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168. (1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO X. » pp. 112-139

Certamente nè Ariosto invano da Voi preso di mira, essendo per le vostre saette invulnerabile, nè Machiavelli, nè Bibbiena, nè intorno a dugento settanta Poeti Comici di nome in più di sei a settecento Commedie pensarono a profanare e presentare sulla Scena Comica Monsignori ed Eminentissimi, come avviene nelle Commedie Spagnuole. […] Il Brighella e l’Arlecchino Italiano, e queste ridicolissime stranezze Spagnuole, sono uno sfogo necessario alla plebaglia e alle femmine, che vogliono ridere sgangheratamente delle Maschere Italiane, e de’ Graziosi e delle Graziose, e de los Vejetes Spagnuoli posti fra Diavoli, o trasformati in mille guise sulla scena, o che precipitano sotterra, o che vanno per aria a volo; e convien tollerarle. […] Quando si tratta di manifesta buffoneria, tutto passa, e il Popolo accorda all’Arlecchino e al vostro Polilla o Calabaza ogni stravaganza, e ride; anzi i Savj stessi appianano il sopraciglio, e Agesilao cavalca co’ figliuoli sulla canna, e Atene si compiace de’ Pupi de’ Ciarlatani. […] E intanto sulla Scena a vista dello spettatore più e più volte abbraccia e bacia l’amante.

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