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27. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimosettimo, ed ultimo »

Confesso però ch’io debbo l’idea della mia opera, e i migliori mezzi onde sarà eseguita allo studio per me fatto della loro musica e in un della poesia loro. […] Io non riguardo adunque la musica, se non come un’arte imitativa ricercando e mettendo dinanzi agli occhi i mezzi, ch’ella pone in opera per riuscire acconciamente in tale imitazione. […] La greca, che per la sua bellezza meritò d’essere considerata come l’opera degli dei, altro non fu che l’opera de’ musici. […] Io so che rigorosamente parlando v’hanno due modi, il maggiore e il minore: e contuttociò un pezzo di musica d’un genere grande rimane tanto sfigurato, ove si voglia trasportarlo ad un’altro genere quanto resterebbe un opera di gusto trasferita da una in un’altra lingua. […] Or io esorto appunto i nostri compositori a non confondere le proprietà de’ modi da loro impiegati, a rintracciarne quelli ch’essi trascurano, e a porli in opera acconciamente.

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