Da una parte provare a scardinare alcuni vecchi topoi critici, ad oggi generalmente attestati, che credevo non fossero più funzionali ad affrontare la questione Calepio, come ad esempio l’idea di una sua posizione di isolamento all’interno della cultura lombardo-veneta quando non addirittura italiana6; la convinzione che Calepio non fosse altro che un «dilettante gentiluomo» la cui fama andava ridimensionata in quanto le sue speculazioni erano sempre in linea con la comune sensibilità dell’epoca7; oppure il pregiudizio secondo cui la fortuna del Paragone risultava molto modesta. […] Tutto ciò era complicato dal fatto che, nel corso della sua argomentazione, spesso Calepio accennava implicitamente ad autori e posizioni che probabilmente all’epoca erano così note da non giustificare un rinvio palese, ma che oggi non sempre risultano facilmente decifrabili. […] Per la prima edizione non esistono copie manoscritte su cui riscontrare la stampa, nella quale si trovano peraltro molti errori, neppure nella Zentralbibliothek Zürich, in cui erano conservate le lettere componenti il carteggio Bodmer-Calepio, prima del loro trasferimento in Italia, e dove ancora oggi è custodito il manoscritto della Descrizione de’ costumi italiani, pubblicato, sempre per mezzo del Bodmer nei tomi della ginevrina Bibliothèque Italique 10. […] E però quegli orribili e truculenti spettacoli son soverchi, né pare a me che oggi si debbia introdurre azion tragica ad altro fine che per averne diletto», ivi, p. 420; su questo punto cfr. anche Elisabetta Selmi, «Classici e moderni» nell’officina del Pastor Fido, Alessandria, edizioni dell’Orso, 2001, pp. 42-43, e Stefano Verdino, Il Re Torrismondoe altro, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2007, pp. 32-39); Angelo Ingegneri nella Prefazione della sua Tomiri affermava che la tragedia doveva fungere da preventiva difesa contro «i danni, che possono procedere dalla Superbia, dall’Ira, e dall’Ostinatione, ed insieme d’alcun’altra incontinenza» (cfr. su questo punto Roberto Puggioni, «Sulla dedicatoria della “Tomiri” (1607) di Angelo Ingegneri», in La letteratura degli Italiani 4.