L’amante, che prostrato a’ piedi della sua bella, chiede la sospirata mercede de’ suoi lunghi sospiri, sa benissimo ch’egli non è debitore né al suo ingegno, né alla sua dottrina della fortuna d’essere riamato. Sa che l’amore indipendente per lo più della riflessione, e della ragione non ha altro domicilio che il cuore, né altra legge che quella, che gli detta l’affetto. […] Lo stesso dico dello sdegno, il quale determinandosi sul momento, non ha né il tempo né l’occasione di generalizzare le idee. […] [28] Se non che né comparazioni, né sentenze, né poesia fraseggiata dovranno aver luogo nei duetti, terzetti ecc. […] Ma quello, che non ha di comune né coll’una né coll’altra è il dover appagare non solo il cuore ma anche l’orecchio, e l’immaginazione; onde non può scompagnarsi dalla poesia i dal canto, dal suono, e dalla decorazione.
Io non mi sono deciso né per l’una, né per l’altra opinione. […] In primo luogo il compositore non può conoscere né benissimo né malissimo la quantità delle sillabe nella nostra poesia, perché nessuno può conoscere ciò che non esiste. […] L’estrattista dunque non sol non ha inteso per niente né la mia proposizione, né le ragioni su cui s’appoggia, ma ha ravvisato sconciamente e quella, e queste. […] Ma l’andare più oltre né piace, né giova, non essendo il mio scopo il tessere una nomenclatura od un catalogo, ma presentare soltanto agli occhi de’ lettori una rapida prospettiva. […] Codesto pregio che non sembra a prima vista né straordinario, né difficile ad ottenersi, è nulla meno uno degli sforzi più grandi, ch’abbiano fatto i moderni italiani.”
La melodia da per sé sarebbe un disegno capriccioso senza oggetto né regola. […] Ma se la loro azione è necessaria nel melodramma, non è necessario però che quest’azione sia nello stesso grado dappertutto né che sia simultanea. […] Nulla di più giusto né di più sensato che siffatta opinione ove non fosse stata condotta all’eccesso. […] [23] Dai principi accennati si ricava che il musico non dee ammetter in ogni luogo gli ornamenti, né in ogni luogo schivarli. […] Lo scopo del canto drammatico è quello di rappresentar le passioni, le quali non si manifestano nell’uomo col suono dell’oboè, né del violino.
Codesto pregio, che non sembra a prima vista né straordinario, né difficile ad ottenersi, è nullameno uno degli sforzi più grandi che abbiano fatto i moderni italiani. […] Simile al primo egli non ebbe altra guida che la natura, né altro scopo che di rappresentarla al vivo, «L’arte, che tutto fa, nulla si scopre.» […] Non più si collocarono alla rinfusa gli strumenti, né si credette che il numero e la scelta di essi nulla avesse che fare colla espressione, ma si pensò bensì che l’una e l’altra di queste cose contribuissero assai a produrne il total affetto. […] Ni uno a’ tempi nostri ha sortito dalla natura còrde più valenti, e insiem più flessibili, tenera più sonora, né maggior ampiezza di voce. […] Nelle prime, perché né la musica né la poesia possono arrivar a tanta eccellenza in un popolo, che dotato non sia di squisita sensibilità, e di brillante immaginazione; qualità, che trasferite alle belle arti non solo bastano ad immortalar un uomo, ma ad assicurar eziandio ad una intiera nazione l’omaggio di tutti i secoli.
[3] Ma non qualunque aggregato di suoni è un canto, né qualunque serie di attitudini è un ballo. […] Né si contentò egli di letterarie specolazioni, ma volle ancora mettere in pratica quanto colla voce e colla penna insegnava agli altri. […] Io stesso non lo compresi allora, né avrei giammai potuto comprenderlo se procurata non m’avessi in particolar modo la spiegazione. […] Ah, che tale non è il pendio dell’umana natura, né tale l’esperienza costante di tutti i secoli! […] Né mi fermerò a ribattere la falsissima opinione che i piaceri de’ sensi siano i maggiori anzi i soli piaceri della vita; ciò mi condurrebbe più oltre del bisogno.
Siffatta semplicità non piacque lungo tempo al pubblico incostante, né ai capricciosi maestri. […] Tuttavia siccome né cotesti strumenti, né quelli da fiato, che s’usano comunemente, bastano a soddisfare alla immensa varietà di suoni che può somministrare l’arte drammatica, così mi sembra che la nostra musica abbia con grave scapito rinunziato all’uso di non pochi strumenti, che a tempo e luogo adoperati farebbero un grandissimo effetto. […] Lo sdegno non si distingue dalla disperazione, né questa dal terrore, e così via discorrendo. […] Per rendere più chiara e più palpabile la demostrazione, io voglio aggiugnere alla poetica parodia testé arreccata una strofetta in lingua francese, che nulla ha di comune né coi senso dell’aria di Metastasio, né con quello della mia. […] Ma l’andare più oltre né piace né giova, non essendo il mio scopo tessere una nomenclatura od un catalogo, ma presentare soltanto agli occhi de’ lettori una rapida prospettiva.
Ma se non si esige da’ nostri Canziani ch’e’ taglino le vesti all’antica, cosi per appunto come le ci vengono descritte dall’erudito Ferrario, non dovriano né meno farsi lecito di dare a’ compagni di Enea la berretta e i braconi alla foggia olandese52. […] Né altrimenti esser poteva; perché essendo sì innalzati in quella medesima età per dare ricetto all’opera tanti nuovi teatri, è necessariamente avvenuto che abbia posto lo studio nel dipinger le scene un assai maggior numero d’ingegni che fatto non avea per lo addietro. […] Ora che direbbe quel matematico vedendo come nelle nostre scene da noi si applaudisce a quei laberinti di architettura, dove si smarrisce il vero, a quelle fabbriche che non si possono né reggere, né ridurre in pianta, e in cui le colonne in luogo che si veggano ire a tor suso l’architrave e il soffitto, si vanno a perdere in un mare di panneggiamenti posti così a mezz’aria? […] Non vorrei né meno che da noi s’imitassero quelle loro pagode e quelle torri di porcellana, salvo se cinese non fosse il soggetto dell’opera. […] Dal sito il più orrido ti fanno tutto a un tratto trapassare al più ameno; né mai dal diletto ne va disgiunta la maraviglia, la quale, nel porre un giardino, essi cercano egualmente che da noi fare si soglia nel tesser la favola di un poema.
Perciò gli antichi, i quali sapevano più oltre di noi nella cognizione dell’uomo, stimarono esser la favola tanto necessaria alla poesia quanto l’anima al corpo, all’opposito d’alcuni moderni che, volendo tutte le belle arti al preteso vero d’una certa loro astratta filosofia ridurre, mostrano di non intendersi molto né dell’una né dell’altra65. […] [17] Benché l’unione della musica e della poesia, considerata in se stessa o com’era nei primi tempi della Grecia, nulla abbia di stravagante, né di contrario, tuttavia considerandola come è nata fra noi dopo la caduta del romano impero, vi si scorge per entro un vizio radicale, di cui gli sforzi de’ più gran musici e poeti non l’hanno potuto intieramente sanare. […] Fu non per tanto giustissima l’osservazione d’un giornalista a cui né questo titolo, né lo stile impetuoso e sovente mordace debbono sminuire il pregio d’aver veduto chiaro in molte cose, che di quarantaquattromila e più voci radicali che formano la lingua italiana, solo sei o settemila in circa fossero quelle ch’entrar potessero nella musica69. […] Non parlo di quelli del Chiari, quali per la scipitezza loro non possono far né bene né male: nemmeno di quella folla di romanzi francesi, frutto della dissolutezza e dell’empietà, che fanno egualmente il vituperio di chi gli legge, e di chi gli scrive: parlo soltanto dei due più celebri, che abbia l’Europa moderna, cioè la Clarice, e la Novella Eloisa. […] Che i suoi personaggi altrettanto singolari quanto l’autore, filosofando in mezzo al delirio, pieni di sublimità e di follia, d’eloquenza e di stravaganza non trovano fra gli uomini né originale né modello.
., Non trovavasi tra’ provenzali né un Mussato, né un Petrarca, né un Vergerio.
[2.121ED] Ciò pure era con più decoro e con più profitto nelle sue stanze, tanto più che né la madre né il padrigno erano nella reggia. [2.122ED] Vi è ben di peggio. […] [3.105ED] Il mezzo termine per uscirne era appunto l’invenzione di un termine che nulla significasse, ma che nell’oscurità mostrasse involvere arcani, ed io fra me stesso rideva dello stralunamento degli occhi loro e de’ folli applausi delle lor lingue a ciò che né essi né io intendevamo. […] Nessuno degli scrittori del Trecento né de’ loro coetanei e seguaci nel verso si astennero dall’usare la rima. […] , ma né meno ameresti che ti tacciassero di satirico, e però esaminiamo la cosa a dovere. […] Di contro reputava il verso sciolto ‘ignobile’ o oscuro, appellandosi, infine, all’esperienza teatrale che avrebbe dimostrato che i versi non pregiudicano né all’arte attorica né alla commozione dello spettatore (p. 162).