicendeuole et affettuosa corrispondenza…..
Io, allora in sua compagnia, ricordo le magistrali interpretazioni de' Vassalli di Castelvecchio, del Duello di Muratori, dello Chatterton di De Vigny, allor vivi nel repertorio italiano per opera sua soltanto, e la Satira e Parini di L.
Io per verità fui più diligente del Velazquez, mentovando almeno il Teatro Saguntino, e più il sono nella preparata nuova edizione della Storia de’ Teatri in tre Volumi, nominandovi ancora il Teatro di Merida, accompagnato dalle necessarie citazioni, e quello estemporaneo eretto da Cornelio Balbo in Cadice, sendo Pretore, di cui nè anche il Lampillas si è ricordato. […] Io tralascio qualche altra conformità di tale edificio con altri precetti Vitruviani, e specialmente la situazione per esso eletta, che non può essere a quelli più simile.
Io non la so e vorrei ben saperla. […] Io sarò Titus e voi Berenice.
Io aspetto e spero. » E l’aspettazione e la speranza, quasi vane ormai, non gl’impediscono di portar sempre e dovunque il magistero dell’arte sua, con predominio di note schiettamente gaje, sia che il buon gusto del pubblico gli conceda di spiegar le sue doti ne'capolavori goldoniani (oggi [1905] ne ha oltre venti in repertorio), sia che dal palato avvezzo agli eccitanti, o dal bisogno nel pubblico lavoratore di una distrazione spensierata, egli debba mostrarsi nelle innocue e pur vilipese aberrazioni chiassone della pochade. […] Io lo metterei subito, nella scena dialettale, accanto a Ferravilla e alla Zanon : due artisti che per la loro vita vissuta dinanzi alla ribalta, assorbono dal lor primo apparirvi i sensi tutti dello spettatore.
Io crederei trattarsi più tosto di un fratello di Francesco Biancolelli, e però zio di Domenico.
Di lui, morto, disse il Costetti, del quale mi piace riportar le parole che indirizzò alla figliuola Lina il Io giugno del ’96.
E in quella del XXII (della Pace) : Io son venuto a darvi saggio di questa bell’opera, c’oggi vi recitaranno questi dotti figli ; et se non avrà pronunzia Varroniana, disposizione Aristotelica, e locuzione di Plauto, ornata facondia di Cicerone, gesti del greco Demostene, et eccellenza dell’africano, iscusati siano appresso voi, ch'a tal mestiero di recitare usi non sono, ma ritrovandosi Genio Dio del piacere secretamente tra tutti, in questo festivo giorno, pieno di contenta gioja, et immenso giubilo, oggi ve lo mostreranno con l’animo pronto in rappresentarvela ; piacendovi con lieto volto ascoltarla, e donargli manifesti segni, ch'ella sia riuscita conforme al vostro desiderio.
Io non conosco altra stampa fuor quella dello Zatta (T.
Io vidi, e che non vidi ? […] Dovunque nato io fossi, Io comandar dovea. […] Io di te priva ? […] Io oso questa volta disconvenire dal suo avviso. […] Io come reo dovea A morte soggiacer.
Io ho sentito il Pezzana, capocomico, negli ultimi anni della sua vita artistica, rappresentar tra l’altre con molta verità e molta efficacia la parte di Vincenzo Monti nell’ Ugo Foscolo di Castelvecchio (il Foscolo era Giovanni Ceresa, un artista di gran pregio, formatosi sotto i savj ammaestramenti di lui).
Io desidero cordialmente che questo teatro di cattivo gusto, e che non serve se non a corrompere il buono ed il vero, finisca una buona volta, e sien rinviati tutti codesti istrioni in Italia.
Io amo più un attore che abbia sbagliato il carattere d’un personaggio per averlo mal interpretato, che quegli che l’abbia indovinato per caso, e senza riflessione….
Io sono l’anima di tuo padre destinata per certo tempo a vagar di notte, e condannata al fuoco durante il giorno, affinchè le fiamme purifichino le colpe che commisi nel mondo . . . . . […] Io farò che quegli attori rappresentino avanti di mio zio qualche scena che rassomigli alla morte di mio padre. […] Io acquisterò prove più solide, e la rappresentazione ordita sarà il lacciuolo per sorprendere e avviluppare la coscienza del re”. […] Io! risponde la regina, Io!
Io vi auguro tutti i beni e vi desidero tutte le felicità che non vi potranno mancare per la vostra onesta condotta. Io fui obbligato di rinunziare alla quaresima di Bergamo pagando una penale di cinquanta zecchini effettivi. […] Io fui incombenzato di scrivere a te se vuoi essere la prima attrice di codesta Compagnia ; sai quanto i Romani ti amano, ed apprezzano il tuo merito singolare…. […] Io chino il capo alle circostanze : fa ciò che credi, quello che il cuore ti detta. […] Io pure se Dio mi darà forza e salute ho ferma intenzione di ritirarmi dalle scene dopo altri cinque anni, ma prima di far ciò desidero ardentemente (per quanto il mio scarso ingegno lo permetterà) cooperare con que’ pochi ottimi artisti drammatici che abbiamo in Italia (dai quali cerco imparare e le massime e l’arte) onde formare un buon gusto generale in tutta Italia che va purtroppo scadendo colpa la noncuranza in che si tengono le cose vere e naturali, le finitezze, le sfumature dell’arte come noi le chiamiamo, per applaudire soltanto alle esagerazioni, contrarie il più delle volte al buon senso.
Io non la curo. […] Io non la curo. […] Io di lasciarti ... […] Io di lasciarti ... […] Io l’ho perduta!
Ecco nelle prime scene dell’Iside un esempio mirabile allorché Ierace si lagna della ninfa Io: «Vous juriez autrefois que cette onde rebelle Se ferait vers sa source une route nouvelle Plutôt qu’on ne verrait votre cœur dégagé; Voyez couler ces flots dans cette vaste plaine: C’est le même penchant qui toujours les entraîne. […] Io. […] Io. […] Io l’ho fatto vedere parlando della Euridice del Rinuccini, e l’ho trovata costantemente osservata in quanti mi sono capitati alle mani di quel secolo.
Io lascio di discutere l’opinione dell’Ingegnieri, perchè non si oppone alla mia; che sebbene egli dica che era stravagante, non però nega che fosse Tragedia. […] Io trovo sulle Atellane così contrarie opinioni negli Scrittori, che non saprei determinarmi a diffinirle, se non col prendere il partito accennato nella Storia de’ Teatri, cioè assegnando loro due epoche, o sia riconoscendo in esse un’ alterazione successiva, che di sobrie, gravi, e degne di essere privilegiate, le converse in leggiere, oscene, e licenziose. […] Io temo, Temo quel pianto, e la cagion ne cerco. […] Io non dubito del gusto dell’Apologista in Poesia, avendone egli dato pruove e co’ suoi Sonetti e colle sue Critiche; ma mi perdonerà se intorno all’ammettere la prosa nelle Tragedie, io da lui disconvenga.
Io non ne nomino i meschini autori per rispettar la nazione; ma probabilmente essi troveranno ricetto nella Biblioteca del Sampere per morire in coro in siffatto scartabello, di cui in Ispagna altri già più non favella se non che il proprio autore. […] Io vengo meno ... […] Io, sì, ne morirò, che in me non sento Valor per tante pene; ahi sventurata! […] Io converrei seco loro per la seconda fino a tanto che l’autore non vi sfumasse certe tinte d’ipocrisia troppo risentite, onde per altro ben s’imita l’abuso che fanno i falsi divoti delle pratiche e dell’espressioni religiose.
Io son tradita, son disperata, e il mio dolor soltanto che mi lacera il cor, può con un colpo la morte annichilar.
Io che invece vorrei tanto e tutto dimenticare !
prologo da ragazzo Io anderò, poi che voi tutti quanti uniti insieme me lo imponete, ma se da principio ero avvisato di questa straordinaria fatica, affè, affè che non mi ci coglievi. […] Io ci sono entrato ; e basta in questa professione romperci un pajo di scarpe, per non se ne levar mai più. […] Io poi non credo che tutti questi capitani sieno, come altri vorrebbe, una continuazione, o meglio, un ammodernamento del celebre Pirgopolinice, il miles gloriosus di Plauto. […] Io credo che non solo per questa, ma per altre simili operette sia difficile precisare il nome dell’autore. […] Io pure fui quello.
Io spargo al mar le voci Vedi l’onde, Cimeta, ecco gli scogli . . . […] Io ti educai più pronta, Gelosa più di chi suggesti il latte; Non che germana, io ti fui balia e madre.
Prèmare e tratto da una collezione di un centinajo di drammi scritti nella dinastia di Yuen: “Io sono Tching-poei, mio padre naturale è Tungan-cu; io soglio la mattina esercitarmi nelle armi, e la sera nelle lettere; ora vengo dal campo per veder mio padre naturale”. […] Io rimandai al Cavaliere prelodato le sue commedie Cinesi, presso di cui si troveranno.
Io ancora aveva proposto di andarvi, allorchè cominciassero a recitarla ; ma divenni ad un tratto il giuoco della fortuna.
Io sono stato il primo a farle ; non può darsi, non è vero : o saranno mie copie, o reciteranno male.
Io tanto più di buon grado ne trascriverò qualche osservazione, quanto più mi sembra conducente a far meglio conoscere per mezzo di un nazionale il carattere del poeta Inglese. […] Io ne ho voluto accennare soltanto quel che riguarda la drammatica, non curandomi di mettere al vaglio tante mal digerite opinioni spacciate sulla poesia italiana e francese, ove pesta non iscorgesi nè di gusto nè di giudizio, nè di quella precisione d’idee, di cui crede piamente potersi pregiare. […] Io non so quanti siensi approfittati del di lui consiglio se non per poetar bene almeno per cianciar male; non so poi se possa esservi uomo dotato di ugual malignità e stupidezza che possa adottare i di lui sentimenti.
Io posso disingannarvi. […] Egli schiverà l’assalto con dire: = Io non asserisco, che di tali cose non abbia bisogno, ma bensì dell’indulgenza dello spettatore =. […] Io ho paura che nè in Italia, nè in Ispagna sareste creduto, ancorchè il pretendeste. Io vi vorrei un poco allato di alcuno, che abbia tali materie bene esaminate, quando si rappresentasse il migliore Dramma colla maggiore proprietà. […] Io non dubito, Signor Abate, che a un bisogno voi parlereste sì bene di Pittura, come fate di Poesia Rappresentativa.
Io vò mettervi dentro un poco di mele Attico. […] Io non vo’ miga andar per siffatte vie. […] Io veggio colà giù la gran bestiaccia. […] Io credo (il creditore) che sia sempre lo stesso. […] Io, io vi somministro tutte queste cose: io col bisogno costringo gli uomini alla fatica.
Alle severità della critica odierna, Antonio Cervi, dal cui opuscolo (Bologna '96) ho tratto in parte questi cenni, contrapponeva queste parole di Alamanno Morelli : « Io che ho saputo contraffare le varie interpretazioni di tutti i più grandi artisti, non sono riuscito mai a contraffare quelle del Papadopoli, tanto esse erano naturali e semplici, e di una meravigliosa efficacia. » Come uomo, egli si formò una travagliosa vecchiaja, confortata a pena da qualche sussidio strappato ai colleghi doviziosi, o che gli eran stati compagni, o che sentivan pietà della miseria sua.
Io dissi solamente che egli era stato degno della sua parte – se fosse valso meno, ne avrei parlato di più.
Io lo ricordo giovinetto a Torino, quando a notte alta per le vie ci ripeteva i brani più salienti delle interpretazioni paterne : nelle modulazioni musicali della voce la imitazione era tal volta perfetta.
Io son morto, io son morto. […] Io voglio essere il capitano, ed ordinare l’esercito per la giornata. […] Io vi lascio pensar s’ebbi paura. […] Io di paura sarei morto allora. […] Io non approverò mai le scene simili alla quinta del V atto di Cittina: Io non so che trispigio sia dentro a questa camera terrena; io sento la lettiera fare un rimenio, un tentennare che pare che qualche spirito la dimeni ecc.
. — Io avevo toccato proprio nel suo debole : le parti tragiche. — Io tragico ? […] Io vorrei che i giovani potessero, per forza di miracolo, tornare a dietro di quarant’anni, e seguir sera per sera, anno per anno, l’opera varia, forte, grandiosa di Cesare Rossi !
Io l’ho sentito negli ultimi anni della sua impresa ai Fiorentini, in quella Compagnia, nella quale faceva le sue prime armi Andrea Maggi al fianco di Don Michele Bozzo ; e si poteva benissimo da quegli splendidi resti arguire di quale inesauribile vena di comicità fosse dotato ne’più begli anni della begli anni della sua vita artistica.
II, pag. 37) : Io aggiungo al detto del Barbieri, che l’anno 1644 in Fiorenza intesi da un fiorentino, huomo di molto spirito e pratico della Spagna, ch’ egli circa l’anno 1610 stando in Siviglia, seppe da certi suoi amici, huomini vecchi e testimoni di vista, che Ganassa, comico italiano e molto faceto ne’detti, andò là con una compagnia di comici italiani, e cominciò a recitare all’ uso nostro ; e se bene egli, come anche ogni altro suo compagno, non era bene e perfettamente inteso, nondimeno con quel poco che s’intendeva, faceva ridere consolatamente la brigata ; onde guadagnò molto in quelle città, e dalla pratica sua impararono poi gli Spagnuoli a fare le commedie all’ uso hispano, che prima non facevano.
Io l’accettai, Io serberò la fede. […] Io voglio andarmene. […] Io leverogli il ruzzo. […] Io vi dico di no. […] Io pigliarmi di voi gioco?
Io non voglio che crediate alla mia nuova Storia teatrale quando si produrrà: ma su quello che io riferisco, pregovi a fermarvi, e a dubitar, sì, com’è giusto, ma a cercare di sciogliere i vostri dubbj, confrontando da voi stesso i Drammi; e son certo, che se amate la verità, vi ravviserete quello che mai non pensavate, e stupirete di aver finora fatta la guerra alle ombre infantate dalla vostra fantasia. […] Io quì vedo un manifesto decreto di condennazione positiva della licenza immoderata della scuola Lopense e Calderonica, la quale, traviando dalla norma comune, e da’ precetti indispensabili, permise a’ Poeti l’abbandonarsi alla propria intemperanza. […] Io credo, che più che ogni altra cosa questo genio di precipitazione nel comporre facesse credere al nostro Dottor Goldoni di essere invasato dello spirito di Lope. […] Io non mi fermerò gran fatto su di ciò. […] Io non so, se le bugie scritte siano meno bugie delle profferite colla bocca.
Io ho vedute ripetersi quasi sempre le medesime sarsuole composte per lo più dal lodato La Cruz, cioè las Segadoras (mietitrici) de Vallegas, las Foncarraleras, la Magestad en la Aldea, el Puerto de Flandes, e qualche Folla. […] Io appello dal suo dubbio inurbano al testimonio d’ intorno a censessantamila abitatori di Madrid, e ad un milione di altri Spagnuoli viventi che avranno veduti i descritti due teatri. […] Io per altro volendo far la riferita descrizione, richiesi intorno all’ inezia di tali nomi gli eruditi amici Moratin, Ayala, Higueras, Robira, Morales &c., nè costoro più ne sapevano di quel che io dissi. Io non poteva informarmene dall’Huerta che dimorava in Oran, altrimente avrei arricchita la mia storia colla mangiata de’ chorizos, ed avrei manifestata l’origine famosa de’ Polacos dicendo che consisteva in certa notizia che Huerta sapeva e che non volea dire.
Io giocava passabilmente bene al tressette, giuoco favorito di mia Madre, che me lo insegnò.
Io credo che niuno abbia capito e rivelato ai posteri l’arte somma di Giovanni Toselli, meglio di quanto facesse il compianto Luigi Pietracqua, del quale mi piace riferir qui tradotte le belle parole : I posteri riconoscenti, artisti e ammiratori, gli dedicaron monumenti marmorei così a Cuneo sua terra natale, come al Teatro Rossini di Torino, dove si ammira un suo busto assai rassomigliante ; ma il più bel monumento se lo eresse da sè, creando un teatro popolare, che prima non esisteva ; inventando, per dir così, un nuovo genere d’arte così viva e possente, che per bestemmiar che facciano certi ipercritici della moderna tubercolosi artistica (leggi : teorica nova) non morrà più mai nè nella memoria nè nel cuore del nostro popolo che pensa colla sua testa e giudica col suo buon senso, infinitamente superiore a tutte le fisime più o meno isteriche di certi scrittorelli, più o men camuffati da Aristarchi Scannabue.
Io credeva che, per quanto si stimi un Autore, un ingegno libero non mai si obbliga a seguirlo ciecamente, quando la ragione nol consenta. […] Io per me credo fermamente a quanto quì dice. […] Io voglio poi che il Varchi a ragione riprendesse le oscenità e le indecenze di alcune delle nostre Commedie, come di quelle dell’Aretino, del Vignali, del Groto.
Io ardisco per saggio recare in italiano il principio di esse per coloro che non amano le latine traduzioni letterali e soffrono di vederne qualche squarcio comunque da me espresso: O spazii immensi ove ogni cosa nuota, O voi venti leggeri o fonti o fiumi, E voi del mare interminabili onde, O madre o Terra, o Sol che a tutti splendia. […] L’episodio degli errori della misera Io trasformata in giovenca accresce il terrore di questa favola, e benchè vi sia introdotta senza manifesta necessità o immediato vantaggio del l’azione principale, pure dà luogo a sviluppare sempre più il carattere del benefico infelice protagonista. […] Io non mi sono proposto in quest’opera di copiar ciecamente gli altrui giudizj (che sarebbe una infruttuosa improba fatica) ma bensì di communicare co’ miei leggitori l’effetto che in me fanno le antiche e le moderne produzioni drammatiche.
Io mi era accinto e preparati avea sessantasei no saben verificati in lui ed in ogni sorta di Huertisti; ma la di lui morte mi reca il vantaggio di risparmiar la spesa di farli imprimere. […] Io volendo far la riferita descrizione, richiesi intorno all’inezia di tali nomi gli eruditi amici Nicolàs de Moratin, Ignazio Ayala, Miguèl Higueras, Yriarte, Cadahalso, Robira, Morales ec., nè costoro più ne sapevano di quel che io ne ho narrato. Io non poteva informarmene da Garcia de la Huerta che dimorava nel presidio di Oràn, altrimenti avrei arricchita la mia storia colla mangiata de’ chorizos, e manifestata l’origine famosa’ de’ Polacos, dicendo che consisteva in certa notizia che Huerta sapeva e che non voleva dire .
Io già t’ascolto. […] Io ripugnanza alcuna Nel numero non veggo. […] Io credo di averlo dimostrato abbastanza in altri luoghi di quest’opera per non abbisognar qui di nuove parole. […] Io non credei Di pungerti così. […] Io non posso morir.
Io credo che farnetichi. […] Io son morto, io son morto. […] Io voglio essere il capitano, ed ordinare l’esercito per la giornata. […] Io vi lascio pensar s’ebbi paura. […] Io di paura sarei morto allora.
(Io fremo, io più non vedo! […] Io deliro. […] Io! […] Isa: Io che ti amo? […] Die: Io nulla ascolto.
Io venni ad osservar la tua Pazzia sulla scena baccante, e con tormento non seppi mai veder la mia follia.
Pasquali) egli dice : Io anzi aveva prima un tal Personaggio scritto nella nostra favella, perchè destinato era a sostenere la parte un valorosissimo Pantalone, vale a dire il Sig.
e Io no ho mai hauto magiore ambitione che quando son stata comandata da V.
Curioso il metodo di cura seguito scrupolosamente. « Io prendo — scrive — l’acqua col litro la mattina, sugo di portullona e piantagine, e li protesto che la fame la patischo, voglio un poco vedere cosa è per essere. » Il marzo del '25 era novamente in Bologna, d’onde prega il solito medico di disimpegnargli un abito scarlatto, ricamato d’argento, senza il quale non può cominciar le recite, promettendogli di restituirgli il denaro che dovrà sborsare, non appena sarà a recitare a Ravenna ov'è un regalo di cento Filippi.
» le domandò stupita. « Io studio in ferrovia – le rispose con semplicità la Vitaliani. — Nella mia esistenza affannosa e turbinosa, le ore che io passo in treno sono le mie migliori.
Io vò mettervi ancor dentro un poco di mele Attico. […] Io non vò miga andar per siffatte vie. […] Io palpito. […] Io m’ingegno di comporne sempre delle nuove e spiritose con tal cura che l’una all’altra non rassomigli. […] Io credo (il creditore) che sia sempre lo stesso.
Io ho inteso ; ma quel dar commodità ad un giovine che meni via una sua morosa, che ufficio si chiama ? […] Ancora : Il sentir nominar Istrioni, non sapendo l’etimologia d’Istrio, nè la derivazione, vi è chi penserà che si dica per Istrioni, Stregoni, cioè incantatori e uomini del Demonio ; e perciò vi sono paesi in molti luoghi d’Italia, che tengono per fermo, che i Comici facciano piovere, e tempestare : e un’orazione in genere deliberativo non sarebbe bastevole a dissuaderli dal mal fondato abuso…… E conclude : Io fo sapere a questi non nati ingegni, aborti della conoscenza, che, allorquando piove, le persone non escono volentieri di casa, e pochi vanno alla Commedia ; e come le persone non vanno alla Commedia, i Comici falliscono ; a tal, che le pioggie sono contrarie a’Comici, e non favorevoli.
Io il chiamo intendere. […] Io non vò più oltre esemplificare, e tralascio ancora i Redi, i Manfredi, gli Zanotti, Filosofi, e Matematici illustri non meno che delicati Poeti, che hanno dato saggio di Mente illuminata, e di Cuore sensibile, onde si resero giudici competenti di Poesia. […] Io non voglio Signor Lampillas, accumular quì tutte le false applicazioni fatte dal Rapin della Dottrina Aristotelica agli esempj delle altrui Poesie, perchè di molto mi dilungherei, nè l’oggetto di questo mio discorso è il formare Autos contro Rapin, bensì il desiderio di scagionarmi presso di Voi.
Io , risponde facendosi vedere la sua Dori. […] Io cominciava (dice Sara all’amato suo rapitore Mellefont) a gustarle dolcezze del riposo, quando tutto ad un tratto mi e sembrato di trovarmi in una ripida balza. […] Io co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio e l’immerge nel mio petto, dicendomi, io ti ho salvata per perderti.
Io, risponde facendosi vedere la sua Dori. […] “Io cominciava (dice Sara all’amato suo rapitore Mellefont) a gustar le dolcezze del riposo, quando tutto ad un tratto mi è sembrato di trovarmi in una ripida balza. […] Io co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio e l’immerge nel mio petto, dicendomi, io t’ho salvata per perderti”.
Io son pur sempre d’avviso che come s’è detto pel Pasquati e per altri, le grandi personalità artistiche potessero essere sballottate da una compagnia all’altra, secondo il volere, o, almeno, il desiderio delle Loro Altezze capocomiche.
Io non sapeva dove m’avessi la testa. […] «Io cominciava (dic’ella all’amato suo rapitore Mellesont) a gustare la dolcezza del riposo, quando tutto a un tratto mi é sembrato di trovarmi in cima ad una ripida balza. […] Io co’ più vivi ringraziamenti esprimeva la mia gratitudine, quando egli trattosi dal seno un pugnale che teneva nascosto, alza il braccio, e l’immerge nel mio petto, dicendomi: Io t’ho salvata per perderti» etc. […] Io sono del sentimento di M.
Io non debbo dissimulare questo neo della tragedia del Tilesio; ma non è giusto poi lo spregiarla tanto, come altri fece, per tale episodio. […] Colla stessa signoril maniera è cangiato in latino il Prometeo al Caucaso di Eschilo, benchè con più libera imitazione, specialmente nel descrivere che fa la situazione di Tifeo atterrato dal fulmine di Giove e sepolto sotto l’Etna, nella narrazione fatta da Prometeo de’ beneficii da lui procurati agli uomini e nelle veramente tragiche querele d’Io.
Io non so come in sì deboli argomenti fondi la sua Apologia il Signor Lampillas uomo per altro di talento!
Io per me, a quanto cotesti sentenziar potessero intorno a’ drammi, preferirei sempre, e senza tema di fallare, l’unanime sentimento di un popolo che non fosse del tutto incolto, o nella crisi di una febbre passeggiera.
Io ebbi la fortuna di conoscerla quando non aveva che quindici anni.
Io lo ricordo a Livorno in una trattoria di via Grande !
(Io fremo, io più non vedo!) […] Io deliro!) […] Io! […] Io nulla ascolto. […] Io nulla ascolto.
Io non mi sono punto proposto in quest’opera di copiar ciecamente gli altrui giudizj (che sarebbe un’ infruttuosa improba fatica), ma bensì di comunicare co’ miei leggitori l’effetto che in me fanno le antiche e le moderne produzioni drammatiche. […] Io compiango coloro che ne giudicano con questo entimema, le nostre principesse non fanno così, dunque gli antichi offendono il decoro. […] No, no, teco io vivrò: tu mi nutristi, Io curerò di te, finchè avrò fiato. […] Io ardisco dissentire dal di lui avviso. […] Io fuor di me già sono, Comincio a delirar.
Io vi suppongo un uomo assai dotto ne’ gravi studj, di gran talento, degno di sommo rispetto: ma (perdonatemi) l’amena Letteratura non parmi che sia stata da voi coltivata per tempo, e con pazienza. […] Io dunque ben diceva, che le di lui osservazioni si rinchiudevano negli spettacoli del Carnevale Romano. […] Io gli assicuro, che da qualche tempo annualmente l’ho io veduta rappresentare in Madrid nel Teatro del Principe, sostenendo la parte di Don Giovanni il Commediante Cocque. […] Io assicuro al Signor Lampillas, che tal Colombo non potrà mai eccedere in istravaganza le stomachevoli pazzie, di cui è composta la mentovata Commedia della Conquista del Perù fatta da Pizarro da me veduta rappresentare dopo il mio ritorno dall’Italia nel Teatro de la Cruz.
Io non ne nomino i meschini autori per rispettar la nazione; ma probabilmente essi troveranno ricetto nella Biblioteca de’ viventi del Sampere per morire ed esser seppelliti in coro in siffatto scartabello, di cui sento che in Ispagna altri già più non favella se non che il proprio autore. […] Io vado… Misera che farò? […] Io, sì, ne morirò, chè in me non sento, Valor per tante pene… ahi sventurata! […] Io converrei secoloro per la seconda accomodandomi alle circostanze del paese, sino a che l’autore non vi avesse sfumate certe tinte risentite d’ipocrisia onde, per altro, ben s’imita l’abuso che fanno i falsi divoti delle pratiche ed espressioni religiose.
Prémare e tratto da una collezione di un centinaio di drammi scritti nella dinastia di Yuen: «Io sono Tching-poei, mio padre naturale é Tching-yng, mio padre adottivo é Tu-ngan-cu; io soglio la mattina esercitarmi nelle armi, e la sera nelle lettere; ora vengo dal campo per veder mio padre naturale».
Io son sempre per la prima ipotesi, aggiungendo l’altra che col nome di teatro e con quel della Compagnia a cui appartenne, abbia fatto per un volume di versi un nome di guerra.
Io non rimpiango in Carolina Internari la perdita della donna, ma mi addolora la mancanza dell’ attrice tragica !
Io lascio volentieri agli altri questa ricerca, che non è strettamente ligata col mio argomento, e che apprendersi non potrebbe senza troppo apparato scientifico. […] Io rispondo che la espressione che scorgesi nei versi del ferrarese, è piuttosto poetica che musicale, che non percuote soltanto l’orecchio ma la pronunzia, e che l’accozzamento de’ suoni fra le vocali e le consonanti, di cui fa egli uso comunemente, è atta bensì a grandeggiare nell’epica declamazione, ma meno acconcia si rende pel canto. […] Io lontano dall’acconsentire al suo parere porto anzi opinione che ciò sia un pregio grandissimo, e maggiore ancor lo sarebbe se la declamazione poetica potesse nel canto intieramente trasfondersi cosicché la poesia fosse dalla musica inseparabile, come avvenne alla lingua greca nel suo principio. […] Si pongano le parole secondo l’ordine analitico «Io canto i Cavalier, l’armi, gli amori Le cortesie, le Donne, e imprese audaci.»
Io ragiono senza la folle pretensione di certuni di proporre il proprio avviso per norma del l’altrui pensare. Io m’ingannero talvolta (e chi non s’inganna!)
Io sarò intrepido, sarò forte contro all’invidia e alla tua inimicizia, e mi lagnerò sol quando mi farai vedere che questa sia cessata ; sono avvezzo a vedermi trattar male, e sconoscere gli affetti del mio cuore, ma ho tanta superbia, tanto orgoglio, e forza per calpestare la serpe che mi morde. […] Io, schiettamente, passato sopra alla sciattezza della lingua e dello stile, e alla piccola vanagloria che emergon da tutta l’opera, ho trovato e trovo codeste pagine (del primo volume specialmente) un preziosissimo contributo alla storia del nostro teatro del secolo xix, specie per la dovizia degli aneddoti di ogni genere e pei giudizi chiari e precisi di tutti gli artisti, e non furon pochi, i quali militaron con lui.
Io l’accettai, Io serberò la fede. […] Io voglio andarmene. […] Io leverogli il ruzzo. […] Io certo A miei giorni il miglior non ho veduto. […] Io vi dico di no.
Io non voglio omettere la nota I che nel 1789 si appose nel IV volume della Storia mia de’ teatri che appartiene a Carlo Vespasiano a. […] Io non so come varii nazionali a voce ed in iscritto poterono di tali feste attribuir l’invenzione al Calderòn a, quando non s’ignora che tante Lope ne compose a. […] Io son d’avviso che ne abbiano risvegliata l’idea le mute rappresentazioni delle più solenni festività sacre qual è quella del Corpus Domini. […] Io però in diciotto anni che dimorai in quella corte, ben posso attestare di averne vedute diverse. […] Io riconosco nelle traduzioni del Perez purezza, eleganza e naturalezza; ma con pace del signor Andres io trovo non poche volte peggiorati gli originali nell’una e nell’altra traduzione, e quasi sempre illanguiditi e stravolti con pensieri falsi.
Io mi lsingava del contrario sin dal 1777: ma essa ha pure applaudito il Bouru bienfaisant, e non per tanto dopo tanti altri anni non osa rientrar nel camino della buona commedia e ne’ confini prescritti dall’invariabile Ragion Poetica.