E aggiunge: «poiché allora non si potrebbe dire che il dramma per musica è un grottesco della poesia; anzi l’età nostra potrebbe darsi vanto di avere in grandissima parte rinovato, dove la poesia, la musica, il ballo e l’apparato della scena faranno insieme un’amica congiura, e la cosa sarà risolta a decoro e verità». […] Il tono pamphlettistico in questa seconda redazione è ridotto a vantaggio di un’orchestrazione più controllata del discorso; ad esempio è espunta una critica agli impresari che nella prima redazione precedeva le osservazioni relative al libretto, evidentemente considerata troppo contingente e non adatta all’andamento più formale che Algarotti vuole dare al Saggio: «Ma questa così solenne riforma in vano noi l’attenderemmo dalle nostre tumultuarie compagnie di teatro e da’ nostri impresari che ne sono alla testa; i quali o non sanno ciò che fare si convenga, o pure, atteso i mille rispetti che sono forzati di avere, nol possono mandare a esecuzione17.» […] Martinelli interviene nel dibattito sostenendo che «ove non è poesia non può essere musica, o almeno buona musica32» e auspica una formazione letteraria per compositori e cantanti, non semplici esecutori, ma interpreti consapevoli di un’arte che deve avere «piena cognizione» e «entrare nel midollo33» delle passioni. […] Così nella Conclusione egli ricorda «non altro essendo stato l’intendimento mio, che di mostrar la relazione, che hanno da avere tra loro, le varie parti constitutive dell’opera in musica, perché ne riesca un tutto regolare, ed armonico».