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150. (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo duodecimo »

[2] Bisogna richiamar in mente ciò che abbiam detto in altro luogo, cioè che nel risorgimento delle lettere in Italia, come in tutta Europa, le belle arti non furono che un prodotto della imitazion degli antichi. […] Dal quale principio si ricavano alcune conseguenze, che possono a mio giudizio servire a spiegar lo scadimento presso di noi delle belle arti in generale, e più immediatamente di quelle che contribuiscono a formar il melodramma. […] E siccome il privilegio di promuovere e di giudicare degli spettacoli è intieramente dato al popolo se non (come si dovrebbe) a persone distinte per sapere, prudenza e buon senso, così hanno essi degenerato in quell’assurdità e stravaganza che si osserva: quindi lo scadimento del moderno teatro e il niun effetto che fa sopra di noi l’unione di tutte le belle arti benché cospiranti ad un fine. […] Siccome in tutte le belle arti riguardavano essi come oggetto principale l’imitazione della natura, e siccome la possanza imitatrice della musica, massimamente nello svegliar le passioni, dipende, come si provò nel capitolo ottavo del primo tomo di quest’opera, dalla sola melodia, così rivolsero ad essa principalmente la loro attenzione, la costituirono il fine ultimo dell’arte del suono, e il centro, quasi direi, intorno al quale aggirar si dovessero come subalterne e inservienti tutte le parti dell’armonia. […] Che peccato, che fra le tante belle invenzioni di Pitagora si sia perduta anche questa, di cui gli innamorati d’oggidì n’avrebbero un sì grande e sì frequente bisogno!

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