Nella seduzione di Emilia, nella congiura di Cinna e nel perdono di Augusto, ci si presenta un saggio ingegnoso misto di grandi passioni private e di pubblici destini, in che è posto il carattere della vera. tragedia. […] Ma Giovanni Racine al tenero, al seducente accopiò il merito di una versificazione mirabilmente fluida e armoniosa, correzione, leggiadria e nobiltà di stile, ed una eloquenza sempre eguale, che è la divisa dell’immortalità onde si distinguono i poeti grandi da’ volgaria. […] L’Arianna si rappresentò nel 1672 nel tempo stesso che si recitava il Bajazette del Racine tragedia di gran lunga superiore alla favola del giovine Cornelio; ma pure l’Arianna riscosse grandi applausi e si è ripetuta sino a’ giorni nostri, tuttochè soggiaccia al difetto generale di aggirarsi sugl’intrighi amorosi proprii di una commedia.
Ne’ tempi mezzani nè anche in Europa si ammisero nelle grandi feste musicali, ne’ tornei, ne’ caroselli. […] Solo è da notarsi che ne’ primi tempi l’opera tirava i suoi argomenti dalla mitologia, la quale agevolmente apprestava di grandi materiali per le decorazioni e per le macchine che maravigliosamente si eseguivano da insigni artefici.
Egli amava i buoni drammatici della Francia, e dimorando in Venezia acquistò la conoscenza de’ nostri grandi poeti. […] Il suo Deista riscosse grandi applausi nella Germania e ne’ paesi esteri.
Il disprezzo che avea Beaumarchais per l’eccellente comico maneggiato da Moliere, congiunto alle minutezze su gli abiti e all’affettata descrizione pantomimica de’ personaggi muti, poco danno indizio di un ingegno investigatore de’ grandi lineamenti della natura e ricco di vero gusto.
Nè, a detta degli intelligenti, anche nel tempo della sua gran rinomanza, fu mai riguardato come attore di grandi pregi : e ai versi del La Fontaine che si leggon sotto al bel ritratto del De Troy (V. pag. 715), fatti probabilmente ad istanza di lui, il Gacon nel suo Poëte sans fard contrappose i due seguenti epigrammi riferiti dai fratelli Parfait (op. cit.
Le carni aveva bianchissime, gli occhi neri, grandi, vivaci, i capelli castani, la bocca breve, e una dentatura meravigliosa.
Né presti furono, né grandi i progressi del teatro latino. […] Nell’atto III é rimarchevole l’incontro di Giasone e Medea, scena piena di grandi bellezze. […] » Tratti grandi gravemente espressi. […] versi eccellenti, pensieri grandi, tragici, e sviluppati leggiadramente, a tempo, e con passione. […] Ma gli errori di tal sofista francese sui pantomimi e altre cose teatrali e non teatrali, sono molti e grandi.
In tal periodo non pertanto qualche buon talento mostrò d’intendere l’arte della tragedia senza appressarsi ai modelli grandi. […] Senza dubbio Voltaire ha talvolta sostenuti i caratteri con più dignità: ha dati sentimenti più gravi a’ personaggi: le bellezze de’ passi sono grandi e frequenti in tutta la tragedia: ha preparata benissimo la venuta di Egisto, prevenendo l’uditorio a suo favore: ha giustificato come tratto di politica il pensiero di Polifonte di fortificare la sua usurpazione col matrimonio di Merope: ha variata l’invenzione nell’atto IV, e mantenuti in maggior commozione gli affetti, dipingendo Merope in angustia tale che è costretta dal timore a scoprire al tiranno ella stessa il proprio figlio. […] In secondo luogo manca di certa nota di terribile che simili apparizioni ricevono dalla solitudine e dalle tenebre che l’accreditano presso il volgo, e contribuiscono a far nascere o ad aumentare i rimorsi de’ colpevoli di grandi delitti. […] Gli applausi riscossi col Warwick diedero a’ fautori di La Harpe grandi speranze. […] In ambidue questi scrittori si desiderano i grandi originali greci.
Agata, e si dilettò di Poesia Burlesca, ma non aveva fatti grandi studi, ed era solo ajutato nel comporre da una naturale disposizione ; e pretendendo di vendicar la sua Patria dalla burla, che gli aveva data il Tassoni nella sua Secchia rapita, diede alle stampe un Poema tragicomico diviso in XII Canti intitolato : Le passie de’ Savj ovvero il Lambertaccio, nel quale si parla con poco rispetto de’ Modonesi. […] E se bene nè il Fantuzzi, nè il Quadrio, nè altri, a mio sapere, accennino al Bocchini attore, pure gli scritti suoi (Corona Maccheronica, ecc., Modena, Soliani, 1665, in-12), nei quali sono particolarità curiose sulla schiera infinita degli Zanni e una conoscenza profonda dell’arte e della vita loro, starebbero a provare che non solo egli montò in banco, ma che nè men fu de’peggiori recitanti, di cui alcuni eran gente di moltissimi pregi nell’arte comica, che esercitavan non solo recitando, ma, come i grandi colleghi, suonando, cantando e ballando.
., intanto ella sta atendendo il ritratto con grandis.ª ansietà non vedendo l’hora che giunga.
[http://obvil.github.io/historiographie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img091.jpg] Una delle grandi prerogative di Luigi Duse, non più accordata, ch’io mi sappia, ad alcuno, fu quella di poter negl’intervalli della commedia, uscire alla ribalta a sipario calato, e vestito com’era del costume teatrale, discorrer degl’interessi di casa sua, ch’ei raccontava con una famigliarità e una comicità siffatta da far andare in visibilio il suo pubblico ; il quale anche, tal volta, sopperiva dicesi, lì per lì a’bisogni di lui, ora per soddisfare a quelli dello stomaco, il più spietato de’creditori, ora, ed eran le più volte, per pagargli una qualche cambiale alla vigilia della scadenza.
Pygmalion: il balletto Pygmalion fu intonato da Jean-Philippe Rameau e rappresentato per la prima volta il 27 agosto 1748 all’Académie royale de musique di Parigi, su testo di Antoine Houdar de La Motte Delle scene [commento_5.1] Canziani: Giuseppe Canziani fu un noto ballerino e coreografo attivo in diversi teatri in Italia e all’estero nella seconda metà del Settecento; è oggetto di critiche presso i contemporanei perché realizzava grandi balli storici scissi dall’azione del dramma all’interno del quale erano rappresentati. […] Nota alla nota d’autore n. 13: «Uno dei nostri grandi artisti, tale che chiunque abbia visto le sue opere non potrà sospettare di ignorare la bellezza della natura, ha rinunciato agli spettacoli che noi chiamiamo seri e che lui non nomina allo stesso modo; il modo ridicolo con cui sono vestiti dei ed eroi, con cui agiscono e parlano sconvolge tutte le idee che si era fatto; non vi ritrova quegli dei ed eroi ai quali il suo pennello conferisce tanta nobiltà e spirito e si è ridotto a ricrearsi con gli spettacoli farseschi, le cui scene burlesche prive di pretese non lasciano nella sua testa alcuna traccia nociva»; Jean Le Rond d’Alembert, De la liberté de la musique (1751), art.
Iteatri di Barcellona e di Saragoza da me veduti nella fine del 1777 erano più regolari e più grandi di quelli che oggi esistono in Madrid, ma sventuratamente in diverso tempo entrambi soggiacquero ad un incendio che gli distrusse. […] Non è grande l’ uditorio, perchè si destinò solo a’ ministri, agli ambasciadori, a’ grandi e a’ dipendenti della corte.
L’amicizia del D’Alembert, oltre alle cure morali e materiali prodigate ad una sua figliuola cieca, per sollevarlo di una perdita di 50,000 fr. per fallimento del depositario, gli procacciò, dopo morto, un elogio funebre, che resterà pur sempre il migliore attestato delle grandi qualità che il Bertinazzi possedeva e come artista e come uomo. […] Al proposito di questo modo di chiamare la signora Bertinazzi (e a questo modo soltanto è pervenuta fino a noi), Vittorio Malamani ne’suoi Nuovi Appunti Goldoniani (Venezia, 1887) fa le grandi maraviglie, leggendo come lo Spinelli aggiunga alle parole « madama Carlin »moglie di Carlin Bertinazzi.
Compagnia. » Gaetano Coltellini, deciso di dividersi dal Vergnano, propone da Verona il 9 settembre 1840 la scrittura di Iª attrice alle identiche condizioni fattele dalla Compagnia Reale, e conclude : Gli attori principali che avrei in vista e che potrei con certezza stabilire sono questi : Ferri – Voller padre e Colombini brillante ; di questi due ultimi mi si fanno grandi elogi – la coppia Pedretti che non abbandonerò mai…. […] A questi assedii di proposte, di preghiere, di suppliche, a queste espressioni di ammirazione e di devozione, si aggiungon lettere e versi di grandi che facevano a gara nel tributarle degnissime lodi.
Duca di Ferrara, dichiarandola per Satira distinta dalla Tragedia e dalla Commedia: Non quæ te tragico perturbet fabula fletu, Huc veniet grandi, aut quatiat quæ pulpita voce Ardua materies, multorum & viribus impar, Quæve astus Davi referat sermone pedestri, Lenonisve dolos, tenerosque Cupidinis ignes, Hunc simul indocto & docto trita orbita vati, Sed quæ nunc demum Satyros denudet agrestes, Et Faunos, Panesque simul deducere sylvis Audeat, & blando te oblectet ludicra risu.
In Bantàm che è la capitale dell’isola di Giava, ed è divisa in due grandi parti, delle quali una è abitata da’ Cinesi che le danno il nome, qualunque sacrificio si faccia nelle pubbliche calamità o allegrezze, è costantemente accompagnato da un dramma, il quale si riguarda come rito insieme e festa pubblica.
Forza de’ grandi modelli!
Il disprezzo che aveva Beaumarchais per l’eccellente comico maneggiato da Moliere, congiunto alle minutezze su gli abiti, e all’affettata descrizione pantomimica de’ personaggi muti, poco danno indizio di un ingegno investigatore de’ grandi lineamenti della natura, e ricco di vero gusto.
Le sue più grandi creazioni furono Aristodemo, Icilio nella Virginia, Arminio del Pindemonte, e l’Egisto tanto nell’ Oreste che nell’Agamennone : sublime poi, anzi unico – afferma Fr.
Vi son cinque grandi lumiere cariche di candele, viticci a cinque candele dappertutto, e gran padiglione di percalle sulla scena, intrecciato di veli e di trine.
Regolarità, interesse, giudizio nella traccia della favola, destrezza nel colorire i caratteri, sentimenti grandi, nulla a lui manca per esser collocato tra’migliori tragici. […] Merita parimente lode il Granelli pel carattere teatrale di Nabucco misto di grandi virtù, e di passioni grandi, tal che, come egli pur dice, in tutte le sue virtù si scorge il pregiudizio di una grande passione, ed in tutte le sue passioni il principio di una grande virtù. […] L’autore si vale della lagrimevole strage di essi per fondamento e strato della sua favola ricca di quadri tragici e di situazioni patetiche alzata su di grandi passioni che urtansi con doveri grandi. […] Reso, Frisso, Medea stessa ; benchè vi s’introducano alcuni Greci, non pertanto i protagonisti sono stranieri o straniere le azioni grandi. […] Lo stile è nobile ne’ grandi affetti, ma talora dimesso e famigliare particolarmente in bocca di Zambrino.
Esorto i poeti a sbandir da loro quel pregiudizio a cui ha dato origine la debolezza del maggior numero de musici, imperocché se la musica ha potuto accompagnare le tragedie d’Eschilo, e di Sofocle, può senza dubbio maneggiar ancora gli argomenti tragici, grandi, e regolari. […] Per quanto sia bella in se stessa questa parte della musica, per quanto il recitativo italiano, quand’è maneggiato da mani maestre, come quelle d’un Porpora, d’un Gluk, e d’un Sarti, e cantato dai grandi artefici, come sono Guadagni, Pacchierotti, e Marchesi, sia preferibile al recitativo di tutte le altre nazioni, senza eccettuar la francese, nella verità e forza della espressione, nella naturalezza della declamazione, nella scelta d’inflessioni vive e inaspettate, nei silenzi animati ed energici, nella dolcezza, varietà e leggiadria degli accompagnamenti; nondimeno bisogna confessare che la musica drammatica ridotta al solo ed unico recitativo diverrebbe monotona ed insopportabile. […] Fissiamoci dunque qui per l’acconcia forma della rappresentazione musicale delle azioni grandi, terribili, e patetiche.
Dessa é tale per l’azione grande che interessa le nazioni, e non già pochi privati, per le vicende della fortuna eroica, secondo la giudiziosa definizione di Teofrasto, per le passioni fortissime, cagioni di disatri e pericoli grandi, e per gli caratteri elevati al di sopra della vita comune. […] La musica, costante amica dei versi ancor de’ selvaggi, la quale nell’oriente si frammischia senza norma fissa neller, e in Atene e in Roma avea accompagnata or più canoramente, come ne’ cori, or meno, come negli episodi, la poesia rappresentativa, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò divisa. […] Ma quantunque io non abbia in questa risposta a M. de la Harpe profferito pressoché cosa alcuna su’francesi, che convalidata non sia coll’autorità de i loro grandi uomini, pure e la ragione e la civiltà richiede, ch’io qui dichiari, non esser mai stata intenzion mia di far oltraggio a una nazione così rispettabile come la francese che io amo e venero, ma sì bene a que’ suoi indiscreti e impertinenti critici e pedanti, che senza cognizion di causa «et de gayeté de cœur» vanno insultando in generale all’onor delle nazioni ch’essi non conoscono.
Nella seduzione di Emilia, nella congiura di Cinna e nel perdono di Augusto, qual saggio ingegnoso misto di grandi passioni private congiunte alla pubblica sorte, in che è posto il carattere della vera tragedia! […] Ma Racine al tenero, al seducente accoppiò il merito di una versificazione mirabilmente fluida e armoniosa, correzione, leggiadria, e nobiltà di stile, ed un’ eloquenza sempre uguale, ch’è la divisa dell’ immortalità onde si distinguono i poeti grandi da’ volgari.
marchese Francesco Albergati Capacelli, oltre alle pregevoli traduzioni delle tragedie francesi, calcando il dritto sentiero ha in più volumi pubblicato in Venezia un Nuovo Teatro Comico composto di favole grandi e picciole in versi ed in prosa. […] O perchè i grandi affetti son sottoposti a minor variazione col correre dell’età, là dove i costumi, i caratteri, le maniere, cangiano sì spesso foggia e colore, ond’è che gli scrittori comici passati possono di poco soccorrere i presenti?
Tali cose traggonsi dalle tenebre de’ secoli rozzi quando vogliono scoprirsi i principii delle arti; ma quando queste già vanno altere di grandi artisti, lasciansi nella propria oscurità gli operarii volgari. […] Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa, che ne’ tempi della cavalleria non potevano regnare nel cuore umano passioni grandi atte a destar terrore o compassione. Da’ più severi critici oltramontani nè prima nè dopo di Rapin non si è mai pensato a sostenere contro i nostri poeti romanzieri, che i costumi della cavalleria errante fossero improprii per le passioni grandi. […] Di più, che le grandi passioni umane appartengano più ad un tempo che ad un altro? […] Dessa è tale per l’azione grande che chiama l’attenzione delle intere nazioni, e non già di pochi privati, per le vicende della fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizione di Teofrasto), per le passioni fortissime che cagionano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra della vita comune.
Che troppo avrebbe del ridicolo che altri facesse un teatro così grande, che non vi si potesse comodamente udire; come sarebbe ridicolo che così grandi si facessero le opere di una fortezza da non le potere dipoi difendere.
Siccome i Greci non si stomacarono della Medea di Euripide, contuttochè l’ autore per l’oro de’ Corintj ne avesse affatto cambiato la storia che allora non era troppo antica, così Cicerone, così Quintiliano, e così altri Romani non rimasero nauseati nè della Medea di Ennio, nè di quella di Ovidio, nè delle due altre Medee di Pacuvio e di Azzio, nè probabilmente di questa di Seneca; perchè il gran segreto della scena tragica, come saviamente pensa un nostro chiarissimo scrittore, in due parole è compreso: grandi affetti e stile.
E il pubblico, che ha troppo sofferto, troppo pianto, si è troppo commosso all’arte di altre grandi attrici ( ?)
E a pag. 53, al proposito dell’allestimento scenico dei grandi teatri di Venezia, dice : La Serenissima e bellissima città di Venezia…. ha invitato tutto il mondo in quella patria, ad ammirarne gli stupori. […] Ma se non ponno i fiori trar quel frutto ch’ io bramo ; movati almeno a’ generosi affari de’ tuoi grandi avi il sangue, de’ genitori il vanto di cui siglie noi siam, Lazaro insieme ; Ma se per mia sventura e per tuo danno nulla val memorar fatti sublimi a cui l’ orecchia hai sorda, movati almen del gran rigor di Dio giusto castigo eguale, a tua colpa mortale.
Ognuno dava a conoscere nelle divise la propria origine o prosapia; chi si attaccava al dorso due grandi ale, chi si copriva di un cuojo di drago, chi di una pelle di leone36.
Bellotti-Bon e di Iannetti, il famoso dilettante romano ; e, fatto per sua beneficiata il Bicchier d’acqua di Scribe al Teatro Re di Milano, la sera del 3 febbraio ’46, tutti i giornali ebber già grandi parole di lode per questa giovine ben promettente, che aveva rappresentato il personaggio della Duchessa di Malborough, con una dignità vezzosa e piacente, non ancor riscontrata in altre attrici.
Anzi non dico a pien di sua figura Il perduto vigor, che si vi piacque, E sì abbelliste liberali, e grandi, Poco quaggiù fastosa pompa dura.
Va dietro agli altri; grandi e piccioli V’accorron tutti. […] Direi, che meno di altri critici e precettori di poetica si fosse allontanato dalla mente di Cesare il prelodato signor Marmontel, il quale pose la forza comica ne’ gran tratti che sviluppano i caratteri, e vanno a cercare il vizio sino al fondo dell’anima ; se l’arte di cogliere questi grandi tratti fosse mancata a Terenzio. […] A codesto esgesuita che le chiama languide, o a que’ grandi uomini che vi riconoscono, segnatamente nella Mandragola, forza comica e vivacità? […] Una commedia siffatta piena di evenimenti straordinarii e di pericoli grandi eccede i limiti della poesia comica naturale, e per questo capo è assai difettosa. […] Potrebbe dunque questa favola servir d’esempio agli Spagnuoli vaghi di situazioni risentite, qualora volessero continuare ad arricchire il proprio teatro di favole piene di grandi accidenti, ma senza cadere nelle stravaganze.
So bene che tal condotta può colorirsi col timore che ha Demetrio di perdere totalmente la speranza di placare Arsinoe, e colla sicura conoscenza che ha dell’odio materno; ma nei grandi sconvolgimenti lo spettatore dimanderà sempre perchè non si è scoperto. […] Merita parimente lode il Granelli pel carattere teatrale di Nabucco misto di grandi virtù e di grandi passioni, tal che, com’ egli pur dice, in tutte le sue virtù si scorge il pregiudizio di una grande passione, ed in tutte le sue passioni il principio di una grande virtù. […] Se non con molto calore, con grandi affetti e con istile sempre accomodato alle cose, certo con regolarità costante, con arte e con giudizio composero le loro tragedie Carl’ Antonio Monti, che pubblicò nel 1760 in Verona il Servio Tullio; il conte Guglielmo Bevilacqua che nel 1766 impresse Arsene ben condotta e ben verseggiata non meno del suo Giulio Sabino; il conte Alessandro Carli autore di Telane ed Ermelinda, di Ariarate, e de’ Longobardi impressa nel 1769; il dottor Willi che scrisse Idomeneo; il sig. […] A noi basti accennare che rendono pregevole questa tragedia grandi affetti, stile nobile, vivace ma natural colorito e versificazione armonica quanto richiede il genere. […] Lo stile è nobile ne’ grandi affetti e talora alquanto dimesso e famigliare specialmente in bocca di Zambrino.
La spoglia allegorica di questa favola vela un tesoro di filosofiche verità, e mette in azione sotto l’aspetto piacevole e popolare di una favoletta anile le sode dottrine sulle grandi richezze, vigorosamente e dottamente esposte dal nostro immortal filofoso Antonio Genovesi. […] Ilarodia, o ilarotragedia, secondo l’idea che ce ne dà Ateneo, era una pavola festevole e di lieto fine, nella quale interloquivano Personaggi grandi ed eroici, ma vi si dipingevano i fatti che loro accadevano come uomini, non come eroi.
Consiste in un avventuriere che si finge barone spagnuolo imparentato con tutti i grandi della corte, della quale è in disgrazia per maneggi de’ suoi nemici. Egli adula, lusinga e spoglia con grandi promesse una vedova d’Illesca a cui dà a credere che ama la di lei figlia.
Non potendo più applicarsi con frutto la più deliziosa fra le arti d’imitazione ai grandi oggetti della morale, della legislazione e della politica, come si faceva dai Greci, né trovandosi oggimai animata da quello spirito vivificante, che seppero in essa trasfondere i Danti, i Petrarca, i Tassi, gli Ariosti, e i Metastasi, si vede in oggi ridotta la meschinella a servir di patuito insignificante complimento per ogni più leggiera occasione di sposalizio, di monacazione, di laurea, di nascita, di accademia, e di che so io, senza che altre immagini per lo più ci appresenti fuor di quelle solite della fiaccola d’imeneo che rischiara il sentiero alle anime degli eroi, i quali attendono impazienti lassù nelle sfere il felice sviluppo del germe, o di quel cattivello d’Amore che spezza per la rabbia lo strale innanzi alle soglie che chiudono la bella fuggitiva, o di Temide che avvolta in rosea nuvoletta fa trecento volte per anno il viaggio dell’Olimpo fino al collegio dei dottori a fine di regalare la bilancia e la spada a saggio ed avvenente garzone, o della povera Nice, cui si danno dagli amanti più epiteti contradditori di pietosa e crudele, d’empia e benigna, di fera e di scoglio, di Medusa e di Aurora, d’angioletta o di tigre che non iscagliò contro a Giove il famoso Timone nel dialogo di Luciano. […] Gli argomenti tragici, e conseguentemente quelli che danno motivo ad una musica nobile e patetica, devono essere meno frequenti, perché nell’universo morale, come nel fìsico, le grandi catastrofi sono più rare, e perché, sebbene la vita umana sia una serie di muovimenti or dolorosi or piacevoli, la natura che attacca la conservazione dell’individuo allo stato di mezzo, gli risparmia, in quanto è possibile, gli estremi del dolore, come gli è pur troppo scarsa degli estremi piaceri. […] Tali sonetti eternamente ripetuti ed eternamente obbliati cadono gli uni sugli altri, come la polvere sopra le strade ove si cammina senza che tali elogi facciano ni piccoli né grandi più di quello che sono coloro che gli fanno o che gli ricevono, e si riducono ad una moda, come è una moda, un saluto, una riverenza.»
Le sue occupazioni non sono grandi […] Parlando del Salfi mi ha chiesto dell’opera sulla Declamazione ch’ei crede assai buona, e urgente a darsi alla luce, come materia propria dell’autore. […] Salfi consiglia all’attore che voglia essere penetrato da questo fuoco travolgente di attingere alle letture dei grandi poeti e storici del passato e del presente. […] La declamazione fu per essa un’ arte regolare come la scrittura, la pittura, la musica; e i più grandi filosofi, non che gli artisti più celebri, teoreticamente ne ragionarono, e ciascuna nazione vanta le sue opere e i suoi scrittori. […] [8.10] Risulta quindi che le passioni e l’espressione de’ nostri grandi non sono né deggiono esser quelle de’ grandi de’ tempi di Pericle, siccome né pur queste eran quelle de’ tempi di Omero. […] Il perché bisogna esporsi all’azione delle grandi passioni, se si vuole maneggiarle ed imitarle opportunamente.
La musica costante amica de’ versi146 ancor fra selvaggi, la quale in oriente si frammischia nelle rappresentazioni senza norma fissa, ed in Atene e in Roma avea accompagnata la poesia rappresentativa ora più canoramente come ne’ cori, ora meno come negli episodj, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò disgiunta.
Anche quando rappresenta grandi personaggi della Storia, anche quando la forma del lavoro è elevata, egli trova modo di arrotondare colla sua naturalezza, non mai volgare, ogni plastica angolosità, mostrando di seguire in questo metodo di studio per l’interpretazione e l’espressione Giovanni Emanuel, che, primo, recò sulla scena la tragedia shakspeariana, spoglia di tutti gli arredamenti decorativi con cui l’avevano data, con arte pur grandissima del resto, i suoi più celebrati predecessori.
Con tutto ciò la più vaga allegoria di questa favola consiste nel Coro che fa sforzi grandi, tirando alcune corde per ismuovere le gran pietre che chiudono la bocca della caverna senza punto avanzar nell’opera. […] Non sembra che favelli un cerretano che vada affastellando grandi paroloni ch’egli stesso non comprende, per acquistar fama di scientifico appo di chi ne sa quanto lui? […] Tutti i beni più grandi sono da noi compartiti ai mortali.. […] Fra noi, siano le colpe o grandi o picciole, Tutte congiura son, tutte tirannide. […] La spoglia allegorica di questa favola copre un tesoro di filosofiche verità, e mette in azione, soto l’aspetto piacevole e popolare di una favoletta anile, quanto nel profondo discorso sulle grandi ricchezze ragionò con vigor sommo e con salda dottrina l’immortale utile filosofo non mai abbastanza ammirato e sospirato Antonio Genovesi.
«Il dramma di Racine è una serie di quadri grandi di amore: amor timido chegeme, amore ardito e determinato; amor furioso che calunnia, amor geloso che spira sangue e vendetta, amor tenero che vuol perdonare, amor disperato che si vendica sopra se stesso; ecco la tragedia di Racine.» […] Così non v’ ha bellezza in Euripide che questi due grandi maestri della poesia rappresentativa eroica non abbiano saputo incastrare ne’ loro componimenti. […] Prima di passar oltre mi si permetta qui un’ osservazione su di ciò che di questi grandi ingegni della Grecia hanno pensato sino agli ultimi tempi i loro posteri.
Senza dubbio Voltaire ha talvolta sostenuti i caratteri con più dignità: ha dati sentimenti più gravi a’ personaggi: le bellezze de’ passi sono grandi e frequenti in tutta la tragedia: ha preparata benissimo la venuta di Egisto, prevenendo l’uditorio a suo favore: ha giustificato come tratto di politica il pensiero di Polifonte di fortificare la sua usurpazione col matrimonio di Merope: ha variata l’invenzione nell’atto IV e mantenuti in maggior commozione gli affetti, dipingendo Merope in angustia tale che è costretta dal timore a scoprire ella stessa il proprio figlio al tiranno. […] Tali sembrano con ispezialità le seguenti: la quarta dell’atto I di Zopiro ed Omar in cui si disviluppano i caratteri e si prepara egregiamente la venuta di Maometto; la quinta dell’atto II sommamente maestrevole onde riceve le ultime fine pennellate il di lui ritratto, facendo che egli col suo gran nemico deponga la maschera e manifesti i suoi grandi disegni, e lo chiami a parte dell’impero mostrandogli la necessità che non gli permette altro partito; quelle dell’ atto IV di Zopiro con Seide e Palmira e singolarmente la quinta della riconoscenza, la quale se non è nuova, almeno avviene in una situazione ben patetica e non usitata; e finalmente l’interessante terribile scioglimento che rende sempre più detestabile il carattere del ben dipinto impostore. […] M. de la Harpe produsse alla prima la tragedia di Warvick che a’ suoi fautori dava grandi speranze; ma l’ istesso Palissot, che all’apparenza mostra esserne uno, conviene che il rimanente delle sue produzioni drammatiche non corrispose a’ voti degli amici.
Sotto Atalarico frequenti furono gli spettacoli scenici in Italia, e vi si profusero ricchezze grandi per diletto e ristoro del popolob.
La musica costante amica de’ versi a ancor fra selvaggi, la quale in oriente si frammischia nelle rappresentazioni senza norma fissa, ed in Atene ed in Roma avea accompagnata la poesia rappresentativa ora più canoramente come ne’ cori, ora meno come negli episodii, nelle grandi rivoluzioni dell’Europa se ne trovò disgiunta.
Mi contenterò intanto di narrare più pienamente di quel che altra volta non feci, gli sforzi fatti sino a questi tempi ne’ paesi conosciuti per dipignere su’ teatri ora grandi sconcerti ora picciole ridevoli avventure.
La novità colpì, qualmente si dovea aspettare, i grandi della nazione, ed ecco a gara coltivarsi da loro la musica, anche per imitare l’imperatore, il quale avea cominciato a tener accademie regolate di musica due volte alla settimana nel proprio palazzo.
Questi sono piccioli scrupoli per le anime grandi che compongono Apologie, e i discepoli de’ Lampillas debbono avvezzarsi a superarli con un cuore di ferro.
Allegorica essa è in fatti in quanto che il poeta si prefigge di pignervi la prepotenza della maggior parte de’ Grandi su gli nomini ancor meritevoli e benefici; la qual cosa era lo scopo de’ Greci poeti, repubblicani, di che fecero pure qualche motto Andrea Dacier e poi Pietro Brumoy.
Volle allora il popolo che sottentrasse il maestro a rappresentar la stessa cosa, ed egli obedì, e giunto a quelle parole si compose in atto grave colla mano alla fronte in guisa di uomo che medita cose grandi, e caratterizzò più aggiustatamente la persona di Agamennone147.
Grandi furono nel precedente secolo gli sforzi degl’ Italiani in prò della poesia drammatica. […] Tali cose traggonsi dalle tenebre de’ secoli rozzi quando vogliono scoprirsi i principj delle arti; ma quando queste già vanno altere di grandi artisti, lasciansi nella propria oscurità gli operarj volgari. […] Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa, che ne’ tempi della cavalleria non potevano regnare nel cuore umano passioni grandi atte a destar terrore o compassione. […] Dessa è tale per l’azione grande che interessa l’intere nazioni, e non già pochi privati, per le vicende della fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizione di Teofrasto), per le passioni fortissime che cagionano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra della vita comune.
Ciò può sempre più rassodare quel che osservammo fin dal principio di questa istoria, che presto o tardi gli uomini raccolti in grandi o picciole famiglie son tratti ad imitar per diletto più o meno imperfettamente le azioni umane a seconda del grado di coltura in cui si trovano. […] Il Mendico che nell’ultima scena torna sul teatro col commediante, gli dice: “nel corso dell’ opera avrete notata la grande rassomiglianza che hanno i grandi co’ plebei; è difficile decidere, se ne’ vizj di moda la gente culta imiti i ladroni di vie pubbliche, ovvero se questi ladroni imitino la gente culta”.
La tragedia, la commedia e persino la pastorale hanno delle leggi fisse, con cui possono giudicarsi, cavate dall’esempio de’ grandi autori, dal consenso presso che unanime delle colte nazioni, e dagli scritti di tanti uomini illustri, i quali o come filosofi, o come critici hanno ampiamente e dottamente ragionato intorno ad esse.
Per l’idea lasciatane da Ateneo era una favola festevole di lieto fine, nella quale intervenivano personaggi grandi ed eroici, ma vi si dipingevano i fatti che ad essi accadevano come uomini, e non come eroi.
Per l’idea lasciatane da Ateneo era una favola festevole di lieto fine, nella quale intervenivano personaggi grandi ed eroici, ma vi si dipingevano i fatti che ad essi accadevano come uomini, e non come eroi.
Il suo Deista riscosse grandi applausi nel proprio paese e tra gli esteri.
È falso che i drammi greci fossero malamente eseguiti quando “migliorarono”; anzi tutta l’antichità ci assicura che i grandi attori della Grecia fiorirono successivamente dai tempi d’Eschilo fino ai tempi di Filemone e di Menandro. […] Martini e il Marcello sono stati certamente grandi uomini, ma ebbero i loro pregiudizi ancor essi, fra gli altri quello che hanno quasi tutti i vecchi professori di qualunque arte, e ch’è prodotto da una specie d’invidia pei loro contemporanei, cioè di lodare assai le cose antiche e sprezzar le moderne, come se tutte le arti, nello stesso modo che son soggette a declinare, non fossero suscettibili di miglioramento, la qual cosa è assai più probabile per quella gran ragione che è facile l’aggiunger perfezione alle cose già inventate.» […] Codesto pregio che non sembra a prima vista né straordinario, né difficile ad ottenersi, è nulla meno uno degli sforzi più grandi, ch’abbiano fatto i moderni italiani.” […] Ho detto che uno degli sforzi più grandi che abbiano fatto i moderni italiani, è quello di conservar l’unità della melodia; ho inteso nel luogo citato (tom. 2. pag.) per “moderni italiani” lo Scarlatti, il Leo, il Vinci, il Pergolesi e più altri di quell’età; non ho mai smentito il giusto elogio dato a que’ valentuomini, dove dunque si trovano depresse da me quelle cose ch’io aveva lodato?
E questo prova che un certo sublime idropico e romanzesco, e che io chiamo di convenzione teatrale, perderebbe affatto il credito ancora sulle scene moderne a fronte delle belle situazioni naturali e patetiche, sempre che vi fossero introdotte con garbo da un bello ingegno che sapesse renderle al pari di quelle di Sofocle veramente tragiche e grandi. […] Esse furono avidamente accolte sempre nel Teatro di Atene e ammirate successivamente dalla più dotta posterità; ma nel certame olimpico cinque solo riportarono la corona, e nelle altre soggiacque alla solita (ventura de’ grandi uomini di esser posposti a competitori ignoranti. […] Il dramma di Racine é una serie di quadri grandi di amore, amore timido che geme amore ardito e determinato, amor furioso che calunnia, amor geloso che spira sangue e vendetta, amor tenero che vuol perdonare, amor disperato che si vendica sopra se stesso.
Ma cotest’anonimo che ignorò queste e tante altre, volle criticare e l’originale e la copia, produzioni di due ingegni grandi, i quali dovea egli solo ammirare. […] I grandi drammatici dell’antichità scrissero moltissime volte sull’istesso argomento componimenti che non si rassomigliano.
Plinio il giovane, che, come egli stesso ci attesta122, nell’età di quattordici anni scrisse in Greca favella una tragedia, rammenta con grandi encomii le commedie togate di Virgilio Romano degne di aver luogo, secondo lui, fra quelle di Plauto e di Terenzio123. […] Tratti grandi ed espressi gravemente, che manifestano la serie de’ pensieri che la conducono al gran misfatto.
Le storie di que’ tempi sono piene delle singolari azioni di questi uomini, del favore che ottenevano presso ai signori italiani, e de’ grandi e sontuosi regali, onde veniva rimunerata l’abilità loro. […] Perché una general corruttela avea tarpate le ali dell’entusiasmo, come quelle della virtù; perché la poesia fu riguardata soltanto come ministra di divertimento e di piacere, non mai come strumento di morale o di legislazione; perché essendo disgiunta dalla musica aver non poteva un vigore che non fosse effimero, né una energia che non fosse fattizia; perché trar non si seppe alla unione di quelle due arti il vantaggio che sarebbe stato facile il ricavare in favore della religione, mal potendosi eccitar l’entusiasmo religioso nelle cerimonie ecclesiastiche colla musica semibarbara, che allora regnava, applicata ad una lingua, cui il popolo non intendeva, onde mancò la poesia innale, e con essa uno dei fonti più copiosi del sublime poetico; perché i governi non pensarono a dar all’impiego di poeta e di musico l’importanza che gli davano i Greci, giacché invece degli Stesicori e dei Terpandri, che in altri tempi erano i legislatori e i generali delle nazioni, si sostituirono ne’ secoli barbari i monaci e i frati che convocavano a grado loro il popolo, intimavano la guerra e la pace, si mettevano alla testa delle armate, ed erano non poche fiate l’anima de’ pubblici affari; perché finalmente, non potendo la lirica eroica giugnere alla perfezione, di cui è suscettibile, se non quando vien considerata come un oggetto d’interesse, e di generai entusiasmo, i poeti italiani d’allora non potevano eccitar né l’uno né l’altro per l’indole della loro lingua troppo fiacca per inalzarsi alla sublimità de’ Greci e degli orientali, e per le circostanze altresì della loro nazione troppo divisa perché lo spirito di patriotismo vi si potesse vivamente accendere, e troppo agitata da intestine discordie, e dalla inquieta politica di certe corti, perché vi si potesse sviluppare quell’interesse generale, che fu mai sempre il motore delle grandi azioni. […] Fra i Provenzali, egualmente che fra gli arabi un mezzo certo d’ottenere l’accesso e il favore dei grandi era la poesia.
E se non temessi diffondermi troppo in una materia ch’è il fondamento del diletto che ci procurano tutte le belle arti, farei ancora vedere che l’ascosa origine del piacere, che certi tratti arrecano nella musica, nella poesia e nella eloquenza, è nel linguaggio d’azione principalmente riposta; che ciò che rende eloquenti i quadri oratori o poetici è l’arte di radunare in una sola idea più immagini, le quali rappresentino muovimento, come la maniera di render la musica espressiva si è quella di far sentire la successione regolata de’ tuoni e del ritmo; che la forza di certe lingue massimamente delle orientali deriva dall’accennato principio: osservazione che può farsi ancora nello stile de’ più grandi scrittori antichi e moderni, la magia del quale allora è portata al maggior grado quando le parole e le idee fanno l’effetto dei colori. […] [41] Se grandi sono i difetti che si veggono nella composizione, non sono minori quelli che nella esecuzione s’osservano. […] [NdA] L’inverosimiglianze a cui diede luogo il coro furono così grandi che giunsero a far ristuccare di esso gli uditori a segno di costringerli (come lo dice un antico autore) ad alzarsi dai sedili, e abbandonar lo spettacolo subito che cominciava la cantilena.
E ciò ne dimostra che certo sublime idropico e romanzesco, e che io chiamo di convenzione teatrale, perderebbe affatto il credito anche sulle moderne scene a fronte delle patetiche situazioni naturali, purchè vi fossero introdotte con garbo da un ingegno sagace che sapesse renderle, sulle vestigia di Sofocle, tragiche e grandi.
Due cariatidi grandi rappresentano Talia e Melpomene, e quando si costruì quest’edificio eranvi al di sopra le armi del re con una iscrizione.
L’autore si vale della loro lagrimevole strage di strato e fondamento per la sua favola ricca di quadri tragici e di patetiche situazioni alzata su di grandi passioni che urtansi con doveri grandi. […] Ma lasciandogli simili inezie, e l’idra del ribelle ardire, osserviamo seriamente, che se conviene talvolta a un ministro di altra corte inspirar ne’ principi i sentimenti del proprio sovrano, non mai si permetterà che se ne mostri alcuno in teatro, il quale insinui delitti grandi, atrocità, e disprezzo per la religione. […] Questa tragedia di personaggi troppo moderni di picciolo stato non regge al confronto di quelle ove intervengono Romani, Greci, o Barbari antichi grandi nella pubblica opinione, i quali opprimano o difendano la libertà. […] V’ introduce i più grandi uomini de’ Romani del tempo di Cesare segnalandoli co’ distintivi del lor carettere tramandatoci dalla storia. […] Comendiamo l’imitazione del Calsabigi; questa è la maniera di formarsi lo stile, seguir le vestigia de’ grandi, ma adorarle nel tempo stesso nel calcarle, in vece di mordere il piede che le stampa.
Altre volte sono brievi sentimenti istruttivi, come: «Soglion le cure lievi esser loquaci Ma stupide le grandi.» […] Il secolo dedito intieramente alla voluttà ed alla licenza ripose tra le favole poetiche l’amore eroico del tempo de’ paladini, e rimandò gli aerei ragionamenti degli scioperati scrittori al mondo della luna, dove lungo tempo si conservarono, e si conservan tuttora accanto al senno d’Orlando, insiem coi servigi che si rendono ai grandi, colle parole de’ politici, colle lagrime delle donne, e colle speranze dei cortigiani. […] I vizi dei grandi artefici sono più pericolosi degli altri ai progressi dell’arte, perché autorizzati da un più eccellente esemplare.
Nè presti furono nè grandi i progressi del Teatro Latino. […] Columella nomina come i più grandi poeti Latini Accio e Virgilio. […] I grandi personaggi della Repubblica già pregiavansi di esser detti amici di un Terenzio tuttochè straniero e servo.
Va dietro agli altri; grandi, e piccioli V’accorron tutti. […] Una commedia siffatta piena di evenimenti straordinarj e di pericoli grandi eccede i limiti della vera poesia comica, e per questo capo è assai difettosa. […] Potrebbe dunque questa favola servir d’esempio agli Spagnuoli vaghi di situazioni risentite, qualora volessero continuare ad arricchire il proprio teatro di favole piene di grandi accidenti, ma senza cadere nelle stravaganze.
Pure una sì nobil materia, e così atta per la varietà sua ad esercitare i più grandi ingegni, non fu, ch’io sappia, trattata finora sufficientemente da alcuno. […] Le tragedie, che di essa rimangono, spirano da per tutto questo carattere della nazione: essendo i personaggi di quelle magnanimi e grandi, ma a un tempo stesso impetuosi e inumani. […] Ma i piccioli difetti de’ grandi uomini sono contagiosi. […] Ma però l’Imitazione mestieri di non picciolo discernimento, per non imitare anche i difetti: ne’ grandi uomini non tutto è grande. […] Il ridicolo di que’ caratteri non troverà luogo nell’animo degli spettatori, occupato dalla grandezza de’ tragici avvenimenti, ed essi ne sdegneranno, come sì sdegna contro un buffone chi è occupato da grandi affari.
Francesco Patrizii la rammenta ancora con grandi elogii.
Francesco Patrizj la rammenta ancora con grandi elogj.
L’ 11 settembre del 1606 Pier Maria Cecchini cominciava una sua lettera da Milano al Duca con queste parole : Le stratageme et persecucioni che me vengono dalla Florinda et suo marito et i mali trattamenti loro sono così grandi che mi hano ormai ridotto a rovina e a precipicio.
Con tutto ciò la più vaga allegoria di questa favola consiste nel Coro che fa sforzi grandi, tirando alcune corde per ismuovere le gran pietre che chiudono la bocca della caverna, senza punto avanzar nell’opera. […] Tutti i beni più grandi (proseguono) sono da noi compartiti a i mortali . . . […] Fra noi, siano le colpe o grandi, o picciole, Tutte congiura son, tutte tirannide. […] La spoglia allegorica di questa favola cuopre un tesoro di filosofiche verità, e mette in azione, sotto l’aspetto piacevole e popolare di una favoletta anile; quanto nel profondo discorso sulle grandi ricchezze ragionò con vigor sommo e salda dottrina l’immortale filosofo non mai abbastanza ammirato e sospirato l’Ab.
In oriente Giustiniano imperadore e legislator famoso chiamò a parte del suo letto e dell’alloro imperiale la mima Teodora: in Italia il Goto re Teodorico fe rialzare le terme di Verona e riparare in Roma il teatro che minacciava ruina184, e un anfiteatro e nuove terme fe costruire in Pavia: sotto Atalarico frequenti furono gli spettacoli teatrali in Italia, e vi si profusero ricchezze grandi per diletto e ristoro del popolo185: la Sicilia sin dal quarto secolo ebbe in costume di mandare a Roma i suoi abili artefici di scena che vi erano chiamati186.
VI) : Le meraviglie che mi scrivete, che s’ han fatto molti nell’arrivo della nuova, che Sua Maestà Cesarea m’ ha privilegiato di Nobiltà, non sono così grandi, come son quelle, ch’ io mi fo, quando veggo uno, che per antichità sia nobile, e per natura dissoluto ; dimostrando egli col giuditio, confermando col discorso, e approvando con le opere che molti villani sono più civili di lui.
Lo stile è fluido e armonioso, benchè non sempre proprio per la poesia drammatica; ma il piano, i caratteri, l’economia, tutt’altro in fine abbonda di grandi e molti difetti; nè so in che mai Cervantes avesse fondati i suoi esagerati encomii. […] Ma se tanti e sì grandi sono i difetti dell’Isabella, quelli dell’Alessandra vincongli di numero e di qualità.
[NdA] Uno dei teatrali Narseti d’Italia, dopo aver in varie corti d’Europa raccolto un ricchissimo buttino, si ritirò a Napoli, dove comperò un superbo palazzo di campagna, il quale ammobigliò con principesca magnificenza, mettendo sopra la facciata a caratteri grandi Amphion Thebas: ego domum .
Ecco come egli ne ragiona con conoscimento nel Dialogo sopra la tragedia antica e moderna nella sessione VI: Osservo ne’ Francesi piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie che un attore che esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliano rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno del tragico.
Queste negli antichi spartiti erano grandi e largheggiavano assai negli spazi onde aperti riuscivano i suoni vigorosi e distinti. […] s’affretti per me la morte», se da cotai usanza non fossero venuti altri danni egualmente grandi alla musica drammatica quello cioè di repetere mille volte le stesse parole invece di replicar l’intiero motivo, e quello altresì di ridurre la musica ad una sgradevole uniformità, altro per lo più non sentendosi in oggi che arie intrecciate e ridotte a rondò.
Vedono la luce in questi anni: Saggio sopra la giornata di Zama (1749), Saggio sopra l’Imperio degl’Incas (1753), Saggio sopra il Gentilesimo (1754), Saggio sopra quella quistione perché i grandi ingegni a certi tempi sorgano tutti ad un tratto e fioriscano insieme (1754), Saggio sopra Orazio (1760), Saggio sopra la quistione se le qualità varie de’ popoli originate siano dallo influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione (1762), Saggio sopra il commercio (1763), Saggio sopra l’Accademia di Francia che è in Roma (1763).
[20] Un’altra ragione potrebbe addursi per ultimo, ed è che essendosi vedute di buon ora in Italia signorie grandi, e possenti, come quella di Genova, Pisa, Firenze, Vinegia, Roma, Milano e Napoli, dove la magnificenza, il lusso, le arti, e il commercio contribuivano non meno ad ingentilir l’ozio che a fomentarlo, la tendenza al piacere, che da tai radici germoglia, e della quale la storia italiana ci somministra esempi sorprendenti, s’introdusse per entro a tutte le facoltà del gusto, che hanno per immediato strumento la parola.
[2.1.5] Però ricercano assai comunemente i Francesi, come cosa necessaria alla poesia tragica gli eroi egualmente grandi che nell’epopeia, nel che parmi che s’ingannino; conciossiaché oltre il non aggiungere essenziale benefizio al fine proprio della perfetta tragedia, divertono talora l’uditore dalle passioni e fanno perdere l’efficacia alla favola, oltre qualche altra sconvenevolezza che toccherò parlando de’ costumi. […] Quindi dopo avere proseguito più lungamente a lodarlo, soggiugne, come se la vanità della sua bellezza fosse stata cagione della morte di due amati re: O mia vana bellezza, eccoti estinti avanti due re grandi, e tuoi fedeli! […] Né posso qui tralasciare che l’autor delle annotazioni fatte al discorso del Maffei, nel luogo testé accennato, dà saggio di molta leggerezza, mentre (per tacere l’altre inezie) decide che la lingua italiana è più graziosa nelle materie tenere e propria per esprimere piacevolmente le piccole cose che la francese, all’incontro come più maestosa e più capace di toccar degnamente le grandi: che veruna altra ragione di ciò si reca se non l’approvazione che ha fatto Pier Jacopo Martelli della drammatica poesia de’ Francesi. […] Sulla materia politica del Nicomède e sulla continuità delle riflessioni di Corneille sul rapporto fra grandi e piccoli stati con quelle di Grozio, Hotman e Bodin, cfr. […] Quando nel 1738 sarà pubblicato l’Esame critico di padovano Giuseppe Salìo — allievo di Domenico Lazzarini ed autore di tragedie composte sul modello greco —, in cui Calepio viene accusato di essere un partigiano dei moderni, incapace di scorgere i pregi di Omero e dei grandi autori classici, il bergamasco si difenderà ancora ribadendo la propria moderazione, la propria capacità di mediare in modo equilibrato tra l’esercizio di una ragione individualistica e l’ammirazione per i documenti antichi.
Egli ha pur flagellati meritamente gli abati impostori letterari e civili, i quali non mancano di esercitar nelle città grandi l’impiego di serventi ridicoli, di pacieri, di spioni, di bari, e. di commettimale.
Dopo avere egli, colla intelligenza che si è veduto, assicurato al codice di Alarico il vanto dell’osservanza per più secoli, passa glorioso e trionfante con ugual perizia de’ tempi mezzani a dipignere i disordini della giudicatura in Italia, citando l’esgesuita Bettinelli, sulle cui sole asserzioni fabbrica de’ grandi castelli.
Spicca soprattutto nel colorire con forza ed evidenza i caratteri de’ grandi uomini, segnandone i temperamenti, i difetti e le virtù.
La prego a compatirmi et credere che non ho mai fatto ne farò cosa che sia indegna di un figlio obediente come sono sempre stato ; e pregandola a abolire le grandi maledizioni che mi ha mandato e a benedirmi come buon padre, resto Di V.
introduce i Buffoni, come fanno gli Arlecchini Spagnuoli, a trattar famigliarmente con Principesse e Regine, a intervenire in qualità di servidori tra’ Grandi, Ambasciadori, e Principi, a ragionare, buffoneggiando coi Sovrani occupati in gravi affari?
«Osservo (egli dice tralle altre cose nella sessione VI) ne’ francesi piuttosto un poeta, il quale recita le sue poesie, che un attore, il quale esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliono rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno del tragico».
Scorgesi in essa veramente la solita viziosa mescolanza di grandi interessi reali con avventure mediocri e di persone tragiche con caratteri comici senza rispettarvisi le unità. […] Ma se impareranno l’arte di ben conoscere i proprii popoli, di pesarne l’energia, di dirigerla a vantaggio dello stato, di calcolarne la forza e la debolezza, di moderarne gli eccessi e di correggerne i difetti, di animarne la virtù co’ premii in vece di scoraggiarla col disprezzo, di emendarne gli errori da padre e non da despoto; i principi che si dedicheranno a questo studio, calcheranno le orme de’ Titi e degli Antonini, i quali furono dotti non meno che grandi e degni principi.
E ciò ne dimostra che certo sublime idropico e romanzesco, e che io chiamo di convenzione teatrale, perderebbe affatto il credito anche sulle scene moderne a fronte delle patetiche situazioni naturali, sempre che vi fossero introdotte con leggiadria da un ingegno sagace che sapesse renderle, sulle vestigia di Sofocle, tragiche e grandi. […] Il dramma di Racine è una serie di quadri grandi di amore: amor timido che geme, amore ardito e determinato, amor furioso che calunnia, amor geloso che spira sangue e vendetta, amor tenero che vuol perdonare, amor disperato che si vendica sopra se stesso: ecco la tragedia di Racine.
La possanza dell’una e dell’altra a risvegliar idee grandi, sublimi, e fuori dell’ordinario si vede da ciò che spesso i sacri Profeti avanti di proferir i vaticini ispirati loro da Iddio, richiedevano il suonatore, che risvegliasse loro lo spirito.
[1.136ED] Due cose fanno altamente meravigliar ne’ grandi: l’una è che, per la loro ricchezza e possanza abbagliandoci, ne fan credere di possedere una somma felicità, ma lo scoprirli più miseri d’un cencioso plebeo ci fa stupir con ragione, e ciò naturalmente succede quando di gran fortuna in gran sventura li vediamo, parte per colpa loro e parte per colpa di un malvagio destino, precipitati; e, perché la ragione degli opposti è la stessa, che un personaggio grande ridotto in miseria ascenda ad impensata felicità ci fa il medesimo effetto; e questa è la peripezia tanto per me rinomata, senza di cui languirebbe qualunque tragedia di mesto o di lieto fine ch’ella sia. […] [3.40ED] Tu che hai lette le belle opere del Cornelio e del Racine, ti sarai sentito muovere a tenerezza dall’espressioni non meno grandi che amorose de’ loro attori: sono iti questi due famosi Franzesi, e più cupamente il secondo, a pescar ne’ fondi dell’anime la natura di quest’affetto e si son serviti di essa per muoverlo con tal forza che nelle loro tragedie piangono gli attori, che pur sanno di fingere; piangono gli uditori, che pur sanno di udir cosa finta; ma gli uni e gli altri si scordano di se stessi e la imitazione del vero ad essi par così vero che in lor produce il medesimo effetto, siccome in un passionato amante succede che ei parli al ritratto della sua donna freneticando e, quasi che abbia avanti degli occhi l’originale, vi piange sopra, lo bacia e scorre in mille follie di piacere, di dolore, di smania. […] [5.19ED] La stanza addobbata di preziosi tappeti e di pitture, opera di artefici esimii e di grandissime luci di specchi, potrebbe abbagliare con la ricchezza e disposizione della suppellettile i riguardanti; ma quando il re vi si trova, presente lui tutte le cose si avviliscono. [5.20ED] Egli sublime sorge in mezzo a’ grandi che lo circondano; ma l’eccelse stature si abbassano, i maestosi volti si umiliano. [5.21ED] Sta intorniato da molti de’ suoi guerrieri da lungo tempo già sì famosi per le battaglie nelle gazette, ma a fronte sua così minori diventano che rimanendo in certi l’uom solo, sparisce l’eroe. [5.22ED] Luigi solo è il vero carattere dell’eroe, comparendo egli solo maggiore de’ suoi gran nomi; e stimerò raro vanto di questi miei occhi l’aver osato una volta d’incontrarsi furtivamente ne’ suoi maestosi, gravi e terribili. [5.23ED] Allora mi parvero quasi nulla a tal confronto Marlì, Versaglie e Parigi, né potei saziarmi di quella vista sinché per tutto il giorno di ieri mi fu dato di veder uno cui non è uom lontano che o non si faccia gloria d’averlo veduto o non desideri di vederlo. […] — [6.61ED] — Io rimango pago — qui ripigliai — delle ragioni e delle testimonianze che tu mi adduci, per condurmi nel sentimento che l’armonia della voce dee in qualche maniera secondare il numero ancora del verso, e che nelle gran passioni sta bene un po’ di gemito e di querela; ma in questi Franzesi osservo piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie che un attore il quale esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi e nelle enfasi de’ gran sentimenti; di modo ché par che non solo essi vogliano rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno del tragico. […] [6.123ED] Veniamo a noi e, per giudicar senza passione, giudichiamo egualmente del recitare. [6.124ED] Appresso della nazione franzese è in pregio ed in costume il declamar su’ teatri in voce caricatamente sonora. [6.125ED] Gli Spagnuoli niente declamano, ma tutto dicono con sussiego e con gravità, e ben di rado adiviene che variino i tuoni del loro parlare in scena, sempre sostenuto in tuon famigliare, ma nobile, né mai per gran passione o per grandi affari escono dalla lor natia compostezza; ed imitando i loro civili discorsi, recano a grandezza d’animo il non alterarsi esternamente per tutto ciò che potrebbe alterare ogni anima men che spagnuola. [6.126ED] Voi altri Italiani ora vi componete ora vi scomponete, secondo che vi pare portar il bisogno, ora gravi ora famigliari, ma più pendete al famigliare che al grave, più all’espressione civile che alla tragica e passionata declamazione. [6.127ED] I gesti di tutte tre le nazioni corrispondono parte al loro costume o più ardente o più sostenuto o misto sì dell’uno come dell’altro, e ciascheduna di essa si stima ne’ suoi teatri e sprezza le altre, perché ciascuno preferisce con troppo amore il proprio genio all’altrui; io, che vengo per terzo ad eriggermi in giudice di queste tre maniere sì d’atteggiare, come di parlare, trovo in tutte tre i loro vizi e le loro virtù, e ti vo’ dar gusto con sentenziare che l’italiano va a piacere con più ragione degli altri, se più commozione dagli Franzesi e più gravità dagli Spagnuoli prenderà in prestito nelle scene.
Ma se tanti e sì grandi sono i difetti dell’Isabella, quelli dell’Alessandra vincongli di numero e di qualità.
Et pero quand’ io sono per elegerli, hauendo copia d’ huomini atti et che ubidienti esser uoglino, m’ ingegno di hauerli, prima di bona prouincia, et questo piu che altro importa, et poi cerco che siano di aspetto rappresentante quello stato, che hanno da imitare piu perfettamente che sia possibile come sarebbe, che uno inamorato sia bello un soldato membruto, un parasito grasso, un seruo suelto, et cosi tutti. pongo poi anco gran cura alle uoci di quelli, per ch’ io la trouo una de le grandi et principali importanze, che ui siano. ne darrei [potendo far di meno] la parte di un uecchio, ad uno che hauesse la uoce fanciullesca, ne una parte da donna [e da donzella maxime] ad uno che hauesse la uoce grossa.
Dopo le quali mutazioni di cui Melanippide, Frini, Cinesia, Polissene, e Timoteo di Mileto furono i principali autori, la musica cessò di cagionare i grandi effetti che prima era solita di produrre, e divenuta più artifiziosa e più dotta divenne meno espressiva e patetica.
Debbo pur anche far notare che la ricchezza, l’energia, e la maestà della lingua italiana, e le maniere usate da’ nostri poeti grandi, danno all’Agnese un certo che più grande che manca al cattivo verseggiatore La-Motte.
Mercurio ripiglia che siffatte cose possono reputarsi viltà tralle persone volgari, ma che tra’ grandi non si guarda così sottile: Lorsque dans un haut rang on a l’heur de paroître, Tout ce qu’on fait est toujours bel & bon.
Nè presti furono nè grandi i progressi del teatro Latino.
Mercurio ripiglia che siffatte cose possono riputarsi viltà tralle persone volgari, ma che tra’ grandi non si guarda cosi sottile: Lorsque dans un haut rang on a l’heur de paroitre, Tout ce qu’on fait est toujours bel et bon.