Sotto quel cielo non ancora abbastanza rischiarato la stessa lingua non era allora nè polita nè fissata, quando sulle scene comparve Guglielmo Shakespear. […] Gli si faccia parimente grazia del non aver conosciuta la storia letteraria Italiana, come dimostra proponendo per cosa tutta nuova all’Italia lo studio de’ Greci: a quella Italia, dove anche nella tenebrosa barbarie de’ bassi tempi fiorirono intere provincie, come la Magna Grecia, la Japigia e parte della Sicilia, le quali altro linguaggio non aveano che il greco, e mandarono a spiegar la pompa del loro sapere a Costantinopoli i Metodj, i Crisolai, i Barlaami: a quell’Italia, che dopo la distruzione del Greco Impero tutta si diede alle greche lettere, e fu la prima a comunicarle al rimanente dell’Europa, cioè alla Spagna per mezzo del Poliziano ammaestrando Arias Barbosa ed Antonio di Nebrissa, ed all’ Inghilterra per opera di Sulpizio, di Pomponio Leto e del Guarini maestri de’ due Guglielmi Lilio e Gray: a quell’Italia, dove (per valermi delle parole di un elegante Spagnuolo) la lingua greca diventò sì comune dopo la presa di Costantinopoli, che, come dice Costantino Lascari nel proemio ad una sua gramatica, l’ ignorare le cose greche recava vergogna agl’ Italiani, e la lingua greca più fioriva nell’Italia che nella stessa Grecia 22: a quell’Italia in fine che oggi ancor vanta così gran copia di opere nelle quali ad evidenza si manifesta quanto si coltivi il greco idioma in Roma, in Napoli, in Firenze, in Parma, in Padova, in Verona, in Venezia, in Mantova, in Modena ecc., che essa vince di gran lunga il gregge numeroso de’ viaggiatori transalpini stravolti, leggieri, vani, imperiti e maligni, tuttochè tanti sieno i Sherlock e gli Archenheltz23. […] Noi non ci perderemo in tessere partitamente analisi delle favole di questo maraviglioso Inglese, non volendo cadere nella ridevole temerità di certi moderni pedanti superficiali che pur da se stessi si danno il titolo di profondi pensatori, i quali si lusingano ed osano di voler ragionare di ogni poeta anche ignorandone la lingua. […] Il far capire le bellezze dello stile e la grandezza de’ pensieri e l’energia dell’espressioni, non è mestiere di chi debba andar mendicando notizie e traduzioni di Shakespear da taluno che forse ne sa quanto lui; ma è riserbato a colui, che oltre di possederne l’idioma originale abbia mostrato di capire tutta l’ arduità ed i misteri della poesia rappresentativa con altro che con favole sceniche senza stile e senza lingua, le quali veggano p. e.