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2. (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO VIII. Teatro di Sofocle. » pp. 104-133

Del rimanente nell’Ajace io non vedo nella contesa di Menelao e poi di Agamennone con Teucro e spezialmente in quella di Ulisse, tante villanie obbrobriose quante nel Paragone della Poesia Tragica ne rimprovera a Sofocle il conte Pietro di Calepio critico per altro assai saggio. […] Noi ultimi venuti possiamo dire nelle nostre poesie, barbaro, stolto, insano, vile, tralcio illegittimo di tronco oscuro ec. ec., nè Corneille, Crebillon, Voltaire, Metastasio, Zeno, vengono tacciati (nè debbono esserlo) come villani e plebei, ed il Calepio vuol riprendere severamente queste medesime cose in Sofocle a? […] Piacemi che il soprallodato conte Pietro da Calepio osservi che sia figura lirica l’apostrofe di Filottete al proprio arco ed al fragore del mare che sentiva stando nel l’antro di Lenno. […] Or perchè quest’opportuno episodio parve tanto fuor di luogo e ozioso a Pietro da Calepio? […] Non era adunque una coda oziosa apposta dal poeta alla precedente tragedia Ajace, come diceva il sig. di Calepio, per darle una giusta misura, l’impegno di Teucro, che vigorosamente ai Greci Duci resiste perchè non rimanga il corpo del fratello insepolto.

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