Per esempio, nella prima scena dell’Atto IV. dell’Ecuba d’Euripide tradotta dal Signor Mattei con molto brio e molta disinvoltura, trova egli un duetto in due versi greci d’Euripide tradotti da lui in questa guisa: Ecuba ed uno del coro } a 2: «Ahi chi udì, chi vide mai Chi provò di quel ch’io sento Un affanno, ed un tormento Più terribile e crudel? […] Lo stesso dico del finale che il traduttore mette in bocca di tutti al terminarsi la scena, quantunque non vi sia edizione che non lo ponga in bocca della sola Ecuba, e dovendosi considerare manifestamente quelle parole come una continuazione del senso anteriore.