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160. (1715) Della tragedia antica e moderna

[1.127ED] E perciò noi altri, assisi ad una rappresentazione di non regie persone, specchiamo gli strani gruppi de’ casi rappresentanti in qualche nostro avvenimento di ciascheduno, ed assuefacendoci a tollerarli per verisimili arriviamo poi anche a compiacercene. [1.128ED] Meglio che nelle regie, nelle private persone accader puote l’esser tolto in iscambio per somiglianza di vestimento; il confidare ad un servo una lettera che passi disgraziatamente alla mano di chi non doveva vederla; l’uscire a tutte l’ore di casa ed il trovarsi furtivamente in tutti i luoghi ad ascoltare, o non veduto o non conosciuto, gli altrui segreti discorsi, i travestimenti felici e massime nella nazione spagnuola ove le donne coperte da’ lor zendadi vanno come mascherate e nascoste, e si dan solo a conoscere con segni che posson produrre degli equivoci, fonti ordinari di tutti gli avvenimenti e viluppi delle lor rinomate commedie. [1.129ED] Nella tragedia non è così, massime nella tragedia in cui non dassi il primo luogo all’amore, perché, dove l’amore occupa principalmente l’azione, sempre il personaggio pubblico opera da privato e tal volta il principe da plebeo. [1.130ED] Ma perché non si può avere un popolo spettatore tutto di prìncipi che, esaminando le proprie coscienze, trovino vero in sé stessi quello che vedono rappresentato in altrui, e il popolo che interviene allo spettacolo generalmente ha troppo alto concetto della grandezza de’ prìncipi, egli è forza nell’imitazione de’ gran personaggi in teatro astenersene. [1.131ED] In fatto, ben rare volte i gravi interessi da un principe si confidano alla sciocchezza d’un servo; rare volte un principe esce di casa solo e sconosciuto a suo arbitrio; non è facile che soprarrivi all’improvviso in una stanza ove altri discorra di cose che gli appartengano, essendo i personaggi reali in troppa soggezione di sé medesimi e troppo accompagnati e lor mal grado osservati, e i loro visi son troppo impressi nella memoria del pubblico per esser presi in iscambio e per travestirsi senza esser ravvisati; e però torno a dire: questa sorta d’avvenimenti, come universalmente creduta inverisimile ne’ gran signori, si sfugge nelle tragedie. [1.132ED] Lodiamo dunque il genio spagnuolo negl’intrecciamenti meravigliosi delle commedie, purché, come è ingegnoso il viluppo, lo scioglimento sia naturale; e questa è la spina che per lo più guasta la fioritura delle loro vaghe invenzioni. [1.133ED] Ma tu mi opporrai: sarà dunque la commedia assai più ingegnosa della tragedia, mentre che in questa non contenendosi stranezza di avvenimenti, come nell’altra, non farà punto meravigliar chi l’ascolta, e così semplice e naturale non potrà dilettar altrettanto. [1.134ED] Io non voglio paragonar qui la tragedia con la commedia, né vo’ decidere se in mio concetto prevaglia Sofocle ad Aristofane, il Cornelio a Molière, il Tasso all’Ariosto, ma posso ben dirti che chiunque di questi eseguisce felicemente il suo dramma merita una gran lode, e torno unicamente alla tragedia di cui dobbiamo ragionare.

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