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333. (1878) Della declamazione [posth.]

. / A’ giovani inesperti e che buon uso / debbon far de’ talenti di Natura / mi volgo: addottrinarli io non ricuso / né d’espormi de’ vecchi alla censura95. […] Il sacerdote che rendeva gli oracoli del suo nume, contraffacendone il tuono ed il contegno, non era a buon conto se non un imitatore del suo nume, ch’egli rappresentava. […] A questi io indirizzo particolarmente le mie osservazioni, e della declamazione tragica propriamente intendo ragionare, e spero che i miei compatrioti accolgano di buon grado le mie intenzioni, e che altri, migliorandone l’esecuzione, possano influire più efficacemente alla perfezione di un’arte, che, rinata fra noi, è pur rimasta stazionaria, a fronte delle altre nazioni, che l’hanno imparata da noi, e più di noi migliorata. […] In questo modo noi avremo facilmente il tuono del dolore o del piacere, della placidezza e dell’ira, del timore o della confidenza, della maraviglia, dell’orrore ecc.; ed ecco il metodo più giusto più semplice e più sicuro da regolare il tuono di qualunque patetica espressione; ed un solo monosillabo opportunamente aspirato diventerebbe come una specie di corista che il buon declamatore dovrebbe pur sempre consultare ed applicare al bisogno, come la sola norma esemplare, che gli fornirebbe il tuono proprio alla pronunciazione vocale di qualunque periodo, frase o parola.

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