Anzi, con il Bouhours, Calepio intrattiene un duro corpo a corpo, volto a delegittimare l’opinione, difesa negli Entretiens d’Ariste et d’Eugène, secondo cui il francese era al contempo la lingua più semplice e nobile al mondo, naturalmente ostile, a differenza dell’italiano, ai concetti e alle pointes (Paragone VI, 4): il bergamasco riporta così un gran numero di passi di Corneille, di Racine, di de La Fosse, di Deschamps, di Duché, di Crébillon, di Voltaire in cui vengono sistematicamente introdotte personificazioni, allegorie, segni, traslati, perifrasi ed epiteti per mostrare quanto sia comunemente diffuso, nelle prove d’oltralpe, un linguaggio costruito e innaturale che sarebbe più consono a un poema epico o a una lirica, piuttosto che a una tragedia. […] [2.2.5] Io non intendo però di rendere necessaria l’ignoranza delle persone e di non lasciar luogo agli affetti di quelli che non l’hanno, perché ciò farebbe riprovare un pregio nobile delle favole tragiche, massimamente quando essi sono adatti alla misericordia, e ristringerle ad una noiosa uniformità, per la quale la lettura delle italiane tragedie riesce talor men grata. […] Ma rispondo che non ha con questo voluto Aristotele distruggere la prerogativa della perfetta tragedia, a cui debbon servire i costumi, e che però non conviene nella introduzion de’ medesimi trasandare il riguardo di quella col far conto solamente di quella maraviglia che potrebbe recare una qualità segnalata di spirito in una persona viziosa, la quale, come che possa produrre alcun piacere, nonpertanto non hassi a procacciare, amando la buona poesia quel solo che è congiunto col giovamento, il quale non può negarsi esser fine primario, perciocché il ben morale è la meta più degna e più nobile che possa avere un’arte. […] Questo recupero del «giovamento» che procede dalla poesia è condotto anche grazie al richiamo ad alcune auctoritates cinquecentesche; senz’altro una particolare importanza assume in questo senso il Discorso del cipriota Iason De’ Nores, insegnante all’Università di Padova e accanito avversario del Guarini nella querelle attorno alla liceità del genere tragicomico, il quale fissava già i passaggi principali di una storia teleologica dell’origine della poesia che Calepio recupera nel principio della sua opera maggiore: «ebbero dunque elle [la commedia, la tragedia e il poema eroico] due nascimenti: l’uno, quando que’ primi senza avertimento le componevano a caso, a lor beneplacito e le rappresentavano solamente per dilettar; l’altro poi che gli uomini di nobile e di sublime ingegno cominciarono, rendendole loro cagioni, a ridurle sotto regole e principi universali et a dirizzarle anco al beneficio et alla utilità pubblica, alla quale per ragione e per sentenza de’ savii deono aver la mira tutte le arti e profession d’uomini che vivono accostumatamente nelle città.