Giulio che fu amico del Foscolo, e i fratelli Rossi, fra i quali era
mio
padre, scapparono da Fano per recarsi a Vicenza.
lla che gli trapassò la gola. Caduta nel sangue la Repubblica Romana,
mio
padre ritornò a casa, ma ormai non era più tempo
letti fu sempre portato nell’ ultimo atto della Gerla di papà Martin,
mio
padre scappò ancora di casa e cominciò la sua per
par fuori e gridarmi a braccia aperte : Sandrino buttati giù ! mentre
mio
padre figurandosi che io corressi un gran pericol
ressi un gran pericolo si struggeva. Ciò mi ricorda un altro aneddoto
mio
. Tu sai che il povero papà piangeva davvero sulla
no, io ero Gino e papà il nonno. Nella famosa scena del ritrovamento,
mio
padre mi prese in braccio con tale commozione, ch
to, mio padre mi prese in braccio con tale commozione, che io vedendo
mio
padre piangere tanto furiosamente mi misi a urlar
do così inconsolabile, che per farmi capire la ragione, non valse che
mio
padre si ricomponesse, si mettesse a ridere, fra
ma si dovette calare la tela, e non pensarci più. Nell’anno 1853
mio
padre, dopo essere stato con le Compagnie Calamai
atori attrice della Compagnia, la quale poverina morì dando alla luce
mio
fratello. Ma quegli anni erano stati troppo tris
co, sfiduciato, povero, ammalato, desolato per la morte della moglie,
mio
padre decise di dare un addio alle scene, e col f
a ribellione contro una pattuglia di papalini. La malinconia prese il
mio
povero papà, ed il dottor Claudio Tommasoni, quel
se non voleva languire di nostalgia. Nell’inverno di quell’anno 1855
mio
padre lasciò per la terza volta la propria casa,
pendio era meschino e l’impegno di vestiario assai costoso. A Firenze
mio
padre, me lo ricordano spesso, dovette fare un de
bel giovane, egli era applauditissimo. Nell’anno successivo il 1856,
mio
padre passò, sempre come brillante in Compagnia A
e poi la segui a Vercelli e, il carnevale, a Milano al Teatro Re. Per
mio
padre quella stagione del Teatro Re era la prova
poche recite mise sul cartellone : Le disgrasie di un bel giovane, e
mio
padre si tenne sicuro di scuotere finalmente l’in
sarebbe ripresentato nella farsa : A tamburo battente. Una farsa che
mio
padre non aveva studiato, che non aveva visto far
lla propria ferocia, sia che sapesse l’affare della malattia, sia che
mio
padre non sapendo quella sera le norme altrui rec
ominciarono gli applausi, gli applausi continuarono, e calata la tela
mio
padre si trovò fra le braccia di Ernesto, che era
agnia di Ernesto era formata pel triennio 1857-1860. Come ti ho detto
mio
padre aveva un ruolo secondario, inferiore, cioè
ista, che godeva già meritamente molta fama. In questa rivalità certo
mio
padre in quel tempo avrebbe trovato molti ostacol
iorno a Trieste nel carnevale del 1858 scoppiò aperto il dissidio fra
mio
padre e Gattinelli, a proposito di una parte. Era
hè pareva che Ernesto Rossi desse ragione quella volta al Gattinelli,
mio
padre se la prese anche con lui, fece baruffa, pr
i si trovava in Austria, e si sciolse. Ernesto, con la famiglia Job e
mio
padre noleggiarono a Trieste un barigozzo e sciol
ossi. Anche in quella occasione Ernesto Rossi si mostrò buon amico di
mio
padre, e senza farsi troppo pregare accettò di sc
olo importante lasciato dal Vestri. Anche quello fu un gran passo pel
mio
povero papà, che non solo andava ad affrontare un
n anno, lieto oggi di poter discorrere di tutte le grandi qualità del
mio
primo maestro. Si è detto che Cesare Rossi era
ver signore come vi piace, pur ch’io non v’inganni, state ad udir del
mio
canto il tenore. Tra le perdite grandi di mill’an
ri Principi ; mi sforzano (e con ragione) far noto al mondo, che ogni
mio
affare dipende tutto dal patrocinio dell’Alt. Vos
sto il presente Cicalamento, intorno a ciò, il quale come tributo del
mio
debito l’espongo alla luce del Mondo sotto il pat
tella È tanto l’ardore, che per amor vostro intorno alla pignatta del
mio
cuore s’è acceso, che dando negli eccessi, il bor
io cuore s’è acceso, che dando negli eccessi, il borbottamento d’ogni
mio
sentimento, dubito che non crepi : mi sforzo però
ento, dubito che non crepi : mi sforzo però di dimenar il mescolo del
mio
affetto per disaccenderlo, ma non faccio nulla, d
vi comparisca avanti. Prima che facci questo strabalzo il trottolante
mio
cuore, vi supplico cum totam coradellam meam, di
à dalle pupille qualche lagrimetta, la quale rinfrescherà alquanto il
mio
ardore. Fatemene dunque la grazia, che ciò facend
bbligato tanto di là, come di qua dal sempre obbligatissimo anco con
mio
scomodo Buffetto. È strano che di questo artista,
l’ ultimo addio, Hor nell’ultimo addio, Ambo heredi vi fo di tutto il
mio
, Di tutto il mio. Il solo fatto adunque che può l
Hor nell’ultimo addio, Ambo heredi vi fo di tutto il mio, Di tutto il
mio
. Il solo fatto adunque che può lasciar dubbio sul
esse per la scena intima d’allora. Molto Il.e et molto Reue.do Sig.r
mio
patrone Colen.mo Li mali termini usati si in com
o con l’ effigie di nostro Signore la quale pesa 10 scudi conosco. il
mio
libro e aplaudito, mercè la gratia del Sere.mo pa
l Sere.mo patrone di qualche ordine non solo per li miei interessi et
mio
gouerno ma per l’utile di chi sarà mio Compagno,
solo per li miei interessi et mio gouerno ma per l’utile di chi sarà
mio
Compagno, il tutto però io scriuo con riserbo del
itore Carlo Cantù detto Bufetto. Molto III.e et molto Reue.do Sig.r
mio
patrone Col.mo 1er sera che fu il Giorno di Carn
inchiniamo con Profonda Riverenza et le bacciamo le sacre uesti — il
mio
figlio magiore Dio l’inspira di essere frate nell
o la figlio de quel monastero che cosi e il gusto di sua madre. — Per
mio
socero suplico di tutto core insieme con mia mogl
acio io non receua questo danno che li prometto da uero seruitore che
mio
socero non si deporta male, et in fiorenza e stat
on ogni riuerenza come sua serua obligatissima la prego ancora per il
mio
pouero padre come mio marito ha scrito e umilment
sua serua obligatissima la prego ancora per il mio pouero padre come
mio
marito ha scrito e umilmente gli bacio le mani da
ani dandoli auiso che spero fra dieci o dodici giorni di dar frate il
mio
filgio magiore in bologna con il fauore pero di S
er.e Carlo Cantù Detto Buffetto. Molto Ill.e et molto Reue.º sig.r
mio
patrone Col.mo Per conto della licenza per recit
ci tornerò e poi ne darò minuto raguaglio. — Me sono informato ch’ el
mio
figliolo lucha tanto io lo posso far uestire da f
essere prete che frate. — Suplichiamo S. A., mia moglie et io per il
mio
povero uechio acciò abbi in bologua una bona Comp
a : prometto però a V. S. Sig.r Don Cornelio che non si deporta malle
mio
Socero nella parte di pantalone, et per dio come
e non uorà comportare questo danno alla mia povera casa : Scriuendo à
mio
socero V. S. potrà fare cossi à Francesco Franchi
ruitore Carlo Cantù detto Buffetto. Molto Ill.e et molto Reu.do Sig.r
mio
patrone Colend.mo Siamo quasi alla fine di Qua
alla fine di Quatragesima e ancora io non ho hauto nisuna lettera per
mio
Governo et per consolazione de mia moglie et mia
scola per le ragione scritte tanto basti a chi di me più intende. il
mio
povero socero atende Grazia per guadegnarse un pe
sono soli, et io con Colombina non li posso far seruicio ben che sia
mio
socero : del tutto pero me contento per seruire a
le parole, il volto, e quei lucenti occhi crudi omicidi minacciano al
mio
cor guerre e tormenti. O che vezzoso stile di Com
cogli occhi pena. Se di perir non brami in fiero ardore fuggi, fuggi
mio
core, nè ti fidar del finto nome, o stolto ; ma c
ran dolor, portar sto peso adosso, soffrir sto batticor, perch' ho el
mio
ben za perso, vado desperso criando adess : Olive
me in la gola, amor nel cor. Olivetta Se podesse za mai con Bagolin
mio
bell, ballar, tirarghe dentro, provandome con ti
i calzon de quando in quand. Olivetta E mi grama meschina priva del
mio
ben car, tutto el dì in la cusina me posso smaniz
n un balletto farte veder robba, che ti dirà dal gran stupor, viva el
mio
Bagolin, viva el mio cor. Olivetta Orsù via me
eder robba, che ti dirà dal gran stupor, viva el mio Bagolin, viva el
mio
cor. Olivetta Orsù via me contento, però vogio
rò non pensare a quegli onori che la sua presenza mi concedeua, et al
mio
sommo desiderio di seruirla di persona : dorrommi
V. S. Ill.ma Ill.mo Sig.re et padron Coll.mo I Comici a quali
mio
marito, già molti giorni sono, promesse per le no
si ardire col fauore di V. S. Ill.ma d’offerirli a Sua Altezza Ser.ma
mio
sempre riuerito padrone suplico dunque riuerente
on questa sua consegnata dall’Ill.mo Monsig.r Bentiuogli suo nepote a
mio
marito, mi persuade a non rifiutare il fauore che
uien fatto da cossi gran principe di mettermi nella sua Compagnia con
mio
marito, rispondo a V. S. Ill.ma che la maggior br
iuerenza che si deue, e ch’io osseruo al Serenissimo padrone : che se
mio
marito non fosse in’atto all’armi per la infermit
ntera felicità del Serenissimo Sig.r Duca e di V. S. Ill.ma unita con
mio
marito riuerenti gli si inchiniamo. Roma li 13 f
re 1678, interessantissima, che riferisco intera : Molto Reu.do Sig.r
mio
Sig.r Padrone Coll.mo Il mio fiero destino mi r
riferisco intera : Molto Reu.do Sig.r mio Sig.r Padrone Coll.mo Il
mio
fiero destino mi riduce agl’estremi, mentre doppo
mpagnato da 5 huomini armati, trè delle guardie, e due della Casa del
mio
hospite, fui d’improuiso condotto fuori di Mantou
e mie poche Robbe (mentre degl’Abiti è un pezzo che sono priuo) et un
mio
Nipote febricitante, quale della Patria fortiuame
i mi conducono per certo nel Castello di Casale ; se bene nel partire
mio
da Mantoua mi fecero credere di incaminarmi alla
Pur consideri pietosamente la Paternità Sua Molto Reu.ª, qual sia il
mio
stato infelice. Il Giouine, ch' assisteua al mio
o Reu.ª, qual sia il mio stato infelice. Il Giouine, ch' assisteua al
mio
negozio di libri ; doppo hauere pagato di mano pr
ia Vecchiaia alla Patria, per causa, non dico già della prontezza del
mio
obedire gl’altrui sourani comandi ; ma per i miei
et credendo pur che Vostra Altezza perseueri perche non conosca tanto
mio
danno et dissonore però di nouo la suplico per le
ssima serua suplicandola di nouo concedermi con pedrolino la Vita del
mio
honore et del Corpo che nel restar di pedrollino
et del Corpo che nel restar di pedrollino consiste però gratia Ser.mo
mio
Signor gratia per l’amor de Dio che quale la chie
er.ce Vittoria Pijssimi. Di fuori : Al Ser.mo Sig.r Duca di Ferrara
mio
sig.re colendissimo. Ser.mo Sig.re Da molti mi
ma serua Vittoria Pijssimi. Di fuori : Al Ser.mo S.r Duca di Ferrara
mio
sig.re colend.mo Del 1590 abbiamo questa letter
Lanza del Teatro Ferrarese nella seconda metà del secolo xvi : Ser.mo
mio
Sig.re Oss.mo Per l’instanza che me vien fatta
ento. O spietata pietate, o cara feritate, dal vostro dolce amaro con
mio
diletto imparo come amante gioisce quando in mezz
senza perder il corpo, ell’anima cosi barbara unione. il Signor Duca
mio
Signore per cui prego ogni giorno, cosi Dio, mi f
mmazzarmi in Bologna con questi, mi conserui in sua grazia, mostri il
mio
affetto al Ser.mo Signor Duca, e li mostri in uno
tore d’antico affetto Cintio Fidenzi Comico. Ill.mo Signor et padron
mio
Col.mo In Bologna dal S.r Francesco Toschi, ric
mi, con Beatrice, Trappolino et altri Comici. or’io, per guarire d’un
mio
male, uenni à padoua, e mi couenne recitare in un
ò suplico Vostra Signoria Ill.ma à fauorirmi d’insinuar nel Ser.mo il
mio
bisogno ; qual’è di sapere, s’io ho da seruirlo i
; poi che essend’io pouer’huomo, non ho modo da sostentarmi senza il
mio
esercitio questo tempo, si che, hauendo da seruir
ra Signoria Ill.ma che ne saprà il uero, ond’io possa aquetar l’animo
mio
, co ’l quale riuerentemente la inchino. Padoua l
Lagrimosa proruppe in questi accenti : Figli, viscere mie, Più del
mio
stesso core amati figli, Che chiedete piangendo ?
eggio Il vostro innocentissimo desìo, Figli cibo non ho, vi do il cor
mio
. Apritemi le vene, Delibate il mio sangue, Pur
Figli cibo non ho, vi do il cor mio. Apritemi le vene, Delibate il
mio
sangue, Pur che viviate voi Poco a me cale il rim
nde : Diva, che dici mai ? da quanto ascolto Difficil cosa all’esser
mio
richiedi. Lasciai, nol niego, in quell’età che re
mancanza di buon accordo. La morte della moglie fu a lui fatale. Nel
mio
libro degli Aneddoti, sono i Ricordi di un comico
to il 5 marzo del 1796 | mancato ai vivi il 3 settembre del 1861 || o
mio
dilettissimo padre | a te che mi fosti esempio |
ia tu sai quanto in terra t’amai ; Dal luogo ove tu sei or tu vedi il
mio
duol, gli affanni miei ; benedici i miei figli, i
or tu vedi il mio duol, gli affanni miei ; benedici i miei figli, il
mio
consorte nel cammin della vita ed anche in morte
e, ubbidiente e devoto all’amico, al padre, al protettore e difensore
mio
; ma voglio qui, in questo libro, ov'è trasfusa t
Pocointesta & Gratiano Poc. Che cosa vorrà il suo seruitor dal
mio
patrone cosi allo scuro, che non ne habbiamo anch
sonno, & la patrona della sua serua mi manda, per ch'io parli col
mio
padrone : ma eccolo a fede mia, e nò burlo già, c
giorno di notte, che par di mezzo Agosto. o bel solaio alla sala del
mio
patrone ; ho patrona dite al messere, che non vog
to, che paio vn huomn di legno ? patrone son qui ; perchè M. & il
mio
messere con Pocointesta madorono la casa del seru
pareua hora dormendo, che haueuate perduto il ceruello, & che il
mio
per cercarlo era restato pegno per la vettura del
te vn sacchetto di mente per il bastardo, da far l’amito al basto del
mio
patrone, & contrafarà nello studio del Pittor
ppunto (ò bel caso diavolo, alzate l’intelletto per cortesia) ero nel
mio
studio a spolverare i libri, quando sento con gra
lo fò passare, lo fò sedere, e gli domando quel che voglia dal fatto
mio
; egli affannato mi dice. Gli Dei son raunati in
entenza erano quasi quasi venuti alle mani ; perciò tutti allegri del
mio
arriuo Con mille reverenze e mille inchini fattom
dice così. Quando al tempo antico io fui scacciato dal Regno da Gioue
mio
figliuolo, me n’andai vn gran pezzo ramingo pe ’l
nando di Creta passai per doue oggi è Bologna, & alloggiato da vn
mio
pouero amico, che staua in una piccola casetta su
scere in quel luogo vna Città, per ricompensa, facendone Signore quel
mio
ospite ; & in memoria, che sotto forma di Tor
douendo venir di nuouo in concorrenza con Venere. Pure assicurata dal
mio
mostaccio d’huomo da bene, fatto vn ghigno sott’o
Iudex, vel Domine Spacca. Costoro, questi cujum pecus, senza l’aiuto
mio
non si ricordano dalla bocca al naso ; Igitur adu
vostra, che Illa ego qui quondam sbalzata fuor del mazzucco di Gioue
mio
padre, cominciai à pascere tra gl’altri Dei, me n
gioni, il quale senza aspettar l’inuito, cauatosi il capelletto, e di
mio
ordine messo in vn canto quel baston, che suol po
cisi. Rimasero tutti con vn palmo di naso, spantati, strasecolati del
mio
sapere ; e fatto metter in ordine la carrozza del
attomi compagnia insieme Alla porta d’ Oriente, me ne rimandarono nel
mio
studio ; e si vede, che dal gran caldo son diuent
la geniale semplicità dell’arte sua : Nata…. nel '52…. brrrr ! Papà
mio
, Giovanni Zanon, era di famiglia benestante, e pe
storia non dice se vi fu luminaria !). Dunque, quando venni al mondo,
mio
padre s’era già ritirato dall’arte, e impiegato n
chiamavano El Foresto. Mancò ch'io era giovinetta, e venni affidata a
mio
fratello maggiore che era in arte (fu per molt’an
una figlia ; per dire la verità, le prime particine andarono bene, ma
mio
fratello scrisse a mia madre di non calcolare su
fare assegnamento : si trovava presso una sua sorella, aspettando che
mio
fratello avesse trovato per me una scrittura. Un
gnia Fanelli quasi tre anni, e imparai a parlar toscano al punto, che
mio
fratello disse che non sarei più entrata in nessu
le parti m’aiutarono a vincere l’antipatia del dialetto ereditata da
mio
padre…. Ah ! dimenticavo di dirvi che il secondo
di Lettera Alla molto gentil, legiadra, e bella, quella c’ hoggi il
mio
cor tanto desìa ornata di virtù Lavinia bella. Pe
Lavinia bella. Per la presente io vi faccio sapere se non porget’ al
mio
gran mal conforto la novella vdirete ch’ io sia m
mal conforto la novella vdirete ch’ io sia morto. E pria che ’l corpo
mio
vada sotterra a me par bene di far Testamento per
do più contento. In prima lascio a voi mia pura fede e l’honesto amor
mio
che tanto vale, che a vostra gran bellezza è fors
pio a i sventurati amanti. Di gennaro alli quindeci fu scritto questo
mio
chiaro, e cauto testamento fatto del mille tre co
tta e mi preghi) mi ha di maniera contro di lei alterato, che ad ogni
mio
potere mi sono disposto, aborrendo le sue nozze,
ne acquistarete. Fulvio. Sete molto pratico delle cose del mondo, il
mio
Lucio. Celia. Se V. S. mi conoscesse bene, fareb
o, et nel consumarmi per le altrui delicie ? Di quai tempre s’arma il
mio
cuore per resistere alle uiolenze di questi colpi
r resistere alle uiolenze di questi colpi ? Di qual forza si ueste il
mio
corpo per sostenere lo sforzo di tanta sventura ?
rtare lo impossibile per il gusto di una sì bella causa, misurando il
mio
cuore alla grandezza delle mie passioni. Vengo du
o di Dio) così vivamente gli anni inanti fece sentire, intendendo che
mio
Padre si ritrovava in Firenze, essendo di ritorno
nze. La mattina entrato, dopo l’avere a molti chiesto lo albergo dove
mio
padre alloggiava, trovatolo in fine, il desiderio
d’abbracciare il padre, mi fece abbracciar l’oste che anch’egli come
mio
Padre era convalescente ; e dichiarandomi per suo
overe, gli vennero le lagrime a gli occhi ; ed accertatosi dell’esser
mio
, abbracciatomi e di li a poco fattomi vedere a’su
). Questo fu il primo prologo ; e così entrato nelle Commedie, e con
mio
Padre vivendo tra’ Commedianti, conobbi l’arte no
E. V. di obligarmi ad altri, nè di procurarmi ad altrui persuasione o
mio
capriccio compagnia, mi ha trattenuto che in niun
o il riso. Mascherata l’astuzia esser m’avviso, che faceta produce il
mio
contento ; se l’ombre del tuo volto io miro inten
a lettera che tolgo dall’Archivio di Stato di Modena : Seren.mo Sig.r
mio
e Nipote osser.mo Gio. Battista Fiorillo Comico
proportionati per comprouare con la corrispondenza l’affettuosissimo
mio
ossequio. Et a V. A. bacio affettuosamente le man
ato, come : Ersilia. Da così dolci lusinghe già è posto il freno al
mio
sdegno. Ostilio. Da così vago sembiante già fu p
eno al mio sdegno. Ostilio. Da così vago sembiante già fu piagato il
mio
seno. Romolo. Da così altera bellezza già affasc
ene d’amore. Romolo. In sen de la mia Diva. Ersilia. In braccio del
mio
bene. Romolo. Cada il Regno. Ersilia. Pera il m
nta al sicuro. Ost. Tale già si confessa vinto da tua beltà questo
mio
core. Ers. Eh, parliamo di guerra e non d’amore
parliam di pace. Ers. Oh Dio non posso ! Ost. Ah che non vuoi, cor
mio
! Ers. Non so, non deggio ! Ost. Cruda, perchè
palcoscenico, e uscivo dal collegio della Marca, ove avea compiuto il
mio
corso di filosofia sotto il dottor signor Balli),
l mio corso di filosofia sotto il dottor signor Balli), la scelsi per
mio
primo esperimento (1 ottobre 1689), quando apparv
occhi de’ più gentili e intelligenti, avrei bene di che soddisfare al
mio
amor proprio. Io direi che ho più fatto io, al co
o sempre considerate effetti della mia buona stella, piuttostochè del
mio
merito ; e se alcuna cosa ha potuto lusingar l’an
tostochè del mio merito ; e se alcuna cosa ha potuto lusingar l’animo
mio
in tali congiunture, ciò non fu che il piacere di
cherò anch’ io, sì come gli altri àn fatto, scriverli ciò che l’animo
mio
sente, sì per discolparmi di quanto mi viene apos
tia comandato, e sapendo quanto da lei sia amato, pregando lui che da
mio
cognato volesse separarmi, stimando nel rimovere
to esso sig.r Flavio a compiacere le mie honeste dimande, ha fatto in
mio
servitio ciò che V. E. sa molto meglio di me, là
tare dove mia moglie faccia da prima donna. Io, Sigre, intendendo con
mio
estremo disgusto questo, e sapendo che per essere
testi dal Sig.r Flavio fatti, spendendo il nome di V. E., e con tanto
mio
pregiudizio, promettendoli Valeria mia sorella in
ità nello scriverle, e del disgusto ch’avrà riceuto della maniera del
mio
scrivere, detato dalla purità d’un riverente affe
ho auto bon stomaco con la Nespola per l’interesse passato tra lei e
mio
marito, e sempre ho cercato di passarmela alla me
ne, e infino si sa chi ella è, e di qual vallore ; ma perchè vedo che
mio
marito fa (come si suol dire) orecchie di mercant
una parte e pure sono risolutissima di non essere con loro. Ma perchè
mio
marito dice che farrà quello che V. E. li comande
con Nespola : ma che il Sig.r Flavio non tenga concerto di questo con
mio
marito, perchè ne succederà qualche gran rovina ;
o ; correggendo l’ortografia, per non affaticar troppo il lettore. O
mio
dolce Teseo, o non più mio se tu da me ten fuggi,
a, per non affaticar troppo il lettore. O mio dolce Teseo, o non più
mio
se tu da me ten fuggi, e vuoi ch’io pera. Ah, che
la fortuna m’aggira, la forza mi sospinge, le furie mi dàn l’armi, il
mio
furor m’accieca, la gelosia m’aggela, la guerra m
a ecco la citata lettera, di cui metto la firma autografa. Se.mo Pn.e
mio
Sig.e Io no ho mai hauto magiore ambitione che
poter fare una mediocre compagnia, ma la Regalai più di quello che il
mio
stato conportaua ; giunsi a Fiorenza e sa Dio i d
del ’54, tornata di fresco da Parigi. Eminent.mo et R.mo Sig.r Nipote
mio
Oss.mo La S.ra Beatrice vitelli Comica, nel cor
proportionati per comprouare con la corrispondenza l’ affettuosissimo
mio
ossequio ; Et a V. Em.za bacio affettuosamente le
irne io stesso il valoroso competitore. Laonde per adempiere a questo
mio
dovere, anticipando colla presente le informazion
o artificio ad oggetto di scansarne la forza. Come esca dunque questo
mio
picciolo Discorso, di cui la prevengo, gliene far
cie, purchè ci troviamo i nostri conti, cioè finchè io mi diverta nel
mio
ozio, ed Ella possa approfittarsi del diletto che
stre Nazioni dipenda dall’esistenza del suo Saggio Apologetico, e del
mio
Ragionamento. Inoltre facciamo, se vuole, da Cava
ali nè pochi sono, nè volgari, come mostrerò nell’ultimo Articolo del
mio
Discorso. A lei, nel diffondersi nelle sue lodi,
coli. Il di lei amore trascende fino ad idolatrarne le lentiggini: il
mio
me non accieca a segno di non vederle, anzi vorre
dopo aver letta la Storia de’ Teatri, il di lei VI. Volumetto, ed il
mio
presente Discorso, qual di noi due sappia più uti
; ma sono dirette ai Ministri del Duca di Mantova. Molto Ill.re Sig.r
mio
Sig.r Col.mo Dimani faciamo l’ultima comedia qu
et Obl.mo Ser.re Francesco Allori detto Valerio. M.to Ill.re Sig.r
mio
Col.mo Al ultima di V. S. Ill.ma risposi prima
evot.mo et Obbl.mo Ser.re Fran.co Allori detto Valerio. Ill.mo S.re
mio
Col.mo Il Sig.r Federico Beretta detto il Capit
Devot.mo et Obl.mo Ser.re Fran.co Allori detto Valerio. Ill.mo S.r
mio
S.re e pad.ne Col.mo Il Sig.r Capitan Beretta s
i sarò sempre riverentissimo, in tanto sono suplicarla a suplicare in
mio
nome il S.mo Padrone di una lettera di raccomanda
Devot.mo et Obbl.mo Ser.re Fran.ºAllori detto Valerio. Ill.mo S.r
mio
S.re e Pa.ne col.mo Starò qui in Venetia sin ve
ot.mo et Oblig.mo Servitore Fran.co Allori detto Valerio. Ill.mo S.r
mio
S.re e Pad.ne Col.mo Ricevo la cortesiss.ª sua
ovanni Medici, che toglie ogni dubbio sul proposito : Ser.mo Sig.r
mio
et Pron. Oss.mo Giouanni Pellesini detto Petrol
o con tutto l’affetto dell’animo supplicandola a compiacersi per amor
mio
et per compiacerne me et obligarne singolarmente
i con le comedie, e forse con speranza di tornare questo Carnovale al
mio
seruitio desiderano per esser più vicini, et comm
etta Compagnia che possa in quel tempo recitar sola che l’ascriuero à
mio
singolariss.mo fauore. L'89 sappiamo ch'era a Fi
su l’osteria, dove per lo più si paga bene, e stassi male. Poteva pur
mio
padre mettermi a qualche altro mestiero, nel qual
poichè chi ha arte ha parte in questo mondo, soleva dire Farfanicchio
mio
compagno. Pazienza ! Io ci sono entrato ; e basta
o rinchiuse le virtù tutte, e le bell’opere, s’è talmente cangiato il
mio
destino, ch’altro non mi rimane, che la memoria d
ale. Ho detto « esattezza storica problematica ; » e corroboro questo
mio
avviso colla osservazione non superficiale sulle
sercito Romano ha fatto in guerra mai tanto rumore, quanto che questo
mio
tagliente brando, che gambe teste e braccie vo ta
nerbo, chiunque auanti di me riuolge il piede. Vo fra le selue, e col
mio
viso acerbo d’Orsi e Leoni faccio horribil prede,
serpente ; e di pugnar con Mostri ogn’ hor son uago ; e al calcar del
mio
piè gemer si sente il terren solo, & a un’ Is
n flagello ; i basilischi uccido e mangio arrosto ; nè nuoce al petto
mio
tosco o napello ; faccio crollare i monti, e a me
’io fauello cadon gl’vccelli giù da le lor fronde, e al fiero aspetto
mio
Febo s’ asconde. Sol con un chricco trito ogni gr
o strangolo Elefanti, e saccio il vento tornare indietro con il valor
mio
; bisogno mai non ho d’or nè d’argento, con quest
a loco, che ho tutto quel che voglio e non è poco. State discosto dal
mio
fiero aspetto, che dalla bocca getto fiamma e foc
o ; chi a me s’accosterà vedrà l’effetto, che in cener manderollo col
mio
foco ; nè con altro combatto che col fiato, col q
o il mondo in ogni lato. Trema ogn’uno per me, sospira e lagna, e col
mio
nome fo tremare il centro : ovunque io vado spazz
te insieme, ch’ han timor molto e non poco, di non restar consunte al
mio
gran foco. Trema, si crolla, s’ange, e si torment
lito i più superbi tetti, e rendo humili i più tremendi Mostri, e al
mio
convito tengo fieri giganti, a me simili, nè poll
me simili, nè polli a la mia mensa, o cappon grassi, voglio, ma pasto
mio
son marmi e sassi. E più, pascomi ancor di tigri
viv’era. Udite, udite, questa è una gran possa, pian, pian finisco il
mio
combattimento ; Caucaso, Tauro, Atlante, Olimpo,
impo, & Ossa, sentendomi parlar prendon spavento : e al mover del
mio
piè si move, e scossa il globo tutto, & al fu
uro frangere e fracassare un uovo duro. Ma che occorre a brauar se il
mio
valore da un polo all’altro si dilata e stende, c
ata e stende, che con un grido sol pongo terrore al Mondo tutto, e un
mio
sospiro accende l’aria, e d’intorno, ove il mio g
al Mondo tutto, e un mio sospiro accende l’aria, e d’intorno, ove il
mio
gran furore le Nubi passa, e sopra il Cielo ascen
il mio gran furore le Nubi passa, e sopra il Cielo ascende ; E se il
mio
nume giunge in quella parte, si cacan nelle bragh
rima Ercole, e poi gli altri suddetti, è passata finalmente in questo
mio
corpo, e però coloro ed io siamo gl’istessi, anzi
o delle glorie come sarebbe il dire : « Quando che il Turco seppe il
mio
arriuo al Campo sotto Buda, non osò mai di uscir
la frequenza dell’uso di tanti, che l’hanno rappresentata lontana dal
mio
parere, onde ridotto in natura il costume parebbe
dar principio (caso però che il parer d’altri non li piacesse più del
mio
). (Frutti delle moderne comedie et avisi a chi l
con un motto che diceva Virtù, fama ed honor ne fèr gelosi. Trappola
mio
, di quelle compagnie non se ne trovano più, e ciò
generale dei nomi). Qui metto solamente una lettera di lei al Ser.mo
mio
S.r et padron Col.mo il S.r Prencipe di Modona tr
tto, che aveva fatto dispiacere a Frittellino. Ser.mo S.re et Col.mo
mio
padrone Quando ch’ io intesi che la protecione d
mio padrone Quando ch’ io intesi che la protecione dell’ inocenza di
mio
frattello era stata presa dall’A. V. S. cominciai
oltre jl pregar nostro Signore per la sua salute sforzarò insieme il
mio
seruicio per acrescer il gusto dell’A. V. S. alla
; caro, Io per te sola incenerirmi sento Ardendo, & son del’arder
mio
contento. DELLO STUPIDO (98) Mentre pompe funes
elo Brofferio, di cui, metto qui il brano seguente : Ti ringrazio, o
mio
buon Moncalvo, lume e splendore dei Meneghini, ti
sorriso che chiami sulle mie labbra, della serenità che trasfondi nel
mio
cuore. O sia che servitore in Venezia tu ti accin
ebbe mai altro nemico che la mestizia de'suoi uditori. Ah ! tu eri il
mio
Eroe : tu sei la gemma degli Eroi. Prosegui animo
bene recita allora le trentatrè disgrasie di Meneghino…. e non sia il
mio
articolo la trentesima quarta. E mi par dovre
ta, e l’autore cessò di rimettere colà il rimanente. Nacque da ciò il
mio
pensiere di pubblicare in Napoli con tali notamen
’ sei dell’edizione napolitana, e l’autore si compiacque, annuendo al
mio
disegno, accordarmi il manoscritto domandato di t
izione pregiudichi al gusto Spagnuolo? Dite voi ciò per vostro, o per
mio
sentimento? Se al vostro giudizio sembra, che la
n migliore stato che non è quello de la la Cruz, se n’edificasse, per
mio
gusto sempre riterrei le medesime scalinate, e le
rrenti. Quello però che è più notabile, e di maggiore importanza, per
mio
avviso, è il caso di un veloce incendio, nel qual
intesa libertà del volgo. Ciò si verifica co’ fatti. Sappiate, Signor
mio
(che io ben mi avveggo, che i vostri gravi studj
inora ne avea fatto motto. Siete soddisfatto? Siete pure espantadizo,
mio
caro Signor Apologista.
tera di dedica « al Molto magnifico Signor, il Signor Antonio Prioli,
mio
Padron singolarissimo, » poi un non brutto sonett
e, ond’è formata. Eccola : Notte felice e lieta prescritta al piacer
mio
, onde l’alma s’acqueta del suo dolce desio, notte
turbar ponno i miei piaceri immensi, tal ch’io senza sospetto goda il
mio
ben perfetto. Ecco : pur giunta è l’ora prefissa
a, prendo il notturno manto, ed al luogo m’invio, dove alberga il cor
mio
. L’uscio ch’io tocco appena, mi sento aprir pian
n tremante passo lieto guidar mi lasso. Giunto al felice loco ch’è al
mio
piacer parato, dove risplende il foco, ripiglio a
e poi, la lingua sciolta, io parlo, ed ella ascolta. — Dunque è, ben
mio
, pur vero ch’io sia da voi degnato, qui dov’esser
felice, anzi beato ? Son desto, o pur sogn’io ? Troppo contento è il
mio
! Non merta la mia pena sofferta, e il mio tormen
’io ? Troppo contento è il mio ! Non merta la mia pena sofferta, e il
mio
tormento, una, di mille appena gioje che per voi
me con lei ringrazio amore che in gioje alme e supreme bear voglia il
mio
core…. poi nel piacer perduto la miro, e resto mu
te in questa città che son da cinque mesi in circa, à visso sempre de
mio
con il vivere ch' io mandavo a sua moglie, et egl
er la massaia che si trovi da vivere, che non voglio ch' egli viva de
mio
, mena rovina et parla di ricorso al Alt.ª Sua, et
haver saputo che 'l mobile che è nella suddetta casa, è maggior parte
mio
et che io lo vorrò quando mi tornerà comodo. Ques
nza degli studj supplì con la prontezza singolare dell’ingegno. In un
mio
manoscritto di notiziole, raccolte dalla bocca de
na odicina del Guadagnoli dettata (1832) pel medesimo soggetto. Gigi
mio
, Gigi mio, se sapessi tu quant’io ho penato, trib
del Guadagnoli dettata (1832) pel medesimo soggetto. Gigi mio, Gigi
mio
, se sapessi tu quant’io ho penato, tribolato, nel
stare V. A. che senza far reflessione sopra cosa alcuna accomoderò il
mio
desiderio al suo gusto, nè penserò più a' commedi
re ma che gli farei sapere quanto mi pareva bene per utile loro et il
mio
desiderio, mi tornorno tutti a dire, con humiliss
vedere il buon guadagno che hanno fatto quest’ anno. Io Sig.r Hercole
mio
per parlar con V. S. alla libera vedendo in quel
ofondati, come loro tengono d’ essere quando saranno disuniti ? Sig.r
mio
, son povero sì, ma son generoso, et confesso il v
on si fanno dividere quando si viene all’atto et al fatto. Sono Sig.r
mio
notissimi et conosciuti i Lelij, le Florinde, le
osson rimediare gli inconvenienti. Non voglio anche tacere a V. S. un
mio
pensiero che io tengo per sicuriss.° che la prude
andai in Villa a dare le lett.e di V. A. all’Ecc.mo S.r D.n Giovanni
mio
Sig.re, al quale feci relatione del regalo fatto
re la patienza, ond’in vece di far una grossa spesa per acconciarlo a
mio
dosso, mi converrà tenerlo per reliquia cara del
er acconciarlo a mio dosso, mi converrà tenerlo per reliquia cara del
mio
Ser.mo Sig.re. Starò attendendo i comandamenti de
condai, … Ah de’ tuoi dì felici Questo il più glorioso Sarà del viver
mio
l’estremo giorno. Sangaride Numi! Ati Numi!Il fu
omento, Il simular che’ giova il suo tormento? Sangaride Io fremo; il
mio
timor deh rassicura, Ati, per qual sventura Morir
po è ver!M’ami? Ati Ti adoro; Tel dissi già; condannerai tu stessa Il
mio
foco il mio ardire, Mi lascerai morir. Castigo io
mi? Ati Ti adoro; Tel dissi già; condannerai tu stessa Il mio foco il
mio
ardire, Mi lascerai morir. Castigo io merto; Un r
io ardire, Mi lascerai morir. Castigo io merto; Un rival generoso, Un
mio
benefattor pur troppo offendo. Ah ma l’offendo in
to è dolore! Confessar che un rival degno è d’amore! Senza ritegno il
mio
morir decreta. Sangaride Oh Dio! Ati Oh Dio!Sosp
oggetto del tuo foco: Ciò che pianger tu dei È che mi perdi, e l’idol
mio
tu sei. Ati Io? Ciel che ascolto? M’ami tu, mio b
he mi perdi, e l’idol mio tu sei. Ati Io? Ciel che ascolto? M’ami tu,
mio
bene? Sangaride T’amo, e lo stato tuo peggior div
i . . Ah de’ tuoi dì felici Questo il più glorioso Sarà del viver
mio
l’estremo giorno. Sangar. Numi! Ati. Il funes
mento, Il simular che giova il suo tormento? Sangar. Io fremo; il
mio
timor deh rassicura, Ati, per qual sventura M
M’ami? Ati. T’adoro; Te ’l dissi già, condannerai tu stessa Il
mio
foco il mio ardire, Mi lascerai morir. Castigo
. T’adoro; Te ’l dissi già, condannerai tu stessa Il mio foco il
mio
ardire, Mi lascerai morir. Castigo io merto,
ire, Mi lascerai morir. Castigo io merto, Un rival generoso, Un
mio
benefattor pur troppo offendo. Ah ma l’offendo
dolore! Confessar che un rival degno è d’amore! Senza ritegno il
mio
morir decreta. Sangar. Oh Dio! Ati. Sospiri?
tto del tuo foco: Ciò che pianger tu dei È che mi perdi, e l’idol
mio
tu sei! Ati. Io? ciel che ascolto! M’ami tu, mi
mi perdi, e l’idol mio tu sei! Ati. Io? ciel che ascolto! M’ami tu,
mio
bene? Sangar. T’amo, e lo stato tuo peggior div
a lettera seguente, che traggo dall’Archivio di Modena : Ser.mo Sig.r
mio
oss.mo Hauendo Pietro Paulo comico vna lite in
ia stata fruttuosa la mia intercessione, e qui raccordando a V. A. il
mio
solito desiderio di sempre seruirla, le bacio con
ente lettera di Venezia, che toglie ogni dubbio in proposito : Ill.mo
mio
S.re et Pad.ne Col.me, Gia venti giorni in circa
ni. Non manco ancora di pregar V. S. Ill.ma di benigna protetione per
mio
figliolo Virginio, che desidera abbandonare il po
pubblico si licenziò, e venne in sua vece scritturato Daniele Alberti
mio
padre, valentissimo artista, che aveva più volte
novelli sposi e i loro parenti. La commedia piacque bastantemente ; e
mio
padre che rappresentava la parte di un uomo flemm
ncenza al Ciel spiegar le penne. MADRIGALI v Or ch'altro scampo al
mio
martir non trouo, Spero che il Tempo mi darà salu
matutine, Torrà fors’anco a me del cor le spine. vii Vanne picciol
mio
parto Se ben pochi ornamenti hai dentro, e fuore,
ie braccia, e di goderti ; Fa che non passi il sogno Per l’Auorio ben
mio
de i denti tuoi, Perchè saria fallace ; Se vuoi c
ti tuoi, Perchè saria fallace ; Se vuoi ch'ei sia verace, Soccorri al
mio
bisogno, E passi il Sonno per la fronte poi Del t
o 50 anni, cioè l’undici febbraio 1848. Mia Madre era una Rosa Pugno,
mio
Padre si chiamava Guglielmo. All’età di 3 anni mi
Guglielmo. All’età di 3 anni mi portarono a Torino. Finito il Liceo,
mio
padre mi disse, lagrimando, che non poteva più ma
ollecitai mai un articolo di lode, nè…. la croce di cavaliere ; unico
mio
giudice, inappellabile, assoluto, la mia coscienz
acevo a scuola del cómpito, poi comincio a plasmare da me e per me il
mio
personaggio : quando sono riuscito a contentare m
un buon borghese, che era stato quindici anni in Inghilterra. Era il
mio
uomo : era il formaggio sui maccheroni : il forma
esso di Fedora è dovuto, in gran parte, all’esecuzione. L’ Emanuel, a
mio
credere, ha trovato la via per la quale, nell’int
oetica di Cintio. L'ode comincia : Fiamma de l’intelletto, mobil del
mio
voler, moto dell’alma, colmo d’estro, e dispetto,
colmo d’estro, e dispetto, a te perturbator della mia calma, parlo, o
mio
Genio insano : a te che sei, forsennata cagion de
stanza. Molte n’ho fatte, è vero, in varia istanza a Vostra Altezza,
mio
Padron sovrano ; e pur con tante stanze essendo a
on isdegnaste l’umile e tenue omaggio. Di fatti che cosa è mai questo
mio
povero presente agli occhi dell’Autor preclaro de
, come Erudito di ogni maniera figurate vantaggiosamente ed ornate il
mio
patriotico racconto dell’Epoca Fernandiana. Accog
i grandemente che il buon desiderio di questa donna fosse ajutato dal
mio
reverente affetto. Supplico adunque V. A. S. con
osa già ricevuta le resto con quel magior obligo che possi venire dal
mio
conoscimento. La qual lettera concorderebbe col
i tuoi nemici. Ti basta ? Vuoi di più ? Rosa, che dici ? Fidati del
mio
cor : Parla l’Autore : Temi di sorte rea l’empio
ntai, ad onta ancor d’ogni destino infido, io tuo sostegno, e Tu onor
mio
sarai. Recitando con universale applauso la valo
ontanamento dal Teatro. Col termine del carnovale 50 in 51 termino il
mio
contratto e la carriera drammatica per cambiare d
nostri cuori fece gran senso la Sua lettera, ed in modo speciale nel
mio
, chè cresciuta, allevata, ed iniziata nell’arte d
lo di un favorevole successo. A render tutto ciò meno difficile,
mio
marito pensa partire per Parigi il 20 0 25 corren
ni altro può in ciò giovarci, e mandarci qualche lettera che presenti
mio
marito, per ora, e quindi ma alle distinte e ragg
poggio quest’esperimento drammatico italiano, pel quale colà si porta
mio
marito (Giuliano dei Marchesi Capranica, Marchese
scena della denunzia in Patria era del Ristorismo più puro. Per conto
mio
non ho mai veduto niente di più bello al teatro,
i dirigere ; e sono orgoglioso di poter qui legare in qualche modo il
mio
piccolo nome a quello di lei grandissimo e venera
, Ch’abbia sofferto mai misero core. O tenace dolore Mentre del viver
mio
la sorte scrivo Come languido son per te mal vivo
n sol d’ambiziosi fasti : Ma, perchè troppo osasti Altri non dica, al
mio
spietato Achille Torno ; stanco non mai di farmi
’ ha d’oro i bei costumi Benchè di ferro il nome, un si riposa Iacopo
mio
primier estinto germe ; Vittoria tu chiudesti i c
or d’Amor tempesta o tuono. Mi chiamano Flaminio uomini assai : ma ’l
mio
nome è Gio. Paolo, e son de’Fabbri nato in Friul.
olo, e son de’Fabbri nato in Friul. …………… Signor, non ho denari, e ’l
mio
Destino padre mi fa di povera famiglia, che spess
he in tutto ogni altra vinci, io volli allor allora, venir a dirvi il
mio
doglioso lutto : Ma per ventura, d’una stanza fuo
o, interessantissima per la storia del costume, coll’indirizzo : « al
mio
conzontao in openion, M. Antonio Burchiela, » e c
ozj suoi neghittoso alle fredde ombre ti rese, alma risorgi, e fa al
mio
cor palese quell’affetto d’amor che or dorme in n
antadue anni adunque egli recitava ancora a Parigi. III.mo Signore et
mio
Padrone Colendissimo Negli interessi della cosce
arla. Tuto questo non è stato risposto che in ordine a i consigli del
mio
confesore e avrei uno eterno rimorso se non l’ave
eseguitori sarà senpre la stesa. Non ò che agungere fori che non è in
mio
potere il far ritorno in Italia là dove l’ arbitr
Pariggi li 10 Agosto 1685. Servitore Tiberio Fiorilli. Ill.mo Signor
mio
Signore e Padrone Colendissimo Non avendo a chi
chi potere confidare questa mia letera per poterla fare recapitare a
mio
figlio cosa che asai mi preme ò preso ardire conf
.ma Umiliss.mo e Dev.mo Servitore Tiberio Fiorilli. Ill.mo signor
mio
signor Parigi li 23 Luglio’88 ( ?). Suplicho V.
dare V. S. Ill.ma La suplico a onorarmi di far ricapitare l’inclusa a
mio
figlio e spero che fenito ch’averò i miei interes
. S. Ill.ma Devotissimo Servitore Tiberio Fiorilli. Ill.mo signor
mio
, signore e Padrone colendissimo Vengho con ques[
S. A. S. che per molti anni mi a senpre continovato le sue grace. Al
mio
arivo paleserò la vita disoluta e infame tanto de
patrocinio. Parigi li 3 Marco 1692. Tiberio Fiorilli. Ill.mo Signor
mio
, signore e padrone Colendissimo Ricevo la cortes
o e ritiratomi dalle sene comiche e se non fose stato quello che camo
mio
figlio sarebe a casa sei anni sono ; ma perchè mi
e mi à messo un’ altra lite al parlameto e poi mi fece dire : dite a
mio
padre che se viene a Firence che non comadi i suo
n pesase ad altro. Questa è la riconpesa delle mie fatiche che con il
mio
sodore ò aquistato, come V. S. Ill.ma n’è bene in
irle ackora….) : che corro ogni gorno per i Tribonali. Ill.mo Signor
mio
, signore e padrone colendissimo Ricevo la cortes
astide colla data del ’92, dice : « …. ciò intanto, di cui accerto il
mio
rispettabilissimo pubblico fiorentino che da dodi
di che rea Sorte prepara a ogni contento umano, Quel di che tanto il
mio
desir lontano, E si vicino il mio timor facea. De
ontento umano, Quel di che tanto il mio desir lontano, E si vicino il
mio
timor facea. Dell’età pastorale al dolce incanto
h’Io mi perdo ! Addio. Addio Ninfe, Pastori. A voi soltanto Il timido
mio
dir volger si debbe, Ed ai Numi non già. Sembrar
da quindici anni • collaboratrice fedele e costante • leva in alto il
mio
spirito • confortandomi nel lavoro • sostenendomi
opo tante speranze, ecco qual premio Ci preparò la sorte! Ah l’amor
mio
Ciò meritò? Gio: L’ho meritato io forse? In
cesti mai? Per te, per te ... tu la cagion tu sei D’ogni tormento
mio
! Qual fu la tua Facilità crudel! Dunque ha potu
izj indegni! Vana illusione e gelosia fallace In te si armaro del
mio
amore a danno! Fralezza femminile! Isa. Il cu
ppia; Tardi ne piango. Gio: Tardi, è ver; la morte Terminerà il
mio
male. Isa. Il ciel nol voglia. Io, sì, ne mor
in me non sento Valor per tante pene; ahi sventurata! Gio: Addio
mio
ben, non ci vedrem più mai, Lungi da te cercher
ltro da te non bramo. Amami, pensa a me; forse ristoro Troverò al
mio
dolore, immaginando Che una lagrima almen, qual
calma. Deh piaccia al ciel, cugina, che tu vegga Dal sincero amor
mio
rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende
mio rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende Tanta parte il
mio
cuor, ch’esser non voglio Felice io stessa, se
ui relativamente agli stravaganti effetti delle nostre malinconie. Al
mio
arrivo in Milano lo incontro in peggiore condizio
nge fino al palchetto dove era io. Oh cielo ! È morto l’Angeleri ! Il
mio
compagno di malinconie ! Nell’istante medesimo es
PERAZIONE Ohimè ! parte l’infido, e me qui lascia tradita, e sola al
mio
dolore in preda. Perfido ! Arresta i passi, e rie
sordo è il mar, sordo è il ciel. Io son tradita, son disperata, e il
mio
dolor soltanto che mi lacera il cor, può con un c
affetto e naturalezza; nel che ha avuto un emulo gentile e felice nel
mio
da molti anni defunto amico Nicolàs Fernandez de
ipiglia: Reg. Come tuo sposo? (Io fremo, io più non vedo!) Bia. Come
mio
sposo? (o ciel che intendo!) Reg. Come mio sposo
più non vedo!) Bia. Come mio sposo? (o ciel che intendo!) Reg. Come
mio
sposo? (o ciel che intendo!)Indegna, Folle, debol
nte… Reg. Oltraggiar la maestà, se il conte…(O amore! Io deliro!) Il
mio
sdegno, o Bianca, è zelo Del tuo decoro. Bia. De
la gelosia L’ira in me risvegliò… Delirio strano! Odimi attenta. Dal
mio
finto sdegno Impara, o Bianca, ove tal caso avven
ti di rendita di un maggiorato, e se io non ho figli, viene ad essere
mio
cugino il mio successore. Mi vien detto che voi e
di un maggiorato, e se io non ho figli, viene ad essere mio cugino il
mio
successore. Mi vien detto che voi ed io possiamo
i questa scena. Vieni tu con salute? dice Isabella. Saprai poi del
mio
stato , risponde Diego; ma tu come stai? Morta so
. Partisti… Die. E bene?Si ostinò Fernando, L’interesse parlò, l’udì
mio
padre. Corse il romor della mentita morte… Ah mal
ermi non vò.Pensa. Isa. E perdermi non vò. Pensa.Non giova. Die. Ben
mio
… Isa. Ben mio…Vanne… Die. Ben mio… Vanne…Ah tu
sa. Isa. E perdermi non vò. Pensa.Non giova. Die. Ben mio… Isa. Ben
mio
…Vanne… Die. Ben mio… Vanne…Ah tu speri invan, cr
non vò. Pensa.Non giova. Die. Ben mio… Isa. Ben mio…Vanne… Die. Ben
mio
… Vanne…Ah tu speri invan, crudele, Che tal fredde
Prova la forza.È vana. Die. Vientene meco. Isa. Vientene meco.L’onor
mio
m’è caro. Die. Fuggi sola. Isa. Fuggi sola.Ove?
arito, e dal tuo fianco Appartarmi potrà solo la morte. Isa. E l’onor
mio
? Die. E l’onor mio?Tutto si perda omai. Isa. E l
nco Appartarmi potrà solo la morte. Isa. E l’onor mio? Die. E l’onor
mio
?Tutto si perda omai. Isa. E la tua vita? Die. E
. E la tua vita?Oggi finisca. Isa. E la tua vita? Oggi finisca.E il
mio
Consorte? Die. Consorte?Non ti goda. Isa. Conso
a. Isa. Consorte? Non ti goda.E i miei parenti? Die. Versin tutto il
mio
sangue. Isa. Versin tutto il mio sangue.Invano i
miei parenti? Die. Versin tutto il mio sangue. Isa. Versin tutto il
mio
sangue.Invano io priego? Die. Io nulla ascolto. I
r persuadere; e quando mai, aggiugne, il di lui sdegno confondesse il
mio
discorso, Yo harè que enmienden los ojos lo erro
migliorò quanto doveva i caratteri di Marianna e di Erode; là dove a
mio
avviso Calderòn dipinse più vivacemente il geloso
sto Un cernefice vil quell’empio capo Recida… Ma che dico ? Oimè, ben
mio
, Mio sposo, mio signor, tua schiava io sono, Fa d
vil quell’empio capo Recida… Ma che dico ? Oimè, ben mio, Mio sposo,
mio
signor, tua schiava io sono, Fa di me quel che vu
ti renda onor geloso. Io pure udii dal labbro tuo talvolta Che sposo
mio
saresti. Ah per sì caro Nome che meritai qualche
rore Di sua casa salii, che vi ritorno I suoi dubbii a calmar, che di
mio
padre L’ira io fuggia, tu lei salvar credendo Sal
; nè più avvilir si puote Disingannato amor, femminil fasto. Ma se il
mio
pianto a intenerirti è vano Per quel che sono, a
rabil vecchio Pensa qual resterà, quando l’infausta Novella a lui del
mio
destin pervenga. Vendicarsi vorrà, quando non sia
Mi balza il cor… dalla funesta rupe Già scende il Cagnerìa…. Signor,
mio
bene, Pietà di me, In te stesso per te ; cangi il
; un placido riposo Una gioja innocente appien gradito Rende lo stato
mio
; che l’uom felice Tant’è quant’ei si reputa. Lont
hanno seguito il di lui metodo. Io potrei impinguare questa parte del
mio
libro con più migliaja di commedie e de’ già nomi
i erano avvisati i nazionali di far diligente inchiesta. Possa questo
mio
lavoro inspirar loro il disegno di fare una colle
onali bramosi di una riforma nelle patrie scene, avendogli citato nel
mio
Discorso Storico-critico contro le strane asserzi
de’ commedianti Spagnuoli . Può di ciò vedersi Nicolàs Antonio, ed il
mio
Discorso Storico-critico. Lampillas dunque raccog
o. Enrico Corradini (Il Marzocco, 28 giugno ’96). ……………………… Ma non il
mio
ringraziamento solo, stimatissimo Sig. Direttore
ento solo, stimatissimo Sig. Direttore : io voglio esprimere anche il
mio
migliore augurio. Poichè l’opera Sua, come si può
e una gioia se potrò in qualche modo esserle utile nella cerchia del
mio
lavoro nella Baviera. Se Ella desiderasse delle n
no avuti rapporti colla Corte bavarese e che non siano menzionati nel
mio
studio sui Comici Italiani, io farò tutte le rice
ia, e mi piace che abbiate nell’arte quel primo seggio che tenete nel
mio
core, e nei miei pensieri. Quanto a me che, come
questa città, e voi dovreste parlare a Domeniconi, pregandolo, a nome
mio
, che faccia mettere in iscena questa tragedia (An
cui è contento di farsi mangiare il suo. Io ho fatto il contrario, e
mio
marito non ha potuto secondare i vizi dei comici
ira e di crudel furore ; in estasi dolcissima rapito oltre l’usato il
mio
pensier veloce al Ciel s’estolle, e dopo averti u
inaio di drammi scritti nella dinastia di Yuen: «Io sono Tching-poei,
mio
padre naturale é Tching-yng, mio padre adottivo é
astia di Yuen: «Io sono Tching-poei, mio padre naturale é Tching-yng,
mio
padre adottivo é Tu-ngan-cu; io soglio la mattina
mi nelle armi, e la sera nelle lettere; ora vengo dal campo per veder
mio
padre naturale». Non si conosce nella China, nel
nsieri a mover i passi per questi contorni. E se ben amore semina nel
mio
cuore abbondantissime granella de’suoi meriti, e
no il loro officio di generare, non havend’io già mai con l’acqua del
mio
consenso inaffiato questo cuore, il seme non ha p
che meni via una sua morosa, che ufficio si chiama ? Scap. Ad un par
mio
si direbbe di ruffiano ; ma se ciò facesse un gen
, come ne può far fede l’Ill.mo ed Eccell.mo Sig. Duca della Valletta
mio
Capitano ; e l’Eminent.mo e Rever.mo Sig. Cardina
può dir ancora per lettere scrittegli da Sua Maestà Cristianissima a
mio
favore, fin dove la benignità di quel gran Re si
to che s’è fatto insino a qui; non altro essendo stato l’intendimento
mio
, che di mostrar la relazione che hanno da avere t
meglio esprimere in francese. Nel rimanente ho procurato supplire col
mio
di maniera che il lavoro non dovesse aver sembian
ui dedicata al senatore Tiepolo con queste parole : « avendo il padre
mio
questo carnevale passato (1546), aperto in Venezi
ante fanatico del Giraud, L’Ulivo e Pasquale del Sografi, Così faceva
mio
padre del Bon furono i lavori nei quali si levò a
in cui troviamo anche notizia della moglie Gabbrielli : Ser.mo Sig.re
mio
S.re e Prone. sempre Coll.mo Hieri mandai un pi
ni.º e dev.mo Ser.e oseq.mo sempre Alessandro Superchi. Ser.mo Sig.re
mio
Sig.re e Pron. sempre Coll.mo Questa passata not
di avere una tanta artista ; ed io sarei ben fortunato se avessi nel
mio
paese un’interprete come voi…. » Nè solo nella in
l 30 marzo 1622 pubblicata in parte dal Baschet. Ser. Sig. et solo
mio
Sing. Padrone Ha piacciuto a Iddio doppo tanti a
ato caro, sì come figliuolo, ma molto più caro per haver ritrovato al
mio
ritorno di Ferrara che l’hanno rassegnato sotto i
erpetuo vassallo si come le sonno antichiss.º seruitore, posciachè il
mio
servitio comintiò sin l’anno 1583, nel cui tempo
ze, come appare da questa sua lettera, diretta allo jll.mo et ecce.mo
mio
S.r et Patron Coll.mo jl sig.r Gia battista londe
A. S. di Ferrara, che traggo dall’Archivio di Stato di Modena. Ill.mo
mio
Sig.re et Patron Coll.mo Confesso di haver fato
sendole [ILLISIBLE] ueputo a far riuerenza alla mia partita Come erra
mio
debito, ma fu la subita et jnnaspetata noua che m
cij che in leggere cosse che uenghino da sogeto cossi basso come è il
mio
, pur mi affida la Gracia sua è la vecchia seruitù
recita il Verno, et dove sono sempre chiamate le buone compagnie ; al
mio
arrivo, già anni sono, mi fu detto da un Mastro D
r or vegno Heroe celeste, in picciol carte accolto Vostra pompa, è ’l
mio
cor mostrar m’ingegno. Me in viva tela di colori
! Udire quella brutta vecchiaccia a chiamarlo sempre colviscere mie,
mio
core, anima mia, parole paralitiche che le ballav
ze, Colombani, 1774). Ecco l’uno e l’altra : ADDIO Questa è per onor
mio
la sesta volta, Che me presento a sta benigna Udi
ho una passion, che me devora el petto, Quando no posso far l’obbligo
mio
, E lo fazzo de cuor, come convien, E no go invidi
erò stae bone a far star suso L’altre Commedie andade a tombolon. Ben
mio
, no fe’ de quel proverbio abuso : La forza ghe ne
me Nicolò Barbieri nel Capo VII della sua Supplica : Fra’ moderni del
mio
tempo, la Signora Isabella Andreini comica celebr
chivio di Stato di Firenze) che Isabella scriveva Al molto Ill re ,
mio
S re , e pron col. mo il S r Cavalier Vinta Seg
ll’Andreini. Anche questa è diretta al Segretario Vinta. Molto Ill.re
mio
S.re e Pron col.mo Alla Commissione della Maest
està della Regina cristianiss.ª & alla Sua bontà V. S. perdoni il
mio
fastidiolo. Ch’ io sia lontana dal darle molestia
ne, confidata nella gentilezza, e nell’ humanità del S.r Cav.r Vinta,
mio
Signore offiziosissimo, verso chi ricorre alla su
se bisognato altra lettera, l’haueria scritta, certiss.ª d’ottener in
mio
benefizio quel c’ hauessi dimandato. Scriuo dunqu
ace ella contenta or siede ? Non è morta Isabella, è viva in Dio. Del
mio
carcer terreno uscito fuora, là su di rivederla h
di nubi, ch’egli è mal tempo ; e voi mille volte m’avete detto che il
mio
viso è un cielo angusto, ma che le mia ciglia tor
canzone, la seconda delle poesie funebri (pag. 217) nitida e piana a
mio
giudizio, e soavissima quant’altre mai. Sonetto L
gno, E ben se l’vede Amor, d’ogni suo strale ; Nè schermo io trouo al
mio
martir fatale, (Lassa) e prego non valmi arte, od
accendo sdegno ; E’l duol, che’ntenerir potrebbe i sassi, E l’amaro
mio
pianto han per mercede Noue lagrime sol, nouo tor
ianto han per mercede Noue lagrime sol, nouo tormento ; E per maggior
mio
mal misera i’sento, Che per girsen’à lui, ch’à me
misera i’sento, Che per girsen’à lui, ch’à me non crede, L’infiammato
mio
cor sù l’ale stassi. Sonetto CXXV Io non t’amo
ua bellezza Porti sembianza, à me si vago splende, Che contra’l voler
mio
nel cor mi scende Vn’affetto d’amara empia dolcez
gni mia spene, Nè pace più, nè più salute spero Se da cotanti riui il
mio
duol viene. HIELLE piange la madre Fvggendo il
no, e la sua pompa è morta. Morta è la nobil Donna, Che fù del viuer
mio
securo appoggio ; E breu’vrna sotterra Gran beltà
erch’ella conosce, Ch’essendomi crudel fora pietosa, Perdona al viuer
mio
, Quando l’alma dolente altro non brama, Che trar
he si trattarà dimane, come ui ho detto, e darouui anco sopra essi il
mio
parere circa il loro accrescere o scemare riputat
e non gli manchi cosa alcuna, et però con uostra licenza farò fine al
mio
ragionamento, se però non uoleste uenir anco uoi,
ella di Luigi Perelli. L'elenco non ha data ; ma è dell’'85 circa. Un
mio
fascicoletto manoscritto di epigrammi reca il seg
’ introduzione di A. Bartoli (pag. cxxxviii) riproduco intera. Ill.mo
mio
Sig.re Ricordevole degli obblighi ch’ io tengo
ccio faccio quanto posso, ma credo che non durerò. Per tanto, caro il
mio
Sig.re, procuri con l’ Altezza Sereniss.ma del su
ssere più donna da bene. Et per fine, raccomandandole D. Pietro Paulo
mio
cognato, le bacio la sua generosa mano, non mai s
tolsi. Al sol l’oro furai. Del arco io men privai. E ’l uago FIOR nel
mio
giardino io colsi. Questi e altri madrigali e tr
sonetti furono mandati dal Galvagni Al Virtuoso, et Gentilis.mo Sig.r
mio
Oss.mo Il Sig.r Gio. Battista Andreini — Mantova,
del tuo bel uiso Flora gentil, uago di quel pallore Si fa ghiaccio il
mio
core. Se poi ripiglia i suoi uiui colori, Tosto r
cchi, che di sua mano amor compose, non occhi no : ma strali al morir
mio
; occhi stelle del ciel, belle e ritrose, fontane
ampiezza da quest’altra lettera colla data del 20 settembre : Ill.mo
mio
S.r et Patrone Col.mo Gionto il mio messo et ri
data del 20 settembre : Ill.mo mio S.r et Patrone Col.mo Gionto il
mio
messo et ricevuto la lettera di V. S. Ill.ma la q
to cosa mia, et e buona persona et desidero che gli facciate per amor
mio
buona cera) un pacchetto, dove è 3 libri di quei
el Corbinelli : è buona persona et desidero che gli facciate per amor
mio
buona cera. Siccome gli infiniti favori et grat
tessa conduttrice di compagnie. Ma ecco le due lettere : Seren.mo S.r
mio
et padrone oss.mo Hauendo la Diana Comica unita
e Il Principe della Mirandola. (al duca di Modena). Seren.mo Signor
mio
et padrone oss.mo Partendo di qui la compagnia
aggio, che del soverchio ardir sovvienmi appena. Sulle vostre orme il
mio
pensiero intento segue l’ardor che mi sospinge e
al tragico racconto…, risponde : Facciol perchè l’ingrato entro il
mio
amore specchi sua colpa, e sè convinto accusi. Be
iuto che nella comica giungerà al colmo della perfezione. Concludo il
mio
discorso coll’assicurarla, che se la Truppa Franc
ano. Io seppi I tormenti affrontar: debole donna Gismonda, l’amor
mio
, la mia delizia Giunge a imitar la mia fortezza
spetto Io sia, tu scorgi; in pié mi reggo appena. Comprendere dal
mio
quel di Gismonda Peggiore assai, facil sarà. Ti
ti?... In essi. Adel. L’amor? . . . Rom. L’amor? . . . Tu sola il
mio
. Adel. L’amor? . . . Tu sola il mio. Quel di co
Rom. L’amor? . . . Tu sola il mio. Adel. L’amor? . . . Tu sola il
mio
. Quel di colei?... Rom. Uberto. Adel. Uberto.
ol di patria. E giuri? E giuro. Adel. Ahi non resisto più, vieni al
mio
seno. Adelinda disingannata e piena di gioja cr
sospir concesse A me di rivederti ed abbracciarti, L’acerbità del
mio
destino obblio . . . Se un dì la patria rivedra
glorie Qual viss’ ella fra i ceppi, e qual morio . . . Oh tu del
mio
destin compagna amata, Rimanti in pace . . . tu
i fedel . . . siegui il cammino De la fe, de la gloria . . . ama in
mio
padre La figlia estinta, e più che i nostri amo
vengo meno . . . ah caro padre . . . Ah Consalvo . . . deciso è il
mio
destino . . . Dividerci convien . . . Di tua vi
e diventæ Onta o martir. Su queste mura il padre Pugna e lo sposo
mio
; da queste mura Se non fuggo col padre, e con l
sposo, Quì restar voglio, e si confonda insieme Il lor sangue col
mio
. Ricuso, Enrico, L’offerte tue, la tua pietà.
Dentro il campo nemico e tra coloro, Che han dato morte al padre
mio
. . . se qualche Conforto trova questo cuor . .
che Conforto trova questo cuor . . . è solo Nel morirti vicino, o
mio
Fernando . . . O difensor dell’innocenza . . .
ome potrò Scacciar dal sen la deitâ suprema Che tempio ed ara nel
mio
cor possiede, Che vi riceve l’idolatro incenso.
lse i miei sospiri, e pari Ardor accese l’alma sua gentile, Ed al
mio
amor ben largo premio ottonni In quella notte (
avento. Dolci memorie in fero duol converse! Deh quali oggetti il
mio
pensier dipinge! O voi d’Erbele aurati e lieti
dubita di lei, e dice con nobil disdegno, Dammi la morte, e l’onor
mio
rispetta. Viene Filinto e si attacca tra lui e
Il caro amico nel partir che disse? Che mai t’impose? profferì il
mio
nome? E quì l’autore pensò ad imitare le domand
tito più volte il racconto di Zelinda, che dice, Più fiate il labro
mio
gli estremi detti A te narrò, dove se vuolsi
negli opposti dilettosi monti. Allora, soggiugne, La mia virtù col
mio
tranquillo stato Portasti teco. Allor fu tratto
illo stato Portasti teco. Allor fu tratto il dardo Del sangue del
mio
cor fatto vermiglio. In somma se l’amor di Geld
Corradino esclama Voi, del Ciel potenze, Non pareggiate il
mio
giojoso stato. Terza scena. Carlo dice Quì ven
Per me non voglio il crine Cinger del serto altrui, che son del
mio
Stato contento. E cederei del regno A lui lo
Questa vita, e quest’alma è tua. Disponi Arbitro ognor di me, del
mio
destino. Io non vò entrare a decidere, se ad un
. Ahi dolce oggetto de’ timor materni, A ciò ti porsi il seno, e del
mio
sangue Io ti nutrii?” ma Iroldo ciò copiando fa
“Perchè mai stringi L’imbelle madre tua, e ti raccogli Nel seno
mio
, quale augellin rifugge Sotto l’ali materne?” Ir
onna, Spartana sei, d’Agide moglie; il pianto Raffrena. Il sangue
mio
giovar può a Sparta, Non il mio pianto a te. .
ie; il pianto Raffrena. Il sangue mio giovar può a Sparta, Non il
mio
pianto a te. . . Il nell’atto III la seconda, i
ja . . or dammi . . . Scegli, Due ferri son, quel che tu lasci é il
mio
. Ag. Oh cielo! . . . E vuoi . . . . . . Age.
ia . . . . . A far rinascer Roma L’ultimo sangue or necessario è il
mio
. Purch’io liberi Roma, a voi nè un solo Giorn
del padre. Mir. Oh dura, Fera, orribil minaccia! . . Or al
mio
estremo Sospir che già s’appressa ... alle tant
Cachelonie le cred’io . . . Corrad. Peggio peggio. Macar. Padron
mio
, Cachelonie son chiamate, Perchè intorno al f
svelse dall’amata pianta. Lo stil drammatico del Gennaro è quello, a
mio
credere, signorile, che nè serve al metastasiano
inseparabili . . . Rimira . . . Rifletti . . . . Quest’acciaro E’
mio
... tuo se lo vuoi ... Ti basta il core D’impug
. Oh Dio! s’io l’amo, Se più di me l’amai, Sa il ciel, lo sa il
mio
core, Padre, e il tuo cor lo sa. Anche quì l
n io, Se mi struggo a’ tuoi bei lumi, Sallo amor, lo sanno i numi, Il
mio
core, il tuo lo sa.” Chi poi riprende lo stil Me
astasio: Soltanto mi sgomento, Padre, che un giorno avrai del barbaro
mio
stato pietà, rimorso e orror. L’espressioni di El
ù che t’amo, Più apprezzo me: di te non ero indegno; Tel prova il
mio
perdono. In quante pene, Quante amarezze ha inv
manti diriggono i loro voti alla notte, Prolunga, o notte amica, il
mio
contento, e si allontanano e perdonsi nel bosch
tarmi D’Elvira il core, Meno orgoglioso Fra l’ire e l’armi Il
mio
valore Ti renderà. Comendiamo l’imitazione de
delle armi, gli sente dire alla bella prima, Ed ancora ostinata al
mio
volere Non si arrende la figlia? E nol preved
fermate. Chi sei? gli è domandato. Io non venni, risponde, a dire il
mio
nome, son cavalier vi basti: Voi malvagi accusa
lla prima scena vi è un altro ben anche finale La comprerò col sangue
mio
ben anche. 1. Terza scena terzo ben anche finale
ORIG. Rach. Oh momento fatal che mi rischiara, Ma che il rigor del
mio
destin non cangia! E come, oddio! tanti anni se
ad Emilio, E di Rachele a lui novelle io chiesi, E l’avvisai del
mio
ritorno ancora. Rach. Oimè! tutto comprendo! oh
ch. Nè mi vedrai mai più? Per nostra pace. Eug. Pretendi dunque il
mio
morir? Rach. Pretendi dunque il mio morir? Non
pace. Eug. Pretendi dunque il mio morir? Rach. Pretendi dunque il
mio
morir? Non mai. Anzi quoi dì che la mia pena in
stituita nella sua edizione. III dopo il verso Oh qual giubilo è il
mio
nell’abbracciarti, si soggiugneva un altro duet
iugneva un altro duettino di Odorico, e di Elvira: Odo. Nell’ultimo
mio
dì A un immortal riposo . . . Elv. Dell’adora
nti. Dai Ricordi di un comico (1822-25-26) pubblicati in estratto nel
mio
Libro degli Aneddoti (Modena, Sarasino, 1891) e c
re, nascosto sotto le iniziali C. C. : Qual comparve il tuo volto al
mio
pensiero, tal l’incise la man : guancia di rosa,
eva orecchi da mercante. « Questo giovane – insisteva Goldoni – non è
mio
parente, ma ho preso impegno di assicurarlo, e de
te comunicatami gentilmente dal cav. Azzolini : Ill.mo et Ecc.mo Sig.
mio
e Pron. Cols.mo A mio ariuo in Parma fu da me i
nte dal cav. Azzolini : Ill.mo et Ecc.mo Sig. mio e Pron. Cols.mo A
mio
ariuo in Parma fu da me il Sig. Marchese di Vigol
ddezza di lei: Sdegni ch’io ti riveggia? Deh che nuovi portenti? Sul
mio
primo apparire alle tue case Tu mi accogliesti ap
E forza, oimè! ch’io t’ami; Io t’amo, e se per altro Non t’è caro il
mio
amor, caro ti sia Perchè il mio amor sarà la mort
t’amo, e se per altro Non t’è caro il mio amor, caro ti sia Perchè il
mio
amor sarà la morte mia. O Tirsi, o Tirsi ingrato,
di Guastalla; ma tal componimento, per avviso del lodato religioso e
mio
, è poco degno di trattenerci. Le altre due sono d
o nei Tulli e nei Demosteni, antecessori suoi. Possa solamente questo
mio
scritto esser da tanto, che trovi anch’esso un lu
patienza di ripigliarui. Sè bene dal’altro canto non uorei uedere un
mio
nemico in questa Compagnia à causa delle continue
ripiglia: Come tuo sposo? (Io fremo, io più non vedo!) Bian. Come
mio
sposo? (o ciel che intendo!) Reg. Indegna, Fol
ltraggiar la maestà, se il Conte . . Reg. O amore! Io deliro. ) Il
mio
sdegno, o Bianca, è zelo Del tuo decoro. Bian.
ia L’ira in me risvegliò . . . Delirio strano! Odimi attenta. Dal
mio
finto sdegno Impara, o Bianca, ove tal caso avv
ucati di rendita di un maggiorato, e se non ho figli, viene ad essere
mio
cugino il mio successore. Mi vien detto che voi e
ta di un maggiorato, e se non ho figli, viene ad essere mio cugino il
mio
successore. Mi vien detto che voi ed io possiamo
o di questa scena. Vieni tu con salute? dice Isabella. Saprai poi del
mio
stato, risponde Diego; ma tu come stai? Morta sop
. Die. E bene? Isa: Si ostinò Fernando, L’interesse parlò, l’udì
mio
padre. Corse il romor della mentita morte . .
E perdermi non vo’. Die. Pensa . . . Isa: Non giova. Die: Ben
mio
. . . Isa: Vanne. Die: Ah tu speri invan, crud
: Prova la forza. Isa: È vana. Die: Vientene meco. Isa: L’onor
mio
m’è caro. Die: Fuggi sola. Isa: Ove? Die: A
o, e dal tuo fianco Appartarmi potrà solo la morte. Isa: E l’onor
mio
? Die: Tutto si perda omai. Isa: E la tua vita
si perda omai. Isa: E la tua vita? Die: Oggi finisca. Isa: E il
mio
Consorte? Die: Non ti goda. Isa: E i miei p
? Die: Non ti goda. Isa: E i miei parenti? Die: Versin tutto il
mio
sangue. Isa: Invano io prego? Die: Io nulla a
r persuadere; e quando mai, aggiugne, il di lui sdegno confondesse il
mio
discorso, Yo harè que enmienden los ojos los
n migliorò quanto dovea i caratteri di Marianna e di Erode; là dove a
mio
avviso Calderon dipinse più vivacemente il geloso
Un carnefice vil quell’empio capo Recida ... Ma che dico? Oimè, ben
mio
, Mio sposo, mio signor, tua schiava io sono,
uell’empio capo Recida ... Ma che dico? Oimè, ben mio, Mio sposo,
mio
signor, tua schiava io sono, Fa di me quel che
renda onor geloso. Io pure udii dal labbro tuo talvolta Che sposo
mio
saresti. Ah per sì caro Nome che meritai qualch
e Di sua casa salii, che vi ritorno I suoi dubbj a calmar, che di
mio
padre L’ira io fuggia, tu lei salvar credendo
più avvilir si puote Disingannato amor, femminil fasto. Ma se il
mio
pianto a intenerirti è vano Per quel che sono,
l vecchio Pensa qual resterà, quando l’infaustæ Novella a lui del
mio
destin pervenga. Vendicarsi vorrà, quando non s
cor ... dalla funesta rupe Già scende il Cagnerì 113 . . . Signor,
mio
bene, Pietà di me, pietà di te: rientra In te
placido riposo, Una gioja innocente appien gradito Rende lo stato
mio
; che l’uom felice Tant’è quant’ei si reputa. Lo
hanno seguito il di lui metodo. Io potrei impinguare questa parte del
mio
libro con più migliaja di commedie e de’ già nomi
i erano avvisati i nazionali di far diligente inchiesta. Possa questo
mio
lavoro inspirar loro il disegno di fare una colle
affetto e naturalezza; nel che ha avuto un emulo gentile e felice nel
mio
defunto amico Nicolàs de Moratin. Tra’ sonetti de
boriosissima de’ commedianti Spagnuoli; di che vedasi l’Antonio, e ’l
mio
Discorso. Lampillas dunque ricevè da qualche Huer
i già tanto celebre. Ma ecco, senz’altro, il documento : Serm. signor
mio
osserv. Essendo stato jer l’altro, nel viaggio c
o ardore : e quando a imitar Venere t’hai tolto, per figlio avesti il
mio
verace amore. Io venni ad osservar la tua Pazzia
apolavoro di furberia, di comicità, di movimento scenico. Così faceva
mio
padre, modellato sul Todaro brontolon e sul Burbe
g. cav. Azzolini. Stimatiss.mo Sig. Ferri. Non potendo ella sopra il
mio
credito di circa duemila lire somministrarmi scud
volto ; or quale sconsigliato furor, morte, t’assale di fare al regno
mio
si grave incarco ? Ella ben mille a me alme rubel
oni : ….. « Amico, i' godo il cielo, non dir ch' in verde età sia al
mio
fin giunta, chè grave è sempre all’alma il mortal
tero, lodando il mondo, in suon chiaro, et profondo, acquista fede al
mio
giuditio intero. Primo a sè stesso, a null’altro
’all’intorno d’ogni sorte uccelli, ………… Ardelia dice : E tu, Titiro
mio
, se mi compiaci, ti vo' donar una bella ghirlanda
oroso, faceva egli l’arlecchino. Mi sovviene, che rappresentandosi il
mio
Bellisario (in cui sosteneva egli un tal personag
quale il povero Goldoni non fa la più bella figura al mondo, vedi il
mio
monologo La Spigliatezza (Mil., 1888). Del resto,
il Chiesa gli dicesse un giorno in Firenze : « Io ebbi in Francia il
mio
primo figliuolo, e fu tenuto a battesimo dal Duca
iù accreditate. Sono lieto di mettere qui il nome di Giuseppe Strini,
mio
caro compagno del tempo della Sadowsky (1873), il
ò, che per le mie risposte venga nell’animo vostro alterata, come nel
mio
non la turbarono le vostre apologie sceniche. Inf
ttura colla usata franchezza, sareste smentito da tutte le parole del
mio
Libro. Ma passiamo ad esaminare il vostro savio s
lvetro. E felicemente trovai, che il dottissimo Gravina l’intendeva a
mio
modo: “Dee il Poeta (ei dice1) tener del Popolo q
to questo Popolo non è mica il vostro diletto Volgo, Signor Lampillas
mio
. E a questo Popolo rischiarato non fia gloria il
Plebe e della Gente colta. Oh quanti vostri pregiudizj, Signor Abate
mio
, avreste detestati, se nello scorso Dicembre del
i dirà, in che mai si distinguono i Dotti da’ Volgari? In ciò, Signor
mio
, che i Volgari pensano come i Dotti, ad una buona
è il Camelo pardale, nè l’Elefante bianco, furono mai, Sig. Lampillas
mio
dolcissimo, siccome fin quì avete innocentemente
onquista del Perù fatta da Pizarro da me veduta rappresentare dopo il
mio
ritorno dall’Italia nel Teatro de la Cruz. Ora un
i comporre de’ migliori e più famigerati Drammatici, Signor Lampillas
mio
, i quali formano Scuola, e non da qualche meschin
, Dopo tante speranze ecco qual premio Mi preparò la sorte! Ah l’amor
mio
Ciò meritò? Giovanni Ciò meritò?L’ho meritato io
che facesti mai? Per te, per te… tu la cagion tu sei D’ogni tormento
mio
! Qual fu la tua Facilità crudel! Dunque ha potuto
tifizii indegni! Vana illusione e gelosia fallace In te si armaro del
mio
amore a danno! Fralezza femminile! Isabella Fral
piango. Giovanni Tardi ne piango.Tardi, è ver; la morte Terminerà il
mio
male. Isabella Terminerà il mio male.Il ciel nol
.Tardi, è ver; la morte Terminerà il mio male. Isabella Terminerà il
mio
male.Il ciel nol voglia. Io, sì, ne morirò, chè i
n me non sento, Valor per tante pene… ahi sventurata! Giovanni Addio,
mio
ben; non ci vedrem più mai. Lungi da te cercherò
a; altro da te non bramo. Amami, pensa a me; forse ristoro Troverò al
mio
dolore, immaginando Ch’una lagrima almen, qualche
la calma. Deh piaccia al ciel, cugina, che tu vegga Dal sincero amor
mio
rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende Ta
mor mio rassicurata La tua felicità, giacchè vi prende Tanta parte il
mio
cuor, ch’esser non voglio Felice io stessa, se no
principalmente nella canzone Donna negli occhi vostri, la quale è al
mio
avviso il più ricco gioiello del moderno parnaso
ntumace Israele Guerra orribile, e crudele Il
mio
braccio arrecherà. Torri eccelse a terra andran
Dal lampo della spada, Che strisciare su voi farà il
mio
sdegno. Che se dove s’invoca L’al
u voi farà il mio sdegno. Che se dove s’invoca L’alto
mio
nome alzo la verga, e batto: Voi sol quas
ta gioventù? Almen potessi anch’io Seguirti o del cor
mio
Parte migliore. Al tuo bel sen fa
lisse. «Guarda pur: o quello o questo È tua prole, e sangue
mio
. Tu nol sai; ma il so ben io, Nè
ente la differenza e la conformità, l’unione e la distinzione, fu, al
mio
avviso, trovata per mero accidente, e introdotta
Le mie parole: E se a ragion mi doglio Piangete al
mio
cordoglio. La bella Donna mia Già sì co
tite che martiro. Ohimè! Che tristo e solo Sol’io piango il
mio
duolo, L’alma lo sente Sentilo il
ose mie parole, Mentre con mesti accenti Il perduto
mio
ben con voi sospir: E voi, deh per pietà
Il perduto mio ben con voi sospir: E voi, deh per pietà del
mio
martiro, Che nel misero cor dimora etern
ro, Che nel misero cor dimora eterno, Rimbombate al
mio
pianto, ombre d’Inferno. Ohimè! Che sull’Aurora
Com’angue suole in fredda piaggia il verno. Rimbombate al
mio
pianto, ombre d’Inferno. E tu mentre al Ciel pi
Versa il tuo caro Orfeo dal cor interno. Rimbombate al
mio
pianto, ombre d’Inferno.» [21] Nonostante, il R
a in quella scena bellissima, la quale incomincia: «O Teseo, o Teseo
mio
, Se tu sapessi, oh Dio! Se tu sapessi ohimè! Come
dizioni che ci presenta l’esame dell’umano spirito, non è la minore a
mio
avviso quella d’amare l’unità, che tende a riconc
a con canna d’India alla mano e cappello tondo all’inglese. Entra nel
mio
studio a passi contati, ed io mi alzo : costui fa
ore di esser conosciuto da voi ; voi però dovete conoscere in Venezia
mio
padre e mio zio ; in una parola, sono il vostro s
conosciuto da voi ; voi però dovete conoscere in Venezia mio padre e
mio
zio ; in una parola, sono il vostro servo umiliss
lita guarnigione. Questa sera non avete sentito Capodaglio, perchè il
mio
torace, come tutti abbiamo un torace, era indispo
, Chiamato Ferramonti, non mi avea mai lasciato in tutto il tempo del
mio
soggiorno a Bologna. » Non par che il Goldoni acc
averi licenziosamente spendesse, arditamente rispose : Anzi, tutto il
mio
spendo con prudenza, intendendo dire con una donn
parti, che a quella principale e di protagonista : e da ciò, a parer
mio
, si distingue sopratutto l’artista ragionevole e
il Principe Don Giovanni De’ Medici : Ill.mo et Ecc.mo Sig.r et Pron
mio
Col.mo Mi è stata così nuova la nuova che per cu
to mi viene apposto non solo non ardirei di scriverli, ma confuso nel
mio
mancamento cercherei con la forza del merito di a
e sarebbe un offendere me stesso per far dispetto ad altri. Ma perchè
mio
pensiero è solo di far conossere all’ E. V. che s
, per le notizie importanti che ci dà di alcuni comici : Ill.re Sig.r
mio
Dal Ill.mo S.r Marchese Nicolò Tassone domenica
e di grande utilità ai miei componimenti, come di grata ricordanza al
mio
cuore. » Colpito da congestione cerebrale nel 18
mie Vittorie, Or che del vostro amor mi rendon degno. In voi trova il
mio
Cor riposo, e nido, Ed or, ch’arde per voi d’onor
in cambio del Parrino (V.), che Questi cedeva a Quello. Ser.mo Sig.r
mio
Oss.mo Spedisco Aurelio, perchè serua a Vostra
belle verdure delle Tuillerie. In questo discorso immortala ancora il
mio
nome inserendolo più per comprova alla bella incl
i appaia negli occhi ed ora ancor maggiormente che mi odi deforme nel
mio
pronunziare come mi vedi nella persona; ma qualun
nausee e gli scotimenti del mare; ma, poiché ti sei dato a spiare il
mio
interno, io te l’apro ben volentieri acciocché tu
ande Alessandro. [1.11ED] Ma lode al cielo che ridi scopertamente del
mio
parlare. [1.12ED] Sfògati, figlio, ch’egli è di r
o ti sia permesso per l’amore di quella verità che tu cerchi e che un
mio
invincibil genio mi ha posto in animo di scoprirt
convincerti, che io sono Aristotile. [1.17ED] Hai tu mai letto chi fu
mio
padre? [1.18ED] Fu questi Nicomaco, medico di pro
fendo; così ancor io riderei se tu mi dicessi cose lontane dal creder
mio
. [1.21ED] Ma non hai tu contezza di tanti che han
ome più acconcio a custodire lo spirito che furtivamente v’infusi del
mio
possente preservativo; di modo che quel giorno fu
rate ho consumati tutti i miei anni e ne consumerei altrettanti se il
mio
destino non mi trascinasse inevitabilmente alla f
ssa. [1.31ED] Io ti giuro che più d’una volta ho pianto amaramente il
mio
nome, vedendo l’opere mie più di me stroppiate da
una legge che fra di essi mi rende ancor venerabile. [1.32ED] Questo
mio
resto di riputazione sia raccomandato anche a te
d’intendere quel che io ne giudichi, però ti prego a non curarti del
mio
giudicio, ma di quello dell’università de’ letter
per parlare (come abbiam proposto) della tragedia. [1.57ED] Ma, padre
mio
, io so che le tragedie franzesi piacciono più del
al giudicio di una più saggia posterità. [1.67ED] Io pretendo che il
mio
esemplare infallibile siano non già i Greci soli,
infallibile siano non già i Greci soli, ma la natura, e che siano il
mio
fondamento non già i soli tuoi scritti né quelli
ti né quelli de’ tuoi comentatori, ma la ragione. [1.68ED] Essendo, a
mio
credere, ne’ tragici Greci molte sconvenevolezze
io soggiunsi — non posso negarti che mi mortificasse il veder dopo un
mio
lavoro di più di vent’anni venirmene un altro add
ui, parrebbe fatto in vendetta dello strapazzo continuo che ei fa del
mio
nome in ogni occasione di scrivere o di parlare.
in ciò forse il popolo non travede. In altra cosa sbaglia, al creder
mio
, giudicando che la condotta di quelle tragedie si
glio paragonar qui la tragedia con la commedia, né vo’ decidere se in
mio
concetto prevaglia Sofocle ad Aristofane, il Corn
zio gl’ingegni. [1.151ED] Le ho dati lumi per metterla in traccia del
mio
cammino, ma ho voluto che si avvezzi per le teneb
to, ma o non udirai più Aristotile o fa’ di tacere per ora ad essi il
mio
nome e di contentarti che a quattr’occhi fra noi
licata unità; e anticipatamente ho da dirti che prima di concepire il
mio
libro della tragedia, del quale avete appena un a
al popolo, conobbi ancora che lo stesso faceva loro giustizia e che a
mio
credere ancora quelle eran le più perfette. [2.10
si patisce e sì gli antichi come i moderni e tu stesso convenite col
mio
sentimento. [2.12ED] L’unità del tempo, che io c
imeno, perché il mirabile facilmente si scosta dal verisimile, che, a
mio
credere, è l’anima di tutti gli avvenimenti, non
e che gran cose in breve tempo succedano, e però leggerai scritto nel
mio
frammento della Poetica al cap. II: «Poiché la tr
po scarse all’azione. [2.18ED] Dell’unità del luogo ho io parlato nel
mio
libro della tragedia, ma nel frammento che voi ne
ndividui non corrisponderebbero alla perfezion dell’idea. [2.36ED] Il
mio
maestro volle ridur la repubblica all’idea, tempe
gilio, che che ne dicano i semidotti. [2.83ED] Io so che al tempo del
mio
gran re53 presedeva io alle rappresentazioni di a
ga un secolo quella notte per trovarmi colà sul nascer del Sole ed il
mio
gobbo fu non meno ratto di me ad arrampicarsi per
ol di lui nome coonesta le vostre corrispondenze amorose. [3.50ED] Il
mio
maestro ebbe in mente che la propagazione di se s
per verun conto rispondere. [3.103ED] Allora, che doveva farsi per un
mio
pari ch’era filosofo e cortigiano? [3.104ED] Mi s
delle lor lingue a ciò che né essi né io intendevamo. [3.106ED] Ma il
mio
purgar gli affetti col terrore e con la compassio
esta sfera, e son obbligato all’interpretazione che in ciò ha data al
mio
testo l’eruditissimo abate Fraguier. [3.107ED] La
me diverso è il lor impero, così le cure ne son differenti, perché il
mio
principe ha quelle che convengono ad un viceddio,
[4.1] Da Marsiglia dunque a Parigi mi convenne rimaner digiuno del
mio
erudito Impostore e, quantunque passassi per luog
ne dava non so quale apparenza di maggior gravità e d’onorevolezza al
mio
verso; e perché so quanto vaglia appresso di noi
sciocchezza di questa? [4.35ED] Quasi che fra il verso franzese ed il
mio
non sia notabile differenza, sì nella disposizion
vorrei credere) intesa. [4.37ED] Alcuni altri han soggiunto che quel
mio
verso così rimato non può recitarsi senza stuccar
bbia scritto più volte riuscire agli attori suoi comodissimo il verso
mio
; ché, ciononostante, duri di cervice più degli Eb
e se maggior maestà e gravità conterrebbe sì il verso franzese che il
mio
se o con rime frequenti o senza veruna sorta di e
a frenar tu le risa e voi giovincelli ve ne siete presi sollazzo, al
mio
credere, più di una volta, mentre non posando la
le cause de’ suoi clientoli nella curia; e ciò ha egli derivato da un
mio
sentimento, essendo uopo, secondo l’opinion mia,
e di solo nome sarebbe. — [4.81ED] Poco mancò, che io non baciassi il
mio
gobbo, tanto solleticavami il mio ragionare, perc
Poco mancò, che io non baciassi il mio gobbo, tanto solleticavami il
mio
ragionare, perché soggiunsi: [4.82ED] — Io ti pr
ante dolcezza all’orecchio, quando non sia sì contigua come nel verso
mio
e nel verso franzese costantemente si osserva. [4
ci né da’ Latini nelle loro tragedie. [4.85ED] Ben è però vero che il
mio
verso non è così pertinace come è il verso alessa
non è così pertinace come è il verso alessandrino franzese, perché il
mio
non è sempre della stessa misura, benché per una
ebba scegliere, quando altra ragione non ti sovvenga per sostenere il
mio
impegno; e però in questa parte usa pure della tu
e replicò: [4.91ED] — Se ben tu mi chiami a palesar con franchezza il
mio
sentimento, ti dorrebbe però (lo conosco) che fos
nausea che dal troppo dolce suol provenire, perché tu sai che io nel
mio
fragmento della Poetica sto predicando che i parl
che più al parlar grave e naturale si accosta, e però avrai letto nel
mio
divulgato fragmento lodare io nella tragedia «i v
agli altri Italiani che molto schiamazzo abbiano fatto e facciano sul
mio
verso, perché solo apprendean per verso quel misu
spazio si rappresenti. [4.111ED] E queste non son bagatelle (Martello
mio
) da lusingarsi che si possa condur l’impostura ta
mile, né con periodo più sonoro e ritondo potrebbe esser espressa dal
mio
Demostene oppur dal tuo Cicerone. [4.167ED] Passa
escere di copia, di maturità e di bellezza? [4.171ED] In due cose, al
mio
credere, consiste la legge di una lingua: la prim
ggiar senza rime. [4.180ED] Ebbi a scoppiar dalle risa in vedere il
mio
soprossuto volermi pur dar ad intendere ch’egli e
iù del Filosofo, se non la mattina destinatami da lui stesso, dopo il
mio
ritorno dalla villa real di Versaglie, per ragion
[5.17ED] Entrato poscia nella stanza del re, compii tutti li voti del
mio
viaggio nella sua vista. [5.18ED] L’aria, il port
se hai tu udito deplorare la perdita della musica antica, di’ a nome
mio
a cotesti adoratori dell’antichità, che sono impo
isinvoltura. [5.187ED] La professione del compor melodrammi (Martello
mio
) è un scuola per voi di morale, che più di ogni a
ne allora che abbozzai la mia Poetica o fosse perché credei troppo al
mio
diletto Agatone, che tutto ciò ch’ei voleva mi da
tone lodato, di quell’affetto che a lui mi legava. [5.207ED] Ma se il
mio
libro compiuto Della tragedia, ch’io scrissi, fos
che per difetto di vita non han partorite e che, se avessero avuto il
mio
segreto, avrebbero poste alla luce con plauso. [5
come ad italiano e come ad uomo che mille grazie ne avea ricevute nel
mio
passeggero soggiorno per quella metropoli, la bel
mente respiri fra le commosse verdure. [6.17ED] Rideva in un canto il
mio
Impostore, fattosi ad osservarmi estatico e immer
non si cantasse. [6.53ED] Tu lo vedi sin accennato nel capitolo X del
mio
frammento della Poetica, ove, divisando le parti
ici, a cura di A. Calogerà, t. II, 1729, pp. 273-292, p. 288, corsivo
mio
). 21. A partire dall’Elogio pubblicato sul «Gior
satirici, a cura di H. S. Noce, Bari, Laterza, 1963, p. 524 (corsivo
mio
); Id., Lo sternuto d’Ercole, ivi, p. 378, laddove
i l’italiana poesia a quella medesima ragione ed idea, alla quale nel
mio
ragionamento Delle antiche favole ridussi già la
rollata per quanto in più pagine abbia ammonticato per conseguirlo il
mio
spregiudicato Maestro Apologista. Trovo un’ altra
e questa querela non avrà più luogo, pubblicata la nuova edizione del
mio
Libro. Lasciamo ancora, che io per uno de’ miei s
che i migliori loro Letterati sospiravano per una riforma. Ma qualche
mio
amorevole compatriota m’insinuò, che nel reimprim
a qualche mio amorevole compatriota m’insinuò, che nel reimprimere il
mio
Libro parlassi pure del Teatro Italiano al pari d
solo l’Apologista tra tutti i nazionali e gli stranieri? Voi, Signor
mio
, par che me gli cacciate sotto il naso, e pur Voi
ndosi chi con uno chi con altro pretesto ; dopo di che insistendo nel
mio
debito hò condotto da M.r Residente suo Fabritio
ha il padre che è caratterista, niente cattivo attore, anzi, a parer
mio
, buon attore ; e se non sta col padre, passa in p
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