auriti armenti Degenere non segui, e lasci il prato, E in tondere
ti
perdi irsuti dumi? Oh come, o ninfe, per le min
ar le voci Vedi l’onde, Cimeta, ecco gli scogli . . . No? per dio
ti
avvedrai, s’io dormo, o selci Mancano in queste
Caparbio! in ver non sei da te diverso. Il favor del padron gonfio
ti
rende; Perchè ti liscia, ti vezzeggia, e pettin
on sei da te diverso. Il favor del padron gonfio ti rende; Perchè
ti
liscia, ti vezzeggia, e pettina, Perchè di prop
e diverso. Il favor del padron gonfio ti rende; Perchè ti liscia,
ti
vezzeggia, e pettina, Perchè di propria man ti
Perchè ti liscia, ti vezzeggia, e pettina, Perchè di propria man
ti
lava al fonte. Ma via, se punto hai di pudor, d
Di sì spietato mostro a l’ira espone? O Bacco, o dolce nume, ove
ti
aggiri? In qual valle satollo il fianco adagi
sso dal carolare? Il tuo corteggio Certo obbliasti, e già dal cuor
ti
cadde, Se del crudo al furor tal l’abbandoni,
Reliquie, amate ceneri d’Oreste; Tal, germano, a me riedi, e tal
ti
veggio? Tolto a le insidie del paterno tetto
nsidie del paterno tetto Per me tu fosti, e vigoroso e forte Fuor
ti
mandai, polve or quì torni ed ombra! Chè non mo
e rive Varchi non pianto! Oh mal vegliate notti, Oh cure vane! Io
ti
educai più pronta, Gelosa più di chi suggesti i
pronta, Gelosa più di chi suggesti il latte; Non che germana, io
ti
fui balia e madre. Or sì bei nomi un giorno sol
ongola di gioja La madre, ah non mai madre! al fin sicura, Nè più
ti
teme. Ah vindice io sperai Che venir tu dovessi
ragione che le nove muse vengano di persona a salutarti, perchè elle
ti
mandano la Rosina Taddei loro amica e compagna. N
E sorgi, al fratel mio dicean concordi ; Dio nella nostra la sua man
ti
porge ; e i sensi, che all’udir pareano sordi, sc
sti fra tanto amore. Deh ! Non sparger d’oblio sì dolce idea, fin che
ti
basti la novella vita : Dal giusto Dio che suscit
icati i frutti dall’arche d’oro. E poichè immenso don di sua pietade
ti
pose il fido Beniamin d’appresso, che, conforto a
uoi mali, or la metade è di te stesso ; appena il potrai tu, fa ch'ei
ti
guidi al tempio di Maria, madre di Cristo, se del
ti guidi al tempio di Maria, madre di Cristo, se delle offese membra
ti
confidi riaver l’acquisto ; e udrem, nuovo miraco
amicizia, anche se rara e quasi favolosa come fu quella che tra molte
ti
sapesti meritare, tu muori, o amico, con l’amarez
. tre belle cose di cui tutti parlano senza mai intendervi nulla. Non
ti
lascio sotto silenzio li maccaroni, specialità un
timologia greca Μαχαρ, che vuol dire felice, beato, carissimo ; e non
ti
taccio che conto pure sopra una mezza dozzina di
ò mancare, perchè conseguenza dell’atmosfera tiepida calma serena che
ti
circonda e che ti rende amabile (vedi difficoltà
conseguenza dell’atmosfera tiepida calma serena che ti circonda e che
ti
rende amabile (vedi difficoltà !!), contento, fel
i suoi « Fiori fronde erbe antri onde ombre auri soavi » fra le quali
ti
mando a prender fresco e ti saluto e ti salutiamo
ntri onde ombre auri soavi » fra le quali ti mando a prender fresco e
ti
saluto e ti salutiamo, vi salutiamo e sono l’amic
bre auri soavi » fra le quali ti mando a prender fresco e ti saluto e
ti
salutiamo, vi salutiamo e sono l’amico MENICO. A
il romito favellìo d’una fronda o d’una stella ? Perchè talvolta chi
ti
siede accanto chinar ti mira tra le palme il viso
fronda o d’una stella ? Perchè talvolta chi ti siede accanto chinar
ti
mira tra le palme il viso, poi sollevarlo con un
i. Eppur…. chi lieta non dovria chiamarti ? La serena speranza al cor
ti
serra, e tu di terra trapassando in terra col pla
tu di terra trapassando in terra col plauso arrivi, e insiem con lui
ti
parti ; memore sempre d’onde nata sei, la polve t
lidi materni, amati or più che mai ! Povera Adelia ! E in un pensier
ti
vola l’anima lagrimosa ai patrj flutti, e sempre
e vien dai consanguinei tetti ! Cessa, Adelia, dal piangere ! Perenne
ti
porgerà la tua virtù conforto. Pensar tu dèi che
ti, e ch’io li parli teco ! Credi : nè reo nè ingeneroso io sono Qual
ti
fui detto dal frequente vulgo, Misero d’opre e d’
to di vita, Una fiera allegrezza ; e con la muta Ala del desiderio io
ti
deposi Lagrimando sull’omero la fronte E ti parla
muta Ala del desiderio io ti deposi Lagrimando sull’omero la fronte E
ti
parlai così : Misterïoso È veramente de’mortali
sì : Misterïoso È veramente de’mortali il Fato. O Adelia ! appena io
ti
conobbi, e sento Che potrei con l’ardente anima a
he potrei con l’ardente anima amarti ! Odi in silenzio, e oblia ! Sol
ti
rivenga Qualche volta al pensier, quando t’ascolt
’44 con questi nobili versi a difender la povera vilipesa : Lascia —
ti
disse il Genio — le neghittose torme ; vieni, sa
l vertice dove il valor non dorme, dove la sacra attingere favilla io
ti
farò ! Vieni più cara a rendere al cuor dell’uom
vizio le turpi forme ignude : nell’alta impresa e nobile compagno io
ti
sarò. In vano Giovanni Prati la circuiva con par
venire nella Compagnia di X ? Sei un briccone : e il Dio della scena
ti
punirà d’aver disertato la bandiera di monsignor
lla comminatoria che se me ne riparla lo morsico. Se i dilettanti non
ti
afferrano come un Messia del cielo io li compiang
del cielo io li compiango. Dove vogliono trovare un infaticabile che
ti
valga ? Quando tu convertirai la tua lupa, la tua
! Forse farà ombra a Milano il tuo essere da Bergamo : ma Domeniconi
ti
ha tanto navigato che della natura prima non ti d
rgamo : ma Domeniconi ti ha tanto navigato che della natura prima non
ti
deve esser rimasto neppur l’odore. Se sei d’un pa
ena. Se di perir non brami in fiero ardore fuggi, fuggi mio core, nè
ti
fidar del finto nome, o stolto ; ma credi agli oc
za mai con Bagolin mio bell, ballar, tirarghe dentro, provandome con
ti
; e per compir el ballo vogio sul fallo far compa
darghe un gratton. Bagolino No sastu donca, cruda, se cotto son per
ti
, e za mai nol se muda pensier notte, nè dì, anzi
occon ; che dospuò te prometto con un balletto farte veder robba, che
ti
dirà dal gran stupor, viva el mio Bagolin, viva e
inta Clori gentilmente si lagna della freddezza di lei: Sdegni ch’io
ti
riveggia? Deh che nuovi portenti? Sul mio primo a
o. Indi con fioca voce Non so se pur dicesti, Ben venga Clori. Io non
ti
udii già dir come solevi, Cloride vita mia. Poi t
enga Clori. Io non ti udii già dir come solevi, Cloride vita mia. Poi
ti
se’ data a gir d’intorno errando Torbida e lagrim
mia. Poi ti se’ data a gir d’intorno errando Torbida e lagrimosa. Io
ti
seguo, e tu fuggi: Io ti parlo, e tu taci: Io ti
ir d’intorno errando Torbida e lagrimosa. Io ti seguo, e tu fuggi: Io
ti
parlo, e tu taci: Io ti miro, e tu piangi: Sì m’o
bida e lagrimosa. Io ti seguo, e tu fuggi: Io ti parlo, e tu taci: Io
ti
miro, e tu piangi: Sì m’odii forse? o ingrata ecc
de: Per me non v’è conforto Per te non v’è tormento, Che qual tu pur
ti
se’ perfido e crudo, E forza, oimè! ch’io t’ami;
ch’io t’ami; Io t’amo, e se per altro Non t’è caro il mio amor, caro
ti
sia Perchè il mio amor sarà la morte mia. O Tirsi
nza languidezza veruna. Sei pur bella, o natura, quando i pedanti non
ti
rassettano! Altre pastorali potrebbero mentovarsi
? Ti veggio del secolo superbo e de’ suoi mali ignara giovinetta – io
ti
conosco alla modesta ilarità che spira dagli atti
vai risvegliando ! – Oh come al giovanile desìo dài legge ed arbitra
ti
rendi dello spirto indomato ! – Il tuo sorriso no
e vita, interpetre del vero. – O del Coturno gloria e del Socco, onde
ti
guarda e freme l’emula Francia a noi rivale etern
di una mal fatta virgola l’alte minacce e i crociti…. Bisticcio. Tu
ti
picchi ? Anch’io mi picco alla tua picca, se hai
icca, se hai la pecca di aver pacche, non t’appicco, ma non pecco, se
ti
spicco e spacco il capo cupo, e dò alla parca un
ant’ossa porti io spezzoti. Bisticcio. Se la rabbia, fa ch’io rebbi,
ti
do un rubbio di rebbiate, ma se busso prendo un b
nell’ abisso a suon di basso e busse. Io non beffo, goffo, buffo, se
ti
azzuffo per il ciuffo presso al baffo, quel tuo c
presso al baffo, quel tuo ceffo t’abbaruffo, e per caffo nel rabbuffo
ti
do il tuffo. Scivoli. Ebben, finiamla e subito ;
n matto nè vo in letto finchè a lutto non fai motto ; tu mi batti, io
ti
ribatto, e in baratto di tua botta, io ti butto g
fai motto ; tu mi batti, io ti ribatto, e in baratto di tua botta, io
ti
butto giù in un botto ; se sei dotto, io sono add
ta Clori gentilmente si lagna della di lei freddezza: Sdegni ch’io
ti
riveggia? Deh che nuovi portenti? Sul mio pri
Clori. Io non t’udii già dir come solevi, Cloride vita mia. Poi
ti
se’ data a gir d’intorno errando Torbida e lagr
Poi ti se’ data a gir d’intorno errando Torbida e lagrimosa. Io
ti
seguo, e tu fuggi: Io ti parlo, e tu taci: Io
ntorno errando Torbida e lagrimosa. Io ti seguo, e tu fuggi: Io
ti
parlo, e tu taci: Io ti miro, e tu piangi: Sì
lagrimosa. Io ti seguo, e tu fuggi: Io ti parlo, e tu taci: Io
ti
miro, e tu piangi: Sì m’odii forse? o ingrata e
Per me non v’è conforto, Per te non v’è tormento, Che qual tu pur
ti
se’ perfido e crudo, E’ forza, oimè, ch’io t’am
io t’ami; Io t’amo, e se per altro Non t’è caro il mio amor, caro
ti
sia Perchè il mio amor sarà la morte mia. O T
e nè turgidezza veruna. Sei pur bella, o natura, quando i pedanti non
ti
rassettano! Altre pastorali potrebbero mentovarsi
stumi, e industri amori rendono a' cenni tuoi l’anime amanti. Spettro
ti
fingi, eppur chi t’ode e mira ti giura Angel Cele
' cenni tuoi l’anime amanti. Spettro ti fingi, eppur chi t’ode e mira
ti
giura Angel Celeste ai gesti e al viso, e all’alt
a tua vita | la tua figlia adelaide | che amavi tanto e che sì presto
ti
ha perduto | questo monumento | debole segno d’in
in morte ; io con lagrime e fior vuo' darti addio fino a quel di che
ti
rivegga in Dio.
: Ti ringrazio, o mio buon Moncalvo, lume e splendore dei Meneghini,
ti
ringrazio dell’oblio che spargi sulle mie pene, d
renità che trasfondi nel mio cuore. O sia che servitore in Venezia tu
ti
accinga al servizio di due padroni, o sia che bar
i essere Meneghini ! Nè fu colpa del destino, ma fu tua scelta, se tu
ti
aggiri nei trivii di Milano, anzi che aggirarti n
sorridere la platea ; e se avverrà (ah ! mai non avvenga !) che l’oro
ti
dichiari la guerra, tu allora, novello stoico, ap
isse una sera – l’altra volta si fece per chiasso, ma questa volta se
ti
mando via ’un ti ripiglio più. » E un’altra, allu
’altra volta si fece per chiasso, ma questa volta se ti mando via ’un
ti
ripiglio più. » E un’altra, alludendo alla minacc
lla minaccia di abolire lo Statuto : « Poldino, apri le Camere, se no
ti
finisce male. » E infinite della stessa risma. Bu
mme qualche concetto, quà senza scaldaletto, che a sta foza vedrò, se
ti
xe instrutto, e fa saltar la rana sora el tutto.
è concesso l’uscirne fuor da questi ombrosi mirti, ecco Sivel, che da
ti
vien adesso, che in paese me chiama de Muzzina la
no e Brighella insieme O Zagno avventurado, se vede, che in effetto
ti
ha inclinazion ne l’esser fortunando, perchè a la
in effetto ti ha inclinazion ne l’esser fortunando, perchè a la prima
ti
ghe intrà in concetto, e nu grami meschini sfadig
mia paterna, va pur felice, e ’n su le scene intanto cerca lassar de
ti
memoria eterna. No te metter paura, che questa xe
a xe segura, vera occasion da immortalarte giusto, se a tanta Nobiltà
ti
sa dar gusto. La parte parlata nelle commedie de
i te l’ho volud mostra Ol me sangu col parentà Perchè son innamorà Ma
ti
soni la sordina. Bona sera o Bertolina. (Manca un
arda me doncha se sun Dun terribel parentà Et se merit d’esser ama Da
ti
cagna patterina. Bona sera o Bertolina. Oltra que
troja, e un porchet Una piegora, e un multu Non è par al tu zanul Che
ti
vol ben cara manina. Bona sera o Bertolina. Perch
Bertolina. Perchè vegh che tro al bordel Tut ol me rasonament Che t’e
ti
che un mat ceruel Com s’è vist in tra la gent Dun
q à voi fa testament Perche a vegh che ho a morì Solament per amar de
ti
Marioletta frasarina (o frascarina ?) Bona sera o
vide l’aspro tuo tormento. Di pianto scorre la perenne stilla, se mai
ti
cruccia il sen crudo lamento l’alma d’ognun ilari
, quando prova il tuo cor gioja e contento. La Cantrice di Grecia ora
ti
vedo pinger con retta veritade tanto, che d’esser
re, che non voglio leuarmi. Gra. A son masculin, e no famulin, &
ti
no nie in casa, ne in tal lett es t’auuri i occhi
amp; ti no nie in casa, ne in tal lett es t’auuri i occhi t vedrrà se
ti
no srà orb, dim vn poc, mat purta qle rob, cha t’
l messo, che mi fù portato dalla lettera, dicea cosi. Per vn presente
ti
lauerai il viso, come voglio, che tu pigli co tre
ra. Gra. Ti n’ sa liezer, lassa far à mi, da qui che te m’hà srui in
ti
garit ; la dis qsi ascolta quest è al suzett, al
nno al merito tuo condegno onore, maraviglia mi fa, mi fa stupore che
ti
lodino ancora i tuoi nemici. Ti basta ? Vuoi di
? Umile non rispondi ? E ben, decido come m’inspira il ciel. Tu ognor
ti
fai onor d’Italia, e dell’Adriaco Lido. E se con
erto una meraviglia del genere. Lucido. Deh, Ninfa, non fuggir,
ti
prego : ascoltami, ch’io non son drago, nè lupo c
idia. Che vuoi da me ? Già te l’ho detto, insipido, che d’altra ninfa
ti
procacci. Intendimi, nè più sopra di me tua mente
nfa bellissima. Se cerchi con mia morte farti gloria, t’inganni. Anzi
ti
fia di maggior biasimo ; chè ognun dirà : Oh Lidi
brillante, lo fazo mi ; se ghe xe un sbrufarisi (parte inconcludente)
ti
lo farà ti !!! »
lo fazo mi ; se ghe xe un sbrufarisi (parte inconcludente) ti lo farà
ti
!!! »
o che, quantunque dentro respinto dall’onestà tua, non è però che non
ti
appaia negli occhi ed ora ancor maggiormente che
omodi del viaggio fra le nausee e gli scotimenti del mare; ma, poiché
ti
sei dato a spiare il mio interno, io te l’apro be
ella Locuzion de’ poeti e tre de’ Poeti medesimi, il ridere nondimeno
ti
sia permesso per l’amore di quella verità che tu
io destino non mi trascinasse inevitabilmente alla fossa. [1.31ED] Io
ti
giuro che più d’una volta ho pianto amaramente il
eccoti già nella curiosità d’intendere quel che io ne giudichi, però
ti
prego a non curarti del mio giudicio, ma di quell
Vengo sino ad inventarmi un miracolo per lodarli. [1.45ED] Ma perché
ti
sei posta tu la parrucca se cotesta, a’ tempi che
cibo, e le zuppe franzesi e i lusinghieri ragù e i teneri arrosti non
ti
spiaceranno, tanto più che vedo pochissima differ
ltro che poche sessioni si richiederebbono al nostro ragionamento, né
ti
credo lontano dal concedermi quanto in simil mate
lungo tratto de’ secoli è in colpa. — [1.76ED] — Ma — ripigliai io —
ti
si conceda quanto tu dici sopra il valore de’ tuo
a, so che avrei molto che dire; e so che se tu hai veduto Apelle, non
ti
rammaricherai più che tanto che le sue pitture no
pittura e l’architettura, così ancor lo fosse la poesia. [1.80ED] Io
ti
proverò bene l’imperfezion delle prime colle impe
tarle? [1.82ED] Non troviamo in tutto perfetto il tuo Omero; e se ciò
ti
parrà nostra colpa, rispondi al Tassoni e mi quie
la disprezzano. [1.92ED] Ti dei ricordare averti io poco fa detto che
ti
conosceva: questa almeno non è un’impostura. [1.9
ra. [1.93ED] Dal ritratto che sta intagliato in fronte dell’opere tue
ti
ravvisai, ti conobbi nell’alma città di Roma e in
Dal ritratto che sta intagliato in fronte dell’opere tue ti ravvisai,
ti
conobbi nell’alma città di Roma e in una certa co
otto questa parrucca, che mi ha non so se abbigliato o più deformato,
ti
sovviene di questa figura che pur dovrebbe essert
ra dell’Ifigenia in Tauris che almeno per metà è bellissima, e che tu
ti
sei ingegnato d’imitare e di compiere nella tua t
42ED] Dissi che senza questa agnizione può sussistere la tragedia, ma
ti
confido due sorte di agnizioni, senza una almen d
acconti dell’esser tuo, ma non posso già ingannarmi nel crederti qual
ti
conosco, uomo di molta erudizione e dottrina, e p
o di molta erudizione e dottrina, e però nel viaggio che far ci resta
ti
prego a continuarmi la conversazione e la confide
iti a nozze — dicea il contraffatto — invitandomi a simil discorso, e
ti
prometto di parlare con quella chiarezza colla qu
e disprezzarmi. [1.153ED] Ma già tu vedi che alla buona cena di poppa
ti
aspettano i cavalieri; e chi son que’ due che ti
buona cena di poppa ti aspettano i cavalieri; e chi son que’ due che
ti
accennaro? — [1.154ED] Così egli; ed io: [1.155E
galea la distanza dal luogo della rappresentazione ad Eubea, ed egli
ti
dirà quanti giorni egli è uopo spendere in tal vi
farti intendere come io concepisca questa unità, è necessario che io
ti
parli ancora della perfezione che io stimai conve
ne’ miei precetti della tragedia. [2.40ED] Nondimeno, come filosofo,
ti
confesso che non ho affatto da me sradicato il vi
gedia è perfetta quanto più d’aiuti esterni abbisogna. [2.56ED] Ed io
ti
replico che questa è una di quelle perfezioni chi
lle scene; e questo pure non è sempre vero e con gli esempi alla mano
ti
farò vedere il contrario, non volend’io che tu st
ima che lo spettatore s’accorga dell’intenzion di mutare. [2.69ED] Tu
ti
sei trovato a quei rozzi tempi ne’ quali la scena
o in quel libro di sua Poetica che per lui s’intitola Istorico, a cui
ti
riporto per ciò che riguarda le macchine dell’ant
io voluto che ad Alessandro si rappresenti. [2.118ED] Quattro esempli
ti
ho recati: due sono del tuo Sofocle e due del tuo
an per costume di ridersi di tutto quello ch’essi non fanno se tu non
ti
metti dal loro partito, che allora comincerò a cr
della verità quando per Aristotile venga abbracciato. — [3.29ED] — Io
ti
ricordo — replicò il vecchio — che nacqui greco e
? [3.40ED] Tu che hai lette le belle opere del Cornelio e del Racine,
ti
sarai sentito muovere a tenerezza dall’espression
lipso in Omero, fonti inesiccabili di tenerezze amorose, ma parrà che
ti
si mostrino i fonti per farti crescer la sete, no
ito, e di venerabile me lo fa comparir in scena ridevole. [3.73ED] Tu
ti
torci, ma abbi pazienza; io dico male de’ miei Gr
par di te e più di te. [3.74ED] Tu pure mi hai morsicato e per questo
ti
son meno amico? Non ti costringo già ad odiare la
[3.74ED] Tu pure mi hai morsicato e per questo ti son meno amico? Non
ti
costringo già ad odiare la verità per amar troppo
per amar troppo Aristotile. [3.75ED] Con questa piccola protestuccia
ti
dirò ancor qualche cosa sopra la Fedra dello stes
r questa tua condotta ne’ quattro drammi accennati hai tu sentito che
ti
si facciano le fischiate? [3.86ED] Ma nella Perse
o’ che tu creda alla mia parola, perché ritorceresti contro di me che
ti
parlo la mia sentenza; diresti almen fra te stess
ella commedia, e assaggiate che avrai queste due, nel seguente giorno
ti
porterai al Palagio reale, abitazione di monsieur
la Dio mercé, mi son trovato con le orecchie tese a questa tragedia,
ti
assicuro che ho benissimo distinto le rime e che
simo. [4.64ED] E se mai tu mi negassi da accorto loico l’antecedente,
ti
convincerò con l’esempio sopraccennato, a cui non
anto solleticavami il mio ragionare, perché soggiunsi: [4.82ED] — Io
ti
prometto, Aristotile, di affatto disdirmi in tutt
iuttosto che l’alternato si debba scegliere, quando altra ragione non
ti
sovvenga per sostenere il mio impegno; e però in
ED] — Se ben tu mi chiami a palesar con franchezza il mio sentimento,
ti
dorrebbe però (lo conosco) che fosse contrario a
e mi fan gustare anche in udendo il diletto dell’armonia. [4.97ED] Né
ti
dia che pensare la nausea che dal troppo dolce su
versi, scritti l’uno dirimpetto all’altro, preso l’avrebbero e allora
ti
saresti sentito opporre esserti tu servito di un
io palese di questa rima. — [4.106ED] — Io — replicava l’Impostore —
ti
ho detto altre volte che l’imitazione perché dile
alle rime che troppo mettono in vista l’affettazione. [4.117ED] A ciò
ti
rispondo che sbagli se credi che l’ascoltante con
o assiso allo spettacolo della tragedia. [4.120ED] Questa meditazione
ti
arriverà forse nuova, ma mi glorio che quanto più
sconcerto e lo strepito in qualità d’armonia. [4.136ED] E in tal caso
ti
consiglierei per bene delle tue spalle a prendert
7ED] Cosi han fatto i poeti italiani per assicurarsi le spalle che tu
ti
vedi già minacciate per aver voluto quel che sin
nte determinazione del dattilo. [4.143ED] Ne’ versi tronchi pur anche
ti
vo’ accordare non so che di armonico innato; ma q
Carselini, ne’ quali due libri vedrai chiaramente la verità di quanto
ti
espongo. [4.148ED] Di questa natura per lo più so
arsi. — [5.97ED] Allora Aristotile: [5.98ED] — Giacché tu vuoi ch’io
ti
dia qualche regola per un componimento che per pi
e filosofo. [5.99ED] Ed eccomi a soddisfarti. [5.100ED] Se dunque mai
ti
si attraversasse nel capo la ridevol follia di ac
a o sia condizione rilevantissima ho riservata nell’ultimo, acciocché
ti
resti più impressa nella memoria. [5.103ED] Siati
tirai, potresti far credere di voler esporre al popolo una tragedia e
ti
faresti debitor follemente di quelle regole che i
o il verisimile negli accidenti, ma questo diletto tuo verisimile non
ti
sia tanto caro che più non sialo il mirabile. [5.
volentieri. [5.119ED] Ben è però vero che per amore della repubblica
ti
dee piacer l’onestà: con questa l’affetto amoroso
tino e non distruggano l’intenzione del compositor della musica; però
ti
esorto, avanti di tagliar in scene il panno degli
mento non aspettato dagli uditori. [5.129ED] Con questa distribuzione
ti
fo sicurtà per la felice riuscita dell’opera e pi
stribuzione ti fo sicurtà per la felice riuscita dell’opera e più non
ti
rimarrà che il mettere in versi il tuo dramma. [5
per lo più la figura apostrofe è l’anima loro. [5.143ED] Ma di queste
ti
varrai parcamente. [5.144ED] Con la medesima caut
Già la tromba Là dal lido Ne rimbomba: al mare, al mare. [5.161] Ma
ti
sia ben a cuore che in ciaschedun’aria vi sia l’i
eati di misure sì sconcertate e sì incapaci di buona armonia, che non
ti
consiglio adoperare! [5.173ED] Questi metri saran
bilità, massime se lo farai sdrucciolare sino alla cadenza che sempre
ti
esorto ad appianare o a troncare, come sarebbe:
n ribrezzo, onde schifa, e delicata donzella lo sputa. [5.182ED] Però
ti
replico, che le costruzioni si vogliono agevoli;
gge de’ verseggiatori servili, vorrai che chi legge il tuo melodramma
ti
riconosca ancor per poeta, fatti onore nel recita
più ne vorrai, non sperarle senza contrasto, inimicizia e ripulsa; e
ti
basti che le altre si possano non abborrire per l
le tempie con soprani e contralti rimproveri. [5.190ED] Il meglio che
ti
possa accadere sarà il ridurli a capitolare che t
0ED] Il meglio che ti possa accadere sarà il ridurli a capitolare che
ti
si permetta lo stirare su quelle note parole men
193ED] Dei conservare ancora gli accenti, altrimenti le brevi sillabe
ti
pronunzieran lunghe e lunghe le brevi. [5.194ED]
la natura che l’imitarla. [5.202ED] Tu nondimeno, se vuoi vivere, non
ti
lasciar uscir di bocca che sia più difficile il c
amo non confrontano perfettamente con l’idea che ne dai. [5.211ED] Io
ti
replico che nessun’arte arriverà mai all’idea, es
; siccome ho detto altre volte. [5.212ED] Tu lo vedi nell’idea che io
ti
ho suggerita del melodramma. [5.213ED] Pare a te
a del melodramma. [5.213ED] Pare a te che con tutte le cautele che io
ti
ho prescritte e che secondo la ragione melodramma
to, che pure t’imparadisa animato da quelle note, fuori di quelle non
ti
sconcerta se scoppia? [5.224ED] E non muore affat
o del suo naturale, ma dell’altrui. [5.230ED] Ed ecco il modo che non
ti
spiaccia più che tanto la poesia melodrammatica,
ti i vascelli, le galee, le feluche, con forse maggior delizia che se
ti
trovassi presente a que’ luoghi, perché così impi
zione di luogo. [6.21ED] Tu mi troverai pronto a sodisfarti su quanto
ti
verrà talento di chiedermi; e poiché ti sei trova
pronto a sodisfarti su quanto ti verrà talento di chiedermi; e poiché
ti
sei trovato alla tragedia e alla commedia franzes
aio di Modena, Muratori; e però su questo, prima che io passi avanti,
ti
prego a sinceramente instruirmi. — [6.28ED] — Di
il verso greco ed il latino co’ versi franzesi e con gl’italiani, già
ti
ho mostrato che i nostri metri son più colanti e
uovere gli affetti, si accresce notabilmente con quella musica di cui
ti
ho parlato a principio. [6.44ED] E per spiegarmi
ti ho parlato a principio. [6.44ED] E per spiegarmi più chiaramente,
ti
sia noto numerar noi tre sorte di musica, l’una n
he i vostri Franzesi chiamano declamazione, la qual da qui avanti non
ti
parrà più così strana come forse ti è parsa a pri
azione, la qual da qui avanti non ti parrà più così strana come forse
ti
è parsa a principio. [6.48ED] L’altra sorta di mu
cché nulla ben si paragona a sé stesso. [6.59ED] Se ciò per anche non
ti
bastasse, passa al capitolo susseguente e trovera
Franzesi non possono tacciarti di adulatore!, ma né meno ameresti che
ti
tacciassero di satirico, e però esaminiamo la cos
e, come di parlare, trovo in tutte tre i loro vizi e le loro virtù, e
ti
vo’ dar gusto con sentenziare che l’italiano va a
avvien che in te vegga e ch'in te miri e prede e furti, ond’ogni cor
ti
cole, qualora in me tra lascivette fole, i lumi s
di, Merti cinte d’alloro aver le chiome. Un mostro di virtù fan ch’io
ti
nome I rari pregi che in te nutri e chiudi. S’ogg
ascolta soltanto attentamente ciò che son per rivelarti. “Aml. Parla:
ti
prometto ogni attenzione. “Mort. Ascoltato che mi
letto dell’infamia e dell’incesto. Avverti però di qualunque modo tu
ti
accinga all’impresa a non macchiar l’anima con un
iel piacesse che così non fosse. Ah! sete mia Madre. “Reg. E bene, io
ti
porrò alla presenza di chi ti faccia parlare con
e. Ah! sete mia Madre. “Reg. E bene, io ti porrò alla presenza di chi
ti
faccia parlare con più senno. “Aml. Venite, sedet
i con tanta diligenza come se fuggissi dalla morte. Saprai arcani che
ti
renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno cons
dalla morte. Saprai arcani che ti renderanno attonito. Gli stessi che
ti
hanno consegnata la lettera, ti condurranno da me
i renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno consegnata la lettera,
ti
condurranno da me. Guildenstern, e Rosencrantz ha
e morendo dice che il traditore è presente. “Tu sei morto, Amlet, non
ti
resta che mezz’ora di vita; la punta del ferro ch
lla nuova compagnia propostati o che tu hai voluto scherzare……………. ….
ti
rammento ancora che per ora dalla sopraintendenza
le il Monti torna alla carica dicendo : ………………………………….. Ecco ciò che
ti
offro : Posto assoluto di Iª donna – onorario ann
oi essere la prima attrice di codesta Compagnia ; sai quanto i Romani
ti
amano, ed apprezzano il tuo merito singolare…. ….
hino il capo alle circostanze : fa ciò che credi, quello che il cuore
ti
detta. Solo ti prego, qualora nel venturo maggio
le circostanze : fa ciò che credi, quello che il cuore ti detta. Solo
ti
prego, qualora nel venturo maggio tu ti decidessi
o che il cuore ti detta. Solo ti prego, qualora nel venturo maggio tu
ti
decidessi a rimanere nell’arte pel bene della med
rmine ! Mia cara Amalia, soccorri all’amica, acconsenti a tutto ed io
ti
adorerò come una santa, ed infatti tu saresti una
come una santa, ed infatti tu saresti una santa per me e quest’ opera
ti
frutterà mille benedizioni ed ogni felicità. – È
or severo, labro gentile, e fronte maestosa. Ma l’arte, che su i cuor
ti
dà l’impero, e quei modi, con cui tratti animosa
sonare perfettamente dà motivo al presente sonetto : Qualor spirto
ti
fingi in vari manti Mostri in più forme Eularia i
laria il tuo valore Poichè Proteo gentil con tuo' sembianti De'Teatri
ti
fai gloria maggiore. Prode fra l’armi allor ogn’
anza, al s’espon al pericol d’ì sassà del popol. A voi mi pertant che
ti
set l’Asen, ma col cavezon meæ disciplinæ. El por
ces. El Boja, ma pratic, che te possa jugulare ignorantiam. Perchè de
ti
non se possa dir : Asinus ad liram, Porcus ad gla
pubblic par struzer l’ignuranza, avend’i applaus d’i ragazz : e così
ti
sarat l’Asen d’or d’Apulei, ch’ l’era Asen, ma fi
di Tedesc, che avend tajà più melone, al divien cavalier. In sto mod,
ti
t’ sarà l’Asen, al Porc, al Papagal, al Boja, e m
quale possa trattare senza sdegno, con uno, che essendo tu Pantalone
ti
dica. Piantalimon, Petulon, Pultrunzon, e peggio
etulon, Pultrunzon, e peggio ? & poi nel fine dopo mille ingiurie
ti
convenga darli tua figliuola per moglie ? Vn’altr
o Gellio: Senza andare in collera, dimmi di grazia, Filemone, quando
ti
senti proclamar mio vincitore, non arrossisci? F
del Silandro così rechiamo in italiano: Se quando al dì la madre tua
ti
espose Con questa legge tu fra noi venisti, Che a
l mondo: Se tal felicità propizio un nume A te promise, a gran ragion
ti
sdegni: Poichè la fe che ti giurò non serba. Ma s
pizio un nume A te promise, a gran ragion ti sdegni: Poichè la fe che
ti
giurò non serba. Ma se alla stessa legge, a cui s
poi ne di tant’alto al fin cadesti, Ne de’ mali è il maggior quel che
ti
avvenne. Or come saggio, se a’ capricci esposto D
ale disimpegnava le parti di primo attore giovine e primo amoroso : e
ti
posso assicurare che era un bravo giovinotto, pie
e (invano, s’intende) il proprio nome accompagnato dalle parole « non
ti
scordar di me. » Scrisse con entusiasmo pel Fortu
l ruota l’eternità ne’giri suoi predice ; e neppur una (ohimè) sperar
ti
lice dal tuo lungo girar un’ora immota. Col rostr
iuno più riempie; là dove se altro moderno poeta, e grande ancora, tu
ti
finga di non avere esistito, nulla sentirai manca
scoltar le opere maestrevoli di Leo, Durante, Jommelli, Pergolese. Se
ti
si empiono gli occhi di lagrime, se ti palpita il
rante, Jommelli, Pergolese. Se ti si empiono gli occhi di lagrime, se
ti
palpita il cuore, se tutto ti commuovi, ti agiti,
ti si empiono gli occhi di lagrime, se ti palpita il cuore, se tutto
ti
commuovi, ti agiti, e ti senti ne’ tuoi trasporti
o gli occhi di lagrime, se ti palpita il cuore, se tutto ti commuovi,
ti
agiti, e ti senti ne’ tuoi trasporti opprimere, s
di lagrime, se ti palpita il cuore, se tutto ti commuovi, ti agiti, e
ti
senti ne’ tuoi trasporti opprimere, suffocare; pr
scalderà il tuo; col suo esempio tu saprai creare; e gli occhi altrui
ti
renderanno ben tosto il pianto, che ti avranno fa
rai creare; e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto il pianto, che
ti
avranno fatto versare i tuoi maestri. Ma se le gr
are i tuoi maestri. Ma se le grazie incantatrici di questa grand’arte
ti
lasciano in calma, se non hai nè delirio nè trasp
trano ai guardi alteri, agli atti esperti, ch’esser dovresti tal qual
ti
dipingi. Stringer con quella mano, onde tu string
a: Mis. Merita, io questo so, la poverina, Panfilo, che di lei tu
ti
sovvenga. Pan. Ch’io di lei mi sovvenga? Ah in
Per la tua fe, per questa istessa, Panfilo, Derelitta fanciulla, io
ti
scongiuro; Deh non l’abbandonar, se qual fratel
io ti scongiuro; Deh non l’abbandonar, se qual fratello Sempre io
ti
ami, s’ella te solo apprezza, Per te respira, a
ior non ho veduto. Get. Vedi bel paragon di te e di lui. For. Che
ti
venga la rabbia. E s’io per tale Tenuto non l’a
ggito il nome. Dem. E così? For. Geta, il nome suggeriscimi, Se
ti
sovviene, che abbiam detto or ora. Eh, eh non l
Ah s’egli avesse Lasciato mai qualche migliar di scudi. Dem. Che
ti
colga il malanno. For. Allor sareste Primo a
i, e cessi A mezza strada, se da lei lontano Dimostri che la vita
ti
rincresca, E senza esser chiamato, e nel più fo
E senza esser chiamato, e nel più forte Del cruccio, da te stesso
ti
presenti Alla sua soglia, e l’amor tuo palesi,
ri, Tu sei perduto. Si avvedrà che schiavo, Che in lacci sei, che
ti
dibatti invano, E del suo fasto diverrai lo sch
Con poco, abbi l’intento ancor con molto, E con quanto possiedi, e
ti
consola. Fed. Così tu pensi? Par. E così far
ami, me desti, me sogni e aspetti, A me pensi, in me speri, e in me
ti
allegri, In somma che di me tutta tu sii, Qua
Quello è squisito, raro: un’ altra volta Che tu lo debba cuocer,
ti
rammenta Di non mutare intingoli; ed a tutti,
elegante traduttore: . . . . . . . Or dimmi un poco In qual città
ti
credi tu di stare? Facesti oltraggio ad una ver
rgli alcun rimedio? Forse da te cercasti a provvederci? O già che
ti
prendea di me vergogna, Nè da te stesso mel vol
a sventurata Hai rovinato, ed anco il tuo figliuolo, Per quel che
ti
appartenne. Ti credevi, Che a te, dormendo coll
ero gli dei porgere aita? E menarti la sposa insino al letto? Non
ti
vorrei nel resto delle cose Negligente, conform
al corpo il corrotto assai grande. Quando la sorella della Fulvia che
ti
ho detto, fattasi senza aver riguardo alla bocca
scatola benedetta e sospirata, non posso esprimerti il contento. Dio
ti
benedica e ti conceda immensi beni come meriti, c
etta e sospirata, non posso esprimerti il contento. Dio ti benedica e
ti
conceda immensi beni come meriti, come brami, e c
evolo Sileno dandogli del vino. Morde questo licoro (dice Ulisse) ?
ti
sollecita dolcemente la gola? Per Bacco (rispond
leno è rubicondo fuor dell’usato. Chi ha legato questi capretti? Chi
ti
ha dato de’ pugni sul viso? Parla. Sileno sbigot
a in lui commesso quest’eccesso? Niuno , ei risponde. Di chi dunqne
ti
lagni , ripiglia il Coro, se niuno colpa al tuo m
ggiadria, che Demetrio attonito e rapito proruppe in queste voci: Io
ti
ascolto, attore insigne, non che ti veggo. V
pito proruppe in queste voci: Io ti ascolto, attore insigne, non che
ti
veggo. VII. Neurospasti Quali ordign
enevolo Sileno dandogli del vino. Morde questo licore? (dice Ulisse);
ti
solletica dolcemente la gola? Per bacco (risponde
ileno è rubicondo fuor dell’usato. Chi ha legati questi capretti? Chi
ti
ha dato de’ pugni sul viso? Parla. Sileno sbigott
bbia in lui commesso quest’eccesso? Niuno, ei risponde. Di chi dunque
ti
lagni, ripiglia il coro, se niuno colpa al tuo ma
eggiadria, che Demetrio attonito e rapito proruppe in queste voci: Io
ti
ascolto, attore insigne, non che ti veggo. VII
apito proruppe in queste voci: Io ti ascolto, attore insigne, non che
ti
veggo. VII. Neurospasti. Quali ordigni, qu
e conchiudeva : « così si scrive, benedetto Iddio ; così lo scrittore
ti
afferra, e ti stampa nell’anima ciò ch’egli vuole
: « così si scrive, benedetto Iddio ; così lo scrittore ti afferra, e
ti
stampa nell’anima ciò ch’egli vuole. » Ho detto
nni non pensi allor che accovacciato sul pavimento dell’aprica stanza
ti
scaldi taciturno a’ rai del sole, ed all’ insetto
prica stanza ti scaldi taciturno a’ rai del sole, ed all’ insetto che
ti
ronza intorno volgi obliquo lo sguardo, e lo soll
iasmi della giovinezza adorasti, perchè di lei, e della tua vita, non
ti
fosse ignota nessuna delle gioie, delle soddisfaz
un rifugio ed un pane alla Compagnia Moncalvo, nella quale, come già
ti
dissi, la paga veniva come la febbre terzana, se
orre il pianto. Dammi, o Amalia, una lagrima di quelle che dal ciglio
ti
piovono qualora accusi a' mali tuoi sorde le stel
annunzia grandissimi guai a’ Megaresi! Guer. O Sicilia, in mal punto
ti
trovi tu nel fondo del mio mortajo; tu sarai pest
Ceramico. Bac. E poi? Erc. Vi vedrai più bassa una lampada, e se chi
ti
vede vorrà farti la carità di mandarti giuso, vi
mandarti giuso, vi anderai. Bac. Dove? Erc. Abbasso. Bac. Tu vuoi che
ti
rompa la testa. Io non vo’ miga andar per siffatt
alude profonda. Bac. E come la passerò io? Erc. Un vecchio barcajuolo
ti
tragetterà, se gli darai due oboli. Bac. Oh oh! a
un venditore di frumento sono stato burlato di mezzo stajo. Socr. Non
ti
parlo io di questo ma di misure metriche. Dimmi q
tte la Luna e chiusala in un vaso rotondo me la serbassi? Socr. E che
ti
gioverebbe? Strep. Se non nascesse più la Luna, n
po del pagamento. Propone indi Socrate un’altra quistione. Socr. Se
ti
fosse scritta una pena di cinque talenti, in che
li dice il padre tardi accorto del proprio errore); con tali eccessi
ti
getterai da te stesso col tuo abominevole maestro
razia che mi scopriranno! Pist. Caro Prometeo, io… Prom. Non gridare,
ti
dico. Pist. Perchè? Prom. Non nominarmi; me la pa
non sia veduto dagli Dei. Pist. Ottima invenzione e di te degna. Ecco
ti
copro. Dì su ora senza timore. Prom. Odi adunque.
la voce chioccia e spiacevole, sei cattivo, sei plebeo, e gli oracoli
ti
favoriscono. E chimi ajuterà? dice Agoracrito. I
emostene: Havvi un migliajo di Cavalieri dabbene che odiano Cleone; e
ti
ajuteranno; havvi un buon numero di ottimi discre
havvi un buon numero di ottimi discreti cittadini e di spettatori che
ti
proteggeranno; ed io con tutti questi ti spallegg
ittadini e di spettatori che ti proteggeranno; ed io con tutti questi
ti
spalleggerò. Non temere, no; che sebbene per la p
son battuto. Pop. Da costui son battuto.E perchè questo? Cle. Perchè
ti
sono spasimato amante, Perchè ti adoro. Pop. Per
battuto.E perchè questo? Cle. Perchè ti sono spasimato amante, Perchè
ti
adoro. Pop. Perchè ti adoro.E tu chi sei? rispon
? Cle. Perchè ti sono spasimato amante, Perchè ti adoro. Pop. Perchè
ti
adoro.E tu chi sei? rispondi. Salc. Son di costui
Perchè ti adoro.E tu chi sei? rispondi. Salc. Son di costui rivale, e
ti
amo, e bramoti Da lungo tempo, e di giovarti stru
Oimè, tu siedi in queste dure pietre, Nè costui n’ha pietà. Sorgi, io
ti
arreco Un buon guanciale sprimacciato, adagiati B
orbiti Dagli occhietti la cispa. Cle. Dagli occhietti la cispa.Ah se
ti
moccica Talora il naso, o mio buon babbo, in graz
el peso che porta nel ventre, cammina con tanta pena, avrà partorito,
ti
prego di mandarmene il dolce avviso, e di farmi s
del l’incudi; non vuole abbandonare la sua liberatrice» «Sac. Perchè
ti
affliggi, o caro, alla mia partenza? Io ti alleva
liberatrice» «Sac. Perchè ti affliggi, o caro, alla mia partenza? Io
ti
allevai allorchè perdesti la madre poco dopo del
zio rispettoso ed umil tua lingua arresta ; che dall’incarco grave io
ti
licenzio e ad esso supplirà mente più desta. Inta
i licenzio e ad esso supplirà mente più desta. Intanto a ragionare io
ti
sentenzio della Carnovalesca e lieta festa, che d
gemme false dalle gemme vere ; giacchè di prender moglie immantinente
ti
venne il tanto natural pensiere, vuò dirti ciò ch
ta serba, e vedrai, che in ciò tutto riposa la sola Pace, che a goder
ti
resta. Tratto dall’amor della scena, entrò in un
ascolta soltanto attentamente ciò che sono per rivelarti. Aml. Parla;
ti
prometto ogni attenzione. Mor. Ascoltato che mi a
letto dell’infamia e dell’incesto. Avverti però di qualunque modo tu
ti
accinga all’impresa a non macchiar l’anima con un
ciel piacesse che così non fosse. Ah siete mia madre! Reg. E bene io
ti
porrò alla presenza di chi ti faccia parlare con
sse. Ah siete mia madre! Reg. E bene io ti porrò alla presenza di chi
ti
faccia parlare con più senno. Aml. Venite, sedete
con tanto diligenza, come se fuggissi dalla morte. Saprai arcani che
ti
renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno cons
dalla morte. Saprai arcani che ti renderanno attonito. Gli stessi che
ti
hanno consegnata la lettera, ti condurranno da me
i renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno consegnata la lettera,
ti
condurranno da me. Guildestern e Rosencrantz hann
orendo dice, che il traditore è presente . Tu sei morto, Amlet, non
ti
resta che mezz’ora di vita; la punta del ferro ch
’80 ! Quante ansie ! Che dolorosi dubbi (effetto di modestia innata)
ti
tormentavano ! E che gioja infantile allorchè un
uisa: Mis. Merita, io questo so, la poverina, Panfilo, che di lei tu
ti
sovvenga. Pan. Che io di lei mi sovvenga? Ah in m
, Per la tua fe, per questa istessa, Panfilo, Derelitta fanciulla, io
ti
scongiuro; Deh non l’abbandonar, se qual fratello
la, io ti scongiuro; Deh non l’abbandonar, se qual fratello Sempre io
ti
amai, s’ella te solo apprezza, Per te respira, a’
miglior non ho veduto. Get. Vedi bel paragon di te e di lui. For. Che
ti
venga la rabbia. E s’io per tale Tenuto non l’ave
ito il nome! Dem. E così? For. E così?Geta, il nome suggeriscimi, Se
ti
sovviene, che abbiam detto or ora) Eh eh, non lo
gna! Ah s’egli avesse Lasciato mai qualche migliar di scudi. Dem. Che
ti
colga il malanno. For. Che ti colga il malanno.A
mai qualche migliar di scudi. Dem. Che ti colga il malanno. For. Che
ti
colga il malanno.Allor saresti Primo a dir su a m
ano E senza esser chiamato, e nel più forte Del cruccio, da te stesso
ti
presenti Alla sua soglia, e l’amor tuo palesi, E
bberri, Tu sei perduto. Si aviedrà che schiavo, Che in lacci sei, che
ti
dibatti invano, E del suo fasto diverrai lo scher
oi Con poco, abbi l’intento ancor con molto, E con quanto possiedi, e
ti
consola. Fed. Così tu pensi? Par. Così tu pensi?
ami, me desii, me sogni, e aspetti, A me pensi, in me speri, e in me
ti
allegri; In somma che di me tutta tu sii, Quando
tro; Quello è squisito, raro: un’ altra volta Che tu lo debba cuocer,
ti
rammenta Di non mutare intingoli; ed a tutti, Per
egante traduttore: Or dimmi un poco In qual città
ti
credi tu di stare? Facesti oltraggio ad una vergi
a dargli alcun rimedio? Forse da te cercasti a provvederci? O già che
ti
prendea di me vergogna, Ne da te stesso mel voles
ella sventurata Hai rovinato, ed anche il tuo figliuolo, Per quel che
ti
appartiene. Ti credevi, Che a te, dormendo colla
vessero gli Dei porgere aita? E menarti la sposa insino al letto? Non
ti
vorrei nel resto delle cose Negligente, conforme
al corpo il corrotto assai grande. Quando la sorella della Fulvia che
ti
ho detto, fattasi senza aver riguardo alla bocca
ra a’ le tue palme, e’ a’ tuoi trofei s’inchina, et per l’onda vicina
ti
porge il Re de l’acque arene d’oro ; ond’io humil
ose, che per formarti il volto, Amor compose ? Ond’ hebbe l’ or, che
ti
fa biondi i crini ? Di qual Sol gli occhi ? et d
nnunzia grandissimi guai a’ Megaresi! Guer. O Sicilia, in mal punto
ti
trovi tu nel fondo del mio mortajo; tu sarai pest
amico. Bac. E poi? Erc. Vi vedrai più bassa una lampada, e se chi
ti
vede vorrà farti la carità di mandarti giuso, vi
rti giuso, vi andrai. Bac. Dove? Erc. Abbasso. Bac. Tu vuoi che
ti
rompa la testa. Io non vò miga andar per siffatte
e profonda. Bac. E come la passerò io? Erc. Un vecchio barcajuolo
ti
tragetterà, se gli darai due oboli. Bac. Oh oh!
n venditor di formento sono stato burlato di mezzo stajo. Socr. Non
ti
parlo io di questo, ma di misure metriche, Dimmi
e la luna e chiusala in un vaso rotondo me la serbassi? Socr. E che
ti
gioverebbe? Strep. Se non nascesse più la luna,
del pagamento. Propone indi Socrate un’ altra questione: Socr. Se
ti
fosse scritta una pena di cinque talenti, a che m
gli dice il padre tardi accorto del proprio errore), con tali eccessi
ti
getterai da te stesso col tuo abominevole maestro
mi scopriranno! Pist. Caro Prometeo, io . . . Prom. Non gridare,
ti
dico. Pist. Perchè? Prom. Non nominarmi; me l
n sia veduto daglì dei. Pist. Ottima invenzione e di te degna. Ecco
ti
copro. Di su ora senza timore. Prom. Odi adunqu
la voce chioccia e spiacevole, sei cattivo, sei plebeo, e gli oracoli
ti
favoriscono. E chi mi ajuterà? dice Agoracrito. I
emostene: Havvi un migliajo di cavalieri dabbene che odiano Cleone, e
ti
ajuteranno; havvi un buon numero di ottimi discre
havvi un buon numero di ottimi discreti cittadini e di spettatori che
ti
proteggeranno, ed io con tutti questi ti spallegg
ittadini e di spettatori che ti proteggeranno, ed io con tutti questi
ti
spalleggerò. Non temere no; che sebbene per la pa
torto Da costui son battuto. Pop. E perchè questo? Cle. Perchè
ti
sono spasimato amante, Perchè ti adoro. Pop.
p. E perchè questo? Cle. Perchè ti sono spasimato amante, Perchè
ti
adoro. Pop. E tu chi sei? rispondi. Salc. Son
adoro. Pop. E tu chi sei? rispondi. Salc. Son di costui rivale, e
ti
amo, e bramoti Da lungo tempo, e di giovarti st
mè, tu siedi in queste dure pietre, Nè costui n’ha pietà. Sorgi, io
ti
arreco Un buon guanciale sprimacciato, adagiati
di lepre, o caro, e forbiti Dagli occhietti la cispa. Cle. Ah se
ti
moccica Talora il naso, o mio buon babbo, in gr
lo Gellio: Senza andare in collera, dimmi di grazia, Filemone, quando
ti
senti proclamar mio vincitore, non arrossisci? Fi
onsultata la traduzione del Silandro: Se quando al dì la madre tua
ti
espose, Con questa legge tu fra noi venisti,
ndo: Se tal felicità propizio un nume A te promise, a gran ragion
ti
sdegni, Poichè la fe che ti giurò, non serba.
o un nume A te promise, a gran ragion ti sdegni, Poichè la fe che
ti
giurò, non serba. Ma se alla stessa legge, a cu
i nè di tant’alto al fin cadesti, Nè de’ mali è il maggior quel che
ti
avvenne. Or come saggio, se a’ capricci esposto
la Fama, e i più canori Cigni, che al Reno stanno e all’Arno intorno,
ti
ornaro il Crin dei meritati allori. Quando sciogl
quel Sonetto, che comincia, Lidia mia, il di, che d’ Adrian per sorte
ti
strinse amor con mille nodi l’alma, io vidi il ma
un amplesso. Ditemi , aggiugne, ditemi almeno: mio figlio, Bruto non
ti
odìa; basterà questa parola a rendermi la gloria
Sperato invan di questa età cadente, Sorgi, abbraccia tuo padre : ei
ti
condanna, Ma se Bruto non era, ei ti salvava. Oim
Sorgi, abbraccia tuo padre : ei ti condanna, Ma se Bruto non era, ei
ti
salvava. Oimè! del pianto che in sì larga vena, S
vava. Oimè! del pianto che in sì larga vena, Sgorga dagli occhi miei,
ti
bagno il volto. Va, non t’indebolir: porta al sup
on trovo. Più Romano di me mostrati a Roma. Roma di te si vendichi, e
ti
ammiri. Le poetiche di tutti i possibili Marmont
ernel. Egisto risponde da discendente di Alcide, rendimi il ferro, e
ti
risponderò, e conoscerai, Qui de nous deux, perf
io, poichè il tuo braccio Vibrommi il colpo micidial, m’impone. Ch’io
ti
compianga e ti perdoni. Alv. Ch’io ti compianga
uo braccio Vibrommi il colpo micidial, m’impone. Ch’io ti compianga e
ti
perdoni. Alv. Ch’io ti compianga e ti perdoni.Ah
olpo micidial, m’impone. Ch’io ti compianga e ti perdoni. Alv. Ch’io
ti
compianga e ti perdoni.Ah figlio, La tua virtude
m’impone. Ch’io ti compianga e ti perdoni. Alv. Ch’io ti compianga e
ti
perdoni.Ah figlio, La tua virtude al tuo coraggio
us. Forzar me stesso al pentimento? Io voglio Anche di più : forzar
ti
vò ad amarmi. Alzira insino ad or non è vissuta C
stinata al maggiore degli eroi di Venezia, ho creduto ch’egli con ciò
ti
avesse voluto indicare, ed ho dato di buon grado
i; ma non vi è altra via che il palazzo di Spagna. Bianca: ah in esso
ti
segue la morte! Montcassin: e quì l’obbrobrio ti
. Bianca: ah in esso ti segue la morte! Montcassin: e quì l’obbrobrio
ti
copre bisogna dunque incontrarla, e parte. Contar
sono i siti che nel medesimo sito, per così dire, rappresentano. Qua
ti
raccapriccia una veduta di scogli artifiziosament
, di caverne e di grotte, dove fanno giocare variamente il lume; e là
ti
ricrea una veduta di fioriti parterri, di limpidi
i belli edifizi che nelle acque si specchiano. Dal sito il più orrido
ti
fanno tutto a un tratto trapassare al più ameno;
: Dal pigro sonno, che con gli ozj suoi neghittoso alle fredde ombre
ti
rese, alma risorgi, e fa al mio cor palese quell’
urale il suo sentenziare e non pedantesco, come quello di Seneca, che
ti
pare un ragazzo sortito or ora dal liceo, o come
ente e un idolatra è tolto dalla Betulia liberata: «Achiorre. Ma non
ti
basta Ch’io veneri il tuo Dio? Ozia. No. C
e nemico L’autorità non vaglia. Uom però sei, La ragion
ti
convinca. A me rispondi Con animo tranquil
cagion? Ach. No. Oz. D’una in altra Passando col pensier, non
ti
riduci Qualche cagione a confessar, da cui
isciogliermi non so. Ma non per questo Persuaso son io. D’arte
ti
cedo, Non di ragione. E abbandonar non vog
natura non che i turbini e le tempeste s’affrettano ad ubbidire; ora
ti
si appresenta uno spettacolo degno dei numi, cioè
ndogli il suo cuore, gli abbiano fatto il dono d’un impero; in questa
ti
laceran l’anima i trasporti misti di rabbia e di
nnello, che atteggia ogni movimento, che colorisce ogni muscolo e che
ti
fa quasi vedere e toccare le cose rappresentate;
lderà il tuo; tu sarai creatore al di lui esempio, e gli occhi altrui
ti
renderanno ben tosto quei pianti ch’egli ti avrà
empio, e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto quei pianti ch’egli
ti
avrà costretto a versare.» 101 Ma per risentire c
e le foglia di giacinto, E del sentier io n’era scorta e guida. Allor
ti
vidi, allor divenni amante. E da quel giorno in p
i del greco poeta! Che raffinamento in quelli dell’italiano! Il primo
ti
fa vedere il ciclope selvaggio di Omero, il Polif
ero, il Polifemo originale, come lo troviamo nella storia. Il secondo
ti
rappresenta un Polifemo del secolo dieciottesimo,
el Re Pastore: «Dal dì primiero Che ancor bambina io
ti
mirai, mi parve Amabile, gentile Quel pastor, que
o Pronta sempre la mano Del pescator, ch’or
ti
salvò dall’onde, Credimi, non avrai.
ivina l’arte trasfonde l’ immortal suo spiro al guardo e all’atto che
ti
fan regina ; negli arcani del tuo vivo sospiro og
felice illusïon cortese del tuo bel cor, tu me la serba, e forse tal
ti
parrò qual mi fingesti. A voi dunque mi volgo, ab
amerà la vivida pupilla ; Certo di vena in vena a poco a poco Scender
ti
sentirai soavemente Il tuo core a tentar gioia m
ggi consorte. Oh del re rara sorte! Mai sì vaga e sì lieta io non
ti
vidi! Sangar. Ati però così d’amor nemico Del
? . . . piangi? La mia fiamma funesta Forse qualche pietà nel sen
ti
desta? Sangar. Ati, la sorte tua di pianto è de
i pianto è degna, E pur tutta non sai la tua sventura. Ati. Ah se
ti
perdo, ah se a morir son presso Che mi resta a
i fortuna amico Ti vegga unita trarre i dì felici? No, caro padre (io
ti
dicea pendendo Da le tue guance ch’oggi ancora io
ue guance ch’oggi ancora io tocco) Non fia mai ver che in vecchia età
ti
lasci. No, no, teco io vivrò: tu mi nutristi, Io
ciar ver la tremante preda. Nutrice Deh ritorna in te stessa: in quai
ti
perdi Vani pensieri! Oimè, cacce, foreste, Ombre,
uperbo, Or più non fia che a le nemiche genti Inaccessibil rocca Asia
ti
appelli, Che già di Greche squadre un nuvol dens
’ muri i sassi informi D’orride strisce di fuligin tinti. Ahi più non
ti
vedrò! Mai più le vaghe Tue spaziose vie, Non cal
i crudeli. Ah tu morrai, E di tuo padre il nome, Che tanti ne salvò,
ti
fia funesto. A che sei tu d’Ettore figlio, io sp
angi? Prevedi il tuo destin. Perchè mai stringi L’imbelle madre tua e
ti
raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sot
ti al precipizio orrendo? Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò
ti
porsi il seno e del mio sangue Io ti nutrii?.. Vi
ggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno e del mio sangue Io
ti
nutrii?.. Vieni, ben mio, ricevi Gli ultimi ample
a un amplesso. Ditemi (aggiugne) ditemi almeno, mio Figlio, Bruto non
ti
odia; basterà questa parola a rendermi la gloria
nel. Egisto risponde da discendente di Alcide: rendimi il ferro, e
ti
risponderò, e conoscerai Qui de nous deux, per
poichè il tuo braccio Vibrommi il colpo micidial, m’impone Ch’io
ti
compianga e ti perdoni. Alv. Ah figlio, La tu
braccio Vibrommi il colpo micidial, m’impone Ch’io ti compianga e
ti
perdoni. Alv. Ah figlio, La tua virtude al tu
rzar me stesso al pentimento? Gus. Io voglio Anche di più: forzar
ti
vo’ ad amarmi. Alzira insino ad or non è vissut
Sperato invan di questa età cadente, Sorgi, abbraccia tuo padre: ei
ti
condanna, Ma se Bruto non era ei ti salvava.
Sorgi, abbraccia tuo padre: ei ti condanna, Ma se Bruto non era ei
ti
salvava. Oimè! del pianto che in sì larga vena
a. Oimè! del pianto che in sì larga vena Sgorga dagli occhi miei,
ti
bagno il volto! Va, non t’indebolir: porta al s
trovo; Più Romano di me mostrati a Roma. Roma di te si vendichi e
ti
ammiri. 36. Quel tetro e forte che hanno sa
che di te stessa tu stessa sei nemica. Tel perdonino i figli, il ciel
ti
benedica. Cominciò Achille a sostener nel '40 co
pel peso che porta nel ventre, camina con tanta pena, avrà partorito,
ti
prego di mandarmene il dolce avviso e di farmi sa
ll’incudi; non vuole abbandonare la sua benefattrice”. “Sacon. Perchè
ti
affliggi, o caro, alla mia partenza? Io ti alleva
efattrice”. “Sacon. Perchè ti affliggi, o caro, alla mia partenza? Io
ti
allevai allorchè perdesti la madre, poco dopo del
polo ! Popolo ! È bontà la tua, o [illisible chars] ? Un Erve di Roma
ti
parla Bolognese vestito da [illisible chars], e t
orte uccelli, ………… Ardelia dice : E tu, Titiro mio, se mi compiaci,
ti
vo' donar una bella ghirlanda da verginelle mani
Folle, debol… Regina!A un uom perverso Di te obbliata, a un traditor
ti
rendi! Bia. Confusa io son! Reg. Confusa io son!
. E di che è tempo?Di pensar ch’è questa L’ultima volta, oimè, ch’io
ti
favello, Che tu mi vedi.. Addio… Ti amai, lo sai.
rlo? In fin son moglie. Vanne, tel dissi già, lasciami, parti, Chè se
ti
miro più perdermi posso, E perdermi non vò. Die.
a. E la tua vita? Oggi finisca.E il mio Consorte? Die. Consorte?Non
ti
goda. Isa. Consorte? Non ti goda.E i miei parent
ca.E il mio Consorte? Die. Consorte?Non ti goda. Isa. Consorte? Non
ti
goda.E i miei parenti? Die. Versin tutto il mio s
ni di un altro in braccio? Il giusto cielo Mi vendichi di te ; l’aria
ti
manchi, Ti nieghi il sol la luce, e del tuo sangu
sposo, mio signor, tua schiava io sono, Fa di me quel che vuoi. Ma se
ti
offesi, Se nel tuo sdegno incorsi, uccidi, mora L
giar catena. Splenda a te sempre mai propizio il sole, Placida l’aura
ti
vezzeggi, un terso Specchio l’acqua ti sia, per t
opizio il sole, Placida l’aura ti vezzeggi, un terso Specchio l’acqua
ti
sia, per te la terra In ridente giardin tutta si
uel gelo Che suol provarsi ancor per chi si abborre? Se amor non può,
ti
renda onor geloso. Io pure udii dal labbro tuo ta
del Cagneria Chè se per non serbar la data fede, Fuggir mi vuoi, ben
ti
prometto e giuro Obbliarla per sempre ed in un ch
vedesti, e rispettata Nella patria da nobili e volgari. Ti ascoltai,
ti
credei ; patria ed onore O memoria crudel !) per
an. Regina! Reg. A un uom perverso Di te obbliata, a un traditor
ti
rendi? Bian. Confusa io son! Reg. Sì l’onor t
e è tempo? Isa: Di pensar ch’è questa L’ultima volta, oimè, ch’io
ti
favello, Che tu mi vedi . . . addio . . . . Ti
? infin son moglie. Vanne, tel dissi già, lasciami, parti, Che se
ti
miro più, perdermi posso, E perdermi non vo’.
i che sei mia. Isa: Non è più tempo. Die: Uccidimi. Isa: Io che
ti
amo? Die: Segui dunque ad amarmi: Isa: Ah nob
tua vita? Die: Oggi finisca. Isa: E il mio Consorte? Die: Non
ti
goda. Isa: E i miei parenti? Die: Versin tutt
i di un altro in braccio? Il giusto cielo Mi vendichi di te: l’aria
ti
manchi, Ti nieghi il sol la luce, e del tuo san
oso, mio signor, tua schiava io sono, Fa di me quel che vuoi. Ma se
ti
offesi, Se nel tuo sdegno incorfi, uccidi, mora
catena. Splenda a te sempre mai propizio il sole, Placida l’aura
ti
vezzeggi: un terso Specchio l’acqua ti sia: per
io il sole, Placida l’aura ti vezzeggi: un terso Specchio l’acqua
ti
sia: per te la terra In ridente giardin tutta s
gelo Che suol provarsi ancor per chi si abborre? Se amor non può,
ti
renda onor geloso. Io pure udii dal labbro tuo
agnerì 112. Che se per non serbar la data fede Fuggir mi vuoi, ben
ti
prometto e giuro Obbliarla per sempre ed in un
esti, e rispettata Nella patria da nobili e volgari. Ti ascoltai,
ti
credei, patria ed onore (O memoria crudel!) per
nda l’anima dolente lagrime dolci nel suo dolce errore, e chi t’ode e
ti
mira, o Prode, il sente. Chi mi suggerisce ora l
sacrilega man ritraggi, o Iddio…. Ard. È Dio dei forti e sta con me,
ti
prostra. Arn. Sacrilegio ! Empietà ! Ard. Gracc
; Ne arrossirei: lieto a’ miei ferri io torno. Rom. Ah Romeo, che
ti
resta? . . Infamia e amore. I passi poi che a m
le e del patetico che serpeggia in questa favola: Orm. Padre amato,
ti
lascio . . . ed or che il cielo Pietoso a’ miei
no T’opponi a’ miei disegni. Enr. T’opponi a’ miei disegni. E chi
ti
sforza Ad esser teco sì crudel? Ana. Ad esser
poso, Io manco . . . io moro. Fer. Io manco . . . io moro. Io pur
ti
seguo, o sposa . . . Ma dove sei? . . più non t
. io moro. Io pur ti seguo, o sposa . . . Ma dove sei? . . più non
ti
veggio . . . ah dammi . . . Anagilda la mano .
. Nella scena 5 esce Osmida che dice a Gerbino Il fuggitivo piè non
ti
sottrasse All’ira mia. O ch’io m’inganno, o i
a invendicate. Aggiugne, Del tuo periglio nè pensier di regno Più
ti
siede sul cor ligio d’amore, il che vorrebbe di
erfido (ripiglia Geldippe) mi hai sedotta, mi hai fatto confessar che
ti
amo, per lasciarmi e per vantarti del tuo trionfo
a una bugia con dire, Misero figlio, dal materno seno Deh chi mai
ti
strappò, misero figlio, e ciò benchè niuno Ulis
i produrti, o figlio . . . Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò
ti
porsi il seno, e del mio sangue Io ti nutrii?” m
ggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno, e del mio sangue Io
ti
nutrii?” ma Iroldo ciò copiando fa dire ad Elisa
espresso, gli dice, “Perchè mai stringi L’imbelle madre tua, e
ti
raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge Sot
povertà sbandisci In un coll’oro, ella dell’oro è figlia: Del tuo
ti
spoglia: i cittadin pareggia: Te fa Spartano, e
scongiuro . . . . Ardisci, ardisci, il laccio infame scuoti, Che
ti
fa nullo a’ tuoi stessi occhi, e avvinte Ti tie
nomi stravaganti? “Epid. Sì, sì; ma il cortile addosso? “Peri. Forse
ti
maravigli che all’abito che esse portano, diano i
minacci me con quel funesto presagio tuo più che te stesso . . . Non
ti
smarrire, son tua, voglio esser tua... Non so mor
lano, che pur la domanda: . . . . Or con te stessa T’avvisa . . .
ti
consiglia . . . Fra lor decidi . . . a qual tu
propone. Quando poi egli dice, Così comprendo Che a Ricimero
ti
stringe Consuetudine, affetto, più grossolana
vita Esser signor dovea . . . (sento morirmi!) . . . Vivi, e di me
ti
risovvieni. E quando Pur (e he il dovrai) altra
speres, no, que, si te pierdo, viva. Isabel. Si algun dominio sobre
ti
conservo, yo sabré . . . Mas parece que à esta pa
le, & il suo figlio Pirro, ancor di Troja Ettòr quel Semideo. Non
ti
pensar che col veloce giro di sta mia spada mi fe
no le medesime fanfaronate e più volte le medesime parole : …. oh io
ti
giuro che il letto dove io dormo è fatto tutto de
la Andromeda ? Quell’anco io fui. E ne’tempi meno antichi, dimmi, chi
ti
dài tu a credere che fusse colui, che in quel fam
e però coloro ed io siamo gl’istessi, anzi con la medema dottrina io
ti
potrei giurare di tenermi nel corpo non solo l’an
i, nella traduzione italiana ch’egli stesso ne dà. Ben habbia quando
ti
vidi ; coteste treccie son ligami d’oro, funi, e
felice un tanto onore, che’l mondo in premio de le tue fatiche lieto
ti
porge, e ne ringrazia il cielo ; quindi avverrà c
tuo sposo che com’io gli perdoni. Addio. Perselide Ma forse in guerra
ti
chiamano i perigli ? Preserveranti i numi a quai
rla non si sovviene di quel patetico animato ma umano, e naturale che
ti
riempie in ogni scena e ti trasporta in Messenia
patetico animato ma umano, e naturale che ti riempie in ogni scena e
ti
trasporta in Messenia ? Chi non si compiace di qu
eri ? del mirabile vivo ritratto di una madre ? della dolce forza che
ti
fanno le passioni espresse in istil nobile ed acc
l, non traditore ? E il vero Tu mi narri, Alcimene ? Alcimene Il ver
ti
narro. Ed altrove lo rammenta al re lo stesso Al
ico mancando per debolezza : Figli…Guelfo…ove siete ?no…io muojo, E
ti
perdouo. Nino… io muojo, E ti perdouo. Niccolò G
Figli…Guelfo…ove siete ?no…io muojo, E ti perdouo. Nino… io muojo, E
ti
perdouo. Niccolò Grescenzio region professore di
sta favola, se ne vegga lo squarcio seguente. Ormesinda Padre amato,
ti
lascio… ed or che il cielo Pietoso a’ miei lunghi
o soffrirlo ? Anagilda Invano Ti opponi a’ miei disegni. Enrico E chi
ti
sforza Ad esser teco sì crudel ? Anagilda Virtude
pure al tuo Fernando.. ah sposo ! Io manco… Io moro… Fernando Io pur
ti
seguo, o sposa.. Ma dove sei ?… più non ti veggio
… Io moro… Fernando Io pur ti seguo, o sposa.. Ma dove sei ?… più non
ti
veggio… ah dammi, Anagilda, la mano… ecco la mia
to, Hai tu vaghezza Di grande tanto divenir che alcuno Pareggiar non
ti
possa ? Ardisci, o Carlo, D’alzare oltre te stess
ll’esser condotta al Dey : Signor, mi lascia Al mio destino… Il ciel
ti
ricompensi Di tua bontà… Morir m’era dovuto : Acc
ri, Ne arrossirei : lieto a’ miei ferri io torno. Romeo Ah Romeo, che
ti
resta ?.. Infamia e amore. I passi che a me pajo
, Nel petto, Nell’amor de’vassalli. Abbiti questo, Signor, nè d’altro
ti
curar. Se tuo Delle tue genti è il cor, solleva u
rri, e circondarti il fianco. Ma se lo perdi, un milion di brandi Non
ti
assicura. Non ha forza il braccio, Se dal cor non
e il fratello l’ uccide : Eteocle Vendetta è alfin compiuta. Moro, e
ti
abborro ancor. Polinice Pena al delitto Ottengo p
e ti abborro ancor. Polinice Pena al delitto Ottengo pari… io morc, e
ti
perdono. La dissomiglianza che ha posta Alfieri
: povertà sbandisci In un coll’oro, ella dell’oro è figlia. Del tuo
ti
spoglia : i cittadin pareggia : Te fa Spartano, e
rimo Te ne scongiuro…… Ardisci, ardisci, il laccio infame scuoti, Che
ti
fa nullo a’tuoi stessi occhi, e avvinto Ti tiene
viluppare del Ferrarese senza copiarlo con impudenza da plagiario che
ti
ruba e ti rinnega. Seguì per lo più le orme di Pl
del Ferrarese senza copiarlo con impudenza da plagiario che ti ruba e
ti
rinnega. Seguì per lo più le orme di Plauto, ma n
te oggi consorte. Oh del re rara sorte! Mai sì vaga e sì lieta io non
ti
vidi! Sangaride Ati però così d’amor nemico Della
tua di pianto è degna, E pur tutta non sai la tua sventura. Ati Ah se
ti
perdo, ah se a morir son presso, Che mi resta a t
o sventurato o reo? Chi sei? qual tuo delitto o nume avverso Così
ti
opprime? In quai contrade errante Senza speme e
rtuna amico Ti vegga unita trarre i dî felici? No, caro padre (io
ti
dicea pendendo Da le tue guance ch’oggi ancora
guance ch’oggi ancora io tocco) Non fia mai ver che in vecchia età
ti
lasci. No, no, teco io vivrò: tu mi nutristi,
n mi è concesso? Nut. Che mai ragioni, o mia Regina? Ah pensa Chi
ti
ascolta, ove sei: scopron que’ detti Le tempest
nciar ver la tremante preda. Nut. Deh ritorna in te stessa: in quai
ti
perdi Vani pensieri! oimè! cacce, foreste, Om
bo, Or più non fia che a le nemiche genti Inaccessibil rocca Asia
ti
appelli, Che già di greche squadre un nuvol den
ri i sassi informi D’orride strisce di fuligin tinti. Ahi più non
ti
vedrò! mai più le vaghe Tue spaziose vie Non
crudeli. Ah tu morrai, E di tuo padre il nome Che tanti ne salvò,
ti
fia funesto. A che sei tu d’Ettore figlio, io s
Prevedi il tuo destin. Perchè mai stringi L’imbelle madre tua, e
ti
raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugge
al precipizio orrendo? Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò
ti
porsi il seno e del mio sangue Io ti nutrii? .
tto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno e del mio sangue Io
ti
nutrii? . . . . Vieni, ben mio, ricevi Gli ulti
sposo che com’ io gli perdoni. Addio. Persel. Ma forse in guerra
ti
chiamano i perigli? Preserveranti i numi a quai
arla non si sovviene di quel patetico animato ma umano e naturale che
ti
riempie in ogni scena, e ti trasporta in Messenia
patetico animato ma umano e naturale che ti riempie in ogni scena, e
ti
trasporta in Messenia? Chi di quella interessante
tteri? del mirabile vivo ritratto di una madre? della dolce forza che
ti
fanno le passioni espresse in istil nobile ed acc
fedel, non traditore? E il vero Tu mi narri Alcimene? Alc. Il ver
ti
narro; ed altrove lo rammenta al re lo stesso A
per debolezza: Figli ... Guelfo ... ovesiete? Nino, io muojo, E
ti
perdono. Niccolò Crescenzio regio professore d
Hai tu vaghezza Di grande tanto divenir, che alcuno Pareggiar non
ti
possa? Ardisci, o Carlo, D’alzare oltre te stes
ondotta al Dey: Signor, mi lascia Al mio destino . . . Il ciel
ti
ricompensi Di tua bontà . . . Morir m’era dovut
petto, Nell’amor de’ vassalli. Abbiti questo, Signor, nè d’altro
ti
curar. Se tuo Delle tue genti è il cor, solleva
e circondarti il fianco. Ma se lo perdi, un milion di brandi Non
ti
assicura! Non ha forza il braccio, Se dal cor n
borro ancor. Polin. Pena al delitto Ottengo pari . . . io moro, e
ti
perdono. Antigone. Di questa tragedia recitata
l’ira del terribile Astigiano Infondesti primier nei nostri petti. Ei
ti
udi, e sen compiacque, e ai forti e nuovi modi, T
a ed arte Ti componeano al bello ed all’onesto. Sirena del dolore, io
ti
saluto.
ibertà, patria infelice, Ingratissimo figlio! Altro il valore Non
ti
lasciò degli avi Nella terra già doma Da sogg
andal, ed essendo egli vicino a partire Wilmot gli dice: “Addio . . .
ti
arresta, tu non conosci il mondo, a me costa caro
libri, rinunzia alla filosofia, studia gli uomini; questo solo studio
ti
basterà. Tu da essi imparerai a nascondere i tuoi
trattassi gli uomini come essi meritano, come hanno trattato me, come
ti
tratteranno, amico . . . Approfittati del mio ese
s gemidos? què quieren estos hombres armados? “Hec. Vienen, hija, por
ti
. Oh hija triste, à que talamo te han de llebar! “
ri Come atterrito augel, Madre volai Di terror piena. Or che a gridar
ti
spinse? “Ec. Ahi figlia! “Pol. Ahi figlia!Ancor
di Dori stessa nella scena decima. Egli dice, Mirtillo infelice! chi
ti
consolerà? Io , risponde facendosi vedere la sua
va nascosto, alza il braccio e l’immerge nel mio petto, dicendomi, io
ti
ho salvata per perderti. Questo sogno che adombr
ma non solo le opere anche le comedie ; l’altra sera appunto si fece
ti
tre finti turchi e recito il secondo Zanni nouo c
de'detti tuoi mi scende al core, sia che del vizio alla licenza vile
ti
faccian scudo la virtù, l’onore, sia che di fida
dolore da qual sorgente mai, dimmi, sen viene ? Qual è l’affanno che
ti
stringe il core, qual sventura a te fia cagion di
anciar ver la tremante preda. Nut. Deh ritorna in te stessa: in quai
ti
perdi Vani pensieri! oimé! cacce, foreste,
i sassi informi, D’orride strisce di fuligin tinti. Ahi più non
ti
vedrò! mai più le vaghe Tue spaziose vie
i! Ah tu morrai, E di tuo padre il nome Che tanti ne salvò,
ti
sia funesto! A che sei tu d’Ettore figlio, i
Prevedi il tuo destin. Perché mai stringi L’imbelle madre tua, e
ti
raccogli Nel seno mio, quale augellin rifugg
cipizio orrendo? Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò
ti
porsi ’l seno, e del mio sangue Io ti nutrii
timor materni, A ciò ti porsi ’l seno, e del mio sangue Io
ti
nutrii? Vieni, ben mio, ricevi Gli ultimi am
ma ci contenteremo delle seguenti parole di Pilade: E pensi or ch’io
ti
lasci? e puoi pensarlo? Dove ti lascio! donde son
i parole di Pilade: E pensi or ch’io ti lasci? e puoi pensarlo? Dove
ti
lascio! donde son partito! Chi lascio! a cui vo i
medesimo atto Orazio vincitor per la mia lingua Con la bocca del cor
ti
bacia in fronte, e quest’altra del V,
gio? ahi qual pensiero, ahi qual inganno! Qual dolor, qual furor così
ti
spinse A ferir te medesma? oimè, son queste Piagh
a risposta o scusa. A Dirce dissi: al mio ritorno, o figlia, Fa ch’io
ti
trovi tutta lieta e culta, Ch’oggi sposa sarai di
to il mondo Di gloria avanzi ogni famoso eroe….. Tu che figlia di dea
ti
chiami e sei E dea sembri negli atti e nel sembia
stione altro servo, e gli va incontro: Tos. O Sagaristione, il ciel
ti
salvi. Sag. Tossilo, egli a te dia quanto tu br
asa quando egli pensi che sia ancora da Lenniselene. Pegnio risponde,
ti
obedirò, e torna in casa. Dove vai? dice Tossilo:
e mai, E quando il pensi men, t’esce sul viso. Sat. Temi tu ch’io
ti
venda da buon senno? Verg. Nol temo, no, ma che
o. Ne tradurremo qualche frammento. Sagar. Or che dici d’Atene? Non
ti
parve Splendida e vaga? Verg. Io la città sol
. Dor. Non dei stupire, Se della patria tua, se de’ parenti Noi
ti
chiediam ragion. Verg. Stupir? perchè? Non pe
intoppo, Ma saltò il fosso a meraviglia.) Dor. Io spero Che se
ti
compro, Lucrida sarai Ancor per la mia casa. T
ravaganti ! » « Epid. Sì, sì, ma il cortile addosso ? » « Per. Forse
ti
meravigli che agli abiti che esse portano, diano
che di mia vita Esser signor dovea… (sento morirmi !)… Vivi, e di me
ti
risovvieni. Equando Pur (che il dovrai) altra, no
peres, no, que si te pierdo, yo viva. Isabel » Si algun dominio sobre
ti
conservo, » Yo sabrè … Mas parece que à esta part
ù riempie ; là dove se altro moderno poeta, ed ancor non ignobile, tu
ti
fingi di non avere esistito, nulla sentirai manca
i me con tal funesto presagio più che te stesso. Le dice al fine Non
ti
smarrir, son tua, voglio esser tua… Non so morire
ere lo sposo tra Ricimero e Adallano, Fru lor decidi, a qual tu vuoi
ti
appiglia. Elvira di ciò si meraviglia, dubita, i
scoltar le opere maestrevoli di Leo, Durante, Jommelli, Pergolese. Se
ti
riempiono gli occhi di lagrime, se ti palpita il
urante, Jommelli, Pergolese. Se ti riempiono gli occhi di lagrime, se
ti
palpita il cuore, se tutto ti commovi, e ti senti
e ti riempiono gli occhi di lagrime, se ti palpita il cuore, se tutto
ti
commovi, e ti senti ne’ tuoi trasporti opprimere,
gli occhi di lagrime, se ti palpita il cuore, se tutto ti commovi, e
ti
senti ne’ tuoi trasporti opprimere, soffocare ; p
calderà il tuo, col suo esempio tu saprai creare ; e gli occhi altrui
ti
renderanno ben tosto il pianto che ti avranno fat
rai creare ; e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto il pianto che
ti
avranno fatto versare i tuoi maestri. Ma se le gr
re i tuoi maestri. Ma se le grazie incantatrici di questa grande arte
ti
lasciano in calma, se non hai nè delirio nè trasp
upido Giugurta) colui che vi giace fu da me ucciso, e perchè spirando
ti
chiamava in soccorso, io m’innamorai di te. Balza
luro, che pur avea confuso un Affricano con la sua innamorata. Megara
ti
attende, dice Dulcidio al figlio, e questi differ
i14. Viene Rachele piangendo, ed Alfonso dice: Raquel llora! mucho de
ti
recelo valor mio. Anderebbe bene questo suo dubbi
l Metastasio. Zenobia dice, salvami entrambi, Se pur vuoi ch’io
ti
debba il mio riposo, E se entrambi non puoi, sa
Non è presente: apri il tuo core a Tite: Confidati all’amico: io
ti
prometto, Che Augusto nol saprà. 3. L’esp
ocedure pag. 113, lin. 19 sempre io t’ami sempre io
ti
amai pag. 190, lin. 1 Tum verò pavidâ s
a ! gridai, ringrazia il sesso e la sventura…. puoi tu crederlo ? Non
ti
è noto che a Blanes pagai fino i biglietti d’ingr
prima essi, poi, se lo potrai, vieni in mio soccorso. Va, e che Iddio
ti
protegga. – Invano egli insistè ; la risoluzione
e Pietriboni, chiamato a nome il Novelli, dal suo camerino ammonì : «
ti
proibisco d’ora in avanti di farti applaudire. Ve
: il mio è forse migliore. Perdona alla scorbellata franchezza di chi
ti
vuol bene davvero. Del tuo Rapisardi. Egregio R
olume I delle sue opere (Bologna, Lelio dalla Volpe, MDCCXXXV) : ..…
ti
vo'dar gusto con sentenziare, che l’ Italiano va
sa quando egli pensi che sia ancora da Lenniselene. Pegnio risponde,
ti
obedirò , e torna in casa. Dove vai? dice Tossi
iso. Ver. Nol temo, no; ma che si finga, spiacemi. Sat. Temi tu ch’io
ti
venda da buon senno? Ver. Nol temo, no; che si fi
nso. Ne tradurremo qualche frammento: Sag. Or che dici di Atene? Non
ti
pare Splendida e vaga? Ver. Splendida e vaga?Io
il lor dover.Non dei stupire, Se della patria tua, se de’ parenti Noi
ti
chiediam ragion. Ver. Noi ti chiediam ragion.Stu
Se della patria tua, se de’ parenti Noi ti chiediam ragion. Ver. Noi
ti
chiediam ragion.Stupir? perchè? Non permetto il d
a meraviglia). Dor. Ma saltò il fosso a meraviglia).Io spero Che se
ti
compro, Lucrida sarai Ancor per la mia casa. Tos.
ci contenteremo delle seguenti parole di Pilade: E pensi or ch’io
ti
lasci? e puoi pensarlo? Dove ti lascio! donde s
role di Pilade: E pensi or ch’io ti lasci? e puoi pensarlo? Dove
ti
lascio! donde son partito! Chi lascio? a cui vo
imo atto, Orazio vincitor per la mia lingua Con la bocca del cor
ti
bacia in fronte, e questa del V, . . . . . .
o? ahi qual pensiero, ahi qual inganno, Qual dolor, qual furor così
ti
spinse A ferir te medesma? oimè, son queste P
sposta o scusa. A Dirce dissi: al mio ritorno, o figlia, Fa ch’io
ti
trovi tutta lieta e culta, Ch’oggi sposa sarai
ondo Di gloria avanzi ogni famoso eroe ..... Tu che figlia di dea
ti
chiami e sei, E dea sembri negli atti e nel sem
upido Giugurta) colui che vi giace fu da me ucciso, e perchè spirando
ti
chiamava in soccorso, io m’innammorai di te. Salt
il quale avea presa l’innamorata per un guerriero affricano, Megara
ti
attende , dice Dulcidio al figlio, e questi diffe
ne. Viene Rachele piangendo, ed Alfonso dice: Raquel llora! mucho de
ti
recelo valor mio. Anderebbe bene questo suo dubb
ero di Metastasio. Zenobia dice, Salvami entrambi, Se pur vuoi ch’io
ti
debba il mio riposo, E se entrambi non puoi, salv
ano Non è presente; apri il tuo cuore a Tito Confidati all’amico; io
ti
prometto Che Augusto nol saprà. a. Piacemi di
uperni scanni ; vivi pur, vivi, che il volar degli anni lieve incarco
ti
fia, già che tu stampi d’ eternitade il calle, on
? Và pur honor de l’Amorosa scola Che ciascun t’ oda, è ’l tuo ualor
ti
sia Contr’ à colpi del tempo vsbergo forte. Quan
on e d’allora fo il “burattino” e dal ’73 anche il “burattinajo.” – E
ti
dissi anche troppo. – Tuo G. Emanuel. » Meglio no
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