CAPO XI. Primi passi
della
Commedia Antica. Frattanto la parte ridicola e
Omero, vollero anch’essi giovarsi delle fatiche di questo gran padre
della
poesia, e presero ad imitare l’aria urbana salsa
i prepotentia. Se la voracità del tempo avesse rispettato il trattato
della
Commedia Antica di Camaleone, o la Storia Teatral
Commedia Antica di Camaleone, o la Storia Teatrale scritta da Juba re
della
Mauritania citata da Ateneo nel quinto libro, sar
Questi libri ci avrebbero somministrati lumi maggiori e sull’origine
della
commedia e sull’ordine cronologico de’ poeti comi
i Megaresi di Sicilia pretesero che Epicarmo fosse stato l’inventore
della
commedia regolare, e che di non poco spazio prece
rone il vecchio. Platone nel Teeteto lo decorò col titolo di principe
della
commedia, e Teocrito lo chiamò inventore di essa,
comici antichi che conosciamo introducevano sì bene i numi e gli eroi
della
mitologia, ma essi vi facevano meschina ridevole
Ipparco, Timocle, di cui Ateneo ci ha conservato un frammento in lode
della
tragedia, nel quale afferma essere agli uomini ut
, Antifane, Eubolo, di cui Grozio rapporta qualche picciolo frammento
della
commedia intitolata Antiope; ed Esippo che scriss
chiari comici di tal periodo. Trovavasi il teatro Ateniese nel colmo
della
gloria nell’olimpiade LXXXI, quando cominciò a fi
ofane che sempre colla grazia e colle facezie temperava – l’amarezza
della
satira. Ebbero appena i comici imitando i tragici
ppena i comici imitando i tragici data forma alolor poema, che gonfii
della
riuscita presero a gareggiare co’ loro modelli, e
ri maliziosi cangiamenti. In ciò consisteva la parodia che fu l’anima
della
commedia antica. La vittoria si dichiarò per gli
li incantavano la Grecia. Accoppiavansi in esse all’esatta imitazione
della
natura i voli più bizzarri della fantasia, e si n
avansi in esse all’esatta imitazione della natura i voli più bizzarri
della
fantasia, e si nobilitavano colla poesia più vigo
o popolare Ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri
della
sovranità. Osò per questo un poema così straordin
mo riuscì tal commedía fuor di misura sfacciata e insolente a cagione
della
prosperità della Repubblica. La felicità continua
medía fuor di misura sfacciata e insolente a cagione della prosperità
della
Repubblica. La felicità continuata corrompe gli a
irò senza orrore il fiele che sgorgava da questo fonte; si compiacque
della
indecenza che vi regnava vedendovi il ritratto fe
ente senza la fiaccola de’ principii surriferiti, senza la cognizione
della
polizia e de’ costumi Ateniesi, e senza la pratic
tumi Ateniesi, e senza la pratica necessaria delle Vite di Plutarco e
della
guerra del Peloponneso che durò ventisette anni e
politico sapere descritta da Tucidide. Non sanà forse senza profitto
della
gioventù che conoscer voglia il teatro Greco e l’
a. Di Epicarmo può vedersi quanto si scrisse nel Tomo I delle Vicende
della
Coltura delle Sicilie. b. De Præpar. Evang. Lib
ltura delle Sicilie. b. De Præpar. Evang. Lib. X. a. Ne’ frammenti
della
Repubblica lib. IV. Perdoniamo loro l’aver feriti
ertazione del più volte lodato Saverio Mattei intitolata la Filosofia
della
Musica, che i Greci andavano al teatro come noi a
iù ragione adunque il teatro Ateniese potrebbe chiamarsi il gabinetto
della
Repubblica, il consiglio di stato, in cui, benchè
rsi la morale. Il di lui catechismo veniva sacrificato alminimo cenno
della
politica gelosia, il cui oggetto primario e nell’
cui oggetto primario e nell’ozio e negli affari era la conservazione
della
libertà.
delaide esordì a quattr’anni in Compagnia Fabbrichesi col Pitocchetto
della
Baviera. Ancor giovinetta passò a far qualche par
Teatro La Fenice di Napoli in Compagnia di Tommaso Zampa, il Salvini
della
giacca, salendo a tal grido, che il De Lise, comm
dette, vanno annoverate quelle di Caterina nel Falconiere di Marenco,
della
protagonista nella Nonna scellerata di Torelli, d
ta di Torelli, di Madama Guichard nel Signor Alfonso di Dumas figlio,
della
Duchessa nei Mariti di Torelli, della Marchesa ne
Signor Alfonso di Dumas figlio, della Duchessa nei Mariti di Torelli,
della
Marchesa nei Danicheff di Dumas figlio, della Mad
nei Mariti di Torelli, della Marchesa nei Danicheff di Dumas figlio,
della
Madre nel Marchese di Villemer di Giorgio Sand, d
i Dumas figlio, della Madre nel Marchese di Villemer di Giorgio Sand,
della
Palchetti nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa,
Giorgio Sand, della Palchetti nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa,
della
Duchessa nel Mondo della noia di Pailleron, di Ma
etti nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa, della Duchessa nel Mondo
della
noia di Pailleron, di Margherita nella Medicina d
lconi è stata forse la più vera delle attrici madri e caratteristiche
della
scena italiana. A dare una idea esatta del valore
dini in gonnella. Com’era apparsa in su la scena, avea già fatto metà
della
parte con una figura delle più convenienti al per
e vinto dalla mitezza dell’anima sua. Tornata, come ho detto, al lume
della
ribalta il febbraio del ’97, al Teatro Nuovo, A.
el ’97, al Teatro Nuovo, A. Boutet nel Don Marzio, tracciò un profilo
della
Falconi, dal quale io traggo le seguenti parole c
oscenici mai è giunta a posarsi, ad insudiciare l’anima buona e bella
della
illustre signora ; si che nel mondo pettegolo, ma
ente, qualche volta infamante, che si agita tra le coulisses, il nome
della
Falconi è pronunziato come quello di Maria Vergin
i da Gustavo Modena per quella Compagnia che doveva segnar la riforma
della
recitazione in Italia. Quando Sabbatini nel ’43,
one in Italia. Quando Sabbatini nel ’43, a lui tracciò le prime linee
della
Bianca Capello, il Modena qualcosa gli disse del
r la Botteghini. E subito al Sabbatini balenò per quest’ultima l’idea
della
popolana arrabbiata. La troviam nel ’50 a Milano
Dondini e Romagnoli ; e il Perego nell’Italia Musicale, al proposito
della
Piccarda Donati pure del Sabbatini, lasciò scritt
i lei mi scrisse Tommaso Salvini : Non aveva l’attraente prerogativa
della
bellezza, ma i suoi occhi vivacissimi, e la folta
simpatica, sebbene tutto l’insieme tendesse al volgare : era il tipo
della
popolana romana. La versatilità delle sue illustr
ssione e di verità i differenti personaggi di Sofia nei Due Sergenti,
della
qual parte faceva una vera creazione, della mogli
i Sofia nei Due Sergenti, della qual parte faceva una vera creazione,
della
moglie di Jacquart nel Jacquart, di Cate nella Pu
rata di Goldoni, di Numitoria nella Virginia di Alfieri, e finalmente
della
Marchesa di Savné nella Calunnia di Scribe. Dotat
bellissima figlia, Elisa Mayer, che per parecchi anni esercitò l’arte
della
madre, per la quale addimostrava tendenze non com
va tendenze non comuni, ben lontana però dal pervenire all’eccellenza
della
madre sua.
confabulava il poeta e qualche pastorella. Tale fu quella di Paulet e
della
sua pastorella, i quali entrano a parlare de gli
otato in seguito, che il fu degno nostro amico, ornamento ed istorico
della
letteratura Italiana, il cav. Tiraboschi, nelle s
tiche ed animate con parole le rappresentazioni sacre del secolo XIII
della
Compagnia del Gonfalone ed altre simili. E perchè
egli dice) si posson recare alcuni bei monumenti tratti dagli Statuti
della
Compagnia de’ Battuti di Trevigi eretta nel 1261,
ndum in festo fiendo more solito in die Annunciationis”; e i Castaldi
della
scuola eran tenuti providere dictis Clericis qui
lo de indumentis sibi emendis per dictos Castaldiones; “e nelle parti
della
medesima scuola si legge, cantores . . . habeant
che usciva dalla chiesa di San Filippo Neri, a spese de’ confratelli
della
Compagnia della Morte. Tal notturna processione e
a chiesa di San Filippo Neri, a spese de’ confratelli della Compagnia
della
Morte. Tal notturna processione e recita è durata
a Beatrice d’Este sua madre. ADDIZIONE V** Sull’autore del I atto
della
Celestina. V’Ha chi pone in dubbio, che il Co
. V’Ha chi pone in dubbio, che il Cotta fosse l’autore del I atto
della
Celestina. Alcuno l’attribuisce a Giovanni de Men
facio da Monferrato, si aggiunga quel che segue. 1. Vedi il tomo iii
della
storia des Trouvadours dell’ab. Millot. *. Al me
si rintracciano, si aggiunga questa nota (1). *. Al Capo II in fine
della
pag. 34, alle parole della nota, dopo il tempo de
ga questa nota (1). *. Al Capo II in fine della pag. 34, alle parole
della
nota, dopo il tempo de’ Romani, si aggiunga come
aggiunga come segue. *. Al Capo IV pag. 71, lin. 12, dopo le parole
della
parentesi, che non so perchè dal Bettinelli vien
patimenti. Come tutti i figliuoli d’arte, anche essa apparve al lume
della
ribalta, non a pena le fu dato di reggersi in pie
ai Filodrammatici di Trieste ultima per le parti ingenue nell’elenco
della
Compagnia Duse Lagunaz, di cui era direttore Luig
o a un letto d’ospedale ; e là mangiasse, quasi di soppiatto, la metà
della
zuppa, che a lei serbavan l’affezione e la pietà
na specie di sfiaccolamento, che la mostrava annoiata, quasi nauseata
della
vita. L’occhio pareva perdersi talvolta nello spa
ei pochi soldi bastevoli a gittarle addosso un cencio nero in memoria
della
madre morta, andata guitteggiando tutta la fanciu
inavvertito nelle vene, non doveva divampare in incendio al contatto
della
scintilla, sibbene svilupparsi per gradi, aliment
lta sostituì nelle parti di prima attrice, si faceva notare al fianco
della
Pezzana, del Majeroni, di Emanuel, per la spontan
lla Pezzana, del Majeroni, di Emanuel, per la spontaneità e sincerità
della
dizione, per la intelligenza artistica educata e
ell’arte, questa commedia, dico, segnò un gran passo avanti nella via
della
sua grandezza. Seconda donna con Cesare Rossi, po
Bernhardt, che affermò, se non completò, la trasformazione artistica
della
Duse. Veneratrice, più che ammiratrice di lei, an
a soggiogare quel pubblico ch’ era ancor tutto pieno del gran fascino
della
partita. Al trionfo della Bagdad tenner dietro qu
ch’ era ancor tutto pieno del gran fascino della partita. Al trionfo
della
Bagdad tenner dietro quelli della Moglie di Claud
n fascino della partita. Al trionfo della Bagdad tenner dietro quelli
della
Moglie di Claudio e della Dionisia e della Franci
l trionfo della Bagdad tenner dietro quelli della Moglie di Claudio e
della
Dionisia e della Francillon…. e di tutto ciò ch’e
agdad tenner dietro quelli della Moglie di Claudio e della Dionisia e
della
Francillon…. e di tutto ciò ch’ella rappresentava
’ha un altro più forte ancora, quello che determina la grandezza vera
della
Duse ; dietro a cui si affannarono invano, partit
nsistere l’imitazione in tutto l’esteriore dell’attrice : la rapidità
della
dizione e del gesto, l’abbandono della persona, i
ore dell’attrice : la rapidità della dizione e del gesto, l’abbandono
della
persona, il correr delle mani ai capelli, l’abuso
’imitazione, o, meglio, di ridicola contraffazione. Ma i grandi pregi
della
Duse non furon mai in un discorso accarezzato, mi
nale a effetti, non nel dondolio delle braccia, non nello strascichio
della
persona. I pregi della Duse, quelli che la elevar
dondolio delle braccia, non nello strascichio della persona. I pregi
della
Duse, quelli che la elevaron dalla comune, eran n
in una parte, ma, e soprattutto, di quel che non c’era. La grandezza
della
Duse era tutta grandezza di analisi, che sfuggiva
ndo e più sottile degli studi, egli non vedesse che una parte, quella
della
natura, viva, parlante, palpitante, dalla quale s
vere, parlare e palpitare con lei. E finalmente : la grandezza grande
della
Duse era nell’eloquenza di uno sguardo, nell’ int
ongiunto a un perfezionato studio di finezza e naturalezza ineffabili
della
dizione, ch’ ella si mostra oggi agli occhi de’ p
dici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito
della
rappresentazione di Frou-Frou, della quale era an
5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou,
della
quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entu
ti. La Duse è una gentile figura d’artista. A volte ha il passo lento
della
Bernhardt : pare strascichi a stento su la scena
senza avviluppamenti accademici, non so, mi trovo inceppato a parlare
della
verità di questa piccola fata. Gli artisti nostri
uso con un oh !, con un ah !… E il 19 dello stesso mese, a proposito
della
Signora dalle Camelie : Quello che in genere è a
vole (900 metri) – da questo profumo – l’odore puro, direi immacolato
della
montagna, da questo verde che riposa l’occhio irr
agna, da questo verde che riposa l’occhio irritato dalla luce del gas
della
città – da quest’aria che rimette a nuovo i polmo
piccina – di cui non sono la mamma che a certe ore, mentre per il più
della
giornata, io faccio il possibile per essere bambi
sella e senza redini…. Dei cibi sani – non pianoforte, nessuna musica
della
terra – nessun giornale – un piccolo frate che og
si alla radice. – Ecco tutto. Parole che mostran chiara la dolcezza
della
sua indole, e la vivacità del suo ingegno. In que
vivacità del suo ingegno. In quella maniera di scrivere era qualcosa
della
sua recitazione. Volesse punzecchiare, o celiare,
più reluttanti, i quali speraron financo dalla recitazione spontanea
della
nuova arrivata una provvida influenza sulla recit
resso, quarantaquattro anni a dietro, la recitazione gagliarda e viva
della
Ristori aveva influito, scrissero, su quella dell
e gagliarda e viva della Ristori aveva influito, scrissero, su quella
della
Rachel. E agli applausi della Renaissance tenner
ri aveva influito, scrissero, su quella della Rachel. E agli applausi
della
Renaissance tenner dietro quelli della Comédie Fr
della Rachel. E agli applausi della Renaissance tenner dietro quelli
della
Comédie Française, dove, per l’addio di Susanna R
’più rari certo) l’ultimo atto dell’Adriana Lecouvreur. Nel Capitolo
della
mia Arte del comico (Milano, 1890) si trova scrit
ra. A una rappresentazione del Chat noir di Parigi nel Casino-Théatre
della
Chaux-de-Fonds, entrai nel camerino di Grenet-Dan
che aveva recitato alcuni de’suoi versi più caldi ; e venuti a parlar
della
Duse, del suo legittimo trionfo di Parigi e della
; e venuti a parlar della Duse, del suo legittimo trionfo di Parigi e
della
probabilità di un suo ritorno per recitarvi in fr
to scrisse il Duquesnel nel Gaulois dell’ 8 giugno ’97 dopo la recita
della
Magda di Sudermann ; e a ragione : poichè nessuna
sione dell’odio, dell’amore, del dolore, dell’abbandono, del piacere,
della
vanità, dell’orgoglio, del dispetto, del disprezz
dell’orgoglio, del dispetto, del disprezzo, del terrore, del furore,
della
corbellatura, della rassegnazione, tutta la gamma
dispetto, del disprezzo, del terrore, del furore, della corbellatura,
della
rassegnazione, tutta la gamma in somma delle pass
r le diverse espressioni ch’ egli coglieva a volo in teatro sul volto
della
Duse, aveva tappezzato il suo studio a Palazzo Bo
grande artista di Rochefort, di Lemêtre, di Duquesnel, di Panzacchi,
della
Serao, di Boutet, di Piccini, di tutta la stampa
voro italiano. Mette bene il conto che io qui riferisca, a proposito
della
Cavalleria rusticana, le parole di Giulio Huret,
se il 4 luglio ’97 nel Figaro, dopo la rappresentazione straordinaria
della
Porte Saint-Martin : Sin dalla prima scena, affe
o ogni intonazione giusta, ogni moto perfetto, ogni sguardo eloquente
della
grande artista. Di scena in scena l’entusiasmo au
iscreti, coi quali si propaga l’ammirazione collettiva, e l’atmosfera
della
sala è creata, la battaglia è vinta, ahi troppo p
poteva notar colà un fenomeno maraviglioso e miracoloso delle forze e
della
nobiltà dell’ arte vera. Ciò che quella accolta d
unanime, frenetica, non era soltanto quel ch’essa coglieva del genio
della
Duse ; quei brava non significavan soltanto l’elo
e di Roma del 26 dicembre ’85, tutto in onore di lei, a illustrazione
della
Moglie di Claudio, degl ’Innamorati, della Teodor
re di lei, a illustrazione della Moglie di Claudio, degl ’Innamorati,
della
Teodora, della Fedora. MOGLIE DI CLAUDIO – Atto I
lustrazione della Moglie di Claudio, degl ’Innamorati, della Teodora,
della
Fedora. MOGLIE DI CLAUDIO – Atto IV Arrovesciato
di un mattino di primavera al ruggito possente, scaturito dall’anima,
della
Moglie di Claudio !!!!!! [http://obvil.github.io
una rigenerazione dell’arte nostra, e soprattutto a un risollevamento
della
coscienza artistica de’ nostri attori è fuor di d
stil novo, quando che il vogliano, potranno pur sempre tener lo campo
della
scena in tutto il mondo. Quando che il vogliano !
adenza attuale dell’opera italiana. Cause generali di essa. Paralello
della
poesia e musica moderne con quelle dei Greci. Mot
Paralello della poesia e musica moderne con quelle dei Greci. Motivi
della
perfezion degli antichi, e inconvenienti intrinse
o dal cielo a crescere ed allignare soltanto sul terreno privilegiato
della
Italia. Si dovrà bensì maravigliare onde avvenga
lia tanto dee crescere maggiormente quanto che la sfoggiata ricchezza
della
nostra colla povertà paragonata di quella dovea r
erne i dubbi paratamente, e a metter chi legge in istato di giudicare
della
decadenza attuale del melodramma, d’uopo è fermar
talia, come in tutta Europa, le belle arti non furono che un prodotto
della
imitazion degli antichi. Ciò si vede nell’origine
e un prodotto della imitazion degli antichi. Ciò si vede nell’origine
della
tragedia, e della commedia, e l’abbiam più chiara
a imitazion degli antichi. Ciò si vede nell’origine della tragedia, e
della
commedia, e l’abbiam più chiaramente veduto in qu
lo insomma venerazione, e riguardata come il Palladio, o conservatore
della
pubblica felicità. All’opposto nelle nostre legis
so con quello d’Orfeo e di Terpandro, i quali o richiamavano al suono
della
lira i selvaggi erranti per le campagne a fine di
llo che nasce da passaggiero e insignificante divertimento, la misura
della
lor perfezione altra appunto non è che il capricc
anti ad un fine. Indarno la storia ci somministra esempi maravigliosi
della
possanza della musica presso ai Greci; indarno la
. Indarno la storia ci somministra esempi maravigliosi della possanza
della
musica presso ai Greci; indarno la filosofia, dis
si veggono costantemente in Parigi, all’indole soporifera e monotona
della
musica francese. Ma se questo filosofo valicasse
bbe veduto che l’Italia non merita in questo punto maggior indulgenza
della
Francia. Avrebbe veduto che la musica più bella c
si canti nelle lingue viventi, né il più bravo poeta dramatico-lirico
della
Europa, né l’ampiezza e magnificenza de’ teatri,
a, né l’ampiezza e magnificenza de’ teatri, né lo studio perfezionato
della
prospettiva bastano nel paese delle belle arti a
e arti rappresentative. [4] Niuno crederebbe che la ricchezza appunto
della
nostra musica fosse quella che la rendesse meno p
gli affetti non altronde deriva se non se dalla più vicina imitazione
della
natura, cioè dalla espressione più esatta di quei
se stessa e spontanea nulla ha di comune colla successione dei tuoni
della
musica imprigionata fra i ceppi di tante regole a
ioni sono tanto più energiche quanto più fedelmente esprimono la voce
della
natura. Quindi è che un urlo solo, un gemito, un
tenerirci insinuandosi fino a’ penetrali dell’anima. La forza movente
della
melodia consiste nell’afferrare col mezzo dei suo
ltiplicandole all’eccesso, e invece d’afferrar il vero ed unico tuono
della
passione, non si cura se non di farci sentire tri
con mille altri sminuzzamenti di voce, si ritrova infine come il Mida
della
favola che moriva di fame in mezzo agl’infiniti r
finiti ragunati tesori. [6] La storia ci porge una opportuna conferma
della
mia proposizione facendo vedere che la musica gre
i fiumi, ammansava le tigri e innalzava le muraglie di Tebe al suono
della
lira per significar con siffatte allegorie la pro
n seguito e più doviziosa, ma semplice ancora e compagna inseparabile
della
poesia e del ballo animò successivamente i canti
d’Olimpo, di Simonide e di Saffo, s’innestò col carattere e i costumi
della
nazione, divenne il fondamento della educazion pu
nnestò col carattere e i costumi della nazione, divenne il fondamento
della
educazion pubblica e il veicolo della religione,
nazione, divenne il fondamento della educazion pubblica e il veicolo
della
religione, della morale e delle leggi. Allora si
il fondamento della educazion pubblica e il veicolo della religione,
della
morale e delle leggi. Allora si può dire senza te
lle leggi. Allora si può dire senza tema di esagerazione che il suono
della
lira governasse la Grecia collo stesso dispotismo
rcadia, che dianzi era il soggiorno d’uomini selvaggi, diviene quello
della
giocondità e della placidezza. Da ciò si rileva i
era il soggiorno d’uomini selvaggi, diviene quello della giocondità e
della
placidezza. Da ciò si rileva il politico fondamen
rileva il politico fondamento con cui molto prima dello stabilimento
della
filosofia i governi più illuminati della Grecia v
lto prima dello stabilimento della filosofia i governi più illuminati
della
Grecia vegliavano con tanta cura affinchè la musi
to il segreto d’ottenere siffatta calma. Perciò nei secoli più remoti
della
Grecia s’introdusse il costume di cantar nei conv
convitti le lodi degli dei e degli eroi affine d’impedire gli affetti
della
ubbriacchezza tanto più pericolosa a que’ tempi q
ssi dell’arte drammatica siccome contribuirono ad ampliar le richezze
della
musica via più raffinandola, così ne scemarono a
nimi, contentandosi di vanamente dilettare l’orecchio. La prima epoca
della
corruttela cominciò dacché sotto il governo degli
certo Polinneste accorciando al suo piacimento, e stangando le corde
della
lira, fece sentire dei suoni sconosciuti avanti a
pitici la fatale usanza di render la musica strumentale indipendente
della
vocale112. Tra poco la danza si separò dalla poe
tempo l’armonia non era una scienza a parte, ma un rinforzo soltanto
della
espressione poetica, o per esprimersi con più esa
con più esattezza, altro non era che l’arte di far valere gli accenti
della
poesia. Separati che furono codesti rami, divenne
o divenuto alla moda fece coi suoi canti tumultuosi un misero governo
della
poesia, del ritmo e della musica. I compositori p
coi suoi canti tumultuosi un misero governo della poesia, del ritmo e
della
musica. I compositori per distinguersi fra gli al
dire di Plutarco, l’armonia non aveva alcun riguardo alle inflessioni
della
voce, e queste sortivano dalla bocca del cantore
idi cangiamenti il comico Anassila ebbe a dire che la musica, agguisa
della
Libia, generava tutti gli anni un qualche mostro
a moderna musica, quantunque lontana assai dalle mentovate meraviglie
della
greca, se pur talvolta riesce di muover gli affet
ascoltando ivi il famoso Miserere del Palestrina eseguito dai cantori
della
cappella pontifìcia senz’altro ornamento che quel
e Tartini asserisce la medesima cosa parlando delle antiche cantilene
della
Chiesa, fra le quali se si ritrova qualcheduna ta
licità musicale, e perché istituita per una sola voce, e partecipando
della
natura del recitativo, ma in largo, non è legata
l’influenza di quest’arte sui costumi e sulla politica. Le tradizioni
della
China parlano in guisa dell’armonia che quasi sem
esì che per mezzo dell’armonia si potesse ispirar agli uomini l’amore
della
virtù e della pratica dei propri doveri. «Si vuol
zzo dell’armonia si potesse ispirar agli uomini l’amore della virtù e
della
pratica dei propri doveri. «Si vuol sapere s’un r
i di coloro che l’abitano sono buoni o cattivi? Si guardi il gusto
della
musica che vi regna» diceva Confucio. Ma quanto s
ed acuti che rendeva, il metsni somigliava all’aria pella dilicatezza
della
sua melodia, il bem aveva simpatia colla terra di
toria e poetica per eccitare ogni genere di passioni fondati sui moti
della
musica, e sulle diverse vibrazioni dei loro strum
mo proposito di non più ritornarvi. L’idea che gli Arabi si formavano
della
musica si potrà meglio comprendere dalla traduzio
i lettori che volessero acquistare più distinte notizie. «L’impiego
della
musica è una pruova della sua eccellenza. I nostr
cquistare più distinte notizie. «L’impiego della musica è una pruova
della
sua eccellenza. I nostri imani compagni de geni c
aro rampiccandosi sulle corde e spiegando la vela non pensa ai rischi
della
navigazione e intuona la sua canzonetta. «L’empia
elle perle, di tarpar le ali all’arenoso vento dominatore dei deserti
della
Petrea, e d’abbagliare i nostri occhi colle vane
uccelli ingannati dai suoni omogenei che fa egli sentire nel silenzio
della
notte. La timida pernice, l’incauto tordo e il fr
teso loro nelle ascose reti. «Il pastore, riposando allorché l’araldo
della
luce sferra i campi dopo il mezzogiorno sotto l’o
e umane, nondimeno conservarono lungamente il loro splendore a motivo
della
eccellente loro costituzione, e dell’intimo rappo
nsieme tutte le parti che li componevano. Si è parlato in altro luogo
della
convenienza di siffatti spettacoli colle opinioni
mo, la quale fu, siccome abbiamo veduto, una delle principali cagioni
della
lor perfezione: diamone presentemente una occhiat
che passa tra quelli e i nostri. Simplificando l’idea che noi abbiamo
della
musica in generale, sembra che altro non intendia
niera s’esprimevano meglio in un’altra; le trasposizioni o inversioni
della
sintassi che aggiugnevano grazia, numero e volubi
ezza abbiamo in massima parte rinunziato con discapito delle lingue e
della
poesia. Che si dirà poi dell’arte che avevano i l
accenti, onde così spiccata e sensibile rendevasi l’inflessione? Che
della
minutezza con cui si badava non solo alla natura
a delle lettere? Aristide Quintiliano ce ne dà un distinto ragguaglio
della
natura delle vocali, delle semivocali e delle app
umero prodigioso, dal quale solo potrebbe argomentarsi la superiorità
della
lingua greca rispetto a tutte le altre) non si tr
o tutta la varietà di movimenti degli oggetti imitati. E l’eccellenza
della
poesia e della musica greca consisteva in ciò app
età di movimenti degli oggetti imitati. E l’eccellenza della poesia e
della
musica greca consisteva in ciò appunto che nessun
ecedute da una breve, mostravano col loro tardo andamento la lentezza
della
cosa rappresentata. S’aveva intenzione di eccitar
ecchi che ballano nel coro. Secondo gli accennati principi il sistema
della
prosodia antica, nel quale i nostri ciurmatori gr
pennello delle Grazie, la fiaccola del genio, e la cagion effettrice
della
musicale possanza. [19] Ben più elevato e più sub
za sulle passioni dell’anima». 119 Il secondo si mostra così persuaso
della
verità di questa opinione che riguarda il cangiam
nione che riguarda il cangiamento del ritmo come una delle corruzioni
della
melodia. «Se noi mettiamo (egli dice) a confronto
nda allo stato dell’altra. Ciò serve a spiegare altresì in qual parte
della
musica greca fosse riposta la tanto da loro vanta
soprannaturale infuso dalla grazia divina) sono per lo più un effetto
della
sensibilità e del fisico temperamento, i moti de’
hiaro che fra le mani d’un saggio filosofo diverrà esso uno strumento
della
virtù, come fra le mani d’un accorto legislatore
dizione121. [21] Dal particolare studio posto da loro nella formazion
della
poesia e del metro non meno che nella scelta e ne
o ciò che concerne la musica propriamente detta. Noi siamo all’oscuro
della
natura intrinseca della greca armonia, chechè abb
sica propriamente detta. Noi siamo all’oscuro della natura intrinseca
della
greca armonia, chechè abbiano voluto dirci in con
greca armonia, chechè abbiano voluto dirci in contrario gli scrittori
della
storia musicale e i traduttori e commentatori dei
avate dai fatti si diduce che i Greci mostraron nell’uso che facevano
della
musica vocale e strumentale la medesima profondit
le belle arti riguardavano essi come oggetto principale l’imitazione
della
natura, e siccome la possanza imitatrice della mu
rincipale l’imitazione della natura, e siccome la possanza imitatrice
della
musica, massimamente nello svegliar le passioni,
ndo che l’energia dell’effetto è sempre in ragione dell’opportunità e
della
convergenza delle cause, si studiarono con sommo
sclusi dal genere musicale quasi tutte le diverse e moltiplici spezie
della
poesia. Noi non contiamo in questa classe che le
i, presso a’ quali non mai disgiugnendosi l’una dall’altra, i confini
della
musica erano gli stessi che quelli della poesia.
l’una dall’altra, i confini della musica erano gli stessi che quelli
della
poesia. I nostri compositori si troverebbono fort
vendo veruna misura fissa con cui poter regolare la durazion relativa
della
pronunzia nelle parole. Non così accadeva nella p
abbiamo noi nella opportuna collocazione degli accenti sulle parole,
della
quale nasceva in gran parte il numero, e la caden
ano, poiché non sapendo se la sillaba “spo” sia più lunga o più breve
della
sillaba “gli” o della sillaba “e”, non sa precisa
o se la sillaba “spo” sia più lunga o più breve della sillaba “gli” o
della
sillaba “e”, non sa precisamente se alla prima co
tri che vi si sono affaticati per levarlo di mezzo. E ciò che si dice
della
poesia rispetto alla musica, si dice ancora della
. E ciò che si dice della poesia rispetto alla musica, si dice ancora
della
musica strumentale rispetto alla vocale, cioè che
o per voler ciascuna primeggiare da sé, sottraendosi dalla dipendenza
della
sua compagna. [28] So che i fautori della moderna
ttraendosi dalla dipendenza della sua compagna. [28] So che i fautori
della
moderna musica, alla testa de’ quali fa d’uopo me
uasi che simili finezze non siano necessarie atteso l’attuale sistema
della
lingua e della poesia italiana. Ma parlando in ta
finezze non siano necessarie atteso l’attuale sistema della lingua e
della
poesia italiana. Ma parlando in tal guisa qual id
a poesia italiana. Ma parlando in tal guisa qual idea si formano essi
della
imitazion poetica e musicale? Ignorano forse che
ano di quantità determinata? Che il movimento ed il tempo mancheranno
della
dovuta precisione se vogliono tener dietro alle p
rla nei concerti puramente strumentali, cioè nel genere meno perfetto
della
musica, siccome quello cui manca il principal fon
no perfetto della musica, siccome quello cui manca il principal fonte
della
energia, che consiste nella espressione di qualch
cangiar di misura, principalmente in quei luoghi dove gli intervalli
della
voce essendo meno marcati, e conseguentemente più
guitar l’ordine delle sillabe? E che nelle arie stesse dove il riposo
della
voce sulle rispettive vocali è più durevole, e pi
uenza che ha nella musica, spiega altresì sufficientemente le cagioni
della
sua diversità rispetto all’antica, dove per molti
e da non ismentire la sua barbara origine. [29] Ma che vo io parlando
della
mancanza di misura poetica quando la moderna armo
, ch’è una tripla doppia, e la noncupla, la quale è una triplicazione
della
tripla. La prima di esse misure esprime quattro t
l’effetto lo sanno coloro che hanno filosofato sull’origine e i fonti
della
espressione musicale, e che conoscono altresì com
tresì come una sola spezie di misura non può se non che con discapito
della
espressione rendersi comune ai mentovati piedi, c
onia, più spediti dove si tratti dell’allegrezza, velocissimi poi ove
della
iracondia, e così delle altre affezioni dell’anim
rarie senza fissarla ad un movimento determinato. [31] Quanto si dice
della
moltiplicità delle parti si dice altresì della sc
o. [31] Quanto si dice della moltiplicità delle parti si dice altresì
della
scelta degli intervalli che sono in uso nella nos
a terza, il risultato del suono e dell’effetto sarà conforme al tuono
della
quinta, e non della terza. Posto questo principio
o del suono e dell’effetto sarà conforme al tuono della quinta, e non
della
terza. Posto questo principio incontrastabile, fa
iano le due terze. Egli è chiaro in tal caso che la base fondamentale
della
modulazione dovrà principalmente raggirarsi intor
er la sua vaghezza ed artifizio e tale è appunto il merito intrinseco
della
moderna musica, dove l’arte d’intrecciare le modu
itar le passioni, e che l’intrinseca ripugnanza che regna nel sistema
della
nostra armonia (ripugnanza nata dal comprendere i
lla greca nella quale siccome non trovavansi le squisitezze armoniche
della
moderna, così non si trovavan nemmeno le sue cont
nzi al suo scopo maravigliosamente diretto. [32] Il grande svantaggio
della
nostra musica è non per tanto quello che qualunqu
che abbiamo provato esistere nell’armonia, anche dalla natura stessa
della
cantilena o composizione, la quale a eccezione de
valli in ispezie di maggiore o minore estensione secondo il carattere
della
cantilena, non solo la voce, ma la voce determina
he non potessero trasferirsi a verun’altra, non solo la tendenza vaga
della
cantilena verso un tale oggetto, ma la tendenza i
la dei Greci, ma la verità, ch’è sempre la stessa malgrado il sorriso
della
prevenzione e i sofismi della pedanteria, ci farà
’è sempre la stessa malgrado il sorriso della prevenzione e i sofismi
della
pedanteria, ci farà vedere che noi non abbiamo de
ione e i sofismi della pedanteria, ci farà vedere che noi non abbiamo
della
musica fuorché la parte più materiale e meno impo
che facendo professione di vivere eternamente attaccati ai pregiudizi
della
lor nazione e del loro secolo come le cariatidi a
umentale separata dalle parole «una cosa insignificante.… ed un abuso
della
melodia». 113. [NdA] Ferecrate comico appo Pluta
na ai soldati, è opinione del celebre segretario fiorentino nell’arte
della
guerra (dialogo 2) e il Maresciallo di Sassonia n
e sì frequente bisogno! 122. [NdA] L’inglese Brown nel suo Trattato
della
forza e unione della musica e della poesia riflet
o! 122. [NdA] L’inglese Brown nel suo Trattato della forza e unione
della
musica e della poesia riflette saggiamente che l’
L’inglese Brown nel suo Trattato della forza e unione della musica e
della
poesia riflette saggiamente che l’idea che noi ab
lte effetti opposti non che dissimili. Platone, per esempio, parlando
della
melodia frigia, dice ch’era più tranquilla della
er esempio, parlando della melodia frigia, dice ch’era più tranquilla
della
dorica, che ispirava la moderazione, e che si con
filosofo asserisce che le composizioni d’Olimpo antico musico nativo
della
Frigia ispiravano un furore più che umano. Ciò no
reci che hanno trattato di musica, si ritrovava in Isvezia alla corte
della
famosa Cristina insieme col Naudeo letterato anch
audeo letterato anch’egli di prima sfera. Bourdelot medico e favorito
della
regina, e scrittore altresì d’una Storia della mu
elot medico e favorito della regina, e scrittore altresì d’una Storia
della
musica composta senza notizie, senza critica, e s
la regina che comandasse a Meibomio di cantar in sua presenza un’aria
della
musica antica pubblicata da lui medesimo nella su
pensava potersi giudicare con siffatto metodo dell’indole ed energia
della
musica antica. 123. [NdA] Martini, Storia della
l’indole ed energia della musica antica. 123. [NdA] Martini, Storia
della
musica, tom. 3, 453. 124. [NdA] Veggasi il tratt
oderno scrittore, cioè il padre Sacchi Barnabita nel capitolo secondo
della
sua Dissertazione intorno alla misura del tempo n
il nome di Earino se non perché non avrebbe potuto alterare il valore
della
prima vocale senza offender l’orecchio de’ suoi l
oni, t. 2. 128. [NdA] Trattato di musica, p. 145. 129. [NdA] Storia
della
musica, t. 3, p. 439. 130. [NdA] Estro poetico-a
e delle Spagne, termineremo questo libro con un saggio de’ progressi
della
coltura della Turchia e della commedia che vi si
e, termineremo questo libro con un saggio de’ progressi della coltura
della
Turchia e della commedia che vi si rappresenta. U
uesto libro con un saggio de’ progressi della coltura della Turchia e
della
commedia che vi si rappresenta. Un pregiudizio vo
si rappresenta. Un pregiudizio volgare va impiccolendo in noi l’idea
della
coltura delle nazioni a proporzione della loro lo
impiccolendo in noi l’idea della coltura delle nazioni a proporzione
della
loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia sembr
ne della loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia sembraci indegno
della
nostra stima e incapace di buon senso e di gusto.
tere e di comparare ne vanno esenti. Generalmente i Turchi, mal grado
della
loro comunicazione con alcune corti Europee, che
ili nella pace e nella guerra. Orcano stabilì varj collegj per comodo
della
gioventù. Amurat I creò e disciplinò la temuta mi
ava le arti e la musica, e coltivava l’astronomia. Compiacevasi anche
della
pittura, e Gentile Belino pittore Veneziano per a
a sua corte, e se ne tornò carico di doni75. Soprattutto si dilettava
della
storia, e singolarmente di quella di Augusto e de
i soggetti, e ne fece fare le traduzioni in lingua Turca76. All’amore
della
storia debbesi la beneficenza usata da questo pri
ersiano, come noi il Greco ed il Latino. Quei che attendono alle cose
della
religione e alla giurisprudenza, studiano i comen
ioni de’ nostri legislatori. Sin dal XVI secolo abbondavano ne’ paesi
della
Turchia Asiatica ed Europea le biblioteche. L’ Ol
ra uno spettacolo scenico. Ma la drammatica di questi moderni signori
della
Grecia troppo è lontana da quella del tempo di So
del giovane amante, e cade infermo. Tenero il padre indaga l’origine
della
sua malinconia, la trova, riflette, compatisce, s
e, capace di viluppo e di scioglimento popolare, dà luogo al maneggio
della
tenerezza, e nulla ha di romanzesco e stravagante
, alcune francesi di Hardi ecc., la Celestina, il dottor Carlino ecc.
della
Spagna, e la Calandra dell’Italia. I commedianti
e rappresentanze de’ Pupi. In occasione di nozze si passa la giornata
della
cerimonia ballando, o vedendo rappresentare i pup
monia ballando, o vedendo rappresentare i pupi. Le notti di quaresima
della
luna di ramazan si spendono a mangiare, fumare, p
ovio, Spon e Weler presso Bayle art. Golius Nota D. 78. V. il tomo I
della
Gazzetta letteraria dell’Europa, dove si parla de
anno però contribuito al miglioramento dello stile, o alla perfezione
della
musica. A maggiore e più compita illustrazione de
alla perfezione della musica. A maggiore e più compita illustrazione
della
materia io aveva pensato d’aggiugnere alcune rifl
io aveva pensato d’aggiugnere alcune riflessioni intorno alla storia
della
tragedia e della comedia italiana, e intorno all’
d’aggiugnere alcune riflessioni intorno alla storia della tragedia e
della
comedia italiana, e intorno all’influenza che dev
ndole dello spettacolo lo stato attuale civile e politico dei costumi
della
nazione; ma i consigli di qualche amico illuminat
avrà fra poco il piacere di leggere le vicende dei due mentovati rami
della
drammatica esposte con molta erudizione e criteri
o Napoli-Signorelli, degnissimo segretario di quella Reale Accademia;
della
quale opera benché nulla abbia io veduto finora,
ioni e per le viste utilissime che racchiude concernenti la filosofia
della
musica e delle arti rappresentative. Essa è diret
e delle arti rappresentative. Essa è diretta ad un celebre letterato
della
sua nazione, e contiene l’idea d’un’opera da eseg
dea d’un’opera da eseguirsi intorno alla musica, ma che per isventura
della
filosofia e del buon gusto non è stata finora int
tifica. Quanto a me, senza imbarazzarmi in una teoria, in ogni arcano
della
quale credo impossibil cosa il penetrare, sono d’
non gli adoperano le più delle volte fuorché ad abbellire i capricci
della
loro fantasia, ne ha in tal guisa sformati i line
ciò sono diretti i miei tentativi. Io presento a’ musici la rettorica
della
musica, e quest’è l’oggetto mio principale. Dico
o mio principale. Dico così perch’io imprenderò a trattare lungamente
della
musica degli antichi, e di quanto ha relazione co
, e di quanto ha relazione con essa. Confesso però ch’io debbo l’idea
della
mia opera, e i migliori mezzi onde sarà eseguita
opera, e i migliori mezzi onde sarà eseguita allo studio per me fatto
della
loro musica e in un della poesia loro. Quando si
onde sarà eseguita allo studio per me fatto della loro musica e in un
della
poesia loro. Quando si parla o si scrive sopra le
o bensì che la via d’intenderli bene e di gustarli non è tanto quella
della
discussione, e dell’analisi, quanto quella del gu
liano. [4] Gli antichi consideravano il ritmo come la principal parte
della
musica. Qui non cade in acconcio l’esporvi, o Sig
a quantità, d’altro non abbiam d’uopo che di por niente al meccanismo
della
loro poesia per fissare insieme l’importante e ve
serio esame. A tutti è noto che il più bello e più squisito artificio
della
versificazione greca e latina consisteva nella co
ni degli antichi. [5] Io debbo qui avvertire, o Signore, che la legge
della
quantità, alla quale s’assoggettavano i musici, n
tanarsene un cotal poco. Quintiliano osserva esser doppio il rapporto
della
breve e della lunga, e corrisponder la lunga ora
otal poco. Quintiliano osserva esser doppio il rapporto della breve e
della
lunga, e corrisponder la lunga ora a due brevi, o
d ogni modo e chi non s’accorge che la prima parola va più lentamente
della
seconda? Perlochè a questo corso più o meno rapid
cagione dell’estrema varietà e dell’irregolarità frequente del ritmo
della
musica antica. Io non poteva far conoscere a nost
quelle onde noi ci serviamo, senza metter in chiaro lume questa parte
della
loro musica onde mi sono inoltrato con tanto più
ero punto le prolazioni191. Noi all’opposto ci approfittiamo talmente
della
libertà che ci lascia la troppo ignorata prosodia
corciando i nostri suoni indeboliamo di giorno in giorno quella parte
della
espression musicale, ch’è fuor d’ogni dubbio la p
ere a’ nostri musici quanto lor monterebbe di conoscere il meccanismo
della
loro lingua, e segnatamente di rivolgere l’attenz
un modo vantaggioso e superiore ancora ad una delle maggiori bellezze
della
lingua greca, voglio dire all’onomatopea, di cui
o pochissimi esempi. Porrò fine facendo di passaggio un qualche motto
della
lunga controversia che durò sì lungo tempo tra gl
ti segni, l’istituzione de’ quali è posteriore d’assai alla bella età
della
lingua greca, non furono inventati se non per fis
ione distruggendo la bellezza principale, e l’artifizio il più felice
della
greca versificazione. Per quanto siasi beffato il
ro delle ragioni invincibili, e senza replica cavate dalla cognizione
della
musica. Oltracciò le riflessioni da me fatte sopr
re alla melodia permettete, o Signore, ch’io ragioni un poco de’ modi
della
musica antica, che non differivano dalle nostre m
neri, come più non si pensa che il ridicolo è l’anima e il fondamento
della
commedia 193. Noi ci promettiamo de’ nuovi e più
eca a quelle di Sofocle? Gli antichi conobbero molto meglio il pregio
della
bellezza. Voi sapete fino a qual segno la tennero
servare in Plutarco, in Dione, e in Massimo di Tiro, che la decadenza
della
musica de’ Greci seco trasse anche quella de’ lor
gni strumento non avea che un modo solo196. E questo ci rende ragione
della
quantità prodigiosa de’ loro strumenti, e in un c
el nostro “A-mi-la”. Del resto s’io rivolgo il pensiero alla severità
della
musica antica, non perciò pretendo di ristabilirl
bbia egli in vista d’afferrare quella giusta ed adeguata misura, fuor
della
quale fuggono, e a così dir, si dileguano tutte l
i suoni debbono essere conformi a quelli di cui abbonda il linguaggio
della
nazione. Distinguo la melodia libera da quella ch
al gusto generale ella ne ha sortito l’intento. Non avviene lo stesso
della
melodia obbligata, o vocale. Abbia questa tutte l
cuore, e che caldamente raccomandavano ai principianti, come la parte
della
musica la più utile all’eloquenza e in cui mostre
evidente per mezzo di esempi; e siccome non parlo a prima giunta che
della
sola melodia francese: così li traggo dalle opere
al canto italiano, il quale giusta la definizione per me data innanzi
della
melodia, e giusta le osservazioni ch’io farò su d
sì differir dal nostro, come l’accento, le inflessioni, il meccanismo
della
lingua, e i costumi degli Italiani differiscono d
costumi, e dal genio de’ Francesi. Porrò a confronto ciò ch’han detto
della
musica italiana alcuni personaggi ragguardevoli p
grand’uomini dell’Italia 198, e tenterò infine di scoprire le cagioni
della
sua seduzione, e della sua magia, mostrando che l
a 198, e tenterò infine di scoprire le cagioni della sua seduzione, e
della
sua magia, mostrando che la monotonia di cui noi
ior numero dei dotti che hanno penetrato più addentro in questa parte
della
musica, vuol concordemente che fosse sconosciuta
bellezze squisite e sublimi. Di tal maniera i piaceri dello spirito e
della
ragione devono preferirsi a quelli de’ sensi. Io
dichiarato essenziale al poema il verso? Tali altri fondano l’essenza
della
poesia nelll entusiasmo, ma (parliamo di buona fe
arliamo di buona fede) l’entusiasmo è egli mai il carattere esclusivo
della
poesia? Si rinviene egli mai presso agli antichi
sbandita la finzione. Egli è non pertanto indubitabile che col mezzo
della
finzione e della favola, la poesia antica formava
ione. Egli è non pertanto indubitabile che col mezzo della finzione e
della
favola, la poesia antica formava la principal sua
perciò che gli antichi l’hanno mai sempre risguardata come l’essenza
della
poesia201. [11] Coloro che non abbracciano siffat
, ma non s’avveggono che questi non aveano e non doveano aver nemmeno
della
poesia la medesima idea che i Greci, i poeti de’
che nacque dal non avere studiata accuratamente l’origine, e il genio
della
poesia antica. La semplice filologia non giugnere
le acconcie ad essere cantate, com’io proverollo più a lungo parlando
della
loro declamazione. Quindi io ritorno ai mezzi che
iamo fantastiche quelle che rappresentano gli esseri morali e le idee
della
imaginazione, che non hanno una certa e determina
iudo alfine osservando i diversi stili de più celebri musici non meno
della
scuola francese, che dell’italiana. [12] Ecco o S
lo dell’avanzamento delle arti m’incoraggiava talvolta, il sentimento
della
mia debolezza, e la grandezza, e la difficoltà de
a, il sentimento della mia debolezza, e la grandezza, e la difficoltà
della
impresa mi sbigottivano dall’altro. I pochi mezzi
186. [NdA] Avrà per titolo Saggi filosofici sull’origine e i fonti
della
espressione nelle belle Arti e nelle belle Letter
h’esse ci apportano. Nel secondo si parlerà de’ suoni e degli accenti
della
voce umana considerati come la materia elementare
alla origine delle lingue in quanto sono il fondamento dell’armonia,
della
melodia e dell’imitazione. Il terzo discorso comp
za alla quale si cercherà di ridurre gli spinosi, ed astrusi principi
della
espressione e del buon gusto, sarà fregiata di mo
del loro Petrarca, e il volgo alloppiato dal facile e pronto diletto
della
rima all’introduzione della nuova poesia fortemen
go alloppiato dal facile e pronto diletto della rima all’introduzione
della
nuova poesia fortemente s’opposero. E sebbene sif
tare, ella tuttavia era appoggiata sulla ragione e sull’indole stessa
della
lingua italiana, la quale avendo da lungo rempo a
ed i Latini. L’articolo “il, la, lo”, che si premette a tutti i casi
della
declinazione di qualunque nome, le danno un certo
esinenza costante d’ogni nome nella medesima lettera per tutti i casi
della
sua inflessione la rende troppo uniforme, e le to
e col solo cangiar terminazione esprima in una parola il diverso caso
della
sua inflessione che non l’altra, la quale conserv
dei verbi ansiliari essere e avere mettendoli avanti a tutti i tempi
della
voce passiva dei verbi, e a molti della voce atti
endoli avanti a tutti i tempi della voce passiva dei verbi, e a molti
della
voce attiva induce non so qual imbarazzo nella si
se ne faceva: pure malgrado il loro zelo e l’eloquenza loro i piaceri
della
ragione furono sagrificati a que’ dell’orecchio,
i a que’ dell’orecchio, e d’allora in poi essi compiansero la perdita
della
musica antica. Imperocché ciò che Plutarco, Massi
ione di coloro (tra’ quali deve contarsi il Muratori nel secondo tomo
della
perfetta poesia) che veggendo i difetti della mus
ratori nel secondo tomo della perfetta poesia) che veggendo i difetti
della
musica italiana nascere per la massima parte dall
ca al solo recitativo. Per quanto sia bella in se stessa questa parte
della
musica, per quanto il recitativo italiano, quand’
e le altre nazioni, senza eccettuar la francese, nella verità e forza
della
espressione, nella naturalezza della declamazione
a francese, nella verità e forza della espressione, nella naturalezza
della
declamazione, nella scelta d’inflessioni vive e i
fucatur, atque praelinitur, fit praestigiosum.» 201. [NdA] L’anima
della
poesia antica era la finzione: per mezzo della fa
» 201. [NdA] L’anima della poesia antica era la finzione: per mezzo
della
favola ella formava la principal sua imitazione,
o colle sue proprie parole, come si trovano nel suo libro dell’unione
della
musica e della poesia alla pag. 205. «Ma affinch
prie parole, come si trovano nel suo libro dell’unione della musica e
della
poesia alla pag. 205. «Ma affinchè non sembri ch
e dell’oratorio possono rappresentarsi perfettamente uniti alle forze
della
musica e congiunti con la probabilità, e la natur
unione dell’ode e del poema epico si formò un rozzo naturale abbozzo
della
tragedia composto di narrazione musicale e di can
usicale e di canto corale. Fissiamoci dunque qui per l’acconcia forma
della
rappresentazione musicale delle azioni grandi, te
un tal grado di naturalezza, e di probabilità, che daranno all’unione
della
musica, e della poesia la maggior forza e pathos.
naturalezza, e di probabilità, che daranno all’unione della musica, e
della
poesia la maggior forza e pathos. Le narrazioni c
scire più animati d’una semplice e continuata ode, la quale a cagione
della
sua non interrotta lunghezza può divenir languida
i quali ascoltano la recita dell’azione, e sono informati delle leggi
della
melodia, ad unirsi a prender parte in qualunque r
uo sistema compose un’oda intitolata la Cura di Saule. Ma checché sia
della
bellezza di tali componimenti considerati come pu
resentemente, per quanto prevedo me ne asterrò per l’avvenire, sicuro
della
mia retta intenzione, e de’ fatti scenici che rif
n più vigore assaltiate, ed esterminiate i vostri avversarj, formando
della
Letteratura Spagnuola un’ Apologia da essere un m
mando della Letteratura Spagnuola un’ Apologia da essere un monumento
della
vostra sapienza ære perennius; o se potrò almeno
donatemi questa insinuazione; ma siate certo, che il Mondo è persuaso
della
verità del motto Virgiliano: Non omnis fert omnia
aduzioni le Tragedie del Perez: sulla infelice difesa che imprendeste
della
Isabella dell’Argensola: sulla vostra novella fog
ell’Ecuba &c.: sul giudizio che portaste di Rapin: sugl’inventori
della
Pastorale: su i Pregiudizj attribuiti al Signorel
ro falso modo di ragionare dell’Opera Italiana: sulle Tragedie divine
della
Caverna di Salamina: sul passo di Orazio, in cui
pitale non posseggono, che l’onestà? E lasciando a parte i rimproveri
della
propria coscienza, e il deterioramento della ripu
ndo a parte i rimproveri della propria coscienza, e il deterioramento
della
riputazione presso il pubblico, si dee poi riflet
te a voi stesso il credito o per parte dell’intendimento, o per parte
della
volontà, e perpetuerete gli errori nazionali. In
lustri, si sono in tal guisa condotti i loro Filosofi, i veri amatori
della
Patria. Se non si manifestano le piaghe, come vol
ariz, dotti Filosofi Economisti Spagnuoli, avessero composte Apologie
della
condotta tenuta sotto i Monarchi Austriaci, in ve
i Austriaci, in vece di mostrarne gli errori, e d’indagare le origini
della
decadenza delle manifatture, del Commercio, della
indagare le origini della decadenza delle manifatture, del Commercio,
della
Marina, sarebbero stati i forieri degli odierni u
corrispondenza, e il traffico parimente di una Colonia coll’altra, e
della
Nuova-Spagna colle Filippine, si sarebbe ad occhi
glia, e delle Provincie di Valenza, Galizia, e Catalogna: opere degne
della
Umanità, opere che assicurano, non che i beni, le
lettosa Carolina che rallegra i Viaggiatori con tante verdi ricchezze
della
terra, che ora vi abbondano; vi si vedrebbero pop
idicole, quando spereremmo di vedere totalmente atterrate le reliquie
della
barbara Architettura? E potrebbe ciò sperarsi se
rante di Architettura prendesse a difendere la facciate dell’Ospizio,
della
Chiesa di San Sebastiano, del Quartiere delle Gua
n Sebastiano, del Quartiere delle Guardie del Corpo di Madrid, figlie
della
matta fantasia di Churriguera, che fu il Lope de
ero in sì famosa Corte. Ed ecco il modo di accreditarsi di benemerito
della
Nazione: secondare le sublimi vedute di sì benefi
fi nazionali, che non cessano dall’indagare sempre più utili sorgenti
della
ricchezza della Patria nel miglioramento dell’Agr
e non cessano dall’indagare sempre più utili sorgenti della ricchezza
della
Patria nel miglioramento dell’Agricoltura, e del
curate di mettere avanti la ignoranza, e la rozzezza de’ primi tempi
della
Città di Roma per averli discacciati. Roma guerri
averli discacciati. Roma guerriera non discacciava la Greca Sapienza,
della
quale cercò anzi di approfittarsi nella compilazi
illosa eloquenza di Carneade, che, aringando ora a favore, ora contro
della
Giustizia, mostrava ingegno, e non sapienza, esem
lcune Provincie di questa Penisola, e Roma discacciava i Sofisti, più
della
metà dell’Italia diventava infatti, e non immagin
i rimase qualche cosa più preziosa, cioè a dire la memoria gratissima
della
dottrina di tanti Filosofi, Oratori, Matematici,
a, come poi non si sono conservati in tali paesi gli stessi monumenti
della
Sapienza Greca? Quali Libri si ha notizia, che co
ico col vano suono delle parole. Queste non saranno mai nobili figlie
della
vera Eloquenza, quando manca loro il sostegno del
mai nobili figlie della vera Eloquenza, quando manca loro il sostegno
della
verità. E come parlare, o scrivere eloquentemente
λογων; diceva il piu eloquente Poeta Filosofo, lo Scrittore Tragico
della
Caverna di Salamina. VII. Volete voi tribut
e darò qualche esempio. Il Signor Lampillas va ruminando1 i materiali
della
Storia Letteraria di Spagna intorno alla venuta d
he esse c’insegnarono? Nulla in sostanza. De’ Celti dicono gli Autori
della
Storia Letteraria, che, lungi dall’averci insegna
’ Fenici? Perchè la venuta di questi si ha da riguardare come l’epoca
della
istruzione Spagnuola, se non possiamo determinata
avere riscontrati gli originali, sulla fede de’ compilatori Cordovesi
della
Storia Letteraria, par che affermi esser certo, i
iremmo in nostra lingua da gran tempo, e come dice nella sua l’Autore
della
Lettera citata mucho tiempo ha. Dice poi l’Apolog
Marchese di Mondejar intitolato Gades Phæniciæ “vien fissata l’epoca
della
venuta de’ Fenici nella Spagna, verso l’anno 1500
o 1500. prima dell’Era Cristiana”; che così pensano ancora gli Autori
della
Storia Letteraria, benchè M. Goguet la ritardi si
lla di lui mente i dubbj medesimi nati in quella del prelodato Autore
della
Lettera. Donde son las pruebas (Num. 73.)? que Au
anno certamente gli Etruschi pruove cotanto autentiche dell’antichità
della
loro Letteratura”. E donde gli nasce ora quel cer
sistema degli Atomi. Ma ecco su di ciò come ragiona l’erudito Autore
della
Lettera, che ci risparmia il travaglio di far quì
ema Peripatetico . . . . e la Spagna lo ricevè da’ Fenici molto prima
della
Grecia, e di Roma. Infelice gioventù” (ciò riferi
e di Roma. Infelice gioventù” (ciò riferito esclama l’ingenuo Autore
della
Lettera lodata) “che impari Critica da tale Stori
; gli Spagnuoli dunque ricevettero il sistema degli Atomi molto prima
della
Grecia, e di Roma? Stavano scritte con questa Log
ni?” In questa guisa ragionano i veri dotti Spagnuoli, i veri amatori
della
propria Nazione. Vogliono lodi che provengano da’
a’ sofismi, da imposture in fine? Ha bisogno delle glorie immaginarie
della
Letteratura Fenicia, Celtica, Greca, Cartaginese,
nicia, Celtica, Greca, Cartaginese, una Nazione generosa difenditrice
della
propria libertà per tanto tempo contro le forze p
ce della propria libertà per tanto tempo contro le forze più poderose
della
Romana Repubblica, che tante pruove di eroico inv
lita sotto gli Arabi seppe nelle montagne Asturiane conservare i semi
della
Libertà, donde sursero i Regni Cristiani, che al
e “Fortune fu maggior, che quando vinse?” Che seppe per amore e zelo
della
Religione sacrificare eroicamente un milione di V
sa Nazione di far quasi Spagnuolo l’Africano Annibale, e di pregiarsi
della
Lingua Greca che costui sapeva, per averla appres
i nella Betica, e il verseggiare accennato da Strabone nel III. Libro
della
Geografia? e che per giunta si conchiuda, che int
la Provincia Francese? Ha bisogno, Dio buono! di pregiarsi di un Atto
della
Celestina, che ne ha più di venti, e su questa ve
etture ed arzigogoli. Essa sola copiosamente fornisce ai veri amatori
della
Spagna glorie reali, patenti, innegabili: e quest
accommiato. 1. Vedi tali stabilimenti descritti nel Libro VIII.
della
Storia di America del Dottore Guglielmo Robertson
i ancora il Prologo del T. VI. del Viage de España. 1. V. il T. II.
della
P. I. del Saggio p. 14. 1. T. II. P. I. del Sag
aggio p. 14. 1. T. II. P. I. del Saggio Apol. 1. V. il Numero 52.
della
Lettera uscita in Madrid nel 1781. su gli errori
il Numero 52. della Lettera uscita in Madrid nel 1781. su gli errori
della
Storia Letteraria. 1. L’Autore della citata Let
Madrid nel 1781. su gli errori della Storia Letteraria. 1. L’Autore
della
citata Lettera distrugge ancora le congetture tra
diole, e riuscendo di non poco utile al capocomico. Ora ecco l’elenco
della
Compagnia di Luigi Rosa e Pasquale Tranquilli, ch
o colto Pubblico, e si lusinga che gli intelligenti e benigni amatori
della
drammatica, una non dubbia prova accordare vorran
nni, che le fu amica, madre, maestra amorosissima ; ai sacri precetti
della
quale, affermava ne'suoi ricordi con raro, e dire
scherpa, con cui stette fino al '45. Frattanto il Righetti, direttore
della
Real Compagnia, facevale vive istanze perchè vi t
istanze perchè vi tornasse ; ma, prima per le condizioni da lei fatte
della
scrittura, poi per la speranza del suo matrimonio
na serie di romantiche vicende la marchesa Capranica Del Grillo, fuor
della
scena. In quel tempo l’attore e capocomico Pis
Allora il Righetti, che in lei sola omai vedeva l’àncora di salvezza
della
naufragante Compagnia Reale, tornò all’assalto ;
La larghezza delle offerte aveva solleticato non poco l’amor proprio
della
Ristori, nella quale si risvegliò d’un tratto pot
ue volte alla settimana, in una sola produzione per sera in principio
della
serata con diritto di rifiutare quelle parti immo
ponessero la Compagnia, prima di sottoscrivere il contratto ; e prima
della
riconferma, non dovrebber in esso farsi innovazio
re, qualunque fosse, non dovrebbe aver diritto d’imporle l’esecuzione
della
sua parte ; volendo ella eseguirla secondo gliela
ligente, lo capiva, e voleva conciliar quelle col bilancio non pingue
della
Compagnia. E cercandole con lusinghevoli parole l
ibuire all’esistenza di questa, come una figlia riconoscente a quella
della
propria madre. » Ma l’onorario annuo portò, ultim
te modificato. Ella aveva attinto da noi il culmine sommo
della
rinomanza. Gl’inni della stampa, e gli entusiasmi
Ella aveva attinto da noi il culmine sommo della rinomanza. Gl’inni
della
stampa, e gli entusiasmi del pubblico non ebber c
Fu allora che « come un baleno — è lei che lo dice — da un cantuccio
della
sua mente scaturì l’ardito progetto di andare in
ile l’insuccesso artistico, possibilissimo il finanziario. Il ricordo
della
Compagnia che v'era andata il '30 con la Internar
argomenti, primo dei quali la divisione con lui, nel caso di perdita,
della
sua parte di utili toccata in Italia. E la
Grillo)…. E il Marchese Giuliano, di fatti, si recò a Parigi prima
della
Compagnia ; e di là mandò al Righetti una nota de
ressi e rischi, ho a cuore, più di qualunque altro, la riuscita buona
della
cosa per la mia Adelaide…. E la sera della prima
altro, la riuscita buona della cosa per la mia Adelaide…. E la sera
della
prima rappresentazione, il 22 di maggio, venne, e
a della prima rappresentazione, il 22 di maggio, venne, e il successo
della
Ristori fu ottimo, se non stupefacente. La stessa
he nella scena del quarto atto, grandi risorse, e taluni tra i devoti
della
Rachel, negaron tra l’altro all’artista nostra «
ta un trionfo de'più solenni. Ma la Ristori non era il solo ornamento
della
Compagnia. Altri artisti di valore, come Ernesto
giugno si replicò la Mirra ; e il pubblico, attratto dall’entusiasmo
della
stampa, vi accorse in gran folla, e il successo f
ariamente assicurata : omai la Rachel fu soggiogata dalla grande arte
della
Ristori, fatta tutta di spontataneità, e quel bat
de arte della Ristori, fatta tutta di spontataneità, e quel battesimo
della
sua fama le aprì le vie di tutto il mondo. Ec
ta di Parigi 21 agosto 1855, Giuliano del Grillo. Reynaud, il Colline
della
Bohème, scrive della Ristori nella nuova serie de
o 1855, Giuliano del Grillo. Reynaud, il Colline della Bohème, scrive
della
Ristori nella nuova serie de'suoi Portraits conte
muove al pianto, anche quando non la si comprende, con l’espressione
della
sua faccia, e la melodia del suo organo di fisarm
Française (Paris, Dentu, 1873), dice di lei : L'ornamento principale
della
Compagnia, Adelaide Ristori, si ebbe nella interp
si sforzava di mostrare quanto più grande fosse la tragica straniera
della
tragica francese…. E tutti i giornali comparavan
iasmo, scriveva a un amico : Sono stato un de' più grandi ammiratori
della
Ristori. L'ho veduta in tutte le sue parti, e non
esente successo all’Ambigu nella Rosa Michel del Blum. Tutta la scena
della
denunzia in Patria era del Ristorismo più puro. P
, Bourdilliat, 1861), non ebbe, specie per la recitazione in francese
della
Beatrice di Legouvé, parole di soverchia tenerezz
fu anche, s’è già detto, il primo passo del lungo e glorioso cammino
della
Ristori, chè di là il suo nome echeggiò in ogni p
povero soldato condannato a morte ; visse, nei momenti più burrascosi
della
patria nostra, gagliardamente italiana. Fu sposa
Fu sposa e madre adorata ; e, lasciate le scene, diventò dama d’onore
della
Regina d’Italia. Al suo ottantesimo anno, tutto i
ele III andò in persona a ossequiarla, recandole un dono e gli auguri
della
Regina : il Ministro dell’Istruzione le coniò una
826, e morto capo-stazione a Foggia nel 1894 ; e Cesare ora al fianco
della
sorella per le parti di carattere, ora cantante b
fece miagolare a forza di sculacciate. Era nel 1850 la prima attrice
della
Compagnia Astolfi, Capodaglio e Venturoli. La Mod
i, Capodaglio e Venturoli. La Moda di quell’anno (25 giugno) parlando
della
Compagnia che recitava all’I. R. Teatro alla Cann
ne i precetti dalla rinomata Ristori, la quale seppe guidare il genio
della
nobilissima allieva, ed infondere nella di lei az
atiche dei nostri giorni. Nella Laboranti traluce il dire ed il gesto
della
Ristori………… Nella sua serata di benefizio scelse
Lecouvreur. Se in altre produzioni la Laboranti è fedele all’ indole
della
sua parte, e sa, diremo cosi, convertire in verit
o un mazzolino di fiori inviatole dalla sua rivale, il lento processo
della
venefica emanazione fu così bene dipinto dalla La
ne dipinto dalla Laboranti, che a giudizio dei provetti frequentatori
della
commedia, ella ragguinse la sublimità della Risto
ei provetti frequentatori della commedia, ella ragguinse la sublimità
della
Ristori.
varietà dei gusti musicali. [1] In una nazione che riguarda l’unione
della
musica e della poesia come un semplice passatempo
ti musicali. [1] In una nazione che riguarda l’unione della musica e
della
poesia come un semplice passatempo destinato a ca
stesse, la musica strumentale non è che una imitazione o un sassidio
della
vocale. Ma dal momento in cui si separarono codes
n uso più frequente delle arie, o strofette liriche, nei loro drammi,
della
quale usanza invaghiti i maestri dozzinali (cioè
musica drammatica. Per lo che, trovandosi con siffatto metodo liberi
della
fatica che doveva costar loro la verità e i tuoni
di sfoggiare nel canto più raffinato ch’esigono le arie coll’agilità
della
voce senza trovarsi, a così dir, rinserrati fra l
sono puramente letterari, citerei innanzi al tribunale inappellabile
della
umanità, della filosofia, e della religione la ba
letterari, citerei innanzi al tribunale inappellabile della umanità,
della
filosofia, e della religione la barbara ed esecra
innanzi al tribunale inappellabile della umanità, della filosofia, e
della
religione la barbara ed esecrabile costumanza che
ia dell’asiatica voluttà per monumento dei nostri vizi, per oltraggio
della
natura, e per consolar i Caraibi ed i Giaghi dell
izi, per oltraggio della natura, e per consolar i Caraibi ed i Giaghi
della
superiorità che gli Europei si vantano d’avere so
opra di loro. Parlo del privar che si fa spietatamente delle sorgenti
della
virilità tanti esseri men colpevoli che infelici,
n colpevoli che infelici, non per sigillare col loro sangue la verità
della
nostra augusta religione che ispira solo mansuetu
per esercitar un atto di virtù eroica e sublime che ci ricompensasse
della
durezza dei mezzi coll’importanza del fine, ma pe
col fine di stampare negli animi del popolo le massime più importanti
della
morale, sono oggimai divenuti l’asilo de’ pregiud
nazionali, e altrettante scuole di scostumatezza. Esorterei i grandi
della
terra, che accumulando insensatamente su tali per
dell’altare acciocché più non trovasse ricetto nel domicilio augusto
della
divinità un pregiudizio che non può far a meno, c
riaccese di nuovo i fulmini del Vaticano contro ai crudeli promotori
della
evirazione. Mi rivolgerei a quel sesso da cui non
ocinasse una simile causa, ma tra il quale gl’inconcepibili progressi
della
corruzione fanno pur nascere più di una spiritosa
cere più di una spiritosa avvocata, pregandolo a concorrere per mezzo
della
influenza cui la natura, non so se per nostra for
tocle coi visi forbiti di codesti ch’io chiamerei volentieri i neutri
della
umana spezie? Fra la dolce e vigorosa fierezza d’
lo stesso contegno che le si darebbe alorché si consiglia coi grandi
della
nazione intorno alla scelta di uno sposo. Chi può
ta al petto per più minuti, come avessero a rappresentare i figliuoli
della
Niobe che si trovano nella galleria di Firenze? C
riposo non altrimenti che facciano gli avvelenati o i punti dal morso
della
tarantola nel tempo che si espone la sua ragione
iacenza e colla stolidezza degna di cotai mecenati? Per non dir nulla
della
energia che scemano alla situazione e al sentimen
orrono principalmente a produr l’espressione, cioè l’accento patetico
della
lingua, l’armonia, e la melodia, ciascuna delle q
formano quell’aggregato dal quale ben congegnato e unito ai prestigi
della
prospettiva risulta poi l’illusione e l’interesse
ta poi l’illusione e l’interesse dello spettacolo. L’accento patetico
della
lingua non essendo altro che il linguaggio natura
fica l’accento secondo tali determinati intervalli, e che dà ai suoni
della
melodia la necessaria precisione e giustezza. Le
la, non sarebbe possibile l’ottenere l’effetto delle altre. L’accento
della
lingua sciolto, a così dire, e vagante non avrebb
reca, dove la poesia regolava la musica, dove la prosodia era l’anima
della
misura, dove l’accento musicale se medesimo non a
a dell’amore, ella non sa regnare che sola. Dall’altra parte l’azione
della
musica è così viva ed intensa che mal potrebbe re
te non perdano totalmente l’effetto loro. Quindi la natural divisione
della
poesia musicale in recitativo semplice, recitativ
poteva esser tale presso agli antichi Greci. cosicché tutta la teoria
della
espressione nel moderno melodramma si racchiude n
del seguente problema: Assegnare fino a qual punto l’accento naturale
della
lingua possa divenir musicale, e fino a qual punt
asfondendosi intieramente nel canto e fregiata da tutti gli ornamenti
della
strumentale concorre insiem colla musica a render
recitativo, nel quale poco differente dal parlar ordinario pel tuono
della
voce tranquilla con cui s’espone, e per le materi
nso delle parole con chiara e netta pronunzia, osservando la prosodia
della
lingua senza confonderla, facendo sentir all’orec
ei tuoni, in una parola attaccandosi alle regole che prescrive l’arte
della
declamazione. La musica non vi deve entrare se no
za d’un animo agitato da mille movimenti contrari, l’accento patetico
della
lingua piglia anch’esso un nuovo carattere nel re
rnativo silenzio frapposto alle parole è il miglior indizio possibile
della
dubbiezza dell’animo, non potrebbe rappresentarsi
dettata dal buon senso e dalla esperienza d’usar cioè vicendevolmente
della
poesia e degli strumenti come di due interlocutor
vrebbe far sentire la successione degli intervalli armonici nei tuoni
della
voce, e farla sentire in maniera che, notandoli f
ignificar coll’azione, coi cambiamenti del volto e coll’atteggiamento
della
persona que’ tratti di forza e di sublimità che v
ili. Diamone alcuni saggi per maggior chiarezza. [12] Nel sesto libro
della
Eneide Enea trova ne’ boschetti dell’Eliso la tro
otervi resistere, avea presa la fuga. Il vecchio sen duole amaramente
della
codardia del figlio. La sorella allor gli dimanda
o, o si risolve in uno o più sentimenti determinati, allora l’accento
della
lingua rinforzato dal vigore che gli somministra
di più energico prende tutti i caratteri del canto. Ivi l’estensione
della
voce è maggiore, le sue inflessioni più decisive,
e le combina sotto la forma più acconcia a far nascere in noi le idee
della
unità, della varietà, della convenienza e dell’or
sotto la forma più acconcia a far nascere in noi le idee della unità,
della
varietà, della convenienza e dell’ordine. Così l’
più acconcia a far nascere in noi le idee della unità, della varietà,
della
convenienza e dell’ordine. Così l’amore di Prassi
Ecco la necessità di abbellir la natura ricavata dal principio stesso
della
imitazione. [20] La musica non differisce punto d
la proporzione e il vigore osservati dallo scultore in più individui
della
umana spezie; come la descrizione della tempesta
llo scultore in più individui della umana spezie; come la descrizione
della
tempesta in Virgilio non è altro che l’unione di
di qualche passione, e disposti poi dal compositore secondo le leggi
della
modulazione. Il risultato non per tanto della imi
sitore secondo le leggi della modulazione. Il risultato non per tanto
della
imitazion musicale benché tale qual è non esista
sparso sopra di noi i sistemi d’educazione, e i successivi progressi
della
cultura o piuttosto del corrompimento nella socie
lo scegliere i motivi più belli, e il far uso di tutte le squisitezze
della
melodia, ma non vorrebbe che la musica di teatro
nella poesia. In una parola vorrebbe egli che le grazie e le bellezze
della
musica fossero tutte quante sagrificate ad una ri
dal complesso di molte altre idee accessorie che s’uniscono a quella
della
immediata espressione dei sentimenti, certo è che
l colpire con giustezza pel segno dando alla rappresentazione propria
della
musica quel grado d’abbellimento che la rende com
fra loro i due estremi difficili, di emendar cioè coll’arte i difetti
della
natura, e di non sostituire alla natura gli abbig
bellimenti cuoi servano, a così dire, di mediatori fra l’imperfezione
della
natura e la sensibilità mal contenta dell’uditore
ra lo spettatore, che non s’interessa nell’oggetto se non se a motivo
della
illusione, ogni qual volta è costretto a riconosc
lusione, ogni qual volta è costretto a riconoscer l’inganno: si pente
della
propria credulità e si vendica dispregiando l’art
schivarli. Dee ammetterli qualora essi realmente correggano i difetti
della
composizione o del sentimento, qualora promuovano
iverso da quello che esige il suo carattere, ovvero cangiano l’indole
della
passione o la natura del personaggio. Come la mat
nale o in un coro; attesoché se ad ogni cantore si concedesse l’uscir
della
riga per far pompa di ghiribizzi mentre gli altri
rnamenti debbono usarsi con parsimonia e con opportunità. La mancanza
della
prima fa simile il canto alla pianta infeconda di
pianta infeconda di Virgilio: «foliorum exuberat umbra». La mancanza
della
seconda mette il motivo musicale in contraddizion
oltanto che basti a far gustare il pensiero e a riconoscervi l’indole
della
passione. [37] Decima quarta. Vengono proscritte
Decima quinta. Non si devono far entrare nel canto gli ornati propri
della
musica strumentale; poiché avendo questa le sue b
va per esser capito scriver di sotto: «Questo è un gallo». Nulla dirò
della
radicale monotonia e della somiglianza perpetua c
di sotto: «Questo è un gallo». Nulla dirò della radicale monotonia e
della
somiglianza perpetua che s’avverte sostituita a q
la lingua loro piena di dolcezza e di melodia, la sveltezza e agilità
della
voce procurata a spese della umanità sono tutte c
zza e di melodia, la sveltezza e agilità della voce procurata a spese
della
umanità sono tutte cause le quali hanno dovuto re
di talento quanto lo erano gli antichi Sibariti nel raffinar i comodi
della
vita, o quanto le moderne ballerine del Suratte d
ico filosofo lo sono nel preparar eruditamente le faccende multiformi
della
voluttà. cosicché l’arte di eseguire le menome gr
canto imitativo, in tal caso non se ne sdegnino gl’Italiani se a nome
della
filosofia e del gusto francamente pronunzio aver
se l’imitazion teatrale si proponi due fini, l’uno la rassomiglianza
della
copia che imita coll’originale imitato, e l’altro
uazione ad un eroe combattuto? Qual somiglianza corre tra la sorpresa
della
smarrita Dircea allorché si confessa priva di sen
he nasce dalla convenienza delle parti elementari del canto coi tuoni
della
favella ordinaria. Allorché l’uomo parla, il suo
emissione colla quale si notano le inflessioni. A questi tre elementi
della
voce umana corrispondono altrettanti nella musica
e il grado delle passioni, essendo certo che l’andamento per esempio
della
malinconia è tardo e uniforme, quello dello sdegn
so dal più basso al più acuto scorrendo molte volte tutta l’estension
della
voce con mille impertinentissimi gruppi di note?
quel francese autore d’un poema sulla musica allorché disse parlando
della
Italia: «Orgueilleuse Ausonie, il le faut déclar
di tutte le belle arti. E quando mai, replicherò io a codesti fautori
della
irragionevolezza, e quando mai fu costituito il p
qualunque, ma allora soltanto che genera un diletto ragionato figlio
della
osservazione e del riflesso. Il piacere, che gust
e decisioni del volgo, che io non m’oppongo. Ma oh bellezza sovrumana
della
musica! Oh imitazione figlia del cielo! Io non mi
erbia esser uom ragionevole, e di voler conservare fin nell’esercizio
della
mia sensibilità i privilegi della mia natura. Io
voler conservare fin nell’esercizio della mia sensibilità i privilegi
della
mia natura. Io chieggo prima da te che, trasporta
er da me, che svanita che sia l’illusione, io seguiti ancora a godere
della
compiacenza riflessa di essere stato ingannato; c
on, dopo aver vagheggiata in sogno la bellissima sconosciuta immagine
della
futura compagna, confronti poi svegliato a parte
e lume degli occhi, l’oro dei capegli, le rose delle labbra, il latte
della
morbida carnagione e la tornita perfezion delle m
l’udienza dell’opera. Nulladimeno a rischio di passare per un quakero
della
Pensilvania, o per un non ancora civilizzato pamp
ivolto non concedono loro l’agio d’attendere a così delizioso pascolo
della
sensibilità. Volgo è nelle cose musicali quella r
crede, i quali indifferenti per natia rigidezza d’orecchio al piacere
della
musica, e disposti a pesar sulla stessa bilancia
dall’incoraggiare coi loro applausi i pregiudizi dominanti sono anzi
della
mia opinione, e se ne dolgono apertamente della d
i dominanti sono anzi della mia opinione, e se ne dolgono apertamente
della
decadenza della musica, e inveiscono contro i mus
anzi della mia opinione, e se ne dolgono apertamente della decadenza
della
musica, e inveiscono contro i musici e i cantori
ore si riducono pressocchè al nulla qualora manchino loro l’influenza
della
immaginazione, o l’energia del cuore, o l’entusia
oggetti rappresentati. Perciò Sant’Agostino definì la musica l’«arte
della
modulatoti convenevole», e Platone comparò la poe
dal canto ad un volto che perde la sua beltà passato che sia il fiore
della
sua giovinezza144. Lo stesso filosofo parlando de
che sia il fiore della sua giovinezza144. Lo stesso filosofo parlando
della
corruttela dell’antica armonia e dell’antico teat
i lui concorre nella stessa opinione deducendo apertamente la perdita
della
musica, come ancora delle virtù politiche in Aten
a bastano a dileguar pienamente un sofisma che può chiamarsi l’ancora
della
speranza per gli ignoranti. [57] Che poi mancando
incapacità nel muover gli affetti. [58] Quindi si può render ragione
della
osservazione fatta prima in Inghilterra dal Grego
l segno, e che ad essi unicamente appartiene il conservar il deposito
della
bellezza musicale; asserzione, che vien provata d
ito smentita dall’intimo sentimento di chi gli ascolta, poiché invece
della
sublime illusione che gli si prometteva, invece d
debba piacere ugualmente in tutti i tempi, e presso a tutti i popoli
della
terra; se il diletto che genera la musica sia un
go e arbitrario, del quale vien rimproverata la musica, sia peculiare
della
nostra oppure di ogni altra musica conosciuta fin
uardarsi come principio inalterabile degli altri suoni; se la perdita
della
prosodia poetica possa aver contribuito a render
rdita della prosodia poetica possa aver contribuito a render l’azione
della
musica vaga ed incerta; se vi sia probabile spera
maginazione e il capriccio. Così nel canto moderno mancando la verità
della
espressione perché le modulazioni imitative sono
conosciuta imitazione. E siccome dicesi a ragione che una è la strada
della
verità e quella dell’errore moltiplice, così, pos
onde il gusto può aver un fondamento meno arbitrario. Della bellezza
della
Venere de’ Medici non meno che della perfezione d
meno arbitrario. Della bellezza della Venere de’ Medici non meno che
della
perfezione del Misantropo di Moliere io giudico p
, mercè al soverchio raffinamento cui si è voluto condurla, la verità
della
espressione è così poco adattata alla capacità de
durla, la verità della espressione è così poco adattata alla capacità
della
maggior parte, così poco riconoscibile l’imitazio
trarca, le lagrime di Priamo inginocchiato avanti Achille, l’episodio
della
morte d’Eurialo nella Eneide si gustano pure, e s
n nuovo gusto che dee succedere sicuramente. Ed ecco un motivo di più
della
diversità delle opinioni in questo genere, il non
ate quando s’eseguiscono col metodo moderno argomentano che la musica
della
nostra età è superiore di molto a quella degli al
r l’uno e l’altro nelle carte musicali prive dell’aiuto del cantore e
della
viva voce del maestro, che in quasi tutte l’arie
duti bravissimi (e che sono tali secondo l’idea che si ha comunemente
della
bravura) non ho trovato neppur un solo, il cui ca
co. Non è di mia competenza il decidere, ma se le descrizioni fattemi
della
loro maniera di cantare non sono state alterate,
a distraendola dalle vie istituite da lei che sin dalla prima origine
della
vita va con tacita legge preparando i fonti della
dalla prima origine della vita va con tacita legge preparando i fonti
della
fecondità, onde propagare la spezie.» I viaggiato
entato dalla gelosia degli orientali per assicurarsi con questo mezzo
della
fedeltà delle loro donne, cui l’influenza del cli
re di non perdere la riputazione che per le donne è il primo elemento
della
vita morale, e il potersi assicurare della fedelt
donne è il primo elemento della vita morale, e il potersi assicurare
della
fedeltà d’un’amante o di una sposa (sicurezza cui
ì delizioso, perché al godimento dei sensi unisce il piacere riflesso
della
preferenza e della esclusiva; circostanze entramb
al godimento dei sensi unisce il piacere riflesso della preferenza e
della
esclusiva; circostanze entrambe che lusingano gra
uò ridursi quanto egli dice intorno a questo argomento. I. «L’oggetto
della
musica non è altro che di piacere fisicamente». C
uoni l’impressioni degli oggetti e i moti analoghi delle passioni, fa
della
musica un’arte imitatrice, parla all’imaginazione
mente una serie di suoni analoghi al suono dell’oggetto o all’accento
della
passione compresa nelle parole. III. «Ella può qu
sica è dunque la più noiosa? Si vede che questo scrittore non ha idea
della
vera imitazione e che la confonde coll’esatta ras
onfonde coll’esatta rassomiglianza, che non è né deve essere lo scopo
della
musica. V. «La sola musica degna di questo nome è
go e indeterminato, onde non meritano il titolo d’imitativi. Se parla
della
musica del ballo pantomimo, questa è bensì più pe
te dal non aver fissate l’idee né distinti bene i diversi significati
della
parola canto. Siccome la ricerca può sembrare cur
amo intorno all’economia degli antichi teatri, e la natura intrinseca
della
loro musica. Due cose sembrano incontrastabili at
razione rettorica, e talora (come ne fa fede Strabone nel libro primo
della
sua geografia) al recitare una prosa semplice, co
loghi o soliloqui. I. Tutta la declamazione del diverbio e gran parte
della
monodia consisteva in una spezie di suono medio,
ra che nel linguaggio loro ordinario gli alzamenti e gli abbassamenti
della
voce sull’accento grave e l’acuto formavano una q
ai precetti premurosi che davano gli oratori intorno alle intonazioni
della
voce. E che questa non sia una semplice conghiett
(de Orat. l. pr.) parlando dell’esercitarsi che facevano i recitanti
della
tragedia nell’arte loro, adopera la parola “decla
are più profondamente questa materia avrebbe forse veduto che i tuoni
della
semplice declamazione non ponno assoggettarsi ad
inalmente perché, ammesso una volta che tutte l’inflessioni sensibili
della
voce nella semplice declamazione fossero notate,
i di bronzo o d’altra materia consistente affinchè la voce nel sortir
della
gola diventasse più forte e più intensa ripercuot
ntensa ripercuotendosi in quei corpi elastici, e tutta pelle angustie
della
fessura ripercotendosi. Talmenteché gli attori tr
no nell’opera altre volte citata dell’origine, progressi, e decadenza
della
Musica, che oltre i teatri grandi e scoperti v’er
nti coperti. Dicono altresì che anche nei teatri scoperti l’argomento
della
voce relativamente all’immenso numero delle perso
te e nelle grandi solennità; erano soltanto destinate ai divertimenti
della
musica lirica, e qualche volta vi concorrevano an
tre l’autorità di Plutarco nella vita di Pericle anche il significato
della
voce Odeon che vale lo stesso che luogo di canto,
i tenevano le pubbliche sfide di musica, alle quali assisteva il fior
della
Grecia per ottenere il premio del Tripode. Ma ris
d’aria nel quale necessariamente doveano disperdersi gli ammorzamenti
della
voce in un canto delicato e gentile. III. Rispett
ebbe dissonanza perpetua. II. Perché i cori si regolavano colle leggi
della
musica lirica, o per dir meglio, essi non erano c
attorno alle are dei numi. Ma benché il genere appartenesse a quello
della
musica lirica, il canto nondimeno era uniforme, s
e sventare domestiche cominciarono a sperimentare la tempra del cuore
della
piccola attrice, educandola alla scuola del dolor
; ma rottosi l’accordo, quei bersagliati si trovarono ancora in balia
della
ventura. Dimenticati dalla famiglia comica, si st
en tosto ancora al lavoro dell’ago. Poi, anche questo mancò col cader
della
stagione teatrale, e fu allora un travagliarsi, u
che nuove, ad occupazioni penose e di tenue guadagno. Le belle manine
della
giovinetta lavorarono alla fabbricazione delle ca
ri più disparati e più strani, quali la Linda di Chamounix o il Maino
della
spinetta. Il direttore della Filodrammatica del T
, quali la Linda di Chamounix o il Maino della spinetta. Il direttore
della
Filodrammatica del Teatro Nazionale, Alessandro E
ammatica del Teatro Nazionale, Alessandro Emanuel, ammirato dai pregi
della
bionda attrice, la scritturava per le recite del
mpagnata dall’incoraggiamento dei pochi, che vedevan nella gagliardìa
della
sua mente, e della sua volontà, nello sviluppo og
aggiamento dei pochi, che vedevan nella gagliardìa della sua mente, e
della
sua volontà, nello sviluppo ognor crescente delle
vitabile Margherita Gauthier, in cui la Mariani si cimentò, cosciente
della
battaglia grande che ingaggiava col pubblico, ma
rezza e rapidità ai generi più disparati, riuscendo interprete felice
della
nuova scuola. Oggi è capocomica, e maritata a Vit
di Madrid e di Barcellona la compensarono a esuberanza de'tristi anni
della
fanciullezza, che, tra le acclamazioni di un popo
, nato nel frattempo, a Venezia, ove avean lasciato Giacomo alle cure
della
nonna, e quivi recitarono sin circa il 1733, che
o dell’ambasciatore sassone Conte di Vixio. La Compagnia era composta
della
coppia Isabella e Bernardo Vulcani, della coppia
. La Compagnia era composta della coppia Isabella e Bernardo Vulcani,
della
coppia Gerolima e Antonio Franceschini, di Paolo
i, della coppia Gerolima e Antonio Franceschini, di Paolo Carexana, e
della
vedova Casanova, che aveva mutato il suo nome dia
’ultima manifestazione artistica degli italiani a Dresda fu la recita
della
Vedova scaltra data il 26 febbraio del 1756 ; dop
ova scaltra data il 26 febbraio del 1756 ; dopo la quale, lo scoppiar
della
guerra dei sette anni chiuse per sempre le porte
a una vita di agiatezze, non dimenticò mai l’indole e le consuetudini
della
commediante. L’inesorabile figliuolo che non con
o di Stuttgart si trova d’accordo col figlio, rincarando anzi la dose
della
critica. Egli dice : Ha più di quarant’anni ; un
ni ; una figura colossale, una faccia di vecchia, nonostante la magia
della
truccatura. Rappresenta le parti di Rosaura, ma l
fisico descrito dall’anonimo e colla voce non limpida : nè le grazie
della
persona, nè la soavità della voce possono essere
e colla voce non limpida : nè le grazie della persona, nè la soavità
della
voce possono essere sostituite da checchessia. Nu
nsiglio di darsi alle parti di vecchia cattiva, poichè sino alla fine
della
sua vita artistica rappresentò le Rosaure, fedele
XXV) una vedova leggiadrissima e bravissima, aggiungendo al proposito
della
partenza di lei per la Russia (ivi, XXXVII), che
di lei per la Russia (ivi, XXXVII), che la perdita più considerevole
della
compagnia fu quella della vedova Casanova. Casa
, XXXVII), che la perdita più considerevole della compagnia fu quella
della
vedova Casanova. Casanova Ignazio. « Bolognese,
il Bartoli – da illustri parenti celebri nel foro…. c nelle cattedre
della
sua Patria, come non meno ne’ gradi eccelsi di Re
dalle grazie allettatrici di una femina. Nel novembre, dopo la recita
della
Dalmatina di C. Goldoni, fu colto da apoplessia,
i. Luigi Riccoboni dice (V. Calderoni Francesco, pag. 543) : « A capi
della
Compagnia erano Francesco Calderoni detto Silvio
eroni detto Silvio e Agata Calderoni detta Flaminia sua moglie, nonna
della
mia. » E perchè non : Francesco Calderoni e Agata
perchè non : Francesco Calderoni e Agata Calderoni sua moglie, nonni
della
mia ? Dunque Elena era nipote per parte soltanto
moglie, nonni della mia ? Dunque Elena era nipote per parte soltanto
della
donna ; dunque di una Balletti. E concordando il
di una Balletti. E concordando il nome di battesimo e quel di teatro
della
Vitaliani, con quelli della Calderoni, ed esamina
ndo il nome di battesimo e quel di teatro della Vitaliani, con quelli
della
Calderoni, ed esaminate le date da Marco Napolion
Vitaliani e di una Napolioni, moglie di Francesco Balletti, e suocera
della
Fravoletta (V. Balletti…. ?), rimasta vedova, fos
Firenze nel 1823, discorre diffusamente Jarro nella sua opera Origine
della
maschera di stenterello, da cui riferisco in rist
positore nella stamperia Cellai in via de' Martelli passò allo studio
della
maschera, esordendo in un teatrino popolare di vi
e ad Amato Ricci, che il Landini, giovanissimo, studiava dalla platea
della
Piazza Vecchia, e recitò con lui il '46. Nel '48
Morto il Ricci di colera nel '55, Raffaello Landini prese lo scettro
della
maschera di stenterello, nè più ebbe chi lo imita
a sera del 21 alle sei e mezzo era morto. « Dalla luce abbagliante
della
ribalta - conclude Jarro con belle parole - dal f
i applausi passar, quasi senza intervallo, alla oscurità, al silenzio
della
tomba ! – Stenterello e il suo cadavere non era p
ma l’epilogo tragico di un’esistenza : quasi appena cessato il suono
della
sua ultima risata, e gittati gli screziati abiti
ssato il suono della sua ultima risata, e gittati gli screziati abiti
della
Maschera, dava l’ultimo sospiro…. era avvolto nel
breve al ruolo assoluto di primo attore giovine, in cui per l’ardore
della
passione e per la spontaneità non ebbe mai chi gl
ella gran compagnia, che, sbocconcellata di poi, segnò il primo passo
della
rovina di Bellotti. Da quello sbocconcellamento n
ute forze, si riebbe così da poter riapparire con la moglie alla luce
della
ribalta ; ma fu un lampo fuggevole, fu l’ultimo g
lla luce della ribalta ; ma fu un lampo fuggevole, fu l’ultimo guizzo
della
lampada vicina allo spegnersi. Fermatosi a Livorn
ta col teatro. Gaspare Lavaggi fu anche uno de'più eleganti attori
della
nostra scena di prosa, e se ne compiaceva. Quando
avere maggior finezza di recitazione, niuno mai lo superò nell’ardore
della
passione e nella spontaneità. L'Armando della Sig
i lo superò nell’ardore della passione e nella spontaneità. L'Armando
della
Signora dalle Camelie, il Ferdinando della Celest
lla spontaneità. L'Armando della Signora dalle Camelie, il Ferdinando
della
Celeste, lo Scoronconcolo della Notte a Firenze,
Signora dalle Camelie, il Ferdinando della Celeste, lo Scoronconcolo
della
Notte a Firenze, e altre parti di varia indole eb
i da poco all’ arte, e che promette, dicono, di mostrarsi degno erede
della
gloria paterna.
di Cristo nel borgo di san Mauro. Chi riflette alla vittoriosa forza
della
religione sugli animi umani, non istupirà dell’un
entazioni. Gli attori che ne traevano profitto, implorarono il favore
della
Corte prendendo il titolo di Fratelli della Passi
to, implorarono il favore della Corte prendendo il titolo di Fratelli
della
Passione, e nel 1402 ne ottennero da Carlo VI l’a
ero da Carlo VI l’approvazione. Posero allora il teatro nell’ospedale
della
Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo var
edale della Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo varie farse
della
Passione e diversi misteri del vecchio e del nuov
ersi misteri del vecchio e del nuovo testamento. Uno di questi drammi
della
Passione scritto circa la mettà del secolo si cre
ute da Lucifero per aver tentato Gesù-Cristo senza effetto. La figlia
della
Cananea spiritata vi profferiva parole soverchio
bino, il cui peso crescendo a dismisura in mezzo all’acqua, si avvede
della
propria debolezza, e ne stupisce. Il bambino che
ce. Il bambino che era Gesù-Cristo gli si mostra circondato da’ raggi
della
propria gloria, e vola fralle nuvole. Reprobo ric
. Sotto Carlo VI morto nel 1422 furonvi in Francia, oltre a’ Fratelli
della
Passione, varie altre compagnie di rappresentator
Toledano tenuto nel 1473. Per dar giusta ed istorica idea dello stato
della
drammatica del XV secolo in Ispagna, ho voluto ri
anto ne scrissero di passaggio o di proposito i critici e gli storici
della
nazione. Ho voluto pormi sotto gli occhi il prolo
be nel seguente secolo per altra manoa. Lo spirito di apologia nemico
della
verità e del merito straniero imbratta in più di
rsone che si sono salvate in una casa, ed il 6 contiene una dipintura
della
vita di due persone maritate. Oltre a questi giuo
oll’Ezzelino e coll’Achilleide tragedie del Mussato, e colle commedie
della
Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio:
almente che gl’Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere
della
tragedia non si valsero degli argomenti tragici d
arsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici
della
Grecia, eccetto che nella Progne, ma trassero dal
usto, di materiali e di principii? Ci si presenterà nel proseguimento
della
nostra storia la gloria drammatica delle altre na
o fugace di un branco di compatriotti che vivono di relazioni, quando
della
di loro sottile eloquenza, della dialettica cavil
otti che vivono di relazioni, quando della di loro sottile eloquenza,
della
dialettica cavillosa, della maldigerita erudizion
, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavillosa,
della
maldigerita erudizione e della maschera filosofic
eloquenza, della dialettica cavillosa, della maldigerita erudizione e
della
maschera filosofica, avveggonsi tosto gli nomini
one e della maschera filosofica, avveggonsi tosto gli nomini migliori
della
culta Europa? a. Vedi l’abate Millot t. II degl
ori della culta Europa? a. Vedi l’abate Millot t. II degli Elemensì
della
Storia di Francia. a. Vedi la dissertazione del
V’ ha chi pone in dubbio che il Cotta fosse l’autore dell’atto primo
della
Celestina. Alcuno l’attribuisce a Giovanni di Men
d il Mena chi avesse composto quell’atto primo. a. Vedasi il libro V
della
Storia di Borgogna di Ponto Heutero.
componimenti drammatici. Leggi sue costitutive derivanti dalla unione
della
poesia, musica e della prospettiva. [1] Qualora
. Leggi sue costitutive derivanti dalla unione della poesia, musica e
della
prospettiva. [1] Qualora sentesi nominare questa
to si dice buona, o cattiva, in quanto più, o meno si adatta ai genio
della
musica, e della decorazione. Attalchè gli argomen
, o cattiva, in quanto più, o meno si adatta ai genio della musica, e
della
decorazione. Attalchè gli argomenti poeti ci, che
sa introdotte formano il principal carattere dell’opera. [2] L’unione
della
musica colla poesia è dunque il primo costitutivo
che volendo far il ritratto di Elena, e non trovando alcun individuo
della
natura, il quale adeguasse quella sublime idea de
alcun individuo della natura, il quale adeguasse quella sublime idea
della
perfezione, ch’egli avea nella sua mente concetto
propone a sciogliere il seguente problema : Data la intrinseca unione
della
poesia colla musica, quai mutazioni debbono sulta
, e colla cadenza poetica, colla inflessione, e coll’accento naturale
della
voce quelle fibre intime, all’azione delle quali
ne ugualmente alla eloquenza che alla poesia, non è che il fondamento
della
melodia imitativa, ovvero sia del canto: dal che
a, ovvero sia del canto: dal che ne seguita eziandio, che la possanza
della
eloquenza se non in tutto almeno in gran parte di
a se non in tutto almeno in gran parte dipende dalle qualità musicali
della
lingua, ovvero sia dalla magia de’ suoni combinat
ttamente. Anche in quest’ultima proprietà un’altra ragione d’analogia
della
musica colla poesia consiste: imperciocché quanto
potrà la musica le cose stesse imitare. Istruisce cercando per mezzo
della
cognizione del bello intellettuale, e del bello f
llo morale. Sebbene codesto oggetto non forma un carattere distintivo
della
poesia se non in quanto è una conseguenza delle a
nteriezioni, i sospiri, gli accenti, l’esclamazioni, e le inflessioni
della
favella ordinaria, onde si risvegliano le idee, c
i oggetti, i quali per esser privi di suono non cadono sotto la sfera
della
musica, come allorché non potendo significare la
esprimere il tranquillo riposo d’uno che dorme, ovvero la solitudine
della
notte, e il silenzio maestoso della natura, trasp
o che dorme, ovvero la solitudine della notte, e il silenzio maestoso
della
natura, trasporta, dirò così, l’occhio nell’orecc
le idee. Può nulla meno la musica accompagnare le sentenze istruttive
della
poesia, se non colla viva espressione d’un canto
olla melodia naturale maggior forza alle varie posature e modulazioni
della
voce. Ma siccome non ha la disposizione intrinsec
ertare diverrà un rumore insignificante, che avrà l’apparenza esterna
della
musica senz’averne io spirito. [9] Da questo para
a esterna della musica senz’averne io spirito. [9] Da questo paragone
della
musica colla poesia risultano due osservazioni sp
zioni spettanti al mio proposito. La prima che la musica è più povera
della
poesia, limitandosi quella al cuore, all’orecchio
spirito, ed alla ragione. In contraccambio la musica è più espressiva
della
poesia, perché imita i segni inarticolati che son
soluzione del problema proposto. Se la poesia dee secondare l’indole
della
musica, e se questa non può esprimere se non gli
stingue l’opera dalla tragedia. Questa non assoggettandosi alle leggi
della
musica, può maggiormente approfittarsi dei vantag
alle leggi della musica, può maggiormente approfittarsi dei vantaggi
della
poesia, onde non le si disconvengono i dialoghi r
Dal che nascono due inconvenienti: il primo che essendo il linguaggio
della
musica troppo vago e generico, e dovendo consegue
Non son più madre, oh Dio! Non ho più figlio.» [12] Ecco un esempio
della
concisione ch’esige il melodramma. Ma questi quat
nte sugli animi degli uditori, che non la tragica e artifiziosa scena
della
Merope di Voltaire. [13] Per la stessa ragione un
simplicità, e la rapidità dell’argomento. [14] La dipendenza altresì
della
poesia rispetto alla musica induce una mutazione
imenti, che siano invasi, o sorpresi. Il canto è dunque il linguaggio
della
illusione, e chi canta inganna se stesso, e chi a
rende più forte, e più durevole la sorpresa, e trattenendo l’uditore
della
sua dolcezza, fa sì ch’ei non si avvegga della su
trattenendo l’uditore della sua dolcezza, fa sì ch’ei non si avvegga
della
sua illusione, come il cinto misterioso d’Armida
soltanto intorno ai soggetti patetici, privandoci noi spontaneamente
della
ricca sorgente di bellezze armoniche, che sommini
rattere de’ personaggi. Se il canto è il linguaggio del sentimento, e
della
illusione, dunque non si debbono introdurre a par
zza e forza d’accento, quella varietà d’inflessioni, che sono l’anima
della
musica imitativa. Però si dee schivare che s’intr
usica esige, e sì perché, essendo il canto o la melodia l’ultimo fine
della
musica imitativa, l’uditore è impaziente finché n
zion musicale piuttosto che canto dee propriamente chiamarsi, giacché
della
musica altro non s’adopra che il Basso, che serve
ci alla musica strumentale l’incombenza di esprimere negli intervalli
della
voce ciò che tace il cantante. L’anima stanca del
sofico aspetto non è altro che la conclusione, l’epilogo, o epifonema
della
passione, e il compimento più perfetto della melo
, l’epilogo, o epifonema della passione, e il compimento più perfetto
della
melodia. Un esempio rischiarerà meglio il mio pen
elodia. Un esempio rischiarerà meglio il mio pensiero. Selene sorella
della
sfortunata Didone viene a ragguagliarla ch’Enea s
iarla ch’Enea senza punto curarsi delle sue preghiere ha nel silenzio
della
notte ragunati i suoi compagni, allestite le navi
unque sentenza vorrebbero escludere dalle arie, «perché, dicono essi,
della
passione non è proprio il dommatizzare». Certamen
ipende dall’indole di quell’affetto. L’amante, che prostrato a’ piedi
della
sua bella, chiede la sospirata mercede de’ suoi l
issimo ch’egli non è debitore né al suo ingegno, né alla sua dottrina
della
fortuna d’essere riamato. Sa che l’amore indipend
ella fortuna d’essere riamato. Sa che l’amore indipendente per lo più
della
riflessione, e della ragione non ha altro domicil
riamato. Sa che l’amore indipendente per lo più della riflessione, e
della
ragione non ha altro domicilio che il cuore, né a
inutile anzi contrario al fine ch’ei si propone, l’assalire il cuore
della
sua amata con teoremi, o con principi tratti da u
izione degli uomini, delle loro proprietà, e debolezze, delle vicende
della
fortuna, delle circostanze de’ tempi, e de’ mezzi
delle proprietà che osserva negli oggetti sensibili. Quindi l’origine
della
metafora, figura la più conforme di tutte alla um
fa.» allora io credo ascoltar un poeta, che vuol insegnarmi l’arte
della
scherma, non già un personaggio occupato in pensi
personaggio occupato in pensieri di qualche importanza. Ciò che dico
della
presente comparazione, dico di tutte le altre lav
herà loro la primaria bellezza, che consiste nella fedele espressione
della
natura, e nella relazione col tutto. Orazio mi su
nno autorità che basti a distruggere i fermi ed inalterabili principi
della
ragione. [28] Se non che né comparazioni, né sent
verosimili tali componimenti, i quali hanno bisogno di tutta la magia
della
musica per esser probabili. Se si disamina con gi
ameno considerando, che il duetto lavorato a dovere è il capo d’opera
della
musica imitativa, e che produce sul teatro un eff
questo si sottopone all’entusiasmo, e al vero genio. L’unico uffizio
della
critica è quello di perfezionarli, riducendoli al
matico sceglierà per il duetto il punto più viva, ovvero sia la crisi
della
passione, userà il più che possa del dialogo nell
mpa, che l’occhio invaghisce cotanto, ora spiegando tutte le bellezze
della
pittura, ora dando maggior risalto alla grandiosi
a oggetti sempre nuovi, e sempre vaghissimi nelle frequenti mutazioni
della
scena. Tutte le quali cose producono l’illusione,
Tutte le quali cose producono l’illusione, non solo come supplemento
della
musica, e della poesia, ma come un rinforzo ezian
cose producono l’illusione, non solo come supplemento della musica, e
della
poesia, ma come un rinforzo eziandio dell’una e d
ella del musico sortiranno perfettamente il loro effetto, se il luogo
della
scena non è preparato qual si conviene a’ persona
lusione quando più non s’ascoltano i suoni, e la grand’arte combinata
della
musica e della pittura consiste nel mantenerlo ne
più non s’ascoltano i suoni, e la grand’arte combinata della musica e
della
pittura consiste nel mantenerlo nell’errore costa
o scopo del melodramma è di rappresentare le umane passioni per mezzo
della
melodia, e dello spettacolo, o ciò, che è lo stes
il poeta purché conservi ed accresca i dilicati piaceri del cuore, e
della
immaginazione, purché dia campo alla musica d’ott
e siffatta unità apporterebbe molti inconvenienti oltre gli accennati
della
tragedia. Abbiamo detto che la poesia debbe esser
e, fosse in contradizione con ciò che si sente, se godendo l’orecchio
della
varietà successiva de’ suoni, l’occhio fosse cond
viglioso, sull’italiana, dove regna il vero comunemente. [35] Ad onta
della
mia stima per così chiari scrittori ardisco di sl
siste nel penetrare addentro nel cuore, e intenerirlo. Il fine ultimo
della
tragedia e dell’opera è dunque lo stesso, né si d
più circostanziato de’ caratteri e degli affetti, questa pei prestigi
della
illusione, e della melodia. [36] Altrimenti se l’
de’ caratteri e degli affetti, questa pei prestigi della illusione, e
della
melodia. [36] Altrimenti se l’opera non badasse c
atteggiamento, e le sembianze d’un fiume, dell’aquilone, del zeffiro,
della
paura, dei demoni e di tali nomi egualmente leggi
mo i modelli? Dov’è la regola di comparazione, onde possiam giudicare
della
convenienza, o disconvenienza? [38] Essendo dunqu
rrestri e navali, boscaglie, dirupi, tutto insomma il maestoso teatro
della
natura considerata nel mondo fisico: spettacolo a
re. Non solo s’udirà sortir dalla orchestra più minaccioso il fragore
della
tempesta, che il decoratore avrà sul teatro maest
ipinta, non solo gli strumenti renderanno più spaventevole l’ingresso
della
grotta di Polifemo, ovvero i flutti d’un mare agi
esimo grado di passione, che la musica dee talvolta piegarsi all’uopo
della
poesia in attenzione ai molti sagrifizi, che fa q
la francese, è lo stesso, che voler imitare il costume di que’ popoli
della
Guinea, che dipingono neri gli Angioli, perché st
a, che dipingono neri gli Angioli, perché stimano, che il sommo grado
della
bruttezza consista nel color bianco. [40] Riandan
n generale sono: Per il poeta: Primo: esaminare attentamente l’indole
della
musica: Secondo: conoscere le relazioni di questa
la lingua e la poesia. Per il musico: Primo: conoscere il vero genio
della
lingua, e del verso. Secondo: saperne trar vantag
l verso. Secondo: saperne trar vantaggio dall’una, e dall’altro a pro
della
modulazione. Per il decoratore giovar alla illusi
positore. Se questi il costringe talvolta a rimettere in alcuni punti
della
severità teatrale, non perciò vien egli dispensat
i, nelle quali gli si comanda, o gii si permette di piegarsi all’uopo
della
musica, non debbe portare il comando o la licenza
ite, e senz’alcun disegno. Glissi permette l’uso delle comparazioni e
della
stile lirico drammatica, ma gli si raccomanda d’u
tto non difendono un autore dalla censura quando va contro ai dettami
della
ragione. Chi fu più gran poeta di Quinaut? Chi pi
poiché non si vede qual diversità essenziale passi tra esso e quello
della
tragedia e della commedia, né come gli affetti, c
de qual diversità essenziale passi tra esso e quello della tragedia e
della
commedia, né come gli affetti, che svegliar mi de
losi alla natura dell’opera. Non finalmente nell’esito tristo o lieto
della
favola, potendosi tanto nell’uno quanto nell’altr
nte poesia ad una musica bellissima. Parlasi qui dell’opera seria non
della
buffa, nella quale vuolsi, come nella commedia, g
nimento. L’Imperatore Carlo VI cui l’Italia è debitrice in gran parte
della
sua gloria drammatica, era uno di que’ Signori a’
ia, indi per Apostolo Zeno, e ultimamente per Metastasio, tutti poeti
della
corte. Supponghiamo che Carlo VI avesse avuto gen
e avrà riflettuto che in questo ragionamento si è parlato dell’unione
della
poesia, musica, e prospettiva, atteso lo stato in
le stesse osservazioni a qualunque unione possibile. Il diverso genio
della
musica, della lingua, e della poesia in una nazio
rvazioni a qualunque unione possibile. Il diverso genio della musica,
della
lingua, e della poesia in una nazione, le costuma
nque unione possibile. Il diverso genio della musica, della lingua, e
della
poesia in una nazione, le costumanze, e i fini po
secolo di lucreziani. Il solo episodio d’Aristeo, e quello delle lodi
della
vita rusticana nelle Georgiche interessano più ch
accennarla brevemente estraendo alcuni passi dell’ortica del Newtono,
della
dissertazione intorno al suono del Mairan, e dell
rtica del Newtono, della dissertazione intorno al suono del Mairan, e
della
spiegazione del clavicembalo oculare del famoso P
di luce, scomposto dal prisma; sette altresì sono le voci primordiali
della
scala musicale. Seconda: havvi un colore tonico e
no preso a scrivere, che non parli delle macchine, delle decorazioni,
della
mitologia e delle favole, come del carattere prin
creati, e si compiace de’ suoi errori più forse di quello che farebbe
della
verità stessa. La prima di esse facoltà è l’intel
e anche d’un ragazzo di dodici o quindici anni il più bello squarcio
della
storia di Senofonte o di Titolivio, fategli capir
ole d’Esopo, o gli strani e incredibili avvenimenti del moro Aladino,
della
grotta incantata di Merlino, del corno e dell’ipp
la grotta incantata di Merlino, del corno e dell’ippogrifo d’Astolfo,
della
rete di Caligorante o tali altre cose, che per fo
he ciò si fa da loro per poter liberamente badare agli amabili deliri
della
propria immaginazione, a quei soavi e cari presti
gi, a quelle illusioni dolcissime, che gli ricompensano dalle torture
della
verità trista spesse fiate e dolorosa. Se si cons
lorosa. Se si consulta la storia, vedrasi, che le bizzarre invenzioni
della
poesia hanno dall’India fino alla Spagna, da Omer
hi le riducesse a’ capi seguenti. [4] L’ignoranza delle leggi fisiche
della
natura dovette in primo luogo condur l’uomo a dil
utritivo umor sospingendo verso l’estremità, fosse la cagion prossima
della
loro verzura e freschezza, e parimenti un Apollo
Le credette, perché un sistema, che spiegava materialmente i fenomeni
della
natura, era più adattato a quegli uomini grossola
e è comparso in sogno al celebre conquistatore offerendogli le chiavi
della
città. Dal che si vede che gli uomini si dilettan
e i mali vengono sovente ad amareggiare i frali ed interrotti piaceri
della
loro vita, gli uomini non hanno altro supplemento
di godere di tutte le delizie possibili. [7] L’ultima causa è l’amore
della
novità. O perché l’essenza del nostro spirito è r
ati, il vedere una folla d’Iddi, i quali sospendono il corso regolare
della
natura, e intorno a cui non osiamo pensare se non
ispira la divinità, ciò sorprende gli animi consapevoli a se medesimi
della
propria debolezza, ne risveglia la curiosità e ne
di mitologia moderna. Non occorre punto fermarsi intorno all’origine
della
prima, essendo noto ad ognuno che nacque dalla ma
Merita bensì la seconda qualche riflessione. [9] Lo squallido aspetto
della
natura ne’ paesi più vicini al polo per lo più co
o, sembrano cogli orrendi loro muggiti di voler ischiantare i cardini
della
terra; lunghe e profonde caverne e laghi vastissi
l si conveniva agli abitanti e al paese, prese piede fra gli idolatri
della
Scandinavia. La guerra posta quasi nel numero deg
icato poi da’ suoi seguaci veniva onorato da essi col titolo di padre
della
strage, di nume delle battaglie, di struggitore e
omo che la ragione. Così nemmeno fra le delizie sapevano dimenticarsi
della
loro fierezza. Sembra che Oddino altro divisament
itologia ripiena di geni malefici, i quali uscivano dal grembo stesso
della
morte per far danno ai viventi. Quindi ebbero ori
ttri, i fantasimi, i folletti, i vampiri e tanti altri abortivi parti
della
timida immaginazione, e della impostura. Nicka ne
i vampiri e tanti altri abortivi parti della timida immaginazione, e
della
impostura. Nicka nell’antica lingua degli Scandin
sibilmente succhiava qualora trovati gli avesse lontani dalle braccia
della
nutrice. E così degli altri. Gli Scandinavi stima
esse una segreta comunicazione tra il mondo invisibile e il nostro, e
della
quale essi ne fossero esclusivamente i possessori
vera e sublime d’un unico iddio, distrusse nella Scandinavia i deliri
della
idolatria, e con essi la potenza dei Rymers, che
difesa. Era perciò ben naturale che queste consapevoli a se medesime
della
propria fievolezza pregiassero molto i cavalieri
i, lo conducono alla cognizione generale dell’uomo, e a disingannarsi
della
vana e ridicola preferenza che gli interessati sc
azioni e de’ secoli che chiamano barbari66, [15] Alle accennate cause
della
propagazion delle favole debbe a mio giudizio agg
dici disotterrati, colla venuta dei Greci in Europa, e col patrocinio
della
Casa Medici, de’ pontefici, e de’ re di Napoli, r
Atene il suo pittoresco e sublime autore, ma quale dai torbidi fonti
della
setta alessandrina a noi si derivò. E siccome tra
rina a noi si derivò. E siccome trascuravasi allora lo studio pratico
della
natura, senza cui vana e inutil cosa fu sempre og
gioni fecero sì che tanto questa spezie di maraviglioso quanto quello
della
mitologia degli antichi s’unissero agli spettacol
usica. Per ispiegarle bisogna più alto risalire. [17] Benché l’unione
della
musica e della poesia, considerata in se stessa o
egarle bisogna più alto risalire. [17] Benché l’unione della musica e
della
poesia, considerata in se stessa o com’era nei pr
ca e della poesia, considerata in se stessa o com’era nei primi tempi
della
Grecia, nulla abbia di stravagante, né di contrar
sia comune e la musica. Io ho esaminato di sopra i caratteri musicali
della
lingua italiana, ed holla per questa parte commen
converrebbe alle orecchie di Mida, il quale trovava più grati i suoni
della
sampogna di Pane che della lira d’Apollo. [18] Ch
i Mida, il quale trovava più grati i suoni della sampogna di Pane che
della
lira d’Apollo. [18] Chechessia di ciò, la lingua
varia unione degli accordi i mezzi di piacere anche indipendentemente
della
poesia, a cui non ben sapevano unire la musica, o
llor fosse imbarazzata e difficile pei vizi mentovati di sopra nemici
della
energia musicale, e contrari al fine di quella fa
facoltà divina. Per quanto adunque s’affaticassero que’ valent’uomini
della
non mai abbastanza lodata camerata di Firenze, no
erata di Firenze, non valsero a sradicare in ogni sua parte i difetti
della
musica, che troppo alte aveano gettate le radici,
mase nella sua mediocrità dai tempi del Caccini e del Peri fino a più
della
metà del secolo decimosettimo. Crebbe all’opposto
o decimosettimo. Crebbe all’opposto e salì alla sua perfezione l’arte
della
prospettiva per l’imitazione degli antichi, per l
la, per le scuole insigni di pittura fondate in parecchie città emule
della
gloria e degli avanzamenti, pel gran concorso di
re in tutto il suo lume ne’ sontuosi portici e ne’ vasti teatri degni
della
romana grandezza, per riempire i quali vi voleva
ichità, e la favola.» 66. [NdA] Per far vedere il diverso progresso
della
morale pubblica in que’ tempi, e ne’ nostri basta
né bene né male: nemmeno di quella folla di romanzi francesi, frutto
della
dissolutezza e dell’empietà, che fanno egualmente
trezza è sempre dalla parte del seduttore, e lo sfortunio dalla banda
della
innocente. Tutto il romanzo non è che una scuola,
ta piuttosto il mondo di Platone che il nostro. 67. [NdA] Lezione 3.
della
poesia. 68. [NdA] Storia ec. Tomo I. 69. [NdA]
ne 3. della poesia. 68. [NdA] Storia ec. Tomo I. 69. [NdA] L’autore
della
Frusta Letteraria.
-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img042.jpg] Al finire
della
sua vita artistica, il Corriere della sera di Mil
1-02_1897_img042.jpg] Al finire della sua vita artistica, il Corriere
della
sera di Milano del 14-15 febbraio dedica al caro
to, come diremo più innanzi, non portò sulla scena i convenzionalismi
della
scuola, piacendo anzi per quella sua naturalezza
e il Bellotti-Bon, per dirne di uno, che prepararono il gusto attuale
della
recitazione semplice della commedia. Figura aggra
e di uno, che prepararono il gusto attuale della recitazione semplice
della
commedia. Figura aggraziata e severa insieme, lin
’illusione del signore, aggiungendo il porgere dignitoso. Molta parte
della
sua fortuna la dovette però, come qualche suo com
osi del Marenco. Allorchè alla fine del prologo rispondeva al lamento
della
sua amata, per tre volte, in tono diverso, « Ci v
, uscivano dalla bocca di Ciotti e di Virginia Marini. E ai successi
della
Satira e Parini, del Falconiere, del Trionfo d’am
arini, del Falconiere, del Trionfo d’amore, possiamo aggiunger quelli
della
Prosa, del Ridicolo, della Messalina, della Caten
Trionfo d’amore, possiamo aggiunger quelli della Prosa, del Ridicolo,
della
Messalina, della Catena, del Pietro o La gente nu
possiamo aggiunger quelli della Prosa, del Ridicolo, della Messalina,
della
Catena, del Pietro o La gente nuova, del Rienzi,
lla quale mostrò come i suoi cinquantotto anni fosser sempre, al lume
della
ribalta, una giovinezza gagliarda. Ciotti-Sartor
rtorio Costanza. Moglie del precedente, figlia del Custode del Teatro
della
Canobbiana, nacque a Milano il 1836. Cresciuta si
u la Costanza amantissima dell’ arte, attrice accurata, elegantissima
della
persona, e dell’aspetto leggiadra. Creò la Contes
di Cristo nel borgo di San Mauro. Chi riflette alla vittoriosa forza
della
religione su gli uomini, non istupirà dell’ unive
entazioni. Gli attori che ne traevano profitto, implorarono il favore
della
Corte prendendo il titolo di Fratelli della Passi
to, implorarono il favore della Corte prendendo il titolo di Fratelli
della
Passione, e nel 1402 ne ottennero da Carlo VI l’
ro da Carlo VI l’ approvazione. Posero allora il teatro nell’ospedale
della
Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo var
edale della Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo varie farse
della
Passione, e diversi misteri del vecchio e del nuo
ersi misteri del vecchio e del nuovo testamento. Uno di questi drammi
della
Passione scritto circa la metà del secolo si cred
ute da Lucifero per aver tentato Gesù Cristo senza effetto: la figlia
della
Cananea spiritata vi proferiva parole soverchio l
bino, il cui peso crescendo a dismisura in mezzo all’acqua, si avvede
della
propria debolezza e ne stupisce. Il bambino che e
. Il bambino che era Gesù Cristo si fa ravvisare circondato da’ raggi
della
propria gloria e vola sopra le nuvole. Reprobo ri
. Furonvi in Francia sotto Carlo VI morto nel 1422, oltre a’ Fratelli
della
Passione, varie altre compagnie di rappresentator
Toledano tenuto nel 1473. Per dar giusta ed istorica idea dello stato
della
drammatica del XV secolo in Ispagna, ho voluto ri
anto ne scrissero di passaggio o di proposito i critici e gli storici
della
nazione: ho voluto pormi di bel nuovo sotto gli o
poi nel seguente secolo per altra mano. Lo spirito d’apologia nemico
della
verità e del merito straniero imbratta molte bell
rsone che si son salvate in una casa, ed il VI contiene una dipintura
della
vita di due persone maritate. Oltre a questi giuo
ll’ Ezzelino e coll’ Achilleide tragedie del Mussato, e colle comedie
della
Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio:
lmente che gl’ Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere
della
tragedia non si valsero degli argomenti tragici d
arsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici
della
Grecia, eccetto che nella sola Progne, ma dalle m
gusto, di materiali e di principj? Ci si presenterà nel proseguimento
della
nostra storia la gloria drammatica delle altre na
o fugace di un branco di compatriotti che vivono di relazioni, quando
della
di loro sottile eloquenza, della dialettica cavil
otti che vivono di relazioni, quando della di loro sottile eloquenza,
della
dialettica cavillosa, della mal digerita erudizio
, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavillosa,
della
mal digerita erudizione e della maschera filosofi
loquenza, della dialettica cavillosa, della mal digerita erudizione e
della
maschera filosofica, avveggonsi tosto gli uomini
one e della maschera filosofica, avveggonsi tosto gli uomini migliori
della
culta Europa? 69. V. l’Ab. Millot t. II degli E
gliori della culta Europa? 69. V. l’Ab. Millot t. II degli Elementi
della
storia di Francia. 70. Erano anzi in tal secolo
componimenti drammatici composti dall’Encina. 73. Vedasi il libro V
della
Storia di Borgogna di Ponto Heutero.
giovani celebrità, passando dalla Compagnia Biagie Casilini in quelle
della
Marini, della Pedretti, di Bellotti, di Monti, de
ità, passando dalla Compagnia Biagie Casilini in quelle della Marini,
della
Pedretti, di Bellotti, di Monti, delizia del pubb
. E Pierina Giagnoni, nel vigor degli anni, splendente ancora al lume
della
ribalta, come una delle maggiori stelle, dovè in
ata la superba speranza di giorni di gloria per il teatro italiano, e
della
quale solo pochi superstiti dispersi, affannosame
rgeva dalle raffinatezze e dalle delicatezze più squisite del gusto e
della
modernità alle energie, agli impeti, alle lagrime
e del gusto e della modernità alle energie, agli impeti, alle lagrime
della
passione, alle grazie della comicità più festiva,
à alle energie, agli impeti, alle lagrime della passione, alle grazie
della
comicità più festiva, ai fascini di un’idealità c
questa l’arte che sentivi, che non indarno, con tutti gli entusiasmi
della
giovinezza adorasti, perchè di lei, e della tua v
con tutti gli entusiasmi della giovinezza adorasti, perchè di lei, e
della
tua vita, non ti fosse ignota nessuna delle gioie
coli sceneci. Ci si prepara l’increscevole aspetto di un gran voto
della
storia teatrale. Esso seguì nel lungo periodo int
ia teatrale. Esso seguì nel lungo periodo interposto dalla corruzione
della
poesia drammatica sino alla perdita della lingua
interposto dalla corruzione della poesia drammatica sino alla perdita
della
lingua latina avvenuta principalmente per l’incur
Impero Romano. Non è già che sotto gl’imperadori de’ tre primi secoli
della
nostra era cessato fosse il gusto degli spettacol
ola, Pozzuoli, Siracusa, Catania ed altre città del regno di Napoli e
della
Sicilia, videro i loro teatri per quel periodo as
Bolsena rammentato nell’iscrizione pubblicata dal Muratori, di quelli
della
Toscana accennati dal Borghini, di quello di Anzi
eradori de’ primi secoli. Torello Saraina Veronese rammenta il teatro
della
sua patriab, oltre all’anfiteatro superbissimo ch
i teatro veggonsi nel Piceno dove era Alia rovinata dal Goto Alarico,
della
quale a’ tempi di Procopio rimanevano appena poch
altri un anfiteatro. Ma per avviso venutomene dal riputato professore
della
Sapienza in Roma Giovanni Cristofano Amaduzzi mio
di Sparta ecc. Bizanzio ebbe pure un gran teatro, il quale col resto
della
città su rovinato dalle truppe di Severoa. Antioc
veroa. Antiochia ne avea un altro, e i di lui istrioni furono cagione
della
trascuraggine e della fatal ruina di Macrinob. In
ea un altro, e i di lui istrioni furono cagione della trascuraggine e
della
fatal ruina di Macrinob. In Tebe di Egitto vuolsi
to il dominio di tali nazioni che fiorì colà qualche poeta drammatico
della
nazione Ebrea. Tale fu un Ezechiele citato da aut
ità nel roveto ardente, e finalmente in un racconto fatto da un Messo
della
fuga di quel popolo e dell’evento del Mar Rosso.
’Inghilterra, in cui si piantarono colonie Romane. Tacito fa menzione
della
colonia de’ Veterani di Camaloduno, dove era un t
ogo che oggi occupa Senetil de las Botegas, dove fu l’antico Acinippo
della
Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia es
Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia esistenti le tre porte
della
scenaa. Una lega distante da Calpe, venendosi da
che si appartiene all’uditorio, non essendovi rimasto verun vestigio
della
scenab. Osserviamo in oltre che non solo dapertu
coraulo un altro pallio in cui era ricamato il proprio nome e quello
della
mogliea. Peggio era avvenuto in tempo di Augusto,
olore, con dire che nel tuono lamentevole ancora spiccava la dolcezza
della
di lui vocea. Vitellio resse l’imperio quasi semp
la gente che Romolo avea raccolta intorno ai sette colli. I Semigreci
della
Magna Grecia Livio Andronico, Ennio, Pacuvio ed a
mmedia, la quale non che a’ filosofi e letterati, piacque ai migliori
della
repubblica, ai Furii, agli Scipioni, ai Lelii. En
Romana. Il perno però su cui volgesi la tragedia Romana, è lo stesso
della
Greca, cioè il fatalismo, se tralle conosciute se
oll’ultimo supplicio i tragici che non rispettavano la memoria de’ re
della
stessa mitologia o della più remota antichità, co
agici che non rispettavano la memoria de’ re della stessa mitologia o
della
più remota antichità, come Agamennone. Abbandonat
parlo? Dove risorsero le arti, la drammatica, la coltura? a. Stor.
della
Letteratura Italiana T. II lib. III b. Nel II li
libro delle Famigliari di Cicerone. a. Trovasi in Bologna in potere
della
celebre letterata Clotilde Tambroni mia pregevole
sì perché le une e le altre servono ad abbellire il maestoso edifizio
della
religione, come perché questa nuova maniera di si
lla Capitale del mondo cristiano, e perché gli avanzi non anco spenti
della
sua grandezza la richiamano ogni giorno allo stud
, fece colà vedere uno spettacolo consimile per istigazione di Pietro
della
Valle assai noto pe’ suoi viaggi. La celebrità ch
i farsi proteggere detta non poche fiate a quelli scrittori che fanno
della
letteratura un incenso onde profumare gl’idoli pi
città che dopo essersi renduta famosa per le virtù che ispira l’amore
della
libertà, coltivava allora le arti che germogliano
lora le arti che germogliano nell’ozio d’una pacifica servitù. Memore
della
sua antichissima gloria nelle lettere, e desidero
] Claudio Monteverde l’introdusse in Vinegia allorché divenne maestro
della
Serenissima Repubblica, e prima nei privati palag
ristette fra i termini d’Italia, ma varcando le Alpi portò la gloria
della
musica e della lingua italiana per tutta l’Europa
termini d’Italia, ma varcando le Alpi portò la gloria della musica e
della
lingua italiana per tutta l’Europa. La superba Fr
le sue leggiadrissime invenzioni, onde ottenne l’impiego di cameriere
della
regina, e in seguito di Arrigo Terzo. né dee tral
trionfi e alla osservanza de’ riti nazionali, essa prese il carattere
della
scostumatezza e della licenza nelle canzoni chiam
nza de’ riti nazionali, essa prese il carattere della scostumatezza e
della
licenza nelle canzoni chiamate da loro Drinking C
no di Elisabetta fece quest’arte qualche maggior progresso pel favore
della
regina, e pel commercio cogl’Italiani. In seguito
a al melodramma. Martino Opitz, poeta drammatico superiore agli altri
della
sua nazione in quel secolo, fu il primo a introdu
di signori italiani e che l’Imperator Leopoldo 74 molto si dilettava
della
musica loro, fu chiamato gran numero di suonatori
ti: l’Armida, la Disperazione fortunata, la Fuga, l’Innocente mezzano
della
propria moglie, e l’Alessandro magnanimo. L’Itali
in circa si lasciò il melodramma vedere tra gli Spagnuoli amantissimi
della
musica massimamente nazionale. Ciò si scorge dall
massimamente in Italia, la quale ora disdegna di confessare nel tempo
della
sua decadenza ciò che non ebbe a schifo di accogl
denza ciò che non ebbe a schifo di accogliere nel secolo più illustre
della
sua letteratura. Musica più composta fu ancora in
lle chiese, la notte del santissimo Natale, come reliquie de’ Misteri
della
Passione, come anche le feste profane di tornei,
ro e la qualità degli strumenti nella orchestra. Giovanni e Francesco
della
Cueva introdussero i primi l’usanza di cantare ne
orta di frammessi bellissimi che sono nel teatro spagnuolo l’immagine
della
vera e genuina commedia, e nella composizione dei
o delle rime76. [10] A così strana usanza danno occasione gli accenti
della
lingua russa, i quali sono così spiccati e sensib
ma scitico. Da ciò si vede che il canto costituiva la principal parte
della
musica russa e che gli strumenti non servivano ad
rmonioso e gradevole, e capace di gran varietà. [11] Tal’era lo stato
della
musica in Russia dal golfo di Finlandia fino alla
ono. Questo genio immortale che fu non meno il Mercurio che il Solone
della
sua nazione, tra i moltiplici oggetti della sua v
il Mercurio che il Solone della sua nazione, tra i moltiplici oggetti
della
sua vasta riforma comprese ancora la musica. Egli
rto in forma. La novità colpì, qualmente si dovea aspettare, i grandi
della
nazione, ed ecco a gara coltivarsi da loro la mus
settimana nel proprio palazzo. Anna Iowanona portò sul trono il gusto
della
musica, e fu nei primi anni del suo regno che si
«ah miei figli» fu onorata dal pianto universale, e di quello altresì
della
imperatrice. Dopo il Seleuco, lo Scipione, e il M
appresentata nel gran teatro di Mosca l’anno 1752 per l’incoronazione
della
regina Caterina. Indi si coltivò l’opera russa. L
so compositore anch’egli. Coltellini, fiorentino, fu dichiarato poeta
della
corte. In oggi per la scelta delle più belle voci
o splendore, che le belle arti ai nostri sguardi tramandano nel clima
della
Moscovia non è che effimero e passaggiero. Sebben
ezionare la nazionale. Ogni arte che dipende dal gusto, ha la ragione
della
sua eccellenza nel clima, nei costumi, nel govern
ioni che la coltivano, né può altrove trapiantarsi senza perder molto
della
sua attività. Codesta verità tanto più diviene se
aesi, e più stretto è il rapporto che vuolsi mettere fra lo stromento
della
riforma e la riforma stessa. La musica e la poesi
sulla civilizzazione dei russi, i quali, ignorando le ascose cagioni
della
loro bellezza, altro non saranno giammai che lang
e monumento, e le belle arti abitatrici finora dei privilegiati climi
della
Grecia e dell’Italia additerebbono anche a’ loro
peut accorder la Raison et l’Amour.» 71. [NdA] Brown, Della unione
della
musica e della poesia, p. 172. 72. [NdA] Le trag
a Raison et l’Amour.» 71. [NdA] Brown, Della unione della musica e
della
poesia, p. 172. 72. [NdA] Le tragiche avventure
rì nel 1880, d’anni 78, lasciando tra altri il figliuolo Carlo, padre
della
piccola Virginia, che educò alla Scuola di Carità
lla fece in convento. Entrata nella Società Cuore ed Arte, al momento
della
sua formazione, vi emerse in poco tempo, mostrand
e, l’anno dopo, uscitane la Marini, diventò la prima attrice assoluta
della
Compagnia, alternando, e sempre con buon successo
si finalmente dall’Emanuel, diventò pel '94 la prima attrice assoluta
della
Compagnia Talli e Reinach, pel '95-96 di quella A
ntellettuali è noverata oggi fra le rare attrici di pregio intrinseco
della
nostra scena di prosa ; e di esse prima senza dub
tà doviziosa, direi quasi per la improvvisazione, specie negli scatti
della
passione caldissima, in cui forse la moltitudine
itudine non avverte alcune scorrettezze di forma lamentate dall’acume
della
critica. La sua voce metallica, estesa, capace de
In quella bellissima faccia ebraica (sua madre era figlia del custode
della
Sinagoga di Modena, fatta cristiana quando si spo
file di perle grandi ed uguali che attraggono : se la parte inferiore
della
sua persona rispondesse armonicamente a quella di
i oppio, dell’arte moderna…. Insomma : nella sua modernità c’è sempre
della
Virginia Marini. Ma la Reiter è la Reiter…. ; e,
sì, e assai bene, il mio Ugo De Amicis comincia uno studio sull’ arte
della
Reiter nell’interpretazione della prima : Credo
icis comincia uno studio sull’ arte della Reiter nell’interpretazione
della
prima : Credo che se Sardou fosse un autore ital
uto distribuire idealmente i ruoli, avrebbe scritto a fianco del nome
della
protagonista : Virginia Reiter. La parte è varia,
emi-storici o romanzeschi ; e così, a poco a poco, prima delle parole
della
parte, ho imparato a memoria, dirò così, una figu
o Cossa, che pur segnò al suo apparire un sì gran passo nel progresso
della
scena, non mi pareva tale da invogliare un’artist
a storico, del quale abbiamo ancor nella mente e nel cuore il ricordo
della
interpretazione magnifica che ne diede la geniale
Marchionni Luigi. Fratello
della
precedente, nacque a Venezia il 2 novembre 1791.
colo cane, che, divenuto idrofobo, fuggi di casa, e si recò in quella
della
Marchionni, forse per non mordere i padroni. Giun
pochi giorni. La madre, furiosa contro del figlio, cagione innocente
della
morte della sorella, lo cacciò di casa. Inutili f
i. La madre, furiosa contro del figlio, cagione innocente della morte
della
sorella, lo cacciò di casa. Inutili furono le dis
tista. Sembra che il tempo e l’amor materno, non meno delle preghiere
della
sorella, gli ottenessero il perdono della severa
o, non meno delle preghiere della sorella, gli ottenessero il perdono
della
severa Elisabetta dopo diciassette anni di esilio
famiglia : e infatti lo ritroviamo nel 1820 nella Società drammatica
della
madre e della sorella al posto di primo amoroso a
infatti lo ritroviamo nel 1820 nella Società drammatica della madre e
della
sorella al posto di primo amoroso assoluto, dopo
piani e Visetti a' Fiorentini di Napoli, ove stette sino al '64, anno
della
sua morte. Il Marchionni fu l’attore generico per
lo ; spettacoli : Pirro, o i Venti Re all’assedio di Troja, La figlia
della
terra d’esilio ; drammi : Chiara di Rosenberg cal
ermineremo questo libro IX, dopo un breve saggio sul grado di coltura
della
Turchia Europea e della commedia che vi si rappre
IX, dopo un breve saggio sul grado di coltura della Turchia Europea e
della
commedia che vi si rappresenta, con descrivere il
i ultimi tempi. Un pregiudizio volgare va impicciolendo in noi l’idea
della
coltura delle nazioni a proporzione della loro lo
impicciolendo in noi l’idea della coltura delle nazioni a proporzione
della
loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia, semb
e della loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia, sembraci indegno
della
nostra stima e incapace di buon senso e di gusto.
tere e di comparare, ne vanno esenti. Generalmente i Turchi, malgrado
della
loro comunicazione con varie corti Europee, che p
e ed in guerra. Orcano stabilì varii collegii per istruzione e comodo
della
gioventù. Amurat I creò e disciplinò la temuta mi
ue, amava le arti e la musica, e coltivava l’astronomia. Compiacevasi
della
pittura, e Gentile Belino pittore veneziano per a
a sua corte, e se ne tornò carico di doni a. Soprattutto si dilettava
della
storia, e singolarmente di quella di Augusto e de
soggetti, e ne fece fare le traduzioni in lingua turca a. Al l’amore
della
storia debbesi la beneficenza usata da questo pri
si studiano l’arabo idioma ed il latino. Quei che attendono alle cose
della
religione e alla giurisprudenza, studiano i comen
hi uno spettacolo scenico. Ma la drammatica di questi moderni signori
della
Grecia troppo è lontana da quella del tempo di So
del giovane amante, e cade infermo. Tenero il padre indaga l’origine
della
sua malinconia, la trova, riflette, compatisce, s
e, capace di viluppo e di scioglimento popolare, dà luogo al maneggio
della
tenerezza, e nulla ha di romanzesco e stravagante
ardi, la Celestina dialogo drammatico spagnuolo, ed il dottor Carlino
della
medesima nazione, e la Calandra dell’Italia. I c
rappresentazioni de’ Pupi. In occasione di nozze si passa la giornata
della
cerimonia ballando, o vedendo rappresentare i Pup
monia ballando, o vedendo rappresentare i Pupi. Le notti di quaresima
della
luna di ramazan si spendono a mangiare, fumare, p
Bayle art. Golius nota D. a. Si vegga ciò che se ne dice nel tomo I
della
Gazzetta letteraria dell’Europa, dove si parla de
tre anni or sono, intuivo le potenzialità che offriva il suo Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia per
lia i manoscritti di questo autore, ammirato per la portata originale
della
sua estetica letteraria1, a Sergio Romagnoli, col
iani fra gli anni Cinquanta e Sessanta da cui scaturirono le edizioni
della
Descrizione de’ costumi italiani e del carteggio
un lenzuolo perforato, per impiegare l’immagine di apertura dei Figli
della
mezzanotte di Salman Rushdie; era stato analizzat
a europea che presentava indizi di un dialogo fecondo con i capisaldi
della
critica sei-settecentesca (Boileau, Pallavicino,
Lessing e Immanuel Kant; come tentativo, infine, di piegare i cardini
della
poetica aristotelica a un’esigenza religiosa che
come ad esempio l’idea di una sua posizione di isolamento all’interno
della
cultura lombardo-veneta quando non addirittura it
allusioni sparsevi. Tutto ciò era complicato dal fatto che, nel corso
della
sua argomentazione, spesso Calepio accennava impl
rtezze che mi rinfrancavano, ad esempio, in prima istanza, l’ampiezza
della
cultura di Calepio che appariva tale sin da un pr
ltura di Calepio che appariva tale sin da un primo cursorio riscontro
della
Descrizione de’ costumi italiani e del Paragone;
discussione delle singole prese di posizione di Calepio nel panorama
della
storia della critica, dell’estetica, della storia
delle singole prese di posizione di Calepio nel panorama della storia
della
critica, dell’estetica, della storia del teatro e
ne di Calepio nel panorama della storia della critica, dell’estetica,
della
storia del teatro europea tra Cinque e Settecento
lettura del Paragone Nel primo capo Calepio affronta la questione
della
proprietà catartica delle favole tragiche; l’auto
lassica e classicistica che valorizzava l’utilità morale e pedagogica
della
letteratura, prende le distanze dalla concezione
del Discorso di Iason De’ Nores attuato dal Gravina. Come il Muratori
della
Perfetta poesia italiana, anche Calepio è convint
esimo — le stesse considerazioni si ritrovano peraltro nella Bellezza
della
volgar poesia di Crescimbeni —, Calepio dimostra
ra una sensibilità etico-religiosa profondamente diversa. Il recupero
della
catarsi come strumento attraverso il quale legitt
ella catarsi come strumento attraverso il quale legittimare l’utilità
della
tragedia era peraltro tipico nel primo Settecento
a Calepio rispetto alla teoria aristotelica si intuisce la cognizione
della
profonda diversità del teatro greco da quello cri
ca — a tutti gli effetti mediocre — con la sua Sofonisba, il Rucellai
della
Rosmunda, il Giraldi Cinzio, il Bonarelli e il Do
i partenza e alla scelta di analizzare le tragedie dal punto di vista
della
qualità del protagonista e del grado di patetismo
unto di vista della qualità del protagonista e del grado di patetismo
della
favola. Fra le tragedie settecentesche la prefere
affei non è neppure presa in considerazione a causa dell’esito doppio
della
favola, che non soddisfaceva l’esigenza catartica
i de La Motte), in virtù del fatto che il suo interesse nei confronti
della
drammaturgia non è tanto di natura archeologica,
piuttosto militante, e decisamente rivolto a incidere sugli sviluppi
della
drammaturgia contemporanea per rendere perfettibi
on meno rilevante è tuttavia l’incidenza, nella scrittura di Calepio,
della
Querelle des Anciens et des Modernes. L’autore di
va già nell’Apologia di Sofocle, lavoro critico giovanile e documento
della
precoce militanza di Calepio — impegnato a difend
mente a favore del secondo. Nel capo successivo si esamina la qualità
della
peripezia formata da meraviglia, riconoscimento e
e la sorpresa piacevole disposta in seguito allo sviluppo inaspettato
della
peripezia, ma come l’elemento che costituiva il «
o della peripezia, ma come l’elemento che costituiva il «dilettevole»
della
tragedia, Calepio si scaglia contro Corneille: il
ssu e Terrasson, e che in Italia aveva sostenuto anche il Crescimbeni
della
Bellezza della volgar poesia; in questa sua conce
, e che in Italia aveva sostenuto anche il Crescimbeni della Bellezza
della
volgar poesia; in questa sua concezione fortement
iva il valore patetico dell’agnizione, egli difende poi il meccanismo
della
riconoscenza, rifacendosi ad una tradizione itali
italiani e una risorsa irrinunciabile per aumentare la spettacolarità
della
pièce, interessando lo spettatore allo sviluppo d
spettacolarità della pièce, interessando lo spettatore allo sviluppo
della
vicenda sino al suo esito conclusivo. Quanto inve
suo, del Du Bos, il quale nelle sue Réflexions sondava il delinearsi
della
reazione dello spettatore teatrale o dell’osserva
niti e i buoni trionfanti, ma non li dispone adeguatamente al momento
della
purgazione finale. Gli argomenti di Calepio, che
glio e i crudeli soccombono. Dietro all’insistenza sulle imperfezioni
della
tragedia doppia, incapace di destare compassione
olemica contro Corneille e i Francesi, ma anche una identica condanna
della
fortunata Merope del Maffei — a cui viene preferi
on maggiore frequenza, oppure assumono, per centralità nello sviluppo
della
favola e per dimensione, uno spazio uguale se non
co non è tuttavia sempre ortodosso e in questo consiste l’originalità
della
sua posizione che in effetti è sempre animata da
no del dramma moderno, proprio perché priva le favole agite a palazzo
della
necessaria segretezza su cui si dovrebbe fondare
ell’intreccio. In questo caso il Paragone parrebbe riprendere le tesi
della
Pratique du théâtre dell’abate d’Aubignac, nel qu
n entrambi i casi, da ragioni di ordine puramente teatrale. Al centro
della
polemica di Calepio si trova anche un insigne tes
A simili conclusioni giungerà, quasi un secolo dopo, anche il Manzoni
della
Lettre à Monsieur Chauvet. Inoltre viene ribadita
Inoltre viene ribadita ancora una volta la centralità del sentimento
della
compassione nel progetto teatrale ed ideologico d
dimostrare come l’affetto filiale fosse un sentimento più universale
della
passione erotica — il trait d’union che permette
rmette agli astanti di immedesimarsi nel protagonista è la «comunione
della
umana fragilità» (Paragone III, 3, [3]): il pubbl
utori considerati, Calepio formula un giudizio profondamente negativo
della
tragedia italiana cinque e seicentesca dal punto
ativo della tragedia italiana cinque e seicentesca dal punto di vista
della
tenuta scenica della tragedia. In questo ambito e
italiana cinque e seicentesca dal punto di vista della tenuta scenica
della
tragedia. In questo ambito egli riconosce fin da
i che agiranno nel dramma, utili a comprendere lo sviluppo successivo
della
favola. I Francesi non sono caduti in simili erro
censurato il ricorso insistito e prevedibile a sogni e oracoli tipici
della
tragedia di derivazione classicistica: secondo Ca
ne rendendole spesso monotone e spiacevoli. Ancora dal punto di vista
della
resa scenica, l’autore loda le tragedie francesi
resa scenica, l’autore loda le tragedie francesi per la preparazione
della
peripezia, ossia del rivolgimento che avvia verso
priccio del drammaturgo, piuttosto che da cause interne allo sviluppo
della
favola, testimoniano l’impietosa capacità di esam
ella favola, testimoniano l’impietosa capacità di esaminare i difetti
della
tradizione italiana senza alcun tipo di animosità
iudizi del bergamasco, e ancora nell’Ottocento, le monumentali storie
della
letteratura, che per forza di cose si costituivan
lla poesia rappresentativa dell’Ingegneri. In virtù di questa ricerca
della
verosimiglianza, tuttavia, dal punto di vista ret
emplicità, e ripudiare di fatto la magniloquenza tipica dei soliloqui
della
tragédie classique francese: i personaggi in pred
suddivisione improbabile dello spazio scenico che sospende il flusso
della
rappresentazione per istituire una quinta parete
interpreta l’ethos elencato da Aristotele fra le sei parti di qualità
della
tragedia come un elemento afferente alla sfera mo
dal suo progetto pedagogico-moralistico, esclude la rappresentazione
della
malvagità per paura degli effetti nefasti che que
ffetti nefasti che questa potrebbe avere, accompagnata dalle lusinghe
della
scena, sul pubblico teatrale (Paragone V, 2, [4])
a di un θαυμάζειν che, anziché venire limitato all’interno dei limiti
della
peripezia, diventa il pilastro dell’intero dramma
lla peripezia, diventa il pilastro dell’intero dramma. Lo spostamento
della
tragedia verso l’epica perseguito da una drammatu
ostamento della tragedia verso l’epica perseguito da una drammaturgia
della
meraviglia e dell’ammirazione, mirava soltanto ad
anto ad ammaliare e stupire lo spettatore, imponendogli una ricezione
della
favola esclusivamente passiva; al contrario nel P
ista, così da raggiungere quella purgazione che costituisce l’utilità
della
tragedia. Calepio ragiona poi ancora sulla fedelt
epio ragiona poi ancora sulla fedeltà alla storia nell’organizzazione
della
favola a partire da una contraddizione che pareva
la favola a partire da una contraddizione che pareva insita nel testo
della
Poetica e che aveva assillato numerosi esegeti, d
i antichi messi in scena, attribuendo inverosimilmente ai condottieri
della
Grecia e della Roma antica il carattere galante d
in scena, attribuendo inverosimilmente ai condottieri della Grecia e
della
Roma antica il carattere galante dei cortigiani f
costume dei personaggi, che si ottiene appunto attraverso il rispetto
della
bontà, della coerenza, dell’età, del sesso, della
ersonaggi, che si ottiene appunto attraverso il rispetto della bontà,
della
coerenza, dell’età, del sesso, della nazione del
raverso il rispetto della bontà, della coerenza, dell’età, del sesso,
della
nazione del personaggio. Tra i modelli positivi,
ne delle auctoritates, che non tiene conto una differenza strutturale
della
lingua italiana rispetto a quella greca, ossia la
lingua italiana rispetto a quella greca, ossia la maggiore solennità
della
prima, che non sopporta un abbassamento come quel
volta sostenuto, in primo luogo, dalla preoccupazione per la ricerca
della
verosimiglianza, dall’altra dalla disamina delle
egli stigmatizza l’abuso di figure e tropi petrarcheschi all’interno
della
lingua tragica dei secoli precedenti. Se allegori
stilistico — egli mette quindi in secondo piano, ad esempio, il ruolo
della
sintassi o delle figure di suono —, eppure ancora
direttamente in linea con gli scritti polemici generati in occasione
della
querelle Orsi-Bouhours. Anzi, con il Bouhours, Ca
pico o a una lirica, piuttosto che a una tragedia. Insomma, ben prima
della
Risposta a Voltaire del Maffei, in cui il verones
ar sempre sui trampoli», già il Calepio aveva denunciato la gonfiezza
della
lingua tragica francese — peraltro teorizzata ica
anza di ballo». Nel settimo capo l’autore affronta l’annosa questione
della
versificazione, unendo la propria voce al coro di
il Martello — che avevano condannato l’alessandrino francese a causa
della
monotonia, della lunghezza del verso e soprattutt
e avevano condannato l’alessandrino francese a causa della monotonia,
della
lunghezza del verso e soprattutto della rima. Anc
cese a causa della monotonia, della lunghezza del verso e soprattutto
della
rima. Anche sotto il profilo metrico lo scopo pri
o più mosso e gradevole. La conclusione è comunque ancora all’insegna
della
polemica anti-francese ed in specie anti-bouhours
nfine a dimostrare nel concreto la maggiore armonia e verosimiglianza
della
lingua poetica italiana, la quale, priva del giog
rasferimento in Italia, e dove ancora oggi è custodito il manoscritto
della
Descrizione de’ costumi italiani, pubblicato, sem
e’ costumi italiani, pubblicato, sempre per mezzo del Bodmer nei tomi
della
ginevrina Bibliothèque Italique 10. L’edizione de
a Selmi, che in qualità di supervisore ha saputo guidarmi nei meandri
della
drammaturgia rinascimentale e moderna, essendo fo
to di Studi Linguistici e Letterari con cui ho proficuamente discusso
della
mia tesi a vari stadi del suo sviluppo, in un dia
e biblioteche in cui ho lavorato in questi anni, e soprattutto quello
della
Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, della Ca
, e soprattutto quello della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo,
della
Capitolare di Verona, della Zëntralbibliothek Zür
Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, della Capitolare di Verona,
della
Zëntralbibliothek Zürich e della Bibliothèque Nat
Bergamo, della Capitolare di Verona, della Zëntralbibliothek Zürich e
della
Bibliothèque Nationale de France, va parimenti un
nza di lei nulla di quanto ho fatto avrebbe preso forma. Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia di
muovermi il profitto ch’io spero dalla vostra censura, che il timore
della
insufficienza per rattenermi. Gl’Italiani che son
rgimento delle lettere, coltivarono prima d’ogni nazione anche l’arte
della
tragedia: ma siccome non è stato loro conteso il
ato loro conteso il pregio d’avere occupato i primi posti dell’epica,
della
lirica e della pastoral poesia; così sembra ad al
o il pregio d’avere occupato i primi posti dell’epica, della lirica e
della
pastoral poesia; così sembra ad alcuni, che nella
struttura e la proporzion di ciascuna. Per prima e general divisione
della
tragedia parmi acconcio il considerar la favola q
arti cioè il costume, la sentenza, la favella ed il metro quasi corpo
della
medesima. [Ded.2] Potrebbesi la favola riguardar
cuni alla pratica: ma non di tutto ciò che vien compreso dalla natura
della
favola stimo che or debba farsi particolar osserv
ebbero sì le particolari imperfezioni degli autori, che la fievolezza
della
letteratura francese, la quale in que’ tempi era
prio fine, allega que’ testi che stabiliscono consister la perfezione
della
favola tragica nel muover la compassione ed il ti
nchiude che la più tollerabile spiegazione che si possa dare a’ passi
della
sua poetica, si è il dire ch’egli non intenda ess
ar delle favole. Ma tale assunto diviene più strano per la frivolezza
della
ragione con cui queste si difendono: perocché qua
e dal piacer recato dalle sue tragedie traeva egli bastante argomento
della
loro bontà: né di vero a più sue tragedie poteva
me, con la dovuta moderazione, uso non farò nel presente paragone che
della
accennata filosofica discussione e di quel destro
e il purgar con piacevolezza lo sregolamento delle passioni per mezzo
della
compassione e del terrore. Questa purgazione, ben
ell’assegnare alla passione amorosa di Rodrigo e di Cimene la cagione
della
peripezia. Se a me lice anatomizzare tal favola m
dell’affronto fatto al padre. Se l’azion sua ben s’esamina col dovere
della
morale, non colla massima del volgo, non lice far
sua opinione dicendo che l’Edippo di Sofocle, il quale si dà per idea
della
perfezione, non purga punto: ma questo Francese s
lizia d’un delitto, ma l’abito vizioso: perciocché secondo il sistema
della
morale aristotelica, un sol atto, ancorché pravo
1.2.6] Comprova ad evidenza il mio sentimento l’uso che Aristotele fa
della
medesima dizione nella morale, massimamente nel l
sificando l’incontinenza da μοχθερία, oppone questa seconda all’abito
della
virtù. La mente del greco scrittore appare anco d
[1.2.7] Crede Cornelio esser di mestiere che ’l fallo sia nell’azione
della
tragedia, ma basta per l’intento che la peripezia
tragedia delle Eumenidi rappresenta Oreste uccisore bensì d’Egisto e
della
madre Clitennestra, ma nondimeno degno di compati
a morte del padre, e per l’altre necessità a cui soggiaceva a cagione
della
madre stessa. [1.2.9] A questo grado s’approssim
ata ed altre non sembrano avere altro fine che di mostrare le vicende
della
fortuna e le disgrazie a cui sono soggetti anche
sperità. [1.2.13] Sofocle è stato osservatore delle qualità perfette
della
persona tragica nell’Edippo, nell’Aiace, nelle Tr
ste. Una si è che la religione non obbliga in certe cerimonie a costo
della
vita e l’altra che il poeta s’è regolato col cost
Coefori d’Eschilo. Il Filottete scostasi anche assai più dallo scopo
della
perfetta tragedia. Articolo III. [1.3.1] G
po del padre ha l’impudenza di trattenersi tre giorni e più nel campo
della
battaglia; e però riman presa e sforzata a bere n
Cebà, il Solimano del Bonarelli e l’Aristodemo del Dottori sono tutte
della
medesima idoneità. [1.3.4] Il Gravina a’ nostri
giorni, affettando d’introdurre nel teatro d’Italia l’idea eccellente
della
greca tragedia, ha preteso che gli altri nostri p
edia, ha preteso che gli altri nostri poeti non abbiano che una larva
della
medesima e confundendo ciò che le greche favole h
le han di buono con ciò che hanno d’imperfetto e che sente i principi
della
poesia, ha senza discernimento ammesso nelle sue
dimeno ottimo autore, che purga dalla imprudenza di non saper far uso
della
dissimulazione. [1.3.5] Non merita gran pregio p
IV. [1.4.1] Ma perciocché mio avviso è di parlare in questo capo
della
sola dignità più sustanziale della favola tragica
avviso è di parlare in questo capo della sola dignità più sustanziale
della
favola tragica, paragonando in ciò gl’Italiani co
ottimi esempli di tragiche persone che Rodrigo del suo Cid e Placido
della
sua Teodora, ma se ben s’esamina ciascuno di ques
.4.2] La calamità di Rodrigo, se si considera in riguardo al pericolo
della
sua condannagione, è più propria per eccitare tim
l pericolo della sua condannagione, è più propria per eccitare timore
della
medesima e dell’esito del duello, che compassione
evole a provocare, svanisce quasi in un punto per l’allegrezza finale
della
tragedia. [1.4.3] Placido reca in fine qualche p
a l’uditore occupato da quella di Teodora e di Didimo assai più degni
della
medesima. Inoltre il rimprovero, che egli fa nell
a quella tenerezza che potrebbe cagionare. Di più dico, che l’aspetto
della
sua disGrazia è sì momentaneo e sì privo di quell
s’occupa talmente Edippo stesso ne’ loro affari che sembra scordarsi
della
sua disGrazia quando in effetto dovrebbe mostrare
i gli occhi. [1.4.6] La Sofonisba, che deve meritarsi la compassione
della
gente, si comincia nelle prime scene a rendere od
marito Siface, perciocché aveva gelosia che Massinissa col benefizio
della
pace sposasse una sua rivale. Confermasi dappoi l
ue tragedie il medesimo Francese si è discostato anche più dalla idea
della
perfezione, non essendosi proposto per iscopo che
8] Racine, cui dassi il vanto d’esser giunto alla maggiore perfezione
della
tragica poesia, non ha per mio avviso altri argom
n ha per mio avviso altri argomenti che si possano ridurre alle leggi
della
perfetta tragedia, se non quello della sua Fedra
si possano ridurre alle leggi della perfetta tragedia, se non quello
della
sua Fedra (con la quale la Fedra italiana di Fran
he non gli abbia fatto l’abate Tarasson, che per altro esalta i poeti
della
sua nazione. Pare allui Britannico innocente, ma
oltre non puote ella traer pietà trovando gli animi disposti a favore
della
figliuola d’Agamennone, i quali non possono se no
é giudico potersi replicare che la sua disGrazia corregga la violenza
della
passione amorosa, perché sarebbe ridevole il cred
ente debbonsi giudicare poco propri per rappresentar la prima persona
della
perfetta tragedia simili soggetti, ancorché possa
perfezionerebbe la tragedia se l’esito infelice apparisse un castigo
della
sua tenerezza, invece d’essere una pena non solo
dallui stesso voluta. L’Atalia, benché abbia più dell’altre il gusto
della
antichità sì per la semplicità che per l’ordine,
dire che la rappresentanza de’ tragici successi presso gl’Italiani ha
della
conformità maggiore col genere perfetto della tra
i presso gl’Italiani ha della conformità maggiore col genere perfetto
della
tragica poesia e però meglio acconcia a produrre
strerò ne’ capi seguenti senza parzialità ch’essi hanno in certe cose
della
particolare benemeranza, e nel proposito di cui t
tempi, ancorché a tale prerogativa non corrispondano gli altri mezzi
della
compassione, e questa istessa sia più fiate prati
e non sono appoggiati ad alcuna memoria, lo lasciano almeno in dubbio
della
lor verità, però credo che solamente ne’ più rozz
, come è probabile che fosse anche il Fior d’Agatone. Fra le tragedie
della
natura orribile abbiamo la sola Medea d’Euripide,
osti da que’ poeti; con tutto ciò per formare una intera comparazione
della
tragica teoria rimane ad esaminarsi particolarmen
e da essi praticate. Tre cose concorrono a far sì che ’l rivolgimento
della
tragedia sia bello e cagioni efficacemente la com
è maraviglia, riconoscenza e passione. [2.1.2] La maraviglia propria
della
tragica poesia consiste nell’orribilità derivata
pare che non abbian fatto gran conto di questa maraviglia particolare
della
tragica poesia. Pietro Cornelio ha procurato in p
ossiaché oltre il non aggiungere essenziale benefizio al fine proprio
della
perfetta tragedia, divertono talora l’uditore dal
tragedia, imperciocché il poema epico è rappresentazione più generale
della
vita umana, laonde non solamente può senza nocume
sse somiglianti introduzioni. Ma poco mostrano di conoscere la natura
della
tragica poesia, la quale per la finale letizia pe
tragica poesia, la quale per la finale letizia perde bensì gran parte
della
sua forza, ma non cangia essenza. Che se s’ammise
della sua forza, ma non cangia essenza. Che se s’ammise sotto il nome
della
tragedia ogni sorta di fatti illustri indistintam
elle grandi virtù; il che, come loro è venuto fatto qualche fiata con
della
lode, così pure che già due secoli fosse proposto
mpio la Merope del marchese Maffei. Articolo II. [2.2.1] L’uso
della
riconoscenza è pure assai comune nelle nostre poe
la, o l’ometterla. La ragione che adduce Pietro Cornelio in dispregio
della
riconoscenza si è che gl’Italiani perdono sovente
atastrofe la compassione non pregiudica punto, anzi accresce la virtù
della
medesima, conciossiaché penetrando ella come in u
rocché gli affetti mossi dalla pugna del dovere contro l’inclinazione
della
natura, o di questa contro le passioni, ove s’ope
e nel Cinna, il quale sentendo il rimorso del tradimento ed il debito
della
gratitudine verso Ottaviano, viene combattuto dal
a gratitudine verso Ottaviano, viene combattuto dall’amore d’Emilia e
della
fede a lei data di vendicarla. Un tale contrasto
data di vendicarla. Un tale contrasto dà bensì piacere per la pittura
della
naturale agitazione che prova Cinna, ma non si pu
le agitazione che prova Cinna, ma non si può quindi nascere il frutto
della
compassione richiesta, perciocché qual pietà meri
a riconoscenza non solamente sia inutile, ma privi ancora la tragedia
della
sua maggiore virtù. Li combattimenti interni dell
de’ quali avrebbe loro recato più varietà, ed una maggiore imitazione
della
nostra natura, siccome è stato un gran mezzo a Fr
il quale si vanta d’avere nella sua Polissena cambiato le tradizioni
della
fama, fingendo che Pirro la sveni involontariamen
Egli credendo di migliorare in tal guisa la favola, halle tolto parte
della
sua efficacia, perciocché sì per Polissena che pe
calamità di Polissena stessa. Stabilisce quel poeta francese la lode
della
sua invenzione sulla proposizione d’un simil modo
ione degli altri, mostrando essi avere avvertito che per la debolezza
della
nostra natura un sentimento viene infievolito dal
esso da tale irritamento, sente assai meno il benefizio del terrore e
della
compassione. Di tal sorta sono la Sofonisba, l’Or
reché sospende quella intiera pietà che s’avrebbe loro nel compimento
della
sciagura, nulla non impedisce il comprendere la c
tà di chi procura la loro calamità, né scema però punto l’irritamento
della
indignazione. [2.4.4] Una compiacenza simile a q
n vano pretesto di vendetta, occupando lo spettatore nella avversione
della
sua indegnità, lo diverte dal pietoso sentimento
ppresso Euripide il massimo diletto. [2.4.5] Fra gli accompagnamenti
della
passione sono efficacissimi gli affetti delle per
distende la sua narrazione nell’esprimere la gioia che aveva Marcella
della
sua vendetta, e quindi la morte di costei dispera
che, invece di provvedere chi doveva raccontare e sentire il successo
della
sua morte, s’è trovato in necessità d’ometterla p
terla per non aver modo di rappresentarla convenientemente al bisogno
della
tragedia, però non se ne ha che un argomento dall
er la tragedia. Aristotele non adduce di ciò ragione se non l’esempio
della
Odissea, che dice essere cresciuta sopra la mole
ea, ma ciò ch’io credo doversi massimamente considerare è che il fine
della
vera tragedia non è di dilettare a guisa della ep
siderare è che il fine della vera tragedia non è di dilettare a guisa
della
epopeia colla rassomiglianza di molte cose, ma co
, secondo il mio sentimento, da quell’interesse che per la conformità
della
natura s’assume lo spettatore nelle peripezie de’
er tale riflesso dalle episodiche prolissità, ma perché furono amanti
della
semplicità, non pur nelle favole tragiche ma nell
o gli argomenti più composti, così la tragedia non può se non perdere
della
sua forza, distraendo per l’uditore con la moltip
egli interessi da quella passione la cui maggior violenza è l’effetto
della
tragica perfezione. [3.1.3] Gl’Italiani ch’hanno
occante le cose accadutegli sin dalla guerra di Troia; la descrizione
della
tempesta di mare che vien fatta dal Torrismondo d
ccortezza in far sì che le favole ne godessero benefizio senza offesa
della
lor propria dilicatezza. Ma sovente parmi essere
he perfezionano la favola non che non le nuocano. [3.2.2] Un esempio
della
artificiosa collegazion de’ medesimi mi sovviene
orrisponda, come già notai. Né certo così possono lodarsi gli episodi
della
italiana Demodice, la quale rappresenta un fatto
i oziosi, né solamente intendo di quelli che sembrano anzi spettatori
della
favola che attori, come l’infante del Cid, ma d’a
[3.2.6] 4. Havvi non poche digressioni che occupano la maggior parte
della
tragedia, o vi danno la principale figura, come m
alamede che scuopre ad Oreste la sua qualità e l’esorta alla vendetta
della
morte del padre; laonde siegue poi l’uccisione di
more un mezzo che ci unisce con gli eroi, perocché le persone proprie
della
tragedia non sono gli eroi in ogni virtù perfetti
vono avere di que’ difetti che mostrano agli ascoltatori la comunione
della
umana fragilità. Né meno è strano il dire che la
per accidente. [3.3.4] È però leggerezza il credere che la tristezza
della
tragedia abbia bisogno, per toccar meglio, delle
dall’approvazione delle dame in essa raffinate, da cui tutto il resto
della
gente per certa indole ivi si lascia rapire. [3.
che passioni hanno il lor fondamento. Niuno potrà leggere gli episodi
della
gelosia introdotta nella Sofonisba di Pietro Corn
rancesi un dispiacere notabile che prova l’uditore mentre nel bollore
della
passione, concepita per la disGrazia d’alcuno, in
ch’hanno li Francesi circa vari artifici toccanti l’ordine e la forma
della
tragica rappresentanza. Articolo I. [4.1
[4.1.1] Se dalle cose dette sinadora alcun sospettasse che l’amore
della
propria nazione m’avesse fatto dissimulare o non
edie di Francia meno regolari che le nostre nella teorica costituzion
della
favola, parimenti confesserò che queste sono assa
ssai difettose nella disposizione ed in altre qualità rappresentative
della
medesima, siccome quelle hanno in ciò molti pregi
i, ma l’ombre e le deità; oltrediché introdusse egli la fama in mezzo
della
sua Didone a raccontare i trastulli amorosi d’Ene
di costituire tutto il primo atto di Deità separate affatto dal resto
della
favola, e per la qualità delle persone, e per la
n bensì d’usare πρόσωπα προτάτικα e legarono i prologhi col rimanente
della
tragedia, perciocché lasciano bene spesso conosce
so Pietro Cornelio sono scusabili le narrazioni dell’Infanta del Cid,
della
Cleopatra del Pompeo ed il dialogo di Laonice e T
l Cid, della Cleopatra del Pompeo ed il dialogo di Laonice e Timagene
della
Rodoguna; contuttociò sarebbe ingiustizia il nega
i attiva, benché quanto al rimanente irregolare. [4.1.7] Per cagione
della
frequenza paionmi in simil maniera noiosi tanti s
sso i tragici antichi. Questa consiste nel far comparire in principio
della
favola persona dallei separata e senza nome a dir
mondo esca Rosmonda a moralizzare tra sé. Potrebbesi dire il medesimo
della
venuta di Miseno nell’atto terzo dell’Astianatte
peripezia deriva dal messo che sopraggiunge di nuovo a recar novella
della
morte inaspettata del re di Norvegia; nella Semir
del re di Norvegia; nella Semiramide del Manfredi nasce dalla novella
della
morte d’Anaserne seguita accidentalmente. Nel Sol
ano 22 comparisce improvvisamente Aidina con Alicola a dare il motivo
della
riconoscenza della favola, né da tale difetto ali
mprovvisamente Aidina con Alicola a dare il motivo della riconoscenza
della
favola, né da tale difetto aliena è la venuta di
to che consiste nell’accennare prima del tempo proprio le circostanze
della
catastrofe invece dì prepararle. Per lo che nasce
le. Per lo che nasce che l’uditore presentendo agevolmente il termine
della
tragedia, non prova poscia quella maraviglia che
parte prima dell’altra per non sapere sostenere fino al fine i mezzi
della
medesima. Ciò mi ricorda aver notato particolarme
error differente e meno ancora scusabile inducendo egli verso la metà
della
sua Antigone la peripezia d’una azion differente
per li mezzi inverisimili di sospender la catastrofe sino al termine
della
favola: di che puote esserci esempio, nella Beren
osimile, perciocché non ha quegli cagion maggiore di ciò fare in fine
della
tragedia che in principio. Esso sino nel primo at
novità degli accidenti ha potuto far credere intollerabile l’eccesso
della
passione, come si vede nell’Aminta del Tasso, ma
nell’Aminta del Tasso, ma nel caso presente, posciaché tutta la forza
della
disGrazia d’Antioco era in costrignerlo alla sua
isce tal debolezza ad un re, che per altro vien dipinto nel rimanente
della
tragedia uomo di spirito e di gran valore, sicché
le sue passioni, o di farvi almeno rimanere persone in sua vece degne
della
tragica dignità. All’incontro vedesi trascurata t
nca comunemente agli Italiani, è il rendere o fare apparir la ragione
della
venuta. Più nostri antichi hanno ciò trascurato a
zione riman priva de’ mezzi naturali che perfezionano l’assomiglianza
della
vera azione, parendo che le persone si mostrino s
. Laonde non resta sì nascosta sotto la sembianza del vero l’economia
della
favola. [4.4.4] Per mancanza di cotale avvertime
mente parmi che Antonio venga nell’atrio medesimo a recare la novella
della
morte di Cesare, mentre Calpurnia è in Senato né
uiscono a coloro ch’espongono sulla scena per ben conoscere il valore
della
imitazione, però non vo’ tralasciare qualche rifl
isogno nel decorso del dramma, senza caricare ad un tratto la memoria
della
gente. Laonde si scorge ancora qualche maggior de
mi spiacque nelle tragedie del Giraldi ed in particolare nell’atto 5.
della
sua Cleopatra, ove prima esce Olimpo solo; partit
raldi il vedere che la nudrice e le donne di corte sentono le querele
della
loro reina non pur senza intenderle, ma senza con
hifasi la difficoltà di ben concatenarne di molte e privasi il dramma
della
proporzione d’un atto con l’altro, con pregiudizi
lia dice sei versi, si fingono chiamati da Tiso che va sino nel fondo
della
torre, ove prima s’era detto che per le tante e t
poteva giungere la voce e quindi vengono come se fossero al limitare
della
porta. Nel Cesare del Conti havvi pure de’ fatti
embra languido in quel tempo tutto ciò che si frappone all’impazienza
della
sua attenzione. Gli altri hanno per lo più seguit
iando il nome dell’oracolo, ma troppo esso appare sì per la chiarezza
della
storia, come perché da niuno storiografo abbiamo
e esser noti; dove all’incontro è fermo convien privare le tragedie o
della
segretezza, con la qual d’ordinario si sostengono
er rappresentare con verisimiglianza le azioni che richiedono più ore
della
rappresentazione attuale. Per queste considerazio
dire che la differenza che ha tra gl’Italiani ed i Francesi nell’arte
della
rappresentanza deriva dall’avere questi secondi r
uesto secolo superiori non pur nelle cose medesime, ma nell’artificio
della
disposizione, e sono più confacenti agli uditori
rtelli sopra i medesimi argomenti. Il simile vedremmo essere avvenuto
della
Merope, la quale fu delle migliori di quel greco
e di riflettere che, benché il costume sia un ornamento notabilissimo
della
poesia drammatica, con tutto ciò pare che da’ Fra
acciarsi con questo la maraviglia, mostransi d’ordinario meno curanti
della
tragica essenza, la quale consiste nella qualità
, come erano in certe favole accennate da Aristotele in quelle parole
della
Poetica 27 αἱ γὰρ τῶν νέων τῶν πλείστων ἀήθεις τρ
probità che fa di mestieri alla persona principale per l’eccitamento
della
compassione. Ora aggiungerò qual regola s’hanno c
duit». E però stabilisce che ogni persona, anche malvagia, sia capace
della
tragica maggioranza. Una ragione che a ciò lo muo
ro i cattivi e quelli che sono contaminati d’alcuna macchia offensiva
della
virtù si ridurrebbon quasi al nulla: in prova di
οῦντες, καλλίους γράφουσιν. Cioè, come io spiego, «con l’applicazione
della
domestica forma migliorano le immagini che prendo
do che non ha con questo voluto Aristotele distruggere la prerogativa
della
perfetta tragedia, a cui debbon servire i costumi
ello che nasce dalle bugie del suo mentitore ch’egli reca per esempio
della
sua praticata dottrina? Dorante, dice egli, «débi
lo di Marcella esposto nella Teodora, del quale si loda assai più che
della
virtù di Teodora stessa, per quella sola attratti
o carattere di Placido, che dà per modello d’un perfetto protagonista
della
medesima favola33, posciaché, per renderlo vigoro
buon Re, che con paterno amore verso de’ suoi sudditi, scordato quasi
della
propria dignità e della cura della propria salvez
amore verso de’ suoi sudditi, scordato quasi della propria dignità e
della
cura della propria salvezza, esce dalla sua reggi
o de’ suoi sudditi, scordato quasi della propria dignità e della cura
della
propria salvezza, esce dalla sua reggia come un p
empio non è principale; essa fu creduta, come in fatti è, più propria
della
epopeia, e tutto che Omero malamente nell’Iliade
ndendo, o scemando al possibile le colpe che secondo l’esatta fedeltà
della
storia avrebbon potuto, coll’offendere i nostri a
come poeta in teologia ha peccato in poesia, perocché le circostanze
della
divina scrittura si suppongono note e non soggett
priccio. Fu però con ragione da’ critici censurato il poema del parto
della
Vergine del Sannazaro, e l’Iephte del Buccanano.
massimamente nel Catone di monsieur Des Champs, ove l’autore si vale
della
libertà poetica per inchiudere nella favola Farna
ai taché d’opposer des crimes aux vertus de Caton.» Quasi che la luce
della
virtù abbia d’uopo del contrasto delle ombre per
questi si puote annoverare Beatrice che è nel Corradino del Caraccio,
della
quale s’accennano bensì varie passate virtù, ma n
accennano bensì varie passate virtù, ma non se ne vede orma nel corso
della
favola che possa rendere compatibile la di lei di
rrore, perché di quella sono indegni e questo si rende inutile al più
della
gente che non è sì scellerata. Tali mancamenti si
e voglie e quindi non per altrui stimolo, ma contro il buon consiglio
della
stessa nutrice, desiderosa di vendicarsi s’avanza
guisa, cioè col mostrar punito un delitto col trionfo d’un maggiore,
della
qual cosa si veggono forse più esempli ne’ nostri
[5.3.3] Ne’ personaggi di secondo ordine avvi pure in alcuni nostri
della
colpevole inavvertenza. Di vero io non so vedere
la quale riesce tanto più biasimevole quanto importuno al fin morale
della
poesia è il suo sopravvivere. Nulla più faceva di
telli, la cui avarizia forma un carattere più proprio per lo ridicolo
della
commedia che per la gravità della tragedia. Marco
rattere più proprio per lo ridicolo della commedia che per la gravità
della
tragedia. Marco nell’Appio Claudio del Gravina er
unnioso ruffianesimo non doveva vedersi senza castigo. Ma delle leggi
della
bontà morale ho parlato abbastanza. Articolo I
mile. Orazio ristrinsela sotto l’osservanza di cinque attributi, cioè
della
condizione, dell’età, del sesso, dell’ufficio e d
attributi, cioè della condizione, dell’età, del sesso, dell’ufficio e
della
nazione, mentre disse: Intererit multum davusne
edette proprietà poco esatti osservatori i Greci, o fosse ciò difetto
della
adolescenza in cui si trovava allora la poesia, o
escenza in cui si trovava allora la poesia, o, come altri ha creduto,
della
rozzezza di que’ popoli, i quali amavano stoltame
spettacoli e massimamente le tragedie. In ciò che riguarda la lesione
della
dignità de’ caratteri appare certo che il costume
tro esse sieno inferiori alle greche. Può servire per saggio la morte
della
reina Giocasta, che appresso il greco poeta s’app
e al figliuolo per obbligarlo ad essere parricida e divenire consorte
della
concubina paterna. Hanno le loro indecenze sì gl’
secondo Curzio era grande bensì, ma la coltura non eccedeva i limiti
della
rozzezza indiana, venendogli ascritta «quanta int
anni, che licenziosamente gli si ascrivono dal poeta con alterazione
della
storia sacra, perocché quantunque le sentenze ch’
é in ciò puossi altro desiderare se non qualche giudiziosa mescolanza
della
moderna grandezza, la quale, senza distruggere l’
r cui tali favole son fatte, non apprende l’idea d’un re senza l’idea
della
maestà che suole accompagnarlo, laonde ove questa
romani, perciocché in esse si scorge altro errore contro la proprietà
della
nazione, avendo quasi tutte qualche bassezza. In
eglio degli altri il decoro de’ Romani: contuttociò non parmi proprio
della
maestà d’un dittatore ch’egli si trattenga in un
atrio a far tutti i ragionamenti di quel dramma, massimamente quello
della
scena 1 dell’atto 4. [5.5.3] Grave sconcio contr
care m’ha sommamente stomacato quella che compone tutto il fondamento
della
favola intitolata l’Appio Claudio del Gravina, co
pecca contro la storia introducendola ad operar per odio del padre e
della
madre, mentre secondo Livio non aveva altro stimo
vedovile, come farebbe una sfacciata ruffiana. Né propria del sesso e
della
sua educazione è la risposta che ella rende a’ co
la sorte de’ guerrieri. Per disuguaglianza sconvenevole è il costume
della
Merope del Torelli, la quale dopo aver mostrato n
stume della Merope del Torelli, la quale dopo aver mostrato nel corso
della
tragedia contro Polifonte tutto quell’odio che si
ere proseguito più lungamente a lodarlo, soggiugne, come se la vanità
della
sua bellezza fosse stata cagione della morte di d
, soggiugne, come se la vanità della sua bellezza fosse stata cagione
della
morte di due amati re: O mia vana bellezza, ecco
occorso alle donne del coro per la commozione che gli reca la memoria
della
sorella già gran tempo estinta in apparato simile
’assedio di Troia, or nella perdita di Creusa, or nell’abbandonamento
della
patria, or nel partire da Andromaca, or nell’affo
amorfosi d’Ovidio47, nell’Eneide di Virgilio48 leggesi che Diana, dea
della
pudicizia, lo protesse sì, che per mezzo d’Escula
ntro Egisto uccisore di suo padre, usurpatore del suo regno ed autore
della
di lei schiavitù, e trasse in continua afflizione
re ad Assalonne il carattere di penitente per abilitarlo al movimento
della
compassione, conciossiaché contraria alle memorie
al movimento della compassione, conciossiaché contraria alle memorie
della
Sacra Scrittura. Né con tale occasione lascerò di
luogo senza bisogno d’equalità, di somiglianza e di bontà. Una parte
della
morale imitazione non dà veruna loda al poeta, es
e e la sua bellezza. Però, benché nel capo precedente abbia ragionato
della
sentenza per ciò che riguarda lo scoprimento del
ò che riguarda lo scoprimento del costume, mi rimane ora a discorrere
della
medesima, considerata come idea di ciò che si sen
enti, che a’ medesimi presta l’elocuzione, avendo rispetto ed al fine
della
tragedia ed alla condizione di chi vi favella.
ti in una verbosità prolissa, priva di ritegni, e propria ben sovente
della
prosa più famigliare, egli riusciva languido e do
ciocché non condanni il suo figliuolo. Dice egli: La gioventù, furor
della
natura che in l’esser suo un caval fiero sembra d
oetiche e con l’uso di parole troppo latine, ed offendesse la gravità
della
tragedia con qualche cicaleccio. [6.2.4] Altri s
alche cicaleccio. [6.2.4] Altri scrittori di quel secolo avvedendosi
della
languidezza che pativan le prime favole tragiche,
he, s’avvisaron di provvedere al mancamento con gli ornamenti non pur
della
epica, ma della lirica poesia; quindi avvenne che
di provvedere al mancamento con gli ornamenti non pur della epica, ma
della
lirica poesia; quindi avvenne che spogliarono il
delle altre favole e per l’avidità di far pompa di tutte le ricchezze
della
sua eloquenza, si lasciò trasportare a sparger qu
aver detto che la leggiadria dell’Aminta è derivata dalla imitazione
della
Canace, confessa ch’egli s’è proposto lo stile de
dalla imitazione della Canace, confessa ch’egli s’è proposto lo stile
della
medesima per esemplare del Pastor fido. Ma gl’inf
ede principio all’abbandonamento degli scherzi, recando alla tragedia
della
maestà sì con le sentenze che con la maniera d’es
ne’ lor tragici saggi hanno mostrato che l’italiana favella è capace
della
natural dicitura senza cadere nel basso e della t
iana favella è capace della natural dicitura senza cadere nel basso e
della
tragica grandezza senza trasandar nel poetico. [
ha preteso ridurre la tragica poesia alla sua perfezione sul modello
della
greca, ha meno nobiltà di molti altri, perciocché
ltri. Se si paragonan le nostre antiche tragedie con i tragici drammi
della
Francia, non v’ha dubbio che, generalmente parlan
ne di più moderne tragedie che noi abbiamo e molto più se colla norma
della
sola ragione, che prescrive le leggi del perfetto
e riflessioni prima intorno la sentenza, poscìa intorno l’espressioni
della
medesima. [6.3.2] La sentenza puossi considerare
derebbe Antioco in una traversia tormentosissima nell’atto 3, scena 5
della
Rodoguna mentre dice, quasi παιγνήμων: L’espoir
senza odio, gli esorta a ciò fare, poi con concetto cavato dal fonte
della
novità così siegue a dire: Commencez par sa soeu
ameux Vous d’Albe, vous de Rome, et moi de toutes deux. Fra pensieri
della
medesima tragedia parvemi già freddissimo questo
e ragionano, e quindi è che si puote anche ne’ gran dolori, con l’uso
della
retorica, aggiugner perfezione a’ naturali ragion
La Tebaide particolarmente ne abbonda: quivi Giocasta, a somiglianza
della
Sabina di Pietro Cornelio, interposta a’ figliuol
era per dire cosa maravigliosa. Se l’amore di lei fosse stato cagione
della
sua morte l’induzione sarebbe stata acconcia, ma
re che sieno più del poeta che le compone insieme, per bizzarria, che
della
persona che favella. La buona morale distingue l’
si lagna. Articolo IV. [6.4.1] Molto più frequenti sono i vizi
della
espressione, perciocché quantunque abbiano i Fran
de’ bellissimi esempi, ove s’unisce la nobilità del verso all’indole
della
prosa, contuttociò bene spesso con frasi troppo p
non è poeta, mettesse in uso le figure più particolari e dell’epica e
della
lirica poesia, come si scorge massimamente nel Po
ad incontrare ne’ primi versi, in cui Tolomeo descrivendo gli effetti
della
strage di Farsaglia dopo aver dipinto i fiumi res
trui pene: anzi81 la stessa gloria s’arrossisce d’offerire il partito
della
fuga, ed in simil guisa si fanno talvolta operare
mnone83 si sgomenta figurandosi i suoi futuri allori tinti del sangue
della
figliuola. Ogni minimo guerrier di Poro84 si prom
per la copia loro, onde è costituita affettatamente troppo gran parte
della
elocuzione, e per la repetizion di moltissime, po
pur nel Coreso 105 quel detto d’Agenore, in cui s’appella dai rigori
della
sorte alla gloria. Monsieur Duchè fa che Davide d
s109. Meno arditamente il nostro Ariosto favellò quando, a proposito
della
moglie dell’Orco, disse che «morte avea in casa11
ne, che appare sulla scena desiderosa di finir la vita per la perdita
della
madre e per l’orrido spettacolo de’ fratelli, ter
spressioni di ciò che vivamente puossi spiegare colla brevità trovasi
della
languidezza e della vanità pregiudiziale al lor f
e vivamente puossi spiegare colla brevità trovasi della languidezza e
della
vanità pregiudiziale al lor fine, essi le pratica
[6.8.1] Ma veggiamo gli epiteti ed i nomi superflui posti per cagione
della
rima, i quali non fanno men noioso effetto delle
ando qui non si possa scolpare, perciocchè ἐυφρόνη è nome non proprio
della
notte, ma dagli effetti attribuitole, laonde l’ep
uesta non ebbe seguito, come troppo affettata e disadatta alla natura
della
tragedia. Altra, assai comune anche di presente,
ico nelle commedie dell’Ariosto. Dopo il Gravina ha fatto qualche uso
della
disuguaglianza greca il Lazzarini con migliore ri
e un numero a quelli somigliante, perciocché, ritrovando generalmente
della
deformità nelle tragedie italiane degli andati se
onare delle greche traduzioni de’ commentari di Cesare e del trattato
della
vecchiaia di Cicerone, le quali dal predetto abat
la gelosia di non esprimere pienamente ogni cosa non abbia cagionato
della
verbosità per entro a qualche traduzione che sias
e’ traduttori. Nelle traduzioni verbali, quali d’ordinario son quelle
della
Sacra Scrittura, si vede agevolmente la superiori
, si vede agevolmente la superiorità delle prime lingue, massimamente
della
greca, la quale racchiude sovente in una voce tai
i ciò si reca se non l’approvazione che ha fatto Pier Jacopo Martelli
della
drammatica poesia de’ Francesi. [7.2.5] Se quell
rietà di ciascuna poesia non avrebbe certamente ristretto ne’ termini
della
drammatica la grandezza, la quale è più propria d
ione, la quale riguarda una cosa assai volgare, ma per la convenienza
della
comparazione che avviva la descrizion del success
ammettono un’armonia tanto più varia, quanto sono differenti le pose
della
misura che hanno, perciocché (senza parlar di que
a nel luogo medesimo, ma la metà posteriore non è che una repetizione
della
metà precedente. Laonde sembra udire in ciascuno
ssione di qualunque sentimento, come egli asserisce per confermazione
della
sua sentenza. Udeno Nisieli ne’ suoi Proginnasmi
innasmi 140 ragionando in altra guisa a favore de’ versi settesillabi
della
Canace disse che si potrebbe muovere una lite a G
iglia dello intelletto, perocché quindi appare che, siccome lo studio
della
medesima è proprio per le canzoni, così non è com
delle passioni, poiché l’artifizio non può rimanerne nascosto a guisa
della
misura ch’hanno i versi greci e latini, ma tutto
sono propri del metro dallui approvato, cioè del rimare ogni verso e
della
vicinanza inalterabile delle rime. [7.4.2] Io, n
si alessandrini non era punto più atta delle stanze a tenere il luogo
della
prosa se non per l’uso, ed aggiunge che le stanze
egli contradica a se stesso. [7.4.3] Ma qui non finiscano i difetti
della
rima francese: avvene uno che per essere sol prop
me la troppa frequenza delle locuzioni figurate è un effetto evidente
della
necessità delle rime, così gran parte de’ tropi s
lti pensieri che dirsi vorrebbono convien sostituirne altri in Grazia
della
rima. Contuttociò non ha saputo cavare altro frut
atries. Traduzione. Almen fia l’un di voi giusto aggressore vindice
della
moglie, o della suora. Ma come? ahi macchiareste
one. Almen fia l’un di voi giusto aggressore vindice della moglie, o
della
suora. Ma come? ahi macchiareste della gloria il
essore vindice della moglie, o della suora. Ma come? ahi macchiareste
della
gloria il chiaror, se stimol d’onta v’animasse al
e, generalmente parlando, si sono con troppa superstizione trattenuti
della
imitazion degli antichi; cosi li Francesi, benché
lor pregi particolari, rimangono addietro nelle cose più sustanziali
della
favola e rispettivamente a qualche italiana trage
tive degli uni e degli altri sarebbe la via d’arrivare a’ primi gradi
della
perfezione. Giunta toccante le tragedie di mo
emplicità e la moltiplicità degli avvenimenti, come pure ciò che dice
della
esposizione preparatoria e dell’altre circostanze
sì dal favore acquistatosi dal suo Romolo, come dall’essere invaghito
della
inflessibilità che in quella favola mostra Tazio.
unta.5] Quanto alla resistenza inflessibile di Tazio, per compiacenza
della
quale dice monsieur de la Motte: «Che essa ha sem
armi doversi riflettere che l’ammirazione non tanto è proprio effetto
della
altrui virtù, quanto delle cose strane e rade a s
nulla più ci appassiona che l’infelicità di un uomo, in cui veggiamo
della
virtù: e, se ben s’osserva, la passione che cagio
he cagiona Romolo non deriva già dalla sua temerità; ma dall’opinione
della
sua morte, la quale non poteva se non essere comp
rte, la quale non poteva se non essere compatibile per l’inclinazione
della
nostra umanità verso chi soggiace ad alcun male,
la sola meraviglia, io dico che essa non è per sé la passione propria
della
tragedia: anzi è contraria al suo scopo quando pu
e gran differenza tra Cleopatra e Medea. La prima non ha veruna scusa
della
sua crudeltà: perciocché il pregiudizio del popol
o a tal sorta di persone, non solamente si manca all’indirizzo morale
della
poesia, e con pravo abuso della medesima si propo
lamente si manca all’indirizzo morale della poesia, e con pravo abuso
della
medesima si propongono esempli idonei ad accredit
l’avversione: ma si travia totalmente ancora dall’oggetto essenziale
della
tragica purgazione. Ciò che sopra modo ammiro è c
nfare senza gravi rimorsi de’ delinquenti: contuttociò la confessione
della
mancanza non lo induce a procurare veruna ammenda
in misero stato, avran d’ordinario maggior efficacia nella mutazione
della
fortuna, quando questa succede in un sol colpo, c
una viva commozione, consiste nel procacciare alla persona principale
della
estimazione e della benevolenza, sicché ciascuno
consiste nel procacciare alla persona principale della estimazione e
della
benevolenza, sicché ciascuno per lei s’interessi:
a prava volontà, non d’un trasporto accidentale: ma nelle circostanze
della
storia che si rappresenta da Cornelio, Orazio non
e delle medesime. Non è nuova in Italia la controversia intorno l’uso
della
prosa in poesia. Sin nel secolo decimo sesto fu d
e in altre opere poetiche, le quali tanto meno credo che sieno capaci
della
prosa, quanto più richiedono di locuzion figurata
dico la poesia lirica meno acconcia a riceverla che l’epica. La prova
della
mia proposizione si è che la favella sciolta è lo
e le figure poetiche, facendola servire ad idee fantastiche, abusano
della
medesima in una guisa contraria alla sua natura;
di svegliare, a favore de’ principi che si rappresentano sul teatro,
della
compassione in uditori che sanno esser tutta fint
tanto più facile; quanto i versi drammatici si scostan meno dal suono
della
prosa. Che se si dicesse potersi per la stessa in
duzione attribuire alle persone tragiche ancora l’altre figure ardite
della
poesia; risponderei che queste sono incompossibil
unta.15] L’altra obiezione che reca monsieur de la Motte per sostegno
della
sua opinione è la tortura delle rime, per cui sov
imo atto egli fa de’ suoi fratelli: ma dato che sia una continuazione
della
persecuzione de’ Macabei, si compie almeno nel pr
ncora Antioco d’indurlo al culto degli Dei. [Giunta.17] Circa l’arte
della
condotta e della rappresentanza incontransi parim
ndurlo al culto degli Dei. [Giunta.17] Circa l’arte della condotta e
della
rappresentanza incontransi parimenti delle circos
ntigone verisimilmente. L’uditore in questo luogo sente l’importunità
della
narrazione: s’avvede poscia nel decorso dell’atto
dmirable». Nell’atto quarto manca alquanto di corrispondenza il tempo
della
rappresentanza con quello degli avvenimenti, e ne
tarsi, ma da dispregi non può nascere. Il poeta mostrasi poco pratico
della
filosofia che riguarda amore. Intorno alla manier
non sia capace, ed in ciò concorro anch’io. [Giunta.21] Non parlerò
della
maniera in cui Romolo si preserva da’ traditori n
tro, rispettivamente alla pietà che Inès dee muovere, la disposizione
della
tragedia potrebbe esser migliore. Le persone acce
re una occasione al racconto, ch’ella fa dappoi, del suo matrimonio e
della
reità compatibile, in cui incorse col medesimo. I
medesimo. Impropria stimo anche nella reina la digressione delle lodi
della
figliuola nella quale dice, fra l’altre cose, che
e di ciò per dar motivo allo scuoprimento che dappoi siegue per opera
della
reina stessa, che accusa Inès di corrispondenza a
nversimile, aggiunge all’insussistenza del fondamento anche la rovina
della
fabbrica; laddove agevolmente da altre circostanz
nsieur de Voltaire, ed ha con ingegno corretto un inescusabile errore
della
favola greca rispetto all’ignoranza inverisimile
l’ignoranza inverisimile che ivi mostra Edippo intorno le circostanze
della
morte di Laio. Ciò che mi disaggrada nella sustan
stigo permesso dal cielo ad Edippo coll’attribuirgli dell’ambizione e
della
presunzione: ma non avverte che quindi nascono du
e fece Edippo uccidendo Laio non fu senza notabile reità. Nell’ordine
della
favola disapprovo la divisione della riconoscenza
enza notabile reità. Nell’ordine della favola disapprovo la divisione
della
riconoscenza, per cui la peripezia riesce meno ma
gue; Bodmer manda al Calepio alcuni suoi capitoli intorno alla «virtù
della
fantasia» (ivi, p. 44) e il bergamasco accenna in
ttera del 10 aprile 1729, di aver cominciato a «sbozzare» il Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia (iv
el 1731 (ivi, p. 124), poco prima che il Bodmer gli spedisse la copia
della
Bibliothèque Italique contente la Descrizione de’
sarà definitivamente palesato soltanto nel 1738, con la pubblicazione
della
recensione del Paragone da parte del Maffei nelle
ragediografo italiano di scarsa fama. Quanto allo specifico contenuto
della
dedica sarà necessario sottolineare due elementi
to e chiarita la suddivisione dell’opera, che tratterà in primo luogo
della
qualità della favola — e quindi della scelta dell
la suddivisione dell’opera, che tratterà in primo luogo della qualità
della
favola — e quindi della scelta dell’intreccio su
ra, che tratterà in primo luogo della qualità della favola — e quindi
della
scelta dell’intreccio su cui si fondano le varie
[1.1.1] L’esordio del Paragone è segnato da una speculazione sul fine
della
poesia e sul compito del poeta; Calepio, rifacend
a diversa missione, ossia quella di guidare i cittadini all’esercizio
della
virtù attraverso il diletto. Secondo il bergamasc
ero e i tragici greci, così come Aristotele e Orazio, davano del fine
della
poesia questa interpretazione. Tuttavia Aristotel
20), confinando il discorso sull’utile alla descrizione degli effetti
della
catarsi; l’Ars Poetica di Orazio procede invece a
na formula celeberrima che accompagnerà la riflessione sulla finalità
della
poesia tra Cinque e Settecento («Centuriae senior
oetica, vv. 341-344). Nel Cinquecento si insisterà molto sull’utilità
della
letteratura, proprio a partire dai versi oraziani
alla poesia il fine di dilettare e sottolinea che il diletto proprio
della
tragedia non è diretto — ossia dettato dal compia
dobbiamo ricordare di quello, che è stato detto di sopra che il fine
della
poesia è il diletto e che il diletto si divide in
etto oblico, e l’altra è diletto diritto. Il diletto oblico è proprio
della
tragedia, il quale si sente quando in tragedia si
vero stimo, e che molti negarebbono, cioè che ’l diletto sia il fine
della
poesia», Torquato Tasso, Discorsi dell’arte poeti
ee drizzar il piacere a questo fine; e per aventura il diletto è fine
della
poesia, e fine ordinato al giovamento», ivi, p. 6
, Tasso, Roma, Salerno, 2007, p. 337). Il dibattito sul reale oggetto
della
poesia non si esaurisce nel Seicento: anzi, propr
nel diciassettesimo secolo prevale la concezione edonistica del fine
della
poesia, sulla scorta della lettura di Castelvetro
prevale la concezione edonistica del fine della poesia, sulla scorta
della
lettura di Castelvetro; Sforza Pallavicino, ripre
gati dal Tasso, degradava deliberatamente il «giovamento» al cospetto
della
«dilettazione» («Il fine intrinseco e prossimo de
soprattutto per le riflessioni attorno alla centralità dello stile e
della
sentenza. Tuttavia su questo preciso punto lo Sca
sius, il quale, nel De constitutione tragœdiæ, sottolineava il valore
della
«voluptas» connaturata all’imitazione poetica (cf
, Droz, 2001, pp. 35-37). La fortuna di un’interpretazione edonistica
della
funzione del poeta si propaga nella Francia dell’
rapporto all’affermarsi del genere, ancora di importazione italiana,
della
tragicommedia; François Ogier, uno degli ingegni
sava già i passaggi principali di una storia teleologica dell’origine
della
poesia che Calepio recupera nel principio della s
eologica dell’origine della poesia che Calepio recupera nel principio
della
sua opera maggiore: «ebbero dunque elle [la comme
ori delle Republiche; onde si raccoglie la diffinizione e distinzione
della
poesia nelle predette tre sue parti e la descrizi
veva inventato esclusivamente per il proprio diletto («I primi autori
della
vita civile furono costretti avvalersi, ad insegn
ioso, e l’armonia del verso accoppiarono con l’armonia ed ordinazione
della
voce, che musica appellarono», Gian Vincenzo Grav
, dalla Politica e dall’Etica», Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 50-51).
ortune, o imparando a correggere i propri costumi dal contemplar quei
della
scena, o bevendo molti bei ricordi morali, onde v
Sui Discorsi Poetici di Faustino Summo, documento assai interessante
della
ricerca poetica svolta in seno al cenacolo dell’A
’Accademia Galileiana, Atti del Convegno storico per il IV centenario
della
fondazione (1599-1999), Padova, 11-12 aprile 2000
el difendere una oncezione di poesia volta all’utile. Sulla rilevanza
della
nozione di «plaisir» nella formazione della criti
ll’utile. Sulla rilevanza della nozione di «plaisir» nella formazione
della
critica teatrale seicentesca in Francia si rimand
de la critique dramatique moderne au xviie siècle», in Storiografia
della
critica francese nel Seicento, Bari-Paris, Adriat
t, 1957, pp. 38-39. [1.1.2] Calepio ripercorre le tappe fondamentali
della
formazione della tragedia italiana, inaugurata da
9. [1.1.2] Calepio ripercorre le tappe fondamentali della formazione
della
tragedia italiana, inaugurata dalla Sofonisba (15
i plasmati sul prototipo senecano, come quelli di Giraldi. Gli albori
della
tragedia francese sono invece legati alla nascita
i. Gli albori della tragedia francese sono invece legati alla nascita
della
scuola poetica classicistica della Pléiade, fonda
se sono invece legati alla nascita della scuola poetica classicistica
della
Pléiade, fondata da Pierre Ronsard attorno alla m
bro de La Pléiade e vicino a Ronsard; dopo di lui altri poeti, memori
della
lezione di Ronsard, tentarono di introdurre la po
iant (1558) di Jodelle. Calepio mette in luce la derivazione italiana
della
prima tragedia francese, sebbene tale filiazione
sse, 1840, p. 96). Calepio citava Jodelle e Ronzard tra i capostipiti
della
tragedia francese anche nella sua Apologia di Sof
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
427, 1962, pp. 392-423, pp. 401-402). Sulle origini e sugli sviluppi
della
tragedia cinquecentesca cfr. Ferdinando Neri, La
II, 7, 1980, pp. 96-113; Paola Mastrocola, L’idea del tragico: teorie
della
tragedia nel Cinquecento, Soveria Mannelli, Rubbe
iarelli, 2005; Marzia Pieri, «La tragedia in Italia», in Le rinascite
della
tragedia: origini classiche e tradizioni europee,
traducteurs, XXIX, 2, 1984, pp. 224-226. [1.1.3] Lo scarso successo
della
tragedia rinascimentale francese è dovuto, second
ncese è dovuto, secondo Calepio, non tanto alla pedissequa imitazione
della
tragedia greca, quanto alla scarsa perizia degli
gedia greca, quanto alla scarsa perizia degli autori e all’immaturità
della
letteratura francese. Nel Seicento tuttavia alcun
llaborazione col compositore di origine italiana Jean-Baptiste Lully,
della
tragédie en musique — riuscirono a conquistare il
apprezzate per la capacità di fondere armoniosamente la piacevolezza
della
musica alla gravità della tragedia, sapientemente
à di fondere armoniosamente la piacevolezza della musica alla gravità
della
tragedia, sapientemente stemperata grazie al rico
zie al ricorso ad un tono pastorale che ben supportava quell’estetica
della
galanteria che la corte di Luigi XIV e il pubblic
ille tentò di legittimare le proprie scelte drammaturgiche sulla base
della
Poetica aristotelica e dei suoi commenti cinquece
in Italia: L. A. Muratori, G. G. Orsi e P. J. Martello», La Rassegna
della
letteratura italiana, LXXVIII, 1-2, 1974, pp. 64-
e dei tragici classici francesi, Verona, Fiorini, 2009. Sulla pratica
della
traduzione teatrale come veicolo di scambio di id
di riscatto dell’ormai anziano autore francese, reduce dal fallimento
della
tragedia Pertharite, incentrata sulla storia dell
uce dal fallimento della tragedia Pertharite, incentrata sulla storia
della
regina longobarda Rodelinde vessata dall’usurpato
smuovere negli spettatori — era perfettamente coerente con i dettami
della
Poetica. La drammaturgia di Corneille aveva subit
oris, «La “querelle du Cid”, o lo scandalo del vero», in Storiografia
della
critica francese nel Seicento, Bari-Paris, Adriat
limard, 1951, pp. 103-105). Maître Tafignon, semisconosciuto avvocato
della
Borgogna, aveva tentato di capovolgere il giudizi
emazia di Corneille sempre a partire da una concezione etica del fine
della
letteratura: «On remporte des pièces de l’un [Cor
des Universités de Rouen et du Havre, 2012, pp. 387-400. Per i testi
della
Querelle du Cid, cfr. La Querelle du Cid (1637-16
el quale l’autore, dopo aver illustrato con chiarezza le prescrizioni
della
Poetica circa la scelta del protagonista della tr
arezza le prescrizioni della Poetica circa la scelta del protagonista
della
tragedia in relazione al raggiungimento della cat
scelta del protagonista della tragedia in relazione al raggiungimento
della
catarsi («Pour nous faciliter les moyens de faire
ribilità del misfatto precedentemente compiuto, quanto per la lievità
della
colpa rappresentata nella pièce («Si nous le rega
si sulla reale entità del processo catartico descritto da Aristotele,
della
cui esistenza è portato a dubitare («Si la purgat
ns que demande Aristote», ivi, p. 145), affermando che l’introduzione
della
teoria della catarsi era dovuta alla volontà di p
e Aristote», ivi, p. 145), affermando che l’introduzione della teoria
della
catarsi era dovuta alla volontà di preservare l’u
teoria della catarsi era dovuta alla volontà di preservare l’utilità
della
tragedia — che Platone aveva messo in discussione
si rimanda all’ottimo intervento di Enrico Mattioda, «La discussione
della
colpa tragica nelle interpretazioni della Poetica
o Mattioda, «La discussione della colpa tragica nelle interpretazioni
della
Poetica di Aristotele tra XVI e XVIII secolo», Ho
esempio, il pubblico possa provare pietà per Antiochus, protagonista
della
Rodogune, figlio della perfida Cléopâtre e innamo
ossa provare pietà per Antiochus, protagonista della Rodogune, figlio
della
perfida Cléopâtre e innamorato della principessa
tagonista della Rodogune, figlio della perfida Cléopâtre e innamorato
della
principessa Rodogune che la madre gli impone di u
non tentare di sottrarre ricchezze od onori a terzi attraverso l’uso
della
forza (ivi, p. 147). Il soggetto di Edipo di per
il protagonista non riesce da solo a veicolare — e addita il modello
della
Rodogune —, oppure rinunciare ad una catarsi comp
ad una catarsi completa, insistendo soltanto su uno dei due elementi
della
formula aristotelica, come accade nel Polyeucte.
bitraria, guidata da un discrimine puramente spettacolare come quello
della
riuscita della rappresentazione teatrale. Sullo s
ta da un discrimine puramente spettacolare come quello della riuscita
della
rappresentazione teatrale. Sullo sviluppo di una
e théâtrale et unité de l’histoire de 1625 au “Cid”», in Storiografia
della
critica francese nel Seicento, Bari-Paris, Adriat
ges Couton, Paris, Gallimard, 1987, pp. 152-153) censura un passaggio
della
Poetica (1453b 38-39) in cui Aristotele negava la
dendo ad esempio l’Antigone di Sofocle, in cui Emone, venuto a sapere
della
morte di Antigone, fallisce il colpo che avrebbe
tite su un dato empirico che tende a voler giustificare la consonanza
della
propria drammaturgia con le regole aristoteliche
i del testo greco o addirittura negandone la validità. [1.1.9] Forte
della
citazione di alcuni brani dell’apologia corneilli
io nei confronti dei Discours, considerati il frutto dell’adeguamento
della
Poetica al teatro di Corneille, piuttosto che un
la Poetica al teatro di Corneille, piuttosto che un equilibrato esame
della
conformità delle tragedie del francese ai dettami
egli mette spesso in bocca ai propri personaggi. Al ridimensionamento
della
catarsi, controverso e «immaginario» strumento di
to della catarsi, controverso e «immaginario» strumento di purgazione
della
cultura pagana, corrispondeva il rilancio di una
.10] Calepio riporta il giudizio espresso da Dacier nella conclusione
della
sua prefazione alla Poetica, dove il francese, ri
e alla Poetica, dove il francese, ripercorrendo le tappe fondamentali
della
storia della poesia tragica, ammette: «Après la m
a, dove il francese, ripercorrendo le tappe fondamentali della storia
della
poesia tragica, ammette: «Après la mort d’Alexand
p. xix). [1.1.11] L’accenno di Calepio va in questo caso ai prodromi
della
filosofia cartesiana, ben radicata in tutto il mo
e da Calepio nel Paragone, si presentava come un esame dei fondamenti
della
poesia epica, condotto in margine alla riflession
sca del concetto di «moderno», chiaramente dipendente dalla ricezione
della
filosofia cartesiana ed in particolare dello scet
suo parere, l’atteggiamento che molti autori avevano tenuto nel corso
della
famosa Querelle des Anciens et des Modernes, prot
quanto la letteratura e le arti. Uno dei momenti di maggiore attrito
della
Querelle va individuata nella ben nota questione
’Iliade proposta nel 1699 da Madame Dacier — agli strenui sostenitori
della
supremazia di Omero e della poesia classica — que
Madame Dacier — agli strenui sostenitori della supremazia di Omero e
della
poesia classica — questo partito annoverava, oltr
Du Bos. Probabilmente Calepio allude proprio a questo tardo prodromo
della
polemica (1714-1716), di certo il più acceso, qua
lle autorità dei classici soltanto quando si accordino con i principi
della
ragione. Quando nel 1738 sarà pubblicato l’Esame
manifestato di apprezzare gli Antichi Poeti senza rinunciare all’uso
della
ragione, che ci fa conoscere sì li falli loro, ch
alla Poesia Tragica si potevano aggiungere» (Pietro Calepio, Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
vedano almeno Eugenio Garin, «Cartesio e l’Italia», Giornale critico
della
filosofia italiana, IV, 1950, pp. 385-405, e Maur
ica tragica di Calepio, ossia quella catarsi che garantisce l’utilità
della
poesia e giustifica retrospettivamente la discuss
ettivamente la discussione avviata nella sezione precedente. Il luogo
della
Poetica citato in apertura da Calepio è il celebe
epio è il celeberrimo 1449b 27, nel quale Aristotele descrive il fine
della
tragedia, la quale «per mezzo della pietà e del t
quale Aristotele descrive il fine della tragedia, la quale «per mezzo
della
pietà e del terrore finisce con l’effettuare la p
arsi di tutte le passioni» — scorgendo nella definizione aristotelica
della
tragedia un afflato prioritariamente morale —, pi
oetica oraziana, e proficuamente rilanciata, fra l’altro, all’interno
della
visione neostoica seicentesca, rappresentata in p
548], rist. anast., München, Fink, 1968, p. 52) attestava la capacità
della
tragedia di purificare gli spettatori dai sentime
niesi, rendendoli più forti nell’affrontare le calamità che nel corso
della
vita si sarebbero loro presentate. Vincenzo Maggi
va a liberare l’animo dai tre vizi capitali dell’ira, dell’avarizia e
della
lussuria» (Elisabetta Selmi, «Maggi, Vincenzo», i
a da diversi letterati: Alessandro Piccolomini insiste sulla capacità
della
tragedia di temperare le passioni garantendo all’
rlo da questi affetti», Alessandro Piccolomini, Annotationi nel libro
della
Poetica d’Aristotele, Venezia, Guarisco, 1575, p.
arini sottolinea l’estraneità alla morale cristiana di una concezione
della
tragedia come liberazione dalla santa virtù della
a di una concezione della tragedia come liberazione dalla santa virtù
della
pietà («Tutto quello che in ciò fa dubbi di non l
punit. L’uno, per qual ragione voglia Aristotile che l’huom si privi
della
compassione, che è cosa, come dice il Boccaccio,
ore s’habbia a purgar come affetto disordinato, che corrompe la virtù
della
fortezza, ha molto del ragionevole, o per dir meg
olto del ragionevole, o per dir meglio, del necessario. Ma spogliarsi
della
pietà chi può farlo, senza spogliarsi dell’humani
iero, e scandaloso spettacolo abborrita», Battista Guarini, Compendio
della
poesia tragicomica, in Id., Opere, III, Verona, T
la commiserazione con le tragiche viste, avendo i precetti santissimi
della
nostra religione, che ce l’insegna con la parola
izioni dell’Orso, 2007, pp. 32-39); Angelo Ingegneri nella Prefazione
della
sua Tomiri affermava che la tragedia doveva funge
ontinenza» (cfr. su questo punto Roberto Puggioni, «Sulla dedicatoria
della
“Tomiri” (1607) di Angelo Ingegneri», in La lette
e Franco Tomasi, Roma, Adi editore, 2014). Molto minore è la fortuna
della
lettura robortelliana, che pure viene ripresa, se
all’Accademia degli Alterati, attesta, attingendo anche dalla storia
della
medicina classica, che «per mezzo de’ medicamenti
gare gli «affetti disordinati» («La tragedia per mezzo del terrore, e
della
pietà solleva lo spettatore da queste stesse pass
queste stesse passioni, facendo ch’ei si scarichi sovra oggetti finti
della
tristezza che lo divora. Nella maniera che una mu
fronto con la posizione del Maffei si veda Paolo Scotton, «La poetica
della
Merope nella Drammaturgia Amburghese di Lessing.
nti dell’arte poetica, valorizzava al contrario non tanto la capacità
della
tragedia di assuefare il pubblico alla pietà e al
acendosi alla Politica piuttosto che alla Poetica, l’ufficio curativo
della
musica, capace di agire negli spettatori come una
anni (su questo mi permetto di rimandare al mio «L’“irragionevolezza”
della
Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
it., pp. 215-234), inaugurando un’interpretazione propriamente medica
della
catarsi che avrà successo soprattutto nell’Ottoce
nell’Ottocento. Sulla nozione aristotelica di catarsi e sulla fortuna
della
Poetica nel Cinquecento cfr. Enrico Flores, «La c
e proprietà necessarie al protagonista ideale per raggiungere il fine
della
tragedia (1542b 34-1543a 11), ritraendolo come un
a 11), ritraendolo come un personaggio mezzano, lontano dagli estremi
della
bontà eccessiva («non si debbono mostrare uomini
enuti uomini illustri che cadono in disGrazia non a causa del vizio o
della
consuetudine malvagia, ma in virtù di qualche err
rneille riportava, nell’Examen sur Polyeucte, tragedia caratterizzata
della
messa in scena della figura del martire, un elenc
ll’Examen sur Polyeucte, tragedia caratterizzata della messa in scena
della
figura del martire, un elenco di autorità che ave
il De poeta di Minturno, nel quale un capitolo affrontava il problema
della
rappresentabilità di Gesù Cristo e dei martiri ne
ento da Aristotele operato da Corneille dovrà scorgersi la cognizione
della
profonda diversità del teatro greco da quello cri
anto nella misura in cui le loro regole erano suffragate dal consenso
della
ragione. Sarà infine da registrare anche il conse
nsistente numero di fogli di appunti conservati nell’Archivio Calepio
della
Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo. In quest
tro Calepio, «Giunte postume attinenti al Paragone», in Id., Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
d.). Questa affermazione rieccheggia quella, fondamentale nel computo
della
poetica proposta da Calepio, già espressa in Para
cui commento si rimanda per ulteriori approfondimenti. Sulle origini
della
discussione in merito alla rappresentazione tragi
gli non comprendeva l’esemplarità di Edipo e Tieste come protagonisti
della
perfetta tragedia, in quanto i due non parevano c
a suscitare la purgazione delle passioni di cui parla Aristotele — e
della
cui effettiva consistenza, va ricordato, Corneill
amente virtuosi, e la loro probità vacilla soltanto a causa del fuoco
della
passione che li investe: è la loro debolezza, tan
In ambito italiano considerazioni simili si ritrovano nella Bellezza
della
volgar poesia di Crescimbeni, nella quale l’idea
do quel che a me ne pare, diversamente dee giudicarsi, perché il fine
della
Tragedia non è, né può essere, l’assuefar gli uom
ria. Quello, che veramente può per mio avviso, e debbe essere il fine
della
Tragedia de’ nostri tempi, si è l’assuefarci ad o
Tragedia de’ nostri tempi, si è l’assuefarci ad operar bene col mezzo
della
vista de’ gastighi a’ quali soggiacciono anche i
e a non temere, essendo innocenti, d’esser mai condannati, col mezzo
della
considerazione del favore, e della difesa, che al
d’esser mai condannati, col mezzo della considerazione del favore, e
della
difesa, che all’innocenza viene dal Cielo. E perc
fine, che è l’istesso, che dire, col riconoscimento dell’ingiustizia
della
pena, dovrà sempre giudicarsi migliore; perché ol
o dirette le moderne Tragedie» (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 157). [
ine giuridico costituito, perderebbe la stima del padre, dei nobili e
della
stessa Chimène, qualificandosi ai loro occhi come
’amore di Chimène, quanto piuttosto sul dissidio tra il perseguimento
della
vocazione eroica e la volontà di rimanere «uomo d
Secondo l’autore del Paragone quindi il Cid, concepito come tragedia
della
vendetta e non dell’amore frustrato — l’unico pro
azione, indotto probabilmente dal Castelvetro. Nel passo in questione
della
Poetica (1453a 9-10) Aristotele prescriveva che l
veva che l’eroe tragico non fosse colui che cade in disGrazia a causa
della
malvagità (κακίαν) e del vizio abituale (μοχθηρία
a a causa di qualche errore (ἁμαρτίαν), come accadeva al protagonista
della
tragedia sofoclea. I commenti cinquecenteschi, da
co del suo stesso Rodrigue del Cid quando afferma che il protagonista
della
tragedia sofoclea non si macchia di una vera e pr
l drammaturgo francese introduce un intrigo amoroso che sposta l’asse
della
tragedia, allontanandolo dallo scottante tema del
che sposta l’asse della tragedia, allontanandolo dallo scottante tema
della
predestinazione che avrebbe potuto far paventare
Scipione Maffei (su questo punto rimando al mio «L’“irragionevolezza”
della
Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
prattutto dalla ἀτύχημα, colpa predestinata dal fato: «L’eliminazione
della
colpa destinata dal fato dall’interpretazione del
: «L’eliminazione della colpa destinata dal fato dall’interpretazione
della
tragedia greca, e la sua sostituzione con l’error
del genere tragico nel mondo cristiano, o almeno in quello cattolico
della
controriforma» (Enrico Mattioda, «La discussione
o Mattioda, «La discussione sulla colpa tragica nelle interpretazioni
della
Poetica di Aristotele tra XVI e XVIII secolo», Ho
e nella teoria tragica settecentesca si veda in generale: Id., Teorie
della
tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, pp
deva l’Edipo Re dagli attacchi di Voltaire, non accennava al problema
della
colpevolezza di Edipo né alla mediocrità del suo
lla mediocrità del suo carattere, soffermandosi piuttosto sui difetti
della
traduzione francese del testo sofocleo e sull’imp
eo e sull’improprietà delle critiche voltairiane alla verosimiglianza
della
tragedia. Ciò peraltro dimostra che l’attenzione
a modello dal filosofo greco per esemplificare il personaggio ideale
della
tragedia sarebbero, secondo Calepio, coerenti con
o Settecento da Dacier e dal Maffei (Paragone I, 1, [5]). Il problema
della
colpevolezza di Edipo costituisce d’altra parte u
tinato ad essere messo alacremente in discussione nel clima culturale
della
Controriforma: se già il Tasso, nel passaggio dai
a dunque, che la rappresentazione delle Tragedie cagioni abborrimento
della
vita tirannica, se i soggetti da lei prodotti non
mani, 1738, p. 312). L’autore del Pastor Fido, rigettando l’archetipo
della
“mezza colpevolezza” di Edipo apre di fatto la st
l’innocente sciagurato, il martire figura Christi, che sarà alla base
della
tragedia gesuitica seicentesca e del dramma corne
’innocenza di Edipo, scorgendo nella tragedia di Sofocle «il ritratto
della
necessità fatale» che portava ad incorrere nel da
e Gorini Corio si dice a sua volta convinto dell’innocenza di Edipo e
della
sua incapacità di suggestionare il pubblico moder
tta Selmi, Palermo, Aesthetica, 1998, pp. 117-118. Anche sul versante
della
drammaturgia francese prevale la concezione di un
ll’errore, Calepio prende in esame la giustificazione che dava Dacier
della
colpevolezza di Edipo. Il grecista francese nel s
es, Paris, Fournier-Coustelier, 1715, t. I, p. 175). La contestazione
della
validità delle letture di coloro che vedevano in
te punito, e il tentativo di bilanciare virtù e vizi del protagonista
della
tragedia sofoclea sono funzionali, per Calepio, a
la presenza nelle tragedie greche di protagonisti conformi ai dettami
della
Poetica. Fra le tragedie di Eschilo, ritenute gen
Poetica. Fra le tragedie di Eschilo, ritenute generalmente rispettose
della
norma aristotelica, il Prometeo incatenato, i Per
rto viene aspramente punito, provocando nel pubblico anche il terrore
della
crudele punizione. L’appunto che Calepio muove al
e fin dalla prima scena — per quanto il racconto iniziale dell’incubo
della
regina carichi già dall’esordio l’atmosfera di pr
nidi; questi, tormentato dalle Erinni dopo aver compiuto l’assassinio
della
madre commissionatogli da Apollo, risulta agli oc
do piuttosto agire nelle trame di Eschilo il concetto di ereditarietà
della
colpa che di fatto è alla base del ciclo tebano.
temente da Francesco Saverio Quadrio, il quale nel suo Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, a partire dal principio ch
Eumenidi, nella quale è rappresentato Oreste punito, perché uccisore
della
madre Clitemnestra, e di Egisto; ma nondimeno di
morte del padre, e per l’altre miserie, a cui soggiaceva, per cagion
della
madre stessa. Tale è quella de’ Persiani, in cui
ifettuosa per altri capi» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia, e
della
ragione di ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli
Creusa potrebbe essere considerata un personaggio mediocre all’inizio
della
vicenda, quando, ingravidata suo malgrado da Apol
terrore, in quanto egli si mostra troppo vanagloriosamente orgoglioso
della
propria virginità, tanto da suscitare le ire di V
accetta la proposta di matrimonio che le rivolge Pirro verso la fine
della
vicenda, macchiandosi della colpa che Calepio att
imonio che le rivolge Pirro verso la fine della vicenda, macchiandosi
della
colpa che Calepio attribuisce al personaggio euri
a Rinovazione dell’antica Tragedia da Tarquinio Galluzzi, sostenitore
della
tragedia del martire cristiano e difensore di Ber
onanza con i dettami aristotelici, o per lo meno al rispetto del fine
della
tragedia statuito nella Poetica: secondo Michelan
i altri a generare compassione e timore e dovevano quindi, sulla base
della
stessa opera di Aristotele, essere considerati i
l protagonista richiesta» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia, e
della
ragione di ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli
li, II, 2, 2004, pp. 184-259. [1.2.11] A partire dalla pubblicazione
della
Phèdre di Racine si profilano immediatamente dei
ento di questo scritto non era certo quello di «accrescere la gloria»
della
Fedra moderna — di aver contaminato l’innocenza d
tteraria. Il bergamasco sottolinea in questo caso la causa originaria
della
punizione attribuita da Venere a Ippolito, scosta
ollin fils, 1730, pp. 383-390), propenso a riconoscere la superiorità
della
Phèdre di Racine, ottenuta grazie alle due innova
[1.2.12] In apertura di capo Calepio specificava che il protagonista
della
tragedia doveva generalmente essere una «persona
sur l’Iliade d’Homere, cit. t. II, p. 196). Calepio è invece convinto
della
mediocrità del personaggio di Antigone, troppo ri
raduzione di entrambe le pièces, i prototipi perfetti rispettivamente
della
tragedia semplice e di quella doppia. Nella Préfa
agi, questi ultimi erano comunque destinati ad incontrare la vendetta
della
giustizia divina ([André Dacier], L’Œdipe et l’El
d et Rollin fils, 1730, pp. 195-196). Nel dibattito sulla concessione
della
preferenza all’Edipo oppure all’Elettra si intrav
que d’Aristote…, Paris, Barbin, 1692, p. 190). Sulla fortuna italiana
della
tragedia sofoclea in epoca moderna si rimanda al
ofonisba di Trissino, definita da Voltaire la prima tragedia regolare
della
modernità. Il soggetto, tratto da Livio, è impern
a modernità. Il soggetto, tratto da Livio, è imperniato sulla vicenda
della
principessa cartaginese figlia di Asdrubale, conc
gnarla nelle mani degli acerrimi rivali, per non subire l’umiliazione
della
schiavitù. Massinissa, segretamente innamorato de
re l’umiliazione della schiavitù. Massinissa, segretamente innamorato
della
donna, acconsente alla richiesta e decide di spos
si darà la morte. Calepio in poche righe riassume il nucleo centrale
della
vicenda, individuando in Sofonisba il prototipo d
Lo stesso Trissino, d’altra parte, ne La quinta e la sesta divisione
della
Poetica, proponeva una lettura molto ortodossa de
ne della Poetica, proponeva una lettura molto ortodossa del passaggio
della
Poetica di Aristotele riguardante il fine catarti
l passaggio della Poetica di Aristotele riguardante il fine catartico
della
tragedia: «Essa Tragedia non per enuntiatione, ma
perturbationi» (Gian Giorgio Trissino, La quinta e la sesta divisione
della
Poetica del Trissino, Venezia, Arrivabene, 1563,
liane, benché venga spesso meno la riflessione in merito alla qualità
della
protagonista. Ci si limita generalmente a citare
redi di Filippo Asinari, Conte di Camerano, tra le prove più riuscite
della
drammaturgia patria (Battista Guarini, Il Verrato
Nella storiografia settecentesca non si manca di riconoscere la bontà
della
tragedia del Trissino, anche se talora se ne pale
rte e al Corradino del Caracci (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 124). Gr
, nell’Histoire du théâtre italien, loda l’espressione e la peripezia
della
Sofonisba, considerandola addirittura perfetta, b
e, secondo una riproposizione moderna — e dal finale più truculento —
della
storia di Antigone. La sua avventatezza è sicuram
trorum temporum, notava una manifesta ripresa, da parte del Rucellai,
della
favola dell’Ecuba di Euripide («Fuit et praeclari
he invece per Rosmonda è cagionata proprio dall’eccessiva temerarietà
della
ragazza. Pur considerandola probabilmente meno pe
ta si vede ancora una volta giustamente punito a causa dell’uccisione
della
madre adultera e del di lei amante, secondo uno s
stito ricorso al protagonista mezzano, imprescindibile elemento tanto
della
teoria che della pratica scenica del letterato fe
protagonista mezzano, imprescindibile elemento tanto della teoria che
della
pratica scenica del letterato ferrarese. Nel suo
Altile, dove la protagonista si macchia, come nel caso dell’Orbecche,
della
colpa di aver sposato segretamente il proprio ama
rrino, e gli Antivalomeni, in cui i figli di Nicio scontano il prezzo
della
malvagità del padre, il quale aveva tradito la fi
eva determinato la salvezza di Roma, si scontra con l’ostinato dolore
della
sorella Celia, segretamente innamorata di uno deg
etamente innamorata di uno degli avversari. Frustrato dall’afflizione
della
sorella, egli decide di ucciderla, causando le ir
Gismonda di Girolamo Razzi, rivisitazione drammaturgica molto fedele
della
novella boccaciana di Tancredi e Ghismunda (IV, 1
fuori del matrimonio. Per l’Elisa del messinese Fabio Closio la colpa
della
protagonista è invece ancora una volta l’aver con
. Calepio si mostra disposto a riconoscere la maggiore spettacolarità
della
Merope, adatta ad essere rappresentata con grande
insiste sul soggetto prescelto da Razzi. La panoramica sui personaggi
della
tragedia cinque-seicentesca prosegue con il Nino
i della tragedia cinque-seicentesca prosegue con il Nino protagonista
della
Semiramide di Muzio Manfredi e colpevole di un in
ario, e con le ingenue Trasilla e Pirindra, ossia Le gemelle capovane
della
tragedia di soggetto punico di Ansaldo Cebà, entr
sto che all’Oreste, così come ritiene il Tancredi di Torelli migliore
della
Merope. I due concordano invece, oltre che sulla
occombere per mano achea, soggetto dunque poco compatibile con l’idea
della
mediocrità del protagonista — e alla Cleopatra di
eva, come dimostrano successivi passaggi del Paragone, anche in virtù
della
notevole fortuna della tradizione manoscritta di
ccessivi passaggi del Paragone, anche in virtù della notevole fortuna
della
tradizione manoscritta di questi testi. Sarà inte
onosciuto già dal Maffei prima che da Calepio, ossia il sesto dialogo
della
Bellezza della volgar poesia di Crescimbeni, che
al Maffei prima che da Calepio, ossia il sesto dialogo della Bellezza
della
volgar poesia di Crescimbeni, che affastella ques
Decio e Corradino di Caraccio (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 124). Co
a di Venier e l’Elisa del Closio (Giovan Mario Crescimbeni, L’istoria
della
volgar poesia, in Id., Dell’istoria della volgar
ario Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, in Id., Dell’istoria
della
volgar poesia, vol. I, Venezia, Basegio, 1731, pp
-185. Sulla Cleopatra del Delfino si veda Laura Drogheo, «Le varianti
della
Cleopatra di Giovanni Delfino», in La letteratura
taurare i fasti dell’antica Grecia, recuperando alcuni stilemi tipici
della
drammaturgia classica, a partire dall’introduzion
colare un contrasto insanabile fra la riproduzione di elementi logori
della
tragedia greca, che sfiguravano sulla scena moder
osservanza di poco perspicue norme aristoteliche (di qui la condanna
della
Tragedia, prosopopea parlante nel prologo, contro
re di Roma viene ucciso dal perfido e tirannico Tarquinio con l’aiuto
della
crudele Tullia, figlia degenere di Servio e Tarqu
di destare pietà e terrore (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
stato a sua volta traduttore di tragedie francesi e membro rilevante
della
cerchia felsinea-modenese che si era adoperata al
o di un doppio movimento: da una parte il Martello sentiva il fascino
della
figura del martire, mostrandosi propenso a raccon
il quale pecca per uno scusabile eccesso di foga e di coraggio tipico
della
gioventù. Sul Procolo si veda il contributo di Il
accio, tragedia considerata a più riprese da Crescimbeni il prototipo
della
rinnovata e purgata drammaturgia moderna (Giovan
e purgata drammaturgia moderna (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 2; Id.,
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria
della
volgar poesia, vol. I, Roma, De’ Rossi, 1702, p.
lla natura del personaggio, cfr. Enrico Zucchi, «L’“irragionevolezza”
della
Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
tenario (1713-2013), Milano, Mimesis, 2015, pp. 215-234). L’intreccio
della
tragedia del Lazzarini consta di una fedele ripro
de il proprio figlio e giace con la figlia senza riconoscerli — prima
della
cupa agnizione finale — per scontare una colpa de
qui la sua risoluzione, nettamente in contrasto con quella del Maffei
della
Confutazione della critica ultimamente stampata c
one, nettamente in contrasto con quella del Maffei della Confutazione
della
critica ultimamente stampata con il titolo di Oss
ese del Sig. Freret, e la Inglese del Sig. Ayre, con una Confutazione
della
Critica ultimamente stampata, Verona, Ramanzini,
bolognese GiamPietro Zanotti ripropone fedelmente i tormenti amorosi
della
regina virgiliana, come già avveniva per la trage
ammiratore del Maffei, incentrata sulla storia di Achille, innamorato
della
troiana Polissena — e quindi per metà colpevole,
quindi per metà colpevole, in quanto amante di una nemica —, a causa
della
quale cade ingenuamente in una trappola che lo po
nche su pièces recentissime, in quanto il suo interesse nei confronti
della
drammaturgia non è tanto di natura archeologica,
lepio nella lettera inviata al veronese in seguito alla pubblicazione
della
recensione del Paragone sulle Osservazioni letter
wé, «La risposta del Calepio alle riflessioni del Maffei sul Paragone
della
tragica poesia», La Rassegna della letteratura it
iflessioni del Maffei sul Paragone della tragica poesia», La Rassegna
della
letteratura italiana, LXXVI, 1, 1972, pp. 53-70)
enza di Calepio, Sebastiano Paoli, promotore dell’edizione napoletana
della
Merope del 1719, sottolineava proprio l’ortodossi
, e piacere», Sebastiano Paoli, «Ragionamento del P. Sebastiano Pauli
della
Congregazione della Madre di Dio sopra la Merope,
iano Paoli, «Ragionamento del P. Sebastiano Pauli della Congregazione
della
Madre di Dio sopra la Merope, altre volte stampat
ri, e ’l Caracci; così resto io solo da lui riprovato, come scrittore
della
più debile e imperfetta tragedia, non facendo egl
scrittori di cose poetiche, e in particolare dell’Autore del Paragone
della
Poesia Tragica d’Italia con quella di Francia, Pa
useppe Salìo nel libro intitolato “Esame Critico…”», in Id., Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
essenziale dall’autore per conseguire pietà e terrore, vero obiettivo
della
composizione tragica. Riprendendo i ragionamenti
te rifiutato, ma questa è ben poca cosa, se confrontata all’obiettivo
della
tragedia basata sulla catarsi che propone Calepio
iungimento finale degli amanti compromette definitivamente la portata
della
purgazione, come già il bergamasco aveva sostenut
alepio sono in gioco prospettive differenti, dovute ad una concezione
della
tragedia affatto diversa: entrambi individuano ne
d unico destinatario dell’opera teatrale, ma se il bergamasco si cura
della
sua maturazione etica, al Francese interessa prin
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche
della
tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
ssia Placide, figlio del governatore d’Antiochia Valens, e innamorato
della
vergine cristiana Théodore, la quale gli preferis
ene eseguito senza alcuna pietà da Marcelle, moglie di Valens e madre
della
tradita Flavie. Placide riveste ancora una volta
éodore, V, 9, vv. 1867-1874). Peraltro Calepio non è neppure convinto
della
bontà della scena finale, in cui la morte di Plac
, vv. 1867-1874). Peraltro Calepio non è neppure convinto della bontà
della
scena finale, in cui la morte di Placide intervie
davvero patetica. Una certa improprietà nello sviluppo dei caratteri
della
tragedia corneilliana era stata notata anche da P
ne I, 3, [3]). Tuttavia la versione di Corneille trascura lo sviluppo
della
vicenda interiore di Orazio, insistendo invece su
e amante di Curiazio. Proprio in virtù di questo diverso trattamento
della
fabula i primi atti, nei quali si rappresentano i
spazio drammaturgico che appariva troppo capace per potersi appagare
della
sola esigua favola greca (cfr. Georges Forestier,
avola diversa da quella di Edipo, utile a dilatare l’effetto patetico
della
storia (Marc Escola et Bénédicte Louvat, «Le stat
e politica: Hélène Bilis ha affermato infatti, a partire dall’analisi
della
retorica di Dircé e di Œdipe, che Dircé rappresen
iècle, Paris, H. Champion, 2009. Rispettivamente al sostrato politico
della
vicenda di Edipo è d’obbligo il rimando a Christi
iano, dove Sofonisba, pur rimanendo desiderosa di salvare l’autonomia
della
propria patria, appariva turbata dai sensi di col
orneille sono ritenute da Calepio ancor più difettose sotto l’aspetto
della
qualità del protagonista e della capacità di dest
ancor più difettose sotto l’aspetto della qualità del protagonista e
della
capacità di destare pietà e terrore. Corneille av
io chiama in causa in questo frangente, indicandola come il manifesto
della
tragedia politica corneilliana, il drammaturgo av
nte venga apprezzato più del predecessore in quanto, anziché dubitare
della
portata reale della catarsi, si sforza a riflette
più del predecessore in quanto, anziché dubitare della portata reale
della
catarsi, si sforza a riflettere sul meccanismo de
la portata reale della catarsi, si sforza a riflettere sul meccanismo
della
purgazione per quanto in maniera del tutto tradiz
erendosi alla Phèdre e al Britannicus. La Phèdre, incentrata sul tema
della
sconvolgente passione di Fedra per il figlioccio
all’Horace e alla Sophonisbe di Corneille. La straordinaria bellezza
della
tragedia raciniana in questione era stata già avv
primo fra tutti quel Nicolas Boileau che aveva lodato la costruzione
della
sventurata protagonista, «malgré soy perfide, inc
ele — come un cattivo in potenza, nel quale già si mostravano i segni
della
futura pazzia, piuttosto che come un tiranno malv
criticato la costruzione del Britannicus, considerato non all’altezza
della
Phèdre, dal momento che in essa Britannico non si
hinazioni di Agrippina gli avevano sottratto; inoltre il protagonista
della
tragedia raciniana potrebbe essere catalogato com
gedie di Racine risultano, secondo Calepio, molto difettose sul piano
della
qualità dei protagonisti. L’Iphigénie, giudicata
Artemide, Racine arriva allo stesso fine facendo sacrificare al posto
della
figlia di Agamennone proprio Ériphile, la quale,
Teseo ed Elena originariamente chiamata Ifigenia. Oltre alla mancanza
della
catastrofe finale, viene rimproverata alla traged
così spinoso soltanto in virtù dell’introduzione di questa Ériphile,
della
quale Pausania dava notizia, grazie alla quale av
truzione dei personaggi di Racine in rapporto alla norma aristotelica
della
virtù mezzana si veda Olivier Pot, «Racine: théât
del protagonista, come invece accade in altre Préfaces (sui paratesti
della
tragedia si rimanda a Jean Racine, Préface de 167
aque che veniva reputata da Racine una tragedia fedelmente rispettosa
della
qualità mediocre del protagonista, come egli most
re decidesse di non innamorarsi per paura di incorrere nella sventura
della
protagonista. Al fondo di questa osservazione si
e Mithridate, benché sia innamorata di suo figlio Xiphares. Nel corso
della
tragedia Mithridate non appare all’autore abbasta
e non appare all’autore abbastanza pietoso nei confronti del figlio e
della
donna — di cui conosce il recondito innamoramento
masco acconsente con la difesa svolta da Racine nella seconda Préface
della
tragedia, ritenendo l’amore del protagonista plau
e Eliacin, figlio del re Joad, contro cui si scaglia la terribile ira
della
malvagia Athalie. Per quanto la tragedia sia appr
r quanto la tragedia sia apprezzabile in quanto è incentrata sul tema
della
fede in Dio, essa non è atta a generare pietà e t
tro Calepio, «Giunte postume attinenti al Paragone», in Id., Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
rsi convertita al cristianesimo, ma visto l’avvicinamento progressivo
della
protagonista alla religione del vero padre, il cr
sta alla religione del vero padre, il cristiano Lusignan, l’uccisione
della
ragazza da parte del geloso sultano Orosmane appa
ano Orosmane appare a Calepio una punizione eccessiva che fa dubitare
della
provvidenza: «La morte, che poi succede senza che
re per gastigo dovuto alla sua reità» (ibid.). «Alieno dal vero scopo
della
tragedia» sarebbe anche il Caton d’Utique di Desc
do, che rappresentando Cesare come un tiranno appaga, con la riuscita
della
congiura finale, il gusto del pubblico di vedere
ndamentale per produrre pietà e terrore nello spettatore, fine ultimo
della
tragedia, la tragedia italiana risulta meglio str
uella francese in rapporto al raggiungimento dell’«utile» più proprio
della
composizione tragica. Il bergamasco, tuttavia, si
rare parziale, che i Francesi, benché meno regolari nella costruzione
della
favola, riescono a creare personaggi più abili a
ione nel pubblico contemporaneo, sebbene spesso pecchino nel rispetto
della
storia proprio per produrre più efficacemente la
uratori e di altri sodali come l’Orsi, i quali rivendicano la libertà
della
poesia rispetto alla storia («Secondo il sistema
ano la libertà della poesia rispetto alla storia («Secondo il sistema
della
Natura umana, non può dilettarsi l’Intelletto nos
ci di Corneille, una comune concezione di storia e poesia all’insegna
della
rappresentazione delle passioni, come si vede neg
raltro, sia in Francia che in Italia, lettori che misuravano la bontà
della
tragedia sulla base del rispetto della storia: co
ettori che misuravano la bontà della tragedia sulla base del rispetto
della
storia: contro questi Racine interviene spesso ne
icento e Settecento si veda: Beatrice Alfonzetti, Congiure: dal poeta
della
botte all’eloquente giacobino (1701-1801), Roma,
n poema epico, in quanto desterebbe di certo l’ammirazione, vero fine
della
composizione eroica, ma nella tragedia non riesce
poggiarsi su solide basi storiche che garantiscano la verosimiglianza
della
favola e facciano sì che lo spettatore creda plau
gico, che aveva rivissuto nel Settecento, risolvendosi a tutto favore
della
storia, quanto piuttosto, se non si fraintende, a
ne, nonché per la qualità dei protagonisti —, reclamasse pari dignità
della
tragedia, alla quale era ritenuta superiore dal p
i un rilancio ideologico oltre che poetico, corona questa aspirazione
della
pastorale, ritenuta proprio dal Custode una trage
proprio dal Custode una tragedia a tutti gli effetti. Nella Bellezza
della
volgar poesia egli canonizza il suo Elvio (1694),
gar poesia egli canonizza il suo Elvio (1694), facendone il prototipo
della
tragedia moderna in virtù dello stile alto, capac
ace di trattare in modo “eroico” il sentimento amoroso, e soprattutto
della
struttura classicheggiante (prologo, cinque atti,
atti, cori in fine di ogni atto) che legittimava il salto di qualità
della
pastorale anche da un punto di vista esteriore (G
da un punto di vista esteriore (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 78-103)
oltre al Crescimbeni, andrà ricordato almeno una figura fondamentale
della
Roma tardo-seicentesca come il Cardinal Pietro Ot
tonio Conti in margine al suo Cesare, quando ammetteva che il diletto
della
poesia derivava esclusivamente dall’imitazione de
pria bellezza, e ne gode. Ora, se comparando, non altro in un termine
della
comparazione ritrova, che il capriccio e l’immagi
p. 8). Simili ragioni, contornate da un’accesa polemica nei confronti
della
pastorale, e segnatamente del Pastor Fido, si pot
Bari, Laterza, 1973, pp. 510-514). Sull’aspirazione tragica ed eroica
della
pastorale arcadica cfr. Enrico Zucchi, «Eroi past
pastorale arcadica cfr. Enrico Zucchi, «Eroi pastori: forme e storia
della
pastorale eroica da Crescimbeni a Metastasio», in
tà cfr. Giuseppe Coluccia, L’Elvio di G. M. Crescimbeni: alle origini
della
poetica arcadica, Roma, IBN, 1994; nonché il cont
i (Annalisa Nacinovich, «L’Elvio di Crescimbeni: le origini pastorali
della
prima polemica arcadica», in La tradizione della
le origini pastorali della prima polemica arcadica», in La tradizione
della
favola pastorale in Italia: modelli e percorsi, a
o, Bologna, Clueb, 2013, pp. 477-492). [1.4.19] Agatone era l’autore
della
perduta tragedia Il fiore, lodata da Aristotele (
rspicua dei soggetti, nonché il mancato perseguimento del fine ultimo
della
tragedia, ossia destare timore e compassione, in
o di Corneille. Si passerà dunque a questo punto all’esame del valore
della
peripezia, ossia il rivolgimento dei fatti verso
Bulzoni, 2007, pp. 305-318) e di Torelli (Pomponio Torelli, Trattato
della
poesia lirica, in Trattati e Poetiche del Cinquec
. L’autore del Paragone si tiene qui lontano dalla concezione barocca
della
«meraviglia», risolta tutta a livello di elocutio
erizzazione del meraviglioso che si esplica sul piano dell’inventio e
della
dispositio: la meraviglia consiste nella buona es
tio e della dispositio: la meraviglia consiste nella buona esecuzione
della
peripezia, secondo una prospettiva che identifica
ella peripezia, secondo una prospettiva che identifica il dilettevole
della
letteratura nell’intreccio piuttosto che nell’orp
lie», Manziana, Vecchiarelli, 2007. Per quanto riguarda la situazione
della
tragedia e della tragicommedia tra diciassettesim
ecchiarelli, 2007. Per quanto riguarda la situazione della tragedia e
della
tragicommedia tra diciassettesimo e diciottesimo
eicento, Roma, Aracne, 1999. Sul concetto di «meraviglia» come motore
della
filosofia aristotelica e più generalmente della G
raviglia» come motore della filosofia aristotelica e più generalmente
della
Grecia antica si rimanda ad Enrico Berti, In prin
ad Enrico Berti, In principio era la meraviglia: le grandi questioni
della
filosofia antica, Bari, Laterza, 2007. [2.1.3] I
raviglioso si era appunto inserita all’interno del dibattito sul fine
della
letteratura, identificato talvolta nell’utile, ta
talaltra nel diletto. Il riferimento di Aristotele alla piacevolezza
della
«meraviglia» faceva propendere i letterati dell’e
gi Poma, Bari, Laterza, 1964, pp. 71-72). Crescimbeni, nella Bellezza
della
volgar poesia Crescimbeni, riprende il discorso t
corso tassiano, arrivando a sostenere che il poema eroico è, in virtù
della
meraviglia, il genere letterario maggiormente cap
nsieri generosi, e vestirgli l’animo di desideri nobili, e invaghirlo
della
perfezione; e questo è l’utile, che si ritrae dal
aggiore di ciascuna sua parte» (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 133-134
interpretazione diversa: a suo parere la ricerca dell’utile è propria
della
tragedia, mentre l’epica punta prevalentemente al
scrivevano Tasso e Crescimbeni quindi, per Calepio, il largo impiego
della
meraviglia è uno degli elementi che indirizza il
etico per il lettore. [2.1.4] Calepio rileva una meraviglia propria
della
tragedia, consistente appunto nella sorpresa piac
e appunto nella sorpresa piacevole offerta dallo sviluppo inaspettato
della
peripezia, e la distingue fermamente dal meravigl
rrazionale. I Francesi, anziché ricercare quella meraviglia esclusiva
della
tragedia, avrebbero a suo dire intrapreso una str
zione nel sistema delle passioni francese seicentesco e sulle ragioni
della
critica calepiana cfr. Enrico Zucchi, «Il “dilett
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche
della
tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
e compassione e terrore. Questa diversione rispetto al fine autentico
della
tragedia implicherebbe secondo Calepio una deresp
lla tragedia implicherebbe secondo Calepio una deresponsabilizzazione
della
letteratura tragica e un conseguente traviamento
roica dell’inflessibile Sophonisbe corneilliana penalizzi la riuscita
della
tragedia, che non è in grado di conseguire pietà
roico in cui tuttavia non mancavano riflessioni sullo statuto poetico
della
tragedia: la prospettiva adottata da Terrasson, a
a di Calepio, porta l’autore a privilegiare una concezione sincretica
della
letteratura che tende a rendere assai labili, qua
el quale si riconosceva la meraviglia come propria più dell’epica che
della
tragedia (Poetica, 1460a 12-14), aveva preso il C
e fra poema eroico — legittimato, in quanto rappresentazione generale
della
vita umana, a contenere l’imitazione di «ogni aff
Ulisse. Il filosofo greco non mancava di sottolineare come la fortuna
della
tragedia doppia si dovesse alla debolezza del pub
non è il piacere che deriva dalla tragedia, piuttosto quello proprio
della
commedia: perché in quest’ultima anche quelli che
oponendo i medesimi argomenti, Calepio rivendica la proprietà tragica
della
favola semplice a conclusione infausta, mostrando
a conclusione infausta, mostrandosi riluttante a riconoscere la bontà
della
tragedia doppia, che storicamente si era affermat
a affermata, da una parte — come egli scriverà subito dopo — in virtù
della
lettura di Castelvetro; dall’altra grazie allo sp
irtù della lettura di Castelvetro; dall’altra grazie allo spostamento
della
tragedia verso il modello tragicomico che, come i
oppia e sull’inserimento del lieto fine (cfr. in proposito gli strali
della
ben nota polemica con il Nores su questo punto: B
a del Nores, in Id., Opere, t. III, cit., pp. 219-222). Nel Compendio
della
poesia tragicomica viene inoltre rilevata l’ambig
tragicomica viene inoltre rilevata l’ambigua ma sostanziale vicinanza
della
tragicommedia alla tragedia doppia: «Quanto poi a
delle parti, confesso, che nella doppia di Aristotile, non è il riso
della
favola Tragicomica; non concedo però, che così l’
n sia fatta di parti Tragiche e comiche», Battista Guarini, Compendio
della
poesia tragicomica, in Id., Opere, t. III, Verona
e, t. III, Verona, Tumermani, 1737, pp. 436-437). Sulla forma poetica
della
tragicommedia e sulle sue contaminazioni con la t
ll’ampia discussione in merito alla conclusione luttuosa oppure lieta
della
tragedia si veda il volume I finali: letteratura
erano state praticate da numerosi tragici antichi: le contraddizioni
della
forma tragica dell’antichità erano dovute al fatt
to che ancora non si era stabilita una norma precisa e rigorosa prima
della
trattazione aristotelica. [2.1.8] L’autore preci
, fonte di riferimento primario per Corneille nella sua contestazione
della
validità della catarsi, ammetteva un altro tipo d
rimento primario per Corneille nella sua contestazione della validità
della
catarsi, ammetteva un altro tipo di utilità pecul
validità della catarsi, ammetteva un altro tipo di utilità peculiare
della
tragedia, oltre a quella che consisteva nel desta
tre a quella che consisteva nel destare pietà e terrore; la tipologia
della
favola doppia si adatterebbe meglio alla cultura
lità, che è il procacciare solamente la purgatione dello spavento, et
della
compassione. Et non dimeno se la utilità si dee c
omani, Bari, Laterza, 1978, p. 361). [2.1.9] Calepio trova riscontri
della
sua interpretazione di un meraviglioso riferito a
interpretazione di un meraviglioso riferito alla risoluzione inattesa
della
peripezia nella tragedia italiana, ritenuta sotto
in una scena (IV, 6) assai celebrata dai contemporanei (sulla fortuna
della
Merope cfr. «Mai non mi diero i Dei senza un egua
ano, Mimesis, 2015). Articolo II. [2.2.1] Il secondo caposaldo
della
composizione tragica citato da Calepio è la ricon
annotés par Georges Couton, Paris, Gallimard, 1987, p. 154). Il nodo
della
disputa ruota attorno al Costantino (1653) di Gio
cò diversi punti dell’opera di Ghirardelli e in particolare la scelta
della
prosa. Ghirardelli si difese nell’edizione del ’5
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria
della
volgar poesia, vol. III, in Id., Dell’istoria del
alla sua Istoria della volgar poesia, vol. III, in Id., Dell’istoria
della
volgar poesia, vol. IV, Venezia, Basegio, 1730, p
lvator Rosa e una polemica letteraria del Seicento», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIV, 1957, pp. 570-585).
di una equivalente finzione: «Monsignor Pietro Cornelio (vero Alcide
della
Francia per l’eloquenza) che nell’anno presente c
Giovanni Filippo Ghirardelli, Il Costantino. Tragedia, con la difesa
della
medesima, Roma, Andreoli, 16602, p. 108. Corneill
rrerebbe tuttavia, secondo il francese, in uno dei più tipici difetti
della
tragedia italiana, preferendo la riconoscenza fin
i Corneille, a sostenere una poetica tragica che deroghi dal rispetto
della
verosimiglianza storica in favore di una maggiore
te alle censure dell’avversario, difendendo le potenzialità patetiche
della
riconoscenza: «Pietro Cornelio […] ne taccia, per
la perfetta Tragedia. Diciamo la ragione; perché consistendo la forza
della
Tragedia nel commuover gli affetti, qual più poss
tata compassionevole agnizione?», Giovan Mario Crescimbeni, L’istoria
della
volgar poesia, in Id., Dell’istoria della volgar
ario Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, in Id., Dell’istoria
della
volgar poesia, vol. I, cit., pp. 307-308 (cfr. su
are l’utilità dell’agnizione. Tanto Pier Jacopo Martello, sostenitore
della
necessità di introdurre nella tragedia un’agnizio
ura Sannia Nowé, Modena, Mucchi, 1988, p. 82), ribadivano la validità
della
riconoscenza per destare pietà e terrore. Proprio
i ucciderlo — così sostengono nei paratesti delle molteplici edizioni
della
tragedia letterati noti quali Giovan Gioseffo Ors
rsi e Sebastiano Paoli (cfr. a proposito il mio «L’“irragionevolezza”
della
Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
onalità del riconoscimento, un segnale che tradiva la natura fittizia
della
rappresentazione e distoglieva lo spettatore dall
Maffei, pur imperfetta stilisticamente, a quella di Alfieri, in virtù
della
bellezza dell’agnizione contenuta nella tragedia
a: problemi di costruzione del racconto nei testi di teoria e critica
della
letteratura e di altre arti del primo Settecento,
aver luogo efficacemente anche qualora scaturisca nel momento stesso
della
catastrofe. Il drammaturgo francese considerava a
figliastro. Sulla natura “trasgressiva” rispetto ai canoni accademici
della
tragedia del Bonarelli, che tuttavia riuscì in br
ettesimo secolo, Roma, Bulzoni, 2008, pp. 103-106. Sul coinvolgimento
della
corte fiorentina nella vicenda editoriale del Sol
aniera si perda l’effetto catartico e stupefacente che la conclusione
della
tragedia dovrebbe contenere per riuscire a destar
o dire, di perdere progressivamente, nel corso del dramma, gran parte
della
loro efficacia, svuotando il quinto atto della su
del dramma, gran parte della loro efficacia, svuotando il quinto atto
della
sua peculiare importanza. [2.2.4] L’autore torna
mportanza. [2.2.4] L’autore torna ancora una volta sul nodo centrale
della
sua critica al teatro di Corneille, ossia che ess
teatro di Corneille, ossia che esso trascuri di produrre le passioni
della
tragedia, pietà e terrore, mettendo sulla scena d
incapace di tradire Augusto ma anche desideroso di conservare l’amore
della
fanciulla, alimenta nel pubblico non tanto un sen
la Poetica, opera non compita, di Aristotele, che per dare un esempio
della
Tragedia ravviluppata, e di evento più curioso, r
orneille viene reputata ammissibile, in quanto non guasta l’efficacia
della
catastrofe. Nella sua Merope, andrà ricordato, il
iera spettacolare una doppia agnizione che si saldava al rivolgimento
della
peripezia proprio all’interno di una favola doppi
ritenuta uno strumento indispensabile per raggiungere l’utile proprio
della
poesia tragica, e il fatto che venga trascurata e
o, si guarda al complesso delle passioni umane è connessa al recupero
della
forma-tragedia e alla riflessione sulla rappresen
non tanto generalmente l’emozione rappresentata — sarà Du Bos, erede
della
ricca tradizione speculativa francese, a legittim
be le accezioni del termine, come si è visto in precedenza, nel corso
della
requisitoria circa il sistema delle passioni che
li, Liguori, 1987; Enrico Mattioda, «Le passioni tragiche», in Teorie
della
tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, pp
cento, Modena, Mucchi, 1994, pp. 17-74; Silvia Contarini, “Il mistero
della
macchina sensibile”: teoria delle passioni da Des
osse capace di attirare la compassione nei confronti del protagonista
della
vicenda, Calepio ritiene che proprio su questo pu
le è un personaggio torvo; egli è risoluto a frustrare le aspettative
della
devota concubina Briseis, con cui pure ha lietame
cipi affatto diversi rispetto a quella di Corneille. Tra i personaggi
della
pièce italiana manca innanzitutto Briseide, mentr
ruolo decisamente importante, dal momento che influenza le decisioni
della
figlia. Polissena, infatti, in questa riscrittura
o la principessa troiana, novella Chimene, combattuta fra il rispetto
della
memoria del fratello, ucciso da Achille, e l’amor
in, Paris, PUPS, 2006, pp. 45-62: 48-49). [2.3.3] Un altro bersaglio
della
polemica di Calepio in merito all’incapacità dei
rima tragedia, Polixène (1686), insiste sempre sul medesimo argomento
della
tragedia di Thomas Corneille, ma con una variazio
i Thomas Corneille, ma con una variazione importante legata al finale
della
vicenda. Il de La Fosse, nel tentativo di addolci
le (1451a 36), in parte a Pierre Corneille, l’autore celebra la bontà
della
propria soluzione, capace di rendere più piacevol
to storico, quanto piuttosto la scarsa efficacia, sul piano patetico,
della
soluzione adottata: secondo il Bergamasco l’autor
no patetico, della soluzione adottata: secondo il Bergamasco l’autore
della
tragedia, rappresentando come involontario l’omic
spettare la legge. Sulla rappresentazione di Polissena come archetipo
della
magnanimità eroica, usuale nel teatro francese de
tion humaniste à la tragédie, Paris, L’Harmattan, 1999. Sulla Préface
della
Polyxène e sul contesto delle Polissene francesi
uinto atto, la nutrice di Polissena palesa a tutti che Pirro è amante
della
principessa, i piani di fuga falliscono definitiv
). Questa gestione degli affetti è secondo Calepio assai più patetica
della
condotta tragica adottata dal de La Fosse, dal mo
tore per Polissena, la compassione per Pirro. Ritornando alla Préface
della
Polyxène, Calepio considera inconsistente l’appel
ncuore. Articolo IV. [2.4.1] Ciò che deve risaltare nel finale
della
tragedia, secondo Calepio, è il nucleo delle due
to slancio di indignazione ridurrebbe tuttavia notevolmente l’effetto
della
«purgazione». Calepio addita a modello, fra le tr
alepio contestava, in accordo col filosofo greco, il mancato rispetto
della
«mediocrità» del protagonista, in questo frangent
izio e alla scelleratezza. Questo espediente era tuttavia costitutivo
della
favola doppia, in cui si prevedeva un diverso esi
io il cattivo è rappresentato da Sulmone, padre di Orbecche, ai danni
della
quale mette in atto un terribile piano di vendett
amente al fine di nuocere. Il caso preso in esame da Calepio è quello
della
Rodogune, già censurata in questo senso dal Maffe
erché in questa tragedia campeggiava il carattere fieramente disumano
della
regina Cléopâtre, la quale, gelosa della principe
arattere fieramente disumano della regina Cléopâtre, la quale, gelosa
della
principessa Rodogune, aveva costretto i due figli
e, V, 1, vv. 1497-1502). Inoltre Calepio, richiamandosi all’esercizio
della
ragione che riteneva fin dal primo capo un caratt
iù vivi di pietà e terrore. Se quindi, da una parte, la favola doppia
della
Rodogune, con il finale lieto riservato ad Antioc
della Rodogune, con il finale lieto riservato ad Antiochus e la morte
della
spietata Cléopatra, è intrinsecamente destinata a
di Paolo Chiarini, Roma, Bulzoni, 1975, pp. 152-156). Sulla ricezione
della
Rodoguna nel Settecento si veda Domenico Mugnolo,
e, schiava di Achille, la quale, poco prima che avvenga il sacrificio
della
figlia di Agamennone, denuncia a Calchas i piani
lvagio agli occhi di Calepio, negando di fatto il perfetto compimento
della
purgazione finale. Su questo interessante finale
s, 1999, pp. 136-137); altri hanno attribuito all’eccesso di passioni
della
figlia di Elena la causa della calamità che la co
nno attribuito all’eccesso di passioni della figlia di Elena la causa
della
calamità che la colpisce (Eléonore M. Zimmermann,
esiti assai divergenti: Defaux, ad esempio, sosteneva che l’identità
della
vittima sacrificale, fosse essa Eriphile oppure I
riconosce ancora una volta in questa tragedia la riprovata struttura
della
favola doppia e ritiene la soluzione raciniana as
di distogliere la concentrazione dello spettatore dal nucleo emotivo
della
vicenda, Calepio ritiene assai più utile il ricor
tori alla misericordia. Il Bergamasco si fa così sostenitore del Coro
della
tragedia greca, atto a compatire gli eroi miseri,
erale, l’incarico di descrivere dettagliatamente i punti più delicati
della
vicenda, con dovizia di particolari lacrimevoli,
trascurata nel teatro francese del Seicento. [2.4.6] Lo scioglimento
della
tragedia dovrebbe essere, nell’ottica calepiana,
mplicemente notizia dell’accaduto. Egli censura quindi la conclusione
della
Théodore di Pierre Corneille, tragedia basata sul
ore del figliastro e mancato genero, e con lei Dydime. Il gesto folle
della
donna è narrato a Valens dalla confidente Stéphan
r André Bridoux, Paris, Gallimard, 1949, pp. 584-585). Nel suo Examen
della
tragedia, d’altra parte, il drammaturgo francese
se mostrava di essere ben conscio delle scarse potenzialità patetiche
della
Théodore, e criticava peraltro il personaggio del
zialità patetiche della Théodore, e criticava peraltro il personaggio
della
santa, troppo freddo ed incapace di muovere le pa
elle — ma d’altro canto egli amava particolarmente anche la Cléopâtre
della
Rodogune —, grande nella sua fierezza, al punto c
escritto in una scena apposita da un nunzio (III, 10), e il patetismo
della
risoluzione veniva accresciuto dalle lamentazioni
del dramma musicale de’ Santi Didimo e Teodora, Roma, Nella Stamperia
della
Rev. C. Apost., 1635). Sulla drammaturgia di Rosp
dimostra di conoscere —, asserendo che in quel contesto la narrazione
della
morte di Polyeucte non sarebbe risultata efficace
82). [2.4.8] In questo caso Calepio fa riferimento ad alcune battute
della
Lettre contenant la critique de l’Œdipe de Sophoc
dell’Edipo Re di Sofocle fosse inefficace a causa del lungo racconto
della
morte di Giocasta e della catastrofe di Edipo che
fosse inefficace a causa del lungo racconto della morte di Giocasta e
della
catastrofe di Edipo che occupavano la scena di un
ttavia quei lunghi discorsi non avevano retto in quel caso alla prova
della
scena, causando la noia degli spettatori («J’avai
co, denunciando il motivo personalistico e meschino che sta alla base
della
critica voltairiana: la sua tragedia era risultat
eduta. Una nondimeno io ne deduco dalla lettura delle cose precedenti
della
stessa sua tragedia; ed è che la peripezia del nu
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 418-
e nell’epopea, riaffermando ancora una volta uno dei principi chiave
della
sua opera, ossia la netta distinzione tra il fine
incipi chiave della sua opera, ossia la netta distinzione tra il fine
della
poesia epica, tesa a dilettare il lettore, e quel
tra il fine della poesia epica, tesa a dilettare il lettore, e quello
della
poesia drammatica, deputata a giovare al pubblico
ammatica, deputata a giovare al pubblico attraverso la sollecitazione
della
pietà. Calepio propone, non diversamente da Corne
roprio per questo adatti a far nascere nello spettatore il sentimento
della
misericordia, secondo una sensibilità che parrebb
ttiva che richiedeva necessariamente, per la salvazione, l’intervento
della
Grazia divina. Lo spettatore è portato a immedesi
è di tipo «obliquo», in quanto porterebbe lo spettatore a compiacersi
della
propria umanità, certificata dal fatto che prova
dobbiamo ricordare di quello, che è stato detto di sopra che il fine
della
poesia è il diletto e che il diletto si divide in
etto oblico, e l’altra è diletto diritto. Il diletto oblico è proprio
della
tragedia, il quale si sente quando in tragedia si
primo capo, recensendo svariate tragedie italiane dal punto di vista
della
qualità del personaggio principale — che l’uditor
o un meccanismo cristianamente catartico. Su questo nodo fondamentale
della
poetica tragica di Calepio cfr. Paragone I, 2, [2
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche
della
tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
ito ad opera di nunzi o messi. Il Bergamasco non si limita a trattare
della
tragedia, ma affronta anche il problema della com
on si limita a trattare della tragedia, ma affronta anche il problema
della
commedia, la cui bellezza, al contrario, risieder
e dal Dottori. Se nel primo caso è ovviamente rispettata la linearità
della
favola, nella quale non sono introdotti episodi s
i trepidazione presaga di sventure, persino nel momento dell’annuncio
della
fine del pericolo», Maria Panetta, «“La mal sicur
ette a venti — il protagonista eponimo, seguendo il perfido consiglio
della
moglie Regina, la quale mira a porre sul trono su
egina. In questo intreccio si incastonano elementi romanzeschi tipici
della
drammaturgia seicentesca, come la storia d’amore
procede dal riconoscimento di un primato italiano nella composizione
della
struttura tragica e di una supremazia francese ne
in dissertazioni sterili su oggetti che non sono utili allo sviluppo
della
favola, né cooperano ad aumentare la verosimiglia
isodica verbosità sono il racconto con cui Sofonisba narra ad Erminia
della
nascita di Cartagine (Gian Giorgio Trissino, Sofo
zione, fatta da Oreste, delle disavventure a lui occorse dopo la fine
della
guerra di Troia (Giovanni Rucellai, Oreste, in Sc
, t. I, Verona, Vallarsi, 1723, pp. 101-104) ed infine la descrizione
della
tempesta fatta da Torrismondo all’inizio del dram
dramma (Torquato Tasso, Re Torrismondo, I, 3, vv. 301-609). Nel caso
della
Sofonisba il brano in questione conteneva un espl
o la tragedia, non tocca questi versi, limando soltanto quattro versi
della
battuta iniziale di Oreste. Il passaggio incrimin
este. Il passaggio incriminato del Torrismondo (III, 1) consta invece
della
lunga scena in cui il re dei Goti racconta dettag
ata oggetto delle critiche di Pier Jacopo Martello, il quale, conscio
della
pesantezza dell’episodio — e intento a dimostrare
la struttura di questi (falsi) dialoghi. Sull’importanza del racconto
della
tempesta nel Torrismondo, anche in rapporto alla
a Stefano Verdino, «Funzione drammatica e testo profondo: il racconto
della
tempesta nel Torrismondo del Tasso», Rivista ital
formità del progetto teatrale di Pietro Calepio con quello del Maffei
della
Merope e del Teatro Italiano, nonché, ancor prima
tique du théâtre: la coerenza e, in qualche misura, anche la sobrietà
della
struttura drammatica che il bergamasco prescrive
il bergamasco prescrive sono elementi fondamentali di una concezione
della
scrittura scenica che sia funzionale alla sua tra
sità. Il ragionamento di Calepio viene esemplificato con la citazione
della
Progne (1561) di Lodovico Domenichi, tragedia di
e (1561) di Lodovico Domenichi, tragedia di soggetto ovidiano, frutto
della
traduzione dell’omonima composizione latina ad op
erà a più riprese nell’opera del Bergamasco, ad esempio nell’apertura
della
Confutazione dell’Esame del Salìo («Questa amarez
useppe Salìo nel libro intitolato “Esame Critico…”», in Id., Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
la Phèdre di Racine, migliore, come già aveva avuto modo di scrivere,
della
Fedra di Seneca e di quella del Bozza. Accanto a
vanti l’eccessiva galanteria di Ippolito, ingiustificabile sulla base
della
fama di cacciatore che al personaggio attribuiva
orna ad essere il bersaglio polemico privilegiato da Calepio, a causa
della
cattiva gestione degli episodi. Il Bergamasco ave
i episodi. Il Bergamasco aveva già illustrato come l’Horace, in virtù
della
grande attenzione riservata alle passioni di Cami
ssionatissima» nei primi due atti, nei quali le due donne si dolevano
della
crudele sorte a cui andavano incontro, mentre gli
da belva fu» (II, 3) e voterà Critolao e i suoi fratelli alla difesa
della
patria nel duello risolutore che contrapponeva tr
a affermazione di Calepio agisce da cassa di risonanza per la fortuna
della
Demodice, alimentandone la fama, anche in virtù d
ese, redatto da Gabriel Seigneux de Correvon, che accompagna l’uscita
della
Descrizione sui tomi della rivista ginevrina Bibl
gneux de Correvon, che accompagna l’uscita della Descrizione sui tomi
della
rivista ginevrina Bibliothèque Italique. Nelle su
o, Vita e Pensiero, 2007, pp. 59-78), il Francese celebra la bellezza
della
Demodice, ai suoi occhi preferibile all’Horace di
nità d’azione che era stata ritenuta il pregio del dramma. L’impianto
della
tragedia gli sembra ora macchinosa e i tanti epis
centeschi, come il Quadrio (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
ondere insieme modelli troppo eterogenei: alcuni elementi sono tipici
della
tragedia classicistica come l’oracolo che struttu
e di Maffei, alla quale è chiaramente ispirato il personaggio tragico
della
lacrimosa madre Aspasia, che come Merope è in pro
fermata dallo stesso Eurindo (V, 2); infine compare anche l’archetipo
della
tragicommedia arcadica — d’altra parte il nome ar
infine utile notare come anche in questo caso nel suo Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, il Quadrio riprenda palese
mostrate, quale stretto legame abbiano gli Episodi ad avere col fondo
della
principale Azione; e quanta debba essere la lor p
mondo esca Rosmonda a moralizzare tra sè. Potrebbesi dire il medesimo
della
venuta di Miseno nel Terzo Atto dell’Astianatte d
in questo fatto peccante» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, cit., pp. 292-29
tà rivolta al personaggio dell’Infanta nel Cid era un elemento topico
della
critica sei-settecentesca; lo stesso Corneille av
race, alla quale tuttavia riconosceva il merito di rinsaldare l’unità
della
pièce, permettendo un più efficace collegamento f
iteneva la tragedia francese lontana dalla perfezione proprio a causa
della
soverchia presenza di amori e della «moltiplicità
dalla perfezione proprio a causa della soverchia presenza di amori e
della
«moltiplicità de’ confidenti» (Antonio Conti, «Le
portunità di ricorrere ai confidenti — necessari alla verisimiglianza
della
favola —, dei quali nobilitava l’origine, sostene
. Né per oziosi intendo solamente quelli che sembrano anzi Spettatori
della
Favola, che attori, com’è l’Infanta nel Cid; ma q
numero d’esse introdotti», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, Milano, Agnelli, vol. III,
oposito Piero Weiss, «Teorie drammatiche e “infranciosamento”: motivi
della
“riforma” melodrammatica nel primo Settecento», i
attraverso le varianti del Filippo», in Id., Alfieri e il linguaggio
della
tragedia: verso, stile, topoi, Napoli, Liguori, 1
2.4] La Polyxène di Monsieur de La Fosse mette in scena il sacrificio
della
protagonista compiuto per volontà degli dei e su
oggetto per rispettare le unità di luogo e di tempo, fonti principali
della
verosimiglianza; egli affermava infatti che «pour
oco il rispetto dell’unità di tempo, qualora questa forzi il criterio
della
verosimiglianza. Su simili posizioni si attesterà
tro, che aveva introdotto le unità nella convinzione che l’obbiettivo
della
rappresentazione teatrale fosse l’illusione degli
into da Calliroe, di cui era profondamente innamorato, chiede l’aiuto
della
sua divinità tutelare: al fine di esaudire la pre
entre nei primi due atti ha uno spazio maggiore l’episodio secondario
della
passione fra Agénor e Anaxile, che prepara gli ev
i soltanto negli episodi secondari — costituisse un tratto distintivo
della
tragedia moderna rispetto a quella antica e che l
Corneille e di una tragedia incline ad accogliere la rappresentazione
della
passione amorosa. Pierre Nicole, nel suo Traité d
udizio rispetto alla princeps del 1674; ciò testimonia la delicatezza
della
questione nella Francia tardo-seicentesca, cfr. C
si mostrava altrettanto severo nel censurare l’uso degli amori tipico
della
tragedia francese, mettendo in ridicolo le caratt
gere. Ma dell’amor di madre abbiamo idea tutti, essendo il più intimo
della
natura, e atteso che chi non è madre o padre, è p
i del Francese, la cui opera doveva certo avere sotto mano al momento
della
stesura del testo — al fine di contestarne la tes
03). [3.3.3] In questo segmento Calepio espone un principio cruciale
della
propria teoria tragica: a suo parere, contrariame
fatto che lo spettatore riconosce nell’eroe disgraziato «la comunione
della
umana fragilità», e da ciò prende le mosse il pro
se non divertirsi d’amore» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
principale, ma anima delle sottotrame secondarie. Dal punto di vista
della
struttura, egli ritiene passabile l’Ariane (1672)
wé, «La risposta del Calepio alle riflessioni del Maffei sul Paragone
della
tragica poesia», Rassegna della letteratura itali
e riflessioni del Maffei sul Paragone della tragica poesia», Rassegna
della
letteratura italiana, LXXVI, 1, 1972, pp. 53-70:
lo inescusabile» (Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia», i
sue tragedie: l’autore del Candide lodava invece il Racine per l’uso
della
passione amorosa in scena, in quanto «jamais chez
’Europa del primo Settecento, tanto da diventare un topos ineludibile
della
nascente letteratura sugli usi e costumi delle va
e la Descrizione de’ costumi italiani di Calepio, pubblicata sui tomi
della
Bibliothèque Italique. All’interno di questa stes
di una serie di brillanti equivoci drammaturgici, dell’accrescimento
della
pietà allorché entrambi gli amanti vengono fatti
more tra Policare e Merope gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo
della
vicenda, in quanto proprio Policare, nel tentativ
sacrifico, millanterà di fronte al padre di aver violato la verginità
della
figlia, rendendola di fatto inadatta a svolgere i
li nella lettera ad Antonio Bruni con la quale difendeva l’ortodossia
della
propria tragedia rispetto ai criteri aristotelici
totelici: gli amori di Despina e Mustafà erano ammissibili sulla base
della
Poetica (1551b 33), in quanto davano luogo ad un
a storia, ed è un episodio congiunto, s’io non m’inganno, alla favola
della
maniera che c’insegna Aristotile dovere essere. N
i, e de gli altri effetti di Despina, innestandola in modo col tronco
della
favola principale, che l’una non possa reggersi,
’efficacia dell’episodio amoroso nell’amplificare l’effetto catartico
della
vicenda («Mustafà si mostra non solo innocente ma
ma Despina, e nel darle l’ultimo addio, giunge al colmo l’esaltazione
della
pietà e del terrore», Francesco Saverio Salfi, Co
pietà e del terrore», Francesco Saverio Salfi, Compendio dell’istoria
della
letteratura italiana, Torino, Pomba, 1833, p. 211
me l’amore di Policare per Merope, «lungi dall’indebolire l’interesse
della
favola, accresce la compassione nello sciogliment
ino, 1789, p. 115). Si registra, infine, ancora una volta, la ripresa
della
riflessione di Calepio nel Della storia e della r
una volta, la ripresa della riflessione di Calepio nel Della storia e
della
ragione d’ogni poesia del Quadrio, a sua volta in
ll’Aristodemo del Dottori» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
lli, 1743, p. 299). Interessanti considerazioni sui risvolti politici
della
rivalità fra due modelli alternativi di sovrane,
ne in questo frangente denunciata l’incoerenza di alcuni protagonisti
della
tragedia francese che sono invischiati all’intern
amante è innamorato, come lui, di Erixéne, figlia di un antico nemico
della
loro casata. Calepio non trova coerente la figura
ch’hanno li Francesi circa vari artifici toccanti l’ordine e la forma
della
tragica rappresentanza. Articolo I. [4.1
hanno osservato demolire la drammaturgia francese dal punto di vista
della
scelta del soggetto, della qualità del protagonis
a drammaturgia francese dal punto di vista della scelta del soggetto,
della
qualità del protagonista e della composizione deg
di vista della scelta del soggetto, della qualità del protagonista e
della
composizione degli episodi. Nel quarto capo l’aut
tà di affascinare lo spettatore, benché manchevole dal punto di vista
della
costruzione della favola, al contrario quello ita
lo spettatore, benché manchevole dal punto di vista della costruzione
della
favola, al contrario quello italiano appare sotto
o profilo molto più regolare, ma al contempo poco efficace alla prova
della
scena. Con una visione lungimirante, che apparten
di indagare separatamente quattro punti fondamentali per la riuscita
della
rappresentazione tragica, ossia l’incisività dell
ezza delle battute pronunciate dai diversi attori ed infine la tenuta
della
partizione del dramma in atti e scene. [4.1.2] L
enuta della partizione del dramma in atti e scene. [4.1.2] L’esordio
della
tragedia è ritenuto da Calepio un momento partico
la tragedia è ritenuto da Calepio un momento particolarmente delicato
della
rappresentazione: in questo punto vanno fornite a
spettatore tutte le informazioni necessarie a comprendere lo sviluppo
della
pièce senza annoiarlo o dargli a vedere che lo st
amente «teatrale». Calepio giudica negativamente le tecniche di avvio
della
vicenda tragica sfruttate dai drammaturghi greci,
tanto spettatore, come dimostra la sua Apologia di Sofocle, documento
della
militanza del giovane autore nelle file degli Anc
pesso recitati da divinità o prosopopee che ricostruivano l’argomento
della
favola, citando dapprima l’esempio biasimevole de
er rendere edotti gli spettatori delle vicende precedenti all’esordio
della
favola. Nella Tullia l’omonima protagonista entra
ci, molti drammaturghi cinquecenteschi avevano adibito la prima scena
della
tragedia ad informare il pubblico degli antefatti
ione — come l’Emone degli Antivalomeni, entrato in scena a raccontare
della
morte di re Loteringo e dell’accordo stretto fra
ivinità: è il caso dell’Orbecche, dove dialogano Nemesi e le Furie, e
della
Didone, aperta dall’intervento di Giunone. Inoltr
derandoli probabilmente dannosi alla verosimiglianza e alla linearità
della
favola; egli elenca anche altre tragedie cinquece
dialogo a tre voci fra i personaggi che poi sarebbero stati al centro
della
scena anche negli atti successivi, ossia Polissen
e che ricostruiva le vicende del suo regno illustrando al personaggio
della
Morte i suoi progetti di vendetta. Nella scena te
na terza del primo atto interveniva inoltre anche la personificazione
della
Gelosia. Andrà osservato come in questa sede Cale
corso in qualità di drammaturghi; Crescimbeni, rifacendosi al modello
della
commedia latina, ma anche della tragedia di Giral
; Crescimbeni, rifacendosi al modello della commedia latina, ma anche
della
tragedia di Giraldi, legittimava infatti a poster
mente permessa, che il Prologo non conterrà alcuna parte riguardevole
della
Favola; e tanto più avrà luogo, quanto meno il su
rdevole della Favola; e tanto più avrà luogo, quanto meno il suggetto
della
Tragedia sarà noto, come in proposito del Prologo
parati nelle Toscane Tragedie», Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 91-92).
91-92). Gravina aveva affidato al prologo, recitato dalla prosopopea
della
Tragedia, il compito di illustrare le novità dell
o dalla prosopopea della Tragedia, il compito di illustrare le novità
della
sua proposta tragica screditando le strade percor
i francamente di aver per esse restituita la Greca tragedia al Teatro
della
quale appena un’ombra, dic’egli, apparisce in tut
to anche il Muratori, il quale predicava molta attenzione al rispetto
della
verosimiglianza in simili circostanze: «Ha parime
, a cura di Ada Ruschioni, Milano, Marzorati, 1971, p. 591). Sull’uso
della
prosopopea nei prologhi delle opere sceniche cinq
al contributo di Eugenio Refini, «Prologhi figurati. Appunti sull’uso
della
prosopopea nel prologo teatrale del Cinquecento»,
allo spettatore le informazioni necessarie a comprendere lo sviluppo
della
favola. In quella sede il Francese teorizzava la
rontare alcuni dialoghi a questa funzione secondaria, anche a scapito
della
verosimiglianza dell’intreccio: i discorsi dell’I
ile» (Antonio Conti, «Lettera al Sig. Marchese Scipion Maffei, autore
della
Merope italiana e di molte altre celebri Opere»,
ronda, Bari, Laterza, 1966, p. 208). Viene infine censurato l’esordio
della
Rodogune, dove il dialogo fra Timagéne e Laodice
isposto a riconoscere la superiorità dei Francesi in materia di avvio
della
favola, dal momento che le loro tragedie solitame
endo l’imperfezione, che in ciò era, legarono i Prologi col rimanente
della
Tragedia; e queste notizie proccurarono, che per
nto di fare, che tali Discorsi Narrativi cadessero naturali nel corpo
della
Tragedia; e lasciarono bene spesso conoscere, che
o medesimamente macchiate» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
a che si rende necessaria allo spettatore per comprendere lo sviluppo
della
rappresentazione, è l’introduzione del confidente
a opinione, reputando l’uso dei confidenti uno dei principali difetti
della
tragedia francese, accanto al dialogo in rima e a
giudiziale censura di determinati elementi sotto l’egida del rispetto
della
verosimiglianza, ma precisa che, in qualche misur
allo spettatore, per via allusiva, quello che succederà nel prosieguo
della
favola, aumentando il piacere e la sorpresa di ch
di Bonarelli. Fra i numerosi recenti contributi che si sono occupati
della
rappresentazione del sogno nella tragedia italian
e dello stesso Calepio, i quali nelle loro tragedie avevano svuotato
della
solennità religiosa tali profezie, screditando da
ione di Calepio e quella del Valaresso, autore di una gustosa parodia
della
tragedia ultra-classicistica del primo Settecento
anda, 1960, p. cxxv, e successivamente Domenico Pietropaolo, «Parodia
della
tragedia classica e riforma teatrale nel Settecen
erto meno interessanti in quanto più artificiosi e separati dal cuore
della
favola, ossia quelli, di ascendenza terenziana, i
atina, e di attribuire a Terenzio prologhi che in realtà erano propri
della
commedia plautina: «E di certo si può conghiettur
unque, come diceva, che Terenzio formasse il Prologo per dare il tema
della
Commedia; e pur non è vero, e ne’ suoi Prologhi a
imitazion di Plauto, che appunto introduce il Prologo a dire il tema
della
favola» (Giuseppe Salìo, Esame critico intorno a
(Pietro Calepio, «Confutazione di molti sentimenti», in Id., Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
are alcuni esempi dell’introduzione di episodi incoerenti all’interno
della
tragedia: del Torrismondo del Tasso egli censura
entra in scena nell’atto terzo soltanto per fare un prolisso racconto
della
fuga di Enea, personaggio inessenziale alla pièce
essenziali i dialoghi di Alvante e Despina che, cominciati all’inizio
della
rappresentazione (I, 3), si protraggono più oltre
zza può dirsi, che chiamar tedioso Romanzo lo scioglimento necessario
della
Tragedia? Dunque è tedioso Romanzo il caso di Luc
ezzamento per la principessa, ritenuta indispensabile per lo sviluppo
della
vicenda (cfr. Matteo Bosisio, «“La merveille des
tecento per diverse ragioni; se per Calepio, attento alla credibilità
della
rappresentazione degli affari politici, il Coro p
ella rappresentazione degli affari politici, il Coro privava l’azione
della
necessaria segretezza, per il Maffei i teatri mod
considerato, anche dai classicisti seicenteschi, la fonte principale
della
verosimiglianza della presenza corale, come nota
i classicisti seicenteschi, la fonte principale della verosimiglianza
della
presenza corale, come nota Dacier chiosando il ve
urgia greca — egli ridicolizzava la Fedra di Euripide proprio a causa
della
presenza del Coro, che rendeva inverosimile l’int
he Calepio non poteva condividere, il Bergamasco recupera la sostanza
della
critica all’improprietà della ripresa del Coro st
ere, il Bergamasco recupera la sostanza della critica all’improprietà
della
ripresa del Coro stabile. Questa medesima tesi, c
zza, come allora si facea, al popolo, e al comune, quell’interrogarsi
della
turba, i Messi ed i Nuncij, per sapere gli avveni
indole particolare di quel Teatro, rammentarci dobbiamo che i Governi
della
Grecia erano Democratici, come si disse; e per co
essavano impunemente i propri segreti più reconditi: è questo il caso
della
Tullia di Martelli, già criticata in precedenza,
r non essere riconosciuto dalla moglie Tullia, impietosito dal pianto
della
donna che neppure il Coro di matrone riesce a tra
greca ciò è ancora possibile, a patto che non venga violata la regola
della
segretezza, come avviene nella Merope di Torelli,
e Calzabigi all’origine dei cori alfieriani. Note su Alfieri lettore
della
tradizione corale italiana», Testo, LXVI, 2013, p
in part. pp. 243-275. Articolo III. [4.3.1] Dopo aver trattato
della
maniera di avviare la favola, Calepio si sofferma
ento che abitualmente non fanno dipendere la peripezia dallo sviluppo
della
favola, ma la preparano in maniera artificiosa, f
testo per l’agnizione risolutiva è fornito dal personaggio secondario
della
nutrice Aidina, che si propone, in un dialogo con
ristodemo; soltanto allora il sovrano si riconosce come il vero padre
della
fanciulla fatta uccidere (V, 5). Tra queste favol
te tragedie, che ne condiziona la scarsa efficacia dal punto di vista
della
peripezia, è il fatto che essa sia inserita in mo
ezia, è il fatto che essa sia inserita in modo posticcio appena prima
della
catastrofe conclusiva. La teoria letteraria cinqu
a letteraria cinquecentesca si era soffermata a lungo sulle proprietà
della
peripezia, in margine al consueto confronto fra e
o dal quale prende le mosse la peripezia parrebbe in effetti debitore
della
posizione critica tassiana. [4.3.2] Nella sua tr
tti alla stessa maniera. Una volta morto Sisifo — e siamo all’esordio
della
favola scenica —, mentre i figli di Atamante fann
Ino; se i primi due atti dell’azione sono dedicati alla presentazione
della
dolente protagonista e della malvagia Ino, nel te
’azione sono dedicati alla presentazione della dolente protagonista e
della
malvagia Ino, nel terzo giunge Oletrio, il quale
gia Ino, nel terzo giunge Oletrio, il quale reca a Temisto la notizia
della
morte del padre Ipseo (Giuseppe Salìo, La Temisto
iuseppe Salìo, La Temisto, Padova, Comino, 1728, p. 57). La peripezia
della
tragedia prende le mosse, secondo Calepio, propri
ne ancora ribadita l’inverosimiglianza dell’espediente degli anelli e
della
morte del vecchio Ipseo, elemento estrinseco all’
elemento estrinseco all’azione («Certo è contro il dettame ordinario
della
Natura, che un Padre voglia uguagliare nell’eredi
Altro è il possibile, altro il verisimile», Pietro Calepio, Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
a francese appare agli occhi di Calepio più naturale sotto il profilo
della
preparazione del rivolgimento, benché in alcuni c
to, benché in alcuni casi si alluda in maniera esplicita al contenuto
della
peripezia, privando questo elemento della meravig
iera esplicita al contenuto della peripezia, privando questo elemento
della
meraviglia che le dovrebbe essere propria. Questo
nel primo atto, «au milieu de l’air» a predire il felice scioglimento
della
vicenda di Andromeda (I, 3, vv. 354-361). Tale di
nio, lascia invero pochi dubbi su quello che dovrà essere lo sviluppo
della
vicenda. Un’altra pecca che Calepio ravvisa nell’
o della vicenda. Un’altra pecca che Calepio ravvisa nell’allestimento
della
peripezia da parte dei Francesi sta nello spezzet
uovo Edippo di M. de Voltaire con maggiore chiarezza; e l’avvenimento
della
morte di Laio si conforma a quello che racconta E
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, p. 416).
émon, figlio di Créon. [4.3.4] Calepio biasima infine la sospensione
della
catastrofe che si prolunga talora per più atti se
rénice di Racine, in cui Antiocus, innamorato senza essere ricambiato
della
regina di Palestina — a sua volta invaghita del r
cide di suicidarsi, non essendoci alcuno spiraglio per un cambiamento
della
disposizione di Bérénice già nel primo atto: eppu
i costui, anziché mettere in atto il proponimento maturato all’inizio
della
rappresentazione, rimanga a Roma nutrendo qualche
teressante notare come la pastorale del Tasso, vituperata nell’ambito
della
critica francese seicentesca di stampo aristoteli
mento amoroso. L’Aminta aveva avuto un’importanza singolare nel corso
della
polemica Orsi-Bouhours, in quanto era stato uno d
a dell’Orsi, che nelle Considerazioni si dimostrava grande estimatore
della
pastorale tassiana, all’Aminta di Torquato Tasso
come ha dimostrato, in rapporto a Parini, Matteo Zenon, «Un capitolo
della
fortuna tassiana nel Settecento. Parini lettore d
n, «Un capitolo della fortuna tassiana nel Settecento. Parini lettore
della
Gerusalemme liberata e dell’Aminta», Studi Tassia
cava, nella Préface alla tragedia, il carattere estremamente semplice
della
Bérénice, nonché la capacità di riempire cinque a
e semplice della Bérénice, nonché la capacità di riempire cinque atti
della
sola azione principale, senza ricorrere ad episod
, indispensabile affinché gli spettatori individuino già al principio
della
rappresentazione chi sono coloro che agiscono, ad
ina spesso il fallimento, una volta che questa si misura con la prova
della
scena. [4.4.2] Un’altra caratteristica necessari
mpare soltanto nel primo e nell’ultimo atto, mentre la parte centrale
della
favola è spesso occupata da dialoghi ritenuti ste
erito una più massiccia presenza di Sofonisba, chiamata — sul modello
della
tragédie classique francese — a esporre davanti a
nfidente, i propri timori. Anche la Canace di Speroni diventa oggetto
della
critica di Calepio, il quale afferma addirittura
e di Ingegneri, si era percepita una predisposizione comico-pastorale
della
Canace — per lo meno dal punto di vista stilistic
gico. Su questo punto si veda Renzo Cremante, «Appunti sulla presenza
della
Canace di Speroni nell’Aminta di Torquato Tasso»,
torno a’ vizj delle Donne», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
ed escano dalla scena per un motivo preciso, intrinseco allo sviluppo
della
favola. Secondo Calepio il Torrismondo risultereb
ita in modo arbitrario: dopo il monologo del Consigliere, che discute
della
qualità dell’amicizia, entra in scena Rosmunda, l
he sono impressi su quei preziosi oggetti (III, 6), prima dell’arrivo
della
Regina madre che chiude l’atto (III, 7). Secondo
rquato Tasso, Bologna, Zanichelli, 1905, p. 518). Sulla distribuzione
della
materia nei diversi atti del Torrismondo si vedan
i diversi atti del Torrismondo si vedano Andrea Pagani, «La vertigine
della
parola. Grafici strutturali del manierismo tassia
da Despina e Alvante, entrati in scena a conversare vicino al palazzo
della
regina («Oh, s’io non erro, è questa/ del palagio
l rispetto dell’unità di luogo, ambientando tutta l’azione nell’atrio
della
casa di Giulio Cesare situata accanto al tempio d
ione nell’atrio della casa di Giulio Cesare situata accanto al tempio
della
Clemenza. Conti si era successivamente difeso da
cesco Bianchini, il quale si era adoperato per salvare alcuni edifici
della
Roma antica facendone intuire la grandezza («L’at
nersi in quel luogo a ragionar lungamente. Immagini egli, che l’atrio
della
casa di Giulio Cesare sia simile a quello del Pal
a che mancassero nell’atrio persone in grado di accogliere la notizia
della
morte di Cesare riferita da Antonio («Rifletta qu
la disperazione, tra l’altre cose, di Calfurnia, giustifica l’uscita
della
Scena Prima dell’Atto 4°. Non è vero, che non vi
). Articolo V. [4.5.1] Calepio entra a questo punto nel merito
della
disposizione dei dialoghi, dei monologhi e degli
Martian, presente invece a corte col nome di Léonce e reputato figlio
della
stessa Léontine. Nella scena in questione Eudoxe
éontine, che la ritiene colpevole di aver rivelato qualcosa di troppo
della
reale natura di quell’Héraclius che è conosciuto
e si accorda al parere dello stesso Corneille, il quale nel suo esame
della
tragedia si era vantato dell’acutezza di questo p
ghi poco piacevoli a causa degli eccessivi ornamenti letterari oppure
della
troppa prolissità. Nel finale il Bergamasco accen
ure nella Rodogune, dove Cléopâtre si rivolge, nell’ultimo soliloquio
della
pièce, al veleno con cui aveva intenzione di ucci
gradito al pubblico e alle attrici che dovevano interpretare il ruolo
della
perfida madre; Voltaire, pur riconoscendo a quest
ta, che troverà gioco facile nel ridicolizzare la natura declamatoria
della
tragedia di Corneille. Ben prima di Voltaire si t
Voltaire, London, Dilly, 17855, p. 266). Sulla diffusione del saggio
della
Montagu nell’Italia del tardo Settecento, e su co
isultare verosimili, debbono essere esclusivamente frutto dell’impeto
della
passione: soltanto questa veemenza può infatti gi
ghi nelle tragedie di Giraldi Cinzio, del quale biasima l’atto quinto
della
Cleopatra, laddove si succedono i soliloqui di Ol
e tragedie del de La Fosse; egli ha probabilmente in mente il modello
della
già citata Polyxène, nel quale si succedono otto
go può sussistere soltanto se viene utilizzato per esprimere l’impeto
della
passione; per questa ragione egli condanna i tant
to della passione; per questa ragione egli condanna i tanti soliloqui
della
tragedia italiana cinque-seicentesca votati a ric
che la tragedia senza soliloquio non sia più perfetta: ma la qualità
della
materia qualche volta gli esige, e per esperienza
esso astigiano aveva avallato con decisione questa lettura: trattando
della
sceneggiatura nel Parere sulle tragedie, si difen
ruire il pubblico su qualche circostanza necessaria alla comprensione
della
pièce, ma scaturisse direttamente dallo sviluppo
a comprensione della pièce, ma scaturisse direttamente dallo sviluppo
della
favola; che nessun altro personaggio udisse il mo
licitando la propria volontà di rimanere celata a spiare i sentimenti
della
diva («Costei me cerca. I vuò star invisibile/ al
ttere in bocca ad Egisto il nome del padre avrebbe privato il seguito
della
rappresentazione della sorpresa che scaturiva dal
o il nome del padre avrebbe privato il seguito della rappresentazione
della
sorpresa che scaturiva dalla peripezia, inducendo
ia, inducendo gli spettatori (e i personaggi) a comprendere ben prima
della
conclusione del dramma la reale identità del raga
variante che conservava la suspance, ma sciupava in parte la bellezza
della
scena (ad Egisto veniva fatto dire: «Mel disse il
o di morte venga in bocca il nome di chi gli avea data un’avvertenza,
della
quale se avesse fatto uso, non si troverebbe allo
Ramanzini, 1745, p. 132). Sulla discussione in merito a questo verso
della
Merope si rimanda anche a Paola Trivero, Tragiche
, 4), pronunciati verosimilmente alla presenza delle donne di corte e
della
nutrice, gli sembrano fuori luogo. Lo stesso La M
re qualcosa che l’altro non intende; nel secondo — e questo è il caso
della
Merope, ben più lodevole — si indica un breve sol
ennata Tragedia», Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia (17
tare con regolette, ma pensare al più importante ed al più essenziale
della
Poesia», ivi, p. 65). Maffei ritornerà sulla ques
Merope, Calepio trova altri a parte, che considera difettosi relitti
della
pratica drammaturgica seicentesca, e segnatamente
prometto all’autore di correggere quanto potrò nella seconda ristampa
della
mia Tragedia i ragionamenti a parte, e profittar
ono solitamente divisi in un numero piuttosto ridotto di scene, segno
della
scarsa varietà della materia impiegata nella favo
i in un numero piuttosto ridotto di scene, segno della scarsa varietà
della
materia impiegata nella favola e di alcune pecche
a materia impiegata nella favola e di alcune pecche nella costruzione
della
complessità dell’intreccio. Le opere sceniche ita
n cui Amabilia e i sei prigionieri di Ezzelino, schierati dalla parte
della
donna, giungono in scena, una volta liberati dall
, secondo che più o meno le cose ci interessano. Una delle grand’arti
della
Tragedia è d’interessare in maniera l’uditore, ch
ille, il quale, nel Discours des trois unités, raccomanda il rispetto
della
proporzione fra le scene («Le nombre des scènes d
. 226]). Sulla fondazione dell’unità di tempo, nonché sul regolamento
della
prassi drammaturgica sulla base del rapporto fra
rassi drammaturgica sulla base del rapporto fra tempo scenico e tempo
della
favola si rimanda al contributo di Piermario Vesc
all’impazienza degli spettatori che vogliono conoscere la conclusione
della
favola. Meno giustificabile sarebbe invece Joseph
e di tempo che egli misura sui libri di storia di Pausania (Periegesi
della
Grecia) e di Stefano di Bisanzio (Ethnica, di cui
, 2, [2]), in virtù del fatto che esso priverebbe la rappresentazione
della
segretezza che richiedono le pièces del tempo, ag
a, vv. 192-201), e sulla quale insistevano variamente diversi teorici
della
tragedia cinque e seicentesca, nonché il Guarini
rto Lonardi, Venezia, Marsilio, 1989, p. 78). La questione del Coro e
della
sua essenza di «curatore ozioso» avrebbe infatti
di «curatore ozioso» avrebbe infatti acceso una disputa sulla natura
della
tragedia greca — era essa interamente cantata, op
mpagnati dalla musica e recitati con tonalità canora? — e di riflesso
della
liceità del dramma per musica sei-settecentesco.
Già Vincenzo Galilei, animatore di quella Camerata Bardi all’interno
della
quale aveva preso le mosse un’impegnativa rifless
uarantanove. Vero è che nella Poetica, quando viene alla diffinitione
della
Tragedia, pare che egli scordi in alcuna cosa da
ordi in alcuna cosa da quel primo parere», Vincentio Galilei, Dialogo
della
Musica Antica et della Moderna, Firenze, Marescot
quel primo parere», Vincentio Galilei, Dialogo della Musica Antica et
della
Moderna, Firenze, Marescotti, 1581, p. 145). Nell
va oltre, richiamandosi per il suo nuovo dramma per musica al modello
della
tragedia greca che supponeva essere stata interam
n qui era stata tentata da alcuno, & ciò mi credev’io per difetto
della
Musica moderna di gran lunga all’antica inferiore
stra», Ottavio Rinuccini, L’Euridice. Rappresentata nello Sponsalitio
della
Christianissima Regina di Francia e di Navarra, F
ze, Giunti, 1600, p. non numerata). Giovan Battista Doni nel Trattato
della
Musica ritornava sul già citato Problema, al fine
elica del Coro come «curatore ozioso» (Giovan Battista Doni, Trattato
della
musica scenica, in Id., Lyra Barberina Amphichord
nché molto spesso la musica sia considerata un elemento di corruzione
della
tragedia (cfr. Enrico Fubini, Musica e cultura ne
non si esaurisce la discussione sulla natura originariamente musicata
della
tragedia greca; l’opinione del Doni viene anzi ri
a i recitativi non fossero cantati, ma modulati su di un uso armonico
della
voce. Eppure, nonostante il sostegno del dotto An
trale nel suo progetto di riforma del teatro — nell’edizione a stampa
della
Perfetta poesia (su tutto l’episodio si veda il b
rillante studio di Alfredo Cottignoli, Muratori teorico: la revisione
della
«Perfetta poesia» e la questione del teatro, Bolo
otal modo standosene il coro, sarà egli comodamente ora interlocutore
della
favola e ora spettatore ozioso di quanto passa. M
verrà ad essere un mero, ma grave, nobile e ben accomodato intermedio
della
tragedia», Angelo Ingegneri, Del modo di rapprese
ontemplato nel testo drammaturgico, veniva spesso escluso nel momento
della
rappresentazione, come dimostrano tanto le indica
sciorina alcune tecniche per sostituire il Coro nella messa in scena
della
sua tragedia («Facilissimo sarebbe ancora il rapp
da di Fannìa, e d’Elioneo. Nel terminare dell’atto terzo le fanciulle
della
Tribù di Levi accompagnino Marianne e Manasse, e
simi svantaggi che la presenza del Coro comportava dal punto di vista
della
verosimiglianza scenica («Essendo dunque rimasto
ica («Essendo dunque rimasto il coro, prima, per l’imperiosa autorità
della
religione e per quella, poi, del tiranno invecchi
a sua Confutazione Calepio ribatterà al Padovano, rimarcando la bontà
della
sua traduzione del passo in questione (Pietro Cal
della sua traduzione del passo in questione (Pietro Calepio, Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
uella di Francia, Venezia, Zatta, 1770, pp. 245-246). Sull’importanza
della
volontà di recuperare la tragedia greca nella cre
, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016. [4.6.4] La questione
della
verosimiglianza era fondamentale anche per il Cal
le anche per il Calepio, che perciò ritorna sul problema dell’utilità
della
presenza corale proprio in questa sezione del Par
e Tragedie Cinque, il Marchese delle Tragedie Cristiane, del Crispo e
della
Polissena e il Conti delle Quattro tragedie) e qu
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
pio affronta il nodo spinoso dell’unità di luogo, elemento importante
della
teoria drammaturgica italiana e francese fra Cinq
importante può essere individuato nella Querelle du Cid, all’interno
della
quale proprio gli interventi di Georges Scudery e
rispetto più rigido, senza il quale verrebbe meno la verosimiglianza
della
rappresentazione; dello stesso parere era Boileau
rt poétique, in cui si diceva convinto che il decoro e la credibilità
della
rappresentazione passasse dall’osservazione delle
l dettame, come nel caso dell’Horace. Quando poi, in veste di teorico
della
tragedia egli affronta la questione nel terzo dei
gedie francesi in cui il cambiamento di luogo, da una parte all’altra
della
città, avveniva fra un atto e l’altro, dando adit
ragedie del Gorini egli salva soltanto il riguardo a questo principio
della
tradizione aristotelica, considerando le sue prov
nel trattato Della perfetta tragedia che aveva premesso all’edizione
della
Rosimonda e poi ristampato nell’edizione integral
consimili in una sola Tragedia […]?», Giuseppe Gorini Corio, Trattato
della
perfetta tragedia, in Id., Teatro tragico e comic
di Corneille e con il Bajazet di Racine, lacunosi dal punto di vista
della
rappresentazione di scene segrete, tanto care a C
ata per andare in piazza», ivi, p. 46). Calepio viene poi discorrendo
della
Giocasta del Baruffaldi, intitolata dal poeta fer
voler affermare che fosse improprio «l’uso di non mutare mai la scena
della
tragedia», ma sosteneva che, anche alla luce del
ei vi ricorreva spesso il Martello, a sua volta raffinato conoscitore
della
tragedia francese. Sul cambiamento della scena ne
volta raffinato conoscitore della tragedia francese. Sul cambiamento
della
scena nel Torrismondo, agito in parte in uno spaz
in quest’ultimo articolo il giudizio che struttura l’intera disamina
della
tragedia italiana e francese nel Paragone. Egli è
enza l’aspetto rappresentativo, trascurando la fondamentale questione
della
ricezione dell’opera teatrale. Inoltre egli avanz
se il giovane aveva scritto in precedenza che, nonostante la bellezza
della
prova del Lazzarini «non sarebbe forse strano che
a mossa alla tragedia grecheggiante, insufficiente dal punto di vista
della
tenuta scenica, particolarmente per quanto riguar
pure non andrà dimenticato che, in quella sorta di strascico italiano
della
querelle primo-settecentesca fra antichi e modern
cistica, andrà probabilmente considerata come un bersaglio secondario
della
requisitoria del conte bergamasco, che torna sull
ragedia di Ulisse il giovine parto d’uno de’ più riguardevoli ingegni
della
nostra Italia, che non abbia in essa ammirato tut
n abbia in essa ammirato tutto il preggiabile dell’Arte? Che dirò poi
della
Merope di quel Famosissimo, che riceve ogni anno
quel «poeta novello» che aveva affermato l’indiscutibile superiorità
della
tragedia greca rispetto a quella moderna, al qual
toriamente, non si era neppure degnato di guardare nella composizione
della
sua Temisto («Nè punto mi son fermato a considera
a’ nostri tempi fatalmente perduto, parlando in universale, il sapore
della
vera Tragedia, non lo guastano forse […]?», Giuse
, Padova, Comino, 1738, pp. 195-196). Salìo ridimensionava la portata
della
condanna degli istrioni espressa da Calepio, argo
susseguente guastando i Comici nel parlar comune, e sciolto il piacer
della
libertà, per non restar legati a parole, e per po
gli fece a poco abbandonare il verso del tutto; e tanto più che l’uso
della
moderna Comedia gli costrinse a riempire le Compa
nie di persone incapaci di ben proferirlo. si aggiunse per invaghirli
della
prosa la mirabil facilità loro, affatto incognita
i filosofare nel proposito de’ Tragici Drammi all’arrogante dispregio
della
antiche dottrine ch’ebbe ardire di avanzarsi a fe
(Pietro Calepio, «Confutazione di molti sentimenti», in Id., Paragone
della
poesia trgica d’Italia con quella di Francia, Ven
ul Rutzvnscad del Valaresso si vedano: Domenico Pietropaolo, «Parodia
della
tragedia classica e riforma teatrale nel Settecen
come farà nelle Lettere al Bodmer egli mette in primo piano l’aspetto
della
ricezione considerando la tragedia una scrittura
do Calepio a quella di Euripide; il drammaturgo emiliano nella dedica
della
tragedia ammetteva di essere intervenuto in diver
diversi punti sulla favola greca, levando il personaggio inverosimile
della
Morte («Primieramente quel suo mescolar fra gli a
e al popolo. Perciò troverete, o Madama, il vecchio Fereto avidissimo
della
vita, Alceste amantissima del marito, Admeto gene
e tragiche greche senza rimanere troppo servilmente legato alla forma
della
scrittura tragica antica, sconveniente per un pub
ti essenziali dell’argomentazione di Calepio, ossia la rivendicazione
della
sua imparzialità e dell’equilibrio del suo giudiz
ibrio del suo giudizio, non viziato da alcuna deferenza nei confronti
della
tragedia francese, né dalla partigianeria patriot
particolare attenzione. Il costume era una delle sei parti essenziali
della
tragedia elencate da Aristotele nella Poetica (14
e da Aristotele nella Poetica (1450a 15-25), ritenuta meno importante
della
favola, in quanto la tragedia era imitazione di a
Aubignac prescriveva che il drammaturgo facesse dipendere il soggetto
della
pièce dai costumi del popolo a cui essa veniva ra
amenti sulle affezioni di Scaligero, definiva i costumi come le fonti
della
felicità o dell’infelicità dell’uomo («par le nom
nfusione su questo punto, considerando il costume la parte essenziale
della
tragedia, come dimostrerebbero le parole con cui
ole con cui Saint-Évremond, grande sostenitore dell’impianto oratorio
della
tragedia corneilliana, si augurava che Corneille
uguali a quelli, che direbbe naturalmente chi fosse esaltato al colmo
della
gloria, e per ben comprenderne la differenza vegg
espressioni dell’Ecuba di Euripide», Giuseppe Gorini Corio, Trattato
della
perfetta tragedia, in Id., Teatro tragico e comic
ame è la moralità dei personaggi, elemento indispensabile all’interno
della
sua teoria tragica, animata da una speciale atten
oria tragica, animata da una speciale attenzione per l’utilità morale
della
tragedia che deve risultare senz’altro dilettevol
ione del Muratori, come già aveva evidenziato Enrico Mattioda (Teorie
della
tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, pp
italiani e francesi che identificavano nel diletto il fine principale
della
poesia. Egli già aveva condannato in questo senso
ata tradizione teorica francese, che quando il filosofo greco parlava
della
bontà del costume intendesse non la bontà morale,
Discours, in cui il drammaturgo assumeva che Aristotele, discorrendo
della
bontà dei protagonisti, non alludesse al comporta
le agli occhi degli uditori. Riflettendo su di una successiva sezione
della
Poetica, in cui Aristotele prescriveva che i cost
.). Calepio contesta questa lettura del testo aristotelico sulla base
della
distinzione tra generi letterari: la rappresentaz
a rappresentazione di personaggi grandi e brillanti sarebbe peculiare
della
poesia epica e non della tragedia, laddove i cara
sonaggi grandi e brillanti sarebbe peculiare della poesia epica e non
della
tragedia, laddove i caratteri devono essere neces
carattere d’Edipo stesso, protagonista, ovvero personaggio principale
della
tragedia, il quale dal poeta è finto, come già er
zioni poi nasce un’indiscreta ed ingiusta regola, che il protagonista
della
tragedia debba di bontà mediocre comparire. Né co
ermazioni corneilliane in merito al costume. Il francese, nel seguito
della
sua argomentazione, riportava un altro passaggio
o della sua argomentazione, riportava un altro passaggio del capitolo
della
Poetica sui costumi (1454b 9-14), nel quale Arist
mo di bellezza a cui arrivare senza perciò degnerare nella corruzione
della
sua prima natura («unumquodque genus per se supre
irazione e sulla meraviglia; egli quindi subordina il costume al fine
della
tragedia, insistendo sul fatto che, dovendo i pro
lo di Marcelle e Placide nella Théodore, considerati ben più efficaci
della
sbiadita figura della martire protagonista («À le
de nella Théodore, considerati ben più efficaci della sbiadita figura
della
martire protagonista («À le bien examiner, s’il y
l’accusa di immoralità lanciata da Pierre Nicole, esponente di spicco
della
cultura giansenista, il quale nel suo Traité de l
quando versavano su soggetti religiosi; icastico era per lui il caso
della
Théodore, in cui Corneille metteva in bocca alla
ca di Corneille: vengono deliberatamente rigettati gli esiti barocchi
della
drammaturgia seicentesca, capace di rendere amabi
istintivo di clarté che riproponeva la centralità dell’utilità morale
della
letteratura. Su questo punto cfr. Enrico Zucchi,
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche
della
tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
eristici del teatro francese: non soltanto la Cléopâtre, protagonista
della
Rodogune di Corneille, e i crudeli Placide e Marc
tagonista della Rodogune di Corneille, e i crudeli Placide e Marcelle
della
Théodore, ma anche altre figure rilevanti del tea
in ginocchio le due potenze avversarie; infine Stilicon, eroe eponimo
della
tragedia di Thomas Corneille (1660), uomo forte d
orterà soltanto alla morte di Euchérius, creduto il vero responsabile
della
congiura, e al suicidio del disperato protagonist
opraccitati infatti il personaggio scellerato è anche il protagonista
della
vicenda, in cui si rappresentano i suoi ingegnosi
le, nel quale il drammaturgo francese, mettendo in dubbio la validità
della
catarsi, assumeva che Aristotele e i tragici grec
teratura antica non mancano esempi di una concezione del valore etico
della
poesia slegato dalla nozione di catarsi. Oltre ag
quali riprendevano Issione, come empio e scellerato: “non prima fuori
della
scena lo trassi, che fu confitto alla ruota”», Pl
ondo disaccordo: rivendica infatti l’esemplarità di alcuni personaggi
della
tragedia greca, e in particolare Edipo, archetipo
di Sofocle. Il Francese, affidandosi alla traduzione di André Dacier
della
battuta con cui Edipo entrava in scena («Je n’ai
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, p. 403).
li offerti da Virgilio. La citazione è in realtà tratta dal III libro
della
Poetica — non dal II, come indica la nota di Cale
a a che fare con la rappresentazione di personaggi esemplari, compito
della
poesia epica, ma deve far nascere nello spettator
a di un θαυμάζειν che, anziché venire limitato all’interno dei limiti
della
peripezia, diventava un tratto fondamentale dell’
dramma al quale il poeta affidava il proprio successo. Lo spostamento
della
tragedia verso l’epica, che aveva prodotto in par
veva prodotto in particolare Pierre Corneille con la sua drammaturgia
della
meraviglia e dell’ammirazione, comportava il fall
entati, così da raggiungere quella purgazione in cui constava l’utile
della
tragedia. Sarà inoltre utile notare come l’imposi
perazione teorico-letteraria di Crescimbeni, il quale, nella Bellezza
della
volgar poesia, postulava un ibridismo che procede
mio «Generi e stili in Arcadia: lo statuto del lirico ne La Bellezza
della
Volgar Poesia di Crescimbeni», Seicento e Settece
con i suoi drammi eroici, aveva profondamente frainteso il vero senso
della
poesia tragica, Racine si era guardato dal calare
fondamento del genere tragico non poteva essere apprezzata da un uomo
della
mentalità e della cultura di Calepio. L’eccessiva
ere tragico non poteva essere apprezzata da un uomo della mentalità e
della
cultura di Calepio. L’eccessiva brillantezza dei
bblico meno degna di compassione, guastando quell’utile che è proprio
della
tragedia. Al confronto viene ritenuta migliore la
propri eroi. Egli quindi loda la risoluzione con la quale l’Antiocus
della
Rodogune veniva conservato innocente fino alla fi
non finita, il Seleuco, dimostra di riprendere chiaramente il modello
della
Rodogune, e di ispirarsi, per il suo protagonista
l carattere di Séleucus, figlio giusto di una madre degenere. Il tema
della
fedeltà alla storia nello sviluppo dei soggetti t
mile e non sul vero e che aveva un carattere universale, a differenza
della
storia che trattava del particolare (1451b 5-10).
questo passaggio veniva messo a confronto con una successiva postilla
della
Poetica, apparentemente in conflitto con il brano
rmis la seule vérité», ivi, p. 45). Questa ossessione per il rispetto
della
storia si riflette nella drammaturgia dell’epoca:
rno a questo punto è molto acceso, e uno dei documenti più importanti
della
polemica è senz’altro costituito dalla lettera di
per quanto ella mi scrive, ch’essendo stati particolarizzati i mezzi
della
morte di Mustafà da Natale Conti, e d’alcun’altro
stessi mezzi, con che altri ne scrissero la storia, l’opera mancando
della
favola, diverrà storia, e non poema, e se quelli
ibile tanto necessario al poeta, scoprendosi a un tratto falsificator
della
storia. Dico adunque che per dare a questo dubbio
-Molozay, site IdT — Les Idées du théâtre). Un’altra difesa rilevante
della
possibilità da parte dei poeti di alterare il rac
68 [Amsterdam, Bernard, 1715, t. I, p. 58]). Talora le rivendicazioni
della
libertà dei drammaturghi sono anche accompagnate
, 1660, pp. 110-112). Ciò nondimeno la preoccupazione per il rispetto
della
verità storica nei drammi è destinata a protrarsi
risimili le Poetiche finzioni, la via sicura è quella di fingere fuor
della
Storia, e della Fama. Cioè aggiungere alla Verità
iche finzioni, la via sicura è quella di fingere fuor della Storia, e
della
Fama. Cioè aggiungere alla Verità, non corrompere
ontro di lui, viene addolcito dal drammaturgo, spinto dall’osservanza
della
Poetica di Aristotele a figurare un protagonista
de l’Ecriture Sainte, Amsterdam, Roger, 1703, p. n.n.). La questione
della
possibilità di mettere in scena tragedie il cui s
qualche libertà al drammaturgo che intendesse avventurarsi nel campo
della
tragedia di argomento sacro, Corneille aveva da p
oltre una filiera di testi che costituirà in qualche modo l’archetipo
della
tragedia sacra e che verrà, almeno in parte, punt
gedia Crescimbeni dedicasse molto spazio all’inizio del sesto dialogo
della
sua Bellezza della volgar poesia. Nel dialogo il
edicasse molto spazio all’inizio del sesto dialogo della sua Bellezza
della
volgar poesia. Nel dialogo il Custode d’Arcadia,
9-303), sosteneva che il Buchanan avesse alterato diverse circostanze
della
storia sacra da cui traeva la favola; ad esempio
e la morte, corsero due mesi» (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 104). A
ne in questione. Il Bergamasco, che al contrario apprezza il rispetto
della
storia sacra con cui Racine ha trattato la favola
oi strali anche contro il De Partu Virginis di Sannazaro, oggetto già
della
critica di Scaligero, il quale screditava la comm
aro, «dal vil servizio de i Numi vani del Gentilesimo venire al culto
della
vera Divinità» (Gian Vincenzo Gravina, «Della rag
a in questi termini, riproponendo il divieto di partirsi dal racconto
della
storia sacra nelle favole bibliche: «Di essi [deg
i angeli], e di tutti generalmente i Numi celesti, e delle cose tutte
della
Cristiana Religion nostra non si poeterà giammai,
nza alcuna dubitazione Iacopo Sannazzaro, allora quando nel suo Parto
della
Vergine finse che l’ArcAngelo Gabriele, per disce
rar con gli occhi potesse» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione di ogni poesia, vol. I, Bologna, Pisarri,
-106. [5.2.11] In chiusura di articolo l’autore ritorna sul problema
della
rappresentabilità dei caratteri malvagi, ma affro
di Menelao dell’Oreste di Euripide (1454a 29). Questo difetto, tipico
della
drammaturgia di Corneille, che aveva bisogno di m
nte in competizione con il Cato di Addison (1712) — la prima edizione
della
tragedia era accompagnata da un Parallèle des deu
Cato ad opera di Anton Maria Salvini (1725), e il rifacimento tedesco
della
tragedia ad opera di Johann Christoph Gottsched (
nor de La Fosse per Pirro», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
. 54-65. Articolo III. [5.3.1] Calepio ritorna sulla questione
della
qualità del protagonista che aveva già affrontato
ne di Ludovico Domenichi, nella quale la protagonista, per vendicarsi
della
violenza perpetrata dal marito ai danni della sor
gonista, per vendicarsi della violenza perpetrata dal marito ai danni
della
sorella Filomela, uccide il proprio figlio Iti pe
a di accusare falsamente l’amato, una volta rifiutata. Il personaggio
della
Nutrice, solitamente impiegato come un aiutante m
né che accantoni il suo proposito di vendetta: agli accorati consigli
della
nutrice («Non vi lasciate trasportar da l’ira/ ch
era in questo senso la struttura portante dell’Ippolito di Euripide e
della
Fedra di Seneca, in cui era Fedra, e non la nutri
o a un crimine ancora peggiore. Egli censura in sostanza il prototipo
della
tragedia di vendetta, al quale si ricollegano i d
ia del Martelli. Nella Progne la protagonista si vendica dello stupro
della
sorella perpetrato dal marito uccidendone il figl
per conquistare il potere sono puniti da Lucio Tarquinio, discendente
della
stirpe detronizzata, e da Tullia, con un brutale
rtello è una tragedia di vendetta imperniata sulle tormentate vicende
della
corte ottomana, nella quale le ambizioni politich
rte ottomana, nella quale le ambizioni politiche e le rivalse amorose
della
Sultana causano la morte della coppia di amanti i
bizioni politiche e le rivalse amorose della Sultana causano la morte
della
coppia di amanti innocenti, Perselide e Zeanghire
i Martello, adombrare una sorta di conclusione lieta per una tragedia
della
specie delle «tragichissime», con nove personaggi
risultare, secondo Calepio, dannosa per il pubblico e per l’economia
della
pièce, qualora questi ultimi non vengano adeguata
ziose, guardisi in primo luogo, che le medesime non sieno più proprie
della
Commedia, che della Tragedia, come è nel Procolo
rimo luogo, che le medesime non sieno più proprie della Commedia, che
della
Tragedia, come è nel Procolo di Pier Jacopo Marte
copo Martelli l’Ebreo Avaro. Di poi guardisi di non lasciarle al fine
della
Tragedia impunite, com’è nell’Ezzelino del Baruff
del Baruffaldi Ansedisio», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
e dalle parole con cui il Crescimbeni, dopo aver statuito il rispetto
della
convenienza dei costumi («Sarebbe discordante, qu
fallo di poca convenevolezza», Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 166), in
), introduce il concetto di decoro identificandolo come una proprietà
della
sentenza («Si richiede altresì nella sentenza il
poésie représentative (1635), definendola come un tratto fondamentale
della
rappresentazione che aveva a che fare non con la
la critica teatrale seicentesca, ed è sulla base del mancato rispetto
della
bienséance nel personaggio di Chimene, figlia poc
costume», derivato da Castelvetro, riproduce le classiche riflessioni
della
critica francese, biasimando la tragedia contempo
1971, p. 113). Da segnalare infine, sempre attorno al nodo del decoro
della
poesia, le Lettere discorsive intorno ad alcuni p
scorsive intorno ad alcuni poetici abusi pregiudizievoli sì al decoro
della
Religion Cattolica come alla buona Morale Cristia
étiques néo-latines», Camenae, XIII, 2012, pp. 1-15. Sulla centralità
della
«bienséance» nel programma estetico della tragédi
pp. 1-15. Sulla centralità della «bienséance» nel programma estetico
della
tragédie classique si veda Jacques Scherer, La Dr
to francese si moltiplicano le censure nei confronti delle infrazioni
della
«bienséance» commesse dai tragici greci. La Mesna
e cui tragedie gli sembravano fredde e molto carenti sotto il profilo
della
morale («Ce n’est pas que les Anciens n’aient aus
oderni che gli rimproverano soprattutto la trasgressione delle regole
della
«bienséance». Esemplificative in questo senso son
vano mosse ad Omero anche in Italia fra Sei e Settecento da letterati
della
levatura di Alessandro Tassoni e di Lodovico Mura
caratteristiche troppo umane («Altre volte s’è detto, che le Immagini
della
Fantasia sono sparute, quando le cose, o persone
o nel suo Esame critico, nel tentativo di giustificare la convenienza
della
rappresentazione degli dei offerta da Omero, cost
Porus», ivi, p. 190). Inoltre, aggiunge, non scorge nel protagonista
della
tragedia raciniana nulla dell’Alessandro che ci r
vano descritti nella tragedia raciniana, frutto, a detta dell’autore,
della
perversione di un tempo in cui non c’era passione
anno più infatti i protagonisti delle tragedie di Racine, ma gli eroi
della
Liberata, come dimostra un passaggio della Manièr
die di Racine, ma gli eroi della Liberata, come dimostra un passaggio
della
Manière de bien penser di Bouhours («Le Tasse […]
fficoltà, perchè neppure di questo costume han da cercare il ritratto
della
natura […]. E questo chimerico amore ancora, più
edia di Thomas Corneille del 1678, in cui il protagonista, innamorato
della
regina Elisabetta, viene messo a morte a seguito
che si succedono sui palcoscenici: se inizialmente prevale il modello
della
donna illustre, plasmata sugli archetipi descritt
ito vengono messe in scena figure muliebri audaci, esasperate, figlie
della
tradizione tragica greca, delle Antigoni e delle
del Cinquecento, e particolarmente in corrispondenza con l’affermarsi
della
cultura controriformistica, dei personaggi negati
pp. 117-162). Nella trattatistica si distingue senz’altro il Discorso
della
virtù femminile di Torquato Tasso, nel quale si p
rnativo di donna eroica che troverà corrispondenza nella delineazione
della
nuova figura muliebre della regina seicentesca. N
troverà corrispondenza nella delineazione della nuova figura muliebre
della
regina seicentesca. Nel Seicento non mancano in e
agedia italiana del Cinquecento, Milano, Unicopli, 2007. Sul Discorso
della
virtù femminile del Tasso si vedano: Dennis J. Du
9-456; Maria Luisa Doglio, «Il Tasso e le donne. Intorno al “Discorso
della
virtù feminile e donnesca”», ivi, pp. 505-521). S
a il Bajazet e sulla risposta di Racine si veda l’edizione commentata
della
«préface» del Bajazet curata da Georges Forestier
resentato in modo troppo galante, secondo un topos ormai tradizionale
della
critica raciniana. Al contrario, secondo il press
oli Signorelli lodano la bellezza degli intrighi cortigiani peculiari
della
corte ottomana (Storia critica de’ teatri antichi
ziale certamente contribuiscono, o sia più, o meno antico il soggetto
della
Tragedia, o richiegga semplicità, o grandezza; qu
738, p. 306). L’accusa di eccesso di galanteria rivolta ai personaggi
della
tragedia francese — a qualsiasi nazione essi appa
padre Valens, con estrema durezza, rimproverandole di essere la causa
della
sua infelicità («Triomphez-en dans l’âme, et tâch
t. I, Paris, Caillot, 1730, p. 310). Calepio tocca infine il problema
della
coerenza dei personaggi e giudica i Francesi in m
to alla mollezza femminile (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. I, Bologna, Pisarri,
uesto frangente considerazioni tradizionali circa il costume semplice
della
tragedia greca, ma condanna gli autori moderni ch
ne un sistema poetico misto, in grado di recuperare quella semplicità
della
tragedia antica, ma di ornarla in modo tale da re
che sono palesemente in conflitto con il costume moderno. A supporto
della
propria tesi il bergamasco cita due auctoritates
ti, Milano, Marzorati, 1973, p. 210). Sulla maestà e sulla semplicità
della
tragedia greca — elementi ritenuti talvolta posit
a Theresa Dubois, Genève, Droz, 1970, p. 104). Se sul tenore maestoso
della
tragedia non vi sono pareri dissonanti — il Gorin
). Quanto alla semplicità, altro carattere distintivo per antonomasia
della
tragedia greca, in grado, secondo Brumoy, di gara
io. Lo stesso Brumoy riconosceva che talora quel «trop de simplicité»
della
favola greca poteva risultare meno piacevole di u
amente imitato. A tal proposito Giraldi censurava lo stesso passaggio
della
Sofonisba qui richiamato, in cui Lelio acconsenti
are i lor vizi; come veggiamo aver fatto il Trissino in qualche parte
della
sua Sofonisba; e specialmente (per non narrarle t
rarle tutte) ove è la contenzione tra Lelio e Massinissa, per cagione
della
moglie presa da lui, alla qual Catone si trappone
tosto gl’insegnamenti offertici dalla Tragedia. […] Taccio che l’idea
della
maestà del Romano imperio e lo splendore, e la ma
nersi in quel luogo a ragionar lungamente. Immagini egli, che l’atrio
della
casa di Giulio Cesare sia simile a quello del Pal
e sottoscrive in pieno — accusandolo di aver privato la figura antica
della
grandezza che gli era propria («Vedi Appio Claudi
posto da Sofocle; non si confacevano alla dilicatezza ed alla civiltà
della
gente Italiana, troppo di maestà superiore alla G
ifesa del Costantino», in Id., Il Costantino. Tragedia, con la difesa
della
medesima, Roma, Andreoli, 16602, pp. 66-67). Sarà
zzazione aristotelica, aveva modificato sostanzialmente la percezione
della
decorosità di determinate azioni; sebbene si rico
«addolcire» un soggetto così crudo finivano per guastare la bellezza
della
favola antica («car enfin tous les efforts que fa
ime, Lucca, Cappuri, 1730, p. 267). Secondo il Bergamasco il problema
della
Tullia è ancora maggiore, in quanto nel racconto
iti sien nell’anticamere,/ e trattan materie più politiche/ di quelle
della
corte di Tiberio,/ discorsi ordendo che filze ras
odire per tutta la vita la propria verginità, illustrandole i piaceri
della
vita coniugale per convincerla a sposare Germondo
a pudicizia la qualità principale del sesso femminile, e la posizione
della
madre, la quale invece esalta le doti della belle
femminile, e la posizione della madre, la quale invece esalta le doti
della
bellezza femminile, Rusilla arriva a descrivere l
nile, Rusilla arriva a descrivere la nostalgia che lei, vedova, prova
della
passata vita matrimoniale, ricordando i teneri mo
smondo maestoso nella dipintura degli affetti, ma deplorevole a causa
della
prolissità delle scene («Stimando egli [il Tasso]
cit., p. 166), abbozzava una riscrittura assai più asciutta in prosa
della
scena prima dell’atto terzo (cfr. Grazia Distaso,
o, Paris, Barbou, 1728), si limitavano a demolire l’impianto generale
della
tragedia, senza entrare nel merito di difetti spe
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria
della
volgar poesia, vol. II, 1, in Id., Dell’istoria d
lla sua Istoria della volgar poesia, vol. II, 1, in Id., Dell’istoria
della
volgar poesia, vol. II, Venezia, Basegio, 1730, p
ttere tragico scelto con sommo giudizio ottimo per conseguire il fine
della
tragedia: una fina dipintura delle passioni: un p
137-138). Nell’Ottocento l’accusa di mancanza di decoro del discorso
della
Regina viene riproposta dal Paravia: «Comune altr
Prefazione alla Merope del Maffei, inclusa già nell’edizione modenese
della
tragedia (Modena, Capponi, 1714), in cui, riflett
ena, Capponi, 1714), in cui, riflettendo sulla protagonista femminile
della
tragedia torelliana, la trovava ben meno vigorosa
ine, ove cade la sua Merope in qualche femminile mollezza; lagnandosi
della
giusta punizione di Polifonte, quasi altrettanto
lagnandosi della giusta punizione di Polifonte, quasi altrettanto che
della
ingiusta uccisione del suo primo buon Consorte Cr
letteratura italiana, Venezia, Marsilio, 2004; sulla fortuna tragica
della
discussione si rimanda a Paola Cosentino, «Tragic
ttati sul comportamento», Italique, IX, 2006, pp. 69-99. Sulla figura
della
regina madre nel Torrismondo si veda infine Matte
in Scipione Maffei, Teatro Italiano, o sia scelta di tragedie per uso
della
scena, vol. I, Verona, Vallarsi, 1723, pp. 90-94)
rata un pregio dagli ammiratori di Virgilio. Infine cita un passaggio
della
Repubblica di Platone in cui il filosofo censurav
biasimandone l’incoerenza (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, I, Bologna, Pisarri, 1739,
olta che farà il Poeta in tale Eroe frequentissimo il pianto, e fuori
della
proprietà d’uomo dotato di grand’animo; essendo c
di perturbare smodatamente gli altrui animi non assuefatti all’abito
della
prudenza; così ancora nel pianto dovrà mostrare l
scorsive intorno ad alcuni poetici abusi pregiudizievoli sì al decoro
della
Religion Cattolica come alla buona Morale Cristia
ora esaminando l’osservanza, da parte dei drammaturghi, del criterio
della
somiglianza, che consiste nella coerenza del pers
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
nnamorata di Philoctete. Il ritorno dell’eroe provocava il turbamento
della
regina, ma anche l’ira da parte del popolo, che l
ina, ma anche l’ira da parte del popolo, che lo riteneva responsabile
della
morte di Laius, al quale si era dimostrato sempre
rrebbe sussumere nel personaggio da lui introdotto le caratteristiche
della
grandiosa figura dell’Ercole rappresentato da Sen
testuosa inserita dal Voltaire per mettere in discussione la validità
della
monarchia di diritto divino (Ronald Ridgway, La p
anche Hélène Bilis, la quale insiste sul fatto che Philoctète, erede
della
memoria del virtuoso Ercole, metta in questione,
’episodio amoroso di Hyppolite e Aricie come inutile allo svolgimento
della
favola, prendendolo ad esempio per argomentare ch
di Egisto, benché l’eroina nutrisse nei confronti del secondo marito
della
madre un odio feroce, dettato dal fatto che quest
ato in moltissimi modi differenti, soprattutto nelle svariate riprese
della
favola di Antigone: introducendo un personaggio i
li autori greci. Al contrario Crébillon, il quale mostrava, nel pieno
della
battaglia tra Anciens e Modernes, una sensibilità
Itys ed Electre, Calepio rivendica in questo caso la natura “moderna”
della
sua censura: egli non è mosso, qui come negli alt
stosamente i racconti storici, implica in prima battuta il venir meno
della
verosimiglianza, concetto che nella sua opera non
a quelle di argomento inventato. Anche Muratori si esprimeva a favore
della
tragedia tratta dalla storia, in un passo che pro
agedia tratta dalla storia, in un passo che probabilmente è alla base
della
presa di posizione di Calepio; benché egli avvert
. Maffei, dal canto suo, confermava che il soggetto del Torrismondo e
della
Dalida erano considerati nel Settecento frutto di
dalla sua introduzione alla tragedia del Tasso («Quanto all’Argomento
della
Tragedia, l’Autore secondo l’uso de’ buoni Antich
ia era, come dice il Cieco d’Adria di quella, ond’ei cavò l’argomento
della
sua Dalida: “Scritta nei libri, ch’arsero in Egit
nimenti abbondante alla verisimile, appassionata, ed utile imitazione
della
Tragedia. Ciò ch’ella aggiunge alla Storia per or
ti dei soggetti inventati era invece il Gorini Corio nel suo Trattato
della
perfetta tragedia: «L’idea della tragedia non ess
ece il Gorini Corio nel suo Trattato della perfetta tragedia: «L’idea
della
tragedia non essendo d’insegnarci un’Istoria, ma
a, o favola nota, od invenzione, tutto può egualmente servire al fine
della
Tragedia, quando abbia il sudetto fondamento del
Storia, ma una pittura si richiede» (Giuseppe Gorini Corio, Trattato
della
perfetta tragedia, in Id., Teatro tragico e comic
iene particolarmente bella (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
mennone, screditando il figlio di Achille, prova a preservare la vita
della
schiava Cassandra. D’altro canto Calepio istituis
varie caratteristiche spettanti il costume: a suo parere il rispetto
della
convenevolezza — dato che interagisce direttament
nsibilità del pubblico settecentesco — deve essere preferito a quello
della
somiglianza storica. Sotto questo profilo egli si
quanto riportato dalla storia sacra per renderlo in parte meritevole
della
condanna di Saul. Su questo punto cfr. Paragone V
marcare la premeninza dell’azione rispetto a tutti gli altri elementi
della
tragedia, aveva scritto che la maggior parte dell
ήθεις con “scostumate” (Alessandro Piccolomini, Annotationi nel libro
della
Poetica d’Aristotele, Venezia, Guarisco, 1575, pp
hi. Calepio inclina per una lettura più moderata; a suo dire l’autore
della
Poetica avrebbe soltanto lamentato una generica n
soltanto lamentato una generica noncuranza da parte dei poeti tragici
della
sua epoca nei confronti della resa attenta dei co
a noncuranza da parte dei poeti tragici della sua epoca nei confronti
della
resa attenta dei costumi dei personaggi. [5.7.2]
i mira la tragedia settecentesca dopo la rifondazione arcadica consta
della
capacità del drammaturgo di dispensare ottimi con
lle tragedie greche si allinea per la verità a quelle mosse nel corso
della
Querelle des Anciens et des Modernes, i cui docum
truire personaggi capaci di appassionare il pubblico; se i personaggi
della
Sofonisba di Trissino spiccano per la gravità del
esentano la vivacità necessaria, che si incontra invece nei caratteri
della
tragedia francese del Seicento. A questo giudizio
lezza quell’azione che aveva invece preferito plasmare sull’archetipo
della
tragedia greca («Ils ne contemplèrent point la na
enziona quindi tutte quelle tragedie in cui è più evidente l’influsso
della
drammaturgia francese — ad eccezione del Corradin
a diversi interpreti eccellenti, non da ultimo proprio il Crescimbeni
della
Bellezza della volgar poesia. Se in precedenza il
preti eccellenti, non da ultimo proprio il Crescimbeni della Bellezza
della
volgar poesia. Se in precedenza il critico lombar
na» delle opere menzionate — quella che appunto si dispiega a livello
della
macrostruttura narrativa e del costume —, quanto
re dal volgarizzamento dell’esposizione aristotelica circa la qualità
della
sentenza, distinta in πολιτική e ῥητορική (1450b
l’invenzione dell’eloquenza cittadinesca addirittura a Solone (Esame
della
retorica antica e uso della moderna libri VII, vo
cittadinesca addirittura a Solone (Esame della retorica antica e uso
della
moderna libri VII, vol. II, Verona, Targa, 1739,
poesia rappresentativa occorreva avvalersi, per rispetto al criterio
della
verosimiglianza, della sentenza «cittadinesca» («
occorreva avvalersi, per rispetto al criterio della verosimiglianza,
della
sentenza «cittadinesca» («E se ben l’Epico, ed il
profferire senza studiata premeditazione, e quali appunto uscirebbono
della
nostra bocca, se per avventura ne’ casi loro ci r
5, [2]). Implicitamente l’autore condanna qui non soltanto l’eloquio
della
Sofonisba, ma quello di tutte le tragedie cinque
ando in parte quel giudizio integralmente positivo che il Maffei dava
della
tragedia del Trissino nel Teatro Italiano. Il Gra
el Maffei, un giudizio leggermente differente in merito alla sentenza
della
Sofonisba, condizionato dalle critiche mosse da B
nientemeno che colla traslata locuzione, non perdendo colla grandezza
della
frase e del numero parte alcuna del naturale, del
o colla grandezza della frase e del numero parte alcuna del naturale,
della
qual facoltà non è tanto dotata l’italiana favell
toché come rotonda e sonora sia molto più maestosa che l’altre figlie
della
latina; perciò non è maraviglia se i nostri autor
se non colla traslazione, se avessero questa sospinta oltre le forze
della
nostra lingua, in vece d’acquistar grandezza, per
rza, 1973, pp. 316-317). In precedenza il carattere umile del dettato
della
Sofonisba era stato già messo in discussione, e t
ormulano, con Calepio, una condanna più o meno severa alla «sentenza»
della
Sofonisba, a partire dal Martello, il quale aveva
aperta polemica con il giudizio del Maffei, biasimava lo stile noioso
della
Sofonisba («La semplicità e la umiltà dello stile
lle «antiche tragedie» italiane è legato all’imprescindibile criterio
della
verosimiglianza, che aveva assunto, dopo l’afferm
ssione è il contributo di Petrarca e del petrarchismo alla fondazione
della
lingua tragica cinquecentesca, riproponendo, in f
la lingua tragica cinquecentesca, riproponendo, in fondo, un’apologia
della
purezza dei generi e degli stili distinti che si
atti l’operazione critica svolta dal custode d’Arcadia nella Bellezza
della
volgar poesia mirava a legittimare la pervasività
atura teatrale italiana, benché in quel caso gli obiettivi principali
della
polemica fossero le tragicommedie di Tasso e del
o censura i personaggi delle tragedie cinquecentesche che, al culmine
della
passione, si sorprendono a petrarcheggiare ricorr
guaggio figurato. Il brano tratto dalla Sofonisba è posto in apertura
della
tragedia, quando l’eroina eponima, sconsolata per
atori nella Perfetta poesia italiana a modello esemplare del buon uso
della
«metafora continuata» (Della perfetta poesia ital
cartaginese in preda allo sconforto. L’immagine allegorica del mare e
della
navigazione, già ampiamente sfruttata nella liric
o estratto dall’Orbecche del Giraldi; in questo caso siamo all’inizio
della
terza scena del secondo atto, e Oronte, sposo di
econdo atto, e Oronte, sposo di Orbecche, filosofeggia sulle tempeste
della
vita e sulla maniera di affrontarle tenendo saldo
ste della vita e sulla maniera di affrontarle tenendo saldo il timone
della
virtù. Calepio, in tutta questa sezione, riprende
citava un’altra allegoria marittima, tesa a rappresentare le insidie
della
corte, recitata sempre da Oronte («E qui dagli od
a cura di Cristina Montagnani, Roma, Bulzoni, 2005; sul petrarchismo
della
Sofonisba e in generale della tragedia del Cinque
, Roma, Bulzoni, 2005; sul petrarchismo della Sofonisba e in generale
della
tragedia del Cinquecento si veda, in questo volum
andare invece a Enrico Zucchi, «Tra pedagogia e secentismo: le radici
della
fortuna dell’interpretazione allegorica in Arcadi
tica, IX, 2014, pp. 91-112, in cui viene tracciato un profilo storico
della
fortuna dell’interpretazione allegorica dei testi
aldi, Calepio riprende pure l’Aretino per il medesimo incedere lirico
della
sua prosa tragica. Il passaggio citato, tratto da
trice, la quale gli comunica che l’Ancilla di Celia, dopo aver saputo
della
morte della ragazza, uccisa dal fratello, si è su
ale gli comunica che l’Ancilla di Celia, dopo aver saputo della morte
della
ragazza, uccisa dal fratello, si è suicidata stra
icidata strangolandosi con le sue proprie trecce. Ai patetici accenti
della
donna fa eco una disquisizione di Publio sulla na
i accenti della donna fa eco una disquisizione di Publio sulla natura
della
giovinezza, comparata ad un cavallo indocile che,
lui anche Riccoboni aveva elogiato lo stile mai forzatamente enfatico
della
tragedia del Rucellai (Franco Arato, La storiogra
onoscendo nell’Oreste uno stile più alto e decoroso rispetto a quello
della
Sofonisba, benché non perfetto («L’autore [dell’O
ente ancora seguì le vestigia de’ Greci», Girolamo Tiraboschi, Storia
della
letteratura italiana, t. VII, Modena, Società tip
, almeno nel progetto letterario crescimbeniano, affidato ai dialoghi
della
Bellezza della volgar poesia. In quel trattato-ma
ogetto letterario crescimbeniano, affidato ai dialoghi della Bellezza
della
volgar poesia. In quel trattato-manifesto, il Cus
odi e topoi tipicamente lirici (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 78-103)
come era accaduto per il Gravina, il quale, specialmente dal momento
della
scissione dell’accademia, nel 1711, aveva condann
iguamente dal Maffei, porterà l’Alfieri a rivoluzionare il linguaggio
della
tragedia (cfr. Vittore Branca, Alfieri e la ricer
Zanichelli, 1981; Giuseppe Antonio Camerino, Alfieri e il linguaggio
della
tragedia: verso, stile, topoi, Napoli, Liguori, 2
vo di preservare il raggiungimento del fine che egli reputava proprio
della
tragedia, ossia suscitare una compassione che ave
che Calepio difendeva. L’autore ribadisce invece un luogo ricorrente
della
critica tardo-cinquecentesca e seicentesca, che i
ntesca e seicentesca, che individuava nella Canace — proprio in virtù
della
qualità dello stile — l’antecedente più diretto d
roprio in virtù della qualità dello stile — l’antecedente più diretto
della
prova tragicomica del Tasso; questo giudizio, esp
ia nell’Aminta suo conseguito Torquato Tasso, quant’egli fu imitatore
della
Canace», Battista Guarini, Delle lettere […] part
va nell’Aminta suo conseguito Torquato Tasso, quant’egli fu imitatore
della
Canace. Ho letto e riletto la Canace, né cosa alc
Tragedia trasportata nella sua Pastorale. Ma forse intende il Guarini
della
leggiadria dello stile; né in questo ancora mi pa
ccia di Torquato Tasso con le Annotazioni d’Egidio Menagio accademico
della
Crusca, Venezia, Pasquali, 1736, p. 144), porta i
144), porta il Calepio a collocare la tragedia di Speroni nel dominio
della
pastorale, piuttosto che in quello propriamente t
uttosto che in quello propriamente tragico. Sull’entità delle riprese
della
Canace nell’Aminta si veda il contributo di Renzo
inta si veda il contributo di Renzo Cremante, «Appunti sulla presenza
della
Canace di Speroni nell’Aminta di Torquato Tasso»,
-LXXXIX, 2003, pp. 201-213. Sulle polemiche di cui è oggetto lo stile
della
Canace nel Cinquecento si vedano invece i ricchi
ace nel Cinquecento si vedano invece i ricchi paratesti dell’edizione
della
tragedia curata da Christina Roaf (Sperone Speron
na, Commissione per i testi di lingua, 1982). [6.2.5] I due passaggi
della
Canace riportati dal Calepio si situano all’inizi
ingiustificatamente ampolloso e metaforico che privava la confessione
della
necessaria naturalezza, guastando la verosimiglia
onfessione della necessaria naturalezza, guastando la verosimiglianza
della
situazione. Un giudizio simile sullo stile della
o la verosimiglianza della situazione. Un giudizio simile sullo stile
della
Canace, sempre arricchito della solita postilla s
zione. Un giudizio simile sullo stile della Canace, sempre arricchito
della
solita postilla sulla derivazione della pastorale
lla Canace, sempre arricchito della solita postilla sulla derivazione
della
pastorale da questo dettato, veniva espresso dal
erezza di quelle celebri pastorali. Ma le forti e perturbate passioni
della
Canace esigevano stile più grave e la favella del
rturbate passioni della Canace esigevano stile più grave e la favella
della
natura più che dell’arte manifesta», Pietro Napol
l medesimo profilo e che Calepio aveva già ripreso dal punto di vista
della
costruzione della favola: la Progne di Lodovico D
e che Calepio aveva già ripreso dal punto di vista della costruzione
della
favola: la Progne di Lodovico Domenichi, l’Idalba
ano molto al lirico stile» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
Scipione Maffei, Il Teatro Italiano, o sia scelta di tragedie per uso
della
scena, t. II, Verona, Vallarsi, 1723, p. 227). Su
e conclusioni del Grosser, che definisce in questi termini lo statuto
della
ricerca retorico-linguistica perpetrata nel Torri
i maggiori letterati del tempo, disponeva, se non una condanna netta
della
letteratura concettosa seicentesca, caduta sotto
Scipione Maffei, Il Teatro Italiano, o sia scelta di tragedie per uso
della
scena, t. III, cit., pp. VI-VII). Spesso, se si e
o del Dottori e dei drammaturghi «lirici» che diventeranno i bersagli
della
critica settecentesca nella Conversazione di Mirt
lle Gemelle Capovane edite dal Maffei, entra probabilmente nel merito
della
favola piuttosto che dello stile, censurando il f
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria
della
volgar poesia, vol. I, Roma, De’ Rossi, 1702, p.
entemente menzionato nel primo capo come esemplari dal punto di vista
della
favola (I, 3) a eccezione dell’Achille del Montan
di vista della favola (I, 3) a eccezione dell’Achille del Montanari e
della
Temisto del Salìo, ma ne aggiunge anche altre, co
ato precocemente insieme ai drammi di Ottoboni, additandolo a modello
della
tragedia riformata («Il Cardinal Giovanni Delfino
ancora ambiguamente condizionata dall’esperienza poetica concettista
della
poesia del pieno Seicento, riteneva legittimo ins
sero da spie per lo spettatore, atte a ricordargli la natura fittizia
della
rappresentazione, per Calepio, immerso in una cul
e chiama in causa, non a caso, una delle immagini più caratterizzanti
della
cultura barocca, l’Adone ucciso dal cinghiale, am
atto che Seneca venisse preferito ai tragici greci si spiega in virtù
della
prospettiva di questo passaggio, incentrato sul d
quello sconvenientemente basso del Gravina, imitatore troppo pedestre
della
favella greca. In particolare viene condannato lo
ue Tragedie cinque, si era attribuito il titolo di primo restauratore
della
tragedia greca («Con quanta più ragion poi sarà l
de’ lirici, de’ tragici, de’ ditirambici, e d’ogni razza, a dispetto
della
natura che volle farlo avvocato e non poeta», Giu
hille in prima battuta agli uccellini che aspettano nel nido l’arrivo
della
madre con del cibo, e poi all’erba che giace ghia
losofiche non poteva essere apprezzato da un così attento esaminatore
della
prassi scenica, in quanto danneggiavano la tenuta
quanto danneggiavano la tenuta del dramma, minandola sotto l’aspetto
della
bienséance, e compromettevano l’attenzione dell’u
trato attraverso precetti morali pronunciati dagli attori. Ad esempio
della
tendenza a infarcire i drammi di simili elementi
a tenuta scenica dei dialoghi drammatici. Sulla fortuna settecentesca
della
Merope di Torelli si veda Paola Trivero, «La rice
Merope di Torelli si veda Paola Trivero, «La ricezione settecentesca
della
Merope», in Il debito delle lettere: Pomponio Tor
attiva abitudine oppure una malattia incurabile. Anche questa ricerca
della
sentenza ad effetto distoglieva i drammaturghi, s
drammaturghi, secondo Calepio, dal raggiungimento del fine originario
della
tragedia, ossia quello di destare compassione e t
un alto tasso di erudizione; così egli censura l’excursus geografico
della
Cameriera di Alvida nel Torrismondo che prosegue
no, aveva anticipato il giudizio di Calepio, reputando il personaggio
della
Cameriera poco utile allo sviluppo del dramma, ta
rodotto all’inizio del dramma e di eliminare gli ultimi quattro versi
della
battuta poi incriminata dal bergamasco, anche in
Guarini del Pastor Fido, rei di aver fatto intempestivamente sfoggio
della
propria erudizione in un contesto rappresentativo
ico e all’introduzione di massime didascaliche è anteposta la ricerca
della
compassione: «La tragedia avvezzando gli uomini a
sentir dispiacere del mal de gli altri, insegna loro la compassione,
della
qual cosa niente è più giovevole al viver comune,
iù giovevole al viver comune, e civile. E questo è l’insegnar proprio
della
tragedia; e non il dar precetti, né spiegare la n
ssa in questione la figura di una nutrice dotta, pronta a dare saggio
della
propria conoscenza delle tecniche della ragion di
e dotta, pronta a dare saggio della propria conoscenza delle tecniche
della
ragion di stato tessendo un elogio della spregiud
ia conoscenza delle tecniche della ragion di stato tessendo un elogio
della
spregiudicatezza politica (Annibale Marchese, Il
inque-seicentesche italiane, ritrovandole manchevoli sotto il profilo
della
convenienza e della verosimiglianza, nonché affet
taliane, ritrovandole manchevoli sotto il profilo della convenienza e
della
verosimiglianza, nonché affette da sistematici pr
i vista stilistico rispetto ai drammi seicenteschi italiani, in virtù
della
dizione asciutta e maestosa, seppure non del tutt
egli ornamenti ambiziosi tanto condannati da Orazio; nulla aggiungerò
della
versificazione affettata e molto lontana dalla no
l fatto che i Francesi non avessero il medesimo divario fra la lingua
della
prosa e la lingua della poesia che caratterizzava
on avessero il medesimo divario fra la lingua della prosa e la lingua
della
poesia che caratterizzava invece l’italiano, come
d’Ariste et d’Eugène (1671), in cui veniva argomentata la superiorità
della
lingua francese, quanto della Manière de bien pen
n cui veniva argomentata la superiorità della lingua francese, quanto
della
Manière de bien penser dans les ouvrages d’esprit
vrages d’esprit (1687), nella quale si esaltava la maggior perfezione
della
letteratura francese, specie su quella italiana.
a italiana. Al Bouhours, che celebrava la semplicità e la naturalezza
della
lingua francese (cfr. l’edizione moderna, con i r
003), facevano eco nel tardo Seicento anche alcuni esponenti italiani
della
Compagnia di Gesù, in particolar modo il padre Ca
alla natura dell’azione che doveva essere aristotelicamente al centro
della
favola tragica («Enfin le Lieu qui sert à ses Rep
azioni sopra la Rodoguna, pur annunciando che non si sarebbe occupato
della
sentenza della tragedia di Corneille, ammetteva c
Rodoguna, pur annunciando che non si sarebbe occupato della sentenza
della
tragedia di Corneille, ammetteva che le poesie fr
e concludeva con un giudizio impietoso sull’artificiosità romanzesca
della
tragedia francese («L’aver introdotte nel nostro
nzesco, e che chi ad esse si avvezza, perde il senso alla espressione
della
natura, e del vero, e a quanto ha di più eccellen
ai più naturali», Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia», O
are il Pompée, ritrovandolo particolarmente difettoso sotto l’aspetto
della
convenienza, in quanto Corneille introduce immagi
ui Achorée giunge in modo concitato da Cléopâtre per darle la notizia
della
morte di Pompée (II, 2, vv. 515-518) attraverso u
Cinna, pièce di cui Corneille si era vantato per il mirabile rispetto
della
verosimiglianza («Ce Poème a tant d’illustres suf
ltare scevro di ogni raffinamento retorico eccessivo, pena la perdita
della
credibilità («Il me semble qu’il faudrait aussi r
ittura faceta (παιγνήμων) è invece giudicata l’immagine dell’incendio
della
speranza che caratterizza il discorso dell’innamo
resa Dubois, Genève, Droz, 1970, p. 58). Con Guarini, e col Bonarelli
della
Filli di Sciro, il Francese si spinge anche oltre
di Sabine, la quale, offrendo il petto ai due — caratteristico topos
della
drammaturgia eroica corneilliana —, affinché sedi
nel suo vaneggiamento declamatorio, a diventare l’oggetto principale
della
contesa tra il fratello e l’amante («Pourrai-je t
li a quelle avanzate da Calepio circa la composizione di alcuni brani
della
sua tragedia, confessava che a suo parere l’ornam
bergamasco ribadisce inoltre il suo pensiero circa l’ascendenza epica
della
scrittura di Corneille, che imiterebbe impropriam
egnoso del predecessore; egli, instaurando un paragone fra la Jocaste
della
Thébaïde di Racine e la Sabine dell’Horace di Cor
monologo che apre il quinto atto, dando spazio al dissidio interiore
della
principessa, divisa fra il richiamo dell’amore ne
a fra il richiamo dell’amore nei confronti di Emone e l’inevitabilità
della
morte («Oui tu retiens, Amour mon âme fugitive,/
Mithridate viene discusso un verso pronunciato da Arbate nel racconto
della
morte del Re Xipharès fatto a Monime verso la fin
nel racconto della morte del Re Xipharès fatto a Monime verso la fine
della
tragedia (V, 4, v. 1604). Nel discorso funesto ch
giocato sul fatto che la morte del sovrano, già stabilita all’inizio
della
battaglia, tardasse ad arrivare (Jean Racine, Mit
omentazione del bergamasco, condanna tanto questo verso quanto quello
della
Phèdre che Calepio citerà nel paragrafo successiv
2) —, fatta dire ad Hyppolite in un momento particolarmente delicato
della
rappresentazione (V, 1, v. 1374), ossia quando l’
re le Grand (IV, 3, v. 1185), sulla bocca di Taxile. Il secondo brano
della
Phèdre riportato da Calepio è situato invece nel
s, H. Champion, 2002, p. 85). Il de La Motte poi, entrando nel merito
della
coeva drammaturgia francese, ammetteva che Cornei
ammetteva che Corneille era caduto talvolta in questo errore a causa
della
troppo ravvicinata imitazione di Lucano — ancora
to solitamente più parco di tali artifici, ad eccezione del passaggio
della
Phèdre sopra riportato (il de La Motte cita solta
nie che Calepio discute in questo passo sono tratti dalla prima scena
della
tragedia, nella quale Agamemnon, rivolgendosi ad
i dei e così salpare per Troia. Lo stralcio riportato a testo è parte
della
seguente allocuzione: «Si ma fille une fois met l
homas Corneille, in cui Elisabeth si incolpa di essere stata la causa
della
morte del Conte, che pure aveva tentato di salvar
sa della morte del Conte, che pure aveva tentato di salvare nel corso
della
pièce, e la cui rovina è dovuta soltanto alle tra
de Crébillon. L’effetto vigoroso dell’apostrofe alla personificazione
della
sorte («Sort! Ne m’as-tu tiré de l’abîme des flot
tragédie, Paris, Ribou, 1709, p. 62) pronunciata da Oreste al culmine
della
disperazione (V, 7) risulta indebolita dalla rice
l’ornato del suo discorso, chiedendosi chi la vendicherà per la morte
della
madre, dopo che lui stesso l’aveva vendicata per
additata a cattivo esempio di questa tendenza l’immagine artificiosa
della
Natura che sforza le montagne di cadaveri a vendi
per attaccare l’Egitto — attraverso una strumentale personificazione
della
Nazione — alle pompe del suo carro («Seigneur, ne
assi rivedibili continuerà nell’articolo successivo, in cui l’oggetto
della
critica non sarà più Corneille, ma Racine e gli a
la critica non sarà più Corneille, ma Racine e gli altri drammaturghi
della
sua generazione e di quella successiva. Artico
(Paragone VI, 2, [10-12]) —, sempre assecondando il criterio sovrano
della
verosimiglianza. Il «saputello» a cui fa polemica
sostenuto che la poesia tragica doveva adeguarsi al criterio supremo
della
“semplicità” piuttosto che della verosimiglianza
doveva adeguarsi al criterio supremo della “semplicità” piuttosto che
della
verosimiglianza e conseguentemente aveva raccoman
la verosimiglianza e conseguentemente aveva raccomandato, a discapito
della
mimesi di una lingua diastratica, che i discorsi
Rhétorique, ou l’Art de parler, 1675) segnavano di fatto il tramonto
della
retorica, e contemporaneamente originavano una nu
originavano una nuova estetica dell’«evidenza». Sulla messa in crisi
della
«rhétorique classique» nel tardo Seicento frances
e mossegli dal de La Motte — rivendicando la legittimità dell’impiego
della
personificazione all’interno del contesto drammat
t. V, Lyon, Lions, 1711, p. 51); la medesima figura, in cui l’oggetto
della
personificazione non è l’odio ma il furore, impie
gran lunga più criticato — nella Polyxène, laddove impiega l’immagine
della
gloria che arrossisce di fronte all’offerta di fu
ziando le carenze dello stile raciniano, nel quale non mancano tracce
della
ripresa di un lessico poetico sclerotizzato, incl
na battuta di Mithridate rivolta a Monime in cui riaffiora l’immagine
della
corona («Jusqu’ici la Fortune, et la Victoire mêm
d, 1999, p. 664); alcuni riferimenti tradizionali all’alloro, simbolo
della
gloria per antonomasia, che vengono chiamati in c
ca» dello stile francese, per il Maffei essi costituirebbero la prova
della
scarsa poeticità della lingua francese, in cui la
e, per il Maffei essi costituirebbero la prova della scarsa poeticità
della
lingua francese, in cui la poesia non può di molt
er troppo poetico, dove si è sempre creduto, che il principal difetto
della
Poesia Francese sia il non aver lingua Poetica, n
iar dalla prosa», Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia», i
ressato al trattato di Calepio, fornendone un lungo esame all’interno
della
rivista Réflexions sur les ouvrages de littératur
dall’Institut des Sciences de l’Homme di Lione con la collaborazione
della
Voltaire Foundation). Granet, nel suo articolo, c
ompagnie des Libraires Associés, 1747, p. 58); altre personificazioni
della
fiamma si trovano ne La Mort d’Achille di Thomas
ché, autore di un Absalon già criticato nel Paragone sotto il profilo
della
favola (Paragone III, 3, [9]); il traslato in que
III, 3, [9]); il traslato in questione contempla la personificazione
della
vittoria che cammina davanti ai nemici degli Isra
ttavia il brano voltairiano si può forse accostare ad alcuni passaggi
della
canzone XXII («Et io, da che comincia la bella al
Calepio passa a criticare l’impiego di allegorie e apostrofi, tipiche
della
lingua tragica francese sei-settecentesca, autori
sibilità estetica medio-seicentesca ad avallare una simile concezione
della
retorica poetica; a questa teorizzazione concorre
re all’allegoria —, in cui si trovava invece il principale «agrément»
della
poesia («C’est d’un scrupule vain s’alarmer sotte
l Conti, elogi dell’allegoria e dell’uso — pur “utilmente” — figurato
della
letteratura (cfr. in proposito il mio «Tra pedago
tura (cfr. in proposito il mio «Tra pedagogia e secentismo: le radici
della
fortuna dell’interpretazione allegorica in Arcadi
Crébillon (1707), tragedia che ritiene molto difettosa anche a causa
della
vicinanza stilistica al modello corneilliano, rec
da Plisthène nel monologo che apre il quinto atto, momento culminante
della
catastrofe sanguinolenta che Crébillon mette in s
, si rivolge ai tristi presagi che le preconizzano l’imminente rovina
della
famiglia degli Atridi: «Tristes pressentimens, qu
fe alla vana pietà (ivi, III, 7, p. 37). Sullo stile troppo elaborato
della
tragedia di Crébillon si era soffermato anche Vol
Foundation, 2001, p. 299). [6.6.4] Nella prima scena del quinto atto
della
Thébaide di Racine Antigone entra in scena da sol
in scena da sola per recitare un monologo disperato in cui si lamenta
della
tragica sorte che l’ha privata della madre e dei
logo disperato in cui si lamenta della tragica sorte che l’ha privata
della
madre e dei fratelli; Calepio condanna l’apostrof
ragico. Articolo VII. [6.7.1] Calepio passa quindi a discutere
della
perifrasi, altra figura che a suo modo di vedere
asi, altra figura che a suo modo di vedere priva la scrittura tragica
della
verosimiglianza necessaria, largamente presente n
co dei drammaturghi francesi del Seicento. Fra i maggiori sostenitori
della
perifrasi vi era senza dubbio il Boileau, il qual
perifrasi si rendeva poi necessaria a colmare una carenza intrinseca
della
lingua poetica francese, ossia la scarsezza dei t
luire impetuoso delle passioni diminuisce il tasso di verosimiglianza
della
rappresentazione. Fatta questa premessa, egli rav
rappresentazione. Fatta questa premessa, egli ravvisa un uso positivo
della
circonlocuzione nella Phèdre di Racine, quando En
diritto queste circonlocuzioni che privavano il dettato drammaturgico
della
dovuta concisione. A tal proposito egli riporta s
dovuta concisione. A tal proposito egli riporta subito un altro passo
della
Phèdre, in cui Œnone introduce una lunga perifras
ancora una volta col de La Motte che, a proposito dello stesso passo
della
Phèdre, commentava: «On ne reconnoît pas à ce dis
molto ampia e si era combattuta in gran parte sul campo di battaglia
della
Querelle des Anciens et des Modernes, dividendo i
ontato la questione degli epiteti, richiamando un luogo di Aristotele
della
Retorica in cui il filosofo concedeva soltanto ai
4, vv. 877-878). Anche nel secondo segmento, tratto dalla prima scena
della
tragedia, e nello specifico da una battuta di Abn
porta l’intero passo di seguito, per mostrare come nel Della storia e
della
ragione d’ogni poesia l’autore dia corpo ad una s
e, dove i Poeti favellano» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
fra la tragedia italiana e quella francese, ossia l’annosa questione
della
versificazione, al quale il Bergamasco deputa una
nzionata la soluzione adottata dal Gratarolo nell’Altea, che constava
della
successione di endecasillabi sdruccioli. Sarà mol
Padova, Esedra, 2005, pp. 123-168. Sullo statuto metrico e stilistico
della
tragedia italiana tra il Cinque e il Settecento s
lio storico-linguistico, di Antonio Sorella, «La tragedia», in Storia
della
lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro
italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, vol. I. I luoghi
della
codificazione, Torino, Einaudi, 1993, pp. 751-792
ico, spesso insoddisfacente, in quanto versi brevi e sonori — a causa
della
necessità di porre gli accenti all’interno di sed
ta da un principio classicistico, come mostra Paola Luciani, parlando
della
«difficile messa a punto di un linguaggio drammat
da una forte carica polemica nei confronti del modello drammaturgico
della
pastorale (cfr. Enrico Zucchi, «“Or che sta sotto
ti dialoghi, nonché l’intera stesura dei Cori. Gravina, da ammiratore
della
metrica latina, elogiava la qualità dello sdrucci
orecchio, che dallo sdrucciolo raccoglie, con suo piacere il suono, e
della
mente, che dal medesimo sdrucciolo, quand’è di ri
ltima cade: senza distinguere il corso rapido che nasce dalla brevità
della
penultima d’una medesima parola, dalla caduta che
assi e comici i versi sdruccioli. Anche il Crescimbeni nella Bellezza
della
volgar poesia considerava lo sdrucciolo un verso
siderava lo sdrucciolo un verso comico, benché consigliasse l’impiego
della
prosa per la commedia, approvando il modello del
vando il modello del Bibiena (Giovan Mario Cres c imbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 126); Ca
reci ed a’ Latini tra la commedia e la tragedia, quanto a’ versi (che
della
materia ora non parlo) quantunque siano tutti jam
lta; la qual cosa espresse molto bene Monsignore il Bembo nelle prose
della
volgar lingua», Giambattista Giraldi Cinzio, «Giu
di una metrica ibrida, parzialmente volta a recuperare alcuni accenti
della
prosodia greca, è riuscito molto meglio al Lazzar
i quali si distingueva soprattutto il Maffei, combattivo sostenitore
della
superiorità dell’endecasillabo sciolto italiano a
agico. Insoddisfatto dell’endecasillabo sciolto, ritenuto più tedioso
della
prosa, perplesso circa la possibilità di impiegar
iamente rimati, in quanto richiamavano troppo da vicino la leggerezza
della
pastorale, il Martello si era deciso a ritrovare
Egli inoltre assume una posizione originale circa l’impiego dell’uso
della
rima; se questa era stata tradizionalmente condan
giudica invece positivamente, convinto del fatto che, sempre in virtù
della
lunghezza del verso, una rima che torna dopo dodi
ibliografia aggiornata sull’opera gozziana). Sulla ricezione francese
della
caricatura gozziana, interessante tra l’altro anc
lle et l’Enea di messer Lodovico Dolce. Dove egli tessendo l’historia
della
Iliade di Homero a quella dell’Eneide di Vergilio
imperfetta in quanto, proprio a causa del fatto che la conformazione
della
lingua italiana lo costringeva ad impiegare lungh
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico
della
letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
ade d’Homere traduite en François, Paris, Brunet, 1709), protagonista
della
Querelle des Anciens et des Modernes, spinta a vo
mente diretti all’operazione culturale, filologica e translinguistica
della
Dacier i seguenti contributi: Giovanni Saverio Sa
critico transalpino asseriva infatti che la lunghezza sovrabbondante
della
traduzione rispetto al testo di partenza non foss
Per suffragare la propria tesi, l’abate francese richiamava l’esempio
della
traduzione in latino del Panégyrique du Roy in on
ia e Svizzera nel primo Settecento che aveva avuto luogo nelle pagine
della
rivista ginevrina Bibliothèque Italique, periodic
ra italiana contemporanea e che ospiterà anche la traduzione annotata
della
Descrizione de’ costumi italiani del Bergamasco.
lla Descrizione de’ costumi italiani del Bergamasco. Nel secondo tomo
della
«Bibliothèque» veniva pubblicata la traduzione, c
la traduzione, corredata dalle note di Gabriel Seigneux de Correvon,
della
seconda parte del Discorso de’ migliori poeti ita
aliani pronunciato da Scipione Maffei in occasione dell’inaugurazione
della
colonia arcadica veronese e stampata nel volume d
rose, Venezia, Coleti, 1719, pp. 132-137). In questo abregé di storia
della
letteratura, il veronese, rimodulando in chiave d
ica il medesimo canone che aveva proposto il Crescimbeni nell’Istoria
della
volgar poesia (cfr. a proposito Franco Arato, La
, contenuta nel Della tragedia antica e moderna, circa la superiorità
della
tragedia italiana a quella francese. Secondo il S
nese in questo passaggio, accusandolo di zelo eccessivo nei confronti
della
patria — proprio il Maffei, che era stato accusat
facente a generi più nobili, come quello tragico, adducendo a riprova
della
validità delle proprie tesi il trattato Del verso
). Sull’operazione culturale, assai rilevante, svolta dalla redazione
della
Bibliothèque Italique, nonché sull’eclettica figu
rancesi nel poema eroico documenterebbero di conseguenza l’incapacità
della
loro lingua di sostenere la nobiltà che l’epopea
uttata dal francese — ossia citare uno straniero che loda le bellezze
della
lingua altrui —, il Bergamasco richiama l’introdu
nel volgere i versi omerici in francese consisteva nell’inadeguatezza
della
lingua d’arrivo («Toutes les difficultez que j’ai
mêlange» omerico di vigore ed eleganza, su cui si fondava gran parte
della
bellezza del poema: «Mais cette composition mêlée
utez qui éclatent dans cette Poësie» (ivi, p. xliii). Questa condanna
della
limitatezza espressiva del francese si inseriva a
dernes, che rispondevano piccati alla Dacier esaltando l’«exactitude»
della
lingua francese, Calepio rinfacciava la scarsa es
del latino — che permettevano di arricchire le possibilità espressive
della
lingua; i Francesi, non avendo diminutivi, erano
e, ha pubblicata contra suo volere per molto povera la sua in paragon
della
nostra; scoprendo a chi nol sapea, che i Franzesi
cese citava poi, per comprovare il proprio ragionamento, il passaggio
della
Gerusalemme liberata (XX, 55, vv. 2-8) riportato
pportuno gli sembra l’esempio tratto dal Tasso; il compito principale
della
poesia è infatti quello di giovare dilettando, no
co non è che accessorio. Inoltre, a suo parere, la bellezza dei versi
della
Liberata non sarebbe dipendente dall’arditezza de
llo poetico, in quanto nasce dalla puntualità e dalla verosimiglianza
della
descrizione. L’autore torna quindi sull’impiego —
strumentale — delle parole del Martello circa la presunta superiorità
della
lingua tragica francese a quella italiana fatta d
francese del Discorso de’ migliori poeti italiani pubblicata sui tomi
della
Bibliothèque Italique. Se a partire dall’asserzio
drammaturghi italiani più rappresentativi riconoscesse la preminenza
della
tragedia francese («Quanto nelle poesie liriche,
uramente preferibile al primo, ma non del tutto soddisfacente a causa
della
«noiosa armonia» che produce —, in favore di un m
oporzione, a differenza di quanto accadeva nei due contrari prototipi
della
Canace, in cui largheggiavano i settenari, e dell
contrari prototipi della Canace, in cui largheggiavano i settenari, e
della
Sofonisba, in cui abbondavano gli endecasillabi.
sdrucciolo però è superiore all’endecasillabo di armonia, per cagion
della
penultima breve: la quale succedendo all’antipenu
oni letterarie il veronese opponeva al Calepio l’eccessiva musicalità
della
soluzione mista, più conveniente al dramma per mu
e del fatto che un verso breve come il settenario riduceva la gravità
della
dizione tragica («Tornando a metri, antepone [il
tro Calepio, «Giunte postume attinenti al Paragone», in Id., Paragone
della
poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
spesso ne aveva parafrasato le opinioni; l’autore del Della storia e
della
ragione d’ogni poesia riporta infatti il pensiero
natura de’ gravi discorsi», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
cissero molto migliori se private dell’eccessivo ornamento retorico e
della
prolissità che le caratterizzavano (cfr. Pier Jac
lti dal verso alla prosa, ma in virtù del processo di semplificazione
della
lingua poetica. [7.3.3] Nelle anonime Réflexions
rta, settima e decima, cfr. Francesco Saverio Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, vol. I, Bologna, Pisarri,
secondo Calepio, la seconda parte si riduce ad essere una ripetizione
della
prima, creando un effetto di tediosità nell’ascol
). Calepio richiama quindi l’opinione del Nisiely, il quale, parziale
della
versificazione della Canace, giustificava l’uso d
uindi l’opinione del Nisiely, il quale, parziale della versificazione
della
Canace, giustificava l’uso dei metri più brevi su
loro tragedie («Qui i letterati riprendono i troppi versi non interi [
della
Canace], come poco dicevoli allo stile tragico; i
sottolineava ad esempio Gian Vincenzo Gravina, risalendo alle origini
della
rima nelle lingue romanze, nel passaggio della Ra
risalendo alle origini della rima nelle lingue romanze, nel passaggio
della
Ragion Poetica a cui allude Calepio in questa sed
ni latine convennero all’estinzion del metro antico ed alla produzion
della
rima. Vi concorsero l’ignoranza della natura, poi
metro antico ed alla produzion della rima. Vi concorsero l’ignoranza
della
natura, poiché il commercio dei Goti e dei Vandal
recchio e sconcertò la pronunzia, in modo che rimase estinto il senso
della
quantità, di cui gli antichi portavano nella fave
Vi concorse la barbarie dell’artifizio, perché sin dal secondo secolo
della
nostra redenzione avea la scuola declamatoria dei
rima una maggiore naturalezza rispetto a quello rimato («L’artifizio
della
rima è troppo lontano dalla natura, perché compar
interno di un tale contesto è comprensibile la parziale rivalutazione
della
rima proposta dal Muratori, non indifferente ai s
azione della rima proposta dal Muratori, non indifferente ai successi
della
drammaturgia francese («Si ha ancora a considerar
erne lingue. Si scostano esse, non può negarsi, dal parlare ordinario
della
gente, e alcune tragedie rimate hanno finora otte
ente addirittura al Trissino, e segnatamente alla lettera dedicatoria
della
Sofonisba («Quanto poi al non aver per tutto acco
Ricciardi, 1997, pp. 31-32), ma presente anche in molti altri luoghi
della
teoria drammatica cinquecentesca (cfr. Paola Cose
ortanti osservanti sulle due tragedie criticate da Calepio in ragione
della
rima, ossia Canace e Sofonisba, è indispensabile
noiosa, Calepio riporta l’opinione di Corneille contenuta nell’esame
della
sua Andromède. In questo contesto Corneille si in
volta sciolti, parevano più adatti a simulare l’andamento discontinuo
della
prosa («J’avoue que les vers qu’on récite sur le
ritorna spessissimo in fine di verso. Sulle medesime caratteristiche
della
lingua francese aveva ragionato anche il Muratori
is, H. Champion, 2003, p. 109). Il Bouhours, nell’esaltare la varietà
della
lingua francese («Pour les rimes, nostre langue n
orda il Bergamasco, nei paratesti del suo Œdipe criticava la tirannia
della
rima, che costringeva i poeti a trascurare, in vi
a tirannia della rima, che costringeva i poeti a trascurare, in virtù
della
ricerca di quest’ultima, ogni altra sorta di bell
ggio, in precedenza condannato da Calepio poiché guastava la bellezza
della
scena, ricca di passioni forti, con una dizione e
io i le tragedie francesi risultano meno ortodosse dal punto di vista
della
favola, ma più godibili per lo spettatore, benché
dizio che Calepio esprime in questa sede è dunque nettamente a favore
della
drammaturgia italiana, i cui frutti più recenti —
riedizione del suo Œdipe, si era fatto opportunisticamente difensore
della
tragedia classicistica, attaccando le opinioni de
ca a una naturalezza che tuttavia non autorizza a confondere il finto
della
rappresentazione con il vero della realtà; l’esig
on autorizza a confondere il finto della rappresentazione con il vero
della
realtà; l’esigenza di infondere alla pratica scen
dopo aver sottolineato ancora una volta la fondamentale ripetitività
della
scrittura calepiana, sempre tesa a riproporre alc
partire dal 1713, nel quale figuravano diversi articoli e recensioni;
della
sezione letteraria si occupava per lo più il fran
io è, nello specifico, una lunga discussione, comparsa nel terzo tomo
della
rivista (gennaio-febbraio 1714), sull’Extrait des
offermarsi, più distesamente di quanto aveva già fatto nel primo tomo
della
rivista, sulla superiorità della lingua e della l
uanto aveva già fatto nel primo tomo della rivista, sulla superiorità
della
lingua e della letteratura francese a quella olan
fatto nel primo tomo della rivista, sulla superiorità della lingua e
della
letteratura francese a quella olandese, di cui ve
. 44-46, mentre una rassegna dei passaggi decisivi per l’affermazione
della
tragédie en prose, a partire proprio dal dibattit
d circa l’inclinazione del pubblico femminile a godere esclusivamente
della
rappresentazione degli amori che venivano condann
erazione dell’unità di luogo (Paragone IV, 6, [5-6]), che a proposito
della
necessità di concentrare l’attenzione del pubblic
epio mostra maggiori perplessità, legate non tanto alla teorizzazione
della
«multiplicité d’évènements», che veniva rimprover
, ma questa si oppone, pur amando a sua volta il Romano, per rispetto
della
sua gente e del padre Tatius, feroce nemico di Ro
otto. Il de La Motte giustifica questa girandola di eventi sulla base
della
regola dell’unità di tempo, impegnandosi a dimost
imola molto l’immaginazione degli astanti. Al contrario, il vantaggio
della
molteplicità di episodi starebbe nel «promener l’
’occasion de Romulus», cit., p. 602). E ancora, a proposito dell’eroe
della
pièce, ammetteva, con frasi che finiscono appunto
le statura eccedeva di gran lunga i termini, raccomandati da Calepio,
della
bontà mezzana e della virtù mediocre; del resto d
gran lunga i termini, raccomandati da Calepio, della bontà mezzana e
della
virtù mediocre; del resto de La Motte in questo f
-Philippe Grosperrin, il quale arriva a parlare di «embourgeoisement»
della
tragedia nel descrivere la prospettiva estetica d
stificatamente il gusto del pubblico, mancando l’obiettivo principale
della
scrittura tragica. [Giunta.4] Ancora una volta,
una volta, in questo paragrafo, Calepio insiste sui principi cardine
della
propria poetica teatrale, ossia destare nel pubbl
odo il poeta non innesca il meccanismo catartico, disperdendo l’utile
della
composizione, a cui antepone il divertimento del
na due parodie, l’Arlequin Romulus di Biancolelli, agito dalla troupe
della
Comédie-Italienne, e il Pierrot Romulus, ou le Ra
rot Romulus, ou le Ravisseur poli di Lesage e Fuzelier, per il teatro
della
Foire (cfr. Houdar de La Motte, Textes critiques:
alle suppliche di Romolus, disposto a chiedergli in ginocchio la mano
della
figlia e a concedergli un vantaggioso accordo di
primo luogo afferma che l’ammirazione non è frutto dell’osservazione
della
virtù, ma della visione di qualcosa di sorprenden
erma che l’ammirazione non è frutto dell’osservazione della virtù, ma
della
visione di qualcosa di sorprendente, tanto più ch
pi estremamente virtuosi, quanto assolutamente pessimi, come nel caso
della
Cléopâtre nella Rodogune («Cléopâtre, dans Rodogu
disgraziati, con i quali condividiamo la comune fallibilità («Il fine
della
vera tragedia non è di dilettare a guisa della ep
fallibilità («Il fine della vera tragedia non è di dilettare a guisa
della
epopeia colla rassomiglianza di molte cose, ma co
te secondo il mio sentimento da quell’interesse che per la conformità
della
natura s’assume lo spettatore nelle peripezie de’
ale, a differenza di Corneille, tiene in gran conto l’aspetto “utile”
della
rappresentazione, tanto più che, qualche riga più
ncora una volta sulla centralità dell’orientamento educativo e morale
della
tragedia: la messa in scena di personaggi così co
inture, 7e éd., Paris, Pissot, 1770, t. I, p. 447). La sollecitazione
della
opsis, legata all’aspetto mimetico del genere dra
ici, i drammaturghi non mancano di sottolineare la maggiore efficacia
della
dimensione visiva su quella puramente oratoria —
orto come fonte di commozione nel pubblico e di reazione, all’interno
della
favola, dei personaggi, al lungo elenco di traged
naggi, al lungo elenco di tragedie incentrate, oltre che sul soggetto
della
«Mort de César» su quelli di Virginia e Lucrezia,
dre, che il padre, re Alphonse, destina a nozze con Constance, figlia
della
seconda moglie del sovrano. I reiterati rifiuti d
ita di Inès, che nel finale muore avvelenata, sacrificata sull’altare
della
ragion di stato, proprio quando, alla vista dei n
no sposati in segreto — non sia adatta al teatro e giunge a discutere
della
«gradation de l’intérêt», raccomandando di infond
spettatori, da mantenere attraverso un progressivo e costante aumento
della
tensione, senza interruzioni: «Une autre cause du
soggetto degli Orazi e Curiazi, benché reputasse migliore la condotta
della
tragedia dell’Aretino rispetto a quello di Cornei
otte affrontava una delle questioni maggiormente delicate e originali
della
sua proposta poetica, ossia l’accreditamento dell
licate e originali della sua proposta poetica, ossia l’accreditamento
della
scrittura di tragedie in prosa: egli aveva infatt
te fin dal Cinquecento e ruotava attorno ad alcuni specifici passaggi
della
Poetica; i sostenitori della prosa fondavano la p
ava attorno ad alcuni specifici passaggi della Poetica; i sostenitori
della
prosa fondavano la propria opinione sul primo par
cui la si faceva: lo Stagirita ne deduceva che l’essenza fondamentale
della
poesia stava nella mimesis e non nel metro, tanto
uello composto di ritmo e armonia, era una delle sei parti essenziali
della
tragedia, nella quale alcune parti venivano rifin
anto (1449b 25-30). Aristotele, del resto, nel ricostruire le origini
della
tragedia, mostrava come il progressivo raffinamen
ammatica (1449a 22-29). Attorno a questo nodo testuale, come ad altri
della
Logica o dei Problemi, si accende una battaglia e
arte del pubblico; aderenza del verso al dato imitativo, a differenza
della
prosa, adatta alla messa in forma del reale, e no
a differenza della prosa, adatta alla messa in forma del reale, e non
della
fictio (Lodovico Castelvetro, Poetica d’Aristotel
parte di Calepio — in realtà limitato al solo elenco dei protagonisti
della
Querelle — è evidentemente il Nisiely dei Proginn
VI, in cui il Fioretti si scaglia con veemenza contro «alcuni tiranni
della
Poesia, invigliacchiti dalla fatica» che dichiara
olo Beni, con cui il Padovano non soltanto ribadiva il consueto topos
della
maggiore verosimiglianza della prosa, ma mostrava
on soltanto ribadiva il consueto topos della maggiore verosimiglianza
della
prosa, ma mostrava come questa, spoglia degli orp
unta una seconda, più vicina a Calepio, ossia una pagina dell’Istoria
della
volgar poesia in cui Crescimbeni faceva il punto
nni Battista Filippo Gherardelli (Giovan Mario Crescimbeni, L’istoria
della
volgar poesia, Roma, Chracas, 1698, p. 386); ques
6); questa stessa pagina sarà poi ampliata dal Fontanini (Bibliotheca
della
eloquenza italiana, t. I, Venezia, Pasquali, 1753
edra, 2005, pp. 63-104. Utile, seppur datato, in merito allo sviluppo
della
tragedia in prosa nel Cinquecento, Ferdinando Ner
osserva come le precedenti discussioni in merito all’uso del verso o
della
prosa in tragedia vertessero principalmente sui p
l verso o della prosa in tragedia vertessero principalmente sui passi
della
Poetica di Aristotele già accennati (cfr. Giunta.
1), mentre il suo giudizio procederebbe esclusivamente dall’esercizio
della
ragione rivendicata come criterio-guida del Parag
tro anche in questo caso a Calepio di ribadire un elemento importante
della
propria poetica, ossia la necessità del linguaggi
erché indi nasce tutto l’orrore e la compassione, il quale è il nervo
della
favola; et si dee ciò aggrandire con ogni maniera
seduta dell’Académie Française nel 1730, è incentrata sul panegirico
della
prosa a detrimento delle costrizioni imposte dall
ione critica italiana contemporanea, unanime nel condannare l’impiego
della
prosa in tragedia. Lo stesso argomento della «mer
nel condannare l’impiego della prosa in tragedia. Lo stesso argomento
della
«meraviglia» del verso parrebbe riprendere propri
i in verso, portando per forza con esso seco il verso, lo «nalzamento
della
voce, senza che altri paia sordo o pazzo. Laonde
Laterza, 1973, pp. 542-543). Calepio ammette a sua volta che in nome
della
verosimiglianza non si può dimenticare il fatto c
nstatato che il meccanismo di finzione che reggeva l’intera struttura
della
rappresentazione era ben noto agli astanti («Non
a di quell’ornato estrinseco alla posa drammatica e dell’affettazione
della
rima, il che ovviamente, non implica una rinuncia
, p. 97), e sottoscritte dal Giraldi (cfr. Giunta.12). Sullo sviluppo
della
discussione in merito al prospetto metrico della
.12). Sullo sviluppo della discussione in merito al prospetto metrico
della
tragedia e alla capacità dei versi di esprimere g
mologa condanna alla rima in Paragone VII, 4. Tuttavia l’eliminazione
della
rima non comporta, nella sua poetica, un cediment
La Motte, «Quatrième discours… », cit., p. 679): questo accrescimento
della
platea dei drammaturghi secondo Calepio avrebbe p
ievi allo svolgimento dell’azione e in particolare nella ripartizione
della
favola che mette in scena l’episodio tratto dal s
ttenere vendetta, Calepio scorgeva probabilmente il vertice commotivo
della
rappresentazione, destinata poi nel prosieguo a l
fferma che la presenza dell’autore, intento ad accomodare l’andamento
della
favola per potenziare l’effetto patetico si scorg
tati sono quelli di Antiochus, in cui si dice preoccupato per la fuga
della
favorita Antigone con Misaël (Antoine Houdar de L
e il drammaturgo aveva provveduto, nel Discours preposto all’edizione
della
pièce, a difendersi da tale rimprovero, affermand
one del paragrafo — ma taccia l’autore francese di non essere esperto
della
filosofia amorosa; a suo dire infatti, l’amore di
iglianza da parte di Calepio è diretto in questo caso ad un passaggio
della
scena seconda del secondo atto, quando Tatius, a
gédie, tome II, Paris, Dupuis, 1730, p. 146). Neppure la preparazione
della
scena dirimente, nel dialogo fra i traditori Proc
Champion, 2002, pp. 623-629). Da parte sua, pur riconoscendo i meriti
della
tragedia, imperniata su di una protagonista estre
vo e distoglierebbe l’attenzione del pubblico dalle vicende patetiche
della
protagonista. [Giunta.23] Un altro personaggio s
gio secondario dell’Inès a cui è riservato troppo spazio, a discapito
della
protagonista, sarebbe Constance, figlia della reg
ppo spazio, a discapito della protagonista, sarebbe Constance, figlia
della
regina e destinata a sposare Dom Pèdre, ma rifiut
, 8; IV, 7-8; V, 1). Calepio registra poi delle pecche nella condotta
della
favola, ancora una volta macchinosa in certi pass
Béatrice Guion, Paris, H. Champion, 2002, p. 669). Un altro problema
della
favola del de La Motte starebbe, secondo Calepio,
ati dal Francese, contra historiam, come troppo benigni nei confronti
della
memoria del padre. 1. Una prima riscoperta d
i nei confronti della memoria del padre. 1. Una prima riscoperta
della
figura di Calepio e del Paragone aveva luogo nel
dmer (Rinaldo Boldini, Gian Giacomo Bodmer e Pietro Calepio. Incontro
della
«Scuola svizzera» con il pensiero estetico italia
olo «La risposta del Calepio alle Riflessioni del Maffei sul Paragone
della
poesia tragica», La Rassegna della letteratura it
iflessioni del Maffei sul Paragone della poesia tragica», La Rassegna
della
letteratura italiana, LXXVI (1972), 1, pp. 53-70;
le per la definizione di questa relazione, ma in genere per la storia
della
critica teatrale settecentesca è il volume Scipio
ata ai gusti del pubblico teatrale; quello di Enrico Mattioda (Teorie
della
tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, in
iche ed estetiche del Paragone e delle Lettere al Bodmer nel contesto
della
teoria drammaturgica europea del Settecento; quel
to, fino ad allora completamente trascurato, fra Calepio e i classici
della
tragedia francese del Seicento (Le passioni evide
do delle risorse straordinarie e dell’ambiente di lavoro insuperabile
della
Bibliothèque Nationale de France e delle altre bi
Scattola, Dalla virtù alla scienza: la fondazione e la trasformazione
della
scienza politica nell’età moderna, Milano, Franco
iscono il loro ambito di comunicazione ovvero la comunità all’interno
della
quale operano perché i loro componenti si riconos
bibliothek Zürich, Ms. Bodmer 39.26. Ringrazio vivamente il personale
della
biblioteca, ed in particolare il dott. Rainer Wal
0. Nella Poetica, parte 3, particella 15. 31. Discorso I. 32. Esame
della
Teodora. 33. Discorso II. 34. Discorso II. 35.
lessandro, atto 2, scena 5. 42. Discorsi Poetici. 43. Nel Trattato
della
Tragedia. 44. Nella tragedia di Lodevico Martell
la Tragedia. 44. Nella tragedia di Lodevico Martelli. 45. Nel libro
della
Repubblica, dialogo 10. 46. Favola 251. 47. Lib
le naturali espressioni necessaria alla tragedia per la conservazione
della
sua dignità, per non avere avvertito ch’ella dipe
so. 133. Dissertation sur l’Iliade. 134. Nel tomo 2. 135. In fine
della
Dissertazione sopra l’Iliade. 136. Canto 20, sta
Capitolo quarto Origine
della
musica profana. Stranieri venuti in Italia ad ill
cra ebbe la sua origine, ed accrescimento in Italia, non così avvenne
della
profana. La religione e il desiderio di render vi
verno de’ loro sovrani, e alla galanteria, e il lusso di alcune corti
della
Francia meridionale diedero origine a certe tribù
loro moglie e dai loro figliuoli, a imitazione degli antichi Rapsodi
della
Grecia, o (ciò che sembra più verosimile) come un
o che sempre hanno avuto i poeti , ovunque la poesia non è il veicolo
della
morale né lo strumento della legislazione, ma un
eti , ovunque la poesia non è il veicolo della morale né lo strumento
della
legislazione, ma un passatempo ozioso, che non co
ero merito, e che avvezzi a non pregiare altro fuorché le distinzioni
della
fortuna, riguardano l’uomo di talento come un pap
liosi per sistema non conoscevano altro merito al mondo se non quello
della
nobiltà, né altro mestiere fuorché la guerra. Sen
entata dagli usi politici per nasconder agli occhi loro il sentimento
della
propria dipendenza, non poteano far a meno di non
n amore, i quali noi credevamo non potersi trovare fuorché nei secoli
della
corruzione. Testimon ne sia la crudele massima en
i, ove insieme colla maniera loro di poetare e colle prime rozze idee
della
drammatica e del ballo in azione introdussero anc
sque, lyrisque sonant haec» apparisce, che gli Italiani facevano uso
della
musica strumentale profana fin dai tempi della fa
Italiani facevano uso della musica strumentale profana fin dai tempi
della
famosa Contessa Matilde. Ma la gloria d’avere i p
i primi adoperata. [5] Cade non per tanto da se medesima l’asserzione
della
massima parte degli scrittori francesi, i quali d
influenza letteraria e scientifica di que’ conquistatori sul restante
della
Europa sia stata con gran corredo d’erudizione da
te io non mi crederei in istato di poterne cavar conseguenza in favor
della
prima. Rispetto alla musica, l’Italia nel suo Gui
vesser gli arabi in cotai cangiamenti. Rispetto alla poesia, l’indole
della
provenzale tutta fievole e cascante di vezzi è ta
la, di Mirza, de’ sultani, delle sultane o dei califfi non mai. L’uso
della
rima, la tessitura de’ versi, la proporzione fra
o la comunicazion vicendevole; se il genio che riscaldò gli abitatori
della
fervida Arabia, presso ai quali la vita umana si
la fervida Arabia, presso ai quali la vita umana si chiamava l’«istmo
della
eternità»; dove la candidezza di un seno sprigion
ato dal carcere, dove lo nasconde il pudore, si paragonava al chiaror
della
luna, allorché per metà si mostra fuori dalle nuv
o d’una bella quando sospira alla fragranza aromatica, che dai boschi
della
Idumea schiude il vento Imperador dei deserti, l’
zioni europee si trova la ragion sufficiente dell’origine e progressi
della
musica e della poesia moderna, io dimando perdono
i trova la ragion sufficiente dell’origine e progressi della musica e
della
poesia moderna, io dimando perdono ai fautori deg
suo cerimoniale amatorio. Il poeta dovea sortire per accidente fuori
della
città, dovea per accidente scontrarsi in un amabi
i loro sintomi amorosi come i piloti presentano al capitano il diario
della
navigazione. La delicatezza non per tanto che sco
i giuochi dell’ingegno, non la spontaneità, né la verace espressione
della
natura. [9] D’un genere non molto diverso era la
ento e perfezione di quel genere di poesia, converrà dire che il ramo
della
ragione poetica coltivata dai provenzali, indi tr
che ne dicano in contrario gli idolatri dell’antichità, e gli armenti
della
filosofia che si pascolano negli orti d’Epicuro,
ezza licenziosa che dalla corte papale d’Avignone e dalle altre città
della
Francia, erasi rapidamente propagata pell’Italia,
a general corruttela avea tarpate le ali dell’entusiasmo, come quelle
della
virtù; perché la poesia fu riguardata soltanto co
due arti il vantaggio che sarebbe stato facile il ricavare in favore
della
religione, mal potendosi eccitar l’entusiasmo rel
aliani d’allora non potevano eccitar né l’uno né l’altro per l’indole
della
loro lingua troppo fiacca per inalzarsi alla subl
a sublimità de’ Greci e degli orientali, e per le circostanze altresì
della
loro nazione troppo divisa perché lo spirito di p
o se un Orfeo fosse venuto colla lira in mano in mezzo agli abitatori
della
moderna Roma per richiamare al loro spirito le sp
unziando non per tanto alla speranza di trovar in quei tempi l’unione
della
musica e della poesia diretta al gran fine legisl
r tanto alla speranza di trovar in quei tempi l’unione della musica e
della
poesia diretta al gran fine legislativo e politic
i armoniosi e gradevoli. L’allegrezza dunque e l’amore, gemelli figli
della
fisica sensibilità, dovettero essere le primitive
figli della fisica sensibilità, dovettero essere le primitive cagioni
della
unione di codeste arti gentili. Così i più antich
mente si scorge essere stati cotai componimenti un prodotto piuttosto
della
imitazione, che una libera ed espontanea emanazio
tivo dei primi giorni di maggio, tempo in cui per celebrar il ritorno
della
primavera erano soliti gli amanti a piantare in f
due strofi, affinchè il lettore avverta di mano in mano ai progressi
della
poesia musicale: «Trinke got è Malvasia:
e italiano l’aurora del miglior gusto nella musica, il novello raggio
della
quale si spiccò da un popolo che faceva professio
muse si ricoverarono nella Italia portando seco i preziosi frammenti
della
greca letteratura. La prosperità figlia della pac
co i preziosi frammenti della greca letteratura. La prosperità figlia
della
pace e dell’abbondanza, il desiderio d’ogni sorta
to nel principio d’ogni atto una ottava d’argomento diverso da quello
della
farsa la quale poi si cantava al suono di lira da
i, non hanno a far altro che consultar la testimonianza irrefragabile
della
Storia. Potrei citare Filippo di Comines, che lo
anno 1567. «Questi sono (dice, parlando de’ Fiaminghi) i veri maestri
della
musica, e quelli che l’hanno restaurata e ridotta
i francesi dimoranti allora in Italia si trovano raccolti da Girolamo
della
Casa, udinese, e proposti per modello d’imitazion
i stromenti. [23] Italiano è pure il Morigi, e interessato nelle lodi
della
sua patria, del quale però eccone le parole tratt
tria, del quale però eccone le parole tratte dal suo libro assai noto
della
nobiltà milanese, ove parla di Galeazzo Sforza Du
mese (ch’ora sarebbero più di dugento) posciachè molto si compiaceva
della
musica, nella quali era intelligentissimo.» 44 Qu
papi, e grande autorità presero nella Cappella Pontificia, i soprani
della
quale fino a’ tempi di Girolamo Rosini, perugino,
e le inconseguenze. Il temperamento ch’egli propose nel suo trattato
della
musica divenuto rarissimo, comechè a fiera tenzon
lingua spagnuola l’anno 166947 così per un destino che sembra proprio
della
nostra nazione, mentre si cerca vanamente in Germ
i tali materie Zarlino, Vincenzo Galilei e Giambattista Doni. Tommaso
della
Vittoria nativo d’Avila illustrò anch’egli moltis
go Lorenzo, Francesco di Priora, Diego Vazquez di Cuenca, Bartolommeo
della
corte Aragonese, Antonio Carleval, Girolamo di Na
se, Antonio Carleval, Girolamo di Navarra, Pietro di Montoya, Abraamo
della
Zerda, e tanti altri che più assai ne troverrebbe
enzo Galilei, e di Giambattista Doni. [25] Fu dunque l’eccedente amor
della
patria (il più lodevole fra gli eccessi quando no
o dalla giustizia) che mosse il Cavaglier Tiraboschi a dire, parlando
della
musica, che «agli Italiani del secolo decimosesto
iore assai, che mai non avesse in addietro» 49. Se l’illustre storico
della
letteratura Italiana, che tant’onore ha recato al
tra essi e gl’Italiani meritevolmente divisa50. [26] Il rinascimento
della
poesia teatrale e la perfezione ove giunsero le a
d’accrescer lustro e magnificenza alle feste loro si prevalsero a ciò
della
unione delle tre arti. Allora si sentì sulla scen
incipio erano madrigali cantati a più voci ora allusivi all’argomento
della
favola, ora di sentimento diverso. Ben presto per
ta del Serpente. Le vicine piante erano abbattute dei replicati colpi
della
tortuosa coda, e macchiate da livida schiuma all’
del bosco, i quali, credendosi sicuri per non veder il serpente fuori
della
grotta, cantavano alternativamente al suono de’ v
il pianto nostro.» [29] Finito ch’ebbero il canto, ecco verso l’orlo
della
caverna il serpente apparire, alla vista del qual
roso Dio! O dio chiaro e Sovrano! Ecco il Serpente rio Spoglia giacer
della
tua invita mano: Morta è l’orribil fera. Venite a
coltura avesse ringentilito lo spirito. Il risorgimento benché lento
della
pittura, il commercio che vivifica le arti, onde
conosciuti, e che toccava a lui solo prevalersi del vero e del finto,
della
natura e dell’arte, degli esseri animati e degli
ri, e cantò a solo una spezie di recitativo che conteneva il racconto
della
sua avventura con Apolline pastore allora del re
acia in mezzo all’udienza) sulle cime dell’Appenino la morte immatura
della
mia Euridice. La fama m’ha fatto intendere l’avve
replicati balletti di trionfo al giovine sposo. [35] La seconda parte
della
festa conteneva uno spettacolo non meno singolare
li d’argento pieni di siffatti uccelli. Dall’altra si vedeva Ebe, Dea
della
giovinezza, che in preciose bottiglie recava il n
narono con un gran ballo composto di dei marittimi e di tutti i fiumi
della
Lombardia, che portavano i pesci più squisiti, es
patra vennero fuori per interromperla cantando ciascuna i traviamenti
della
sua passione, e le seduzioni dell’amore. Sdegnata
re Ulisse Aldrobrandi, che fin dall’anno 1564 si cantasse nel palazzo
della
nobilissima Casa Bentivoglio un dramma intitolato
della nobilissima Casa Bentivoglio un dramma intitolato l’Incostanza
della
fortuna. Ma l’autore di questo libricciuolo, il q
erzione. Anche il Brown, inglese, nella sua dissertazione sull’unione
della
musica e della poesia, citando la storia del teat
il Brown, inglese, nella sua dissertazione sull’unione della musica e
della
poesia, citando la storia del teatro italiano di
compiaciuto di scrivere intorno a me alla pagina 48 del secondo Tomo
della
citata opera. A due generi egli riduce le sue acc
revemente questi due punti, e chiedo scusa al dotto e pregiato autore
della
necessità, in cui mi mette egli stesso di tratten
idursi, come si trovano dalla pagina 299 fino alla 315 del primo Tomo
della
edizione di Parma nel capitolo duodecimo. I. «I f
fatti. Non una, ma più volte si trova nelle poesie provenzali notizia
della
storia antica e della greca mitologia. Il nome d’
volte si trova nelle poesie provenzali notizia della storia antica e
della
greca mitologia. Il nome d’Alessandro il Grande s
acheiras fa menzione altresì di Piramo e Tisbe, Bernardo di Ventadour
della
lancia d’Achille, e Tibaldo re di Navarra di Eco
li arabi non può non pertanto formare una ragione esclusiva in favore
della
loro influenza sui provenzali. IV. «Famose sono l
go tempo. Il Brown nel suo bel libro sull’unione, forza e separazione
della
musica e della poesia racconta nella sezione otta
own nel suo bel libro sull’unione, forza e separazione della musica e
della
poesia racconta nella sezione ottava, che verso l
di rinforzo, e il numero o ritmo proporzionato all’indole e pronunzia
della
lingua. VI. «Molti princìpi presso agli arabi seg
nesi, che dovrò citare fra poco, si leggono i versi d’Araldo principe
della
Norvegia. Il Nicolson nella prefazione alla Bibli
tora composto da uno di essi. Fohi il primo, o tra i primi Imperatori
della
China fu musico e poeta, e inventò molte cose in
ico-norvego-islandico-scoto-peruviano-chinese. Lo stesso si deve dire
della
stima, favore e accoglienza, che presso ai signor
i antichi tedeschi Minnesanger, e i peruviani Amautas. Nel primo tomo
della
storia filosofica e politica di Raynal, si legge,
a e politica di Raynal, si legge, che nel codice antico delle leggi e
della
religione indiana conservato con tanta gelosia da
di far venire cotal invenzione dalla fiera d’Alocad, o dalle osterie
della
Granata arabo-ispana. Ma la ragione è chiarissima
sime, da rapporti inadeguati, da relazioni applicabili a cento popoli
della
terra, e per conseguenza non valevoli per niun po
o perciò il Signor Abbate Andres circa la sua pretesa arabica origine
della
musica europea? Guido Aretino vide forse i manosc
usico? Furono essi trasportati da Babilonia o da Spagna nel monistero
della
Pomposa? Quel monaco intendeva la lingua araba? S
rta sarebbe stata la spada d’Alessandro, che avrebbe troncato il nodo
della
controversia, non la sottile osservazione d’un pi
zi.» Dissi, ed ora lo torno a dire dopo nuovo esame, che il carattere
della
poesia provenzale massimamente negli argomenti am
li il Signor Abbate inalza la sua fabbrica rovinosa. V. «Nè che l’uso
della
rima era conosciuto egualmente da normanni, da go
dagli arabi dominatori.» Che da molte nazioni fosse conosciuto l’uso
della
rima non può negarsi se non da chi voglia negare
quella delle altre poesie armoniche benché accomodata alla pronunzia
della
propria lingua e con quelle variazioni, che sono
a e con quelle variazioni, che sono comuni ai metri di tutti i popoli
della
terra. Veramente mi sorprende tal obbiezione in b
re sovra un seggio elevato, e ber la cervogia gioiosamente con le Dee
della
morte. Le ore della mia vita sono già scorse. Io
levato, e ber la cervogia gioiosamente con le Dee della morte. Le ore
della
mia vita sono già scorse. Io muoio con un sorriso
fanno sul vero autore de versi aurei di Pitagora, degl’inni d’Orfeo,
della
batracomiomachia d’Omero, e d’altri simili rottam
nni d’Orfeo, della batracomiomachia d’Omero, e d’altri simili rottami
della
greca letteratura, non sono una pruova che realme
88 del suo secondo tomo, entra di proposito a spiegate il meccanismo
della
versificazione settentrionale, ne adduce egli ste
gazione non può a meno di non sorprendere. VIII. «Dove trovar notizie
della
poesia gotica, che abbiano una qualche certezza?»
della poesia gotica, che abbiano una qualche certezza?» Nei monumenti
della
mitologia e della poesia dei Celti, e nella Intro
a, che abbiano una qualche certezza?» Nei monumenti della mitologia e
della
poesia dei Celti, e nella Introduzione alla stori
matica anglosassonica, e mesogotica dello stesso autore, nel trattato
della
Letteratura Runica d’Olao Wormio, nella dissertaz
nternarsi nella notizia di quei secoli oscuri, né esaminare la storia
della
musica e della poesia di quella età.» Quanto ho d
notizia di quei secoli oscuri, né esaminare la storia della musica e
della
poesia di quella età.» Quanto ho detto nel terzo
o ho detto nel terzo e quarto capitolo di questo Tomo circa l’origine
della
musica sacra e profana in Italia, l’esame fatto d
a materia, quanto esigeva, e forse più di quello che esigeva l’indole
della
mia opera. Confesserò bensì, che stimandomi, qual
osato addossarmi la più ch’erculea fatica di trattare delle scienze e
della
letteratura d’ogni età, d’ogni clima e d’ogni naz
esimo pubblico deciderà poi se meglio di me abbia esaminata la storia
della
musica e della poesia di quella età il Signor Abb
deciderà poi se meglio di me abbia esaminata la storia della musica e
della
poesia di quella età il Signor Abbate, il quale,
on tanto impegno, e che forma uno dei rami più curiosi e più illustri
della
loro gloria nelle arti di genio) di darci per ogn
ando su questi validissimi e decisivi argomenti, il grandioso sistema
della
loro influenza sul resto dell’Europa, come se gli
concludenti ch’egli avrebbe potuto e dovuto fare relative alla natura
della
gamma degli arabi paragonata colla nostra, alla d
fferenza e divisione de’ tuoni, alle regole del loro canto, al genere
della
loro melodia, s’eglino conoscessero, o no, il nos
che non coll’europea, non si sarebbe affrettato a farla divenir madre
della
provenzale, non si sarebbe appagato di fiacchi e
nta dalla provenzale.» Il Signor Abbate è pregato a indicarmi i passi
della
mia opera, e a citarmi le pagine, dov’io mostro c
i, che oltre l’unica da lui citata indicai alle pagine 146, 147 e 148
della
prima edizione, e che si leggono ancora nella pre
apporti applicabili a molti altri popoli, e dal trovarsi nella storia
della
letteratura europea la ragion sufficiente del nas
che nella metafisica. Chi avesse la brillante imaginazione dell’autor
della
Enrriade paragonerebbe codesti facitori d’ipotesi
e, che trovo introdotta la musica strumentale in Italia fin dai tempi
della
Contessa Matilde, cioè più d’un secolo prima dell
alia fin dai tempi della Contessa Matilde, cioè più d’un secolo prima
della
battaglia di Cortenova, che parlo fin d’allora di
ora di timpani, di cetere, di stive, e di lire, e che alla pagina 150
della
prima edizione ne cito in conferma un verso dell’
. [NdA] Lib. 6. c. 36 45. [NdA] Pag. 189. 46. [NdA] Martini, Storia
della
Musica Tomo I. 47. [NdA] Il libro ha per titolo:
ia della Musica Tomo I. 47. [NdA] Il libro ha per titolo: Arte nueva
della
musica inventada per San Gregorio, desconsertada
il celebre Monsignor Giovanni Caramuel. 48. [NdA] Saggio Apologetico
della
letteratura spagnuola ec. Pagina 2 Tomo 2. 49. [
co della letteratura spagnuola ec. Pagina 2 Tomo 2. 49. [NdA] Storia
della
letteratura italiana Tomo 8, pagina 200, Edizione
prendeva cinque parti. I. Un preludio di guerra. II. Il cominciamento
della
tenzone. III. La tenzone. IV. Un canto di vittori
lio Polluce. Da simili giostre armoniche ebbe principio la corruttela
della
musica greca. 52. [NdA] In Nuptiis Ducium Mediol
Capitolo nono Secol d’oro
della
musica italiana. Progressi della melodia. Valenti
Capitolo nono Secol d’oro della musica italiana. Progressi
della
melodia. Valenti compositori italiani. Scuole cel
o aspetto, perché tosto faccia nascer vaghezza di sé. Ecco il momento
della
rivoluzione. I poeticominciarono a conoscere che
a in fatti è la sola che fa che la musica divenghi un’arte imitatrice
della
natura, esprimendo colla varia successione de’ tu
i urli delle Furie e il sorriso delle Grazie, la maestà e il silenzio
della
notte, o l’allegrezza d’un meriggio rischiarato d
l’allegrezza d’un meriggio rischiarato dal sole. Essa è l’unica parte
della
musica che cagioni degli effetti morali nel cuor
ittura e la poesia, quella al giudizio degli occhi, e questa a quella
della
immaginazione. [4] Tutto ciò non può ottenersi da
é può avere una influenza notabile sugli affetti, che è il vero scopo
della
musica teatrale. Nella stessa maniera che le sole
scopo della musica teatrale. Nella stessa maniera che le sole regole
della
grammatica faranno bensì un discorso pura e regol
ell’armonia, parte levando a quelli che restano il mezzo più possente
della
espressione, che è quello di parlar all’anima nos
niun effetto cagionano senza il disegno che è lo spirito vivificante
della
pittura, così la combinazione de’ suoni nulla gio
de nostri sentimenti rinovellato alla memoria per mezzo del canto, o
della
sinfonia: ecco l’unica via d’intenerirci, di smuo
e nei diletti, e creato al paro di lui dalla natura per fruir l’aura
della
vita, e per godere le delizie dell’universo. [5]
nventando il basso continuo, così chiamato perché dura tutto il tempo
della
composizione, inventò parimenti con siffatto mezz
ttissima à farne spiccar maggiormente le progressioni del movimento e
della
misura. Con tali preparativi la declamazion music
ramente alle macchine e alle decorazioni badava poco alla dilicatezza
della
composizione, come perché la poesia dei drammi co
a perdere il suo pregio, anche al lavoro delle note. Ma il vero stile
della
declamazion musicale si riconobbe più distintamen
ato dal grandissimo ingegno onde avealo fornita la natura, il corifeo
della
Francia. Lo che egli fece imitando la musica sacr
cui non si conserva la memoria se non per le rovine che ci attestano
della
strage; laddove quella de’ principi che proteggon
imogenita del bosco, riverita da’ pastori e abitata da’ numi, ai rami
della
quale appendevano corone di fiori le ninfe, e i c
ia, alle volte genera l’eroismo, ma che divien necessaria in mancanza
della
virtù per far germogliar i talenti e per sollecit
uali sebben provino, allorché sono eseguiti esattamente, la ricchezza
della
nostra armonia e l’abilità del maestro, nondimeno
dell’uditore, nel rinforzar il motivo dominante, ovvero sia il canto
della
parte principale con quello di ciascuna in partic
alla orchestra, e pel patetico di cui abbonda, è lavoro pregiatissimo
della
musica drammatica. L’ultimo atto della Didone abb
bbonda, è lavoro pregiatissimo della musica drammatica. L’ultimo atto
della
Didone abbandonata modulato in gran parte da lui
el suo stile, per la verità dell’affetto, per la naturalezza e vigore
della
espressione, per l’aggiustatezza ed unità del dis
del disegno onde vien meritamente chiamato il Raffaello e il Virgilio
della
musica. Simile al primo egli non ebbe altra guida
pettata rivoluzione negli orecchi de’ Francesi troppo restii in favor
della
musica italiana. Niuno meglio di lui ha saputo ot
dato più calore e più vita ai duetti, questa parte così interessante
della
musica teatrale. Di che possono far fede l’inimit
gacle e di Aristea nell’Olimpiade, e il lo conosco a quegli occhietti
della
Serva padrona, modelli entrambi di gusto il più p
occorre il farne individualmente menzione. [11] Come al rattiepidirsi
della
stagione nella primavera, il calore, che penetra
rsi della stagione nella primavera, il calore, che penetra nel centro
della
terra, va dilatandosi a poco a poco per tutti gli
mentale, la quale non è che una imitazione più o meno vaga e generica
della
musica vocale, ne prende anche essa l’indole dili
un numero assai discretto di produzioni ci abbia egli lasciate memore
della
massima di Zeussi: «Dipingo adagio perché dipingo
feriore a lui, allorché spinto da bassa e indegna gelosia si prevalse
della
grazia in cui si trovava presso alla corte di Fra
suonate a solo, le quali sono la più pregievol raccolta che ci resta
della
scuola corelliana. Ma i suoi Capricii ripieni di
ripieni di operose stranezze, e inventati soltanto per aver il vanto
della
difficoltà vinta, non dovranno servir di modello
rà chiara lungo tempo la sua memoria presso agl’intelligenti a motivo
della
sua perizia nell’imitar lo stile del suo maestro,
tribuissero assai a produrne il total affetto. Partendo dal principio
della
unità accennata di sopra, conobbero essi che esse
di diversa natura, faceva di mestieri collocar insieme gli strumenti
della
medesima spezie, acciò si accordassero meglio e c
letani, alla particolar avvedutezza de’ quali ne è debitrice l’Italia
della
sua superiorità in cotal genere. Insigne pariment
la musica. Veggasi fra le carte del Dizionario di Rousseau la pittura
della
orchestra di Dresda regolata da lui per molti ann
le, anzi a che gioverebbe la perfezione delle altre parti costitutive
della
musica, se quella, cui tutte debbono riferirsi, e
orsi per fine. La più compita, poiché imitando immediatamente i tuoni
della
umana favella, gli elementi stessi, onde si forma
possibili la più gradita al cuor dell’uomo sarà in ogni tempo quella
della
propria sensibilità e delle proprie affezioni. La
e, nella scorza dell’uomo; il canto penetra fin nell’anima, l’avverte
della
sua esistenza, ne risveglia la sua attività, e ne
pinge le sue modificazioni più intime. Quelle sono come il Pimmalione
della
favola allorché ritrae dal marmo la statua di Gal
contribuì a rinforzar vieppiù l’espressione, non già facendo strazio
della
poesia, come nel secolo passato, né aggirandosi i
uogo sui tuoni trattenuti, ove il richieda la espression del dolore o
della
tristezza, scorrendo poi leggiermente sugli altri
quelli abbellimenti soltanto, che necessari sono alla vaghezza e brio
della
voce senz’adoperarli tuttavia con prodigalità nuo
trio di chi la possiede fecondo per lo più di capricci, ma all’indole
della
natura e della passione, nell’accomodar la prosod
possiede fecondo per lo più di capricci, ma all’indole della natura e
della
passione, nell’accomodar la prosodia della lingua
all’indole della natura e della passione, nell’accomodar la prosodia
della
lingua coll’accento musicale in maniera che vi si
sia possibile l’interesse, l’illusione, e il diletto, que’ gran fonti
della
teatrale magia. [17] Secondo lo spirito dell’espo
esco Peli, come Genova quella di Giovanni Paita, l’Orfeo e il Batillo
della
Liguria. Venezia oltre gli oratori destinati con
della Liguria. Venezia oltre gli oratori destinati con gran vantaggio
della
musica alla educazione de’ cantanti ebbe il Gaspa
parini e il Lotti per capiscuole. Roma, dove la particolar esecuzione
della
musica sacra avea da lungo tempo introdotta la ne
ratellevole amicizia cogli altri uomini valenti nell’arte del suono e
della
composizione, comunicavansi a vicenda i lor senti
costume che avevano, siccome riferisce il Buontempi illustre allievo
della
scuola romana, di condurre a spasso i loro discep
e andasse ogni giorno al lido del mare affine di emendare la balbuzie
della
sua lingua col suono de’ ripercossi flutti, gli e
Seicento furono Napoli e Bologna. La prima cotanto rinomata ne’ fasti
della
moderna musica ebbe una folla di maestri, e di sc
l Rousseau, che fa menzione di lui nel suo Dizionario, dice in pruova
della
sua abilità: «che egli saliva e discendeva in un
ata. A Firenze dov’era stato chiamato, uscì lunghi per ben tre miglia
della
città numeroso stuolo di dame e di cavalieri a ri
ze. Il suo raro merito invece di renderlo «il caposcuola, e il Marini
della
moderna licenza», come a torto il chiama il Conte
a’ tempi nostri posseduto con eminenza l’accento musicale, erano pure
della
stessa scuola. [21] Di lungo tedio e di niun giov
tta e vivacemente sonora, ad un portamento di persona simile a quello
della
Giunone d’Omero seppe unire possesso grande della
ona simile a quello della Giunone d’Omero seppe unire possesso grande
della
scena, azione mirabile, espressione sorprendente
alla indigenza, e nol rimetteva in sentiero. Quest’opera dell’amore e
della
generosità merita d’essere registrata ne’ fasti p
d’ammirazione che m’ispira la tua memoria. Sì, tu vivrai negli annali
della
filosofia insieme col tuo illustre amico e protet
l’impuri vapori che s’innalzano sulla superficie delle paludi, i nomi
della
Bulgarini, e di Metastasio brilleranno fra i post
usto dell’antica Atene; la Tesi fu premiata coll’acquisto dell’ordine
della
Fedeltà e Costanza in Danimarca, e così via disco
no, suppone un uso quotidiano del teatro, una gran cognizione critica
della
storia, uno studio filosofico, analizzato e profo
ssise sul carro di Minerva ad illeggiadrire colla sua venustà le rive
della
Senna e dello Scaldi. [24] Se non che non si dee
improverare di aver voluto adombrar il vero, o recar onta alle glorie
della
loro patria. L’uno si è il signor conte Benvenuto
colti degli opuscoli di Milano 92 così si esprime, esponendo lo stato
della
musica, allorché Tartini cominciò a spuntare qual
ca, allorché Tartini cominciò a spuntare qual astro novello sul cielo
della
Italia: «Dominava ancora tra gli scrittori quel b
he alla gravità dell’antica musica ha saputo unir così bene le grazie
della
moderna, compose ancora una saporitissima critica
uasi sempre più erudito che filosofo; ma questa volta è una eccezione
della
regola. 87. [NdA] Morì di trentatré anni. Alcuni
ti ogni credenza, egli è tuttavia certo che Pergolesi fu il bersaglio
della
invidia, e che sembra essersi avverata nella sua
, che gli toccò in sorte simile alla Santippe di Socrate: invaghitosi
della
quale in Padova avea egli disgustatosi il genitor
Cagliero Emilia. Fu splendido ornamento
della
Compagnia di Giovanni Toselli, e una delle più ge
anissima, quando più le arrideva la gloria, per entrare nel santuario
della
famiglia. Non saprei far meglio che trascrivere i
sempre all’ allegria, alla risata argentina, al buon umore : al tempo
della
primiticcia compagnia dialettale di Giovanni Tose
ionava addirittura. Il suo ruolo era quello, non di prima importanza,
della
servetta. Ma che servetta ! che servetta ! ! Rico
ena, esercitava già su di me e di tutto il pubblico lo stesso fascino
della
grande artista italiana. Bastava vederla e sentir
ella cara ingenuità constituivano il più grande e più prezioso merito
della
Cagliero. E questo bel tipo di artista vera, fors
le tavole del palcoscenico. La sua rapida apparizione dinanzi ai lumi
della
ribalta è stata come una meteora luminosa che col
sarebbe certo stato proferito con lode e ammirazione accanto a quelli
della
Tessero e della Pezzana, e di altre che, stelle f
ato proferito con lode e ammirazione accanto a quelli della Tessero e
della
Pezzana, e di altre che, stelle fulgidissime, han
stavo Modena, fatta di elementi giovani, non viziati da eroi o eroine
della
scena. Giuseppe Costetti ne traccia il seguente r
a pelle bianca che è particolare alle bionde, accoglieva in sè i tipi
della
bellezza nordica e della meridionale. La bocca pi
icolare alle bionde, accoglieva in sè i tipi della bellezza nordica e
della
meridionale. La bocca piccina e le labbra di quel
mazione, quasi gelose custodi dello smalto, meravigliosamente bianco,
della
dentatura. Non ho, naturalmente, conosciuta giov
del '72 e del '73 ; e, sebben trascurata negli abbigliamenti e curva
della
persona, serbava ancor quasi intatte alcune delle
rillante. Dopo un triennio, formò Compagnia col caratterista Astolfi,
della
quale eran primo attore Giuseppe Peracchi, e bril
sse per lei Cuore ed Arte, e io stesso l’ho sentita nell’ultimo tempo
della
sua vita artistica, recitare con passione fervida
ita artistica, recitare con passione fervida la figura alta e poetica
della
Gabbriella di Teschen. A proposito del suo dar
ta che avendo ella baciato veramente Paolo nella famosa scena d’amore
della
Francesca di Pellico a' Fiorentini di Napoli, int
Capitolo decimo Miglioramento
della
poesia lirico drammatica, Quinaut in Francia prec
ramento della poesia lirico drammatica, Quinaut in Francia precursore
della
riforma. Celebri poeti fino a Metastasio. Avanzam
recursore della riforma. Celebri poeti fino a Metastasio. Avanzamenti
della
prospettiva. [1] La Francia, che avea in parte c
ivo musicale, contribuì non meno col proprio esempio al miglioramento
della
poesia drammatica. Dal tempo in cui s’introdusse
mponesse opere nella propria lingua, Cambert, primo direttor francese
della
orchestra drammatica, e Sourdiac, primo macchinis
nere di poesia sene dovesse compiacere, come infatti sene compiacque,
della
triviale e plebea rappresentazione della Pomona,
ome infatti sene compiacque, della triviale e plebea rappresentazione
della
Pomona, ove si parlava a lungo di pomi e di carci
i generi di poesia. Il suo divisamento divenne utilissimo alla gloria
della
Francia, poiché con questo mezzo si vide il parna
tro, che si chiamava opera, gli diè quella regolarità e quella forma,
della
quale niuno l’avrebbe dreduto capace. Il sistema
quella forma, della quale niuno l’avrebbe dreduto capace. Il sistema
della
mitologia e delle fate, sorgente perenne di delir
teatro italiano che sul francese acquistò fra le sue mani del vigore,
della
forza e dell’ordine. E Medea, Arcabona, Armida, M
e prime scene dell’Iside un esempio mirabile allorché Ierace si lagna
della
ninfa Io: «Vous juriez autrefois que cette onde
d’un amante, la certezza, cioè, d’essere stata l’involontaria cagione
della
morte della sua amata? Leggansi nell’atto quinto
la certezza, cioè, d’essere stata l’involontaria cagione della morte
della
sua amata? Leggansi nell’atto quinto dell’Attide
l’ha uguagliato, quando egli ha voluto, nella sublimità e nella forza
della
espressione. Sentasi in qual guisa parla un coro
tandosi i begl’ingegni d’Italia, ben presto porsero mano alla riforma
della
poesia. Appena s’incominciò a capire che il vero,
iglie inventate unicamente per sorprender l’immaginazione in mancanza
della
natura. Gli dei e i diavoli furono sbanditi dal t
le fughe, le contrafughe, i doppi, i rovesci, e tali altri riempitivi
della
musica. Le pitture nobili, le forti passioni, i c
oncisione e l’interesse che partoriscono la commozione, erano l’anima
della
poesia musicale, e che la lentezza, la monotonia,
gli fece avvertire che l’aria, essendo quasi l’epifonema o l’epilogo
della
passione, non dovea collocarsi sul principio, o t
’incominciare d’un dialogo si vedesse di già il personaggio nel colmo
della
passione per rientrar poi immediatamente nello st
dello spettatore. Restò bensì sbandita, siccome era da prima, l’unità
della
scena; unità la quale allorché divien rigorosa ri
ò che oltrepassa l’accennata regola è contrario egualmente ai dettami
della
natura, e a quelli dell’arte. Per la stessa ragio
tto del melodramma. Siffatta usanza era incompatibile colle mutazioni
della
scena, e vi voleva appunto tutta la corruzione de
a che saltava agli occhi e di approfittarsi vieppiù delle squisitezze
della
musica, le quali spiccano molto più nella monodia
un coro. Riserbandosi poi questo per alcune occasioni, dove la verità
della
storia o la pompa dello spettacolo o l’ingresso d
via nella carriera del gusto allorché sanno dirci appuntino il giorno
della
nascita e della morte, il numero e il titolo dell
ra del gusto allorché sanno dirci appuntino il giorno della nascita e
della
morte, il numero e il titolo delle opere di tanti
che quest’autore fosse il primo a volgere di tristo in lieto il fine
della
favola, ma il vero si è che l’usanza di finir lie
tica in Italia quanto il dramma stesso. Io l’ho fatto vedere parlando
della
Euridice del Rinuccini, e l’ho trovata costanteme
per questo, ma per essere stato uno de’ primi a purgar il melodramma
della
mescolanza ridicola di serio e di buffonesco, deg
atro lirico. Tra le molte imprese a cui porse mano con gran vantaggio
della
sua nazione, una fu quella di migliorare il dramm
ti costumi ond’esso veniva macchiato, e ovunque trovò nel vasto campo
della
storia, nella quale era versatissimo, esempi lumi
della storia, nella quale era versatissimo, esempi luminosi o d’amor
della
patria, o di brama virtuosa di gloria, o di costa
ico con cui Daniello annunzia l’ira tremenda dell’altissimo al popolo
della
Persia in presenza di Amiti. «Guai, Amiti, agl’i
te, Dirà il dio d’Israel; né sia chi sorga, Dal lampo
della
spada, Che strisciare su voi farà il mio
to Dio la sua voce: E
della
terra L’estremo lito
nza che passerebbe tra amena e frondosa valle veduta al languido lume
della
luna e questa stessa rischiarata da’ raggi del so
ro sia la maniera di veder le scene per angolo, condussero la scienza
della
illusione al sommo cui possa arrivare. Come il gr
ve che corrono al punto di mezzo, che sono, per così dire, il termine
della
potenza visiva e della immaginativa, fu lo stesso
di mezzo, che sono, per così dire, il termine della potenza visiva e
della
immaginativa, fu lo stesso che aprire una carrier
do Bibbiena bolognese, che grandissimo nome s’acquistò dentro e fuori
della
sua patria, e che venne meritamente chiamato il P
Bastona Marta. Figlia
della
precedente. Prima ancora del rimpasto della compa
Bastona Marta. Figlia della precedente. Prima ancora del rimpasto
della
compagnia che doveva avvenire in quaresima del ’3
opere (Ediz. Pasquali) : …. il cambiamento più rimarcabile fu quello
della
Bastona madre nella Bastona figlia, moglie di Gir
pagnia – scrive Goldoni – era salita in maggior credito per la novità
della
Bastona…. E il maggio del 1743, morta la Baccheri
E il maggio del 1743, morta la Baccherini a Genova, ella s’impossessò
della
parte della Donna di garbo, ed ebbe la soddisfazi
del 1743, morta la Baccherini a Genova, ella s’impossessò della parte
della
Donna di garbo, ed ebbe la soddisfazione di recit
mpre più il suo valore quando ebbe occasione d’esercitarsi con Silvio
della
Diana, e poi con Antonio Vitalba. Ella era assolu
non interamente matura. Secondo il barone ö Byrn (op. cit.), il nome
della
Bastona appare la prima volta in Sassonia il 3 ag
ale è detto non trattarsi che di una parodia delle più salienti scene
della
Didone e Semiramide e altre opere del Metastasio.
lla prosperità del Teatro, in cui è uno schizzo critico sugli artisti
della
commedia, che il lettore troverà al nome di ciasc
studio del Byrn non è alcun cenno che riguardi la pensione e la morte
della
Bastona : solo vi si trova un cenno della pension
ardi la pensione e la morte della Bastona : solo vi si trova un cenno
della
pensione del marito, Gerolamo Focher, nel 1763 ci
Bartoli, era già morta. Il 26 febbraio del 1756, la rappresentazione
della
Vedova scaltra fu l’ultima dei comici italiani a
Capitolo secondo Ricerche sull’attitudine
della
lingua italiana per la musica dedotte dalla sua f
ortantissima nella storia dello spirito umano, ma come tutte le altre
della
metafisica, coperta di nebbia foltissima, ove la
te dal volgo a’ tempi de’ Latini, o se tutto debbasi al corrompimento
della
romana favella dopo le invasioni de’ barbari. Las
e’ barbari. Lascio finalmente agli altri le liti circa l’introduzione
della
rima nella poesia moderna, quantunque molte cose
d’ogni altra cosa ha contribuito all’incremento di essa, ai progressi
della
poesia drammatica, e allo splendore di codesto le
la poesia drammatica, e allo splendore di codesto leggiadrissimo ramo
della
italiana letteratura. Il che tanto più volentieri
r canale, che si chiama trachea, indi assottigliandosi per la fessura
della
glottide, e nella cavità della bocca ripercuotend
, indi assottigliandosi per la fessura della glottide, e nella cavità
della
bocca ripercuotendosi, esce poi dalle labbra form
forma le lettere vocali, e consiste nella maggiore o minore apertura
della
bocca nel proferir certi suoni, rimanendo le labb
enza toccarsi insieme: dalla qual permanenza ne siegue, che il riposo
della
voce ne’ detti suoni non meno die gli alzamenti,
, che forma le lettere consonanti, si fa, qualora passando gli organi
della
bocca dalla loro posizione fissa ad un’altra mome
roposito più ampiamente discorso in un saggio filosofico sull’origine
della
espressione poetica, e musicale, che da chi scriv
onti maggior numero di vocali, perché facendosi in esse le permanenze
della
voce, sarà maggiore il numero delle intonazioni,
ù spedito, e corrente, perché ciò contribuisce non meno alla dolcezza
della
lingua, che all’agevole collocazione delle note.
della lingua, che all’agevole collocazione delle note. [4] Ma i suoni
della
voce sono incommensurabili, vale a dire, non si d
azioni diverse da quelle del parlar comune induce negli organi fisici
della
voce? Io lascio volentieri agli altri questa rice
dalla voce pei seguenti caratteri. Primo: per un certo ondeggiamento
della
laringe, ovvero sia della sommità dell’organo des
aratteri. Primo: per un certo ondeggiamento della laringe, ovvero sia
della
sommità dell’organo destinato alla respirazione,
diversi tuoni. Secondo: per le oscillazioni reciproche dei ligamenti
della
glottide, i quali or s’increspano, or si rallenta
cali ne’ diversi toni grave ed acuto. Terzo: per la volontaria dimora
della
voce nelle rispettive vocali del discorso secondo
rché nascendo cotal difetto da troppo aspra percussione nell’apertura
della
glottide, siffatto percuotimento nuoce alla nette
a nasale, perché facendosi una risuonanza troppo confusa nella cavità
della
bocca, e delle narici, il suono s’offusca, e l’ac
la bocca, e delle narici, il suono s’offusca, e l’accento perde molto
della
sua chiarezza. Debbe altresì esser priva di silla
enisola. né sono molto lontano dal credere, che se di comune consenso
della
nazione sene facesse una scelta giudiziosa di sif
delle vocali, e per la prestezza nel profferirle atto all’espressione
della
voluttà: ora la chiarezza e sonorità del romano,
i in contrario Dante, o chiunque sia l’autore dell’antichissimo libro
della
volgare eloquenza) il genovese, il romagnuolo, il
dando alle parole una certa asprezza e gravità, ora colla inversione
della
sintassi i della quale parleremo tra poco. Si par
e una certa asprezza e gravità, ora colla inversione della sintassi i
della
quale parleremo tra poco. Si paragoni colle prece
Tasso: «Chiama gli abitator dell’ombre eterne Il rauco suon
della
tartarea tromba, Treman le spaziose atre
a dell’oggetto, che esprimono: l’una e l’altra dipende dalla prosodia
della
lingua non meno che dalla cadenza ritmica del per
na distanza tra il piano, e il forte, e tra le variazioni, e le pause
della
voce. Le lingue e le poesie più perfette sono que
qualità eccellenti, non sono in questa parte paragonabili all’autore
della
Gerusalemme. Il vivace e pittoresco Signor Abate
eterne» del Tasso non recansi in mezzo a provare la robusta asprezza
della
lingua italiana tante altre stanze dell’Ariosto r
eucio, l’anapesto e il giambo15. [14] Da ciò ne siegue che la melodia
della
lingua e del canto italiano è la più viva e sensi
bile di quante si conoscano, perocché traendo questa nobilisima parte
della
musica da sua origine, e la sua forza dalla imita
ua sarà più abbondevole e varia in questo genere, perché l’imitazione
della
natura diverrà più perfetta. Che se alcun m’oppon
ssai diverso da quello, e che in questo è riposto il principio ascoso
della
melodia, io rispondo che l’accento prosodiaco il
o prosodiaco il naturale necessariamente conseguita, poiché le regole
della
pronunzia nel proferire le sillabe non si sono al
he il dire che la musica strumentale ha fondamenti contrari o diversi
della
vocale. Ogni lingua dunque, la quale sarà dovizio
ca del recitativo italiano, poiché le moltiplici e variate poggiature
della
voce cagionate dagli accenti, siccome avvicinano
alianiser, avvicinandola alla declamazione17. [16] Un altro vantaggio
della
lingua italiana per l’oratoria, la musica e la po
incipali ornamenti. Ma dico bensì che la lingua che avrà il vantaggio
della
trasposizione farà in uguali circostanze progress
ll’orecchio, poiché mentre il sentimento dei versi è completo, quello
della
musica, che va poco a poco spiegandosi, non finis
ora rimarrebbe adirsi intorno agli altri pregi dell’italiana favella,
della
evidenza delle sue frasi imitative, delle quali s
si imitative, delle quali si trovano esempi maravigliosi negl’autori,
della
ricchezza determini cagionata dal gran numero di
cagionata dal gran numero di dialetti, che sono concorsi a formarla,
della
sua varietà nata appunto dalla ricchezza e moltip
portuna quelli per lo stile ditirambico, questi per l’anacreontico, e
della
pieghevolezza che in lei nasce dal concorso di qu
ti gli oggetti, e come divenghi lo strumento egualmente dallo spirito
della
fantasia, e degli affetti. Ma assai si è detto on
ale fanno una musica molto sgradevole», quando le principali bellezze
della
musica italiana nascono appunto da queste: «Che l
etersi dal latino parlare o dal settentrionale, ma dai rottami ancora
della
lingua italica primitiva anteriore alla latina, e
a Gregorio Sarisberiense, che fioriva verso il 1170. [19] La seconda,
della
immaginazione pronta e vivace, che tanto influisc
quale fra le molte modificazioni degli organi destinati all’esercizio
della
parola trova subito quelle, che alla maniera loro
ee per ogni verso cercar d’imitare, e al quale la melodia è debitrice
della
sua possanza. [20] Un’altra ragione potrebbe addu
a fomentarlo, la tendenza al piacere, che da tai radici germoglia, e
della
quale la storia italiana ci somministra esempi so
stile, e la poesia. Così fecero Petrarca, e Bocaccio, prime sorgenti
della
mollezza della loro lingua come Dante fu il primo
esia. Così fecero Petrarca, e Bocaccio, prime sorgenti della mollezza
della
loro lingua come Dante fu il primo ad aggiugner l
ndo una gioventù frivola e degradata sagrifica alle insidiose tiranne
della
loro libertà insiem col tempo che perde anche i t
rsi applaudire da un pubblico ignorante o avvilito: quando i capricci
della
moda, della quale seggono esse giudici inappellab
re da un pubblico ignorante o avvilito: quando i capricci della moda,
della
quale seggono esse giudici inappellabili, mescola
e, Tomo 5. p. 44. 14. [NdA] Veggasi L’Origine, progresso e decadenza
della
musica, di D. Antonio Eximeno, libro 2. capitolo
d’Ariste et d’Eugénie, Dialogue 2. 19. [NdA] Si permetta all’amore
della
verità e della patria soggiungere due parole into
Eugénie, Dialogue 2. 19. [NdA] Si permetta all’amore della verità e
della
patria soggiungere due parole intorno al pregiudi
ione, nel quale si proverebbe ad evidenza: Che la pronunzia gutturale
della
nostra lingua si riduce a tre sole lettere delle
i, la più ridicolosa genia, che passeggi orgogliosamente sulla faccia
della
terra. Me felice! Che avrò per compagno nella der
ro, che m’abbia a servire di scudo, contro a codesti feroci proseliti
della
moda. Parlo del celebre Alambert, nel quale essi
neva recisamente. Venuta al Fondo la Ristori, ed ammalatosi l’amoroso
della
compagnia, il Majone, dilettante egregio, andò a
ove, mercè gli ammaestramenti del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini,
della
Cazzola, della Pezzana, della Marini, salì a tal
ammaestramenti del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola,
della
Pezzana, della Marini, salì a tal grado d’arte, c
del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola, della Pezzana,
della
Marini, salì a tal grado d’arte, che la quaresima
n la madre per Cremona a raggiunger la Compagnia di Alamanno Morelli,
della
quale egli era il primo attore assoluto. Due anni
arte, due anni di trionfo ! Nella Signora dalle Camelie, nell’ Onore
della
famiglia, nel Falconiere, nella Suonatrice d’arpa
e aveva soavissima l’indole, che gli traspariva in tutti i lineamenti
della
faccia. Di forme più tosto erculee, se ben corto
le fonti per ricostruire la messa in scena, pur nella consapevolezza
della
virtualità di tale ricostruzione. Questo altrove
quella di specchio di un’epoca di transizione, che aveva fatto tesoro
della
nuova estetica della sensibilità elaborata al tem
un’epoca di transizione, che aveva fatto tesoro della nuova estetica
della
sensibilità elaborata al tempo dei Lumi, e al con
letterati del periodo da noi preso in esame come ad individui alieni
della
prassi scenica e dal contatto con gli attori. In
costituiva la fase determinante per giudicare il valore e l’efficacia
della
propria opera. Una delle ragioni che ha sottratto
eresse che, in sede di studi letterari, viene prestato alla questione
della
recitazione degli attori e, in ugual misura, allo
sta sede abbiamo deciso di adottare una prospettiva che tenesse conto
della
natura fluida dell’orizzonte dell’arte attoriale,
le mette in scena le passioni, sul suo ruolo di educatore all’interno
della
società. L’incolmabile assenza dello spettacolo s
n delle tracce da seguire per ricostruire il macro testo spettacolare
della
tragedia del tempo. Tuttavia c’è un’altra assenza
are di lacuna, a cui abbiamo dovuto far fronte, ossia l’inconsistenza
della
bibliografia secondaria inerente al trattato pres
frutto di istanze politiche. È una prassi comune per certi letterati
della
stagione giacobina e Risorgimentale. Si pensi all
ettivo di mettere in evidenza il suo coinvolgimento nella costruzione
della
nazione, dagli anni del giacobinismo napoletano f
Studi sul teatro di Francesco Saverio Salfi (2016), che si è occupato
della
produzione tragica e per il teatro musicale risal
puro svago che aveva finito per assumere. Studi su aspetti specifici
della
produzione letteraria, filosofica, critica dell’a
in quel periodo. Del rifacimento del Corradino del 1831, con il testo
della
tragedia in appendice all’articolo, si è occupato
pporti intrattenuti dal Salfi con gli altri letterati e con esponenti
della
politica dell’epoca si è rivelata la raccolta di
li del trattato sono stati oggetto di un’edizione moderna all’interno
della
pubblicazione Teatro giacobino (1975), a cura di
la quale vengono raccolti anche il testo de Il general Colli in Roma,
della
Virginia bresciana, de I Plateesi e delle Norme p
oli in questione sono il primo, che affronta genericamente lo statuto
della
declamazione, e il XXIII, che tratta del progetto
sité Paris-Sorbonne, sostenuta nel settembre 2017, sotto la direzione
della
Prof.ssa Beatrice Alfonzetti e del Prof. Andrea F
a stabilire il peso che le riflessioni svolte sul Termometro politico
della
Lombardia in veste di critico drammatico, e, più
amazione. Successivamente si è voluto delineare un quadro orientativo
della
querelle tra classici e romantici, argomento di p
lettura del trattato Della declamazione come trasposizione, sul piano
della
prassi scenica, di quello sviluppo progressivo de
cce lasciate dalla trattatistica attoriale precedente. Tra i fuochi
della
rivoluzione e la querelle classico-romantica S
tica Salfi accorreva a Milano nel 1796, in seguito all’occupazione
della
città da parte dei francesi, anche lui, come molt
ne delle masse. Così Matteo Galdi nel Giornale de’ patrioti d’Italia,
della
cui redazione faceva parte anche Salfi, all’inter
ue bisogna che le rivoluzioni si facciano placidamente e con l’ordine
della
natura21». Come fa notare Paul Hazard, è con la f
aul Hazard, è con la fondazione di una società drammatica all’interno
della
sala del collegio Longoni che il teatro repubblic
icoli di critica teatrale scritti da Salfi per il Termometro politico
della
Lombardia 23 di Carlo Salvador, uno dei giornali
ior diffusione nel periodo giacobino, nato per misurare i cambiamenti
della
«nuova atmosfera politica, nel cui seno fermenta
. In particolare, a proposito del genere tragico, scrive: «L’oggetto
della
tragedia è l’interesse politico delle nazioni e q
arte comica in Italia, lamenta l’assenza di attori istruiti nell’arte
della
declamazione, e sostiene dunque la necessità di c
tri il recensore, sempre identificabile con la figura di Salfi, parla
della
rappresentazione della Virginia alfieriana svolta
e identificabile con la figura di Salfi, parla della rappresentazione
della
Virginia alfieriana svoltasi nel Teatro patriotti
ella Virginia alfieriana svoltasi nel Teatro patriottico. L’interesse
della
critica risiede nell’attenzione prestata alla com
lla critica risiede nell’attenzione prestata alla componente gestuale
della
declamazione degli interpreti: Pare che gli atto
ove questi potrebbero essere strumentali alla resa dei sentimenti più
della
parola stessa. Trascurando del tutto l’aspetto te
i fosse più manifestato il contrasto di un giustissimo risentimento e
della
natural verecondia37! Invece, per quanto riguard
à in germe nell’attività svolta sulle colonne del Termometro politico
della
Lombardia. In questo senso, la sezione che maggio
getti concreti di organizzazione delle istituzioni operanti nel campo
della
diffusione dell’arte attoriale. Bisogna tuttavia
ore cosentino di elaborare delle riflessioni sul gesto come sostituto
della
parola e sulla capacità di impatto che uno spetta
di orrore e di pietà 41». L’attenzione per l’orchestrazione armonica
della
collettività troverà spazio anche nel capitolo XV
gedia Pausania (1801). In primo luogo, Salfi sottolinea la centralità
della
messa in scena nella formulazione di un giudizio
di Voltaire nella Zaira48. Salfi si sofferma inoltre sulla questione
della
versificazione, sottolineando come spesso siano i
rmonia che spesso svela il troppo artificio del versificatore a danno
della
passione […]49».In tale affermazione sono già in
anno spazio nel capitolo quarto del trattato, che tratta la questione
della
pronunciazione metrica, e nel quale Salfi sottoli
esso il rimpianto per l’assenza di attenzione nei confronti dell’arte
della
declamazione in Italia, che non può vantare in qu
o spero di sottomettere al vostro giudizio alcune mie idee sul metodo
della
censura drammatica, e forse all’occasione che ver
ettacoli, che focalizzassero l’attenzione sull’orizzonte performativo
della
pièce, ossia sul tono, sul gesto, sui quadri, pot
differenza di altri artisti, non può attingere ad una storia scritta
della
sua arte, dal momento che essa è effimera e non d
lla sua arte, dal momento che essa è effimera e non dura che il tempo
della
rappresentazione. In seguito all’occupazione aust
maggio 1814, Salfi riparerà a Napoli, dalla quale fuggirà alla volta
della
Francia nel 1815, in seguito alla disillusione de
rselle curata da Michaud. Entrerà inoltre nella cerchia dei recensori
della
Revue encyclopédique del Jullien, alla quale coll
ien, alla quale collaborò a partire dal 1819, occupandosi soprattutto
della
recensione di opere italiane, sia letterarie, che
masta inedita. Nel 1829 pubblicherà inoltre il Saggio storico-critico
della
Commedia italiana, premesso all’edizione delle co
ti di un Romanticismo francese ai suoi albori, primo fra tutti quello
della
Préface de Cromwell (1827) di Victor Hugo. Salfi
attito fornendo le sue opinioni al riguardo all’interno del Ristretto
della
Storia della Letteratura Italiana (1831)54. Nell’
do le sue opinioni al riguardo all’interno del Ristretto della Storia
della
Letteratura Italiana (1831)54. Nell’ultima sezion
e rimproverato in primo luogo a questi ultimi il vanto che essi fanno
della
propria estraneità da ogni regola e dalla dittatu
al non rispetto delle unità drammatiche, che era divenuto il baluardo
della
nuova scuola romantica, Salfi sostiene essere dan
esso nutriscono l’ignoranza e la vanità, possono nuocere ai progressi
della
letteratura italiana, e ciò che è peggio ancora,
agl’Italiani58. C’è tuttavia un merito che egli concede come proprio
della
scuola romantica, ed è quello di riuscire a penet
to genere di tratti caratteristici che si riferiscono al più profondo
della
natura umana; e che i classici farebbero anche me
0, in cui egli porge i propri saluti a vari frequentatori del circolo
della
Condorcet, tra cui il Salfi61. Quella cerchia era
Nel 1805 il Manzoni si era già recato a Parigi, dove le nuove teorie
della
scuola romantica prendevano piede e dove, a parti
so Salfi a curare la recensione del Conte di Carmagnola dalle colonne
della
Revue Encyclopédique 64. Nonostante egli affermi
5.» L’afflato patriottico, in parte dovuto alla scelta di un soggetto
della
storia moderna, metteva così d’accordo il classic
il classicista Salfi con il romantico Manzoni. C’è un altro dettaglio
della
recensione su cui bisogna tuttavia soffermarsi. S
iderazioni due modelli tragici in cui a essere centrale è la passione
della
gelosia: l’Otello di Shakespeare e Zaïre di Volta
enta, sviene, colpisce, uccide: queste sono tutte espressioni proprie
della
gelosia, eppure quanto sono infinitamente discord
eggiamo nella medesima espressione il prospetto di tutti gli elementi
della
passione dalla quale procede, come accade nella g
i. Nonostante entrambi avvinti da una gelosia passionale, lo sviluppo
della
passione acquisisce tinte differenti nei due dram
otto in francese nel 1814, ad affrontare la questione dei caratteri e
della
gradazione delle passioni in merito alla drammatu
ur71. Shakespeare non sceglie dunque di prendere le mosse dall’apice
della
manifestazione passionale, ma preferisce coglierl
e. Anche Madame de Staël nel De l’Allemagne (1813) tocca la questione
della
costruzione del carattere del personaggio ragiona
ell’effetto di illusione che permette l’immedesimazione. I personaggi
della
tragedia classica restavano dei tipi, laddove Sha
abbiamo sottolineato, il Wallstein di Benjamin Constant, adattamento
della
trilogia schilleriana per il teatro francese, con
ne sulla scena si verifichi negli intervalli tra gli atti. La pratica
della
scena inglese, come di quella tedesca, dimostra c
d inverisimile affatto, tra Grisostomo e tutti i Lettori, a proposito
della
Sacontala, dramma indiano di Calidasa. L’opera, s
ir ces émotions sympathiques qui vont droit au cœur79. L’adattamento
della
versione schilleriana dunque, nonostante i tagli
ousie del medesimo autore. Il recensore si esprime così nei confronti
della
pièce: Il a suivi dans cette pièce, le dessein,
ne sommes pas accoutumés à goûter82; All’interno dello stesso numero
della
Revue viene recensita la Jeanne d’Arc di Soumet,
. Se Schiller all’interno del suo dramma può sviluppare la psicologia
della
protagonista attraverso tratti chiaroscurali, dal
lle unità. La restrizione alla scelta di un unico episodio dalla vita
della
protagonista ne provoca l’appiattimento: «La coul
restando fedeli alle regole classiche. Il Salfi, lettore e redattore
della
Revue, e probabilmente spettatore di queste pièce
ndoci più nel dettaglio sulle fonti biografiche del Salfi, la notizia
della
composizione del trattato ci viene fornita in not
ne e il sistema declamatorio degli attori italiani, specie al sorgere
della
Cisalpina, nella sua Vie politique et littéraire
i, fornendone un piano abbastanza dettagliato e accennando al momento
della
revisione parigina: «Aggiungerò solo, che questo
ta «Al benevolo lettore», in cui si sottolinea l’importanza dell’arte
della
declamazione non solo per chi eserciti la profess
uare nella figura del Salfi e nella sua auspicata riforma nell’ambito
della
declamazione un tentativo simile: quello di impri
“romantico” a un teatro che voleva restasse ancora legato ai vincoli
della
classicità. Non è un caso che gli impulsi all’inn
lsi all’innovazione vengano concessi proprio nell’ambito performativo
della
messa in scena, l’aspetto del testo drammatico ch
trattazioni e delle messe in scena che venivano d’Oltralpe, il potere
della
spettacolarità, o meglio, della visibilità, sul p
na che venivano d’Oltralpe, il potere della spettacolarità, o meglio,
della
visibilità, sul pubblico, anche Salfi tenta la su
atteggia per la tragedia classicista francese compresa tra il periodo
della
Restaurazione e l’avvento del dramma romantico, o
sati i fermenti rivoluzionari, occorreva tuttavia ripensare l’assetto
della
vita teatrale, superando la natura effimera del f
Fabbrichesi, attore veneziano che, dal 1807 al 1814, sarà capocomico
della
Compagnia Vicereale a Milano, a quel tempo sotto
le scene fino al 1855. L’auspicio era quello di impiantare il modello
della
Comédie française anche in Italia, con lo scopo d
lsivoglia Musa («ogni Musa mi basta e rauca sia»)93. La cifra giocosa
della
sua scrittura è in realtà uno schermo che vela un
onversione dell’interlocutore al partito engeliano. Così nell’esordio
della
Lettera V: A quanto pare la situazione si è riba
scritti a Milano, dove l’autore si era rifugiato in seguito al crollo
della
repubblica napoletana. Lì aveva ottenuto la catte
cattedra di poesia rappresentativa di Brera ed era divenuto direttore
della
scuola di declamazione nell’Accademia del Teatro
to a svolgere. Il trattato è diviso in tre sezioni: Basi fondamentali
della
poesia drammatica, Poetica d’ogni genere drammati
li della poesia drammatica, Poetica d’ogni genere drammatico e Organi
della
poesia drammatica. Il testo è per lo più orientat
iche, fatta eccezione per la terza sezione, in cui si parla dell’arte
della
declamazione, nella quale è possibile riscontrare
sempio, dal testo di Engel, in cui si analizzano, seguendo l’impianto
della
prima fase della Drammaturgia d’Amburgo 101, le p
di Engel, in cui si analizzano, seguendo l’impianto della prima fase
della
Drammaturgia d’Amburgo 101, le performances degli
D’altronde, l’analisi delle singole performances, nella progettazione
della
sua utopica istituzione teatrale, spettava a un g
nte, e si situano nell’orizzonte di un’aneddotica abusata all’interno
della
trattatistica teatrale. Dalla Clairon al Garrick,
el trattato alla pronunciazione visibile può essere letta in funzione
della
vocazione pedagogica del testo. Come aveva sottol
posizione alla pantomima, era preferibile a un attore mosso dal fuoco
della
passione. Dal momento che le passioni si manifest
tà, fino a giungere alla poesia, che fungono da propedeutica all’arte
della
declamazione vera e propria. Nell’ultimo capitolo
gli voleva in questo modo oltrepassare una lacuna intrinseca all’arte
della
declamazione, ossia l’assenza di una tradizione a
tale inquietudine si è tramutata in certezza, e in cui del passaggio
della
generazione di attori presa in esame e delle loro
Introduzione: Nell’Introduzione Salfi ripercorre le origini dell’arte
della
declamazione, rintracciandone l’atto di nascita n
le feste in onore di Bacco. Salfi accenna dunque alla grande stagione
della
tragedia classica e espone brevemente l’evoluzion
n Italia invece, dopo la partenza di Riccoboni per la Francia, l’arte
della
declamazione versa in uno stato deplorevole, che
onnotazioni individuali. A questo punto, il focus si sposta sull’arte
della
declamazione tragica, il cui statuto viene defini
e, che prende in considerazione la posizione dell’accento all’interno
della
parola e la sua qualità (acuto, grave, circonfles
, grave, circonflesso); — Logica, che segue l’andamento dei periodi e
della
punteggiatura; — Oratoria, che si modifica con lo
na le posizioni di alcuni autori che avevano sostenuto la superiorità
della
prosa rispetto al verso nell’ambito della composi
no sostenuto la superiorità della prosa rispetto al verso nell’ambito
della
composizione tragica (La Motte, Engel, Diderot, C
ngel, Diderot, Ceruti). Si passa poi ad analizzare le caratteristiche
della
pronunciazione metrica e a sottolineare le diffic
e argomentazioni si appoggiano su esempi concreti, ossia interi passi
della
Commedia dantesca o di tragedie alfieriane che pe
a sull’espressione patetica, ossia quella che si modifica in funzione
della
passione, coinvolgendo sia la vocalità che la ges
nuto tale traccia istintuale assumendo toni e ritmi diversi a seconda
della
natura del sentimento. Si passa poi all’analisi d
gesto, simili a quelle ideate per classificare gli oggetti di studio
della
Botanica. Salfi polemizza contro una simile propo
di espressione sono delegati a organi differenti. Salfi fa l’esempio
della
gelosia, frutto di sentimenti contrastanti che si
dell’oggetto amato. Segue la venerazione, che prevede l’abbassamento
della
postura, in segno di rispetto per l’oggetto amato
ne diretta delle stesse. Questo è reso possibile dalla contemplazione
della
natura, a cui si sono dedicati artisti quali Leon
Leonardo da Vinci (la fonte è Lomazzo) e Domenico Liveri. Nell’ambito
della
natura, bisogna saper trascegliere tra i soggetti
al contrario, è possibile rintracciare passioni nuove nei personaggi
della
modernità. All’artista è inoltre offerta la possi
rescritto agli attori di modulare i propri movimenti secondo le leggi
della
grazia, piuttosto che orientarli in funzione di u
a grazia, piuttosto che orientarli in funzione di una resa espressiva
della
passione. Capitolo X: Salfi sottolinea come il c
si rifà poi alle teorie esposte nel Laocoonte di Lessing a proposito
della
classificazione delle arti in spaziali, ossia le
gere. Salfi sottolinea come tali divieti debbano assecondare il gusto
della
nazione e dell’epoca, e siano dunque soggetti a m
nel corso del tempo la tragedia si sia andata avvicinando alle forme
della
commedia, con conseguente desublimazione. L’attor
i. Si prende gioco tuttavia di quegli attori che, infrangendo il muro
della
finzione, assumevano gli atteggiamenti dei re e d
ione del tono dell’attore tragico, che deve essere distinto da quello
della
conversazione ordinaria, più adatto alla commedia
porta sulla scena. Se è giusto allontanarsi dall’ampollosità propria
della
recitazione francese, prima dell’avvento della sc
ll’ampollosità propria della recitazione francese, prima dell’avvento
della
scuola di Baron, allo stesso modo bisogna condann
ioni, che possono essere di qualità e di quantità. Le prime risentono
della
natura mista dell’elemento passionale, nel quale
ioni, spesso di carattere contrastante. Le seconde invece sono frutto
della
progressione che subisce una singola passione. L’
all’altra o da un grado all’altro tramite l’espressione. Nell’ambito
della
vocalità, è importante che tali progressioni non
ra, che devono saper farsi espressione di un terzo sentimento, frutto
della
sovrapposizione passeggera tra le due passioni pr
ue parole gli provocano. Non deve perciò precludersi, qualora la resa
della
passione lo richiedesse, di recitare dando le spa
ndividui. Capitolo XX: Il capitolo è dedicato ai costumi e al decoro
della
scena. Salfi sottolinea la necessità di restare f
olge, senza seguire l’esempio di chi ha vestito personaggi del mito e
della
storia antica con le fogge della Francia contempo
chi ha vestito personaggi del mito e della storia antica con le fogge
della
Francia contemporanea. A questo proposito, esempl
a Francia contemporanea. A questo proposito, esemplari sono le figure
della
Clairon e di Lekain, che hanno dato avvio alla ri
rattere da rappresentare. Altro punto affrontato nel capitolo, quello
della
scenografia, che deve anch’essa rispecchiare in m
a disperdere il suono. Capitolo XXI: Salfi si sofferma sullo studio
della
parte, che si dovrebbe svolgere in tre fasi: lett
geritore, la cui voce in sottofondo crea un effetto di raddoppiamento
della
parte che rompe ogni illusione. Le difficoltà deg
ttacoli in scena non sarebbe necessario. Viene poi posta la questione
della
notazione della declamazione, la cui pratica era
non sarebbe necessario. Viene poi posta la questione della notazione
della
declamazione, la cui pratica era stata raccomanda
tratta dei segnali che lasciano intuire un perfezionamento dell’arte
della
declamazione. Salfi sottolinea in primo luogo l’a
una scuola pubblica dedicata espressamente all’insegnamento dell’arte
della
declamazione. Egli passa poi a illustrare quali i
ioni preliminari necessarie all’attore sono le seguenti: — Cognizione
della
propria lingua, ossia del dialetto toscano nel ca
ore e coincidono con l’iter esposto nel capitolo relativo allo studio
della
parte. Capitolo XXIV: Nell’ultimo capitolo, Salf
rice che possa monitorare i miglioramenti fatti nell’ambito dell’arte
della
declamazione. Egli propone così due soluzioni pri
del Della declamazione di Francesco Saverio Salfi riproduce il testo
della
prima e unica stampa integrale, eseguita nel 1878
amazione teatrale del Laboratorio di Documentazione Storico-Artistica
della
Scuola Normale Superiore di Pisa, coordinata dall
ifferenti, non essendo stato concepito specificatamente per l’analisi
della
declamazione tragica. Troviamo infatti una serie
le si accompagnava all’analisi dell’effetto sullo spettatore non solo
della
tragedia, ma anche della commedia, e a cui fa seg
alisi dell’effetto sullo spettatore non solo della tragedia, ma anche
della
commedia, e a cui fa seguito lo studio della natu
della tragedia, ma anche della commedia, e a cui fa seguito lo studio
della
natura di commedia, tragedia, melodramma e pantom
nza di Luciano, al De la littérature di Madame de Staël, alle memorie
della
Clairon e della Dusmenil, fino a giungere al test
al De la littérature di Madame de Staël, alle memorie della Clairon e
della
Dusmenil, fino a giungere al testo On the Art of
segni «». Della declamazione Introduzione. Saggio storico
della
declamazione — Sua origine e sviluppo presso i gr
st’arte. [Intro.1] Comune ufficio delle arti belle è la imitazione
della
natura; ma in ciò fare ciascuna però si limita al
nei sono quelli che impiega la declamazione, la quale del linguaggio,
della
voce e del gesto propriamente si vale, noi dobbia
a de’ suoi tempi compreso la forza di questo principîo e l’importanza
della
sua conseguenza, pose l’uomo al di sopra della sc
incipîo e l’importanza della sua conseguenza, pose l’uomo al di sopra
della
scimmia, riguardandolo come l’animale imitativo p
tificate, e la sola prima che si distinse e spiegò fu l’arte speciale
della
declamazione, che, tutte comprendendole da princi
siffatti esempli. [Intro.7] È questo, secondo me, il primo embrione
della
teatrale declamazione. I primi teatri furono dunq
dunque i templi, e i sacerdoti i primi declamatori, ed anzi i maestri
della
prima declamazione. Dalle azioni sacre e liturgic
ali tutte le antiche feste civili) si vennero spiegando i primi saggi
della
declamazione drammatica, la quale di semplice e m
8] Gli effetti maravigliosi che quest’arte produsse nei più bei tempi
della
Grecia e di Roma, e il gusto e l’interessamento,
vigliosi delle statue greche, sono per noi gli argomenti più luminosi
della
eccellenza, cui doveva esser giunta la declamazio
vecchio Triasio, che lo dispose e lo confortò a diventare un prodigio
della
greca eloquenza. Perciò non è da stupire se a tal
upire se a tali principî corrispondessero per l’ordinario gli effetti
della
teatrale declamazione. La rappresentazione delle
arti, che dagli antichi si esercitavano, siccome riguardo all’armonia
della
lingua, al tuono della declamazione, al canto o a
si esercitavano, siccome riguardo all’armonia della lingua, al tuono
della
declamazione, al canto o alle note di questa, all
questa, all’uso delle maschere, alla divisione ed esecuzione sincrona
della
declamazione, ed al pantomimo dello stesso dramma
otendo tali cose scriversi e tramandarsi alla posterità che col mezzo
della
tradizione, e questa, trovandosi interrotta, e qu
no, così dall’altro canto nocque non poco all’introduzione e al gusto
della
vera drammatica e della buona declamazione. La bu
o nocque non poco all’introduzione e al gusto della vera drammatica e
della
buona declamazione. La buona commedia rinacque in
per apprezzarla. Il XV secolo non ci offre che sacre rappresentazioni
della
passione di Cristo, e delle vite de’ martiri e de
ti reali dell’arte loro, e quali che siano i difetti delle persone, o
della
scuola, o della nazione, o del tempo, tutti più o
te loro, e quali che siano i difetti delle persone, o della scuola, o
della
nazione, o del tempo, tutti più o meno annunziano
’ quali più spiccava il loro talento; ed è questa una pruova evidente
della
stima dell’arte, e della perfezione del gusto, co
oro talento; ed è questa una pruova evidente della stima dell’arte, e
della
perfezione del gusto, col quale si apprezza e si
amazione, che gli tien dietro, spazia anch’essa liberamente pei campi
della
natura, e spesso discende dal sublime e dal grand
o e di nobiltà. La tragedia in Alemagna ha piuttosto seguito il genio
della
inglese, e per l’ordinario si diletta ancor più d
e. Secondo questi tre modelli si dee distinguere il carattere proprio
della
loro declamazione. Non è questo il luogo di pronu
e provato Moliere, che fu il maestro di Baron, e quindi il fondatore
della
buona declamazione francese, ella è rimasta al di
uanta maggiore sarebbe la loro vergogna, se questi doni trascurassero
della
natura. [Intro.19] È già pur qualche tempo che t
uella forza tragica, che sola può farci sentire e conoscere il pregio
della
declamazione e del teatro. Lo stesso Alfieri tent
eclamare le sue tragedie, e di promuovere con la sua pratica il gusto
della
declamazione, dagli ordinari commedianti ignorata
ta. Ed ancorché non ci avesse dato un egual modello in tutti i generi
della
espressione nel comporle e nel declamarle, pure r
, ma niuno, egli dice, aveva fino a’ suoi tempi trattato propriamente
della
declamazione oratoria. Ed ecco perché si vedevano
ne particolarmente, comparando i vari modi di espressioni equivalenti
della
pantomima e della eloquenza. Ma niente abbiamo di
, comparando i vari modi di espressioni equivalenti della pantomima e
della
eloquenza. Ma niente abbiamo di questa opera, del
ciano alla sola danza o pantomima si limitò, e Cicerone e Quintiliano
della
sola pronunciazione oratoria intesero ragionare;
e di Dhannetaire, il Corso di declamazione di Larive, le osservazioni
della
Clairon, della Dumesnil, e il poema sulla declama
e, il Corso di declamazione di Larive, le osservazioni della Clairon,
della
Dumesnil, e il poema sulla declamazione di Dorat
si può dire, che oramai non vi ha scrittore insigne di belle arti che
della
declamazione più o meno non ragioni. Di fatti, pi
taliani. A questi io indirizzo particolarmente le mie osservazioni, e
della
declamazione tragica propriamente intendo ragiona
el senso più generale — Della declamazione in ispecie, e propriamente
della
tragica. [1.1] Ogni essere della natura, essen
azione in ispecie, e propriamente della tragica. [1.1] Ogni essere
della
natura, essendo dotato di forza o di facoltà prop
iega al di fuori di tali effetti. Or questi effetti presi come indizi
della
forza, o cagione interna, che li produce, costitu
tuiscono nel senso più ampio la espressione comune a tutti gli esseri
della
natura. [1.2] Questa attività propria di ciasche
iù perfetto, che noi conosciamo, od all’uomo. Sia la forza superiore,
della
quale è l’uomo informato, sia la sua organizzazio
serviamo nelle sue esterne modificazioni, che sono pur segni visibili
della
occulta forza che l’anima, costituiscono la sua e
anima, costituiscono la sua espressione particolare, che a differenza
della
universale o naturale, morale od umana propriamen
propriamente può dirsi. [1.3] Questa espressione fu la prima lingua
della
natura comune a tutti gli esseri più o meno attiv
volto e col gesto. [1.5] In questo primitivo e maraviglioso magistero
della
natura conviene cercare l’origine, gli elementi,
conviene cercare l’origine, gli elementi, il principîo delle lingue,
della
eloquenza, d’ogni bell’arte, riguardata come imit
lingue, della eloquenza, d’ogni bell’arte, riguardata come imitativa
della
natura significante. Nel senso più generale, l’ar
non fa, che raccogliere ed imitare l’espressioni più vive e più vere
della
natura parlante, e sul modello delle originali o
6] Uno fu dunque l’oggetto comune a tutte le arti, cioè l’espressione
della
natura; e ciascuna arte si distingue per l’indole
bisogna primamente distinguere l’oggetto imitato, ch’è l’espressione
della
natura, dall’oggetto imitante, in cui l’espressio
maniera, raccogliendo, ordinando e imitando or l’una or l’altra parte
della
espressione generale esclusivamente, cioè ora i s
’oggetto delle belle arti in generale è dunque l’espressione generale
della
natura, siccome il particolare si determina dal c
e de’ strumenti che ciascuna arte adopera, per imitare la espressione
della
natura che si prefìgge. [1.10] Malgrado tutte qu
uppone veramente accaduto. La sua imitazione è una pretta ripetizione
della
cosa medesima che s’imita. [1.11] Tale imitazion
a considerare. Bisogna dunque distinguere le parole come pura materia
della
declamazione, da’ mezzi propri, onde questa si va
isonomia, il portamento ed il gesto, ossia tutta l’azione conveniente
della
persona che parla e declama. Capitolo II. D
te. [2.1] La declamazione, considerata come una specie particolare
della
pronunciazione, ha molte cose di comune con quest
he questa principalmente riguardano. Per lo che, volendo ben trattare
della
declamazione in particolare, non possiamo neglige
al nostro intento più necessario. [2.2] Di tutte le maniere o parti
della
espressione generale quella che domina fra le alt
i scompagna del tutto pur mai dal concorso delle altre parti visibili
della
persona parlante, le quali con la voce più o meno
riamente pronunciazione. [2.3] La pronunciazione, impiegando il tuono
della
voce, la figura del viso, ed il moto del corpo, c
ale ed acustica, in quanto riguarda le parole ed i segni che l’organo
della
voce pronuncia, e che l’udito raccoglie; e mobile
ento nazionale può dirsi. [2.5] Ogni dialetto, siccome ogni strumento
della
stessa specie, ha un suono comune; ma non tutti h
possiede e l’esercita naturalmente. [2.6] Su questo primo accidente
della
voce si compongono e diversificano le parole. Ogn
laba si raccoglie e si posa e si eleva, fu detta propriamente accento
della
parola, ed accentata la sillaba che n’era animata
esse qualche accidente particolare e proprio, che oltre la differenza
della
vocale, ne modifichi e diversifichi il suono più
rio, che pur concorre a formare l’indole e la bellezza delle parole e
della
lingua, il solo che usurpa per eccellenza un tal
a, sia per la loro natura assoluta e primitiva, sia per la differenza
della
sede che tiene l’accento nelle parole. [2.11] Al
asserirlo od indovinarlo? Per quanto si voglia fare uso dell’imperio
della
tradizione e dell’analogia de’ termini pe’ quali
13] Or come possiamo determinare e distinguere la vera pronunciazione
della
lingua latina da quella delle moderne, se leggi c
ostra analisi ad apprendere e praticare la pronunciazione e l’armonia
della
nostra lingua propria, e lasciar quelle che potre
le che potrebbero anzi tornare a pregiudizio di essa. [2.14] Ciò che
della
pronunciazione abbiamo discorso finora quella rig
enti, si pronunciano l’una dalle altre più o men distaccate, a misura
della
maggiore o minor relazione, che hanno con la prin
ostituiscono: 1.o La natura dell’idea che si enuncia, o il vero senso
della
parola ci detta il modo onde vuole esser questa p
odica, che maravigliosamente concorse al vero fine ed alla perfezione
della
lingua, che consiste nell’esprimere e farsi inten
ù o meno grave, più o men grazioso conforme all’indole del subbietto,
della
persona e del luogo ecc. L’importanza del subbiet
econdo noi, il metodo più giusto e più semplice per regolare il tuono
della
pronunciazione. Così la convenienza delle circost
piuttosto quelle più generali ed importanti relazioni, che l’armonia
della
pronunziazione oratoria costituiscono, e sotto qu
te modificandosi, comunica un suono proprio e distinto alla pronunzia
della
lingua, delle sillabe, della parola, ed a ciascun
suono proprio e distinto alla pronunzia della lingua, delle sillabe,
della
parola, ed a ciascuno di tali suoni dà un tuono a
proprietà del dialetto, l’esattezza dell’articolazione, l’opportunità
della
pausa e l’armonia del discorso; e secondo queste
so; e secondo queste tre relazioni, a cui tutte le regole particolari
della
pronunzia si riferiscono, si dovrebbero esercitar
ilità e il diletto sono concorsi egualmenle a sviluppare questa parte
della
pronunziazione che col nome generale di gesto vie
discorso, sostenendo acconciamente l’andamento, le cadenze e i riposi
della
voce che lo pronuncia. Essi possono considerarsi
il polso, il gigante ed il nano estendendo e rimpicciolendo la figura
della
persona e di qualunque altro oggetto ed azione, i
, o il dechinare dall’oggetto odiato, il sogguardar bieco, gli slanci
della
collera ecc., e quelli tutti che tendono o ad int
Alcuni di questi riescono più o meno analoghi all’interna attitudine
della
persona che gli adopera, quasi imitando più o men
erra, da quelli intorno a sé rigirandosi, ec. E per cotal modo il più
della
pronunzia gesticolatoria, come la liturgica o rit
le osservazioni e le regole che hanno date e possono dare coloro che
della
pronunciazione in genere od in ispecie si sono pr
ia la più conveniente di pronunziare, ossia di usare convenientemente
della
voce e del gesto. Ora è facile immaginare che, ac
le speciale del subbietto, al quale era destinata, e secondo il grado
della
passione che le comunicavano le circostanze. Per
il Macedone, né Temistocle quando animava i soldati contro il gran re
della
Persia, né Erodoto quando leggeva la storia sua,
diversa quella del tragico da quella del comico. E dovendo ragionare
della
tragica particolarmente, io non posso dispensarmi
ragica particolarmente, io non posso dispensarmi dal dire alcuna cosa
della
metrica in quanto a quella particolarmente appart
isarmonica riuscirebbe. E per cotal modo si sacrificherebbe il pregio
della
versificazione senza quello sostituirle della buo
crificherebbe il pregio della versificazione senza quello sostituirle
della
buona prosa; ed il poeta avendo creduto di elevar
a il ritmo del periodo a quello del verso. Dànno nel primo quelli che
della
versificazione non s’intendono punto; e dànno nel
te certe pause, le quali, anziché dalla natura del senso, dal bisogno
della
respirazione derivano, e che servono ancora a sos
azione derivano, e che servono ancora a sostenere e variare l’armonia
della
pronunciazione; così possiamo e dobbiamo più o me
, che il principîo comprende del verso seguente. Ed il suono generale
della
cadenza de’ versi viene via via così ad essere mo
re delle precedenti che abbiamo osservato, ma la prima è ancor minore
della
seconda, e questa della terza, che per ragion del
abbiamo osservato, ma la prima è ancor minore della seconda, e questa
della
terza, che per ragion del senso è di tutti maggio
al ritmo del periodo ed alla natura del senso. Prendiamo alcun tratto
della
sua versificazione, e sia il primo che ci offre,
areggi. Io credo oppor tuno qui notare uno de’ tratti più artificiosi
della
Poetica del Vida, il quale, raccomandando tali fe
forma di versificazione n’è risultata, che, oltre il suono imitativo
della
sentenza, si presta in un modo speciale alla decl
re dunque che il declamatore non deggia ancor trascurare questa parte
della
pronunciazione che serve a rilevare non pur l’arm
il rumore e la confusione di quella notte col suono del suo ritmo, e
della
parola rintronare. E dietro mi corre
ortune ed inutili, se veramente costituiscono la bellezza e l’energia
della
versificazione. Spetta impertanto al declamatore
assioni, che li modificava e torniva; e per dir meglio, se, informato
della
sua passione, li fondeva a traverso di questa ana
ioni medesime ch’essi svegliano somministreranno agevolmente il tuono
della
pronunciazione che a loro conviene. E questa risu
E questa risulterà da quanto saremo per dire intorno all’espressione
della
passione patetica. Capitolo V. Dell’espress
passione in generale, per quel grado d’interesse, che qualunque idea
della
mente o affezione del cuore comunica alla persona
onvenienti, egli non può a meno di dare a queste parole l’espressione
della
qualità e del grado della passione ond’egli è ani
meno di dare a queste parole l’espressione della qualità e del grado
della
passione ond’egli è animato. Imperocché ogni modi
rado della passione ond’egli è animato. Imperocché ogni modificazione
della
mente e del cuore, alterando lo stato di questi o
e tal non riesca dobbiamo concludere che o gli organi interni mancano
della
forza sufficiente a muover gli esterni, o gli est
li uomini più vive e pressanti significavano. Questi informi elementi
della
voce, che l’impeto della passione e lo stimolo de
santi significavano. Questi informi elementi della voce, che l’impeto
della
passione e lo stimolo del bisogno estemporaneamen
mpre più dispiegandosi e articolandosi, ritenne sempre il primo suono
della
passione che l’aveva creata, e per quanto siasi i
, in discorso, essa non perde mai il carattere essenziale e primitivo
della
passione, che lasciò da prima come effetto, ed a
a che si dee pronunciare, si può ritrarlo dalla interjezione speciale
della
passione predominante che gli anima. Così pronunc
ma. Così pronunciando la semplice esclamazione Ah! secondo il bisogno
della
passione, alla quale si dee servire, darebbe il t
questo modo noi avremo facilmente il tuono del dolore o del piacere,
della
placidezza e dell’ira, del timore o della confide
o del dolore o del piacere, della placidezza e dell’ira, del timore o
della
confidenza, della maraviglia, dell’orrore ecc.; e
piacere, della placidezza e dell’ira, del timore o della confidenza,
della
maraviglia, dell’orrore ecc.; ed ecco il metodo p
ltano le modulazioni ed i ritmi, ed infinitamente vario il portamento
della
voce nella pronunciazione successiva e continua d
e promuove. Quindi si accelerano e s’incalzano gli accenti dell’ira,
della
gioja e del furore, e tardeggiano e inciampano qu
lla gioja e del furore, e tardeggiano e inciampano quelli del timore,
della
tristezza, dell’orrore. [5.5] Ogni lingua ha not
otato e figurato i suoi elementi più o meno arbitrari e convenzionali
della
voce, come le vocali, le consonanti, le articolaz
intere ed alcuni loro accenti grammaticali; ma gli accenti ed i tuoni
della
passione furono lasciati alla natura che gli dett
iole differenze di costituzione, di temperamento e di clima, il tuono
della
passione risulta sempre e da per tutto lo stesso.
a’ moderni, ch’io sappia, ha meglio tratteggiato il tuono ed il ritmo
della
voce corrispondente all’indole ed al moto della p
il tuono ed il ritmo della voce corrispondente all’indole ed al moto
della
passione quanto il Buffon: “Certe mozioni mentali
erti tuoni di voce. La voce del dolore è debile ed interrotta; quella
della
disperazione è impetuosa e non seguita; la gioja
vo e dolce, il timore un tuono sordo e tremante. I tuoni dell’amore e
della
bontà sono melodiosi ed uniformi; quelli della ra
. I tuoni dell’amore e della bontà sono melodiosi ed uniformi; quelli
della
rabbia forti ti e dissonanti. La voce d’un ragion
accuratamente rifletteva: “La voce non varia soltanto nel linguaggio
della
passione; un sentimento vivo, un’idea interessant
’ fragori raddoppiati del tuono, delle devastazioni di un terremoto o
della
caduta di una piramide egiziana col medesimo tuon
il mormorar d’un ruscello, gli accordi dell’arpa eolia, il bilanciare
della
culla d’un bambino, o la discesa d’un angelo. L’e
la sua conveniente attitudine la figura, il colore e l’atteggiamento
della
persona e di ogni sua parte, più o meno modificab
sti e concorra a tal magistero. [5.11] I. Positura. Lo stato interno
della
persona si manifesta da prima nel contegno, ossia
i dipinge. In esso traspariscono fedelmente tutti i più piccioli moti
della
mente e del cuore; ed a seconda di questi la sua
ora la dolce fiamma dell’amore che lo consuma, ora il freddo pallore
della
paura o dell’odio, ora il rossore della vergogna,
onsuma, ora il freddo pallore della paura o dell’odio, ora il rossore
della
vergogna, ora il vampo estuante dell’ira, ed ora
rmigliano, ed or si appassiscono, e nella bocca risiede l’espressione
della
gioja, del contento e del riso. Lo fiorentino sp
. I capelli, i peli medesimi prendono parte nell’espressione visibile
della
persona, ed ora si rizzano e si rabbuffano, ed or
otendere o l’incurvare del braccio, l’impugnar o l’aprire e il tremar
della
mano, il portarla al cuore, alla testa, al mento,
’impiego del suo dito. Ad esso è riserbato principalmente la minaccia
della
vendetta: Mostrarti o minacciar forte col dito.
ous cherchez ici. E il commediante Sarazin col solo agitare e tremar
della
mano, faceva dimenticare la sfavorevole figura de
agitare e tremar della mano, faceva dimenticare la sfavorevole figura
della
persona, e tremare e lagrimare gli spettatori. [
ettatori. [5.32] I pochi tratti, che abbiamo dato di ciascuno organo
della
pronunciazione visibile, bastano a provarci come
asse il suo nome. Tutto è bene tentare. Io dico solo, che gli oggetti
della
Botanica sono permanenti, e si possono facilmente
e altre tutte preoccupano l’espressione del momento. Lo stesso organo
della
voce, che ha la parte principale nella pronunciaz
servono generalmente alla pronunciazione oratoria. Or tale è la forza
della
passione o dell’interesse, che domina colui che d
più giusta teorica, onde più accuratamente e secondo i veri principî
della
natura regolarne l’arte e la pratica. [6.2] Ogni
a o sentimento, operando fisicamente su gli organi interni ed esterni
della
persona, dee produrre dei moti corrispondenti; e
re. Per tal ragione noi dobbiamo primamente distinguere l’espressione
della
percezione o della mente, e quella della sensazio
noi dobbiamo primamente distinguere l’espressione della percezione o
della
mente, e quella della sensazione o del cuore. [6
te distinguere l’espressione della percezione o della mente, e quella
della
sensazione o del cuore. [6.3] Che la mente, e pe
te. Archimede, che entrando nel bagno trova la soluzione del problema
della
corona, e pieno e lietissimo di quella scoverta c
ovette atteggiarsi a pronunciare nella maniera più propria allo stato
della
sua mente. La storia letteraria è ripiena di siff
ù o meno si approssimano, sono gl’imitativi od analoghi che l’oggetto
della
percezione o l’effetto della sensazione in certo
o gl’imitativi od analoghi che l’oggetto della percezione o l’effetto
della
sensazione in certo modo dipingono. Alla vista de
l tuono, del torrente, degli aquiloni, del leone, del toro, ma quelli
della
persona la cui presenza più fortemente ci affetti
figurata ed impropria, con la quale si esprime al di fuori col mezzo
della
pronunciazione vocale e visibile. [6.8] V’ha un
fine e quest’azione può riguardare o l’oggetto esterno, o la cagione
della
percezione o sensazione, od il soggetto, sia la p
ndo noi non possiamo o non dobbiamo reagire contro la cagione esterna
della
nostra passione, ci rivolgiamo e riconcentriamo i
iplicare la sua propria esistenza, trova e gusta per tutto la cagione
della
sua gioja; quindi il canto, il ballo, il batter f
ioni tendono o ad agevolarci ed accrescere il senso dolce e gradevole
della
passione, o a disfogarne e diminuirne il molesto
lmente espressivi. E nella loro ragione sta tutta la teorica e l’arte
della
pronunciazione patetica, in quanto abbiamo osserv
nsieme, e sino a qual punto, qualora si determini l’interesse attuale
della
passione predominante. [6.12] Imperocché se, p.
assionato cerchi prima di attendere e provvedere all’obbietto esterno
della
sua passione, indi al subbietto o al suo stato in
ere l’espressione più necessaria, più efficace e diretta, se le leggi
della
natura si vuol secondare. [6.13] Ma spesso quest
i succedono, diversificando a proporzione lo interesse e l’intenzione
della
persona, l’obbligano a variare la natura del gest
intenzione della persona, l’obbligano a variare la natura del gesto e
della
pronuncia, e questa variazione per la celerità co
sia per aver ricevuto una sì forte impressione dallo stato precedente
della
passione, da non potersi così facilmente ricompor
eggiamo nella medesima espressione il prospetto di tutti gli elementi
della
passione, dalla quale procede, come accade nella
che distinguiamo ad un tempo l’espressione dell’amore, del sospetto,
della
collera, dell’odio ecc. Parimenti nella stessa pa
tire e di esprimere a un tempo, nel modo che sa migliore, l’interesse
della
cosa, della persona, di sé medesimo. Così parland
primere a un tempo, nel modo che sa migliore, l’interesse della cosa,
della
persona, di sé medesimo. Così parlando di una vit
giar delle spade, o lo strepitar e l’urtar dei cavalli, o lo squallor
della
morte, e i lamenti e le grida confuse di chi fugg
o, egli tutta prova la tenerezza che l’inspira la vista dei genitori,
della
sposa, delle sorelle, ma pur ti descrive e diping
ttitudine non senza raccapriccio negli occhi e nel volto, ora l’orror
della
notte ottenebrata, ora il fischiar dei fulmini, o
lia di apprendere. Oltrecché, se ben si osserva, l’accento e il tuono
della
voce, e la positura della persona, e qualche altr
hé, se ben si osserva, l’accento e il tuono della voce, e la positura
della
persona, e qualche altro gesto analogo potevano b
e indicare tali accidenti, e comporsi ad un tempo col senso dominante
della
satisfazione, e della gioia, di cui era Cinna in
nti, e comporsi ad un tempo col senso dominante della satisfazione, e
della
gioia, di cui era Cinna in quel momento ripieno.
ne medesimo contro Verre, dove esponeva le circostanze più commoventi
della
flagellazione di Gavio. E di vero se si avesse vo
ompleta noi qui ragioneremo particolarmente. [7.3] Io qui non tratto
della
passione come fisiologo o moralista, ma soltanto
mentar l’altra, specialmente se si rifletta che all’indole intrinseca
della
passione medesima, una gran parte si raccoglie e
ropria fisonomia. E in tale stato noi la riguardiamo, perché i tratti
della
sua espressione corrispondente sieno più rilevant
i effetti e gl’indizi delle sue passioni. Il suo primo stato è quello
della
quiete e del riposo, che inerzia morale possiamo
mostra pur sempre stanco del peso del proprio corpo, e, direi quasi,
della
propria esistenza: le membra gli cadono come disc
que questa passione o piuttosto attitudine, non sia oggetto ordinario
della
declamazione nobile, pure suole talvolta congiung
erminano a tale attitudine, che suppone l’eccesso dell’abbattimento e
della
stanchezza. [7.10] L’inerzia morale viene scossa
Apparecchiava a sostener la guerra Sì del cammino, e sì
della
pietate, Che ritrarrà la mente, che n
ci appare di tanto superiore e meritevole, che c’ispira il sentimento
della
venerazione, che ci contrae, ci rimpicciolisce, c
dell’altro. Tutto si rassidera: i muscoli delle ciglia, delle guance,
della
bocca si allentano e illanguidiscono; si piegano
si viene a conseguirsi alla fine, la passione passando pei vari gradi
della
speranza e della fiducia arriva finalmente alla g
uirsi alla fine, la passione passando pei vari gradi della speranza e
della
fiducia arriva finalmente alla gioja, ch’è l’effe
upilla, e par che tutta la natura sorrida anch’essa con noi. Il tuono
della
voce equabile, aperto, sicuro annunzia un animo d
d ebbra ed avida a un tempo si mostra di nuovi piaceri. L’espressione
della
gioja si annunzia principalmente nella bocca, nel
o atterra e quasi che spegne. Cadono le membra disciolte, le giunture
della
spina dorsale, del collo, delle braccia, delle di
no e si rinforzano dalla certezza od opinione dell’altrui debolezza o
della
propria forza. [7.24] Allora si rivolta bruscamen
ccresca e metta a soqquadro tutte le forze interne e le parti esterne
della
persona, che ne è compresa ed agitata. Bolle il s
incendio e ruina; e se non può compiere la sua vendetta su l’obbietto
della
sua collera, si getta e si sfoga non pur su gli o
e probabilmente, allora si spiega il timore, che cresce a proporzione
della
grandezza e della vicinanza del male che si teme,
llora si spiega il timore, che cresce a proporzione della grandezza e
della
vicinanza del male che si teme, e diventa terrore
do ogni senso di esistenza e di vita, altera e snatura le umane forme
della
persona, e tutta infine la scompiglia e distrugge
io e nel riposo, il riposo ed il silenzio sono la parte più terribile
della
sua espressione. L’Inferno di Dante è tutto ripie
uoi figliuoli domandar del pane, sente egli chiavar l’uscio inferiore
della
torre, nella quale erano seco imprigionati, e li
sa in che modo tenersi. Le guance intanto si arrossano, e col rossor
della
vergogna si alterna e contrasta il pallor del rim
tato violento si accresca vieppiù, allora, passando per tutti i gradi
della
tristezza, giunge alla disperazione, e scoppia in
essere costantemente riconosciuta. Si vede in essa ora l’abbattimento
della
tristezza, ed ora la veemenza dell’ira, ora il so
e quell’analisi, che delle precedenti abbiam fatta, e l’applicazione
della
stessa teoria e degli stessi principî possiamo e
Capitolo VIII. Osservazioni e studio delle passioni ne’ fenomeni
della
natura e nei monumenti dell’arte. [8.1] L’anali
bbe, il più che può, particolareggiare e individualizzare gli oggetti
della
sua imitazione. E perciò quei primi o generali mo
pprendere la espressione più sincera e reale delle passioni nel libro
della
natura, o togliere da questo quei tratti particol
izio, per notare quegli inarcamenti di ciglia, e quei moti di occhi e
della
vita. Ad imitazion del quale stimerei cosa espedi
r l’ordinario sacrificava all’interesse delle rappresentazione quello
della
composizione, si tratteneva sovente in mezzo alla
ritrovava gli Ateniesi a tutte le altre genti superiori per la bontà
della
voce, per la forza e le belle proporzioni del cor
o passioni, e per la finezza delle loro sensibilità hanno l’eloquenza
della
fisonomía e della pronunciazione vocale e visibil
la finezza delle loro sensibilità hanno l’eloquenza della fisonomía e
della
pronunciazione vocale e visibile. Engel riguardav
e. [8.7] La natura le si oppone, allorquando alla specie od al grado
della
passione non corrisponde o tutto o in parte l’esp
grado della passione non corrisponde o tutto o in parte l’espressione
della
persona per qualche imperfezione della sua organi
tutto o in parte l’espressione della persona per qualche imperfezione
della
sua organizzazione interna ed esterna. La natura,
me noi crediamo che si debbano studiare utilmente i modelli originali
della
natura, scegliendone il luogo, il tempo, e l’indi
.11] Per vie meglio osservare e gustare con maggior finezza i modelli
della
natura possono ancora giovar grandemente i modell
puto trasceglierli ed imitarli. In questa non solo si trova una copia
della
natura, ma della natura scelta ed imitata nell’as
i ed imitarli. In questa non solo si trova una copia della natura, ma
della
natura scelta ed imitata nell’aspetto più interes
rto criterio di paragone per meglio osservarla e gustarla su’ modelli
della
natura. Ogni artista, come puro imitatore della n
gustarla su’ modelli della natura. Ogni artista, come puro imitatore
della
natura, si è studiato di notarne ed esporne gli e
li di espressione non ci presentano a contemplare? Quello che io dico
della
pittura dee dirsi egualmente della scultura. Molt
a contemplare? Quello che io dico della pittura dee dirsi egualmente
della
scultura. Molte statue, bassi rilievi ed incision
e combina, si è la declamazione, la quale si vale di tutti gli organi
della
persona per conseguire il suo fine; e perciò la s
ressione diventa la più completa e perfetta, e tocca il massimo grado
della
imitazione. [8.17] Gli eccellenti attori possono
.19] Possiamo dunque sicuramente conchiudere che non solo dai modelli
della
natura, ma eziandio dai monumenti dell’arte possi
pressione naturale. — Verità. [9.1] Il filosofo osserva i fenomeni
della
natura, e ne cerca la dipendenza e la ragione, l’
operanti risultano quindi certi difetti che si notano in alcune opere
della
natura; ed ancorché sia ciascuna perfetta rispett
individualmente paragonata, riguardo al fine particolare del genere o
della
specie, a cui l’una e l’altra appartengono. In qu
oghi apparisce costantemente la stessa. Ora essendo tutti gli oggetti
della
natura più o meno complessi, quelli interessano p
e vaghissime, che appena si movano o par lino perdono tosto l’incanto
della
loro bellezza apparente. E per lo contrario altre
di un ubbriaco, che non aveva ubbriache le gambe come tutto il resto
della
persona, intendeva di notare, che l’azione di lui
incerto. Quindi deriva la evidenza del suo significato, e la facilità
della
nostra intelligenza, che accrescono il nostro dil
rattere di quelle qualità. In questo modo il segno si veste anch’esso
della
bellezza del significato. Ed ecco perché certe es
re dello stesso genere, perché la specie delle une è più interessante
della
specie delle altre, per la differenza del loro si
do o la poca forza dell’espressione, ma la poca dignità del carattere
della
persona, ossia la debolezza ch’ella mostrava negl
enti. Quel ricoprirsi il viso in tempo, come fé Cesare spirando a pié
della
statua di Pompeo, quel prendere un’attitudine che
e, e poco o nulla badando alla natura ed efficacia del significato, o
della
passione a cui serve, hanno raccolto e notato cer
ano belli e dilettevoli, e che originalmente appartengono alla figura
della
persona, o a qualche passione particolare che li
espressione riguardata come imitatrice ed analoga prende il carattere
della
passione, alla quale si riferisce. Quindi errano
o, ciò accade perché questo temperamento essendo analogo al carattere
della
persona, ci richiama tali affezioni pregevoli, ch
esta espressione naturale, che c’interessa e diletta in tanti modelli
della
natura e dell’arte, è appunto quella che l’artist
era; egli è certissimo che l’uomo, osservando e raccogliendo il bello
della
natura, può concepirlo, tratteggiarlo, ripeterlo
, o qualunque altra la ragione di un tal fenomeno, niuno può dubitare
della
realità di esso; perocché o in se stesso l’esperi
hé lo produce, o l’osserva nelle opere dell’arte, allorché con quelle
della
natura le paragona. In questa maniera dalle tante
3] Pare dunque che un tal tipo altro non sia che un estratto del vero
della
natura combinato col probabile e col possibile, c
il tipo del bello artificiale altro non sia che un estratto del vero
della
natura combinato col probabile e col possibile, c
iù efficace a produrla. Da questa convenevolezza del tipo concepito e
della
sua esecuzione col fine che si propongono risulte
ide; ma l’una e l’altra dove più, dove meno contraffanno alcune parti
della
natura, ma non sì da illuderci pienamente. [10.6
bbiettivi, che questa e quelle si formano, idealizzando, per servirmi
della
frase di Lessing, quelle i corpi nello spazio, e
zio, e questa le azioni nel tempo. E per quanto sia la forza maggiore
della
poesia essa non giunge a presentare gli oggetti c
suoni vocali e strumentali hanno tentato di tratteggiare alcuna parte
della
poesia, da loro più o men maneggevoli. Ma per qua
ripetizione del tipo ideale. Quindi non solo può imitare gli oggetti
della
pittura, della scultura, della poesia propriament
l tipo ideale. Quindi non solo può imitare gli oggetti della pittura,
della
scultura, della poesia propriamente descrittiva,
uindi non solo può imitare gli oggetti della pittura, della scultura,
della
poesia propriamente descrittiva, della mimica e d
della pittura, della scultura, della poesia propriamente descrittiva,
della
mimica e della musica, ma presenta altresì gli st
della scultura, della poesia propriamente descrittiva, della mimica e
della
musica, ma presenta altresì gli stessi corpi e le
rari per avvicinarsi il più che possono al tipo loro. Il tipo adunque
della
declamazione si confonde ed immedesima nell’esecu
’improbabile, che immantinente l’annienterebbe. Se tutto il magistero
della
declamazione consiste nella illusione, come mai p
chio, e il piacere dell’illusione rimarrebbe distrutto dal dispiacere
della
verità. Parimente queste stesse attitudini, che p
attore principalmente, dee rispettare l’opinione e l’uso predominante
della
nazione del secolo, ma in guisa però che la prima
questa sia pur corrotta, la rimeni prudentemente al tipo più sincero
della
prima. Ed in caso di conflitto giova sempre piega
che alla declamazione appartiene. Ella comprende la bella espressione
della
natura ancor migliorata, probabile ed efficace a
re e dal poeta distinto, ei non può altronde ritrarre il vero modello
della
sua espressione, che dalla mente del poeta che lo
arziale una qualità ed una forza che all’idea dell’autore ed al senso
della
parola non corrispondessero, o tradissero il sens
rale ed artificiale dell’espressione. Capitolo XI. Combinazione
della
natura e dell’arte. [11.1] Il tipo dell’espress
degl’oratori questa distinzione che i confini o l’impero dell’arte e
della
natura volgarmente costituisce: Sed sunt quidam
bois e Raucourt, queste non erano riuscite se non macchine imitatrici
della
maestra: Il n’a point de peine que je ne me suis
che si vuol dare all’espressione, par che consiste nell’identificarsi
della
persona nel tipo ideale che vuole verificare, sic
porta ne’ tratti, negli accenti e nei moti più delicati ed espressivi
della
persona; e dispone e forza chi pur gli osservi e
di questa virtù straordinaria l’hanno fatta credere quasi tutta opera
della
natura e del cielo. Ed essa certamente suppone in
e la meraviglia de’ suoi effetti, la fece abbandonare al solo talento
della
natura, ed in questo modo si trascurò e degradò l
oiché è svegliata; sì che l’arte medesima par tante volte che trionfi
della
natura. Così colui che parea fatto tutt’altro dal
osto tutte ne dispiega le segrete disposizioni, e diventa il prodigio
della
greca eloquenza, e il flagello e il terror di Fil
tibi. [11.12] Io non trovo per tale esercizio un mezzo più efficace
della
lettura di quelle opere, nelle quali gli autori h
dificazioni, che la rendono propria di lui, e costituiscono la natura
della
declamazione tragica. [12.2] Il genere tragico v
rande, di sublime e straordinario, che comunicandosi a tutte le parti
della
tragedia, ci dipinge e presenta come tali non pur
glioso, che li toglie in parte quell’aspetto ributtante, ch’è proprio
della
sua natura. La tragedia insomma si eleva ad un or
odurre quel terribile e quel sublime, che era lo scopo indispensabile
della
loro tragedia. Ond’è che tutti i poeti che si son
incipîo importantissimo molte conseguenze si traggono intorno all’uso
della
declamazione propria, finora o non ben avvertite,
atura sì vantaggiosa, ne rimase alquanto sorpresa, e lo giudicò minor
della
fama. E siccome il tipo dell’arte quello migliora
giudicò minor della fama. E siccome il tipo dell’arte quello migliora
della
natura, niuno eroe ci hanno presentato gli artist
one e la patria tendono ordinariamente a distruggerlo in chi l’avesse
della
natura sortito? Se si reputa modestia l’avvilimen
tenga sempre violentemente montata, ed affetti questo artificio fuor
della
scena. Forse la stessa Clairon diede in questo ec
aire parla pure di un cotale attore, che, assumendo in tempo il tuono
della
declamazione, fu creduto un uomo di corte, e si f
che l’arte vuole produrre. Imperocché non dee l’attore mostrarsi fuor
della
scena qual su la scena dee solamente apparire, se
nel mondo civile e drammatico. Capitolo XIII. Del tuono proprio
della
declamazione tragica. [13.1] Quello che abbiam
rali e morali dell’attore tragico si dee più particolarmente al tuono
della
voce applicare, nel che la declamazione principal
oncluso che il tuono di essa non deggia scostarsi dal tuono ordinario
della
conversazione. Ma essi non si avvedevano, così co
pecie di declamazione dee fondarsi principalmente sul tuono ordinario
della
conversazione, questo tuono dee accomodarsi alle
o tuono dee accomodarsi alle persone, alla circostanza, all’argomento
della
conversazione che si vuole imitare. Il perché tan
tori, per cui l’attore era costretto ad esagerare e sforzare il tuono
della
voce, e declamar fortemente per farsi loro malgra
lcet, falsis terroribus implet. [13.5] E perciò Giovenale del tuono
della
voce intendeva parlare, allorché diceva: Grande
baccetur hiatu. [13.6] Or volendo determinare il carattere proprio
della
declamazione tragica, ed assegnarle il tuono conv
ova per tal riguardo sottoposta alle leggi generali e comuni al tuono
della
conversazione ordinaria. Il per ché l’attore trag
ssioni, passaggi, consonanze e cadenze, che il tuono più significante
della
conversazione ci detta. Parlano gli uomini, parla
ttore, che di queste si suppone altamente invasato, elevarsi al di là
della
conversazione ordinaria, e collocarsi nello stato
sto che la declamazione tragica, modellandosi originalmente sul tuono
della
conversazione ordinaria, dee prendere il caratter
te sul tuono della conversazione ordinaria, dee prendere il carattere
della
persona e delle passioni a cui serve. Debbe esser
determina. [13.8] Dallo stesso principîo si determina pur la maniera
della
gesticolazione conveniente. Essa debbe assumere q
bbe assumere quell’impronta d’importanza e di forza, che sia al tuono
della
voce proporzionato; e perciò debbe essere per l’o
, che pel loro numero e rapidità offenderebbero a un tempo la dignità
della
persona e la forza della passione a cui servono.
apidità offenderebbero a un tempo la dignità della persona e la forza
della
passione a cui servono. La persona, che molto ges
enfasi ed ampollosità che annunzia piuttosto la debolezza e lo sforzo
della
persona, che crede di supplire con tale artificio
ha giudicato in questo modo nelle sue Osservazioni critiche al poema
della
Declamazione teatrale di Dorat: Io avrei solamen
i questi, e si può dire ch’essi fanno per lo più consistere il merito
della
loro declamazione in una specie di predicazione o
i, che pur sono molti, i quali, non avendo ben concepito il vero tipo
della
declamazione tragica, hanno creduto ch’ella fosse
ed assurda. Imperocché non avendo essi alcun riguardo né al carattere
della
tragedia, né al genio della nazione, non hanno ab
vendo essi alcun riguardo né al carattere della tragedia, né al genio
della
nazione, non hanno abbastanza considerato, che se
nte e perfetta. Engel fra gli altri condannava assolutamente il tuono
della
declamazione, e perciò la versificazione, Egli vu
sificazione, Egli vuole il vero schietto, senza osservare che il vero
della
storia e della filosofia non è quello della poesi
li vuole il vero schietto, senza osservare che il vero della storia e
della
filosofia non è quello della poesia e di ogni bel
nza osservare che il vero della storia e della filosofia non è quello
della
poesia e di ogni bella arte; egli vuole che si im
di avere abbastanza provato quale debba essere il carattere generale
della
pronunciazione tragica evitando ad un tempo i due
ido. L’attore dee quindi, il più che sa, avvicinarsi alle proporzioni
della
statura eroica, la quale si allontana egualmente
la ordinaria; ed a questa norma debbe accomodare non pure il contegno
della
persona, che il tuono ed il gesto della espressio
comodare non pure il contegno della persona, che il tuono ed il gesto
della
espressione. E per quanto questo scorra pe’ suoi
e e differenti si potrebbero ridurre i caratteri o le parti ordinarie
della
tragedia? Forse tutti si potrebbero comodamente d
scindere dalle seguenti considerazioni. [14.5] Il carattere speciale
della
parte, a cui si destina il commediante, debbe amm
mente costituiscono. La figura vuole essere piuttosto secca, i tratti
della
fisonomia rilevati, l’occhio infossato, lo sguard
zionano quanto più sono limitate e circoscritte. E poi certi miracoli
della
natura e dell’arte non potrebbero ridursi a regol
il suo carattere primordiale. I confidenti, che sembrano i più remoti
della
sfera dei personaggi principali, si suppongono pu
nfidenti che nulla serbano di comune coi principali, e sono più degni
della
commedia che della tragedia, ma questa colpa dee
serbano di comune coi principali, e sono più degni della commedia che
della
tragedia, ma questa colpa dee solo imputarsi ai p
i amano di far sentire piuttosto l’eccellenza dell’attore, che quella
della
parte che rappresentano. Esse ambiscono di emular
enza adunque delle parti e del tutto sta nell’eccellenza del genere e
della
specie; e quindi risulta l’unità e l’armonia del
lla quale cominciava ad annoiarsi dei consigli altrui e dell’autorità
della
madre, ed è per lanciarsi nella carriera del deli
che ha ideato il poeta. [15.7] I caratteri migliori, e quasi propri
della
tragedia sono quelli in cui due passioni differen
si contrarie. Tale è Agamennone, allorché l’amor del comando e l’amor
della
figlia si fanno guerra a vicenda; tale è Clitenne
sto modo si concepisce, si forma e s’imita il vero e perfetto modello
della
natura e dell’arte. [15.10] Dalle osservazioni gi
[15.10] Dalle osservazioni già fatte si può raccogliere il vero tipo
della
natura individuale, e quindi dare l’espressione c
parole, frasi, sentenze ecc. non esprimono la stessa qualità o grado
della
passione alla quale si riferiscono. Spesso annunz
, che la combattono o favoriscono, possono anch’essi ridursi a’ gradi
della
quantità, pei quali comparisce più o meno alterat
alogamente questi momenti progressivi, dando a ciascuna modificazione
della
medesima passione l’espressione corrispondente, s
pportunamente, sicché tutte esprimano successivamente le degradazioni
della
medesima espressione, sia crescente, sia decresce
dinaria dovrebbe dominare nel primo atto, o finché duri l’espressione
della
favola, de’ caratteri, delle circostanze, che ne
non dee confondersi. In questo modo, determinando i tratti principali
della
linea progressiva per la quale si spiega e proced
elle prime scene; ma egli non lo sarà quando debb’essere all’incontro
della
figlia e di Clitennestra, e massimamente quando a
o di progressione. [16.10] Cicerone ci ha lasciato una testimonianza
della
destrezza di Roscio in tal genere in quel passo:
iste a profondere troppo di espressione nel cominciamento del dramma,
della
scena, della parlata o periodo. Ond’è che l’espre
dere troppo di espressione nel cominciamento del dramma, della scena,
della
parlata o periodo. Ond’è che l’espressione assai
a quei momenti più interessanti, che si trovassero altrove nel corso
della
scena, del discorso o del periodo. Ciò non ostant
scorso o del periodo. Ciò non ostante si sono adottati nel portamento
della
voce e del gesto certi metodi che sacrificano que
della voce e del gesto certi metodi che sacrificano questo interesse
della
passione e del sentimento a certe cadenze finali
sione e del sentimento a certe cadenze finali del verso, del periodo,
della
parlata, oppur della scena; e periodicamente si r
o a certe cadenze finali del verso, del periodo, della parlata, oppur
della
scena; e periodicamente si ripete sempre lo stess
a un di presso la stessa. [16.17] L’altro oggetto che la progressione
della
passione e dell’espressione riguarda, si è il pas
orioso. La persona in tali incontri si mostra agitata dagli accidenti
della
sua passione, come il mare sbattuto da’ venti div
essa richiede sempre una preparazione, che arrivi ad unire il termine
della
prima col principîo della seconda. E perciò si è
reparazione, che arrivi ad unire il termine della prima col principîo
della
seconda. E perciò si è detto ch’essa non può oper
cconciamente rifonda e trasformi? Capitolo XVII. Del dialogo, o
della
pronunciazione dialogistica. [17.1] L’attore t
mporta che l’espressione conveniente all’indole ed allo sviluppamento
della
passione dominante si modifichi eziandio secondo
l’uno ed all’altro, rivolgendosi a Xifares col ciglio e con l’accento
della
tenerezza, ed a Farnace con quelli della diffiden
s col ciglio e con l’accento della tenerezza, ed a Farnace con quelli
della
diffidenza. Si narra, che Baron sostenendo la par
. Quindi si collocano in modo che parlando tengano la parte anteriore
della
persona rivolta per lo più agli spettatori, e la
ta prima relazione, secondo la quale dee situarsi il guardo ordinario
della
scena, può e dee in progresso di tempo l’attore m
rni ed accidentali che via via si spiegassero dal corso dell’azione e
della
combinazione delle circostanze. Altrimenti, stand
dunque il variare questo quadro secondo il movimento che lo sviluppo
della
passione dee comunicare alla figura e agli interl
ssere utilissima ed anche necessaria una tale posizione, ove la forza
della
passione ed il vero la richiedesse, ed evitasse a
più comodamente guardare all’interlocutore, e non togliere il meglio
della
persona e dell’espressione agli spettatori. [17.8
, e di muoversi per non ristarsi sempre immobile nel medesimo sito. È
della
natura del colloquio, specialmente ove sia intere
itti allo stesso luogo, servono ad animar le persone secondo l’indole
della
passione e dell’espressione corrispondente. [17.
pressione sono i pari di condizione, o quelli che tali renda la forza
della
passione. Ovidio diceva che l’amore s’incontra di
l gesto e l’espressione dell’oratore secondo il genere di eloquenza e
della
pronunciazione, che dee spiegare. Tali sono le sc
queste situazioni non sono frequenti; e perciò il carattere ordinario
della
scena è drammatico e dialogístico; ritenuta quell
gesto come l’espressione in generale dee seguire la natura e la forza
della
passione, che ove sia straordinaria, obbliga la p
one di tutte quelle digradazioni che a tutte le modificazioni e gradi
della
passione deggiono corrispondere. La copia e varie
deggiono corrispondere. La copia e varietà di queste maniere e colori
della
voce bene adottati, e spontaneamente eseguiti, fo
bene adottati, e spontaneamente eseguiti, formano la parte più bella
della
declamazione dialogistica. [17.15] Oltre il vari
e, e tutte importantissime, fra Creonte ed Antigone, nell’atto quarto
della
prima scena: Creonte. Scegliesti? Antigone. Ho
intonazione a misura che all’una succede l’altra? Tale è il principîo
della
scena terza dell’atto quinto della Virginia fra A
ccede l’altra? Tale è il principîo della scena terza dell’atto quinto
della
Virginia fra Appio e Virginia: Appio. Di’; riso
c. [17.17] Così nell’Agamennone fra Egisto ed Agamennone nella fine
della
scena seconda dell’atto terzo: Egisto. Tu pur m
ficio del dialogo, del metro, del periodo e del ritmo al solo effetto
della
declamazione teatrale! Capitolo XVIII. Dei
nalogamente alle circostanze. E ciò accade per l’ordinario all’organo
della
voce, allorché l’interlocutore dee nel corso del
esso tanto più risentiti e significanti, quanto meno può con l’organo
della
voce apertamente spiegarsi. L’indole e lo svilupp
polito la sua inclinazione, allorché [18.4] Clitennestra consapevole
della
sua infedeltà incontra Agamennone che ritorna tri
ntiliano ci assicura di aver veduto alcuni continuare a piangere fuor
della
scena, ed Engel trovava ancora in Ekard, terminat
comunicazioni segrete che si danno ad alcuno sommessamente nell’atto
della
scena, sì che né gli interlocutori, né gli spetta
sia per novità o per intensità. Noi abbiamo altrove notato i fenomeni
della
meraviglia e del terrore; ma di tutte le passioni
di Oreste ed Ifigenia nella Tauride, o di Merope e di Cresfonte ecc.;
della
seconda sarebbe il quadro sorprendente col quale
l pungolo di passione veementissima nella solitudine e fra le tenebre
della
notte? I monologhi sono anzi meno rari dei sonnil
erocché trovandosi la persona più che mai perturbata, sola e in balìa
della
passione che l’agita, non può essere né richiamat
propria passione; quindi lo sfogarsi liberamente, il vagare a seconda
della
passione estuante, senza che incontri al difuori
iamma occulta che l’arde; Agamennone piange senza riguardi il destino
della
sua figliuola ecc. [19.5] Tutti i monologhi si po
ò distinguersi in concentrivo ed espansivo. Domina nell’uno l’eccesso
della
tristezza, e quindi la fissazione, la gravità, la
ogo di Macbet, dove combinandosi a un tempo la disposizione ordinaria
della
persona con l’accesso straordinario della passion
o la disposizione ordinaria della persona con l’accesso straordinario
della
passione che l’investe, lady Macbet, naturalmente
quanto simile è la situazione di Riccardo nella 1a scena dell’att. V.
della
tragedia di questo nome, dove, dopo aver sognato
so dialogo, allorché uno degli interlocutori è siffattamente occupato
della
sua idea o affezione predominante, che ne parla e
ar fuyant dans la carrière? [19.13] Agamennone, agitato su la sorte
della
sua figlia, e ripentito di averla chiamata, e tem
se in quel punto si ripetessero. Capitolo XX. Della decorazione
della
persona e della scena. [20.1] Tutto ciò che ri
si ripetessero. Capitolo XX. Della decorazione della persona e
della
scena. [20.1] Tutto ciò che riguarda la decora
[20.1] Tutto ciò che riguarda la decorazione tanto dell’attore quanto
della
scena dee anche esso considerarsi come parte più
e più o men necessaria all’espressione, e per conseguenza all’effetto
della
declamazione. E di vero se l’attore dee fare tutt
he non adempiuta apporterebbe a tutte le altre. La decorazione dunque
della
persona e della scena, dee concorrere anch’essa a
apporterebbe a tutte le altre. La decorazione dunque della persona e
della
scena, dee concorrere anch’essa alla verità dell’
ca e distintiva, e per conseguenza debbe essere conforme al carattere
della
persona, e quindi del paese, del tempo e delle co
e, e in brache tempestate di giojelli, ricamate d’oro. E sino all’età
della
Clairon e di Le Kain nessuno eroe del teatro osav
ne. E spesso il tintinnio dell’orpello accompagnava i varii movimenti
della
persona, cagionando la distrazione ed il riso deg
neille e Racine aveano dato a’ caratteri greci e romani il linguaggio
della
galanteria e della corte francese, soffrirono anc
ano dato a’ caratteri greci e romani il linguaggio della galanteria e
della
corte francese, soffrirono ancora che ne fossero
ione di essa. [20.8] Questo principîo dee pur regolare la decorazione
della
persona. La nudità degli americani, certe fogge d
bbero ogni effetto dell’espressione e dell’arte. Dunque dee mostrarsi
della
stessa verità quanto basti a farla riconoscere e
risimile e convenevole. [20.9] Determinata la forma comune e propria
della
persona dee pur adattarsi non solo alla condizion
[20.10] Per la stessa ragione non dee neppur trascurarsi il carattere
della
scena, la quale anch’essa concorre dal suo canto
ale quello che richiede la scena dell’Edipo tebano, o del Prometeo, o
della
Ifigenia in Aulide, non può indifferentemente ado
ilottete o di Ione. [20.11] Egli è vero che alcune volte il carattere
della
scena è alquanto generale ed indefinito, e specia
nito, e specialmente presso gli antichi, nei quali, per la latitudine
della
scena che comprendeva più membri, e per l’uniform
ste per tutte le altre. [20.12] E giovano ancora non poco all’effetto
della
decorazione e dell’espressione dell’attore la for
, che appo gli antichi rinforzava ed ingrandiva la voce a proporzione
della
grandezza dei loro teatri, sarebbero costretti a
; 2.o Parimenti si toglierebbe all’espressione l’uso tanto importante
della
fisonomia, del ciglio, e dell’occhio principalmen
Si dovrebbe ancora provvedere allo stesso fine che la parte superiore
della
scena, ove gli attori declamano fosse opportuname
a, relative all’unico fine dell’arte, sicché si agevoli il portamento
della
voce, e se ne diffondano i raggi regolarmente per
iò che riguarda l’espression degli attori. Capitolo XXI. Studio
della
parte [21.1] Le considerazioni generali e parti
biam fatto finora debbono regolare lo studio che ogni attore dee fare
della
sua parte. E perché molte cose si trascurano, e m
el vestire generale e particolare, che il carattere e la disposizione
della
scena, e tutte quelle più importanti relazioni ch
o del dramma passa l’attore da questa lettura allo studio particolare
della
sua parte; e questo non debbe essere limitato all
rli, e ciò che dee fare ove taccia? Oltrecché la variazione opportuna
della
fisionomia, dell’attitudine e la qualità convenie
locutore non apprende egualmente il dialogo intero. [21.6] Lo studio
della
parte consiste a mandarla tutto a memoria, sicché
iamo francamente asserire che senza l’apparecchio e l’uso conveniente
della
memoria ogni altro talento od esercizio sarebbe p
e si reciti a un tempo dal suggeritore e dall’attore pel solo effetto
della
più annojevole monotonia. E supposto che il ramme
i, trovandosi mai sempre nel bivio o di negligere la vera espressione
della
sua parte, o di smarrir le parole che dee il sugg
getture, noi ci contentiamo di osservare, che per quanto gli elementi
della
pronunciazione ordinaria sieno sfuggevoli e diffi
luoghi più interessanti, senza imbarazzar troppo il libero andamento
della
declamazione, che potrebbe essere offeso dall’ecc
ecchio per osservare e migliorare il portamento, le mosse ed il gesto
della
persona. Per tal ripiego Minerva, riguardandosi n
’iracondo potesse correggersi, ricorrendo allo specchio negli eccessi
della
sua collera, come se al collerico spiacesse di ap
eva. Può dunque lo specchio avvertire e correggere soltanto i difetti
della
persona tranquilla. E tale potrebbe essere sino a
perocché il guardo inteso ad osservar su lo specchio l’atteggiamento
della
persona, e col guardo la miglior parte della fiso
specchio l’atteggiamento della persona, e col guardo la miglior parte
della
fisonomia che da quello dipende, non possono simu
imultaneamente accompagnarla e convenientemente atteggiarsi col resto
della
persona. [21.12] Ad evitare tali pericoli, l’uso
in gran parte alla dignità ed espressione del portamento, del gesto e
della
figura, che in certi momenti raccomandano al mane
cio, e comporre all’uopo le forme opportune dell’abito con gli slanci
della
passione dominante ed inventarne delle nuove e si
vente un suo amico particolare su’ passi più difficili e interessanti
della
sua parte, e fattine più sperimenti davanti a lui
rancamente la reciti. Fatto prima qualche esperimento per assicurarsi
della
recita, si faranno gli altri su la scena per comb
a dovrebbe esser fatta con gli abiti propri e con tutto l’apparecchio
della
decorazione scenica per giudicare dell’effetto. P
Indizi ed effetti del perfezionamento dell’arte. [22.1] Il fine
della
tragedia è di eccitare la passione più nobile e p
e divina virtù, che è la cagione ad un tempo e l’effetto dell’unione,
della
forza e della perfezione degli uomini, e che ci r
, che è la cagione ad un tempo e l’effetto dell’unione, della forza e
della
perfezione degli uomini, e che ci rende tollerabi
l’alimentano, è massimamente e propriamente raccomandata al ministero
della
tragedia, la quale fra le eroiche passioni che ad
tragedia, la quale fra le eroiche passioni che adopera, del terrore e
della
compassione si diletta principalmente. Ora l’atto
ortemente agitato, s’egli ha prima versato delle lagrime nello studio
della
sua parte, può probabilmente provarsi di farne sp
vide sovente degli attori uscir dalla scena ancor piangendo a cagione
della
calamità che aveano veramente imitato: Vidi ego s
egli spettatori, e che pienamente ottenuto diventa il segno più certo
della
perfezione dell’arte. Ma siccome possono esser va
spiega per qualche rappresentazione deriva dall’apparecchio specioso
della
scena, dalla novità delle decorazioni, e da altre
nette e ridicole. [22.4] Nascono talvolta gli applausi dalla qualità
della
persona, e non già dall’attore. Ancorché tutte le
che si vuole produrre, e che può assicurarci del merito dell’attore e
della
perfezione dell’arte, si è il terrore e la pietà,
e a penetrare ne’ cuori più difficili e meno fatti per sentir le voci
della
natura. Si dice di Condé ch’ei si scioglieva in l
fi degli stati. [22.9] Può dunque conchiudersi che il segno più certo
della
perfezione dell’arte e del merito degli artisti n
raviglia, o qualunque altro affetto, che non sia quello del terrore e
della
pietà, e che per conseguente non già l’evviva, i
uola che ne offra l’insegnamento, secondo i veri principî del gusto e
della
ragione. E perché se tutte le arti imitatrici han
pregio? e niuno da più tempo ne apparisce colà dove né dell’arte, né
della
scuola si tiene conto? Perché sprezzare la perfez
lta la nazione? [23.2] Ma io non credo che vi abbia alcuno che dubiti
della
necessità ed utilità di tale istituzione, sia per
reliminari ed in proprie, cioè in quelle che debbono precedere l’arte
della
declamazione, ed in quelle che propriamente la co
e, si trovi obbligato alle seguenti condizioni. [23.4] 1o Cognizione
della
propria lingua. Egli è vero che l’attore non è de
debita accuratezza certe maniere, certe frasi, certi giri particolari
della
sua lingua, se non ne conosca la proprietà e la f
mbinazione. L’una costituisce la parte materiale, ossia il dizionario
della
lingua, e l’altra la parte formale, cioè la gramm
del corpo, la musica vocale può eziandio ottenerlo dall’esercitazione
della
voce. Con questo esercizio non pur si addestra, m
vocale; e l’attore imparando a conoscere le degradazioni più semplici
della
voce, potrebbe farne un uso più esteso e convenie
pressoché al solo spazio, di una giornata, in cui si limita l’azione
della
tragedia, l’attore non ne avrà mai quella prima c
taliana, ha un linguaggio tutto suo proprio e diverso affatto da quel
della
prosa. Cotesta differenza è tale fra noi, che spe
i di scena, di contrasti ecc. E questi tengono dietro alla semplicità
della
favola, alla naturalezza degli accidenti, alla ve
emplicità della favola, alla naturalezza degli accidenti, alla verità
della
passione, alla facilità dello scioglimento, per c
i tatti grossolani e poco esercitati. Per questa ragione il carattere
della
Fedra di Euripide si posporrebbe a quello della F
ragione il carattere della Fedra di Euripide si posporrebbe a quello
della
Fedra di Racine; e si cercano piuttosto delle pas
tali scuole; si potrebbe dunque semplicizzarla e ridurla alla scuola
della
poetica e della declamazione teoretica e pratica
potrebbe dunque semplicizzarla e ridurla alla scuola della poetica e
della
declamazione teoretica e pratica e far sì che niu
i veri mezzi che possono stabilire, correggere e perfezionare l’arte
della
declamazione teatrale, e quante volte sieno tali
itarsi colla pratica. E questa dee darsi sopra la scena. Il professor
della
scuola dovrebbe prima esercitar gli alunni a legg
ura rapidamente fatta, non si potrebbero facilmente imitare nel corso
della
declamazione, che per contratte abitudini si trov
po i veri principî dell’arte, che non debbono mai scostarsi da quelli
della
natura. E nelle varie ripetizioni ed esperimenti,
ezione consiste, debbono attender coloro, a cui la gloria dell’arte e
della
nazione è principalmente commessa. Nuove osservaz
unire alla classe delle belle arti anche di quelli che s’intendessero
della
declamazione, e si occupassero a scrivere e ragio
certi giorni delle memorie istruttive, non solo sopra de’ vizi comuni
della
declamazione teatrale, ma ancora sopra i difetti
nte a quest’uopo. La sig.a Clairon notava nelle sue Memorie dolendosi
della
sua condizione: Je ne dissimulerai pas que je me
canto o di recitativo. Può notarsi ancora in gran parte la danza; ma
della
declamazione non possono notarsi se non se alcuni
con metodo. [24.3] Cornelio Nepote (in Chabrias) dice sul proposito
della
statua che Cabria si fece innalzare nel foro in q
iensi. Esso dunque abbraccerebbe l’analisi ed il giudizio de’ drammi,
della
loro rappresentazione, del merito degli attori, e
ni teatrali, le quali, confermando o rettificando le massime e regole
della
teorica e della pratica, perfezionerebbero non pu
quali, confermando o rettificando le massime e regole della teorica e
della
pratica, perfezionerebbero non pur l’arte, che la
lessioni compiute da Pietro Napoli Signorelli (1731-1815) all’interno
della
Storia critica de’ teatri antichi e moderni (1777
mbini tratti dal natural bisogno di nutrirsi si assuefanno alla vista
della
balia o della madre prima che si avveggano di ogn
al natural bisogno di nutrirsi si assuefanno alla vista della balia o
della
madre prima che si avveggano di ogni altra cosa».
he la teoria sull’ordine del discorso proposta da Diderot all’interno
della
Lettre sur les sourds et muets à l’usage de ceux
1). [commento_Intro.6] Per un inquadramento delle origini e sviluppi
della
pantomima nell’antichità, si veda quanto scritto
no nel dialogo De saltatione, nel quale, oltre a tracciare una storia
della
disciplina, ne sottolinea, per bocca di Licino, l
ttolinea, per bocca di Licino, l’utilità. [commento_Intro.7] La tesi
della
tragedia come evoluzione delle feste in onore di
, vol. I., p. 53). [commento_Intro.8] L’aneddoto narrato a proposito
della
rappresentazione delle Eumenidi di Eschilo veniva
irono dal teatro febbricitanti. Ora avendo essi l’immaginazione piena
della
mentovata tragedia, altro non vedevano se non Per
ena non poterono attingere alla perfezione che solo un attento studio
della
declamazione può concedere. Il parere espresso è
sso è dunque in linea con l’impostazione del trattato, che vuole fare
della
declamazione un’arte scandita da regole e dell’at
estiere da insegnare. [commento_Intro.11] Nel Saggio storico-critico
della
commedia italiana (1829) Salfi parlerà di queste
asino la sua figura» (Francesco Saverio Salfi, Saggio storico-critico
della
commedia italiana, Milano, Per Giacinto Battaglia
C., MDCCCXXIX, p. 11). Per quanto concerne la storia dell’evoluzione
della
commedia in Italia, Salfi prende a riferimento Lu
a, Sebastiano Clarignano da Montefalco, che Cinzio citava all’interno
della
Dedica: «Composta adunque ch’io hebbi questa trag
uto nella seconda metà del Diciassettesimo secolo. Inizialmente parte
della
compagnia Calderoni, alla partenza della troupe p
o secolo. Inizialmente parte della compagnia Calderoni, alla partenza
della
troupe per la Baviera decise di restare in Italia
i», in Uomini di teatro nel Settecento in Emilia e Romagna. Il teatro
della
cultura: prospettive biografiche, a cura di Eugen
he. Il successo più tangibile di questa stagione fu la messa in scena
della
Merope di Maffei a Modena nel 1713 da parte della
u la messa in scena della Merope di Maffei a Modena nel 1713 da parte
della
compagnia Riccoboni, che rivelava la possibilità
spettacolo nel Settecento, Bari, Laterza, 1995, p. 17). La centralità
della
resa scenica veniva sottolineata da Maffei nel di
so di prefazione al Teatro italiano, o sia scelta di tragedie per uso
della
scena, pubblicato tra il 1723 e il 1725. Nell’esp
ossano in oggi rappresentarsi con piacer dell’udienza: però l’effetto
della
maggior parte di queste si è prima veduto in prat
e» (Scipione Maffei, Teatro italiano o sia scelta di tragedie per uso
della
scena, In Verona. MDCCXXIII, presso Jacopo Vallar
i. Ma il discorso non si esaurisce qui, e si apre alla considerazione
della
necessità di promuovere lo studio dell’arte attor
. Così la donna viene descritta nella Seconda lettera del suggeritore
della
Comédie di Rouen (1730) di Jean Dumas d’Aigueberr
assione». In Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore
della
Comédie di Rouen al garzone del caffè, ovvero con
médie di Rouen al garzone del caffè, ovvero conservazione sui difetti
della
declamazione, introduzione, traduzione e note di
seguire le sue orme sarà François-Joseph Talma (1763-1826), l’attore
della
rivoluzione, che nel 1825 pubblicherà le Réflexio
16] Hans Conrad Dietrich Ekhof (1720-1778), attore tedesco, fondatore
della
Theatralische Akademie di Schwerin, che promuovev
re della Theatralische Akademie di Schwerin, che promuoveva lo studio
della
recitazione secondo un metodo riformato. Come sot
e né nella gestualità, al sentimento puro e semplice. Anzi, nel corso
della
rappresentazione evitava con cura di abbandonarsi
ci e gli attori adeguassero le rappresentazioni teatrali allo spirito
della
nazione. Il comico attribuiva ad esempio la liber
olar modo Salfi, tanto che l’attore viene ricordato anche all’interno
della
Vie politique et littéraire de F. S. Salfi scritt
in altre moltissime opere di ogni genere egli spiegava tutta la forza
della
sua intelligenza sia per altezza d’interpretazion
1978, p. 244. [commento_Intro.20] Così scrive Aristotele all’interno
della
Retorica a proposito dell’azione oratoria: «È dun
12, pp. 426-427). [commento_Intro.21] Sulla trattazione del soggetto
della
recitazione nelle opere dell’antichità, si veda C
ione nelle opere dell’antichità, si veda Claudio Vicentini, La teoria
della
recitazione. Dall’antichità al Settecento, cit.,
opone è di istruire i giovani in un’arte tanto trascurata come quella
della
declamazione, farsi «chirurgo teatrale» in grado
lla declamazione, farsi «chirurgo teatrale» in grado di sanare i mali
della
recitazione (Luigi Riccoboni, Dell’arte rappresen
mo e quelli dell’antiemozionalismo. Sainte-Albine vedeva come cardini
della
recitazione tre doti: l’esprit, il sentiment, il
, facendo del palco la scena dell’anima, che aggiusta anche i difetti
della
fisionomia. La Natura ha dunque la meglio sull’Ar
view», novembre 2014, pp. 9-31. Per un quadro generale degli attori e
della
recitazione in Francia nel XVIII secolo, si riman
autore di un Poème didactique en trois chants (1766) dedicato al tema
della
declamazione teatrale, diviso in tre sezioni: una
uto da un Discours préliminaire, nel quale viene ripercorsa la storia
della
declamazione dell’antichità e dove l’autore offre
esto porrà le basi per il dibattito sollevato da Diderot sulle pagine
della
rivista Correspondance dell’ottobre 1770, in occa
e pagine della rivista Correspondance dell’ottobre 1770, in occasione
della
recensione di Garrick, ou les acteurs anglais, in
boni, promotore di un gesto retto dalle leggi dell’eleganza ma nemico
della
verità; poi consigliava ai suoi lettori le rifles
i Vittore Branca, cit., vol. I, p. 254). Il rischio dell’applicazione
della
teoria cartesiana, attraverso la mediazione di Le
mozionale irripetibile. Jean-François Marmontel (1723-1799) fu autore
della
voce Déclamation théâtrale (1753) all’interno del
trale (1753) all’interno dell’Encyclopédie. Egli ripercorre la storia
della
declamazione a partire dalle origini, affrontando
della declamazione a partire dalle origini, affrontando la questione
della
musica all’interno della tragedia e sottolineando
tire dalle origini, affrontando la questione della musica all’interno
della
tragedia e sottolineando l’incredibile diffusione
a all’interno della tragedia e sottolineando l’incredibile diffusione
della
pantomima nella Roma antica. Arrivando rapidament
buon attore dovrebbe possedere, passa poi a parlare più distesamente
della
voce e del gesto, concedendo un particolare rilie
particolare rilievo anche l’articolo che Marmontel scrive a proposito
della
distinzione tra pathétique direct e pathétique ré
ier sottolinea la superiorità del dramma, in grado di farsi portavoce
della
contemporaneità e di abolire l’arbitraria distinz
distinzione tra commedia e tragedia. Gotthold Ephraim Lessing, autore
della
Drammaturgia d’Amburgo (1767-1768), testo che si
Riccoboni fils, si pronuncia a favore dell’emozionalismo. Nell’ambito
della
produzione teorica di Denis Diderot, viene invece
MDCCLXXII, pp. 160-161. Pietro Napoli Signorelli (1731-1815), autore
della
Storia critica de’ teatri antichi e moderni (1777
componente performativa dei drammi, e dunque sullo sviluppo dell’arte
della
declamazione. Un maggiore spazio le viene invece
e le sue conferenze pubblicate nel 1698, grande influenza nell’ambito
della
trattatistica teatrale settecentesca (Joseph Roac
one e la contiguità tra corpo e anima, uniti attraverso la mediazione
della
ghiandola pineale, Descartes conferisce alle pass
pera Delle scienze metafisiche per gli giovanetti (1767), all’interno
della
sezione Antropologia, scritta da Antonio Genovesi
regia approvazione, MDCCCLII, cap. VI, p. 333). Per un inquadramento
della
figura di Antonio Genovesi si veda Giovanni Genti
nto della figura di Antonio Genovesi si veda Giovanni Gentile, Storia
della
filosofia italiana: dal Genovesi al Galluppi, vol
lle umane passioni. Così il tuonare del cielo era l’immagine dell’ira
della
natura. Sull’argomento si veda Luigi Rosiello, Le
natura corporale a entità astratte prive di corpo, persiste il tratto
della
visibilità proprio del linguaggio muto, seppur me
ado di sviluppo rispetto alle prime due, e porta con sé la formazione
della
memoria. Era la casualità infatti che inizialment
ne contingente si ebbe in primo luogo quando si presentò la necessità
della
comunicazione. Inizialmente l’imitazione di gesti
simo stato emotivo. Sull’argomento si veda Roberto Salvucci, Sviluppi
della
problematica del linguaggio nel XVIII secolo: Con
realizzata. La voce e il gesto, strumenti rispettivamente del canto e
della
danza pantomimica, appaiono dunque come le prime
ono dunque come le prime arti ad essersi sviluppate. Sulla confluenza
della
pantomima nelle arti musicali si veda Jean-Baptis
te dì quella» (Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura
della
poesia, cit., p. 61). [commento_1.8] A questo pr
sulla spartizione che gli attori dell’antichità facevano del gesto e
della
voce, affermando che fossero due gli attori ad an
contagiare gli altri agiscono sul piano dell’emotività piuttosto che
della
razionalità, e vanno individuati ne «l’air de leu
ggio attraverso i medesimi strumenti, in grado di far leva sul pathos
della
platea. Un contagio implica infatti che colui che
pesso connesso a un’idea di recitazione ampollosa e enfatica, propria
della
maniera alla francese. Luigi Riccoboni si era sca
nell’azione drammatica. Capitolo II [commento_2.1] Nell’ambito
della
trattatistica concernente la retorica o la declam
a: e se ne vedrà in fine la regola» (Giovanni Lancillotti, I principj
della
lingua italiana, https://www.liberliber.it/mediat
li governiamo per li toni» (Giovan Giorgio Trissino, Le sei divisioni
della
poetica, in Id., Tutte le opere di Giovan Giorgio
n Licenza de’ superiori, 1719, p. 15). [commento_2.11] Salfi diffida
della
possibilità di ricostruire la declamazione degli
del periodo si veda Raffaele Simone, Seicento e Settecento, in Storia
della
linguistica, a cura di Giulio C. Lepschy, vol. II
1990, pp. 313-395. Capitolo III [commento_3.1] La superiorità
della
superficie visiva era da rintracciarsi già nella
5, p. 1893). Anche Lessing aveva dedicato loro uno spazio all’interno
della
Drammaturgia d’Amburgo, alludendo in maniera evoc
i simili a marionette, che degradavano la scena coeva: «Poco sappiamo
della
cosiddetta chiromania degli antichi, cioè del com
ggio del corpo in termini sensistico-vichiani, ossia come prima tappa
della
comunicazione, la cui naturale evoluzione è costi
tematica aveva trovato spazio anche nelle sue Lezioni sulla filosofia
della
storia, frutto degli insegnamenti da lui impartit
mimica o di azione» (Francesco Saverio Salfi, Lezioni sulla filosofia
della
storia, a cura di Franco Crispini, Morano, 1990,
de probabilmente da Engel. Egli infatti prendeva come esempio il caso
della
venerazione e sottolineava come, nella sua espres
[commento_3.4] Gli eccitatori possono essere visti come l’equivalente
della
funzione fatica propria del linguaggio verbale.
so e alla scansione del suo andamento. Appartengono dunque alla sfera
della
pre-espressività. [commento_3.6] I pittorici son
ento_3.6] I pittorici sono volti alla rappresentazione dell’oggetto o
della
persona in questione e costituiscono, sul piano g
o dei sordo-muti al quale Salfi fa riferimento, occorre fare menzione
della
figura dell’Abbé de l’Épée, primo istitutore grat
di scritti al riguardo e l’inaugurazione di un istituto. All’interno
della
sua prima opera pubblicata nel 1776, Institution
s par la voie des signes méthodiques, egli constaterà l’inadeguatezza
della
Dactylologie, ossia dell’alfabeto a due mani, in
anto questi segni non sono che lettere, incapaci di comunicare l’idea
della
cosa. Egli propone allora di partire da un lingua
si pensi all’idea di tempo, del tutto astratta). Per un inquadramento
della
sua figura si veda Maryse Bézagu-Deluy, L’abbé de
posizioni assunte dall’anima. Egli tuttavia sottolineava la debolezza
della
pura rappresentazione: «La montagna da imitare il
ine espressione [designo] ogni raffigurazione sensibile del contegno,
della
disposizione che l’anima assume in quanto compene
). [commento_3.8] Era stato Descartes a sottolineare l’impossibilità
della
volontà dell’anima di intervenire per evitare alc
sso con o privo di interlocutore. [commento_3.11] La prova tangibile
della
parentela tra il linguaggio verbale e quello gest
ella parentela tra il linguaggio verbale e quello gestuale, o meglio,
della
discendenza primo a partire da quello di azione,
osophique J. Vrin, 2002, p. 154). Pittorica è l’origine dei caratteri
della
scrittura come lo sono quei gesti, pittorici appu
mimico in relazione alla ritualità massonica era presente all’interno
della
memoria Dell’utilità della F. Massoneria sotto il
tualità massonica era presente all’interno della memoria Dell’utilità
della
F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
orale (1807), nella quale il gesto viene designato come il linguaggio
della
fratellanza massonica, nella sua capacità di infr
a sola, che i massoni abbiano adottata, come quella ch’è meno esposta
della
vocale ad essere dai varj popoli alterata e confu
iconoscono, s’intendono e si avvicinano; e l’identità ed universalità
della
lingua c’ispira e prescrive l’identità ed univers
d universalità degli affetti», (Francesco Saverio Salfi, Dell’utilità
della
F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
derebbe altrove le proprie radici, sarebbe riconducibile al fondatore
della
loro religione, il quale avrebbe manifestato la s
atura individualizzante del gesto, che muta al mutare delle passioni,
della
contingenza, del grado sociale, della nazione. In
muta al mutare delle passioni, della contingenza, del grado sociale,
della
nazione. In questo senso il linguaggio di azione
he pubblica sia in prosa che in versi, egli sottolinea la superiorità
della
prosa nel conferire verosimiglianza: «N’est-il pa
aneità tra l’avvicendarsi dei sentimenti e la loro espressione, l’uso
della
versificazione difficilmente avrebbe potuto ripro
a così all’utilizzo di una mimica orientata soltanto secondo le leggi
della
bellezza e della grazia. In virtù di questa corri
zo di una mimica orientata soltanto secondo le leggi della bellezza e
della
grazia. In virtù di questa corrispondenza, second
nia con la scelta di far virare la tragedia verso nuove forme, quelle
della
tragedia borghese o domestica. Nei suoi Entretien
ll’autore inglese sui suoi lettori fosse da attribuire all’infrazione
della
distanza tra la pagina e la vita. Le situazioni,
e gli altri personaggi diventano oggetto di conversazione all’interno
della
società. (Denis Diderot, Éloge de Richardson, in
iliare e i personaggi si scalzano dei coturni per indossare gli abiti
della
borghesia. La tragedia si desublima nel dramma bo
gnorelli descriveva l’esperimento: «Il piano è semplice, e l’economia
della
Favola è sul gusto de’ Greci; ma è scritta in pro
bilità all’endecasillabo per piegarlo alle sue intenzioni. L’asprezza
della
versificazione avrebbe portato con sé l’allontana
’enjembement, che nega la coincidenza tra la fine del verso e la fine
della
frase. [commento_4.7] Dante Alighieri, Inferno,
a parte di Alfieri, così Salfi si esprimeva all’interno del Ristretto
della
Storia della Letteratura italiana: «Diretto dal m
fieri, così Salfi si esprimeva all’interno del Ristretto della Storia
della
Letteratura italiana: «Diretto dal medesimo spiri
ca, credeva, che egli avesse alquanto spogliata la sua propria lingua
della
forza che Dante le aveva impressa. Intraprese a f
fredi e di tanti altri» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto di storia
della
letteratura italiana, cit., vol. II, pp. 490-491)
, in Id., Tragedie, cit., II, 1, p. 276. [commento_4.20] A proposito
della
metrica dantesca, Salfi si esprimeva in questo mo
d all’espressione del sentimento» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto
della
Storia della Letteratura italiana, cit., vol. II,
ione del sentimento» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia
della
Letteratura italiana, cit., vol. II, pp. 36-37).
a funzione espressiva al gesto, che viene visto come riflesso diretto
della
passione, al contrario di quanto avverrà in epoch
ditions Sociales, 1980, p. 192). Per un inquadramento più dettagliato
della
questione, si veda Patrizia Magli, The System of
1979, pp. 32-47. [commento_5.2] Riferimento fondamentale a proposito
della
corrispondenza tra anima e corpo è la dottrina di
la povertà del linguaggio non costituiva un limite per l’espressione
della
varietà del sentimento. Tutto stava nel comprende
e della varietà del sentimento. Tutto stava nel comprendere il potere
della
flessibilità del tono. [commento_5.5] «L’ira, ad
e acuto, agitato con continue interruzioni […] Altro ancora è il tono
della
paura, basso, esitante, abbattuto […] La violenza
n causa. I testi da cui attingere sono dunque selezionati in funzione
della
loro potenzialità drammatica, della loro capacità
no dunque selezionati in funzione della loro potenzialità drammatica,
della
loro capacità di generare immagini mentali. Come
oro capacità di generare immagini mentali. Come scrive nel R istretto
della
Storia della Letteratura Italiana: «I quadri di D
di generare immagini mentali. Come scrive nel R istretto della Storia
della
Letteratura Italiana: «I quadri di Dante non sono
questo ritratto è veramente vivo» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto
della
Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. I,
to è veramente vivo» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia
della
Letteratura Italiana, cit., vol. I, p. 31). Dante
scene dalla forte vocazione drammatica. Sulla visione che Salfi aveva
della
Commedia dantesca, si veda Giuliana Angiolillo, D
i ed ai ritratti che gli delinea» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto
della
Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. I,
tti che gli delinea» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia
della
Letteratura Italiana, cit., vol. I, p. 104). [co
no le critiche mosse da parte degli attori del Settecento al pigmento
della
biacca, che cristallizzava i movimenti del volto:
o XXXIII, vv. 94-96, p. 995. Una descrizione fisiologica del fenomeno
della
lacrimazione era stata fornita da Descartes all’i
anno acuti, si inumidiscono, si chiudono. Da essi scendono le lacrime
della
pietà; quando li baciamo ci sembra di toccare l’a
i con gli stessi criteri con cui si esaminavano gli oggetti di studio
della
Botanica. La proposta di Sulzer veniva riportata
rimere la coesistenza delle passioni, cosa che la linearità alla base
della
successione dei segni linguistici è meno incline
dell’odor suo, ed al mirarla di aver la percezione del suo colore, e
della
sua figura» (Francesco Soave, Istituzioni di logi
, Istituzioni di logica, metafisica ed etica, Napoli, Dalla Stamperia
della
Biblioteca Analitica, 1819, vol. I, p. 79). Sulla
’interno del trattato non mancano riferimenti ad opere d’arte, indice
della
cultura artistica del Salfi. Sull’argomento si ve
astratto che si sta svolgendo nella mente. [commento_6.6] L’analisi
della
gestualità tramite il ricorso alle figure retoric
piute, si tocca la schiena con la mano, mostrando «l’effetto in luogo
della
causa» (Johann Jakob Engel, Lettere sulla mimica,
ettere sulla mimica, cit., p. 382). [commento_6.8] Nella descrizione
della
gestualità legata all’innamoramento possiamo nota
trario, le linee si muovono in direzione opposta rispetto all’oggetto
della
passione, quasi che all’allontanamento fisico cor
rità. Questa differenza separa la gioia dalla tristezza. Se, nel caso
della
seconda, il desiderio di esternazione si coniuga
osizione di una passione con il desiderio. Evidente dunque l’influsso
della
ripartizione operata da Engel in affetti contempl
enta, sviene, colpisce, uccide: queste sono tutte espressioni proprie
della
gelosia, eppure quanto sono infinitamente discord
e mobilità del fenomeno passionale si concretizza nell’individuazione
della
natura mista di ogni passione, che risente sempre
ndividuazione della natura mista di ogni passione, che risente sempre
della
persistenza della passione precedente o delle pri
a natura mista di ogni passione, che risente sempre della persistenza
della
passione precedente o delle prime tracce della pa
mpre della persistenza della passione precedente o delle prime tracce
della
passione che le succederà [commento_6.20] Pierre
saputo far succedere al pallore dettato dal terrore, il rossore mosso
della
collera, utilizzati in funzione analogica per dip
evano permettere questi sentimenti che nella sua anima quelli opposti
della
collera e dell’orrore raggiungessero una potenza
so sembra prendere le parti di Dorat nell’apprezzamento nei confronti
della
performance di Baron, affermando tuttavia che il
sse penetrato dal sentimento amoroso; conoscere le reazioni somatiche
della
collera e saperle riprodurre significava non affi
7), la cui recensione, scritta da Mendelssohn, comparve tra le pagine
della
Bibliothek der schönen Wissenschaften und der fre
Wissenschaften und der freyen Künste nel 1758. La rivista era frutto
della
collaborazione, oltre che di Mendelssohn, anche d
o somatico. Burke in questo modo apre la strada a quanti, nell’ambito
della
trattatistica teatrale, insinueranno la possibili
espressione del suo viso e il suono di ogni sua parola, come le corde
della
lira, producono un suono corrispondente all’emozi
itato anche in Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura
della
poesia, cit., cap. II, p. 6. [commento_7.3] Anch
ggia inoltre dell’affermazione programmatica di Descartes a proposito
della
sua opera Les passions de l’âme: «[…] mon dessein
scolarsi e confondersi» (Luigi Mabil, Lettere stelliniane e prospetto
della
dottrina stelliniana intorno all’origine e al pro
ine e al progresso dei costumi del Cav. Luigi Mabil, Padova, Coi tipi
della
Minerva, 1832, p. 87). [commento_7.5] Salfi indi
a, 1832, p. 87). [commento_7.5] Salfi individua una scala ascendente
della
passione che, a seconda dell’intensità, si muta i
nel saggio di Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura
della
poesia, in cui si parlava del corpo umano come «m
e sensazioni» (Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura
della
poesia, cit., cap. II, p. 3). L’introduzione dell
l’origine e natura della poesia, cit., cap. II, p. 3). L’introduzione
della
pigrizia all’interno del sistema delle passioni s
el «freddo moralista», intento a vedere solo i risvolti intellettuali
della
questione. [commento_7.14] Dante, Inferno, cit.,
ravvisata anche da Le Brun a proposito delle sopracciglia e dei lati
della
bocca: «Cet abaissement de sourcils et de la bouc
apportando come esempio la postura di Giulietta nella messa in scena
della
tragedia shakespeariana da parte di Gotter: «Pren
tare il nostro giubilo» (Luigi Mabil, Lettere stelliniane e prospetto
della
dottrina stelliniana intorno all’origine e al pro
e Mirra. Guardando alla Mirra alfieriana, sin dal primo atto le forme
della
malinconia si manifestano nei termini che abbiamo
-94. [commento_7.29] Il Conte Ugolino veniva menzionato come emblema
della
disperazione anche in Engel, dove veniva illustra
zzo morto dalla fame, nessuno potrà negare che quella è l’espressione
della
disperazione, ma lo è altrettanto il ritratto di
e di gradazione differenti è la gelosia, perché accoglie ora i tratti
della
tristezza, ora quelli dell’ira, del timore, dell’
ori, 1976, IV, 1, p. 455). La gelosia sembra dunque assumere i tratti
della
disperazione. Emblema della natura multiforme del
a gelosia sembra dunque assumere i tratti della disperazione. Emblema
della
natura multiforme della gelosia è la scena dell’u
assumere i tratti della disperazione. Emblema della natura multiforme
della
gelosia è la scena dell’uccisione di Desdemona (V
recisione dovrebbe essere possibile determinare le differenze proprie
della
maniera di procedere delle idee, che io ho indica
alla razionalizzazione che risiede la sua forza espressiva sul luogo
della
scena. Considerato in quest’ottica, il gesto sfug
lo VIII [commento_8.3] Giovanni Paolo Lomazzo, Trattato dell’arte
della
pittura scultura ed architettura, Roma, presso Sa
parla delle sue messe in scena all’interno del Saggio storico-critico
della
commedia italiana: «Si vedevano a un tempo divers
incipalmente dovuta» (Francesco Saverio Salfi, Saggio storico-critico
della
commedia italiana, cit., p. 42). Particolare rili
institutions sociales di Madame de Staël, citata da Salfi all’interno
della
Selva per la declamazione (Ms. XX. 43 (II), 122v)
_8.5] Engel si soffermava sulla vivacità e la potenzialità espressiva
della
gestualità dell’italiano nella lettera VIII, desc
ore tedesco finirebbe con l’imbattersi in espressioni che sono frutto
della
maggiore irruenza delle passioni e che pertanto p
di Baldassar Castiglione, apriva la strada a un parallelo con l’arte
della
recitazione: alla scena teatrale si sostituiva la
l’arte della recitazione: alla scena teatrale si sostituiva la scena
della
società, dove le virtù sovrane sono grazia e spre
rappresentazioni di corte contenuta in: Claudio Vicentini, La teoria
della
recitazione. Dall’antichità al Settecento, cit.,
] Impossibile non relazionare la riflessione che Salfi fa a proposito
della
nascita di passioni nuove nei personaggi moderni
ura del suo repertorio tragico alla tematica amorosa con la scrittura
della
Francesca da Rimini nell’esilio parigino. Il manc
in scena alla sensibilità di un pubblico moderno era uno dei cardini
della
critica rivolta dai romantici all’Alfieri. Come s
e discendere alle private virtù, alle tenere passioni, alle peripezie
della
natura e dell’amore» (ivi, pp. 671-672). L’astigi
ancese che terminato lo spettacolo gli aveva chiesto cosa ne pensasse
della
sua interpretazione, «lei ha interpretato il ruol
izioni. Egli riprende infatti da Lessing la menzione dei gladiatori e
della
loro morte dignitosa che suscitava interesse nel
i contenute ne l’Arte del teatro di François Riccoboni e ne L’analisi
della
bellezza (1753) di William Hogarth. Si riveda a q
r risaltare la propria figura, piuttosto che a votarsi alla creazione
della
verosimiglianza scenica. A proposito della posizi
e a votarsi alla creazione della verosimiglianza scenica. A proposito
della
posizione delle braccia ad esempio afferma: «Perc
ogarth nelle sue indicazioni date ai pittori all’interno de L’analisi
della
bellezza, in cui egli aveva delineato il maggior
le ondeggianti fino a giungere alla linea serpentina, che è la linea
della
bellezza (William Hogarth, L’analisi della bellez
serpentina, che è la linea della bellezza (William Hogarth, L’analisi
della
bellezza, a cura di Maria C. Laudando, presentazi
uga. Capitolo X [commento_10.1] La ricerca di una sublimazione
della
realtà tramite l’arte era propria anche dell’este
nesso tra il segno e la cosa designata si fonda sulle caratteristiche
della
cosa designata stessa. Le passioni sono, per loro
onseguenza sono i corpi, con le loro qualità visibili, i veri oggetti
della
pittura. Oggetti che si susseguono l’un l’altro,
mano in generale azioni. Di conseguenza le azioni sono i veri oggetti
della
poesia» (Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, cit
ulla mimica, cit., p. 507). [commento_10.8] Nel Laocoonte lo statuto
della
declamazione appare incerto: «Il dramma, che è de
ra vivente dell’attore, forse dovrebbe anch’esso attenersi alle leggi
della
pittura materiale» (Gotthold Ephraim Lessing, Lao
sia l’estensione del campo del rappresentabile in relazione all’arte
della
declamazione. La teoria estetica lessinghiana ave
azione del dolore, perché la bocca spalancata negava la legge suprema
della
bellezza, al contrario lo stesso soggetto, in sed
. Avec les Pensées sur la déclamation, cit., p. 128). Sulla questione
della
necessità, da parte dei poeti drammatici, di adeg
della necessità, da parte dei poeti drammatici, di adeguarsi al gusto
della
nazione, Riccoboni si soffermava nel cap. VIII de
eguarsi al gusto della nazione, Riccoboni si soffermava nel cap. VIII
della
Dissertation sur la tragédie moderne: «Le but des
no che, anche se sono intellettualmente dotate e conoscono la tecnica
della
retorica, non potranno mai essere inserite nel no
ie e riflessioni sulla declamazione teatrale, cit., p. 156.) Il resto
della
citazione, assente dalla prima edizione a stampa
del sentimento, sottolineando come un ruolo fondamentale all’interno
della
performance sia svolto da «un certo che», ossia d
anto impegnato nella valutazione ragionata dei costumi e nello studio
della
gestualità tramite l’ausilio della pittura, affid
gionata dei costumi e nello studio della gestualità tramite l’ausilio
della
pittura, affidava tuttavia un peso notevole alla
. All’attore si richiede dunque non di provare sentimenti nel momento
della
performance, ma di avere una particolare propensi
iche di attualità politica, seppur rappresentate attraverso il filtro
della
temporalità, come era accaduto in epoca giacobina
li e Parigi. Carteggio 1792-1832, cit., p. 109). Il contesto è quello
della
scrittura di una tragedia di soggetto «barbaro» a
27), cit., pp. 231-303). [commento_12.3] Pur pronunciandosi a favore
della
nobiltà del genere tragico, non per questo Salfi
ia de’ suoi maggiori. Il teatro greco non ammetteva se non se i fasti
della
Grecia; e forse a tempi di Eschilo e di Sofocle n
, VI. R. F., p. XV). [commento_12.4] Una posizione simile, di difesa
della
nobiltà tradizionale del genere tragico, era stat
on in tutto confacente al soggetto. È senza contraddizione che l’eroe
della
tragedia, essendo uomo, non deve scostarsi dalla
natura; ma è ben anche vero che la grandezza delle azioni e l’altezza
della
nascita o del grado de’ tragici eroi addimanda un
imanda una natura maestosa e degna» (Elena Virginia Balletti, Lettera
della
signora Elena Balletti Riccoboni al signor abate
un fare timoroso e subalterno non avrà, o solo a momenti, gli slanci
della
grandezza di continuo necessari al ruolo rapprese
non si rendono conto di nulla: pretendevano che avessi sempre l’aria
della
regina di Cartagine» (Hippolyte Clairon, Memorie
re, Observations sur l’art du comédien, cit., p. 338). E, a proposito
della
frase pronunciata da Baron, la fonte resta sempre
, verso l’avvenire, sono sempre soggetti a cambiamenti e rivolgimenti
della
loro condizione interiore o esteriore, cambiament
cerca di una soluzione mediana tra il conversevole e la preservazione
della
sublimità del tragico era individuata come necess
da citazione è tratta da Antonio Eximeno, Dell’origine e delle regole
della
musica, In Roma, MDCCLXXIV, Nella Stamperia di Mi
ti del genio proveniente d’Oltremanica. [commento_13.14] A proposito
della
penetrazione di queste contaminazioni tra tragico
n Italia, si legga quanto scritto da Salfi nel Saggio storico-critico
della
commedia italiana: «Mentre tali scrittori si succ
dulgenza nel teatro» (Francesco Saverio Salfi, Saggio storico-critico
della
commedia italiana, cit., p. 65). Capitolo XIV
i inserisce in un piano di riforma che non coinvolge solo l’orizzonte
della
recitazione, ma anche la dimensione istituzionale
vere aprioristicamente alcuni attori, i primi uomini e le prime donne
della
compagnia. [commento_14.5] Sull’importanza del p
v. 25-30, p. 58.) [commento_14.6] Sull’insostituibilità dell’apporto
della
Natura, si legga Riccoboni: «Chi le gambe bistort
enze economiche, veniva segnalata da Riccoboni come un pregio proprio
della
nazione: «On voit d’ailleurs en Italie ce qu’il n
alfi aveva trattato il tema già nel numero 10 del Termometro politico
della
Lombardia, datato 8 termidoro IV repub. (martedì
ino» (Teatro nazionale, n. 10, 26 luglio 1796, in Termometro politico
della
Lombardia, a cura di Vittorio Criscuolo, cit., vo
ndo come tale stato di cose fosse sorto in seguito alla disgregazione
della
comicità dell’arte. Il passaggio da un sistema fo
re indifferente»» (Giuseppe Antonio Camerino, Alfieri e il linguaggio
della
tragedia: verso, stile, tópoi, Napoli, Liguori, 1
icus (1669), mentre quella alfieriana è l’Ottavia (1783). A proposito
della
figura di Oreste, Salfi allude invece a Le Coefor
5.7] La critica ad Alfieri è presente anche all’interno del Ristretto
della
Letteratura italiana, sede in cui viene ulteriorm
rasporli su un piano ideale, con l’effetto di «collocarli al di sopra
della
specie umana, o piuttosto della generazione attua
l’effetto di «collocarli al di sopra della specie umana, o piuttosto
della
generazione attuale» (Francesco Saverio Salfi, Ri
ttosto della generazione attuale» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto
della
Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. II,
generazione attuale» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia
della
Letteratura Italiana, cit., vol. II, p. 254). Egl
ragione rimproverare all’Alfieri si è di aver mescolato un po’ troppo
della
sua tempra nella rifusione fatta di questi esseri
era, signore? Una Parta, una furia che chiede ai suoi amanti la testa
della
loro madre e regina, una parte tenera? Ecco, cert
tazione di Hume, ulteriore punto di riferimento per Salfi a proposito
della
mobilità del fenomeno passionale fu Henry Home, a
uta, non devono apparire bruschi, ma seguire la progressione graduale
della
passione. Salfi si scontra con il pregiudizio sec
quale, al culmine del sentimento, debba corrispondere l’innalzamento
della
voce verso i toni più acuti. Discendere «all’otta
ro, per consentire il naturale sviluppo del carattere. La dilatazione
della
temporalità che i romantici ottenevano infrangend
a progressione del sentimento. Laddove il poeta sottomesso ai vincoli
della
classicità doveva fermarsi, subentrava l’attore,
siderato l’attore nella sua fisionomia individuale, come se lo spazio
della
scena fosse un luogo deserto, sede di una serie i
ron che aveva abbandonato le scene. A proposito dell’eccessiva enfasi
della
sua recitazione, Lemazurier scrive: «[…] son jeu
ineata da Diderot in diversi luoghi dei suoi scritti. Già nell’ambito
della
critica d’arte, egli aveva mostrato la sua prefer
sa in scena de Il padre rivale del figlio, ancora legata all’universo
della
comicità dell’arte. Sin dall’inizio della pièce t
ancora legata all’universo della comicità dell’arte. Sin dall’inizio
della
pièce tuttavia, Goldoni immerge il pubblico in un
essi mostrano le spalle agli spettatori, come evidenzia l’insistenza
della
didascalia verso la scena. Queste annotazioni sot
, 1, p. 1198). [commento_17.12] Non è un caso allora che il soggetto
della
sua ultima opera tragica, la Francesca da Rimini,
sca da Rimini, sarà proprio l’amore. Salfi intuisce nel dispiegamento
della
passione amorosa la possibilità di conferire magg
ito dell’autore cosentino, che, senza abbandonare la vena anticuriale
della
produzione precedente, si avvia a nuove speriment
do di battute attraverso la frantumazione del verso anche all’interno
della
propria scrittura tragica. Si veda Francesco Save
ragedie, II, 5, cit., p. 36. [commento_17.20] Per un approfondimento
della
versificazione alfieriana, si veda Gian Luigi Bec
18.3] «La seconda regola, che gl’inglesi scrittori osservano poco più
della
prima si è che niuna persona debba mai comparir s
Ferdinando Baret, tomo II, pp. 290-291). [commento_18.4] A proposito
della
critica al dramma per musica, si rimanda al testo
ldamente lodato nella dedica Al signor conte Luigi Porro Lambertenghi
della
traduzione delle Lettere di Engel da parte del Ra
olla matita, i bei gruppi e le attitudini varie, commoventi parlanti,
della
gran scena ultima tra la madre e il figlio alle p
o dopo il sublime, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 123-157. All’interno
della
Drammaturgia d’Amburgo Lessing, paragonando la co
li attori, si sarebbe dato ragione, anche da un altro punto di vista,
della
opportunità di far apparire un fantasma davanti a
uente didascalia: «Tutti si compongono nelle attitudini del terrore e
della
sorpresa. Saulle cade a terra spaventato, e tosto
lare di Samuele si verificava anche all’interno di un’altra tragedia,
della
quale è possibile che il Salfi avesse avuto lettu
rra, / Vivo m’inghiotti… Ah! pur che il truce sguardo / Non mi saetti
della
orribil ombra» (Vittorio Alfieri, Saul, in Id., T
p. 1021-1023. Capitolo XX [commento_20.1] Per un inquadramento
della
questione si veda Renzo Guardenti, Il costume tea
e moderna. Dialogo di Pier Jacopo Martello, cit., p. 172. A proposito
della
Clairon, si legga quanto l’attrice scrive nelle s
entata, goffa, rigida e sconcia. L’unica moda da seguire è il costume
della
parte interpretata» (Hippolyte Clairon, Memorie e
rando gli attori secondari. [commento_20.10] Sulle inverosimiglianze
della
scena si legga: Francesco Algarotti, Saggio sopra
ne critiche al riguardo. Tra queste, la preoccupazione che l’apertura
della
scena fosse troppo vasta e rischiasse di non far
p. 371). [commento_20.14] Salfi sottolinea come nella pianificazione
della
struttura del teatro gli architetti debbano esser
tturato in maniera da permettere una buona visuale da qualsiasi punto
della
sala. Dietro questi dettagli materiali si cela un
e fatte in epoca giacobina, le quali auspicavano a un teatro specchio
della
rivoluzione che si voleva attuare in società. Tra
alfi scrive il trattato Della declamazione, l’apprendimento integrale
della
parte non costituiva un requisito indispensabile
sionale che si era resa quanto mai necessaria con la fine del sistema
della
comicità dell’arte, in cui prevaleva la recitazio
la recitazione all’impromptu. [commento_21.5] Lo studio individuale
della
parte rientrava già nella prassi scenica del temp
[commento_21.6] Il suggeritore, tramite un effetto di raddoppiamento
della
parte, infrange ogni illusione, ricordando allo s
tà, si sofferma sulla spartizione che gli attori facevano del gesto e
della
voce, affermando che fossero due gli attori ad an
174-175). [commento_21.9] Si legga quanto scrive Larive a proposito
della
novità del suo metodo di insegnamento della decla
scrive Larive a proposito della novità del suo metodo di insegnamento
della
declamazione nella prefazione: «Jusqu’à présent p
Paris, chez Delaunay, 1810, s.n.). Du Bos aveva trattato la questione
della
notazione della declamazione, presumibilmente pra
unay, 1810, s.n.). Du Bos aveva trattato la questione della notazione
della
declamazione, presumibilmente praticata dagli ant
agedie e altre prose critiche, cit., p. 244); «Infatti la scioltezza
della
lingua, il movimento del corpo, il respiro hanno
mento del corpo, il respiro hanno bisogno, per essere migliorati, non
della
teoria, ma dell’allenamento» (Marco Tullio Cicero
Significativo appare allora il paragone che egli instaura all’interno
della
memoria Dell’utilità della F. Massoneria sotto il
il paragone che egli instaura all’interno della memoria Dell’utilità
della
F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
emente a corregger le proprie» (Francesco Saverio Salfi, Dell’utilità
della
F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
Nel rito massonico, come nel rito tragico, l’uomo, facendo esperienza
della
«morte massonica», risorgeva a nuova vita, dando
no di perfezionamento e purgazione. Non è un caso che tra gli emblemi
della
simbologia massonica comparisse la fenice, l’ucce
generalizzata dei drammi per musica dell’epoca, in cui l’ostentazione
della
ricchezza della scena e lo sfruttamento di elemen
i drammi per musica dell’epoca, in cui l’ostentazione della ricchezza
della
scena e lo sfruttamento di elementi estriseci al
oggettivi, senza lasciare offuscare la critica all’attore dal carisma
della
sua figura, era già presente in D’Aigueberre. Egl
inando il parere critico con l’invaghimento che provava nei confronti
della
donna: «[…] la conversazione ben presto si fece v
mazione». In Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore
della
Comédie di Rouen al garzone del caffè, ovvero con
médie di Rouen al garzone del caffè, ovvero conservazione sui difetti
della
declamazione, cit., p. 230. [commento_22.5] Cert
con quelle che egli rivolgeva, dalle colonne del Termometro politico
della
Lombardia, ai cantanti del dramma per musica, sem
mpo, né la libertà di applaudire» (Sul presente spettacolo del teatro
della
Scala, n. 52, 30 dicembre 1797, in Termometro pol
l teatro della Scala, n. 52, 30 dicembre 1797, in Termometro politico
della
Lombardia, cit., vol. 3, p. 403). L’episodio del
Auria Editore, 1998, II, 1, 334a, p. 113). Salfi parla con cognizione
della
proscrizione del genere tragico, dal momento che
dita, fra gli altri, dal ventunenne pugliese Emmanuele De Deo, membro
della
neonata Società Patriottica Napoletana, che venne
edie dai forti contenuti politici andasse a sopperire l’impossibilità
della
rappresentazione: «Il verbo “declamare” è usato d
rto tipo di recitazione — si pensi infatti alla pratica assai diffusa
della
lettura tragica — nella quale sembra impegnato Sa
nzione civile che le scene erano chiamate a svolgere, finiti i fuochi
della
rivoluzione era apparsa quanto più impellente la
dei passi e di assumere l’aria atteggiata del ballerino, ma il resto
della
sua arte è di grande necessità» (Hippolyte Clairo
la musica, bisogna apprendere gli elementi per conoscere l’estensione
della
propria voce, per rendere facilmente ogni intonaz
o dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo
della
galanteria di Filottete che con rincrescimento si
p. 55). [commento_24.3] Ecco cosa scrive Cornelio Nepote a proposito
della
sconfitta di Agesilao da parte di Cabria: «Il fat
formance, Salfi intendeva oltrepassare una lacuna intrinseca all’arte
della
declamazione, ossia l’assenza di una tradizione a
itica teatrale di Salfi contenuti all’interno del Termometro politico
della
Lombardia che, più che soffermarsi su aspetti leg
egati al testo, si concentrano sui meriti o i vizi emersi nell’ambito
della
performance. 1. Franco Ruffini, Semiotica de
ore dalle origini al Settecento, si veda Claudio Vicentini, La teoria
della
recitazione. Dall’antichità al Settecento, Venezi
iottico tra rivoluzione e impero, Roma, Bulzoni, 1991. Su questa fase
della
produzione salfiana si veda inoltre Alberto Grane
fiana si veda inoltre Alberto Granese, Divina libertà. La rivoluzione
della
tragedia, la tragedia della Rivoluzione. Pagano,
o Granese, Divina libertà. La rivoluzione della tragedia, la tragedia
della
Rivoluzione. Pagano, Galdi, Salfi, Salerno, Edisu
nti di rapido impiego: ecco dunque il costituirsi dell’immenso corpus
della
letteratura divulgativa d’orientamento repubblica
alfi, si veda Vittorio Criscuolo, Introduzione in Termometro politico
della
Lombardia, a cura di Vittorio Criscuolo, Roma, Is
1, nota 47, p. 23. 24. n. 1, 25 giugno 1796, in Termometro politico
della
Lombardia, cit., vol. 1, p. 81. 25. Teatro nazi
25. Teatro nazionale, n. 10, 26 luglio 1796, in Termometro politico
della
Lombardia, cit., vol. 1, pp. 161-162. 26. Ivi, p
Ibid. 28. «Una compagnia di dilettanti sottomettendosi all’ordine
della
detta proposta accademia, e dichiarandosi benemer
all’ordine della detta proposta accademia, e dichiarandosi benemeriti
della
patria, potrebbe sulle prime rimpiazzar questo vu
Declamazione tragica, n. 17, 20 agosto 1796, in Termometro politico
della
Lombardia, cit., vol. 1, p. 240. 32. Ivi, p. 241
33. Teatro, n. 37. 38, martedì 15 novembre 1796. Termometro politico
della
Lombardia, cit., vol. 1, p. 442. 34. Ivi, p. 444
. 444. 35. Teatri, n. 24, 13 settembre 1796, in Termometro politico
della
Lombardia, cit., vol. 1, p. 311 36. A proposito
nauguri la vera critica teatrale alfieriana e si pongano i fondamenti
della
sua fortuna scenica successiva», in Mariagabriell
. 491. 37. Teatri, n. 24, 13 settembre 1796, in Termometro politico
della
Lombardia, vol. 1, cit., p. 312. 38. L’approccio
ol. 1, cit., p. 312. 38. L’approccio con cui consideriamo l’elemento
della
didascalia, qui e in futuro, è da ricondursi alla
ienne, Paris, L. Janet, 1826. 55. Francesco Saverio Salfi, Ristretto
della
Storia della Letteratura Italiana, a cura di Pasq
L. Janet, 1826. 55. Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia
della
Letteratura Italiana, a cura di Pasquino Crupi, S
. Paschoud, 1814, vol. 2, p. 379. 72. Per un’analisi più dettagliata
della
questione si veda Edmond Eggli, Schiller et le ro
it., vol. II, p. 269. 78. Sulle posizioni assunte dai collaboratori
della
Revue encyclopédique nella querelle tra classici
suo talento nel mettere in scena personaggi tragici. La seconda parte
della
sua esistenza fu volta all’insegnamento dalla cat
esi, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
della
Enciclopedia Italiana, 1960-, 74 voll., vol. 77,
le critiche rivoltele (del resto garbatamente) da Lessing a proposito
della
sua interpretazione della protagonista nella Céni
resto garbatamente) da Lessing a proposito della sua interpretazione
della
protagonista nella Cénie di M.me de Graffigny, il
t., pp. XII-XIII. 102. Se l’attore saprà imitare i sintomi esteriori
della
collera, «[…] lo afferrerà un cupo sentimento d’i
Capitolo decimoquinto Terza causa. Abbandono quasi totale
della
poesia musicale. Esame de’ più rinomati poeti dra
opinioni contrarie non meno al conseguimento del vero che ai vantaggi
della
religione. La seconda, perché pochi essendo i pri
o capace di poterle promuovere una sola pedata. Ed ecco il fondamento
della
massima di Orazio, colà dov’ei dice che né gl’idd
un popolo, questa supposizione non può andare disgiunta dal sospetto
della
loro mediocrità, perocché abbandonate fra le mani
i asiatici i titoli che scambievolmente si danno di signori del corno
della
luna, o di dominatori degli elefanti. Non potendo
on frutto la più deliziosa fra le arti d’imitazione ai grandi oggetti
della
morale, della legislazione e della politica, come
iù deliziosa fra le arti d’imitazione ai grandi oggetti della morale,
della
legislazione e della politica, come si faceva dai
rti d’imitazione ai grandi oggetti della morale, della legislazione e
della
politica, come si faceva dai Greci, né trovandosi
nza che altre immagini per lo più ci appresenti fuor di quelle solite
della
fiaccola d’imeneo che rischiara il sentiero alle
e di regalare la bilancia e la spada a saggio ed avvenente garzone, o
della
povera Nice, cui si danno dagli amanti più epitet
e capaci di produrre un piacere inaspettato allorché aveano il pregio
della
novità: sembrano «Sogni d’infermi e fole di roma
il diletto che nasce dalla sorpresa, né quello che viene dal riflesso
della
loro convenienza. Da ciò deriva lo spirito d’imit
i e le accademie, le lodi e chi le dispensa151. [5] Tra i generi però
della
poesia niuno v’ha più vilipeso e negletto che il
alla musica, soffrono ciò nonostante che la parte poetica primo fonte
della
espressione nel canto e della ragionevolezza nel
stante che la parte poetica primo fonte della espressione nel canto e
della
ragionevolezza nel tutto, giaccia obbrobriosament
ssiste alla rappresentazione, e al gusto di chi la legge. Gli insetti
della
letteratura, coloro cioè che ronzan dintorno alle
vergogne. Ed è ben ragione che il loro destino non sia punto migliore
della
loro capacità. Vili schiavi dell’impresario, del
r conseguenza, rinunziando ai propri diritti per modellarsi su quelli
della
padrona, ha dovuto metter in non cale la condotta
; terremmo allora con essi il costume, che suol tenersi col frammenti
della
greca scultura de’ quali in mancanza d’una intier
siderare il gran numero di que’ corpi sonori, di quegli esseri fisici
della
natura che si rappresentgno cogli sgomenti e non
ra loro, rapporti che formano, a così dire, la metafisica e l’algebra
della
musica, ma la cognizione de’ quali non è altrimen
i accennati uffizi, il suo impiego si restringe solo a imitar i tuoni
della
umana favella. Ma il peggio è che non ogni favell
ne ad eccitare i muovimene individui compresi nell’andamento generale
della
passione. E questa è la cagione per cui la sempli
rammatico più dilatato perché più conforme al presente stato politico
della
società, non si sono limitati alla rappresentazio
zza, l’amicizia, la gloria, l’amor coniugale, l’amor figliale, l’amor
della
patria con più altri affetti consimili sconosciut
teri da noi rappresentati non ha contribuito poco ad ampliar la sfera
della
musica, e che Temistocle, Arbace, Aristea, Megacl
ogni opera devano comparir sul teatro due donne e talvolta anche tré,
della
metà delle quali non sapendo che farsi il poeta p
lla passione amorosa, la quale come chè sia la forte e la più intensa
della
natura, è tuttavia la meno estesa, uno solo essen
he può infatti somministrare, fa di mestieri sostituire il linguaggio
della
immaginazione e dello spirito che signoreggiano a
signoreggiano ampiamente nel teatro moderno, dal che deriva la rovina
della
musica e della poesia; poichè siccome questa altr
mpiamente nel teatro moderno, dal che deriva la rovina della musica e
della
poesia; poichè siccome questa altro non fa sentir
materia di discorso sapranno essi trovare ricorrendo ai luoghi topici
della
galanteria. Vuol proccaciarsi la protezione e il
delle scene, lo stesso del numero e qualità dei personaggi, lo stesso
della
maniera d’intrecciare l’azione e dell’orditura di
mo disegno e che dispensano il poeta dal badare alla retta imitazione
della
natura e alle difficoltà che presenti un tragico
resenti un tragico lavoro accontiamente eseguito. E che importa a lui
della
unità di pensiero e d’argomento tanto raccomandat
tà di pensiero e d’argomento tanto raccomandata dai gran maestri? Che
della
semplicicità de’ mezzi, della verità dei caratter
anto raccomandata dai gran maestri? Che della semplicicità de’ mezzi,
della
verità dei caratteri, della eleganza dello stile,
aestri? Che della semplicicità de’ mezzi, della verità dei caratteri,
della
eleganza dello stile, della pittura del cuor uman
tà de’ mezzi, della verità dei caratteri, della eleganza dello stile,
della
pittura del cuor umano e della forza ed evidenza
caratteri, della eleganza dello stile, della pittura del cuor umano e
della
forza ed evidenza delle passioni quando ha trovat
re quell’insigne scrittore ha fatto attribuir al melodramma i difetti
della
loro incapacità, e perché non hanno essi saputo s
no essi saputo superare gli inciampi i che offrono nel presente stato
della
musica gli argomenti storici nel condurre passabi
testa singolar produzione del cielo italico sul gusto degli abitatori
della
Senna. Ed ecco che ritornando indietro da quasi u
le superbe comparse anziché colla ben pensata modulazione e coi fiori
della
eloquenza. Siffatto principio avrà delle pericolo
falso dal vero, e più diffìcili a lasciarsi sorprendere dai prestigi
della
fantasia.
ltri motivi indicati. Sarà in ultimo luogo lo sterminio dello stile e
della
musica. Di quello per la regola generale che la p
i drammi musicali da rappresentarsi con regia magnificenza nel teatro
della
corte di Parma, i quali pruovano quanto siano lim
cchiata in attenzione alle altre sue cose bellissime, e contentiamoci
della
ingenua confessione che fa egli medesimo della su
ssime, e contentiamoci della ingenua confessione che fa egli medesimo
della
sua inesperienza in fatto di poesia drammatica. «
mando di atto in atto invece di crescere, al poco felice scioglimento
della
catastrofe, e alla inverosimiglianza di alcuni in
o trattato in prima da Metastasio, lo scontrarsi col quale sul cammin
della
gloria non è e non può essere vantaggioso per chi
senza necesssità cogli sposi; non avrebbe sagrificato alla vana pompa
della
decorazione l’orditura, la verosimiglianza e il b
nsigliando loro l’uccisione degli sposi senza che questi maravigliati
della
improvvisa lontananza in un giorno di sposalizio
olo discorso che Ariosto gli fa tenere col paladino Astolfo nel globo
della
luna. Però non ostanti i suoi talenti poetici, no
gran luogo ne’ suoi componimenti, ma si trae per il comune dai fonti
della
storia, e i costumi e i riti de’ popoli vengono o
profferir una parola: combattimento introdotto dal poeta per cagione
della
comparsa, ma che troppo funesta fin dal principio
raggio d’intraprendere in lingua non sua uno de’ più difficili lavori
della
ragione poetica qual è la tragedia, ha parimenti
io non avrei difficoltà di dir che fosse il primo, se alla semplicità
della
condotta, alla scelta e varietà nei metri, alla r
o le doti che caratterizzano l’Alessandro e Timoteo del Conte Gastone
della
Torre di Rezzonico rappresentato anni fa nel regi
i è scritto con uguale vaghezza. Ha inoltre il pregio incontrastabile
della
novità, essendo egli stato (per quanto a me pare)
descrittiva qual è quella dell’inglese Dryden intitolata Gli effetti
della
musica a le cui sorgenti ha l’autore italiano lar
rown gli ha somministrata l’idea nella sua dissertazione sulla unione
della
musica e della poesia. In altro luogo ci converrà
ministrata l’idea nella sua dissertazione sulla unione della musica e
della
poesia. In altro luogo ci converrà parlare più a
né eroe, né uomo di genio, ma piuttosto un farnetico divenuto giuoco
della
sua eccessiva sensibilità, uno schiavo della moll
arnetico divenuto giuoco della sua eccessiva sensibilità, uno schiavo
della
mollezza che ci vendica fra le sue catene dell’as
a altresì nel fine morale. Volendo far conoscere i prodigiosi effetti
della
musica, non dovevano questi manifestarsi spingend
ortigiana. In secondo luogo perché nel caso ancora che un falso amore
della
patria determinato l’avesse ad eseguire quell’att
a pubblica imitazione. Oh mortali! Non è abbastanza feroce lo spirito
della
guerra senza che voi cerchiate d’inferocirlo anco
la moltiplicità de’ caratteri, per la forza di essi, e per la verità
della
espressione è più dilatata nella prima che nella
rtengono esse, è di numero troppo scarso rispetto alla massa generale
della
nazione; quindi minore altresì esser deve la somm
media. I soggetti che vi s’introducono formano la classe più numerosa
della
società. Gli avvenimenti che vi si rappresentano
nes è la divisa del comico. Ma bisogna andare più oltre. Le affezioni
della
gente popolare sono meno riconcentrate, e consegu
meno artefatti e perciò più facili ad essere rappresentati. L’accento
della
loro voce più sfogato e vivace, e in conseguenza
colle spinose e tacite cure la condizione de’ potenti schiavi sempre
della
fortuna e del pregiudizio nell’atto stesso che al
di caratteri o sia di natura imitabile. Lo è per il secondo a motivo
della
più facile esecuzione sì perché i tratti dell’ogg
e originali da poter agiatamente studiare. Lo è per il terzo a motivo
della
ricchezza delle modulazioni che scaturisce dalle
que sopra di quella a questa dasse la preferenza. [25] Fin qui è vero
della
musica, e lo dovrebbe essere parimenti della poes
nza. [25] Fin qui è vero della musica, e lo dovrebbe essere parimenti
della
poesia: ma se da ciò che dovrebbe e potrebbe esse
drammatico-musicale; nulladimeno siccome trattasi del mio guadagno o
della
mia perdita, così mi permetterete che vi dia alcu
nsare innocente non i delitti odiosi e nocivi sono la materia propria
della
scena comica, che questa materia dee rappresentar
a dose d’argento vivo, ora un goffo tedesco che non parli d’altro che
della
sciabla e della fiasca, ora un Don Quisciotte spa
vivo, ora un goffo tedesco che non parli d’altro che della sciabla e
della
fiasca, ora un Don Quisciotte spagnuolo che cammi
el teatro, così v’avvisarete di fare che il primo uomo sia innamorato
della
prima donna, e il secondo della seconda; senza co
fare che il primo uomo sia innamorato della prima donna, e il secondo
della
seconda; senza codesta legge non ci sarebbe verso
ano principali, ovvero di episodio si confanno mirabilmente col genio
della
musica. In ricompensa del disagio potrete sceglie
più v’aggradino per maneggiare lo scioglimento. Ne fo così poco conto
della
condotta che nulla mi cale se va piuttosto così c
e corrente (cercando però di rammorbidirlo alquanto secondo i bisogni
della
melodia, e mettendo un poco più di contrasto e di
rio: E da te sortirà prole d’Eroi? Del restante qui non parlasi che
della
maggior parte, essendo certo per altro che trovas
si potrebbero paragonare ai rinegati che divengono implacabili nemici
della
religione che lasciarono. 158. [NdA] «Aut famam
tia finge», Art. Poet. 159. [NdA] Il problema intorno alle cagioni
della
deliziosa malinconia generata dalla tragedia che
u questo proposito la distinzione fatta da Aristotile nel capo decimo
della
Poetica: «Non è lo stesso il nascere l’una da un’
iede per tempissimo all’arte dopo alcune ottime prove fra’ dilettanti
della
sua città. Si trovava nel 1853 in Compagnia Feoli
agnia Feoli, già sposa all’attore Ludovico Mancini ; e ad Alessandria
della
Paglia, in quell’anno, uditala il Righetti, la sc
atro italiano dal 1821 al 1855 (Milano, 1893), così parla il Costetti
della
egregia artista, dopo di avere accennato al ritir
lla egregia artista, dopo di avere accennato al ritirarsi dalle scene
della
Romagnoli : Le succede Daria Cutini-Mancini, gio
celebrità del grembiule. La Cutini-Mancini recava con sè, in più
della
Romagnoli, uno spirito di modernità e un sentimen
di grande fierezza che il nuovo repertorio esigeva. Infatti, il ruolo
della
servetta vera e propria era finito : subentrava l
zza piccante, giovanissima, ella pure di 22, ’23 anni appena : svelta
della
persona, elegante nei movimenti, con una pronunzi
altre nelle commedie di Goldoni, di Molière e di Nota. Fu parte poi
della
Compagnia Pieri, e, cominciando a star male col p
ttimamente, come lo fu in questa occasione, per merito principalmente
della
signora Cutini-Mancini, delizia di ogni pubblico
à maravigliosa, e nella prodigiosa multiformità, a' più grandi attori
della
Commedia dell’arte, i quali, recitando e le buffo
e de' poeti drammatici, e d’imitar le più straordinariamente ridicole
della
natura (V. Bertinazzi) : pregio, avverte il Ricco
ia nessuno, come il Novelli, anche tra italiani, dalle altissime cime
della
tragedia potè scendere alle più basse della pocha
ani, dalle altissime cime della tragedia potè scendere alle più basse
della
pochade, passando pel dramma moderno in tutte le
sue consuetudini, che non sappiam più se in iscena reciti, o se fuor
della
scena discorra, tanto si fondono e confondon l’uo
volta le opere che rappresenta, di guisa che non rimanga più traccia
della
forma primitiva. Tagli, aggiunte, riduzioni, scen
to e sentito, si rinsangua, ripiglia vigore, e sfida glorioso a' lumi
della
ribalta l’edacità del tempo. Come si è rivelato i
è meno il frontespizio, di pensieri riposti dell’autore in una parola
della
lingua originale, di cui non conoscono l’alfabeto
ichi, ai quali è già tanto affezionato, che tra' più gustosi aneddoti
della
sua vita è questo, che, venduto un orologio antic
non capiscon jota, ridon delle compere del Novelli, che dicon vittima
della
propria ignoranza ; i più, tra noi, che dell’arte
’idea, ridon d’una sua interpretazione di tragedia, dicendolo vittima
della
sua presunzione. I successi clamorosi avuti nel v
aio di pupazzetti che ritraggon l’uomo e l’artista in ciascun momento
della
sua vita (Roma, 1899). Ma di tal reluttanza al pu
è più tosto delle circostanze. La interpretazione dell’alto dramma e
della
tragedia fu buttata dall’artista al pubblico, qua
stimento scenico, per la fedeltà storica dei costumi, per la sobrietà
della
dizione. Ne eran parti principali, oltre ai Pietr
!… Adesso !… Forza !… Bravo !… Coraggio !… Sinchè, gittatomi al finir
della
scena tra le braccia del padre, uno scroscio di a
disciplina era fatta tutta d’amore. Mostrava già allora la grandezza
della
sua duttilità artistica ; e il pubblico se ne com
ù varj del repertorio. Marecat degl’ Intimi, Francesco I de' Racconti
della
Regina di Navarra, Vouillard del Rabagas, Mario A
mico pregò, e Novelli, tediato dall’insistenza, accondiscese. La sera
della
farsa venne, e a un dato punto Novelli entrò in i
grande qualità del Novelli di allora, attenuatasi poi col sopravvenir
della
gloria, fu l’arte del trasformarsi. La camuffazio
iuto a prima vista il Novelli ? Quando la poca o niuna responsabilità
della
parola gli lasciava una piena libertà di azione,
un mondo di convenienze e sconvenienze, che impedivan l’esplicazione
della
sua forza e della sua volontà. Fu in quei vincoli
nienze e sconvenienze, che impedivan l’esplicazione della sua forza e
della
sua volontà. Fu in quei vincoli troppo stretti ch
dè di coraggio. Lottò con una pertinacia degna di chi ha la coscienza
della
propria forza, e vinse : chi gli rispose fu il pu
suo primo giudizio. Oggi Novelli è tutto vòlto alla erezione in Roma
della
Casa di Goldoni, di cui mise la prima pietra al T
Capitolo terzo Perdita
della
musica antica. Origine della musica sacra in Ital
Capitolo terzo Perdita della musica antica. Origine
della
musica sacra in Italia. Pretese scoperte di Guido
casse a tutte le arti e le scienze, di niuna fece peggior governo che
della
musica. Le cagioni di cotal singolarità sono assa
succedesse per divino consiglio agli errori del gentilesimo, il fior
della
musica antica si ritrovava o negli inni, che cant
imparare la loro religione, e la loro morale. Erano altresì l’albergo
della
dissolutezza, poiché vi si rappresentavano le art
del pubblico , e nota è parimenti la esecrabile costumanza di privar
della
virilità loro i fanciulli, acciò più agili, e più
a di esse consonanti. Cotal rinforzamento unito alla più lunga dimora
della
voce sulle rispettive sillabe, che ne era una con
particolar dolcezza d’accento, e per essere stata la sede principale
della
musica antica ne’ paesi dell’Occidente conservò u
o d’avere appo se musici pregievoli, i quali «sollazzassero la gloria
della
possanza sua», come s’esprime l’originale, scriss
ircostanze, delle quali a me non s’appartiene il parlare, molte parti
della
musica greca, aveano parimenti perduti molti segn
ecoli: lo che ei fece raccogliendo gli scarsi ma pregievoli frammenti
della
musica greca guasta e mal concia, come era a suoi
licità era più atto a commuovere di quello che sia la sfoggiata pompa
della
musica presente. Ne faccia testimonianza il piant
e altre chiese greche e latine, compose e formò l’antifonario per uso
della
musica sacra. Aggiunse a questa maggior pompa e m
ulare, vantandosi quelli all’incontro di essere i soli e veri maestri
della
musica perché seguitavano la scuola di San Gregor
2. [4] Per quasi i due secoli susseguenti, tempo, in cui, per valermi
della
energica espressione d’un moderno scrittore, l’Eu
zione che il loro rozzo ed imbarbarito orecchio. Guido Aretino monaco
della
Pomposa, che fiorì dopo il mille, è in que’ tempi
iar da lontano. Egli vien creduto comunemente il fondatore e il padre
della
moderna musica. I suoi meriti principali sono d’a
rte di esse scoperte non hanno altro fondamento se non quello appunto
della
comun tradizione. Si dice, per esempio, che Guido
sa posizione di questi s’indicassero gli alzamenti e gli abbassamenti
della
voce; ma ciò si niega a ragione dal Kirchero nell
quale s’impara a dar il lor nome, e a intuonar con giustezza i gradi
della
ottava per le sei note di musica “ut, re, mi, fa,
o ad altro che a segnar colla posizione loro i gradi, e le differenze
della
intonazione. Tutt’erano d’ugual valore in quanto
intitolato Speculum musica, che si conserva inedito fra i manoscritti
della
Real Biblioteca di Parigi, parla delle note e del
o stato, in cui si trovava a’ suoi tempi questa principalissima parte
della
musica. «I moderni», dice, «usano presentemente d
di. [6] Ma onde, dimanderà qualcheduno, tanta incertezza nella storia
della
musica? Perché tal oscurità circa il tempo delle
nulla pregiavansi le opere dell’ingegno, perché neppur si sospettava
della
loro utilità: dal niun commercio tra popoli confi
erarsi in allora la musica non come un’arte di genio, gli avanzamenti
della
quale dovessero interessare il lusso e la voluttà
rali, alle nozze, e ad altre solennità, come ancora a’ Ludi o misteri
della
Passione, de’ quali, per essere stati in certa gu
ettere. Ora ne’ tempi e nelle nazioni che chiamansi rozze, i principi
della
religione agiscono con maggior forza sugli spirit
i vizi han troppa licenza, come perché, essendo il carattere generale
della
filosofia quello di render probabili le cose più
la faccenda procede altrimenti) impresero a trattar argomenti propri
della
religione di quel dato paese, come cel dimostra l
Francia, in Ispagna, e in Italia i ludi, ovvero siano i misteri detti
della
Passione. Sul principio non furono se non rozzi s
a d’esser eseguiti e d’aver per autori persone consecrate al servigio
della
religione. Ognun sà che i primi poeti greci furon
a dimenticanza de’ veri principi di questa, tenne dietro anche quella
della
morale. Giunsero non pochi fra loro a scordarsi,
ezione, e progressi: merito assai tristo per una religione, l’oggetto
della
quale debbe esser quello d’assicurar all’uomo la
getto della quale debbe esser quello d’assicurar all’uomo la felicità
della
vita presente, e della futura, e non di regolare
esser quello d’assicurar all’uomo la felicità della vita presente, e
della
futura, e non di regolare lo scalpello dello scul
io dico, si vedeva Giove padre degli dei dipinto ne’ pubblici templi
della
medesima città colla lira in mano, s’adoravano Ca
er i primi istituita la danza, veniva onorato Mercurio come inventore
della
eloquenza, e si dava a nove vergini deità la sing
reggiato poi dagli usi politici, e ravvivato dalla possente influenza
della
bellezza, principio comune delle une e delle altr
ovea pregiare assai più un vile schiavo virtuoso, che non gli oggetti
della
pubblica venerazione. Epitteto colla sua gamba fr
«Ah! di sicuro Nulla è quaggiù. Non
della
gloria il lampo, Non la fortuna toglieran, che l’
e de’ fatti patriotici, e conseguentemente risvegliar in esso l’amore
della
libertà, e della patria, virtù delle più utili pe
otici, e conseguentemente risvegliar in esso l’amore della libertà, e
della
patria, virtù delle più utili per tutto altrove,
simo, quella religion santa, che trae dal cielo la sua origine, ci dà
della
natura divina, e delle cose che le appartengono,
rché le operazioni dell’Esser infinito oltrepassano la debole potenza
della
finita ragione, esso ricava maggior motivo di ven
tenza della finita ragione, esso ricava maggior motivo di venerazione
della
sua medesima oscurità. «Profonda e chiara, teneb
per esaminare le più ascose rivolte dei cuore, la perpetua ricordanza
della
morte, e del suo futuro destino, in una parola la
tura divina alle passioni degli uomini, e far un materiale spettacolo
della
più spirituale fra tutte le religioni. Perciò gli
i di dolori ai denti, e aggiugne agli altri donativi già fatti quello
della
coda d’una carogna». Un siffatto pontefice doveva
presso di sé dei ministri non dissimili a lui, e questi erano i preti
della
stessa chiesa. Ne’ giorni che durava la festa (ci
a commedia. La farsa per il comune si recitava nell’atrio o cimeterio
della
chiesa. Ivi si tosavano i capegli e si radeva la
eno grata al nostro Signore di quello che fosse alla Madonna la festa
della
sua Concezione. «Diffatti (dicevano essi, appigli
essi, appigliandosi a quella ragione, ch’è stata mai sempre lo scudo
della
ignoranza, e il baloardo del fanatismo) i nostri
sotto gli occhi dell’Altissimo che fra le domestiche mura? Il liquore
della
saviezza è troppo forte, noi siamo dei vasi tropp
e che sappiamo esser stata fatta in Germania, intitolata Ludo Pascale
della
venuta, e morte dell’Anticristo altro non era, se
decimoquinto si recitò nel Delfinato l’Epulone dove Asmodeo, diavolo
della
lussuria, e Pluto, diavolo delle ricchezze, compa
cucine Le pentole fiutando, e del Profeta Se qualchedun gli parla, o
della
legge, La pancia Ei si tasteggia, e poi risponde:
olane, di spettacoli sconci che meritarono replicate volte le censure
della
chiesa e nominatamente del papa Innocenzo III, ch
a del Gonfalone col solo fine di rappresentarvi annualmente i Misteri
della
Passione. In Ispagna, dove le antiche usanze dura
col titolo di Autos sacramentales, ed abbellite coi più vaghi colori
della
poesia, e di superbe decorazioni. Il fecondissimo
oi s’appartiene, quattro furono i gradi o l’epoche dell’accrescimento
della
musica sacra. Il primo quel semplicissimo, il qua
gliori spiriti dall’altra disgustati dal misero strazio che si faceva
della
poesia, della musica, e del buon senso, preferiva
dall’altra disgustati dal misero strazio che si faceva della poesia,
della
musica, e del buon senso, preferivano all’armonia
cuna influenza nell’Italia dove la musica ecclesiastica con discapito
della
religione, con iscandalo degli esteri, e con irre
quelle bocche avvilite, cui meglio assai converrebbe intuonar l’inno
della
ebrietà fra gli evirati sacerdoti di Cibele. 20
mostra gran dispiacere e maraviglia di ciò che dissi in questo luogo
della
filosofia, e (come avviene quando s’ha più cura d
no aspetto) si è trasferita la mia proposizione dal senso particolare
della
filosofia applicata agli oggetti religiosi ad un
icata agli oggetti religiosi ad un senso tutto diverso, cioè a quello
della
filosofia, che seguendo il corso delle nazioni fo
o il mio libro, ch’io porto la stravaganza a segno di condannar l’uso
della
filosofia nelle produzioni letterarie, nonostante
zelo s’esclama contro questa nuova maniera di profanare il sacro nome
della
filosofia. Ma siccome io non mi rendo mallevadore
ne’ secoli chiamantisi illuminati, o filosofici il carattere generale
della
filosofia applicata agli oggetti religiosi è quel
questo mio sentimento debba chiamarsi una profanazione del sacro nome
della
filosofia, e non piuttosto una proposizione veris
rissima appoggiata sulla cognizione dell’uomo, sulla lettura riflessa
della
storia, e sulla quotidiana esperienza. Tale sicur
l’histoire de la fête des fous stampato in Losanna. 33. [NdA] Storia
della
Letteratura italiana, Tomo 4, Libro 3, Capitolo 3
29 dicembre del 1771, ed essere stata sepolta il domani nella cripta
della
Cappella della Vergine nella Chiesa del San Salva
l 1771, ed essere stata sepolta il domani nella cripta della Cappella
della
Vergine nella Chiesa del San Salvatore. Dal suo m
quanto di gloria in voi splender si vede. Al proposito del Maffei e
della
sua Merope, il Pindemonte scrisse che a invaghirl
ffei seguitasse la Compagnia, intervenendo in molte città alle recite
della
sua Merope. Nè io sarei alieno dal crederlo ; par
è io sarei alieno dal crederlo ; parendo omai accertato che le grazie
della
Flaminia suscitasser tali discordie tra il Maffei
Femia, acerbissima satira, in versi sciolti e divisa in cinque atti,
della
quale sono interlocutori Mercurio, Fama, Radamant
insaputa dell’autore, in Italia e all’estero. In proposito del valore
della
Riccoboni, e del seguirla che faceva il Maffei di
faceva il Maffei di città in città, assistendo alle rappresentazioni
della
Merope, la Fama (atto secondo, scena I) a Radaman
a I) a Radamanto, che, dopo la descrizione chiara e viva da lei fatta
della
tragedia, aveva detto : mentre Femia m’accusi, i
esto senso, cioè che intervenisse in varie città d’Italia alle recite
della
sua Merope, è cosa assai nota, e della quale ho i
rie città d’Italia alle recite della sua Merope, è cosa assai nota, e
della
quale ho in mano le testimonianze e le prove. Co
imonianze e le prove. Come chiusura dell’articolo, do l’ultima parte
della
lettera che la Flaminia scriveva all’abate Conti
ci Italiani che nella Commedia ; mentre le Tragicommedie di Sansone e
della
Vita è un sogno, non sono tragedie ; ed è ben div
mo pur data una volta a Parigi, non gli può aver rappresentata l’idea
della
natura tragica italiana, essendo essa una di quel
r la natura tragica, ho conosciuto che nella comica giungerà al colmo
della
perfezione. Concludo il mio discorso coll’assicur
e discendino al di lui familiare, e se una volta potrà farsi un misto
della
tragica ed inverisimile dignità francese, con un
Baron (Michel Boyron) uno dei più forti, se non il più forte artista
della
Francia, nacque a Parigi l’ottobre del 1653, e vi
CAPO III. Stato
della
Commedia Francese prima e dopo di Moliere. Pie
ivata al punto, ove l’avea portata in Italia il cavaliere Giambatista
della
Porta; ma la dipintura delicata de’ costumi atten
liere, cui i posteri diedero e conservano il meritato titolo di padre
della
commedia francese. Dopo le guerre civili che dura
Francesi non ignorarono, che l’azione ed i principali colpi di teatro
della
prima si tolsero da una commedia Italiana11. Arle
la platea, coraggio, Moliere, questa questa è la buona commedia, voce
della
natura onde siamo avvertiti che il pubblico polit
Nell’autunno del medesimo anno venne Moliere co’ suoi nella capitale
della
Francia. Cominciò le rappresentazioni colla trage
cui riuscita consolò l’autore, e cancellò la svantaggiosa impressione
della
favola precedente, e gl’ Importuni commedia in cu
do ridere il pubblico a spese de’ suoi censori, e pubblicò la Critica
della
Scuola delle donne, in cui dipinse vagamente i ri
quale avea indegnamente ferito Moliere motteggiandolo sulla condotta
della
moglie col Ritratto del Pittore. Ma dopochè nel 1
re atti, produsse nel 1666 il Misantropo che fu il primo capo d’opera
della
commedia francese. Tutti i comici antichi e moder
iglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo
della
politezza e senza necessità, si pregia di dire ad
a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. Ad onta
della
grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell
isentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri,
della
felice arditezza dell’idea, dell’ eleganza e pure
uale temendo di essere smascherata volea farlo passare per una satira
della
vera pietà e religione. Mille pregi rendono quest
e religione. Mille pregi rendono questo dramma l’ornamento più bello
della
comica poesia e delle scene francesi. L’interesse
el Misantropo, comincia nel Tartuffo a sentirsi sin dalla prima scena
della
vecchia Pernelle. La vivacità ch’è l’anima delle
provincia viene aggirato da Sbrigani personaggio modellato su i servi
della
commedia greca ed italiana antica e moderna. Gli
ma volta che questo monarca che si trovava nel trentesimosecondo anno
della
sua età, comparve in teatro a ballare scosso da a
sto di questo monarca e la stima che faceva di Moliere. Parigi meglio
della
corte sentì la verità della comica dipintura di M
tima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità
della
comica dipintura di M. Giordano, in cui si ridico
l che non si è. Tuttavolta vi si trovano molti colpi di teatro proprj
della
farsa; benchè gli uomini di gusto non pedantesco
tata nel 1671, sebbene il sacco in cui si avvolge Scapino, e la scena
della
galera appartengano a un genere comico più basso.
Trissottino. Dietro a questa commedia nell’anno stesso venne la farsa
della
Contessa d’Escarbagnas, una pastorale comica di c
che se ne fece il dì 17 di febbrajo, morì in sua casa questo principe
della
commedia francese, essendovi stato trasportato da
iere non fu quella che orgogliosa e vana sdegna di piegarsi al calore
della
passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di pe
fia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’ austerità
della
sua dottrina. La filosofia di Moliere e di ogni u
to di una virtù troppo fiera ed intollerante. Allo studio dell’uomo e
della
propria nazione Moliere accoppiò quello degli scr
he sono imitazioni di Plauto l’Anfitrione e l’Avaro, e che i fratelli
della
Scuola de’ mariti sono modellati sugli Adelfi di
iliano, il Convitato di pietra, la Principessa d’ Elide, ed una parte
della
Scuola delle donne, si ricavarono dal teatro spag
dagl’ Italiani. Dallo Straparola trasse l’argomento ed alcune grazie
della
medesima Scuola delle donne. Varie scene ed astuz
ni, a riserba del modo di rappresentare pantomimico di Scaramuccia, e
della
commedia del Secchi, e del Cornuto immaginario. D
ò si vede la difficoltà di esser critico e pensatore senza cognizione
della
storia. Bisogna però mostrare maggiore ingenuità
o atto una pastorale, nel terzo una commedia, nel quarto una tragedia
della
morte di Clorinda, nel quinto una tragicommedia d
poi scrisse una satira, parendogli di non essergli stata dall’Orazio
della
Francia renduta tutta la giustizia. Il Legatario
Davide Agostino Brueys, benchè morto nel 1723, passò la maggior parte
della
sua età nel secolo XVII, essendo nato in Aix nel
venne poeta comico non ispregevole, e conservò tra’ Francesi il gusto
della
vera commedia. Le Grondeur gli acquistò molto cre
o il teatro francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e
della
Commedia Italiana dove andava Moliere a studiare
de Nouvelles di Vizè. 15. Numerando il sig. ab. Andres nel III tomo
della
sua opera su di ogni letteratura le favole france
a de’ Plaideurs. 19. V. le Memorie Letterarie che formano il tomo II
della
Dunciade di Palissot.
arini Virginia, figlia di Carlo e Teresa Weiss, nacque ad Alessandria
della
Paglia il 19 novembre del 1844. Essendo il padre
piccola Virginia attendeva ogni mattina alla ripulitura dei palchi e
della
platea, ingannando il tempo con tirate di commedi
tolfi), sorpresala nelle sue declamazioni, scoprì il tesoro magnifico
della
sua voce, e, vedovo da poco e per giunta con figl
ala metteva paura. Il pubblico aveva avuto per una settimana i grandi
della
Compagnia, Salvini, la Clementina Cazzola, e non
genere drammatico, e il successo fa eguale. Essa non perdeva sillaba
della
Cazzola, che, per eleganza, naturalezza, profonda
l’arte in Roma, ov'è tuttavia, chiamata a coprire la cattedra di arte
della
recitazione nel Liceo musicale di Santa Cecilia,
Cecilia, creata per decreto del Ministro Baccelli. Questa la cronaca
della
vita artistica di Virginia Marini. Enrico Panz
che pare profonda e confidente nei gesti, nel volto, nei toni pacati
della
sua bella voce ! La passione regna dentro poderos
ede e dalla speranza. Sotto le belle vesti di Rosane, nell’anticamera
della
tragedia, Adriana non ismentisce un solo istante
Fedra gittata a guisa d’uno schiaffo o d’un pugno di fango sul volto
della
rivale, ci rivela a un tratto tutta la potenza tr
a, e, direi quasi, di canto, tale e tanta era la carezzosa musicalità
della
sua voce. Quando non si andava svogliatamente com
interrotto di ogni sera. Passando dalle schiette e composte comicità
della
Serva amorosa agli sfrenati e sfacciati ardori di
ob, e via discorrendo. Ricordiamo ancora Virginia Marini alla vigilia
della
celebrità con Alessandro Monti al Teatro Alfieri
a sul pubblico, che rimaneva vinto di sorpresa, e soggiogato…. L'arte
della
Marini fu plastica nella dizione e nel portamento
le improvvisazioni inattese, e diciam pure gl’improvvisi lampi d’arte
della
Tessero mancavano a Virginia Marini ; ma nella gr
e nella lor trascuratezza, a tutto insomma il grande convenzionalismo
della
scuola moderna. Virginia Marini ha chiuso il vecc
CAPO III. Della vera Commedia Francese e
della
Italiana in Francia. Due specie della vera com
lla vera Commedia Francese e della Italiana in Francia. Due specie
della
vera commedia noi contiamo, la Tenera, e la Piace
era commedia noi contiamo, la Tenera, e la Piacevole, prima di parlar
della
Commedia Italiana che troviamo allignata in Franc
mici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso
della
commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’in
ra. Adunque quest’ultima specie di commedia presenta tutti i vantaggi
della
sensibilità posta in tumulto nelle favole lagrima
andro, Apollodoro, Terenzio, Annibal Caro, Sforza Oddi, e Giambatista
della
Porta nel Moro e nella Sorella. Non sono le lagri
tragico, i delitti grandi, i patiboli. La commedia tenera si contenta
della
sobria piacevolezza che risulta dalla pittura com
che, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione
della
nobile e gentile commedia Tenera. Guai al pedante
una spanna , il quale non sapesse distinguere il pennello dell’autore
della
Pamela e della Nanina da quello che colorisce le
quale non sapesse distinguere il pennello dell’autore della Pamela e
della
Nanina da quello che colorisce le favole lagriman
icolo agli occhi de’ pregiudicati suoi amici col mostrarsi innamorato
della
propria moglie, incorre nell’altro di voler pales
ezza che esige un amor colpevole, e con ciò cagiona le tenere lagrime
della
consorte che l’ama; simile argomento, dico, è un
renti, di tenerezza e di piacevolezza comica, che manifesta il pregio
della
commedia tenera. A torto contro di questo genere
n si accolse troppo favorevolmente. L’azione è più semplice di quella
della
Pamela; ha di più il merito di essere bene scritt
te delicatamente; lo scioglimento avviene senza la grande rivoluzione
della
condizione della fanciulla; perchè Nanina al più
lo scioglimento avviene senza la grande rivoluzione della condizione
della
fanciulla; perchè Nanina al più vien riconosciuta
ior forza nella Pamela: il contrasto nel cuore di Milord dell’amore e
della
nobiltà più vivace e teatrale: i costumi inglesi
in Parigi nel 1709 è uno de’ Francesi che conservarono la giusta idea
della
comica giovialità, resistendo alla seduzione del
tesoriere di Francia, il più severo valoroso ed ingegnoso oppugnatore
della
tragedia cittadina e della commedia piangente. Ne
ù severo valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e
della
commedia piangente. Nella sua dissertazione inser
lla commedia piangente. Nella sua dissertazione inserita nel tomo III
della
Raccolta della sua Accademia della Roccella conch
angente. Nella sua dissertazione inserita nel tomo III della Raccolta
della
sua Accademia della Roccella conchiude dicendo, c
issertazione inserita nel tomo III della Raccolta della sua Accademia
della
Roccella conchiude dicendo, che» se in una commed
farle spandere». Al contrario non la comprese l’autore de’ Tre Secoli
della
Letteratura francese, che non ammette altra speci
zio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto
della
piacevolezza di Regnard, e molto meno dello stile
il Palissot desiderava che il protagonista avesse un tono più proprio
della
gente nobile. Il Filosofo maritato presso il mede
da una favola inglese. In generale Des Touches è uno de’ buoni comici
della
Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole,
rettezze obligato a scriver troppo, mostra nelle sue favole l’effetto
della
precipitazione. Non si dovea stampare tutto ciò c
olezza; lo stile spiritoso e proprio senza sforzo e senza pregiudizio
della
naturalezza è animato da una versificazione armon
di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevè gli elogii de’ più noti poeti
della
Francia, e varie dichiarazioni di amore in versi,
a ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto
della
natura, il quale argomento su poco felicemente tr
te un tempo vezzosa, produssero alcune commedie pregevoli, a dispetto
della
moda lugubre, i seguenti scrittori. Giovanni Camp
ato in Amiens nel 1709, e quivi morto a’ 16 di giugno del 1777 autore
della
graziosa novelletta le Vert-vert (dopo aver dato
a commedia del Mechant il merito di un vivace colorito ne’ caratteri,
della
buona versificazione e di uno stile elegante e sa
edie inedite perdute, o dall’autore stesso soppresse, cioè il Secreto
della
commedia da lui letta a’ suoi amici, ed il Mondo
vventure romanzesche-sforzate. La Bacchettona ovvero la Conservatrice
della
Cassetta tratta da una favola inglese è parimente
e di buon cuore, come anche ad un uomo candido, il quale giudica bene
della
prima, e male della seconda per prevenzione fonda
e anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima, e male
della
seconda per prevenzione fondata sulle apparenze,
ppresentata in Parigi nel 1793. Antonio Bret nato nel 1717 scrittore
della
Vita di Ninon l’Enclos si esercitò pure nel gener
sta al teatro francese. Tratto poi dall’esempio abbandonò il sentiero
della
commedia piacevole, e si rivolse al genere serios
so è l’avviso che in essa si dà a chi crede aver motivo di querelarsi
della
leggerezza donnesca: Le bruit est pour le fat, l
ecclissata. L’Inglese a Bordò di m. Favart si compose dopo la guerra
della
Francia coll’ Inghilterra, che fu la penultima de
a coll’ Inghilterra, che fu la penultima del XVIII prima delle novità
della
prima, e riuscì sulla scena. Per varii spettacoli
placata. Carlo de Montenoy Palissot nato in Nansi l’anno 1730 autore
della
Dunciade francese compose due drammi comici. L’av
tre. La Contessa di Genlis compose due Teatri, l’uno per l’educazione
della
gioventù, e l’altro di società, ne’ quali si preg
ata in Parigi nel 1787 poteva animare la gioventù a ricalcare le orme
della
buona commedia e a ricondurre in Francia il socco
he in versi ed in tre atti altro non produsse che rinnovare il dolore
della
perdita di quell’ingegno raro. Il Matrimonio segr
buoni attori. Collin d’Harleville giovane ancora produsse ne’ tempi
della
Repubblica l’Ottimista, ossia l’Uomo contento di
ntento di tutto, in cui prese a rilevare il ridicolo ove mena l’abuso
della
massima Leibniziana, tutto è bene. La migliore de
ni, dilicati, riuscì compiutamente allorchè si rappresentò nel Teatro
della
Repubblica. Si desidera non pertanto in essa più
più interesse; e si osserva che il vizio fondamentale è nel carattere
della
giovanetta che, secondochè si espresse l’autore,
l’autore di quello che sarà ben ricevuto dal pubblico, sarà lo sposo
della
loro figliuola. Con tal convenzione vanno al teat
riconvenuta di stare al patto ricusa e nega di consentire alle nozze
della
figliuola con Dami. Ma il marito per abbattere l’
ze della figliuola con Dami. Ma il marito per abbattere l’ostinazione
della
moglie, cava di tasca un manoscritto delle poesie
e poesie di Floricourt, fralle quali si legge una satira fatta contro
della
stessa Madama Armand, la quale convinta della pes
una satira fatta contro della stessa Madama Armand, la quale convinta
della
pessima sua scelta, fa scacciare il poetastro, e
ghi, ed un insipido riscaldamento delle Donne Letterate di Moliere, e
della
Metromania di Piron. Non vogliono obbliarsi varii
convenuti si fanno rientrare ne’ diritti e nelle cognizioni del resto
della
società quegli sventurati privi di due sensi nece
, con far correre voce di esser morto, onde potè usurpare col braccio
della
magistratura i beni appartenenti al Conte di Hara
perse l’anima a varie cognizioni. Passeggiando un giorno l’istitutore
della
scuola e l’allievo davanti al palazzo della giust
do un giorno l’istitutore della scuola e l’allievo davanti al palazzo
della
giustizia al vedere il fanciullo discendere dalla
lli. Si assicurò con ciò che era venuto da una delle principali città
della
Francia. Per indovinare donde effettivamente era
era Giulio; essendosene posto in possesso presentando un certificato
della
morte del legittimo erede. L’Abate ricorre al mig
ssia la Giovanezza di Richelieu. Tralle commedie pubblicate nel corso
della
Repubblica Francese, e chiamate Repubblicane, si
Mariage du Capucin di Volmerange, il quale, al dir di Piniere autore
della
satira le Siecle, pare che fosse tutto occupato a
edia del mentovato Dancourt a cagione di più d’una situazione comica,
della
condotta facile ed ingegnosa, di alcune scene nuo
rigi. Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi
della
buona condotta, dell’urbanità, e del rispetto che
ll’Arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava.
della
francese, e dell’italiana istrionica. In tal gene
ant-Foix, e poi l’attore Favart, e l’abate Voisenon. Tra gl’Italiani
della
stessa compagnia ne compose anche il lodato Ricco
a varii leterati Francesi che frequentavano la di lui casa, e scrisse
della
tragedia e della commedia con molta erudizione e
Francesi che frequentavano la di lui casa, e scrisse della tragedia e
della
commedia con molta erudizione e giudizio; come pu
elli Veneziani, da me ascoltata nel dicembre del 1777 in Mompelier, e
della
celebre attrice Carolina, i quali da molti anni s
discepolo di Moliere Michele Baron nato net 1653, e morto nel 1729, e
della
mirabile attrice Adriana Le Couvreur, sia andata
nerando. In fatti il signor Eximeno nel suo libro Origine e progressi
della
Musica, afferma che i commedianti (Francesi) pa
ttori francesi a voce bassa borbottando quando compariscono dal fondo
della
scena, e declamano più sonoramente quando si acco
profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo
della
scena, e più spiccate a misura che l’attore si av
nare il comodo di chi ascolta colla verità del dialogo, è la madrigna
della
natura. Si situano , aggiugne l’istesso Martelli
te dell’affettazione degli attori i Francesi di questi tempi. «L’arte
della
declamazione (dice uno di essi ironicamente) si
’azione.» Il signor Clement nelle sue Osservazioni critiche sul poema
della
Declamazione teatrale di Dorat scrive ancora: «Io
minore azione di braccia. Il sublime non richiede veruna esagerazione
della
natura, e la passione perde l’effetto nell’azione
animò colla musica dell’insigne nostro Sacchini nel 1775, come ancora
della
traduzione dell’Olimpiade recitata colla musica d
avvento. Capitato allora a Milano Romualdo Mascherpa con la compagnia
della
quale era amoroso il Landozzi, e sentita la Fusar
ovinetta, baciata dall’autore e dalla Marchionni, ricevè il battesimo
della
gloria. Sempre col Lipparini, a Verona, andata la
ezzo al crescente entusiasmo per ben diciassette sere. Il matrimonio
della
Fusarini fu un romanzo inverosimile. A Livorno s
manifesti contorcimenti i dolori che la tormentavano ; un giovinotto
della
barcaccia di proscenio sussurrò a’ compagni, ma i
a una matta risata, poi lasciò il teatro ; quella recita fu l’ultima
della
Fusarini a Livorno. La malattia pigliò le più ser
ò l’olio santo. Alcuni tra’più caldi ammiratori entraron nella stanza
della
morente colle torce accese. A un tratto lo sguard
tanza della morente colle torce accese. A un tratto lo sguardo vitreo
della
poveretta si rischiarò, si animò ; le labbra si m
uegli cader di mano la torcia, colpito dal terrore, e se ne andò fuor
della
stanza, come pazzo. La Letizia a poco a poco ripr
raggiunger la compagnia a Parma, promessa sposa di lui, il giovinotto
della
barcaccia, Adriano Bargellini, uno de’ più stimab
ggitane come potè meglio, fu colta dal grippe che la tenne gran tempo
della
stagione obbligata al letto. Gustavo Naiper, il f
loriosi dell’arte sua, la presentò alla sorella San Vitale, col mezzo
della
quale fu invitata a colazione e protetta poi e am
solabile…. e quando io le domandai come potè lasciar l’arte nel colmo
della
gloria, e nel fior della giovinezza, senz’ ombra
domandai come potè lasciar l’arte nel colmo della gloria, e nel fior
della
giovinezza, senz’ ombra di rimpianto, ella infiam
r la sera di martedì 25 aprile 1843, in cui ebbe luogo la beneficiata
della
illustre artista. Se il solo merito dovesse esse
a. Un pregiudizio volgare va impiccolendo sempre più in noi l’idea
della
coltura delle altre nazioni a proporzione della l
pre più in noi l’idea della coltura delle altre nazioni a proporzione
della
loro lontananza. Tutto ciò che non ci rassomiglia
a loro lontananza. Tutto ciò che non ci rassomiglia, sembraci indegno
della
nostra stima e incapace di buon senso, di spirito
rvare e riflettere se ne sottraggono. Generalmente i turchi, malgrado
della
loro comunicazione con alcune corti europee che p
statore, legislatore avveduto, virtuoso ancora e illuminato forse più
della
maggior parte de’ principi della sua età, si form
rtuoso ancora e illuminato forse più della maggior parte de’ principi
della
sua età, si formò sulla storia che amava di studi
persiano, come noi il greco e ’l latino. Quei che attendono alle cose
della
religione e alla loro giurisprudenza, si applican
o, e l’Ariosto degl’italiani. La drammatica di questi moderni signori
della
grecia non é certamente qual era a’ tempi di Socr
possessa del giovane, e cade infermo. Il padre tenero cerca il motivo
della
sua tristezza, lo trova, riflette, compatisce, si
te e comuni nella Turchia. In occasione di nozze si passa la giornata
della
cerimonia ballando o vedendo rappresentare i pupi
ata della cerimonia ballando o vedendo rappresentare i pupi. Le notti
della
quaresima della luna di Ramazan si spendono a man
nia ballando o vedendo rappresentare i pupi. Le notti della quaresima
della
luna di Ramazan si spendono a mangiare, fumare, p
vo. Nonostante le censure, Algarotti fu però un esponente d’eccezione
della
cultura dei lumi, della quale ripercorre tutte le
e, Algarotti fu però un esponente d’eccezione della cultura dei lumi,
della
quale ripercorre tutte le tappe consuete; interpr
mo di lettere del XVIII secolo, volto a perseguire uno dei fondamenti
della
cultura umanistica settecentesca, quello di una l
oli originate siano dallo influsso del clima, ovveramente dalle virtù
della
legislazione (1762), Saggio sopra il commercio (1
to periodo di fervore intellettuale e nasce da una conoscenza diretta
della
messinscena operistica legata alla collaborazione
ello scritto che affrontava problematiche legate alla prassi concreta
della
rappresentazione operistica. Fin dalla prima reda
ulla sua collocazione nella gerarchia dei generi letterari. Alla fine
della
prima redazione, egli cita direttamente gli autor
é allora non si potrebbe dire che il dramma per musica è un grottesco
della
poesia; anzi l’età nostra potrebbe darsi vanto di
sima parte rinovato, dove la poesia, la musica, il ballo e l’apparato
della
scena faranno insieme un’amica congiura, e la cos
ropeo6, nel quale erano coinvolti in Francia esponenti di primo piano
della
philosophie; un dibattito che, se riguardava appa
a trasformazione radicale del gusto, in nome di una maggiore aderenza
della
poesia alla natura e all’uomo, in termini laici e
i proprio attorno al testo. Già in questa prima redazione, a supporto
della
sua tesi, Algarotti compone una sintetica ricogni
rvento di Algarotti d’altronde, se anticipa alcuni dei temi al centro
della
riflessione dei decenni successivi, rappresenta a
ione dei decenni successivi, rappresenta anche un momento di rilancio
della
discussione che parte dalla constatazione della d
n momento di rilancio della discussione che parte dalla constatazione
della
diffusione europea dell’opera italiana e da un’ac
pera italiana e da un’accettazione del genere nel sistema complessivo
della
cultura letteraria. Il dibattito sul teatro music
nimato le discussioni dell’inizio del secolo si collocava all’interno
della
riflessione sulla tradizione nazionale ed era str
dei generi letterari, il confronto con la cultura francese, l’eredità
della
poesia secentista11. Proprio nel 1700 il secolo e
zione di ogni regola poetica e la negazione di ogni intento educativo
della
poesia. Anche Lodovico Antonio Muratori nel Della
liberato il campo dalla necessità di giustificare l’esistenza stessa
della
poesia per musica, nello scritto di Algarotti il
questo contesto e con questi presupposti che va considerata la difesa
della
centralità della poesia con cui Algarotti esordis
con questi presupposti che va considerata la difesa della centralità
della
poesia con cui Algarotti esordisce nel suo Discor
organizza tutto il suo testo che nella prima redazione è ancora privo
della
divisione in paragrafi. Le argomentazioni di Alga
rmini del dibattito primo-settecentesco, dall’altro però si avvalgono
della
conoscenza diretta del mondo teatrale contemporan
dello spettacolo operistico. Stabilito dunque il principio essenziale
della
superiorità della poesia, Algarotti affronta in s
peristico. Stabilito dunque il principio essenziale della superiorità
della
poesia, Algarotti affronta in successione le ques
, fin da questa prima redazione nella parte relativa alla trattazione
della
musica13, ma cita, tra i contemporanei, anche Met
i pubblicati alla fine del testo. Algarotti entra anche nel dettaglio
della
composizione musicale e arriva a sostenere una te
ne musicale e arriva a sostenere una tesi, che è debitrice agli esiti
della
parigina querelle des bouffons del 1752-54: «Una
lla parigina querelle des bouffons del 1752-54: «Una qualche immagine
della
vera musica da Teatro ci è restata solamente, sia
ssente nella prima redazione in cui si ribadisce la natura ausiliaria
della
musica rispetto alla poesia. La necessità di conf
nti dell’arte19.» La conclusione si distanzita decisamente da quella
della
prima redazione; proprio in virtù di una ricompos
grado di valorizzare la tradizione italiana pur nella consapevolezza
della
necessità di una riforma radicale dello spettacol
so il teatro impresariale, lo strapotere dei cantanti, le imposizioni
della
musica. Il poeta cesareo sorvola invece su tutti
tra il 1755 e il 1763, alcuni interventi che ripropongono il problema
della
collocazione del teatro per musica nella cultura
llocazione del teatro per musica nella cultura letteraria del tempo e
della
sua riforma. I vari tentativi e la pluralità di v
ll’unità di luogo. Deciso nel contrastare l’opera francese, nel clima
della
querelle des bouffons, per l’eccesso di artificio
occio già sperimentato da Algarotti: la poesia è considerata il cuore
della
drammaturgia operistica, responsabile dell’organi
i è decisamente spostato da una considerazione del quadro complessivo
della
gerarchia dei generi letterari all’interno della
l quadro complessivo della gerarchia dei generi letterari all’interno
della
tradizione poetica italiana all’analisi di uno sp
e considera le articolazioni e specificità nazionali, la subalternità
della
poesia alla recitazione e al canto, la necessità
ia e si avvale di un approccio pragmatico, che nasce dalla conoscenza
della
situazione reale dei teatri per musica e dalla ne
l’indicazione di Napoli, ma in realtà uscita a Parigi28; il problema
della
paternità della lettera, attribuita al diplomatic
i Napoli, ma in realtà uscita a Parigi28; il problema della paternità
della
lettera, attribuita al diplomatico Josse de Ville
William Pitt, italianizzato in Guglielmo Pitt. Algarotti rende conto
della
scelta, che potrebbe essere considerata singolare
Non viene meno la volontà di riflettere sulla funzione catalizzatrice
della
poesia ma ogni aspetto è visto sullo sfondo del s
ova ampliata versione sia affidato il compito di riassumere i termini
della
questione e di legittimare anche attraverso il ri
questione e di legittimare anche attraverso il riferimento ai teorici
della
tradizione le soluzioni da lui prospettate che re
le critiche e la consapevolezza dell’esistenza dei consueti problemi
della
rappresentazione operistica, promuove un genere a
muove un genere al quale nel Settecento è affidata la fortuna europea
della
lingua e della letteratura italiane e spende quin
al quale nel Settecento è affidata la fortuna europea della lingua e
della
letteratura italiane e spende quindi la sua esper
39». Questa versione è decisamente ampliata rispetto alla precedente,
della
quale riporta la stessa epigrafe tratta da Ovidio
rte di Berlino. I due testi hanno molte differenze dal punto di vista
della
destinazione e della costruzione del testo stesso
testi hanno molte differenze dal punto di vista della destinazione e
della
costruzione del testo stesso. Il Discorso appare
atro, assente nelle redazioni precedenti, è aggiunto alla fine, prima
della
conclusione; tratta dell’architettura e della cos
giunto alla fine, prima della conclusione; tratta dell’architettura e
della
costruzione dei teatri d’opera. L’ultima edizione
asi francesi, magnificava il prezzo di quelle inezie, e il buon gusto
della
sua sposa.» Si cita da U. Foscolo, Opere, vol II,
rotti nel tardo Settecento e nell’Ottocento», in Nel terzo centenario
della
nascita di Francesco Algarotti (1712-1764), a cur
o, Torino, EDT, 1986, pp. 19-21. 12. G. M. Crescimbeni, La bellezza
della
volgar poesia, Roma, Buagni, 1700. 13. F. Algar
na, «Cinque argomenti nel Saggio sull’opera», in Nel terzo centenario
della
nascita di Francesco Algarotti (1712-1764), cit.,
zione l’epigrafe da Voltaire, Le Mondain, inserita invece all’interno
della
conclusione nella prima edizione del 1755. 24. R
CAPO VI Stato
della
Commedia Francese prima e dopo di Moliere. Pi
rvenuta al punto ove l’aveva portata in Italia il celebre Giambatista
della
Porta. Ma la dipintura delicata de’ costumi atten
liere, cui i posteri diedero e conservano il meritato titolo di padre
della
commedia francese. Dopo le guerre civili che dura
Francesi non ignorarono che l’azione ed i principali colpi di teatro
della
prima si tolsero da una commedia italianaa. Arlec
liere la sua del Dispetto amoroso; ma l’italiana termina assai meglio
della
francese, il cui quinto atto mal congegnato raffr
a tutta la favola. Dall’altra parte non vedesi nell’italiana vestigio
della
bella scena del Dispetto di Lucilla ed Erasto, in
platea, coraggio, Moliere, questa questa è la buona commedia , voce
della
natura onde siamo avvertiti, che il pubblico poli
. Nell’autunno del medesimo annovenne Moliere co’ suoi nella capitale
della
Francia. Cominciò le rappresentazioni colla trage
cui riuscita consolò l’autore, e cancellò la svantaggiosa impressione
della
favola precedente; e gl’Importuni commedia in cui
i novembre desolatoa. Nè vi ritornò il concorso se non colla comparsa
della
Scuola delle Donne rappresentata nel dicembre, ch
do ridere il pubblico a spese de’ suoi censori, e pubblicò la Critica
della
Scuola delle Donne, in cui dipinse vagamente i ri
uale aveva indegnamente ferito Moliere, motteggiandolo sulla condotta
della
moglie col Ritratto del Pittore. Ma dopo che nel
re atti, produsse nel 1666 il Misantropo che fu il primo capo d’opera
della
commedia francese. Tutti i comici antichi e moder
iglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo
della
politezza e senza necessità, si pregia di dire ad
a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. Ad onta
della
grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell
isentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri,
della
felice arditezza dell’idea, dell’eleganza e purez
ale temendo di essere smascherata voleva farlo passare per una satira
della
vera pietà e religionea, Mille pregi rendono ques
e religionea, Mille pregi rendono questo dramma l’ornamento più bello
della
comica poesia e delle scene francesi. L’interesse
el Misantropo, comincia nel Tartuffo a sentirsi sin dalla prima scena
della
vecchia Pernelle. La vivacità ch’è l’anima delle
provincia viene aggirato da Sbrigani personaggio modellato su i servi
della
commedia greca ed italiana antica e moderna. Gli
ma volta che questo monarca che si trovava nel trentesimosecondo anno
della
sua età, comparve in teatro a ballare, scosso da’
sto di questo monarca e la stima che faceva di Moliere. Parigi meglio
della
corte sentì la verità della comica dipintura di M
tima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità
della
comica dipintura di Monsieur Giordano, in cui si
che non si è. Tuttavolta vi si trovano molti colpi di teatro proprii
della
farsa; benchè gli uomini di gusto non pedantesco
tata nel 1671, sebbene il sacco in cui si avvolge Scapino, e la scena
della
galera appartengano a un genere comico più basso.
Trissottino. Dietro a questa commedia nell’anno stesso venne la farsa
della
Contessa d’Escarbagnas, una pastorale comica di c
che se ne fece il di 17 di febbrajo, morì in sua casa questo principe
della
commedia francese, essendovi stato trasportato da
iere non fu quella orgogliosa e vana che sdegna di piegarsi al calore
della
passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di pe
ofia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’austerità
della
sua dottrina. La filosofia di Moliere e di ogni u
to di una virtù troppo fiera ed intollerante. Allo studio dell’uomo e
della
propria nazione Moliere accoppiò quello degli scr
he sono imitazioni di Plauto l’Anfitrione e l’Avaro, e che i fratelli
della
Scuola de’ mariti sono modellati sugli Adelfi di
ariti sono modellati sugli Adelfi di Terenzio. Gli accidenti del velo
della
medesima favola, e nel Siciliano, il Convitato di
ciliano, il Convitato di pietra, la Principessa d’Elide, ed una parte
della
Scuola delle donne, si ricavarono dal teatro spag
più dagl’Italiani. Da Straparola trasse l’argomento ed alcune grazie
della
stessa Scuola delle donne. Varie scene ed astuzie
ni, a riserba del modo di rappresentare pantomimico di Scaramuccia, e
della
commedia del Secchi e del Cornuto immaginario . Q
ò si vede la difficoltà di esser critico e pensatore senza cognizione
della
storia. Bisogna però mostrare ingenuità maggiore
poi acrisse una satira, parendogli di non essergli stata dall’Orazio
della
Francia renduta tutta la giustizia. Il Legatario
Davide Agostino Brueys, benchè morto nel 1723, passò la maggior parte
della
sua età nel secolo XVII, essendo nato in Aix nel
venne poeta comico non ispregevole, e conservò tra’ Francesi il gusto
della
vera commedia. Le Grondeur gli acquistò molto cre
o il teatro Francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e
della
commedia Italiana frequentata da Moliere per istu
lles de Nouvelles di Vizè. a. Numerando Giovanni Andres nel tomo III
della
sua opera su di ogni letteratura le favole france
de’ Plaideurs. a. Vedi le Memorie letterarie che formano il tomo II
della
Dunciade di Palissot.
queste parole, chi vi ha dato ad intendere generalmente siffatte cose
della
Drammatica del Cinquecento, non ebbe presenti i F
ee, delle Alcestidi, delle Ifigenie, noi avemmo l’Ezzelino, l’Antonio
della
Scala, il Piccinino, il Ferdinando, la Sofonisba,
VI. Lodovico Ariosto non dovè a’ Latini le invenzioni del Negromante,
della
Cassaria, della Lena, della Scolastica, nè il Mac
osto non dovè a’ Latini le invenzioni del Negromante, della Cassaria,
della
Lena, della Scolastica, nè il Machiavelli quella
è a’ Latini le invenzioni del Negromante, della Cassaria, della Lena,
della
Scolastica, nè il Machiavelli quella della Mandra
ella Cassaria, della Lena, della Scolastica, nè il Machiavelli quella
della
Mandragola, nè il Bentivoglio del Geloso, nè l’Ar
o, nè l’Aretino dell’Ipocrito, nè il Caro degli Straccioni, nè l’Oddi
della
Prigione d’Amore e delle altre due favole, nè il
dell’Idropica, nè il Brignole Sale del Geloso non geloso, nè il Porta
della
Turca, de’ Fratelli Rivali &c. &c. Voi tr
e ne avvenne secondo il Gravina? Dice forse, che questa fu la cagione
della
deformità del Teatro del seguente secolo (che di
i disbrigarono da quei lacci per rimanersi soggetti alle sobrie leggi
della
Verisimiglianza, le quali sono indispensabili per
e gli uomini rompendo il freno di eccedente rigore, trascorrono fuori
della
norma comune ad una immoderata licenza”. Quì dunq
sto passo? Io quì vedo un manifesto decreto di condennazione positiva
della
licenza immoderata della scuola Lopense e Caldero
manifesto decreto di condennazione positiva della licenza immoderata
della
scuola Lopense e Calderonica, la quale, traviando
Signorelli (Lamp. p. 197.) perchè, cercando l’origine delle arditezze
della
Commedia Italiana ravvisate anche dall’erudito Br
ri Cortigiani, sordidi venditori del favore, soldati, ribelli, nemici
della
Patria, come Don Opa. Ed ivi ancora si sono vedut
duti Frati, Eremiti, Parrochi, ed altri Ecclesiastici, per nulla dire
della
Commedia intitolata Il Falso Nunzio di Portogallo
store falsario che con firme imitate si fa credere Nunzio e Cardinale
della
Chiesa Cattolica, e pianta l’Inquisizione in quel
zia! Se pure non è stata una cautela apologetica, appresa nel dettato
della
scaltrezza volgare, chiama ladro al contrario pri
Non posso, caro Signor D. Saverio, menarvi buona quella sbraciata
della
p. 211. contro l’Italia nel XVII. secolo, nel qua
iano meno sconcie delle Arlecchinate? Credete che chiamare il Buffone
della
Commedia Arlecchino o Traccagnino, Calabaza o Cam
e in trionfo da chi ha fior di senno, non essendo queste le ricchezze
della
Poesia Scenica delle due Nazioni. Or perchè, Sign
o tempo durò sino alla fine del secolo. E’ questo un sommario sincero
della
Storia scenica del passato secolo. Il Maffei preg
e Commedie Spagnuole e la poca somiglianza che aveano cogli originali
della
natura le fecero andare in disuso, e ricondussere
tempi credete di parlare? Quelli furono i tempi gloriosi per l’Italia
della
cacciata di Aristotile dal trono con tutte le qua
rono con tutte le qualità occulte, le forme sostanziali e accidentali
della
materia, la leggerezza dell’Aria, la regione del
ni e i misteri tutti delle Scuole Arabe. Furono quelli i tempi felici
della
luce Fisica, Matematica, Astronomica. A quei temp
ui si attribuisce, e colla Camera Oscura che tantò illustrò la teoria
della
Luce, perfezionata indi dal divino Newton. Furono
e diveniva per tante scoperte nella Statica e Idrostatica l’Archimede
della
Toscana. A quei tempi il celebre Giannalfonso Bor
n tanta innocenza vi fate uscir di bocca a quei tempi, quasi parlaste
della
infanzia di qualche società di Pastori e Cacciato
sero per tutta la Nazione, per mezzo de’ loro individui, il vero lume
della
Ragione, e delle Esperienze, donde proviene il pe
iarato Signor Lampillas stima che gl’Italiani non potessero giudicare
della
manifesta mostruosità delle Commedie Lopensi e Ca
lmente gl’ingegni Italiani, che neglessero questo piacevole esercizio
della
Poesia Scenica. Le arlecchinate rimasero, come le
. In oltre se voi non siete da buon senno dichiarato pertinace nemico
della
verità istorica, dovete confessare, che la Musica
li Scrittori le purgarono de’ difetti principali; e chi fa una Storia
della
Poesia Drammatica, non corre dietro, come il vost
ro tutti gl’Italiani. Il Vives p. e. in una Lettera ad Erasmo si ride
della
puerilità di certo amico suo, che l’esortava a le
he il Vives biasimava il gusto di Latinità degl’Italiani, facendo uso
della
solita aritmetica apologetica, per cui quel certo
spettatore ciò vedendo, se ciò accade in luogo praticato dagli altri
della
Casa, che avverrà in parte più secreta! E così si
facciataggini, fughe, ratti, trascorsi vengono abbelliti coll’aspetto
della
virtù (come bene osserva Don Blas de Nasarre), e
more infonde spavento, ma da poi da questo estremo passano, per mezzo
della
gelosia, all’altro opposto, e rappresentano al Po
se, insegnando alle Donne oneste, e alle incaute fanciulle il cammino
della
perdizione, e la maniera di alimentare amori impu
sione amorosa che viene dipinta onesta e decente, che è la vera peste
della
gioventù”. Or che vi pare, Signor D. Saverio di q
omedias que oy se usan por España impresso in Malaga cinque anni dopo
della
sua morte1. E il P.F. Juan de la Concepcion appro
chiarissimamente manifestano, che se la Commedia esser debbe specchio
della
vita, senza dubbio le vite presenti sono estremam
ias”. Queste sono le dipinture che fanno gli stessi eruditi nazionali
della
decenza della gentil Dama del Signor Lampillas, d
ono le dipinture che fanno gli stessi eruditi nazionali della decenza
della
gentil Dama del Signor Lampillas, di sì onesta Du
dalle comiche bellezze, come si vede in Aristofane. Ma i savj stessi
della
Nazione non rifinano di declamare contro di essa
medesima occasione si piange, e si ride: si burla dell’ineguaglianza
della
locuzione nel tempo stesso nobile, e plebea &
gres”. Mi resta ancora un buon numero di savj nazionali, veri amatori
della
Patria, i quali riprovano quelchè l’Apologista pr
iosa; ma potrà dirsi riguardo al Teatro, che il non curare gli avvisi
della
Ragione, e i saggi legami delle buone regole, l’a
poco, nè punto), che tanta pompa facciate dell’abbondanza di Lope, e
della
felicità di schiccherare in uno o due giorni una
azia poetica colla prodigiosa celerità, partecipi dell’infelice vanto
della
prestezza nel comporre Commedie, che gli è comune
er tanto io son di avviso, che se il Goldoni prese di mira il sistema
della
Commedia di Lope, forse ciò fu nelle prime sue fa
le prime; ciò che dimostra che n’ebbe onta, e pentimento, e si avvide
della
mal fida scorta, e del gusto del secolo cangiato
osciute tanto per comporre, quanto per rappresentare. 1. Trattato
della
Tragedia Num. IX. 1. Lampillas Sag. Apolog. P.
a nude “Di pelo, al terzo poi mel fai barbuto, “Quale il Nocchier
della
infernal palude.” Non si può appropriare? E il
de Galicia Linda in fasce alla prima non interviene poi nel rimanente
della
favola in età di quindici anni? Nè anche si trove
terminare in Persia? E la Nave Vittoria che scorre per tutte le parti
della
Terra, va in America, e poi torna in Ispagna? Io
ò, a soli diciassette anni, italiano e francese. Fece parte con onore
della
nuova Filodrammatica pisana, indi sì aggregò nell
il 7 febbrajo era già ritirato dalle scene per paralisi progressiva,
della
quale morì il 4 febbrajo 1886 nel manicomio di Fr
nel cimitero di Lucca. Enrico Salvadori fu amoroso nel vero senso
della
parola. Il periodo migliore della sua vita artist
Salvadori fu amoroso nel vero senso della parola. Il periodo migliore
della
sua vita artistica è quello, in cui egli si trovò
-Bon a fianco di Adelaide Tessero. Egli era veramente il primo attore
della
Compagnia, ma primo attore che recitava il Fernan
rimo attore della Compagnia, ma primo attore che recitava il Fernando
della
Partita a Scacchi. Di aspetto piacevolissimo, di
Dumas, e prostrate a un tratto nel più terribile modo, con la ironia
della
serbata vita bestiale, col dono maledetto di un’a
assoluta, commovendo il pubblico alle lagrime colla rappresentazione
della
Dionisia di Dumas. Passò di là a Caserta, Capua e
o Andò (’97) col quale si trova tuttavia. Queste le note cronologiche
della
vita artistica di Tina Di Lorenzo. Dire del fasci
o alla dolcezza degli sguardi, alla soavità del sorriso, alla melodia
della
voce, all’armonia perfetta di tutta la persona, a
i. Nella recitazione alle Logge di Firenze (il gennaio del ’93)
della
Pamela nubile in memoria del primo centenario del
gennaio del ’93) della Pamela nubile in memoria del primo centenario
della
morte di Carlo Goldoni, con Tommaso Salvini Bonfi
rola, in una pausa, senza di che, artista grande nel significato vero
della
parola, non è. Malauguratamente ella non poteva i
o e da sella, ella dovette dalle patetiche paure, se così posso dire,
della
fanciulla goldoniana, balzare aspramente nelle pa
a fanciulla goldoniana, balzare aspramente nelle passionalità brutali
della
donna isterica, nevroastenica, sensuale, ribelle,
vita così sulla scena soddisfa e rinvigorisce tutto ciò che è frutto
della
propria operosità, tanto più adorato quanto più c
ed ebbrezze, consolazioni e gaudi, lagrime e sorrisi, che nel giorno
della
gran vittoria, sono la sua pagina di storia, la r
e doti naturali risponde, vigorosamente spontaneo e felice, il metodo
della
recitazione. Il metodo del quale la Tina Di Loren
so. Quel bagagliume non la riguarda ; lei sente che il momento umano,
della
situazione e del carattere, non deve essere alter
pratiche di quel mondo artificiale non hanno il potente alito di vita
della
creatura fatta ad imagine e similitudine ; lei se
n abbia dato finora delle interpretazioni complete, nel tono generale
della
recitazione della Tina Di Lorenzo si vede questo
a delle interpretazioni complete, nel tono generale della recitazione
della
Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bell
della Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bellezza dell’arte
della
scena ; vivere una creatura, non fare una parte c
cose come veramente sono. La Tina Di Lorenzo è una speranza benedetta
della
scena italiana, ma nulla più …… Dal quarto artic
platee sono trascinate, e in preda al delirio : e la storia dell’arte
della
scena straccia tutte le pagine delle date memorab
rezza dell’interesse, del conforto, del consiglio. Poichè il domani è
della
giovanezza, sorreggiamola senza fiacchezza e senz
sagevole, non le nascondiamo il pericolo ma rassicuriamola sul valore
della
propria forza : e se precipita, per disgrazia o p
he anche nel dolore rimane limpido (?), e quasi attonito sul panorama
della
vita (?) ; quella voce che, come nell’inno greco,
a sua valentia. E l’ha dimostrato in modo non dubbio. Ora, il fascino
della
donna, conservatosi uguale, è vinto dal valore de
no di sforzare i suoi mezzi fisici e il suo ingegno ; e tutte le doti
della
sua persona, di cui la nota precipua è la delicat
aggio rappresentato, e quella puramente estetica prodotta dalla vista
della
interprete, esiste una compenetrazione armoniosa,
l suo campo : sembra infatti che la naturale bontà e la mite dolcezza
della
giovane donna si ribellino quasi all’espressione
Tornato in patria ripensò all’avvocatura ; ma una giovinetta, attrice
della
Compagnia di Antonio Fiorilli gli fe’ di punto in
scena, abbandonò il Cavicchi gli amorosi per darsi tutto allo studio
della
maschera di Brighella nella quale riuscì mirabilm
Bragaglia, esordì nel 1848 al Teatro Re di Milano qual prima amorosa
della
Compagnia di Cesare Asti. Fu il ’48-49 con Papado
stravano or languidi, or lampeggianti lo stato dell’anima. Il metallo
della
voce, rispondente a ogni corda del sentimento, sa
, nel ’65, Alessandro Dumas figlio, recatosi dopo la rappresentazione
della
Signora dalle Camelie, sul palcoscenico, disse al
el mio paese un’interprete come voi…. » Nè solo nella interpretazione
della
Signora dalle Camelie, ma in quelle ancora del Cu
elie, ma in quelle ancora del Cuore ed Arte, dell’Adriana Lecouvreur,
della
Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta, della
elle ancora del Cuore ed Arte, dell’Adriana Lecouvreur, della Pamela,
della
Gabbriella, dell’Elisabetta, della Battaglia di d
’Adriana Lecouvreur, della Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta,
della
Battaglia di donne, della Piccarda Donati, dei Ge
Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta, della Battaglia di donne,
della
Piccarda Donati, dei Gelosi fortunati, della Pia
ella Battaglia di donne, della Piccarda Donati, dei Gelosi fortunati,
della
Pia de’ Tolomei, e di cento altre opere o tragico
nere, si diede con ogni studio e con ogni amore alla rappresentazione
della
Saffo e della Norma…. tragedie irte di difficoltà
con ogni studio e con ogni amore alla rappresentazione della Saffo e
della
Norma…. tragedie irte di difficoltà materiali, pu
in favor suo tutti i fascini d’una figura oltre ogni dire simpatica,
della
quale pareva che tratto tratto si sprigionassero
revano cercati nella poetica di Victor Hugo, era il massimo prestigio
della
Cazzola. [http://obvil.github.io/historiographi
lo significava in una forma continuamente elegiaca. Nelle intonazioni
della
sua voce, nel gesto, nel muover degli occhi parea
netrare in voi a indagarvi ogni vostro pensiero. Le ugualissime perle
della
bocca servivano di specchio a chi le parlava, e i
nato dell’attrice romantica drammatica. Non era bella, ma la mobilità
della
sua fisonomia era tale, che appariva quello che e
n forzato e ricercato verismo con combinazioni di nervosità che fanno
della
verità una menzogna, dell’arte un giuoco di prest
re servito alla S.ma sua Casa. Servij all’A. V. mentre era nel ventre
della
madre, et spero di servir nel ventre della Ser.ma
. V. mentre era nel ventre della madre, et spero di servir nel ventre
della
Ser.ma Consorte la sua prole, che N. S. voglia, c
uitor Divottiss.º Pier M.ª Cecchini. Andò il 1600 a Lione, direttor
della
Compagnia l’Arlecchino Martinelli, pel matrimonio
braio al 26 d’ottobre del 1608, e questa volta direttore e conduttore
della
Compagnia ; a proposito della quale il Duca Vince
, e questa volta direttore e conduttore della Compagnia ; a proposito
della
quale il Duca Vincenzo in data 10 novembre 1607 a
uiscardi, Fritellino e sua moglie come i migliori personaggi non solo
della
sua compagnia ma di tutta Italia. A Parigi recita
bblico, dietro istanza firmata da Battistino Austoni, l’amministrator
della
compagnia, per tutti i compagni qualificati Comic
ompagni qualificati Comici Italiani del Duca di Mantova. Il successo
della
compagnia fu completo ; e Don Giovanni de’ Medici
ia fu completo ; e Don Giovanni de’ Medici, che allora era alla Corte
della
nipote e tanto amore mostrava alle commedie, scri
l’indole sua : ma è anche la volta in cui lo vediamo padrone assoluto
della
compagnia. E, senza dubbio, il miglior tempo dell
o padrone assoluto della compagnia. E, senza dubbio, il miglior tempo
della
sua vita artistica fu codesto appunto, e quello (
e nel 1619 si adoperò, brigò, combattè strenuamente per la formazione
della
Compagnia che doveva andare a Parigi ; si diè d’a
non sappiam bene se si dovesse cercar la causa nel carattere bestiale
della
moglie Orsola che, gelosa di Florinda, gelosa del
arattere bestiale della moglie Orsola che, gelosa di Florinda, gelosa
della
Rotari, gelosa di tutte, irruenta, violenta, aggr
: ma è certo che nell’una cosa o nell’altra si dee ricercar la causa
della
lor serbata unione. Nel primo caso (e dati gli sf
che vediam confermato nell’oroscopo tolto come gli altri da un codice
della
Nazionale di Firenze, è stato messo la prima volt
no ’6oo, e il Cecchini si recò subito a recitare a Milano. Le cagioni
della
morte del De Vecchi sono chiaramente spiegate, ne
dell’ Illustrissima Sua Casa nel tempo, che riscaldandomi gli ardori
della
gioventù, mi rendevano tal’ hora bisognoso di un
ricouero per fuggir non so s’io debba dir lo sdegno, o pur il costume
della
Giustitia, la quale con il mezo dell’autorità, et
costume della Giustitia, la quale con il mezo dell’autorità, et bontà
della
felice memoria dell’ Illustrissimo Sig. Marchese
a pratica, scrive (XLIII) : S’io dicessi d’ amar assai più la vostra
della
mia salute, e ch’ io vorrei poter aggiunger a i g
a vostra della mia salute, e ch’ io vorrei poter aggiunger a i giorni
della
vostra vita que’ della mia, userei di quelle paro
te, e ch’ io vorrei poter aggiunger a i giorni della vostra vita que’
della
mia, userei di quelle parole, che sogliono usar i
: ma sì ben tanto, che niuno dopo me amo più di voi. A chi sparlava
della
sua nobiltà avuta dall’ Imperator Mattia, rispond
: Le meraviglie che mi scrivete, che s’ han fatto molti nell’arrivo
della
nuova, che Sua Maestà Cesarea m’ ha privilegiato
(Da una serie di dodici acqueforti antiche, riproducenti alcuni tipi
della
Commedia Italiana). Dei Frutti delle moderne Come
ngegnoso il quale spiritosamente attendi senza buffonerie al maneggio
della
favola, che ne succedi un altro totalmente dissim
’Arlecchino. Ma nel monologo, in cui Frittellino chiude il terzo atto
della
Flaminia Schiava, è ben descritta tutta la furfan
rtal d’immortal lode è molto. L’operetta consta di una introduzione,
della
breve raccolta in latino de’Sette preclarissimi D
e braccia barbagiani che volano, e se voltano il capo, scolari di Zan
della
Vigna ; però il capo, le braccia, i piedi, gl’occ
se per sorte si parla solo fra sè stesso, si dee andar discorendo, se
della
sua donna si querella, alla casa di quella si vol
e solo si tocchi quello che già save il popolo. Raccordandosi l’autor
della
Comedia che il mettere in obbligo di ridir più vo
; che alla prima scena accortosi poco valere il sapere, senza il dono
della
natura, si ritirarono fuori de’ Teatri, confessan
l 19 gennaio 1619, nella quale si annunzia l’arrivo in Roma da Napoli
della
Compagnia del Cecchini sappiamo anche la paga ch’
e in Italia, e perdendosene le tracce nelle Spagne per l’intemperanza
della
scuola Lopense, mentre Cornelio e Racine l’innalz
e Cornelio e Racine l’innalzavano in Francia assai dappresso al punto
della
perfezione, una folla di loro imitatori nel segui
avea scoperto il miglior camino, e prodotto l’Atalia, il capo d’opera
della
tragedia francese, senza avvilirla colla galanter
rar del tutto la tragedia, e la scena francese, dopo di lui si riempì
della
morale dell’opera di Quinault a. Alcibiade (aggiu
asii, de’ Pergolesi, suole esser seguita da una numerosa oscura prole
della
nojosa mediocrità. Ma la natura ha bisogno di rip
l periodo non pertanto qualche buon talento mostrò d’intendere l’arte
della
tragedia senza appressarsi ai modelli grandi. Gio
inunciato al teatro. La Fosse ne ravvivò il languore, e pieno com’era
della
lettura degli antichi Greci e Latini, nel 1696 se
rata benchè con poco fondamento. Egli contava allora quarantatre anni
della
sua età. Nel Teseo manifestò ugual sublimità di p
vata di Otwai col trasportare fra gli antichi Romani il fatto recente
della
congiura del Bedmar contro Venezia, diede un sagg
. Nel suo Amasi regna una molle galanteria sconvenevole all’argomento
della
Merope da lui appropriato a’ personaggi della sto
nvenevole all’argomento della Merope da lui appropriato a’ personaggi
della
storia dell’Egitto. Si recitò nel 1701. Il Voltai
ore non tragico. La Chapelle compose anche una Cleopatra non migliore
della
sua Merope. A simile mollezza universale seminata
volendo rimediare il Longepierre compose una Elettra tutta sul gusto
della
greca tragedia, semplice, senza episodii, senza s
e. I Francesi si confermarono nella credenza di esser passata la moda
della
greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’
a moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’effetto
della
particolar debolezza del Longepierre. Tale era lo
effetto della particolar debolezza del Longepierre. Tale era lo stato
della
tragedia in Francia, quando cominciarono a fiorir
te di virtù eroica, è personaggio ozioso sino all’atto V. La condotta
della
favola merita riprensione per certi racconti inte
oliloquio puramente narrativo, e per la poca corrispondenza del tempo
della
rappresentazione con quello degli evenimenti. Lo
o dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo
della
galanteria di Filottete che con rincrescimento si
a greca dell’inverisimile ignoranza di Edipo intorno alle circostanze
della
morte di Lajo. Egli però ne tolse ogni utilità co
in Castiglia dal Bermudez e da Mexia de la Cerda, benchè al cospetto
della
Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile
è al cospetto della Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile
della
Ines generalmente è migliore di quello del Romolo
o ancora notarvisi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie
della
scena e della passione. In compenso i suoi caratt
visi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie della scena e
della
passione. In compenso i suoi caratteri mi sembran
edia che ne porta il nome: il suo Pirro è più grande ancora del Pirro
della
storia. Grande feroce malvagio ambizioso e politi
ato come virtuoso. Egli non sapendo se Ninia viva, macchina la rovina
della
propria sorella, cui, mancando il di lei figliuol
o dalla storia alla famosa conquistatrice reina degli Assiri. A vista
della
manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi cos
à dell’altro dottissimo gesuita Pietro Brumoy, gl’inspirarono l’amore
della
bella letteratura greca e romana; le opere del Cr
avea letto l’Edipo di P. Cornelio a, contando appena ne 1718 anni 19
della
sua etàb, quando scrisse e pubblicò il suo Edipo.
e contro La Motte. Ci basti dire che Voltaire conservò molte bellezze
della
greca tragedia, che non seppe scansarne alcune du
greca tragedia, che non seppe scansarne alcune durezze nella condotta
della
favola, e che l’amoroso episodio di Teseo e Dirce
batista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna, che fu l’origine
della
lunga contesa che ebbe con lui il Voltaire. La Ma
e la scena seconda dell’atto V, in cui ella posta nel maggior rischio
della
sua vita sdegna di seguir Varo che vuol salvarla.
uolo. Il tetro e il forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira,
della
Merope e della Zaira. Crebillon battè un sentiero
e il forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira, della Merope e
della
Zaira. Crebillon battè un sentiero ben differente
i personaggi alla francese. In fatti i Tartari e i Cinesi dell’Orfano
della
Cina, gli Arabi Musulmani e gl’idolatri del Fanat
a il padre a lasciar di regnare. Egli ha migliorato anche l’artificio
della
parlata di Antonio, facendo portare per ultimo co
e nozze, sembra che la di lei morte non possa concepirsi come castìgo
della
sua passione. Intanto questo quadro felice intere
a’ componimenti giustamente applauditi? Nondimeno la lettura riposata
della
tragedia toglie alla critica tutta la forza. Zair
rito di essere stata la prima a mostrare sulle scene francesi i fatti
della
nazione. Shakespear ha preparata la materia della
ne francesi i fatti della nazione. Shakespear ha preparata la materia
della
Zaira colla tragedia di Othello, che l’Inglese ri
a Maria Vermejo. Riscuoteva da circa due lustri gli applausi concordi
della
più colta Europa la Merope del marchese Scipione
per la Merope del Maffei. Comunque ciò sia egli si valse del migliore
della
tragedia italiana, ma cercò di accomodarla meglio
Il nome che non combina, non basta a metterla nello stato di certezza
della
morte del figlio, potendovi essere diversi possib
el vecchio che impedisca l’esecrando sacrificio di un figlio per mano
della
stessa madre che pensa a vendicarlo. In tal trage
tali riflessioni non isfuggì al più volte lodato Calepio, e mal grado
della
di lui parzialità per la Merope Volteriana, non p
la Merope Volteriana, non potè lasciar di dire che nel miglior punto
della
passione rimane una fantasima, una chimera . Ciò
elle arti e alla gioventù col coprir di fiori i loro difetti. L’epoca
della
pubblicazione e rappresentazione del Fanatismo o
dell’atto IV di Zopiro con Seide e Palmira, e singolarmente la quinta
della
riconoscenza, la quale se non è nuova, almeno avv
ione a taluni quella di simile scellerato felice e trionfante a spese
della
virtù disgraziata. Lo stesso autore pensò di sodd
refige d’inspirare tutto l’abborrimento pel fanatismo, il quale abusa
della
religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti
ella religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti in pregiudizio
della
virtù. Il frutto morale dunque di questa tragedia
ragedia è manifesto essere di prevenire gl’incauti contro l’illusione
della
superstizione; e per conseguenza la di lei rappre
losa e pericolosa, diviene istruttiva ed utile alla società, malgrado
della
prosperità di uno scellerato. L’Alzira una delle
trice delle Istituzioni di Fisica secondo la filosofia di Leibnitz, e
della
traduzione de’ Principii del Newton, la quale ter
l fine a cui siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza
della
virtù della religione Cristiana che consiste nel
siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza della virtù
della
religione Cristiana che consiste nel perdonare ed
sempre in compenso vi trionfano l’umanità, l’orrore al vizio, l’amore
della
virtù. Alzira, Zamoro, Gusmano ed Alvaro sono per
Voltaire, e le situazioni tragiche vi si veggono animate dalla pompa
della
decorazione. Tutta l’azione però è fondata sull’a
zione dello spettatore, ma inferiore a fronte dell’interesse politico
della
tragedia nazionale di Eschilo. Soffre poi l’ombra
no alla presenza de’ principi, de’ satrapi, de’ maghi e de’ guerrieri
della
nazione, riesce così poco credibile al nostro tem
’arcano? Il poeta si è perduto nel suo piano, e dà la più atroce idea
della
divinità. In oltre tutte le situazioni tragiche n
e non hanno un solido fondamento. Qual sicurezza ha Ninia del delitto
della
madre? La lettera di Nino moribondo a Fradate non
dal Dolce, dal Shakespear, dal Conti, dal Maffei, pensò all’argomento
della
Semiramide o per la celebre tragedia del Manfredi
ltimi atti deludono le speranze che sorgono da i precedenti. L’Orfano
della
China rappresentata nel 1755 non è la stessa azio
o troppo poco si sforza di sapere con distinzione l’apparente delitto
della
figlia; ella mal si difende; i giudici non mostra
udici non mostrano la convizione del delitto. La concione di Orbassan
della
prima scena pieno di nobile indignazione al veder
brigands du midi, du nord et de l’aurore. Nobile e proprio de’ tempi
della
cavalleria è pure il bell’orgoglio di Amenaide ne
versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza
della
versificazione e la scorrezione dello stile. Da p
mori raffreddavano argomento sì tragico. Sentì La Touche la giustezza
della
critica, ed in otto giorni soppresse quel persona
rni soppresse quel personaggio ozioso e quell’amor freddo. Il maestro
della
Poetica Francese il sig. di Marmontel morto di ot
. di Marmontel morto di ottanta anni ritirato a Gallion l’anno ottavo
della
Repubblica Francese, si provò più volte a calzare
. Questi fatti istorichi non ebbero luogo nella tragedia. La sorgente
della
vendetta meditata da Warwick in questa si rifonde
cesi, e profonde un torrente di encomii sul suo protettore. L’arbitro
della
letteratura francese allora universalmente idolat
i altre produzioni tragiche mal riuscite e di una traduzione infelice
della
Gerusalemme del gran Torquato. Voltaire molto fin
asio. Il Voltaire nella satira le Pauvre Diable lo motteggiò, dicendo
della
di lui Didone, Le quel jadis a brodè quelque phr
l’atto IV per tutto il V sembrano troppo accumolati riguardo al tempo
della
rappresentazione; ma a giustificarne la verisìmig
ne, purchè ne faccia risultare il diletto dell’uditorio ed il trionfo
della
virtù, come appunto avviene nel Gustavo. Intorno
si. Prima di far parola de’ tragici componimenti prodotti sulle scene
della
Francia nel formarsi la Repubblica Francese, conv
si da tanti secoli? Che rappresentarono i Greci se non gli evenimenti
della
propria storia? Che i Latini stessi nella tragedi
ntano sotto la di lui penna dispregevoli e piccioli. L’Orazio Coclite
della
Francia, il famoso Bajardo detto il cavaliere sen
e aspirava alla gloria di tragico, avea ben false idee dell’eroismo e
della
virtù. Ma se egli travide nel dipingere gli eroi
ne maneggiata con gravità tragica o almeno con intelligenza e pratica
della
scenaa? Abbiamo accennate queste poche cose senza
ra la fama dell’Avogadro formandone un basso traditore, ed un mezzano
della
propria figliuola, e con documenti istorici che a
frire, al dir del cardinal Bembo, desiderano tornare sotto il dominio
della
Repubblica. Il conte Luigi viene particolarmente
mbara natogli di una Francese, implora la giustizia de’ nuovi padroni
della
città, non è ascoltato, i mali pubblici, e le pri
ure Avogadro un ribelle, cioè un suddito oppresso che non ha la virtù
della
tolleranza, e che disperando di ottener giustizia
stessa cosa essere in questa forma ribelle, che scellerato, ruffiano
della
figliuola, traditore di Bajardo e Gastone, e vile
esto Avogadro dipinto si neramente è figlio legittimo del Belloy, non
della
storia. Le scelleraggini, le infamie, gli assassi
il dolore del popolo intenerito. «A questo spettacolo (dicesi in fine
della
lettera) il duca di Nemours che sentiva commuover
ezza consiste in osservare, che l’ esposto non si dica dallo storico
della
vita di Bajardo, dando tutto il peso di una pruov
non dovè egli dubitar vivendo? Du-Bos che ignorava molto meno di lui
della
storia, narrò ciò che si trova dagli storici rife
Dalla più ragguardevole. L’assassino, l’infame, il poltrone Altemoro
della
tragedia si dice essere il Principe d’Altamura na
Cattolico, al marchese di Pescara? E qual parte ebbe questo Scipione
della
storia moderna nelle furbesche trame uscite dal c
I colla maggiore indegnità, come mostro come carnefice? Essendo amico
della
Francia avea quel pontefice desiderato che il fam
non rimangono che i nomi, mancando loro la nota del genio, l’armonia
della
versificazione, la correzione del linguaggio e la
riva di tenebre e d’orrore il cielo francese e seguiva il cangiamento
della
monarchia in democrazia, non mancarono di componi
agonista espresso con freddezza. Più celebrità ebbe Carlo IX in tempo
della
rivoluzione per certa analogia della strage di Sa
celebrità ebbe Carlo IX in tempo della rivoluzione per certa analogia
della
strage di San-Bartolommeo con gli orrori e l’esec
nalogia della strage di San-Bartolommeo con gli orrori e l’esecuzioni
della
repubblica che sorgeva in mezzo al sangue. L’orri
e accendeva i feroci petti nella mentovata esecranda strage del tempo
della
Lega sì ben descritta nell’Erriade, rinnovava la
’intervallo dall’atto IV al V. Si ripetè questa tragedia nell’anno IX
della
libertà, e l’autore sin dalla prima ripetizione v
lo IX sempre irrisoluto sino al punto che si avvicina il gran momento
della
strage deliberata, è assai ben delineata, e prese
lo non è posseduto dal fanatismo di Seide. Questo cardinale nel tempo
della
tremenda esecuzione si trovava in Roma, e Chenier
della tremenda esecuzione si trovava in Roma, e Chenier, per un abuso
della
storia simile a quelli ne’ quali incorse il Bello
r rappresentar felicemente le passioni tenere ed impetuose. L’anno IX
della
repubblica si rappresentò ancora Teseo tragedia d
edia intitolata Montmorenci che si recitò nel mese Pratile nel Teatro
della
Repubblica. Ha il merito di essere un argomento n
arlo per le stampe. Lagouée prodotto aveva prima sull’istesso teatro
della
Repubblica Eteocle e Polinice che non si avvicina
tragedie negli ultimi due lustri del secolo XVIII recitate sul teatro
della
Repubblica. Oscar figlio di Ossian di cinque atti
scar figlio di Ossian di cinque atti che si rappresentò l’anno quarto
della
repubblica, e si replicò sul cominciar del 1800;
ica prole di Contarini. Atto II. La scena rappresenta un appartamento
della
casa di Contarini. Mentre Bianca si trattiene con
si chiama imprudente, insensata; ed assicura Montcassin che si lagna
della
sua fortuna, che ella non sarà mai d’altri che di
nza può offendere l’autorità paterna; giurate di rispettar l’ingresso
della
mia casa fino a che Bianca non passi ad abitare i
uoi dubbii. Contarini dice, io gli farò svanire; venite nel bel mezzo
della
notte nell’antica cappella del mio palazzo; ricev
i di suo padre. Atto IV. Il teatro cangia in una cappella particolare
della
casa di Contarini con altare, in cui una porta ap
inestre che danno sul palazzo dell’ambasciadore di Spagna. In seguito
della
lunghissima scena dell’atto III della contesa poc
asciadore di Spagna. In seguito della lunghissima scena dell’atto III
della
contesa poco tragica di Contarini, e Montcassin,
tu ad abbandonare una dimora indegna, dove il solo interesse è quello
della
nobiltà, dove la voce dell’orgoglio copre la voce
sua sposa. Sopraggiunto il padre egli si determinò a suggire pel muro
della
casa di Spagna. Gl’Inquisitori Loredano e Contari
emoria al vedere gli amanti in piena felicità. L’autore si approfittò
della
giudiziosa avvertenza, e rendette alla favola il
io ne ricava il teatro? La tragedia suole alterare alcuna circostanza
della
storia, e con più frequenza quando l’evento risal
risale alla remota antichità: ma ciò si concede per aumentar le molle
della
compassione e del terrore, ma non già per iscemar
a nobile al pari di quello del Conte di Essex. Ben diversa è l’azione
della
tragedia di Arnault. Montcassin non può partecipa
è narra il Bembo. b. Principi d’Altamura furono in regno i figliuoli
della
famiglia del Balso già estinta nel principe Pirro
me le migliori favole del paese due tragedie di Rotgans, ed un’ altra
della
sig. Van-Winter nata Van-Merken autrice vivente d
ato a coltivar la drammatica per le cure del re Federico V benemerito
della
letteratura e del teatro. Non solo egli invitò ne
en, sussistendo tale accademia, diverrà di giorno in giorno più degno
della
pubblica considerazione. A’ nostri dì si è segnal
i fecero onore fra’ suoi. Ma singolarmente dee la Danimarca pregiarsi
della
sig. Passow nata in Copenaghen e morta nel 1757,
3 divenne moglie di un tenente del re che nel 1731 era stato capitano
della
compagnia dell’Indie. Oltre della traduzione ch’e
re che nel 1731 era stato capitano della compagnia dell’Indie. Oltre
della
traduzione ch’ella fece del Filosofo Inglese e de
Andreini de’ Danesi, contribuì anche all’intrapresa e all’esecuzione
della
prima opera musicale Danese rappresentata a spese
o non inferiore agli altri dell’Alemagna. La regina Cristina si valse
della
penna del Messenio per far comporre favole suedes
scrisse meno imperfette. La nazione allora gli diede il nome di padre
della
poesia suedese per la tragedia di Brunhilde sogge
componimento intitolato il Sole risplende per tutto tradusse l’Orfano
della
China del Voltaire; Manderstroom, oltre a un’ ope
mise a calcar le scene con successo rapido e prodigioso. Fu al fianco
della
Pellandi il primo attore per le tragedie (quello
nel Saul. Lo troviamo nel 1812 a Tolentino colla sua regia Compagnia,
della
quale eran prime parti la celebre Pellandi, Luigi
e memorie tolentinati (Tolentino, 1882) – quasi tutti avanzi gloriosi
della
R. Compagnia istituita dal Vicerè d’Italia, che e
dava alcun poco il Foscolo. La voce era piuttosto rauca, ma nel calor
della
recitazione si faceva forte e pastosa. È grido ch
secchie d’acqua ; e rappresentando una volta l’Aristodemo, s’investì
della
parte a segno, che si ferì davvero e gravemente :
Blanes ; » e G. B. Niccolini ne dettò una breve e forbita necrologia,
della
quale ecco il principio : Paolo Belli-Blanes, fi
are che l’Italia soffre tanta penuria di valenti comici, ch’ ella dee
della
morte del Blanes, come di non lieve perdita, dole
cusa che l’Internari gli aveva mossa di voler guadagnare sulla recita
della
Matilde, riportava questa parte del battibecco co
ale, dopo una viva raccomandazione dell’anima nelle mani del Signore,
della
Beatissima e Gloriosa sempre Vergine Madre Maria,
te a Coriolano figlio naturale ch’ egli ebbe dalla signora Margherita
della
Rose, dimorante a Milano e presso un farmacista C
i-Brozzi mi manda questa nota e questo sonetto : Ieri sera al teatro
della
Scala si riprodusse il Cincinnato, e non furono t
moso Meneghino, o Beltramino, e più grandicello con Giorgio Duse, zio
della
celebre Eleonora : ma la sua vita artistica, può
to direttore. Passò con lui sedici anni, i migliori, non è a negarsi,
della
sua carriera artistica ; ed altri ancora forse av
o : da queste poi, a quelle di caratterista e promiscuo, ultimo grado
della
sua vita artistica, sul quale egli si trova tutta
l cospetto del pubblico, doventava un semplice e modesto mortale fuor
della
scena…. Ripensando il tempo della maggior gloria
un semplice e modesto mortale fuor della scena…. Ripensando il tempo
della
maggior gloria di Bellotti-Bon, che fu quello in
; e seppe con l’arte e con la bontà così ben meritare dell’affetto e
della
stima del suo Capocomico, che ne ottenne una figl
mode andava alternando e che per la squisitezza de’modi e l’avvenenza
della
persona, era accolto e gradito dalle dame di ogni
società con Giacomo Modena, e si trovò il ’99 in Napoli, allo scoppio
della
rivoluzione, nella quale, entrato il Cardinal Ruf
he il Padre Giuseppe, domenicano,fratello del Belloni. Alle suppliche
della
moglie atterrita, alle sue lagrime incessanti egl
condannato. Recitava allora a quel Teatro Valle la Compagnia Perotti,
della
quale anni a dietro fu parte il Belloni ; e venne
mar società con Meraviglia, Calamai ed Elisabetta Marchionni la madre
della
celebre Carlotta : società che andò innanzi a gon
età col solo Meraviglia, poi, dopo quattro anni, diventò il direttore
della
Compagnia di Tommaso Zocchi. Maritatasi la figlia
per le più ignote contrade d’Italia, non il promovimento dello studio
della
platonica filosofia per mezzo di Giorgio Gemisto
misto Pletone, e singolarmente di Marsiglio Ficino e di Giovanni Pico
della
Mirandola in Firenze, e del cardinal Bessarione i
ssi dell’arte drammatica, non il felice coltivamento dell’eloquenza e
della
poesia latina, e di ogni altro genere di erudizio
raldi e Scipione Maffei tutti gl’intelligenti del latino linguaggio e
della
poesia drammatica. Fu stampata per la prima volta
stessa guisa che i rozzi cori pastorali ed i semplici inni dionisiaci
della
primitiva tragedia greca mossero l’ingegno di Epi
repassava l’autore, per quanto credesi da taluni, l’anno diciottesimo
della
sua età quando la compose in tempo di duo giorni,
o minor osservante, che nell’anno scorso ha fatto a onore e beneficio
della
letteratura italiana stampare in Venezia appresso
stile de’ comici antichi, e pruova lo studio che l’Alberti avea fatto
della
lingua latina». Questa commedia poi, quantunque s
ta al marchese di Ferrara Leonello d’Este, uno de’ più dotti principi
della
sua età e de’ più splendidi mecenati della letter
uno de’ più dotti principi della sua età e de’ più splendidi mecenati
della
letteratura, fu da Aldo Manuzio il giovane pubbli
uce in buona prosa latina circa il tempo medesimo d’Ugolino da Parma,
della
famiglia Pisani. Di essa non sappiamo indicar edi
olla in Trento nel 1472 col titolo di Catinia da Catinio protagonista
della
favola, la quale, secondo che pensa Apostolo Zeno
le del suo palagio, la commedia dei Menecmi di Plauto, alla traduzion
della
quale egli istesso avea posto mano148; e a’ 21 di
tazioni, scorgendovi una certa profanazione delle cose più sacrosante
della
religione. Gli attori che ne traevan profitto, ri
lla religione. Gli attori che ne traevan profitto, ricorsero al favor
della
corte, prendendo il titolo di Fratelli della Pass
itto, ricorsero al favor della corte, prendendo il titolo di Fratelli
della
Passione, e nel 1402 ne ottennero da Carlo VI l’a
ero da Carlo VI l’approvazione. Posero allora il teatro nell’ospedale
della
Trinità, e vi rappresentarono per tutto il secolo
e della Trinità, e vi rappresentarono per tutto il secolo varie farse
della
Passione, e differenti misteri del Testamento Vec
fferenti misteri del Testamento Vecchio e Nuovo. Uno di questi drammi
della
Passione, scritto circa la metà del secolo, si cr
ricevute da Lucifero per aver tentato in vano Gesù Cristo, la figlia
della
Cananea spiritata che diceva cose assai libere, l
tina, e Luigi De la Cruz compose varie tragedie latine. Nel rimanente
della
penisola delle Spagne il popolo si divertiva coll
rarli. I più antichi giuochi di carnovale che siensi conservati, sono
della
metà del secolo, e furono composti in Norimberga
tre persone che si son salvate in una casa; e ’l VI. fa una dipintura
della
vita di due persone maritate. Oltre alle suddette
pivano allora e si esprimevano per mistero alla fiaminga i personaggi
della
mitologia152. 133. Dove siete andati, felici t
i parla colla sua solita dottrina ed esattezza il sopralodato storico
della
letteratura italiana. 135. La vita del gran Pont
1761 presso i fratelli Simoni. 136. Leggasi il tomo VI part. I e II
della
Storia della Letteratura Italiana di Girolamo Tir
i fratelli Simoni. 136. Leggasi il tomo VI part. I e II della Storia
della
Letteratura Italiana di Girolamo Tiraboschi. 137
della Letteratura Italiana di Girolamo Tiraboschi. 137. In un codice
della
Biblioteca Estense, in cui si contiene la traduzi
si profondono le ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni,
della
musica e della poesia, compongono quel tutto conc
le ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni, della musica e
della
poesia, compongono quel tutto concatenato ed uno
ffò corredata eziandio di belle osservazioni appartenenti alla storia
della
poesia drammatica, l’Orfeo che fu fatto magnifica
il favore che dispensava ai dotti, l’introduzione, che a lui si dee,
della
scenica poesia, coltivata con splendide teatrali
appresentazione de Menecmi (dice il Tiraboschi) o fosse per la novità
della
cosa, o per la magnificenza dello spettacolo, ris
e stampato in Parigi nel 1772 presso Costard. 152. Vedasi il libro V
della
Storia di Borgogna di Ponto Heutero.
di sera in sera l’Asti ne andava perdendo, a cagione più specialmente
della
sua poca mente e della niuna istruzione. Cesare A
ne andava perdendo, a cagione più specialmente della sua poca mente e
della
niuna istruzione. Cesare Asti è passato proverbia
catore nella caduta di Missolungi, dovendo dire : « nell’imperversare
della
bufera, mi abbandonai alla discrezione delle onde
nai alla discrezione delle onde, » disse invece : « nell’imperversare
della
bufera, mi abbandonai alla descrizione di Londra…
i alla descrizione di Londra…. » Lo troviamo padre nobile, nel 1842,
della
drammatica compagnia condotta e diretta da Angelo
mualdo Mascherpa ; proprietario nel ’54-55 di una Compagnia discreta,
della
quale era prima attrice la Vedova-Ristori, e cara
erito non comune ; e finalmente, nel ’57-58, caratterista e promiscuo
della
Compagnia condotta e diretta da Valentino Bassi.
di una quinta. Un ahi lungo, doloroso seguì a quel colpo !… La punta
della
spada era andata a trovare le parti posteriori di
Visentini Francesco. Fratello
della
precedente, aveva poco più di un anno, quando fu
azione superiore alla sua età. Fu ricevuto poco dopo attore effettivo
della
Compagnia, per la vicenda col padre ; ma non vi s
ivo della Compagnia, per la vicenda col padre ; ma non vi son traccie
della
sua comparsa come Arlecchino ; bensì di quella co
una condotta specchiata. Un documento del 3 luglio 1749 reca l’accusa
della
sua domestica Elisabetta Deniset di averla con og
'52, alle nove di sera, ei si slanciò per di dietro su di un soldato
della
guardia che andava a braccietto di un amico : lo
petto, provocandolo e sfidandolo. L'amico intanto era corso in cerca
della
prima squadra della guardia, la quale arrivata, l
e sfidandolo. L'amico intanto era corso in cerca della prima squadra
della
guardia, la quale arrivata, lo trasse in arresto.
enza e fargli firmare carte compromettenti. Non si sa la data precisa
della
sua morte, che il Campardon mette verso il 1769.
corifei si penetri con agevolezza incredibile ne’ più riposti arcani
della
natura, e corransi con sufficiente sicurezza gli
marrebbe nel proprio abisso sepolta la maggior parte delle maraviglie
della
natura. E che diverrebbe singolarmente delle bell
analisi e senza maneggiare l’astrolabio di Urania, siedono nel tempio
della
gloria esposti al l’ammirazione concorde di tutti
tti i secoli e di tutti i paesi. L’uomo stesso, opera la più mirabile
della
mano del Creatore, non vuolsi considerare soltant
e nello spazio, o come pianta che vegeti, o animale che senta. Dotato
della
ragione dono divino della, suprema sapienza, egli
nta che vegeti, o animale che senta. Dotato della ragione dono divino
della
, suprema sapienza, egli è dalla natura formato pe
dere ad illustrare e perfezionare la preziosa importantissima scienza
della
legislazione. Ed in fatti se a conservar la tranq
le radici viziate e le cagioni che le viziano ed affrettano la morte
della
pianta. Ma il mal costume invecchiato nè anche, a
e leggi si convertono in costumi. Fa dunque mestieri di un altro ramo
della
sapienza che sappia correggere i costumi; e non e
rse una fiaccola chiara a sufficienza e durevole per tutto il cammino
della
vita? Il mondo ideale che si contempla nelle prop
ggi a) sconvolge tutte le idee del mondo immaginato. Pugnano i doveri
della
religione e delle leggi con molte opinioni adotta
e riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo che cerca ristoro dopo
della
fatiga. Ora se v’ha tra lumi somministrati dalla
dalla ragione rischiarata (oltre delle scienze esatte e delle leggi e
della
stessa moral filosofia) un educatore di simili ci
ppia il diletto del passatempo all’utile del l’insegnamento? il dolor
della
correzione al piacer dello spettacolo? Qual gener
erarsi di piacevolezza? Ben possiamo dire, che a somiglianza de’ numi
della
mitologia che cinti di umane spoglie viaggiarono
, per avvertirci delle discordanze de’ nostri ritratti dalle bellezze
della
sapienza e della virtù. La morale è la maestra de
delle discordanze de’ nostri ritratti dalle bellezze della sapienza e
della
virtù. La morale è la maestra de’ costumi, e la p
rofondamente nella natura dell’uomo! Adunque senza tener conto veruno
della
rigidezza affettata di alcuni sedicenti coltivato
venta la censura. Dà del bastone sullo specchio chi teme di arrossire
della
propria deformità. Catone pretese in Roma la cens
olumia. Non è adunque l’opera presente una semplice nuova impressione
della
mia storia teatrale, ma sì bene un nuovo libro ch
Contento di aver quì accennato succintamente l’eccellenza e l’utilità
della
poesia rappresentativa, stimo inutile per chi ha
e personificare, benchè non si trovassero registrate nel vocabolario
della
Crusca, le ho anche io usate senza dar retta a’ r
edizione e ritengo in questa, forse senza esempio, il termine tecnico
della
danza piroettare tratto del francese, che mi fu n
ho del tutto bandito il latinismo interloquire che tecnico può dirsi
della
drammatica, sembrandomi chiaro, intelligibile, so
convenzione? Parlar gergone è frase toscana inserita nel vocabolario
della
Crusca col l’esempio di Franco Sacchetti. Che se
chiama inusitate e strane c. O dunque debbesi moderatamente fare uso
della
severità de’ puristi’ intorno alle parole di stra
ica. Ecco quanto io ho fatto in quest’opera per diletto ed istruzione
della
gioventù che ama la poesia rappresentativa. Avrò
additati in questi primi fogli intorno al l’utilità e al l’eccellenza
della
drammatica ottenessero il frutto d’insinuare la n
era, che ci determina a quest’ultima edizione. a. Vedi la prefazione
della
ristampa dei suoi componimenti, dove nel tempo st
se non gentile asserzione. Ho poi troppe volte mostrato nelle Vicende
della
Coliure delle Sicilie che l’esgesuita Bettinelli
mo che volle introdurla, avesse avuto tal disegno, perchè l’inventore
della
maschera s’ignorava anche a’ tempi di Aristotile1
simo ne’ villaggi vollero che gli offesi venissero di giorno in mezzo
della
piazza a narrare le oppressioni sofferte. Ma per
e quando questa cominciò a pullulare da que’ semi, l’attore fece uso
della
feccia, delle capigliature e indi delle scorze, d
he e dalla teologia. Che se con Suida voglia attribuirsi l’invenzione
della
vera maschera, non ad Eschilo tragico, ma al Cher
osì dire, con ferro rovente alla presenza di un popolo fiero e geloso
della
sua libertà. Aureo in tal proposito è il passaggi
ero e geloso della sua libertà. Aureo in tal proposito è il passaggio
della
commedia degli Equiti di Aristofane, in cui si sc
questa verità istorica con un passo di Eliano, il quale nel ragionare
della
commedia delle Nuvole, in cui compariva il person
ì144: “Essendo Socrate mostrato sulla scena e nominato tratto tratto (
della
qual cosa non è da stupirsi perchè egli era ancor
cordate da Giovenale e da Giulio Polluce appartengono ancora a’ tempi
della
nuova commedia. Nè anche queste medesime maschere
more che anticamente mosse i villani a tingersi di feccia. La libertà
della
Grecia avea ceduto alla potenza de’ principi Mace
soggiacere al fato di Eupoli e di Anassandride. Per sicurezza adunque
della
propria vita sacrificarono la verità dell’imitazi
comici avvezzati al rispetto verso i principi, e questi renduti certi
della
totale sommissione de’ poeti teatrali alla loro a
ne diverse, di matrona, di più di una ruffiana, di due false vergini,
della
meretrice magnifica, della nobile, della coronata
più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica,
della
nobile, della coronata, di quella che portava l’a
fiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile,
della
coronata, di quella che portava l’acconciatura de
nell’Onomastico di Giulio Polluce148. E di questa naturale imitazione
della
maschera approfittandosi Nerone, si compiacque al
Venezia e in altre chiare città Italiane. 142. V. la Particella 39
della
Poetica. 143. Libro I, cap. 7. 144. Hist. Var.
lle Lettere di Parigi, e Metastasio nel capitolo quinto dell’Estratto
della
Poet. di Arist. 148. Lib. IV, cap. 20. 149. V.
ico. Si diede giovinetto alle scene, e fu per molti anni primo attore
della
primaria Compagnia, condotta da Giacomo Dorati. T
rometeo, I Riti Indiani, Cesare in Egitto, ed altri. Per dare un’idea
della
riuscita di questi spettacoli, basti dire che a M
di questi spettacoli, basti dire che a Milano, mentre al gran Teatro
della
Scala fanatizzava il Prometeo ballo, al Teatro Le
’espressione…. Fu il Bellotti artista proteiforme nel più largo senso
della
parola ; poichè mentre alla rappresentazione diur
vava il suo pubblico all’entusiasmo colla recitazione calda e vibrata
della
parte di Prometeo, a quella notturna faceva smasc
ia, vi morì in pochissimo tempo, a soli trentasette anni. Nell’elenco
della
Compagnia Dorati era anche un’Annetta Bellotti ch
che trovo poi nel 1831 in Compagnia di Domenico Verzura. Al proposito
della
proteiformità del Bellotti, il Giornaletto ragion
a amministrazione. Scrisse molte opere teatrali, in cui la sciattezza
della
forma era compensata da una cotal vivacità di dia
tista possente, formidabile, colossale, classico nel significato puro
della
parola. Ab Iove principium ! Come seguir codest
Domeniconi e Coltellini. Il '47 è collo stesso Domeniconi, al fianco
della
Ristori, già forte promessa nel Paolo della Franc
sso Domeniconi, al fianco della Ristori, già forte promessa nel Paolo
della
Francesca da Rimini, nel Romeo di Giulietta e Rom
i, nel Romeo di Giulietta e Romeo, nel Carlo del Filippo, nell’Egisto
della
Merope ; il '48 a Roma è consacrato attore tragic
un clamoroso successo. Il '60 è scritturato primo attore e direttore
della
Compagnia Reale de'Fiorentini in Napoli ; il '61
Compagnia per dar di quando in quando alcuna rappresentazione in pro
della
Cassa di previdenza per gli artisti drammatici, d
mpi il cannoneggiar d’una frase), tutta la freschezza e la musicalità
della
recitazione, tutto l’impeto della passione, tutta
tutta la freschezza e la musicalità della recitazione, tutto l’impeto
della
passione, tutta la profondità dell’interpretazion
ranza le sue facoltà fisiche : imperocchè, giovane, bello del volto e
della
persona, con una voce fresca, limpida, armoniosa,
ova ?… Con una intonazione altissima, disperata, proferiva sul fondo
della
scena la prima parte della frase, e correva poi c
altissima, disperata, proferiva sul fondo della scena la prima parte
della
frase, e correva poi con magnifica armonia di mov
sull’elmo, ma nol vedrà, chè di mia spada il lampo vince il riflesso
della
mia corona. Che quantità e varietà di note in q
di voce all’ultimo mia, con rapido abbassarsi a corona. E la chiusa
della
scena con Arnolfo, pur d’Arduino : Ard. Prete !
e tutta l’empia stirpe al vento disperda di Saul ? E la descrizione
della
lotta col leone in Sansone ? E Il figlio delle se
i sommesse consacrate dal pubblico e dalla critica. Salvini ha potuto
della
sua voce far tutto ciò che ha voluto. Dal ruggito
ini ha potuto della sua voce far tutto ciò che ha voluto. Dal ruggito
della
tigre passava con incredibile facilità al belato
ll’evasione nella Morte Civile era tutto un poema di sordine. Nessuno
della
presente generazione può farsi un’idea del come e
sillabo, da una esclamazione, da un sospiro per suscitar l’entusiasmo
della
moltitudine. Chi ricorda il non è vero di Giosuè
elve alla rivelazione dell’amore ? Egli aveva la consapevolezza piena
della
sua forza, si piaceva giocar con le difficoltà de
che come suo emulo, lasciava a lui con generosa sommessione la scelta
della
parte. In Francesca da Rimini l’insuperato Paolo
tiranno, fu, da allora, il più amabile e commiserabile de'personaggi
della
Francesca ; e il piccolo Pilade doventò un coloss
Ho detto più su che Tommaso Salvini fu classico nel significato puro
della
parola, chè non mai s’ebbe da notare nella sua es
coppi di furore era sempre la misura contegnosa, direi quasi plastica
della
forma : plasticità che non tradiva mai la fatica
atro del '500. L'ultimo e nuovo suo trionfo può dirsi oggi la lettura
della
miglior parte di una tragedia inedita di Cimino,
ella quale egli sa risvegliare tutta l’antica forza. Oggi il Ministro
della
Pubblica Istruzione gli ha fatto coniare una meda
Osservazioni Intorno ad un estratto del tomo 2
della
presente opera inserito nel Giornale Enciclopedic
i Bologna, ha fatto varie opposizioni a due capitoli del secondo tomo
della
presente opera. Mi è sembrato che l’esaminarle po
amente, non dando la menoma idea delle materie che vi si trattano, né
della
maniera con cui vengono trattate, non indicando v
veruna delle riflessioni ch’ho cercato di spargere utili al progresso
della
musica e alla perfezione del gusto, passando inso
evare. È vero che Bayle, Bernard, le Clerc, Apostolo Zeno, gli autori
della
Biblioteca ragionata, e Maffei non facevano a que
di Bologna non sono nè Bayle, né Bernard, né le Clerc, né gli autori
della
Biblioteca ragionata, né Apostolo Zeno, né Maffei
e le mie opinioni fossero conformi all’idee giuste che dobbiamo avere
della
musica e dell’opera italiana, parmi che il vero m
ora in decadenza: di addurre i motivi di ciò, e di fare il parallelo
della
nostra musica con quella dei Greci. Ma dio buono!
Fra Giambattista Martini nella Dissertazione che chiude il terzo tomo
della
sua storia della Musica, l’Abate Arnaud nella Dis
Martini nella Dissertazione che chiude il terzo tomo della sua storia
della
Musica, l’Abate Arnaud nella Dissertazione intorn
della Musica, l’Abate Arnaud nella Dissertazione intorno agli accenti
della
lingua greca, e cent’altri. GIORNALISTA, [11] «E
[12] È cosa evidente per l’incomparabile estrattista che noi abbiamo
della
musica, della poesia, e delle rappresentazioni te
vidente per l’incomparabile estrattista che noi abbiamo della musica,
della
poesia, e delle rappresentazioni teatrali le stes
come una delle loro più celebri legislatrici non altrimenti che que’
della
Beozia ammiravano Pindaro come uno de’ primi loro
lor composizioni poetiche. Stesicoro fu stimato dagli Imeresi, popoli
della
Magna Grecia, come il Franklin e il Wasington del
i Imeresi, popoli della Magna Grecia, come il Franklin e il Wasington
della
loro patria. Il lettore non ha bisogno d’essere a
sogno d’essere avvertito che parlandosi di que’ secoli quanto si dice
della
poesia intendersi dee anche della musica, imperoc
ndosi di que’ secoli quanto si dice della poesia intendersi dee anche
della
musica, imperocché l’una era inseparabile dall’al
’anzidette facoltà fossero il primo veicolo e lo strumento principale
della
religione. Plutarco nel suo dialogo sulla musica
usica ci assicura che la prima «applicazione che nella Grecia si fece
della
musica fu alle cerimonie religiose in onore degli
per apud omnes sancti sunt habiti atque dicti». [15] Quanto s’è detto
della
poesia e della musica si debbe interamente applic
sancti sunt habiti atque dicti». [15] Quanto s’è detto della poesia e
della
musica si debbe interamente applicare agli spetta
’ più illustri scrittori. Evanzio, grammatico, riferisce il principio
della
tragedia alle cose divine, alle quali applicavans
spirito delle antiche rappresentazioni quanto lo zelo de’ primi padri
della
chiesa nel riprenderle e condannarle. Erano essi
di San Francesco di Paola, di Santa Caterina, o di qualch’altro santo
della
nostra religione? Si fa voto di metter sulle scen
ione di musica, e che non caratterizza per niente l’indole e il gusto
della
musica nazionale, vorrà forse il giornalista trar
i al suono degli strumenti come faceva Orfeo, o d’ispirare i principi
della
religione agli idolatri Samoiedi con un rondò, co
er passare il tempo, per ridere, per divertirci coi vezzosi gorgheggi
della
Maccarini, o coi bei recitativi del Pacchierotti,
migliorarono”; anzi tutta l’antichità ci assicura che i grandi attori
della
Grecia fiorirono successivamente dai tempi d’Esch
dito Minosse degli altrui libri? GIORNALISTA. [22] «Una cagion forte
della
decadenza della nostra opera dipende secondo il S
li altrui libri? GIORNALISTA. [22] «Una cagion forte della decadenza
della
nostra opera dipende secondo il Sig. Arteaga dall
della nostra opera dipende secondo il Sig. Arteaga dalla separazione
della
filosofia, della legislazione, della poesia, e de
ra dipende secondo il Sig. Arteaga dalla separazione della filosofia,
della
legislazione, della poesia, e della musica, le qu
l Sig. Arteaga dalla separazione della filosofia, della legislazione,
della
poesia, e della musica, le quali facoltà ne’ prim
alla separazione della filosofia, della legislazione, della poesia, e
della
musica, le quali facoltà ne’ primi tempi della Gr
zione, della poesia, e della musica, le quali facoltà ne’ primi tempi
della
Grecia possedeva tutto unite un solo autore. Ma o
legislazione, di poesia, e di musica strumentale ch’è la vera essenza
della
musica; mentre il diletto che reca la musica voca
sica strumentale giunge a toccare, bisogna dire che tutto il merito è
della
sola musica; sebbene però questa non può commover
ggete, o mio caro giornalista, l’aureo trattato del Brown sull’unione
della
musica e della poesia, e imparerete molte cose ch
ro giornalista, l’aureo trattato del Brown sull’unione della musica e
della
poesia, e imparerete molte cose che ignorate. GIO
rerete molte cose che ignorate. GIORNALISTA. [24] «Due altre cagioni
della
decadenza della nostra musica il Sig. Arteaga le
e che ignorate. GIORNALISTA. [24] «Due altre cagioni della decadenza
della
nostra musica il Sig. Arteaga le rileva da due de
conoscessero una specie di contrappunto, e che nei tempi più floridi
della
Grecia non vi fosse una musica ricca al par della
i tempi più floridi della Grecia non vi fosse una musica ricca al par
della
nostra? Se v’era, essa sarà stata probabilmente s
l loro carattere fisico e morale, l’ho confermato scorrendo la storia
della
musica, e coll’esempio della cinese, dell’araba,
ale, l’ho confermato scorrendo la storia della musica, e coll’esempio
della
cinese, dell’araba, e delle nostre antiche cantil
ossia poco contrappunto.» RISPOSTA. [28] Un’altra prova demostrativa
della
inesattezza o della mala fede del giornalista. A
nto.» RISPOSTA. [28] Un’altra prova demostrativa della inesattezza o
della
mala fede del giornalista. A sentir lui pare ch’i
co o niun motivo abbiamo d’insuperbircene». Alla pag. 244, ragionando
della
nostra armonia e del contrasto delle parti, io di
r la sua vaghezza ed artificio, e tale è appunto il merito intrinseco
della
moderna musica dove l’arte et intrecciare le modu
grado di eccellenza sconosciuto affatto agli antichi.» Ecco un elogio
della
nostra armonia maggiore assai di quanti ne possa
Cerone e di Giacopo Peri, le parole dei quali addussi in vari luoghi
della
mia opera. Ma fui ben lontano dal condannar l’arm
hi, e del giusto tributo di laude che rendo ove parlo del secol d’oro
della
musica italiana, a coloro che la ripurgarono dal
A. [30] Un “discorrere in aria” chiama il giornalista ciò che si dice
della
possanza della musica greca e della somma stima i
correre in aria” chiama il giornalista ciò che si dice della possanza
della
musica greca e della somma stima in cui era press
ma il giornalista ciò che si dice della possanza della musica greca e
della
somma stima in cui era presso agli antichi? Sarà
lare d’un’arte affatto divina; quando Polibio ne inculca la necessità
della
musica per l’educazione, e rammenta i prodigiosi
one, e rammenta i prodigiosi effetti operati da essa su alcuni popoli
della
Grecia; quando Montesquieu impiega un’intiero cap
i popoli della Grecia; quando Montesquieu impiega un’intiero capitolo
della
sua opera immortale dello spirito delle leggi nel
antichi Greci; quando Burney, il più accreditato scrittore ch’esista
della
storia musicale, conferma il fin qui detto con un
ità riunita di tanti e così bravi scrittori, che gli Antichi avessero
della
musica un’idea superiore di molto a quella che no
atica al suono del flauto, come si narra di Meria, l’inalzar al suono
della
lira le muraglie di Tebe come dicesi d’Anfione, o
non la comunicazione fra tutte le parti del globo procurata per mezzo
della
navigazione, non lo scambievole commercio fra il
empera la ferocia e ne ringentilisce lo spirito, non più il progresso
della
filosofia e dei lumi sono a’ nostri tempi le cagi
duro e indifferente purché abbia l’orecchio disposto alle impressioni
della
melodia, non può resistere al di lei incanto quan
della melodia, non può resistere al di lei incanto quand’è veramente
della
più perfetta, e perfettamente eseguita?» RISPOST
endosi alle opinioni del Sig. Brown inglese (Dell’origine e progressi
della
poesia, e della musica) e del Sig. Rousseau (Essa
ioni del Sig. Brown inglese (Dell’origine e progressi della poesia, e
della
musica) e del Sig. Rousseau (Essai sur l’origine
estir con note alla maniera delle arie; poiché, se si fa tal musica a
della
poesia quasi prosaica e barbara come sono certe c
abbiamo esclusi dal genere musicale quasi tutte le moltiplici specie
della
poesia». Ora queste espressioni non indicano un’i
lustrazione, un comento dell’accennato pensiero, anzi tanto è lontano
della
verità ch’io voglia negare alla nostra musica la
l Signor Manfredini non legga con attenzione l’opere che vuol onorare
della
sua critica. GIORNALISTA. [45] «Passa quindi il
a nella poesia; che non sappiamo p. e. quale sia la sillaba più lunga
della
parola “spoglie”; che il maestro abbandona il val
a più lunga della parola “spoglie”; che il maestro abbandona il valor
della
poesia per badare al valor delle note ecc. ma tut
i tre sillabe, come ei la crede, e sa ancora adattar le note al valor
della
poesia.» RISPOSTA. [46] Tante proposizioni, altr
ere ciò che non esiste. Fino i ragazzi che imparano i primi rudimenti
della
rettorica sanno che la nostra poesia non ha quant
i brevi o di lunghe il compositore non può adattare le note al valore
della
poesia, qualora il Sig. Manfredini non voglia dar
ì questa che deve star soggetta in tutto alla poesia, e all’argomento
della
medesima: e in tal modo sono espresse le più bell
ch’era quella che presso agli antichi diriggeva il tempo e la misura
della
musica e regolava il numero delle note, qual altr
ché non è imaginabile che un maestro di musica riprenda uno che non è
della
professione intorno ai termini facoltativi dell’a
quale s’inalza per comune opinione sì nella teorica che nella pratica
della
musica tanto al di sopra di tutti i critici giorn
erflua. Indi mi potrebbe accusare, perché non ho parlato del triton e
della
quinta falsa, e dopo aver parlato di queste, perc
ta falsa, e dopo aver parlato di queste, perché non ho fatto menzione
della
quinta superflua, e della settima diminuita, e co
ato di queste, perché non ho fatto menzione della quinta superflua, e
della
settima diminuita, e così riprendermi all’infinit
ta, e così riprendermi all’infinito perché spiegandole cause generali
della
decadenza del melodramma non ho fatto un trattato
con diverso movimento pretende che tutto questo pregiudichi all’unità
della
cantilena, la quale certamente non può muovere gl
re la stessa melodia in più tuoni, e dal collocarla ne’ siti analoghi
della
composizione, o anche dal congruamente alternare
e coi rispettivi movimenti che sono diversi in ciascuna dal movimento
della
parte principale, e gli intervalli per cui scorro
erudizione più scelta hanno deciso nella presente quistione in favore
della
musica antica. Essi adunque tutti saranno pregiud
anno pregiudicati, invidiosi, e adoratori del rancidume. Ad onta però
della
magistrale decisione del Manfredini, ci permetta
o d’inesattezze e di false supposizioni. [58] 1. Finora s’era parlato
della
musica moderna in generale paragonandola coll’ant
ramente alle macchine e alle decorazioni badava poco alla dilicatezza
della
composizione, come perché la poesia dei drammi co
[61] «Cosa diremo, se egli che attribuisce al contrappunto la rovina
della
musica, lodale suddette opere, delle quali il più
molte bellissime comparazioni, ha contribuito a propagare il difetto
della
troppa musica strumentale nei teatri, ma queste c
nozioni elementari e triviali), io aveva detto nel tomo 2. pag. 263.
della
mia opera che le belle comparazioni che si trovan
re circa all’apertura dell’opera di cui parlando il N. A., e parlando
della
nostra musica in generale, impiega una quantità d
aesello, Anfossi, Gluk, e di tanti altri, e veda se il moderno quadro
della
musica teatrale è tal quale ei lo dipinge.» RISP
no a meraviglia la lingua latina, e gustano le più intime squisitezze
della
toscana, che sono versatissimi nella poesia, e ne
ragionare. Allora vedrà ch’ei non ha inteso né poco né molto lo stato
della
quistione, e che lavora in falso, perché non sa d
inclinazione ingenita in noi dalla natura, come un’effetto immediato
della
curiosità. L’anima nostra è fatta per pensare, ci
elle lettere, imperocché consistendo il bello di esse nell’imitazione
della
natura, ed essendo siffatta imitazione ristretta
lla determinata maniera; vanno a rischio di perder affatto le traccie
della
vera imitazione, smarrita la quale non resta per
ra i moderni la bella Dissertazione del Tiraboschi intorno alle cause
della
decadenza del gusto, e vedrà la felice applicazio
r ora all’eloquenza, alla poesia, e alla storia. Legga il terzo libro
della
Repubblica di Platone, e i Trattenimenti sullo st
erzo libro della Repubblica di Platone, e i Trattenimenti sullo stato
della
musica greca intorno al quarto secolo dell’era cr
l’acqua una parte del suo bastone, invece d’attribuirlo ad un’inganno
della
propria vista, credeva che il bastone si fosse re
r esempio, che la musica sia decaduta, perché nel primo tomo parlando
della
melodia si è lasciato uscir di penna il seguente
lasciato uscir di penna il seguente paragrafo? «Essa è l’unica parte
della
musica che cagioni degli effetti morali nel cuor
le citate nell’estratto si trovano alla pagina sesta del tomo secondo
della
presente edizione. Chiunque si prenderà la pena d
in quel luogo il paragone tra l’armonia e la melodia, esalta i pregi
della
melodia in riguardo all’espressione e all’imitazi
ta i pregi della melodia in riguardo all’espressione e all’imitazione
della
natura, e che favellando di essi dico che dobbiam
enti s’ammira de gran maestri». Egli è chiarissimo che parlandosi ivi
della
melodia in genere e non in ispecie, anche i maest
zione avrebbe dovuto il giornalista far vedere ch’io in qualche luogo
della
mia opera avessi espressamente negata a’ composit
d’un punto di rassomiglianza GIORNALISTA. [81] «E più oltre parlando
della
melodia in contrappunto si spiega come segue: “Si
dell’uditore, nel rinforzar il motivo dominante, ovvero sia il canto
della
parte principale con quella di ciascuna in partic
i che abbiano fatto i moderni italiani, è quello di conservar l’unità
della
melodia; ho inteso nel luogo citato (tom. 2. pag.
quelle cose ch’io aveva lodato? Ma io ho depresso alcuni compositori
della
nostra età? Ebbene il lodare gli scrittori d’un t
il Sig. Arteaga, cioè: «L’amor del piacere che ricompensa gl’Italiani
della
perdita della loro antica libertà, e che va del p
a, cioè: «L’amor del piacere che ricompensa gl’Italiani della perdita
della
loro antica libertà, e che va del paro in una naz
hi per istruirsi.» RISPOSTA. [84] Il giornalista entra nelle regioni
della
filosofia come i soldati di Goffredo entravano ne
r meglio la letteratura italiana, che l’eruditissimo Sig. Manfredini,
della
cui estesa e profonda dottrina in ogni ramo dell’
vi sono secondo l’estrattiva tante opinioni che gli facciano dubitare
della
loro certezza: pure i principi ond’io parto per e
anche falsi devono essere quelli del canto, e se non si può dubitare
della
certezza de’ secondi, non può nemmen rivocarsi in
Manfredini mostrandolo agli occhi del pubblico ignorante ne’ principi
della
scienza del canto210, quindi l’astio del Manfred
derni scrittori italiani di neologismo straniero, chiamasse “ressorti
della
virilità” le parti nobili dell’uomo, essendo vero
one la nostra ricca favella.» RISPOSTA. [91] L’espressione “ressorti
della
virilità” è stata cangiata “in sorgenti della vir
L’espressione “ressorti della virilità” è stata cangiata “in sorgenti
della
virilità” nella veneta edizione. Se il Manfredini
se (siccome il pregai espressamente per lettera) compilato l’estratto
della
mia opera sull’edizion veneta anziché sulla bolog
ia opera sull’edizion veneta anziché sulla bolognese, il secondo tomo
della
quale fui costretto per motivi che non sono di qu
ve delle secrezioni dei talenti come i corvi e gli avoltoi si pascono
della
carne infracidata dei cadaveri. GIORNALISTA. [92
onare, e in ciò mostra la sua prudenza. L’esame che fin qui s’è fatto
della
sua logica mostra parimenti che avrebbe fatto meg
si la scena, quantunque non vi sia edizione che non lo ponga in bocca
della
sola Ecuba, e dovendosi considerare manifestament
l luogo dov’egli, secondo il giornalista asserisca, «che la divisione
della
nostra opera in recitativo semplice, recitativo o
attina che compilò l’estratto. GIORNALISTA. [99] «Quindi non è colpa
della
musica se tante volte le opere sono malamente com
dati da me a Metastasio, e la lode con cui ho nominati molti maestri
della
trascorsa età e della presente, fanno vedere ch’i
io, e la lode con cui ho nominati molti maestri della trascorsa età e
della
presente, fanno vedere ch’io non ho mai dubitato
olo d’Alessandro la gloria d’essere uno dei più illustri nella storia
della
greca letteratura, come i Bavi, i Mevi, e i Batil
nar rumore perché mi sono mostrato poco contento dello stato presente
della
musica, conviene ora meco intieramente accordando
agli oggetti che deve imitare ecc. Ma perché parlar di questa, e non
della
buona? Non segue forse lo stesso nelle altre arti
revenuta e disciolta l’obbiezione del giornalista tratta dal paragone
della
pittura e della scoltura; obbiezione che forse no
olta l’obbiezione del giornalista tratta dal paragone della pittura e
della
scoltura; obbiezione che forse non gli sarebbe ma
molto scarsa in ciò che spetta la parte filosofica storica e critica
della
musica, i soli aspetti cioè sotto i quali venga r
gli dia un diritto d’infallibilità quando parla a coloro che non sono
della
professione. Se questi devono avere la prudenza d
credono, ciò nonostante, d’essere divenuti gli Ettorri e gli Arganti
della
loro nazione e del loro secolo menando colpi a di
l’accattar brighe con qualunque straniero che non parli il linguaggio
della
prevenzion nazionale, come Don Quisciotte si stim
cherebbe di bel nuovo intrepido come Orazio al Ponte. Gli oggetti poi
della
disputa sono stati secondo lui della più singolar
Orazio al Ponte. Gli oggetti poi della disputa sono stati secondo lui
della
più singolare novità, e della più alta importanza
oi della disputa sono stati secondo lui della più singolare novità, e
della
più alta importanza. L’armi con cui finora ha gue
ltre opere pubblicate da lui se non per altro per riconoscenza almeno
della
costante e gentile attenzione di cui gli siamo de
come vogliono, dall’Arcivescovo di Siviglia Guglielmo Fonseca (Istor,
della
Chiesa tom. III, sec. XV, n. 8) cogli acquisti fa
ca (Istor, della Chiesa tom. III, sec. XV, n. 8) cogli acquisti fatti
della
dottrina Italiana; e leggendo per un gran pezzo i
vere la sua storia, e fu dal Cardinal Ximenes impiegato nell’edizione
della
Bibbia Poliglotta, e di poi alla direzione dell’U
di questa mia nota volle scagliarsi l’apologista Lampillas nel tom. I
della
P. II del Saggio Apologetico, attribuendola per a
accozzar un capriccioso e fallace raziocinio ed ascriverlo all’autor
della
Nota? Poteva (dice poi il medesimo apologista) ne
e naturale, cioè, che il Nasarre ignorasse o dissimulasse la barbarie
della
Penisola verso il principio del XVI secolo (alla
Nota II. Avvegnachè la prima Accademia scientifica de’ Segreti
della
Natura fosse stata formata in Napoli nel secolo X
l dotto ab. Gimma nella sua Italia letterata pag. 479) da Giambatista
della
Porta fertile ed elevato ingegno, pregio delle sc
dice il conte Mazzucchelli, a cui si può aggiugnere il giudizio, che
della
Tancia portò il Nisieli in questa guisa: Ridicolo
osa, accomodata e ingegnosissima invenzione mi par quella dell’ autor
della
Tancia commedia, ove per cori all’usanza delle an
ia ha perduto uno de’ più zelanti suoi difensori letterati e l’autore
della
presente storia il suo antico verace amico in que
letterato, il quale ha sostenuto diciotto anni in Parigi ed il resto
della
vita in Italia l’onor della lingua e della letter
enuto diciotto anni in Parigi ed il resto della vita in Italia l’onor
della
lingua e della letteratura Italiana. Egli godè l’
anni in Parigi ed il resto della vita in Italia l’onor della lingua e
della
letteratura Italiana. Egli godè l’amicizia de’ pi
uca di Belforte, dell’avvocato Diodati, del can de Silva de’ marchesi
della
Banditella, dell’ab. Cristofano Amaduzzi ecc. L’a
Banditella, dell’ab. Cristofano Amaduzzi ecc. L’autore delle Vicende
della
Coltura Siciliana nel sesto volume che si accinge
CAPO ULTIMO. Conchiusione. Ed eccovi il vasto grandioso edifizio
della
scenica poesia per la stessa antichità, varietà e
hi di bizzarri ornati di tritoni, egipani, sfingi e sirene a dispetto
della
natura: delizioso in mille guise ne’ boschetti, n
berinti e meandri. Tale da Pekin a Parigi è il prospetto vario e vago
della
drammatica. Gli Eschili, i Sofocli, gli Euripidi,
gli Euripidi, e gli Aristofani, gli Alessidi, i Filemoni, i Menandri
della
Grecia: gli Azzj, i Pacuvj, gli Ennj, i Seneca, e
l XVI secolo che risorgendo insegnava a risorgere: i Vega, i Calderon
della
Spagna: i Shakespear, gli Otwai, e poi i Wycherle
i Cornelj, i Racini, i Crebillon, i Voltaire, e i Molieri e i Regnard
della
Francia emula della Grecia e dell’Italia, e norma
i Crebillon, i Voltaire, e i Molieri e i Regnard della Francia emula
della
Grecia e dell’Italia, e norma gloriosa a’ moderni
al grado degli Huerta e de’ Sherlock: i Weiss, i Lessing, i Klopstock
della
Germania che dopo un lungo sonno si risveglia al
oli scenici correggere e divertire la società mediante un’ imitazione
della
natura rappresentata con verisimiglianza, adopera
della natura rappresentata con verisimiglianza, adoperandovi le molle
della
compassione e del ridicolo. Ma v’è chi per riusci
gnarsi del primo giudizio, ma ricreano la parte più pura e illuminata
della
società che sono i dotti, e passano indi a’ poste
CAPO VII. ed ultimo. Vuoto
della
Storia teatrale. Chiamiamo vuoto della storia
CAPO VII. ed ultimo. Vuoto della Storia teatrale. Chiamiamo vuoto
della
storia teatrale il lungo periodo interposto dalla
to della storia teatrale il lungo periodo interposto dalla corruzione
della
poesia drammatica sino alla perdita della lingua
interposto dalla corruzione della poesia drammatica sino alla perdita
della
lingua latina avvenuta principalmente per l’incur
ola, Pozzuoli, Siracusa, Catania ed altre città del regno di Napoli e
della
Sicilia, videro i loro teatri per quel periodo as
Bolsena rammentato nell’iscrizione pubblicata dal Muratori, di quelli
della
Toscana accennati dal Borghini, di quello di Anzi
eradori de’ primi secoli. Torello Saraina Veronese rammenta il teatro
della
sua patria157, oltre all’anfiteatro superbissimo
i teatro veggonsi nel Piceno dove era Alia rovinata dal Goto Alarico,
della
quale a’ tempi di Procopio rimanevano appena poch
di Sparta ecc. Bizanzio ebbe pure un gran teatro, il quale col resto
della
città fu rovinato dalle truppe di Severo160. Anti
ro160. Antiochia ne avea un altro, e i di lei istrioni furono cagione
della
trascuraggine e della fatal rovina di Macrino161.
ea un altro, e i di lei istrioni furono cagione della trascuraggine e
della
fatal rovina di Macrino161. In Tebe di Egitto vuo
Inghilterra, in cui si piantarono colonie Romane. Tacito fa menzione
della
colonia de’ veterani di Camaloduno, dove era un t
ogo che oggi occupa Senetil de las Bodegas, dove fu l’antico Acinippo
della
Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia es
Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia esistenti le tre porte
della
scena166. Una lega distante da Calpe, venendosi d
che si appartiene all’uditorio, non essendovi rimasto verun vestigio
della
scena167. II. Magnificenza e profusione ecces
coraulo un altro pallio in cui era ricamato il proprio nome e quello
della
moglie172. Peggio era avvenuto in tempo di August
olore, con dire che nel tuono lamentevole ancora spiccava la dolcezza
della
di lui voce175. Vitellio resse l’Imperio quasi se
oma, fu da lui creato prefetto dell’esercito177. III. Decadimento
della
poesia drammatica, e perchè avvenisse. Ma non
ri prostituiti agli strioni, debbesi da questo tempo contare il vuoto
della
storia teatrale, perchè la poesia drammatica in t
no i Menandri e i Sofocli, passarono innanzi a molti tragici e comici
della
stessa Grecia. Questi principii avrebbero acceler
la stessa Grecia. Questi principii avrebbero accelerata la perfezione
della
poesia rappresentativa; ma la repubblica sotto gl
resentare commedie, tragedie e atellane. Ma le cagioni distruggitrici
della
drammatica sussistevano, e i costumi e gli studii
miche, il quale ebbe l’ardire di satireggiare i principali personaggi
della
città senza eccettuarne lo stesso imperadore. Mar
oviamo mentovati con applauso se non Q. Trebellione pantomimo insigne
della
città di Telese due volte coronato179, e L. Acili
mimo insigne della città di Telese due volte coronato179, e L. Acilio
della
tribù Pontina archimimo che fu decorato dalla cit
cure fatiche che mai potevano influire in tempi sì tristi a vantaggio
della
poesia rappresentativa? Non ci somministra veruno
nel quale intervengono il Papa, l’ Imperadore, i Sovrani di Francia,
della
Grecia, di Babilonia, l’ Anticristo, l’Eresia, l’
i un poema grande e seguito come il drammatico. Certamente nel Saggio
della
Poesia Araba del Signor Casiri inserito nella Bib
rlocutori si tratta di tre cose differenti: nella prima parte parlasi
della
vendita di un cavallo, nella seconda delle furber
Velazquez che gli credè buonamente. Costui nel libretto delle Origini
della
Poesia Castigliana asserisce primamente, che i Ro
bbiamo in questo capo osservato, si deduce che il principio del vuoto
della
storia teatrale si trova a’ tempi de’ Tiberii, de
religione dell’Impero, intimò la guerra a qualsivoglia superstizione
della
gentilità, e conseguentemente ai teatri consecrat
dipignere d’idea e di maniera, purchè si piaccia alla vista, a costo
della
verità. Eccone intanto i principali lineamenti ra
de’ privati, e ad esser dalla legge richiamati a temperar l’ amarezza
della
satira, dal che proviene la bella varietà e delic
, fu Atene ne’ suoi dì luminosi che passando per tutte le solite fasi
della
drammatica, ne fissò l’arte e la forma. Fu Eschil
. Fu Eschilo che oscurando Epigene, Tespi e Frinico, divenne il padre
della
tragedia, ed insegnò il sentiero a chi dovea su d
semplicità di azione; sapendosi per tutto ciò egregiamente prevalere
della
più poetica e più armoniosa delle favelle antiche
lte con pari effetto da que’ repubblicani baldanzosi e pieni soltanto
della
loro potenza e libertà, la Perintia, Euclione, gl
Alesside illustrò la commedia mezzana colla grazia, e colla vivacità
della
satira senza appressarsi alla troppa mordacità di
l Signor Andres nel parlar rapidamente di ogni letteratura, ma comico
della
commedia mezzana, secondo Ateneo, ed in essa, e n
di passando la Grecia pervenne ad inventar la nuova commedia sorgente
della
Latina e dell’Italiana del secolo XVI. Domata la
Italiani che Romolo avea raccolti intorno ai sette colli. I Semigreci
della
Magna Grecia Livio Andronico, Ennio, Pacuvio, ed
media, la quale, non che a’ filosofi e letterati, piacque ai migliori
della
repubblica, ai Furii, agli Scipioni, ai Lelii. En
Romana. Il perno però su cui volgesi la tragedia Romana, è lo stesso
della
Greca, cioè il fatalismo, se tralle conosciute se
ll’ ultimo supplicio i tragici che non rispettavano la memoria de’ re
della
stessa mitologia o della più remota antichità com
agici che non rispettavano la memoria de’ re della stessa mitologia o
della
più remota antichità come Agamennone. Abbandonato
ità nel roveto ardente, e finalmente in un racconto fatto da un messo
della
fuga di quel popolo e dell’ evento del mar rosso.
’Accademia di San Ferdinando in Madrid. 166. Vedasene il II discorso
della
Tragedia del Signor Montiano. 167. Delle accenna
Grutero, dal Muratori, dal Tiraboschi, e da noi nel tomo I delle Vic.
della
Coltura p. 289. 180. Vedine anche l’iscrizione p
esso il Fiorentini, il Muratori e ’l Tiraboschi. 192. V. il tomo XIX
della
Stor. del Basso Imp. compilato da M. Le Beau pubb
o ed a Moliere. Si ebbe presente in queste comparazioni la differenza
della
commedia antica da quella de’ suoi posteri? e que
ralle migliori favole del paese due tragedie di Rotgans, ed un’ altra
della
signora Van-Winter nata Van-Merken autrice (che v
ciò a coltivar la drammatica per le cure del re Federigo V benemerito
della
letteratura e del teatro. Egli non solo invitò ne
teatro di Copenaghen, finchè sussistette tale accademia, parve degno
della
publica considerazione. Si segnalò a’ nostri di t
fecero onore fra suoi. Dee però singolarmente pregiarsi la Danimarca
della
signora Passow nata in Copenaghen, e morta nel 17
3 divenne moglie di un tenente del re che nel 1731 era stato capitano
della
compagnia dell’Indie. Oltre della traduzione da l
re che nel 1731 era stato capitano della compagnia dell’Indie. Oltre
della
traduzione da lei fatta del Filosofo Inglese e de
Andreini de’ Danesi, contribuì anche all’intrapresa, e all’esecuzione
della
prima opera musicale danese rappresentata a spese
atro non inferiore agli altri d’Alemagna. La regina Cristina si valse
della
penna del Messenio per far comporre favole in idi
scrisse meno imperfette. La nazione allora gli diede il nome di padre
della
poesia suedese per la tragedia di Brunhilde sogge
omponimento intitolato il Sole risplende per tutto, tradusse l’Orfano
della
China del Voltaire; Manderstroom, oltre ad un’ op
di Berry la solenne promessa di aver destinato un teatro alle recite
della
Compagnia italiana : promessa che non fu poi tenu
recitò alla Stadera di Milano il 13 marzo di quell’anno il terzo atto
della
Medea del Ventignano, maravigliando per la potenz
si a Firenze, vi recitò, come addio, nel dicembre del ’58, e a fianco
della
Ristori, la parte di Euriclea nella Mirra dell’Al
bbe in Santa Croce esequie solenni. La sua salma riposa nell’ esterno
della
chiesetta di S. Gervasio, ove una pietra bianca p
i lei come artista non è difficil cosa. Fu grande nel più largo senso
della
parola, così nella tragedia, come nella commedia
se la recitava al Comunale. Mario Consigli, nel compilar la biografia
della
sua illustre concittadina, ricorda la potenza d’a
a, ricorda la potenza d’arte ch’essa spiegava nel proferir quel verso
della
Pia di Carlo Marenco : non temo il disonor, temo
Quando al quinto atto, Ciniro, sdegnato del lungo e ostinato silenzio
della
figlia, le dice : Ma chi mai degno è del tuo cor
vedemmo – scrive l’anonimo – come vinta in quel punto dalla violenza
della
passione, inchinarsi su di lui, mentre egli si cu
mmo scossi in quella sera. » Le opere che nella non breve carriera
della
forte artista, si disser suoi cavalli di battagli
del Goldoni e del Nota. I più eletti ingegni del suo tempo l’onoraron
della
loro amicizia, e nell’ album di lei, ch’è oggi al
Alamanno Morelli. Io non rimpiango in Carolina Internari la perdita
della
donna, ma mi addolora la mancanza dell’ attrice t
reggi, come quaggiù nella memoria dei mortali) rivolgi a me un raggio
della
divina luce di tua sovrana intelligenza. Riscalda
ra stata raccomandata da persona di sua famiglia. Una lettera intima
della
celebre Pellandi scritta all’Internari da Verona
lli di Sciro dedicandola al VI duca di Urbino Francesco Maria Feltrio
della
Rovere. L’autore Guidubaldo de’ Bonarelli (fratel
demici la fecero solennemente rappresentare in Ferrara con un prologo
della
Notte composto dal cavalier Marini. Un’ altra rap
bblico o in segreto contro di esse; ma quelle superiori alle bassezze
della
timida malignità e dell’arrogante ignoranza poggi
o, e la Filli gode una lunga fama, ad onta dei difetti dello stile, e
della
moda già passata delle pastorali. Forse la critic
sprezzo. Anche circa lo stile la giusta critica non è sempre contenta
della
Filli; perchè, oltre al raffinamento, diciam così
erò notare che gli accidenti di Celia tirano verso di lei l’interesse
della
favola più di quello che vien concesso a un episo
la scena terza dell’atto I quando la finta Clori gentilmente si lagna
della
di lei freddezza: Sdegni ch’io ti riveggia?
trovarlo infedele per le di lui medesime parole. Il disperato dolore
della
ninfa si spiega nella prima scena dell’atto IV co
ano sommamente l’azione, che viene nobilitata nel V atto col pericolo
della
vita di Tirsi, il quale avendo gettati via que’ c
episodio di Jante ed Alcasto dell’atto I, in cui si spiega l’origine
della
festa di Arcadia: curioso quello dell’atto III de
per una menzogna, serenato dal disinganno, e felicitato dal possesso
della
pastorella amata. Vaga nell’atto I è la descrizio
vero e ad un bisogno bacchettone sveglia in Filebo lo stesso sospetto
della
fede di Gelopea, e l’invita a scorgerne l’infedel
II è la scena in cui Telaira sorella di Filebo vuol renderlo avveduto
della
inverisimiglianza del racconto fattogli da Nerino
ramonti che potesse sostenere senza manifesto svantaggio il confronto
della
Gelopea. L’Alcippo impressa in Venezia nel 1615 g
iacere a questa pena. Tirsi, il giudice più zelante per l’ osservanza
della
legge, si scopre essere il padre di Alcippo ignot
ella Clori. I caratteri vi sono ben sostenuti, e quello singolarmente
della
finta Megilla ha una nobiltà che incanta. Tutto p
da personaggi, e soprattutto nell’atto V. Si registrano nel catalogo
della
biblioteca Imperiali due pastorali di un caprajo
ato dalla lettura che nel campo un altro caprajo faceva del Furioso e
della
Gerusalemme. Forza de’ gran modelli! pur troppo è
elli! pur troppo è vero, hinc pectore numen concipiunt vates. L’amore
della
poetica armonia che bevve il Peri in sì bei fonti
sta favola mentovata dal Fontanini e dal Gravina esaltata nel lib. II
della
Ragion Poetica si fecero quattro impressioni sino
egi e di qualche difetto dello stile vedasi il V volume delle Vicende
della
Coltura delle Sicilie pag. 360 e seg. 68. Eritre
di aver composta questa favoletta da recitare in musica nel passaggio
della
regina di Ungheria per Mantua. Tali passi mi furo
ove rimase fino all’ anno scorso (1882), quando fu nominato direttore
della
R. Scuola di Recitazione in Firenze. Attore studi
la di recitazione da lui diretta. Perchè il Rasi è ormai un transfuga
della
scena. Rinunziò un bel giorno agli applausi sonor
unziò un bel giorno agli applausi sonori, alle commozioni, ai trionfi
della
vita d’artista, contento di poter darsi agli stud
corpo con le difficoltà dell’ originale e dei metri, con la rigidità
della
nostra terribilissima lingua. Una delle sue passi
e sue passioni è il latino che conosce assai bene : un’altra è l’arte
della
lettura, ïntorno alla quale fa quotidianamente st
il fuoco sacro lo riaccende di nuovo. E forse allora sogna i trionfi
della
scena, una filarata di teste che pendono commosse
d’ una memorabile recita al Quirinale, dove in conspetto dei Sovrani,
della
Principessa Isabella e del Duca di Genova allora
ià asceso il culmine del capocomicato ed aspirava, con tutta la forza
della
sua tromba nasale, a quella commenda che è il sog
dimenti, ch'egli volle dedicato a Teresa Sormanni, la fedele compagna
della
sua vita, la collaboratrice intelligente e amoros
to un’ opera utile e buona che colma una vergognosa e dolorosa lacuna
della
nostra storia dell’ arte, fin qui così trascurata
delle sue fatiche il provvido collettore. Il Rasi è sempre Direttore
della
nostra R. Scuola di Recitazione, la quale vanta o
nta ormai molti alunni che son divenuti artisti acclamati. Ma le cure
della
Scuola, cui egli si è consacrato con grande abneg
o per primo un arduo esperimento, quello di accompagnare col commento
della
calda e passionata parola le melodie della musica
accompagnare col commento della calda e passionata parola le melodie
della
musica, anche quelle sonore d’ una orchestra inte
mmentare le armonie di Beethoven, hanno fatto comprendere come l’arte
della
parola possa utilmente e piacevolmente sposarsi a
a parola possa utilmente e piacevolmente sposarsi al canto indefinito
della
musica strumentale. Nè basta : il Rasi ha voluto
bbe sostituirsi anche nelle scuole a quel tedioso e forzato esercizio
della
memoria, che avvezza i ragazzi a non capire quell
Trezza. Caro Rasi, Torino, 20 febbraio '80. Sono veramente ammirato
della
splendida forma del tuo Bacco, e specialmente del
eramente ammirato della splendida forma del tuo Bacco, e specialmente
della
poesia per la grotta di Pozzuoli, piena di sentim
e un abbraccio e un bacio in cui geme il desìo delle dolcezze antiche
della
meridiana. Addio, addio. Tuo Edmondo (De Amicis
' io a leggere meno male i versi. Nella Esposizione che Ella ha fatto
della
mia Mors io piaccio a me stesso e meco stesso m’
ziarla del volume « I Monologhi » che, domani comincierò a leggere, e
della
notizia che mi dà del superbo lavoro, a cui ha gi
nato a Modena verso il 1675, esordì quale Innamorato nella Compagnia
della
Diana, moglie di Giovanni Battista Costantini, al
lhora di non lasciar mai più tal mestiere, e piombare al Inferno. Che
della
gratia, etc. Di fuori : A S. A. Ser.ma — Per Lui
riella Gardelini (V.), sorellastra di Francesco Materazzi, il dottore
della
Compagnia (V.), che gli morì giovanissima, e da c
ece andò al Teatro ove recitava il Lelio. Questi si permise alla fine
della
sua produzione di ringraziare i Serenissimi dicen
era stessa per mezzo delle Serenissime fatto porre in libertà all’ora
della
recita. E questo mi par provi in quale stima fos
l pubblico con molto decoro, e recitò con molto valore. — A proposito
della
recitazione tragica, è opportuno riferire quel ch
ente con l’opera, cominciando la sera del 18 maggio, nel nome di Dio,
della
Vergine Maria, di San Francesco di Paola e delle
la sera uno in palco, il quale spiegasse il lavoro. Or ecco l’elenco
della
Compagnia : UOMINI Pietro Alborghetti di Venezia
ona fama, dimandano che in nessun tempo sien ricevuti nella Compagnia
della
famiglia dei Costantini, per la quale, tutti sann
ti sanno che i Comici italiani lor predecessori, vennero in disgrazia
della
Corte. 3° Essi domandano umilmente sien lor conce
4° Se alcuno de'Comici avesse la sciagura di non incontrare il favor
della
Corte e della Città, sia data alla Compagnia faco
de'Comici avesse la sciagura di non incontrare il favor della Corte e
della
Città, sia data alla Compagnia facoltà di rimanda
. Il Principe Antonio di Parma inviò al Duca Reggente il Regolamento
della
Compagnia già approvato, senza che nè in esso, nè
nè in esso, nè in quello del Duca d’Orléans fosse più fatta menzione
della
Compagnia Costantini, alla quale il Riccoboni, es
il Riccoboni, essendo la sua scrittura una semplice aggiunta a quella
della
moglie, aveva accennato : e forse la ragione di q
Parma ; poscia, il novembre del '31, fe'ritorno a Parigi, dove, fuor
della
scena, morì a settantotto anni il 6 dicembre del
Re. Pare che a Modena si fosse sparsa, molti anni prima, la notizia
della
sua morte, poichè abbiamo un brano di lettera del
iano, opera più che altro di polemica, per quella benedetta quistione
della
derivazione della commedia dell’arte dall’antica
e altro di polemica, per quella benedetta quistione della derivazione
della
commedia dell’arte dall’antica Atellana, e dello
vero Thomassin, Visentini, morente ; e soprattutto per indurlo, prima
della
morte, a pensare alla sua famiglia. Ma ecco, senz
illustri italiani. Milano, Classici, M DCCCXXX), in cui dà ragguaglio
della
Fulvia, pastorale dell’abate Giovanni Bravi, dell
cui dà ragguaglio della Fulvia, pastorale dell’abate Giovanni Bravi,
della
quale tutti i letterati dicevan mirabilia, giudic
o inglese due volte dal 1756 al 1761 e dal 1766 al 1768, protagonista
della
guerra dei Sette anni e fautore dell’espansione c
inglesi contro la Francia in Canada, nelle Indie e sui mari nel corso
della
guerra dei Sette anni. Federigo: Federico II di
n, R. and J. Dodsley, 25 December 1755. «Come le acque di una fontana
della
Tessaglia, a causa della loro proprietà di intorb
December 1755. «Come le acque di una fontana della Tessaglia, a causa
della
loro proprietà di intorbidire, non potevano esser
alcosa»; Senofonte (430 ca – 355 ca a.C.) scrisse il dialogo Ierone o
della
tirannide, in cui discutono della vita Gerone tir
a a.C.) scrisse il dialogo Ierone o della tirannide, in cui discutono
della
vita Gerone tiranno di Siracusa e il poeta Simoni
a storiografia si considera questo episodio la prima vera coreografia
della
danza italiana, perché tutti i balletti erano leg
lino: Gioseffo Zarlino (Chioggia, 1517 – Venezia, 1590) fu un teorico
della
musica e compositore, maestro di cappella della b
, 1590) fu un teorico della musica e compositore, maestro di cappella
della
basilica di San Marco dal 1565 e compose nel 1574
Consiglio di Venetia, Venezia, Domenico Farri, 1574. Melpomene: musa
della
tragedia. gentilesimo: paganesimo. Cardinal Maz
no (Pescina, L’Aquila, 1602 – Vincennes, 1661) promosse la diffusione
della
cultura italiana in Francia; la prima opera itali
che venivano mosse nel Settecento all’opera riguardava l’incongruenza
della
rappresentazione di scene tragiche attraverso il
730) intonò diversi drammi metastasiani rappresentati in Italia prima
della
partenza per Vienna del poeta cesareo. Nota alla
ietà e simili. E ancora, come possiamo distinguere i rapidi movimenti
della
rabbia da quelli del terrore, della distrazione e
mo distinguere i rapidi movimenti della rabbia da quelli del terrore,
della
distrazione e di tutte le agitazioni violente del
02-103. [commento_2.3] Didone…Cleonice: allusione alla tragica fine
della
Didone abbandonata (1724) e al lieto fine con cui
a, 1692 – Padova, 1770) fu un famoso violinista, esponente di rilievo
della
musica strumentale italiana. [commento_2.13] Ce
li anni delle guerre di religione. Le fu attribuita la responsabilità
della
strage di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572) nel
sabilità della strage di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572) nel corso
della
quale vennero uccisi migliaia di ugonotti. Serva
insieme alle altre opere buffe italiane allestite in quell’occasione,
della
celebre «Querelle des bouffons», che divise il pu
detto Marcello (Venezia, 1686 – Brescia, 1739), compositore e teorico
della
musica, intonò le cantate Timoteo e Cassandra e s
lla nobile semplicità che probabilmente era la massima caratteristica
della
musica antica. In tale lavoro importante e arduo,
ewcastle 1709-1770) fu un compositore e organista britannico, teorico
della
musica. Della maniera del cantare e del recita
rto nell’arte dei gorgheggi vocali, sviluppati a partire dall’esempio
della
musica strumentale. [commento_3.7] rapsodisti:
moderni, o sieno osservazioni sopra il canto figurato, Bologna, Lelio
della
Volpe, 1723. girandola di Castel sant’Angelo: sp
a e la danza (o il movimento aggraziato) furono poi considerate parti
della
musica, quando la musica arrivò ad una certa perf
o musica è quello che essi chiamavano armonia, che era solo una parte
della
loro musica (costituita da parole, versi, voce, m
professore di Geometria all’università di Oxford e uno dei fondatori
della
Royal Society. John Lowthorp (1658 o 1659-1724) è
o the End of the Year 1700. Abridg’d and Dispos’d under General Heads
della
Royal Society, poi pubblicato in tre volumi nel 1
cavalieri tutto il godimento è passato dall’udito ai piaceri effimeri
della
vista incerta». Dei balli [commento_4.1]
di Eschilo, le Erinni o Eumenidi sono protagoniste nel primo epusodio
della
danza infernale contro Oreste, accusato di aver u
abbia visto le sue opere non potrà sospettare di ignorare la bellezza
della
natura, ha rinunciato agli spettacoli che noi chi
42 – Vienna, 1709), gesuita, è stato un architetto, pittore e teorico
della
prospettiva, maestro dell’illusionismo barocco, a
prospettiva, maestro dell’illusionismo barocco, autore dell’affresco
della
finta cupola della chiesa di Sant’Ignazio a Roma.
ro dell’illusionismo barocco, autore dell’affresco della finta cupola
della
chiesa di Sant’Ignazio a Roma. Nota alla nota d’a
eggesse questa assurdità) [commento_5.4] Mennone: Mennone è un eroe
della
mitologia greca al quale fu dedicato un tempio a
e geometrico e sulla simmetria e ordine delle composizioni; su invito
della
famiglia reale dei Savoia operò anche in Italia e
on van Rijn Rembrandt (Leida, 1606 – Amsterdam 1669). Talia: la musa
della
commedia. Menagio: Gilles Ménage (Angers, 1613 –
e, autore delle Origines de la langue françoise (1650), delle Origini
della
lingua italiana (1669 e 1685) e delle Observation
il teatro Formagliari fu inaugurato nel 1636 nel palazzo di proprietà
della
famiglia Guastavillani, presso la via Farini e fu
eatro barocco. Progettò assieme a Ferdinando Galli Bibbiena il teatro
della
Fortuna inaugurato a Fano nel 1677; trascorse un
ier (Castres, 1651 – Parigi, 1722) erano rinomati scrittori e teorici
della
scrittura teatrale, assieme agli Italiani Lodovic
lla nota d’autore n. 22: Aristotele, Poetica, cap. xv, «Dei caratteri
della
tragedia»: «Un esempio di perversità di carattere
Grandi furono nel precedente secolo gli sforzi degl’ Italiani in prò
della
poesia drammatica. Essi che aveano assicurato al
pere degli antichi disotterrate, non tardò col confronto ad avvedersi
della
rozzezza de’ proprii drammi, e conchiuse che più
ei, veggansi in questo volume con miglior critica e filosofia i passi
della
poesia rappresentativa i quali all’epoca de’ loda
iuola uscirebbe il di lui uccisore, e spaventato congeda i pretensori
della
di lei mano, risolve di non accoppiarla a veruno,
i darsela; la Nutrice la dissuade. Il loro dialogo ha tutta l’energia
della
passione, ed è soprammodo lontano dalla durezza d
sono rigettate come impertinenti. Io non debbo dissimulare questo neo
della
tragedia del Tilesio; ma non è giusto poi lo spre
tto, per questo episodio. Atto IV. Ammirasi in quest’atto il racconto
della
pioggia d’oro penetrata nella torre pieno d’elega
ntane. Il coro da questa pioggia d’oro coglie l’opportunità di parlar
della
potenza di Cupido, indi lo prega ad esser propizi
si narra come al sospettoso Acrisio sembra aver veduto nella finestra
della
torre il capo di Danae con quello di un uomo. Ne
che possono notarvisi, e che forse tali non parvero all’autore pieno
della
lettura degli antichi. Contrasta colle grazie e c
utrice accumulando tante notizie mitologiche e geografiche, e l’altro
della
pomposa evocazione de’ morti. Seguì l’ originale
della pomposa evocazione de’ morti. Seguì l’ originale nell’economia
della
favola; ma si permise nel dialogo di dar talvolta
dugio alla sua partenza, tutte quelle che ha con Giasone, il racconto
della
morte del re e della figliuola, nel quale si è pe
za, tutte quelle che ha con Giasone, il racconto della morte del re e
della
figliuola, nel quale si è però il Cosentino nella
cena del delirio di Fedra da noi recata nel romo quarto delle Vicende
della
Coltura delle Sicilie. Anche il racconto del most
, senza imitar Seneca, che quando Teseo dovrebbe solo essere occupato
della
morte del figliuolo, lo rende curioso di sapere l
in qual maniera avrebbe dovuto Seneca o qual altro sia stato l’autore
della
Tebaide, recare nella lingua del Lazio, senza i d
la dipintura assai viva de’ loro caratteri, la robustezza dell’aringa
della
madre, la descrizione dell’assalto dato a Tebe, l
il coro dell’atto I da noi tradotto e recato nel IV t. delle Vicende
della
Coltura delle Sicilie. Spicca parimente il di lui
nsinuo, ma si bene di cedere ai potenti80. Martirano muta solo l’idea
della
forza che presenta la potenza, in quella della gi
irano muta solo l’idea della forza che presenta la potenza, in quella
della
giustizia, col sostituire la regia potestà: No
ste, che noi pur traducemmo con esattezza nel IV volume delle Vicende
della
Coltura delle Sicilie 81. Colla stessa signoril m
ro. Contentiamci di recare un solo frammento dell’eccellente racconto
della
morte di Cristo fatto da Gioseffo a Nicodemo:
io Vicentino nato nel 1478 e morto in Roma nel 1550, assai più famosa
della
precedente corse indi a non molto fra’ letterati
’autore così versato nelle greche lettere nella dedicatoria a Carlo V
della
sua Italia liberata, poema ricco di varie bellezz
a quella di Pietro Cornelio) e da un patetico animato da’ bei colori
della
natura che sempre trionfa nella vivace semplicità
di Euripide; e par che avesse voluto renderne lo stile più magnifico
della
Sofonisba. Sulle tracce poi dell’Ifigenia in Taur
i eleganza e vaghezza sparsi nelle tragedie del Rucellai? Uno storico
della
letteratura lascerà seppellirgli nell’ obblio, no
i uccisi che vi biancheggia; la bellezza del racconto che fa Ifigenia
della
propria sventura quando fu in procinto di esser s
quando fu in procinto di esser sacrificata in Aulide; quello del coro
della
pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste
uello del coro della pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste
della
morte di Agamennone. Molti squarci della generosa
co’ pastori; quello d’Oreste della morte di Agamennone. Molti squarci
della
generosa patetica contesa de’ due amici meritereb
no che il Rucellai. Egli trasse dalla storia de’ re di Roma l’eccesso
della
spietata Tullia per esporlo sulle scene. La purez
llerato del protagonista. Tullia non solo calpesta le più sacre leggi
della
natura ed aspira al regno paterno per immoderata
l Giustiniano. Luigi Alamanni celebre autore dell’elegantissimo poema
della
Coltivazione recò in Italiano ritenendone il tito
a menzione dell’Antigone Italiana, noverando l’autore tra’ benemeriti
della
toscana lingua Bembo, Trissino, Molza, Tolomei90:
in Vicenza in un teatro di legno costruito espressamente nel palagio
della
Ragione dal celebre Palladio. Noi stimiamo col Co
ltaire e del P. Folard; e col Nores troviamo riprensibile l’ episodio
della
discordia de’ figliuoli di Edipo, per cui si rend
Speroni degli Alvarotti dottissimo Padovano e l’oratore più eloquente
della
sua età, morto d’anni ottantotto nel 1588, compos
erezza di quelle celebri pastorali. Ma le forti e perturbate passioni
della
Canace esigevano stile più grave e la favella del
rturbate passioni della Canace esigevano stile più grave e la favella
della
natura più che dell’arte manifesta. Questo, e l’i
ortali pericoli; questi, dico, mi sembrano i veri difetti sostanziali
della
Canace; e pur questi difetti appunto, per quanto
nell’Orbecche si eccita il terrore co’ più vivi sanguinosi trasporti
della
crudeltà. Sulmone re di Persia gareggia colle atr
Giraldi nonpertanto si è guardato dall’affettazione di certi squarci
della
tragedia latina e da qualche ornamento ridondante
ecialmente l’Orbecche fralle Italiane che conseguiscono l’ottimo fine
della
tragedia di purgar con piacevolezza lo sregolamen
a di purgar con piacevolezza lo sregolamento delle passioni per mezzo
della
compassione o del terrore. Ed in fatti a suo temp
rime del teatro, purchè se ne troncassero acconciamente alcune ciance
della
nutrice, l’espressioni di Oronte appassionato nel
i trattiene per molti versi su i casi del nocchiero, la maggior parte
della
lunga scena seconda dell’atto III, quando Malecch
n so perchè, fin anche a’ più gran principi formidabile, uomo ad onta
della
sua mercenaria maldicenza, di qualche talento, sì
ne, di poca dottrina e di niuno onore, contribuì non poco alle glorie
della
tragedia Italiana. Fu egli il primo a porre sulla
nesta. Nel II Tazio venuto dal campo racconta a Publio Orazio l’esito
della
pugna, nella quale Roma ha trionfato, ed egli ha
e figli, dal qual racconto è abbattuta la misera Orazia colla notizia
della
morte dello sposo. Arriva nel III un servo che ap
’Orazia più giudizio nell’aver sempre l’ occhio allo scopo principale
della
tragedia di commuovere sino al fine pel timore e
sse anche in ciò imitato, avrebbe fatto corrispondere gli ultimi atti
della
sua tragedia che riescono freddi ed inutili, ai p
ri; privati ne sono gl’ interessi, ed in quel tempo non parvero degni
della
tragedia reale. Ne facciamo menzione perchè in es
le (dice il Manfredi nelle sue lettere) mi diceste che sarebbe l’idea
della
tragedia Toscana 93. Sappiamo dal Cav. Tiraboschi
o paziente attribuito al Nazianzeno. Il di lui Telefonte ha il pregio
della
scelta del più bel soggetto dell’antichità, cioè
do atto, le quali tutte si distribuiscono poi nel primo e nel secondo
della
tragedia compiuta. I passi più belli della non fi
oi nel primo e nel secondo della tragedia compiuta. I passi più belli
della
non finita si sono ritenuti nella perfezzionata;
ie ravvisa nel Torrismondo un carattere compiutamente tragico e degno
della
perfetta tragedia che va felicemente al vero suo
icemente al vero suo fine di purgar con diletto le passioni per mezzo
della
compassione e del terrore. Non per tanto il gesui
zione riguardo al Tasso, il quale ideò i suoi personaggi su i modelli
della
cavalleria de’ bassi tempi. Ma Rapin dovea dimost
pi. Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa, che ne’ tempi
della
cavalleria non potevano regnare nel cuore umano p
ai pensato a sostenere contro i nostri poeti romanzieri che i costumi
della
cavalleria errante fossero improprj per le gran p
osse, per qual capriccio volle negarle a’ tempi del governo feudale e
della
cavalleria notabili appunto pel vigoroso fermento
ti, osservarono, cioè che l’epoca de’ duelli, delle giostre, de’ beni
della
lancia è appunto un ritratto, appena da piccioli
e trovano le immagini nelle favolose storie di Turpino, e nel romanzo
della
Tavola Rotonda del re Artù, di cui parla il Camde
apin andava criticando l’Ariosto, il Trissino ed il Tasso pe’ costumi
della
cavalleria, non si sovvenne del combattimento di
erano e in Inghilterra e in Francia, come altrove, generali i costumi
della
cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò
costumi della cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò Rapin
della
giostra data nella Borgogna nel 1272, nella quale
gridava, or si vedrà chi di noi abbia più belle dame? Non all’ordine
della
Giarrettiera instituito in questo tempo in occasi
cia, nel secolo XV? Non fu allora che con buon senno disse un inviato
della
Porta che assisteva ad una giostra, per un vero c
tragedia del Torrismondo, essi certamente non provengono da’ costumi
della
cavalleria additati dal Rapin come contrarii al c
ttere tragico scelto con sommo giudizio ottimo per conseguire il fine
della
tragedia: una fina dipintura delle passioni: un p
da. Si vorrebbe purgata la favola di qualche scena di poca importanza
della
nutrice, com’ è la seconda dell’atto I; della des
cena di poca importanza della nutrice, com’ è la seconda dell’atto I;
della
descrizione troppo lunga e troppo circostanziata
a dell’atto I; della descrizione troppo lunga e troppo circostanziata
della
tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; de
della tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; delle lungherie
della
scena terza del medesimo atto di Torrismondo col
plica in varj modi e sotto varie forme le medesime cose; del racconto
della
Regina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la f
egina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la figliuola a maritarsi;
della
minuta numerazione che fa Torrismondo de’ giuochi
afferma il conte Mazzucchélli, gli autori del catalogo de’ codici mss
della
real libreria di Torino ne fanno autore Federico,
ennero manifestate dal Parisotti in un discorso inserito nel tomo XXV
della
raccolta degli opuscoli del Calogerà. Il Vicentin
in versi sdruccioli l’Altea che s’impresse nel 1556, e la Polissena,
della
quale non fe menzione il Fontanini. Scrisse di po
di una relazione circostanziata, piena com’ ella trovasi dell’orrore
della
sua perdita? I personaggi estremamente addolorati
alcun’ altra mentovata dal Quadrio. Vi si vede talvolta troppo studio
della
semplicità greca, talvolta un’ imitazione delle s
ste come aforismi, e sovente degli ornamenti più proprii dell’epica e
della
lirica poesia. Non per tanto esse, come ognun ved
nata ed interessante; ma io non mi fermo su ciascuna, per non abusare
della
pazienza di chi legge con formare estratti e crit
edi da Cesena, il quale dal Ghilini si disse Ravennate, perchè alcuni
della
di lui famiglia abitarono ancora in Ravenna. Ques
epio nel Nino di questa favola un carattere sommamente idoneo al fine
della
tragedia. Il soggetto di essa è fondato nella fam
fredi ha congiunte mirabilmente le premesse, i mezzi e le conseguenze
della
sua favola ingegnosa. E’ notabile nella scena qua
iramide rimane inflessibile. Al fine Beleso nulla sperando dalle armi
della
ragione ricorre a quelle del suo ministero, e la
Seneca nel Tieste e Giraldi nell’Orbecche usarono il medesimo colore
della
dissimulazione; ma secondo me Semiramide comparis
ta, minaccia la madre, invano volendo Simandio e Beleso farlo accorto
della
scelleraggine che vuol commettere. Egli va pur ri
so. Or che ha egli fatto frattanto? Ha forse combattuto trall’ orrore
della
vendetta e l’enormità dell’offesa? Un motto almen
dell’offesa? Un motto almeno di ciò avrei voluto ne’ di lui discorsi
della
prima scena, nella quale torna ad accingersi alla
ch’io prendea d’esser con lei Rimembrando mia madre. Certo Nino
della
disgrazia da lui maggiormente tenuta diviene un O
lei, l’affronta, la trafigge, la mira e piange; indi s’invia al luogo
della
strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. N
ta, la trafigge, la mira e piange; indi s’invia al luogo della strage
della
sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto d
go della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto
della
morte di Nino il poeta imitando in parte l’attitu
contemporaneo Angelo Ingegnieri. La Semiramide trionfò dell’invidia e
della
pedanteria; e se in vece di criticarla i pedanti
Signor Muzio Sforza a Venezia desidera che gli si mandi un esemplare
della
traduzione di Girolamo Moncelli del Cristo, avend
o togliersi dalla folla i due che soggiungo perchè ridotti alle leggi
della
vera tragedia, cioè Jefte di Girolamo Giustiniano
. Il nome di Giammaria Cecchi fa che rammentiamo ancora l’Esaltazione
della
Croce di lui opera rappresentativa recitata nelle
eca di Parma. Cita Mons. Fontanini nell’Eloquenza Italiana l’edizione
della
Merope e del Tancredi fatta in Parma nel 1598, e
poi quella di tutte le cinque tragedie del 1605, cioè tre anni prima
della
morte dell’autore. Ma la Merope s’impresse prima
Egregiamente vi si disviluppa il di lui tirannico sistema e la ragion
della
forza che giustifica le scelleraggini. Ecco in qu
ca le scelleraggini. Ecco in qual guisa argomenta contro del Capitano
della
sua guardia: Le leggi e ’l giusto, di che tant
Di maniera che l’ingiustizia mai non trascura di prevalersi a suo pro
della
massima d’Achille, il quale Jura negat sibi na
si tiene, ed al coro continuo che spesso nuoce a’ secreti importanti
della
favola, è un difetto comune alla maggior parte de
ata narrazione, e non da arbitrarie decisioni, può ricavarsi l’indole
della
tragedia Italiana del XVI secolo. Ella fu un nobi
le della tragedia Italiana del XVI secolo. Ella fu un nobile ritratto
della
Greca, da cui riportò qualche neo e qualche lente
ni si è asserito. Per lei divenne più ricco il teatro cogli argomenti
della
Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del
più ricco il teatro cogli argomenti della Sofonisba, del Torrismondo,
della
Semiramide, del Tancredi, della Tullia, dell’Oraz
nti della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del Tancredi,
della
Tullia, dell’Orazia, ignoti a’ Greci, e somminist
arbare, era l’unico opportuno espediente per diffondere il vero gusto
della
tragedia, e il fecero gl’ Italiani, contuttochè n
cui piacere consacravano le loro penne. Ma per essere stata spogliata
della
musica dovea dirsi che la tragedia moderna non si
e interessa l’intere nazioni, e non già pochi privati, per le vicende
della
fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizion
onano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra
della
vita comune. Per tali cose essenziali le greche t
e sue muraglie nascere un Trissino, che mostrò all’Europa il sentiero
della
vera tragedia, e insegnò l’architettura all’incom
stono. Essi servirono per le compagnie de’ Sempiterni, degli Accesi e
della
Calza. Quello del Sansovino si alzò in Canareggio
e tutta nuova negò l’invenzione al Trissino perchè ricavò l’argomento
della
sua tragedia dalla storia di Tito Livio. Noi esam
arato nemico del Trissinoche nelle sue Lezioni biasimava la locuzione
della
Sofonisba (di che veggasi il citato art. Vù del D
e III. 89. Ciò fu ancora avvertito dal Conte di Calepio nel Paragone
della
tragica poesia nel capo IV, art. II. 90. Nel dis
a il lodato Zeno avverte ancora che Daria è un personaggio principale
della
tragedia del Soldato, e che la Daria, e ’l Soldat
tt. 145 scritta da Nancì a’ 25 di maggio del 1591. 94. Nel III libro
della
Cosmografia. 95. Tra questi è da riporsi l’oscur
97. Si vuol riflettere che il Tasso medesimo non era appieno contento
della
sua tragedia e vi andava facendo di mano in mano
ì spedì a Bergamo in due fogli a Licino. L’accurato moderno scrittore
della
di lui Vita l’eruditissimo Ab. Serassi cita in ta
delle di lui Opere, l’ una alla p. 270, l’altra alla 145. 98. Esame
della
poesia tragica cap. I, art. II. 99. Questa natu
ntollerabile la rappresentazione dell’Edipo in Verona ed in Venezia e
della
Semiramide in Verona, e dell’Aminta e del Pastor
ssere ottimamente scritta congiungesse sempre l’ altro indispensabile
della
veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidezza
sempre l’ altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e
della
solidezza ed imparzialità ne’ giudizj. Ma il camp
rtoli ; sebbene dalle memorie del Goldoni si rilevi come al proposito
della
rappresentazione dell’Assemblea letteraria, la su
la spigliatezza, che è nel 1° libro di monologhi. Delle corbellature
della
Passalacqua e del Vitalba, omai fatte pubbliche,
assalacqua, Goldoni e Vitalba, e mostrar sulla scena la mala condotta
della
prima, la buona fede del secondo e la scelleratez
dice Goldoni — a perfezione. Il che non impedì che al primo rimpasto
della
Compagnia, ella, con gran piacere del Goldoni, fo
(I teatri di Napoli. Napoli, Pierro, 1891, pag. 422) riporta l’elenco
della
Compagnia dei comici lombardi, che nel giugno del
Bartolommeo D’Afflisio che troviamo per le parti di padre nell’elenco
della
Compagnia diretta da Francesco Menichelli, della
di padre nell’elenco della Compagnia diretta da Francesco Menichelli,
della
quale faceva parte il noto arlecchino Fortunati,
alacqua e lo fa rendere ad un tempo inteso di aver accordato a favore
della
compagnia di detta Donna il teatro della suddetta
o di aver accordato a favore della compagnia di detta Donna il teatro
della
suddetta città per il prossimo Carnevale, giusta
tici, pe’ quali si vanno scegliendo i colori più vivaci in detrimento
della
verità istorica, ed a capriccio vi si compartono
de’ privati, e ad esser dalla legge richiamati a temperar l’amarezza
della
satira; dal che proviene la bella varietà e delic
, fu Atene ne’ suoi dì luminosi che passando per tutte le solite fasi
della
drammatica ne fissò l’arte e la forma. Fu Eschilo
oscurando i predecessori Epigene e Tespi e Frinico, divenne il padre
della
tragedia, ed additò il sentiero a chi dovea su di
semplicità di azione, sapendosi per tutto ciò egregiamente prevalere
della
più poetica e più armoniosa delle favelle antiche
olte con pari effetto da que’ repubblicani baldanzosi e pieni sotanto
della
loro potenza e libertà finanche le greche favole,
? Alesside illustrò la commedia Mezzana colla grazia e colla vivacità
della
satira senza appressarsi alla soverchia mordacità
pagnuolo Andres nel parlar rapidamente di ogni letteratura, ma comico
della
commedia mezzana secondo Ateneo, ed in essa, e no
i passando la Grecia pervenne ad inventare la Nuova commedia sorgente
della
Latina e dell’Italiana del secolo XVI. Domata la
re. Di grazia si ebbe presente in siffatte comparazioni la differenza
della
commedia greca Antica da quella de’ posteri di Ar
Aristofane? quella che correva tra Atene emula di Serse e tra quella
della
Grecia avvilita sotto i Macedoni, o tra quella di
vilita sotto i Macedoni, o tra quella di Roma donna del Mondo noto, o
della
Francia che noi ammiriamo?
bia mai calcato le scene, a somiglianza del fratello Giovanni, marito
della
celebre Anna ; pur sappiamo ch’egli sostenne la p
gino nell’ Innamorato al tormento del Giraud ; e nell’elenco a stampa
della
Compagnia pel 1820 (un anno prima che egli avesse
a ; nè la sua fama cominciò a stabilirsi colla formazione e direzione
della
Compagnia Reale : chè molti e principali artisti
e virtù, morì a Torino il 1843 ; secondo il Regli (op. cit.), la data
della
morte sarebbe quella del 21 marzo 1853 ; ma è un
nel 1844 egli non era più nella Compagnia Reale Sarda, alla direzione
della
quale successe interinalmente Domenico Righetti,
di assidui studi e di lunga esperienza, vengono oggi in luce per cura
della
signora Marianna Righetti vedova Bazzi, a cui mor
sole italiano. C’ è un po’ di fervorino, se si vuole, per l’effetto
della
chiusa ; come appare un non so che di bizzarro, o
propri figli, ai giudici, agli astanti. Il giovialone colla certezza
della
netta sua coscienza ; il serbino colla noncuranza
terrotto da singhiozzi, e l’ipocrita lo assevera coll’unzione mendace
della
dissimulazione. La ingenua lo profferisce colle s
eduzione agli amici sorpresi. La caratteristica, perduto l’equilibrio
della
ragione, lo ripete col tuono della rampogna ; e l
ratteristica, perduto l’equilibrio della ragione, lo ripete col tuono
della
rampogna ; e la versatile vispa cameriera lo alte
a colla dovuta proprietà. Dimostrasi adunque ad evidenza la necessità
della
più accurata analisi e dello scrutinio del cuore
lamo. Il più celebre capocomico del secolo xviii, che dovè gran parte
della
sua celebrità, se non tutta, a' vincoli artistici
Raffi, dal quale fu scritturato, e del quale, divenuto poi direttore
della
Compagnia, domandò in moglie ufficialmente, il 15
he trovavasi da pochi mesi a Venezia. Furon testimoni, fra gli altri,
della
domanda, il padre della sposa Gasparo Raffi del f
si a Venezia. Furon testimoni, fra gli altri, della domanda, il padre
della
sposa Gasparo Raffi del fu Lazzaro, romano, di qu
ano, di quarantadue anni, l’attore Giuseppe Marliani, piacentino, zio
della
sposa (V.), esperto ballerino da corda, ed egregi
Milano. Ma, o in questa domanda il Medebach di fronte alla giovinezza
della
sposa si è scemato gli anni, o il Bartoli, che gl
esentare nel corr.te estate un corso di Recite nel Teatro Rangoni che
della
Grazia etc. E il permesso fu accordato. E la Com
era stata firmata fra l’autore e il capocomico la scrittura, in forza
della
quale doveva quegli scrivere otto commedie all’an
trentotto anni. Ma recitandosi con buon successo le nuove traduzioni
della
Caminer al Sant’Angelo, e con immensa fortuna le
recò non comune sollievo, specialmente con le molte rappresentazioni
della
Semiramide di Voltaire. Sollievo effimero codesto
crisse Francesco Bartoli : È stato il Medebach un esperto conduttore
della
sua Truppa, un eccellente recitante in que' suoi
e miserie altrui, merita bene il nome d’uomo onorato, e rendesi degno
della
stima d’ognuno. Essendo egli poi stato l’unico mo
nsarono di approfittarsi anch’essi delle fatiche di questo gran padre
della
poesia, e presero a imitare l’arsa urbana, falsa
one, Epicarmo, Connida, Magnete, Formide, Crate furono i poeti comici
della
più remota antichità. Trovavasi il teatro atenies
ci della più remota antichità. Trovavasi il teatro ateniese nel colmo
della
gloria nell’Olimpiade. LXXXI, quando cominciò a f
sempre colla grazia e colle facezie temperava mirabilmente l’amarezza
della
satira. Osserviamo intanto, che l’emulazione de’
o, che l’emulazione de’ poeti, la natura del governo, e la prosperità
della
repubblica, diedero a tal commedia i pregi e i vi
imitando i tragici, data forma e disposizione al lor poema, che gonfi
della
riuscita, presero a gareggiar co’ loro modelli, e
i maliziosi cangiamenti; nel che consisteva la parodia che fu l’anima
della
commedia antica. La vittoria li dichiarò per gli
e incantarono la grecia. Esse accoppiavano alla più esatta imitazione
della
natura i voli più bizzarri della fantasia, e nobi
oppiavano alla più esatta imitazione della natura i voli più bizzarri
della
fantasia, e nobilitavano gli argomenti in apparen
o popolare ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri
della
sovranità. Osò per questo un poema sì straordinar
. E per ultimo ella riuscì soprammodo sfacciata e insolente a cagione
della
prosperità della repubblica. La felicità continua
la riuscì soprammodo sfacciata e insolente a cagione della prosperità
della
repubblica. La felicità continuata corrompe gli a
irò senza orrore il fiele che sgorgava da questo fonte, si compiacque
della
sporcizia che vi regnava, vedendovi il ritratto f
ono senza la fiaccola de’ principi sopraccennati, senza la cognizione
della
polizia e del costume ateniese, senza la pratica
teniese, senza la pratica delle vite di Plutarco, e senza la contezza
della
guerra del Peloponneso così stringatamente e legg
n si ripete a costoro, che il tuono decisivo e inconsiderato é quello
della
fatuità, e che debbono apprendere; e sovvenirsene
cui i romani niuna cognizione aveano, non che dell’altre belle arti,
della
poesia teatrale, la quale pure da gran pezza colt
osci, e dagli etruschi, ed anche con più felice successo da i popoli
della
magna Grecia, e della Sicilia, che, come dice e m
i, ed anche con più felice successo da i popoli della magna Grecia, e
della
Sicilia, che, come dice e mostra il dottissimo Ti
come dice e mostra il dottissimo Tiraboschi, «in quasi tutte le parti
della
letteratura furon maestri ed esemplari agli altri
ato37. La nota commedia delle Nuvole, che fu c composta nel nono anno
della
guerra del Peloponneso, e che diede agli oziosi a
deurs, non ha potuto seguirlo passo passo; né anche ha potuto valersi
della
piacevolezza che risulta dal processo allegorico,
. Si butta nel mortaio il porro, donde viene il nome di Prasia. Città
della
Laconia, e l’aglio, particolar produzione di Mega
rare alcune corde per ismuovere le gran pietre, ond’é chiusa la bocca
della
caverna, in cui é serrata la pace. Alcuni tirano
e ’l proprio pallio, costretto da un bisogno naturale prende la vesta
della
moglie, e fa in piazza ciò che la natura gli coma
’una volta cangia d’abiti col proprio schiavo, ed é destinato giudice
della
disputa de’ due tragici. Nell’atto III alla di lu
ntichità. Pieno di coraggio e d’elevazione, ardente dichiarato nemico
della
servitù e di quanti tentavano di opprimere il suo
mmedia nelle di lui mani diventata una molla del governo, il baluardo
della
libertà, l’organo del patriotismo. Egli vituperav
co bene e che se gli ateniesi gli seguivano, si sarebbero impadroniti
della
grecia» 45. Il gran Platone, l’idolo de’ nostri f
a Dionigi il tiranno, che «per ben conoscere gli Ateniesi e lo stato
della
loro repubblica, bastava leggere le commedie di A
ort. Probabilmente cotesto Gaulese, e di lingua greca, e di poesia, e
della
politica che conveniva alla repubblica ateniese,
sulla scena. Eupoli che fiorì nell’Olimpiade LXXXVIII, fu la vittima
della
loro potenza, estendo stato per ordine di Alcibia
più pienamente ciò che abbiamo di sopra ragionato ne’ fatti generali
della
scenica poesia, quanto questo novello rigore, che
ia nuova, senza dubbio più dilicata e meno acre delle due precedenti,
della
quale sembra che avesse gittati i fondamenti l’is
gerne le opinioni secondo le vedute del legislatore e gl’insegnamenti
della
morale. Rifiutò ogni dipintura particolare, perch
i difetti di un ceto intero. Gioconda, ingegnosa sapienza! A dispetto
della
magia dell’amor proprio ha saputo astringere i vi
orità di Plutarco e di Acrone merita di esser ripetuto per infrazione
della
gioventù tratta dal proprio fuoco prima a scriver
e parole, ebbe minor parte che nel ballo, il quale privo del soccorso
della
poesia, tutto cercò nella rappresentazione. E qua
imostrazione rigorosa dell’esistenza del volgo e de’ fanciulli canuti
della
vostra nazione. Dopoché tanti spettacoli scenici
ici furono dalla campagna introdotti in Atene e in altre chiare città
della
grecia, si videro magnificamente rappresentati in
7. Sparta medesima, l’austera Sparta, avea un assai magnifico teatro,
della
cui eccellenza e bellezza favellano lo storico Pa
iosamente adduce il signor De la Guilletiere o Guillet nella II parte
della
sua Lacedemone Ancienne et Nouvelle per confutar
tazione del soprannominato D. Saverio Mattei, intitolata la Filosofia
della
Musica, che i greci andavano al teatro, come noi
i moderni, i quali in fatti esser dovrebbero le vere scuole pubbliche
della
gioventù. Del resto ciò ch’egli dice, ci fa perde
iù ragione adunque il teatro ateniese dovrebbe chiamarsi il gabinetto
della
Repubblica, il consiglio di Stato, in cui, benché
morale. Il di lei catechismo veniva tolto sacrificato al minimo cenno
della
politica gelosia, il cui principale oggetto, e ne
principale oggetto, e nell’ozio e negli affari, era la conservazione
della
libertà. 35. Epicarmo filosofo siciliano che fio
to magisrato del Pritaneo, che quantunque povero fosse parlava spesso
della
sua genealogia, e vantavasi di essere disceso del
giornato dodici anni nella corte del re di Persia, e Lamaco, generale
della
Repubblica nella guerra del Peloponneso, sono anc
e, da venditor di montoni essendo diventato questore, o sia tesoriere
della
Repubblica, e contendendo di magnificenza co’ pri
utto l’oro sumministratogli dalla Repubblica. 42. In questa commedia
della
pace fu eziandio posto in Berlina l’astronomo Met
ncesi (parso per sineddoche) soglion discorrer, giudicare, e scrivere
della
letteratura forestiera, ch’essi poco o nulla cono
pensarsi interamente avanti di animar colla locuzione la prima scena
della
commedia. La natura non produce una per volta le
ali. Risorgeva a gran passi nel cader del passato secolo il gusto
della
vera eloquenza nelle contrade chiuse dalle Alpi;
al Delfino e ’l barone Caracci35 furono i precursori del rinascimento
della
tragedia italiana. L’onore di primo restauratore
o, nel Cicerone, nel Q. Fabio, nel Taimingi &c. 37. La semplicità
della
condotta, la nobiltà de’ sentimenti, l’eleganza e
oso del potere, e perciò crudele in Solimano, costituiscono il merito
della
Perselide. Altra volta recammo per saggio dello s
merito della Perselide. Altra volta recammo per saggio dello stile e
della
versificazione l’ appassionato monologo di Persel
alche altra del Teatro Italiano? Ciò che diffinisce i primi progressi
della
tragedia italiana sin dal principio di questo sec
comodò all’importanza e alla vaghezza de’ greci argomenti l’artifizio
della
moderna economia. Il confronto dell’Ifigenia in T
tercazioni di Admeto col padre. Impaziente parimente del risorgimento
della
nostra tragedia il celebre Calabrese Gian Vincenz
ngannò in più maniere nell’esecuzione del suo disegno. Pieno com’ era
della
più riposta erudizione greca, poteva far risalire
ca, poteva far risalire i leggitori sino a’ costumi de’ remoti popoli
della
Grecia nel Palamede e nell’Andromeda; ma qual van
te contenga le perfezzioni. La filosofia consiglierà sempre a valersi
della
nota sagacità di quel Greco pittore che raccolse
l Greco pittore che raccolse da molte leggiadre donne le sparse parti
della
beltà per formarne la sua Venere. Questo esser de
ti della beltà per formarne la sua Venere. Questo esser dee l’uffizio
della
vera storia teatrale ragionata; e questo non sann
atterriscono Livia dopo la morte di Druso, e opportuna l’osservazione
della
nutrice in tal proposito, O quai rei simulacri
zamento, si posporrà sempre a tutte le altre a cagione dell’ episodio
della
deflorata Volunnia che si frammischia al fatto di
zio, l’amara divisione di Orazia e Curiazio nell’atto III, la notizia
della
pugna stabilita tra’ Curiazj e gli Orazj nel IV,
Non è dunque maraviglia che, al dire anche degli eruditi compilatori
della
Bibliotheque Italique nel tomo VII, i dotti vi pr
iprende nelle nutrici introdotte dal Marchese la perizia che mostrano
della
mitologia. Ma pur non è sì grande lo svantaggio d
co Durante del Flavio Valente: Giovanni Adolfo Hasse detto il Sassone
della
Draomira: Nicola Fago detto il Tarantino dell’Eus
omira: Nicola Fago detto il Tarantino dell’Eustachio: Leonardo di Leo
della
Sofronia: Nicola Porpora dell’Ermenegildo: France
e l’eroismo cristiano che riscaldava il petto dell’autore. Per saggio
della
di lui maniera di colorire vedasi un frammento de
ile. Questo insidiatore strappa dalla bocca di Leovigildo la sentenza
della
morte del figliuolo, se non rinunzj al culto catt
ui dopo aver vinto Leovigildo fa trionfare la religione sul desiderio
della
vendetta, e gli perdona. Seppe dunque il Marchese
, e gli perdona. Seppe dunque il Marchese rilevare il pregio maggiore
della
Cristiana religione di perdonare e amare il nemic
i lo sguardo si avvede che non è il suo Eraclio, ma sì bene il figlio
della
stessa Irene che eroicamente lo sacrifica alla sa
figlio della stessa Irene che eroicamente lo sacrifica alla salvezza
della
prole reale. Ma il virtuoso imperadore non compor
e con queste tragiche situazioni prevenne il Marchese anche l’Orfano
della
China del Voltaire. Meriterebbe che si trascrives
ltaire. Meriterebbe che si trascrivesse il patetico e vivace racconto
della
carnificina di tutta la famiglia di Maurizio e di
ringa di Bruto animata da sobria eloquenza e bellezza poetica propria
della
scena. Ma Giulio Cesare che si rappresentò con so
na, e ti trasporta in Messenia? Chi di quella interessante semplicità
della
condotta? della verità de’ caratteri? del mirabil
ta in Messenia? Chi di quella interessante semplicità della condotta?
della
verità de’ caratteri? del mirabile vivo ritratto
della verità de’ caratteri? del mirabile vivo ritratto di una madre?
della
dolce forza che ti fanno le passioni espresse in
e i Francesi schivi non soffrirebbero nel lor teatro Ismene che parla
della
febbre di Merope? che questa regina per iscarsezz
le vestigia nel comporre la propria, manifestano vie più la prestanza
della
Merope italiana. Egli ne ingrandì ed esagerò i di
e di rime; chiamò Voltaire traduttore, copiatore, piggioratore ancora
della
Merope del Maffei specialmente nell’atto V. Volle
particolarità del fatto de’ Curiazj ed Orazj. Trionfa in essa l’amor
della
patria in ogni incontro. L’ammazzamento dell’addo
ffetti di Didone, questo tragico contrasto acconciamente approssimato
della
prima rassegnazione con quest’impeto repentino, t
del tempo richiesto perchè giunga Beatrice co’ sei compagni dal fondo
della
torre, non essendo passati dalla chiamata alla ve
o) viene a Tebe sotto virili spoglie, e domanda ad Ormindo il cammino
della
reggia ch’ella non dee ignorare. Viene con animo
eseguirlo per far la sua vendetta, senza riflettere all’impossibilità
della
riuscita. Forse potrebbesi risecare qualche cical
prime espressioni; passionata la narrazione delle proprie sventure e
della
fanciulla che diede alla luce; grande è il di lei
ulla che diede alla luce; grande è il di lei coraggio ed il disprezzo
della
morte in faccia di Creonte nel IV atto. Piace sop
nto di esser ferita da Giocasta. Ella s’ intenerisce alla rimembranza
della
figlia perduta, e dice al marito che la cerchi, e
rsene l’azione colla morte data dal padre al figliuolo e col suicidio
della
figliuola. I molti amici dell’ autore e del sever
ei l’applaudirono nella lettura, ma il teatro non l’ammise, mal grado
della
regolarità, dello stile, della versificazione, e
, ma il teatro non l’ammise, mal grado della regolarità, dello stile,
della
versificazione, e della nobiltà de’ cori. Uscì co
ise, mal grado della regolarità, dello stile, della versificazione, e
della
nobiltà de’ cori. Uscì contro di essa una piacevo
’egli ne avesse disapprovato tacitamente ogni altra cosa nel Paragone
della
Poesia Tragica, e perciò nel 1738 produsse contro
sua Confutazione di molti sentimenti del Salìo. Comunicato lo spirito
della
tragedia per la riuscita del Conti, del Martelli,
tampò in Venezia nel 1733 il suo Teatro Tragico e Comico col trattato
della
Perfetta Tragedia; ma le sue tragedie erano ben l
e sagge. Ma niuna di tali tragedie levò grido, o parve degna compagna
della
Merope del Maffei o del Cesare del Conti, o della
arve degna compagna della Merope del Maffei o del Cesare del Conti, o
della
Perselide del Martelli. Toccò al Varano e al Gran
ucca nel 1766 nella Biblioteca Teatrale. L’autore la chiamava impresa
della
prima sua gioventù, la quale verisimilmente l’avv
ella prima sua gioventù, la quale verisimilmente l’avvicina all’epoca
della
publicazione delle tragedie del Maffei, del Zanot
accomodato alle cose n’è lo stile, regolare e ben condotta l’economia
della
favola, ottima la versificazione, conveniente il
agli estremi; tale ostinazione non sembra necessaria e bella e degna
della
tragedia, se non quando Demetrio noto alla madre
eruditissimo discorso intorno alle profezie e agl’ istorici monumenti
della
distruzione di Gerusalemme, ed a varie circostanz
ie circostanze rammentate nel dramma. Notabile in esso è la dipintura
della
feroce grandezza d’animo di Giscala, e più di una
Seila figlia di Jefte. Regolarità, interesse, giudizio nella traccia
della
favola, destrezza nel colorire i caratteri, gran
a moderna, e solo nella terza scena dell’atto IV partono i personaggi
della
seconda, lasciando vuoto il teatro, ed ha i cori
fessò lo stesso autore, ma si rende assai pregevole per la semplicità
della
favola animata dal bell’ episodio de’ figli de’ d
cipio di una grande virtù. Il suo Geremia ben rassembra all’originale
della
Sacra Scrittura. Vedasi in qual guisa egli nella
ggia elevatezza, che inspira un tacito religioso rispetto pei decreti
della
Divinità. Non merita minore attenzione la magnani
imase indi oppresso dalla propria imprudenza o credulità, è il titolo
della
terza tragedia del Granelli. La regolarità della
edulità, è il titolo della terza tragedia del Granelli. La regolarità
della
condotta, la vivace espressione de’ caratteri ben
all’ interno sentimento di chi la legga o l’ascolti) tutto l’effetto
della
tragica compassione, e che non lascia intravedere
te, la qual cosa sgombra il timore che agitava gli animi col pericolo
della
vita di Seila, e la compassione quasi non ha più
ia la Virtù Ateniese, e Serse Re di Persia, le quali colla traduzione
della
Roma Salvata stamparonsi nel 1771 in Bassano, ma
ragedia di lieto fine semplice quanto altra mai fondata in quel detto
della
Scrittura, gustavi paullulum mellis, & ecce m
potrebbe per l’affetto naturale venire con ripugnanza all’esecuzione
della
sentenza; ma non mai essere incerto se debba o no
te il guardo, Serbate eterna a quante età verranno L’alta memoria
della
mia vendetta, Che la maggior sarà di mie vittor
in Timandro del padre e dell’arconte, dell’amor de’ figli con quello
della
patria, della passione colla virtù. Ma la seconda
el padre e dell’arconte, dell’amor de’ figli con quello della patria,
della
passione colla virtù. Ma la seconda e terza scena
ue il dotto Bettinelli; ma avrebbe potuto ben dire ancora che l’ombra
della
Semiramide apparsa in chiaro giorno in mezzo alla
elle terribili circostanze onde simili apparizioni scuotono gli animi
della
moltitudine, e perciò rimane inferiore non meno a
spaventa, sono alla solita saggia maniera accreditati dalla scarsezza
della
luce e dalla dubbia visione del fantastico simula
di altre del rinomato compatriotto del Chiabrera Innocenzio Frugoni,
della
mentovata Roma Salvata del Bettinelli, della Zair
rera Innocenzio Frugoni, della mentovata Roma Salvata del Bettinelli,
della
Zaira e di altre dell’elegante conte Gasparo Gozz
della Zaira e di altre dell’elegante conte Gasparo Gozzi, dell’Orfano
della
Cina del signor Giuseppe Pezzana di Parma, dell’I
ier Richeri, del conte Agostino Paradisi e del dottor Domenico Fabri,
della
Berenice del sig. Romano Garzoni Lucchese, dell’I
utore si determini a pubblicarla. Pregevole è parimente la traduzione
della
Fedra fatta dall’ab. Giacinto Ceruti di Torino co
conte Calini da Brescia, nella quale si riconosce qualche somiglianza
della
languida Blanche & Guiscard del Saurin; ma è
ietà dello stile, colla convenevolezza del costume e colla regolarità
della
condotta. Non basterà ciò per convincere i maldic
iano di questo secolo? Intorno al tempo che si maturava l’eccitamento
della
Corte Parmense corsero il tragico aringo molti il
espressioni di Virginia: buono il racconto non diffuso che fa Claudio
della
ferita data dal padre a Virginia: assai compassio
che importa che si riconduca sulle moderne scene un antico argomento
della
Grecia, purchè le passioni comuni a tutti i tempi
ico suo sostegno, perduto Ulisse; e che dee a lei importare l’origine
della
contesa in quel punto? È l’evento della pugna che
dee a lei importare l’origine della contesa in quel punto? È l’evento
della
pugna che dee occuparla tutta. Dopo di aver saput
utore di varie lodevoli produzioni, di un’ apologia del Metastasio, e
della
tragedia intitolata il Coreso. Il di lui Ulisse d
a più interessante in questa favola, oltre ad alcune vaghe imitazioni
della
maniera Metastasiana e di altri nostri poeti: l’a
Penelope nella scena 4 dell’atto II in procinto di aprirsi il foglio
della
scelta dello sposo; il colpo di scena quando al v
confidente di Circe, l’educatore di Telegono e partecipe dell’arcano
della
di lui nascita, taccia sino al fine e lasci che a
el tuo amor gli effetti Io potei paventar, che di soverchio La fe
della
madrigna a me palese Era. Ma sebbene sia uno
unesto dell’appassionata Bibli per Cauno suo fratello segue le tracce
della
Fedra di Racine. La stessa furiosa passione contr
alanteria subalterna d’Ippolito ed Aricia che indebolisce l’interesse
della
Fedra, caratterizza gli amori di Cauno, d’Idotea
erizza gli amori di Cauno, d’Idotea e di Mileto, e raffredda l’azione
della
Bibli. Sin dalla prima scena Bibli interessa e co
l solito un freddo racconto del passato, bensì una dipintura patetica
della
di lei situazione; ma il rimanente dell’atto I e
con passione e senza superfluità i suoi spaventi notturni, dà indizj
della
colpevole sua fiamma. Le prime cinque scene dell’
;c. proprie del Celtico Poeta, come si vede nel racconto che fa Calto
della
visione avuta. Ma nel rimanente lo stile rassomig
pere in musica. Oltreacciò non ha voluto l’autore soggettarsi all’uso
della
scena stabile, cambiandosi ben otto volte; ed in
to è patetica la descrizione che fa Marco nella scena 2 dell’atto II,
della
rassegnazione di Ugolino condotto al carcere, la
me sono l’ espressioni di Ugolino: nobile nella seguente è il rifiuto
della
libertà offertagli a condizione di portar le armi
una Cleopatra stampata in Napoli nel 1736, mentovata nel supplemento
della
Drammaturgia dell’Allacci e onorata con un bel di
ese che impresse nel 1751 il Numitore riuscita sulle scene, mal grado
della
trascuraggine dello stile: il sig. Flaminio Scarp
la sig. Francesca Manzoni di Milano, e la sig. Maria Fortuna auttrice
della
Zaffira, e della Saffo: tutti, dico, questi scrit
Manzoni di Milano, e la sig. Maria Fortuna auttrice della Zaffira, e
della
Saffo: tutti, dico, questi scrittori meritano lod
iremo del Diluvio Universale, dell’Anticristo, di Adelasia in Italia,
della
Rovina di Gerusalemme, del Nabucco, del Davide, d
asia in Italia, della Rovina di Gerusalemme, del Nabucco, del Davide,
della
Sara &c. del P. Ringhieri ristampate dopo la
saico, snervato, seminate di dispute sottili e mezzo scolastiche? Che
della
sua Bologna liberata armata di una prefazione con
i comica che tragica. Aggiungeremo per amor del vero che il carattere
della
sua Cleopatra insidiosa, mentitrice, infingevole,
li dà la storia, ma non essere nè sì tragico nè sì grande come quello
della
Cleopatra del cardinal Delfino. Il nobile autore
’ Baccanali tragedia pubblicata in Venezia nel 1788, colla regolarità
della
condotta, colla forza de’ caratteri, con varj tra
in Roma nel 1789 un’ Ifigenia in Tauri, uno de’ due argomenti tragici
della
Grecia, che Aristotile antiponeva ad ogni altro.
e. Il sig. Biamonti calca le orme di Euripide in tutte le circostanze
della
patetica generosa gara di Pilade ed Oreste, e del
te le circostanze della patetica generosa gara di Pilade ed Oreste, e
della
riconoscenza d’Ifigenia col fratello; ma premette
nza d’Ifigenia col fratello; ma premette all’azione una nuova ipotesi
della
peste onde Tauri è afflitta, per cui si è mandato
’oracolo di Apollo in Delo, il quale serve allo scioglimento naturale
della
favola senza l’intervento di una machina; nel che
d’Ifigenia non si fossero totalmente fondati sul di lei sogno e prima
della
notizia recata da Lico che in Argo regna Menelao.
Lico che in Argo regna Menelao. Mal grado di ciò, e di qualche neo e
della
copia delle apostrofi, e spezialmente di quella d
i qualche neo e della copia delle apostrofi, e spezialmente di quella
della
scena 5 dell’atto I, O fortunata quella cerva
che cangiar le catene de’ regni. Quì si vede una tremenda catastrofe
della
costituzione di un popolo che conculca le proprie
prima vittima il proprio sovrano. Il sig. Moreschi col solo presidio
della
storia degnamente colorita e posta in azione ci t
maggior d’Augusto. Vedasi il ritratto di Cromuel in queste parole
della
I scena dell’atto IV: Diadema non curo, o regi
mariti ed il più generoso degli uomini tradito ed offeso dagli amori
della
sua moglie Zulfa con Errico, per li quali si serb
della sua moglie Zulfa con Errico, per li quali si serba l’interesse
della
favola. Non per tanto è patetico il congedo che p
che cerca tutte le vie di persuader la figlia ad andarvi. L’argomento
della
tragedia di Dara è tratto dagli eventi de’ succes
alla storia Romana prese un argomento nuovo per la scena nel Sepolcro
della
libertà, ossia Filippi, cui i leggitori non esite
l’Addison, non manca di sublimità e di forza, nè gli amori subalterni
della
favola inglese interrompono il buono effetto dell
i Shakespear ne’ loro migliori momenti. Ne vorremmo, è vero, le parti
della
favola più concatenate; più fondato e naturale il
giuramento a non palesarne la nascita; l’entrar di Argia nella tomba
della
sorella preparato almeno con raccapriccio maggior
direbbe che lo spettro dell’Aristodemo sia la stessa cosa con quelli
della
Semiramide e dell’Hamlet, se non chi di tutto par
di atrocità, nel che s’inganna o mentisce, mentre eccetto il suicidio
della
catastrofe, non vi si rappresenta atrocità veruna
on tanta forza il terrore tragico, come si vede nel terribil racconto
della
scena 4 dell’atto I, nel congedo di Cesira e Aris
acconto della scena 4 dell’atto I, nel congedo di Cesira e Aristodemo
della
3 dell’atto III, nella mirabile dipintura dello s
stodemo della 3 dell’atto III, nella mirabile dipintura dello spettro
della
7 dell’istesso atto, nella 2 del IV in cui Aristo
echiamo per saggio del valor tragico del sig. Monti qualche frammento
della
scena 7 del III e dell’ultima dell’atto V. Ecco l
suo sangue tinta, E gli avanzi spargetene, e la polve Su i troni
della
terra, e dite ai regi, Che mal si compra co’ de
josi e più inverisimili. Quattro o cinque personaggi non senza offesa
della
verità nè senza rincrescimento alternano in cinqu
ascuna. Filippo. Spira tragica gravità questo componimento mal grado
della
snaturata barbarie di Filippo; della catastrofe p
tà questo componimento mal grado della snaturata barbarie di Filippo;
della
catastrofe preveduta sin dal principio; della ven
ta barbarie di Filippo; della catastrofe preveduta sin dal principio;
della
venuta d’Isabella nella 1 scena del I senza perch
a del I senza perchè o solo per tornar indietro dopo il suo monologo;
della
costruzione quasi alemanna, ch’ei t’è padre e
del mal suono che fa quell’ a te sol resta Come a me morte;
della
mancanza degli articoli più volte &c. Non sap
non abborre che l’ingiustizia e la mala fede; sente in somma la voce
della
magnanimità in mezzo all’ ira. Tali caratteri ric
esse dicono, non conoscendosi, è senza riflessione se non per timore
della
loro vita, almeno per quello di non condurre a fi
io in parte narrativi, qualche intoppo che si presenta nella condotta
della
favola, l’ondeggiamento circospetto e picciolo de
ioni sullo stile e del gallicismo Atride forse già mi sospetta. Oltre
della
proprietà de’ caratteri e della forza delle passi
o Atride forse già mi sospetta. Oltre della proprietà de’ caratteri e
della
forza delle passioni, è inimitabile la guisa onde
gina sempre occultando il pravo suo disegno sino all’atto IV col velo
della
modestia e del grande amore che mostra di nutrir
giungere Agamennone, e quando vi s’ incontra, e quando freme all’idea
della
proposta lontananza di Egisto, e quando si determ
gne il fratello. L’atto V piacerà sempre per l’ oppressione repentina
della
tirannia, e pel ravvedimento del tiranno nell’att
a d’inverisimiglianza ed un rincrescimento, che si oppone all’effetto
della
compassione che si vuole eccitare. Ma nel Gernand
impressa in Parigi nel 1728, in cui volea pur mostrare la superiorità
della
letteratura francese) dent sæpe tragædias, qualis
ara si posero nella sala dell’accademia degl’ Intrepidi e nella porta
della
Cattedrale per onorarne la memoria. 42. V. Giust
delle coronate. Ciò dimostra l’ animo costante di quel Sovrano in pro
della
poesia drammatica; e confonde la falsità di certo
di lui gesta, e ad una descrizione spagnuola da me letta manoscritta
della
morte di Don Carlo, apparisce il simulato procede
iamo a parlare di queste tre tragedie, sapendo che l’autore nel tempo
della
pubblicazione del Gerbino pensò ad accumulare alc
lla grande e vera tragedia reale da Platone tenuta per più malagevole
della
stessa epopea, e fatta per ammaestrare ugualmente
lmente i principi e i privati. Ma essa anche può ammettersi in grazia
della
varietà, e per servire al diletto e all’istruzion
si in grazia della varietà, e per servire al diletto e all’istruzione
della
parte più numerosa della società, e a produrre il
à, e per servire al diletto e all’istruzione della parte più numerosa
della
società, e a produrre il bel piacere delle lagrim
troppo famigliari ed atti ad alienarlo dall’impressione del dolore e
della
pietà. I Francesi in questi ultimi tempi hanno av
sercitato in simil genere. Il suo Fajele contiene l’ argomento stesso
della
Gabriela del Belloy, cui il marito dà a mangiare
. Nell’uno si rappresentano le avventure del conte divenuto religioso
della
Trappa che geme tra i cimiterj e le teste de’ mor
ri comici e si contenti di cedere i primi onori al sublime continuato
della
tragedia grande, potrebbe tollerarsi anche in un
pogliandolo dell’affettazione pantomimica e delle azioni scimiesche e
della
lugubre dettatura del testamento, l’azione e il c
icata tenerezza che meglio si adatterebbe col comico utile disviluppo
della
favola e col cangiamento di M. de Lys affrettato
le Fermier del medesimo autore dee collocarsi in una classe men tetra
della
commedia piangente. Nè anche gli autori dell’Uman
citi; specialmente il Mercier sembra di aver degenerato nell’Abitante
della
Guadalupa. In quello che intitolò Natalia rappres
una specle di rappresentazione men lamentevole e perciò men difettosa
della
pretta lagrimante, ma però ben lontana dal pregio
men difettosa della pretta lagrimante, ma però ben lontana dal pregio
della
nobile commedia tenera. Nel Padre di famiglia del
re impiccato. Le passioni vi sono vive ma meno tragiche e più proprie
della
commedia nobile, o come dicono i Francesi, du hau
poco danno indizio di un ingegno investigatore de’ grandi lineamenti
della
natura e ricco di vero gusto. Nondimeno non parmi
one troppo seria di Eufemone il giovane sembra trascendere il confine
della
commedia. Nel Caffè dipingesi la natura con sagac
imo cuore è copiato dalla Bottega del Caffè del Goldoni. Il carattere
della
Scozzese è nobile, delicato, interessante. Non v’
compose (sono in tutti sessantatrè, due dei quali soltanto in versi :
della
primavera e della impietà) per comici di professi
utti sessantatrè, due dei quali soltanto in versi : della primavera e
della
impietà) per comici di professione, ma anche per
ostra presenza un’opera amorosa. In quella del prologo ventunesimo (
della
Gloria), dice : Oggi coronerò di qncsta corona d
orrò qui dietro ad udirla, e non vo star qui per non invaghirli tanto
della
mia bellezza, che sol mirando il premio, che se g
, et altre cose non convenienti al grado loro. E in quella del XXII (
della
Pace) : Io son venuto a darvi saggio di questa b
a riuscita conforme al vostro desiderio. La licenza del prologo LIV (
della
Fatica), dice : Ogni cosa che giovamento apporta
anche per Compagnie di canto, come abbiamo da quello de gl’inventori
della
musica, il ventiquattresimo della raccolta, che t
e abbiamo da quello de gl’inventori della musica, il ventiquattresimo
della
raccolta, che termina così : abbiamo proposto in
ío Vicentino nato nel 1478 e morto in Roma nel 1550, assai più famosa
della
precedente corse indi a non molto fra’ letterati
’autore così versato nelle greche lettere nella dedicataria a Carlo V
della
sua Italia liberata, poema ricco di varie bellezz
nelio venuta tanto più tardi) e da un patetico animato da’ bei colori
della
natura che sempre trionfa nella vivace semplicità
di Euripide; e par che avesse voluto renderne lo stile più magnifico
della
Sofonisba. Il signor Roscoe nella Vita di Lorenzo
i eleganza e vaghezza sparsi nelle tragedie del Rucellai? Uno storico
della
letteratura universale lascerà seppellirgli nell’
i uccisi che vi biancheggia; la bellezza del racconto che fa Ifigenia
della
propria sventura quando fu in procinto di essere
uando fu in procinto di essere sacrificata in Aulide; quello del coro
della
pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste
uello del coro della pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste
della
morte di Agamennone. Molti squarci della generosa
co’ pastori; quello d’Oreste della morte di Agamennone. Molti squarci
della
generosa patetica contesa de’ due amici meritereb
e non il Rucellai. Egli trasse dalla storia de’ re di Roma l’eccesso
della
spietata Tullia per esporlo sulle scene. La purez
llerato del protagonista. Tullia non solo calpesta le più sacre leggi
della
natura ed aspira al regno paterno per immoderata
l Giustiniano. Luigi Alamanni celebre autore dell’elegantissimo poema
della
Coltivazione recò in italiano, ritenendone il tit
ta menzione dell’Antigone italiana noverando l’autore tra’ benemeriti
della
toscana lingua Bembo, Trissino, Molza, Tolomeia.
in Vicenza in un teatro di legno costruito espressamente nel palagio
della
Ragione dal celebre Palladio. Noi stimiamo col co
oltaire e del p. Folard; e col Nores troviamo riprensibile l’episodio
della
discordia de’ figliuoli di Edipo, per cui si rend
Speroni degli Alvarotti dottissimo padovano e l’oratore più eloquente
della
sua età, morto di anni ottantotto nel 1588, compo
enerezza di quelle celebri pastorali. Ma le forti perturbate passioni
della
Canace esigevano stile più grave, e la favella de
turbate passioni della Canace esigevano stile più grave, e la favella
della
natura più che dell’arte manifesta. Questo, e l’i
ortali pericoli; questi, dico, mi sembrano i veri difetti sostanziali
della
Canace; e pur questi difetti appunto, per quanto
nel l’Orbecche si eccita il terrore co’ più vivi sanguinosi trasporti
della
crudeltà. Sulmone re di Persia gareggia colle atr
Giraldi non pertanto si è guardato dall’affettazione di certi squarci
della
tragedia latina e da qualche ornamento ridondante
cialmente l’Orbecche, fralle Italiane che conseguiscono l’ottimo fine
della
tragedia di purgar con piacevolezza lo sregolamen
a di purgar con piacevolezza lo sregolamento delle passioni per mezzo
della
compassione o del terrore. Ed in fatti a suo temp
rime del teatro, purchè se ne troncassero acconciamente alcune ciance
della
nutrice, l’espressioni di Oronte appassionato nel
i trattiene per molti versi su i casi del nocchiero, la maggior parte
della
lunga scena 2 dell’atto III, quando Malecche esor
so perchè, fin anche a’ più gran principi formidabile, uomo, ad onta
della
sua mercenaria maldicenza, di qualche talento, sì
ne, di poca dottrina e di niuno onore, contribuì non poco alle glorie
della
tragedia italiana. Pose prima di ogni altro in is
nesta. Nel II Tazio venuto dal campo racconta a Publio Orazio l’esito
della
pugna, nella quale Roma ha trionfato, ed egli ha
figli; dal qual racconto è abbattuta la misera Orazia per la notizia
della
morte dello sposo. Arriva nel III un servo che ap
gioventù, distesa in dodici versi, che incomincia. La gioventù furor
della
natura. Si troverà poi soverchio ardita e vizios
l’Orazia più giudizio nel tener sempre l’occhio allo scopo principale
della
tragedia di commuovere sino al fine pel timore e
se anche in ciò imitato, avrebbe fatto corrispondere agli ultimi atti
della
sua tragedia che riescono freddi ed inutili, a i
ari; privati ne sono gl’interessi; ed in quel tempo non parvero degni
della
tragedia reale. In fatti nel parlarne il Crescimb
e. Ma il lodato Zeno avverte che la Daria è un personaggio principale
della
tragedia del Soldato, e perciò che il Soldato e l
e (dice il Manfredi nelle sue Lettere) mi diceste che sarebbe l’idea
della
tragedia toscana a. Sappiamo dal cavaliere Girol
ttribuito a san Gregorio Nazianzeno. Il di lui Telefonte ha il pregio
della
scelta del più bel soggetto tragico dell’antichit
do atto, le quali tutte si distribuirono poi nel primo e secondo atto
della
tragedia compiuta. I passi più belli della non fi
i nel primo e secondo atto della tragedia compiuta. I passi più belli
della
non finita si sono ritenuti nella perfezionata; a
ie ravvisa in Torrismondo un carattere compiutamente tragico, e degno
della
perfetta tragedia che va felicemente al vero suo
icemente al vero suo fine di purgar con diletto le passioni per mezzo
della
compassione e del terrore. Non pertanto il gesuit
zione riguardo al Tasso, il quale ideò i suoi personaggi su i modelli
della
cavalleria de’ bassi tempi. Ma Rapin dovea dimost
pi. Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa, che ne’ tempi
della
cavalleria non potevano regnare nel cuore umano p
i pensato a sostenere contro i nostri poeti romanzieri, che i costumi
della
cavalleria errante fossero improprii per le passi
sse, per qual capriccio volle negarle a’ tempi del governo feodale, e
della
cavalleria notabili appunto pel vigoroso fermento
ti osservarono, cioè che l’epoca de i duelli, delle giostre, de’ beni
della
lancia, è appunto un ritratto appena da piccioli
e trovano le immagini nelle favolose storie di Turpino, e nel romanzo
della
Tavola Rotonda del re Artù, di cui parla il Camde
apin andava criticando l’Ariosto, il Trissino ed il Tasso pe’ costumi
della
cavalleria, non si sovvenne del combattimento di
erano e in Inghilterra e in Francia, come altrove, generali i costumi
della
cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò
costumi della cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò Rapin
della
giostra data nella Borgogna nel 1272, nella quale
ia alla testa di un esercito contra il re Davide Brus? Non all’ordine
della
Giarrettiera istituito in questo tempo in occasio
ncia nel secolo XV? Non fu allora che con buon senno disse un Inviato
della
Porta che assisteva ad una giostra, per un vero
de’ nei nel Torrismondo, essi certamente non provengono da i costumi
della
cavalleria additati dal Rapin come contrarii al c
ttere tragico scelto con sommo giudizio ottimo per conseguire il fine
della
tragedia: una dipintura fina delle passioni: un p
da. Si vorrebbe purgata la favola di qualche scena di poca importanza
della
nutrice, com’ è la seconda dell’atto I; della des
cena di poca importanza della nutrice, com’ è la seconda dell’atto I;
della
descrizione troppo lunga e troppo circostanziata
a dell’atto I; della descrizione troppo lunga e troppo circostanziata
della
tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; de
della tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; delle lungherie
della
scena terza del medesimo atto di Torrismondo col
eplica in varii modi e sotto varie forme le stesse cose; del racconto
della
regina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la f
a regina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la figlia a maritarsi;
della
minuta numerazione che fa Torrismondo de’ giuochi
afferma il conte Mazzucchelli, gli autori del catalogo de’ codici mss
della
real libreria di Torino ne fanno autore Federico,
ennero manifestate dal Parisotti in un Discorso inserito nel tomo XXV
della
raccolta degli Opuscoli del Calogerà. Il Vicentin
in versi sdruccioli l’Altea che s’impresse nel 1556, e la Polissena,
della
quale non fa menzione il Fontanini. Scrisse poi l
di una relazione circostanziata, piena come ella trovasi dell’orrore
della
sua perdita? I personaggi estremamente addolorati
ie vicende egli stesso giunge ad impossessarsi di quel regno. L’ombra
della
madre di lui l’eccita a vendicarla; muove guerra
si trova mentovata dal Quadrio. In esse vedesi talvolta troppo studio
della
semplicità greca, talvolta d’imitar Seneca nell’i
lzar sentenze a guisa di aforismi, sovente di ornar con fregi proprii
della
poesia epica e lirica. Non pertanto anche dal sol
poche scene appassionate che tirano l’attenzione. A me non è permesso
della
lunga via di fermarmi su ciascuna di esse. Ravviv
redi da Cesena, il quale dal Ghilini si disse Ravennate perchè alcuni
della
di lui famiglia abitarono anche in Ravenna. Quest
lepio nel Nino di questa favola un carattere sommamente idoneo al fin
della
tragedia. Il soggetto di essa è fondato nella fam
fredi ha congiunte mirabilmente le premesse, i mezzi e le conseguenze
della
sua favola ingegnosa. E notabile nella scena quar
iramide rimane inflessibile. Al fine Beleso nulla sperando dalle armi
della
ragione, ricorre a quelle del suo ministero, e la
Seneca nel Tieste e Giraldi nell’Orbecche usarono del medesimo colore
della
dissimulazione; ma secondo me Semiramide comparis
ta, minaccia la madre, invano volendo Simandio e Beleso farlo accorto
della
scelleraggine che medita. Egli va pur risoluto. M
oso. Or che ha egli fatto frattanto? Ha forse combattuto trall’orrore
della
vendetta e l’enormità dell’offesa? Un motto almen
dell’offesa? Un motto almeno di ciò avrei voluto ne’ di lui discorsi
della
prima scena, nella quale torna ad accendersi di f
acer ch’io prendea d’esser con lei Rimembrando mia madre. Certo Nino
della
disgrazia da lui maggiormente temuta diviene un O
ei, l’affronta, la trafigge, la mira, e piange; indi s’invia al luogo
della
strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. N
a, la trafigge, la mira, e piange; indi s’invia al luogo della strage
della
sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto d
go della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto
della
morte di Nino il poeta imitando in parte l’attitu
contemporaneo Angelo Ingegnieri. La Semiramide trionfo dell’invidia e
della
pedanteria; e se in vece di criticarla i pedanti,
ntollerabile la rappresentazione dell’Edipo in Verona e in Venezia, e
della
Semiramide in Verona, e dell’Aminta e del Pastor
essere ottimamente scritta congiungesse sempre l’altro indispensabile
della
veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidità e
sempre l’altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e
della
solidità ed imparzialità ne’ gìudizii. Ma il camp
ua parte. Tornando anche un momento su qualche particolarità istorica
della
Semiramide notisi ancora che il Manfredi è stato
signor Muzio Sforza a Venezia desidera che gli si mandi un esemplare
della
traduzione di Girolamo Moncelli del Cristo, avend
togliersi dalla folla i due che soggiungo, perchè ridotti alle leggi
della
vera tragedia, cioè Jeste di Girolamo Giustiniano
. Il nome di Giammaria Cecchi fa che rammentiamo ancora l’Esaltazione
della
Croce di lui opera rappresentativa recitata nelle
a. Cita monsignor Giusto Fontanini nell’Eloquenza Italiana l’edizione
della
Merope e del Tancredi fatta in Parma nel 1597, e
poi quella di tutte le cinque tragedie del 1605, cioè tre anni prima
della
morte dell’autore. Ma la Merope s’impresse prima
Egregiamente vi si disviluppa il di lui tirannico sistema e la ragion
della
forza che giustifica le scelleraggini. Ecco in qu
ca le scelleraggini. Ecco in qual guisa argomenta contro del Capitano
della
sua guardia: Le leggi e ’l giusto, di che tanto
Di maniera che l’ingiustizia mai non trascura di prevalersi a suo pro
della
massima di Achille, il quale Jura negat sibi nat
si tiene, ed al coro continuo che spesso nuoce a’ secreti importanti
della
favola, è un difetto comune alla maggior parte de
ata narrazione, e non da arbitrarie decisioni, può ricavarsi l’indole
della
tragedia Italiana del XVI secolo. Essa fu un nobi
le della tragedia Italiana del XVI secolo. Essa fu un nobile ritratto
della
Greca, da cui riportò qualche neo ed una dose di
o ad asserire i critici moderni poco diligenti osservatori. Per mezzo
della
nostra nazione nel Cinquecento divenne più ricco
ricco il teatro con gli argomenti, che i Greci e i Latini non ebbero,
della
Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del
che i Greci e i Latini non ebbero, della Sofonisba, del Torrismondo,
della
Semiramide, del Tancredi, della Tullia, dell’Oraz
ro, della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del Tancredi,
della
Tullia, dell’Orazia, ed i posteri l’ebbero dagl’I
zioni. Quanto è difficile entrare a sentenziare di cose che non sono
della
competenza di chi si arroga l’autorità di giudice
l XVI secolo, se non per altro, per la cultura, proprietà, purgatezza
della
loro lingua che a que’ tempi rifioriva? E pure il
rifioriva? E pure il signor Andres stesso non fu astretto dalla forza
della
verità a contradirsi: Si distingue l’Italia sopr
arbare, era l’unico opportuno espediente per diffondere il vero gusto
della
tragedia; e il fecero gl’Italiani, con tuttochè n
cui piacere consacravano le loro penne. Ma per essere stata spogliata
della
musica dovea dirsi che la tragedia moderna non si
one delle intere nazioni, e non già di pochi privati, per le vicende
della
fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizio
onano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra
della
vita comune. Per tali cose essenziali le greche t
a e tutta sua negò l’invenzione al Trissino perchè ricavò l’argomento
della
sua tragedia della Storia di Tito Livio. Noi esam
l’invenzione al Trissino perchè ricavò l’argomento della sua tragedia
della
Storia di Tito Livio. Noi esaminammo questa singo
ato nemico del Trissino, che nelle sue Lezioni biasimava la locuzione
della
Sofonisba (di che vedasi il citato articolo V del
e des leurs beautès. a. Di tante traduzioni ed imitazioni francesi
della
Sofonisba, quella di Mairet fu l’unica che si sos
te III. a. Ciò fu ancora avvertito dal conte di Calepio nel Paragone
della
tragica Poesia nel capo IV; art. II. a. Nel disc
tera 145 scritta da Nanci a’ 25 di maggio del 1591. a. Nel III libro
della
Cosmografia. a. Pongo tra questi l’oscuro provin
a. Si vuol riflettere che il Tasso medesimo non era appieno contento
della
sua tragedia, e vi andava facendo di mano in mano
i spedì a Bergamo in due fogli a Licino. L’accurato moderno scrittore
della
di lui vita l’erudito abate Serassi cita in tal p
X delle di lui Opere, l’una alla p. 270, l’altra alla 145. a. Esame
della
poesia tragica cap. I, art. II. a. Questa natur
ttina, cominciando alle 9, e rimandando il pubblico a ogni fin d’atto
della
stessa commedia, per dar posto al pubblico nuovo,
blico non fece conoscer mai a quegli ottimi sciagurati il significato
della
parola forno nel gergo teatrale ; nè col forno ne
andare in prigione, dovè recitare dinanzi…. all’unico rappresentante
della
legge per la tutela dell’ordine, entrato, s’inten
ende, a scapaccione. E in vario tempo, con varia fortuna, fecer parte
della
famiglia attori pregievoli come il Gandini, il Mi
i come il Gandini, il Mingoni, il Vedova : a poco a poco dai villaggi
della
Svizzera si passò alle grandi città d’Italia, dal
’61, da cui tolgo il presente ritratto, è l’Amalia chiamata la gemma
della
compagnia, la quale alla franchezza, alla disinvo
to Meneghino, poi in quella di Colomberti e Casilini, in sostituzione
della
coppia Caracciolo, superando la Borisi ogni aspet
lmente colla parte di Teresa nel dramma omonimo di Dumas e con quella
della
Marchesa nel Filippo di Scribe. Fece poi compagni
po dopo, colpito da malattia insanabile, morì a Milano fra le braccia
della
moglie, nella casa di salute dei fratelli Dufour.
ata lei l’ ’88 con Zago, che era divenuto nella proprietà e direzione
della
compagnia socio di Guglielmo Privato, vi è anch’o
i Borisi Armando e Maria : quello, divenuto attore-cantante, fa parte
della
Compagnia di operette del Gargàno ; questa, fatte
ochissimo danno. Cominciò a recitar da prima donna il 1756 nel Teatro
della
Sala di Bologna, e vi piacque assai sì nelle comm
vise, come nelle scritte. Separatasi dal marito, si diede allo studio
della
musica, e calcò alcun tempo le scene liriche, tor
Onofrio Paganini, tornato allora di Spagna, ma gelosa degli applausi
della
nuora, se ne staccò subito, e andò con Pietro Ros
zze, quali Bologna, Parma, Trieste, Milano, Brescia, Mantova, ecc., e
della
quale un foglio volante di Sassuolo ci dà l’elenc
onta dell’età non più giovine e di alcuni incomodi ; ma sopr'a tutto
della
sua indole collerica e sdegnosa, che la faceva in
i per intero (Il Teatro, tomo I, art. VI-VII). …….passai alla camera
della
prima donna, ch'era poco lontana. Trovai una pers
a, con tutti i riguardi di sanità. Palesandole il bisogno ch'io aveva
della
sua protezione, la trovai si disposta a farmi del
raccomandazione, che non mancava di alcun requisito. Seppi la storia
della
prima donna, che da quì inuanzi io chiamerò col n
e si cacciava tra le gambe la coda, e cedeva vergognosamente il campo
della
battaglia. Un giorno, dopo aver strapazzato ingiu
i fece venire le convulsioni. Che più ? Lo stesso suo amante, il nido
della
tolleranza umana, la bontà personificata, un uomo
Porta orientale, le aveva scossa la polvere dell’ andrienne co' colpi
della
sua canna. Questo poco serva a far meglio conosce
rodusse la sua Sofonisba; e benchè nell’imitarlo variasse la condotta
della
propria favola, osservò non per tanto le tre unit
rappresentanza seguitane nel 1629, ad onta de’ difetti che vi notò, e
della
debolezza dello stile, ne sentì il pregio, e l’ap
o Cornelio ebbe trattato quest’argomento, il pubblico si dilettò meno
della
Sofonisba del Mairet 2. Avvenne in fatti, che men
cese nè in italiano. Può veramente accordarsi a’ compilatori francesi
della
Picciola Biblioteca de’ Teatri, che vi si veggano
e interessa è la stessa Policrita appassionata amante di Pisistrato e
della
libertà, e che seconda le mire di Solone a costo
la del Dispetto amoroso; ma la commedia italiana termina assai meglio
della
francese, il cui quinto atto mal congegnato raffr
avola. Dall’altra parte nella commedia del Secchi non vedesi vestigio
della
bella scena del Dispetto di Lucilla ed Erasto, in
inunziato al teatro. La Fosse ne ravvivò il languore, e pieno com’era
della
lettura degli antichi Greci e Latini fe rappresen
alvata di Otwai, col trasportare agli antichi Romani il fatto recente
della
congiura di Bedmar contro Venezia, diede un saggi
. Nel suo Amasi regna una molle galanteria sconvenevole all’argomento
della
Merope da lui appropriata a’ personaggi della sto
nvenevole all’argomento della Merope da lui appropriata a’ personaggi
della
storia di Egitto. Si recitò nel 1701. ADDIZION
versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza
della
versificazione e la scorrezione dello stile. Da p
tutto il resto in argomento sì tragico. La Touche sentì la giustezza
della
critica, ed in otto giorni soppresse quel persona
ni soppresse quel personaggio ozioso, e quell’amor freddo. Il maestro
della
Poetica francese &c. ADDIZIONE XIII* Gus
arto per tutto il quinto sembrano troppo accumulati riguardo al tempo
della
rappresentazione, ma a giustificarne la verisimig
e, purchè ne faccia risultare il diletto dell’uditorio, ed il trionfo
della
virtù, come appunto avviene nel Gustavo. Intorno
pubblico francese. Il Mercier sembra di aver degenerato nell’Abitante
della
Guadalupa. In quello &c. ADDIZIONE XVI* D
o in Amiens nel 1709 e quivi morto a’ 16 di giugno del 1777, l’autore
della
graziosa novelletta le Vert vert, e della tragedi
i giugno del 1777, l’autore della graziosa novelletta le Vert vert, e
della
tragedia di Odoardo III, diede al teatro anche il
edie inedite perdute, o dall’autore stesso soppresse, cioè il Secreto
della
commedia da lui letta a’ suoi amici, ed il Mondo
re. Vi si scopre al solito spirito e finezza soverchia nella condotta
della
favola. Questa commedia si è di nuovo rappresenta
del Saurin. Il sig. Saurin che si è esercitato in diverse specie
della
poesia scenica, che riuscì competentemente con Sp
toso”. Pare che i Francesi non tarderanno a ridursi sotto il vessillo
della
verità e del senno prendendo ad imitar gli uomini
sulla scena gli spettatori agli attori. Vero è pur anco che il teatro
della
commedia francese ha ricevuti pochi anni fa notab
Vi si veggono eziandio i ritratti dipinti de’ più celebri drammatici
della
nazione; e nel Foyer architettato con magnificenz
Des Touches, Du Fresni, Dancourt, Piron, Crebillon &c., ed al piè
della
scalinata si è alzata la statua intera marmorea d
endono due ordini di logge. I primi palchi seguono il piano circolare
della
sala composta di tre scaglioni in anfiteatro con
, cioè una in fondo che guarda il teatro, e le altre due da’ due lati
della
sala, il cui fondo è di marmo bianco venato. *
mincia Voltaire negò questo &c. 2. Si ritenga anche la nota (2)
della
medesima pag. 6, che incomincia, La Sofonisba di
dalla struttura e dalle decorazioni del teatro de’ ballerini da corda
della
fiera di san Germano. Le favole si rappresentavan
. **. Al capo medesimo, pag. 29, lin. 8, dopo le parole, alla gloria
della
posterità, si ponga in nota ciò che siegue. *. A
resente addizione. 1. Oltre a ciò che nel tomo precedente si è detto
della
Marianna del Dolce, del Calderon, e di Tristan, v
trarca de Jerusalem. Ciò si deduce non senza fondamento dall’edizione
della
Primera Parte de Comedias de don Pedro Calderon d
de del Calderòn. Al contrario se il poeta spagnuolo non ebbe contezza
della
Marianna italiana del Dolce prodotta cento anni p
to avesse quest’argomento da’ Francesi, e che si fosse approfittato o
della
Marianne di Hardy, rappresentata in Parigi nel 16
10, o di quella di Tristan, che fece recitare e stampare la sua prima
della
favola del Calderòn. *. Al Capo II, pag. 34, dop
in nota. *. Al medesimo Capo III, pag. 44, lin. 18, dopo le parole,
della
vera pietà e religione, si apponga la seguente no
za, si tolgano le cinque linee che seguono in detta pagina, e le nove
della
pag. 77 dalle parole diedero allora fino a regna
ui si scrive. *. Al Capo V medesimo dalla pagina 116 (dopo le parole
della
pag. precedente spaventano e fanno inorridire) si
e scorretto, e si scriva l’addizione seguente. *. Al Capo VI in fine
della
pag. 135, che per errore tipografico si trova seg
ndosi dopo la lin. 29 le dieci seguenti da Ma gli altri drammi sino a
della
Guadalupæ. *. Al medesimo Capo VI, pag. 142, che
ot, si tolgano le quattro ultime linee di detta pagina e le prime due
della
seguente, e si cambi come segue. **. Al medesimo
agnia chi per assoluta perizia può soddisfarlo, si appaghi dall’altro
della
tenera capacità e delle belle speranze, onde a bu
o terminato la scrittura col carnevale del ’29, si recò, in compagnia
della
madre, a Vicenza, per sostener le parti di prima
ilodrammatica…. che lasciò dopo un anno per formare una compagnietta,
della
quale essa era, si capisce, direttrice, prima att
alla Compagnia Nardelli passò (1835) in quella di Romualdo Mascherpa,
della
quale eran principale ornamento i fratelli Dondin
e ; e in Perugia le fu coniata questa medaglia d’oro, la riproduzione
della
quale, come quella de’ritratti, io debbo alla squ
della quale, come quella de’ritratti, io debbo alla squisita cortesia
della
figliuola Maria Lismondo. Nè agli applausi e a
Maria Lismondo. Nè agli applausi e agli onori si limitò il trionfo
della
Bettini ; chè ogni sera il teatro riboccava di sp
omponenti la Compagnia. Il ritiro del Nardelli coincise con quello
della
grande Marchionni, l’astro maggiore della R. Comp
ardelli coincise con quello della grande Marchionni, l’astro maggiore
della
R. Compagnia di Torino, diretta da Gaetano Bazzi,
due (2) del mese di Giugno ommesse le pubblicazioni seguite nel tempo
della
celebrazione della S. Messa in questa Chiesa Parr
Giugno ommesse le pubblicazioni seguite nel tempo della celebrazione
della
S. Messa in questa Chiesa Parrocchiale dei SS. Gi
o di Trento il sig. Dottore Raffaele figlio del fu Pasquale Minardi e
della
vivente signora Maria Pilati della Parrocchia di
e figlio del fu Pasquale Minardi e della vivente signora Maria Pilati
della
Parrocchia di S. Bartolomeo colla signora Amalia
Bartolomeo colla signora Amalia figlia del fu sig. Giovanni Bettini e
della
vivente signora Lucrezia Mora di questa Parrocchi
e in via Castiglione N. 345 e 7. A dare un’idea del valore artistico
della
Bettini, e del come e quanto ella fosse apprezzat
, il 28 novembre 1837, Pietro Monti propone alla Bettini di far parte
della
Compagnia dei Fiorentini per l’anno 1840 ; e sogg
cembre : Dalla tua ho rilevato che tu o non hai piacere di far parte
della
nuova compagnia propostati o che tu hai voluto sc
ualdo Mascherpa, con questa intestazione stampata : Il Capo Comico –
della
Drammatica Compagnia al servizio di S. M. Maria L
allegrandosi colla Bettini che debuttava a Torino quale prima attrice
della
Reale Compagnia Drammatica Sarda. Giuseppe Coltel
a. Giuseppe Coltellini da Lucca (13 maggio 1840) chiede se è contenta
della
sua nuova posizione per farle in caso delle propo
le scritture in bianco con facoltà di aggiungervi, se crede, il nome
della
madre per le parti caratteristiche. Il 12 agosto
a il sequitare con la Compagnia Reale. Dato il caso io vado in tracia
della
mia fortuna, si come fu di Nardelli, che non fa c
ttini…. Il Paladini il 24 settembre da Roma annunzia che il progetto
della
Compagnia semi-sedentaria è caduto in terra addir
falliscono all’occorrenza, e senza nulla arrischiare fanno commercio
della
vostra capacità e del vostro sapere ! Se gli arti
o priva la drammatica arte. Mi stà tuttora presente la felice società
della
Marchionni, Meraviglia e Calamari, dessi andarono
fosse contenta di proseguire anco pel 42 e 43 con me. Alla Direzione
della
nuova Compagnia verrei io stesso e si agirebbe al
i accettare le proposte Mascherpa, dipendendo da essa sola l’avvenire
della
Compagnia, della quale naturalmente il Lottini fa
oposte Mascherpa, dipendendo da essa sola l’avvenire della Compagnia,
della
quale naturalmente il Lottini fa parte. Il Bosio,
8 maggio : …. la persona che ambirebbe avervi per cardine principale
della
Compagnia che vuol formare per Firenze, non esclu
nte assegnato al di lei diritto e nel caso di malattie approffitterei
della
opera sua per tutte cinque recite ; otterebbe da
lora nel venturo maggio tu ti decidessi a rimanere nell’arte pel bene
della
medesima, dammene un pronto avviso. Io pure se Di
amica : È egli vero ? Si attende un tuo assenso perchè ogni sventura
della
mia famiglia stia per avere un termine ! Mia cara
studio su di Amalia Bettini di Giuseppe Costetti (I dimenticati vivi
della
Scena italiana. Roma, 1886), abbiamo un sonetto i
riano nello Eridano Torinese, il 15 giugno ’41, scriveva al proposito
della
Iginia d’Asti di Silvio Pellico : …. Che diremo
a al proposito della Iginia d’Asti di Silvio Pellico : …. Che diremo
della
signora Amalia Bettini ? Ella fu dal grido univer
mpiacenza per la sua creazione ove l’avesse veduta rivivere per opera
della
egregia attrice. L’autore ha colorito il caratter
to, all’applauso, al delirio. Pareva che l’attrice volesse col vigore
della
sua anima, coll’espressione degli atti, coll’ardo
ettava nel Piccolo Faust di Bologna, il 24 maggio 1894, dopo la morte
della
celebre artista, avvenuta a Roma otto giorni prim
a che l’ha infisciata e che j’ha dato er latte ! E sotto un ritratto
della
Bettini, litografia Matraire di Torino, disegnato
inedite, che un egregio artista contemporaneo, e affezionato compagno
della
Bettini (Antonio Colomberti), lasciò scritto di l
nagione bianchissima. La sua voce corrispondeva a tutte le vibrazioni
della
sua anima. Di natura estremamente sensibile e ner
inque, sei, otto, fin dieci. Fra le produzioni formanti il repertorio
della
Bettini, cito le seguenti, nelle quali ella era c
mo che volle introdurla, avesse avuto tal disegno, perchè l’inventore
della
maschera s’ignorava anche ai tempi di Aristotilea
imo ne’ villaggi, vollero che gli offesi venissero di giorno in mezzo
della
piazza a narrare le oppressioni sofferte. Ma per
e quando questa cominciò a pullulare da que’ semi, l’attore fece uso
della
feccia, delle capigliature ed indi delle scorze,
e, e dalla teologia. Che se con Suida voglia attribuirsi l’invenzione
della
vera maschera, non ad Eschilo tragico, ma a Cheri
osì dire, con ferro rovente alla presenza di un popolo fiero e geloso
della
propria libertà. Aureo in tal proposito è il pass
e geloso della propria libertà. Aureo in tal proposito è il passaggio
della
commedia degli Equiti di Aristofane, in cui si sc
re tal verità istorica con un passo di Eliano, il quale nel ragionare
della
commedia delle Nuvole in cui compariva il persona
osìa. «Essendo Socrate mostrato sulla scena e nominato tratto tratto (
della
qual cosa non è da stupirsi perchè egli era anco
ordate da Giovenale e da Giulio Polluce, appartengono ancora a’ tempi
della
Nuova commedia. Nè anche queste medesime maschere
more che anticamente mosse i villani a tingersi di feccia. La libertà
della
Grecia aveva ceduto alla potenza de’ principi Mac
soggiacere al fato di Eupoli e di Anassandride. Per sicurezza adunque
della
propria vita sacrificarono la verità dell’imitazi
comici avezzati al rispetto verso i principi, e questi renduti certi
della
totale sommissione de’ poeti teatrali alla loro a
ne diverse, di matrone, di più di una ruffiana, di due false vergini,
della
meretrice magnifica, della nobile, della coronata
più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica,
della
nobile, della coronata, di quella che portava l’a
fiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile,
della
coronata, di quella che portava l’acconciatura de
Giulio Polluce nel libro IV, capo 20. E di questa naturale imitazione
della
maschera approfittandosi Nerone, si compiacque, a
le Belle Lettere di Parigi, e Metastasio nel capitolo V dell’Estratto
della
Poetica di Aristotile. a. Si vegga il notissimo
Rosa Salvatore. Fratello
della
precedente, fu brillante egregio ed egregio carat
Vergnano (recitava questi al Nuovo in Compagnia Pezzana) il vantaggio
della
voce, della persona, della età ; ambedue amano l’
citava questi al Nuovo in Compagnia Pezzana) il vantaggio della voce,
della
persona, della età ; ambedue amano l’arte non da
l Nuovo in Compagnia Pezzana) il vantaggio della voce, della persona,
della
età ; ambedue amano l’arte non da istrioni, ma da
ragionevole e tenero, più che d’un trionfo a carico de'suoi compagni,
della
totale riuscita di un’azione drammatica. Sennonch
gnano….. (V.). L'incalzar degli anni accennava pur troppo a privarlo
della
vista, sì che dovette abbandonar l’arte, povero :
mondo, le massime delle quali consistono nel distrugger i sentimenti
della
natura per inalzar sulle loro rovine l’idolo dell
irarsi da scioperati da palchetto in palchetto, scoprir nelle regioni
della
galanteria paesi non per anco tentati, spiar in a
dall’avarizia per consolar tante anime vuote, che non sanno che farsi
della
propria esistenza) ecco il fine, al quale rivolgo
il numero delle citazioni, e il merito degli autori secondo i secoli
della
loro nascita, giudicano a un dippresso dell’arte
on resteranno poco né molto commossi dal terribile e magnifico quadro
della
morte di Didone, ma ti faranno bensì una lunga di
Lazzarini all’Olimpiade del Metastasio, e tel proveranno con un testo
della
poetica d’Aristotile comentata dall’Einsio, rigua
Dotato di cuor sensibile e d’immaginazione vivace, osservator fedele
della
natura e degli uomini, ammaestrato ai fonti di Bo
prestito al cuore il suo linguaggio per far meglio valere i precetti
della
ragione: ora come uno specchio, che rappresenta l
ol gli è d’uopo investigare il legame segreto, che corre tra il genio
della
nazione e la natura dello spettacolo, tra il gene
ile diviene per lui eziandio l’erudizione, quell’erudizione medesima,
della
quale l’uomo di genio fa così poco conto, e senza
rico edifizio può alzarsi. Se la simmetria, la vaghezza, e il disegno
della
fabbrica sono del gusto, sua ne è la raccolta de’
ità, ora aver a tempo e luogo il coraggio di misurarla colla bilancia
della
ragione: quando apprezzar le particolarità, che s
dove risalire fino ai principi a fine di rintracciar meglio l’origine
della
perfezione loro, o del loro decadimento. In una p
all’Italia, il quale pel complesso di tutti i piaceri dello spirito,
della
immaginazione, del cuore, della vista e dell’udit
sso di tutti i piaceri dello spirito, della immaginazione, del cuore,
della
vista e dell’udito combinati insieme ad agitar l’
società. [9] Avendo bevuto a tali sorgenti, non mi dò il menomo vanto
della
esattezza e novità delle notizie sulle quali è ap
eggendo i molti e celebri autori che mi hanno preceduto nello scriver
della
letteratura, ho avuto ocularmente occasione di co
lettore vi troverà ciò nonostante, la storia non affatto superficiale
della
musica italiana e de’ suoi cangiamenti, come dell
fatto superficiale della musica italiana e de’ suoi cangiamenti, come
della
tragedia ancora e della commedia con molte rifles
musica italiana e de’ suoi cangiamenti, come della tragedia ancora e
della
commedia con molte riflessioni sugli altri rami d
agedia ancora e della commedia con molte riflessioni sugli altri rami
della
poesia, e su altri punti. Debbo avvertire bensì,
comodi, i quali veggendo le altrui fatiche esser un tacito rimprovero
della
loro dappocaggine, si sforzano di consolar il lor
pe. né vi mancheranno di quelli, i quali, ricorrendo a’ luoghi topici
della
ignoranza, troveranno nel titolo di straniero una
ocevole agli avanzamenti del gusto di quella che lo sia ai’ progressi
della
morale il patteggiare coi vizi: ho pensato, che l
on cerimoniosi e mentiti riguardi, figli per lo più dell’interesse, o
della
paura, ma col renderle senza invidia la giustizia
ppone dall’amor proprio che non possa sostener a viso fermo l’aspetto
della
verità conosciuta: mi sono finalmente avvisato, c
vanno tastoni nel ragionare del melodramma, ora rilegandolo ai mondi
della
favola, ora mettendolo tra le cose per sua natura
icura, di gusto mediocre, e di critica infelice impiegò un mezzo tomo
della
sua voluminosa opera intitolata Storia e ragione
e titoli, che date e nomi d’autori ammucchiati senz’ordine a spavento
della
memoria, e a strazio della pazienza. Quella noios
’autori ammucchiati senz’ordine a spavento della memoria, e a strazio
della
pazienza. Quella noiosa nomenclatura vien precedu
solito suo spirito e leggiadria di stile olezzante de’ più bei fiori
della
propria e della peregrina favella si trovano scri
ito e leggiadria di stile olezzante de’ più bei fiori della propria e
della
peregrina favella si trovano scritte riflessioni
poggiato sull’esatta relazione de’ movimenti dell’animo cogli accenti
della
parola, o del linguaggio, di questi colla melodia
ll’esame de’ poeti drammatici. Nel primo, derivando dagl’intimi fonti
della
filosofia la natura del melodramma, si cercherà d
Ma la riconoscenza delle anime oneste non deve arrestarsi alle soglie
della
morte.
lli di Sciro dedicandola al VI duca di Urbino Francesco Maria Feltrio
della
Rovere. L’autore Guidubaldo de’ Bonarelli (fratel
demici la fecero solennemente rappresentare in Ferrara con un prologo
della
Notte composto dal cavalier Marini. Un’altra rapp
bblico o in segreto contro di esse; ma queste superiori alle bassezze
della
timida malignità e dell’arrogante ignoranza poggi
a Filli gode una lunga fama ad onta di alquanti difetti dello stile e
della
moda già passata delle Pastorali. Forse la critic
sprezzo. Anche circa lo stile la giusta critica non è sempre contenta
della
Filli, perchè oltre al raffinamento, diciam così,
erò notare che gli accidenti di Celia tirano verso di lei l’interesse
della
favola più di quello che vien concesso ad un epis
a scena terza dell’atto I, quando la finta Clori gentilmente si lagna
della
freddezza di lei: Sdegni ch’io ti riveggia? Deh
trovarlo infedele per le di lui medesimo parole. Il disperato dolore
della
Ninfa si spiega nella prima scena dell’atto IV co
ano sommamente l’azione, che viene nobilitata nel V atto col pericolo
della
vita di Tirsi, il quale avendo gettati via que’ c
’episodio di Jante ed Alcasto dell’atto I, in cui si spiega l’origine
della
festa di Arcadia: curioso è quello dell’atto III
per una menzogna, serenato dal disinganno, e felicitato dal possesso
della
pastorella amata. Vaga nell’atto I è la descrizio
II è la scena in cui Telaira sorella di Filebo vuol renderlo avveduto
della
inverisimiglianza del racconto fattoli da Nerino.
ramonti che potesse senza manifesto svantaggio sostenere il confronto
della
Gelopea. L’Alcippo impressa in Venezia nel 1615 g
ggiacere a questa pena. Tirsi il giudice più zelante per l’osservanza
della
legge, si scopre esser e il padre di Alcippo igno
a bella Clori. I caratteri sono ben sostenuti, e quello singolarmente
della
finta Megilla ha una nobiltà che incanta. Tutto p
dal Fontanini, ed esaltata da Gian Vincenzo Gravina nel libro secondo
della
Ragion Poetica. Se ne fecero quattro edizioni sin
lche difetto dello stile può vedersi il V volume delle nostre Vicende
della
Coltura delle Sicilie. Filippo Finella anche in N
da’ personaggi e soprattutto nell’atto V. Si registrano nel Catalogo
della
Biblioteca Imperiali due pastorali di un caprajo
ato dalla lettura che nel campo un altro caprajo faceva del Furioso e
della
Gerusalemme. Forza de’ grandi modelli! Pur troppo
li! Pur troppo è vero: hinc pectore numen concipiunt vates. L’amore
della
poetica armonia che bevve il Peri in sì bei fonti
i aver composto questa favoletta da recitare in musica nel passaggio
della
regina di Ungheria per Mantua a. Cesare stesso c
Drammatica] “nel secolo XIV., se fosse certo ciò che scrive l’Autore
della
Storia Critica de’ Teatri, cioè che la Poesia Dra
otuto scrivere tali parole chi avesse letto il II. Capo del II. Libro
della
Storia de’ Teatri? Intanto l’Apologista per confu
to assai alla sfuggita ciò che si narra nelle pagine 189. 190. e 191.
della
Storia de’ Teatri. Ivi si rapportavano tre Traged
queste TRAGEDIE DEL XIV. SECOLO? Nè anche vide ivi addotta la notizia
della
Tragedia, a noi non pervenuta, di Giovanni Manzin
a la notizia della Tragedia, a noi non pervenuta, di Giovanni Manzini
della
Motta, rammentata però in una delle Lettere Latin
al pari del Mussato, una storia nazionale, cioè la caduta di Antonio
della
Scala Signore di Verona. Chiuse parimente gli occ
dolcissimo Petrarca, ch’egli però non volle conservarci; ma, ad onta
della
delicatezza di questo grande ingegno, che fu uno
nella quale si rapportano le di lui Tragedie, e di non aver contezza
della
Commedia ESISTENTE del Vergerio. Ma come compatir
arebbe tale conseguenza, ma vergognosa quella che si tirerebbe contro
della
vostra onestà. Adunque gl’Italiani possono ben di
ando gli Antichi; il che non tentò verun’ altra moderna nazione prima
della
Italiana. Ma il Quadrio (osserva l’Apologista) ti
di Carlo Verardi? Fu sacra rappresentazione la Tragedia del Laudivio
della
morte del Piccinino? Era sacra e rozza rappresent
azioni le Commedie Italiane del medesimo tempo, la Catinia traduzione
della
Latina di Secco Polentone Lusus Ebriorum, i Menec
Pastorale del Correggio, il Timone del Bojardo, l’Amicizia del Nardi,
della
quale soltanto dice qualche cosa l’Apologista? Or
e cose co’ poco instrutti, ma non con gl’illuminati, e bene informati
della
nostra Letteratura, tra’ quali conta forse sestes
Dias, nè delle Mille Tragedie del Malara conservate nella Biblioteca
della
Luna); e i mal instruiti aveano bisogno di chi gl
Biancolelli Caterina, sorella minore
della
precedente ; la più rinomata servetta del teatro
Fontainebleau Pietro Lenoir de la Thorillière, egregio comico del Re,
della
Compagnia francese, e continuò a recitar le serve
continuò a recitar le servette alla Commedia Italiana sino all’epoca
della
sua chiusura che fu il 1697. Le fu offerto allora
di personaggi, senza però mai mutare essenzialmente il tipo primitivo
della
servetta birichina. Essa è avvocato, attrice, can
orrebbe far risalire al teatro antico ; e il Sand trascrive una scena
della
Mostellaria, mettendo a raffronto delle serve del
liano la Scafa plautina. Sino alla Colombina del xvii secolo, il tipo
della
servetta, si chiamasse Colombina, o Nespola, o Fr
civetteria insieme : vero ideale di servetta. Sul proposito a punto
della
civetteria, Colombina dice a Isabella : Non biso
parate, nelle pantomime. Il Watteau, uno de’ più geniali illustratori
della
Commedia italiana, del quale verrò riproducendo l
i la Colombina è stata scelta nel Teatro Comico a significare il tipo
della
servetta, che rimane pur sempre invariato ne’varj
ina, impertinente, civetta, amante o moglie d’arlecchino : ma il tipo
della
Colombina goldoniana sta a quello della Colombina
lie d’arlecchino : ma il tipo della Colombina goldoniana sta a quello
della
Colombina gherardiana, press’a poco, come la cive
ese, sia nella forma, sia anche nella sostanza. Nel maggiore sviluppo
della
Commedia italiana, alcuni tipi rimasero pressochè
del Castelvecchio le finezze d’espressione, d’intonazione, di dizione
della
Daria Cutini-Mancini, benchè già fuor dell’arte,
i, benchè già fuor dell’arte, può ben essersi fatta una idea chiara e
della
importanza di quel ruolo, e del valore di chi lo
hi-Paladini, le Romagnoli, le Cutini spariron dalla scena, e il ruolo
della
servetta fu a poco a poco ingoiato dalla prima do
mici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso
della
commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’in
ra. Adunque quest’ultima specie di commedia presenta tutti i vantaggi
della
sensibilità posta in tumulto nelle favole lagrima
o tragico, i gran delitti, i patiboli. La commedia tenera si contenta
della
sobria piacevolezza che risulta dalla pittura com
che, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione
della
nobile e gentile commedia tenera. Guai al pedante
icolo agli occhi de’ pregiudicati suoi amici col mostrarsi innamorato
della
propria moglie, incorre nell’altro di voler pales
ezza che esige un amor colpevole, e con ciò cagiona le tenere lagrime
della
consorte, quest’ argomento, dico, è un vago innes
renti, di tenerezza e di piacevolezza comica, che manifesta il pregio
della
commedia tenera. A torto contro di questo genere
i fu accolta troppo favorevolmente. L’azione è più semplice di quella
della
Pamela: ha di più il merito di essere bene scritt
inte delicatamente: lo scioglimento avviene senza la gran rivoluzione
della
condizione della fanciulla; perchè Nanina al più
e: lo scioglimento avviene senza la gran rivoluzione della condizione
della
fanciulla; perchè Nanina al più si trova figliuol
ior forza nella Pamela: il contrasto nel cuore di Milord dell’amore e
della
nobiltà più vivace e teatrale: i costumi Inglesi
Parigi nel 1709 è uno de’ Francesi che hanno ritenuta la giusta idea
della
comica giovialità, resistendo alla seduzione del
esoriere di Francia, il più severo, valoroso ed ingegnoso oppugnatore
della
tragedia cittadina e della commedia piangente. Eg
severo, valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e
della
commedia piangente. Egli nella sua dissertazione
ommedia piangente. Egli nella sua dissertazione inserita nel tomo III
della
raccolta della sua Accademia della Roccella conch
te. Egli nella sua dissertazione inserita nel tomo III della raccolta
della
sua Accademia della Roccella conchiude dicendo ch
issertazione inserita nel tomo III della raccolta della sua Accademia
della
Roccella conchiude dicendo che “se in una commedi
farle spandere”. Al contrario non la comprese l’autore de’ Tre Secoli
della
Letteratura Francese, che non ammette altra speci
zio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto
della
piacevolezza di Regnard, non che dello stile e de
on a torto desiderava che il protagonista avesse un tuono più proprio
della
gente nobile. Il Filosofo maritato presso il mede
da una favola Inglese. In generale Des Touches è uno de’ buoni comici
della
Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole,
e sue strettezze a scriver troppo, mostra nelle sue favole l’ effetto
della
precipitazione. Non si dovea stampare tutto ciò c
za: lo stile conveniente e spiritoso senza sforzo e senza pregiudizio
della
naturalezza: la versificazione ha tutta l’armonia
e di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevè gli elogj de’ più noti poeti
della
Francia, e varie dichiarazioni di amore in versi:
a ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto
della
natura, il quale argomento fu infelicemente tratt
la rendeva vezzosa, i seguenti scrittori: Giovanni Campistron autore
della
buona commedia il Geloso disingannato rimasta al
ro; le Sage nato a Ruys in Brettagna nel 1677 e morto nel 1747 autore
della
graziosa commedia di Turcaret, e della piacevole
l 1677 e morto nel 1747 autore della graziosa commedia di Turcaret, e
della
piacevole commediola di Crispino rivale del padro
ti, ma pregevoli pe’ caratteri bene espressi. Gresset d’Amiens autore
della
graziosa novelletta le Vert-vert, dopo aver dato
la commedia del Méchant il merito d’un vivace colorito ne’ caratteri,
della
buona versificazione e di uno stile salso ed eleg
vventure romanzesche sforzate. La Bacchettona, ovvero la Custoditrice
della
Cassetta tratta da una favola inglese è parimente
ua e di buon cuore ed anche ad un uomo candido, il quale giudica bene
della
prima e male della seconda, ed al fine a stento s
ed anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima e male
della
seconda, ed al fine a stento si disinganna per op
to parlar gergone a lui proprio. Antonio Bret nato nel 1717 scrittore
della
Vita di Ninon l’ Enclos si esercitò pure nel gene
si trova questo giudizioso avviso a chi crede aver motivo di lagnarsi
della
leggerezza donnesca, Le bruit est pour le fat,
placata. Carlo de Montenoy Palissot nato in Nansì l’anno 1730 autore
della
Dunciade francese compose due drammi comici. L’av
al qual travaglio volendo noi mostrarci grati abbiamo fatto menzione
della
sua tragedia per conservarne almeno il titolo. So
La contessa di Genlis ha composti due Teatri, l’uno per l’educazione
della
gioventù, e l’altro di società, ne’ quali si preg
citata in Parigi nel 1787 può animare la gioventù a ricalcare le orme
della
buona commedia e a ricondurre in Francia il socco
i Moliere in versi e in tre atti che serve solo a rinnovare il dolore
della
perdita di quell’ingegno raro; la Giovane Sposa i
rigi. Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi
della
buona condotta, dell’urbanità e del rispetto che
ell’arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava
della
francese e dell’ italiana istrionica. In tal gene
nt-Foix, e poi l’attore Favart e l’abate Voisenon, e tra gl’ Italiani
della
stessa compagnia Domenico Romagnesi, Riccoboni, F
discepolo di Moliere Michele Baron nato nel 1653 e morto nel 1729, e
della
mirabile attrice Adriana Le Couvreur, sia andata
generando. In fatti il sig. Eximeno nel suo libro Origine e progressi
della
Musica afferma che i commedianti (Francesi) pajon
tori Francesi a voce bassa borbottando, quando compariscono dal fondo
della
scena, e declamano più sonoramente quando si acco
profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo
della
scena, e più spiccate a misura che si avvicini l’
il comodo di chi ascolta colla verità dell’espressione, è la madrigna
della
natura. Si situano (aggiugne) mostrando il profil
fettazioni degli attori nazionali i Francesi di questo tempo. “L’arte
della
declamazione (dice uno di essi ironicamente) si è
utta l’ azione”. M. Clement nelle sue osservazioni critiche sul poema
della
Declamazione teatrale di M. Dorat scrive ancora:
o nel 1775 animata dalla musica del celebre nostro Sacchini, ed anche
della
traduzione dell’Olimpiade pure rappresentata coll
olto applaudire e come attrice e come cantante. Destata poi l’invidia
della
prima donna della compagnia, artista provetta, ma
come attrice e come cantante. Destata poi l’invidia della prima donna
della
compagnia, artista provetta, ma già vecchia, non
anno citate più specialmente quelle di Cleri nel Disertor francese, e
della
protagonista nella Gabbriella di Vergy, in cui la
fu grandissima nel dramma. E tuttavia nel vigore degli anni, al colmo
della
gloria, più che circondata, assediata dal favore
spirito, a istillare in due suoi figliuoletti, le massime più austere
della
virtù sociale e spirituale. E l’altra non meno
l suo buon volere che fa tutti i sforzi possibili per renderla capace
della
sua professione, ma la meschina non è nata per la
sono a profusione le lodi per l’incomparabile artista. Delle qualità
della
donna egli discorre così nella lettera dedicatori
e col suo contegno ; che del medesimo nulla serbate, nell’ozio grato
della
vostra vita presente ; che alla vivezza dello spi
atire ; che ne' divertimenti co' quali il secolo invita la freschezza
della
età vostra, mantenere sempre sapete la decenza mu
i in Italia, e perdendosene le tracce nelle Spagne per l’intemperanza
della
scuola Lopense, mentre Cornelio e Racine l’ inalz
mentre Cornelio e Racine l’ inalzavano in Francia sì presso al punto
della
perfezione, una folla di loro imitatori seguendog
avea scoperto il miglior cammino e prodotto l’Atalia, il capo d’opera
della
tragedia francese, senza avvilirla colla galanter
ima di depurarle del tutto, e la scena francese dopo di lui si riempì
della
morale dell’opera di Quinault27. Alcibiade (aggiu
asj, de’ Pergolesi, suole essere seguita da una numerosa oscura prole
della
nojosa mediocrità. Ma la natura ha bisogno di rip
periodo non per tanto qualche buon talento mostrò d’intendere l’arte
della
tragedia senza appressarsi a’ gran modelli. Giova
ella poesia tragica Riouperoux autore di un’ Ipermestra: La Fosse che
della
Venezia salvata di Otwai formò il suo Manlio Capi
o Manlio Capitolino trasportando agli antichi Romani il fatto recente
della
congiura di Bedmar contro Venezia, e che compose
romanzesco e tralle altre un Amasi rappresentato nel 1701, argomento
della
Merope trasportato nell’Egitto, in cui anche regn
esi volendo rimediare Longepierre compose una Elettra tutta sul gusto
della
greca tragedia, semplice, senza episodj, senza sf
ò. I Francesi si confermarono nella credenza di esser passata la moda
della
greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’
a moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’effetto
della
debolezza del Longepierre. In tale stato trovavas
virtù eroica è personaggio ozioso sino all’ atto quinto. La condotta
della
favola merita riprensione per certi racconti inte
oliloquio puramente narrativo, e per la poca corrispondenza del tempo
della
rappresentanza con quello degli evenimenti. Lo st
tanza con quello degli evenimenti. Lo stile del Romolo si risente più
della
precedente del difetto generale delle tragedie fr
o dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo
della
galanteria di Filottete che con rincrescimento si
a greca dell’inverisimile ignoranza di Edipo intorno alle circostanze
della
morte di Laio. Egli però ne tolse ogni utilità co
in Castiglia dal Bermudez e da Mexia de la Cerda, benchè al cospetto
della
Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile
è al cospetto della Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile
della
Inès generalmente è migliore di quello del Romolo
o ancora notarvisi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie
della
scena e della passione. In compenso i suoi caratt
visi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie della scena e
della
passione. In compenso i suoi caratteri mi sembran
edia che ne porta il nome: il suo Pirro è più grande ancora del Pirro
della
storia: grande, feroce, malvagio, ambizioso e pol
ato come virtuoso. Egli, non sapendo se Ninia viva, machina la rovina
della
propria sorella, cui, mancando il di lei figliuol
o dalla storia alla famosa conquistatrice reina degli Assirj. A vista
della
manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi cos
’amistà dell’ altro dottissimo gesuita Brumoy gl’ inspirarono l’amore
della
bella letteratura greca e romana; le opere del Cr
letto l’Edipo di Cornelio33, contando appena nel 1718 anni diciannove
della
sua età34, quando scrisse e pubblicò il suo Edipo
ro M. de la Motte. Ci basti dire che Voltaire conservò molte bellezze
della
greca tragedia, che non seppe scansarne alcune du
greca tragedia, che non seppe scansarne alcune durezze nella condotta
della
favola, e che l’amoroso episodio di Teseo e Dirce
batista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna, che fu l’origine
della
lunga contesa ch’ebbe con lui il Voltaire. La Mar
e la scena seconda dell’atto V, in cui ella posta nel maggior rischio
della
sua vita sdegna di seguir Varo che vuol salvarla.
i personaggi alla francese. In fatti i Tartari e i Cinesi dell’Orfano
della
Cina, gli Arabi Musulmani e gl’ idolatri del Fana
a il padre a lasciar di regnare. Egli ha migliorato anche l’artificio
della
parlata di Antonio, facendo portare per ultimo co
e nozze, sembra che la di lei morte non possa concepirsi come castigo
della
sua passione. Intanto questo quadro felice intere
a’ componimenti giustamente applauditi? Nondimeno la lettura riposata
della
tragedia toglie alla critica tutta la forza. Zair
rito di essere stata la prima a mostrare sulle scene francesi i fatti
della
nazione. Shakespear ha preparata la materia della
ne francesi i fatti della nazione. Shakespear ha preparata la materia
della
Zaira colla tragedia di Othello. Un eccesso di am
a Maria Vermejo. Riscuoteva da circa due lustri gli applausi concordi
della
più culta Europa la Merope del marchese Maffei, q
per la Merope del Maffei. Comunque ciò sia egli si valse del migliore
della
tragedia italiana, ma cercò di accomodarla meglio
Il nome che non combina, non basta a metterla nello stato di certezza
della
morte del figlio, potendovi essere diversi possib
l vecchio che impedisca l’ esecrando sacrificio di un figlio per mano
della
stessa madre che pensa vendicarlo. In tal tragedi
lcuna di tali riflessioni non isfuggì al dotto Calepio, e e mal grado
della
di lui parzialità per la Merope Volteriana non po
r la Merope Volteriana non potè lasciar di dire che nel miglior punto
della
passione rimane una fantasima, una chimera. Ciò d
belle arti e alla gioventù coprendo di fiori i loro difetti. L’epoca
della
pubblicazione e rappresentazione del Fanatismo o
dell’ atto IV di Zopiro con Seide e Palmira e singolarmente la quinta
della
riconoscenza, la quale se non è nuova, almeno avv
rappresentazione quella di uno scellerato felice e trionfante a spese
della
virtù disgraziata. Voltaire stesso soddisfece a q
figge d’ inspirare tutto l’abborrimento pel fanatismo, il quale abusa
della
religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti
ella religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti in pregiudizio
della
virtù. Il frutto morale dunque di questa tragedia
agedia è manifesto essere il prevenire gl’ incauti contro l’illusione
della
superstizione; e per conseguenza la di lei erappr
rice delle Instituzioni di Fisica secondo la filosofia di Leibnitz, e
della
traduzione de’ Principj di Newton, la quale termi
l fine a cui siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza
della
virtù della religione Cristiana che consiste nel
siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza della virtù
della
religione Cristiana che consiste nel perdonare ed
sempre in compenso vi trionfano l’umanità, l’orrore al vizio, l’amore
della
virtù. Alzira, Zamoro, Gusmano ed Alvaro sono per
Voltaire, e le situazioni tragiche vi si veggono animate dalla pompa
della
decorazione. Tutta l’azione però è fondata sull’a
zione dello spettatore, ma inferiore a fronte dell’interesse politico
della
tragedia nazionale di Eschilo. Soffre poi l’ombra
no alla presenza de’ principi, de’ satrapi, de’ maghi e de’ guerrieri
della
nazione, riesce così poco credibile al nostro tem
’arcano? Il poeta si è perduto nel suo piano, e dà la più atroce idea
della
divinità. V Tutte le situazioni tragiche non hann
e non hanno un solido fondamento. Qual sicurezza ha Ninia del delitto
della
Madre? La lettera di Nino moribondo a Fradate, no
dal Dolce, dal Shakespear, dal Conti, dal Maffei, pensò all’argomento
della
Semiramide o per la celebre tragedia del Manfredi
mi atti deludono le speranze che fanno nascere i precedenti. L’Orfano
della
China rappresentata nel 1755 non è la stessa azio
o troppo poco si sforza di sapere con distinzione l’apparente delitto
della
figlia; ella mal si difende; i Giudici non mostra
ds du Midi, du Nord & de l’ Aurore. Nobile e propria de’ tempi
della
cavalleria è pure il bell’ orgoglio di Amenaide n
viluppo romanzesco, ma non si sostenne che l’ Amasi che è l’argomento
della
Merope. Guymond de la Touche nato nel 1729 e mort
de di credito nella lettura per lo stile duro e scorretto. Il maestro
della
Poetica Francese M. de Marmontel più volte si pro
si da tanti secoli? Che rappresentarono i Greci se non gli evenimenti
della
loro storia? Che i Latini stessi nello Scipione d
ntano sotto la di lui penna dispregevoli e piccioli. L’Orazio Coclite
della
Francia, il famoso Bajardo detto il Cavaliere sen
e aspirava alla gloria di tragico, avea ben false idee dell’eroismo e
della
virtù. Ma se egli travide nel dipingere gli eroi
ne maneggiata con gravità tragica o almeno con intelligenza e pratica
della
scena41? Noi abbiamo accennato queste poche cose
gra la fama dell’ Avogadro formandone un basso traditore e un mezzano
della
propria figliuola, e con documenti istorici che a
frire, al dir del cardinal Bembo, desiderano tornare sotto il dominio
della
repubblica. Il conte Luigi viene particolarmente
mbara natogli di una Francese, implora la giustizia de’ nuovi padroni
della
città, non è ascoltato. I mali pubblici e le priv
l’ Avogadro un ribelle, cioè un suddito oppresso che non ha la virtù
della
tolleranza, e che disperando di ottener giustizia
stessa cosa essere in questa forma ribelle, che scellerato, ruffiano
della
figliuola, traditore di Bajardo e Gastone, e vile
uesto Avogadro dipinto sì neramente è figlio legittimo di Belloy, non
della
storia. Le scelleraggini, le infamie, gli assassi
e l’esattezza consiste in osservare che ciò non si dica dallo storico
della
vita di Bajardo, dando tutto il peso di una pruov
non dovè egli dubitar vivendo! Du-Bos che ignorava molto meno di lui
della
storia, narrò ciò che si trova dagli storici rife
Dalla più ragguardevole. L’assassino, l’infame, il poltrone Altemoro
della
tragedia si dice essere il principe d’Altamura Na
Cattolico, al marchese di Pescara? E qual parte ebbe questo Scipione
della
storia moderna nelle furbesche trame uscite dal c
colla maggiore indegnità, come mostro, come carnefice? Essendo amico
della
Francia avea quel pontefice desiderato che il fam
non rimangono che i nomi, mancando loro la nota del genio, l’armonia
della
versificazione, la correzione del linguaggio e la
ll’amore. La Chapelle fece anche una Cleopatra non lontana dal merito
della
sua Merope. 29. Feu M. de la Motte (diceva Volt
ente che il tetro e forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira,
della
Merope e della Zaira. Crebillon batteva un sentie
ro e forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira, della Merope e
della
Zaira. Crebillon batteva un sentiero ben differen
40. Voltaire lo motteggiò nella sua satira le Pauvre Diable, e
della
di lui Didone disse: Le quel jadis a brodé que
secondo il Bembo. 47. Principi d’Altamura furono in regno i signori
della
famiglia del Balso già estinta nel principe Pirro
le parti ingenue, il 1814, nella Compagnia di Elisabetta Marchionni,
della
quale eran parte il padre e la madre. Nel 1819 so
cietà col Meraviglia. Con gli insegnamenti del padre, del Domeniconi,
della
Marchionni, con la fermezza della volontà, e la s
gnamenti del padre, del Domeniconi, della Marchionni, con la fermezza
della
volontà, e la squisitezza dell’ingegno potè in br
Zocchi, si unì in moglie ad Antonio Colomberti il primo attor giovine
della
Compagnia, col quale passò poi, il ’28 e ’29, in
invece per la Colomberti. Fu poi la prima donna e prima donna giovine
della
Compagnia formata da Carolina Internari in societ
vorno, e colà sgravatasi d’un bambino, fu colta da febbre d’infezione
della
quale morì, non ancor tocco il trentesimo anno de
Miani Rinaldo. Veneziano. Dall’ arsenale
della
sua patria, dov' era impiegato, passò a recitar l
embre del '97, una sua azione spettacolosa, intitolata il Gran Torneo
della
Grecia, ch' ebbe una replica. Miani Anna. Nacque
r impararvi il mestiere, ma, educata alle scene, nella filodrammatica
della
città, dall’ ex-artista drammatico Zuccato, fuggì
casa, dopo la morte del padre (1836), per sottrarsi alla risoluzione
della
madre che volea far di lei una istitutrice, e si
l quale recitò, dopo la Carolina Santoni che l’aveva creata, la parte
della
protagonista nella Maria Giovanna. Abbandonò dopo
ietro, ove tranquillamente visse fino al 18 dicembre del 1888, giorno
della
sua morte.
i all’istituzione de’ loro concittadini» (VII.III.18). Se c’è un eroe
della
storia — eroe musicale non politico — questi è, o
ente provato in mezzo a una delle più brillanti corti d’Europa. Parlo
della
corte di Vienna, nell’aulico teatro della quale f
lanti corti d’Europa. Parlo della corte di Vienna, nell’aulico teatro
della
quale fu menata la mentovata Alceste del dotto Ca
e Cristoforo Gluck. Questa musica è sì conforme all’idea qui espressa
della
musica teatrale, ch’io, osservata così ben intesa
proprie parole di questo dotto maestro quanto abbiamo fin qui esposto
della
musica teatrale, e di accattare a me credito con
sono i «precetti» cui il critico allude (segue la citazione integrale
della
celebre Dedicatoria al Granduca Leopoldo per l’Al
tutte le sillabe ancora di ciascuna parola» (III.III.8); la tirannia
della
musica sulle parole, del suono sul senso finiva c
cino a morte, si mettesse a notomizzare con elegante arguzia i motivi
della
volubilità umana: «Se una persona arsa di sdegno
eminate a piene mani dall’artista, non dovevano mai smarrire la guida
della
Ragione e della Natura, queste due inseparabili d
mani dall’artista, non dovevano mai smarrire la guida della Ragione e
della
Natura, queste due inseparabili dèe che vegliano
storia. Il libro, s’intende, non è tutto qui, nell’arringa in favore
della
riforma Calzabigi-Gluck. Le intenzioni dell’autor
sventura che possa avvenire a uno stato» (Prefazione, 6). A sostegno
della
tesi, cui il critico cerca riscontri dappertutto
rinuncia a un tentativo di disamina fisiologica intorno agli effetti
della
musica sulle fibre umane: la fonte è autorevole,
ome altrettante corde di uno strumento (quel che ai bruti, in ragione
della
differente ‘macchina’, non accadrebbe): «noi sper
hé nell’ascoltare un suono soffriamo talora un tremore in alcun luogo
della
nostra macchina. Dunque i nostri nervi hanno anch
rofitto» (III.I.5). In realtà, non tutto gioca a favore dei moderni e
della
loro grande sapienza formale. Planelli è infatti
coerente funzione educativa e parenetica, anche in termini militari,
della
musica nel mondo classico. Si tratta di idee molt
stato del resto questo il principio ispiratore dei colti classicisti
della
Camerata dei Bardi? Ecco allora l’elogio della me
dei colti classicisti della Camerata dei Bardi? Ecco allora l’elogio
della
medietas espressiva, con l’invito, nel canto, a e
o intendo l’arte d’esprimere co’ moti del corpo e colla modificazione
della
voce, i diversi sentimenti che si vogliono comuni
pel canto, né per la pronunziazione» (IV.II.8). Sugli usi e gli abusi
della
vocalità Planelli si sofferma a lungo: «deve in p
nto deve essere in ogni parola intellegibile e «far sentire il numero
della
poesia, e non dar nel farnetico d’alcuni, che si
(IV.II.15: a sfida un cantante aveva detto d’aver intonato «un pezzo
della
gazzetta corrente, senza che persona se ne avvede
ndri, gli scipioni, i cesari delle nostre scene dispongono del destin
della
terra con una voce che muove invidia nelle italia
richiamo delle incantatrici e degli incantatori. Le leggi inesorabili
della
verosimiglianza valgono anche per la scenografia.
i tutta italiana, di Ferdinando Galli Bibiena, dei suoi discendenti e
della
sua scuola; e dispensa le solite raccomandazioni:
Vienna di Noverre, Gasparo Angiolini, sodale di Gluck): «il patetico
della
danza consiste nell’imitazione di que’ movimenti
esse di osservazioni teoriche e pratiche sull’effettivo funzionamento
della
macchina musical-teatrale si concluda con un plai
ella macchina musical-teatrale si concluda con un plaidoyer in difesa
della
moralità del teatro. Planelli veste i panni di un
(il libretto): «procurerà in esso che i personaggi non parlino troppo
della
divinità, né (ove sieno pagani) secondo la grosso
stenda lunghe note di facile erudizione per richiamare passi di padri
della
Chiesa e di moderni prelati e vescovi che avevano
issimi oggetti; perché gli guarda come una delle più possenti cagioni
della
perfezione o della decadenza delle belle arti, de
ché gli guarda come una delle più possenti cagioni della perfezione o
della
decadenza delle belle arti, della formazione o de
possenti cagioni della perfezione o della decadenza delle belle arti,
della
formazione o del corrompimento del publico costum
no ancora ad avere un teatro. È lo stato delle belle arti un articolo
della
maggiore importanza per la felicità e ’l lustro d
l costume delle nazioni. Le rappresentazioni tragiche, in cui i poeti
della
Grecia poneano nel più terribile aspetto la tiran
lla per volgere a lor talento gli animi de’ loro popoli. Degno perciò
della
comun riconoscenza è quel savissimo magistrato, i
stume, direzione in cui consiste il più sacro e il più augusto dritto
della
sovranità, e allontana da’ teatri qualunque rappr
peterci quello che tante volte e da tanti secoli ci è stato insegnato
della
tragedia antica, della commedia, del dramma rusti
e volte e da tanti secoli ci è stato insegnato della tragedia antica,
della
commedia, del dramma rusticale, e d’altrettali dr
qualunque altro è capace d’influire nel progresso delle belle arti e
della
publica costumatezza. Pure una sì nobil materia,
M. con pronto compiacimento può dare all’illustre autore il permesso
della
stampa, perché in tutta l’opera si scorge quest’u
ova dell’antichità delle opere in musica ne somministrano gli statuti
della
Compagnia del Gonfalone16. Fu questa congregazion
ituita in Roma nel 1264 per principal fine di rappresentare i misteri
della
passion del Signore, la qual rappresentazione fu
e decorazioni17. E poiché il principale intendimento dell’istituzione
della
prefata compagnia fu, come dicemmo, di decentemen
oli d’ignoranza divenuta imperfettissima, particolarmente nella parte
della
poesia, ciò è del dramma. [Sez.I.1.0.8] Erano qu
altra storia, vite, vangeli; e denominazioni anche più strane, colpa
della
barbarie de’ tempi, qualche volta ancora sortiron
tare e a cantare que’ melodrammi27. [Sez.I.1.0.10] La prova maggiore
della
bellezza verso cui procedeva in quel secolo l’ope
0 rappresentati avanti al granduca. Nel 1595 pose in musica Il Giuoco
della
Cieca, altro dramma della Guidiccioni, e nel 1600
granduca. Nel 1595 pose in musica Il Giuoco della Cieca, altro dramma
della
Guidiccioni, e nel 1600 la Rappresentazione d’ani
ivano alla vaghezza del nostro spettacolo, non si potea dir lo stesso
della
poesia. E quantunque fin da’ principi del secolo
endo che i melodrammi allora usati molto si allontanavano dalle leggi
della
drammatica, confortarono Ottavio Rinuccini a tess
sfacesse. In questo senso ancora l’Harvey è riguardato come inventore
della
circolazione del sangue. [Sez.I.1.0.20] Non pote
ove questa perfezione consista. [Sez.I.2.0.2] In qualunque opera, sia
della
natura o dell’arte, perfezione appelliamo l’unifo
era, sia della natura o dell’arte, perfezione appelliamo l’uniformità
della
tendenza delle parti a un fine medesimo. Così per
ol riflettere che la parte predominante di questo spettacolo è quella
della
poesia. Il che è sì vero, che tra tutte le altre
teriore che ne usurpa: come un ritratto, a cui si attribuisce il nome
della
persona, onde imita l’esteriori fattezze. Così an
ice avvenimento facendo prorompere altri in voci d’allegrezza, alcuni
della
lieta adunanza, per dare maggior risalto a queste
la musica e la danza, si vagliono di mezzi naturali, come del colore,
della
figura, del suono, i quali la natura medesima ado
l suono, i quali la natura medesima adopera, quando voglia avvertirne
della
presenza di qualche obbietto, o l’un dall’altro v
sentimento ch’io pruovo è il diletto col quale l’armonia de’ versi e
della
rima cattivasi il mio udito: ma a questo ne succe
e mettono nelle opere loro: il che esser vero, chiaro apparirà quando
della
simmetria si sia formata una distinta nozione. Si
aglianza di due lunghi sermoni, come fa di quella de’ due primi versi
della
Gerusalemme Liberata? La seconda regola è di adop
one si rende oscura a’ sensi, e più scema per conseguenza la bellezza
della
loro simmetria. Onde avviene che la simmetria più
e doppia, sarà più piacevole di quella che dalla tripla, e questa più
della
seguente, e così in avanti, per vigore della seco
lla tripla, e questa più della seguente, e così in avanti, per vigore
della
seconda regola. Perciocché quando più questa ragi
voli simmetrie. Tuttavolta, siccome non tutti i sensi sogliono essere
della
medesima acutezza in un uomo, perciò spesso avvie
persona esercitata nell’architettura, alla prima occhiata si accorga
della
ragione di due architettonici membri, ma non se n
. Un simile artificio prescrive la poesia per la sonorità del verso e
della
rima, e da questo artificio stesso dipende la mel
lla rima, e da questo artificio stesso dipende la melodia e l’armonia
della
musica, siccome altrove si mostrerà. Né solamente
i mostrerà. Né solamente l’estetico di tali facultà, ma quello ancora
della
natura prende origine dalla simmetria. Bello in e
de origine dalla simmetria. Bello in effetti è un volto, se l’altezza
della
fronte, quella del naso, quella dello spazio comp
spazio che un occhio divide dall’altro, la larghezza del naso, quella
della
bocca (non compresavi la ripiegatura dell’estremi
i questi spazi sieno tra le medesime parallele compresi; se l’altezza
della
fronte sia il doppio della sua ampiezza e quella
medesime parallele compresi; se l’altezza della fronte sia il doppio
della
sua ampiezza e quella del volto intero il triplo
o della sua ampiezza e quella del volto intero il triplo dell’altezza
della
fronte; se la lunghezza d’un ciglio sia una volta
correndo per gli altri membri, siccome insegnano coloro che scrissero
della
simmetria del corpo umano. Da’ quali si può appre
l’ascoltare per esempio un poetico verso il mio spirito s’accorge che
della
totalità di quello egli può, se vuole, venire in
che della totalità di quello egli può, se vuole, venire in cognizione
della
grandezza di ciascuno de’ piedi che lo compone: p
rciocché in questo il verso differisce dalla prosa, ch’egli per mezzo
della
cadenza fa sentire la grandezza e ‘l numero delle
arti. Nell’ascoltar poi un seconde verso, questo gli riproduce l’idea
della
misura del primo e di tutti i suoi piedi. Al cont
ncora in un ordine d’architettura egli gode in avvedersi che ciascuna
della
parti contiene come in compendio la misura di tut
allo egli può facilmente dedurre quella di ciascuna sua parte, quella
della
colonna e di ciascuna ancora delle sue parti, e d
e di ciascuna ancora delle sue parti, e dell’architrave, del fregio,
della
cornice, e sì pure quella di tutti i piccioli mem
tti in simmetria: questa seconda idea come più feconda, più diletterà
della
prima. Non mi si opponga che niuno nel mirare la
sì fatte idee troppo cariche di simmetrie cagionerebbero allo spirito
della
fatica, o, che vale il medesimo, del dolore; onde
o al suggetto che si vuol presentare, fanno che lo spirito si avvegga
della
finzione. Insomma il piacere patetico cagionato d
e il cammino ch’esse debbono tenere, dappoi che si sarà veduto quello
della
poesia. Cap. I. Dell’estetico del melodramma
l’estetico del melodramma § I. Quali sieno i fonti dell’estetico
della
poesia [Sez.II.1.1.1] Sono gli uomini dalla na
che campeggi nelle opere nostre. [Sez.II.1.1.2] Di qui è che i padri
della
poesia, nel dispone le loro locuzioni, altro prim
vi co’ lunghi alternando. [Sez.II.1.1.3] Tal fu l’artifizio de’ padri
della
poesia, massime della metrica, cioè di quella ond
do. [Sez.II.1.1.3] Tal fu l’artifizio de’ padri della poesia, massime
della
metrica, cioè di quella onde l’estetico consiste
ome fu la greca e la romana. La poesia, in quanto è metrica, è spezie
della
musica metrica, che considera le durate de’ suoni
re, de’ tamburi), la quale altra bellezza non ha che quella che nasce
della
ragione, che passa fra i tempi delle percosse di
ngua d’alcune nazioni non distingueva tanto la brevità e la lunghezza
della
sillabe, quanto i tuoni di esse, cioè l’acutezza
delle altre colte lingue viventi. Siccome la poesia metrica è spezie
della
musica metrica, così la poesia armonica è spezie
trica è spezie della musica metrica, così la poesia armonica è spezie
della
musica armonica, la quale considera l’acutezza e
nasca da questa differenza di tuoni allora appieno s’intenderà quando
della
musica armonica si sarà ragionato. [Sez.II.1.1.5]
ne debba alla loro brevità e lunghezza. Intendo solo che la bellezza
della
prima più dipendea dal tempo che dal tuono delle
r di quanto la musica d’un gravicembalo, d’un violino è più pregevole
della
musica d’un timpano, d’una nacchera, di tanto la
timpano, d’una nacchera, di tanto la poesia armonica è più pregevole
della
metrica. Tanto più che gl’inventori della poesia
ia armonica è più pregevole della metrica. Tanto più che gl’inventori
della
poesia armonica introdussero in questa una nuova
amma [Sez.II.1.2.1] Come da questi cinque fonti derivi l’estetico
della
poesia italiana, i nostri maestri di poetica il d
erti, di Claudio Tolomei e di quegli altri autori de’ versi, e regole
della
Poesia nuova (uomini per altro letteratissimi), i
mi), i quali si affaticarono d’introdurre nelle poesia nostra i metri
della
latina, non accorgendosi che la diversa indole de
i dell’italiana poetica più attenzione avessero accordata alle regole
della
distribuzion delle lunghe e delle brevi, è solo p
guali esso adoperi, e qual uso far vi si debba del tuono, del tempo e
della
rima nelle sillabe che quei versi compongono. E p
si possono incontrare. Tuttavolta i più notabili sono l’accento acuto
della
penultima sillaba de’ versi piani, e un altro che
ro, o non mai nelle arie loro unirono versi ineguali, privando queste
della
bellezza che quella ineguaglianza, ove sia ben co
tarda, È la più barbara. La peggior morte. [Sez.II.1.2.23] E fin quì
della
mescolanza de’ versi ineguali. Avvertiremo però,
di brevi, colla cortezza loro (la quale fa spesso sentire il ritorno
della
simmetria) sogliono riuscire ameni, e però poco a
lasse degli affetti piacevoli. [Sez.II.1.2.32] Mi rimarrebbe a parlar
della
rima. Ma di questa non si possono assegnar regole
iolti e tal altra rimati. Nell’unione di questi due versi, e nell’uso
della
rima, il poeta non è noiato da alcun precetto; e
regole che riguardano il patetico del melodramma sono quelle medesime
della
tragedia; né di proprio esso ne ha che pochissime
Aristotile insino a noi, per gli tanti scienziati uomini che le leggi
della
tragedia insegnarono. La qual ripetizione, comech
gedia insegnarono. La qual ripetizione, comeché scusabil fosse in chi
della
tragedia in generale impreso avesse trattato, non
tutta sta in poche mutazioni fatte alle leggi di questa, per ragione
della
diversità che passa tra’ nostri costumi e quelli
e le leggi appartenenti all’unità del luogo, all’esito tristo o lieto
della
favola, al carattere del protagonista, al numero
omenta ciò ch’essa fu) lo conferma Aristotile, il quale nel Capo XIII
della
Poetica confessa che le migliori tragedie si aggi
po rigorosa unità di luogo. [Sez.II.3.0.4] Vero si è che la mutazione
della
scena tende ad estinguere l’illusione nell’animo
lo avea trasportato. Nondimeno la novità, la maraviglia, la bellezza
della
sostituita scena ripara incontanente al disordine
enzione del popolo e inebriando la sua fantasia. Insomma la mutazione
della
scena è un male; male però prudentemente adoperat
erato per ovviare a un altro anche maggiore, poiché l’interrompimento
della
drammatica illusione non dura che un momento. Ma
rosa unità offende, talora irreparabilmente, il costume e la condotta
della
favola, vale a dire le più essenziali qualità che
ragedie, che di essa rimangono, spirano da per tutto questo carattere
della
nazione: essendo i personaggi di quelle magnanimi
ntazione alcuna; da che noi non sentiamo troppa compassione e terrore
della
sciagura d’un tristo meritevolmente punito, e mol
personaggi, ed esortando a sostenere in pace i sopportabili incomodi
della
sua condizione, col mostrar la grandezza sottopos
lodramma, le quali efficacemente ci persuadono ad entrare nel cammino
della
virtù, che veggiamo dalla provvidenza sì dichiara
oro una musica cianciosa troppo e snervata. Nondimeno questi lodatori
della
sola antichità poteano pur riflettere non esser q
eglino degneranno d’un’ occhiata ciò che nella citata sezione diremo
della
musica teatrale, io spero che in avvenire non odi
ltro contenere che le formole, diciam così, del dolore, dello sdegno,
della
tenerezza, della disperazione, del timore o di ta
e le formole, diciam così, del dolore, dello sdegno, della tenerezza,
della
disperazione, del timore o di tal altra passione.
. L’aria che termina queste scena avrebbe dovuta essere il linguaggio
della
costernazione del medesimo protagonista, come in
li o vere, se ne fa un capitale per cantarsele a casa». La fievolezza
della
ragione mostra abbastanza di qual valore sia quel
arie? Ma il poeta non dee consumare nel recitativo gli estremi sforzi
della
passione. Questa vuol nascere e sollevarsi nel re
l loro stato: che perdita per lo teatro! Quante volte que’ capolavori
della
drammatica hanno svegliata la compassione nel più
allegorie ecc., le persone di buon senso le stimeranno sempre proprie
della
lirica, dell’epica, della didascalica, ma rare vo
di buon senso le stimeranno sempre proprie della lirica, dell’epica,
della
didascalica, ma rare volte della drammatica, e qu
re proprie della lirica, dell’epica, della didascalica, ma rare volte
della
drammatica, e queste rare volte solo in bocca di
enso. Quando all’opposto, se l’aria contenesse le più vive pennellate
della
passione cominciata nel recitativo, egli con una
l recitativo, per modo che l’aria nasca dal recitativo come germoglio
della
radice. Crede per avventura il lettore che io avr
olte snerva e insipidisce le arie, e che tende ad estinguere il fuoco
della
poetica fantasia, là dove più converrebbe che fos
abbandonare la malvagia usanza di terminar l’aria alla quarta replica
della
prima parte, e non piuttosto, come sarìa di ragio
e un tal sopruso, e speri intanto che il buon gusto rimetta gli occhi
della
mente alla virtuosa famiglia. § III. Del loro
n gravi al mio lettore che sulla generazione del suono e sulla natura
della
musica in genere io premetta alcune osservazioni
i osservazioni servir di princìpi alle regole appartenenti allo stile
della
musica teatrale, e in altre sezioni ancora a quel
a minore. [Sez.III.1.1.3] Da ciò si vede che la simmetria è l’origine
della
consonanza de’ tuoni. E se i maestri di musica in
gevolmente si spiega perché la quinta sia una consonanza più perfetta
della
terza maggiore, e questa più della terza minore;
ta sia una consonanza più perfetta della terza maggiore, e questa più
della
terza minore; e colla faciltà medesima se uopo il
ro, che unico, semplicissimo, costante è il principio dell’estetico e
della
bellezza sensibile, sì naturale, come artifiziale
anze (in cui consiste la musica armonica) l’unico fonte dell’estetico
della
musica. Esso tre altri ne ha, e sono: 1. la varia
re altri ne ha, e sono: 1. la varia durata delle note, ch’è l’oggetto
della
musica metrica; 2. la varietà de’ movimenti, o ta
etrica; 2. la varietà de’ movimenti, o tardi o presti, ch’è l’oggetto
della
musica ritmica; e 3. la varia intensità de’ tuoni
ù ricco, più vario, più artifizioso che l’antica non ebbe, l’estetico
della
quale fu semplicissimo. Tre invenzioni soprattutt
ve, per quanto da quelle notizie si ritrae, che fino a noi pervennero
della
loro musica stromentale. È chiaro che una musica,
ngasi al patetico di quest’arte. §. III. Dove consista il patetico
della
musica [Sez.III.1.3.1] Ciascuna passione port
ersona, e senza sapere l’attuale stato dell’animo suo, dal solo tuono
della
sua voce ci accorgiamo non solamente s’ella sia a
no or l’altro di tai tuoni, secondoché convenivano alle diverse parti
della
sua diceria50. [Sez.III.1.3.2] Ora il patetico de
le diverse parti della sua diceria50. [Sez.III.1.3.2] Ora il patetico
della
musica consiste nell’imitazione di questi tuoni,
tico della musica consiste nell’imitazione di questi tuoni, per mezzo
della
quale essa ci dispone gagliardamente al concepime
uella imitazione o ritratto. Tale appunto è il modo, onde il patetico
della
musica opera sulle spirito umano. Né questa azion
dell’animo. [Sez.III.1.3.3] Di qui si vede che il patetico, non solo
della
musica, ma di tutte le arti piacevoli, opera sull
tto corrisponda infallibilmente un altro moto nelle anzidette regioni
della
nostra macchina. E da queste agitazioni, che ivi
hé nell’ascoltare un suono soffriamo talora un tremore in alcun luogo
della
nostra macchina. Dunque i nostri nervi hanno anch
i natemi in mente, che mi rendono assai verisimile l’azione immediata
della
musica sul meccanismo de’ nostri affetti. La qual
di quegl’infermi che la Puglia chiama tarantolati. I quali effetti né
della
pittura, né della scultura, né si narraron mai di
he la Puglia chiama tarantolati. I quali effetti né della pittura, né
della
scultura, né si narraron mai di qualunque altra d
overe esporre in breve il mio sentimento intorno all’azione immediata
della
musica sul meccanismo delle passioni, perché potr
in alcun modo contribuire nel capitolo seguente a determinar lo stile
della
musica teatrale. § IV. Altra differenza tra la
antica. Pervennero i Greci a sì perfettamente analizzare questa parte
della
lor musica, ch’essi in breve tutti i modi ebbero
ci otteneano con una semplice osservanza delle regole di quella parte
della
musica. Tra’ nostri componitori e i Greci quel di
o il patetico dell’antica musica così regolare e così certo, e quello
della
moderna sì incerto e sì disordinato. La prima è l
tetici, sulla fantasia e sulla memoria, da’ quali dipende il patetico
della
musica. [Sez.III.1.4.6] La seconda ragione è l’id
o della musica. [Sez.III.1.4.6] La seconda ragione è l’idea che hanno
della
musica i moderni maestri, diversa da quella che n
ll’orecchio. Quindi è ch’essi rinvennero le vere ed invariabili leggi
della
melodia e dell’armonia, ma niuna di quelle che ap
ndi Ateneo ci assicura, che colla musica insegnavano i Greci i doveri
della
religione e della morale, e le azioni e gli esemp
cura, che colla musica insegnavano i Greci i doveri della religione e
della
morale, e le azioni e gli esempi degli uomini ill
ive Polibio55 di due popoli d’Arcadia, l’un de’ quali adottando l’uso
della
musica divenne virtuoso e colto, l’altro dispregi
[Sez.III.1.4.9] Ma come erano giunti i Greci a formare sì giusta idea
della
musica? Condotti dalla loro propria esperienza. E
i dalla loro propria esperienza. Essi erano stati istituiti per mezzo
della
musica, e a questa erano debitori della loro cult
ano stati istituiti per mezzo della musica, e a questa erano debitori
della
loro cultura. Lino, Orfeo, Cadmo, Anfione, da’ qu
allora menata, e a godere sotto la protezion delle leggi le dolcezze
della
civile società, di quella si erano serviti ad uma
i ferini. Perciò fu di essi allegoricamente favoleggiato che al suono
della
lira fossero pervenuti ad ammansir le fiere, e a
r le fiere, e a indurre i sassi stessi a edificar le città. Per mezzo
della
musica quegli uomini, che fino allora poco degni
remo, promulgate le leggi d’una patria nascente, istillate le massime
della
giustizia, dell’amistà, dell’amor coniugale, l’ur
] I Greci adunque, che aveano in loro stessi sperimentata l’efficacia
della
musica ad accendere e governare le passioni, furo
risce il torto ch’ebbero que’ moderni, i quali non badando all’indole
della
musica greca, e di questa giudicando come della n
on badando all’indole della musica greca, e di questa giudicando come
della
nostra, di stravagante e di ridicola tassarono la
. [Sez.III.1.4.12] Questo vantaggioso concetto che i Greci formarono
della
musica, gli portò a coltivarla con sommo studio,
à e di certezza, che godeva il patetico dell’antica musica in paragon
della
nostra. Perciocché quella fu professata dal fiore
ca in paragon della nostra. Perciocché quella fu professata dal fiore
della
letteratura d’una nazione, appo la quale le belle
fine, che formicava di sublimi ingegni, i quali portavano allo studio
della
musica un talento educato tra le scienze e le bel
Dio, il nostro secolo non cede in cultura a qualunque più florida età
della
Grecia. Ma coloro tra noi, che professano la musi
uo patetico profittar molto, come quello, che non può senza la scorta
della
filosofia andare innanzi. Onde di tutti i progres
capo seguente. Al che conduce ancora l’aver notato quanto il patetico
della
nostra musica sia tuttor lontano dalla sua perfez
amente ecclissa la bellezza del nostro spettacolo. Cap. II. Stile
della
musica teatrale. § I. Prima legge di questo
la e a muovere gli affetti. [Sez.III.2.1.2] Or primieramente lo stile
della
musica teatrale vuol poche note. Perciocché una m
cagiona alla voce dell’attore, scoprirebbe l’artifizio del compositor
della
musica: e l’aperto artifizio è, siccome ognun sa,
ambiziosi, i quali, per nulla lasciar d’intentato, invasero lo stile
della
musica stromentale. Essi acquistarono così più la
ica stromentale. Essi acquistarono così più largo campo da far mostra
della
flessibilità della lor gorga coll’imitare que’ mo
si acquistarono così più largo campo da far mostra della flessibilità
della
lor gorga coll’imitare que’ mordenti, que’ trilli
che solo per imperizia possono essere insieme confusi, e che lo stile
della
musica vocale vuol essere più sobrio e più severo
usica vocale vuol essere più sobrio e più severo assai che non quello
della
stromentale. [Sez.III.2.3.3] Mai però più che og
ersone di buon gusto, che si erano mantenute salde contro le lusinghe
della
nuova sirena, conoscendo che non erano più i temp
3.5] Questa difficilissima facultà costituisce la perfezione non solo
della
musica, ma ancora di tutte le arti compagne. Ques
quella del Marino, l’antica architettura alla gotica, la tranquillità
della
statuaria de’ Greci alla veemenza e alla vivacità
purché i maestri di cappella vi congiungano un’attenta considerazione
della
natura. Va primieramente osservato quai tuoni di
uogo in tutte le passioni, segnalatamente però lo ha nell’espressioni
della
tristezza, e dell’amore. È cosa indecente l’udire
osi in dieci diverse sembianze apparisca, né più sia, quello che uscì
della
penna dell’autor suo. Ma il freno maggiore por si
a e del brandire, che i cantanti fanno il capo, le braccia e ‘l resto
della
persona, nello stento che pruovano a cavar di goz
ormar le cadenze. Cap. III. Dello stile proprio di ciascuna parte
della
musica teatrale §. I. Stile della sinfonia d
tile proprio di ciascuna parte della musica teatrale §. I. Stile
della
sinfonia d’apertura [Sez.III.3.1.1] Dopo avere
Sez.III.3.1.1] Dopo avere co’ più necessari tratti delineato lo stile
della
musica teatrale, non ci crederemmo d’avere, quant
, se non iscendessimo a particolarmente favellare dello stile proprio
della
sinfonia d’apertura, de’ recitativi e delle arie,
ualmente legge queste nostre osservazioni sulla musica teatrale, ride
della
dabbenaggine di que’ cittadini. … Quid rides? mu
per lo più così sconnesso, come sono le nostre sinfonie a cui in pena
della
loro sconnessione si vogliono sostituire sì fatti
non condannano solamente le suddette repliche, ma le repliche altresì
della
prima parte dell’aria, e le introduzioni e ritorn
ò diviene inutile. [Sez.III.3.3.7] Io però ho molto migliore opinione
della
nazion mia. Io osservo frequentemente ch’ella si
lo, e lo condanna severamente, quando questo s’allontani dalle regole
della
drammatica e del verisimile; ch’ella condanna col
ente provato in mezzo a una delle più brillanti corti d’Europa. Parlo
della
corte di Vienna, nell’aulico teatro della quale f
lanti corti d’Europa. Parlo della corte di Vienna, nell’aulico teatro
della
quale fu menata la mentovata Alceste del dotto Ca
e Cristoforo Gluck. Questa musica è sì conforme all’idea qui espressa
della
musica teatrale, ch’io, osservata così ben intesa
proprie parole di questo dotto maestro quanto abbiamo fin qui esposto
della
musica teatrale, e di accattare a me credito con
uffizio di servire alla poesia per l’espressione e per le situazioni
della
favola, senza interrompere l’azione, o raffreddar
tante, per aver luogo di ripeter regolarmente quattro volte le parole
della
prima, e finir l’aria dove forse non finisce il s
erto degl’istrumenti abbia a regolarsi a proporzione dell’interesse e
della
passione, e non lasciare quel tagliente divario n
ella semplicità, ho evitato di far pompa di difficoltà in pregiudizio
della
chiarezza; non ho giudicato pregievole la scopert
ual pronunziazione convenga all’opera in musica. Cap. I. Importanza
della
pronunziazione nell’opera in musica [Sez.IV.1
o intendo l’arte d’esprimere co’ moti del corpo e colla modificazione
della
voce, i diversi sentimenti che si vogliono comuni
tra’ romani oratori. [Sez.IV.1.0.3] Le parole adunque hanno mestieri
della
pronunziazione, massimamente quelle destinate al
en persuasi di tal verità: appo di essi non v’era arte più necessaria
della
pronunziazione. In questa i Greci e i romani si e
tiranno di Sicione rifiutò Ipoclide ateniese, che aspirava alle nozze
della
figliuola, per essersi accorto non aver lui una m
a, Demostene e Cicerone, a due attori doveano in buona parte la forza
della
loro trionfatrice persuasione. Il romano oratore,
ttantoché sì dolorose ammonizioni nol condussero ad apprendere l’arte
della
pronunziazione dell’attore satiro76. E d’allora i
stri oratori sdegnano d’accordarle una seria occupazione, e i chironi
della
gioventù nostra non ebbero mai pur sospetto, che
iameremmo per contenti, se loro giugnessimo a persuadere l’importanza
della
pronunziazione. Gl’istrioni de’ drammi recitati d
di memoria i nomi dell’Acquino, di Catterina Aschieri, del Nicolini,
della
Tesi, perché sopra gli altri si distinsero in que
in musica, e non in quelli di drammi recitati? Ognuno, che sia capace
della
menoma riflessione, converrà con noi che ciò sia
ente adoperato, da che, pizzicando molto del giocolare, più proprio è
della
commedia che della tragedia. Né a torto Aristotil
che, pizzicando molto del giocolare, più proprio è della commedia che
della
tragedia. Né a torto Aristotile si ride di que’ c
i il cuore assai più profondamente che con gesto sostenuto dal valore
della
poesia e del canto. § II. Della voce [Sez.
anto. § II. Della voce [Sez.IV.2.2.1] Quanto alla modificazion
della
voce, è quest’arte più necessaria agli attori di
no come l’anima d’una danza. Veggiamo adunque ciò che in questa parte
della
pronunziazione esiga il popolo dalla diligenza d’
d’essere cuculiato a doppio, se la parli come facea la buona femmina
della
mamma nel dialetto del suo paese. [Sez.IV.2.2.3]
scodate e languide, com’è pur vezzo di molti. Il che facea dire a uno
della
loro professione, che si fidava di cantar sulla s
della loro professione, che si fidava di cantar sulla scena un pezzo
della
gazzetta corrente, senza che persona se ne avvede
; Questo è un cavallo”. [Sez.IV.2.2.4] III. Dee far sentire il numero
della
poesia, e non dar nel farnetico d’alcuni, che si
, secondo i diversi sentimenti. Tal espressione esige tutto lo sforzo
della
voce, tal altra una voce dimessa. Quel passo vuol
ndri, gli scipioni, i cesari delle nostre scene dispongono del destin
della
terra con una voce che muove invidia nelle italia
ssere impiegati a rappresentar donne. [Sez.IV.2.2.7] E fin qui basti
della
pronunziazione propria dell’opera in musica. Poss
tenzione in isceglier quello che meglio esprima la passione dell’eroe
della
sua opera, e che, secondo il precetto dell’Albani
ostri pittori, che più nell’espression si distinsero, come son quelle
della
scuola romana, educata tra le opere degli antichi
la, ve gli possa discernere, e confessi l’abito rassomiglare a quello
della
nazione, del tempo e della condizione del persona
, e confessi l’abito rassomiglare a quello della nazione, del tempo e
della
condizione del personaggio drammatico. Ma il rest
erà lo stile de’ ritrattisti, che conservando i principali lineamenti
della
persona che ritraggono, gli abbelliscono con altr
co dell’arte sua. Il colore degli abiti vuol essere diverso da quello
della
scena, ma sì che facciano insieme armonia. Se la
bada in oltre a degradarlo, quando i personaggi fanno anch’essi parte
della
decorazione, nel quale caso non tutti egualmente
spettatori, ma restano in differenti siti sul proscenio95. Una legge
della
visione, osservata esattamente dalla pittura, si
Cap. II. Della scena dell’opera in musica §. I. Della vastità
della
scena [Sez.V.2.1.1] Del Peruzzi, valente pitt
agna davano la scalata all’Olimpo: noto essendo, che l’occhio giudica
della
grandezza dell’oggetto dalla grandezza delle cose
on dee il pittor delle scene troppo scrupolosamente seguire le regole
della
prospettiva, le quali non lascerebbero spazio bas
anche perché le scene facciano buon effetto vedute da qualunque lito
della
platea, e de’ palchetti. Ma questa declinazione h
on si può senza una lunga pratica, o senza una diligente osservazione
della
pratica de’ migliori maestri. §. II. Della ver
della pratica de’ migliori maestri. §. II. Della verisimilitudine
della
scena [Sez.V.2.2.1] La verisimiglianza della s
ella verisimilitudine della scena [Sez.V.2.2.1] La verisimiglianza
della
scena induce lo spettatore a credere che il luogo
ogo dove si finge l’azione. Questa verisimiglianza dipende del decoro
della
scena, e dall’esatta osservanza delle regole dell
dipende del decoro della scena, e dall’esatta osservanza delle regole
della
prospettiva e dell’architettura. [Sez.V.2.2.2] I
e non ad altro paese100. [Sez.V.2.2.3] L’osservanza poi delle regole
della
prospettiva e dell’architettura, manterrà l’illus
ne un sì fragile appoggio; quando eccoti salta in mezzo un professore
della
medesima rilassata scuola del Pozzi, e credendo c
fu ben peggiore. Io credo ch’egli in un accesso dell’eteroclito estro
della
sua scuola non avrebbe dubitato di dipingere per
vogliano esporre li grottesco. § III. Della novità negli ornamenti
della
scena [Sez.V.2.3.1] Ma non basta che la scena
; e con quella sbadataggine sua distrugge lutto il bello dell’ombre e
della
degradazion de’ colori. [Sez.V.3.0.3] Convien du
non sieno diverse, e così confondano e rendano come incerto il tuono
della
voce. [Sez.V.4.1.5] Anche l’interno de’ teatri vu
vvenuto, che in un improvviso movimento, per la scarsezza delle porte
della
platea, gli spettatori sieno restati miseramente
ono avere un’eguale ampiezza. Essi debbono corrispondere all’ampiezza
della
città a cui appartengono, e ridicola si renderebb
e a’ suoi teatri. L’estensione a cui un teatro può giugnere, è quella
della
portata d’una voce mandata fuora senza stento. [
mento un’assai ambigua pruova. Mercecché, tirando così l’attore fuori
della
scena, si viene a rendere inutile tutta la scenic
udito. Taluni crederono d’aver soddisfatto al quesito coll’invenzione
della
campana fonica, com’essi chiamano. Questa invenzi
gelosamente in sé stesso? Di più, questa campana restringe lo spazio
della
platea e togli a molti palchetti la veduta delle
re in questa figura, e si è che allarga troppo il vano, o sia la luce
della
scena. Si ripara a questo inconveniente dando al
on so intendere come si possa render visibile il teatro a que’ luoghi
della
platea e a que’ palchi, che più avvicinano a’ lat
tanandosi, s’inoltrano verso il fondo del teatro, ciò è verso la metà
della
periferia, così vadano ancora salendo di qualche
o i semituoni, che compongono la scala musicale, e altrettanti i modi
della
nostra musica) gioverebbero moltissimo a parecchi
stenuti da certi mal intesi ornamenti, che divengono eterni monumenti
della
poca abilità di chi gli ammise e imbarazzo e sfre
are ordini d’architettura. Se del sostegno tu ne formi una colonna, e
della
fascia una cornice architravata, ne avverrà delle
in musica [Sez.VI.0.0.1] Scorse le qualità del melodramma e quelle
della
musica, della pronunziazione e della decorazione
Sez.VI.0.0.1] Scorse le qualità del melodramma e quelle della musica,
della
pronunziazione e della decorazione proprie dell’o
qualità del melodramma e quelle della musica, della pronunziazione e
della
decorazione proprie dell’opera in musica, che son
me fu detto altrove, dichiarata quasi tale dall’uso. Cap. I. Natura
della
danza §. I. Che sia danza e dove consista il
ie di straordinari movimenti del nostro corpo, regolati dalla cadenza
della
musica. Ella è una delle belle arti, e si divide
tire non osservano misura o cadenza alcuna. [Sez.VI.1.1.3] L’estetico
della
danza consiste nella simmetria che passa tra’ tem
ste nella simmetria che passa tra’ tempi de’ suoi movimenti e i tempi
della
musica che l’accompagna. In effetti il rincrescim
egli non lega con simmetria veruna questi tempi de’ suoi movimenti e
della
musica. Noi siamo allora per istinto portati a mu
re alla cadenza di quest’ultima il capo, le mani, i piedi, e ‘l resto
della
persona, per aiutare il ballerino ad osservarla,
uito in perfetta cadenza. [Sez.VI.1.1.4] Un altro fonte dell’estetico
della
danza è la simmetria ch’ella osserva tra’ vari te
a ch’ella osserva tra’ vari tempi de’ suoi movimenti, simile a quello
della
musica metrica e della metrica poesia. [Sez.VI.1.
vari tempi de’ suoi movimenti, simile a quello della musica metrica e
della
metrica poesia. [Sez.VI.1.1.5] Un terzo fonte del
embra hanno tra loro) ed alla macchina intera. §. II. Del patetico
della
danza [Sez.VI.1.2.1] Il patetico della danza c
era. §. II. Del patetico della danza [Sez.VI.1.2.1] Il patetico
della
danza consiste nell’imitazione di que’ movimenti
ido ed ameno. Cap. II. Della danza teatrale § I. Connessione
della
danza teatrale col melodramma [Sez.VI.2.1.1] N
ella danza teatrale col melodramma [Sez.VI.2.1.1] Nel secondo capo
della
prima sezione fu da noi stabilita la necessità, c
imento che vi cagiona la danza? È questa una delle principali cagioni
della
poca attenzione che si dà per ordinario alla favo
.2.1.4] Ma quale sarà il modo d’ottenere sì fatta unione? Il suggetto
della
danza vuol esser tratto da quelle azioni, che il
popolo, in vedere la favola continuata non più con parole, ma a forza
della
sola danza? Posto che il ballerino abbia i talent
non raffreddi lo spettacolo, quali azioni, quali disegni sieno propri
della
danza, quali sieno da rigettare, come incapaci d’
ica non fosse espressiva. Chi ha i piedi eruditi, e chi sa il dominio
della
musica sullo spirito e sulla macchina dell’uomo,
’uomo, non dubiterà d’esagerazione in ciò che asseriamo. Queste forza
della
musica si sperimenta in un modo maraviglioso su’
la danza per la fine dell’atto, si facesse nel corso di esso. I balli
della
più volte ricordata Alceste intervengono tutti no
attacco abbiano colla favola drammatica, per condir l’opera col sale
della
varietà. Ma chi è preso da sì fatto dubbio, che m
loro opere la noiosa uniformità? Se egli avrà mai esaminata l’essenza
della
perfezione e della bellezza, risponderà all’inesp
a uniformità? Se egli avrà mai esaminata l’essenza della perfezione e
della
bellezza, risponderà all’inesperto artista, che l
a formare l’opera in musica, se si vuole che piacciano, vanno marcate
della
medesima unità. I Greci infatti aveano per vizios
danze che niuna convenienza hanno col dramma, nol fanno mica per zelo
della
varietà, ma sì perché que’ balli sono più acconci
.VI.2.2.1] Dovendo adunque il ballo teatrale essere una continuazione
della
favola drammatica, egli vuol essere atto all’espr
gli vuol essere atto all’espression degli affetti. Quindi il patetico
della
danza, o sia il pantomimo, dovrà sempre regnare i
eroica mai compariva, ma solo il cordace, pantomimo grottesco e pieno
della
licenza delle loro commedie. Il medesimo discerni
imeno, quelli tra loro che con occhio filosofico penetrarono l’indole
della
loro professione, benché eccellenti nel ballo alt
ma mischiarvi più senso; allontanarsi con grazia dalle regole strette
della
scuola per seguire le impressioni della natura, e
n grazia dalle regole strette della scuola per seguire le impressioni
della
natura, e dare alla danza l’anima e l’azione, che
crittore107, che Pilade, saltando l’Ercole furioso si accese per modo
della
passione che voleva imitare, che giunse tra le su
che essi nel ballo alto. §. III. Avvertenze intorno all’esecuzione
della
medesima [Sez.VI.2.3.1] Tutto ciò propriamente
esima [Sez.VI.2.3.1] Tutto ciò propriamente appartiene alla teoria
della
danza teatrale, donde, passando alla sua pratica,
ranti, che i primi ballerini, per la stessa ragione per cui, parlando
della
pronunziazione, si disse quella delle ultime part
z.VI.2.3.2] Procuri in oltre d’osservar tra’ ballanti la degradazione
della
statura, per modo che quanto più le figure si all
de, massimamente quando il ballo nella sua introdduzione fa una parte
della
decorazion teatrale. Ecco come anni sono si gover
no uomini ed altrettante donne. La prima classe comprendea le persone
della
più vantaggiosa statura; la seconda era più bassi
giosa statura; la seconda era più bassi di quella; la terza più bassa
della
seconda, e via via; sì che l’ultima era formata d
ente a cavallo sopra un lontanissimo ponte, il quale era più picciolo
della
persona che su vi passava; disproporzione, che of
lare con quattro sole lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta
della
più vigorosa, della più passionevole espressione1
e lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta della più vigorosa,
della
più passionevole espressione108. Si mascheri il v
que’ personaggi. [Sez.VI.2.3.7] Non mi si opponga il costante uso che
della
maschera fecero gli antichi. Questa invenzione di
olto impiastrato di fango dagli attori di Tespi, nacque nell’infanzia
della
drammatica, e sopra un rozzo teatro. Il teatro co
roprie spese, cessa ogni necessità di maschere. Da ciò che si è detto
della
maschera, s’intende ancora quanto sarebbe desider
rallegato dialogo sulla danza richiede in un ballerino l’intelligenza
della
poesia, della geometria, della musica e della fil
ogo sulla danza richiede in un ballerino l’intelligenza della poesia,
della
geometria, della musica e della filosofia. Vuole
ichiede in un ballerino l’intelligenza della poesia, della geometria,
della
musica e della filosofia. Vuole che possegga il s
allerino l’intelligenza della poesia, della geometria, della musica e
della
filosofia. Vuole che possegga il segreto di muove
lettere non solo le cognizioni poc’anzi annoverate, ma di più quelle
della
notomia, della macchinistica, del disegno, richie
lo le cognizioni poc’anzi annoverate, ma di più quelle della notomia,
della
macchinistica, del disegno, richiede in un baller
nazione, se ciascuna delle medesime merita una particolare attenzione
della
politica, vie maggiore sarà l’attenzione ch’esse
tore dell’opera in musica dee regolare il poeta drammatico, i maestri
della
musica e de’ balli, l’ingegniere, l’architetto, l
ccorgerà egli, se il poeta o il pittore abbia o no osservate le leggi
della
drammatica, della prospettiva ecc.; se il maestro
il poeta o il pittore abbia o no osservate le leggi della drammatica,
della
prospettiva ecc.; se il maestro di cappella abbia
esecuzione dello spettacolo, il buon ordine che si richiede nel luogo
della
rappresentazione e, quello ch’è dilicatissimo olt
entazione e, quello ch’è dilicatissimo oltre a ogni altro, il costume
della
nazione. Veggiamo in breve, come s’abbia egli gov
pettacolo sia ben eseguito, il direttore dee principalmente occuparsi
della
scelta degli artisti che vi s’impiegano, ed aver
compagne, sono costrette a seguir le sue leggi e a trasgredir quelle
della
loro arte. [Sez.VII.2.0.2] L’unico mezzo d’evita
esto Tarpa esamini tritamente se il libricciuolo è fatto sulle regole
della
drammatica e del buon gusto, se la musica esprima
importante oggetto pel direttore dell’opera in musica sia il costume
della
nazione. La cosa parla sì vivamente da sé, che a
l libricciuolo. Procurerà in esso che i personaggi non parlino troppo
della
divinità, né (ove sieno pagani) secondo la grosso
uttosto la dipendenza che essi hanno dal sovrano arbitrio dell’autore
della
natura e dalla libertà degli uomini. [Sez.VII.3.
aggradevole e interessante, esse scendono senza opposizione nell’imo
della
mente e del cuore. Perciò è più volte avvenuto, c
igoroso. Una tale spezie di drammi, non prendendo il tuono importante
della
tragedia, ma con motteggi e con risa rallegrando
attacco. Nell’Eunuco si animano gli uomini a disordinare coll’esempio
della
divinità. Così il giovane Cherea incoraggisce sé
ide si fa un carattere sì lodevole, che basta per togliere dall’animo
della
fanciulle ogni ripugnanza d’abbandonarsi all’infa
colei, vedendo che anche una cantoniera può comparir virtuosa e degna
della
stima delle oneste persone. Simili riflessioni si
’abuso adunque, che le cantatrici e le ballerine non rare volte fanno
della
loro professione, indusse la saggia Roma, sedente
a’ soli uomini addossata: le attrici non comparvero sul teatro prima
della
metà del secolo sedicesimo. Senza che ogni altra
l secolo sedicesimo. Senza che ogni altra ragione dee cedere a quella
della
publica costumatezza. [Sez.VII.3.0.12] Per lodev
raggiare i buoni a questa professione, e a non permettere l’esercizio
della
medesima che a persone di sperimentata integrità.
essarie al governo nel quale egli vive, e le virtù e i vizi dominanti
della
sua nazione, per procurare che l’opera in musica
ne delle sue tragedie aveva unicamente in mira la nazione, pel teatro
della
quale egli scriveva, e valeasi di quelle per inge
allontanare dall’animo di ciascuno il pensiero d’erigersi in tiranno
della
propria patria. Ma questi medesimi drammi riuscir
a nazione, l’impresa non è la più malagevole. Ma lo screditare i vizi
della
medesima ha mestieri d’una somma circospezione. I
i n’è infetto. Perciocché, coloro ben sanno che i loro vizi son degni
della
publica esecrazione, onde, vedendo che non riscuo
ostro arbitrio, invano sarebbero perseguitati dalla drammatica, scopo
della
quale è la nostra emendazione. Quindi, que’ poeti
soccorso altrui? Qual ragione ha l’inumano poeta d’aggravare il peso
della
loro miseria? [Sez.VII.3.0.18] Non solamente il
o al costume; ma per lo contrario contribuirà moltissimo al progresso
della
publica costumatezza ed a quello delle belle arti
fermazione del primato dell’Italia anche nel teatro è un luogo comune
della
storiografia settecentesca: si veda per esempio S
Galilei; per quanto la Divinatio sia un trattato importante nel campo
della
geometria secentesca (è la ricostruzione, per via
ntemporaneo, meno per noi; potrebbe trattarsi (come ipotizza Degrada)
della
chiusura del napoletano Teatrino di San Giacomo,
oli cotanto profani avessero luogo così prossimo alle sacre cerimonie
della
superiore chiesa di San Giacomo» (B. Croce, I tea
zi di libretti in prosa, appositamente scritti dall’autore a sostegno
della
riforma dell’opera da lui proposta (Enea in Troja
.: Orazio, Epistole, II, 3 (Ars Poetica), vv. 304-305: «farò la parte
della
cote, / non adatta per tagliare ma per affilare l
de’ cittadini, sperando che mettesse buona pace tra loro [è il tempo
della
contesa tra Cerchi e Donati], per lo calen di mag
per fare allegrezza e festa, si rinnovarono e fecionsene in più parti
della
città, a gara l’una contrada dell’altra, ciascuno
orenzo De’ Medici il vecchio, di Madonna Lucrezia sua madre e d’altri
della
stessa famiglia. Raccolte e d’Osservazioni corred
n può essere, s’io non m’inganno, se non o quella di Teofilo, in fine
della
quale potrebbesi veder lo ‘nferno, essendovi nota
enza; o più tosto quella di Lazzero ricco e Lazzero povero, nella fin
della
quale il Ricco dallo ‘nferno chiede in vano socco
mento_Sez.I.1.0.6] • il Crescimbeni: cfr. G.M. Crescimbeni, L’Istoria
della
volgar poesia. Terza impressione, Venezia, Basegi
esima edizione del Cionacci Planelli poteva leggere l’ottava iniziale
della
Rappresentazione di San Giovanni e Paolo di Loren
da Filippo [Brunelleschi], per fare la rappresentazione o vero festa
della
Nunziata, in quel modo che anticamente a Firenze
mento_Sez.I.1.0.9] • verso il 1480: cfr. F.S. Quadrio, Della storia e
della
ragione d’ogni poesia, III/II, Milano, Agnelli 17
il vero ben fondato, di Crescimbeni, l’idea di una precoce diffusione
della
poesia «drammatica musicale» nella città del papa
icelli […], Milano, Malatesta, 1644, pp. 59-85; dell’aspetto musicale
della
grandiosa allegoria dell’amor profano escogitata
: l’articolo Danse théâtrale è di Louis de Cahusac, storico e teorico
della
danza citato più avanti da Planelli. Il passo rel
aro, Le opere volgari, Padova, Comino 1723, pp. 422-426 (la citazione
della
didascalia da p. 425). Altre feste furono organiz
genti, Favole cit. • del mentovato Viola: Alla prima rappresentazione
della
favola pastorale Lo sfortunato del letterato e gi
irginia de’ Medici e Cesare d’Este. Bardi fu in sostanza il fondatore
della
Camerata fiorentina (detta infatti anche Camerata
i tratta ma di Fileno (Degrada). Il testo poetico del ballo Il giuoco
della
cieca (la cui musica è perduta) fu un rimaneggiam
ppena due sonetti e una canzone –, ma fu figura di rilievo nella vita
della
corte: vedi la ‘voce’ di T. Megale in Dizionario
gale drammatizzato, che mescola satiricamente nel testo, alla maniera
della
commedia dell’arte, vari dialetti settentrionali,
ell’arte, vari dialetti settentrionali, oltre a una versione parodica
della
lingua ebraica. • riportata dal Muratori: benché
impropriamente inventore del genere e quindi da anteporre ai toscani
della
Camerata: «Ma, poiché si tratta di gloria, siami
nni Antonio Bazzi detto il Sodoma (di cui sposò la figlia): nel campo
della
scenografia legò il suo nome soprattutto al magni
tto civile e militare, fu continuatore del Vasari nella realizzazione
della
fabbrica degli Uffizi e realizzò molti apparati s
bbiena (Arezzo 1470 – Roma 1520), cardinale e diplomatico al servizio
della
famiglia Medici, è autore dell’acclamata commedia
primo a Roma la tragedia greca, cimentandosi anche nel genere comico
della
palliata; della sua opera, che doveva essere cosp
tragedia greca, cimentandosi anche nel genere comico della palliata;
della
sua opera, che doveva essere cospicua, restano so
espi: Tespi è, secondo una tradizione che sfuma nel mito, l’inventore
della
tragedia in Grecia: i pochi frammenti conservati
r gli mancava: Planelli rievoca brevemente in queste pagine la storia
della
Camerata fiorentina, che costituisce il vero e pr
); Pietro Strozzi (seconda metà del XVI secolo), madrigalista, autore
della
musica della Mascarada degli accecati, su testo d
ozzi (seconda metà del XVI secolo), madrigalista, autore della musica
della
Mascarada degli accecati, su testo di Rinuccini,
ati, su testo di Rinuccini, 1595 (è tra gli interlocutori del Dialogo
della
musica antica et della moderna di V. Galilei, 158
ini, 1595 (è tra gli interlocutori del Dialogo della musica antica et
della
moderna di V. Galilei, 1581); Jacopo Corsi (Firen
ancora di Rinuccini), Peri scrisse solo i recitativi, mentre il resto
della
partitura è da attribuirsi a Monteverdi, «che il
o_Sez.I.1.0.20] • d’italica poesia: Planelli asseconda l’idea, tipica
della
storiografia settecentesca (arriverà sino al Tira
ipica della storiografia settecentesca (arriverà sino al Tiraboschi),
della
decadenza culturale secentesca e del conseguente
ente cosiddetto cattivo gusto barocco: con la significativa eccezione
della
scienza di tradizione galileiana. [commento_Sez.
uno dei più versatili musicisti del suo tempo: scrisse sia nel campo
della
musica strumentale, sia dell’opera (si ricordino,
(o Martelli), Bologna 1665 – 1727, fu uno dei più influenti scrittori
della
prima Arcadia: gli si devono tragedie, commedie e
nova 1692 – Parma 1768), poeta e professore di retorica, protagonista
della
vita di corte a Parma, prima sotto i Farnese poi
Le feste d’Imeneo, 1760), precorse, alla lontana, alcuni dei princìpi
della
riforma di Gluck. • il marchese Maffei: il verone
Paolo Rolli: Rolli (Roma 1687 – Todi 1765), tra i più originali poeti
della
prima Arcadia, scrisse durante un trentennale sog
erra: il cardinale Mazarino, principale fautore dell’italianizzazione
della
corte all’epoca della Reggenza, chiamò a Parigi L
arino, principale fautore dell’italianizzazione della corte all’epoca
della
Reggenza, chiamò a Parigi Luigi Rossi (1598-1653)
5 gennaio 1674 (Degrada); ma a lungo prevalse là il modello francese
della
tragédie lyrique, che ancora influenzò a fine sec
n cui, a integrazione e correzione, richiamò soprattutto alcuni punti
della
storia letteraria italiana. L’appendice cui Plane
a commento del brevissimo capitolo quinto «Della poesia»): scontento
della
troppo laconica e scolastica definizione di poesi
., l’apologo etc. Mal dunque alcuni restringono l’entusiasmo al fuoco
della
lirica. Non niego io già che l’entusiasmo di ques
teoria delle proporzioni musicali così come fu teorizzata nell’àmbito
della
polifonia (secondo la progressione 2:1, 3:1, 4:1,
st in operum perfectionibus» (‘La simmetria è un accordo tra le parti
della
stessa opera e una corrispondenza di ciascuna sep
ade). Sezione II Cap. I [commento_Sez.II.1.2.1] • regole
della
Poesia nuova: allude agli esperimenti rinasciment
11] • perché sprezzi de leggi d’amor: G. Gigli, La forza del sangue e
della
pietà. Drama per musica, atto III, scena V, ed. d
chi e moderni, compilata e corredata di critiche osservazioni per uso
della
studiosa gioventù dal Padre Teobaldo Ceva […], Ed
non essere i moderni drammi per l’ordinario, se non Tragedie vestite
della
Musica. Ma perché mi pare a dismisura mutato sott
el palazzo di Egisto per trattar con Oreste, e con Pilade la congiura
della
morte dell’usurpatore». Cap. IV [commento_
-1769) sotto lo pseudonimo di Cattuffio Panchianio scrisse, a parodia
della
molto stentata tragedia d’imitazione sofoclea Uli
sotto gli ornamenti, con che studia di sempre più abbellirle la foia
della
novità. Soverchiamente lunghi sogliono essere que
] • al Quadrio il quale asserisce: cfr. F. S. Quadrio, Della storia e
della
ragione cit., III/II, p. 447: il gesuita (che, ci
C. Viola, La tragedia degli inverisimili. Girolamo Tartarotti critico
della
Merope maffeiana, nel vol. coll. «Mai non diero i
Vinci, il 4 febbraio 1730: è l’ultimo grande testo metastasiano prima
della
partenza per Vienna (dell’aprile di quell’anno).
nda, il ciel s’imbruna, / cresce il vento e manca l’arte / e il voler
della
fortuna / son costretto a seguitar. / Infelice in
o da Planelli si riferisce evidentemente alla prima edizione a stampa
della
partitura e del libretto). L’opera volle essere,
istoforo Gluck» ma attribuibile all’italiano), una sorta di manifesto
della
nuova drammaturgia, che prevedeva tra l’altro una
nte ignota agli antichi) Planelli si riferisce a G.B. Martini, Storia
della
musica, t. I, Bologna, Dalla Volpe, 1757, Dissert
lare alle pp. 171-176. [commento_Sez.III.1.3.1] • alle diverse parti
della
sua diceria: cfr. Cicerone, De oratore, III, 60 «
llis (1621-1675), importante medico e anatomopatologo inglese, membro
della
Royal Society, ha legato il proprio nome alla nas
e, membro della Royal Society, ha legato il proprio nome alla nascita
della
neurologia, oltreché allo studio delle cause del
ica, IV-VI (Terpandro a Sparta). La discussione sugli effetti pratici
della
musica, con esplicito paragone tra antichi e mode
Conti offrì a Benedetto Marcello i versi de Il Timoteo o gli effetti
della
musica (cantata 1727: ispirato all’Alexander’s Fe
ica degli antichi non provan in niun modo, ch’essa fosse più perfetta
della
nostra, Venezia, Groppo, 1748 (l’originale è del
.7] • quindi Ateneo ci assicura: sul valore didattico e sugli effetti
della
musica Ateneo si sofferma in particolare nel libr
: nel quarto libro delle Storie, capp. 20-22, Polibio loda il costume
della
maggior parte dei popoli dell’Arcadia che insegna
il cantore lasciato da Agamennone: si riferisce alla versione omerica
della
storia di Clitemnestra: «E lei prima rifiutava l’
nfione, fondatore di Tebe, narrarono / che muoveva le pietre al suono
della
lira, / spostandole dove voleva / con la dolcezza
etre al suono della lira, / spostandole dove voleva / con la dolcezza
della
sua preghiera. / Così a quel tempo era la sapienz
’armoniké epistéme Giamblico parla per la precisione nel capitolo XXV
della
Vita di Pitagora. • Platone: la sentenza platonic
47d. [commento_Sez.III.1.4.12] • la sua patria: cfr. il capitolo II
della
Vita di Temistocle di Plutarco: il giovane condot
padre del febbraio 1778 diede giudizi severi sulle qualità artistiche
della
Gabrielli (è vero che Mozart poté ascoltarla solo
che della Gabrielli (è vero che Mozart poté ascoltarla solo alla fine
della
carriera). Vedi la ‘voce’ del Dizionario biografi
Salvo). • gli Scarlatti, i Pergolesi, i Vinci: • musicisti fondatori
della
scuola napoletana citati «in funzione polemica ri
uola napoletana citati «in funzione polemica rispetto alla situazione
della
musica teatrale contemporanea come rappresentanti
vi aveva aggiunto una corda allo scopo di dilettare con la variazione
della
voce». Al poeta Timoteo di Mileto (446 a.C. – 357
chini (1730-1786). Manca il nome di Domenico Cimarosa, forse in virtù
della
«modesta considerazione del nostro autore per l’o
i Antonio Caldara. [commento_Sez.III.3.1.5] • Altri ha voluto: «Suo [
della
sinfonia] principal fine è di annunziare in certo
er la musica di J. A. Hasse; la complessità e anche l’imprevedibilità
della
peripezia di Antigono impedirebbe, secondo Planel
ta Dedica di Gluck, il cui testo è attribuibile al Calzabigi. L’onore
della
citazione per esteso sottolinea la completa e for
o tra Gluck e Raffaello: vedi F. Degrada, Il palazzo incantato. Studi
della
tradizione del melodramma dal Barocco al Romantic
, III, XIX, 1: «la recitazione [pronuntiatio] si articola nella forma
della
voce e nel movimento del corpo». • eloquenza del
• eloquenza del corpo: per la precisione, la celeberrima definizione
della
pronuncia oratoria come «eloquenza del corpo» app
_Sez.IV.1.0.4] • nel campo di Farsalia l’omise: si riferisce al passo
della
vita plutarchea in cui Bruto eloquentemente annun
i più celebri attori del suo tempo (gli si attribuisce l’introduzione
della
maschera in scena); Cicerone lo difese in una cau
anuale (perduto) che Roscio stesso avrebbe scritto accostando tecnica
della
recitazione e oratoria: «[…] res ad hanc artis su
one di voce, e con una maniera sì acconcia al costume e al sentimento
della
persona introdotta, che parvero totalmente divers
IV.1.0.6] • i nomi dell’Acquino, di Catterina Aschieri, del Nicolini,
della
Tesi: cantanti di varia fama e fortuna: Caterina
anista e contraltista (Napoli 1673 – 1732), diresse la Cappella Reale
della
sua città; nel 1708 si trasferì a Londra, dove fu
rutram vultum aliquando est visus»). L’apologia di Ammiano Marcellino
della
dignitas cristiana dell’imperatore è accostata si
commiserazione: un suono grave, duro e quasi impedito; altro il tono
della
paura: basso esitante, avvilito; altro la violenz
o bestia, / o bestia, non senti? / Da lontano è accattivante il miele
della
Dea della persuasione, / ma anche piace la voce g
/ o bestia, non senti? / Da lontano è accattivante il miele della Dea
della
persuasione, / ma anche piace la voce gonfia, che
La musica (già intitolata L’evirazione, 1769); si sa che nello Stato
della
Chiesa la pratica continuò sino a Ottocento inolt
na citato; Jospeh-Antoine Tousaint Dinouart (Amiens 1716-1686), abate
della
Chiesa di Sant’Eustachio a Parigi, socio d’Arcadi
imitare con parole i movimenti del corpo e con la scrittura il suono
della
voce. Per altro sono convinto di poterne scrivere
o Boyron (1653-1729), allievo di Molière, fu il più importante attore
della
Comédie française all’epoca del Re Sole, nel repe
o che fa, quello che anco ha fatto, e che sono per fare» (a proposito
della
pala d’altare dell’Annunciazione con Dio padre es
ai suoi sermoni, poi raccolti in vari volumi, accorreva il fior fiore
della
società parigina (predicò anche al cospetto di Lu
nell’ultimo quadro realizzato dal Tintoretto, e da aiuti, La raccolta
della
manna nel deserto (1592-94, Venezia, Chiesa di Sa
e vite cit., II, p. 728 : «Tribolo fece per gli abiti degl’intermedi [
della
commedia Il Commodo di A. Landi e G.B. Gelli], ch
ançois Boucher. [commento_Sez.V.1.0.6] • proscenio: cfr questo passo
della
sesta lettera del Noverre: «Le mêlange des couleu
coreografo francese iniziatore, con il cosiddetto «ballet d’action»,
della
danza moderna, da lui emancipata dai virtuosismi
Noverre (in Inghilterra esaltato da David Garrick come lo Shakespeare
della
danza) il nostro Gasparo Angiolini, che a Vienna
ale realizzò la residenza di Villa Farnesina a Roma; la recita romana
della
Calandra risale al dicembre 1514 (in onore di Eli
to di vista e la distanza, si debbano far corrispondere ad imitazione
della
natura tutte le linee verso un punto stabilito, c
43) pittore e architetto, fu forse il più grande scenografo e teorico
della
scenografia attivo in Italia tra Sei e Settecento
Sei e Settecento; oltre al trattato menzionato da Planelli (Direzioni
della
prospettiva teorica corrispondente a quelle dell’
(1711), dove è escogitata per la prima volta la «visione per angolo»
della
scena teatrale, che dà l’illusione allo spettator
re, architetto e ingegnere militare, qui evocato per la realizzazione
della
scenografia de L’Ortensio di Alessandro Piccolomi
tore e scenografo: tra i suoi lavori più significativi la decorazione
della
sala dei marmi del Palazzo del Belvedere inferior
suoi Briefe über die wienerische Schaubühne ha lasciato in occasione
della
prima recita viennese dell’Alceste di Gluck (1767
2.2.2] • una danza grottesca: l’emmeléia, era una danza grave, tipica
della
tragedia; il kordax era la danza del coro nell’an
rteneva la síkinnis, antica danza frigia nata inotrno ai culti agrari
della
dea Cibele. [commento_Sez.VI.2.2.3] • Cahusac: i
a nel secolo di Augusto i favori del pubblico, introducendo le novità
della
danza greca; Ila fu allievo e emulo di Batillo. •
i M. Nordera, Venezia, Marsilio 1992, p. 95). In Italia, sulla scorta
della
riscoperta francese del testo lucianeo, comparve,
973, p. 73. • si tolga poi via la maschera: questa avversione all’uso
della
maschera, che semplicisticamente Planelli ritiene
eddoto sul filosofo cinico Demetrio, che scopre il valore conoscitivo
della
danza di fronte alle prodezze di un pantomimo del
a Noverre si trovò comprensibilmente contro tutti i vecchi routiniers
della
professione. [commento_Sez.VI.3.1.3] • Lionardo
fessione. [commento_Sez.VI.3.1.3] • Lionardo da Vinci: Cfr. Trattato
della
pittura, parte II [Precetti al pittore]: «Le figu
e esprimere il concetto dell’animo loro» (Leonardo da Vinci, Trattato
della
pittura, Roma, De Romanis, 1817, pp. 80-81). [co
bert (1647-1733), tenne uno dei più vivaci salotti letterari dell’età
della
Reggenza (vi si incontrarono tra gli altri Montes
omista e filosofo, fu uno dei più appassionati assertori dei princìpi
della
fisiocrazia: ebbe largo seguito tra gli illuminis
a dell’intrinseca moralità del teatro. Qui tocca la vecchia questione
della
liceità d’introdurre invocazioni agli dèi in bocc
é teatro» (G.A. Bianchi, Dej vizi cit., p. 197). Di là dalla sostanza
della
controversia teologica, è ovvia la preferenza di
attacchi volterriani al fanatismo (il Mahomet è del 1741: allo zenit
della
predicazione di Voltaire contro l’infâme), mentre
Sez.VII.3.0.18] • empia la dialettica faretra: cfr. Petrarca, Trionfo
della
Fama, III, 61-63: «E quel che ‘nver di noi divenn
o al costume; ma per lo contrario contribuirà moltissimo al progresso
della
publica costumatezza ed a quello delle belle arti
treme, che erano controverse: Bitonto 1737 – Napoli 1803): fu Maestro
della
Zecca e responsabile del riordino del Real Museo
., l’apologo etc. Mal dunque alcuni restringono l’entusiasmo al fuoco
della
lirica. Non niego io già che l’entusiasmo di ques
, 1972-1973; il volume coll. C.W. Gluck nel duecentesimo anniversario
della
morte. A cura di C. Del Monte e V.R. Segreto, Par
nel commento le fonti utilizzate da Planelli, che sono quelle tipiche
della
storiografia settecentesca, innestate su una soli
ragedia (classica) e opera seria vengono elencate nei capitoli II-VII
della
sezione seconda del libro: in generale, Planelli
lare con quattro sole lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta
della
più vigorosa, della più passionevole espressione»
e lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta della più vigorosa,
della
più passionevole espressione» (VI.II.17). 12. In
21. Osservaz. Sopra le rime sacre di Lorenzo de’ Medici. 22. Stor.
della
poesia. 23. Il titolo di Misteri era dato non so
ch’ebbe la fede, si tornò nel tempio, qual fu subito portato in testa
della
sala. Da poi venne la Letizia vestita ornamente,
un errore. Esso è una licenza accordata a’ nostri poeti; licenza però
della
quale io non mi varrei se non parchissimamente, q
one di tal differenza si trovi nella differenza che passa tra il sito
della
macchina umana e ‘l sito di quella de’ bruti. Per
omi illustri nella greca filosofia, e lo stesso Antistene, istitutore
della
setta cinica. 61. V. il cap. II della I sez. 62
o stesso Antistene, istitutore della setta cinica. 61. V. il cap. II
della
I sez. 62. L. S. G. 63. Al primo de’ quali fu p
Vedi il suo proemio, all’Euridice del Rinuccini. 66. Vedi il cap. I
della
II sez. 67. «Pronuntiatio dividitur in vocis fi
Amm. Marcell., lib. XXI, cap. XVI. 80. Annot. al cap. V del III lib.
della
Perf. poes. del Murat. 81. «Aliud enim vocis ge
ettera inserita nella vita che di lui scrisse il Malvasia, nella p. 4
della
Felsina pittrice. 88. V. L’Encyclopédie, art. Dé
ato da questo celebre professore in un suo libro intitolato Direzioni
della
prospettiva teorica, Bologna, 1753, XII. 100.
m insidiantem ei». Plin., Nat. hist., lib. XXXV. 101. V. il cap. III
della
II sez. 102. Parlo de’ gran teatri poiché, quant
la meraviglia. Ma questo è l’effetto di qualunque opera straordinaria
della
natura o dell’arte, non è già del numero di quell
acle aux Romains». V. Voltaire, Siècle de Louis XIV. 111. Nel cap. I
della
I sez. 112. L’ami des hommes, tom. I, chap. VI.
. Domma sì fatto era comune a’ misteri d’Iside e d’Osiride, di Mitra,
della
madre degli Dei, a’ misteri eleusini, a quelli di
urton hanno di che soddisfar pienamente il lettore. Che poi gli aditi
della
filosofia fossero comunemente frequentati dalle c
riducono gli Eruditi tutto ciò che contro a’ Teatri si cava da’ Padri
della
Chiesa. 1. ch’erano intimamente connessi colla pa
tendeano. Né ciò fu ignoto a’ Padri; fra’ quali S. Girolamo parlando
della
Commedia, scrisse: cuius finis est humanos mores
attivi, non avrebbero così spesso, come fecero, confermati i precetti
della
loro morale con sentenze di Tragici e di Comici.
li vizi, che rendeano esecrabile il Teatro, cessarono anche i Dottori
della
Chiesa d’inveire contro di essi, cominciando per
presentare più verisimilmente la sua parte, senza uscir mai dal luogo
della
rappresentazione? Senza che, quel travestimento n
ee scegliere per suggetto delle Opere Teatrali il vizio più dominante
della
Nazione, per la quale si compone». V. il Voltare
▲