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22. (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XV. Satiri: Ilarodie: Magodie: Parodie: Mimi: Pantomimi. » pp. 171-200

Alle querele e preghiere che Ulisse indirizza a Pallade, succede il canto del Coro, il quale sospetta di cio che dentro farà il Ciclope. […] Ma la poesia rappresentativa meglio sviluppata negli episodii, si appropriò certi attori più esperti nel declamare, cioè nel recitar versi con azione naturale e con un canto parlante il quale sebbene accompagnato dagli stromenti non lasciava di appressarsi più al favellare che al canto del Coro. […] Rimase al Coro il pensiero d’intrecciar carole cantando; ed in questo il canto fu più artificiale e la melodia più espressiva spiegandovi la musica tutte le sue forze e gli artificii armonici con sempre nuove combinazioni di tempi e di movimenti; la poesia per accomodarsi al canto fu più lirica ed ornata; e la rappresentazione per servire al ballo fu meno naturale. Ma i movimenti ginnastici del saltatore, il quale era nel tempo stesso cantorea, bentosto ingrossavano il fiato, e ne rendevano debole la voce; per la qual cosa convenne dividere tutti gl’individui del Coro in istrioni musici dediti al solo canto e in istrioni ballerini destinati alla danza. La rappresentazione continuò a serpeggiare per entrambi gli esercizii, perchè tutto richiedeva espressione; ma nel canto animato dalle parole con alcuni movimenti regolati, quale è quella de’ cori tragici o comici, ebbe minor parte che nel ballo figurato così propriamente detto, il quale privo delle parole tutto cercò dall’azione.

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