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1 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XI. Primi passi della Commedia Antica. » pp. 2-15
CAPO XI. Primi passi della Commedia Antica. Frattanto la parte ridicola e
Omero, vollero anch’essi giovarsi delle fatiche di questo gran padre della poesia, e presero ad imitare l’aria urbana salsa
i prepotentia. Se la voracità del tempo avesse rispettato il trattato della Commedia Antica di Camaleone, o la Storia Teatral
Commedia Antica di Camaleone, o la Storia Teatrale scritta da Juba re della Mauritania citata da Ateneo nel quinto libro, sar
Questi libri ci avrebbero somministrati lumi maggiori e sull’origine della commedia e sull’ordine cronologico de’ poeti comi
i Megaresi di Sicilia pretesero che Epicarmo fosse stato l’inventore della commedia regolare, e che di non poco spazio prece
rone il vecchio. Platone nel Teeteto lo decorò col titolo di principe della commedia, e Teocrito lo chiamò inventore di essa,
comici antichi che conosciamo introducevano sì bene i numi e gli eroi della mitologia, ma essi vi facevano meschina ridevole
Ipparco, Timocle, di cui Ateneo ci ha conservato un frammento in lode della tragedia, nel quale afferma essere agli uomini ut
, Antifane, Eubolo, di cui Grozio rapporta qualche picciolo frammento della commedia intitolata Antiope; ed Esippo che scriss
chiari comici di tal periodo. Trovavasi il teatro Ateniese nel colmo della gloria nell’olimpiade LXXXI, quando cominciò a fi
ofane che sempre colla grazia e colle facezie temperava –  l’amarezza della satira. Ebbero appena i comici imitando i tragici
ppena i comici imitando i tragici data forma alolor poema, che gonfii della riuscita presero a gareggiare co’ loro modelli, e
ri maliziosi cangiamenti. In ciò consisteva la parodia che fu l’anima della commedia antica. La vittoria si dichiarò per gli
li incantavano la Grecia. Accoppiavansi in esse all’esatta imitazione della natura i voli più bizzarri della fantasia, e si n
avansi in esse all’esatta imitazione della natura i voli più bizzarri della fantasia, e si nobilitavano colla poesia più vigo
o popolare Ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri della sovranità. Osò per questo un poema così straordin
mo riuscì tal commedía fuor di misura sfacciata e insolente a cagione della prosperità della Repubblica. La felicità continua
medía fuor di misura sfacciata e insolente a cagione della prosperità della Repubblica. La felicità continuata corrompe gli a
irò senza orrore il fiele che sgorgava da questo fonte; si compiacque della indecenza che vi regnava vedendovi il ritratto fe
ente senza la fiaccola de’ principii surriferiti, senza la cognizione della polizia e de’ costumi Ateniesi, e senza la pratic
tumi Ateniesi, e senza la pratica necessaria delle Vite di Plutarco e della guerra del Peloponneso che durò ventisette anni e
politico sapere descritta da Tucidide. Non sanà forse senza profitto della gioventù che conoscer voglia il teatro Greco e l’
a. Di Epicarmo può vedersi quanto si scrisse nel Tomo I delle Vicende della Coltura delle Sicilie. b. De Præpar. Evang. Lib
ltura delle Sicilie. b. De Præpar. Evang. Lib. X. a. Ne’ frammenti della Repubblica lib. IV. Perdoniamo loro l’aver feriti
ertazione del più volte lodato Saverio Mattei intitolata la Filosofia della Musica, che i Greci andavano al teatro come noi a
iù ragione adunque il teatro Ateniese potrebbe chiamarsi il gabinetto della Repubblica, il consiglio di stato, in cui, benchè
rsi la morale. Il di lui catechismo veniva sacrificato alminimo cenno della politica gelosia, il cui oggetto primario e nell’
cui oggetto primario e nell’ozio e negli affari era la conservazione della libertà.
2 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [E-F]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 859-861
delaide esordì a quattr’anni in Compagnia Fabbrichesi col Pitocchetto della Baviera. Ancor giovinetta passò a far qualche par
Teatro La Fenice di Napoli in Compagnia di Tommaso Zampa, il Salvini della giacca, salendo a tal grido, che il De Lise, comm
dette, vanno annoverate quelle di Caterina nel Falconiere di Marenco, della protagonista nella Nonna scellerata di Torelli, d
ta di Torelli, di Madama Guichard nel Signor Alfonso di Dumas figlio, della Duchessa nei Mariti di Torelli, della Marchesa ne
Signor Alfonso di Dumas figlio, della Duchessa nei Mariti di Torelli, della Marchesa nei Danicheff di Dumas figlio, della Mad
nei Mariti di Torelli, della Marchesa nei Danicheff di Dumas figlio, della Madre nel Marchese di Villemer di Giorgio Sand, d
i Dumas figlio, della Madre nel Marchese di Villemer di Giorgio Sand, della Palchetti nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa,
Giorgio Sand, della Palchetti nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa, della Duchessa nel Mondo della noia di Pailleron, di Ma
etti nella Vita Nuova di Gherardi Del Testa, della Duchessa nel Mondo della noia di Pailleron, di Margherita nella Medicina d
lconi è stata forse la più vera delle attrici madri e caratteristiche della scena italiana. A dare una idea esatta del valore
dini in gonnella. Com’era apparsa in su la scena, avea già fatto metà della parte con una figura delle più convenienti al per
e vinto dalla mitezza dell’anima sua. Tornata, come ho detto, al lume della ribalta il febbraio del ’97, al Teatro Nuovo, A.
el ’97, al Teatro Nuovo, A. Boutet nel Don Marzio, tracciò un profilo della Falconi, dal quale io traggo le seguenti parole c
oscenici mai è giunta a posarsi, ad insudiciare l’anima buona e bella della illustre signora ; si che nel mondo pettegolo, ma
ente, qualche volta infamante, che si agita tra le coulisses, il nome della Falconi è pronunziato come quello di Maria Vergin
3 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » p. 498
i da Gustavo Modena per quella Compagnia che doveva segnar la riforma della recitazione in Italia. Quando Sabbatini nel ’43,
one in Italia. Quando Sabbatini nel ’43, a lui tracciò le prime linee della Bianca Capello, il Modena qualcosa gli disse del
r la Botteghini. E subito al Sabbatini balenò per quest’ultima l’idea della popolana arrabbiata. La troviam nel ’50 a Milano
Dondini e Romagnoli ; e il Perego nell’Italia Musicale, al proposito della Piccarda Donati pure del Sabbatini, lasciò scritt
i lei mi scrisse Tommaso Salvini : Non aveva l’attraente prerogativa della bellezza, ma i suoi occhi vivacissimi, e la folta
simpatica, sebbene tutto l’insieme tendesse al volgare : era il tipo della popolana romana. La versatilità delle sue illustr
ssione e di verità i differenti personaggi di Sofia nei Due Sergenti, della qual parte faceva una vera creazione, della mogli
i Sofia nei Due Sergenti, della qual parte faceva una vera creazione, della moglie di Jacquart nel Jacquart, di Cate nella Pu
rata di Goldoni, di Numitoria nella Virginia di Alfieri, e finalmente della Marchesa di Savné nella Calunnia di Scribe. Dotat
bellissima figlia, Elisa Mayer, che per parecchi anni esercitò l’arte della madre, per la quale addimostrava tendenze non com
va tendenze non comuni, ben lontana però dal pervenire all’eccellenza della madre sua.
4 (1798) Addizioni alla Storia critica de’ teatri antichi et moderni « PARTE I — TOMO III. LIBRO III » pp. 50-54
confabulava il poeta e qualche pastorella. Tale fu quella di Paulet e della sua pastorella, i quali entrano a parlare de gli
otato in seguito, che il fu degno nostro amico, ornamento ed istorico della letteratura Italiana, il cav. Tiraboschi, nelle s
tiche ed animate con parole le rappresentazioni sacre del secolo XIII della Compagnia del Gonfalone ed altre simili. E perchè
egli dice) si posson recare alcuni bei monumenti tratti dagli Statuti della Compagnia de’ Battuti di Trevigi eretta nel 1261,
ndum in festo fiendo more solito in die Annunciationis”; e i Castaldi della scuola eran tenuti providere dictis Clericis qui
lo de indumentis sibi emendis per dictos Castaldiones; “e nelle parti della medesima scuola si legge, cantores . . . habeant
che usciva dalla chiesa di San Filippo Neri, a spese de’ confratelli della Compagnia della Morte. Tal notturna processione e
a chiesa di San Filippo Neri, a spese de’ confratelli della Compagnia della Morte. Tal notturna processione e recita è durata
a Beatrice d’Este sua madre. ADDIZIONE V** Sull’autore del I atto della Celestina. V’Ha chi pone in dubbio, che il Co
. V’Ha chi pone in dubbio, che il Cotta fosse l’autore del I atto della Celestina. Alcuno l’attribuisce a Giovanni de Men
facio da Monferrato, si aggiunga quel che segue. 1. Vedi il tomo iii della storia des Trouvadours dell’ab. Millot. *. Al me
si rintracciano, si aggiunga questa nota (1). *. Al Capo II in fine della pag. 34, alle parole della nota, dopo il tempo de
ga questa nota (1). *. Al Capo II in fine della pag. 34, alle parole della nota, dopo il tempo de’ Romani, si aggiunga come
aggiunga come segue. *. Al Capo IV pag. 71, lin. 12, dopo le parole della parentesi, che non so perchè dal Bettinelli vien
5 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 811-
patimenti. Come tutti i figliuoli d’arte, anche essa apparve al lume della ribalta, non a pena le fu dato di reggersi in pie
ai Filodrammatici di Trieste ultima per le parti ingenue nell’elenco della Compagnia Duse Lagunaz, di cui era direttore Luig
o a un letto d’ospedale ; e là mangiasse, quasi di soppiatto, la metà della zuppa, che a lei serbavan l’affezione e la pietà
na specie di sfiaccolamento, che la mostrava annoiata, quasi nauseata della vita. L’occhio pareva perdersi talvolta nello spa
ei pochi soldi bastevoli a gittarle addosso un cencio nero in memoria della madre morta, andata guitteggiando tutta la fanciu
inavvertito nelle vene, non doveva divampare in incendio al contatto della scintilla, sibbene svilupparsi per gradi, aliment
lta sostituì nelle parti di prima attrice, si faceva notare al fianco della Pezzana, del Majeroni, di Emanuel, per la spontan
lla Pezzana, del Majeroni, di Emanuel, per la spontaneità e sincerità della dizione, per la intelligenza artistica educata e
ell’arte, questa commedia, dico, segnò un gran passo avanti nella via della sua grandezza. Seconda donna con Cesare Rossi, po
Bernhardt, che affermò, se non completò, la trasformazione artistica della Duse. Veneratrice, più che ammiratrice di lei, an
a soggiogare quel pubblico ch’ era ancor tutto pieno del gran fascino della partita. Al trionfo della Bagdad tenner dietro qu
ch’ era ancor tutto pieno del gran fascino della partita. Al trionfo della Bagdad tenner dietro quelli della Moglie di Claud
n fascino della partita. Al trionfo della Bagdad tenner dietro quelli della Moglie di Claudio e della Dionisia e della Franci
l trionfo della Bagdad tenner dietro quelli della Moglie di Claudio e della Dionisia e della Francillon…. e di tutto ciò ch’e
agdad tenner dietro quelli della Moglie di Claudio e della Dionisia e della Francillon…. e di tutto ciò ch’ella rappresentava
’ha un altro più forte ancora, quello che determina la grandezza vera della Duse ; dietro a cui si affannarono invano, partit
nsistere l’imitazione in tutto l’esteriore dell’attrice : la rapidità della dizione e del gesto, l’abbandono della persona, i
ore dell’attrice : la rapidità della dizione e del gesto, l’abbandono della persona, il correr delle mani ai capelli, l’abuso
’imitazione, o, meglio, di ridicola contraffazione. Ma i grandi pregi della Duse non furon mai in un discorso accarezzato, mi
nale a effetti, non nel dondolio delle braccia, non nello strascichio della persona. I pregi della Duse, quelli che la elevar
dondolio delle braccia, non nello strascichio della persona. I pregi della Duse, quelli che la elevaron dalla comune, eran n
in una parte, ma, e soprattutto, di quel che non c’era. La grandezza della Duse era tutta grandezza di analisi, che sfuggiva
ndo e più sottile degli studi, egli non vedesse che una parte, quella della natura, viva, parlante, palpitante, dalla quale s
vere, parlare e palpitare con lei. E finalmente : la grandezza grande della Duse era nell’eloquenza di uno sguardo, nell’ int
ongiunto a un perfezionato studio di finezza e naturalezza ineffabili della dizione, ch’ ella si mostra oggi agli occhi de’ p
dici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era an
5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entu
ti. La Duse è una gentile figura d’artista. A volte ha il passo lento della Bernhardt : pare strascichi a stento su la scena
senza avviluppamenti accademici, non so, mi trovo inceppato a parlare della verità di questa piccola fata. Gli artisti nostri
uso con un oh !, con un ah !… E il 19 dello stesso mese, a proposito della Signora dalle Camelie : Quello che in genere è a
vole (900 metri) – da questo profumo – l’odore puro, direi immacolato della montagna, da questo verde che riposa l’occhio irr
agna, da questo verde che riposa l’occhio irritato dalla luce del gas della città – da quest’aria che rimette a nuovo i polmo
piccina – di cui non sono la mamma che a certe ore, mentre per il più della giornata, io faccio il possibile per essere bambi
sella e senza redini…. Dei cibi sani – non pianoforte, nessuna musica della terra – nessun giornale – un piccolo frate che og
si alla radice. – Ecco tutto. Parole che mostran chiara la dolcezza della sua indole, e la vivacità del suo ingegno. In que
vivacità del suo ingegno. In quella maniera di scrivere era qualcosa della sua recitazione. Volesse punzecchiare, o celiare,
più reluttanti, i quali speraron financo dalla recitazione spontanea della nuova arrivata una provvida influenza sulla recit
resso, quarantaquattro anni a dietro, la recitazione gagliarda e viva della Ristori aveva influito, scrissero, su quella dell
e gagliarda e viva della Ristori aveva influito, scrissero, su quella della Rachel. E agli applausi della Renaissance tenner
ri aveva influito, scrissero, su quella della Rachel. E agli applausi della Renaissance tenner dietro quelli della Comédie Fr
della Rachel. E agli applausi della Renaissance tenner dietro quelli della Comédie Française, dove, per l’addio di Susanna R
’più rari certo) l’ultimo atto dell’Adriana Lecouvreur. Nel Capitolo della mia Arte del comico (Milano, 1890) si trova scrit
ra. A una rappresentazione del Chat noir di Parigi nel Casino-Théatre della Chaux-de-Fonds, entrai nel camerino di Grenet-Dan
che aveva recitato alcuni de’suoi versi più caldi ; e venuti a parlar della Duse, del suo legittimo trionfo di Parigi e della
; e venuti a parlar della Duse, del suo legittimo trionfo di Parigi e della probabilità di un suo ritorno per recitarvi in fr
to scrisse il Duquesnel nel Gaulois dell’ 8 giugno ’97 dopo la recita della Magda di Sudermann ; e a ragione : poichè nessuna
sione dell’odio, dell’amore, del dolore, dell’abbandono, del piacere, della vanità, dell’orgoglio, del dispetto, del disprezz
dell’orgoglio, del dispetto, del disprezzo, del terrore, del furore, della corbellatura, della rassegnazione, tutta la gamma
dispetto, del disprezzo, del terrore, del furore, della corbellatura, della rassegnazione, tutta la gamma in somma delle pass
r le diverse espressioni ch’ egli coglieva a volo in teatro sul volto della Duse, aveva tappezzato il suo studio a Palazzo Bo
grande artista di Rochefort, di Lemêtre, di Duquesnel, di Panzacchi, della Serao, di Boutet, di Piccini, di tutta la stampa
voro italiano. Mette bene il conto che io qui riferisca, a proposito della Cavalleria rusticana, le parole di Giulio Huret,
se il 4 luglio ’97 nel Figaro, dopo la rappresentazione straordinaria della Porte Saint-Martin : Sin dalla prima scena, affe
o ogni intonazione giusta, ogni moto perfetto, ogni sguardo eloquente della grande artista. Di scena in scena l’entusiasmo au
iscreti, coi quali si propaga l’ammirazione collettiva, e l’atmosfera della sala è creata, la battaglia è vinta, ahi troppo p
poteva notar colà un fenomeno maraviglioso e miracoloso delle forze e della nobiltà dell’ arte vera. Ciò che quella accolta d
unanime, frenetica, non era soltanto quel ch’essa coglieva del genio della Duse ; quei brava non significavan soltanto l’elo
e di Roma del 26 dicembre ’85, tutto in onore di lei, a illustrazione della Moglie di Claudio, degl ’Innamorati, della Teodor
re di lei, a illustrazione della Moglie di Claudio, degl ’Innamorati, della Teodora, della Fedora. MOGLIE DI CLAUDIO – Atto I
lustrazione della Moglie di Claudio, degl ’Innamorati, della Teodora, della Fedora. MOGLIE DI CLAUDIO – Atto IV Arrovesciato
di un mattino di primavera al ruggito possente, scaturito dall’anima, della Moglie di Claudio !!!!!! [http://obvil.github.io
una rigenerazione dell’arte nostra, e soprattutto a un risollevamento della coscienza artistica de’ nostri attori è fuor di d
stil novo, quando che il vogliano, potranno pur sempre tener lo campo della scena in tutto il mondo. Quando che il vogliano !
6 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo duodecimo »
adenza attuale dell’opera italiana. Cause generali di essa. Paralello della poesia e musica moderne con quelle dei Greci. Mot
Paralello della poesia e musica moderne con quelle dei Greci. Motivi della perfezion degli antichi, e inconvenienti intrinse
o dal cielo a crescere ed allignare soltanto sul terreno privilegiato della Italia. Si dovrà bensì maravigliare onde avvenga
lia tanto dee crescere maggiormente quanto che la sfoggiata ricchezza della nostra colla povertà paragonata di quella dovea r
erne i dubbi paratamente, e a metter chi legge in istato di giudicare della decadenza attuale del melodramma, d’uopo è fermar
talia, come in tutta Europa, le belle arti non furono che un prodotto della imitazion degli antichi. Ciò si vede nell’origine
e un prodotto della imitazion degli antichi. Ciò si vede nell’origine della tragedia, e della commedia, e l’abbiam più chiara
a imitazion degli antichi. Ciò si vede nell’origine della tragedia, e della commedia, e l’abbiam più chiaramente veduto in qu
lo insomma venerazione, e riguardata come il Palladio, o conservatore della pubblica felicità. All’opposto nelle nostre legis
so con quello d’Orfeo e di Terpandro, i quali o richiamavano al suono della lira i selvaggi erranti per le campagne a fine di
llo che nasce da passaggiero e insignificante divertimento, la misura della lor perfezione altra appunto non è che il capricc
anti ad un fine. Indarno la storia ci somministra esempi maravigliosi della possanza della musica presso ai Greci; indarno la
. Indarno la storia ci somministra esempi maravigliosi della possanza della musica presso ai Greci; indarno la filosofia, dis
si veggono costantemente in Parigi, all’indole soporifera e monotona della musica francese. Ma se questo filosofo valicasse
bbe veduto che l’Italia non merita in questo punto maggior indulgenza della Francia. Avrebbe veduto che la musica più bella c
si canti nelle lingue viventi, né il più bravo poeta dramatico-lirico della Europa, né l’ampiezza e magnificenza de’ teatri,
a, né l’ampiezza e magnificenza de’ teatri, né lo studio perfezionato della prospettiva bastano nel paese delle belle arti a
e arti rappresentative. [4] Niuno crederebbe che la ricchezza appunto della nostra musica fosse quella che la rendesse meno p
gli affetti non altronde deriva se non se dalla più vicina imitazione della natura, cioè dalla espressione più esatta di quei
se stessa e spontanea nulla ha di comune colla successione dei tuoni della musica imprigionata fra i ceppi di tante regole a
ioni sono tanto più energiche quanto più fedelmente esprimono la voce della natura. Quindi è che un urlo solo, un gemito, un
tenerirci insinuandosi fino a’ penetrali dell’anima. La forza movente della melodia consiste nell’afferrare col mezzo dei suo
ltiplicandole all’eccesso, e invece d’afferrar il vero ed unico tuono della passione, non si cura se non di farci sentire tri
con mille altri sminuzzamenti di voce, si ritrova infine come il Mida della favola che moriva di fame in mezzo agl’infiniti r
finiti ragunati tesori. [6] La storia ci porge una opportuna conferma della mia proposizione facendo vedere che la musica gre
i fiumi, ammansava le tigri e innalzava le muraglie di Tebe al suono della lira per significar con siffatte allegorie la pro
n seguito e più doviziosa, ma semplice ancora e compagna inseparabile della poesia e del ballo animò successivamente i canti
d’Olimpo, di Simonide e di Saffo, s’innestò col carattere e i costumi della nazione, divenne il fondamento della educazion pu
nnestò col carattere e i costumi della nazione, divenne il fondamento della educazion pubblica e il veicolo della religione,
nazione, divenne il fondamento della educazion pubblica e il veicolo della religione, della morale e delle leggi. Allora si
il fondamento della educazion pubblica e il veicolo della religione, della morale e delle leggi. Allora si può dire senza te
lle leggi. Allora si può dire senza tema di esagerazione che il suono della lira governasse la Grecia collo stesso dispotismo
rcadia, che dianzi era il soggiorno d’uomini selvaggi, diviene quello della giocondità e della placidezza. Da ciò si rileva i
era il soggiorno d’uomini selvaggi, diviene quello della giocondità e della placidezza. Da ciò si rileva il politico fondamen
rileva il politico fondamento con cui molto prima dello stabilimento della filosofia i governi più illuminati della Grecia v
lto prima dello stabilimento della filosofia i governi più illuminati della Grecia vegliavano con tanta cura affinchè la musi
to il segreto d’ottenere siffatta calma. Perciò nei secoli più remoti della Grecia s’introdusse il costume di cantar nei conv
convitti le lodi degli dei e degli eroi affine d’impedire gli affetti della ubbriacchezza tanto più pericolosa a que’ tempi q
ssi dell’arte drammatica siccome contribuirono ad ampliar le richezze della musica via più raffinandola, così ne scemarono a
nimi, contentandosi di vanamente dilettare l’orecchio. La prima epoca della corruttela cominciò dacché sotto il governo degli
certo Polinneste accorciando al suo piacimento, e stangando le corde della lira, fece sentire dei suoni sconosciuti avanti a
pitici la fatale usanza di render la musica strumentale indipendente della vocale112.‌ Tra poco la danza si separò dalla poe
tempo l’armonia non era una scienza a parte, ma un rinforzo soltanto della espressione poetica, o per esprimersi con più esa
con più esattezza, altro non era che l’arte di far valere gli accenti della poesia. Separati che furono codesti rami, divenne
o divenuto alla moda fece coi suoi canti tumultuosi un misero governo della poesia, del ritmo e della musica. I compositori p
coi suoi canti tumultuosi un misero governo della poesia, del ritmo e della musica. I compositori per distinguersi fra gli al
dire di Plutarco, l’armonia non aveva alcun riguardo alle inflessioni della voce, e queste sortivano dalla bocca del cantore
idi cangiamenti il comico Anassila ebbe a dire che la musica, agguisa della Libia, generava tutti gli anni un qualche mostro
a moderna musica, quantunque lontana assai dalle mentovate meraviglie della greca, se pur talvolta riesce di muover gli affet
ascoltando ivi il famoso Miserere del Palestrina eseguito dai cantori della cappella pontifìcia senz’altro ornamento che quel
e Tartini asserisce la medesima cosa parlando delle antiche cantilene della Chiesa, fra le quali se si ritrova qualcheduna ta
licità musicale, e perché istituita per una sola voce, e partecipando della natura del recitativo, ma in largo, non è legata
l’influenza di quest’arte sui costumi e sulla politica. Le tradizioni della China parlano in guisa dell’armonia che quasi sem
esì che per mezzo dell’armonia si potesse ispirar agli uomini l’amore della virtù e della pratica dei propri doveri. «Si vuol
zzo dell’armonia si potesse ispirar agli uomini l’amore della virtù e della pratica dei propri doveri. «Si vuol sapere s’un r
i di coloro che ‌ l’abitano sono buoni o cattivi? Si guardi il gusto della musica che vi regna» diceva Confucio. Ma quanto s
ed acuti che rendeva, il metsni somigliava all’aria pella dilicatezza della sua melodia, il bem aveva simpatia colla terra di
toria e poetica per eccitare ogni genere di passioni fondati sui moti della musica, e sulle diverse vibrazioni dei loro strum
mo proposito di non più ritornarvi. L’idea che gli Arabi si formavano della musica si potrà meglio comprendere dalla traduzio
i lettori che volessero acquistare più distinte notizie. «L’impiego della musica è una pruova della sua eccellenza. I nostr
cquistare più distinte notizie. «L’impiego della musica è una pruova della sua eccellenza. I nostri imani compagni de geni c
aro rampiccandosi sulle corde e spiegando la vela non pensa ai rischi della navigazione e intuona la sua canzonetta. «L’empia
elle perle, di tarpar le ali all’arenoso vento dominatore dei deserti della Petrea, e d’abbagliare i nostri occhi colle vane
uccelli ingannati dai suoni omogenei che fa egli sentire nel silenzio della notte. La timida pernice, l’incauto tordo e il fr
teso loro nelle ascose reti. «Il pastore, riposando allorché l’araldo della luce sferra i campi dopo il mezzogiorno sotto l’o
e umane, nondimeno conservarono lungamente il loro splendore a motivo della eccellente loro costituzione, e dell’intimo rappo
nsieme tutte le parti che li componevano. Si è parlato in altro luogo della convenienza di siffatti spettacoli colle opinioni
mo, la quale fu, siccome abbiamo veduto, una delle principali cagioni della lor perfezione: diamone presentemente una occhiat
che passa tra quelli e i nostri. Simplificando l’idea che noi abbiamo della musica in generale, sembra che altro non intendia
niera s’esprimevano meglio in un’altra; le trasposizioni o inversioni della sintassi che aggiugnevano grazia, numero e volubi
ezza abbiamo in massima parte rinunziato con discapito delle lingue e della poesia. Che si dirà poi dell’arte che avevano i l
accenti, onde così spiccata e sensibile rendevasi l’inflessione? Che della minutezza con cui si badava non solo alla natura
a delle lettere? Aristide Quintiliano ce ne dà un distinto ragguaglio della natura delle vocali, delle semivocali e delle app
umero prodigioso, dal quale solo potrebbe argomentarsi la superiorità della lingua greca rispetto a tutte le altre) non si tr
o tutta la varietà di movimenti degli oggetti imitati. E l’eccellenza della poesia e della musica greca consisteva in ciò app
età di movimenti degli oggetti imitati. E l’eccellenza della poesia e della musica greca consisteva in ciò appunto che nessun
ecedute da una breve, mostravano col loro tardo andamento la lentezza della cosa rappresentata. S’aveva intenzione di eccitar
ecchi che ballano nel coro. Secondo gli accennati principi il sistema della prosodia antica, nel quale i nostri ciurmatori gr
pennello delle Grazie, la fiaccola del genio, e la cagion effettrice della musicale possanza. [19] Ben più elevato e più sub
za sulle passioni dell’anima». 119 Il secondo si mostra così persuaso della verità di questa opinione che riguarda il cangiam
nione che riguarda il cangiamento del ritmo come una delle corruzioni della melodia. «Se noi mettiamo (egli dice) a confronto
nda allo stato dell’altra. Ciò serve a spiegare altresì in qual parte della musica greca fosse riposta la tanto da loro vanta
soprannaturale infuso dalla grazia divina) sono per lo più un effetto della sensibilità e del fisico temperamento, i moti de’
hiaro che fra le mani d’un saggio filosofo diverrà esso uno strumento della virtù, come fra le mani d’un accorto legislatore
dizione121. [21] Dal particolare studio posto da loro nella formazion della poesia e del metro non meno che nella scelta e ne
o ciò che concerne la musica propriamente detta. Noi siamo all’oscuro della natura intrinseca della greca armonia, chechè abb
sica propriamente detta. Noi siamo all’oscuro della natura intrinseca della greca armonia, chechè abbiano voluto dirci in con
greca armonia, chechè abbiano voluto dirci in contrario gli scrittori della storia musicale e i traduttori e commentatori dei
avate dai fatti si diduce che i Greci mostraron nell’uso che facevano della musica vocale e strumentale la medesima profondit
le belle arti riguardavano essi come oggetto principale l’imitazione della natura, e siccome la possanza imitatrice della mu
rincipale l’imitazione della natura, e siccome la possanza imitatrice della musica, massimamente nello svegliar le passioni,
ndo che l’energia dell’effetto è sempre in ragione dell’opportunità e della convergenza delle cause, si studiarono con sommo
sclusi dal genere musicale quasi tutte le diverse e moltiplici spezie della poesia. Noi non contiamo in questa classe che le
i, presso a’ quali non mai disgiugnendosi l’una dall’altra, i confini della musica erano gli stessi che quelli della poesia.
l’una dall’altra, i confini della musica erano gli stessi che quelli della poesia. I nostri compositori si troverebbono fort
vendo veruna misura fissa con cui poter regolare la durazion relativa della pronunzia nelle parole. Non così accadeva nella p
abbiamo noi nella opportuna collocazione degli accenti sulle parole, della quale nasceva in gran parte il numero, e la caden
ano, poiché non sapendo se la sillaba “spo” sia più lunga o più breve della sillaba “gli” o della sillaba “e”, non sa precisa
o se la sillaba “spo” sia più lunga o più breve della sillaba “gli” o della sillaba “e”, non sa precisamente se alla prima co
tri che vi si sono affaticati per levarlo di mezzo. E ciò che si dice della poesia rispetto alla musica, si dice ancora della
. E ciò che si dice della poesia rispetto alla musica, si dice ancora della musica strumentale rispetto alla vocale, cioè che
o per voler ciascuna primeggiare da sé, sottraendosi dalla dipendenza della sua compagna. [28] So che i fautori della moderna
ttraendosi dalla dipendenza della sua compagna. [28] So che i fautori della moderna musica, alla testa de’ quali fa d’uopo me
uasi che simili finezze non siano necessarie atteso l’attuale sistema della lingua e della poesia italiana. Ma parlando in ta
finezze non siano necessarie atteso l’attuale sistema della lingua e della poesia italiana. Ma parlando in tal guisa qual id
a poesia italiana. Ma parlando in tal guisa qual idea si formano essi della imitazion poetica e musicale? Ignorano forse che
ano di quantità determinata? Che il movimento ed il tempo mancheranno della dovuta precisione se vogliono tener dietro alle p
rla nei concerti puramente strumentali, cioè nel genere meno perfetto della musica, siccome quello cui manca il principal fon
no perfetto della musica, siccome quello cui manca il principal fonte della energia, che consiste nella espressione di qualch
cangiar di misura, principalmente in quei luoghi dove gli intervalli della voce essendo meno marcati, e conseguentemente più
guitar l’ordine delle sillabe? E che nelle arie stesse dove il riposo della voce sulle rispettive vocali è più durevole, e pi
uenza che ha nella musica, spiega altresì sufficientemente le cagioni della sua diversità rispetto all’antica, dove per molti
e da non ismentire la sua barbara origine. [29] Ma che vo io parlando della mancanza di misura poetica quando la moderna armo
, ch’è una tripla doppia, e la noncupla, la quale è una triplicazione della tripla. La prima di esse misure esprime quattro t
l’effetto lo sanno coloro che hanno filosofato sull’origine e i fonti della espressione musicale, e che conoscono altresì com
tresì come una sola spezie di misura non può se non che con discapito della espressione rendersi comune ai mentovati piedi, c
onia, più spediti dove si tratti dell’allegrezza, velocissimi poi ove della iracondia, e così delle altre affezioni dell’anim
rarie senza fissarla ad un movimento determinato. [31] Quanto si dice della moltiplicità delle parti si dice altresì della sc
o. [31] Quanto si dice della moltiplicità delle parti si dice altresì della scelta degli intervalli che sono in uso nella nos
a terza, il risultato del suono e dell’effetto sarà conforme al tuono della quinta, e non della terza. Posto questo principio
o del suono e dell’effetto sarà conforme al tuono della quinta, e non della terza. Posto questo principio incontrastabile, fa
iano le due terze. Egli è chiaro in tal caso che la base fondamentale della modulazione dovrà principalmente raggirarsi intor
er la sua vaghezza ed artifizio e tale è appunto il merito intrinseco della moderna musica, dove l’arte d’intrecciare le modu
itar le passioni, e che l’intrinseca ripugnanza che regna nel sistema della nostra armonia (ripugnanza nata dal comprendere i
lla greca nella quale siccome non trovavansi le squisitezze armoniche della moderna, così non si trovavan nemmeno le sue cont
nzi al suo scopo maravigliosamente diretto. [32] Il grande svantaggio della nostra musica è non per tanto quello che qualunqu
che abbiamo provato esistere nell’armonia, anche dalla natura stessa della cantilena o composizione, la quale a eccezione de
valli in ispezie di maggiore o minore estensione secondo il carattere della cantilena, non solo la voce, ma la voce determina
he non potessero trasferirsi a verun’altra, non solo la tendenza vaga della cantilena verso un tale oggetto, ma la tendenza i
la dei Greci, ma la verità, ch’è sempre la stessa malgrado il sorriso della prevenzione e i sofismi della pedanteria, ci farà
’è sempre la stessa malgrado il sorriso della prevenzione e i sofismi della pedanteria, ci farà vedere che noi non abbiamo de
ione e i sofismi della pedanteria, ci farà vedere che noi non abbiamo della musica fuorché la parte più materiale e meno impo
che facendo professione di vivere eternamente attaccati ai pregiudizi della lor nazione e del loro secolo come le cariatidi a
umentale separata dalle parole «una cosa insignificante.… ed un abuso della melodia». 113. [NdA] Ferecrate comico appo Pluta
na ai soldati, è opinione del celebre segretario fiorentino nell’arte della guerra (dialogo 2) e il Maresciallo di Sassonia n
e sì frequente bisogno! 122. [NdA] L’inglese Brown nel suo Trattato della forza e unione della musica e della poesia riflet
o! 122. [NdA] L’inglese Brown nel suo Trattato della forza e unione della musica e della poesia riflette saggiamente che l’
L’inglese Brown nel suo Trattato della forza e unione della musica e della poesia riflette saggiamente che l’idea che noi ab
lte effetti opposti non che dissimili. Platone, per esempio, parlando della melodia frigia, dice ch’era più tranquilla della
er esempio, parlando della melodia frigia, dice ch’era più tranquilla della dorica, che ispirava la moderazione, e che si con
filosofo asserisce che le composizioni d’Olimpo antico musico nativo della Frigia ispiravano un furore più che umano. Ciò no
reci che hanno trattato di musica, si ritrovava in Isvezia alla corte della famosa Cristina insieme col Naudeo letterato anch
audeo letterato anch’egli di prima sfera. Bourdelot medico e favorito della regina, e scrittore altresì d’una Storia della mu
elot medico e favorito della regina, e scrittore altresì d’una Storia della musica composta senza notizie, senza critica, e s
la regina che comandasse a Meibomio di cantar in sua presenza un’aria della musica antica pubblicata da lui medesimo nella su
pensava potersi giudicare con siffatto metodo dell’indole ed energia della musica antica. 123. [NdA] Martini, Storia della
l’indole ed energia della musica antica. 123. [NdA] Martini, Storia della musica, tom. 3, 453. 124. [NdA] Veggasi il tratt
oderno scrittore, cioè il padre Sacchi Barnabita nel capitolo secondo della sua Dissertazione intorno alla misura del tempo n
il nome di Earino se non perché non avrebbe potuto alterare il valore della prima vocale senza offender l’orecchio de’ suoi l
oni, t. 2. 128. [NdA] Trattato di musica, p. 145. 129. [NdA] Storia della musica, t. 3, p. 439. 130. [NdA] Estro poetico-a
7 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VIII. Teatri Settentrionali nel XVIII secolo — CAPO V. Letteratura e Commedia Turca. » pp. 262-269
e delle Spagne, termineremo questo libro con un saggio de’ progressi della coltura della Turchia e della commedia che vi si
e, termineremo questo libro con un saggio de’ progressi della coltura della Turchia e della commedia che vi si rappresenta. U
uesto libro con un saggio de’ progressi della coltura della Turchia e della commedia che vi si rappresenta. Un pregiudizio vo
si rappresenta. Un pregiudizio volgare va impiccolendo in noi l’idea della coltura delle nazioni a proporzione della loro lo
impiccolendo in noi l’idea della coltura delle nazioni a proporzione della loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia sembr
ne della loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia sembraci indegno della nostra stima e incapace di buon senso e di gusto.
tere e di comparare ne vanno esenti. Generalmente i Turchi, mal grado della loro comunicazione con alcune corti Europee, che
ili nella pace e nella guerra. Orcano stabilì varj collegj per comodo della gioventù. Amurat I creò e disciplinò la temuta mi
ava le arti e la musica, e coltivava l’astronomia. Compiacevasi anche della pittura, e Gentile Belino pittore Veneziano per a
a sua corte, e se ne tornò carico di doni75. Soprattutto si dilettava della storia, e singolarmente di quella di Augusto e de
i soggetti, e ne fece fare le traduzioni in lingua Turca76. All’amore della storia debbesi la beneficenza usata da questo pri
ersiano, come noi il Greco ed il Latino. Quei che attendono alle cose della religione e alla giurisprudenza, studiano i comen
ioni de’ nostri legislatori. Sin dal XVI secolo abbondavano ne’ paesi della Turchia Asiatica ed Europea le biblioteche. L’ Ol
ra uno spettacolo scenico. Ma la drammatica di questi moderni signori della Grecia troppo è lontana da quella del tempo di So
del giovane amante, e cade infermo. Tenero il padre indaga l’origine della sua malinconia, la trova, riflette, compatisce, s
e, capace di viluppo e di scioglimento popolare, dà luogo al maneggio della tenerezza, e nulla ha di romanzesco e stravagante
, alcune francesi di Hardi ecc., la Celestina, il dottor Carlino ecc. della Spagna, e la Calandra dell’Italia. I commedianti
e rappresentanze de’ Pupi. In occasione di nozze si passa la giornata della cerimonia ballando, o vedendo rappresentare i pup
monia ballando, o vedendo rappresentare i pupi. Le notti di quaresima della luna di ramazan si spendono a mangiare, fumare, p
ovio, Spon e Weler presso Bayle art. Golius Nota D. 78. V. il tomo I della Gazzetta letteraria dell’Europa, dove si parla de
8 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimosettimo, ed ultimo »
anno però contribuito al miglioramento dello stile, o alla perfezione della musica. A maggiore e più compita illustrazione de
alla perfezione della musica. A maggiore e più compita illustrazione della materia io aveva pensato d’aggiugnere alcune rifl
io aveva pensato d’aggiugnere alcune riflessioni intorno alla storia della tragedia e della comedia italiana, e intorno all’
d’aggiugnere alcune riflessioni intorno alla storia della tragedia e della comedia italiana, e intorno all’influenza che dev
ndole dello spettacolo lo stato attuale civile e politico dei costumi della nazione; ma i consigli di qualche amico illuminat
avrà fra poco il piacere di leggere le vicende dei due mentovati rami della drammatica esposte con molta erudizione e criteri
o Napoli-Signorelli, degnissimo segretario di quella Reale Accademia; della quale opera benché nulla abbia io veduto finora,
ioni e per le viste utilissime che racchiude concernenti la filosofia della musica e delle arti rappresentative. Essa è diret
e delle arti rappresentative. Essa è diretta ad un celebre letterato della sua nazione, e contiene l’idea d’un’opera da eseg
dea d’un’opera da eseguirsi intorno alla musica, ma che per isventura della filosofia e del buon gusto non è stata finora int
tifica. Quanto a me, senza imbarazzarmi in una teoria, in ogni arcano della quale credo impossibil cosa il penetrare, sono d’
non gli adoperano le più delle volte fuorché ad abbellire i capricci della loro fantasia, ne ha in tal guisa sformati i line
ciò sono diretti i miei tentativi. Io presento a’ musici la rettorica della musica, e quest’è l’oggetto mio principale. Dico
o mio principale. Dico così perch’io imprenderò a trattare lungamente della musica degli antichi, e di quanto ha relazione co
, e di quanto ha relazione con essa. Confesso però ch’io debbo l’idea della mia opera, e i migliori mezzi onde sarà eseguita
opera, e i migliori mezzi onde sarà eseguita allo studio per me fatto della loro musica e in un della poesia loro. Quando si
onde sarà eseguita allo studio per me fatto della loro musica e in un della poesia loro. Quando si parla o si scrive sopra le
o bensì che la via d’intenderli bene e di gustarli non è tanto quella della discussione, e dell’analisi, quanto quella del gu
liano. [4] Gli antichi consideravano il ritmo come la principal parte della musica. Qui non cade in acconcio l’esporvi, o Sig
a quantità, d’altro non abbiam d’uopo che di por niente al meccanismo della loro poesia per fissare insieme l’importante e ve
serio esame. A tutti è noto che il più bello e più squisito artificio della versificazione greca e latina consisteva nella co
ni degli antichi. [5] Io debbo qui avvertire, o Signore, che la legge della quantità, alla quale s’assoggettavano i musici, n
tanarsene un cotal poco. Quintiliano osserva esser doppio il rapporto della breve e della lunga, e corrisponder la lunga ora
otal poco. Quintiliano osserva esser doppio il rapporto della breve e della lunga, e corrisponder la lunga ora a due brevi, o
d ogni modo e chi non s’accorge che la prima parola va più lentamente della seconda? Perlochè a questo corso più o meno rapid
cagione dell’estrema varietà e dell’irregolarità frequente del ritmo della musica antica. Io non poteva far conoscere a nost
quelle onde noi ci serviamo, senza metter in chiaro lume questa parte della loro musica onde mi sono inoltrato con tanto più
ero punto le prolazioni191. Noi all’opposto ci approfittiamo talmente della libertà che ci lascia la troppo ignorata prosodia
corciando i nostri suoni indeboliamo di giorno in giorno quella parte della espression musicale, ch’è fuor d’ogni dubbio la p
ere a’ nostri musici quanto lor monterebbe di conoscere il meccanismo della loro lingua, e segnatamente di rivolgere l’attenz
un modo vantaggioso e superiore ancora ad una delle maggiori bellezze della lingua greca, voglio dire all’onomatopea, di cui
o pochissimi esempi. Porrò fine facendo di passaggio un qualche motto della lunga controversia che durò sì lungo tempo tra gl
ti segni, l’istituzione de’ quali è posteriore d’assai alla bella età della lingua greca, non furono inventati se non per fis
ione distruggendo la bellezza principale, e l’artifizio il più felice della greca versificazione. Per quanto siasi beffato il
ro delle ragioni invincibili, e senza replica cavate dalla cognizione della musica. Oltracciò le riflessioni da me fatte sopr
re alla melodia permettete, o Signore, ch’io ragioni un poco de’ modi della musica antica, che non differivano dalle nostre m
neri, come più non si pensa che il ridicolo è l’anima e il fondamento della commedia 193. Noi ci promettiamo de’ nuovi e più
eca a quelle di Sofocle? Gli antichi conobbero molto meglio il pregio della bellezza. Voi sapete fino a qual segno la tennero
servare in Plutarco, in Dione, e in Massimo di Tiro, che la decadenza della musica de’ Greci seco trasse anche quella de’ lor
gni strumento non avea che un modo solo196. E questo ci rende ragione della quantità prodigiosa de’ loro strumenti, e in un c
el nostro “A-mi-la”. Del resto s’io rivolgo il pensiero alla severità della musica antica, non perciò pretendo di ristabilirl
bbia egli in vista d’afferrare quella giusta ed adeguata misura, fuor della quale fuggono, e a così dir, si dileguano tutte l
i suoni debbono essere conformi a quelli di cui abbonda il linguaggio della nazione. Distinguo la melodia libera da quella ch
al gusto generale ella ne ha sortito l’intento. Non avviene lo stesso della melodia obbligata, o vocale. Abbia questa tutte l
cuore, e che caldamente raccomandavano ai principianti, come la parte della musica la più utile all’eloquenza e in cui mostre
evidente per mezzo di esempi; e siccome non parlo a prima giunta che della sola melodia francese: così li traggo dalle opere
al canto italiano, il quale giusta la definizione per me data innanzi della melodia, e giusta le osservazioni ch’io farò su d
sì differir dal nostro, come l’accento, le inflessioni, il meccanismo della lingua, e i costumi degli Italiani differiscono d
costumi, e dal genio de’ Francesi. Porrò a confronto ciò ch’han detto della musica italiana alcuni personaggi ragguardevoli p
grand’uomini dell’Italia 198, e tenterò infine di scoprire le cagioni della sua seduzione, e della sua magia, mostrando che l
a 198, e tenterò infine di scoprire le cagioni della sua seduzione, e della sua magia, mostrando che la monotonia di cui noi
ior numero dei dotti che hanno penetrato più addentro in questa parte della musica, vuol concordemente che fosse sconosciuta
bellezze squisite e sublimi. Di tal maniera i piaceri dello spirito e della ragione devono preferirsi a quelli de’ sensi. Io
dichiarato essenziale al poema il verso? Tali altri fondano l’essenza della poesia nelll entusiasmo, ma (parliamo di buona fe
arliamo di buona fede) l’entusiasmo è egli mai il carattere esclusivo della poesia? Si rinviene egli mai presso agli antichi
sbandita la finzione. Egli è non pertanto indubitabile che col mezzo della finzione e della favola, la poesia antica formava
ione. Egli è non pertanto indubitabile che col mezzo della finzione e della favola, la poesia antica formava la principal sua
perciò che gli antichi l’hanno mai sempre risguardata come l’essenza della poesia201. [11] Coloro che non abbracciano siffat
, ma non s’avveggono che questi non aveano e non doveano aver nemmeno della poesia la medesima idea che i Greci, i poeti de’
che nacque dal non avere studiata accuratamente l’origine, e il genio della poesia antica. La semplice filologia non giugnere
le acconcie ad essere cantate, com’io proverollo più a lungo parlando della loro declamazione. Quindi io ritorno ai mezzi che
iamo fantastiche quelle che rappresentano gli esseri morali e le idee della imaginazione, che non hanno una certa e determina
iudo alfine osservando i diversi stili de più celebri musici non meno della scuola francese, che dell’italiana. [12] Ecco o S
lo dell’avanzamento delle arti m’incoraggiava talvolta, il sentimento della mia debolezza, e la grandezza, e la difficoltà de
a, il sentimento della mia debolezza, e la grandezza, e la difficoltà della impresa mi sbigottivano dall’altro. I pochi mezzi
186. [NdA] Avrà per titolo Saggi filosofici sull’origine e i fonti della espressione nelle belle Arti e nelle belle Letter
h’esse ci apportano. Nel secondo si parlerà de’ suoni e degli accenti della voce umana considerati come la materia elementare
alla origine delle lingue in quanto sono il fondamento dell’armonia, della melodia e dell’imitazione. Il terzo discorso comp
za alla quale si cercherà di ridurre gli spinosi, ed astrusi principi della espressione e del buon gusto, sarà fregiata di mo
del loro Petrarca, e il volgo alloppiato dal facile e pronto diletto della rima all’introduzione della nuova poesia fortemen
go alloppiato dal facile e pronto diletto della rima all’introduzione della nuova poesia fortemente s’opposero. E sebbene sif
tare, ella tuttavia era appoggiata sulla ragione e sull’indole stessa della lingua italiana, la quale avendo da lungo rempo a
ed i Latini. L’articolo “il, la, lo”, che si premette a tutti i casi della declinazione di qualunque nome, le danno un certo
esinenza costante d’ogni nome nella medesima lettera per tutti i casi della sua inflessione la rende troppo uniforme, e le to
e col solo cangiar terminazione esprima in una parola il diverso caso della sua inflessione che non l’altra, la quale conserv
dei verbi ansiliari essere e avere mettendoli avanti a tutti i tempi della voce passiva dei verbi, e a molti della voce atti
endoli avanti a tutti i tempi della voce passiva dei verbi, e a molti della voce attiva induce non so qual imbarazzo nella si
se ne faceva: pure malgrado il loro zelo e l’eloquenza loro i piaceri della ragione furono sagrificati a que’ dell’orecchio,
i a que’ dell’orecchio, e d’allora in poi essi compiansero la perdita della musica antica. Imperocché ciò che Plutarco, Massi
ione di coloro (tra’ quali deve contarsi il Muratori nel secondo tomo della perfetta poesia) che veggendo i difetti della mus
ratori nel secondo tomo della perfetta poesia) che veggendo i difetti della musica italiana nascere per la massima parte dall
ca al solo recitativo. Per quanto sia bella in se stessa questa parte della musica, per quanto il recitativo italiano, quand’
e le altre nazioni, senza eccettuar la francese, nella verità e forza della espressione, nella naturalezza della declamazione
a francese, nella verità e forza della espressione, nella naturalezza della declamazione, nella scelta d’inflessioni vive e i
fucatur, atque praelinitur, fit praestigiosum.» 201. [NdA] L’anima della poesia antica era la finzione: per mezzo della fa
» 201. [NdA] L’anima della poesia antica era la finzione: per mezzo della favola ella formava la principal sua imitazione,
o colle sue proprie parole, come si trovano nel suo libro dell’unione della musica e della poesia alla pag. 205. «Ma affinch
prie parole, come si trovano nel suo libro dell’unione della musica e della poesia alla pag. 205. «Ma affinchè non sembri ch
e dell’oratorio possono rappresentarsi perfettamente uniti alle forze della musica e congiunti con la probabilità, e la natur
unione dell’ode e del poema epico si formò un rozzo naturale abbozzo della tragedia composto di narrazione musicale e di can
usicale e di canto corale. Fissiamoci dunque qui per l’acconcia forma della rappresentazione musicale delle azioni grandi, te
un tal grado di naturalezza, e di probabilità, che daranno all’unione della musica, e della poesia la maggior forza e pathos.
naturalezza, e di probabilità, che daranno all’unione della musica, e della poesia la maggior forza e pathos. Le narrazioni c
scire più animati d’una semplice e continuata ode, la quale a cagione della sua non interrotta lunghezza può divenir languida
i quali ascoltano la recita dell’azione, e sono informati delle leggi della melodia, ad unirsi a prender parte in qualunque r
uo sistema compose un’oda intitolata la Cura di Saule. Ma checché sia della bellezza di tali componimenti considerati come pu
9 (1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO XV. ed ultimo. Conchiusione con pochi Avvisi amorevoli agli Apologisti. » pp. 214-236
resentemente, per quanto prevedo me ne asterrò per l’avvenire, sicuro della mia retta intenzione, e de’ fatti scenici che rif
n più vigore assaltiate, ed esterminiate i vostri avversarj, formando della Letteratura Spagnuola un’ Apologia da essere un m
mando della Letteratura Spagnuola un’ Apologia da essere un monumento della vostra sapienza ære perennius; o se potrò almeno
donatemi questa insinuazione; ma siate certo, che il Mondo è persuaso della verità del motto Virgiliano: Non omnis fert omnia
aduzioni le Tragedie del Perez: sulla infelice difesa che imprendeste della Isabella dell’Argensola: sulla vostra novella fog
ell’Ecuba &c.: sul giudizio che portaste di Rapin: sugl’inventori della Pastorale: su i Pregiudizj attribuiti al Signorel
ro falso modo di ragionare dell’Opera Italiana: sulle Tragedie divine della Caverna di Salamina: sul passo di Orazio, in cui
pitale non posseggono, che l’onestà? E lasciando a parte i rimproveri della propria coscienza, e il deterioramento della ripu
ndo a parte i rimproveri della propria coscienza, e il deterioramento della riputazione presso il pubblico, si dee poi riflet
te a voi stesso il credito o per parte dell’intendimento, o per parte della volontà, e perpetuerete gli errori nazionali. In
lustri, si sono in tal guisa condotti i loro Filosofi, i veri amatori della Patria. Se non si manifestano le piaghe, come vol
ariz, dotti Filosofi Economisti Spagnuoli, avessero composte Apologie della condotta tenuta sotto i Monarchi Austriaci, in ve
i Austriaci, in vece di mostrarne gli errori, e d’indagare le origini della decadenza delle manifatture, del Commercio, della
indagare le origini della decadenza delle manifatture, del Commercio, della Marina, sarebbero stati i forieri degli odierni u
corrispondenza, e il traffico parimente di una Colonia coll’altra, e della Nuova-Spagna colle Filippine, si sarebbe ad occhi
glia, e delle Provincie di Valenza, Galizia, e Catalogna: opere degne della Umanità, opere che assicurano, non che i beni, le
lettosa Carolina che rallegra i Viaggiatori con tante verdi ricchezze della terra, che ora vi abbondano; vi si vedrebbero pop
idicole, quando spereremmo di vedere totalmente atterrate le reliquie della barbara Architettura? E potrebbe ciò sperarsi se
rante di Architettura prendesse a difendere la facciate dell’Ospizio, della Chiesa di San Sebastiano, del Quartiere delle Gua
n Sebastiano, del Quartiere delle Guardie del Corpo di Madrid, figlie della matta fantasia di Churriguera, che fu il Lope de
ero in sì famosa Corte. Ed ecco il modo di accreditarsi di benemerito della Nazione: secondare le sublimi vedute di sì benefi
fi nazionali, che non cessano dall’indagare sempre più utili sorgenti della ricchezza della Patria nel miglioramento dell’Agr
e non cessano dall’indagare sempre più utili sorgenti della ricchezza della Patria nel miglioramento dell’Agricoltura, e del
curate di mettere avanti la ignoranza, e la rozzezza de’ primi tempi della Città di Roma per averli discacciati. Roma guerri
averli discacciati. Roma guerriera non discacciava la Greca Sapienza, della quale cercò anzi di approfittarsi nella compilazi
illosa eloquenza di Carneade, che, aringando ora a favore, ora contro della Giustizia, mostrava ingegno, e non sapienza, esem
lcune Provincie di questa Penisola, e Roma discacciava i Sofisti, più della metà dell’Italia diventava infatti, e non immagin
i rimase qualche cosa più preziosa, cioè a dire la memoria gratissima della dottrina di tanti Filosofi, Oratori, Matematici,
a, come poi non si sono conservati in tali paesi gli stessi monumenti della Sapienza Greca? Quali Libri si ha notizia, che co
ico col vano suono delle parole. Queste non saranno mai nobili figlie della vera Eloquenza, quando manca loro il sostegno del
mai nobili figlie della vera Eloquenza, quando manca loro il sostegno della verità. E come parlare, o scrivere eloquentemente
λογων; diceva il piu eloquente Poeta Filosofo, lo Scrittore Tragico della Caverna di Salamina. VII. Volete voi tribut
e darò qualche esempio. Il Signor Lampillas va ruminando1 i materiali della Storia Letteraria di Spagna intorno alla venuta d
he esse c’insegnarono? Nulla in sostanza. De’ Celti dicono gli Autori della Storia Letteraria, che, lungi dall’averci insegna
’ Fenici? Perchè la venuta di questi si ha da riguardare come l’epoca della istruzione Spagnuola, se non possiamo determinata
avere riscontrati gli originali, sulla fede de’ compilatori Cordovesi della Storia Letteraria, par che affermi esser certo, i
iremmo in nostra lingua da gran tempo, e come dice nella sua l’Autore della Lettera citata mucho tiempo ha. Dice poi l’Apolog
Marchese di Mondejar intitolato Gades Phæniciæ “vien fissata l’epoca della venuta de’ Fenici nella Spagna, verso l’anno 1500
o 1500. prima dell’Era Cristiana”; che così pensano ancora gli Autori della Storia Letteraria, benchè M. Goguet la ritardi si
lla di lui mente i dubbj medesimi nati in quella del prelodato Autore della Lettera. Donde son las pruebas (Num. 73.)? que Au
anno certamente gli Etruschi pruove cotanto autentiche dell’antichità della loro Letteratura”. E donde gli nasce ora quel cer
sistema degli Atomi. Ma ecco su di ciò come ragiona l’erudito Autore della Lettera, che ci risparmia il travaglio di far quì
ema Peripatetico . . . . e la Spagna lo ricevè da’ Fenici molto prima della Grecia, e di Roma. Infelice gioventù” (ciò riferi
e di Roma. Infelice gioventù” (ciò riferito esclama l’ingenuo Autore della Lettera lodata) “che impari Critica da tale Stori
; gli Spagnuoli dunque ricevettero il sistema degli Atomi molto prima della Grecia, e di Roma? Stavano scritte con questa Log
ni?” In questa guisa ragionano i veri dotti Spagnuoli, i veri amatori della propria Nazione. Vogliono lodi che provengano da’
a’ sofismi, da imposture in fine? Ha bisogno delle glorie immaginarie della Letteratura Fenicia, Celtica, Greca, Cartaginese,
nicia, Celtica, Greca, Cartaginese, una Nazione generosa difenditrice della propria libertà per tanto tempo contro le forze p
ce della propria libertà per tanto tempo contro le forze più poderose della Romana Repubblica, che tante pruove di eroico inv
lita sotto gli Arabi seppe nelle montagne Asturiane conservare i semi della Libertà, donde sursero i Regni Cristiani, che al
e “Fortune fu maggior, che quando vinse?” Che seppe per amore e zelo della Religione sacrificare eroicamente un milione di V
sa Nazione di far quasi Spagnuolo l’Africano Annibale, e di pregiarsi della Lingua Greca che costui sapeva, per averla appres
i nella Betica, e il verseggiare accennato da Strabone nel III. Libro della Geografia? e che per giunta si conchiuda, che int
la Provincia Francese? Ha bisogno, Dio buono! di pregiarsi di un Atto della Celestina, che ne ha più di venti, e su questa ve
etture ed arzigogoli. Essa sola copiosamente fornisce ai veri amatori della Spagna glorie reali, patenti, innegabili: e quest
accommiato. 1. Vedi tali stabilimenti descritti nel Libro VIII. della Storia di America del Dottore Guglielmo Robertson
i ancora il Prologo del T. VI. del Viage de España. 1. V. il T. II. della P. I. del Saggio p. 14. 1. T. II. P. I. del Sag
aggio p. 14. 1. T. II. P. I. del Saggio Apol. 1. V. il Numero 52. della Lettera uscita in Madrid nel 1781. su gli errori
il Numero 52. della Lettera uscita in Madrid nel 1781. su gli errori della Storia Letteraria. 1. L’Autore della citata Let
Madrid nel 1781. su gli errori della Storia Letteraria. 1. L’Autore della citata Lettera distrugge ancora le congetture tra
10 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 364-382
diole, e riuscendo di non poco utile al capocomico. Ora ecco l’elenco della Compagnia di Luigi Rosa e Pasquale Tranquilli, ch
o colto Pubblico, e si lusinga che gli intelligenti e benigni amatori della drammatica, una non dubbia prova accordare vorran
nni, che le fu amica, madre, maestra amorosissima ; ai sacri precetti della quale, affermava ne'suoi ricordi con raro, e dire
scherpa, con cui stette fino al '45. Frattanto il Righetti, direttore della Real Compagnia, facevale vive istanze perchè vi t
istanze perchè vi tornasse ; ma, prima per le condizioni da lei fatte della scrittura, poi per la speranza del suo matrimonio
na serie di romantiche vicende la marchesa Capranica Del Grillo, fuor della scena. In quel tempo l’attore e capocomico Pis
Allora il Righetti, che in lei sola omai vedeva l’àncora di salvezza della naufragante Compagnia Reale, tornò all’assalto ;
La larghezza delle offerte aveva solleticato non poco l’amor proprio della Ristori, nella quale si risvegliò d’un tratto pot
ue volte alla settimana, in una sola produzione per sera in principio della serata con diritto di rifiutare quelle parti immo
ponessero la Compagnia, prima di sottoscrivere il contratto ; e prima della riconferma, non dovrebber in esso farsi innovazio
re, qualunque fosse, non dovrebbe aver diritto d’imporle l’esecuzione della sua parte ; volendo ella eseguirla secondo gliela
ligente, lo capiva, e voleva conciliar quelle col bilancio non pingue della Compagnia. E cercandole con lusinghevoli parole l
ibuire all’esistenza di questa, come una figlia riconoscente a quella della propria madre. » Ma l’onorario annuo portò, ultim
te modificato. Ella aveva attinto da noi il culmine sommo della rinomanza. Gl’inni della stampa, e gli entusiasmi
Ella aveva attinto da noi il culmine sommo della rinomanza. Gl’inni della stampa, e gli entusiasmi del pubblico non ebber c
Fu allora che « come un baleno — è lei che lo dice — da un cantuccio della sua mente scaturì l’ardito progetto di andare in
ile l’insuccesso artistico, possibilissimo il finanziario. Il ricordo della Compagnia che v'era andata il '30 con la Internar
argomenti, primo dei quali la divisione con lui, nel caso di perdita, della sua parte di utili toccata in Italia. E la
Grillo)…. E il Marchese Giuliano, di fatti, si recò a Parigi prima della Compagnia ; e di là mandò al Righetti una nota de
ressi e rischi, ho a cuore, più di qualunque altro, la riuscita buona della cosa per la mia Adelaide…. E la sera della prima
altro, la riuscita buona della cosa per la mia Adelaide…. E la sera della prima rappresentazione, il 22 di maggio, venne, e
a della prima rappresentazione, il 22 di maggio, venne, e il successo della Ristori fu ottimo, se non stupefacente. La stessa
he nella scena del quarto atto, grandi risorse, e taluni tra i devoti della Rachel, negaron tra l’altro all’artista nostra « 
ta un trionfo de'più solenni. Ma la Ristori non era il solo ornamento della Compagnia. Altri artisti di valore, come Ernesto
giugno si replicò la Mirra ; e il pubblico, attratto dall’entusiasmo della stampa, vi accorse in gran folla, e il successo f
ariamente assicurata : omai la Rachel fu soggiogata dalla grande arte della Ristori, fatta tutta di spontataneità, e quel bat
de arte della Ristori, fatta tutta di spontataneità, e quel battesimo della sua fama le aprì le vie di tutto il mondo. Ec
ta di Parigi 21 agosto 1855, Giuliano del Grillo. Reynaud, il Colline della Bohème, scrive della Ristori nella nuova serie de
o 1855, Giuliano del Grillo. Reynaud, il Colline della Bohème, scrive della Ristori nella nuova serie de'suoi Portraits conte
muove al pianto, anche quando non la si comprende, con l’espressione della sua faccia, e la melodia del suo organo di fisarm
Française (Paris, Dentu, 1873), dice di lei : L'ornamento principale della Compagnia, Adelaide Ristori, si ebbe nella interp
si sforzava di mostrare quanto più grande fosse la tragica straniera della tragica francese…. E tutti i giornali comparavan
iasmo, scriveva a un amico : Sono stato un de' più grandi ammiratori della Ristori. L'ho veduta in tutte le sue parti, e non
esente successo all’Ambigu nella Rosa Michel del Blum. Tutta la scena della denunzia in Patria era del Ristorismo più puro. P
, Bourdilliat, 1861), non ebbe, specie per la recitazione in francese della Beatrice di Legouvé, parole di soverchia tenerezz
fu anche, s’è già detto, il primo passo del lungo e glorioso cammino della Ristori, chè di là il suo nome echeggiò in ogni p
povero soldato condannato a morte ; visse, nei momenti più burrascosi della patria nostra, gagliardamente italiana. Fu sposa
Fu sposa e madre adorata ; e, lasciate le scene, diventò dama d’onore della Regina d’Italia. Al suo ottantesimo anno, tutto i
ele III andò in persona a ossequiarla, recandole un dono e gli auguri della Regina : il Ministro dell’Istruzione le coniò una
826, e morto capo-stazione a Foggia nel 1894 ; e Cesare ora al fianco della sorella per le parti di carattere, ora cantante b
11 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 4
fece miagolare a forza di sculacciate. Era nel 1850 la prima attrice della Compagnia Astolfi, Capodaglio e Venturoli. La Mod
i, Capodaglio e Venturoli. La Moda di quell’anno (25 giugno) parlando della Compagnia che recitava all’I. R. Teatro alla Cann
ne i precetti dalla rinomata Ristori, la quale seppe guidare il genio della nobilissima allieva, ed infondere nella di lei az
atiche dei nostri giorni. Nella Laboranti traluce il dire ed il gesto della Ristori………… Nella sua serata di benefizio scelse
Lecouvreur. Se in altre produzioni la Laboranti è fedele all’ indole della sua parte, e sa, diremo cosi, convertire in verit
o un mazzolino di fiori inviatole dalla sua rivale, il lento processo della venefica emanazione fu così bene dipinto dalla La
ne dipinto dalla Laboranti, che a giudizio dei provetti frequentatori della commedia, ella ragguinse la sublimità della Risto
ei provetti frequentatori della commedia, ella ragguinse la sublimità della Ristori.
12 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimoquarto »
varietà dei gusti musicali. [1] In una nazione che riguarda l’unione della musica e della poesia come un semplice passatempo
ti musicali. [1] In una nazione che riguarda l’unione della musica e della poesia come un semplice passatempo destinato a ca
stesse, la musica strumentale non è che una imitazione o un sassidio della vocale. Ma dal momento in cui si separarono codes
n uso più frequente delle arie, o strofette liriche, nei loro drammi, della quale usanza invaghiti i maestri dozzinali (cioè
musica drammatica. Per lo che, trovandosi con siffatto metodo liberi della fatica che doveva costar loro la verità e i tuoni
di sfoggiare nel canto più raffinato ch’esigono le arie coll’agilità della voce senza trovarsi, a così dir, rinserrati fra l
sono puramente letterari, citerei innanzi al tribunale inappellabile della umanità, della filosofia, e della religione la ba
letterari, citerei innanzi al tribunale inappellabile della umanità, della filosofia, e della religione la barbara ed esecra
innanzi al tribunale inappellabile della umanità, della filosofia, e della religione la barbara ed esecrabile costumanza che
ia dell’asiatica voluttà per monumento dei nostri vizi, per oltraggio della natura, e per consolar i Caraibi ed i Giaghi dell
izi, per oltraggio della natura, e per consolar i Caraibi ed i Giaghi della superiorità che gli Europei si vantano d’avere so
opra di loro. Parlo del privar che si fa spietatamente delle sorgenti della virilità tanti esseri men colpevoli che infelici,
n colpevoli che infelici, non per sigillare col loro sangue la verità della nostra augusta religione che ispira solo mansuetu
per esercitar un atto di virtù eroica e sublime che ci ricompensasse della durezza dei mezzi coll’importanza del fine, ma pe
col fine di stampare negli animi del popolo le massime più importanti della morale, sono oggimai divenuti l’asilo de’ pregiud
nazionali, e altrettante scuole di scostumatezza. Esorterei i grandi della terra, che accumulando insensatamente su tali per
dell’altare acciocché più non trovasse ricetto nel domicilio augusto della divinità un pregiudizio che non può far a meno, c
riaccese di nuovo i fulmini del Vaticano contro ai crudeli promotori della evirazione. Mi rivolgerei a quel sesso da cui non
ocinasse una simile causa, ma tra il quale gl’inconcepibili progressi della corruzione fanno pur nascere più di una spiritosa
cere più di una spiritosa avvocata, pregandolo a concorrere per mezzo della influenza cui la natura, non so se per nostra for
tocle coi visi forbiti di codesti ch’io chiamerei volentieri i neutri della umana spezie? Fra la dolce e vigorosa fierezza d’
lo stesso contegno che le si darebbe alorché si consiglia coi grandi della nazione intorno alla scelta di uno sposo. Chi può
ta al petto per più minuti, come avessero a rappresentare i figliuoli della Niobe che si trovano nella galleria di Firenze? C
riposo non altrimenti che facciano gli avvelenati o i punti dal morso della tarantola nel tempo che si espone la sua ragione
iacenza e colla stolidezza degna di cotai mecenati? Per non dir nulla della energia che scemano alla situazione e al sentimen
orrono principalmente a produr l’espressione, cioè l’accento patetico della lingua, l’armonia, e la melodia, ciascuna delle q
formano quell’aggregato dal quale ben congegnato e unito ai prestigi della prospettiva risulta poi l’illusione e l’interesse
ta poi l’illusione e l’interesse dello spettacolo. L’accento patetico della lingua non essendo altro che il linguaggio natura
fica l’accento secondo tali determinati intervalli, e che dà ai suoni della melodia la necessaria precisione e giustezza. Le
la, non sarebbe possibile l’ottenere l’effetto delle altre. L’accento della lingua sciolto, a così dire, e vagante non avrebb
reca, dove la poesia regolava la musica, dove la prosodia era l’anima della misura, dove l’accento musicale se medesimo non a
a dell’amore, ella non sa regnare che sola. Dall’altra parte l’azione della musica è così viva ed intensa che mal potrebbe re
te non perdano totalmente l’effetto loro. Quindi la natural divisione della poesia musicale in recitativo semplice, recitativ
poteva esser tale presso agli antichi Greci. cosicché tutta la teoria della espressione nel moderno melodramma si racchiude n
del seguente problema: Assegnare fino a qual punto l’accento naturale della lingua possa divenir musicale, e fino a qual punt
asfondendosi intieramente nel canto e fregiata da tutti gli ornamenti della strumentale concorre insiem colla musica a render
recitativo, nel quale poco differente dal parlar ordinario pel tuono della voce tranquilla con cui s’espone, e per le materi
nso delle parole con chiara e netta pronunzia, osservando la prosodia della lingua senza confonderla, facendo sentir all’orec
ei tuoni, in una parola attaccandosi alle regole che prescrive l’arte della declamazione. La musica non vi deve entrare se no
za d’un animo agitato da mille movimenti contrari, l’accento patetico della lingua piglia anch’esso un nuovo carattere nel re
rnativo silenzio frapposto alle parole è il miglior indizio possibile della dubbiezza dell’animo, non potrebbe rappresentarsi
dettata dal buon senso e dalla esperienza d’usar cioè vicendevolmente della poesia e degli strumenti come di due interlocutor
vrebbe far sentire la successione degli intervalli armonici nei tuoni della voce, e farla sentire in maniera che, notandoli f
ignificar coll’azione, coi cambiamenti del volto e coll’atteggiamento della persona que’ tratti di forza e di sublimità che v
ili. Diamone alcuni saggi per maggior chiarezza. [12] Nel sesto libro della Eneide Enea trova ne’ boschetti dell’Eliso la tro
otervi resistere, avea presa la fuga. Il vecchio sen duole amaramente della codardia del figlio. La sorella allor gli dimanda
o, o si risolve in uno o più sentimenti determinati, allora l’accento della lingua rinforzato dal vigore che gli somministra
di più energico prende tutti i caratteri del canto. Ivi l’estensione della voce è maggiore, le sue inflessioni più decisive,
e le combina sotto la forma più acconcia a far nascere in noi le idee della unità, della varietà, della convenienza e dell’or
sotto la forma più acconcia a far nascere in noi le idee della unità, della varietà, della convenienza e dell’ordine. Così l’
più acconcia a far nascere in noi le idee della unità, della varietà, della convenienza e dell’ordine. Così l’amore di Prassi
Ecco la necessità di abbellir la natura ricavata dal principio stesso della imitazione. [20] La musica non differisce punto d
la proporzione e il vigore osservati dallo scultore in più individui della umana spezie; come la descrizione della tempesta
llo scultore in più individui della umana spezie; come la descrizione della tempesta in Virgilio non è altro che l’unione di
di qualche passione, e disposti poi dal compositore secondo le leggi della modulazione. Il risultato non per tanto della imi
sitore secondo le leggi della modulazione. Il risultato non per tanto della imitazion musicale benché tale qual è non esista
sparso sopra di noi i sistemi d’educazione, e i successivi progressi della cultura o piuttosto del corrompimento nella socie
lo scegliere i motivi più belli, e il far uso di tutte le squisitezze della melodia, ma non vorrebbe che la musica di teatro
nella poesia. In una parola vorrebbe egli che le grazie e le bellezze della musica fossero tutte quante sagrificate ad una ri
dal complesso di molte altre idee accessorie che s’uniscono a quella della immediata espressione dei sentimenti, certo è che
l colpire con giustezza pel segno dando alla rappresentazione propria della musica quel grado d’abbellimento che la rende com
fra loro i due estremi difficili, di emendar cioè coll’arte i difetti della natura, e di non sostituire alla natura gli abbig
bellimenti cuoi servano, a così dire, di mediatori fra l’imperfezione della natura e la sensibilità mal contenta dell’uditore
ra lo spettatore, che non s’interessa nell’oggetto se non se a motivo della illusione, ogni qual volta è costretto a riconosc
lusione, ogni qual volta è costretto a riconoscer l’inganno: si pente della propria credulità e si vendica dispregiando l’art
schivarli. Dee ammetterli qualora essi realmente correggano i difetti della composizione o del sentimento, qualora promuovano
iverso da quello che esige il suo carattere, ovvero cangiano l’indole della passione o la natura del personaggio. Come la mat
nale o in un coro; attesoché se ad ogni cantore si concedesse l’uscir della riga per far pompa di ghiribizzi mentre gli altri
rnamenti debbono usarsi con parsimonia e con opportunità. La mancanza della prima fa simile il canto alla pianta infeconda di
pianta infeconda di Virgilio: «foliorum exuberat umbra». La mancanza della seconda mette il motivo musicale in contraddizion
oltanto che basti a far gustare il pensiero e a riconoscervi l’indole della passione. [37] Decima quarta. Vengono proscritte
Decima quinta. Non si devono far entrare nel canto gli ornati propri della musica strumentale; poiché avendo questa le sue b
va per esser capito scriver di sotto: «Questo è un gallo». Nulla dirò della radicale monotonia e della somiglianza perpetua c
di sotto: «Questo è un gallo». Nulla dirò della radicale monotonia e della somiglianza perpetua che s’avverte sostituita a q
la lingua loro piena di dolcezza e di melodia, la sveltezza e agilità della voce procurata a spese della umanità sono tutte c
zza e di melodia, la sveltezza e agilità della voce procurata a spese della umanità sono tutte cause le quali hanno dovuto re
di talento quanto lo erano gli antichi Sibariti nel raffinar i comodi della vita, o quanto le moderne ballerine del Suratte d
ico filosofo lo sono nel preparar eruditamente le faccende multiformi della voluttà. cosicché l’arte di eseguire le menome gr
canto imitativo, in tal caso non se ne sdegnino gl’Italiani se a nome della filosofia e del gusto francamente pronunzio aver
se l’imitazion teatrale si proponi due fini, l’uno la rassomiglianza della copia che imita coll’originale imitato, e l’altro
uazione ad un eroe combattuto? Qual somiglianza corre tra la sorpresa della smarrita Dircea allorché si confessa priva di sen
he nasce dalla convenienza delle parti elementari del canto coi tuoni della favella ordinaria. Allorché l’uomo parla, il suo
emissione colla quale si notano le inflessioni. A questi tre elementi della voce umana corrispondono altrettanti nella musica
e il grado delle passioni, essendo certo che l’andamento per esempio della malinconia è tardo e uniforme, quello dello sdegn
so dal più basso al più acuto scorrendo molte volte tutta l’estension della voce con mille impertinentissimi gruppi di note?
quel francese autore d’un poema sulla musica allorché disse parlando della Italia: «Orgueilleuse Ausonie, il le faut déclar
di tutte le belle arti. E quando mai, replicherò io a codesti fautori della irragionevolezza, e quando mai fu costituito il p
qualunque, ma allora soltanto che genera un diletto ragionato figlio della osservazione e del riflesso. Il piacere, che gust
e decisioni del volgo, che io non m’oppongo. Ma oh bellezza sovrumana della musica! Oh imitazione figlia del cielo! Io non mi
erbia esser uom ragionevole, e di voler conservare fin nell’esercizio della mia sensibilità i privilegi della mia natura. Io
voler conservare fin nell’esercizio della mia sensibilità i privilegi della mia natura. Io chieggo prima da te che, trasporta
er da me, che svanita che sia l’illusione, io seguiti ancora a godere della compiacenza riflessa di essere stato ingannato; c
on, dopo aver vagheggiata in sogno la bellissima sconosciuta immagine della futura compagna, confronti poi svegliato a parte
e lume degli occhi, l’oro dei capegli, le rose delle labbra, il latte della morbida carnagione e la tornita perfezion delle m
l’udienza dell’opera. Nulladimeno a rischio di passare per un quakero della Pensilvania, o per un non ancora civilizzato pamp
ivolto non concedono loro l’agio d’attendere a così delizioso pascolo della sensibilità. Volgo è nelle cose musicali quella r
crede, i quali indifferenti per natia rigidezza d’orecchio al piacere della musica, e disposti a pesar sulla stessa bilancia
dall’incoraggiare coi loro applausi i pregiudizi dominanti sono anzi della mia opinione, e se ne dolgono apertamente della d
i dominanti sono anzi della mia opinione, e se ne dolgono apertamente della decadenza della musica, e inveiscono contro i mus
anzi della mia opinione, e se ne dolgono apertamente della decadenza della musica, e inveiscono contro i musici e i cantori
ore si riducono pressocchè al nulla qualora manchino loro l’influenza della immaginazione, o l’energia del cuore, o l’entusia
oggetti rappresentati. Perciò Sant’Agostino definì la musica l’«arte della modulatoti convenevole», e Platone comparò la poe
dal canto ad un volto che perde la sua beltà passato che sia il fiore della sua giovinezza144. Lo stesso filosofo parlando de
che sia il fiore della sua giovinezza144. Lo stesso filosofo parlando della corruttela dell’antica armonia e dell’antico teat
i lui concorre nella stessa opinione deducendo apertamente la perdita della musica, come ancora delle virtù politiche in Aten
a bastano a dileguar pienamente un sofisma che può chiamarsi l’ancora della speranza per gli ignoranti. [57] Che poi mancando
incapacità nel muover gli affetti. [58] Quindi si può render ragione della osservazione fatta prima in Inghilterra dal Grego
l segno, e che ad essi unicamente appartiene il conservar il deposito della bellezza musicale; asserzione, che vien provata d
ito smentita dall’intimo sentimento di chi gli ascolta, poiché invece della sublime illusione che gli si prometteva, invece d
debba piacere ugualmente in tutti i tempi, e presso a tutti i popoli della terra; se il diletto che genera la musica sia un
go e arbitrario, del quale vien rimproverata la musica, sia peculiare della nostra oppure di ogni altra musica conosciuta fin
uardarsi come principio inalterabile degli altri suoni; se la perdita della prosodia poetica possa aver contribuito a render
rdita della prosodia poetica possa aver contribuito a render l’azione della musica vaga ed incerta; se vi sia probabile spera
maginazione e il capriccio. Così nel canto moderno mancando la verità della espressione perché le modulazioni imitative sono
conosciuta imitazione. E siccome dicesi a ragione che una è la strada della verità e quella dell’errore moltiplice, così, pos
onde il gusto può aver un fondamento meno arbitrario. Della bellezza della Venere de’ Medici non meno che della perfezione d
meno arbitrario. Della bellezza della Venere de’ Medici non meno che della perfezione del Misantropo di Moliere io giudico p
, mercè al soverchio raffinamento cui si è voluto condurla, la verità della espressione è così poco adattata alla capacità de
durla, la verità della espressione è così poco adattata alla capacità della maggior parte, così poco riconoscibile l’imitazio
trarca, le lagrime di Priamo inginocchiato avanti Achille, l’episodio della morte d’Eurialo nella Eneide si gustano pure, e s
n nuovo gusto che dee succedere sicuramente. Ed ecco un motivo di più della diversità delle opinioni in questo genere, il non
ate quando s’eseguiscono col metodo moderno argomentano che la musica della nostra età è superiore di molto a quella degli al
r l’uno e l’altro nelle carte musicali prive dell’aiuto del cantore e della viva voce del maestro, che in quasi tutte l’arie
duti bravissimi (e che sono tali secondo l’idea che si ha comunemente della bravura) non ho trovato neppur un solo, il cui ca
co. Non è di mia competenza il decidere, ma se le descrizioni fattemi della loro maniera di cantare non sono state alterate,
a distraendola dalle vie istituite da lei che sin dalla prima origine della vita va con tacita legge preparando i fonti della
dalla prima origine della vita va con tacita legge preparando i fonti della fecondità, onde propagare la spezie.» I viaggiato
entato dalla gelosia degli orientali per assicurarsi con questo mezzo della fedeltà delle loro donne, cui l’influenza del cli
re di non perdere la riputazione che per le donne è il primo elemento della vita morale, e il potersi assicurare della fedelt
donne è il primo elemento della vita morale, e il potersi assicurare della fedeltà d’un’amante o di una sposa (sicurezza cui
ì delizioso, perché al godimento dei sensi unisce il piacere riflesso della preferenza e della esclusiva; circostanze entramb
al godimento dei sensi unisce il piacere riflesso della preferenza e della esclusiva; circostanze entrambe che lusingano gra
uò ridursi quanto egli dice intorno a questo argomento. I. «L’oggetto della musica non è altro che di piacere fisicamente». C
uoni l’impressioni degli oggetti e i moti analoghi delle passioni, fa della musica un’arte imitatrice, parla all’imaginazione
mente una serie di suoni analoghi al suono dell’oggetto o all’accento della passione compresa nelle parole. III. «Ella può qu
sica è dunque la più noiosa? Si vede che questo scrittore non ha idea della vera imitazione e che la confonde coll’esatta ras
onfonde coll’esatta rassomiglianza, che non è né deve essere lo scopo della musica. V. «La sola musica degna di questo nome è
go e indeterminato, onde non meritano il titolo d’imitativi. Se parla della musica del ballo pantomimo, questa è bensì più pe
te dal non aver fissate l’idee né distinti bene i diversi significati della parola canto. Siccome la ricerca può sembrare cur
amo intorno all’economia degli antichi teatri, e la natura intrinseca della loro musica. Due cose sembrano incontrastabili at
razione rettorica, e talora (come ne fa fede Strabone nel libro primo della sua geografia) al recitare una prosa semplice, co
loghi o soliloqui. I. Tutta la declamazione del diverbio e gran parte della monodia consisteva in una spezie di suono medio,
ra che nel linguaggio loro ordinario gli alzamenti e gli abbassamenti della voce sull’accento grave e l’acuto formavano una q
ai precetti premurosi che davano gli oratori intorno alle intonazioni della voce. E che questa non sia una semplice conghiett
(de Orat. l. pr.) parlando dell’esercitarsi che facevano i recitanti della tragedia nell’arte loro, adopera la parola “decla
are più profondamente questa materia avrebbe forse veduto che i tuoni della semplice declamazione non ponno assoggettarsi ad
inalmente perché, ammesso una volta che tutte l’inflessioni sensibili della voce nella semplice declamazione fossero notate,
i di bronzo o d’altra materia consistente affinchè la voce nel sortir della gola diventasse più forte e più intensa ripercuot
ntensa ripercuotendosi in quei corpi elastici, e tutta pelle angustie della fessura ripercotendosi. Talmenteché gli attori tr
no nell’opera altre volte citata dell’origine, progressi, e decadenza della Musica, che oltre i teatri grandi e scoperti v’er
nti coperti. Dicono altresì che anche nei teatri scoperti l’argomento della voce relativamente all’immenso numero delle perso
te e nelle grandi solennità; erano soltanto destinate ai divertimenti della musica lirica, e qualche volta vi concorrevano an
tre l’autorità di Plutarco nella vita di Pericle anche il significato della voce Odeon che vale lo stesso che luogo di canto,
i tenevano le pubbliche sfide di musica, alle quali assisteva il fior della Grecia per ottenere il premio del Tripode. Ma ris
d’aria nel quale necessariamente doveano disperdersi gli ammorzamenti della voce in un canto delicato e gentile. III. Rispett
ebbe dissonanza perpetua. II. Perché i cori si regolavano colle leggi della musica lirica, o per dir meglio, essi non erano c
attorno alle are dei numi. Ma benché il genere appartenesse a quello della musica lirica, il canto nondimeno era uniforme, s
13 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 84-85
e sventare domestiche cominciarono a sperimentare la tempra del cuore della piccola attrice, educandola alla scuola del dolor
; ma rottosi l’accordo, quei bersagliati si trovarono ancora in balia della ventura. Dimenticati dalla famiglia comica, si st
en tosto ancora al lavoro dell’ago. Poi, anche questo mancò col cader della stagione teatrale, e fu allora un travagliarsi, u
che nuove, ad occupazioni penose e di tenue guadagno. Le belle manine della giovinetta lavorarono alla fabbricazione delle ca
ri più disparati e più strani, quali la Linda di Chamounix o il Maino della spinetta. Il direttore della Filodrammatica del T
, quali la Linda di Chamounix o il Maino della spinetta. Il direttore della Filodrammatica del Teatro Nazionale, Alessandro E
ammatica del Teatro Nazionale, Alessandro Emanuel, ammirato dai pregi della bionda attrice, la scritturava per le recite del
mpagnata dall’incoraggiamento dei pochi, che vedevan nella gagliardìa della sua mente, e della sua volontà, nello sviluppo og
aggiamento dei pochi, che vedevan nella gagliardìa della sua mente, e della sua volontà, nello sviluppo ognor crescente delle
vitabile Margherita Gauthier, in cui la Mariani si cimentò, cosciente della battaglia grande che ingaggiava col pubblico, ma
rezza e rapidità ai generi più disparati, riuscendo interprete felice della nuova scuola. Oggi è capocomica, e maritata a Vit
di Madrid e di Barcellona la compensarono a esuberanza de'tristi anni della fanciullezza, che, tra le acclamazioni di un popo
14 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 602-604
, nato nel frattempo, a Venezia, ove avean lasciato Giacomo alle cure della nonna, e quivi recitarono sin circa il 1733, che
o dell’ambasciatore sassone Conte di Vixio. La Compagnia era composta della coppia Isabella e Bernardo Vulcani, della coppia
. La Compagnia era composta della coppia Isabella e Bernardo Vulcani, della coppia Gerolima e Antonio Franceschini, di Paolo
i, della coppia Gerolima e Antonio Franceschini, di Paolo Carexana, e della vedova Casanova, che aveva mutato il suo nome dia
’ultima manifestazione artistica degli italiani a Dresda fu la recita della Vedova scaltra data il 26 febbraio del 1756 ; dop
ova scaltra data il 26 febbraio del 1756 ; dopo la quale, lo scoppiar della guerra dei sette anni chiuse per sempre le porte
a una vita di agiatezze, non dimenticò mai l’indole e le consuetudini della commediante. L’inesorabile figliuolo che non con
o di Stuttgart si trova d’accordo col figlio, rincarando anzi la dose della critica. Egli dice : Ha più di quarant’anni ; un
ni ; una figura colossale, una faccia di vecchia, nonostante la magia della truccatura. Rappresenta le parti di Rosaura, ma l
fisico descrito dall’anonimo e colla voce non limpida : nè le grazie della persona, nè la soavità della voce possono essere
e colla voce non limpida : nè le grazie della persona, nè la soavità della voce possono essere sostituite da checchessia. Nu
nsiglio di darsi alle parti di vecchia cattiva, poichè sino alla fine della sua vita artistica rappresentò le Rosaure, fedele
XXV) una vedova leggiadrissima e bravissima, aggiungendo al proposito della partenza di lei per la Russia (ivi, XXXVII), che
di lei per la Russia (ivi, XXXVII), che la perdita più considerevole della compagnia fu quella della vedova Casanova. Casa
, XXXVII), che la perdita più considerevole della compagnia fu quella della vedova Casanova. Casanova Ignazio. « Bolognese,
il Bartoli – da illustri parenti celebri nel foro…. c nelle cattedre della sua Patria, come non meno ne’ gradi eccelsi di Re
dalle grazie allettatrici di una femina. Nel novembre, dopo la recita della Dalmatina di C. Goldoni, fu colto da apoplessia,
15 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 688
i. Luigi Riccoboni dice (V. Calderoni Francesco, pag. 543) : « A capi della Compagnia erano Francesco Calderoni detto Silvio
eroni detto Silvio e Agata Calderoni detta Flaminia sua moglie, nonna della mia. » E perchè non : Francesco Calderoni e Agata
perchè non : Francesco Calderoni e Agata Calderoni sua moglie, nonni della mia ? Dunque Elena era nipote per parte soltanto
moglie, nonni della mia ? Dunque Elena era nipote per parte soltanto della donna ; dunque di una Balletti. E concordando il
di una Balletti. E concordando il nome di battesimo e quel di teatro della Vitaliani, con quelli della Calderoni, ed esamina
ndo il nome di battesimo e quel di teatro della Vitaliani, con quelli della Calderoni, ed esaminate le date da Marco Napolion
Vitaliani e di una Napolioni, moglie di Francesco Balletti, e suocera della Fravoletta (V. Balletti…. ?), rimasta vedova, fos
16 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 8
Firenze nel 1823, discorre diffusamente Jarro nella sua opera Origine della maschera di stenterello, da cui riferisco in rist
positore nella stamperia Cellai in via de' Martelli passò allo studio della maschera, esordendo in un teatrino popolare di vi
e ad Amato Ricci, che il Landini, giovanissimo, studiava dalla platea della Piazza Vecchia, e recitò con lui il '46. Nel '48
Morto il Ricci di colera nel '55, Raffaello Landini prese lo scettro della maschera di stenterello, nè più ebbe chi lo imita
a sera del 21 alle sei e mezzo era morto. « Dalla luce abbagliante della ribalta - conclude Jarro con belle parole - dal f
i applausi passar, quasi senza intervallo, alla oscurità, al silenzio della tomba ! – Stenterello e il suo cadavere non era p
ma l’epilogo tragico di un’esistenza : quasi appena cessato il suono della sua ultima risata, e gittati gli screziati abiti
ssato il suono della sua ultima risata, e gittati gli screziati abiti della Maschera, dava l’ultimo sospiro…. era avvolto nel
17 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 14
breve al ruolo assoluto di primo attore giovine, in cui per l’ardore della passione e per la spontaneità non ebbe mai chi gl
ella gran compagnia, che, sbocconcellata di poi, segnò il primo passo della rovina di Bellotti. Da quello sbocconcellamento n
ute forze, si riebbe così da poter riapparire con la moglie alla luce della ribalta ; ma fu un lampo fuggevole, fu l’ultimo g
lla luce della ribalta ; ma fu un lampo fuggevole, fu l’ultimo guizzo della lampada vicina allo spegnersi. Fermatosi a Livorn
ta col teatro. Gaspare Lavaggi fu anche uno de'più eleganti attori della nostra scena di prosa, e se ne compiaceva. Quando
avere maggior finezza di recitazione, niuno mai lo superò nell’ardore della passione e nella spontaneità. L'Armando della Sig
i lo superò nell’ardore della passione e nella spontaneità. L'Armando della Signora dalle Camelie, il Ferdinando della Celest
lla spontaneità. L'Armando della Signora dalle Camelie, il Ferdinando della Celeste, lo Scoronconcolo della Notte a Firenze,
Signora dalle Camelie, il Ferdinando della Celeste, lo Scoronconcolo della Notte a Firenze, e altre parti di varia indole eb
i da poco all’ arte, e che promette, dicono, di mostrarsi degno erede della gloria paterna.
18 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome IV « LIBRO III — CAPO VI. La Drammatica oltre le Alpi nel XV secolo non oltrepassa le Farse e i Misteri. » pp. 186-200
di Cristo nel borgo di san Mauro. Chi riflette alla vittoriosa forza della religione sugli animi umani, non istupirà dell’un
entazioni. Gli attori che ne traevano profitto, implorarono il favore della Corte prendendo il titolo di Fratelli della Passi
to, implorarono il favore della Corte prendendo il titolo di Fratelli della Passione, e nel 1402 ne ottennero da Carlo VI l’a
ero da Carlo VI l’approvazione. Posero allora il teatro nell’ospedale della Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo var
edale della Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo varie farse della Passione e diversi misteri del vecchio e del nuov
ersi misteri del vecchio e del nuovo testamento. Uno di questi drammi della Passione scritto circa la mettà del secolo si cre
ute da Lucifero per aver tentato Gesù-Cristo senza effetto. La figlia della Cananea spiritata vi profferiva parole soverchio
bino, il cui peso crescendo a dismisura in mezzo all’acqua, si avvede della propria debolezza, e ne stupisce. Il bambino che
ce. Il bambino che era Gesù-Cristo gli si mostra circondato da’ raggi della propria gloria, e vola fralle nuvole. Reprobo ric
. Sotto Carlo VI morto nel 1422 furonvi in Francia, oltre a’ Fratelli della Passione, varie altre compagnie di rappresentator
Toledano tenuto nel 1473. Per dar giusta ed istorica idea dello stato della drammatica del XV secolo in Ispagna, ho voluto ri
anto ne scrissero di passaggio o di proposito i critici e gli storici della nazione. Ho voluto pormi sotto gli occhi il prolo
be nel seguente secolo per altra manoa. Lo spirito di apologia nemico della verità e del merito straniero imbratta in più di
rsone che si sono salvate in una casa, ed il 6 contiene una dipintura della vita di due persone maritate. Oltre a questi giuo
oll’Ezzelino e coll’Achilleide tragedie del Mussato, e colle commedie della Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio:
almente che gl’Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici d
arsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici della Grecia, eccetto che nella Progne, ma trassero dal
usto, di materiali e di principii? Ci si presenterà nel proseguimento della nostra storia la gloria drammatica delle altre na
o fugace di un branco di compatriotti che vivono di relazioni, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavil
otti che vivono di relazioni, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavillosa, della maldigerita erudizion
, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavillosa, della maldigerita erudizione e della maschera filosofic
eloquenza, della dialettica cavillosa, della maldigerita erudizione e della maschera filosofica, avveggonsi tosto gli nomini
one e della maschera filosofica, avveggonsi tosto gli nomini migliori della culta Europa? a. Vedi l’abate Millot t. II degl
ori della culta Europa? a. Vedi l’abate Millot t. II degli Elemensì della Storia di Francia. a. Vedi la dissertazione del
V’ ha chi pone in dubbio che il Cotta fosse l’autore dell’atto primo della Celestina. Alcuno l’attribuisce a Giovanni di Men
d il Mena chi avesse composto quell’atto primo. a. Vedasi il libro V della Storia di Borgogna di Ponto Heutero.
19 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo primo »
componimenti drammatici. Leggi sue costitutive derivanti dalla unione della poesia, musica e della prospettiva. [1] Qualora
. Leggi sue costitutive derivanti dalla unione della poesia, musica e della prospettiva. [1] Qualora sentesi nominare questa
to si dice buona, o cattiva, in quanto più, o meno si adatta ai genio della musica, e della decorazione. Attalchè gli argomen
, o cattiva, in quanto più, o meno si adatta ai genio della musica, e della decorazione. Attalchè gli argomenti poeti ci, che
sa introdotte formano il principal carattere dell’opera. [2] L’unione della musica colla poesia è dunque il primo costitutivo
che volendo far il ritratto di Elena, e non trovando alcun individuo della natura, il quale adeguasse quella sublime idea de
alcun individuo della natura, il quale adeguasse quella sublime idea della perfezione, ch’egli avea nella sua mente concetto
propone a sciogliere il seguente problema : Data la intrinseca unione della poesia colla musica, quai mutazioni debbono sulta
, e colla cadenza poetica, colla inflessione, e coll’accento naturale della voce quelle fibre intime, all’azione delle quali
ne ugualmente alla eloquenza che alla poesia, non è che il fondamento della melodia imitativa, ovvero sia del canto: dal che
a, ovvero sia del canto: dal che ne seguita eziandio, che la possanza della eloquenza se non in tutto almeno in gran parte di
a se non in tutto almeno in gran parte dipende dalle qualità musicali della lingua, ovvero sia dalla magia de’ suoni combinat
ttamente. Anche in quest’ultima proprietà un’altra ragione d’analogia della musica colla poesia consiste: imperciocché quanto
potrà la musica le cose stesse imitare. Istruisce cercando per mezzo della cognizione del bello intellettuale, e del bello f
llo morale. Sebbene codesto oggetto non forma un carattere distintivo della poesia se non in quanto è una conseguenza delle a
nteriezioni, i sospiri, gli accenti, l’esclamazioni, e le inflessioni della favella ordinaria, onde si risvegliano le idee, c
i oggetti, i quali per esser privi di suono non cadono sotto la sfera della musica, come allorché non potendo significare la
esprimere il tranquillo riposo d’uno che dorme, ovvero la solitudine della notte, e il silenzio maestoso della natura, trasp
o che dorme, ovvero la solitudine della notte, e il silenzio maestoso della natura, trasporta, dirò così, l’occhio nell’orecc
le idee. Può nulla meno la musica accompagnare le sentenze istruttive della poesia, se non colla viva espressione d’un canto
olla melodia naturale maggior forza alle varie posature e modulazioni della voce. Ma siccome non ha la disposizione intrinsec
ertare diverrà un rumore insignificante, che avrà l’apparenza esterna della musica senz’averne io spirito. [9] Da questo para
a esterna della musica senz’averne io spirito. [9] Da questo paragone della musica colla poesia risultano due osservazioni sp
zioni spettanti al mio proposito. La prima che la musica è più povera della poesia, limitandosi quella al cuore, all’orecchio
spirito, ed alla ragione. In contraccambio la musica è più espressiva della poesia, perché imita i segni inarticolati che son
soluzione del problema proposto. Se la poesia dee secondare l’indole della musica, e se questa non può esprimere se non gli
stingue l’opera dalla tragedia. Questa non assoggettandosi alle leggi della musica, può maggiormente approfittarsi dei vantag
alle leggi della musica, può maggiormente approfittarsi dei vantaggi della poesia, onde non le si disconvengono i dialoghi r
Dal che nascono due inconvenienti: il primo che essendo il linguaggio della musica troppo vago e generico, e dovendo consegue
Non son più madre, oh Dio! Non ho più figlio.» [12] Ecco un esempio della concisione ch’esige il melodramma. Ma questi quat
nte sugli animi degli uditori, che non la tragica e artifiziosa scena della Merope di Voltaire. [13] Per la stessa ragione un
simplicità, e la rapidità dell’argomento. [14] La dipendenza altresì della poesia rispetto alla musica induce una mutazione
imenti, che siano invasi, o sorpresi. Il canto è dunque il linguaggio della illusione, e chi canta inganna se stesso, e chi a
rende più forte, e più durevole la sorpresa, e trattenendo l’uditore della sua dolcezza, fa sì ch’ei non si avvegga della su
trattenendo l’uditore della sua dolcezza, fa sì ch’ei non si avvegga della sua illusione, come il cinto misterioso d’Armida
soltanto intorno ai soggetti patetici, privandoci noi spontaneamente della ricca sorgente di bellezze armoniche, che sommini
rattere de’ personaggi. Se il canto è il linguaggio del sentimento, e della illusione, dunque non si debbono introdurre a par
zza e forza d’accento, quella varietà d’inflessioni, che sono l’anima della musica imitativa. Però si dee schivare che s’intr
usica esige, e sì perché, essendo il canto o la melodia l’ultimo fine della musica imitativa, l’uditore è impaziente finché n
zion musicale piuttosto che canto dee propriamente chiamarsi, giacché della musica altro non s’adopra che il Basso, che serve
ci alla musica strumentale l’incombenza di esprimere negli intervalli della voce ciò che tace il cantante. L’anima stanca del
sofico aspetto non è altro che la conclusione, l’epilogo, o epifonema della passione, e il compimento più perfetto della melo
, l’epilogo, o epifonema della passione, e il compimento più perfetto della melodia. Un esempio rischiarerà meglio il mio pen
elodia. Un esempio rischiarerà meglio il mio pensiero. Selene sorella della sfortunata Didone viene a ragguagliarla ch’Enea s
iarla ch’Enea senza punto curarsi delle sue preghiere ha nel silenzio della notte ragunati i suoi compagni, allestite le navi
unque sentenza vorrebbero escludere dalle arie, «perché, dicono essi, della passione non è proprio il dommatizzare». Certamen
ipende dall’indole di quell’affetto. L’amante, che prostrato a’ piedi della sua bella, chiede la sospirata mercede de’ suoi l
issimo ch’egli non è debitore né al suo ingegno, né alla sua dottrina della fortuna d’essere riamato. Sa che l’amore indipend
ella fortuna d’essere riamato. Sa che l’amore indipendente per lo più della riflessione, e della ragione non ha altro domicil
riamato. Sa che l’amore indipendente per lo più della riflessione, e della ragione non ha altro domicilio che il cuore, né a
inutile anzi contrario al fine ch’ei si propone, l’assalire il cuore della sua amata con teoremi, o con principi tratti da u
izione degli uomini, delle loro proprietà, e debolezze, delle vicende della fortuna, delle circostanze de’ tempi, e de’ mezzi
delle proprietà che osserva negli oggetti sensibili. Quindi l’origine della metafora, figura la più conforme di tutte alla um
fa.» allora io credo ascoltar un poeta, che vuol insegnarmi l’arte della scherma, non già un personaggio occupato in pensi
personaggio occupato in pensieri di qualche importanza. Ciò che dico della presente comparazione, dico di tutte le altre lav
herà loro la primaria bellezza, che consiste nella fedele espressione della natura, e nella relazione col tutto. Orazio mi su
nno autorità che basti a distruggere i fermi ed inalterabili principi della ragione. [28] Se non che né comparazioni, né sent
verosimili tali componimenti, i quali hanno bisogno di tutta la magia della musica per esser probabili. Se si disamina con gi
ameno considerando, che il duetto lavorato a dovere è il capo d’opera della musica imitativa, e che produce sul teatro un eff
questo si sottopone all’entusiasmo, e al vero genio. L’unico uffizio della critica è quello di perfezionarli, riducendoli al
matico sceglierà per il duetto il punto più viva, ovvero sia la crisi della passione, userà il più che possa del dialogo nell
mpa, che l’occhio invaghisce cotanto, ora spiegando tutte le bellezze della pittura, ora dando maggior risalto alla grandiosi
a oggetti sempre nuovi, e sempre vaghissimi nelle frequenti mutazioni della scena. Tutte le quali cose producono l’illusione,
Tutte le quali cose producono l’illusione, non solo come supplemento della musica, e della poesia, ma come un rinforzo ezian
cose producono l’illusione, non solo come supplemento della musica, e della poesia, ma come un rinforzo eziandio dell’una e d
ella del musico sortiranno perfettamente il loro effetto, se il luogo della scena non è preparato qual si conviene a’ persona
lusione quando più non s’ascoltano i suoni, e la grand’arte combinata della musica e della pittura consiste nel mantenerlo ne
più non s’ascoltano i suoni, e la grand’arte combinata della musica e della pittura consiste nel mantenerlo nell’errore costa
o scopo del melodramma è di rappresentare le umane passioni per mezzo della melodia, e dello spettacolo, o ciò, che è lo stes
il poeta purché conservi ed accresca i dilicati piaceri del cuore, e della immaginazione, purché dia campo alla musica d’ott
e siffatta unità apporterebbe molti inconvenienti oltre gli accennati della tragedia. Abbiamo detto che la poesia debbe esser
e, fosse in contradizione con ciò che si sente, se godendo l’orecchio della varietà successiva de’ suoni, l’occhio fosse cond
viglioso, sull’italiana, dove regna il vero comunemente. [35] Ad onta della mia stima per così chiari scrittori ardisco di sl
siste nel penetrare addentro nel cuore, e intenerirlo. Il fine ultimo della tragedia e dell’opera è dunque lo stesso, né si d
più circostanziato de’ caratteri e degli affetti, questa pei prestigi della illusione, e della melodia. [36] Altrimenti se l’
de’ caratteri e degli affetti, questa pei prestigi della illusione, e della melodia. [36] Altrimenti se l’opera non badasse c
atteggiamento, e le sembianze d’un fiume, dell’aquilone, del zeffiro, della paura, dei demoni e di tali nomi egualmente leggi
mo i modelli? Dov’è la regola di comparazione, onde possiam giudicare della convenienza, o disconvenienza? [38] Essendo dunqu
rrestri e navali, boscaglie, dirupi, tutto insomma il maestoso teatro della natura considerata nel mondo fisico: spettacolo a
re. Non solo s’udirà sortir dalla orchestra più minaccioso il fragore della tempesta, che il decoratore avrà sul teatro maest
ipinta, non solo gli strumenti renderanno più spaventevole l’ingresso della grotta di Polifemo, ovvero i flutti d’un mare agi
esimo grado di passione, che la musica dee talvolta piegarsi all’uopo della poesia in attenzione ai molti sagrifizi, che fa q
la francese, è lo stesso, che voler imitare il costume di que’ popoli della Guinea, che dipingono neri gli Angioli, perché st
a, che dipingono neri gli Angioli, perché stimano, che il sommo grado della bruttezza consista nel color bianco. [40] Riandan
n generale sono: Per il poeta: Primo: esaminare attentamente l’indole della musica: Secondo: conoscere le relazioni di questa
la lingua e la poesia. Per il musico: Primo: conoscere il vero genio della lingua, e del verso. Secondo: saperne trar vantag
l verso. Secondo: saperne trar vantaggio dall’una, e dall’altro a pro della modulazione. Per il decoratore giovar alla illusi
positore. Se questi il costringe talvolta a rimettere in alcuni punti della severità teatrale, non perciò vien egli dispensat
i, nelle quali gli si comanda, o gii si permette di piegarsi all’uopo della musica, non debbe portare il comando o la licenza
ite, e senz’alcun disegno. Glissi permette l’uso delle comparazioni e della stile lirico drammatica, ma gli si raccomanda d’u
tto non difendono un autore dalla censura quando va contro ai dettami della ragione. Chi fu più gran poeta di Quinaut? Chi pi
poiché non si vede qual diversità essenziale passi tra esso e quello della tragedia e della commedia, né come gli affetti, c
de qual diversità essenziale passi tra esso e quello della tragedia e della commedia, né come gli affetti, che svegliar mi de
losi alla natura dell’opera. Non finalmente nell’esito tristo o lieto della favola, potendosi tanto nell’uno quanto nell’altr
nte poesia ad una musica bellissima. Parlasi qui dell’opera seria non della buffa, nella quale vuolsi, come nella commedia, g
nimento. L’Imperatore Carlo VI cui l’Italia è debitrice in gran parte della sua gloria drammatica, era uno di que’ Signori a’
ia, indi per Apostolo Zeno, e ultimamente per Metastasio, tutti poeti della corte. Supponghiamo che Carlo VI avesse avuto gen
e avrà riflettuto che in questo ragionamento si è parlato dell’unione della poesia, musica, e prospettiva, atteso lo stato in
le stesse osservazioni a qualunque unione possibile. Il diverso genio della musica, della lingua, e della poesia in una nazio
rvazioni a qualunque unione possibile. Il diverso genio della musica, della lingua, e della poesia in una nazione, le costuma
nque unione possibile. Il diverso genio della musica, della lingua, e della poesia in una nazione, le costumanze, e i fini po
secolo di lucreziani. Il solo episodio d’Aristeo, e quello delle lodi della vita rusticana nelle Georgiche interessano più ch
accennarla brevemente estraendo alcuni passi dell’ortica del Newtono, della dissertazione intorno al suono del Mairan, e dell
rtica del Newtono, della dissertazione intorno al suono del Mairan, e della spiegazione del clavicembalo oculare del famoso P
di luce, scomposto dal prisma; sette altresì sono le voci primordiali della scala musicale. Seconda: havvi un colore tonico e
20 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo sesto »
no preso a scrivere, che non parli delle macchine, delle decorazioni, della mitologia e delle favole, come del carattere prin
creati, e si compiace de’ suoi errori più forse di quello che farebbe della verità stessa. La prima di esse facoltà è l’intel
e anche d’un ragazzo di dodici o quindici anni il più bello squarcio della storia di Senofonte o di Titolivio, fategli capir
ole d’Esopo, o gli strani e incredibili avvenimenti del moro Aladino, della grotta incantata di Merlino, del corno e dell’ipp
la grotta incantata di Merlino, del corno e dell’ippogrifo d’Astolfo, della rete di Caligorante o tali altre cose, che per fo
he ciò si fa da loro per poter liberamente badare agli amabili deliri della propria immaginazione, a quei soavi e cari presti
gi, a quelle illusioni dolcissime, che gli ricompensano dalle torture della verità trista spesse fiate e dolorosa. Se si cons
lorosa. Se si consulta la storia, vedrasi, che le bizzarre invenzioni della poesia hanno dall’India fino alla Spagna, da Omer
hi le riducesse a’ capi seguenti. [4] L’ignoranza delle leggi fisiche della natura dovette in primo luogo condur l’uomo a dil
utritivo umor sospingendo verso l’estremità, fosse la cagion prossima della loro verzura e freschezza, e parimenti un Apollo
Le credette, perché un sistema, che spiegava materialmente i fenomeni della natura, era più adattato a quegli uomini grossola
e è comparso in sogno al celebre conquistatore offerendogli le chiavi della città. Dal che si vede che gli uomini si dilettan
e i mali vengono sovente ad amareggiare i frali ed interrotti piaceri della loro vita, gli uomini non hanno altro supplemento
di godere di tutte le delizie possibili. [7] L’ultima causa è l’amore della novità. O perché l’essenza del nostro spirito è r
ati, il vedere una folla d’Iddi, i quali sospendono il corso regolare della natura, e intorno a cui non osiamo pensare se non
ispira la divinità, ciò sorprende gli animi consapevoli a se medesimi della propria debolezza, ne risveglia la curiosità e ne
di mitologia moderna. Non occorre punto fermarsi intorno all’origine della prima, essendo noto ad ognuno che nacque dalla ma
Merita bensì la seconda qualche riflessione. [9] Lo squallido aspetto della natura ne’ paesi più vicini al polo per lo più co
o, sembrano cogli orrendi loro muggiti di voler ischiantare i cardini della terra; lunghe e profonde caverne e laghi vastissi
l si conveniva agli abitanti e al paese, prese piede fra gli idolatri della Scandinavia. La guerra posta quasi nel numero deg
icato poi da’ suoi seguaci veniva onorato da essi col titolo di padre della strage, di nume delle battaglie, di struggitore e
omo che la ragione. Così nemmeno fra le delizie sapevano dimenticarsi della loro fierezza. Sembra che Oddino altro divisament
itologia ripiena di geni malefici, i quali uscivano dal grembo stesso della morte per far danno ai viventi. Quindi ebbero ori
ttri, i fantasimi, i folletti, i vampiri e tanti altri abortivi parti della timida immaginazione, e della impostura. Nicka ne
i vampiri e tanti altri abortivi parti della timida immaginazione, e della impostura. Nicka nell’antica lingua degli Scandin
sibilmente succhiava qualora trovati gli avesse lontani dalle braccia della nutrice. E così degli altri. Gli Scandinavi stima
esse una segreta comunicazione tra il mondo invisibile e il nostro, e della quale essi ne fossero esclusivamente i possessori
vera e sublime d’un unico iddio, distrusse nella Scandinavia i deliri della idolatria, e con essi la potenza dei Rymers, che
difesa. Era perciò ben naturale che queste consapevoli a se medesime della propria fievolezza pregiassero molto i cavalieri
i, lo conducono alla cognizione generale dell’uomo, e a disingannarsi della vana e ridicola preferenza che gli interessati sc
azioni e de’ secoli che chiamano barbari66, [15] Alle accennate cause della propagazion delle favole debbe a mio giudizio agg
dici disotterrati, colla venuta dei Greci in Europa, e col patrocinio della Casa Medici, de’ pontefici, e de’ re di Napoli, r
Atene il suo pittoresco e sublime autore, ma quale dai torbidi fonti della setta alessandrina a noi si derivò. E siccome tra
rina a noi si derivò. E siccome trascuravasi allora lo studio pratico della natura, senza cui vana e inutil cosa fu sempre og
gioni fecero sì che tanto questa spezie di maraviglioso quanto quello della mitologia degli antichi s’unissero agli spettacol
usica. Per ispiegarle bisogna più alto risalire. [17] Benché l’unione della musica e della poesia, considerata in se stessa o
egarle bisogna più alto risalire. [17] Benché l’unione della musica e della poesia, considerata in se stessa o com’era nei pr
ca e della poesia, considerata in se stessa o com’era nei primi tempi della Grecia, nulla abbia di stravagante, né di contrar
sia comune e la musica. Io ho esaminato di sopra i caratteri musicali della lingua italiana, ed holla per questa parte commen
converrebbe alle orecchie di Mida, il quale trovava più grati i suoni della sampogna di Pane che della lira d’Apollo. [18] Ch
i Mida, il quale trovava più grati i suoni della sampogna di Pane che della lira d’Apollo. [18] Chechessia di ciò, la lingua
varia unione degli accordi i mezzi di piacere anche indipendentemente della poesia, a cui non ben sapevano unire la musica, o
llor fosse imbarazzata e difficile pei vizi mentovati di sopra nemici della energia musicale, e contrari al fine di quella fa
facoltà divina. Per quanto adunque s’affaticassero que’ valent’uomini della non mai abbastanza lodata camerata di Firenze, no
erata di Firenze, non valsero a sradicare in ogni sua parte i difetti della musica, che troppo alte aveano gettate le radici,
mase nella sua mediocrità dai tempi del Caccini e del Peri fino a più della metà del secolo decimosettimo. Crebbe all’opposto
o decimosettimo. Crebbe all’opposto e salì alla sua perfezione l’arte della prospettiva per l’imitazione degli antichi, per l
la, per le scuole insigni di pittura fondate in parecchie città emule della gloria e degli avanzamenti, pel gran concorso di
re in tutto il suo lume ne’ sontuosi portici e ne’ vasti teatri degni della romana grandezza, per riempire i quali vi voleva
ichità, e la favola.» 66. [NdA] Per far vedere il diverso progresso della morale pubblica in que’ tempi, e ne’ nostri basta
né bene né male: nemmeno di quella folla di romanzi francesi, frutto della dissolutezza e dell’empietà, che fanno egualmente
trezza è sempre dalla parte del seduttore, e lo sfortunio dalla banda della innocente. Tutto il romanzo non è che una scuola,
ta piuttosto il mondo di Platone che il nostro. 67. [NdA] Lezione 3. della poesia. 68. [NdA] Storia ec. Tomo I. 69. [NdA]
ne 3. della poesia. 68. [NdA] Storia ec. Tomo I. 69. [NdA] L’autore della Frusta Letteraria.
21 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 667-669
-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img042.jpg] Al finire della sua vita artistica, il Corriere della sera di Mil
1-02_1897_img042.jpg] Al finire della sua vita artistica, il Corriere della sera di Milano del 14-15 febbraio dedica al caro
to, come diremo più innanzi, non portò sulla scena i convenzionalismi della scuola, piacendo anzi per quella sua naturalezza
e il Bellotti-Bon, per dirne di uno, che prepararono il gusto attuale della recitazione semplice della commedia. Figura aggra
e di uno, che prepararono il gusto attuale della recitazione semplice della commedia. Figura aggraziata e severa insieme, lin
’illusione del signore, aggiungendo il porgere dignitoso. Molta parte della sua fortuna la dovette però, come qualche suo com
osi del Marenco. Allorchè alla fine del prologo rispondeva al lamento della sua amata, per tre volte, in tono diverso, « Ci v
, uscivano dalla bocca di Ciotti e di Virginia Marini. E ai successi della Satira e Parini, del Falconiere, del Trionfo d’am
arini, del Falconiere, del Trionfo d’amore, possiamo aggiunger quelli della Prosa, del Ridicolo, della Messalina, della Caten
Trionfo d’amore, possiamo aggiunger quelli della Prosa, del Ridicolo, della Messalina, della Catena, del Pietro o La gente nu
possiamo aggiunger quelli della Prosa, del Ridicolo, della Messalina, della Catena, del Pietro o La gente nuova, del Rienzi,
lla quale mostrò come i suoi cinquantotto anni fosser sempre, al lume della ribalta, una giovinezza gagliarda. Ciotti-Sartor
rtorio Costanza. Moglie del precedente, figlia del Custode del Teatro della Canobbiana, nacque a Milano il 1836. Cresciuta si
u la Costanza amantissima dell’ arte, attrice accurata, elegantissima della persona, e dell’aspetto leggiadra. Creò la Contes
22 (1788) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome III « LIBRO III — CAPO V. La Drammatica oltre le alpi nel XV secolo non eccede le Farse e i Misteri. » pp. 74-84
di Cristo nel borgo di San Mauro. Chi riflette alla vittoriosa forza della religione su gli uomini, non istupirà dell’ unive
entazioni. Gli attori che ne traevano profitto, implorarono il favore della Corte prendendo il titolo di Fratelli della Passi
to, implorarono il favore della Corte prendendo il titolo di Fratelli della Passione, e nel 1402 ne ottennero da Carlo VI l’
ro da Carlo VI l’ approvazione. Posero allora il teatro nell’ospedale della Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo var
edale della Trinità, rappresentandovi per tutto il secolo varie farse della Passione, e diversi misteri del vecchio e del nuo
ersi misteri del vecchio e del nuovo testamento. Uno di questi drammi della Passione scritto circa la metà del secolo si cred
ute da Lucifero per aver tentato Gesù Cristo senza effetto: la figlia della Cananea spiritata vi proferiva parole soverchio l
bino, il cui peso crescendo a dismisura in mezzo all’acqua, si avvede della propria debolezza e ne stupisce. Il bambino che e
. Il bambino che era Gesù Cristo si fa ravvisare circondato da’ raggi della propria gloria e vola sopra le nuvole. Reprobo ri
. Furonvi in Francia sotto Carlo VI morto nel 1422, oltre a’ Fratelli della Passione, varie altre compagnie di rappresentator
Toledano tenuto nel 1473. Per dar giusta ed istorica idea dello stato della drammatica del XV secolo in Ispagna, ho voluto ri
anto ne scrissero di passaggio o di proposito i critici e gli storici della nazione: ho voluto pormi di bel nuovo sotto gli o
poi nel seguente secolo per altra mano. Lo spirito d’apologia nemico della verità e del merito straniero imbratta molte bell
rsone che si son salvate in una casa, ed il VI contiene una dipintura della vita di due persone maritate. Oltre a questi giuo
ll’ Ezzelino e coll’ Achilleide tragedie del Mussato, e colle comedie della Filologia del Petrarca e del Paolo del Vergerio:
lmente che gl’ Italiani nel XIV e XV secolo nel rinnovarsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici d
arsi il piacere della tragedia non si valsero degli argomenti tragici della Grecia, eccetto che nella sola Progne, ma dalle m
gusto, di materiali e di principj? Ci si presenterà nel proseguimento della nostra storia la gloria drammatica delle altre na
o fugace di un branco di compatriotti che vivono di relazioni, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavil
otti che vivono di relazioni, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavillosa, della mal digerita erudizio
, quando della di loro sottile eloquenza, della dialettica cavillosa, della mal digerita erudizione e della maschera filosofi
loquenza, della dialettica cavillosa, della mal digerita erudizione e della maschera filosofica, avveggonsi tosto gli uomini
one e della maschera filosofica, avveggonsi tosto gli uomini migliori della culta Europa? 69. V. l’Ab. Millot t. II degli E
gliori della culta Europa? 69. V. l’Ab. Millot t. II degli Elementi della storia di Francia. 70. Erano anzi in tal secolo
componimenti drammatici composti dall’Encina. 73. Vedasi il libro V della Storia di Borgogna di Ponto Heutero.
23 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [G]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 1019-1020
giovani celebrità, passando dalla Compagnia Biagie Casilini in quelle della Marini, della Pedretti, di Bellotti, di Monti, de
ità, passando dalla Compagnia Biagie Casilini in quelle della Marini, della Pedretti, di Bellotti, di Monti, delizia del pubb
. E Pierina Giagnoni, nel vigor degli anni, splendente ancora al lume della ribalta, come una delle maggiori stelle, dovè in
ata la superba speranza di giorni di gloria per il teatro italiano, e della quale solo pochi superstiti dispersi, affannosame
rgeva dalle raffinatezze e dalle delicatezze più squisite del gusto e della modernità alle energie, agli impeti, alle lagrime
e del gusto e della modernità alle energie, agli impeti, alle lagrime della passione, alle grazie della comicità più festiva,
à alle energie, agli impeti, alle lagrime della passione, alle grazie della comicità più festiva, ai fascini di un’idealità c
questa l’arte che sentivi, che non indarno, con tutti gli entusiasmi della giovinezza adorasti, perchè di lei, e della tua v
con tutti gli entusiasmi della giovinezza adorasti, perchè di lei, e della tua vita, non ti fosse ignota nessuna delle gioie
24 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome IV « STORIA DE’ TEATRI. CONTINUAZIONE del Teatro Latino e del Libro II — CAPO VII. Copia di Teatri per l’Impero: magnificenza e profusione eccessiva negli spettacoli sceneci. » pp. 38-55
coli sceneci. Ci si prepara l’increscevole aspetto di un gran voto della storia teatrale. Esso seguì nel lungo periodo int
ia teatrale. Esso seguì nel lungo periodo interposto dalla corruzione della poesia drammatica sino alla perdita della lingua
interposto dalla corruzione della poesia drammatica sino alla perdita della lingua latina avvenuta principalmente per l’incur
Impero Romano. Non è già che sotto gl’imperadori de’ tre primi secoli della nostra era cessato fosse il gusto degli spettacol
ola, Pozzuoli, Siracusa, Catania ed altre città del regno di Napoli e della Sicilia, videro i loro teatri per quel periodo as
Bolsena rammentato nell’iscrizione pubblicata dal Muratori, di quelli della Toscana accennati dal Borghini, di quello di Anzi
eradori de’ primi secoli. Torello Saraina Veronese rammenta il teatro della sua patriab, oltre all’anfiteatro superbissimo ch
i teatro veggonsi nel Piceno dove era Alia rovinata dal Goto Alarico, della quale a’ tempi di Procopio rimanevano appena poch
altri un anfiteatro. Ma per avviso venutomene dal riputato professore della Sapienza in Roma Giovanni Cristofano Amaduzzi mio
di Sparta ecc. Bizanzio ebbe pure un gran teatro, il quale col resto della città su rovinato dalle truppe di Severoa. Antioc
veroa. Antiochia ne avea un altro, e i di lui istrioni furono cagione della trascuraggine e della fatal ruina di Macrinob. In
ea un altro, e i di lui istrioni furono cagione della trascuraggine e della fatal ruina di Macrinob. In Tebe di Egitto vuolsi
to il dominio di tali nazioni che fiorì colà qualche poeta drammatico della nazione Ebrea. Tale fu un Ezechiele citato da aut
ità nel roveto ardente, e finalmente in un racconto fatto da un Messo della fuga di quel popolo e dell’evento del Mar Rosso.
’Inghilterra, in cui si piantarono colonie Romane. Tacito fa menzione della colonia de’ Veterani di Camaloduno, dove era un t
ogo che oggi occupa Senetil de las Botegas, dove fu l’antico Acinippo della Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia es
Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia esistenti le tre porte della scenaa. Una lega distante da Calpe, venendosi da
che si appartiene all’uditorio, non essendovi rimasto verun vestigio della scenab. Osserviamo in oltre che non solo dapertu
coraulo un altro pallio in cui era ricamato il proprio nome e quello della mogliea. Peggio era avvenuto in tempo di Augusto,
olore, con dire che nel tuono lamentevole ancora spiccava la dolcezza della di lui vocea. Vitellio resse l’imperio quasi semp
la gente che Romolo avea raccolta intorno ai sette colli. I Semigreci della Magna Grecia Livio Andronico, Ennio, Pacuvio ed a
mmedia, la quale non che a’ filosofi e letterati, piacque ai migliori della repubblica, ai Furii, agli Scipioni, ai Lelii. En
Romana. Il perno però su cui volgesi la tragedia Romana, è lo stesso della Greca, cioè il fatalismo, se tralle conosciute se
oll’ultimo supplicio i tragici che non rispettavano la memoria de’ re della stessa mitologia o della più remota antichità, co
agici che non rispettavano la memoria de’ re della stessa mitologia o della più remota antichità, come Agamennone. Abbandonat
parlo? Dove risorsero le arti, la drammatica, la coltura? a. Stor. della Letteratura Italiana T. II lib. III b. Nel II li
libro delle Famigliari di Cicerone. a. Trovasi in Bologna in potere della celebre letterata Clotilde Tambroni mia pregevole
25 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo settimo »
sì perché le une e le altre servono ad abbellire il maestoso edifizio della religione, come perché questa nuova maniera di si
lla Capitale del mondo cristiano, e perché gli avanzi non anco spenti della sua grandezza la richiamano ogni giorno allo stud
, fece colà vedere uno spettacolo consimile per istigazione di Pietro della Valle assai noto pe’ suoi viaggi. La celebrità ch
i farsi proteggere detta non poche fiate a quelli scrittori che fanno della letteratura un incenso onde profumare gl’idoli pi
città che dopo essersi renduta famosa per le virtù che ispira l’amore della libertà, coltivava allora le arti che germogliano
lora le arti che germogliano nell’ozio d’una pacifica servitù. Memore della sua antichissima gloria nelle lettere, e desidero
] Claudio Monteverde l’introdusse in Vinegia allorché divenne maestro della Serenissima Repubblica, e prima nei privati palag
ristette fra i termini d’Italia, ma varcando le Alpi portò la gloria della musica e della lingua italiana per tutta l’Europa
termini d’Italia, ma varcando le Alpi portò la gloria della musica e della lingua italiana per tutta l’Europa. La superba Fr
le sue leggiadrissime invenzioni, onde ottenne l’impiego di cameriere della regina, e in seguito di Arrigo Terzo. né dee tral
trionfi e alla osservanza de’ riti nazionali, essa prese il carattere della scostumatezza e della licenza nelle canzoni chiam
nza de’ riti nazionali, essa prese il carattere della scostumatezza e della licenza nelle canzoni chiamate da loro Drinking C
no di Elisabetta fece quest’arte qualche maggior progresso pel favore della regina, e pel commercio cogl’Italiani. In seguito
a al melodramma. Martino Opitz, poeta drammatico superiore agli altri della sua nazione in quel secolo, fu il primo a introdu
di signori italiani e che l’Imperator Leopoldo 74 molto si dilettava della musica loro, fu chiamato gran numero di suonatori
ti: l’Armida, la Disperazione fortunata, la Fuga, l’Innocente mezzano della propria moglie, e l’Alessandro magnanimo. L’Itali
in circa si lasciò il melodramma vedere tra gli Spagnuoli amantissimi della musica massimamente nazionale. Ciò si scorge dall
massimamente in Italia, la quale ora disdegna di confessare nel tempo della sua decadenza ciò che non ebbe a schifo di accogl
denza ciò che non ebbe a schifo di accogliere nel secolo più illustre della sua letteratura. Musica più composta fu ancora in
lle chiese, la notte del santissimo Natale, come reliquie de’ Misteri della Passione, come anche le feste profane di tornei,
ro e la qualità degli strumenti nella orchestra. Giovanni e Francesco della Cueva introdussero i primi l’usanza di cantare ne
orta di frammessi bellissimi che sono nel teatro spagnuolo l’immagine della vera e genuina commedia, e nella composizione dei
o delle rime76. [10] A così strana usanza danno occasione gli accenti della lingua russa, i quali sono così spiccati e sensib
ma scitico. Da ciò si vede che il canto costituiva la principal parte della musica russa e che gli strumenti non servivano ad
rmonioso e gradevole, e capace di gran varietà. [11] Tal’era lo stato della musica in Russia dal golfo di Finlandia fino alla
ono. Questo genio immortale che fu non meno il Mercurio che il Solone della sua nazione, tra i moltiplici oggetti della sua v
il Mercurio che il Solone della sua nazione, tra i moltiplici oggetti della sua vasta riforma comprese ancora la musica. Egli
rto in forma. La novità colpì, qualmente si dovea aspettare, i grandi della nazione, ed ecco a gara coltivarsi da loro la mus
settimana nel proprio palazzo. Anna Iowanona portò sul trono il gusto della musica, e fu nei primi anni del suo regno che si
«ah miei figli» fu onorata dal pianto universale, e di quello altresì della imperatrice. Dopo il Seleuco, lo Scipione, e il M
appresentata nel gran teatro di Mosca l’anno 1752 per l’incoronazione della regina Caterina. Indi si coltivò l’opera russa. L
so compositore anch’egli. Coltellini, fiorentino, fu dichiarato poeta della corte. In oggi per la scelta delle più belle voci
o splendore, che le belle arti ai nostri sguardi tramandano nel clima della Moscovia non è che effimero e passaggiero. Sebben
ezionare la nazionale. Ogni arte che dipende dal gusto, ha la ragione della sua eccellenza nel clima, nei costumi, nel govern
ioni che la coltivano, né può altrove trapiantarsi senza perder molto della sua attività. Codesta verità tanto più diviene se
aesi, e più stretto è il rapporto che vuolsi mettere fra lo stromento della riforma e la riforma stessa. La musica e la poesi
sulla civilizzazione dei russi, i quali, ignorando le ascose cagioni della loro bellezza, altro non saranno giammai che lang
e monumento, e le belle arti abitatrici finora dei privilegiati climi della Grecia e dell’Italia additerebbono anche a’ loro
peut accorder la Raison et l’Amour.» 71. [NdA] Brown, Della unione della musica e della poesia, p. 172. 72. [NdA] Le trag
a Raison et l’Amour.» 71. [NdA] Brown, Della unione della musica e della poesia, p. 172. 72. [NdA] Le tragiche avventure
26 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 337-341
rì nel 1880, d’anni 78, lasciando tra altri il figliuolo Carlo, padre della piccola Virginia, che educò alla Scuola di Carità
lla fece in convento. Entrata nella Società Cuore ed Arte, al momento della sua formazione, vi emerse in poco tempo, mostrand
e, l’anno dopo, uscitane la Marini, diventò la prima attrice assoluta della Compagnia, alternando, e sempre con buon successo
si finalmente dall’Emanuel, diventò pel '94 la prima attrice assoluta della Compagnia Talli e Reinach, pel '95-96 di quella A
ntellettuali è noverata oggi fra le rare attrici di pregio intrinseco della nostra scena di prosa ; e di esse prima senza dub
tà doviziosa, direi quasi per la improvvisazione, specie negli scatti della passione caldissima, in cui forse la moltitudine
itudine non avverte alcune scorrettezze di forma lamentate dall’acume della critica. La sua voce metallica, estesa, capace de
In quella bellissima faccia ebraica (sua madre era figlia del custode della Sinagoga di Modena, fatta cristiana quando si spo
file di perle grandi ed uguali che attraggono : se la parte inferiore della sua persona rispondesse armonicamente a quella di
i oppio, dell’arte moderna…. Insomma : nella sua modernità c’è sempre della Virginia Marini. Ma la Reiter è la Reiter…. ; e,
sì, e assai bene, il mio Ugo De Amicis comincia uno studio sull’ arte della Reiter nell’interpretazione della prima : Credo
icis comincia uno studio sull’ arte della Reiter nell’interpretazione della prima : Credo che se Sardou fosse un autore ital
uto distribuire idealmente i ruoli, avrebbe scritto a fianco del nome della protagonista : Virginia Reiter. La parte è varia,
emi-storici o romanzeschi ; e così, a poco a poco, prima delle parole della parte, ho imparato a memoria, dirò così, una figu
o Cossa, che pur segnò al suo apparire un sì gran passo nel progresso della scena, non mi pareva tale da invogliare un’artist
a storico, del quale abbiamo ancor nella mente e nel cuore il ricordo della interpretazione magnifica che ne diede la geniale
27 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 83
Marchionni Luigi. Fratello della precedente, nacque a Venezia il 2 novembre 1791.
colo cane, che, divenuto idrofobo, fuggi di casa, e si recò in quella della Marchionni, forse per non mordere i padroni. Giun
pochi giorni. La madre, furiosa contro del figlio, cagione innocente della morte della sorella, lo cacciò di casa. Inutili f
i. La madre, furiosa contro del figlio, cagione innocente della morte della sorella, lo cacciò di casa. Inutili furono le dis
tista. Sembra che il tempo e l’amor materno, non meno delle preghiere della sorella, gli ottenessero il perdono della severa
o, non meno delle preghiere della sorella, gli ottenessero il perdono della severa Elisabetta dopo diciassette anni di esilio
famiglia : e infatti lo ritroviamo nel 1820 nella Società drammatica della madre e della sorella al posto di primo amoroso a
infatti lo ritroviamo nel 1820 nella Società drammatica della madre e della sorella al posto di primo amoroso assoluto, dopo
piani e Visetti a' Fiorentini di Napoli, ove stette sino al '64, anno della sua morte. Il Marchionni fu l’attore generico per
lo ; spettacoli : Pirro, o i Venti Re all’assedio di Troja, La figlia della terra d’esilio ; drammi : Chiara di Rosenberg cal
28 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome IX « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. Tomo IX. LIBRO IX. Continuazione de’ Teatri Oltramontani del XVIII secolo. — CAPO IV. Letteratura e Commedia Turca. » pp. 47-55
ermineremo questo libro IX, dopo un breve saggio sul grado di coltura della Turchia Europea e della commedia che vi si rappre
IX, dopo un breve saggio sul grado di coltura della Turchia Europea e della commedia che vi si rappresenta, con descrivere il
i ultimi tempi. Un pregiudizio volgare va impicciolendo in noi l’idea della coltura delle nazioni a proporzione della loro lo
impicciolendo in noi l’idea della coltura delle nazioni a proporzione della loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia, semb
e della loro lontananza. Ciò che non ci rassomiglia, sembraci indegno della nostra stima e incapace di buon senso e di gusto.
tere e di comparare, ne vanno esenti. Generalmente i Turchi, malgrado della loro comunicazione con varie corti Europee, che p
e ed in guerra. Orcano stabilì varii collegii per istruzione e comodo della gioventù. Amurat I creò e disciplinò la temuta mi
ue, amava le arti e la musica, e coltivava l’astronomia. Compiacevasi della pittura, e Gentile Belino pittore veneziano per a
a sua corte, e se ne tornò carico di doni a. Soprattutto si dilettava della storia, e singolarmente di quella di Augusto e de
soggetti, e ne fece fare le traduzioni in lingua turca a. Al l’amore della storia debbesi la beneficenza usata da questo pri
si studiano l’arabo idioma ed il latino. Quei che attendono alle cose della religione e alla giurisprudenza, studiano i comen
hi uno spettacolo scenico. Ma la drammatica di questi moderni signori della Grecia troppo è lontana da quella del tempo di So
del giovane amante, e cade infermo. Tenero il padre indaga l’origine della sua malinconia, la trova, riflette, compatisce, s
e, capace di viluppo e di scioglimento popolare, dà luogo al maneggio della tenerezza, e nulla ha di romanzesco e stravagante
ardi, la Celestina dialogo drammatico spagnuolo, ed il dottor Carlino della medesima nazione, e la Calandra dell’Italia. I c
rappresentazioni de’ Pupi. In occasione di nozze si passa la giornata della cerimonia ballando, o vedendo rappresentare i Pup
monia ballando, o vedendo rappresentare i Pupi. Le notti di quaresima della luna di ramazan si spendono a mangiare, fumare, p
Bayle art. Golius nota D. a. Si vegga ciò che se ne dice nel tomo I della Gazzetta letteraria dell’Europa, dove si parla de
29 (1732) Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia
tre anni or sono, intuivo le potenzialità che offriva il suo Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia per
lia i manoscritti di questo autore, ammirato per la portata originale della sua estetica letteraria1, a Sergio Romagnoli, col
iani fra gli anni Cinquanta e Sessanta da cui scaturirono le edizioni della Descrizione de’ costumi italiani e del carteggio
un lenzuolo perforato, per impiegare l’immagine di apertura dei Figli della mezzanotte di Salman Rushdie; era stato analizzat
a europea che presentava indizi di un dialogo fecondo con i capisaldi della critica sei-settecentesca (Boileau, Pallavicino,
Lessing e Immanuel Kant; come tentativo, infine, di piegare i cardini della poetica aristotelica a un’esigenza religiosa che
come ad esempio l’idea di una sua posizione di isolamento all’interno della cultura lombardo-veneta quando non addirittura it
allusioni sparsevi. Tutto ciò era complicato dal fatto che, nel corso della sua argomentazione, spesso Calepio accennava impl
rtezze che mi rinfrancavano, ad esempio, in prima istanza, l’ampiezza della cultura di Calepio che appariva tale sin da un pr
ltura di Calepio che appariva tale sin da un primo cursorio riscontro della Descrizione de’ costumi italiani e del Paragone;
discussione delle singole prese di posizione di Calepio nel panorama della storia della critica, dell’estetica, della storia
delle singole prese di posizione di Calepio nel panorama della storia della critica, dell’estetica, della storia del teatro e
ne di Calepio nel panorama della storia della critica, dell’estetica, della storia del teatro europea tra Cinque e Settecento
lettura del Paragone Nel primo capo Calepio affronta la questione della proprietà catartica delle favole tragiche; l’auto
lassica e classicistica che valorizzava l’utilità morale e pedagogica della letteratura, prende le distanze dalla concezione
del Discorso di Iason De’ Nores attuato dal Gravina. Come il Muratori della Perfetta poesia italiana, anche Calepio è convint
esimo — le stesse considerazioni si ritrovano peraltro nella Bellezza della volgar poesia di Crescimbeni —, Calepio dimostra
ra una sensibilità etico-religiosa profondamente diversa. Il recupero della catarsi come strumento attraverso il quale legitt
ella catarsi come strumento attraverso il quale legittimare l’utilità della tragedia era peraltro tipico nel primo Settecento
a Calepio rispetto alla teoria aristotelica si intuisce la cognizione della profonda diversità del teatro greco da quello cri
ca — a tutti gli effetti mediocre — con la sua Sofonisba, il Rucellai della Rosmunda, il Giraldi Cinzio, il Bonarelli e il Do
i partenza e alla scelta di analizzare le tragedie dal punto di vista della qualità del protagonista e del grado di patetismo
unto di vista della qualità del protagonista e del grado di patetismo della favola. Fra le tragedie settecentesche la prefere
affei non è neppure presa in considerazione a causa dell’esito doppio della favola, che non soddisfaceva l’esigenza catartica
i de La Motte), in virtù del fatto che il suo interesse nei confronti della drammaturgia non è tanto di natura archeologica,
piuttosto militante, e decisamente rivolto a incidere sugli sviluppi della drammaturgia contemporanea per rendere perfettibi
on meno rilevante è tuttavia l’incidenza, nella scrittura di Calepio, della Querelle des Anciens et des Modernes. L’autore di
va già nell’Apologia di Sofocle, lavoro critico giovanile e documento della precoce militanza di Calepio — impegnato a difend
mente a favore del secondo. Nel capo successivo si esamina la qualità della peripezia formata da meraviglia, riconoscimento e
e la sorpresa piacevole disposta in seguito allo sviluppo inaspettato della peripezia, ma come l’elemento che costituiva il «
o della peripezia, ma come l’elemento che costituiva il «dilettevole» della tragedia, Calepio si scaglia contro Corneille: il
ssu e Terrasson, e che in Italia aveva sostenuto anche il Crescimbeni della Bellezza della volgar poesia; in questa sua conce
, e che in Italia aveva sostenuto anche il Crescimbeni della Bellezza della volgar poesia; in questa sua concezione fortement
iva il valore patetico dell’agnizione, egli difende poi il meccanismo della riconoscenza, rifacendosi ad una tradizione itali
italiani e una risorsa irrinunciabile per aumentare la spettacolarità della pièce, interessando lo spettatore allo sviluppo d
spettacolarità della pièce, interessando lo spettatore allo sviluppo della vicenda sino al suo esito conclusivo. Quanto inve
suo, del Du Bos, il quale nelle sue Réflexions sondava il delinearsi della reazione dello spettatore teatrale o dell’osserva
niti e i buoni trionfanti, ma non li dispone adeguatamente al momento della purgazione finale. Gli argomenti di Calepio, che
glio e i crudeli soccombono. Dietro all’insistenza sulle imperfezioni della tragedia doppia, incapace di destare compassione
olemica contro Corneille e i Francesi, ma anche una identica condanna della fortunata Merope del Maffei — a cui viene preferi
on maggiore frequenza, oppure assumono, per centralità nello sviluppo della favola e per dimensione, uno spazio uguale se non
co non è tuttavia sempre ortodosso e in questo consiste l’originalità della sua posizione che in effetti è sempre animata da
no del dramma moderno, proprio perché priva le favole agite a palazzo della necessaria segretezza su cui si dovrebbe fondare
ell’intreccio. In questo caso il Paragone parrebbe riprendere le tesi della Pratique du théâtre dell’abate d’Aubignac, nel qu
n entrambi i casi, da ragioni di ordine puramente teatrale. Al centro della polemica di Calepio si trova anche un insigne tes
A simili conclusioni giungerà, quasi un secolo dopo, anche il Manzoni della Lettre à Monsieur Chauvet. Inoltre viene ribadita
Inoltre viene ribadita ancora una volta la centralità del sentimento della compassione nel progetto teatrale ed ideologico d
dimostrare come l’affetto filiale fosse un sentimento più universale della passione erotica — il trait d’union che permette
rmette agli astanti di immedesimarsi nel protagonista è la «comunione della umana fragilità» (Paragone III, 3, [3]): il pubbl
utori considerati, Calepio formula un giudizio profondamente negativo della tragedia italiana cinque e seicentesca dal punto
ativo della tragedia italiana cinque e seicentesca dal punto di vista della tenuta scenica della tragedia. In questo ambito e
italiana cinque e seicentesca dal punto di vista della tenuta scenica della tragedia. In questo ambito egli riconosce fin da
i che agiranno nel dramma, utili a comprendere lo sviluppo successivo della favola. I Francesi non sono caduti in simili erro
censurato il ricorso insistito e prevedibile a sogni e oracoli tipici della tragedia di derivazione classicistica: secondo Ca
ne rendendole spesso monotone e spiacevoli. Ancora dal punto di vista della resa scenica, l’autore loda le tragedie francesi
resa scenica, l’autore loda le tragedie francesi per la preparazione della peripezia, ossia del rivolgimento che avvia verso
priccio del drammaturgo, piuttosto che da cause interne allo sviluppo della favola, testimoniano l’impietosa capacità di esam
ella favola, testimoniano l’impietosa capacità di esaminare i difetti della tradizione italiana senza alcun tipo di animosità
iudizi del bergamasco, e ancora nell’Ottocento, le monumentali storie della letteratura, che per forza di cose si costituivan
lla poesia rappresentativa dell’Ingegneri. In virtù di questa ricerca della verosimiglianza, tuttavia, dal punto di vista ret
emplicità, e ripudiare di fatto la magniloquenza tipica dei soliloqui della tragédie classique francese: i personaggi in pred
suddivisione improbabile dello spazio scenico che sospende il flusso della rappresentazione per istituire una quinta parete
interpreta l’ethos elencato da Aristotele fra le sei parti di qualità della tragedia come un elemento afferente alla sfera mo
dal suo progetto pedagogico-moralistico, esclude la rappresentazione della malvagità per paura degli effetti nefasti che que
ffetti nefasti che questa potrebbe avere, accompagnata dalle lusinghe della scena, sul pubblico teatrale (Paragone V, 2, [4])
a di un θαυμάζειν che, anziché venire limitato all’interno dei limiti della peripezia, diventa il pilastro dell’intero dramma
lla peripezia, diventa il pilastro dell’intero dramma. Lo spostamento della tragedia verso l’epica perseguito da una drammatu
ostamento della tragedia verso l’epica perseguito da una drammaturgia della meraviglia e dell’ammirazione, mirava soltanto ad
anto ad ammaliare e stupire lo spettatore, imponendogli una ricezione della favola esclusivamente passiva; al contrario nel P
ista, così da raggiungere quella purgazione che costituisce l’utilità della tragedia. Calepio ragiona poi ancora sulla fedelt
epio ragiona poi ancora sulla fedeltà alla storia nell’organizzazione della favola a partire da una contraddizione che pareva
la favola a partire da una contraddizione che pareva insita nel testo della Poetica e che aveva assillato numerosi esegeti, d
i antichi messi in scena, attribuendo inverosimilmente ai condottieri della Grecia e della Roma antica il carattere galante d
in scena, attribuendo inverosimilmente ai condottieri della Grecia e della Roma antica il carattere galante dei cortigiani f
costume dei personaggi, che si ottiene appunto attraverso il rispetto della bontà, della coerenza, dell’età, del sesso, della
ersonaggi, che si ottiene appunto attraverso il rispetto della bontà, della coerenza, dell’età, del sesso, della nazione del
raverso il rispetto della bontà, della coerenza, dell’età, del sesso, della nazione del personaggio. Tra i modelli positivi,
ne delle auctoritates, che non tiene conto una differenza strutturale della lingua italiana rispetto a quella greca, ossia la
lingua italiana rispetto a quella greca, ossia la maggiore solennità della prima, che non sopporta un abbassamento come quel
volta sostenuto, in primo luogo, dalla preoccupazione per la ricerca della verosimiglianza, dall’altra dalla disamina delle
egli stigmatizza l’abuso di figure e tropi petrarcheschi all’interno della lingua tragica dei secoli precedenti. Se allegori
stilistico — egli mette quindi in secondo piano, ad esempio, il ruolo della sintassi o delle figure di suono —, eppure ancora
direttamente in linea con gli scritti polemici generati in occasione della querelle Orsi-Bouhours. Anzi, con il Bouhours, Ca
pico o a una lirica, piuttosto che a una tragedia. Insomma, ben prima della Risposta a Voltaire del Maffei, in cui il verones
ar sempre sui trampoli», già il Calepio aveva denunciato la gonfiezza della lingua tragica francese — peraltro teorizzata ica
anza di ballo». Nel settimo capo l’autore affronta l’annosa questione della versificazione, unendo la propria voce al coro di
il Martello — che avevano condannato l’alessandrino francese a causa della monotonia, della lunghezza del verso e soprattutt
e avevano condannato l’alessandrino francese a causa della monotonia, della lunghezza del verso e soprattutto della rima. Anc
cese a causa della monotonia, della lunghezza del verso e soprattutto della rima. Anche sotto il profilo metrico lo scopo pri
o più mosso e gradevole. La conclusione è comunque ancora all’insegna della polemica anti-francese ed in specie anti-bouhours
nfine a dimostrare nel concreto la maggiore armonia e verosimiglianza della lingua poetica italiana, la quale, priva del giog
rasferimento in Italia, e dove ancora oggi è custodito il manoscritto della Descrizione de’ costumi italiani, pubblicato, sem
e’ costumi italiani, pubblicato, sempre per mezzo del Bodmer nei tomi della ginevrina Bibliothèque Italique 10. L’edizione de
a Selmi, che in qualità di supervisore ha saputo guidarmi nei meandri della drammaturgia rinascimentale e moderna, essendo fo
to di Studi Linguistici e Letterari con cui ho proficuamente discusso della mia tesi a vari stadi del suo sviluppo, in un dia
e biblioteche in cui ho lavorato in questi anni, e soprattutto quello della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, della Ca
, e soprattutto quello della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, della Capitolare di Verona, della Zëntralbibliothek Zür
Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, della Capitolare di Verona, della Zëntralbibliothek Zürich e della Bibliothèque Nat
Bergamo, della Capitolare di Verona, della Zëntralbibliothek Zürich e della Bibliothèque Nationale de France, va parimenti un
nza di lei nulla di quanto ho fatto avrebbe preso forma. Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia di
muovermi il profitto ch’io spero dalla vostra censura, che il timore della insufficienza per rattenermi. Gl’Italiani che son
rgimento delle lettere, coltivarono prima d’ogni nazione anche l’arte della tragedia: ma siccome non è stato loro conteso il
ato loro conteso il pregio d’avere occupato i primi posti dell’epica, della lirica e della pastoral poesia; così sembra ad al
o il pregio d’avere occupato i primi posti dell’epica, della lirica e della pastoral poesia; così sembra ad alcuni, che nella
struttura e la proporzion di ciascuna. Per prima e general divisione della tragedia parmi acconcio il considerar la favola q
arti cioè il costume, la sentenza, la favella ed il metro quasi corpo della medesima. [Ded.2] Potrebbesi la favola riguardar
cuni alla pratica: ma non di tutto ciò che vien compreso dalla natura della favola stimo che or debba farsi particolar osserv
ebbero sì le particolari imperfezioni degli autori, che la fievolezza della letteratura francese, la quale in que’ tempi era
prio fine, allega que’ testi che stabiliscono consister la perfezione della favola tragica nel muover la compassione ed il ti
nchiude che la più tollerabile spiegazione che si possa dare a’ passi della sua poetica, si è il dire ch’egli non intenda ess
ar delle favole. Ma tale assunto diviene più strano per la frivolezza della ragione con cui queste si difendono: perocché qua
e dal piacer recato dalle sue tragedie traeva egli bastante argomento della loro bontà: né di vero a più sue tragedie poteva
me, con la dovuta moderazione, uso non farò nel presente paragone che della accennata filosofica discussione e di quel destro
e il purgar con piacevolezza lo sregolamento delle passioni per mezzo della compassione e del terrore. Questa purgazione, ben
ell’assegnare alla passione amorosa di Rodrigo e di Cimene la cagione della peripezia. Se a me lice anatomizzare tal favola m
dell’affronto fatto al padre. Se l’azion sua ben s’esamina col dovere della morale, non colla massima del volgo, non lice far
sua opinione dicendo che l’Edippo di Sofocle, il quale si dà per idea della perfezione, non purga punto: ma questo Francese s
lizia d’un delitto, ma l’abito vizioso: perciocché secondo il sistema della morale aristotelica, un sol atto, ancorché pravo
1.2.6] Comprova ad evidenza il mio sentimento l’uso che Aristotele fa della medesima dizione nella morale, massimamente nel l
sificando l’incontinenza da μοχθερία, oppone questa seconda all’abito della virtù. La mente del greco scrittore appare anco d
[1.2.7] Crede Cornelio esser di mestiere che ’l fallo sia nell’azione della tragedia, ma basta per l’intento che la peripezia
tragedia delle Eumenidi rappresenta Oreste uccisore bensì d’Egisto e della madre Clitennestra, ma nondimeno degno di compati
a morte del padre, e per l’altre necessità a cui soggiaceva a cagione della madre stessa. [1.2.9] A questo grado s’approssim
ata ed altre non sembrano avere altro fine che di mostrare le vicende della fortuna e le disgrazie a cui sono soggetti anche
sperità. [1.2.13] Sofocle è stato osservatore delle qualità perfette della persona tragica nell’Edippo, nell’Aiace, nelle Tr
ste. Una si è che la religione non obbliga in certe cerimonie a costo della vita e l’altra che il poeta s’è regolato col cost
Coefori d’Eschilo. Il Filottete scostasi anche assai più dallo scopo della perfetta tragedia. Articolo III. [1.3.1] G
po del padre ha l’impudenza di trattenersi tre giorni e più nel campo della battaglia; e però riman presa e sforzata a bere n
Cebà, il Solimano del Bonarelli e l’Aristodemo del Dottori sono tutte della medesima idoneità. [1.3.4] Il Gravina a’ nostri
giorni, affettando d’introdurre nel teatro d’Italia l’idea eccellente della greca tragedia, ha preteso che gli altri nostri p
edia, ha preteso che gli altri nostri poeti non abbiano che una larva della medesima e confundendo ciò che le greche favole h
le han di buono con ciò che hanno d’imperfetto e che sente i principi della poesia, ha senza discernimento ammesso nelle sue
dimeno ottimo autore, che purga dalla imprudenza di non saper far uso della dissimulazione. [1.3.5] Non merita gran pregio p
IV. [1.4.1] Ma perciocché mio avviso è di parlare in questo capo della sola dignità più sustanziale della favola tragica
avviso è di parlare in questo capo della sola dignità più sustanziale della favola tragica, paragonando in ciò gl’Italiani co
ottimi esempli di tragiche persone che Rodrigo del suo Cid e Placido della sua Teodora, ma se ben s’esamina ciascuno di ques
.4.2] La calamità di Rodrigo, se si considera in riguardo al pericolo della sua condannagione, è più propria per eccitare tim
l pericolo della sua condannagione, è più propria per eccitare timore della medesima e dell’esito del duello, che compassione
evole a provocare, svanisce quasi in un punto per l’allegrezza finale della tragedia. [1.4.3] Placido reca in fine qualche p
a l’uditore occupato da quella di Teodora e di Didimo assai più degni della medesima. Inoltre il rimprovero, che egli fa nell
a quella tenerezza che potrebbe cagionare. Di più dico, che l’aspetto della sua disGrazia è sì momentaneo e sì privo di quell
s’occupa talmente Edippo stesso ne’ loro affari che sembra scordarsi della sua disGrazia quando in effetto dovrebbe mostrare
i gli occhi. [1.4.6] La Sofonisba, che deve meritarsi la compassione della gente, si comincia nelle prime scene a rendere od
marito Siface, perciocché aveva gelosia che Massinissa col benefizio della pace sposasse una sua rivale. Confermasi dappoi l
ue tragedie il medesimo Francese si è discostato anche più dalla idea della perfezione, non essendosi proposto per iscopo che
8] Racine, cui dassi il vanto d’esser giunto alla maggiore perfezione della tragica poesia, non ha per mio avviso altri argom
n ha per mio avviso altri argomenti che si possano ridurre alle leggi della perfetta tragedia, se non quello della sua Fedra
si possano ridurre alle leggi della perfetta tragedia, se non quello della sua Fedra (con la quale la Fedra italiana di Fran
he non gli abbia fatto l’abate Tarasson, che per altro esalta i poeti della sua nazione. Pare allui Britannico innocente, ma
oltre non puote ella traer pietà trovando gli animi disposti a favore della figliuola d’Agamennone, i quali non possono se no
é giudico potersi replicare che la sua disGrazia corregga la violenza della passione amorosa, perché sarebbe ridevole il cred
ente debbonsi giudicare poco propri per rappresentar la prima persona della perfetta tragedia simili soggetti, ancorché possa
perfezionerebbe la tragedia se l’esito infelice apparisse un castigo della sua tenerezza, invece d’essere una pena non solo
dallui stesso voluta. L’Atalia, benché abbia più dell’altre il gusto della antichità sì per la semplicità che per l’ordine,
dire che la rappresentanza de’ tragici successi presso gl’Italiani ha della conformità maggiore col genere perfetto della tra
i presso gl’Italiani ha della conformità maggiore col genere perfetto della tragica poesia e però meglio acconcia a produrre
strerò ne’ capi seguenti senza parzialità ch’essi hanno in certe cose della particolare benemeranza, e nel proposito di cui t
tempi, ancorché a tale prerogativa non corrispondano gli altri mezzi della compassione, e questa istessa sia più fiate prati
e non sono appoggiati ad alcuna memoria, lo lasciano almeno in dubbio della lor verità, però credo che solamente ne’ più rozz
, come è probabile che fosse anche il Fior d’Agatone. Fra le tragedie della natura orribile abbiamo la sola Medea d’Euripide,
osti da que’ poeti; con tutto ciò per formare una intera comparazione della tragica teoria rimane ad esaminarsi particolarmen
e da essi praticate. Tre cose concorrono a far sì che ’l rivolgimento della tragedia sia bello e cagioni efficacemente la com
è maraviglia, riconoscenza e passione. [2.1.2] La maraviglia propria della tragica poesia consiste nell’orribilità derivata
pare che non abbian fatto gran conto di questa maraviglia particolare della tragica poesia. Pietro Cornelio ha procurato in p
ossiaché oltre il non aggiungere essenziale benefizio al fine proprio della perfetta tragedia, divertono talora l’uditore dal
tragedia, imperciocché il poema epico è rappresentazione più generale della vita umana, laonde non solamente può senza nocume
sse somiglianti introduzioni. Ma poco mostrano di conoscere la natura della tragica poesia, la quale per la finale letizia pe
tragica poesia, la quale per la finale letizia perde bensì gran parte della sua forza, ma non cangia essenza. Che se s’ammise
della sua forza, ma non cangia essenza. Che se s’ammise sotto il nome della tragedia ogni sorta di fatti illustri indistintam
elle grandi virtù; il che, come loro è venuto fatto qualche fiata con della lode, così pure che già due secoli fosse proposto
mpio la Merope del marchese Maffei. Articolo II. [2.2.1] L’uso della riconoscenza è pure assai comune nelle nostre poe
la, o l’ometterla. La ragione che adduce Pietro Cornelio in dispregio della riconoscenza si è che gl’Italiani perdono sovente
atastrofe la compassione non pregiudica punto, anzi accresce la virtù della medesima, conciossiaché penetrando ella come in u
rocché gli affetti mossi dalla pugna del dovere contro l’inclinazione della natura, o di questa contro le passioni, ove s’ope
e nel Cinna, il quale sentendo il rimorso del tradimento ed il debito della gratitudine verso Ottaviano, viene combattuto dal
a gratitudine verso Ottaviano, viene combattuto dall’amore d’Emilia e della fede a lei data di vendicarla. Un tale contrasto
data di vendicarla. Un tale contrasto dà bensì piacere per la pittura della naturale agitazione che prova Cinna, ma non si pu
le agitazione che prova Cinna, ma non si può quindi nascere il frutto della compassione richiesta, perciocché qual pietà meri
a riconoscenza non solamente sia inutile, ma privi ancora la tragedia della sua maggiore virtù. Li combattimenti interni dell
de’ quali avrebbe loro recato più varietà, ed una maggiore imitazione della nostra natura, siccome è stato un gran mezzo a Fr
il quale si vanta d’avere nella sua Polissena cambiato le tradizioni della fama, fingendo che Pirro la sveni involontariamen
Egli credendo di migliorare in tal guisa la favola, halle tolto parte della sua efficacia, perciocché sì per Polissena che pe
calamità di Polissena stessa. Stabilisce quel poeta francese la lode della sua invenzione sulla proposizione d’un simil modo
ione degli altri, mostrando essi avere avvertito che per la debolezza della nostra natura un sentimento viene infievolito dal
esso da tale irritamento, sente assai meno il benefizio del terrore e della compassione. Di tal sorta sono la Sofonisba, l’Or
reché sospende quella intiera pietà che s’avrebbe loro nel compimento della sciagura, nulla non impedisce il comprendere la c
tà di chi procura la loro calamità, né scema però punto l’irritamento della indignazione. [2.4.4] Una compiacenza simile a q
n vano pretesto di vendetta, occupando lo spettatore nella avversione della sua indegnità, lo diverte dal pietoso sentimento
ppresso Euripide il massimo diletto. [2.4.5] Fra gli accompagnamenti della passione sono efficacissimi gli affetti delle per
distende la sua narrazione nell’esprimere la gioia che aveva Marcella della sua vendetta, e quindi la morte di costei dispera
che, invece di provvedere chi doveva raccontare e sentire il successo della sua morte, s’è trovato in necessità d’ometterla p
terla per non aver modo di rappresentarla convenientemente al bisogno della tragedia, però non se ne ha che un argomento dall
er la tragedia. Aristotele non adduce di ciò ragione se non l’esempio della Odissea, che dice essere cresciuta sopra la mole
ea, ma ciò ch’io credo doversi massimamente considerare è che il fine della vera tragedia non è di dilettare a guisa della ep
siderare è che il fine della vera tragedia non è di dilettare a guisa della epopeia colla rassomiglianza di molte cose, ma co
, secondo il mio sentimento, da quell’interesse che per la conformità della natura s’assume lo spettatore nelle peripezie de’
er tale riflesso dalle episodiche prolissità, ma perché furono amanti della semplicità, non pur nelle favole tragiche ma nell
o gli argomenti più composti, così la tragedia non può se non perdere della sua forza, distraendo per l’uditore con la moltip
egli interessi da quella passione la cui maggior violenza è l’effetto della tragica perfezione. [3.1.3] Gl’Italiani ch’hanno
occante le cose accadutegli sin dalla guerra di Troia; la descrizione della tempesta di mare che vien fatta dal Torrismondo d
ccortezza in far sì che le favole ne godessero benefizio senza offesa della lor propria dilicatezza. Ma sovente parmi essere
he perfezionano la favola non che non le nuocano. [3.2.2] Un esempio della artificiosa collegazion de’ medesimi mi sovviene
orrisponda, come già notai. Né certo così possono lodarsi gli episodi della italiana Demodice, la quale rappresenta un fatto
i oziosi, né solamente intendo di quelli che sembrano anzi spettatori della favola che attori, come l’infante del Cid, ma d’a
[3.2.6] 4. Havvi non poche digressioni che occupano la maggior parte della tragedia, o vi danno la principale figura, come m
alamede che scuopre ad Oreste la sua qualità e l’esorta alla vendetta della morte del padre; laonde siegue poi l’uccisione di
more un mezzo che ci unisce con gli eroi, perocché le persone proprie della tragedia non sono gli eroi in ogni virtù perfetti
vono avere di que’ difetti che mostrano agli ascoltatori la comunione della umana fragilità. Né meno è strano il dire che la
per accidente. [3.3.4] È però leggerezza il credere che la tristezza della tragedia abbia bisogno, per toccar meglio, delle
dall’approvazione delle dame in essa raffinate, da cui tutto il resto della gente per certa indole ivi si lascia rapire. [3.
che passioni hanno il lor fondamento. Niuno potrà leggere gli episodi della gelosia introdotta nella Sofonisba di Pietro Corn
rancesi un dispiacere notabile che prova l’uditore mentre nel bollore della passione, concepita per la disGrazia d’alcuno, in
ch’hanno li Francesi circa vari artifici toccanti l’ordine e la forma della tragica rappresentanza. Articolo I. [4.1
[4.1.1] Se dalle cose dette sinadora alcun sospettasse che l’amore della propria nazione m’avesse fatto dissimulare o non
edie di Francia meno regolari che le nostre nella teorica costituzion della favola, parimenti confesserò che queste sono assa
ssai difettose nella disposizione ed in altre qualità rappresentative della medesima, siccome quelle hanno in ciò molti pregi
i, ma l’ombre e le deità; oltrediché introdusse egli la fama in mezzo della sua Didone a raccontare i trastulli amorosi d’Ene
di costituire tutto il primo atto di Deità separate affatto dal resto della favola, e per la qualità delle persone, e per la
n bensì d’usare πρόσωπα προτάτικα e legarono i prologhi col rimanente della tragedia, perciocché lasciano bene spesso conosce
so Pietro Cornelio sono scusabili le narrazioni dell’Infanta del Cid, della Cleopatra del Pompeo ed il dialogo di Laonice e T
l Cid, della Cleopatra del Pompeo ed il dialogo di Laonice e Timagene della Rodoguna; contuttociò sarebbe ingiustizia il nega
i attiva, benché quanto al rimanente irregolare. [4.1.7] Per cagione della frequenza paionmi in simil maniera noiosi tanti s
sso i tragici antichi. Questa consiste nel far comparire in principio della favola persona dallei separata e senza nome a dir
mondo esca Rosmonda a moralizzare tra sé. Potrebbesi dire il medesimo della venuta di Miseno nell’atto terzo dell’Astianatte
peripezia deriva dal messo che sopraggiunge di nuovo a recar novella della morte inaspettata del re di Norvegia; nella Semir
del re di Norvegia; nella Semiramide del Manfredi nasce dalla novella della morte d’Anaserne seguita accidentalmente. Nel Sol
ano 22 comparisce improvvisamente Aidina con Alicola a dare il motivo della riconoscenza della favola, né da tale difetto ali
mprovvisamente Aidina con Alicola a dare il motivo della riconoscenza della favola, né da tale difetto aliena è la venuta di
to che consiste nell’accennare prima del tempo proprio le circostanze della catastrofe invece dì prepararle. Per lo che nasce
le. Per lo che nasce che l’uditore presentendo agevolmente il termine della tragedia, non prova poscia quella maraviglia che
parte prima dell’altra per non sapere sostenere fino al fine i mezzi della medesima. Ciò mi ricorda aver notato particolarme
error differente e meno ancora scusabile inducendo egli verso la metà della sua Antigone la peripezia d’una azion differente
per li mezzi inverisimili di sospender la catastrofe sino al termine della favola: di che puote esserci esempio, nella Beren
osimile, perciocché non ha quegli cagion maggiore di ciò fare in fine della tragedia che in principio. Esso sino nel primo at
novità degli accidenti ha potuto far credere intollerabile l’eccesso della passione, come si vede nell’Aminta del Tasso, ma
nell’Aminta del Tasso, ma nel caso presente, posciaché tutta la forza della disGrazia d’Antioco era in costrignerlo alla sua
isce tal debolezza ad un re, che per altro vien dipinto nel rimanente della tragedia uomo di spirito e di gran valore, sicché
le sue passioni, o di farvi almeno rimanere persone in sua vece degne della tragica dignità. All’incontro vedesi trascurata t
nca comunemente agli Italiani, è il rendere o fare apparir la ragione della venuta. Più nostri antichi hanno ciò trascurato a
zione riman priva de’ mezzi naturali che perfezionano l’assomiglianza della vera azione, parendo che le persone si mostrino s
. Laonde non resta sì nascosta sotto la sembianza del vero l’economia della favola. [4.4.4] Per mancanza di cotale avvertime
mente parmi che Antonio venga nell’atrio medesimo a recare la novella della morte di Cesare, mentre Calpurnia è in Senato né
uiscono a coloro ch’espongono sulla scena per ben conoscere il valore della imitazione, però non vo’ tralasciare qualche rifl
isogno nel decorso del dramma, senza caricare ad un tratto la memoria della gente. Laonde si scorge ancora qualche maggior de
mi spiacque nelle tragedie del Giraldi ed in particolare nell’atto 5. della sua Cleopatra, ove prima esce Olimpo solo; partit
raldi il vedere che la nudrice e le donne di corte sentono le querele della loro reina non pur senza intenderle, ma senza con
hifasi la difficoltà di ben concatenarne di molte e privasi il dramma della proporzione d’un atto con l’altro, con pregiudizi
lia dice sei versi, si fingono chiamati da Tiso che va sino nel fondo della torre, ove prima s’era detto che per le tante e t
poteva giungere la voce e quindi vengono come se fossero al limitare della porta. Nel Cesare del Conti havvi pure de’ fatti
embra languido in quel tempo tutto ciò che si frappone all’impazienza della sua attenzione. Gli altri hanno per lo più seguit
iando il nome dell’oracolo, ma troppo esso appare sì per la chiarezza della storia, come perché da niuno storiografo abbiamo
e esser noti; dove all’incontro è fermo convien privare le tragedie o della segretezza, con la qual d’ordinario si sostengono
er rappresentare con verisimiglianza le azioni che richiedono più ore della rappresentazione attuale. Per queste considerazio
dire che la differenza che ha tra gl’Italiani ed i Francesi nell’arte della rappresentanza deriva dall’avere questi secondi r
uesto secolo superiori non pur nelle cose medesime, ma nell’artificio della disposizione, e sono più confacenti agli uditori
rtelli sopra i medesimi argomenti. Il simile vedremmo essere avvenuto della Merope, la quale fu delle migliori di quel greco
e di riflettere che, benché il costume sia un ornamento notabilissimo della poesia drammatica, con tutto ciò pare che da’ Fra
acciarsi con questo la maraviglia, mostransi d’ordinario meno curanti della tragica essenza, la quale consiste nella qualità
, come erano in certe favole accennate da Aristotele in quelle parole della Poetica 27 αἱ γὰρ τῶν νέων τῶν πλείστων ἀήθεις τρ
probità che fa di mestieri alla persona principale per l’eccitamento della compassione. Ora aggiungerò qual regola s’hanno c
duit». E però stabilisce che ogni persona, anche malvagia, sia capace della tragica maggioranza. Una ragione che a ciò lo muo
ro i cattivi e quelli che sono contaminati d’alcuna macchia offensiva della virtù si ridurrebbon quasi al nulla: in prova di
οῦντες, καλλίους γράφουσιν. Cioè, come io spiego, «con l’applicazione della domestica forma migliorano le immagini che prendo
do che non ha con questo voluto Aristotele distruggere la prerogativa della perfetta tragedia, a cui debbon servire i costumi
ello che nasce dalle bugie del suo mentitore ch’egli reca per esempio della sua praticata dottrina? Dorante, dice egli, «débi
lo di Marcella esposto nella Teodora, del quale si loda assai più che della virtù di Teodora stessa, per quella sola attratti
o carattere di Placido, che dà per modello d’un perfetto protagonista della medesima favola33, posciaché, per renderlo vigoro
buon Re, che con paterno amore verso de’ suoi sudditi, scordato quasi della propria dignità e della cura della propria salvez
amore verso de’ suoi sudditi, scordato quasi della propria dignità e della cura della propria salvezza, esce dalla sua reggi
o de’ suoi sudditi, scordato quasi della propria dignità e della cura della propria salvezza, esce dalla sua reggia come un p
empio non è principale; essa fu creduta, come in fatti è, più propria della epopeia, e tutto che Omero malamente nell’Iliade
ndendo, o scemando al possibile le colpe che secondo l’esatta fedeltà della storia avrebbon potuto, coll’offendere i nostri a
come poeta in teologia ha peccato in poesia, perocché le circostanze della divina scrittura si suppongono note e non soggett
priccio. Fu però con ragione da’ critici censurato il poema del parto della Vergine del Sannazaro, e l’Iephte del Buccanano.
massimamente nel Catone di monsieur Des Champs, ove l’autore si vale della libertà poetica per inchiudere nella favola Farna
ai taché d’opposer des crimes aux vertus de Caton.» Quasi che la luce della virtù abbia d’uopo del contrasto delle ombre per
questi si puote annoverare Beatrice che è nel Corradino del Caraccio, della quale s’accennano bensì varie passate virtù, ma n
accennano bensì varie passate virtù, ma non se ne vede orma nel corso della favola che possa rendere compatibile la di lei di
rrore, perché di quella sono indegni e questo si rende inutile al più della gente che non è sì scellerata. Tali mancamenti si
e voglie e quindi non per altrui stimolo, ma contro il buon consiglio della stessa nutrice, desiderosa di vendicarsi s’avanza
guisa, cioè col mostrar punito un delitto col trionfo d’un maggiore, della qual cosa si veggono forse più esempli ne’ nostri
[5.3.3] Ne’ personaggi di secondo ordine avvi pure in alcuni nostri della colpevole inavvertenza. Di vero io non so vedere
la quale riesce tanto più biasimevole quanto importuno al fin morale della poesia è il suo sopravvivere. Nulla più faceva di
telli, la cui avarizia forma un carattere più proprio per lo ridicolo della commedia che per la gravità della tragedia. Marco
rattere più proprio per lo ridicolo della commedia che per la gravità della tragedia. Marco nell’Appio Claudio del Gravina er
unnioso ruffianesimo non doveva vedersi senza castigo. Ma delle leggi della bontà morale ho parlato abbastanza. Articolo I
mile. Orazio ristrinsela sotto l’osservanza di cinque attributi, cioè della condizione, dell’età, del sesso, dell’ufficio e d
attributi, cioè della condizione, dell’età, del sesso, dell’ufficio e della nazione, mentre disse: Intererit multum davusne
edette proprietà poco esatti osservatori i Greci, o fosse ciò difetto della adolescenza in cui si trovava allora la poesia, o
escenza in cui si trovava allora la poesia, o, come altri ha creduto, della rozzezza di que’ popoli, i quali amavano stoltame
spettacoli e massimamente le tragedie. In ciò che riguarda la lesione della dignità de’ caratteri appare certo che il costume
tro esse sieno inferiori alle greche. Può servire per saggio la morte della reina Giocasta, che appresso il greco poeta s’app
e al figliuolo per obbligarlo ad essere parricida e divenire consorte della concubina paterna. Hanno le loro indecenze sì gl’
secondo Curzio era grande bensì, ma la coltura non eccedeva i limiti della rozzezza indiana, venendogli ascritta «quanta int
anni, che licenziosamente gli si ascrivono dal poeta con alterazione della storia sacra, perocché quantunque le sentenze ch’
é in ciò puossi altro desiderare se non qualche giudiziosa mescolanza della moderna grandezza, la quale, senza distruggere l’
r cui tali favole son fatte, non apprende l’idea d’un re senza l’idea della maestà che suole accompagnarlo, laonde ove questa
romani, perciocché in esse si scorge altro errore contro la proprietà della nazione, avendo quasi tutte qualche bassezza. In
eglio degli altri il decoro de’ Romani: contuttociò non parmi proprio della maestà d’un dittatore ch’egli si trattenga in un
atrio a far tutti i ragionamenti di quel dramma, massimamente quello della scena 1 dell’atto 4. [5.5.3] Grave sconcio contr
care m’ha sommamente stomacato quella che compone tutto il fondamento della favola intitolata l’Appio Claudio del Gravina, co
pecca contro la storia introducendola ad operar per odio del padre e della madre, mentre secondo Livio non aveva altro stimo
vedovile, come farebbe una sfacciata ruffiana. Né propria del sesso e della sua educazione è la risposta che ella rende a’ co
la sorte de’ guerrieri. Per disuguaglianza sconvenevole è il costume della Merope del Torelli, la quale dopo aver mostrato n
stume della Merope del Torelli, la quale dopo aver mostrato nel corso della tragedia contro Polifonte tutto quell’odio che si
ere proseguito più lungamente a lodarlo, soggiugne, come se la vanità della sua bellezza fosse stata cagione della morte di d
, soggiugne, come se la vanità della sua bellezza fosse stata cagione della morte di due amati re: O mia vana bellezza, ecco
occorso alle donne del coro per la commozione che gli reca la memoria della sorella già gran tempo estinta in apparato simile
’assedio di Troia, or nella perdita di Creusa, or nell’abbandonamento della patria, or nel partire da Andromaca, or nell’affo
amorfosi d’Ovidio47, nell’Eneide di Virgilio48 leggesi che Diana, dea della pudicizia, lo protesse sì, che per mezzo d’Escula
ntro Egisto uccisore di suo padre, usurpatore del suo regno ed autore della di lei schiavitù, e trasse in continua afflizione
re ad Assalonne il carattere di penitente per abilitarlo al movimento della compassione, conciossiaché contraria alle memorie
al movimento della compassione, conciossiaché contraria alle memorie della Sacra Scrittura. Né con tale occasione lascerò di
luogo senza bisogno d’equalità, di somiglianza e di bontà. Una parte della morale imitazione non dà veruna loda al poeta, es
e e la sua bellezza. Però, benché nel capo precedente abbia ragionato della sentenza per ciò che riguarda lo scoprimento del
ò che riguarda lo scoprimento del costume, mi rimane ora a discorrere della medesima, considerata come idea di ciò che si sen
enti, che a’ medesimi presta l’elocuzione, avendo rispetto ed al fine della tragedia ed alla condizione di chi vi favella.
ti in una verbosità prolissa, priva di ritegni, e propria ben sovente della prosa più famigliare, egli riusciva languido e do
ciocché non condanni il suo figliuolo. Dice egli: La gioventù, furor della natura che in l’esser suo un caval fiero sembra d
oetiche e con l’uso di parole troppo latine, ed offendesse la gravità della tragedia con qualche cicaleccio. [6.2.4] Altri s
alche cicaleccio. [6.2.4] Altri scrittori di quel secolo avvedendosi della languidezza che pativan le prime favole tragiche,
he, s’avvisaron di provvedere al mancamento con gli ornamenti non pur della epica, ma della lirica poesia; quindi avvenne che
di provvedere al mancamento con gli ornamenti non pur della epica, ma della lirica poesia; quindi avvenne che spogliarono il
delle altre favole e per l’avidità di far pompa di tutte le ricchezze della sua eloquenza, si lasciò trasportare a sparger qu
aver detto che la leggiadria dell’Aminta è derivata dalla imitazione della Canace, confessa ch’egli s’è proposto lo stile de
dalla imitazione della Canace, confessa ch’egli s’è proposto lo stile della medesima per esemplare del Pastor fido. Ma gl’inf
ede principio all’abbandonamento degli scherzi, recando alla tragedia della maestà sì con le sentenze che con la maniera d’es
ne’ lor tragici saggi hanno mostrato che l’italiana favella è capace della natural dicitura senza cadere nel basso e della t
iana favella è capace della natural dicitura senza cadere nel basso e della tragica grandezza senza trasandar nel poetico. [
ha preteso ridurre la tragica poesia alla sua perfezione sul modello della greca, ha meno nobiltà di molti altri, perciocché
ltri. Se si paragonan le nostre antiche tragedie con i tragici drammi della Francia, non v’ha dubbio che, generalmente parlan
ne di più moderne tragedie che noi abbiamo e molto più se colla norma della sola ragione, che prescrive le leggi del perfetto
e riflessioni prima intorno la sentenza, poscìa intorno l’espressioni della medesima. [6.3.2] La sentenza puossi considerare
derebbe Antioco in una traversia tormentosissima nell’atto 3, scena 5 della Rodoguna mentre dice, quasi παιγνήμων: L’espoir
senza odio, gli esorta a ciò fare, poi con concetto cavato dal fonte della novità così siegue a dire: Commencez par sa soeu
ameux Vous d’Albe, vous de Rome, et moi de toutes deux. Fra pensieri della medesima tragedia parvemi già freddissimo questo
e ragionano, e quindi è che si puote anche ne’ gran dolori, con l’uso della retorica, aggiugner perfezione a’ naturali ragion
La Tebaide particolarmente ne abbonda: quivi Giocasta, a somiglianza della Sabina di Pietro Cornelio, interposta a’ figliuol
era per dire cosa maravigliosa. Se l’amore di lei fosse stato cagione della sua morte l’induzione sarebbe stata acconcia, ma
re che sieno più del poeta che le compone insieme, per bizzarria, che della persona che favella. La buona morale distingue l’
si lagna. Articolo IV. [6.4.1] Molto più frequenti sono i vizi della espressione, perciocché quantunque abbiano i Fran
de’ bellissimi esempi, ove s’unisce la nobilità del verso all’indole della prosa, contuttociò bene spesso con frasi troppo p
non è poeta, mettesse in uso le figure più particolari e dell’epica e della lirica poesia, come si scorge massimamente nel Po
ad incontrare ne’ primi versi, in cui Tolomeo descrivendo gli effetti della strage di Farsaglia dopo aver dipinto i fiumi res
trui pene: anzi81 la stessa gloria s’arrossisce d’offerire il partito della fuga, ed in simil guisa si fanno talvolta operare
mnone83 si sgomenta figurandosi i suoi futuri allori tinti del sangue della figliuola. Ogni minimo guerrier di Poro84 si prom
per la copia loro, onde è costituita affettatamente troppo gran parte della elocuzione, e per la repetizion di moltissime, po
pur nel Coreso 105 quel detto d’Agenore, in cui s’appella dai rigori della sorte alla gloria. Monsieur Duchè fa che Davide d
s109. Meno arditamente il nostro Ariosto favellò quando, a proposito della moglie dell’Orco, disse che «morte avea in casa11
ne, che appare sulla scena desiderosa di finir la vita per la perdita della madre e per l’orrido spettacolo de’ fratelli, ter
spressioni di ciò che vivamente puossi spiegare colla brevità trovasi della languidezza e della vanità pregiudiziale al lor f
e vivamente puossi spiegare colla brevità trovasi della languidezza e della vanità pregiudiziale al lor fine, essi le pratica
[6.8.1] Ma veggiamo gli epiteti ed i nomi superflui posti per cagione della rima, i quali non fanno men noioso effetto delle
ando qui non si possa scolpare, perciocchè ἐυφρόνη è nome non proprio della notte, ma dagli effetti attribuitole, laonde l’ep
uesta non ebbe seguito, come troppo affettata e disadatta alla natura della tragedia. Altra, assai comune anche di presente,
ico nelle commedie dell’Ariosto. Dopo il Gravina ha fatto qualche uso della disuguaglianza greca il Lazzarini con migliore ri
e un numero a quelli somigliante, perciocché, ritrovando generalmente della deformità nelle tragedie italiane degli andati se
onare delle greche traduzioni de’ commentari di Cesare e del trattato della vecchiaia di Cicerone, le quali dal predetto abat
la gelosia di non esprimere pienamente ogni cosa non abbia cagionato della verbosità per entro a qualche traduzione che sias
e’ traduttori. Nelle traduzioni verbali, quali d’ordinario son quelle della Sacra Scrittura, si vede agevolmente la superiori
, si vede agevolmente la superiorità delle prime lingue, massimamente della greca, la quale racchiude sovente in una voce tai
i ciò si reca se non l’approvazione che ha fatto Pier Jacopo Martelli della drammatica poesia de’ Francesi. [7.2.5] Se quell
rietà di ciascuna poesia non avrebbe certamente ristretto ne’ termini della drammatica la grandezza, la quale è più propria d
ione, la quale riguarda una cosa assai volgare, ma per la convenienza della comparazione che avviva la descrizion del success
ammettono un’armonia tanto più varia, quanto sono differenti le pose della misura che hanno, perciocché (senza parlar di que
a nel luogo medesimo, ma la metà posteriore non è che una repetizione della metà precedente. Laonde sembra udire in ciascuno
ssione di qualunque sentimento, come egli asserisce per confermazione della sua sentenza. Udeno Nisieli ne’ suoi Proginnasmi
innasmi 140 ragionando in altra guisa a favore de’ versi settesillabi della Canace disse che si potrebbe muovere una lite a G
iglia dello intelletto, perocché quindi appare che, siccome lo studio della medesima è proprio per le canzoni, così non è com
delle passioni, poiché l’artifizio non può rimanerne nascosto a guisa della misura ch’hanno i versi greci e latini, ma tutto
sono propri del metro dallui approvato, cioè del rimare ogni verso e della vicinanza inalterabile delle rime. [7.4.2] Io, n
si alessandrini non era punto più atta delle stanze a tenere il luogo della prosa se non per l’uso, ed aggiunge che le stanze
egli contradica a se stesso. [7.4.3] Ma qui non finiscano i difetti della rima francese: avvene uno che per essere sol prop
me la troppa frequenza delle locuzioni figurate è un effetto evidente della necessità delle rime, così gran parte de’ tropi s
lti pensieri che dirsi vorrebbono convien sostituirne altri in Grazia  della rima. Contuttociò non ha saputo cavare altro frut
atries. Traduzione. Almen fia l’un di voi giusto aggressore vindice della moglie, o della suora. Ma come? ahi macchiareste
one. Almen fia l’un di voi giusto aggressore vindice della moglie, o della suora. Ma come? ahi macchiareste della gloria il
essore vindice della moglie, o della suora. Ma come? ahi macchiareste della gloria il chiaror, se stimol d’onta v’animasse al
e, generalmente parlando, si sono con troppa superstizione trattenuti della imitazion degli antichi; cosi li Francesi, benché
lor pregi particolari, rimangono addietro nelle cose più sustanziali della favola e rispettivamente a qualche italiana trage
tive degli uni e degli altri sarebbe la via d’arrivare a’ primi gradi della perfezione. Giunta toccante le tragedie di mo
emplicità e la moltiplicità degli avvenimenti, come pure ciò che dice della esposizione preparatoria e dell’altre circostanze
sì dal favore acquistatosi dal suo Romolo, come dall’essere invaghito della inflessibilità che in quella favola mostra Tazio.
unta.5] Quanto alla resistenza inflessibile di Tazio, per compiacenza della quale dice monsieur de la Motte: «Che essa ha sem
armi doversi riflettere che l’ammirazione non tanto è proprio effetto della altrui virtù, quanto delle cose strane e rade a s
nulla più ci appassiona che l’infelicità di un uomo, in cui veggiamo della virtù: e, se ben s’osserva, la passione che cagio
he cagiona Romolo non deriva già dalla sua temerità; ma dall’opinione della sua morte, la quale non poteva se non essere comp
rte, la quale non poteva se non essere compatibile per l’inclinazione della nostra umanità verso chi soggiace ad alcun male,
la sola meraviglia, io dico che essa non è per sé la passione propria della tragedia: anzi è contraria al suo scopo quando pu
e gran differenza tra Cleopatra e Medea. La prima non ha veruna scusa della sua crudeltà: perciocché il pregiudizio del popol
o a tal sorta di persone, non solamente si manca all’indirizzo morale della poesia, e con pravo abuso della medesima si propo
lamente si manca all’indirizzo morale della poesia, e con pravo abuso della medesima si propongono esempli idonei ad accredit
l’avversione: ma si travia totalmente ancora dall’oggetto essenziale della tragica purgazione. Ciò che sopra modo ammiro è c
nfare senza gravi rimorsi de’ delinquenti: contuttociò la confessione della mancanza non lo induce a procurare veruna ammenda
in misero stato, avran d’ordinario maggior efficacia nella mutazione della fortuna, quando questa succede in un sol colpo, c
una viva commozione, consiste nel procacciare alla persona principale della estimazione e della benevolenza, sicché ciascuno
consiste nel procacciare alla persona principale della estimazione e della benevolenza, sicché ciascuno per lei s’interessi:
a prava volontà, non d’un trasporto accidentale: ma nelle circostanze della storia che si rappresenta da Cornelio, Orazio non
e delle medesime. Non è nuova in Italia la controversia intorno l’uso della prosa in poesia. Sin nel secolo decimo sesto fu d
e in altre opere poetiche, le quali tanto meno credo che sieno capaci della prosa, quanto più richiedono di locuzion figurata
dico la poesia lirica meno acconcia a riceverla che l’epica. La prova della mia proposizione si è che la favella sciolta è lo
e le figure poetiche, facendola servire ad idee fantastiche, abusano della medesima in una guisa contraria alla sua natura;
di svegliare, a favore de’ principi che si rappresentano sul teatro, della compassione in uditori che sanno esser tutta fint
tanto più facile; quanto i versi drammatici si scostan meno dal suono della prosa. Che se si dicesse potersi per la stessa in
duzione attribuire alle persone tragiche ancora l’altre figure ardite della poesia; risponderei che queste sono incompossibil
unta.15] L’altra obiezione che reca monsieur de la Motte per sostegno della sua opinione è la tortura delle rime, per cui sov
imo atto egli fa de’ suoi fratelli: ma dato che sia una continuazione della persecuzione de’ Macabei, si compie almeno nel pr
ncora Antioco d’indurlo al culto degli Dei. [Giunta.17] Circa l’arte della condotta e della rappresentanza incontransi parim
ndurlo al culto degli Dei. [Giunta.17] Circa l’arte della condotta e della rappresentanza incontransi parimenti delle circos
ntigone verisimilmente. L’uditore in questo luogo sente l’importunità della narrazione: s’avvede poscia nel decorso dell’atto
dmirable». Nell’atto quarto manca alquanto di corrispondenza il tempo della rappresentanza con quello degli avvenimenti, e ne
tarsi, ma da dispregi non può nascere. Il poeta mostrasi poco pratico della filosofia che riguarda amore. Intorno alla manier
non sia capace, ed in ciò concorro anch’io. [Giunta.21] Non parlerò della maniera in cui Romolo si preserva da’ traditori n
tro, rispettivamente alla pietà che Inès dee muovere, la disposizione della tragedia potrebbe esser migliore. Le persone acce
re una occasione al racconto, ch’ella fa dappoi, del suo matrimonio e della reità compatibile, in cui incorse col medesimo. I
medesimo. Impropria stimo anche nella reina la digressione delle lodi della figliuola nella quale dice, fra l’altre cose, che
e di ciò per dar motivo allo scuoprimento che dappoi siegue per opera della reina stessa, che accusa Inès di corrispondenza a
nversimile, aggiunge all’insussistenza del fondamento anche la rovina della fabbrica; laddove agevolmente da altre circostanz
nsieur de Voltaire, ed ha con ingegno corretto un inescusabile errore della favola greca rispetto all’ignoranza inverisimile
l’ignoranza inverisimile che ivi mostra Edippo intorno le circostanze della morte di Laio. Ciò che mi disaggrada nella sustan
stigo permesso dal cielo ad Edippo coll’attribuirgli dell’ambizione e della presunzione: ma non avverte che quindi nascono du
e fece Edippo uccidendo Laio non fu senza notabile reità. Nell’ordine della favola disapprovo la divisione della riconoscenza
enza notabile reità. Nell’ordine della favola disapprovo la divisione della riconoscenza, per cui la peripezia riesce meno ma
gue; Bodmer manda al Calepio alcuni suoi capitoli intorno alla «virtù della fantasia» (ivi, p. 44) e il bergamasco accenna in
ttera del 10 aprile 1729, di aver cominciato a «sbozzare» il Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia (iv
el 1731 (ivi, p. 124), poco prima che il Bodmer gli spedisse la copia della Bibliothèque Italique contente la Descrizione de’
sarà definitivamente palesato soltanto nel 1738, con la pubblicazione della recensione del Paragone da parte del Maffei nelle
ragediografo italiano di scarsa fama. Quanto allo specifico contenuto della dedica sarà necessario sottolineare due elementi
to e chiarita la suddivisione dell’opera, che tratterà in primo luogo della qualità della favola — e quindi della scelta dell
la suddivisione dell’opera, che tratterà in primo luogo della qualità della favola — e quindi della scelta dell’intreccio su
ra, che tratterà in primo luogo della qualità della favola — e quindi della scelta dell’intreccio su cui si fondano le varie
[1.1.1] L’esordio del Paragone è segnato da una speculazione sul fine della poesia e sul compito del poeta; Calepio, rifacend
a diversa missione, ossia quella di guidare i cittadini all’esercizio della virtù attraverso il diletto. Secondo il bergamasc
ero e i tragici greci, così come Aristotele e Orazio, davano del fine della poesia questa interpretazione. Tuttavia Aristotel
20), confinando il discorso sull’utile alla descrizione degli effetti della catarsi; l’Ars Poetica di Orazio procede invece a
na formula celeberrima che accompagnerà la riflessione sulla finalità della poesia tra Cinque e Settecento («Centuriae senior
oetica, vv. 341-344). Nel Cinquecento si insisterà molto sull’utilità della letteratura, proprio a partire dai versi oraziani
alla poesia il fine di dilettare e sottolinea che il diletto proprio della tragedia non è diretto — ossia dettato dal compia
dobbiamo ricordare di quello, che è stato detto di sopra che il fine della poesia è il diletto e che il diletto si divide in
etto oblico, e l’altra è diletto diritto. Il diletto oblico è proprio della tragedia, il quale si sente quando in tragedia si
vero stimo, e che molti negarebbono, cioè che ’l diletto sia il fine della poesia», Torquato Tasso, Discorsi dell’arte poeti
ee drizzar il piacere a questo fine; e per aventura il diletto è fine della poesia, e fine ordinato al giovamento», ivi, p. 6
, Tasso, Roma, Salerno, 2007, p. 337). Il dibattito sul reale oggetto della poesia non si esaurisce nel Seicento: anzi, propr
nel diciassettesimo secolo prevale la concezione edonistica del fine della poesia, sulla scorta della lettura di Castelvetro
prevale la concezione edonistica del fine della poesia, sulla scorta della lettura di Castelvetro; Sforza Pallavicino, ripre
gati dal Tasso, degradava deliberatamente il «giovamento» al cospetto della «dilettazione» («Il fine intrinseco e prossimo de
soprattutto per le riflessioni attorno alla centralità dello stile e della sentenza. Tuttavia su questo preciso punto lo Sca
sius, il quale, nel De constitutione tragœdiæ, sottolineava il valore della «voluptas» connaturata all’imitazione poetica (cf
, Droz, 2001, pp. 35-37). La fortuna di un’interpretazione edonistica della funzione del poeta si propaga nella Francia dell’
rapporto all’affermarsi del genere, ancora di importazione italiana, della tragicommedia; François Ogier, uno degli ingegni
sava già i passaggi principali di una storia teleologica dell’origine della poesia che Calepio recupera nel principio della s
eologica dell’origine della poesia che Calepio recupera nel principio della sua opera maggiore: «ebbero dunque elle [la comme
ori delle Republiche; onde si raccoglie la diffinizione e distinzione della poesia nelle predette tre sue parti e la descrizi
veva inventato esclusivamente per il proprio diletto («I primi autori della vita civile furono costretti avvalersi, ad insegn
ioso, e l’armonia del verso accoppiarono con l’armonia ed ordinazione della voce, che musica appellarono», Gian Vincenzo Grav
, dalla Politica e dall’Etica», Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 50-51).
ortune, o imparando a correggere i propri costumi dal contemplar quei della scena, o bevendo molti bei ricordi morali, onde v
Sui Discorsi Poetici di Faustino Summo, documento assai interessante della ricerca poetica svolta in seno al cenacolo dell’A
’Accademia Galileiana, Atti del Convegno storico per il IV centenario della fondazione (1599-1999), Padova, 11-12 aprile 2000
el difendere una oncezione di poesia volta all’utile. Sulla rilevanza della nozione di «plaisir» nella formazione della criti
ll’utile. Sulla rilevanza della nozione di «plaisir» nella formazione della critica teatrale seicentesca in Francia si rimand
de la critique dramatique moderne au xviie  siècle», in Storiografia della critica francese nel Seicento, Bari-Paris, Adriat
t, 1957, pp. 38-39. [1.1.2] Calepio ripercorre le tappe fondamentali della formazione della tragedia italiana, inaugurata da
9. [1.1.2] Calepio ripercorre le tappe fondamentali della formazione della tragedia italiana, inaugurata dalla Sofonisba (15
i plasmati sul prototipo senecano, come quelli di Giraldi. Gli albori della tragedia francese sono invece legati alla nascita
i. Gli albori della tragedia francese sono invece legati alla nascita della scuola poetica classicistica della Pléiade, fonda
se sono invece legati alla nascita della scuola poetica classicistica della Pléiade, fondata da Pierre Ronsard attorno alla m
bro de La Pléiade e vicino a Ronsard; dopo di lui altri poeti, memori della lezione di Ronsard, tentarono di introdurre la po
iant (1558) di Jodelle. Calepio mette in luce la derivazione italiana della prima tragedia francese, sebbene tale filiazione
sse, 1840, p. 96). Calepio citava Jodelle e Ronzard tra i capostipiti della tragedia francese anche nella sua Apologia di Sof
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
427, 1962, pp. 392-423, pp. 401-402). Sulle origini e sugli sviluppi della tragedia cinquecentesca cfr. Ferdinando Neri, La
II, 7, 1980, pp. 96-113; Paola Mastrocola, L’idea del tragico: teorie della tragedia nel Cinquecento, Soveria Mannelli, Rubbe
iarelli, 2005; Marzia Pieri, «La tragedia in Italia», in Le rinascite della tragedia: origini classiche e tradizioni europee,
traducteurs, XXIX, 2, 1984, pp. 224-226. [1.1.3] Lo scarso successo della tragedia rinascimentale francese è dovuto, second
ncese è dovuto, secondo Calepio, non tanto alla pedissequa imitazione della tragedia greca, quanto alla scarsa perizia degli
gedia greca, quanto alla scarsa perizia degli autori e all’immaturità della letteratura francese. Nel Seicento tuttavia alcun
llaborazione col compositore di origine italiana Jean-Baptiste Lully, della tragédie en musique — riuscirono a conquistare il
apprezzate per la capacità di fondere armoniosamente la piacevolezza della musica alla gravità della tragedia, sapientemente
à di fondere armoniosamente la piacevolezza della musica alla gravità della tragedia, sapientemente stemperata grazie al rico
zie al ricorso ad un tono pastorale che ben supportava quell’estetica della galanteria che la corte di Luigi XIV e il pubblic
ille tentò di legittimare le proprie scelte drammaturgiche sulla base della Poetica aristotelica e dei suoi commenti cinquece
in Italia: L. A. Muratori, G. G. Orsi e P. J. Martello», La Rassegna della letteratura italiana, LXXVIII, 1-2, 1974, pp. 64-
e dei tragici classici francesi, Verona, Fiorini, 2009. Sulla pratica della traduzione teatrale come veicolo di scambio di id
di riscatto dell’ormai anziano autore francese, reduce dal fallimento della tragedia Pertharite, incentrata sulla storia dell
uce dal fallimento della tragedia Pertharite, incentrata sulla storia della regina longobarda Rodelinde vessata dall’usurpato
smuovere negli spettatori — era perfettamente coerente con i dettami della Poetica. La drammaturgia di Corneille aveva subit
oris, «La “querelle du Cid”, o lo scandalo del vero», in Storiografia della critica francese nel Seicento, Bari-Paris, Adriat
limard, 1951, pp. 103-105). Maître Tafignon, semisconosciuto avvocato della Borgogna, aveva tentato di capovolgere il giudizi
emazia di Corneille sempre a partire da una concezione etica del fine della letteratura: «On remporte des pièces de l’un [Cor
des Universités de Rouen et du Havre, 2012, pp. 387-400. Per i testi della Querelle du Cid, cfr. La Querelle du Cid (1637-16
el quale l’autore, dopo aver illustrato con chiarezza le prescrizioni della Poetica circa la scelta del protagonista della tr
arezza le prescrizioni della Poetica circa la scelta del protagonista della tragedia in relazione al raggiungimento della cat
scelta del protagonista della tragedia in relazione al raggiungimento della catarsi («Pour nous faciliter les moyens de faire
ribilità del misfatto precedentemente compiuto, quanto per la lievità della colpa rappresentata nella pièce («Si nous le rega
si sulla reale entità del processo catartico descritto da Aristotele, della cui esistenza è portato a dubitare («Si la purgat
ns que demande Aristote», ivi, p. 145), affermando che l’introduzione della teoria della catarsi era dovuta alla volontà di p
e Aristote», ivi, p. 145), affermando che l’introduzione della teoria della catarsi era dovuta alla volontà di preservare l’u
teoria della catarsi era dovuta alla volontà di preservare l’utilità della tragedia — che Platone aveva messo in discussione
si rimanda all’ottimo intervento di Enrico Mattioda, «La discussione della colpa tragica nelle interpretazioni della Poetica
o Mattioda, «La discussione della colpa tragica nelle interpretazioni della Poetica di Aristotele tra XVI e XVIII secolo», Ho
esempio, il pubblico possa provare pietà per Antiochus, protagonista della Rodogune, figlio della perfida Cléopâtre e innamo
ossa provare pietà per Antiochus, protagonista della Rodogune, figlio della perfida Cléopâtre e innamorato della principessa
tagonista della Rodogune, figlio della perfida Cléopâtre e innamorato della principessa Rodogune che la madre gli impone di u
non tentare di sottrarre ricchezze od onori a terzi attraverso l’uso della forza (ivi, p. 147). Il soggetto di Edipo di per
il protagonista non riesce da solo a veicolare — e addita il modello della Rodogune —, oppure rinunciare ad una catarsi comp
ad una catarsi completa, insistendo soltanto su uno dei due elementi della formula aristotelica, come accade nel Polyeucte.
bitraria, guidata da un discrimine puramente spettacolare come quello della riuscita della rappresentazione teatrale. Sullo s
ta da un discrimine puramente spettacolare come quello della riuscita della rappresentazione teatrale. Sullo sviluppo di una
e théâtrale et unité de l’histoire de 1625 au “Cid”», in Storiografia della critica francese nel Seicento, Bari-Paris, Adriat
ges Couton, Paris, Gallimard, 1987, pp. 152-153) censura un passaggio della Poetica (1453b 38-39) in cui Aristotele negava la
dendo ad esempio l’Antigone di Sofocle, in cui Emone, venuto a sapere della morte di Antigone, fallisce il colpo che avrebbe
tite su un dato empirico che tende a voler giustificare la consonanza della propria drammaturgia con le regole aristoteliche
i del testo greco o addirittura negandone la validità. [1.1.9] Forte della citazione di alcuni brani dell’apologia corneilli
io nei confronti dei Discours, considerati il frutto dell’adeguamento della Poetica al teatro di Corneille, piuttosto che un
la Poetica al teatro di Corneille, piuttosto che un equilibrato esame della conformità delle tragedie del francese ai dettami
egli mette spesso in bocca ai propri personaggi. Al ridimensionamento della catarsi, controverso e «immaginario» strumento di
to della catarsi, controverso e «immaginario» strumento di purgazione della cultura pagana, corrispondeva il rilancio di una
.10] Calepio riporta il giudizio espresso da Dacier nella conclusione della sua prefazione alla Poetica, dove il francese, ri
e alla Poetica, dove il francese, ripercorrendo le tappe fondamentali della storia della poesia tragica, ammette: «Après la m
a, dove il francese, ripercorrendo le tappe fondamentali della storia della poesia tragica, ammette: «Après la mort d’Alexand
p. xix). [1.1.11] L’accenno di Calepio va in questo caso ai prodromi della filosofia cartesiana, ben radicata in tutto il mo
e da Calepio nel Paragone, si presentava come un esame dei fondamenti della poesia epica, condotto in margine alla riflession
sca del concetto di «moderno», chiaramente dipendente dalla ricezione della filosofia cartesiana ed in particolare dello scet
suo parere, l’atteggiamento che molti autori avevano tenuto nel corso della famosa Querelle des Anciens et des Modernes, prot
quanto la letteratura e le arti. Uno dei momenti di maggiore attrito della Querelle va individuata nella ben nota questione
’Iliade proposta nel 1699 da Madame Dacier — agli strenui sostenitori della supremazia di Omero e della poesia classica — que
Madame Dacier — agli strenui sostenitori della supremazia di Omero e della poesia classica — questo partito annoverava, oltr
Du Bos. Probabilmente Calepio allude proprio a questo tardo prodromo della polemica (1714-1716), di certo il più acceso, qua
lle autorità dei classici soltanto quando si accordino con i principi della ragione. Quando nel 1738 sarà pubblicato l’Esame
manifestato di apprezzare gli Antichi Poeti senza rinunciare all’uso della ragione, che ci fa conoscere sì li falli loro, ch
alla Poesia Tragica si potevano aggiungere» (Pietro Calepio, Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
vedano almeno Eugenio Garin, «Cartesio e l’Italia», Giornale critico della filosofia italiana, IV, 1950, pp. 385-405, e Maur
ica tragica di Calepio, ossia quella catarsi che garantisce l’utilità della poesia e giustifica retrospettivamente la discuss
ettivamente la discussione avviata nella sezione precedente. Il luogo della Poetica citato in apertura da Calepio è il celebe
epio è il celeberrimo 1449b 27, nel quale Aristotele descrive il fine della tragedia, la quale «per mezzo della pietà e del t
quale Aristotele descrive il fine della tragedia, la quale «per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la p
arsi di tutte le passioni» — scorgendo nella definizione aristotelica della tragedia un afflato prioritariamente morale —, pi
oetica oraziana, e proficuamente rilanciata, fra l’altro, all’interno della visione neostoica seicentesca, rappresentata in p
548], rist. anast., München, Fink, 1968, p. 52) attestava la capacità della tragedia di purificare gli spettatori dai sentime
niesi, rendendoli più forti nell’affrontare le calamità che nel corso della vita si sarebbero loro presentate. Vincenzo Maggi
va a liberare l’animo dai tre vizi capitali dell’ira, dell’avarizia e della lussuria» (Elisabetta Selmi, «Maggi, Vincenzo», i
a da diversi letterati: Alessandro Piccolomini insiste sulla capacità della tragedia di temperare le passioni garantendo all’
rlo da questi affetti», Alessandro Piccolomini, Annotationi nel libro della Poetica d’Aristotele, Venezia, Guarisco, 1575, p.
arini sottolinea l’estraneità alla morale cristiana di una concezione della tragedia come liberazione dalla santa virtù della
a di una concezione della tragedia come liberazione dalla santa virtù della pietà («Tutto quello che in ciò fa dubbi di non l
punit. L’uno, per qual ragione voglia Aristotile che l’huom si privi della compassione, che è cosa, come dice il Boccaccio,
ore s’habbia a purgar come affetto disordinato, che corrompe la virtù della fortezza, ha molto del ragionevole, o per dir meg
olto del ragionevole, o per dir meglio, del necessario. Ma spogliarsi della pietà chi può farlo, senza spogliarsi dell’humani
iero, e scandaloso spettacolo abborrita», Battista Guarini, Compendio della poesia tragicomica, in Id., Opere, III, Verona, T
la commiserazione con le tragiche viste, avendo i precetti santissimi della nostra religione, che ce l’insegna con la parola
izioni dell’Orso, 2007, pp. 32-39); Angelo Ingegneri nella Prefazione della sua Tomiri affermava che la tragedia doveva funge
ontinenza» (cfr. su questo punto Roberto Puggioni, «Sulla dedicatoria della “Tomiri” (1607) di Angelo Ingegneri», in La lette
e Franco Tomasi, Roma, Adi editore, 2014). Molto minore è la fortuna della lettura robortelliana, che pure viene ripresa, se
all’Accademia degli Alterati, attesta, attingendo anche dalla storia della medicina classica, che «per mezzo de’ medicamenti
gare gli «affetti disordinati» («La tragedia per mezzo del terrore, e della pietà solleva lo spettatore da queste stesse pass
queste stesse passioni, facendo ch’ei si scarichi sovra oggetti finti della tristezza che lo divora. Nella maniera che una mu
fronto con la posizione del Maffei si veda Paolo Scotton, «La poetica della Merope nella Drammaturgia Amburghese di Lessing.
nti dell’arte poetica, valorizzava al contrario non tanto la capacità della tragedia di assuefare il pubblico alla pietà e al
acendosi alla Politica piuttosto che alla Poetica, l’ufficio curativo della musica, capace di agire negli spettatori come una
anni (su questo mi permetto di rimandare al mio «L’“irragionevolezza” della Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
it., pp. 215-234), inaugurando un’interpretazione propriamente medica della catarsi che avrà successo soprattutto nell’Ottoce
nell’Ottocento. Sulla nozione aristotelica di catarsi e sulla fortuna della Poetica nel Cinquecento cfr. Enrico Flores, «La c
e proprietà necessarie al protagonista ideale per raggiungere il fine della tragedia (1542b 34-1543a 11), ritraendolo come un
a 11), ritraendolo come un personaggio mezzano, lontano dagli estremi della bontà eccessiva («non si debbono mostrare uomini
enuti uomini illustri che cadono in disGrazia non a causa del vizio o della consuetudine malvagia, ma in virtù di qualche err
rneille riportava, nell’Examen sur Polyeucte, tragedia caratterizzata della messa in scena della figura del martire, un elenc
ll’Examen sur Polyeucte, tragedia caratterizzata della messa in scena della figura del martire, un elenco di autorità che ave
il De poeta di Minturno, nel quale un capitolo affrontava il problema della rappresentabilità di Gesù Cristo e dei martiri ne
ento da Aristotele operato da Corneille dovrà scorgersi la cognizione della profonda diversità del teatro greco da quello cri
anto nella misura in cui le loro regole erano suffragate dal consenso della ragione. Sarà infine da registrare anche il conse
nsistente numero di fogli di appunti conservati nell’Archivio Calepio della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo. In quest
tro Calepio, «Giunte postume attinenti al Paragone», in Id., Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
d.). Questa affermazione rieccheggia quella, fondamentale nel computo della poetica proposta da Calepio, già espressa in Para
cui commento si rimanda per ulteriori approfondimenti. Sulle origini della discussione in merito alla rappresentazione tragi
gli non comprendeva l’esemplarità di Edipo e Tieste come protagonisti della perfetta tragedia, in quanto i due non parevano c
a suscitare la purgazione delle passioni di cui parla Aristotele — e della cui effettiva consistenza, va ricordato, Corneill
amente virtuosi, e la loro probità vacilla soltanto a causa del fuoco della passione che li investe: è la loro debolezza, tan
In ambito italiano considerazioni simili si ritrovano nella Bellezza della volgar poesia di Crescimbeni, nella quale l’idea
do quel che a me ne pare, diversamente dee giudicarsi, perché il fine della Tragedia non è, né può essere, l’assuefar gli uom
ria. Quello, che veramente può per mio avviso, e debbe essere il fine della Tragedia de’ nostri tempi, si è l’assuefarci ad o
Tragedia de’ nostri tempi, si è l’assuefarci ad operar bene col mezzo della vista de’ gastighi a’ quali soggiacciono anche i
e a non temere, essendo innocenti, d’esser mai condannati, col mezzo della considerazione del favore, e della difesa, che al
d’esser mai condannati, col mezzo della considerazione del favore, e della difesa, che all’innocenza viene dal Cielo. E perc
fine, che è l’istesso, che dire, col riconoscimento dell’ingiustizia della pena, dovrà sempre giudicarsi migliore; perché ol
o dirette le moderne Tragedie» (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 157). [
ine giuridico costituito, perderebbe la stima del padre, dei nobili e della stessa Chimène, qualificandosi ai loro occhi come
’amore di Chimène, quanto piuttosto sul dissidio tra il perseguimento della vocazione eroica e la volontà di rimanere «uomo d
Secondo l’autore del Paragone quindi il Cid, concepito come tragedia della vendetta e non dell’amore frustrato — l’unico pro
azione, indotto probabilmente dal Castelvetro. Nel passo in questione della Poetica (1453a 9-10) Aristotele prescriveva che l
veva che l’eroe tragico non fosse colui che cade in disGrazia a causa della malvagità (κακίαν) e del vizio abituale (μοχθηρία
a a causa di qualche errore (ἁμαρτίαν), come accadeva al protagonista della tragedia sofoclea. I commenti cinquecenteschi, da
co del suo stesso Rodrigue del Cid quando afferma che il protagonista della tragedia sofoclea non si macchia di una vera e pr
l drammaturgo francese introduce un intrigo amoroso che sposta l’asse della tragedia, allontanandolo dallo scottante tema del
che sposta l’asse della tragedia, allontanandolo dallo scottante tema della predestinazione che avrebbe potuto far paventare
Scipione Maffei (su questo punto rimando al mio «L’“irragionevolezza” della Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
prattutto dalla ἀτύχημα, colpa predestinata dal fato: «L’eliminazione della colpa destinata dal fato dall’interpretazione del
: «L’eliminazione della colpa destinata dal fato dall’interpretazione della tragedia greca, e la sua sostituzione con l’error
del genere tragico nel mondo cristiano, o almeno in quello cattolico della controriforma» (Enrico Mattioda, «La discussione
o Mattioda, «La discussione sulla colpa tragica nelle interpretazioni della Poetica di Aristotele tra XVI e XVIII secolo», Ho
e nella teoria tragica settecentesca si veda in generale: Id., Teorie della tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, pp
deva l’Edipo Re dagli attacchi di Voltaire, non accennava al problema della colpevolezza di Edipo né alla mediocrità del suo
lla mediocrità del suo carattere, soffermandosi piuttosto sui difetti della traduzione francese del testo sofocleo e sull’imp
eo e sull’improprietà delle critiche voltairiane alla verosimiglianza della tragedia. Ciò peraltro dimostra che l’attenzione
a modello dal filosofo greco per esemplificare il personaggio ideale della tragedia sarebbero, secondo Calepio, coerenti con
o Settecento da Dacier e dal Maffei (Paragone I, 1, [5]). Il problema della colpevolezza di Edipo costituisce d’altra parte u
tinato ad essere messo alacremente in discussione nel clima culturale della Controriforma: se già il Tasso, nel passaggio dai
a dunque, che la rappresentazione delle Tragedie cagioni abborrimento della vita tirannica, se i soggetti da lei prodotti non
mani, 1738, p. 312). L’autore del Pastor Fido, rigettando l’archetipo della “mezza colpevolezza” di Edipo apre di fatto la st
l’innocente sciagurato, il martire figura Christi, che sarà alla base della tragedia gesuitica seicentesca e del dramma corne
’innocenza di Edipo, scorgendo nella tragedia di Sofocle «il ritratto della necessità fatale» che portava ad incorrere nel da
e Gorini Corio si dice a sua volta convinto dell’innocenza di Edipo e della sua incapacità di suggestionare il pubblico moder
tta Selmi, Palermo, Aesthetica, 1998, pp. 117-118. Anche sul versante della drammaturgia francese prevale la concezione di un
ll’errore, Calepio prende in esame la giustificazione che dava Dacier della colpevolezza di Edipo. Il grecista francese nel s
es, Paris, Fournier-Coustelier, 1715, t. I, p. 175). La contestazione della validità delle letture di coloro che vedevano in
te punito, e il tentativo di bilanciare virtù e vizi del protagonista della tragedia sofoclea sono funzionali, per Calepio, a
la presenza nelle tragedie greche di protagonisti conformi ai dettami della Poetica. Fra le tragedie di Eschilo, ritenute gen
Poetica. Fra le tragedie di Eschilo, ritenute generalmente rispettose della norma aristotelica, il Prometeo incatenato, i Per
rto viene aspramente punito, provocando nel pubblico anche il terrore della crudele punizione. L’appunto che Calepio muove al
e fin dalla prima scena — per quanto il racconto iniziale dell’incubo della regina carichi già dall’esordio l’atmosfera di pr
nidi; questi, tormentato dalle Erinni dopo aver compiuto l’assassinio della madre commissionatogli da Apollo, risulta agli oc
do piuttosto agire nelle trame di Eschilo il concetto di ereditarietà della colpa che di fatto è alla base del ciclo tebano.
temente da Francesco Saverio Quadrio, il quale nel suo Della storia e della ragione d’ogni poesia, a partire dal principio ch
Eumenidi, nella quale è rappresentato Oreste punito, perché uccisore della madre Clitemnestra, e di Egisto; ma nondimeno di
morte del padre, e per l’altre miserie, a cui soggiaceva, per cagion della madre stessa. Tale è quella de’ Persiani, in cui
ifettuosa per altri capi» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia, e della ragione di ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli
Creusa potrebbe essere considerata un personaggio mediocre all’inizio della vicenda, quando, ingravidata suo malgrado da Apol
terrore, in quanto egli si mostra troppo vanagloriosamente orgoglioso della propria virginità, tanto da suscitare le ire di V
accetta la proposta di matrimonio che le rivolge Pirro verso la fine della vicenda, macchiandosi della colpa che Calepio att
imonio che le rivolge Pirro verso la fine della vicenda, macchiandosi della colpa che Calepio attribuisce al personaggio euri
a Rinovazione dell’antica Tragedia da Tarquinio Galluzzi, sostenitore della tragedia del martire cristiano e difensore di Ber
onanza con i dettami aristotelici, o per lo meno al rispetto del fine della tragedia statuito nella Poetica: secondo Michelan
i altri a generare compassione e timore e dovevano quindi, sulla base della stessa opera di Aristotele, essere considerati i
l protagonista richiesta» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia, e della ragione di ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli
li, II, 2, 2004, pp. 184-259. [1.2.11] A partire dalla pubblicazione della Phèdre di Racine si profilano immediatamente dei
ento di questo scritto non era certo quello di «accrescere la gloria» della Fedra moderna — di aver contaminato l’innocenza d
tteraria. Il bergamasco sottolinea in questo caso la causa originaria della punizione attribuita da Venere a Ippolito, scosta
ollin fils, 1730, pp. 383-390), propenso a riconoscere la superiorità della Phèdre di Racine, ottenuta grazie alle due innova
[1.2.12] In apertura di capo Calepio specificava che il protagonista della tragedia doveva generalmente essere una «persona
sur l’Iliade d’Homere, cit. t. II, p. 196). Calepio è invece convinto della mediocrità del personaggio di Antigone, troppo ri
raduzione di entrambe le pièces, i prototipi perfetti rispettivamente della tragedia semplice e di quella doppia. Nella Préfa
agi, questi ultimi erano comunque destinati ad incontrare la vendetta della giustizia divina ([André Dacier], L’Œdipe et l’El
d et Rollin fils, 1730, pp. 195-196). Nel dibattito sulla concessione della preferenza all’Edipo oppure all’Elettra si intrav
que d’Aristote…, Paris, Barbin, 1692, p. 190). Sulla fortuna italiana della tragedia sofoclea in epoca moderna si rimanda al
ofonisba di Trissino, definita da Voltaire la prima tragedia regolare della modernità. Il soggetto, tratto da Livio, è impern
a modernità. Il soggetto, tratto da Livio, è imperniato sulla vicenda della principessa cartaginese figlia di Asdrubale, conc
gnarla nelle mani degli acerrimi rivali, per non subire l’umiliazione della schiavitù. Massinissa, segretamente innamorato de
re l’umiliazione della schiavitù. Massinissa, segretamente innamorato della donna, acconsente alla richiesta e decide di spos
si darà la morte. Calepio in poche righe riassume il nucleo centrale della vicenda, individuando in Sofonisba il prototipo d
Lo stesso Trissino, d’altra parte, ne La quinta e la sesta divisione della Poetica, proponeva una lettura molto ortodossa de
ne della Poetica, proponeva una lettura molto ortodossa del passaggio della Poetica di Aristotele riguardante il fine catarti
l passaggio della Poetica di Aristotele riguardante il fine catartico della tragedia: «Essa Tragedia non per enuntiatione, ma
perturbationi» (Gian Giorgio Trissino, La quinta e la sesta divisione della Poetica del Trissino, Venezia, Arrivabene, 1563,
liane, benché venga spesso meno la riflessione in merito alla qualità della protagonista. Ci si limita generalmente a citare
redi di Filippo Asinari, Conte di Camerano, tra le prove più riuscite della drammaturgia patria (Battista Guarini, Il Verrato
Nella storiografia settecentesca non si manca di riconoscere la bontà della tragedia del Trissino, anche se talora se ne pale
rte e al Corradino del Caracci (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 124). Gr
, nell’Histoire du théâtre italien, loda l’espressione e la peripezia della Sofonisba, considerandola addirittura perfetta, b
e, secondo una riproposizione moderna — e dal finale più truculento —  della storia di Antigone. La sua avventatezza è sicuram
trorum temporum, notava una manifesta ripresa, da parte del Rucellai, della favola dell’Ecuba di Euripide («Fuit et praeclari
he invece per Rosmonda è cagionata proprio dall’eccessiva temerarietà della ragazza. Pur considerandola probabilmente meno pe
ta si vede ancora una volta giustamente punito a causa dell’uccisione della madre adultera e del di lei amante, secondo uno s
stito ricorso al protagonista mezzano, imprescindibile elemento tanto della teoria che della pratica scenica del letterato fe
protagonista mezzano, imprescindibile elemento tanto della teoria che della pratica scenica del letterato ferrarese. Nel suo
Altile, dove la protagonista si macchia, come nel caso dell’Orbecche, della colpa di aver sposato segretamente il proprio ama
rrino, e gli Antivalomeni, in cui i figli di Nicio scontano il prezzo della malvagità del padre, il quale aveva tradito la fi
eva determinato la salvezza di Roma, si scontra con l’ostinato dolore della sorella Celia, segretamente innamorata di uno deg
etamente innamorata di uno degli avversari. Frustrato dall’afflizione della sorella, egli decide di ucciderla, causando le ir
Gismonda di Girolamo Razzi, rivisitazione drammaturgica molto fedele della novella boccaciana di Tancredi e Ghismunda (IV, 1
fuori del matrimonio. Per l’Elisa del messinese Fabio Closio la colpa della protagonista è invece ancora una volta l’aver con
. Calepio si mostra disposto a riconoscere la maggiore spettacolarità della Merope, adatta ad essere rappresentata con grande
insiste sul soggetto prescelto da Razzi. La panoramica sui personaggi della tragedia cinque-seicentesca prosegue con il Nino
i della tragedia cinque-seicentesca prosegue con il Nino protagonista della Semiramide di Muzio Manfredi e colpevole di un in
ario, e con le ingenue Trasilla e Pirindra, ossia Le gemelle capovane della tragedia di soggetto punico di Ansaldo Cebà, entr
sto che all’Oreste, così come ritiene il Tancredi di Torelli migliore della Merope. I due concordano invece, oltre che sulla
occombere per mano achea, soggetto dunque poco compatibile con l’idea della mediocrità del protagonista — e alla Cleopatra di
eva, come dimostrano successivi passaggi del Paragone, anche in virtù della notevole fortuna della tradizione manoscritta di
ccessivi passaggi del Paragone, anche in virtù della notevole fortuna della tradizione manoscritta di questi testi. Sarà inte
onosciuto già dal Maffei prima che da Calepio, ossia il sesto dialogo della Bellezza della volgar poesia di Crescimbeni, che
al Maffei prima che da Calepio, ossia il sesto dialogo della Bellezza della volgar poesia di Crescimbeni, che affastella ques
Decio e Corradino di Caraccio (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 124). Co
a di Venier e l’Elisa del Closio (Giovan Mario Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, in Id., Dell’istoria della volgar
ario Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, in Id., Dell’istoria della volgar poesia, vol. I, Venezia, Basegio, 1731, pp
-185. Sulla Cleopatra del Delfino si veda Laura Drogheo, «Le varianti della Cleopatra di Giovanni Delfino», in La letteratura
taurare i fasti dell’antica Grecia, recuperando alcuni stilemi tipici della drammaturgia classica, a partire dall’introduzion
colare un contrasto insanabile fra la riproduzione di elementi logori della tragedia greca, che sfiguravano sulla scena moder
osservanza di poco perspicue norme aristoteliche (di qui la condanna della Tragedia, prosopopea parlante nel prologo, contro
re di Roma viene ucciso dal perfido e tirannico Tarquinio con l’aiuto della crudele Tullia, figlia degenere di Servio e Tarqu
di destare pietà e terrore (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
stato a sua volta traduttore di tragedie francesi e membro rilevante della cerchia felsinea-modenese che si era adoperata al
o di un doppio movimento: da una parte il Martello sentiva il fascino della figura del martire, mostrandosi propenso a raccon
il quale pecca per uno scusabile eccesso di foga e di coraggio tipico della gioventù. Sul Procolo si veda il contributo di Il
accio, tragedia considerata a più riprese da Crescimbeni il prototipo della rinnovata e purgata drammaturgia moderna (Giovan
e purgata drammaturgia moderna (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 2; Id.,
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria della volgar poesia, vol. I, Roma, De’ Rossi, 1702, p. 
lla natura del personaggio, cfr. Enrico Zucchi, «L’“irragionevolezza” della Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
tenario (1713-2013), Milano, Mimesis, 2015, pp. 215-234). L’intreccio della tragedia del Lazzarini consta di una fedele ripro
de il proprio figlio e giace con la figlia senza riconoscerli — prima della cupa agnizione finale — per scontare una colpa de
qui la sua risoluzione, nettamente in contrasto con quella del Maffei della Confutazione della critica ultimamente stampata c
one, nettamente in contrasto con quella del Maffei della Confutazione della critica ultimamente stampata con il titolo di Oss
ese del Sig. Freret, e la Inglese del Sig. Ayre, con una Confutazione della Critica ultimamente stampata, Verona, Ramanzini,
bolognese GiamPietro Zanotti ripropone fedelmente i tormenti amorosi della regina virgiliana, come già avveniva per la trage
ammiratore del Maffei, incentrata sulla storia di Achille, innamorato della troiana Polissena — e quindi per metà colpevole,
quindi per metà colpevole, in quanto amante di una nemica —, a causa della quale cade ingenuamente in una trappola che lo po
nche su pièces recentissime, in quanto il suo interesse nei confronti della drammaturgia non è tanto di natura archeologica,
lepio nella lettera inviata al veronese in seguito alla pubblicazione della recensione del Paragone sulle Osservazioni letter
wé, «La risposta del Calepio alle riflessioni del Maffei sul Paragone della tragica poesia», La Rassegna della letteratura it
iflessioni del Maffei sul Paragone della tragica poesia», La Rassegna della letteratura italiana, LXXVI, 1, 1972, pp. 53-70)
enza di Calepio, Sebastiano Paoli, promotore dell’edizione napoletana della Merope del 1719, sottolineava proprio l’ortodossi
, e piacere», Sebastiano Paoli, «Ragionamento del P. Sebastiano Pauli della Congregazione della Madre di Dio sopra la Merope,
iano Paoli, «Ragionamento del P. Sebastiano Pauli della Congregazione della Madre di Dio sopra la Merope, altre volte stampat
ri, e ’l Caracci; così resto io solo da lui riprovato, come scrittore della più debile e imperfetta tragedia, non facendo egl
scrittori di cose poetiche, e in particolare dell’Autore del Paragone della Poesia Tragica d’Italia con quella di Francia, Pa
useppe Salìo nel libro intitolato “Esame Critico…”», in Id., Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
essenziale dall’autore per conseguire pietà e terrore, vero obiettivo della composizione tragica. Riprendendo i ragionamenti
te rifiutato, ma questa è ben poca cosa, se confrontata all’obiettivo della tragedia basata sulla catarsi che propone Calepio
iungimento finale degli amanti compromette definitivamente la portata della purgazione, come già il bergamasco aveva sostenut
alepio sono in gioco prospettive differenti, dovute ad una concezione della tragedia affatto diversa: entrambi individuano ne
d unico destinatario dell’opera teatrale, ma se il bergamasco si cura della sua maturazione etica, al Francese interessa prin
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche della tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
ssia Placide, figlio del governatore d’Antiochia Valens, e innamorato della vergine cristiana Théodore, la quale gli preferis
ene eseguito senza alcuna pietà da Marcelle, moglie di Valens e madre della tradita Flavie. Placide riveste ancora una volta
éodore, V, 9, vv. 1867-1874). Peraltro Calepio non è neppure convinto della bontà della scena finale, in cui la morte di Plac
, vv. 1867-1874). Peraltro Calepio non è neppure convinto della bontà della scena finale, in cui la morte di Placide intervie
davvero patetica. Una certa improprietà nello sviluppo dei caratteri della tragedia corneilliana era stata notata anche da P
ne I, 3, [3]). Tuttavia la versione di Corneille trascura lo sviluppo della vicenda interiore di Orazio, insistendo invece su
e amante di Curiazio. Proprio in virtù di questo diverso trattamento della fabula i primi atti, nei quali si rappresentano i
spazio drammaturgico che appariva troppo capace per potersi appagare della sola esigua favola greca (cfr. Georges Forestier,
avola diversa da quella di Edipo, utile a dilatare l’effetto patetico della storia (Marc Escola et Bénédicte Louvat, «Le stat
e politica: Hélène Bilis ha affermato infatti, a partire dall’analisi della retorica di Dircé e di Œdipe, che Dircé rappresen
iècle, Paris, H. Champion, 2009. Rispettivamente al sostrato politico della vicenda di Edipo è d’obbligo il rimando a Christi
iano, dove Sofonisba, pur rimanendo desiderosa di salvare l’autonomia della propria patria, appariva turbata dai sensi di col
orneille sono ritenute da Calepio ancor più difettose sotto l’aspetto della qualità del protagonista e della capacità di dest
ancor più difettose sotto l’aspetto della qualità del protagonista e della capacità di destare pietà e terrore. Corneille av
io chiama in causa in questo frangente, indicandola come il manifesto della tragedia politica corneilliana, il drammaturgo av
nte venga apprezzato più del predecessore in quanto, anziché dubitare della portata reale della catarsi, si sforza a riflette
più del predecessore in quanto, anziché dubitare della portata reale della catarsi, si sforza a riflettere sul meccanismo de
la portata reale della catarsi, si sforza a riflettere sul meccanismo della purgazione per quanto in maniera del tutto tradiz
erendosi alla Phèdre e al Britannicus. La Phèdre, incentrata sul tema della sconvolgente passione di Fedra per il figlioccio
all’Horace e alla Sophonisbe di Corneille. La straordinaria bellezza della tragedia raciniana in questione era stata già avv
primo fra tutti quel Nicolas Boileau che aveva lodato la costruzione della sventurata protagonista, «malgré soy perfide, inc
ele — come un cattivo in potenza, nel quale già si mostravano i segni della futura pazzia, piuttosto che come un tiranno malv
criticato la costruzione del Britannicus, considerato non all’altezza della Phèdre, dal momento che in essa Britannico non si
hinazioni di Agrippina gli avevano sottratto; inoltre il protagonista della tragedia raciniana potrebbe essere catalogato com
gedie di Racine risultano, secondo Calepio, molto difettose sul piano della qualità dei protagonisti. L’Iphigénie, giudicata
Artemide, Racine arriva allo stesso fine facendo sacrificare al posto della figlia di Agamennone proprio Ériphile, la quale,
Teseo ed Elena originariamente chiamata Ifigenia. Oltre alla mancanza della catastrofe finale, viene rimproverata alla traged
così spinoso soltanto in virtù dell’introduzione di questa Ériphile, della quale Pausania dava notizia, grazie alla quale av
truzione dei personaggi di Racine in rapporto alla norma aristotelica della virtù mezzana si veda Olivier Pot, «Racine: théât
del protagonista, come invece accade in altre Préfaces (sui paratesti della tragedia si rimanda a Jean Racine, Préface de 167
aque che veniva reputata da Racine una tragedia fedelmente rispettosa della qualità mediocre del protagonista, come egli most
re decidesse di non innamorarsi per paura di incorrere nella sventura della protagonista. Al fondo di questa osservazione si
e Mithridate, benché sia innamorata di suo figlio Xiphares. Nel corso della tragedia Mithridate non appare all’autore abbasta
e non appare all’autore abbastanza pietoso nei confronti del figlio e della donna — di cui conosce il recondito innamoramento
masco acconsente con la difesa svolta da Racine nella seconda Préface della tragedia, ritenendo l’amore del protagonista plau
e Eliacin, figlio del re Joad, contro cui si scaglia la terribile ira della malvagia Athalie. Per quanto la tragedia sia appr
r quanto la tragedia sia apprezzabile in quanto è incentrata sul tema della fede in Dio, essa non è atta a generare pietà e t
tro Calepio, «Giunte postume attinenti al Paragone», in Id., Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
rsi convertita al cristianesimo, ma visto l’avvicinamento progressivo della protagonista alla religione del vero padre, il cr
sta alla religione del vero padre, il cristiano Lusignan, l’uccisione della ragazza da parte del geloso sultano Orosmane appa
ano Orosmane appare a Calepio una punizione eccessiva che fa dubitare della provvidenza: «La morte, che poi succede senza che
re per gastigo dovuto alla sua reità» (ibid.). «Alieno dal vero scopo della tragedia» sarebbe anche il Caton d’Utique di Desc
do, che rappresentando Cesare come un tiranno appaga, con la riuscita della congiura finale, il gusto del pubblico di vedere
ndamentale per produrre pietà e terrore nello spettatore, fine ultimo della tragedia, la tragedia italiana risulta meglio str
uella francese in rapporto al raggiungimento dell’«utile» più proprio della composizione tragica. Il bergamasco, tuttavia, si
rare parziale, che i Francesi, benché meno regolari nella costruzione della favola, riescono a creare personaggi più abili a
ione nel pubblico contemporaneo, sebbene spesso pecchino nel rispetto della storia proprio per produrre più efficacemente la
uratori e di altri sodali come l’Orsi, i quali rivendicano la libertà della poesia rispetto alla storia («Secondo il sistema
ano la libertà della poesia rispetto alla storia («Secondo il sistema della Natura umana, non può dilettarsi l’Intelletto nos
ci di Corneille, una comune concezione di storia e poesia all’insegna della rappresentazione delle passioni, come si vede neg
raltro, sia in Francia che in Italia, lettori che misuravano la bontà della tragedia sulla base del rispetto della storia: co
ettori che misuravano la bontà della tragedia sulla base del rispetto della storia: contro questi Racine interviene spesso ne
icento e Settecento si veda: Beatrice Alfonzetti, Congiure: dal poeta della botte all’eloquente giacobino (1701-1801), Roma,
n poema epico, in quanto desterebbe di certo l’ammirazione, vero fine della composizione eroica, ma nella tragedia non riesce
poggiarsi su solide basi storiche che garantiscano la verosimiglianza della favola e facciano sì che lo spettatore creda plau
gico, che aveva rivissuto nel Settecento, risolvendosi a tutto favore della storia, quanto piuttosto, se non si fraintende, a
ne, nonché per la qualità dei protagonisti —, reclamasse pari dignità della tragedia, alla quale era ritenuta superiore dal p
i un rilancio ideologico oltre che poetico, corona questa aspirazione della pastorale, ritenuta proprio dal Custode una trage
proprio dal Custode una tragedia a tutti gli effetti. Nella Bellezza della volgar poesia egli canonizza il suo Elvio (1694),
gar poesia egli canonizza il suo Elvio (1694), facendone il prototipo della tragedia moderna in virtù dello stile alto, capac
ace di trattare in modo “eroico” il sentimento amoroso, e soprattutto della struttura classicheggiante (prologo, cinque atti,
atti, cori in fine di ogni atto) che legittimava il salto di qualità della pastorale anche da un punto di vista esteriore (G
da un punto di vista esteriore (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 78-103)
oltre al Crescimbeni, andrà ricordato almeno una figura fondamentale della Roma tardo-seicentesca come il Cardinal Pietro Ot
tonio Conti in margine al suo Cesare, quando ammetteva che il diletto della poesia derivava esclusivamente dall’imitazione de
pria bellezza, e ne gode. Ora, se comparando, non altro in un termine della comparazione ritrova, che il capriccio e l’immagi
p. 8). Simili ragioni, contornate da un’accesa polemica nei confronti della pastorale, e segnatamente del Pastor Fido, si pot
Bari, Laterza, 1973, pp. 510-514). Sull’aspirazione tragica ed eroica della pastorale arcadica cfr. Enrico Zucchi, «Eroi past
pastorale arcadica cfr. Enrico Zucchi, «Eroi pastori: forme e storia della pastorale eroica da Crescimbeni a Metastasio», in
tà cfr. Giuseppe Coluccia, L’Elvio di G. M. Crescimbeni: alle origini della poetica arcadica, Roma, IBN, 1994; nonché il cont
i (Annalisa Nacinovich, «L’Elvio di Crescimbeni: le origini pastorali della prima polemica arcadica», in La tradizione della
le origini pastorali della prima polemica arcadica», in La tradizione della favola pastorale in Italia: modelli e percorsi, a
o, Bologna, Clueb, 2013, pp. 477-492). [1.4.19] Agatone era l’autore della perduta tragedia Il fiore, lodata da Aristotele (
rspicua dei soggetti, nonché il mancato perseguimento del fine ultimo della tragedia, ossia destare timore e compassione, in
o di Corneille. Si passerà dunque a questo punto all’esame del valore della peripezia, ossia il rivolgimento dei fatti verso
Bulzoni, 2007, pp. 305-318) e di Torelli (Pomponio Torelli, Trattato della poesia lirica, in Trattati e Poetiche del Cinquec
. L’autore del Paragone si tiene qui lontano dalla concezione barocca della «meraviglia», risolta tutta a livello di elocutio
erizzazione del meraviglioso che si esplica sul piano dell’inventio e della dispositio: la meraviglia consiste nella buona es
tio e della dispositio: la meraviglia consiste nella buona esecuzione della peripezia, secondo una prospettiva che identifica
ella peripezia, secondo una prospettiva che identifica il dilettevole della letteratura nell’intreccio piuttosto che nell’orp
lie», Manziana, Vecchiarelli, 2007. Per quanto riguarda la situazione della tragedia e della tragicommedia tra diciassettesim
ecchiarelli, 2007. Per quanto riguarda la situazione della tragedia e della tragicommedia tra diciassettesimo e diciottesimo
eicento, Roma, Aracne, 1999. Sul concetto di «meraviglia» come motore della filosofia aristotelica e più generalmente della G
raviglia» come motore della filosofia aristotelica e più generalmente della Grecia antica si rimanda ad Enrico Berti, In prin
ad Enrico Berti, In principio era la meraviglia: le grandi questioni della filosofia antica, Bari, Laterza, 2007. [2.1.3] I
raviglioso si era appunto inserita all’interno del dibattito sul fine della letteratura, identificato talvolta nell’utile, ta
talaltra nel diletto. Il riferimento di Aristotele alla piacevolezza della «meraviglia» faceva propendere i letterati dell’e
gi Poma, Bari, Laterza, 1964, pp. 71-72). Crescimbeni, nella Bellezza della volgar poesia Crescimbeni, riprende il discorso t
corso tassiano, arrivando a sostenere che il poema eroico è, in virtù della meraviglia, il genere letterario maggiormente cap
nsieri generosi, e vestirgli l’animo di desideri nobili, e invaghirlo della perfezione; e questo è l’utile, che si ritrae dal
aggiore di ciascuna sua parte» (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 133-134
interpretazione diversa: a suo parere la ricerca dell’utile è propria della tragedia, mentre l’epica punta prevalentemente al
scrivevano Tasso e Crescimbeni quindi, per Calepio, il largo impiego della meraviglia è uno degli elementi che indirizza il
etico per il lettore. [2.1.4] Calepio rileva una meraviglia propria della tragedia, consistente appunto nella sorpresa piac
e appunto nella sorpresa piacevole offerta dallo sviluppo inaspettato della peripezia, e la distingue fermamente dal meravigl
rrazionale. I Francesi, anziché ricercare quella meraviglia esclusiva della tragedia, avrebbero a suo dire intrapreso una str
zione nel sistema delle passioni francese seicentesco e sulle ragioni della critica calepiana cfr. Enrico Zucchi, «Il “dilett
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche della tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
e compassione e terrore. Questa diversione rispetto al fine autentico della tragedia implicherebbe secondo Calepio una deresp
lla tragedia implicherebbe secondo Calepio una deresponsabilizzazione della letteratura tragica e un conseguente traviamento
roica dell’inflessibile Sophonisbe corneilliana penalizzi la riuscita della tragedia, che non è in grado di conseguire pietà
roico in cui tuttavia non mancavano riflessioni sullo statuto poetico della tragedia: la prospettiva adottata da Terrasson, a
a di Calepio, porta l’autore a privilegiare una concezione sincretica della letteratura che tende a rendere assai labili, qua
el quale si riconosceva la meraviglia come propria più dell’epica che della tragedia (Poetica, 1460a 12-14), aveva preso il C
e fra poema eroico — legittimato, in quanto rappresentazione generale della vita umana, a contenere l’imitazione di «ogni aff
Ulisse. Il filosofo greco non mancava di sottolineare come la fortuna della tragedia doppia si dovesse alla debolezza del pub
non è il piacere che deriva dalla tragedia, piuttosto quello proprio della commedia: perché in quest’ultima anche quelli che
oponendo i medesimi argomenti, Calepio rivendica la proprietà tragica della favola semplice a conclusione infausta, mostrando
a conclusione infausta, mostrandosi riluttante a riconoscere la bontà della tragedia doppia, che storicamente si era affermat
a affermata, da una parte — come egli scriverà subito dopo — in virtù della lettura di Castelvetro; dall’altra grazie allo sp
irtù della lettura di Castelvetro; dall’altra grazie allo spostamento della tragedia verso il modello tragicomico che, come i
oppia e sull’inserimento del lieto fine (cfr. in proposito gli strali della ben nota polemica con il Nores su questo punto: B
a del Nores, in Id., Opere, t. III, cit., pp. 219-222). Nel Compendio della poesia tragicomica viene inoltre rilevata l’ambig
tragicomica viene inoltre rilevata l’ambigua ma sostanziale vicinanza della tragicommedia alla tragedia doppia: «Quanto poi a
delle parti, confesso, che nella doppia di Aristotile, non è il riso della favola Tragicomica; non concedo però, che così l’
n sia fatta di parti Tragiche e comiche», Battista Guarini, Compendio della poesia tragicomica, in Id., Opere, t. III, Verona
e, t. III, Verona, Tumermani, 1737, pp. 436-437). Sulla forma poetica della tragicommedia e sulle sue contaminazioni con la t
ll’ampia discussione in merito alla conclusione luttuosa oppure lieta della tragedia si veda il volume I finali: letteratura
erano state praticate da numerosi tragici antichi: le contraddizioni della forma tragica dell’antichità erano dovute al fatt
to che ancora non si era stabilita una norma precisa e rigorosa prima della trattazione aristotelica. [2.1.8] L’autore preci
, fonte di riferimento primario per Corneille nella sua contestazione della validità della catarsi, ammetteva un altro tipo d
rimento primario per Corneille nella sua contestazione della validità della catarsi, ammetteva un altro tipo di utilità pecul
validità della catarsi, ammetteva un altro tipo di utilità peculiare della tragedia, oltre a quella che consisteva nel desta
tre a quella che consisteva nel destare pietà e terrore; la tipologia della favola doppia si adatterebbe meglio alla cultura
lità, che è il procacciare solamente la purgatione dello spavento, et della compassione. Et non dimeno se la utilità si dee c
omani, Bari, Laterza, 1978, p. 361). [2.1.9] Calepio trova riscontri della sua interpretazione di un meraviglioso riferito a
interpretazione di un meraviglioso riferito alla risoluzione inattesa della peripezia nella tragedia italiana, ritenuta sotto
in una scena (IV, 6) assai celebrata dai contemporanei (sulla fortuna della Merope cfr. «Mai non mi diero i Dei senza un egua
ano, Mimesis, 2015). Articolo II. [2.2.1] Il secondo caposaldo della composizione tragica citato da Calepio è la ricon
annotés par Georges Couton, Paris, Gallimard, 1987, p. 154). Il nodo della disputa ruota attorno al Costantino (1653) di Gio
cò diversi punti dell’opera di Ghirardelli e in particolare la scelta della prosa. Ghirardelli si difese nell’edizione del ’5
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria della volgar poesia, vol. III, in Id., Dell’istoria del
alla sua Istoria della volgar poesia, vol. III, in Id., Dell’istoria della volgar poesia, vol. IV, Venezia, Basegio, 1730, p
lvator Rosa e una polemica letteraria del Seicento», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIV, 1957, pp. 570-585).
di una equivalente finzione: «Monsignor Pietro Cornelio (vero Alcide della Francia per l’eloquenza) che nell’anno presente c
Giovanni Filippo Ghirardelli, Il Costantino. Tragedia, con la difesa della medesima, Roma, Andreoli, 16602, p. 108. Corneill
rrerebbe tuttavia, secondo il francese, in uno dei più tipici difetti della tragedia italiana, preferendo la riconoscenza fin
i Corneille, a sostenere una poetica tragica che deroghi dal rispetto della verosimiglianza storica in favore di una maggiore
te alle censure dell’avversario, difendendo le potenzialità patetiche della riconoscenza: «Pietro Cornelio […] ne taccia, per
la perfetta Tragedia. Diciamo la ragione; perché consistendo la forza della Tragedia nel commuover gli affetti, qual più poss
tata compassionevole agnizione?», Giovan Mario Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, in Id., Dell’istoria della volgar
ario Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, in Id., Dell’istoria della volgar poesia, vol. I, cit., pp. 307-308 (cfr. su
are l’utilità dell’agnizione. Tanto Pier Jacopo Martello, sostenitore della necessità di introdurre nella tragedia un’agnizio
ura Sannia Nowé, Modena, Mucchi, 1988, p. 82), ribadivano la validità della riconoscenza per destare pietà e terrore. Proprio
i ucciderlo — così sostengono nei paratesti delle molteplici edizioni della tragedia letterati noti quali Giovan Gioseffo Ors
rsi e Sebastiano Paoli (cfr. a proposito il mio «L’“irragionevolezza” della Merope nelle Osservazioni di Domenico Lazzarini»,
onalità del riconoscimento, un segnale che tradiva la natura fittizia della rappresentazione e distoglieva lo spettatore dall
Maffei, pur imperfetta stilisticamente, a quella di Alfieri, in virtù della bellezza dell’agnizione contenuta nella tragedia
a: problemi di costruzione del racconto nei testi di teoria e critica della letteratura e di altre arti del primo Settecento,
aver luogo efficacemente anche qualora scaturisca nel momento stesso della catastrofe. Il drammaturgo francese considerava a
figliastro. Sulla natura “trasgressiva” rispetto ai canoni accademici della tragedia del Bonarelli, che tuttavia riuscì in br
ettesimo secolo, Roma, Bulzoni, 2008, pp. 103-106. Sul coinvolgimento della corte fiorentina nella vicenda editoriale del Sol
aniera si perda l’effetto catartico e stupefacente che la conclusione della tragedia dovrebbe contenere per riuscire a destar
o dire, di perdere progressivamente, nel corso del dramma, gran parte della loro efficacia, svuotando il quinto atto della su
del dramma, gran parte della loro efficacia, svuotando il quinto atto della sua peculiare importanza. [2.2.4] L’autore torna
mportanza. [2.2.4] L’autore torna ancora una volta sul nodo centrale della sua critica al teatro di Corneille, ossia che ess
teatro di Corneille, ossia che esso trascuri di produrre le passioni della tragedia, pietà e terrore, mettendo sulla scena d
incapace di tradire Augusto ma anche desideroso di conservare l’amore della fanciulla, alimenta nel pubblico non tanto un sen
la Poetica, opera non compita, di Aristotele, che per dare un esempio della Tragedia ravviluppata, e di evento più curioso, r
orneille viene reputata ammissibile, in quanto non guasta l’efficacia della catastrofe. Nella sua Merope, andrà ricordato, il
iera spettacolare una doppia agnizione che si saldava al rivolgimento della peripezia proprio all’interno di una favola doppi
ritenuta uno strumento indispensabile per raggiungere l’utile proprio della poesia tragica, e il fatto che venga trascurata e
o, si guarda al complesso delle passioni umane è connessa al recupero della forma-tragedia e alla riflessione sulla rappresen
non tanto generalmente l’emozione rappresentata — sarà Du Bos, erede della ricca tradizione speculativa francese, a legittim
be le accezioni del termine, come si è visto in precedenza, nel corso della requisitoria circa il sistema delle passioni che
li, Liguori, 1987; Enrico Mattioda, «Le passioni tragiche», in Teorie della tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, pp
cento, Modena, Mucchi, 1994, pp. 17-74; Silvia Contarini, “Il mistero della macchina sensibile”: teoria delle passioni da Des
osse capace di attirare la compassione nei confronti del protagonista della vicenda, Calepio ritiene che proprio su questo pu
le è un personaggio torvo; egli è risoluto a frustrare le aspettative della devota concubina Briseis, con cui pure ha lietame
cipi affatto diversi rispetto a quella di Corneille. Tra i personaggi della pièce italiana manca innanzitutto Briseide, mentr
ruolo decisamente importante, dal momento che influenza le decisioni della figlia. Polissena, infatti, in questa riscrittura
o la principessa troiana, novella Chimene, combattuta fra il rispetto della memoria del fratello, ucciso da Achille, e l’amor
in, Paris, PUPS, 2006, pp. 45-62: 48-49). [2.3.3] Un altro bersaglio della polemica di Calepio in merito all’incapacità dei
rima tragedia, Polixène (1686), insiste sempre sul medesimo argomento della tragedia di Thomas Corneille, ma con una variazio
i Thomas Corneille, ma con una variazione importante legata al finale della vicenda. Il de La Fosse, nel tentativo di addolci
le (1451a 36), in parte a Pierre Corneille, l’autore celebra la bontà della propria soluzione, capace di rendere più piacevol
to storico, quanto piuttosto la scarsa efficacia, sul piano patetico, della soluzione adottata: secondo il Bergamasco l’autor
no patetico, della soluzione adottata: secondo il Bergamasco l’autore della tragedia, rappresentando come involontario l’omic
spettare la legge. Sulla rappresentazione di Polissena come archetipo della magnanimità eroica, usuale nel teatro francese de
tion humaniste à la tragédie, Paris, L’Harmattan, 1999. Sulla Préface della Polyxène e sul contesto delle Polissene francesi
uinto atto, la nutrice di Polissena palesa a tutti che Pirro è amante della principessa, i piani di fuga falliscono definitiv
). Questa gestione degli affetti è secondo Calepio assai più patetica della condotta tragica adottata dal de La Fosse, dal mo
tore per Polissena, la compassione per Pirro. Ritornando alla Préface della Polyxène, Calepio considera inconsistente l’appel
ncuore. Articolo IV. [2.4.1] Ciò che deve risaltare nel finale della tragedia, secondo Calepio, è il nucleo delle due
to slancio di indignazione ridurrebbe tuttavia notevolmente l’effetto della «purgazione». Calepio addita a modello, fra le tr
alepio contestava, in accordo col filosofo greco, il mancato rispetto della «mediocrità» del protagonista, in questo frangent
izio e alla scelleratezza. Questo espediente era tuttavia costitutivo della favola doppia, in cui si prevedeva un diverso esi
io il cattivo è rappresentato da Sulmone, padre di Orbecche, ai danni della quale mette in atto un terribile piano di vendett
amente al fine di nuocere. Il caso preso in esame da Calepio è quello della Rodogune, già censurata in questo senso dal Maffe
erché in questa tragedia campeggiava il carattere fieramente disumano della regina Cléopâtre, la quale, gelosa della principe
arattere fieramente disumano della regina Cléopâtre, la quale, gelosa della principessa Rodogune, aveva costretto i due figli
e, V, 1, vv. 1497-1502). Inoltre Calepio, richiamandosi all’esercizio della ragione che riteneva fin dal primo capo un caratt
iù vivi di pietà e terrore. Se quindi, da una parte, la favola doppia della Rodogune, con il finale lieto riservato ad Antioc
della Rodogune, con il finale lieto riservato ad Antiochus e la morte della spietata Cléopatra, è intrinsecamente destinata a
di Paolo Chiarini, Roma, Bulzoni, 1975, pp. 152-156). Sulla ricezione della Rodoguna nel Settecento si veda Domenico Mugnolo,
e, schiava di Achille, la quale, poco prima che avvenga il sacrificio della figlia di Agamennone, denuncia a Calchas i piani
lvagio agli occhi di Calepio, negando di fatto il perfetto compimento della purgazione finale. Su questo interessante finale
s, 1999, pp. 136-137); altri hanno attribuito all’eccesso di passioni della figlia di Elena la causa della calamità che la co
nno attribuito all’eccesso di passioni della figlia di Elena la causa della calamità che la colpisce (Eléonore M. Zimmermann,
esiti assai divergenti: Defaux, ad esempio, sosteneva che l’identità della vittima sacrificale, fosse essa Eriphile oppure I
riconosce ancora una volta in questa tragedia la riprovata struttura della favola doppia e ritiene la soluzione raciniana as
di distogliere la concentrazione dello spettatore dal nucleo emotivo della vicenda, Calepio ritiene assai più utile il ricor
tori alla misericordia. Il Bergamasco si fa così sostenitore del Coro della tragedia greca, atto a compatire gli eroi miseri,
erale, l’incarico di descrivere dettagliatamente i punti più delicati della vicenda, con dovizia di particolari lacrimevoli,
trascurata nel teatro francese del Seicento. [2.4.6] Lo scioglimento della tragedia dovrebbe essere, nell’ottica calepiana,
mplicemente notizia dell’accaduto. Egli censura quindi la conclusione della Théodore di Pierre Corneille, tragedia basata sul
ore del figliastro e mancato genero, e con lei Dydime. Il gesto folle della donna è narrato a Valens dalla confidente Stéphan
r André Bridoux, Paris, Gallimard, 1949, pp. 584-585). Nel suo Examen della tragedia, d’altra parte, il drammaturgo francese
se mostrava di essere ben conscio delle scarse potenzialità patetiche della Théodore, e criticava peraltro il personaggio del
zialità patetiche della Théodore, e criticava peraltro il personaggio della santa, troppo freddo ed incapace di muovere le pa
elle — ma d’altro canto egli amava particolarmente anche la Cléopâtre della Rodogune —, grande nella sua fierezza, al punto c
escritto in una scena apposita da un nunzio (III, 10), e il patetismo della risoluzione veniva accresciuto dalle lamentazioni
del dramma musicale de’ Santi Didimo e Teodora, Roma, Nella Stamperia della Rev. C. Apost., 1635). Sulla drammaturgia di Rosp
dimostra di conoscere —, asserendo che in quel contesto la narrazione della morte di Polyeucte non sarebbe risultata efficace
82). [2.4.8] In questo caso Calepio fa riferimento ad alcune battute della Lettre contenant la critique de l’Œdipe de Sophoc
dell’Edipo Re di Sofocle fosse inefficace a causa del lungo racconto della morte di Giocasta e della catastrofe di Edipo che
fosse inefficace a causa del lungo racconto della morte di Giocasta e della catastrofe di Edipo che occupavano la scena di un
ttavia quei lunghi discorsi non avevano retto in quel caso alla prova della scena, causando la noia degli spettatori («J’avai
co, denunciando il motivo personalistico e meschino che sta alla base della critica voltairiana: la sua tragedia era risultat
eduta. Una nondimeno io ne deduco dalla lettura delle cose precedenti della stessa sua tragedia; ed è che la peripezia del nu
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 418-
e nell’epopea, riaffermando ancora una volta uno dei principi chiave della sua opera, ossia la netta distinzione tra il fine
incipi chiave della sua opera, ossia la netta distinzione tra il fine della poesia epica, tesa a dilettare il lettore, e quel
tra il fine della poesia epica, tesa a dilettare il lettore, e quello della poesia drammatica, deputata a giovare al pubblico
ammatica, deputata a giovare al pubblico attraverso la sollecitazione della pietà. Calepio propone, non diversamente da Corne
roprio per questo adatti a far nascere nello spettatore il sentimento della misericordia, secondo una sensibilità che parrebb
ttiva che richiedeva necessariamente, per la salvazione, l’intervento della Grazia divina. Lo spettatore è portato a immedesi
è di tipo «obliquo», in quanto porterebbe lo spettatore a compiacersi della propria umanità, certificata dal fatto che prova
dobbiamo ricordare di quello, che è stato detto di sopra che il fine della poesia è il diletto e che il diletto si divide in
etto oblico, e l’altra è diletto diritto. Il diletto oblico è proprio della tragedia, il quale si sente quando in tragedia si
primo capo, recensendo svariate tragedie italiane dal punto di vista della qualità del personaggio principale — che l’uditor
o un meccanismo cristianamente catartico. Su questo nodo fondamentale della poetica tragica di Calepio cfr. Paragone I, 2, [2
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche della tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
ito ad opera di nunzi o messi. Il Bergamasco non si limita a trattare della tragedia, ma affronta anche il problema della com
on si limita a trattare della tragedia, ma affronta anche il problema della commedia, la cui bellezza, al contrario, risieder
e dal Dottori. Se nel primo caso è ovviamente rispettata la linearità della favola, nella quale non sono introdotti episodi s
i trepidazione presaga di sventure, persino nel momento dell’annuncio della fine del pericolo», Maria Panetta, «“La mal sicur
ette a venti — il protagonista eponimo, seguendo il perfido consiglio della moglie Regina, la quale mira a porre sul trono su
egina. In questo intreccio si incastonano elementi romanzeschi tipici della drammaturgia seicentesca, come la storia d’amore
procede dal riconoscimento di un primato italiano nella composizione della struttura tragica e di una supremazia francese ne
in dissertazioni sterili su oggetti che non sono utili allo sviluppo della favola, né cooperano ad aumentare la verosimiglia
isodica verbosità sono il racconto con cui Sofonisba narra ad Erminia della nascita di Cartagine (Gian Giorgio Trissino, Sofo
zione, fatta da Oreste, delle disavventure a lui occorse dopo la fine della guerra di Troia (Giovanni Rucellai, Oreste, in Sc
, t. I, Verona, Vallarsi, 1723, pp. 101-104) ed infine la descrizione della tempesta fatta da Torrismondo all’inizio del dram
dramma (Torquato Tasso, Re Torrismondo, I, 3, vv. 301-609). Nel caso della Sofonisba il brano in questione conteneva un espl
o la tragedia, non tocca questi versi, limando soltanto quattro versi della battuta iniziale di Oreste. Il passaggio incrimin
este. Il passaggio incriminato del Torrismondo (III, 1) consta invece della lunga scena in cui il re dei Goti racconta dettag
ata oggetto delle critiche di Pier Jacopo Martello, il quale, conscio della pesantezza dell’episodio — e intento a dimostrare
la struttura di questi (falsi) dialoghi. Sull’importanza del racconto della tempesta nel Torrismondo, anche in rapporto alla
a Stefano Verdino, «Funzione drammatica e testo profondo: il racconto della tempesta nel Torrismondo del Tasso», Rivista ital
formità del progetto teatrale di Pietro Calepio con quello del Maffei della Merope e del Teatro Italiano, nonché, ancor prima
tique du théâtre: la coerenza e, in qualche misura, anche la sobrietà della struttura drammatica che il bergamasco prescrive
il bergamasco prescrive sono elementi fondamentali di una concezione della scrittura scenica che sia funzionale alla sua tra
sità. Il ragionamento di Calepio viene esemplificato con la citazione della Progne (1561) di Lodovico Domenichi, tragedia di
e (1561) di Lodovico Domenichi, tragedia di soggetto ovidiano, frutto della traduzione dell’omonima composizione latina ad op
erà a più riprese nell’opera del Bergamasco, ad esempio nell’apertura della Confutazione dell’Esame del Salìo («Questa amarez
useppe Salìo nel libro intitolato “Esame Critico…”», in Id., Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
la Phèdre di Racine, migliore, come già aveva avuto modo di scrivere, della Fedra di Seneca e di quella del Bozza. Accanto a
vanti l’eccessiva galanteria di Ippolito, ingiustificabile sulla base della fama di cacciatore che al personaggio attribuiva
orna ad essere il bersaglio polemico privilegiato da Calepio, a causa della cattiva gestione degli episodi. Il Bergamasco ave
i episodi. Il Bergamasco aveva già illustrato come l’Horace, in virtù della grande attenzione riservata alle passioni di Cami
ssionatissima» nei primi due atti, nei quali le due donne si dolevano della crudele sorte a cui andavano incontro, mentre gli
da belva fu» (II, 3) e voterà Critolao e i suoi fratelli alla difesa della patria nel duello risolutore che contrapponeva tr
a affermazione di Calepio agisce da cassa di risonanza per la fortuna della Demodice, alimentandone la fama, anche in virtù d
ese, redatto da Gabriel Seigneux de Correvon, che accompagna l’uscita della Descrizione sui tomi della rivista ginevrina Bibl
gneux de Correvon, che accompagna l’uscita della Descrizione sui tomi della rivista ginevrina Bibliothèque Italique. Nelle su
o, Vita e Pensiero, 2007, pp. 59-78), il Francese celebra la bellezza della Demodice, ai suoi occhi preferibile all’Horace di
nità d’azione che era stata ritenuta il pregio del dramma. L’impianto della tragedia gli sembra ora macchinosa e i tanti epis
centeschi, come il Quadrio (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
ondere insieme modelli troppo eterogenei: alcuni elementi sono tipici della tragedia classicistica come l’oracolo che struttu
e di Maffei, alla quale è chiaramente ispirato il personaggio tragico della lacrimosa madre Aspasia, che come Merope è in pro
fermata dallo stesso Eurindo (V, 2); infine compare anche l’archetipo della tragicommedia arcadica — d’altra parte il nome ar
infine utile notare come anche in questo caso nel suo Della storia e della ragione d’ogni poesia, il Quadrio riprenda palese
mostrate, quale stretto legame abbiano gli Episodi ad avere col fondo della principale Azione; e quanta debba essere la lor p
mondo esca Rosmonda a moralizzare tra sè. Potrebbesi dire il medesimo della venuta di Miseno nel Terzo Atto dell’Astianatte d
in questo fatto peccante» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, cit., pp. 292-29
tà rivolta al personaggio dell’Infanta nel Cid era un elemento topico della critica sei-settecentesca; lo stesso Corneille av
race, alla quale tuttavia riconosceva il merito di rinsaldare l’unità della pièce, permettendo un più efficace collegamento f
iteneva la tragedia francese lontana dalla perfezione proprio a causa della soverchia presenza di amori e della «moltiplicità
dalla perfezione proprio a causa della soverchia presenza di amori e della «moltiplicità de’ confidenti» (Antonio Conti, «Le
portunità di ricorrere ai confidenti — necessari alla verisimiglianza della favola —, dei quali nobilitava l’origine, sostene
. Né per oziosi intendo solamente quelli che sembrano anzi Spettatori della Favola, che attori, com’è l’Infanta nel Cid; ma q
numero d’esse introdotti», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, Milano, Agnelli, vol. III,
oposito Piero Weiss, «Teorie drammatiche e “infranciosamento”: motivi della “riforma” melodrammatica nel primo Settecento», i
attraverso le varianti del Filippo», in Id., Alfieri e il linguaggio della tragedia: verso, stile, topoi, Napoli, Liguori, 1
2.4] La Polyxène di Monsieur de La Fosse mette in scena il sacrificio della protagonista compiuto per volontà degli dei e su
oggetto per rispettare le unità di luogo e di tempo, fonti principali della verosimiglianza; egli affermava infatti che «pour
oco il rispetto dell’unità di tempo, qualora questa forzi il criterio della verosimiglianza. Su simili posizioni si attesterà
tro, che aveva introdotto le unità nella convinzione che l’obbiettivo della rappresentazione teatrale fosse l’illusione degli
into da Calliroe, di cui era profondamente innamorato, chiede l’aiuto della sua divinità tutelare: al fine di esaudire la pre
entre nei primi due atti ha uno spazio maggiore l’episodio secondario della passione fra Agénor e Anaxile, che prepara gli ev
i soltanto negli episodi secondari — costituisse un tratto distintivo della tragedia moderna rispetto a quella antica e che l
Corneille e di una tragedia incline ad accogliere la rappresentazione della passione amorosa. Pierre Nicole, nel suo Traité d
udizio rispetto alla princeps del 1674; ciò testimonia la delicatezza della questione nella Francia tardo-seicentesca, cfr. C
si mostrava altrettanto severo nel censurare l’uso degli amori tipico della tragedia francese, mettendo in ridicolo le caratt
gere. Ma dell’amor di madre abbiamo idea tutti, essendo il più intimo della natura, e atteso che chi non è madre o padre, è p
i del Francese, la cui opera doveva certo avere sotto mano al momento della stesura del testo — al fine di contestarne la tes
03). [3.3.3] In questo segmento Calepio espone un principio cruciale della propria teoria tragica: a suo parere, contrariame
fatto che lo spettatore riconosce nell’eroe disgraziato «la comunione della umana fragilità», e da ciò prende le mosse il pro
se non divertirsi d’amore» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
principale, ma anima delle sottotrame secondarie. Dal punto di vista della struttura, egli ritiene passabile l’Ariane (1672)
wé, «La risposta del Calepio alle riflessioni del Maffei sul Paragone della tragica poesia», Rassegna della letteratura itali
e riflessioni del Maffei sul Paragone della tragica poesia», Rassegna della letteratura italiana, LXXVI, 1, 1972, pp. 53-70:
lo inescusabile» (Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia», i
sue tragedie: l’autore del Candide lodava invece il Racine per l’uso della passione amorosa in scena, in quanto «jamais chez
’Europa del primo Settecento, tanto da diventare un topos ineludibile della nascente letteratura sugli usi e costumi delle va
e la Descrizione de’ costumi italiani di Calepio, pubblicata sui tomi della Bibliothèque Italique. All’interno di questa stes
di una serie di brillanti equivoci drammaturgici, dell’accrescimento della pietà allorché entrambi gli amanti vengono fatti
more tra Policare e Merope gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo della vicenda, in quanto proprio Policare, nel tentativ
sacrifico, millanterà di fronte al padre di aver violato la verginità della figlia, rendendola di fatto inadatta a svolgere i
li nella lettera ad Antonio Bruni con la quale difendeva l’ortodossia della propria tragedia rispetto ai criteri aristotelici
totelici: gli amori di Despina e Mustafà erano ammissibili sulla base della Poetica (1551b 33), in quanto davano luogo ad un
a storia, ed è un episodio congiunto, s’io non m’inganno, alla favola della maniera che c’insegna Aristotile dovere essere. N
i, e de gli altri effetti di Despina, innestandola in modo col tronco della favola principale, che l’una non possa reggersi,
’efficacia dell’episodio amoroso nell’amplificare l’effetto catartico della vicenda («Mustafà si mostra non solo innocente ma
ma Despina, e nel darle l’ultimo addio, giunge al colmo l’esaltazione della pietà e del terrore», Francesco Saverio Salfi, Co
pietà e del terrore», Francesco Saverio Salfi, Compendio dell’istoria della letteratura italiana, Torino, Pomba, 1833, p. 211
me l’amore di Policare per Merope, «lungi dall’indebolire l’interesse della favola, accresce la compassione nello sciogliment
ino, 1789, p. 115). Si registra, infine, ancora una volta, la ripresa della riflessione di Calepio nel Della storia e della r
una volta, la ripresa della riflessione di Calepio nel Della storia e della ragione d’ogni poesia del Quadrio, a sua volta in
ll’Aristodemo del Dottori» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
lli, 1743, p. 299). Interessanti considerazioni sui risvolti politici della rivalità fra due modelli alternativi di sovrane,
ne in questo frangente denunciata l’incoerenza di alcuni protagonisti della tragedia francese che sono invischiati all’intern
amante è innamorato, come lui, di Erixéne, figlia di un antico nemico della loro casata. Calepio non trova coerente la figura
ch’hanno li Francesi circa vari artifici toccanti l’ordine e la forma della tragica rappresentanza. Articolo I. [4.1
hanno osservato demolire la drammaturgia francese dal punto di vista della scelta del soggetto, della qualità del protagonis
a drammaturgia francese dal punto di vista della scelta del soggetto, della qualità del protagonista e della composizione deg
di vista della scelta del soggetto, della qualità del protagonista e della composizione degli episodi. Nel quarto capo l’aut
tà di affascinare lo spettatore, benché manchevole dal punto di vista della costruzione della favola, al contrario quello ita
lo spettatore, benché manchevole dal punto di vista della costruzione della favola, al contrario quello italiano appare sotto
o profilo molto più regolare, ma al contempo poco efficace alla prova della scena. Con una visione lungimirante, che apparten
di indagare separatamente quattro punti fondamentali per la riuscita della rappresentazione tragica, ossia l’incisività dell
ezza delle battute pronunciate dai diversi attori ed infine la tenuta della partizione del dramma in atti e scene. [4.1.2] L
enuta della partizione del dramma in atti e scene. [4.1.2] L’esordio della tragedia è ritenuto da Calepio un momento partico
la tragedia è ritenuto da Calepio un momento particolarmente delicato della rappresentazione: in questo punto vanno fornite a
spettatore tutte le informazioni necessarie a comprendere lo sviluppo della pièce senza annoiarlo o dargli a vedere che lo st
amente «teatrale». Calepio giudica negativamente le tecniche di avvio della vicenda tragica sfruttate dai drammaturghi greci,
tanto spettatore, come dimostra la sua Apologia di Sofocle, documento della militanza del giovane autore nelle file degli Anc
pesso recitati da divinità o prosopopee che ricostruivano l’argomento della favola, citando dapprima l’esempio biasimevole de
er rendere edotti gli spettatori delle vicende precedenti all’esordio della favola. Nella Tullia l’omonima protagonista entra
ci, molti drammaturghi cinquecenteschi avevano adibito la prima scena della tragedia ad informare il pubblico degli antefatti
ione — come l’Emone degli Antivalomeni, entrato in scena a raccontare della morte di re Loteringo e dell’accordo stretto fra
ivinità: è il caso dell’Orbecche, dove dialogano Nemesi e le Furie, e della Didone, aperta dall’intervento di Giunone. Inoltr
derandoli probabilmente dannosi alla verosimiglianza e alla linearità della favola; egli elenca anche altre tragedie cinquece
dialogo a tre voci fra i personaggi che poi sarebbero stati al centro della scena anche negli atti successivi, ossia Polissen
e che ricostruiva le vicende del suo regno illustrando al personaggio della Morte i suoi progetti di vendetta. Nella scena te
na terza del primo atto interveniva inoltre anche la personificazione della Gelosia. Andrà osservato come in questa sede Cale
corso in qualità di drammaturghi; Crescimbeni, rifacendosi al modello della commedia latina, ma anche della tragedia di Giral
; Crescimbeni, rifacendosi al modello della commedia latina, ma anche della tragedia di Giraldi, legittimava infatti a poster
mente permessa, che il Prologo non conterrà alcuna parte riguardevole della Favola; e tanto più avrà luogo, quanto meno il su
rdevole della Favola; e tanto più avrà luogo, quanto meno il suggetto della Tragedia sarà noto, come in proposito del Prologo
parati nelle Toscane Tragedie», Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 91-92).
 91-92). Gravina aveva affidato al prologo, recitato dalla prosopopea della Tragedia, il compito di illustrare le novità dell
o dalla prosopopea della Tragedia, il compito di illustrare le novità della sua proposta tragica screditando le strade percor
i francamente di aver per esse restituita la Greca tragedia al Teatro della quale appena un’ombra, dic’egli, apparisce in tut
to anche il Muratori, il quale predicava molta attenzione al rispetto della verosimiglianza in simili circostanze: «Ha parime
, a cura di Ada Ruschioni, Milano, Marzorati, 1971, p. 591). Sull’uso della prosopopea nei prologhi delle opere sceniche cinq
al contributo di Eugenio Refini, «Prologhi figurati. Appunti sull’uso della prosopopea nel prologo teatrale del Cinquecento»,
allo spettatore le informazioni necessarie a comprendere lo sviluppo della favola. In quella sede il Francese teorizzava la
rontare alcuni dialoghi a questa funzione secondaria, anche a scapito della verosimiglianza dell’intreccio: i discorsi dell’I
ile» (Antonio Conti, «Lettera al Sig. Marchese Scipion Maffei, autore della Merope italiana e di molte altre celebri Opere»,
ronda, Bari, Laterza, 1966, p. 208). Viene infine censurato l’esordio della Rodogune, dove il dialogo fra Timagéne e Laodice
isposto a riconoscere la superiorità dei Francesi in materia di avvio della favola, dal momento che le loro tragedie solitame
endo l’imperfezione, che in ciò era, legarono i Prologi col rimanente della Tragedia; e queste notizie proccurarono, che per
nto di fare, che tali Discorsi Narrativi cadessero naturali nel corpo della Tragedia; e lasciarono bene spesso conoscere, che
o medesimamente macchiate» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
a che si rende necessaria allo spettatore per comprendere lo sviluppo della rappresentazione, è l’introduzione del confidente
a opinione, reputando l’uso dei confidenti uno dei principali difetti della tragedia francese, accanto al dialogo in rima e a
giudiziale censura di determinati elementi sotto l’egida del rispetto della verosimiglianza, ma precisa che, in qualche misur
allo spettatore, per via allusiva, quello che succederà nel prosieguo della favola, aumentando il piacere e la sorpresa di ch
di Bonarelli. Fra i numerosi recenti contributi che si sono occupati della rappresentazione del sogno nella tragedia italian
e dello stesso Calepio, i quali nelle loro tragedie avevano svuotato della solennità religiosa tali profezie, screditando da
ione di Calepio e quella del Valaresso, autore di una gustosa parodia della tragedia ultra-classicistica del primo Settecento
anda, 1960, p. cxxv, e successivamente Domenico Pietropaolo, «Parodia della tragedia classica e riforma teatrale nel Settecen
erto meno interessanti in quanto più artificiosi e separati dal cuore della favola, ossia quelli, di ascendenza terenziana, i
atina, e di attribuire a Terenzio prologhi che in realtà erano propri della commedia plautina: «E di certo si può conghiettur
unque, come diceva, che Terenzio formasse il Prologo per dare il tema della Commedia; e pur non è vero, e ne’ suoi Prologhi a
imitazion di Plauto, che appunto introduce il Prologo a dire il tema della favola» (Giuseppe Salìo, Esame critico intorno a
(Pietro Calepio, «Confutazione di molti sentimenti», in Id., Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
are alcuni esempi dell’introduzione di episodi incoerenti all’interno della tragedia: del Torrismondo del Tasso egli censura
entra in scena nell’atto terzo soltanto per fare un prolisso racconto della fuga di Enea, personaggio inessenziale alla pièce
essenziali i dialoghi di Alvante e Despina che, cominciati all’inizio della rappresentazione (I, 3), si protraggono più oltre
zza può dirsi, che chiamar tedioso Romanzo lo scioglimento necessario della Tragedia? Dunque è tedioso Romanzo il caso di Luc
ezzamento per la principessa, ritenuta indispensabile per lo sviluppo della vicenda (cfr. Matteo Bosisio, «“La merveille des
tecento per diverse ragioni; se per Calepio, attento alla credibilità della rappresentazione degli affari politici, il Coro p
ella rappresentazione degli affari politici, il Coro privava l’azione della necessaria segretezza, per il Maffei i teatri mod
considerato, anche dai classicisti seicenteschi, la fonte principale della verosimiglianza della presenza corale, come nota
i classicisti seicenteschi, la fonte principale della verosimiglianza della presenza corale, come nota Dacier chiosando il ve
urgia greca — egli ridicolizzava la Fedra di Euripide proprio a causa della presenza del Coro, che rendeva inverosimile l’int
he Calepio non poteva condividere, il Bergamasco recupera la sostanza della critica all’improprietà della ripresa del Coro st
ere, il Bergamasco recupera la sostanza della critica all’improprietà della ripresa del Coro stabile. Questa medesima tesi, c
zza, come allora si facea, al popolo, e al comune, quell’interrogarsi della turba, i Messi ed i Nuncij, per sapere gli avveni
indole particolare di quel Teatro, rammentarci dobbiamo che i Governi della Grecia erano Democratici, come si disse; e per co
essavano impunemente i propri segreti più reconditi: è questo il caso della Tullia di Martelli, già criticata in precedenza,
r non essere riconosciuto dalla moglie Tullia, impietosito dal pianto della donna che neppure il Coro di matrone riesce a tra
greca ciò è ancora possibile, a patto che non venga violata la regola della segretezza, come avviene nella Merope di Torelli,
e Calzabigi all’origine dei cori alfieriani. Note su Alfieri lettore della tradizione corale italiana», Testo, LXVI, 2013, p
in part. pp. 243-275. Articolo III. [4.3.1] Dopo aver trattato della maniera di avviare la favola, Calepio si sofferma
ento che abitualmente non fanno dipendere la peripezia dallo sviluppo della favola, ma la preparano in maniera artificiosa, f
testo per l’agnizione risolutiva è fornito dal personaggio secondario della nutrice Aidina, che si propone, in un dialogo con
ristodemo; soltanto allora il sovrano si riconosce come il vero padre della fanciulla fatta uccidere (V, 5). Tra queste favol
te tragedie, che ne condiziona la scarsa efficacia dal punto di vista della peripezia, è il fatto che essa sia inserita in mo
ezia, è il fatto che essa sia inserita in modo posticcio appena prima della catastrofe conclusiva. La teoria letteraria cinqu
a letteraria cinquecentesca si era soffermata a lungo sulle proprietà della peripezia, in margine al consueto confronto fra e
o dal quale prende le mosse la peripezia parrebbe in effetti debitore della posizione critica tassiana. [4.3.2] Nella sua tr
tti alla stessa maniera. Una volta morto Sisifo — e siamo all’esordio della favola scenica —, mentre i figli di Atamante fann
Ino; se i primi due atti dell’azione sono dedicati alla presentazione della dolente protagonista e della malvagia Ino, nel te
’azione sono dedicati alla presentazione della dolente protagonista e della malvagia Ino, nel terzo giunge Oletrio, il quale
gia Ino, nel terzo giunge Oletrio, il quale reca a Temisto la notizia della morte del padre Ipseo (Giuseppe Salìo, La Temisto
iuseppe Salìo, La Temisto, Padova, Comino, 1728, p. 57). La peripezia della tragedia prende le mosse, secondo Calepio, propri
ne ancora ribadita l’inverosimiglianza dell’espediente degli anelli e della morte del vecchio Ipseo, elemento estrinseco all’
elemento estrinseco all’azione («Certo è contro il dettame ordinario della Natura, che un Padre voglia uguagliare nell’eredi
Altro è il possibile, altro il verisimile», Pietro Calepio, Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
a francese appare agli occhi di Calepio più naturale sotto il profilo della preparazione del rivolgimento, benché in alcuni c
to, benché in alcuni casi si alluda in maniera esplicita al contenuto della peripezia, privando questo elemento della meravig
iera esplicita al contenuto della peripezia, privando questo elemento della meraviglia che le dovrebbe essere propria. Questo
nel primo atto, «au milieu de l’air» a predire il felice scioglimento della vicenda di Andromeda (I, 3, vv. 354-361). Tale di
nio, lascia invero pochi dubbi su quello che dovrà essere lo sviluppo della vicenda. Un’altra pecca che Calepio ravvisa nell’
o della vicenda. Un’altra pecca che Calepio ravvisa nell’allestimento della peripezia da parte dei Francesi sta nello spezzet
uovo Edippo di M. de Voltaire con maggiore chiarezza; e l’avvenimento della morte di Laio si conforma a quello che racconta E
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, p. 416).
émon, figlio di Créon. [4.3.4] Calepio biasima infine la sospensione della catastrofe che si prolunga talora per più atti se
rénice di Racine, in cui Antiocus, innamorato senza essere ricambiato della regina di Palestina — a sua volta invaghita del r
cide di suicidarsi, non essendoci alcuno spiraglio per un cambiamento della disposizione di Bérénice già nel primo atto: eppu
i costui, anziché mettere in atto il proponimento maturato all’inizio della rappresentazione, rimanga a Roma nutrendo qualche
teressante notare come la pastorale del Tasso, vituperata nell’ambito della critica francese seicentesca di stampo aristoteli
mento amoroso. L’Aminta aveva avuto un’importanza singolare nel corso della polemica Orsi-Bouhours, in quanto era stato uno d
a dell’Orsi, che nelle Considerazioni si dimostrava grande estimatore della pastorale tassiana, all’Aminta di Torquato Tasso
come ha dimostrato, in rapporto a Parini, Matteo Zenon, «Un capitolo della fortuna tassiana nel Settecento. Parini lettore d
n, «Un capitolo della fortuna tassiana nel Settecento. Parini lettore della Gerusalemme liberata e dell’Aminta», Studi Tassia
cava, nella Préface alla tragedia, il carattere estremamente semplice della Bérénice, nonché la capacità di riempire cinque a
e semplice della Bérénice, nonché la capacità di riempire cinque atti della sola azione principale, senza ricorrere ad episod
, indispensabile affinché gli spettatori individuino già al principio della rappresentazione chi sono coloro che agiscono, ad
ina spesso il fallimento, una volta che questa si misura con la prova della scena. [4.4.2] Un’altra caratteristica necessari
mpare soltanto nel primo e nell’ultimo atto, mentre la parte centrale della favola è spesso occupata da dialoghi ritenuti ste
erito una più massiccia presenza di Sofonisba, chiamata — sul modello della tragédie classique francese — a esporre davanti a
nfidente, i propri timori. Anche la Canace di Speroni diventa oggetto della critica di Calepio, il quale afferma addirittura
e di Ingegneri, si era percepita una predisposizione comico-pastorale della Canace — per lo meno dal punto di vista stilistic
gico. Su questo punto si veda Renzo Cremante, «Appunti sulla presenza della Canace di Speroni nell’Aminta di Torquato Tasso»,
torno a’ vizj delle Donne», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
ed escano dalla scena per un motivo preciso, intrinseco allo sviluppo della favola. Secondo Calepio il Torrismondo risultereb
ita in modo arbitrario: dopo il monologo del Consigliere, che discute della qualità dell’amicizia, entra in scena Rosmunda, l
he sono impressi su quei preziosi oggetti (III, 6), prima dell’arrivo della Regina madre che chiude l’atto (III, 7). Secondo
rquato Tasso, Bologna, Zanichelli, 1905, p. 518). Sulla distribuzione della materia nei diversi atti del Torrismondo si vedan
i diversi atti del Torrismondo si vedano Andrea Pagani, «La vertigine della parola. Grafici strutturali del manierismo tassia
da Despina e Alvante, entrati in scena a conversare vicino al palazzo della regina («Oh, s’io non erro, è questa/ del palagio
l rispetto dell’unità di luogo, ambientando tutta l’azione nell’atrio della casa di Giulio Cesare situata accanto al tempio d
ione nell’atrio della casa di Giulio Cesare situata accanto al tempio della Clemenza. Conti si era successivamente difeso da
cesco Bianchini, il quale si era adoperato per salvare alcuni edifici della Roma antica facendone intuire la grandezza («L’at
nersi in quel luogo a ragionar lungamente. Immagini egli, che l’atrio della casa di Giulio Cesare sia simile a quello del Pal
a che mancassero nell’atrio persone in grado di accogliere la notizia della morte di Cesare riferita da Antonio («Rifletta qu
la disperazione, tra l’altre cose, di Calfurnia, giustifica l’uscita della Scena Prima dell’Atto 4°. Non è vero, che non vi
). Articolo V. [4.5.1] Calepio entra a questo punto nel merito della disposizione dei dialoghi, dei monologhi e degli
Martian, presente invece a corte col nome di Léonce e reputato figlio della stessa Léontine. Nella scena in questione Eudoxe
éontine, che la ritiene colpevole di aver rivelato qualcosa di troppo della reale natura di quell’Héraclius che è conosciuto
e si accorda al parere dello stesso Corneille, il quale nel suo esame della tragedia si era vantato dell’acutezza di questo p
ghi poco piacevoli a causa degli eccessivi ornamenti letterari oppure della troppa prolissità. Nel finale il Bergamasco accen
ure nella Rodogune, dove Cléopâtre si rivolge, nell’ultimo soliloquio della pièce, al veleno con cui aveva intenzione di ucci
gradito al pubblico e alle attrici che dovevano interpretare il ruolo della perfida madre; Voltaire, pur riconoscendo a quest
ta, che troverà gioco facile nel ridicolizzare la natura declamatoria della tragedia di Corneille. Ben prima di Voltaire si t
Voltaire, London, Dilly, 17855, p. 266). Sulla diffusione del saggio della Montagu nell’Italia del tardo Settecento, e su co
isultare verosimili, debbono essere esclusivamente frutto dell’impeto della passione: soltanto questa veemenza può infatti gi
ghi nelle tragedie di Giraldi Cinzio, del quale biasima l’atto quinto della Cleopatra, laddove si succedono i soliloqui di Ol
e tragedie del de La Fosse; egli ha probabilmente in mente il modello della già citata Polyxène, nel quale si succedono otto
go può sussistere soltanto se viene utilizzato per esprimere l’impeto della passione; per questa ragione egli condanna i tant
to della passione; per questa ragione egli condanna i tanti soliloqui della tragedia italiana cinque-seicentesca votati a ric
che la tragedia senza soliloquio non sia più perfetta: ma la qualità della materia qualche volta gli esige, e per esperienza
esso astigiano aveva avallato con decisione questa lettura: trattando della sceneggiatura nel Parere sulle tragedie, si difen
ruire il pubblico su qualche circostanza necessaria alla comprensione della pièce, ma scaturisse direttamente dallo sviluppo
a comprensione della pièce, ma scaturisse direttamente dallo sviluppo della favola; che nessun altro personaggio udisse il mo
licitando la propria volontà di rimanere celata a spiare i sentimenti della diva («Costei me cerca. I vuò star invisibile/ al
ttere in bocca ad Egisto il nome del padre avrebbe privato il seguito della rappresentazione della sorpresa che scaturiva dal
o il nome del padre avrebbe privato il seguito della rappresentazione della sorpresa che scaturiva dalla peripezia, inducendo
ia, inducendo gli spettatori (e i personaggi) a comprendere ben prima della conclusione del dramma la reale identità del raga
variante che conservava la suspance, ma sciupava in parte la bellezza della scena (ad Egisto veniva fatto dire: «Mel disse il
o di morte venga in bocca il nome di chi gli avea data un’avvertenza, della quale se avesse fatto uso, non si troverebbe allo
Ramanzini, 1745, p. 132). Sulla discussione in merito a questo verso della Merope si rimanda anche a Paola Trivero, Tragiche
, 4), pronunciati verosimilmente alla presenza delle donne di corte e della nutrice, gli sembrano fuori luogo. Lo stesso La M
re qualcosa che l’altro non intende; nel secondo — e questo è il caso della Merope, ben più lodevole — si indica un breve sol
ennata Tragedia», Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia (17
tare con regolette, ma pensare al più importante ed al più essenziale della Poesia», ivi, p. 65). Maffei ritornerà sulla ques
Merope, Calepio trova altri a parte, che considera difettosi relitti della pratica drammaturgica seicentesca, e segnatamente
prometto all’autore di correggere quanto potrò nella seconda ristampa della mia Tragedia i ragionamenti a parte, e profittar
ono solitamente divisi in un numero piuttosto ridotto di scene, segno della scarsa varietà della materia impiegata nella favo
i in un numero piuttosto ridotto di scene, segno della scarsa varietà della materia impiegata nella favola e di alcune pecche
a materia impiegata nella favola e di alcune pecche nella costruzione della complessità dell’intreccio. Le opere sceniche ita
n cui Amabilia e i sei prigionieri di Ezzelino, schierati dalla parte della donna, giungono in scena, una volta liberati dall
, secondo che più o meno le cose ci interessano. Una delle grand’arti della Tragedia è d’interessare in maniera l’uditore, ch
ille, il quale, nel Discours des trois unités, raccomanda il rispetto della proporzione fra le scene («Le nombre des scènes d
. 226]). Sulla fondazione dell’unità di tempo, nonché sul regolamento della prassi drammaturgica sulla base del rapporto fra
rassi drammaturgica sulla base del rapporto fra tempo scenico e tempo della favola si rimanda al contributo di Piermario Vesc
all’impazienza degli spettatori che vogliono conoscere la conclusione della favola. Meno giustificabile sarebbe invece Joseph
e di tempo che egli misura sui libri di storia di Pausania (Periegesi della Grecia) e di Stefano di Bisanzio (Ethnica, di cui
, 2, [2]), in virtù del fatto che esso priverebbe la rappresentazione della segretezza che richiedono le pièces del tempo, ag
a, vv. 192-201), e sulla quale insistevano variamente diversi teorici della tragedia cinque e seicentesca, nonché il Guarini
rto Lonardi, Venezia, Marsilio, 1989, p. 78). La questione del Coro e della sua essenza di «curatore ozioso» avrebbe infatti
di «curatore ozioso» avrebbe infatti acceso una disputa sulla natura della tragedia greca — era essa interamente cantata, op
mpagnati dalla musica e recitati con tonalità canora? — e di riflesso della liceità del dramma per musica sei-settecentesco.
Già Vincenzo Galilei, animatore di quella Camerata Bardi all’interno della quale aveva preso le mosse un’impegnativa rifless
uarantanove. Vero è che nella Poetica, quando viene alla diffinitione della Tragedia, pare che egli scordi in alcuna cosa da
ordi in alcuna cosa da quel primo parere», Vincentio Galilei, Dialogo della Musica Antica et della Moderna, Firenze, Marescot
quel primo parere», Vincentio Galilei, Dialogo della Musica Antica et della Moderna, Firenze, Marescotti, 1581, p. 145). Nell
va oltre, richiamandosi per il suo nuovo dramma per musica al modello della tragedia greca che supponeva essere stata interam
n qui era stata tentata da alcuno, & ciò mi credev’io per difetto della Musica moderna di gran lunga all’antica inferiore
stra», Ottavio Rinuccini, L’Euridice. Rappresentata nello Sponsalitio della Christianissima Regina di Francia e di Navarra, F
ze, Giunti, 1600, p. non numerata). Giovan Battista Doni nel Trattato della Musica ritornava sul già citato Problema, al fine
elica del Coro come «curatore ozioso» (Giovan Battista Doni, Trattato della musica scenica, in Id., Lyra Barberina Amphichord
nché molto spesso la musica sia considerata un elemento di corruzione della tragedia (cfr. Enrico Fubini, Musica e cultura ne
non si esaurisce la discussione sulla natura originariamente musicata della tragedia greca; l’opinione del Doni viene anzi ri
a i recitativi non fossero cantati, ma modulati su di un uso armonico della voce. Eppure, nonostante il sostegno del dotto An
trale nel suo progetto di riforma del teatro — nell’edizione a stampa della Perfetta poesia (su tutto l’episodio si veda il b
rillante studio di Alfredo Cottignoli, Muratori teorico: la revisione della «Perfetta poesia» e la questione del teatro, Bolo
otal modo standosene il coro, sarà egli comodamente ora interlocutore della favola e ora spettatore ozioso di quanto passa. M
verrà ad essere un mero, ma grave, nobile e ben accomodato intermedio della tragedia», Angelo Ingegneri, Del modo di rapprese
ontemplato nel testo drammaturgico, veniva spesso escluso nel momento della rappresentazione, come dimostrano tanto le indica
sciorina alcune tecniche per sostituire il Coro nella messa in scena della sua tragedia («Facilissimo sarebbe ancora il rapp
da di Fannìa, e d’Elioneo. Nel terminare dell’atto terzo le fanciulle della Tribù di Levi accompagnino Marianne e Manasse, e
simi svantaggi che la presenza del Coro comportava dal punto di vista della verosimiglianza scenica («Essendo dunque rimasto
ica («Essendo dunque rimasto il coro, prima, per l’imperiosa autorità della religione e per quella, poi, del tiranno invecchi
a sua Confutazione Calepio ribatterà al Padovano, rimarcando la bontà della sua traduzione del passo in questione (Pietro Cal
della sua traduzione del passo in questione (Pietro Calepio, Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Ve
uella di Francia, Venezia, Zatta, 1770, pp. 245-246). Sull’importanza della volontà di recuperare la tragedia greca nella cre
, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016. [4.6.4] La questione della verosimiglianza era fondamentale anche per il Cal
le anche per il Calepio, che perciò ritorna sul problema dell’utilità della presenza corale proprio in questa sezione del Par
e Tragedie Cinque, il Marchese delle Tragedie Cristiane, del Crispo e della Polissena e il Conti delle Quattro tragedie) e qu
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
pio affronta il nodo spinoso dell’unità di luogo, elemento importante della teoria drammaturgica italiana e francese fra Cinq
importante può essere individuato nella Querelle du Cid, all’interno della quale proprio gli interventi di Georges Scudery e
rispetto più rigido, senza il quale verrebbe meno la verosimiglianza della rappresentazione; dello stesso parere era Boileau
rt poétique, in cui si diceva convinto che il decoro e la credibilità della rappresentazione passasse dall’osservazione delle
l dettame, come nel caso dell’Horace. Quando poi, in veste di teorico della tragedia egli affronta la questione nel terzo dei
gedie francesi in cui il cambiamento di luogo, da una parte all’altra della città, avveniva fra un atto e l’altro, dando adit
ragedie del Gorini egli salva soltanto il riguardo a questo principio della tradizione aristotelica, considerando le sue prov
nel trattato Della perfetta tragedia che aveva premesso all’edizione della Rosimonda e poi ristampato nell’edizione integral
consimili in una sola Tragedia […]?», Giuseppe Gorini Corio, Trattato della perfetta tragedia, in Id., Teatro tragico e comic
di Corneille e con il Bajazet di Racine, lacunosi dal punto di vista della rappresentazione di scene segrete, tanto care a C
ata per andare in piazza», ivi, p. 46). Calepio viene poi discorrendo della Giocasta del Baruffaldi, intitolata dal poeta fer
voler affermare che fosse improprio «l’uso di non mutare mai la scena della tragedia», ma sosteneva che, anche alla luce del
ei vi ricorreva spesso il Martello, a sua volta raffinato conoscitore della tragedia francese. Sul cambiamento della scena ne
volta raffinato conoscitore della tragedia francese. Sul cambiamento della scena nel Torrismondo, agito in parte in uno spaz
in quest’ultimo articolo il giudizio che struttura l’intera disamina della tragedia italiana e francese nel Paragone. Egli è
enza l’aspetto rappresentativo, trascurando la fondamentale questione della ricezione dell’opera teatrale. Inoltre egli avanz
se il giovane aveva scritto in precedenza che, nonostante la bellezza della prova del Lazzarini «non sarebbe forse strano che
a mossa alla tragedia grecheggiante, insufficiente dal punto di vista della tenuta scenica, particolarmente per quanto riguar
pure non andrà dimenticato che, in quella sorta di strascico italiano della querelle primo-settecentesca fra antichi e modern
cistica, andrà probabilmente considerata come un bersaglio secondario della requisitoria del conte bergamasco, che torna sull
ragedia di Ulisse il giovine parto d’uno de’ più riguardevoli ingegni della nostra Italia, che non abbia in essa ammirato tut
n abbia in essa ammirato tutto il preggiabile dell’Arte? Che dirò poi della Merope di quel Famosissimo, che riceve ogni anno
quel «poeta novello» che aveva affermato l’indiscutibile superiorità della tragedia greca rispetto a quella moderna, al qual
toriamente, non si era neppure degnato di guardare nella composizione della sua Temisto («Nè punto mi son fermato a considera
a’ nostri tempi fatalmente perduto, parlando in universale, il sapore della vera Tragedia, non lo guastano forse […]?», Giuse
, Padova, Comino, 1738, pp. 195-196). Salìo ridimensionava la portata della condanna degli istrioni espressa da Calepio, argo
susseguente guastando i Comici nel parlar comune, e sciolto il piacer della libertà, per non restar legati a parole, e per po
gli fece a poco abbandonare il verso del tutto; e tanto più che l’uso della moderna Comedia gli costrinse a riempire le Compa
nie di persone incapaci di ben proferirlo. si aggiunse per invaghirli della prosa la mirabil facilità loro, affatto incognita
i filosofare nel proposito de’ Tragici Drammi all’arrogante dispregio della antiche dottrine ch’ebbe ardire di avanzarsi a fe
(Pietro Calepio, «Confutazione di molti sentimenti», in Id., Paragone della poesia trgica d’Italia con quella di Francia, Ven
ul Rutzvnscad del Valaresso si vedano: Domenico Pietropaolo, «Parodia della tragedia classica e riforma teatrale nel Settecen
come farà nelle Lettere al Bodmer egli mette in primo piano l’aspetto della ricezione considerando la tragedia una scrittura
do Calepio a quella di Euripide; il drammaturgo emiliano nella dedica della tragedia ammetteva di essere intervenuto in diver
diversi punti sulla favola greca, levando il personaggio inverosimile della Morte («Primieramente quel suo mescolar fra gli a
e al popolo. Perciò troverete, o Madama, il vecchio Fereto avidissimo della vita, Alceste amantissima del marito, Admeto gene
e tragiche greche senza rimanere troppo servilmente legato alla forma della scrittura tragica antica, sconveniente per un pub
ti essenziali dell’argomentazione di Calepio, ossia la rivendicazione della sua imparzialità e dell’equilibrio del suo giudiz
ibrio del suo giudizio, non viziato da alcuna deferenza nei confronti della tragedia francese, né dalla partigianeria patriot
particolare attenzione. Il costume era una delle sei parti essenziali della tragedia elencate da Aristotele nella Poetica (14
e da Aristotele nella Poetica (1450a 15-25), ritenuta meno importante della favola, in quanto la tragedia era imitazione di a
Aubignac prescriveva che il drammaturgo facesse dipendere il soggetto della pièce dai costumi del popolo a cui essa veniva ra
amenti sulle affezioni di Scaligero, definiva i costumi come le fonti della felicità o dell’infelicità dell’uomo («par le nom
nfusione su questo punto, considerando il costume la parte essenziale della tragedia, come dimostrerebbero le parole con cui
ole con cui Saint-Évremond, grande sostenitore dell’impianto oratorio della tragedia corneilliana, si augurava che Corneille
uguali a quelli, che direbbe naturalmente chi fosse esaltato al colmo della gloria, e per ben comprenderne la differenza vegg
espressioni dell’Ecuba di Euripide», Giuseppe Gorini Corio, Trattato della perfetta tragedia, in Id., Teatro tragico e comic
ame è la moralità dei personaggi, elemento indispensabile all’interno della sua teoria tragica, animata da una speciale atten
oria tragica, animata da una speciale attenzione per l’utilità morale della tragedia che deve risultare senz’altro dilettevol
ione del Muratori, come già aveva evidenziato Enrico Mattioda (Teorie della tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, pp
italiani e francesi che identificavano nel diletto il fine principale della poesia. Egli già aveva condannato in questo senso
ata tradizione teorica francese, che quando il filosofo greco parlava della bontà del costume intendesse non la bontà morale,
Discours, in cui il drammaturgo assumeva che Aristotele, discorrendo della bontà dei protagonisti, non alludesse al comporta
le agli occhi degli uditori. Riflettendo su di una successiva sezione della Poetica, in cui Aristotele prescriveva che i cost
.). Calepio contesta questa lettura del testo aristotelico sulla base della distinzione tra generi letterari: la rappresentaz
a rappresentazione di personaggi grandi e brillanti sarebbe peculiare della poesia epica e non della tragedia, laddove i cara
sonaggi grandi e brillanti sarebbe peculiare della poesia epica e non della tragedia, laddove i caratteri devono essere neces
carattere d’Edipo stesso, protagonista, ovvero personaggio principale della tragedia, il quale dal poeta è finto, come già er
zioni poi nasce un’indiscreta ed ingiusta regola, che il protagonista della tragedia debba di bontà mediocre comparire. Né co
ermazioni corneilliane in merito al costume. Il francese, nel seguito della sua argomentazione, riportava un altro passaggio
o della sua argomentazione, riportava un altro passaggio del capitolo della Poetica sui costumi (1454b 9-14), nel quale Arist
mo di bellezza a cui arrivare senza perciò degnerare nella corruzione della sua prima natura («unumquodque genus per se supre
irazione e sulla meraviglia; egli quindi subordina il costume al fine della tragedia, insistendo sul fatto che, dovendo i pro
lo di Marcelle e Placide nella Théodore, considerati ben più efficaci della sbiadita figura della martire protagonista («À le
de nella Théodore, considerati ben più efficaci della sbiadita figura della martire protagonista («À le bien examiner, s’il y
l’accusa di immoralità lanciata da Pierre Nicole, esponente di spicco della cultura giansenista, il quale nel suo Traité de l
quando versavano su soggetti religiosi; icastico era per lui il caso della Théodore, in cui Corneille metteva in bocca alla
ca di Corneille: vengono deliberatamente rigettati gli esiti barocchi della drammaturgia seicentesca, capace di rendere amabi
istintivo di clarté che riproponeva la centralità dell’utilità morale della letteratura. Su questo punto cfr. Enrico Zucchi,
letto tragico” e l’“ammirazione accessoria”. In margine alle critiche della tragedia corneilliana mosse nel Paragone di Pietr
eristici del teatro francese: non soltanto la Cléopâtre, protagonista della Rodogune di Corneille, e i crudeli Placide e Marc
tagonista della Rodogune di Corneille, e i crudeli Placide e Marcelle della Théodore, ma anche altre figure rilevanti del tea
in ginocchio le due potenze avversarie; infine Stilicon, eroe eponimo della tragedia di Thomas Corneille (1660), uomo forte d
orterà soltanto alla morte di Euchérius, creduto il vero responsabile della congiura, e al suicidio del disperato protagonist
opraccitati infatti il personaggio scellerato è anche il protagonista della vicenda, in cui si rappresentano i suoi ingegnosi
le, nel quale il drammaturgo francese, mettendo in dubbio la validità della catarsi, assumeva che Aristotele e i tragici grec
teratura antica non mancano esempi di una concezione del valore etico della poesia slegato dalla nozione di catarsi. Oltre ag
quali riprendevano Issione, come empio e scellerato: “non prima fuori della scena lo trassi, che fu confitto alla ruota”», Pl
ondo disaccordo: rivendica infatti l’esemplarità di alcuni personaggi della tragedia greca, e in particolare Edipo, archetipo
di Sofocle. Il Francese, affidandosi alla traduzione di André Dacier della battuta con cui Edipo entrava in scena («Je n’ai
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, p. 403).
li offerti da Virgilio. La citazione è in realtà tratta dal III libro della Poetica — non dal II, come indica la nota di Cale
a a che fare con la rappresentazione di personaggi esemplari, compito della poesia epica, ma deve far nascere nello spettator
a di un θαυμάζειν che, anziché venire limitato all’interno dei limiti della peripezia, diventava un tratto fondamentale dell’
dramma al quale il poeta affidava il proprio successo. Lo spostamento della tragedia verso l’epica, che aveva prodotto in par
veva prodotto in particolare Pierre Corneille con la sua drammaturgia della meraviglia e dell’ammirazione, comportava il fall
entati, così da raggiungere quella purgazione in cui constava l’utile della tragedia. Sarà inoltre utile notare come l’imposi
perazione teorico-letteraria di Crescimbeni, il quale, nella Bellezza della volgar poesia, postulava un ibridismo che procede
mio «Generi e stili in Arcadia: lo statuto del lirico ne La Bellezza della Volgar Poesia di Crescimbeni», Seicento e Settece
con i suoi drammi eroici, aveva profondamente frainteso il vero senso della poesia tragica, Racine si era guardato dal calare
fondamento del genere tragico non poteva essere apprezzata da un uomo della mentalità e della cultura di Calepio. L’eccessiva
ere tragico non poteva essere apprezzata da un uomo della mentalità e della cultura di Calepio. L’eccessiva brillantezza dei
bblico meno degna di compassione, guastando quell’utile che è proprio della tragedia. Al confronto viene ritenuta migliore la
propri eroi. Egli quindi loda la risoluzione con la quale l’Antiocus della Rodogune veniva conservato innocente fino alla fi
non finita, il Seleuco, dimostra di riprendere chiaramente il modello della Rodogune, e di ispirarsi, per il suo protagonista
l carattere di Séleucus, figlio giusto di una madre degenere. Il tema della fedeltà alla storia nello sviluppo dei soggetti t
mile e non sul vero e che aveva un carattere universale, a differenza della storia che trattava del particolare (1451b 5-10).
questo passaggio veniva messo a confronto con una successiva postilla della Poetica, apparentemente in conflitto con il brano
rmis la seule vérité», ivi, p. 45). Questa ossessione per il rispetto della storia si riflette nella drammaturgia dell’epoca:
rno a questo punto è molto acceso, e uno dei documenti più importanti della polemica è senz’altro costituito dalla lettera di
per quanto ella mi scrive, ch’essendo stati particolarizzati i mezzi della morte di Mustafà da Natale Conti, e d’alcun’altro
stessi mezzi, con che altri ne scrissero la storia, l’opera mancando della favola, diverrà storia, e non poema, e se quelli
ibile tanto necessario al poeta, scoprendosi a un tratto falsificator della storia. Dico adunque che per dare a questo dubbio
-Molozay, site IdT — Les Idées du théâtre). Un’altra difesa rilevante della possibilità da parte dei poeti di alterare il rac
68 [Amsterdam, Bernard, 1715, t. I, p. 58]). Talora le rivendicazioni della libertà dei drammaturghi sono anche accompagnate
, 1660, pp. 110-112). Ciò nondimeno la preoccupazione per il rispetto della verità storica nei drammi è destinata a protrarsi
risimili le Poetiche finzioni, la via sicura è quella di fingere fuor della Storia, e della Fama. Cioè aggiungere alla Verità
iche finzioni, la via sicura è quella di fingere fuor della Storia, e della Fama. Cioè aggiungere alla Verità, non corrompere
ontro di lui, viene addolcito dal drammaturgo, spinto dall’osservanza della Poetica di Aristotele a figurare un protagonista
de l’Ecriture Sainte, Amsterdam, Roger, 1703, p. n.n.). La questione della possibilità di mettere in scena tragedie il cui s
qualche libertà al drammaturgo che intendesse avventurarsi nel campo della tragedia di argomento sacro, Corneille aveva da p
oltre una filiera di testi che costituirà in qualche modo l’archetipo della tragedia sacra e che verrà, almeno in parte, punt
gedia Crescimbeni dedicasse molto spazio all’inizio del sesto dialogo della sua Bellezza della volgar poesia. Nel dialogo il
edicasse molto spazio all’inizio del sesto dialogo della sua Bellezza della volgar poesia. Nel dialogo il Custode d’Arcadia,
9-303), sosteneva che il Buchanan avesse alterato diverse circostanze della storia sacra da cui traeva la favola; ad esempio
e la morte, corsero due mesi» (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 104). A
ne in questione. Il Bergamasco, che al contrario apprezza il rispetto della storia sacra con cui Racine ha trattato la favola
oi strali anche contro il De Partu Virginis di Sannazaro, oggetto già della critica di Scaligero, il quale screditava la comm
aro, «dal vil servizio de i Numi vani del Gentilesimo venire al culto della vera Divinità» (Gian Vincenzo Gravina, «Della rag
a in questi termini, riproponendo il divieto di partirsi dal racconto della storia sacra nelle favole bibliche: «Di essi [deg
i angeli], e di tutti generalmente i Numi celesti, e delle cose tutte della Cristiana Religion nostra non si poeterà giammai,
nza alcuna dubitazione Iacopo Sannazzaro, allora quando nel suo Parto della Vergine finse che l’ArcAngelo Gabriele, per disce
rar con gli occhi potesse» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, vol. I, Bologna, Pisarri,
-106. [5.2.11] In chiusura di articolo l’autore ritorna sul problema della rappresentabilità dei caratteri malvagi, ma affro
di Menelao dell’Oreste di Euripide (1454a 29). Questo difetto, tipico della drammaturgia di Corneille, che aveva bisogno di m
nte in competizione con il Cato di Addison (1712) — la prima edizione della tragedia era accompagnata da un Parallèle des deu
Cato ad opera di Anton Maria Salvini (1725), e il rifacimento tedesco della tragedia ad opera di Johann Christoph Gottsched (
nor de La Fosse per Pirro», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
. 54-65. Articolo III. [5.3.1] Calepio ritorna sulla questione della qualità del protagonista che aveva già affrontato
ne di Ludovico Domenichi, nella quale la protagonista, per vendicarsi della violenza perpetrata dal marito ai danni della sor
gonista, per vendicarsi della violenza perpetrata dal marito ai danni della sorella Filomela, uccide il proprio figlio Iti pe
a di accusare falsamente l’amato, una volta rifiutata. Il personaggio della Nutrice, solitamente impiegato come un aiutante m
né che accantoni il suo proposito di vendetta: agli accorati consigli della nutrice («Non vi lasciate trasportar da l’ira/ ch
era in questo senso la struttura portante dell’Ippolito di Euripide e della Fedra di Seneca, in cui era Fedra, e non la nutri
o a un crimine ancora peggiore. Egli censura in sostanza il prototipo della tragedia di vendetta, al quale si ricollegano i d
ia del Martelli. Nella Progne la protagonista si vendica dello stupro della sorella perpetrato dal marito uccidendone il figl
per conquistare il potere sono puniti da Lucio Tarquinio, discendente della stirpe detronizzata, e da Tullia, con un brutale
rtello è una tragedia di vendetta imperniata sulle tormentate vicende della corte ottomana, nella quale le ambizioni politich
rte ottomana, nella quale le ambizioni politiche e le rivalse amorose della Sultana causano la morte della coppia di amanti i
bizioni politiche e le rivalse amorose della Sultana causano la morte della coppia di amanti innocenti, Perselide e Zeanghire
i Martello, adombrare una sorta di conclusione lieta per una tragedia della specie delle «tragichissime», con nove personaggi
risultare, secondo Calepio, dannosa per il pubblico e per l’economia della pièce, qualora questi ultimi non vengano adeguata
ziose, guardisi in primo luogo, che le medesime non sieno più proprie della Commedia, che della Tragedia, come è nel Procolo
rimo luogo, che le medesime non sieno più proprie della Commedia, che della Tragedia, come è nel Procolo di Pier Jacopo Marte
copo Martelli l’Ebreo Avaro. Di poi guardisi di non lasciarle al fine della Tragedia impunite, com’è nell’Ezzelino del Baruff
del Baruffaldi Ansedisio», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
e dalle parole con cui il Crescimbeni, dopo aver statuito il rispetto della convenienza dei costumi («Sarebbe discordante, qu
fallo di poca convenevolezza», Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 166), in
), introduce il concetto di decoro identificandolo come una proprietà della sentenza («Si richiede altresì nella sentenza il
poésie représentative (1635), definendola come un tratto fondamentale della rappresentazione che aveva a che fare non con la
la critica teatrale seicentesca, ed è sulla base del mancato rispetto della bienséance nel personaggio di Chimene, figlia poc
costume», derivato da Castelvetro, riproduce le classiche riflessioni della critica francese, biasimando la tragedia contempo
1971, p. 113). Da segnalare infine, sempre attorno al nodo del decoro della poesia, le Lettere discorsive intorno ad alcuni p
scorsive intorno ad alcuni poetici abusi pregiudizievoli sì al decoro della Religion Cattolica come alla buona Morale Cristia
étiques néo-latines», Camenae, XIII, 2012, pp. 1-15. Sulla centralità della «bienséance» nel programma estetico della tragédi
pp. 1-15. Sulla centralità della «bienséance» nel programma estetico della tragédie classique si veda Jacques Scherer, La Dr
to francese si moltiplicano le censure nei confronti delle infrazioni della «bienséance» commesse dai tragici greci. La Mesna
e cui tragedie gli sembravano fredde e molto carenti sotto il profilo della morale («Ce n’est pas que les Anciens n’aient aus
oderni che gli rimproverano soprattutto la trasgressione delle regole della «bienséance». Esemplificative in questo senso son
vano mosse ad Omero anche in Italia fra Sei e Settecento da letterati della levatura di Alessandro Tassoni e di Lodovico Mura
caratteristiche troppo umane («Altre volte s’è detto, che le Immagini della Fantasia sono sparute, quando le cose, o persone
o nel suo Esame critico, nel tentativo di giustificare la convenienza della rappresentazione degli dei offerta da Omero, cost
Porus», ivi, p. 190). Inoltre, aggiunge, non scorge nel protagonista della tragedia raciniana nulla dell’Alessandro che ci r
vano descritti nella tragedia raciniana, frutto, a detta dell’autore, della perversione di un tempo in cui non c’era passione
anno più infatti i protagonisti delle tragedie di Racine, ma gli eroi della Liberata, come dimostra un passaggio della Manièr
die di Racine, ma gli eroi della Liberata, come dimostra un passaggio della Manière de bien penser di Bouhours («Le Tasse […]
fficoltà, perchè neppure di questo costume han da cercare il ritratto della natura […]. E questo chimerico amore ancora, più
edia di Thomas Corneille del 1678, in cui il protagonista, innamorato della regina Elisabetta, viene messo a morte a seguito
che si succedono sui palcoscenici: se inizialmente prevale il modello della donna illustre, plasmata sugli archetipi descritt
ito vengono messe in scena figure muliebri audaci, esasperate, figlie della tradizione tragica greca, delle Antigoni e delle
del Cinquecento, e particolarmente in corrispondenza con l’affermarsi della cultura controriformistica, dei personaggi negati
pp. 117-162). Nella trattatistica si distingue senz’altro il Discorso della virtù femminile di Torquato Tasso, nel quale si p
rnativo di donna eroica che troverà corrispondenza nella delineazione della nuova figura muliebre della regina seicentesca. N
troverà corrispondenza nella delineazione della nuova figura muliebre della regina seicentesca. Nel Seicento non mancano in e
agedia italiana del Cinquecento, Milano, Unicopli, 2007. Sul Discorso della virtù femminile del Tasso si vedano: Dennis J. Du
9-456; Maria Luisa Doglio, «Il Tasso e le donne. Intorno al “Discorso della virtù feminile e donnesca”», ivi, pp. 505-521). S
a il Bajazet e sulla risposta di Racine si veda l’edizione commentata della «préface» del Bajazet curata da Georges Forestier
resentato in modo troppo galante, secondo un topos ormai tradizionale della critica raciniana. Al contrario, secondo il press
oli Signorelli lodano la bellezza degli intrighi cortigiani peculiari della corte ottomana (Storia critica de’ teatri antichi
ziale certamente contribuiscono, o sia più, o meno antico il soggetto della Tragedia, o richiegga semplicità, o grandezza; qu
738, p. 306). L’accusa di eccesso di galanteria rivolta ai personaggi della tragedia francese — a qualsiasi nazione essi appa
padre Valens, con estrema durezza, rimproverandole di essere la causa della sua infelicità («Triomphez-en dans l’âme, et tâch
t. I, Paris, Caillot, 1730, p. 310). Calepio tocca infine il problema della coerenza dei personaggi e giudica i Francesi in m
to alla mollezza femminile (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. I, Bologna, Pisarri,
uesto frangente considerazioni tradizionali circa il costume semplice della tragedia greca, ma condanna gli autori moderni ch
ne un sistema poetico misto, in grado di recuperare quella semplicità della tragedia antica, ma di ornarla in modo tale da re
che sono palesemente in conflitto con il costume moderno. A supporto della propria tesi il bergamasco cita due auctoritates
ti, Milano, Marzorati, 1973, p. 210). Sulla maestà e sulla semplicità della tragedia greca — elementi ritenuti talvolta posit
a Theresa Dubois, Genève, Droz, 1970, p. 104). Se sul tenore maestoso della tragedia non vi sono pareri dissonanti — il Gorin
). Quanto alla semplicità, altro carattere distintivo per antonomasia della tragedia greca, in grado, secondo Brumoy, di gara
io. Lo stesso Brumoy riconosceva che talora quel «trop de simplicité» della favola greca poteva risultare meno piacevole di u
amente imitato. A tal proposito Giraldi censurava lo stesso passaggio della Sofonisba qui richiamato, in cui Lelio acconsenti
are i lor vizi; come veggiamo aver fatto il Trissino in qualche parte della sua Sofonisba; e specialmente (per non narrarle t
rarle tutte) ove è la contenzione tra Lelio e Massinissa, per cagione della moglie presa da lui, alla qual Catone si trappone
tosto gl’insegnamenti offertici dalla Tragedia. […] Taccio che l’idea della maestà del Romano imperio e lo splendore, e la ma
nersi in quel luogo a ragionar lungamente. Immagini egli, che l’atrio della casa di Giulio Cesare sia simile a quello del Pal
e sottoscrive in pieno — accusandolo di aver privato la figura antica della grandezza che gli era propria («Vedi Appio Claudi
posto da Sofocle; non si confacevano alla dilicatezza ed alla civiltà della gente Italiana, troppo di maestà superiore alla G
ifesa del Costantino», in Id., Il Costantino. Tragedia, con la difesa della medesima, Roma, Andreoli, 16602, pp. 66-67). Sarà
zzazione aristotelica, aveva modificato sostanzialmente la percezione della decorosità di determinate azioni; sebbene si rico
«addolcire» un soggetto così crudo finivano per guastare la bellezza della favola antica («car enfin tous les efforts que fa
ime, Lucca, Cappuri, 1730, p. 267). Secondo il Bergamasco il problema della Tullia è ancora maggiore, in quanto nel racconto
iti sien nell’anticamere,/ e trattan materie più politiche/ di quelle della corte di Tiberio,/ discorsi ordendo che filze ras
odire per tutta la vita la propria verginità, illustrandole i piaceri della vita coniugale per convincerla a sposare Germondo
a pudicizia la qualità principale del sesso femminile, e la posizione della madre, la quale invece esalta le doti della belle
femminile, e la posizione della madre, la quale invece esalta le doti della bellezza femminile, Rusilla arriva a descrivere l
nile, Rusilla arriva a descrivere la nostalgia che lei, vedova, prova della passata vita matrimoniale, ricordando i teneri mo
smondo maestoso nella dipintura degli affetti, ma deplorevole a causa della prolissità delle scene («Stimando egli [il Tasso]
cit., p. 166), abbozzava una riscrittura assai più asciutta in prosa della scena prima dell’atto terzo (cfr. Grazia Distaso,
o, Paris, Barbou, 1728), si limitavano a demolire l’impianto generale della tragedia, senza entrare nel merito di difetti spe
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria della volgar poesia, vol. II, 1, in Id., Dell’istoria d
lla sua Istoria della volgar poesia, vol. II, 1, in Id., Dell’istoria della volgar poesia, vol. II, Venezia, Basegio, 1730, p
ttere tragico scelto con sommo giudizio ottimo per conseguire il fine della tragedia: una fina dipintura delle passioni: un p
 137-138). Nell’Ottocento l’accusa di mancanza di decoro del discorso della Regina viene riproposta dal Paravia: «Comune altr
Prefazione alla Merope del Maffei, inclusa già nell’edizione modenese della tragedia (Modena, Capponi, 1714), in cui, riflett
ena, Capponi, 1714), in cui, riflettendo sulla protagonista femminile della tragedia torelliana, la trovava ben meno vigorosa
ine, ove cade la sua Merope in qualche femminile mollezza; lagnandosi della giusta punizione di Polifonte, quasi altrettanto
lagnandosi della giusta punizione di Polifonte, quasi altrettanto che della ingiusta uccisione del suo primo buon Consorte Cr
letteratura italiana, Venezia, Marsilio, 2004; sulla fortuna tragica della discussione si rimanda a Paola Cosentino, «Tragic
ttati sul comportamento», Italique, IX, 2006, pp. 69-99. Sulla figura della regina madre nel Torrismondo si veda infine Matte
in Scipione Maffei, Teatro Italiano, o sia scelta di tragedie per uso della scena, vol. I, Verona, Vallarsi, 1723, pp. 90-94)
rata un pregio dagli ammiratori di Virgilio. Infine cita un passaggio della Repubblica di Platone in cui il filosofo censurav
biasimandone l’incoerenza (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, I, Bologna, Pisarri, 1739,
olta che farà il Poeta in tale Eroe frequentissimo il pianto, e fuori della proprietà d’uomo dotato di grand’animo; essendo c
di perturbare smodatamente gli altrui animi non assuefatti all’abito della prudenza; così ancora nel pianto dovrà mostrare l
scorsive intorno ad alcuni poetici abusi pregiudizievoli sì al decoro della Religion Cattolica come alla buona Morale Cristia
ora esaminando l’osservanza, da parte dei drammaturghi, del criterio della somiglianza, che consiste nella coerenza del pers
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
nnamorata di Philoctete. Il ritorno dell’eroe provocava il turbamento della regina, ma anche l’ira da parte del popolo, che l
ina, ma anche l’ira da parte del popolo, che lo riteneva responsabile della morte di Laius, al quale si era dimostrato sempre
rrebbe sussumere nel personaggio da lui introdotto le caratteristiche della grandiosa figura dell’Ercole rappresentato da Sen
testuosa inserita dal Voltaire per mettere in discussione la validità della monarchia di diritto divino (Ronald Ridgway, La p
anche Hélène Bilis, la quale insiste sul fatto che Philoctète, erede della memoria del virtuoso Ercole, metta in questione,
’episodio amoroso di Hyppolite e Aricie come inutile allo svolgimento della favola, prendendolo ad esempio per argomentare ch
di Egisto, benché l’eroina nutrisse nei confronti del secondo marito della madre un odio feroce, dettato dal fatto che quest
ato in moltissimi modi differenti, soprattutto nelle svariate riprese della favola di Antigone: introducendo un personaggio i
li autori greci. Al contrario Crébillon, il quale mostrava, nel pieno della battaglia tra Anciens e Modernes, una sensibilità
Itys ed Electre, Calepio rivendica in questo caso la natura “moderna” della sua censura: egli non è mosso, qui come negli alt
stosamente i racconti storici, implica in prima battuta il venir meno della verosimiglianza, concetto che nella sua opera non
a quelle di argomento inventato. Anche Muratori si esprimeva a favore della tragedia tratta dalla storia, in un passo che pro
agedia tratta dalla storia, in un passo che probabilmente è alla base della presa di posizione di Calepio; benché egli avvert
. Maffei, dal canto suo, confermava che il soggetto del Torrismondo e della Dalida erano considerati nel Settecento frutto di
dalla sua introduzione alla tragedia del Tasso («Quanto all’Argomento della Tragedia, l’Autore secondo l’uso de’ buoni Antich
ia era, come dice il Cieco d’Adria di quella, ond’ei cavò l’argomento della sua Dalida: “Scritta nei libri, ch’arsero in Egit
nimenti abbondante alla verisimile, appassionata, ed utile imitazione della Tragedia. Ciò ch’ella aggiunge alla Storia per or
ti dei soggetti inventati era invece il Gorini Corio nel suo Trattato della perfetta tragedia: «L’idea della tragedia non ess
ece il Gorini Corio nel suo Trattato della perfetta tragedia: «L’idea della tragedia non essendo d’insegnarci un’Istoria, ma
a, o favola nota, od invenzione, tutto può egualmente servire al fine della Tragedia, quando abbia il sudetto fondamento del
Storia, ma una pittura si richiede» (Giuseppe Gorini Corio, Trattato della perfetta tragedia, in Id., Teatro tragico e comic
iene particolarmente bella (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
mennone, screditando il figlio di Achille, prova a preservare la vita della schiava Cassandra. D’altro canto Calepio istituis
varie caratteristiche spettanti il costume: a suo parere il rispetto della convenevolezza — dato che interagisce direttament
nsibilità del pubblico settecentesco — deve essere preferito a quello della somiglianza storica. Sotto questo profilo egli si
quanto riportato dalla storia sacra per renderlo in parte meritevole della condanna di Saul. Su questo punto cfr. Paragone V
marcare la premeninza dell’azione rispetto a tutti gli altri elementi della tragedia, aveva scritto che la maggior parte dell
ήθεις con “scostumate” (Alessandro Piccolomini, Annotationi nel libro della Poetica d’Aristotele, Venezia, Guarisco, 1575, pp
hi. Calepio inclina per una lettura più moderata; a suo dire l’autore della Poetica avrebbe soltanto lamentato una generica n
soltanto lamentato una generica noncuranza da parte dei poeti tragici della sua epoca nei confronti della resa attenta dei co
a noncuranza da parte dei poeti tragici della sua epoca nei confronti della resa attenta dei costumi dei personaggi. [5.7.2]
i mira la tragedia settecentesca dopo la rifondazione arcadica consta della capacità del drammaturgo di dispensare ottimi con
lle tragedie greche si allinea per la verità a quelle mosse nel corso della Querelle des Anciens et des Modernes, i cui docum
truire personaggi capaci di appassionare il pubblico; se i personaggi della Sofonisba di Trissino spiccano per la gravità del
esentano la vivacità necessaria, che si incontra invece nei caratteri della tragedia francese del Seicento. A questo giudizio
lezza quell’azione che aveva invece preferito plasmare sull’archetipo della tragedia greca («Ils ne contemplèrent point la na
enziona quindi tutte quelle tragedie in cui è più evidente l’influsso della drammaturgia francese — ad eccezione del Corradin
a diversi interpreti eccellenti, non da ultimo proprio il Crescimbeni della Bellezza della volgar poesia. Se in precedenza il
preti eccellenti, non da ultimo proprio il Crescimbeni della Bellezza della volgar poesia. Se in precedenza il critico lombar
na» delle opere menzionate — quella che appunto si dispiega a livello della macrostruttura narrativa e del costume —, quanto
re dal volgarizzamento dell’esposizione aristotelica circa la qualità della sentenza, distinta in πολιτική e ῥητορική (1450b 
l’invenzione dell’eloquenza cittadinesca addirittura a Solone (Esame della retorica antica e uso della moderna libri VII, vo
cittadinesca addirittura a Solone (Esame della retorica antica e uso della moderna libri VII, vol. II, Verona, Targa, 1739,
poesia rappresentativa occorreva avvalersi, per rispetto al criterio della verosimiglianza, della sentenza «cittadinesca» («
occorreva avvalersi, per rispetto al criterio della verosimiglianza, della sentenza «cittadinesca» («E se ben l’Epico, ed il
profferire senza studiata premeditazione, e quali appunto uscirebbono della nostra bocca, se per avventura ne’ casi loro ci r
5, [2]). Implicitamente l’autore condanna qui non soltanto l’eloquio della Sofonisba, ma quello di tutte le tragedie cinque
ando in parte quel giudizio integralmente positivo che il Maffei dava della tragedia del Trissino nel Teatro Italiano. Il Gra
el Maffei, un giudizio leggermente differente in merito alla sentenza della Sofonisba, condizionato dalle critiche mosse da B
nientemeno che colla traslata locuzione, non perdendo colla grandezza della frase e del numero parte alcuna del naturale, del
o colla grandezza della frase e del numero parte alcuna del naturale, della qual facoltà non è tanto dotata l’italiana favell
toché come rotonda e sonora sia molto più maestosa che l’altre figlie della latina; perciò non è maraviglia se i nostri autor
se non colla traslazione, se avessero questa sospinta oltre le forze della nostra lingua, in vece d’acquistar grandezza, per
rza, 1973, pp. 316-317). In precedenza il carattere umile del dettato della Sofonisba era stato già messo in discussione, e t
ormulano, con Calepio, una condanna più o meno severa alla «sentenza» della Sofonisba, a partire dal Martello, il quale aveva
aperta polemica con il giudizio del Maffei, biasimava lo stile noioso della Sofonisba («La semplicità e la umiltà dello stile
lle «antiche tragedie» italiane è legato all’imprescindibile criterio della verosimiglianza, che aveva assunto, dopo l’afferm
ssione è il contributo di Petrarca e del petrarchismo alla fondazione della lingua tragica cinquecentesca, riproponendo, in f
la lingua tragica cinquecentesca, riproponendo, in fondo, un’apologia della purezza dei generi e degli stili distinti che si
atti l’operazione critica svolta dal custode d’Arcadia nella Bellezza della volgar poesia mirava a legittimare la pervasività
atura teatrale italiana, benché in quel caso gli obiettivi principali della polemica fossero le tragicommedie di Tasso e del
o censura i personaggi delle tragedie cinquecentesche che, al culmine della passione, si sorprendono a petrarcheggiare ricorr
guaggio figurato. Il brano tratto dalla Sofonisba è posto in apertura della tragedia, quando l’eroina eponima, sconsolata per
atori nella Perfetta poesia italiana a modello esemplare del buon uso della «metafora continuata» (Della perfetta poesia ital
cartaginese in preda allo sconforto. L’immagine allegorica del mare e della navigazione, già ampiamente sfruttata nella liric
o estratto dall’Orbecche del Giraldi; in questo caso siamo all’inizio della terza scena del secondo atto, e Oronte, sposo di
econdo atto, e Oronte, sposo di Orbecche, filosofeggia sulle tempeste della vita e sulla maniera di affrontarle tenendo saldo
ste della vita e sulla maniera di affrontarle tenendo saldo il timone della virtù. Calepio, in tutta questa sezione, riprende
citava un’altra allegoria marittima, tesa a rappresentare le insidie della corte, recitata sempre da Oronte («E qui dagli od
a cura di Cristina Montagnani, Roma, Bulzoni, 2005; sul petrarchismo della Sofonisba e in generale della tragedia del Cinque
, Roma, Bulzoni, 2005; sul petrarchismo della Sofonisba e in generale della tragedia del Cinquecento si veda, in questo volum
andare invece a Enrico Zucchi, «Tra pedagogia e secentismo: le radici della fortuna dell’interpretazione allegorica in Arcadi
tica, IX, 2014, pp. 91-112, in cui viene tracciato un profilo storico della fortuna dell’interpretazione allegorica dei testi
aldi, Calepio riprende pure l’Aretino per il medesimo incedere lirico della sua prosa tragica. Il passaggio citato, tratto da
trice, la quale gli comunica che l’Ancilla di Celia, dopo aver saputo della morte della ragazza, uccisa dal fratello, si è su
ale gli comunica che l’Ancilla di Celia, dopo aver saputo della morte della ragazza, uccisa dal fratello, si è suicidata stra
icidata strangolandosi con le sue proprie trecce. Ai patetici accenti della donna fa eco una disquisizione di Publio sulla na
i accenti della donna fa eco una disquisizione di Publio sulla natura della giovinezza, comparata ad un cavallo indocile che,
lui anche Riccoboni aveva elogiato lo stile mai forzatamente enfatico della tragedia del Rucellai (Franco Arato, La storiogra
onoscendo nell’Oreste uno stile più alto e decoroso rispetto a quello della Sofonisba, benché non perfetto («L’autore [dell’O
ente ancora seguì le vestigia de’ Greci», Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, t. VII, Modena, Società tip
, almeno nel progetto letterario crescimbeniano, affidato ai dialoghi della Bellezza della volgar poesia. In quel trattato-ma
ogetto letterario crescimbeniano, affidato ai dialoghi della Bellezza della volgar poesia. In quel trattato-manifesto, il Cus
odi e topoi tipicamente lirici (Giovan Mario Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, pp. 78-103)
come era accaduto per il Gravina, il quale, specialmente dal momento della scissione dell’accademia, nel 1711, aveva condann
iguamente dal Maffei, porterà l’Alfieri a rivoluzionare il linguaggio della tragedia (cfr. Vittore Branca, Alfieri e la ricer
Zanichelli, 1981; Giuseppe Antonio Camerino, Alfieri e il linguaggio della tragedia: verso, stile, topoi, Napoli, Liguori, 2
vo di preservare il raggiungimento del fine che egli reputava proprio della tragedia, ossia suscitare una compassione che ave
che Calepio difendeva. L’autore ribadisce invece un luogo ricorrente della critica tardo-cinquecentesca e seicentesca, che i
ntesca e seicentesca, che individuava nella Canace — proprio in virtù della qualità dello stile — l’antecedente più diretto d
roprio in virtù della qualità dello stile — l’antecedente più diretto della prova tragicomica del Tasso; questo giudizio, esp
ia nell’Aminta suo conseguito Torquato Tasso, quant’egli fu imitatore della Canace», Battista Guarini, Delle lettere […] part
va nell’Aminta suo conseguito Torquato Tasso, quant’egli fu imitatore della Canace. Ho letto e riletto la Canace, né cosa alc
Tragedia trasportata nella sua Pastorale. Ma forse intende il Guarini della leggiadria dello stile; né in questo ancora mi pa
ccia di Torquato Tasso con le Annotazioni d’Egidio Menagio accademico della Crusca, Venezia, Pasquali, 1736, p. 144), porta i
144), porta il Calepio a collocare la tragedia di Speroni nel dominio della pastorale, piuttosto che in quello propriamente t
uttosto che in quello propriamente tragico. Sull’entità delle riprese della Canace nell’Aminta si veda il contributo di Renzo
inta si veda il contributo di Renzo Cremante, «Appunti sulla presenza della Canace di Speroni nell’Aminta di Torquato Tasso»,
-LXXXIX, 2003, pp. 201-213. Sulle polemiche di cui è oggetto lo stile della Canace nel Cinquecento si vedano invece i ricchi
ace nel Cinquecento si vedano invece i ricchi paratesti dell’edizione della tragedia curata da Christina Roaf (Sperone Speron
na, Commissione per i testi di lingua, 1982). [6.2.5] I due passaggi della Canace riportati dal Calepio si situano all’inizi
ingiustificatamente ampolloso e metaforico che privava la confessione della necessaria naturalezza, guastando la verosimiglia
onfessione della necessaria naturalezza, guastando la verosimiglianza della situazione. Un giudizio simile sullo stile della
o la verosimiglianza della situazione. Un giudizio simile sullo stile della Canace, sempre arricchito della solita postilla s
zione. Un giudizio simile sullo stile della Canace, sempre arricchito della solita postilla sulla derivazione della pastorale
lla Canace, sempre arricchito della solita postilla sulla derivazione della pastorale da questo dettato, veniva espresso dal
erezza di quelle celebri pastorali. Ma le forti e perturbate passioni della Canace esigevano stile più grave e la favella del
rturbate passioni della Canace esigevano stile più grave e la favella della natura più che dell’arte manifesta», Pietro Napol
l medesimo profilo e che Calepio aveva già ripreso dal punto di vista della costruzione della favola: la Progne di Lodovico D
e che Calepio aveva già ripreso dal punto di vista della costruzione della favola: la Progne di Lodovico Domenichi, l’Idalba
ano molto al lirico stile» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
Scipione Maffei, Il Teatro Italiano, o sia scelta di tragedie per uso della scena, t. II, Verona, Vallarsi, 1723, p. 227). Su
e conclusioni del Grosser, che definisce in questi termini lo statuto della ricerca retorico-linguistica perpetrata nel Torri
i maggiori letterati del tempo, disponeva, se non una condanna netta della letteratura concettosa seicentesca, caduta sotto
Scipione Maffei, Il Teatro Italiano, o sia scelta di tragedie per uso della scena, t. III, cit., pp. VI-VII). Spesso, se si e
o del Dottori e dei drammaturghi «lirici» che diventeranno i bersagli della critica settecentesca nella Conversazione di Mirt
lle Gemelle Capovane edite dal Maffei, entra probabilmente nel merito della favola piuttosto che dello stile, censurando il f
co Gio. Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua Istoria della volgar poesia, vol. I, Roma, De’ Rossi, 1702, p. 
entemente menzionato nel primo capo come esemplari dal punto di vista della favola (I, 3) a eccezione dell’Achille del Montan
di vista della favola (I, 3) a eccezione dell’Achille del Montanari e della Temisto del Salìo, ma ne aggiunge anche altre, co
ato precocemente insieme ai drammi di Ottoboni, additandolo a modello della tragedia riformata («Il Cardinal Giovanni Delfino
ancora ambiguamente condizionata dall’esperienza poetica concettista della poesia del pieno Seicento, riteneva legittimo ins
sero da spie per lo spettatore, atte a ricordargli la natura fittizia della rappresentazione, per Calepio, immerso in una cul
e chiama in causa, non a caso, una delle immagini più caratterizzanti della cultura barocca, l’Adone ucciso dal cinghiale, am
atto che Seneca venisse preferito ai tragici greci si spiega in virtù della prospettiva di questo passaggio, incentrato sul d
quello sconvenientemente basso del Gravina, imitatore troppo pedestre della favella greca. In particolare viene condannato lo
ue Tragedie cinque, si era attribuito il titolo di primo restauratore della tragedia greca («Con quanta più ragion poi sarà l
de’ lirici, de’ tragici, de’ ditirambici, e d’ogni razza, a dispetto della natura che volle farlo avvocato e non poeta», Giu
hille in prima battuta agli uccellini che aspettano nel nido l’arrivo della madre con del cibo, e poi all’erba che giace ghia
losofiche non poteva essere apprezzato da un così attento esaminatore della prassi scenica, in quanto danneggiavano la tenuta
quanto danneggiavano la tenuta del dramma, minandola sotto l’aspetto della bienséance, e compromettevano l’attenzione dell’u
trato attraverso precetti morali pronunciati dagli attori. Ad esempio della tendenza a infarcire i drammi di simili elementi
a tenuta scenica dei dialoghi drammatici. Sulla fortuna settecentesca della Merope di Torelli si veda Paola Trivero, «La rice
Merope di Torelli si veda Paola Trivero, «La ricezione settecentesca della Merope», in Il debito delle lettere: Pomponio Tor
attiva abitudine oppure una malattia incurabile. Anche questa ricerca della sentenza ad effetto distoglieva i drammaturghi, s
drammaturghi, secondo Calepio, dal raggiungimento del fine originario della tragedia, ossia quello di destare compassione e t
un alto tasso di erudizione; così egli censura l’excursus geografico della Cameriera di Alvida nel Torrismondo che prosegue
no, aveva anticipato il giudizio di Calepio, reputando il personaggio della Cameriera poco utile allo sviluppo del dramma, ta
rodotto all’inizio del dramma e di eliminare gli ultimi quattro versi della battuta poi incriminata dal bergamasco, anche in
Guarini del Pastor Fido, rei di aver fatto intempestivamente sfoggio della propria erudizione in un contesto rappresentativo
ico e all’introduzione di massime didascaliche è anteposta la ricerca della compassione: «La tragedia avvezzando gli uomini a
sentir dispiacere del mal de gli altri, insegna loro la compassione, della qual cosa niente è più giovevole al viver comune,
iù giovevole al viver comune, e civile. E questo è l’insegnar proprio della tragedia; e non il dar precetti, né spiegare la n
ssa in questione la figura di una nutrice dotta, pronta a dare saggio della propria conoscenza delle tecniche della ragion di
e dotta, pronta a dare saggio della propria conoscenza delle tecniche della ragion di stato tessendo un elogio della spregiud
ia conoscenza delle tecniche della ragion di stato tessendo un elogio della spregiudicatezza politica (Annibale Marchese, Il
inque-seicentesche italiane, ritrovandole manchevoli sotto il profilo della convenienza e della verosimiglianza, nonché affet
taliane, ritrovandole manchevoli sotto il profilo della convenienza e della verosimiglianza, nonché affette da sistematici pr
i vista stilistico rispetto ai drammi seicenteschi italiani, in virtù della dizione asciutta e maestosa, seppure non del tutt
egli ornamenti ambiziosi tanto condannati da Orazio; nulla aggiungerò della versificazione affettata e molto lontana dalla no
l fatto che i Francesi non avessero il medesimo divario fra la lingua della prosa e la lingua della poesia che caratterizzava
on avessero il medesimo divario fra la lingua della prosa e la lingua della poesia che caratterizzava invece l’italiano, come
d’Ariste et d’Eugène (1671), in cui veniva argomentata la superiorità della lingua francese, quanto della Manière de bien pen
n cui veniva argomentata la superiorità della lingua francese, quanto della Manière de bien penser dans les ouvrages d’esprit
vrages d’esprit (1687), nella quale si esaltava la maggior perfezione della letteratura francese, specie su quella italiana.
a italiana. Al Bouhours, che celebrava la semplicità e la naturalezza della lingua francese (cfr. l’edizione moderna, con i r
003), facevano eco nel tardo Seicento anche alcuni esponenti italiani della Compagnia di Gesù, in particolar modo il padre Ca
alla natura dell’azione che doveva essere aristotelicamente al centro della favola tragica («Enfin le Lieu qui sert à ses Rep
azioni sopra la Rodoguna, pur annunciando che non si sarebbe occupato della sentenza della tragedia di Corneille, ammetteva c
Rodoguna, pur annunciando che non si sarebbe occupato della sentenza della tragedia di Corneille, ammetteva che le poesie fr
e concludeva con un giudizio impietoso sull’artificiosità romanzesca della tragedia francese («L’aver introdotte nel nostro
nzesco, e che chi ad esse si avvezza, perde il senso alla espressione della natura, e del vero, e a quanto ha di più eccellen
ai più naturali», Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia», O
are il Pompée, ritrovandolo particolarmente difettoso sotto l’aspetto della convenienza, in quanto Corneille introduce immagi
ui Achorée giunge in modo concitato da Cléopâtre per darle la notizia della morte di Pompée (II, 2, vv. 515-518) attraverso u
Cinna, pièce di cui Corneille si era vantato per il mirabile rispetto della verosimiglianza («Ce Poème a tant d’illustres suf
ltare scevro di ogni raffinamento retorico eccessivo, pena la perdita della credibilità («Il me semble qu’il faudrait aussi r
ittura faceta (παιγνήμων) è invece giudicata l’immagine dell’incendio della speranza che caratterizza il discorso dell’innamo
resa Dubois, Genève, Droz, 1970, p. 58). Con Guarini, e col Bonarelli della Filli di Sciro, il Francese si spinge anche oltre
di Sabine, la quale, offrendo il petto ai due — caratteristico topos della drammaturgia eroica corneilliana —, affinché sedi
nel suo vaneggiamento declamatorio, a diventare l’oggetto principale della contesa tra il fratello e l’amante («Pourrai-je t
li a quelle avanzate da Calepio circa la composizione di alcuni brani della sua tragedia, confessava che a suo parere l’ornam
bergamasco ribadisce inoltre il suo pensiero circa l’ascendenza epica della scrittura di Corneille, che imiterebbe impropriam
egnoso del predecessore; egli, instaurando un paragone fra la Jocaste della Thébaïde di Racine e la Sabine dell’Horace di Cor
monologo che apre il quinto atto, dando spazio al dissidio interiore della principessa, divisa fra il richiamo dell’amore ne
a fra il richiamo dell’amore nei confronti di Emone e l’inevitabilità della morte («Oui tu retiens, Amour mon âme fugitive,/
Mithridate viene discusso un verso pronunciato da Arbate nel racconto della morte del Re Xipharès fatto a Monime verso la fin
nel racconto della morte del Re Xipharès fatto a Monime verso la fine della tragedia (V, 4, v. 1604). Nel discorso funesto ch
giocato sul fatto che la morte del sovrano, già stabilita all’inizio della battaglia, tardasse ad arrivare (Jean Racine, Mit
omentazione del bergamasco, condanna tanto questo verso quanto quello della Phèdre che Calepio citerà nel paragrafo successiv
2) —, fatta dire ad Hyppolite in un momento particolarmente delicato della rappresentazione (V, 1, v. 1374), ossia quando l’
re le Grand (IV, 3, v. 1185), sulla bocca di Taxile. Il secondo brano della Phèdre riportato da Calepio è situato invece nel
s, H. Champion, 2002, p. 85). Il de La Motte poi, entrando nel merito della coeva drammaturgia francese, ammetteva che Cornei
ammetteva che Corneille era caduto talvolta in questo errore a causa della troppo ravvicinata imitazione di Lucano — ancora
to solitamente più parco di tali artifici, ad eccezione del passaggio della Phèdre sopra riportato (il de La Motte cita solta
nie che Calepio discute in questo passo sono tratti dalla prima scena della tragedia, nella quale Agamemnon, rivolgendosi ad
i dei e così salpare per Troia. Lo stralcio riportato a testo è parte della seguente allocuzione: «Si ma fille une fois met l
homas Corneille, in cui Elisabeth si incolpa di essere stata la causa della morte del Conte, che pure aveva tentato di salvar
sa della morte del Conte, che pure aveva tentato di salvare nel corso della pièce, e la cui rovina è dovuta soltanto alle tra
de Crébillon. L’effetto vigoroso dell’apostrofe alla personificazione della sorte («Sort! Ne m’as-tu tiré de l’abîme des flot
tragédie, Paris, Ribou, 1709, p. 62) pronunciata da Oreste al culmine della disperazione (V, 7) risulta indebolita dalla rice
l’ornato del suo discorso, chiedendosi chi la vendicherà per la morte della madre, dopo che lui stesso l’aveva vendicata per
additata a cattivo esempio di questa tendenza l’immagine artificiosa della Natura che sforza le montagne di cadaveri a vendi
per attaccare l’Egitto — attraverso una strumentale personificazione della Nazione — alle pompe del suo carro («Seigneur, ne
assi rivedibili continuerà nell’articolo successivo, in cui l’oggetto della critica non sarà più Corneille, ma Racine e gli a
la critica non sarà più Corneille, ma Racine e gli altri drammaturghi della sua generazione e di quella successiva. Artico
(Paragone VI, 2, [10-12]) —, sempre assecondando il criterio sovrano della verosimiglianza. Il «saputello» a cui fa polemica
sostenuto che la poesia tragica doveva adeguarsi al criterio supremo della “semplicità” piuttosto che della verosimiglianza
doveva adeguarsi al criterio supremo della “semplicità” piuttosto che della verosimiglianza e conseguentemente aveva raccoman
la verosimiglianza e conseguentemente aveva raccomandato, a discapito della mimesi di una lingua diastratica, che i discorsi
Rhétorique, ou l’Art de parler, 1675) segnavano di fatto il tramonto della retorica, e contemporaneamente originavano una nu
originavano una nuova estetica dell’«evidenza». Sulla messa in crisi della «rhétorique classique» nel tardo Seicento frances
e mossegli dal de La Motte — rivendicando la legittimità dell’impiego della personificazione all’interno del contesto drammat
t. V, Lyon, Lions, 1711, p. 51); la medesima figura, in cui l’oggetto della personificazione non è l’odio ma il furore, impie
gran lunga più criticato — nella Polyxène, laddove impiega l’immagine della gloria che arrossisce di fronte all’offerta di fu
ziando le carenze dello stile raciniano, nel quale non mancano tracce della ripresa di un lessico poetico sclerotizzato, incl
na battuta di Mithridate rivolta a Monime in cui riaffiora l’immagine della corona («Jusqu’ici la Fortune, et la Victoire mêm
d, 1999, p. 664); alcuni riferimenti tradizionali all’alloro, simbolo della gloria per antonomasia, che vengono chiamati in c
ca» dello stile francese, per il Maffei essi costituirebbero la prova della scarsa poeticità della lingua francese, in cui la
e, per il Maffei essi costituirebbero la prova della scarsa poeticità della lingua francese, in cui la poesia non può di molt
er troppo poetico, dove si è sempre creduto, che il principal difetto della Poesia Francese sia il non aver lingua Poetica, n
iar dalla prosa», Scipione Maffei, «Recensione a P. Calepio, Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia», i
ressato al trattato di Calepio, fornendone un lungo esame all’interno della rivista Réflexions sur les ouvrages de littératur
dall’Institut des Sciences de l’Homme di Lione con la collaborazione della Voltaire Foundation). Granet, nel suo articolo, c
ompagnie des Libraires Associés, 1747, p. 58); altre personificazioni della fiamma si trovano ne La Mort d’Achille di Thomas
ché, autore di un Absalon già criticato nel Paragone sotto il profilo della favola (Paragone III, 3, [9]); il traslato in que
III, 3, [9]); il traslato in questione contempla la personificazione della vittoria che cammina davanti ai nemici degli Isra
ttavia il brano voltairiano si può forse accostare ad alcuni passaggi della canzone XXII («Et io, da che comincia la bella al
Calepio passa a criticare l’impiego di allegorie e apostrofi, tipiche della lingua tragica francese sei-settecentesca, autori
sibilità estetica medio-seicentesca ad avallare una simile concezione della retorica poetica; a questa teorizzazione concorre
re all’allegoria —, in cui si trovava invece il principale «agrément» della poesia («C’est d’un scrupule vain s’alarmer sotte
l Conti, elogi dell’allegoria e dell’uso — pur “utilmente” — figurato della letteratura (cfr. in proposito il mio «Tra pedago
tura (cfr. in proposito il mio «Tra pedagogia e secentismo: le radici della fortuna dell’interpretazione allegorica in Arcadi
Crébillon (1707), tragedia che ritiene molto difettosa anche a causa della vicinanza stilistica al modello corneilliano, rec
da Plisthène nel monologo che apre il quinto atto, momento culminante della catastrofe sanguinolenta che Crébillon mette in s
, si rivolge ai tristi presagi che le preconizzano l’imminente rovina della famiglia degli Atridi: «Tristes pressentimens, qu
fe alla vana pietà (ivi, III, 7, p. 37). Sullo stile troppo elaborato della tragedia di Crébillon si era soffermato anche Vol
Foundation, 2001, p. 299). [6.6.4] Nella prima scena del quinto atto della Thébaide di Racine Antigone entra in scena da sol
in scena da sola per recitare un monologo disperato in cui si lamenta della tragica sorte che l’ha privata della madre e dei
logo disperato in cui si lamenta della tragica sorte che l’ha privata della madre e dei fratelli; Calepio condanna l’apostrof
ragico. Articolo VII. [6.7.1] Calepio passa quindi a discutere della perifrasi, altra figura che a suo modo di vedere
asi, altra figura che a suo modo di vedere priva la scrittura tragica della verosimiglianza necessaria, largamente presente n
co dei drammaturghi francesi del Seicento. Fra i maggiori sostenitori della perifrasi vi era senza dubbio il Boileau, il qual
perifrasi si rendeva poi necessaria a colmare una carenza intrinseca della lingua poetica francese, ossia la scarsezza dei t
luire impetuoso delle passioni diminuisce il tasso di verosimiglianza della rappresentazione. Fatta questa premessa, egli rav
rappresentazione. Fatta questa premessa, egli ravvisa un uso positivo della circonlocuzione nella Phèdre di Racine, quando En
diritto queste circonlocuzioni che privavano il dettato drammaturgico della dovuta concisione. A tal proposito egli riporta s
dovuta concisione. A tal proposito egli riporta subito un altro passo della Phèdre, in cui Œnone introduce una lunga perifras
ancora una volta col de La Motte che, a proposito dello stesso passo della Phèdre, commentava: «On ne reconnoît pas à ce dis
molto ampia e si era combattuta in gran parte sul campo di battaglia della Querelle des Anciens et des Modernes, dividendo i
ontato la questione degli epiteti, richiamando un luogo di Aristotele della Retorica in cui il filosofo concedeva soltanto ai
4, vv. 877-878). Anche nel secondo segmento, tratto dalla prima scena della tragedia, e nello specifico da una battuta di Abn
porta l’intero passo di seguito, per mostrare come nel Della storia e della ragione d’ogni poesia l’autore dia corpo ad una s
e, dove i Poeti favellano» (Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
fra la tragedia italiana e quella francese, ossia l’annosa questione della versificazione, al quale il Bergamasco deputa una
nzionata la soluzione adottata dal Gratarolo nell’Altea, che constava della successione di endecasillabi sdruccioli. Sarà mol
Padova, Esedra, 2005, pp. 123-168. Sullo statuto metrico e stilistico della tragedia italiana tra il Cinque e il Settecento s
lio storico-linguistico, di Antonio Sorella, «La tragedia», in Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro
italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, vol. I. I luoghi della codificazione, Torino, Einaudi, 1993, pp. 751-792
ico, spesso insoddisfacente, in quanto versi brevi e sonori — a causa della necessità di porre gli accenti all’interno di sed
ta da un principio classicistico, come mostra Paola Luciani, parlando della «difficile messa a punto di un linguaggio drammat
 da una forte carica polemica nei confronti del modello drammaturgico della pastorale (cfr. Enrico Zucchi, «“Or che sta sotto
ti dialoghi, nonché l’intera stesura dei Cori. Gravina, da ammiratore della metrica latina, elogiava la qualità dello sdrucci
orecchio, che dallo sdrucciolo raccoglie, con suo piacere il suono, e della mente, che dal medesimo sdrucciolo, quand’è di ri
ltima cade: senza distinguere il corso rapido che nasce dalla brevità della penultima d’una medesima parola, dalla caduta che
assi e comici i versi sdruccioli. Anche il Crescimbeni nella Bellezza della volgar poesia considerava lo sdrucciolo un verso
siderava lo sdrucciolo un verso comico, benché consigliasse l’impiego della prosa per la commedia, approvando il modello del
vando il modello del Bibiena (Giovan Mario Cres c imbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, De’ Rossi, 1712, p. 126); Ca
reci ed a’ Latini tra la commedia e la tragedia, quanto a’ versi (che della materia ora non parlo) quantunque siano tutti jam
lta; la qual cosa espresse molto bene Monsignore il Bembo nelle prose della volgar lingua», Giambattista Giraldi Cinzio, «Giu
di una metrica ibrida, parzialmente volta a recuperare alcuni accenti della prosodia greca, è riuscito molto meglio al Lazzar
i quali si distingueva soprattutto il Maffei, combattivo sostenitore della superiorità dell’endecasillabo sciolto italiano a
agico. Insoddisfatto dell’endecasillabo sciolto, ritenuto più tedioso della prosa, perplesso circa la possibilità di impiegar
iamente rimati, in quanto richiamavano troppo da vicino la leggerezza della pastorale, il Martello si era deciso a ritrovare
Egli inoltre assume una posizione originale circa l’impiego dell’uso della rima; se questa era stata tradizionalmente condan
giudica invece positivamente, convinto del fatto che, sempre in virtù della lunghezza del verso, una rima che torna dopo dodi
ibliografia aggiornata sull’opera gozziana). Sulla ricezione francese della caricatura gozziana, interessante tra l’altro anc
lle et l’Enea di messer Lodovico Dolce. Dove egli tessendo l’historia della Iliade di Homero a quella dell’Eneide di Vergilio
imperfetta in quanto, proprio a causa del fatto che la conformazione della lingua italiana lo costringeva ad impiegare lungh
, «L’“Apologia di Sofocle” di P. de’ Conti Calepio», Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX, 427, 1962, pp. 392-
ade d’Homere traduite en François, Paris, Brunet, 1709), protagonista della Querelle des Anciens et des Modernes, spinta a vo
mente diretti all’operazione culturale, filologica e translinguistica della Dacier i seguenti contributi: Giovanni Saverio Sa
critico transalpino asseriva infatti che la lunghezza sovrabbondante della traduzione rispetto al testo di partenza non foss
Per suffragare la propria tesi, l’abate francese richiamava l’esempio della traduzione in latino del Panégyrique du Roy in on
ia e Svizzera nel primo Settecento che aveva avuto luogo nelle pagine della rivista ginevrina Bibliothèque Italique, periodic
ra italiana contemporanea e che ospiterà anche la traduzione annotata della Descrizione de’ costumi italiani del Bergamasco.
lla Descrizione de’ costumi italiani del Bergamasco. Nel secondo tomo della «Bibliothèque» veniva pubblicata la traduzione, c
la traduzione, corredata dalle note di Gabriel Seigneux de Correvon, della seconda parte del Discorso de’ migliori poeti ita
aliani pronunciato da Scipione Maffei in occasione dell’inaugurazione della colonia arcadica veronese e stampata nel volume d
rose, Venezia, Coleti, 1719, pp. 132-137). In questo abregé di storia della letteratura, il veronese, rimodulando in chiave d
ica il medesimo canone che aveva proposto il Crescimbeni nell’Istoria della volgar poesia (cfr. a proposito Franco Arato, La
, contenuta nel Della tragedia antica e moderna, circa la superiorità della tragedia italiana a quella francese. Secondo il S
nese in questo passaggio, accusandolo di zelo eccessivo nei confronti della patria — proprio il Maffei, che era stato accusat
facente a generi più nobili, come quello tragico, adducendo a riprova della validità delle proprie tesi il trattato Del verso
). Sull’operazione culturale, assai rilevante, svolta dalla redazione della Bibliothèque Italique, nonché sull’eclettica figu
rancesi nel poema eroico documenterebbero di conseguenza l’incapacità della loro lingua di sostenere la nobiltà che l’epopea
uttata dal francese — ossia citare uno straniero che loda le bellezze della lingua altrui —, il Bergamasco richiama l’introdu
nel volgere i versi omerici in francese consisteva nell’inadeguatezza della lingua d’arrivo («Toutes les difficultez que j’ai
mêlange» omerico di vigore ed eleganza, su cui si fondava gran parte della bellezza del poema: «Mais cette composition mêlée
utez qui éclatent dans cette Poësie» (ivi, p. xliii). Questa condanna della limitatezza espressiva del francese si inseriva a
dernes, che rispondevano piccati alla Dacier esaltando l’«exactitude» della lingua francese, Calepio rinfacciava la scarsa es
del latino — che permettevano di arricchire le possibilità espressive della lingua; i Francesi, non avendo diminutivi, erano
e, ha pubblicata contra suo volere per molto povera la sua in paragon della nostra; scoprendo a chi nol sapea, che i Franzesi
cese citava poi, per comprovare il proprio ragionamento, il passaggio della Gerusalemme liberata (XX, 55, vv. 2-8) riportato
pportuno gli sembra l’esempio tratto dal Tasso; il compito principale della poesia è infatti quello di giovare dilettando, no
co non è che accessorio. Inoltre, a suo parere, la bellezza dei versi della Liberata non sarebbe dipendente dall’arditezza de
llo poetico, in quanto nasce dalla puntualità e dalla verosimiglianza della descrizione. L’autore torna quindi sull’impiego —
strumentale — delle parole del Martello circa la presunta superiorità della lingua tragica francese a quella italiana fatta d
francese del Discorso de’ migliori poeti italiani pubblicata sui tomi della Bibliothèque Italique. Se a partire dall’asserzio
drammaturghi italiani più rappresentativi riconoscesse la preminenza della tragedia francese («Quanto nelle poesie liriche,
uramente preferibile al primo, ma non del tutto soddisfacente a causa della «noiosa armonia» che produce —, in favore di un m
oporzione, a differenza di quanto accadeva nei due contrari prototipi della Canace, in cui largheggiavano i settenari, e dell
contrari prototipi della Canace, in cui largheggiavano i settenari, e della Sofonisba, in cui abbondavano gli endecasillabi.
sdrucciolo però è superiore all’endecasillabo di armonia, per cagion della penultima breve: la quale succedendo all’antipenu
oni letterarie il veronese opponeva al Calepio l’eccessiva musicalità della soluzione mista, più conveniente al dramma per mu
e del fatto che un verso breve come il settenario riduceva la gravità della dizione tragica («Tornando a metri, antepone [il
tro Calepio, «Giunte postume attinenti al Paragone», in Id., Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, e
spesso ne aveva parafrasato le opinioni; l’autore del Della storia e della ragione d’ogni poesia riporta infatti il pensiero
natura de’ gravi discorsi», Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, Milano, Agnelli,
cissero molto migliori se private dell’eccessivo ornamento retorico e della prolissità che le caratterizzavano (cfr. Pier Jac
lti dal verso alla prosa, ma in virtù del processo di semplificazione della lingua poetica. [7.3.3] Nelle anonime Réflexions
rta, settima e decima, cfr. Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. I, Bologna, Pisarri,
secondo Calepio, la seconda parte si riduce ad essere una ripetizione della prima, creando un effetto di tediosità nell’ascol
). Calepio richiama quindi l’opinione del Nisiely, il quale, parziale della versificazione della Canace, giustificava l’uso d
uindi l’opinione del Nisiely, il quale, parziale della versificazione della Canace, giustificava l’uso dei metri più brevi su
loro tragedie («Qui i letterati riprendono i troppi versi non interi [ della Canace], come poco dicevoli allo stile tragico; i
sottolineava ad esempio Gian Vincenzo Gravina, risalendo alle origini della rima nelle lingue romanze, nel passaggio della Ra
risalendo alle origini della rima nelle lingue romanze, nel passaggio della Ragion Poetica a cui allude Calepio in questa sed
ni latine convennero all’estinzion del metro antico ed alla produzion della rima. Vi concorsero l’ignoranza della natura, poi
metro antico ed alla produzion della rima. Vi concorsero l’ignoranza della natura, poiché il commercio dei Goti e dei Vandal
recchio e sconcertò la pronunzia, in modo che rimase estinto il senso della quantità, di cui gli antichi portavano nella fave
Vi concorse la barbarie dell’artifizio, perché sin dal secondo secolo della nostra redenzione avea la scuola declamatoria dei
rima una maggiore naturalezza rispetto a quello rimato («L’artifizio della rima è troppo lontano dalla natura, perché compar
interno di un tale contesto è comprensibile la parziale rivalutazione della rima proposta dal Muratori, non indifferente ai s
azione della rima proposta dal Muratori, non indifferente ai successi della drammaturgia francese («Si ha ancora a considerar
erne lingue. Si scostano esse, non può negarsi, dal parlare ordinario della gente, e alcune tragedie rimate hanno finora otte
ente addirittura al Trissino, e segnatamente alla lettera dedicatoria della Sofonisba («Quanto poi al non aver per tutto acco
Ricciardi, 1997, pp. 31-32), ma presente anche in molti altri luoghi della teoria drammatica cinquecentesca (cfr. Paola Cose
ortanti osservanti sulle due tragedie criticate da Calepio in ragione della rima, ossia Canace e Sofonisba, è indispensabile
noiosa, Calepio riporta l’opinione di Corneille contenuta nell’esame della sua Andromède. In questo contesto Corneille si in
volta sciolti, parevano più adatti a simulare l’andamento discontinuo della prosa («J’avoue que les vers qu’on récite sur le
ritorna spessissimo in fine di verso. Sulle medesime caratteristiche della lingua francese aveva ragionato anche il Muratori
is, H. Champion, 2003, p. 109). Il Bouhours, nell’esaltare la varietà della lingua francese («Pour les rimes, nostre langue n
orda il Bergamasco, nei paratesti del suo Œdipe criticava la tirannia della rima, che costringeva i poeti a trascurare, in vi
a tirannia della rima, che costringeva i poeti a trascurare, in virtù della ricerca di quest’ultima, ogni altra sorta di bell
ggio, in precedenza condannato da Calepio poiché guastava la bellezza della scena, ricca di passioni forti, con una dizione e
io i le tragedie francesi risultano meno ortodosse dal punto di vista della favola, ma più godibili per lo spettatore, benché
dizio che Calepio esprime in questa sede è dunque nettamente a favore della drammaturgia italiana, i cui frutti più recenti —
riedizione del suo Œdipe, si era fatto opportunisticamente difensore della tragedia classicistica, attaccando le opinioni de
ca a una naturalezza che tuttavia non autorizza a confondere il finto della rappresentazione con il vero della realtà; l’esig
on autorizza a confondere il finto della rappresentazione con il vero della realtà; l’esigenza di infondere alla pratica scen
dopo aver sottolineato ancora una volta la fondamentale ripetitività della scrittura calepiana, sempre tesa a riproporre alc
partire dal 1713, nel quale figuravano diversi articoli e recensioni; della sezione letteraria si occupava per lo più il fran
io è, nello specifico, una lunga discussione, comparsa nel terzo tomo della rivista (gennaio-febbraio 1714), sull’Extrait des
offermarsi, più distesamente di quanto aveva già fatto nel primo tomo della rivista, sulla superiorità della lingua e della l
uanto aveva già fatto nel primo tomo della rivista, sulla superiorità della lingua e della letteratura francese a quella olan
fatto nel primo tomo della rivista, sulla superiorità della lingua e della letteratura francese a quella olandese, di cui ve
. 44-46, mentre una rassegna dei passaggi decisivi per l’affermazione della tragédie en prose, a partire proprio dal dibattit
d circa l’inclinazione del pubblico femminile a godere esclusivamente della rappresentazione degli amori che venivano condann
erazione dell’unità di luogo (Paragone IV, 6, [5-6]), che a proposito della necessità di concentrare l’attenzione del pubblic
epio mostra maggiori perplessità, legate non tanto alla teorizzazione della «multiplicité d’évènements», che veniva rimprover
, ma questa si oppone, pur amando a sua volta il Romano, per rispetto della sua gente e del padre Tatius, feroce nemico di Ro
otto. Il de La Motte giustifica questa girandola di eventi sulla base della regola dell’unità di tempo, impegnandosi a dimost
imola molto l’immaginazione degli astanti. Al contrario, il vantaggio della molteplicità di episodi starebbe nel «promener l’
’occasion de Romulus», cit., p. 602). E ancora, a proposito dell’eroe della pièce, ammetteva, con frasi che finiscono appunto
le statura eccedeva di gran lunga i termini, raccomandati da Calepio, della bontà mezzana e della virtù mediocre; del resto d
gran lunga i termini, raccomandati da Calepio, della bontà mezzana e della virtù mediocre; del resto de La Motte in questo f
-Philippe Grosperrin, il quale arriva a parlare di «embourgeoisement» della tragedia nel descrivere la prospettiva estetica d
stificatamente il gusto del pubblico, mancando l’obiettivo principale della scrittura tragica. [Giunta.4] Ancora una volta,
una volta, in questo paragrafo, Calepio insiste sui principi cardine della propria poetica teatrale, ossia destare nel pubbl
odo il poeta non innesca il meccanismo catartico, disperdendo l’utile della composizione, a cui antepone il divertimento del
na due parodie, l’Arlequin Romulus di Biancolelli, agito dalla troupe della Comédie-Italienne, e il Pierrot Romulus, ou le Ra
rot Romulus, ou le Ravisseur poli di Lesage e Fuzelier, per il teatro della Foire (cfr. Houdar de La Motte, Textes critiques:
alle suppliche di Romolus, disposto a chiedergli in ginocchio la mano della figlia e a concedergli un vantaggioso accordo di
primo luogo afferma che l’ammirazione non è frutto dell’osservazione della virtù, ma della visione di qualcosa di sorprenden
erma che l’ammirazione non è frutto dell’osservazione della virtù, ma della visione di qualcosa di sorprendente, tanto più ch
pi estremamente virtuosi, quanto assolutamente pessimi, come nel caso della Cléopâtre nella Rodogune («Cléopâtre, dans Rodogu
disgraziati, con i quali condividiamo la comune fallibilità («Il fine della vera tragedia non è di dilettare a guisa della ep
fallibilità («Il fine della vera tragedia non è di dilettare a guisa della epopeia colla rassomiglianza di molte cose, ma co
te secondo il mio sentimento da quell’interesse che per la conformità della natura s’assume lo spettatore nelle peripezie de’
ale, a differenza di Corneille, tiene in gran conto l’aspetto “utile” della rappresentazione, tanto più che, qualche riga più
ncora una volta sulla centralità dell’orientamento educativo e morale della tragedia: la messa in scena di personaggi così co
inture, 7e éd., Paris, Pissot, 1770, t. I, p. 447). La sollecitazione della opsis, legata all’aspetto mimetico del genere dra
ici, i drammaturghi non mancano di sottolineare la maggiore efficacia della dimensione visiva su quella puramente oratoria — 
orto come fonte di commozione nel pubblico e di reazione, all’interno della favola, dei personaggi, al lungo elenco di traged
naggi, al lungo elenco di tragedie incentrate, oltre che sul soggetto della «Mort de César» su quelli di Virginia e Lucrezia,
dre, che il padre, re Alphonse, destina a nozze con Constance, figlia della seconda moglie del sovrano. I reiterati rifiuti d
ita di Inès, che nel finale muore avvelenata, sacrificata sull’altare della ragion di stato, proprio quando, alla vista dei n
no sposati in segreto — non sia adatta al teatro e giunge a discutere della «gradation de l’intérêt», raccomandando di infond
spettatori, da mantenere attraverso un progressivo e costante aumento della tensione, senza interruzioni: «Une autre cause du
soggetto degli Orazi e Curiazi, benché reputasse migliore la condotta della tragedia dell’Aretino rispetto a quello di Cornei
otte affrontava una delle questioni maggiormente delicate e originali della sua proposta poetica, ossia l’accreditamento dell
licate e originali della sua proposta poetica, ossia l’accreditamento della scrittura di tragedie in prosa: egli aveva infatt
te fin dal Cinquecento e ruotava attorno ad alcuni specifici passaggi della Poetica; i sostenitori della prosa fondavano la p
ava attorno ad alcuni specifici passaggi della Poetica; i sostenitori della prosa fondavano la propria opinione sul primo par
cui la si faceva: lo Stagirita ne deduceva che l’essenza fondamentale della poesia stava nella mimesis e non nel metro, tanto
uello composto di ritmo e armonia, era una delle sei parti essenziali della tragedia, nella quale alcune parti venivano rifin
anto (1449b 25-30). Aristotele, del resto, nel ricostruire le origini della tragedia, mostrava come il progressivo raffinamen
ammatica (1449a 22-29). Attorno a questo nodo testuale, come ad altri della Logica o dei Problemi, si accende una battaglia e
arte del pubblico; aderenza del verso al dato imitativo, a differenza della prosa, adatta alla messa in forma del reale, e no
a differenza della prosa, adatta alla messa in forma del reale, e non della fictio (Lodovico Castelvetro, Poetica d’Aristotel
parte di Calepio — in realtà limitato al solo elenco dei protagonisti della Querelle — è evidentemente il Nisiely dei Proginn
VI, in cui il Fioretti si scaglia con veemenza contro «alcuni tiranni della Poesia, invigliacchiti dalla fatica» che dichiara
olo Beni, con cui il Padovano non soltanto ribadiva il consueto topos della maggiore verosimiglianza della prosa, ma mostrava
on soltanto ribadiva il consueto topos della maggiore verosimiglianza della prosa, ma mostrava come questa, spoglia degli orp
unta una seconda, più vicina a Calepio, ossia una pagina dell’Istoria della volgar poesia in cui Crescimbeni faceva il punto
nni Battista Filippo Gherardelli (Giovan Mario Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, Roma, Chracas, 1698, p. 386); ques
6); questa stessa pagina sarà poi ampliata dal Fontanini (Bibliotheca della eloquenza italiana, t. I, Venezia, Pasquali, 1753
edra, 2005, pp. 63-104. Utile, seppur datato, in merito allo sviluppo della tragedia in prosa nel Cinquecento, Ferdinando Ner
osserva come le precedenti discussioni in merito all’uso del verso o della prosa in tragedia vertessero principalmente sui p
l verso o della prosa in tragedia vertessero principalmente sui passi della Poetica di Aristotele già accennati (cfr. Giunta.
1), mentre il suo giudizio procederebbe esclusivamente dall’esercizio della ragione rivendicata come criterio-guida del Parag
tro anche in questo caso a Calepio di ribadire un elemento importante della propria poetica, ossia la necessità del linguaggi
erché indi nasce tutto l’orrore e la compassione, il quale è il nervo della favola; et si dee ciò aggrandire con ogni maniera
seduta dell’Académie Française nel 1730, è incentrata sul panegirico della prosa a detrimento delle costrizioni imposte dall
ione critica italiana contemporanea, unanime nel condannare l’impiego della prosa in tragedia. Lo stesso argomento della «mer
nel condannare l’impiego della prosa in tragedia. Lo stesso argomento della «meraviglia» del verso parrebbe riprendere propri
i in verso, portando per forza con esso seco il verso, lo «nalzamento della voce, senza che altri paia sordo o pazzo. Laonde
Laterza, 1973, pp. 542-543). Calepio ammette a sua volta che in nome della verosimiglianza non si può dimenticare il fatto c
nstatato che il meccanismo di finzione che reggeva l’intera struttura della rappresentazione era ben noto agli astanti («Non
a di quell’ornato estrinseco alla posa drammatica e dell’affettazione della rima, il che ovviamente, non implica una rinuncia
, p. 97), e sottoscritte dal Giraldi (cfr. Giunta.12). Sullo sviluppo della discussione in merito al prospetto metrico della
.12). Sullo sviluppo della discussione in merito al prospetto metrico della tragedia e alla capacità dei versi di esprimere g
mologa condanna alla rima in Paragone VII, 4. Tuttavia l’eliminazione della rima non comporta, nella sua poetica, un cediment
La Motte, «Quatrième discours… », cit., p. 679): questo accrescimento della platea dei drammaturghi secondo Calepio avrebbe p
ievi allo svolgimento dell’azione e in particolare nella ripartizione della favola che mette in scena l’episodio tratto dal s
ttenere vendetta, Calepio scorgeva probabilmente il vertice commotivo della rappresentazione, destinata poi nel prosieguo a l
fferma che la presenza dell’autore, intento ad accomodare l’andamento della favola per potenziare l’effetto patetico si scorg
tati sono quelli di Antiochus, in cui si dice preoccupato per la fuga della favorita Antigone con Misaël (Antoine Houdar de L
e il drammaturgo aveva provveduto, nel Discours preposto all’edizione della pièce, a difendersi da tale rimprovero, affermand
one del paragrafo — ma taccia l’autore francese di non essere esperto della filosofia amorosa; a suo dire infatti, l’amore di
iglianza da parte di Calepio è diretto in questo caso ad un passaggio della scena seconda del secondo atto, quando Tatius, a
gédie, tome II, Paris, Dupuis, 1730, p. 146). Neppure la preparazione della scena dirimente, nel dialogo fra i traditori Proc
Champion, 2002, pp. 623-629). Da parte sua, pur riconoscendo i meriti della tragedia, imperniata su di una protagonista estre
vo e distoglierebbe l’attenzione del pubblico dalle vicende patetiche della protagonista. [Giunta.23] Un altro personaggio s
gio secondario dell’Inès a cui è riservato troppo spazio, a discapito della protagonista, sarebbe Constance, figlia della reg
ppo spazio, a discapito della protagonista, sarebbe Constance, figlia della regina e destinata a sposare Dom Pèdre, ma rifiut
, 8; IV, 7-8; V, 1). Calepio registra poi delle pecche nella condotta della favola, ancora una volta macchinosa in certi pass
Béatrice Guion, Paris, H. Champion, 2002, p. 669). Un altro problema della favola del de La Motte starebbe, secondo Calepio,
ati dal Francese, contra historiam, come troppo benigni nei confronti della memoria del padre. 1. Una prima riscoperta d
i nei confronti della memoria del padre. 1. Una prima riscoperta della figura di Calepio e del Paragone aveva luogo nel
dmer (Rinaldo Boldini, Gian Giacomo Bodmer e Pietro Calepio. Incontro della «Scuola svizzera» con il pensiero estetico italia
olo «La risposta del Calepio alle Riflessioni del Maffei sul Paragone della poesia tragica», La Rassegna della letteratura it
iflessioni del Maffei sul Paragone della poesia tragica», La Rassegna della letteratura italiana, LXXVI (1972), 1, pp. 53-70;
le per la definizione di questa relazione, ma in genere per la storia della critica teatrale settecentesca è il volume Scipio
ata ai gusti del pubblico teatrale; quello di Enrico Mattioda (Teorie della tragedia nel Settecento, Modena, Mucchi, 1994, in
iche ed estetiche del Paragone e delle Lettere al Bodmer nel contesto della teoria drammaturgica europea del Settecento; quel
to, fino ad allora completamente trascurato, fra Calepio e i classici della tragedia francese del Seicento (Le passioni evide
do delle risorse straordinarie e dell’ambiente di lavoro insuperabile della Bibliothèque Nationale de France e delle altre bi
Scattola, Dalla virtù alla scienza: la fondazione e la trasformazione della scienza politica nell’età moderna, Milano, Franco
iscono il loro ambito di comunicazione ovvero la comunità all’interno della quale operano perché i loro componenti si riconos
bibliothek Zürich, Ms. Bodmer 39.26. Ringrazio vivamente il personale della biblioteca, ed in particolare il dott. Rainer Wal
0. Nella Poetica, parte 3, particella 15. 31. Discorso I. 32. Esame della Teodora. 33. Discorso II. 34. Discorso II. 35.
lessandro, atto 2, scena 5. 42. Discorsi Poetici. 43. Nel Trattato della Tragedia. 44. Nella tragedia di Lodevico Martell
la Tragedia. 44. Nella tragedia di Lodevico Martelli. 45. Nel libro della Repubblica, dialogo 10. 46. Favola 251. 47. Lib
le naturali espressioni necessaria alla tragedia per la conservazione della sua dignità, per non avere avvertito ch’ella dipe
so. 133. Dissertation sur l’Iliade. 134. Nel tomo 2. 135. In fine della Dissertazione sopra l’Iliade. 136. Canto 20, sta
30 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo quarto »
Capitolo quarto Origine della musica profana. Stranieri venuti in Italia ad ill
cra ebbe la sua origine, ed accrescimento in Italia, non così avvenne della profana. La religione e il desiderio di render vi
verno de’ loro sovrani, e alla galanteria, e il lusso di alcune corti della Francia meridionale diedero origine a certe tribù
loro moglie e dai loro figliuoli, a imitazione degli antichi Rapsodi della Grecia, o (ciò che sembra più verosimile) come un
o che sempre hanno avuto i poeti , ovunque la poesia non è il veicolo della morale né lo strumento della legislazione, ma un
eti , ovunque la poesia non è il veicolo della morale né lo strumento della legislazione, ma un passatempo ozioso, che non co
ero merito, e che avvezzi a non pregiare altro fuorché le distinzioni della fortuna, riguardano l’uomo di talento come un pap
liosi per sistema non conoscevano altro merito al mondo se non quello della nobiltà, né altro mestiere fuorché la guerra. Sen
entata dagli usi politici per nasconder agli occhi loro il sentimento della propria dipendenza, non poteano far a meno di non
n amore, i quali noi credevamo non potersi trovare fuorché nei secoli della corruzione. Testimon ne sia la crudele massima en
i, ove insieme colla maniera loro di poetare e colle prime rozze idee della drammatica e del ballo in azione introdussero anc
sque, lyrisque sonant haec» apparisce, che gli Italiani facevano uso della musica strumentale profana fin dai tempi della fa
Italiani facevano uso della musica strumentale profana fin dai tempi della famosa Contessa Matilde. Ma la gloria d’avere i p
i primi adoperata. [5] Cade non per tanto da se medesima l’asserzione della massima parte degli scrittori francesi, i quali d
influenza letteraria e scientifica di que’ conquistatori sul restante della Europa sia stata con gran corredo d’erudizione da
te io non mi crederei in istato di poterne cavar conseguenza in favor della prima. Rispetto alla musica, l’Italia nel suo Gui
vesser gli arabi in cotai cangiamenti. Rispetto alla poesia, l’indole della provenzale tutta fievole e cascante di vezzi è ta
la, di Mirza, de’ sultani, delle sultane o dei califfi non mai. L’uso della rima, la tessitura de’ versi, la proporzione fra
o la comunicazion vicendevole; se il genio che riscaldò gli abitatori della fervida Arabia, presso ai quali la vita umana si
la fervida Arabia, presso ai quali la vita umana si chiamava l’«istmo della eternità»; dove la candidezza di un seno sprigion
ato dal carcere, dove lo nasconde il pudore, si paragonava al chiaror della luna, allorché per metà si mostra fuori dalle nuv
o d’una bella quando sospira alla fragranza aromatica, che dai boschi della Idumea schiude il vento Imperador dei deserti, l’
zioni europee si trova la ragion sufficiente dell’origine e progressi della musica e della poesia moderna, io dimando perdono
i trova la ragion sufficiente dell’origine e progressi della musica e della poesia moderna, io dimando perdono ai fautori deg
suo cerimoniale amatorio. Il poeta dovea sortire per accidente fuori della città, dovea per accidente scontrarsi in un amabi
i loro sintomi amorosi come i piloti presentano al capitano il diario della navigazione. La delicatezza non per tanto che sco
i giuochi dell’ingegno, non la spontaneità, né la verace espressione della natura. [9] D’un genere non molto diverso era la
ento e perfezione di quel genere di poesia, converrà dire che il ramo della ragione poetica coltivata dai provenzali, indi tr
che ne dicano in contrario gli idolatri dell’antichità, e gli armenti della filosofia che si pascolano negli orti d’Epicuro,
ezza licenziosa che dalla corte papale d’Avignone e dalle altre città della Francia, erasi rapidamente propagata pell’Italia,
a general corruttela avea tarpate le ali dell’entusiasmo, come quelle della virtù; perché la poesia fu riguardata soltanto co
due arti il vantaggio che sarebbe stato facile il ricavare in favore della religione, mal potendosi eccitar l’entusiasmo rel
aliani d’allora non potevano eccitar né l’uno né l’altro per l’indole della loro lingua troppo fiacca per inalzarsi alla subl
a sublimità de’ Greci e degli orientali, e per le circostanze altresì della loro nazione troppo divisa perché lo spirito di p
o se un Orfeo fosse venuto colla lira in mano in mezzo agli abitatori della moderna Roma per richiamare al loro spirito le sp
unziando non per tanto alla speranza di trovar in quei tempi l’unione della musica e della poesia diretta al gran fine legisl
r tanto alla speranza di trovar in quei tempi l’unione della musica e della poesia diretta al gran fine legislativo e politic
i armoniosi e gradevoli. L’allegrezza dunque e l’amore, gemelli figli della fisica sensibilità, dovettero essere le primitive
figli della fisica sensibilità, dovettero essere le primitive cagioni della unione di codeste arti gentili. Così i più antich
mente si scorge essere stati cotai componimenti un prodotto piuttosto della imitazione, che una libera ed espontanea emanazio
tivo dei primi giorni di maggio, tempo in cui per celebrar il ritorno della primavera erano soliti gli amanti a piantare in f
due strofi, affinchè il lettore avverta di mano in mano ai progressi della poesia musicale: «Trinke got è Malvasia:       
e italiano l’aurora del miglior gusto nella musica, il novello raggio della quale si spiccò da un popolo che faceva professio
muse si ricoverarono nella Italia portando seco i preziosi frammenti della greca letteratura. La prosperità figlia della pac
co i preziosi frammenti della greca letteratura. La prosperità figlia della pace e dell’abbondanza, il desiderio d’ogni sorta
to nel principio d’ogni atto una ottava d’argomento diverso da quello della farsa la quale poi si cantava al suono di lira da
i, non hanno a far altro che consultar la testimonianza irrefragabile della Storia. Potrei citare Filippo di Comines, che lo
anno 1567. «Questi sono (dice, parlando de’ Fiaminghi) i veri maestri della musica, e quelli che l’hanno restaurata e ridotta
i francesi dimoranti allora in Italia si trovano raccolti da Girolamo della Casa, udinese, e proposti per modello d’imitazion
i stromenti. [23] Italiano è pure il Morigi, e interessato nelle lodi della sua patria, del quale però eccone le parole tratt
tria, del quale però eccone le parole tratte dal suo libro assai noto della nobiltà milanese, ove parla di Galeazzo Sforza Du
mese (ch’ora sarebbero più di dugento) posciachè molto si compiaceva della musica, nella quali era intelligentissimo.» 44 Qu
papi, e grande autorità presero nella Cappella Pontificia, i soprani della quale fino a’ tempi di Girolamo Rosini, perugino,
e le inconseguenze. Il temperamento ch’egli propose nel suo trattato della musica divenuto rarissimo, comechè a fiera tenzon
lingua spagnuola l’anno 166947 così per un destino che sembra proprio della nostra nazione, mentre si cerca vanamente in Germ
i tali materie Zarlino, Vincenzo Galilei e Giambattista Doni. Tommaso della Vittoria nativo d’Avila illustrò anch’egli moltis
go Lorenzo, Francesco di Priora, Diego Vazquez di Cuenca, Bartolommeo della corte Aragonese, Antonio Carleval, Girolamo di Na
se, Antonio Carleval, Girolamo di Navarra, Pietro di Montoya, Abraamo della Zerda, e tanti altri che più assai ne troverrebbe
enzo Galilei, e di Giambattista Doni. [25] Fu dunque l’eccedente amor della patria (il più lodevole fra gli eccessi quando no
o dalla giustizia) che mosse il Cavaglier Tiraboschi a dire, parlando della musica, che «agli Italiani del secolo decimosesto
iore assai, che mai non avesse in addietro» 49. Se l’illustre storico della letteratura Italiana, che tant’onore ha recato al
tra essi e gl’Italiani meritevolmente divisa50. [26] Il rinascimento della poesia teatrale e la perfezione ove giunsero le a
d’accrescer lustro e magnificenza alle feste loro si prevalsero a ciò della unione delle tre arti. Allora si sentì sulla scen
incipio erano madrigali cantati a più voci ora allusivi all’argomento della favola, ora di sentimento diverso. Ben presto per
ta del Serpente. Le vicine piante erano abbattute dei replicati colpi della tortuosa coda, e macchiate da livida schiuma all’
del bosco, i quali, credendosi sicuri per non veder il serpente fuori della grotta, cantavano alternativamente al suono de’ v
il pianto nostro.» [29] Finito ch’ebbero il canto, ecco verso l’orlo della caverna il serpente apparire, alla vista del qual
roso Dio! O dio chiaro e Sovrano! Ecco il Serpente rio Spoglia giacer della tua invita mano: Morta è l’orribil fera. Venite a
coltura avesse ringentilito lo spirito. Il risorgimento benché lento della pittura, il commercio che vivifica le arti, onde
conosciuti, e che toccava a lui solo prevalersi del vero e del finto, della natura e dell’arte, degli esseri animati e degli
ri, e cantò a solo una spezie di recitativo che conteneva il racconto della sua avventura con Apolline pastore allora del re
acia in mezzo all’udienza) sulle cime dell’Appenino la morte immatura della mia Euridice. La fama m’ha fatto intendere l’avve
replicati balletti di trionfo al giovine sposo. [35] La seconda parte della festa conteneva uno spettacolo non meno singolare
li d’argento pieni di siffatti uccelli. Dall’altra si vedeva Ebe, Dea della giovinezza, che in preciose bottiglie recava il n
narono con un gran ballo composto di dei marittimi e di tutti i fiumi della Lombardia, che portavano i pesci più squisiti, es
patra vennero fuori per interromperla cantando ciascuna i traviamenti della sua passione, e le seduzioni dell’amore. Sdegnata
re Ulisse Aldrobrandi, che fin dall’anno 1564 si cantasse nel palazzo della nobilissima Casa Bentivoglio un dramma intitolato
della nobilissima Casa Bentivoglio un dramma intitolato l’Incostanza della fortuna. Ma l’autore di questo libricciuolo, il q
erzione. Anche il Brown, inglese, nella sua dissertazione sull’unione della musica e della poesia, citando la storia del teat
il Brown, inglese, nella sua dissertazione sull’unione della musica e della poesia, citando la storia del teatro italiano di
compiaciuto di scrivere intorno a me alla pagina 48 del secondo Tomo della citata opera. A due generi egli riduce le sue acc
revemente questi due punti, e chiedo scusa al dotto e pregiato autore della necessità, in cui mi mette egli stesso di tratten
idursi, come si trovano dalla pagina 299 fino alla 315 del primo Tomo della edizione di Parma nel capitolo duodecimo. I. «I f
fatti. Non una, ma più volte si trova nelle poesie provenzali notizia della storia antica e della greca mitologia. Il nome d’
volte si trova nelle poesie provenzali notizia della storia antica e della greca mitologia. Il nome d’Alessandro il Grande s
acheiras fa menzione altresì di Piramo e Tisbe, Bernardo di Ventadour della lancia d’Achille, e Tibaldo re di Navarra di Eco
li arabi non può non pertanto formare una ragione esclusiva in favore della loro influenza sui provenzali. IV. «Famose sono l
go tempo. Il Brown nel suo bel libro sull’unione, forza e separazione della musica e della poesia racconta nella sezione otta
own nel suo bel libro sull’unione, forza e separazione della musica e della poesia racconta nella sezione ottava, che verso l
di rinforzo, e il numero o ritmo proporzionato all’indole e pronunzia della lingua. VI. «Molti princìpi presso agli arabi seg
nesi, che dovrò citare fra poco, si leggono i versi d’Araldo principe della Norvegia. Il Nicolson nella prefazione alla Bibli
tora composto da uno di essi. Fohi il primo, o tra i primi Imperatori della China fu musico e poeta, e inventò molte cose in
ico-norvego-islandico-scoto-peruviano-chinese. Lo stesso si deve dire della stima, favore e accoglienza, che presso ai signor
i antichi tedeschi Minnesanger, e i peruviani Amautas. Nel primo tomo della storia filosofica e politica di Raynal, si legge,
a e politica di Raynal, si legge, che nel codice antico delle leggi e della religione indiana conservato con tanta gelosia da
di far venire cotal invenzione dalla fiera d’Alocad, o dalle osterie della Granata arabo-ispana. Ma la ragione è chiarissima
sime, da rapporti inadeguati, da relazioni applicabili a cento popoli della terra, e per conseguenza non valevoli per niun po
o perciò il Signor Abbate Andres circa la sua pretesa arabica origine della musica europea? Guido Aretino vide forse i manosc
usico? Furono essi trasportati da Babilonia o da Spagna nel monistero della Pomposa? Quel monaco intendeva la lingua araba? S
rta sarebbe stata la spada d’Alessandro, che avrebbe troncato il nodo della controversia, non la sottile osservazione d’un pi
zi.» Dissi, ed ora lo torno a dire dopo nuovo esame, che il carattere della poesia provenzale massimamente negli argomenti am
li il Signor Abbate inalza la sua fabbrica rovinosa. V. «Nè che l’uso della rima era conosciuto egualmente da normanni, da go
dagli arabi dominatori.» Che da molte nazioni fosse conosciuto l’uso della rima non può negarsi se non da chi voglia negare
quella delle altre poesie armoniche benché accomodata alla pronunzia della propria lingua e con quelle variazioni, che sono
a e con quelle variazioni, che sono comuni ai metri di tutti i popoli della terra. Veramente mi sorprende tal obbiezione in b
re sovra un seggio elevato, e ber la cervogia gioiosamente con le Dee della morte. Le ore della mia vita sono già scorse. Io
levato, e ber la cervogia gioiosamente con le Dee della morte. Le ore della mia vita sono già scorse. Io muoio con un sorriso
fanno sul vero autore de versi aurei di Pitagora, degl’inni d’Orfeo, della batracomiomachia d’Omero, e d’altri simili rottam
nni d’Orfeo, della batracomiomachia d’Omero, e d’altri simili rottami della greca letteratura, non sono una pruova che realme
88 del suo secondo tomo, entra di proposito a spiegate il meccanismo della versificazione settentrionale, ne adduce egli ste
gazione non può a meno di non sorprendere. VIII. «Dove trovar notizie della poesia gotica, che abbiano una qualche certezza?»
della poesia gotica, che abbiano una qualche certezza?» Nei monumenti della mitologia e della poesia dei Celti, e nella Intro
a, che abbiano una qualche certezza?» Nei monumenti della mitologia e della poesia dei Celti, e nella Introduzione alla stori
matica anglosassonica, e mesogotica dello stesso autore, nel trattato della Letteratura Runica d’Olao Wormio, nella dissertaz
nternarsi nella notizia di quei secoli oscuri, né esaminare la storia della musica e della poesia di quella età.» Quanto ho d
notizia di quei secoli oscuri, né esaminare la storia della musica e della poesia di quella età.» Quanto ho detto nel terzo
o ho detto nel terzo e quarto capitolo di questo Tomo circa l’origine della musica sacra e profana in Italia, l’esame fatto d
a materia, quanto esigeva, e forse più di quello che esigeva l’indole della mia opera. Confesserò bensì, che stimandomi, qual
osato addossarmi la più ch’erculea fatica di trattare delle scienze e della letteratura d’ogni età, d’ogni clima e d’ogni naz
esimo pubblico deciderà poi se meglio di me abbia esaminata la storia della musica e della poesia di quella età il Signor Abb
deciderà poi se meglio di me abbia esaminata la storia della musica e della poesia di quella età il Signor Abbate, il quale,
on tanto impegno, e che forma uno dei rami più curiosi e più illustri della loro gloria nelle arti di genio) di darci per ogn
ando su questi validissimi e decisivi argomenti, il grandioso sistema della loro influenza sul resto dell’Europa, come se gli
concludenti ch’egli avrebbe potuto e dovuto fare relative alla natura della gamma degli arabi paragonata colla nostra, alla d
fferenza e divisione de’ tuoni, alle regole del loro canto, al genere della loro melodia, s’eglino conoscessero, o no, il nos
che non coll’europea, non si sarebbe affrettato a farla divenir madre della provenzale, non si sarebbe appagato di fiacchi e
nta dalla provenzale.» Il Signor Abbate è pregato a indicarmi i passi della mia opera, e a citarmi le pagine, dov’io mostro c
i, che oltre l’unica da lui citata indicai alle pagine 146, 147 e 148 della prima edizione, e che si leggono ancora nella pre
apporti applicabili a molti altri popoli, e dal trovarsi nella storia della letteratura europea la ragion sufficiente del nas
che nella metafisica. Chi avesse la brillante imaginazione dell’autor della Enrriade paragonerebbe codesti facitori d’ipotesi
e, che trovo introdotta la musica strumentale in Italia fin dai tempi della Contessa Matilde, cioè più d’un secolo prima dell
alia fin dai tempi della Contessa Matilde, cioè più d’un secolo prima della battaglia di Cortenova, che parlo fin d’allora di
ora di timpani, di cetere, di stive, e di lire, e che alla pagina 150 della prima edizione ne cito in conferma un verso dell’
. [NdA] Lib. 6. c. 36 45. [NdA] Pag. 189. 46. [NdA] Martini, Storia della Musica Tomo I. 47. [NdA] Il libro ha per titolo:
ia della Musica Tomo I. 47. [NdA] Il libro ha per titolo: Arte nueva della musica inventada per San Gregorio, desconsertada
il celebre Monsignor Giovanni Caramuel. 48. [NdA] Saggio Apologetico della letteratura spagnuola ec. Pagina 2 Tomo 2. 49. [
co della letteratura spagnuola ec. Pagina 2 Tomo 2. 49. [NdA] Storia della letteratura italiana Tomo 8, pagina 200, Edizione
prendeva cinque parti. I. Un preludio di guerra. II. Il cominciamento della tenzone. III. La tenzone. IV. Un canto di vittori
lio Polluce. Da simili giostre armoniche ebbe principio la corruttela della musica greca. 52. [NdA] In Nuptiis Ducium Mediol
31 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo nono »
Capitolo nono Secol d’oro della musica italiana. Progressi della melodia. Valenti
Capitolo nono Secol d’oro della musica italiana. Progressi della melodia. Valenti compositori italiani. Scuole cel
o aspetto, perché tosto faccia nascer vaghezza di sé. Ecco il momento della rivoluzione. I poeticominciarono a conoscere che
a in fatti è la sola che fa che la musica divenghi un’arte imitatrice della natura, esprimendo colla varia successione de’ tu
i urli delle Furie e il sorriso delle Grazie, la maestà e il silenzio della notte, o l’allegrezza d’un meriggio rischiarato d
l’allegrezza d’un meriggio rischiarato dal sole. Essa è l’unica parte della musica che cagioni degli effetti morali nel cuor
ittura e la poesia, quella al giudizio degli occhi, e questa a quella della immaginazione. [4] Tutto ciò non può ottenersi da
é può avere una influenza notabile sugli affetti, che è il vero scopo della musica teatrale. Nella stessa maniera che le sole
scopo della musica teatrale. Nella stessa maniera che le sole regole della grammatica faranno bensì un discorso pura e regol
ell’armonia, parte levando a quelli che restano il mezzo più possente della espressione, che è quello di parlar all’anima nos
niun effetto cagionano senza il disegno che è lo spirito vivificante della pittura, così la combinazione de’ suoni nulla gio
de nostri sentimenti rinovellato alla memoria per mezzo del canto, o della sinfonia: ecco l’unica via d’intenerirci, di smuo
e nei diletti, e creato al paro di lui dalla natura per fruir l’aura della vita, e per godere le delizie dell’universo. [5]
nventando il basso continuo, così chiamato perché dura tutto il tempo della composizione, inventò parimenti con siffatto mezz
ttissima à farne spiccar maggiormente le progressioni del movimento e della misura. Con tali preparativi la declamazion music
ramente alle macchine e alle decorazioni badava poco alla dilicatezza della composizione, come perché la poesia dei drammi co
a perdere il suo pregio, anche al lavoro delle note. Ma il vero stile della declamazion musicale si riconobbe più distintamen
ato dal grandissimo ingegno onde avealo fornita la natura, il corifeo della Francia. Lo che egli fece imitando la musica sacr
cui non si conserva la memoria se non per le rovine che ci attestano della strage; laddove quella de’ principi che proteggon
imogenita del bosco, riverita da’ pastori e abitata da’ numi, ai rami della quale appendevano corone di fiori le ninfe, e i c
ia, alle volte genera l’eroismo, ma che divien necessaria in mancanza della virtù per far germogliar i talenti e per sollecit
uali sebben provino, allorché sono eseguiti esattamente, la ricchezza della nostra armonia e l’abilità del maestro, nondimeno
dell’uditore, nel rinforzar il motivo dominante, ovvero sia il canto della parte principale con quello di ciascuna in partic
alla orchestra, e pel patetico di cui abbonda, è lavoro pregiatissimo della musica drammatica. L’ultimo atto della Didone abb
bbonda, è lavoro pregiatissimo della musica drammatica. L’ultimo atto della Didone abbandonata modulato in gran parte da lui
el suo stile, per la verità dell’affetto, per la naturalezza e vigore della espressione, per l’aggiustatezza ed unità del dis
del disegno onde vien meritamente chiamato il Raffaello e il Virgilio della musica. Simile al primo egli non ebbe altra guida
pettata rivoluzione negli orecchi de’ Francesi troppo restii in favor della musica italiana. Niuno meglio di lui ha saputo ot
dato più calore e più vita ai duetti, questa parte così interessante della musica teatrale. Di che possono far fede l’inimit
gacle e di Aristea nell’Olimpiade, e il lo conosco a quegli occhietti della Serva padrona, modelli entrambi di gusto il più p
occorre il farne individualmente menzione. [11] Come al rattiepidirsi della stagione nella primavera, il calore, che penetra
rsi della stagione nella primavera, il calore, che penetra nel centro della terra, va dilatandosi a poco a poco per tutti gli
mentale, la quale non è che una imitazione più o meno vaga e generica della musica vocale, ne prende anche essa l’indole dili
un numero assai discretto di produzioni ci abbia egli lasciate memore della massima di Zeussi: «Dipingo adagio perché dipingo
feriore a lui, allorché spinto da bassa e indegna gelosia si prevalse della grazia in cui si trovava presso alla corte di Fra
suonate a solo, le quali sono la più pregievol raccolta che ci resta della scuola corelliana. Ma i suoi Capricii ripieni di
ripieni di operose stranezze, e inventati soltanto per aver il vanto della difficoltà vinta, non dovranno servir di modello
rà chiara lungo tempo la sua memoria presso agl’intelligenti a motivo della sua perizia nell’imitar lo stile del suo maestro,
tribuissero assai a produrne il total affetto. Partendo dal principio della unità accennata di sopra, conobbero essi che esse
di diversa natura, faceva di mestieri collocar insieme gli strumenti della medesima spezie, acciò si accordassero meglio e c
letani, alla particolar avvedutezza de’ quali ne è debitrice l’Italia della sua superiorità in cotal genere. Insigne pariment
la musica. Veggasi fra le carte del Dizionario di Rousseau la pittura della orchestra di Dresda regolata da lui per molti ann
le, anzi a che gioverebbe la perfezione delle altre parti costitutive della musica, se quella, cui tutte debbono riferirsi, e
orsi per fine. La più compita, poiché imitando immediatamente i tuoni della umana favella, gli elementi stessi, onde si forma
possibili la più gradita al cuor dell’uomo sarà in ogni tempo quella della propria sensibilità e delle proprie affezioni. La
e, nella scorza dell’uomo; il canto penetra fin nell’anima, l’avverte della sua esistenza, ne risveglia la sua attività, e ne
pinge le sue modificazioni più intime. Quelle sono come il Pimmalione della favola allorché ritrae dal marmo la statua di Gal
contribuì a rinforzar vieppiù l’espressione, non già facendo strazio della poesia, come nel secolo passato, né aggirandosi i
uogo sui tuoni trattenuti, ove il richieda la espression del dolore o della tristezza, scorrendo poi leggiermente sugli altri
quelli abbellimenti soltanto, che necessari sono alla vaghezza e brio della voce senz’adoperarli tuttavia con prodigalità nuo
trio di chi la possiede fecondo per lo più di capricci, ma all’indole della natura e della passione, nell’accomodar la prosod
possiede fecondo per lo più di capricci, ma all’indole della natura e della passione, nell’accomodar la prosodia della lingua
all’indole della natura e della passione, nell’accomodar la prosodia della lingua coll’accento musicale in maniera che vi si
sia possibile l’interesse, l’illusione, e il diletto, que’ gran fonti della teatrale magia. [17] Secondo lo spirito dell’espo
esco Peli, come Genova quella di Giovanni Paita, l’Orfeo e il Batillo della Liguria. Venezia oltre gli oratori destinati con
della Liguria. Venezia oltre gli oratori destinati con gran vantaggio della musica alla educazione de’ cantanti ebbe il Gaspa
parini e il Lotti per capiscuole. Roma, dove la particolar esecuzione della musica sacra avea da lungo tempo introdotta la ne
ratellevole amicizia cogli altri uomini valenti nell’arte del suono e della composizione, comunicavansi a vicenda i lor senti
costume che avevano, siccome riferisce il Buontempi illustre allievo della scuola romana, di condurre a spasso i loro discep
e andasse ogni giorno al lido del mare affine di emendare la balbuzie della sua lingua col suono de’ ripercossi flutti, gli e
Seicento furono Napoli e Bologna. La prima cotanto rinomata ne’ fasti della moderna musica ebbe una folla di maestri, e di sc
l Rousseau, che fa menzione di lui nel suo Dizionario, dice in pruova della sua abilità: «che egli saliva e discendeva in un
ata. A Firenze dov’era stato chiamato, uscì lunghi per ben tre miglia della città numeroso stuolo di dame e di cavalieri a ri
ze. Il suo raro merito invece di renderlo «il caposcuola, e il Marini della moderna licenza», come a torto il chiama il Conte
a’ tempi nostri posseduto con eminenza l’accento musicale, erano pure della stessa scuola. [21] Di lungo tedio e di niun giov
tta e vivacemente sonora, ad un portamento di persona simile a quello della Giunone d’Omero seppe unire possesso grande della
ona simile a quello della Giunone d’Omero seppe unire possesso grande della scena, azione mirabile, espressione sorprendente
alla indigenza, e nol rimetteva in sentiero. Quest’opera dell’amore e della generosità merita d’essere registrata ne’ fasti p
d’ammirazione che m’ispira la tua memoria. Sì, tu vivrai negli annali della filosofia insieme col tuo illustre amico e protet
l’impuri vapori che s’innalzano sulla superficie delle paludi, i nomi della Bulgarini, e di Metastasio brilleranno fra i post
usto dell’antica Atene; la Tesi fu premiata coll’acquisto dell’ordine della Fedeltà e Costanza in Danimarca, e così via disco
no, suppone un uso quotidiano del teatro, una gran cognizione critica della storia, uno studio filosofico, analizzato e profo
ssise sul carro di Minerva ad illeggiadrire colla sua venustà le rive della Senna e dello Scaldi. [24] Se non che non si dee
improverare di aver voluto adombrar il vero, o recar onta alle glorie della loro patria. L’uno si è il signor conte Benvenuto
colti degli opuscoli di Milano 92 così si esprime, esponendo lo stato della musica, allorché Tartini cominciò a spuntare qual
ca, allorché Tartini cominciò a spuntare qual astro novello sul cielo della Italia: «Dominava ancora tra gli scrittori quel b
he alla gravità dell’antica musica ha saputo unir così bene le grazie della moderna, compose ancora una saporitissima critica
uasi sempre più erudito che filosofo; ma questa volta è una eccezione della regola. 87. [NdA] Morì di trentatré anni. Alcuni
ti ogni credenza, egli è tuttavia certo che Pergolesi fu il bersaglio della invidia, e che sembra essersi avverata nella sua
, che gli toccò in sorte simile alla Santippe di Socrate: invaghitosi della quale in Padova avea egli disgustatosi il genitor
32 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » p. 540
Cagliero Emilia. Fu splendido ornamento della Compagnia di Giovanni Toselli, e una delle più ge
anissima, quando più le arrideva la gloria, per entrare nel santuario della famiglia. Non saprei far meglio che trascrivere i
sempre all’ allegria, alla risata argentina, al buon umore : al tempo della primiticcia compagnia dialettale di Giovanni Tose
ionava addirittura. Il suo ruolo era quello, non di prima importanza, della servetta. Ma che servetta ! che servetta ! ! Rico
ena, esercitava già su di me e di tutto il pubblico lo stesso fascino della grande artista italiana. Bastava vederla e sentir
ella cara ingenuità constituivano il più grande e più prezioso merito della Cagliero. E questo bel tipo di artista vera, fors
le tavole del palcoscenico. La sua rapida apparizione dinanzi ai lumi della ribalta è stata come una meteora luminosa che col
sarebbe certo stato proferito con lode e ammirazione accanto a quelli della Tessero e della Pezzana, e di altre che, stelle f
ato proferito con lode e ammirazione accanto a quelli della Tessero e della Pezzana, e di altre che, stelle fulgidissime, han
33 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 474-476
stavo Modena, fatta di elementi giovani, non viziati da eroi o eroine della scena. Giuseppe Costetti ne traccia il seguente r
a pelle bianca che è particolare alle bionde, accoglieva in sè i tipi della bellezza nordica e della meridionale. La bocca pi
icolare alle bionde, accoglieva in sè i tipi della bellezza nordica e della meridionale. La bocca piccina e le labbra di quel
mazione, quasi gelose custodi dello smalto, meravigliosamente bianco, della dentatura. Non ho, naturalmente, conosciuta giov
del '72 e del '73 ; e, sebben trascurata negli abbigliamenti e curva della persona, serbava ancor quasi intatte alcune delle
rillante. Dopo un triennio, formò Compagnia col caratterista Astolfi, della quale eran primo attore Giuseppe Peracchi, e bril
sse per lei Cuore ed Arte, e io stesso l’ho sentita nell’ultimo tempo della sua vita artistica, recitare con passione fervida
ita artistica, recitare con passione fervida la figura alta e poetica della Gabbriella di Teschen. A proposito del suo dar
ta che avendo ella baciato veramente Paolo nella famosa scena d’amore della Francesca di Pellico a' Fiorentini di Napoli, int
34 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo secondo — Capitolo decimo »
Capitolo decimo Miglioramento della poesia lirico drammatica, Quinaut in Francia prec
ramento della poesia lirico drammatica, Quinaut in Francia precursore della riforma. Celebri poeti fino a Metastasio. Avanzam
recursore della riforma. Celebri poeti fino a Metastasio. Avanzamenti della prospettiva. [1] La Francia, che avea in parte c
ivo musicale, contribuì non meno col proprio esempio al miglioramento della poesia drammatica. Dal tempo in cui s’introdusse
mponesse opere nella propria lingua, Cambert, primo direttor francese della orchestra drammatica, e Sourdiac, primo macchinis
nere di poesia sene dovesse compiacere, come infatti sene compiacque, della triviale e plebea rappresentazione della Pomona,
ome infatti sene compiacque, della triviale e plebea rappresentazione della Pomona, ove si parlava a lungo di pomi e di carci
i generi di poesia. Il suo divisamento divenne utilissimo alla gloria della Francia, poiché con questo mezzo si vide il parna
tro, che si chiamava opera, gli diè quella regolarità e quella forma, della quale niuno l’avrebbe dreduto capace. Il sistema
quella forma, della quale niuno l’avrebbe dreduto capace. Il sistema della mitologia e delle fate, sorgente perenne di delir
teatro italiano che sul francese acquistò fra le sue mani del vigore, della forza e dell’ordine. E Medea, Arcabona, Armida, M
e prime scene dell’Iside un esempio mirabile allorché Ierace si lagna della ninfa Io: «Vous juriez autrefois que cette onde
d’un amante, la certezza, cioè, d’essere stata l’involontaria cagione della morte della sua amata? Leggansi nell’atto quinto
la certezza, cioè, d’essere stata l’involontaria cagione della morte della sua amata? Leggansi nell’atto quinto dell’Attide
l’ha uguagliato, quando egli ha voluto, nella sublimità e nella forza della espressione. Sentasi in qual guisa parla un coro
tandosi i begl’ingegni d’Italia, ben presto porsero mano alla riforma della poesia. Appena s’incominciò a capire che il vero,
iglie inventate unicamente per sorprender l’immaginazione in mancanza della natura. Gli dei e i diavoli furono sbanditi dal t
le fughe, le contrafughe, i doppi, i rovesci, e tali altri riempitivi della musica. Le pitture nobili, le forti passioni, i c
oncisione e l’interesse che partoriscono la commozione, erano l’anima della poesia musicale, e che la lentezza, la monotonia,
gli fece avvertire che l’aria, essendo quasi l’epifonema o l’epilogo della passione, non dovea collocarsi sul principio, o t
’incominciare d’un dialogo si vedesse di già il personaggio nel colmo della passione per rientrar poi immediatamente nello st
dello spettatore. Restò bensì sbandita, siccome era da prima, l’unità della scena; unità la quale allorché divien rigorosa ri
ò che oltrepassa l’accennata regola è contrario egualmente ai dettami della natura, e a quelli dell’arte. Per la stessa ragio
tto del melodramma. Siffatta usanza era incompatibile colle mutazioni della scena, e vi voleva appunto tutta la corruzione de
a che saltava agli occhi e di approfittarsi vieppiù delle squisitezze della musica, le quali spiccano molto più nella monodia
un coro. Riserbandosi poi questo per alcune occasioni, dove la verità della storia o la pompa dello spettacolo o l’ingresso d
via nella carriera del gusto allorché sanno dirci appuntino il giorno della nascita e della morte, il numero e il titolo dell
ra del gusto allorché sanno dirci appuntino il giorno della nascita e della morte, il numero e il titolo delle opere di tanti
che quest’autore fosse il primo a volgere di tristo in lieto il fine della favola, ma il vero si è che l’usanza di finir lie
tica in Italia quanto il dramma stesso. Io l’ho fatto vedere parlando della Euridice del Rinuccini, e l’ho trovata costanteme
per questo, ma per essere stato uno de’ primi a purgar il melodramma della mescolanza ridicola di serio e di buffonesco, deg
atro lirico. Tra le molte imprese a cui porse mano con gran vantaggio della sua nazione, una fu quella di migliorare il dramm
ti costumi ond’esso veniva macchiato, e ovunque trovò nel vasto campo della storia, nella quale era versatissimo, esempi lumi
della storia, nella quale era versatissimo, esempi luminosi o d’amor della patria, o di brama virtuosa di gloria, o di costa
ico con cui Daniello annunzia l’ira tremenda dell’altissimo al popolo della Persia in presenza di Amiti. «Guai, Amiti, agl’i
te,         Dirà il dio d’Israel; né sia chi sorga,         Dal lampo della spada,         Che strisciare su voi farà il mio
to                         Dio la sua voce:                         E della terra                         L’estremo lito     
nza che passerebbe tra amena e frondosa valle veduta al languido lume della luna e questa stessa rischiarata da’ raggi del so
ro sia la maniera di veder le scene per angolo, condussero la scienza della illusione al sommo cui possa arrivare. Come il gr
ve che corrono al punto di mezzo, che sono, per così dire, il termine della potenza visiva e della immaginativa, fu lo stesso
di mezzo, che sono, per così dire, il termine della potenza visiva e della immaginativa, fu lo stesso che aprire una carrier
do Bibbiena bolognese, che grandissimo nome s’acquistò dentro e fuori della sua patria, e che venne meritamente chiamato il P
35 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 301-303
Bastona Marta. Figlia della precedente. Prima ancora del rimpasto della compa
Bastona Marta. Figlia della precedente. Prima ancora del rimpasto della compagnia che doveva avvenire in quaresima del ’3
opere (Ediz. Pasquali) : …. il cambiamento più rimarcabile fu quello della Bastona madre nella Bastona figlia, moglie di Gir
pagnia – scrive Goldoni – era salita in maggior credito per la novità della Bastona…. E il maggio del 1743, morta la Baccheri
E il maggio del 1743, morta la Baccherini a Genova, ella s’impossessò della parte della Donna di garbo, ed ebbe la soddisfazi
del 1743, morta la Baccherini a Genova, ella s’impossessò della parte della Donna di garbo, ed ebbe la soddisfazione di recit
mpre più il suo valore quando ebbe occasione d’esercitarsi con Silvio della Diana, e poi con Antonio Vitalba. Ella era assolu
non interamente matura. Secondo il barone ö Byrn (op. cit.), il nome della Bastona appare la prima volta in Sassonia il 3 ag
ale è detto non trattarsi che di una parodia delle più salienti scene della Didone e Semiramide e altre opere del Metastasio.
lla prosperità del Teatro, in cui è uno schizzo critico sugli artisti della commedia, che il lettore troverà al nome di ciasc
studio del Byrn non è alcun cenno che riguardi la pensione e la morte della Bastona : solo vi si trova un cenno della pension
ardi la pensione e la morte della Bastona : solo vi si trova un cenno della pensione del marito, Gerolamo Focher, nel 1763 ci
Bartoli, era già morta. Il 26 febbraio del 1756, la rappresentazione della Vedova scaltra fu l’ultima dei comici italiani a
36 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo secondo »
Capitolo secondo Ricerche sull’attitudine della lingua italiana per la musica dedotte dalla sua f
ortantissima nella storia dello spirito umano, ma come tutte le altre della metafisica, coperta di nebbia foltissima, ove la
te dal volgo a’ tempi de’ Latini, o se tutto debbasi al corrompimento della romana favella dopo le invasioni de’ barbari. Las
e’ barbari. Lascio finalmente agli altri le liti circa l’introduzione della rima nella poesia moderna, quantunque molte cose
d’ogni altra cosa ha contribuito all’incremento di essa, ai progressi della poesia drammatica, e allo splendore di codesto le
la poesia drammatica, e allo splendore di codesto leggiadrissimo ramo della italiana letteratura. Il che tanto più volentieri
r canale, che si chiama trachea, indi assottigliandosi per la fessura della glottide, e nella cavità della bocca ripercuotend
, indi assottigliandosi per la fessura della glottide, e nella cavità della bocca ripercuotendosi, esce poi dalle labbra form
forma le lettere vocali, e consiste nella maggiore o minore apertura della bocca nel proferir certi suoni, rimanendo le labb
enza toccarsi insieme: dalla qual permanenza ne siegue, che il riposo della voce ne’ detti suoni non meno die gli alzamenti,
, che forma le lettere consonanti, si fa, qualora passando gli organi della bocca dalla loro posizione fissa ad un’altra mome
roposito più ampiamente discorso in un saggio filosofico sull’origine della espressione poetica, e musicale, che da chi scriv
onti maggior numero di vocali, perché facendosi in esse le permanenze della voce, sarà maggiore il numero delle intonazioni,
ù spedito, e corrente, perché ciò contribuisce non meno alla dolcezza della lingua, che all’agevole collocazione delle note.
della lingua, che all’agevole collocazione delle note. [4] Ma i suoni della voce sono incommensurabili, vale a dire, non si d
azioni diverse da quelle del parlar comune induce negli organi fisici della voce? Io lascio volentieri agli altri questa rice
dalla voce pei seguenti caratteri. Primo: per un certo ondeggiamento della laringe, ovvero sia della sommità dell’organo des
aratteri. Primo: per un certo ondeggiamento della laringe, ovvero sia della sommità dell’organo destinato alla respirazione,
diversi tuoni. Secondo: per le oscillazioni reciproche dei ligamenti della glottide, i quali or s’increspano, or si rallenta
cali ne’ diversi toni grave ed acuto. Terzo: per la volontaria dimora della voce nelle rispettive vocali del discorso secondo
rché nascendo cotal difetto da troppo aspra percussione nell’apertura della glottide, siffatto percuotimento nuoce alla nette
a nasale, perché facendosi una risuonanza troppo confusa nella cavità della bocca, e delle narici, il suono s’offusca, e l’ac
la bocca, e delle narici, il suono s’offusca, e l’accento perde molto della sua chiarezza. Debbe altresì esser priva di silla
enisola. né sono molto lontano dal credere, che se di comune consenso della nazione sene facesse una scelta giudiziosa di sif
delle vocali, e per la prestezza nel profferirle atto all’espressione della voluttà: ora la chiarezza e sonorità del romano,
i in contrario Dante, o chiunque sia l’autore dell’antichissimo libro della volgare eloquenza) il genovese, il romagnuolo, il
dando alle parole una certa asprezza e gravità, ora colla inversione della sintassi i della quale parleremo tra poco. Si par
e una certa asprezza e gravità, ora colla inversione della sintassi i della quale parleremo tra poco. Si paragoni colle prece
Tasso: «Chiama gli abitator dell’ombre eterne         Il rauco suon della tartarea tromba,         Treman le spaziose atre
a dell’oggetto, che esprimono: l’una e l’altra dipende dalla prosodia della lingua non meno che dalla cadenza ritmica del per
na distanza tra il piano, e il forte, e tra le variazioni, e le pause della voce. Le lingue e le poesie più perfette sono que
qualità eccellenti, non sono in questa parte paragonabili all’autore della Gerusalemme. Il vivace e pittoresco Signor Abate
eterne» del Tasso non recansi in mezzo a provare la robusta asprezza della lingua italiana tante altre stanze dell’Ariosto r
eucio, l’anapesto e il giambo15. [14] Da ciò ne siegue che la melodia della lingua e del canto italiano è la più viva e sensi
bile di quante si conoscano, perocché traendo questa nobilisima parte della musica da sua origine, e la sua forza dalla imita
ua sarà più abbondevole e varia in questo genere, perché l’imitazione della natura diverrà più perfetta. Che se alcun m’oppon
ssai diverso da quello, e che in questo è riposto il principio ascoso della melodia, io rispondo che l’accento prosodiaco il
o prosodiaco il naturale necessariamente conseguita, poiché le regole della pronunzia nel proferire le sillabe non si sono al
he il dire che la musica strumentale ha fondamenti contrari o diversi della vocale. Ogni lingua dunque, la quale sarà dovizio
ca del recitativo italiano, poiché le moltiplici e variate poggiature della voce cagionate dagli accenti, siccome avvicinano
alianiser, avvicinandola alla declamazione17. [16] Un altro vantaggio della lingua italiana per l’oratoria, la musica e la po
incipali ornamenti. Ma dico bensì che la lingua che avrà il vantaggio della trasposizione farà in uguali circostanze progress
ll’orecchio, poiché mentre il sentimento dei versi è completo, quello della musica, che va poco a poco spiegandosi, non finis
ora rimarrebbe adirsi intorno agli altri pregi dell’italiana favella, della evidenza delle sue frasi imitative, delle quali s
si imitative, delle quali si trovano esempi maravigliosi negl’autori, della ricchezza determini cagionata dal gran numero di
cagionata dal gran numero di dialetti, che sono concorsi a formarla, della sua varietà nata appunto dalla ricchezza e moltip
portuna quelli per lo stile ditirambico, questi per l’anacreontico, e della pieghevolezza che in lei nasce dal concorso di qu
ti gli oggetti, e come divenghi lo strumento egualmente dallo spirito della fantasia, e degli affetti. Ma assai si è detto on
ale fanno una musica molto sgradevole», quando le principali bellezze della musica italiana nascono appunto da queste: «Che l
etersi dal latino parlare o dal settentrionale, ma dai rottami ancora della lingua italica primitiva anteriore alla latina, e
a Gregorio Sarisberiense, che fioriva verso il 1170. [19] La seconda, della immaginazione pronta e vivace, che tanto influisc
quale fra le molte modificazioni degli organi destinati all’esercizio della parola trova subito quelle, che alla maniera loro
ee per ogni verso cercar d’imitare, e al quale la melodia è debitrice della sua possanza. [20] Un’altra ragione potrebbe addu
a fomentarlo, la tendenza al piacere, che da tai radici germoglia, e della quale la storia italiana ci somministra esempi so
stile, e la poesia. Così fecero Petrarca, e Bocaccio, prime sorgenti della mollezza della loro lingua come Dante fu il primo
esia. Così fecero Petrarca, e Bocaccio, prime sorgenti della mollezza della loro lingua come Dante fu il primo ad aggiugner l
ndo una gioventù frivola e degradata sagrifica alle insidiose tiranne della loro libertà insiem col tempo che perde anche i t
rsi applaudire da un pubblico ignorante o avvilito: quando i capricci della moda, della quale seggono esse giudici inappellab
re da un pubblico ignorante o avvilito: quando i capricci della moda, della quale seggono esse giudici inappellabili, mescola
e, Tomo 5. p. 44. 14. [NdA] Veggasi L’Origine, progresso e decadenza della musica, di D. Antonio Eximeno, libro 2. capitolo 
d’Ariste et d’Eugénie, Dialogue 2. 19. [NdA] Si permetta all’amore della verità e della patria soggiungere due parole into
Eugénie, Dialogue 2. 19. [NdA] Si permetta all’amore della verità e della patria soggiungere due parole intorno al pregiudi
ione, nel quale si proverebbe ad evidenza: Che la pronunzia gutturale della nostra lingua si riduce a tre sole lettere delle
i, la più ridicolosa genia, che passeggi orgogliosamente sulla faccia della terra. Me felice! Che avrò per compagno nella der
ro, che m’abbia a servire di scudo, contro a codesti feroci proseliti della moda. Parlo del celebre Alambert, nel quale essi
37 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 59
neva recisamente. Venuta al Fondo la Ristori, ed ammalatosi l’amoroso della compagnia, il Majone, dilettante egregio, andò a
ove, mercè gli ammaestramenti del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola, della Pezzana, della Marini, salì a tal
ammaestramenti del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola, della Pezzana, della Marini, salì a tal grado d’arte, c
del Taddei, dell’ Alberti, del Salvini, della Cazzola, della Pezzana, della Marini, salì a tal grado d’arte, che la quaresima
n la madre per Cremona a raggiunger la Compagnia di Alamanno Morelli, della quale egli era il primo attore assoluto. Due anni
arte, due anni di trionfo ! Nella Signora dalle Camelie, nell’ Onore della famiglia, nel Falconiere, nella Suonatrice d’arpa
e aveva soavissima l’indole, che gli traspariva in tutti i lineamenti della faccia. Di forme più tosto erculee, se ben corto
38 (1878) Della declamazione [posth.]
le fonti per ricostruire la messa in scena, pur nella consapevolezza della virtualità di tale ricostruzione. Questo altrove
quella di specchio di un’epoca di transizione, che aveva fatto tesoro della nuova estetica della sensibilità elaborata al tem
un’epoca di transizione, che aveva fatto tesoro della nuova estetica della sensibilità elaborata al tempo dei Lumi, e al con
letterati del periodo da noi preso in esame come ad individui alieni della prassi scenica e dal contatto con gli attori. In
costituiva la fase determinante per giudicare il valore e l’efficacia della propria opera. Una delle ragioni che ha sottratto
eresse che, in sede di studi letterari, viene prestato alla questione della recitazione degli attori e, in ugual misura, allo
sta sede abbiamo deciso di adottare una prospettiva che tenesse conto della natura fluida dell’orizzonte dell’arte attoriale,
le mette in scena le passioni, sul suo ruolo di educatore all’interno della società. L’incolmabile assenza dello spettacolo s
n delle tracce da seguire per ricostruire il macro testo spettacolare della tragedia del tempo. Tuttavia c’è un’altra assenza
are di lacuna, a cui abbiamo dovuto far fronte, ossia l’inconsistenza della bibliografia secondaria inerente al trattato pres
frutto di istanze politiche. È una prassi comune per certi letterati della stagione giacobina e Risorgimentale. Si pensi all
ettivo di mettere in evidenza il suo coinvolgimento nella costruzione della nazione, dagli anni del giacobinismo napoletano f
Studi sul teatro di Francesco Saverio Salfi (2016), che si è occupato della produzione tragica e per il teatro musicale risal
puro svago che aveva finito per assumere. Studi su aspetti specifici della produzione letteraria, filosofica, critica dell’a
in quel periodo. Del rifacimento del Corradino del 1831, con il testo della tragedia in appendice all’articolo, si è occupato
pporti intrattenuti dal Salfi con gli altri letterati e con esponenti della politica dell’epoca si è rivelata la raccolta di
li del trattato sono stati oggetto di un’edizione moderna all’interno della pubblicazione Teatro giacobino (1975), a cura di
la quale vengono raccolti anche il testo de Il general Colli in Roma, della Virginia bresciana, de I Plateesi e delle Norme p
oli in questione sono il primo, che affronta genericamente lo statuto della declamazione, e il XXIII, che tratta del progetto
sité Paris-Sorbonne, sostenuta nel settembre 2017, sotto la direzione della Prof.ssa Beatrice Alfonzetti e del Prof. Andrea F
a stabilire il peso che le riflessioni svolte sul Termometro politico della Lombardia in veste di critico drammatico, e, più
amazione. Successivamente si è voluto delineare un quadro orientativo della querelle tra classici e romantici, argomento di p
lettura del trattato Della declamazione come trasposizione, sul piano della prassi scenica, di quello sviluppo progressivo de
cce lasciate dalla trattatistica attoriale precedente. Tra i fuochi della rivoluzione e la querelle classico-romantica S
tica Salfi accorreva a Milano nel 1796, in seguito all’occupazione della città da parte dei francesi, anche lui, come molt
ne delle masse. Così Matteo Galdi nel Giornale de’ patrioti d’Italia, della cui redazione faceva parte anche Salfi, all’inter
ue bisogna che le rivoluzioni si facciano placidamente e con l’ordine della natura21». Come fa notare Paul Hazard, è con la f
aul Hazard, è con la fondazione di una società drammatica all’interno della sala del collegio Longoni che il teatro repubblic
icoli di critica teatrale scritti da Salfi per il Termometro politico della Lombardia 23 di Carlo Salvador, uno dei giornali
ior diffusione nel periodo giacobino, nato per misurare i cambiamenti della «nuova atmosfera politica, nel cui seno fermenta
. In particolare, a proposito del genere tragico, scrive: «L’oggetto della tragedia è l’interesse politico delle nazioni e q
arte comica in Italia, lamenta l’assenza di attori istruiti nell’arte della declamazione, e sostiene dunque la necessità di c
tri il recensore, sempre identificabile con la figura di Salfi, parla della rappresentazione della Virginia alfieriana svolta
e identificabile con la figura di Salfi, parla della rappresentazione della Virginia alfieriana svoltasi nel Teatro patriotti
ella Virginia alfieriana svoltasi nel Teatro patriottico. L’interesse della critica risiede nell’attenzione prestata alla com
lla critica risiede nell’attenzione prestata alla componente gestuale della declamazione degli interpreti: Pare che gli atto
ove questi potrebbero essere strumentali alla resa dei sentimenti più della parola stessa. Trascurando del tutto l’aspetto te
i fosse più manifestato il contrasto di un giustissimo risentimento e della natural verecondia37! Invece, per quanto riguard
à in germe nell’attività svolta sulle colonne del Termometro politico della Lombardia. In questo senso, la sezione che maggio
getti concreti di organizzazione delle istituzioni operanti nel campo della diffusione dell’arte attoriale. Bisogna tuttavia
ore cosentino di elaborare delle riflessioni sul gesto come sostituto della parola e sulla capacità di impatto che uno spetta
di orrore e di pietà 41». L’attenzione per l’orchestrazione armonica della collettività troverà spazio anche nel capitolo XV
gedia Pausania (1801). In primo luogo, Salfi sottolinea la centralità della messa in scena nella formulazione di un giudizio
di Voltaire nella Zaira48. Salfi si sofferma inoltre sulla questione della versificazione, sottolineando come spesso siano i
rmonia che spesso svela il troppo artificio del versificatore a danno della passione […]49».In tale affermazione sono già in
anno spazio nel capitolo quarto del trattato, che tratta la questione della pronunciazione metrica, e nel quale Salfi sottoli
esso il rimpianto per l’assenza di attenzione nei confronti dell’arte della declamazione in Italia, che non può vantare in qu
o spero di sottomettere al vostro giudizio alcune mie idee sul metodo della censura drammatica, e forse all’occasione che ver
ettacoli, che focalizzassero l’attenzione sull’orizzonte performativo della pièce, ossia sul tono, sul gesto, sui quadri, pot
differenza di altri artisti, non può attingere ad una storia scritta della sua arte, dal momento che essa è effimera e non d
lla sua arte, dal momento che essa è effimera e non dura che il tempo della rappresentazione. In seguito all’occupazione aust
maggio 1814, Salfi riparerà a Napoli, dalla quale fuggirà alla volta della Francia nel 1815, in seguito alla disillusione de
rselle curata da Michaud. Entrerà inoltre nella cerchia dei recensori della Revue encyclopédique del Jullien, alla quale coll
ien, alla quale collaborò a partire dal 1819, occupandosi soprattutto della recensione di opere italiane, sia letterarie, che
masta inedita. Nel 1829 pubblicherà inoltre il Saggio storico-critico della Commedia italiana, premesso all’edizione delle co
ti di un Romanticismo francese ai suoi albori, primo fra tutti quello della Préface de Cromwell (1827) di Victor Hugo. Salfi
attito fornendo le sue opinioni al riguardo all’interno del Ristretto della Storia della Letteratura Italiana (1831)54. Nell’
do le sue opinioni al riguardo all’interno del Ristretto della Storia della Letteratura Italiana (1831)54. Nell’ultima sezion
e rimproverato in primo luogo a questi ultimi il vanto che essi fanno della propria estraneità da ogni regola e dalla dittatu
al non rispetto delle unità drammatiche, che era divenuto il baluardo della nuova scuola romantica, Salfi sostiene essere dan
esso nutriscono l’ignoranza e la vanità, possono nuocere ai progressi della letteratura italiana, e ciò che è peggio ancora,
agl’Italiani58. C’è tuttavia un merito che egli concede come proprio della scuola romantica, ed è quello di riuscire a penet
to genere di tratti caratteristici che si riferiscono al più profondo della natura umana; e che i classici farebbero anche me
0, in cui egli porge i propri saluti a vari frequentatori del circolo della Condorcet, tra cui il Salfi61. Quella cerchia era
Nel 1805 il Manzoni si era già recato a Parigi, dove le nuove teorie della scuola romantica prendevano piede e dove, a parti
so Salfi a curare la recensione del Conte di Carmagnola dalle colonne della Revue Encyclopédique 64. Nonostante egli affermi
5.» L’afflato patriottico, in parte dovuto alla scelta di un soggetto della storia moderna, metteva così d’accordo il classic
il classicista Salfi con il romantico Manzoni. C’è un altro dettaglio della recensione su cui bisogna tuttavia soffermarsi. S
iderazioni due modelli tragici in cui a essere centrale è la passione della gelosia: l’Otello di Shakespeare e Zaïre di Volta
enta, sviene, colpisce, uccide: queste sono tutte espressioni proprie della gelosia, eppure quanto sono infinitamente discord
eggiamo nella medesima espressione il prospetto di tutti gli elementi della passione dalla quale procede, come accade nella g
i. Nonostante entrambi avvinti da una gelosia passionale, lo sviluppo della passione acquisisce tinte differenti nei due dram
otto in francese nel 1814, ad affrontare la questione dei caratteri e della gradazione delle passioni in merito alla drammatu
ur71. Shakespeare non sceglie dunque di prendere le mosse dall’apice della manifestazione passionale, ma preferisce coglierl
e. Anche Madame de Staël nel De l’Allemagne (1813) tocca la questione della costruzione del carattere del personaggio ragiona
ell’effetto di illusione che permette l’immedesimazione. I personaggi della tragedia classica restavano dei tipi, laddove Sha
abbiamo sottolineato, il Wallstein di Benjamin Constant, adattamento della trilogia schilleriana per il teatro francese, con
ne sulla scena si verifichi negli intervalli tra gli atti. La pratica della scena inglese, come di quella tedesca, dimostra c
d inverisimile affatto, tra Grisostomo e tutti i Lettori, a proposito della Sacontala, dramma indiano di Calidasa. L’opera, s
ir ces émotions sympathiques qui vont droit au cœur79. L’adattamento della versione schilleriana dunque, nonostante i tagli
ousie del medesimo autore. Il recensore si esprime così nei confronti della pièce: Il a suivi dans cette pièce, le dessein,
ne sommes pas accoutumés à goûter82; All’interno dello stesso numero della Revue viene recensita la Jeanne d’Arc di Soumet,
. Se Schiller all’interno del suo dramma può sviluppare la psicologia della protagonista attraverso tratti chiaroscurali, dal
lle unità. La restrizione alla scelta di un unico episodio dalla vita della protagonista ne provoca l’appiattimento: «La coul
restando fedeli alle regole classiche. Il Salfi, lettore e redattore della Revue, e probabilmente spettatore di queste pièce
ndoci più nel dettaglio sulle fonti biografiche del Salfi, la notizia della composizione del trattato ci viene fornita in not
ne e il sistema declamatorio degli attori italiani, specie al sorgere della Cisalpina, nella sua Vie politique et littéraire
i, fornendone un piano abbastanza dettagliato e accennando al momento della revisione parigina: «Aggiungerò solo, che questo
ta «Al benevolo lettore», in cui si sottolinea l’importanza dell’arte della declamazione non solo per chi eserciti la profess
uare nella figura del Salfi e nella sua auspicata riforma nell’ambito della declamazione un tentativo simile: quello di impri
“romantico” a un teatro che voleva restasse ancora legato ai vincoli della classicità. Non è un caso che gli impulsi all’inn
lsi all’innovazione vengano concessi proprio nell’ambito performativo della messa in scena, l’aspetto del testo drammatico ch
trattazioni e delle messe in scena che venivano d’Oltralpe, il potere della spettacolarità, o meglio, della visibilità, sul p
na che venivano d’Oltralpe, il potere della spettacolarità, o meglio, della visibilità, sul pubblico, anche Salfi tenta la su
atteggia per la tragedia classicista francese compresa tra il periodo della Restaurazione e l’avvento del dramma romantico, o
sati i fermenti rivoluzionari, occorreva tuttavia ripensare l’assetto della vita teatrale, superando la natura effimera del f
Fabbrichesi, attore veneziano che, dal 1807 al 1814, sarà capocomico della Compagnia Vicereale a Milano, a quel tempo sotto
le scene fino al 1855. L’auspicio era quello di impiantare il modello della Comédie française anche in Italia, con lo scopo d
lsivoglia Musa («ogni Musa mi basta e rauca sia»)93. La cifra giocosa della sua scrittura è in realtà uno schermo che vela un
onversione dell’interlocutore al partito engeliano. Così nell’esordio della Lettera V: A quanto pare la situazione si è riba
scritti a Milano, dove l’autore si era rifugiato in seguito al crollo della repubblica napoletana. Lì aveva ottenuto la catte
cattedra di poesia rappresentativa di Brera ed era divenuto direttore della scuola di declamazione nell’Accademia del Teatro
to a svolgere. Il trattato è diviso in tre sezioni: Basi fondamentali della poesia drammatica, Poetica d’ogni genere drammati
li della poesia drammatica, Poetica d’ogni genere drammatico e Organi della poesia drammatica. Il testo è per lo più orientat
iche, fatta eccezione per la terza sezione, in cui si parla dell’arte della declamazione, nella quale è possibile riscontrare
sempio, dal testo di Engel, in cui si analizzano, seguendo l’impianto della prima fase della Drammaturgia d’Amburgo 101, le p
di Engel, in cui si analizzano, seguendo l’impianto della prima fase della Drammaturgia d’Amburgo 101, le performances degli
D’altronde, l’analisi delle singole performances, nella progettazione della sua utopica istituzione teatrale, spettava a un g
nte, e si situano nell’orizzonte di un’aneddotica abusata all’interno della trattatistica teatrale. Dalla Clairon al Garrick,
el trattato alla pronunciazione visibile può essere letta in funzione della vocazione pedagogica del testo. Come aveva sottol
posizione alla pantomima, era preferibile a un attore mosso dal fuoco della passione. Dal momento che le passioni si manifest
tà, fino a giungere alla poesia, che fungono da propedeutica all’arte della declamazione vera e propria. Nell’ultimo capitolo
gli voleva in questo modo oltrepassare una lacuna intrinseca all’arte della declamazione, ossia l’assenza di una tradizione a
tale inquietudine si è tramutata in certezza, e in cui del passaggio della generazione di attori presa in esame e delle loro
Introduzione: Nell’Introduzione Salfi ripercorre le origini dell’arte della declamazione, rintracciandone l’atto di nascita n
le feste in onore di Bacco. Salfi accenna dunque alla grande stagione della tragedia classica e espone brevemente l’evoluzion
n Italia invece, dopo la partenza di Riccoboni per la Francia, l’arte della declamazione versa in uno stato deplorevole, che
onnotazioni individuali. A questo punto, il focus si sposta sull’arte della declamazione tragica, il cui statuto viene defini
e, che prende in considerazione la posizione dell’accento all’interno della parola e la sua qualità (acuto, grave, circonfles
, grave, circonflesso); — Logica, che segue l’andamento dei periodi e della punteggiatura; — Oratoria, che si modifica con lo
na le posizioni di alcuni autori che avevano sostenuto la superiorità della prosa rispetto al verso nell’ambito della composi
no sostenuto la superiorità della prosa rispetto al verso nell’ambito della composizione tragica (La Motte, Engel, Diderot, C
ngel, Diderot, Ceruti). Si passa poi ad analizzare le caratteristiche della pronunciazione metrica e a sottolineare le diffic
e argomentazioni si appoggiano su esempi concreti, ossia interi passi della Commedia dantesca o di tragedie alfieriane che pe
a sull’espressione patetica, ossia quella che si modifica in funzione della passione, coinvolgendo sia la vocalità che la ges
nuto tale traccia istintuale assumendo toni e ritmi diversi a seconda della natura del sentimento. Si passa poi all’analisi d
gesto, simili a quelle ideate per classificare gli oggetti di studio della Botanica. Salfi polemizza contro una simile propo
di espressione sono delegati a organi differenti. Salfi fa l’esempio della gelosia, frutto di sentimenti contrastanti che si
dell’oggetto amato. Segue la venerazione, che prevede l’abbassamento della postura, in segno di rispetto per l’oggetto amato
ne diretta delle stesse. Questo è reso possibile dalla contemplazione della natura, a cui si sono dedicati artisti quali Leon
Leonardo da Vinci (la fonte è Lomazzo) e Domenico Liveri. Nell’ambito della natura, bisogna saper trascegliere tra i soggetti
al contrario, è possibile rintracciare passioni nuove nei personaggi della modernità. All’artista è inoltre offerta la possi
rescritto agli attori di modulare i propri movimenti secondo le leggi della grazia, piuttosto che orientarli in funzione di u
a grazia, piuttosto che orientarli in funzione di una resa espressiva della passione. Capitolo X: Salfi sottolinea come il c
si rifà poi alle teorie esposte nel Laocoonte di Lessing a proposito della classificazione delle arti in spaziali, ossia le
gere. Salfi sottolinea come tali divieti debbano assecondare il gusto della nazione e dell’epoca, e siano dunque soggetti a m
nel corso del tempo la tragedia si sia andata avvicinando alle forme della commedia, con conseguente desublimazione. L’attor
i. Si prende gioco tuttavia di quegli attori che, infrangendo il muro della finzione, assumevano gli atteggiamenti dei re e d
ione del tono dell’attore tragico, che deve essere distinto da quello della conversazione ordinaria, più adatto alla commedia
porta sulla scena. Se è giusto allontanarsi dall’ampollosità propria della recitazione francese, prima dell’avvento della sc
ll’ampollosità propria della recitazione francese, prima dell’avvento della scuola di Baron, allo stesso modo bisogna condann
ioni, che possono essere di qualità e di quantità. Le prime risentono della natura mista dell’elemento passionale, nel quale
ioni, spesso di carattere contrastante. Le seconde invece sono frutto della progressione che subisce una singola passione. L’
all’altra o da un grado all’altro tramite l’espressione. Nell’ambito della vocalità, è importante che tali progressioni non
ra, che devono saper farsi espressione di un terzo sentimento, frutto della sovrapposizione passeggera tra le due passioni pr
ue parole gli provocano. Non deve perciò precludersi, qualora la resa della passione lo richiedesse, di recitare dando le spa
ndividui. Capitolo XX: Il capitolo è dedicato ai costumi e al decoro della scena. Salfi sottolinea la necessità di restare f
olge, senza seguire l’esempio di chi ha vestito personaggi del mito e della storia antica con le fogge della Francia contempo
chi ha vestito personaggi del mito e della storia antica con le fogge della Francia contemporanea. A questo proposito, esempl
a Francia contemporanea. A questo proposito, esemplari sono le figure della Clairon e di Lekain, che hanno dato avvio alla ri
rattere da rappresentare. Altro punto affrontato nel capitolo, quello della scenografia, che deve anch’essa rispecchiare in m
a disperdere il suono. Capitolo XXI: Salfi si sofferma sullo studio della parte, che si dovrebbe svolgere in tre fasi: lett
geritore, la cui voce in sottofondo crea un effetto di raddoppiamento della parte che rompe ogni illusione. Le difficoltà deg
ttacoli in scena non sarebbe necessario. Viene poi posta la questione della notazione della declamazione, la cui pratica era
non sarebbe necessario. Viene poi posta la questione della notazione della declamazione, la cui pratica era stata raccomanda
tratta dei segnali che lasciano intuire un perfezionamento dell’arte della declamazione. Salfi sottolinea in primo luogo l’a
una scuola pubblica dedicata espressamente all’insegnamento dell’arte della declamazione. Egli passa poi a illustrare quali i
ioni preliminari necessarie all’attore sono le seguenti: — Cognizione della propria lingua, ossia del dialetto toscano nel ca
ore e coincidono con l’iter esposto nel capitolo relativo allo studio della parte. Capitolo XXIV: Nell’ultimo capitolo, Salf
rice che possa monitorare i miglioramenti fatti nell’ambito dell’arte della declamazione. Egli propone così due soluzioni pri
del Della declamazione di Francesco Saverio Salfi riproduce il testo della prima e unica stampa integrale, eseguita nel 1878
amazione teatrale del Laboratorio di Documentazione Storico-Artistica della Scuola Normale Superiore di Pisa, coordinata dall
ifferenti, non essendo stato concepito specificatamente per l’analisi della declamazione tragica. Troviamo infatti una serie
le si accompagnava all’analisi dell’effetto sullo spettatore non solo della tragedia, ma anche della commedia, e a cui fa seg
alisi dell’effetto sullo spettatore non solo della tragedia, ma anche della commedia, e a cui fa seguito lo studio della natu
della tragedia, ma anche della commedia, e a cui fa seguito lo studio della natura di commedia, tragedia, melodramma e pantom
nza di Luciano, al De la littérature di Madame de Staël, alle memorie della Clairon e della Dusmenil, fino a giungere al test
al De la littérature di Madame de Staël, alle memorie della Clairon e della Dusmenil, fino a giungere al testo On the Art of
segni «». Della declamazione Introduzione. Saggio storico della declamazione — Sua origine e sviluppo presso i gr
st’arte. [Intro.1] Comune ufficio delle arti belle è la imitazione della natura; ma in ciò fare ciascuna però si limita al
nei sono quelli che impiega la declamazione, la quale del linguaggio, della voce e del gesto propriamente si vale, noi dobbia
a de’ suoi tempi compreso la forza di questo principîo e l’importanza della sua conseguenza, pose l’uomo al di sopra della sc
incipîo e l’importanza della sua conseguenza, pose l’uomo al di sopra della scimmia, riguardandolo come l’animale imitativo p
tificate, e la sola prima che si distinse e spiegò fu l’arte speciale della declamazione, che, tutte comprendendole da princi
siffatti esempli. [Intro.7] È questo, secondo me, il primo embrione della teatrale declamazione. I primi teatri furono dunq
dunque i templi, e i sacerdoti i primi declamatori, ed anzi i maestri della prima declamazione. Dalle azioni sacre e liturgic
ali tutte le antiche feste civili) si vennero spiegando i primi saggi della declamazione drammatica, la quale di semplice e m
8] Gli effetti maravigliosi che quest’arte produsse nei più bei tempi della Grecia e di Roma, e il gusto e l’interessamento,
vigliosi delle statue greche, sono per noi gli argomenti più luminosi della eccellenza, cui doveva esser giunta la declamazio
vecchio Triasio, che lo dispose e lo confortò a diventare un prodigio della greca eloquenza. Perciò non è da stupire se a tal
upire se a tali principî corrispondessero per l’ordinario gli effetti della teatrale declamazione. La rappresentazione delle
arti, che dagli antichi si esercitavano, siccome riguardo all’armonia della lingua, al tuono della declamazione, al canto o a
si esercitavano, siccome riguardo all’armonia della lingua, al tuono della declamazione, al canto o alle note di questa, all
questa, all’uso delle maschere, alla divisione ed esecuzione sincrona della declamazione, ed al pantomimo dello stesso dramma
otendo tali cose scriversi e tramandarsi alla posterità che col mezzo della tradizione, e questa, trovandosi interrotta, e qu
no, così dall’altro canto nocque non poco all’introduzione e al gusto della vera drammatica e della buona declamazione. La bu
o nocque non poco all’introduzione e al gusto della vera drammatica e della buona declamazione. La buona commedia rinacque in
per apprezzarla. Il XV secolo non ci offre che sacre rappresentazioni della passione di Cristo, e delle vite de’ martiri e de
ti reali dell’arte loro, e quali che siano i difetti delle persone, o della scuola, o della nazione, o del tempo, tutti più o
te loro, e quali che siano i difetti delle persone, o della scuola, o della nazione, o del tempo, tutti più o meno annunziano
’ quali più spiccava il loro talento; ed è questa una pruova evidente della stima dell’arte, e della perfezione del gusto, co
oro talento; ed è questa una pruova evidente della stima dell’arte, e della perfezione del gusto, col quale si apprezza e si
amazione, che gli tien dietro, spazia anch’essa liberamente pei campi della natura, e spesso discende dal sublime e dal grand
o e di nobiltà. La tragedia in Alemagna ha piuttosto seguito il genio della inglese, e per l’ordinario si diletta ancor più d
e. Secondo questi tre modelli si dee distinguere il carattere proprio della loro declamazione. Non è questo il luogo di pronu
e provato Moliere, che fu il maestro di Baron, e quindi il fondatore della buona declamazione francese, ella è rimasta al di
uanta maggiore sarebbe la loro vergogna, se questi doni trascurassero della natura. [Intro.19] È già pur qualche tempo che t
uella forza tragica, che sola può farci sentire e conoscere il pregio della declamazione e del teatro. Lo stesso Alfieri tent
eclamare le sue tragedie, e di promuovere con la sua pratica il gusto della declamazione, dagli ordinari commedianti ignorata
ta. Ed ancorché non ci avesse dato un egual modello in tutti i generi della espressione nel comporle e nel declamarle, pure r
, ma niuno, egli dice, aveva fino a’ suoi tempi trattato propriamente della declamazione oratoria. Ed ecco perché si vedevano
ne particolarmente, comparando i vari modi di espressioni equivalenti della pantomima e della eloquenza. Ma niente abbiamo di
, comparando i vari modi di espressioni equivalenti della pantomima e della eloquenza. Ma niente abbiamo di questa opera, del
ciano alla sola danza o pantomima si limitò, e Cicerone e Quintiliano della sola pronunciazione oratoria intesero ragionare;
e di Dhannetaire, il Corso di declamazione di Larive, le osservazioni della Clairon, della Dumesnil, e il poema sulla declama
e, il Corso di declamazione di Larive, le osservazioni della Clairon, della Dumesnil, e il poema sulla declamazione di Dorat
si può dire, che oramai non vi ha scrittore insigne di belle arti che della declamazione più o meno non ragioni. Di fatti, pi
taliani. A questi io indirizzo particolarmente le mie osservazioni, e della declamazione tragica propriamente intendo ragiona
el senso più generale — Della declamazione in ispecie, e propriamente della tragica. [1.1] Ogni essere della natura, essen
azione in ispecie, e propriamente della tragica. [1.1] Ogni essere della natura, essendo dotato di forza o di facoltà prop
iega al di fuori di tali effetti. Or questi effetti presi come indizi della forza, o cagione interna, che li produce, costitu
tuiscono nel senso più ampio la espressione comune a tutti gli esseri della natura. [1.2] Questa attività propria di ciasche
iù perfetto, che noi conosciamo, od all’uomo. Sia la forza superiore, della quale è l’uomo informato, sia la sua organizzazio
serviamo nelle sue esterne modificazioni, che sono pur segni visibili della occulta forza che l’anima, costituiscono la sua e
anima, costituiscono la sua espressione particolare, che a differenza della universale o naturale, morale od umana propriamen
propriamente può dirsi. [1.3] Questa espressione fu la prima lingua della natura comune a tutti gli esseri più o meno attiv
volto e col gesto. [1.5] In questo primitivo e maraviglioso magistero della natura conviene cercare l’origine, gli elementi,
conviene cercare l’origine, gli elementi, il principîo delle lingue, della eloquenza, d’ogni bell’arte, riguardata come imit
lingue, della eloquenza, d’ogni bell’arte, riguardata come imitativa della natura significante. Nel senso più generale, l’ar
non fa, che raccogliere ed imitare l’espressioni più vive e più vere della natura parlante, e sul modello delle originali o
6] Uno fu dunque l’oggetto comune a tutte le arti, cioè l’espressione della natura; e ciascuna arte si distingue per l’indole
bisogna primamente distinguere l’oggetto imitato, ch’è l’espressione della natura, dall’oggetto imitante, in cui l’espressio
maniera, raccogliendo, ordinando e imitando or l’una or l’altra parte della espressione generale esclusivamente, cioè ora i s
’oggetto delle belle arti in generale è dunque l’espressione generale della natura, siccome il particolare si determina dal c
e de’ strumenti che ciascuna arte adopera, per imitare la espressione della natura che si prefìgge. [1.10] Malgrado tutte qu
uppone veramente accaduto. La sua imitazione è una pretta ripetizione della cosa medesima che s’imita. [1.11] Tale imitazion
a considerare. Bisogna dunque distinguere le parole come pura materia della declamazione, da’ mezzi propri, onde questa si va
isonomia, il portamento ed il gesto, ossia tutta l’azione conveniente della persona che parla e declama. Capitolo II. D
te. [2.1] La declamazione, considerata come una specie particolare della pronunciazione, ha molte cose di comune con quest
he questa principalmente riguardano. Per lo che, volendo ben trattare della declamazione in particolare, non possiamo neglige
al nostro intento più necessario. [2.2] Di tutte le maniere o parti della espressione generale quella che domina fra le alt
i scompagna del tutto pur mai dal concorso delle altre parti visibili della persona parlante, le quali con la voce più o meno
riamente pronunciazione. [2.3] La pronunciazione, impiegando il tuono della voce, la figura del viso, ed il moto del corpo, c
ale ed acustica, in quanto riguarda le parole ed i segni che l’organo della voce pronuncia, e che l’udito raccoglie; e mobile
ento nazionale può dirsi. [2.5] Ogni dialetto, siccome ogni strumento della stessa specie, ha un suono comune; ma non tutti h
possiede e l’esercita naturalmente. [2.6] Su questo primo accidente della voce si compongono e diversificano le parole. Ogn
laba si raccoglie e si posa e si eleva, fu detta propriamente accento della parola, ed accentata la sillaba che n’era animata
esse qualche accidente particolare e proprio, che oltre la differenza della vocale, ne modifichi e diversifichi il suono più
rio, che pur concorre a formare l’indole e la bellezza delle parole e della lingua, il solo che usurpa per eccellenza un tal
a, sia per la loro natura assoluta e primitiva, sia per la differenza della sede che tiene l’accento nelle parole. [2.11] Al
asserirlo od indovinarlo? Per quanto si voglia fare uso dell’imperio della tradizione e dell’analogia de’ termini pe’ quali
13] Or come possiamo determinare e distinguere la vera pronunciazione della lingua latina da quella delle moderne, se leggi c
ostra analisi ad apprendere e praticare la pronunciazione e l’armonia della nostra lingua propria, e lasciar quelle che potre
le che potrebbero anzi tornare a pregiudizio di essa. [2.14] Ciò che della pronunciazione abbiamo discorso finora quella rig
enti, si pronunciano l’una dalle altre più o men distaccate, a misura della maggiore o minor relazione, che hanno con la prin
ostituiscono: 1.o La natura dell’idea che si enuncia, o il vero senso della parola ci detta il modo onde vuole esser questa p
odica, che maravigliosamente concorse al vero fine ed alla perfezione della lingua, che consiste nell’esprimere e farsi inten
ù o meno grave, più o men grazioso conforme all’indole del subbietto, della persona e del luogo ecc. L’importanza del subbiet
econdo noi, il metodo più giusto e più semplice per regolare il tuono della pronunciazione. Così la convenienza delle circost
piuttosto quelle più generali ed importanti relazioni, che l’armonia della pronunziazione oratoria costituiscono, e sotto qu
te modificandosi, comunica un suono proprio e distinto alla pronunzia della lingua, delle sillabe, della parola, ed a ciascun
suono proprio e distinto alla pronunzia della lingua, delle sillabe, della parola, ed a ciascuno di tali suoni dà un tuono a
proprietà del dialetto, l’esattezza dell’articolazione, l’opportunità della pausa e l’armonia del discorso; e secondo queste
so; e secondo queste tre relazioni, a cui tutte le regole particolari della pronunzia si riferiscono, si dovrebbero esercitar
ilità e il diletto sono concorsi egualmenle a sviluppare questa parte della pronunziazione che col nome generale di gesto vie
discorso, sostenendo acconciamente l’andamento, le cadenze e i riposi della voce che lo pronuncia. Essi possono considerarsi
il polso, il gigante ed il nano estendendo e rimpicciolendo la figura della persona e di qualunque altro oggetto ed azione, i
, o il dechinare dall’oggetto odiato, il sogguardar bieco, gli slanci della collera ecc., e quelli tutti che tendono o ad int
Alcuni di questi riescono più o meno analoghi all’interna attitudine della persona che gli adopera, quasi imitando più o men
erra, da quelli intorno a sé rigirandosi, ec. E per cotal modo il più della pronunzia gesticolatoria, come la liturgica o rit
le osservazioni e le regole che hanno date e possono dare coloro che della pronunciazione in genere od in ispecie si sono pr
ia la più conveniente di pronunziare, ossia di usare convenientemente della voce e del gesto. Ora è facile immaginare che, ac
le speciale del subbietto, al quale era destinata, e secondo il grado della passione che le comunicavano le circostanze. Per
il Macedone, né Temistocle quando animava i soldati contro il gran re della Persia, né Erodoto quando leggeva la storia sua,
diversa quella del tragico da quella del comico. E dovendo ragionare della tragica particolarmente, io non posso dispensarmi
ragica particolarmente, io non posso dispensarmi dal dire alcuna cosa della metrica in quanto a quella particolarmente appart
isarmonica riuscirebbe. E per cotal modo si sacrificherebbe il pregio della versificazione senza quello sostituirle della buo
crificherebbe il pregio della versificazione senza quello sostituirle della buona prosa; ed il poeta avendo creduto di elevar
a il ritmo del periodo a quello del verso. Dànno nel primo quelli che della versificazione non s’intendono punto; e dànno nel
te certe pause, le quali, anziché dalla natura del senso, dal bisogno della respirazione derivano, e che servono ancora a sos
azione derivano, e che servono ancora a sostenere e variare l’armonia della pronunciazione; così possiamo e dobbiamo più o me
, che il principîo comprende del verso seguente. Ed il suono generale della cadenza de’ versi viene via via così ad essere mo
re delle precedenti che abbiamo osservato, ma la prima è ancor minore della seconda, e questa della terza, che per ragion del
abbiamo osservato, ma la prima è ancor minore della seconda, e questa della terza, che per ragion del senso è di tutti maggio
al ritmo del periodo ed alla natura del senso. Prendiamo alcun tratto della sua versificazione, e sia il primo che ci offre,
areggi. Io credo oppor tuno qui notare uno de’ tratti più artificiosi della Poetica del Vida, il quale, raccomandando tali fe
forma di versificazione n’è risultata, che, oltre il suono imitativo della sentenza, si presta in un modo speciale alla decl
re dunque che il declamatore non deggia ancor trascurare questa parte della pronunciazione che serve a rilevare non pur l’arm
il rumore e la confusione di quella notte col suono del suo ritmo, e della parola rintronare.             E dietro mi corre
ortune ed inutili, se veramente costituiscono la bellezza e l’energia della versificazione. Spetta impertanto al declamatore
assioni, che li modificava e torniva; e per dir meglio, se, informato della sua passione, li fondeva a traverso di questa ana
ioni medesime ch’essi svegliano somministreranno agevolmente il tuono della pronunciazione che a loro conviene. E questa risu
E questa risulterà da quanto saremo per dire intorno all’espressione della passione patetica. Capitolo V. Dell’espress
passione in generale, per quel grado d’interesse, che qualunque idea della mente o affezione del cuore comunica alla persona
onvenienti, egli non può a meno di dare a queste parole l’espressione della qualità e del grado della passione ond’egli è ani
meno di dare a queste parole l’espressione della qualità e del grado della passione ond’egli è animato. Imperocché ogni modi
rado della passione ond’egli è animato. Imperocché ogni modificazione della mente e del cuore, alterando lo stato di questi o
e tal non riesca dobbiamo concludere che o gli organi interni mancano della forza sufficiente a muover gli esterni, o gli est
li uomini più vive e pressanti significavano. Questi informi elementi della voce, che l’impeto della passione e lo stimolo de
santi significavano. Questi informi elementi della voce, che l’impeto della passione e lo stimolo del bisogno estemporaneamen
mpre più dispiegandosi e articolandosi, ritenne sempre il primo suono della passione che l’aveva creata, e per quanto siasi i
, in discorso, essa non perde mai il carattere essenziale e primitivo della passione, che lasciò da prima come effetto, ed a
a che si dee pronunciare, si può ritrarlo dalla interjezione speciale della passione predominante che gli anima. Così pronunc
ma. Così pronunciando la semplice esclamazione Ah! secondo il bisogno della passione, alla quale si dee servire, darebbe il t
questo modo noi avremo facilmente il tuono del dolore o del piacere, della placidezza e dell’ira, del timore o della confide
o del dolore o del piacere, della placidezza e dell’ira, del timore o della confidenza, della maraviglia, dell’orrore ecc.; e
piacere, della placidezza e dell’ira, del timore o della confidenza, della maraviglia, dell’orrore ecc.; ed ecco il metodo p
ltano le modulazioni ed i ritmi, ed infinitamente vario il portamento della voce nella pronunciazione successiva e continua d
e promuove. Quindi si accelerano e s’incalzano gli accenti dell’ira, della gioja e del furore, e tardeggiano e inciampano qu
lla gioja e del furore, e tardeggiano e inciampano quelli del timore, della tristezza, dell’orrore. [5.5] Ogni lingua ha not
otato e figurato i suoi elementi più o meno arbitrari e convenzionali della voce, come le vocali, le consonanti, le articolaz
intere ed alcuni loro accenti grammaticali; ma gli accenti ed i tuoni della passione furono lasciati alla natura che gli dett
iole differenze di costituzione, di temperamento e di clima, il tuono della passione risulta sempre e da per tutto lo stesso.
a’ moderni, ch’io sappia, ha meglio tratteggiato il tuono ed il ritmo della voce corrispondente all’indole ed al moto della p
il tuono ed il ritmo della voce corrispondente all’indole ed al moto della passione quanto il Buffon: “Certe mozioni mentali
erti tuoni di voce. La voce del dolore è debile ed interrotta; quella della disperazione è impetuosa e non seguita; la gioja
vo e dolce, il timore un tuono sordo e tremante. I tuoni dell’amore e della bontà sono melodiosi ed uniformi; quelli della ra
. I tuoni dell’amore e della bontà sono melodiosi ed uniformi; quelli della rabbia forti ti e dissonanti. La voce d’un ragion
accuratamente rifletteva: “La voce non varia soltanto nel linguaggio della passione; un sentimento vivo, un’idea interessant
’ fragori raddoppiati del tuono, delle devastazioni di un terremoto o della caduta di una piramide egiziana col medesimo tuon
il mormorar d’un ruscello, gli accordi dell’arpa eolia, il bilanciare della culla d’un bambino, o la discesa d’un angelo. L’e
la sua conveniente attitudine la figura, il colore e l’atteggiamento della persona e di ogni sua parte, più o meno modificab
sti e concorra a tal magistero. [5.11] I. Positura. Lo stato interno della persona si manifesta da prima nel contegno, ossia
i dipinge. In esso traspariscono fedelmente tutti i più piccioli moti della mente e del cuore; ed a seconda di questi la sua
ora la dolce fiamma dell’amore che lo consuma, ora il freddo pallore della paura o dell’odio, ora il rossore della vergogna,
onsuma, ora il freddo pallore della paura o dell’odio, ora il rossore della vergogna, ora il vampo estuante dell’ira, ed ora
rmigliano, ed or si appassiscono, e nella bocca risiede l’espressione della gioja, del contento e del riso. Lo fiorentino sp
. I capelli, i peli medesimi prendono parte nell’espressione visibile della persona, ed ora si rizzano e si rabbuffano, ed or
otendere o l’incurvare del braccio, l’impugnar o l’aprire e il tremar della mano, il portarla al cuore, alla testa, al mento,
’impiego del suo dito. Ad esso è riserbato principalmente la minaccia della vendetta: Mostrarti o minacciar forte col dito.
ous cherchez ici. E il commediante Sarazin col solo agitare e tremar della mano, faceva dimenticare la sfavorevole figura de
agitare e tremar della mano, faceva dimenticare la sfavorevole figura della persona, e tremare e lagrimare gli spettatori. [
ettatori. [5.32] I pochi tratti, che abbiamo dato di ciascuno organo della pronunciazione visibile, bastano a provarci come
asse il suo nome. Tutto è bene tentare. Io dico solo, che gli oggetti della Botanica sono permanenti, e si possono facilmente
e altre tutte preoccupano l’espressione del momento. Lo stesso organo della voce, che ha la parte principale nella pronunciaz
servono generalmente alla pronunciazione oratoria. Or tale è la forza della passione o dell’interesse, che domina colui che d
più giusta teorica, onde più accuratamente e secondo i veri principî della natura regolarne l’arte e la pratica. [6.2] Ogni
a o sentimento, operando fisicamente su gli organi interni ed esterni della persona, dee produrre dei moti corrispondenti; e
re. Per tal ragione noi dobbiamo primamente distinguere l’espressione della percezione o della mente, e quella della sensazio
noi dobbiamo primamente distinguere l’espressione della percezione o della mente, e quella della sensazione o del cuore. [6
te distinguere l’espressione della percezione o della mente, e quella della sensazione o del cuore. [6.3] Che la mente, e pe
te. Archimede, che entrando nel bagno trova la soluzione del problema della corona, e pieno e lietissimo di quella scoverta c
ovette atteggiarsi a pronunciare nella maniera più propria allo stato della sua mente. La storia letteraria è ripiena di siff
ù o meno si approssimano, sono gl’imitativi od analoghi che l’oggetto della percezione o l’effetto della sensazione in certo
o gl’imitativi od analoghi che l’oggetto della percezione o l’effetto della sensazione in certo modo dipingono. Alla vista de
l tuono, del torrente, degli aquiloni, del leone, del toro, ma quelli della persona la cui presenza più fortemente ci affetti
figurata ed impropria, con la quale si esprime al di fuori col mezzo della pronunciazione vocale e visibile. [6.8] V’ha un
fine e quest’azione può riguardare o l’oggetto esterno, o la cagione della percezione o sensazione, od il soggetto, sia la p
ndo noi non possiamo o non dobbiamo reagire contro la cagione esterna della nostra passione, ci rivolgiamo e riconcentriamo i
iplicare la sua propria esistenza, trova e gusta per tutto la cagione della sua gioja; quindi il canto, il ballo, il batter f
ioni tendono o ad agevolarci ed accrescere il senso dolce e gradevole della passione, o a disfogarne e diminuirne il molesto
lmente espressivi. E nella loro ragione sta tutta la teorica e l’arte della pronunciazione patetica, in quanto abbiamo osserv
nsieme, e sino a qual punto, qualora si determini l’interesse attuale della passione predominante. [6.12] Imperocché se, p. 
assionato cerchi prima di attendere e provvedere all’obbietto esterno della sua passione, indi al subbietto o al suo stato in
ere l’espressione più necessaria, più efficace e diretta, se le leggi della natura si vuol secondare. [6.13] Ma spesso quest
i succedono, diversificando a proporzione lo interesse e l’intenzione della persona, l’obbligano a variare la natura del gest
intenzione della persona, l’obbligano a variare la natura del gesto e della pronuncia, e questa variazione per la celerità co
sia per aver ricevuto una sì forte impressione dallo stato precedente della passione, da non potersi così facilmente ricompor
eggiamo nella medesima espressione il prospetto di tutti gli elementi della passione, dalla quale procede, come accade nella
che distinguiamo ad un tempo l’espressione dell’amore, del sospetto, della collera, dell’odio ecc. Parimenti nella stessa pa
tire e di esprimere a un tempo, nel modo che sa migliore, l’interesse della cosa, della persona, di sé medesimo. Così parland
primere a un tempo, nel modo che sa migliore, l’interesse della cosa, della persona, di sé medesimo. Così parlando di una vit
giar delle spade, o lo strepitar e l’urtar dei cavalli, o lo squallor della morte, e i lamenti e le grida confuse di chi fugg
o, egli tutta prova la tenerezza che l’inspira la vista dei genitori, della sposa, delle sorelle, ma pur ti descrive e diping
ttitudine non senza raccapriccio negli occhi e nel volto, ora l’orror della notte ottenebrata, ora il fischiar dei fulmini, o
lia di apprendere. Oltrecché, se ben si osserva, l’accento e il tuono della voce, e la positura della persona, e qualche altr
hé, se ben si osserva, l’accento e il tuono della voce, e la positura della persona, e qualche altro gesto analogo potevano b
e indicare tali accidenti, e comporsi ad un tempo col senso dominante della satisfazione, e della gioia, di cui era Cinna in
nti, e comporsi ad un tempo col senso dominante della satisfazione, e della gioia, di cui era Cinna in quel momento ripieno.
ne medesimo contro Verre, dove esponeva le circostanze più commoventi della flagellazione di Gavio. E di vero se si avesse vo
ompleta noi qui ragioneremo particolarmente. [7.3] Io qui non tratto della passione come fisiologo o moralista, ma soltanto
mentar l’altra, specialmente se si rifletta che all’indole intrinseca della passione medesima, una gran parte si raccoglie e
ropria fisonomia. E in tale stato noi la riguardiamo, perché i tratti della sua espressione corrispondente sieno più rilevant
i effetti e gl’indizi delle sue passioni. Il suo primo stato è quello della quiete e del riposo, che inerzia morale possiamo
mostra pur sempre stanco del peso del proprio corpo, e, direi quasi, della propria esistenza: le membra gli cadono come disc
que questa passione o piuttosto attitudine, non sia oggetto ordinario della declamazione nobile, pure suole talvolta congiung
erminano a tale attitudine, che suppone l’eccesso dell’abbattimento e della stanchezza. [7.10] L’inerzia morale viene scossa
Apparecchiava a sostener la guerra             Sì del cammino, e sì della pietate,             Che ritrarrà la mente, che n
ci appare di tanto superiore e meritevole, che c’ispira il sentimento della venerazione, che ci contrae, ci rimpicciolisce, c
dell’altro. Tutto si rassidera: i muscoli delle ciglia, delle guance, della bocca si allentano e illanguidiscono; si piegano
si viene a conseguirsi alla fine, la passione passando pei vari gradi della speranza e della fiducia arriva finalmente alla g
uirsi alla fine, la passione passando pei vari gradi della speranza e della fiducia arriva finalmente alla gioja, ch’è l’effe
upilla, e par che tutta la natura sorrida anch’essa con noi. Il tuono della voce equabile, aperto, sicuro annunzia un animo d
d ebbra ed avida a un tempo si mostra di nuovi piaceri. L’espressione della gioja si annunzia principalmente nella bocca, nel
o atterra e quasi che spegne. Cadono le membra disciolte, le giunture della spina dorsale, del collo, delle braccia, delle di
no e si rinforzano dalla certezza od opinione dell’altrui debolezza o della propria forza. [7.24] Allora si rivolta bruscamen
ccresca e metta a soqquadro tutte le forze interne e le parti esterne della persona, che ne è compresa ed agitata. Bolle il s
incendio e ruina; e se non può compiere la sua vendetta su l’obbietto della sua collera, si getta e si sfoga non pur su gli o
e probabilmente, allora si spiega il timore, che cresce a proporzione della grandezza e della vicinanza del male che si teme,
llora si spiega il timore, che cresce a proporzione della grandezza e della vicinanza del male che si teme, e diventa terrore
do ogni senso di esistenza e di vita, altera e snatura le umane forme della persona, e tutta infine la scompiglia e distrugge
io e nel riposo, il riposo ed il silenzio sono la parte più terribile della sua espressione. L’Inferno di Dante è tutto ripie
uoi figliuoli domandar del pane, sente egli chiavar l’uscio inferiore della torre, nella quale erano seco imprigionati, e li
sa in che modo tenersi. Le guance intanto si arrossano, e col rossor della vergogna si alterna e contrasta il pallor del rim
tato violento si accresca vieppiù, allora, passando per tutti i gradi della tristezza, giunge alla disperazione, e scoppia in
essere costantemente riconosciuta. Si vede in essa ora l’abbattimento della tristezza, ed ora la veemenza dell’ira, ora il so
e quell’analisi, che delle precedenti abbiam fatta, e l’applicazione della stessa teoria e degli stessi principî possiamo e
Capitolo VIII. Osservazioni e studio delle passioni ne’ fenomeni della natura e nei monumenti dell’arte. [8.1] L’anali
bbe, il più che può, particolareggiare e individualizzare gli oggetti della sua imitazione. E perciò quei primi o generali mo
pprendere la espressione più sincera e reale delle passioni nel libro della natura, o togliere da questo quei tratti particol
izio, per notare quegli inarcamenti di ciglia, e quei moti di occhi e della vita. Ad imitazion del quale stimerei cosa espedi
r l’ordinario sacrificava all’interesse delle rappresentazione quello della composizione, si tratteneva sovente in mezzo alla
ritrovava gli Ateniesi a tutte le altre genti superiori per la bontà della voce, per la forza e le belle proporzioni del cor
o passioni, e per la finezza delle loro sensibilità hanno l’eloquenza della fisonomía e della pronunciazione vocale e visibil
la finezza delle loro sensibilità hanno l’eloquenza della fisonomía e della pronunciazione vocale e visibile. Engel riguardav
e. [8.7] La natura le si oppone, allorquando alla specie od al grado della passione non corrisponde o tutto o in parte l’esp
grado della passione non corrisponde o tutto o in parte l’espressione della persona per qualche imperfezione della sua organi
tutto o in parte l’espressione della persona per qualche imperfezione della sua organizzazione interna ed esterna. La natura,
me noi crediamo che si debbano studiare utilmente i modelli originali della natura, scegliendone il luogo, il tempo, e l’indi
.11] Per vie meglio osservare e gustare con maggior finezza i modelli della natura possono ancora giovar grandemente i modell
puto trasceglierli ed imitarli. In questa non solo si trova una copia della natura, ma della natura scelta ed imitata nell’as
i ed imitarli. In questa non solo si trova una copia della natura, ma della natura scelta ed imitata nell’aspetto più interes
rto criterio di paragone per meglio osservarla e gustarla su’ modelli della natura. Ogni artista, come puro imitatore della n
gustarla su’ modelli della natura. Ogni artista, come puro imitatore della natura, si è studiato di notarne ed esporne gli e
li di espressione non ci presentano a contemplare? Quello che io dico della pittura dee dirsi egualmente della scultura. Molt
a contemplare? Quello che io dico della pittura dee dirsi egualmente della scultura. Molte statue, bassi rilievi ed incision
e combina, si è la declamazione, la quale si vale di tutti gli organi della persona per conseguire il suo fine; e perciò la s
ressione diventa la più completa e perfetta, e tocca il massimo grado della imitazione. [8.17] Gli eccellenti attori possono
.19] Possiamo dunque sicuramente conchiudere che non solo dai modelli della natura, ma eziandio dai monumenti dell’arte possi
pressione naturale. — Verità. [9.1] Il filosofo osserva i fenomeni della natura, e ne cerca la dipendenza e la ragione, l’
operanti risultano quindi certi difetti che si notano in alcune opere della natura; ed ancorché sia ciascuna perfetta rispett
individualmente paragonata, riguardo al fine particolare del genere o della specie, a cui l’una e l’altra appartengono. In qu
oghi apparisce costantemente la stessa. Ora essendo tutti gli oggetti della natura più o meno complessi, quelli interessano p
e vaghissime, che appena si movano o par lino perdono tosto l’incanto della loro bellezza apparente. E per lo contrario altre
di un ubbriaco, che non aveva ubbriache le gambe come tutto il resto della persona, intendeva di notare, che l’azione di lui
incerto. Quindi deriva la evidenza del suo significato, e la facilità della nostra intelligenza, che accrescono il nostro dil
rattere di quelle qualità. In questo modo il segno si veste anch’esso della bellezza del significato. Ed ecco perché certe es
re dello stesso genere, perché la specie delle une è più interessante della specie delle altre, per la differenza del loro si
do o la poca forza dell’espressione, ma la poca dignità del carattere della persona, ossia la debolezza ch’ella mostrava negl
enti. Quel ricoprirsi il viso in tempo, come fé Cesare spirando a pié della statua di Pompeo, quel prendere un’attitudine che
e, e poco o nulla badando alla natura ed efficacia del significato, o della passione a cui serve, hanno raccolto e notato cer
ano belli e dilettevoli, e che originalmente appartengono alla figura della persona, o a qualche passione particolare che li
espressione riguardata come imitatrice ed analoga prende il carattere della passione, alla quale si riferisce. Quindi errano
o, ciò accade perché questo temperamento essendo analogo al carattere della persona, ci richiama tali affezioni pregevoli, ch
esta espressione naturale, che c’interessa e diletta in tanti modelli della natura e dell’arte, è appunto quella che l’artist
era; egli è certissimo che l’uomo, osservando e raccogliendo il bello della natura, può concepirlo, tratteggiarlo, ripeterlo
, o qualunque altra la ragione di un tal fenomeno, niuno può dubitare della realità di esso; perocché o in se stesso l’esperi
hé lo produce, o l’osserva nelle opere dell’arte, allorché con quelle della natura le paragona. In questa maniera dalle tante
3] Pare dunque che un tal tipo altro non sia che un estratto del vero della natura combinato col probabile e col possibile, c
il tipo del bello artificiale altro non sia che un estratto del vero della natura combinato col probabile e col possibile, c
iù efficace a produrla. Da questa convenevolezza del tipo concepito e della sua esecuzione col fine che si propongono risulte
ide; ma l’una e l’altra dove più, dove meno contraffanno alcune parti della natura, ma non sì da illuderci pienamente. [10.6
bbiettivi, che questa e quelle si formano, idealizzando, per servirmi della frase di Lessing, quelle i corpi nello spazio, e
zio, e questa le azioni nel tempo. E per quanto sia la forza maggiore della poesia essa non giunge a presentare gli oggetti c
suoni vocali e strumentali hanno tentato di tratteggiare alcuna parte della poesia, da loro più o men maneggevoli. Ma per qua
ripetizione del tipo ideale. Quindi non solo può imitare gli oggetti della pittura, della scultura, della poesia propriament
l tipo ideale. Quindi non solo può imitare gli oggetti della pittura, della scultura, della poesia propriamente descrittiva,
uindi non solo può imitare gli oggetti della pittura, della scultura, della poesia propriamente descrittiva, della mimica e d
della pittura, della scultura, della poesia propriamente descrittiva, della mimica e della musica, ma presenta altresì gli st
della scultura, della poesia propriamente descrittiva, della mimica e della musica, ma presenta altresì gli stessi corpi e le
rari per avvicinarsi il più che possono al tipo loro. Il tipo adunque della declamazione si confonde ed immedesima nell’esecu
’improbabile, che immantinente l’annienterebbe. Se tutto il magistero della declamazione consiste nella illusione, come mai p
chio, e il piacere dell’illusione rimarrebbe distrutto dal dispiacere della verità. Parimente queste stesse attitudini, che p
attore principalmente, dee rispettare l’opinione e l’uso predominante della nazione del secolo, ma in guisa però che la prima
questa sia pur corrotta, la rimeni prudentemente al tipo più sincero della prima. Ed in caso di conflitto giova sempre piega
che alla declamazione appartiene. Ella comprende la bella espressione della natura ancor migliorata, probabile ed efficace a
re e dal poeta distinto, ei non può altronde ritrarre il vero modello della sua espressione, che dalla mente del poeta che lo
arziale una qualità ed una forza che all’idea dell’autore ed al senso della parola non corrispondessero, o tradissero il sens
rale ed artificiale dell’espressione. Capitolo XI. Combinazione della natura e dell’arte. [11.1] Il tipo dell’espress
degl’oratori questa distinzione che i confini o l’impero dell’arte e della natura volgarmente costituisce: Sed sunt quidam
bois e Raucourt, queste non erano riuscite se non macchine imitatrici della maestra: Il n’a point de peine que je ne me suis
che si vuol dare all’espressione, par che consiste nell’identificarsi della persona nel tipo ideale che vuole verificare, sic
porta ne’ tratti, negli accenti e nei moti più delicati ed espressivi della persona; e dispone e forza chi pur gli osservi e
di questa virtù straordinaria l’hanno fatta credere quasi tutta opera della natura e del cielo. Ed essa certamente suppone in
e la meraviglia de’ suoi effetti, la fece abbandonare al solo talento della natura, ed in questo modo si trascurò e degradò l
oiché è svegliata; sì che l’arte medesima par tante volte che trionfi della natura. Così colui che parea fatto tutt’altro dal
osto tutte ne dispiega le segrete disposizioni, e diventa il prodigio della greca eloquenza, e il flagello e il terror di Fil
tibi. [11.12] Io non trovo per tale esercizio un mezzo più efficace della lettura di quelle opere, nelle quali gli autori h
dificazioni, che la rendono propria di lui, e costituiscono la natura della declamazione tragica. [12.2] Il genere tragico v
rande, di sublime e straordinario, che comunicandosi a tutte le parti della tragedia, ci dipinge e presenta come tali non pur
glioso, che li toglie in parte quell’aspetto ributtante, ch’è proprio della sua natura. La tragedia insomma si eleva ad un or
odurre quel terribile e quel sublime, che era lo scopo indispensabile della loro tragedia. Ond’è che tutti i poeti che si son
incipîo importantissimo molte conseguenze si traggono intorno all’uso della declamazione propria, finora o non ben avvertite,
atura sì vantaggiosa, ne rimase alquanto sorpresa, e lo giudicò minor della fama. E siccome il tipo dell’arte quello migliora
giudicò minor della fama. E siccome il tipo dell’arte quello migliora della natura, niuno eroe ci hanno presentato gli artist
one e la patria tendono ordinariamente a distruggerlo in chi l’avesse della natura sortito? Se si reputa modestia l’avvilimen
tenga sempre violentemente montata, ed affetti questo artificio fuor della scena. Forse la stessa Clairon diede in questo ec
aire parla pure di un cotale attore, che, assumendo in tempo il tuono della declamazione, fu creduto un uomo di corte, e si f
che l’arte vuole produrre. Imperocché non dee l’attore mostrarsi fuor della scena qual su la scena dee solamente apparire, se
nel mondo civile e drammatico. Capitolo XIII. Del tuono proprio della declamazione tragica. [13.1] Quello che abbiam
rali e morali dell’attore tragico si dee più particolarmente al tuono della voce applicare, nel che la declamazione principal
oncluso che il tuono di essa non deggia scostarsi dal tuono ordinario della conversazione. Ma essi non si avvedevano, così co
pecie di declamazione dee fondarsi principalmente sul tuono ordinario della conversazione, questo tuono dee accomodarsi alle
o tuono dee accomodarsi alle persone, alla circostanza, all’argomento della conversazione che si vuole imitare. Il perché tan
tori, per cui l’attore era costretto ad esagerare e sforzare il tuono della voce, e declamar fortemente per farsi loro malgra
lcet, falsis terroribus implet. [13.5] E perciò Giovenale del tuono della voce intendeva parlare, allorché diceva: Grande
baccetur hiatu. [13.6] Or volendo determinare il carattere proprio della declamazione tragica, ed assegnarle il tuono conv
ova per tal riguardo sottoposta alle leggi generali e comuni al tuono della conversazione ordinaria. Il per ché l’attore trag
ssioni, passaggi, consonanze e cadenze, che il tuono più significante della conversazione ci detta. Parlano gli uomini, parla
ttore, che di queste si suppone altamente invasato, elevarsi al di là della conversazione ordinaria, e collocarsi nello stato
sto che la declamazione tragica, modellandosi originalmente sul tuono della conversazione ordinaria, dee prendere il caratter
te sul tuono della conversazione ordinaria, dee prendere il carattere della persona e delle passioni a cui serve. Debbe esser
determina. [13.8] Dallo stesso principîo si determina pur la maniera della gesticolazione conveniente. Essa debbe assumere q
bbe assumere quell’impronta d’importanza e di forza, che sia al tuono della voce proporzionato; e perciò debbe essere per l’o
, che pel loro numero e rapidità offenderebbero a un tempo la dignità della persona e la forza della passione a cui servono.
apidità offenderebbero a un tempo la dignità della persona e la forza della passione a cui servono. La persona, che molto ges
enfasi ed ampollosità che annunzia piuttosto la debolezza e lo sforzo della persona, che crede di supplire con tale artificio
ha giudicato in questo modo nelle sue Osservazioni critiche al poema della Declamazione teatrale di Dorat: Io avrei solamen
i questi, e si può dire ch’essi fanno per lo più consistere il merito della loro declamazione in una specie di predicazione o
i, che pur sono molti, i quali, non avendo ben concepito il vero tipo della declamazione tragica, hanno creduto ch’ella fosse
ed assurda. Imperocché non avendo essi alcun riguardo né al carattere della tragedia, né al genio della nazione, non hanno ab
vendo essi alcun riguardo né al carattere della tragedia, né al genio della nazione, non hanno abbastanza considerato, che se
nte e perfetta. Engel fra gli altri condannava assolutamente il tuono della declamazione, e perciò la versificazione, Egli vu
sificazione, Egli vuole il vero schietto, senza osservare che il vero della storia e della filosofia non è quello della poesi
li vuole il vero schietto, senza osservare che il vero della storia e della filosofia non è quello della poesia e di ogni bel
nza osservare che il vero della storia e della filosofia non è quello della poesia e di ogni bella arte; egli vuole che si im
di avere abbastanza provato quale debba essere il carattere generale della pronunciazione tragica evitando ad un tempo i due
ido. L’attore dee quindi, il più che sa, avvicinarsi alle proporzioni della statura eroica, la quale si allontana egualmente
la ordinaria; ed a questa norma debbe accomodare non pure il contegno della persona, che il tuono ed il gesto della espressio
comodare non pure il contegno della persona, che il tuono ed il gesto della espressione. E per quanto questo scorra pe’ suoi
e e differenti si potrebbero ridurre i caratteri o le parti ordinarie della tragedia? Forse tutti si potrebbero comodamente d
scindere dalle seguenti considerazioni. [14.5] Il carattere speciale della parte, a cui si destina il commediante, debbe amm
mente costituiscono. La figura vuole essere piuttosto secca, i tratti della fisonomia rilevati, l’occhio infossato, lo sguard
zionano quanto più sono limitate e circoscritte. E poi certi miracoli della natura e dell’arte non potrebbero ridursi a regol
il suo carattere primordiale. I confidenti, che sembrano i più remoti della sfera dei personaggi principali, si suppongono pu
nfidenti che nulla serbano di comune coi principali, e sono più degni della commedia che della tragedia, ma questa colpa dee
serbano di comune coi principali, e sono più degni della commedia che della tragedia, ma questa colpa dee solo imputarsi ai p
i amano di far sentire piuttosto l’eccellenza dell’attore, che quella della parte che rappresentano. Esse ambiscono di emular
enza adunque delle parti e del tutto sta nell’eccellenza del genere e della specie; e quindi risulta l’unità e l’armonia del
lla quale cominciava ad annoiarsi dei consigli altrui e dell’autorità della madre, ed è per lanciarsi nella carriera del deli
che ha ideato il poeta. [15.7] I caratteri migliori, e quasi propri della tragedia sono quelli in cui due passioni differen
si contrarie. Tale è Agamennone, allorché l’amor del comando e l’amor della figlia si fanno guerra a vicenda; tale è Clitenne
sto modo si concepisce, si forma e s’imita il vero e perfetto modello della natura e dell’arte. [15.10] Dalle osservazioni gi
[15.10] Dalle osservazioni già fatte si può raccogliere il vero tipo della natura individuale, e quindi dare l’espressione c
parole, frasi, sentenze ecc. non esprimono la stessa qualità o grado della passione alla quale si riferiscono. Spesso annunz
, che la combattono o favoriscono, possono anch’essi ridursi a’ gradi della quantità, pei quali comparisce più o meno alterat
alogamente questi momenti progressivi, dando a ciascuna modificazione della medesima passione l’espressione corrispondente, s
pportunamente, sicché tutte esprimano successivamente le degradazioni della medesima espressione, sia crescente, sia decresce
dinaria dovrebbe dominare nel primo atto, o finché duri l’espressione della favola, de’ caratteri, delle circostanze, che ne
non dee confondersi. In questo modo, determinando i tratti principali della linea progressiva per la quale si spiega e proced
elle prime scene; ma egli non lo sarà quando debb’essere all’incontro della figlia e di Clitennestra, e massimamente quando a
o di progressione. [16.10] Cicerone ci ha lasciato una testimonianza della destrezza di Roscio in tal genere in quel passo:
iste a profondere troppo di espressione nel cominciamento del dramma, della scena, della parlata o periodo. Ond’è che l’espre
dere troppo di espressione nel cominciamento del dramma, della scena, della parlata o periodo. Ond’è che l’espressione assai
a quei momenti più interessanti, che si trovassero altrove nel corso della scena, del discorso o del periodo. Ciò non ostant
scorso o del periodo. Ciò non ostante si sono adottati nel portamento della voce e del gesto certi metodi che sacrificano que
della voce e del gesto certi metodi che sacrificano questo interesse della passione e del sentimento a certe cadenze finali
sione e del sentimento a certe cadenze finali del verso, del periodo, della parlata, oppur della scena; e periodicamente si r
o a certe cadenze finali del verso, del periodo, della parlata, oppur della scena; e periodicamente si ripete sempre lo stess
a un di presso la stessa. [16.17] L’altro oggetto che la progressione della passione e dell’espressione riguarda, si è il pas
orioso. La persona in tali incontri si mostra agitata dagli accidenti della sua passione, come il mare sbattuto da’ venti div
essa richiede sempre una preparazione, che arrivi ad unire il termine della prima col principîo della seconda. E perciò si è
reparazione, che arrivi ad unire il termine della prima col principîo della seconda. E perciò si è detto ch’essa non può oper
cconciamente rifonda e trasformi? Capitolo XVII. Del dialogo, o della pronunciazione dialogistica. [17.1] L’attore t
mporta che l’espressione conveniente all’indole ed allo sviluppamento della passione dominante si modifichi eziandio secondo
l’uno ed all’altro, rivolgendosi a Xifares col ciglio e con l’accento della tenerezza, ed a Farnace con quelli della diffiden
s col ciglio e con l’accento della tenerezza, ed a Farnace con quelli della diffidenza. Si narra, che Baron sostenendo la par
. Quindi si collocano in modo che parlando tengano la parte anteriore della persona rivolta per lo più agli spettatori, e la
ta prima relazione, secondo la quale dee situarsi il guardo ordinario della scena, può e dee in progresso di tempo l’attore m
rni ed accidentali che via via si spiegassero dal corso dell’azione e della combinazione delle circostanze. Altrimenti, stand
dunque il variare questo quadro secondo il movimento che lo sviluppo della passione dee comunicare alla figura e agli interl
ssere utilissima ed anche necessaria una tale posizione, ove la forza della passione ed il vero la richiedesse, ed evitasse a
più comodamente guardare all’interlocutore, e non togliere il meglio della persona e dell’espressione agli spettatori. [17.8
, e di muoversi per non ristarsi sempre immobile nel medesimo sito. È della natura del colloquio, specialmente ove sia intere
itti allo stesso luogo, servono ad animar le persone secondo l’indole della passione e dell’espressione corrispondente. [17.
pressione sono i pari di condizione, o quelli che tali renda la forza della passione. Ovidio diceva che l’amore s’incontra di
l gesto e l’espressione dell’oratore secondo il genere di eloquenza e della pronunciazione, che dee spiegare. Tali sono le sc
queste situazioni non sono frequenti; e perciò il carattere ordinario della scena è drammatico e dialogístico; ritenuta quell
gesto come l’espressione in generale dee seguire la natura e la forza della passione, che ove sia straordinaria, obbliga la p
one di tutte quelle digradazioni che a tutte le modificazioni e gradi della passione deggiono corrispondere. La copia e varie
deggiono corrispondere. La copia e varietà di queste maniere e colori della voce bene adottati, e spontaneamente eseguiti, fo
bene adottati, e spontaneamente eseguiti, formano la parte più bella della declamazione dialogistica. [17.15] Oltre il vari
e, e tutte importantissime, fra Creonte ed Antigone, nell’atto quarto della prima scena: Creonte. Scegliesti? Antigone. Ho
intonazione a misura che all’una succede l’altra? Tale è il principîo della scena terza dell’atto quinto della Virginia fra A
ccede l’altra? Tale è il principîo della scena terza dell’atto quinto della Virginia fra Appio e Virginia: Appio. Di’; riso
c. [17.17] Così nell’Agamennone fra Egisto ed Agamennone nella fine della scena seconda dell’atto terzo: Egisto. Tu pur m
ficio del dialogo, del metro, del periodo e del ritmo al solo effetto della declamazione teatrale! Capitolo XVIII. Dei
nalogamente alle circostanze. E ciò accade per l’ordinario all’organo della voce, allorché l’interlocutore dee nel corso del
esso tanto più risentiti e significanti, quanto meno può con l’organo della voce apertamente spiegarsi. L’indole e lo svilupp
polito la sua inclinazione, allorché [18.4] Clitennestra consapevole della sua infedeltà incontra Agamennone che ritorna tri
ntiliano ci assicura di aver veduto alcuni continuare a piangere fuor della scena, ed Engel trovava ancora in Ekard, terminat
comunicazioni segrete che si danno ad alcuno sommessamente nell’atto della scena, sì che né gli interlocutori, né gli spetta
sia per novità o per intensità. Noi abbiamo altrove notato i fenomeni della meraviglia e del terrore; ma di tutte le passioni
di Oreste ed Ifigenia nella Tauride, o di Merope e di Cresfonte ecc.; della seconda sarebbe il quadro sorprendente col quale
l pungolo di passione veementissima nella solitudine e fra le tenebre della notte? I monologhi sono anzi meno rari dei sonnil
erocché trovandosi la persona più che mai perturbata, sola e in balìa della passione che l’agita, non può essere né richiamat
propria passione; quindi lo sfogarsi liberamente, il vagare a seconda della passione estuante, senza che incontri al difuori
iamma occulta che l’arde; Agamennone piange senza riguardi il destino della sua figliuola ecc. [19.5] Tutti i monologhi si po
ò distinguersi in concentrivo ed espansivo. Domina nell’uno l’eccesso della tristezza, e quindi la fissazione, la gravità, la
ogo di Macbet, dove combinandosi a un tempo la disposizione ordinaria della persona con l’accesso straordinario della passion
o la disposizione ordinaria della persona con l’accesso straordinario della passione che l’investe, lady Macbet, naturalmente
quanto simile è la situazione di Riccardo nella 1a scena dell’att. V. della tragedia di questo nome, dove, dopo aver sognato
so dialogo, allorché uno degli interlocutori è siffattamente occupato della sua idea o affezione predominante, che ne parla e
ar fuyant dans la carrière? [19.13] Agamennone, agitato su la sorte della sua figlia, e ripentito di averla chiamata, e tem
se in quel punto si ripetessero. Capitolo XX. Della decorazione della persona e della scena. [20.1] Tutto ciò che ri
si ripetessero. Capitolo XX. Della decorazione della persona e della scena. [20.1] Tutto ciò che riguarda la decora
[20.1] Tutto ciò che riguarda la decorazione tanto dell’attore quanto della scena dee anche esso considerarsi come parte più
e più o men necessaria all’espressione, e per conseguenza all’effetto della declamazione. E di vero se l’attore dee fare tutt
he non adempiuta apporterebbe a tutte le altre. La decorazione dunque della persona e della scena, dee concorrere anch’essa a
apporterebbe a tutte le altre. La decorazione dunque della persona e della scena, dee concorrere anch’essa alla verità dell’
ca e distintiva, e per conseguenza debbe essere conforme al carattere della persona, e quindi del paese, del tempo e delle co
e, e in brache tempestate di giojelli, ricamate d’oro. E sino all’età della Clairon e di Le Kain nessuno eroe del teatro osav
ne. E spesso il tintinnio dell’orpello accompagnava i varii movimenti della persona, cagionando la distrazione ed il riso deg
neille e Racine aveano dato a’ caratteri greci e romani il linguaggio della galanteria e della corte francese, soffrirono anc
ano dato a’ caratteri greci e romani il linguaggio della galanteria e della corte francese, soffrirono ancora che ne fossero
ione di essa. [20.8] Questo principîo dee pur regolare la decorazione della persona. La nudità degli americani, certe fogge d
bbero ogni effetto dell’espressione e dell’arte. Dunque dee mostrarsi della stessa verità quanto basti a farla riconoscere e
risimile e convenevole. [20.9] Determinata la forma comune e propria della persona dee pur adattarsi non solo alla condizion
[20.10] Per la stessa ragione non dee neppur trascurarsi il carattere della scena, la quale anch’essa concorre dal suo canto
ale quello che richiede la scena dell’Edipo tebano, o del Prometeo, o della Ifigenia in Aulide, non può indifferentemente ado
ilottete o di Ione. [20.11] Egli è vero che alcune volte il carattere della scena è alquanto generale ed indefinito, e specia
nito, e specialmente presso gli antichi, nei quali, per la latitudine della scena che comprendeva più membri, e per l’uniform
ste per tutte le altre. [20.12] E giovano ancora non poco all’effetto della decorazione e dell’espressione dell’attore la for
, che appo gli antichi rinforzava ed ingrandiva la voce a proporzione della grandezza dei loro teatri, sarebbero costretti a
; 2.o Parimenti si toglierebbe all’espressione l’uso tanto importante della fisonomia, del ciglio, e dell’occhio principalmen
Si dovrebbe ancora provvedere allo stesso fine che la parte superiore della scena, ove gli attori declamano fosse opportuname
a, relative all’unico fine dell’arte, sicché si agevoli il portamento della voce, e se ne diffondano i raggi regolarmente per
iò che riguarda l’espression degli attori. Capitolo XXI. Studio della parte [21.1] Le considerazioni generali e parti
biam fatto finora debbono regolare lo studio che ogni attore dee fare della sua parte. E perché molte cose si trascurano, e m
el vestire generale e particolare, che il carattere e la disposizione della scena, e tutte quelle più importanti relazioni ch
o del dramma passa l’attore da questa lettura allo studio particolare della sua parte; e questo non debbe essere limitato all
rli, e ciò che dee fare ove taccia? Oltrecché la variazione opportuna della fisionomia, dell’attitudine e la qualità convenie
locutore non apprende egualmente il dialogo intero. [21.6] Lo studio della parte consiste a mandarla tutto a memoria, sicché
iamo francamente asserire che senza l’apparecchio e l’uso conveniente della memoria ogni altro talento od esercizio sarebbe p
e si reciti a un tempo dal suggeritore e dall’attore pel solo effetto della più annojevole monotonia. E supposto che il ramme
i, trovandosi mai sempre nel bivio o di negligere la vera espressione della sua parte, o di smarrir le parole che dee il sugg
getture, noi ci contentiamo di osservare, che per quanto gli elementi della pronunciazione ordinaria sieno sfuggevoli e diffi
luoghi più interessanti, senza imbarazzar troppo il libero andamento della declamazione, che potrebbe essere offeso dall’ecc
ecchio per osservare e migliorare il portamento, le mosse ed il gesto della persona. Per tal ripiego Minerva, riguardandosi n
’iracondo potesse correggersi, ricorrendo allo specchio negli eccessi della sua collera, come se al collerico spiacesse di ap
eva. Può dunque lo specchio avvertire e correggere soltanto i difetti della persona tranquilla. E tale potrebbe essere sino a
perocché il guardo inteso ad osservar su lo specchio l’atteggiamento della persona, e col guardo la miglior parte della fiso
specchio l’atteggiamento della persona, e col guardo la miglior parte della fisonomia che da quello dipende, non possono simu
imultaneamente accompagnarla e convenientemente atteggiarsi col resto della persona. [21.12] Ad evitare tali pericoli, l’uso
in gran parte alla dignità ed espressione del portamento, del gesto e della figura, che in certi momenti raccomandano al mane
cio, e comporre all’uopo le forme opportune dell’abito con gli slanci della passione dominante ed inventarne delle nuove e si
vente un suo amico particolare su’ passi più difficili e interessanti della sua parte, e fattine più sperimenti davanti a lui
rancamente la reciti. Fatto prima qualche esperimento per assicurarsi della recita, si faranno gli altri su la scena per comb
a dovrebbe esser fatta con gli abiti propri e con tutto l’apparecchio della decorazione scenica per giudicare dell’effetto. P
Indizi ed effetti del perfezionamento dell’arte. [22.1] Il fine della tragedia è di eccitare la passione più nobile e p
e divina virtù, che è la cagione ad un tempo e l’effetto dell’unione, della forza e della perfezione degli uomini, e che ci r
, che è la cagione ad un tempo e l’effetto dell’unione, della forza e della perfezione degli uomini, e che ci rende tollerabi
l’alimentano, è massimamente e propriamente raccomandata al ministero della tragedia, la quale fra le eroiche passioni che ad
tragedia, la quale fra le eroiche passioni che adopera, del terrore e della compassione si diletta principalmente. Ora l’atto
ortemente agitato, s’egli ha prima versato delle lagrime nello studio della sua parte, può probabilmente provarsi di farne sp
vide sovente degli attori uscir dalla scena ancor piangendo a cagione della calamità che aveano veramente imitato: Vidi ego s
egli spettatori, e che pienamente ottenuto diventa il segno più certo della perfezione dell’arte. Ma siccome possono esser va
spiega per qualche rappresentazione deriva dall’apparecchio specioso della scena, dalla novità delle decorazioni, e da altre
nette e ridicole. [22.4] Nascono talvolta gli applausi dalla qualità della persona, e non già dall’attore. Ancorché tutte le
che si vuole produrre, e che può assicurarci del merito dell’attore e della perfezione dell’arte, si è il terrore e la pietà,
e a penetrare ne’ cuori più difficili e meno fatti per sentir le voci della natura. Si dice di Condé ch’ei si scioglieva in l
fi degli stati. [22.9] Può dunque conchiudersi che il segno più certo della perfezione dell’arte e del merito degli artisti n
raviglia, o qualunque altro affetto, che non sia quello del terrore e della pietà, e che per conseguente non già l’evviva, i
uola che ne offra l’insegnamento, secondo i veri principî del gusto e della ragione. E perché se tutte le arti imitatrici han
pregio? e niuno da più tempo ne apparisce colà dove né dell’arte, né della scuola si tiene conto? Perché sprezzare la perfez
lta la nazione? [23.2] Ma io non credo che vi abbia alcuno che dubiti della necessità ed utilità di tale istituzione, sia per
reliminari ed in proprie, cioè in quelle che debbono precedere l’arte della declamazione, ed in quelle che propriamente la co
e, si trovi obbligato alle seguenti condizioni. [23.4] 1o Cognizione della propria lingua. Egli è vero che l’attore non è de
debita accuratezza certe maniere, certe frasi, certi giri particolari della sua lingua, se non ne conosca la proprietà e la f
mbinazione. L’una costituisce la parte materiale, ossia il dizionario della lingua, e l’altra la parte formale, cioè la gramm
del corpo, la musica vocale può eziandio ottenerlo dall’esercitazione della voce. Con questo esercizio non pur si addestra, m
vocale; e l’attore imparando a conoscere le degradazioni più semplici della voce, potrebbe farne un uso più esteso e convenie
pressoché al solo spazio, di una giornata, in cui si limita l’azione della tragedia, l’attore non ne avrà mai quella prima c
taliana, ha un linguaggio tutto suo proprio e diverso affatto da quel della prosa. Cotesta differenza è tale fra noi, che spe
i di scena, di contrasti ecc. E questi tengono dietro alla semplicità della favola, alla naturalezza degli accidenti, alla ve
emplicità della favola, alla naturalezza degli accidenti, alla verità della passione, alla facilità dello scioglimento, per c
i tatti grossolani e poco esercitati. Per questa ragione il carattere della Fedra di Euripide si posporrebbe a quello della F
ragione il carattere della Fedra di Euripide si posporrebbe a quello della Fedra di Racine; e si cercano piuttosto delle pas
tali scuole; si potrebbe dunque semplicizzarla e ridurla alla scuola della poetica e della declamazione teoretica e pratica
potrebbe dunque semplicizzarla e ridurla alla scuola della poetica e della declamazione teoretica e pratica e far sì che niu
i veri mezzi che possono stabilire, correggere e perfezionare l’arte della declamazione teatrale, e quante volte sieno tali
itarsi colla pratica. E questa dee darsi sopra la scena. Il professor della scuola dovrebbe prima esercitar gli alunni a legg
ura rapidamente fatta, non si potrebbero facilmente imitare nel corso della declamazione, che per contratte abitudini si trov
po i veri principî dell’arte, che non debbono mai scostarsi da quelli della natura. E nelle varie ripetizioni ed esperimenti,
ezione consiste, debbono attender coloro, a cui la gloria dell’arte e della nazione è principalmente commessa. Nuove osservaz
unire alla classe delle belle arti anche di quelli che s’intendessero della declamazione, e si occupassero a scrivere e ragio
certi giorni delle memorie istruttive, non solo sopra de’ vizi comuni della declamazione teatrale, ma ancora sopra i difetti
nte a quest’uopo. La sig.a Clairon notava nelle sue Memorie dolendosi della sua condizione: Je ne dissimulerai pas que je me
canto o di recitativo. Può notarsi ancora in gran parte la danza; ma della declamazione non possono notarsi se non se alcuni
con metodo. [24.3] Cornelio Nepote (in Chabrias) dice sul proposito della statua che Cabria si fece innalzare nel foro in q
iensi. Esso dunque abbraccerebbe l’analisi ed il giudizio de’ drammi, della loro rappresentazione, del merito degli attori, e
ni teatrali, le quali, confermando o rettificando le massime e regole della teorica e della pratica, perfezionerebbero non pu
quali, confermando o rettificando le massime e regole della teorica e della pratica, perfezionerebbero non pur l’arte, che la
lessioni compiute da Pietro Napoli Signorelli (1731-1815) all’interno della Storia critica de’ teatri antichi e moderni (1777
mbini tratti dal natural bisogno di nutrirsi si assuefanno alla vista della balia o della madre prima che si avveggano di ogn
al natural bisogno di nutrirsi si assuefanno alla vista della balia o della madre prima che si avveggano di ogni altra cosa».
he la teoria sull’ordine del discorso proposta da Diderot all’interno della Lettre sur les sourds et muets à l’usage de ceux
1). [commento_Intro.6] Per un inquadramento delle origini e sviluppi della pantomima nell’antichità, si veda quanto scritto
no nel dialogo De saltatione, nel quale, oltre a tracciare una storia della disciplina, ne sottolinea, per bocca di Licino, l
ttolinea, per bocca di Licino, l’utilità. [commento_Intro.7] La tesi della tragedia come evoluzione delle feste in onore di
, vol. I., p. 53). [commento_Intro.8] L’aneddoto narrato a proposito della rappresentazione delle Eumenidi di Eschilo veniva
irono dal teatro febbricitanti. Ora avendo essi l’immaginazione piena della mentovata tragedia, altro non vedevano se non Per
ena non poterono attingere alla perfezione che solo un attento studio della declamazione può concedere. Il parere espresso è
sso è dunque in linea con l’impostazione del trattato, che vuole fare della declamazione un’arte scandita da regole e dell’at
estiere da insegnare. [commento_Intro.11] Nel Saggio storico-critico della commedia italiana (1829) Salfi parlerà di queste
asino la sua figura» (Francesco Saverio Salfi, Saggio storico-critico della commedia italiana, Milano, Per Giacinto Battaglia
C., MDCCCXXIX, p. 11). Per quanto concerne la storia dell’evoluzione della commedia in Italia, Salfi prende a riferimento Lu
a, Sebastiano Clarignano da Montefalco, che Cinzio citava all’interno della Dedica: «Composta adunque ch’io hebbi questa trag
uto nella seconda metà del Diciassettesimo secolo. Inizialmente parte della compagnia Calderoni, alla partenza della troupe p
o secolo. Inizialmente parte della compagnia Calderoni, alla partenza della troupe per la Baviera decise di restare in Italia
i», in Uomini di teatro nel Settecento in Emilia e Romagna. Il teatro della cultura: prospettive biografiche, a cura di Eugen
he. Il successo più tangibile di questa stagione fu la messa in scena della Merope di Maffei a Modena nel 1713 da parte della
u la messa in scena della Merope di Maffei a Modena nel 1713 da parte della compagnia Riccoboni, che rivelava la possibilità
spettacolo nel Settecento, Bari, Laterza, 1995, p. 17). La centralità della resa scenica veniva sottolineata da Maffei nel di
so di prefazione al Teatro italiano, o sia scelta di tragedie per uso della scena, pubblicato tra il 1723 e il 1725. Nell’esp
ossano in oggi rappresentarsi con piacer dell’udienza: però l’effetto della maggior parte di queste si è prima veduto in prat
e» (Scipione Maffei, Teatro italiano o sia scelta di tragedie per uso della scena, In Verona. MDCCXXIII, presso Jacopo Vallar
i. Ma il discorso non si esaurisce qui, e si apre alla considerazione della necessità di promuovere lo studio dell’arte attor
. Così la donna viene descritta nella Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen (1730) di Jean Dumas d’Aigueberr
assione». In Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen al garzone del caffè, ovvero con
médie di Rouen al garzone del caffè, ovvero conservazione sui difetti della declamazione, introduzione, traduzione e note di
seguire le sue orme sarà François-Joseph Talma (1763-1826), l’attore della rivoluzione, che nel 1825 pubblicherà le Réflexio
16] Hans Conrad Dietrich Ekhof (1720-1778), attore tedesco, fondatore della Theatralische Akademie di Schwerin, che promuovev
re della Theatralische Akademie di Schwerin, che promuoveva lo studio della recitazione secondo un metodo riformato. Come sot
e né nella gestualità, al sentimento puro e semplice. Anzi, nel corso della rappresentazione evitava con cura di abbandonarsi
ci e gli attori adeguassero le rappresentazioni teatrali allo spirito della nazione. Il comico attribuiva ad esempio la liber
olar modo Salfi, tanto che l’attore viene ricordato anche all’interno della Vie politique et littéraire de F. S. Salfi scritt
in altre moltissime opere di ogni genere egli spiegava tutta la forza della sua intelligenza sia per altezza d’interpretazion
1978, p. 244. [commento_Intro.20] Così scrive Aristotele all’interno della Retorica a proposito dell’azione oratoria: «È dun
12, pp. 426-427). [commento_Intro.21] Sulla trattazione del soggetto della recitazione nelle opere dell’antichità, si veda C
ione nelle opere dell’antichità, si veda Claudio Vicentini, La teoria della recitazione. Dall’antichità al Settecento, cit.,
opone è di istruire i giovani in un’arte tanto trascurata come quella della declamazione, farsi «chirurgo teatrale» in grado
lla declamazione, farsi «chirurgo teatrale» in grado di sanare i mali della recitazione (Luigi Riccoboni, Dell’arte rappresen
mo e quelli dell’antiemozionalismo. Sainte-Albine vedeva come cardini della recitazione tre doti: l’esprit, il sentiment, il
, facendo del palco la scena dell’anima, che aggiusta anche i difetti della fisionomia. La Natura ha dunque la meglio sull’Ar
view», novembre 2014, pp. 9-31. Per un quadro generale degli attori e della recitazione in Francia nel XVIII secolo, si riman
autore di un Poème didactique en trois chants (1766) dedicato al tema della declamazione teatrale, diviso in tre sezioni: una
uto da un Discours préliminaire, nel quale viene ripercorsa la storia della declamazione dell’antichità e dove l’autore offre
esto porrà le basi per il dibattito sollevato da Diderot sulle pagine della rivista Correspondance dell’ottobre 1770, in occa
e pagine della rivista Correspondance dell’ottobre 1770, in occasione della recensione di Garrick, ou les acteurs anglais, in
boni, promotore di un gesto retto dalle leggi dell’eleganza ma nemico della verità; poi consigliava ai suoi lettori le rifles
i Vittore Branca, cit., vol. I, p. 254). Il rischio dell’applicazione della teoria cartesiana, attraverso la mediazione di Le
mozionale irripetibile. Jean-François Marmontel (1723-1799) fu autore della voce Déclamation théâtrale (1753) all’interno del
trale (1753) all’interno dell’Encyclopédie. Egli ripercorre la storia della declamazione a partire dalle origini, affrontando
della declamazione a partire dalle origini, affrontando la questione della musica all’interno della tragedia e sottolineando
tire dalle origini, affrontando la questione della musica all’interno della tragedia e sottolineando l’incredibile diffusione
a all’interno della tragedia e sottolineando l’incredibile diffusione della pantomima nella Roma antica. Arrivando rapidament
buon attore dovrebbe possedere, passa poi a parlare più distesamente della voce e del gesto, concedendo un particolare rilie
particolare rilievo anche l’articolo che Marmontel scrive a proposito della distinzione tra pathétique direct e pathétique ré
ier sottolinea la superiorità del dramma, in grado di farsi portavoce della contemporaneità e di abolire l’arbitraria distinz
distinzione tra commedia e tragedia. Gotthold Ephraim Lessing, autore della Drammaturgia d’Amburgo (1767-1768), testo che si
Riccoboni fils, si pronuncia a favore dell’emozionalismo. Nell’ambito della produzione teorica di Denis Diderot, viene invece
MDCCLXXII, pp. 160-161. Pietro Napoli Signorelli (1731-1815), autore della Storia critica de’ teatri antichi e moderni (1777
componente performativa dei drammi, e dunque sullo sviluppo dell’arte della declamazione. Un maggiore spazio le viene invece
e le sue conferenze pubblicate nel 1698, grande influenza nell’ambito della trattatistica teatrale settecentesca (Joseph Roac
one e la contiguità tra corpo e anima, uniti attraverso la mediazione della ghiandola pineale, Descartes conferisce alle pass
pera Delle scienze metafisiche per gli giovanetti (1767), all’interno della sezione Antropologia, scritta da Antonio Genovesi
regia approvazione, MDCCCLII, cap. VI, p. 333). Per un inquadramento della figura di Antonio Genovesi si veda Giovanni Genti
nto della figura di Antonio Genovesi si veda Giovanni Gentile, Storia della filosofia italiana: dal Genovesi al Galluppi, vol
lle umane passioni. Così il tuonare del cielo era l’immagine dell’ira della natura. Sull’argomento si veda Luigi Rosiello, Le
natura corporale a entità astratte prive di corpo, persiste il tratto della visibilità proprio del linguaggio muto, seppur me
ado di sviluppo rispetto alle prime due, e porta con sé la formazione della memoria. Era la casualità infatti che inizialment
ne contingente si ebbe in primo luogo quando si presentò la necessità della comunicazione. Inizialmente l’imitazione di gesti
simo stato emotivo. Sull’argomento si veda Roberto Salvucci, Sviluppi della problematica del linguaggio nel XVIII secolo: Con
realizzata. La voce e il gesto, strumenti rispettivamente del canto e della danza pantomimica, appaiono dunque come le prime
ono dunque come le prime arti ad essersi sviluppate. Sulla confluenza della pantomima nelle arti musicali si veda Jean-Baptis
te dì quella» (Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura della poesia, cit., p. 61). [commento_1.8] A questo pr
sulla spartizione che gli attori dell’antichità facevano del gesto e della voce, affermando che fossero due gli attori ad an
contagiare gli altri agiscono sul piano dell’emotività piuttosto che della razionalità, e vanno individuati ne «l’air de leu
ggio attraverso i medesimi strumenti, in grado di far leva sul pathos della platea. Un contagio implica infatti che colui che
pesso connesso a un’idea di recitazione ampollosa e enfatica, propria della maniera alla francese. Luigi Riccoboni si era sca
nell’azione drammatica. Capitolo II [commento_2.1] Nell’ambito della trattatistica concernente la retorica o la declam
a: e se ne vedrà in fine la regola» (Giovanni Lancillotti, I principj della lingua italiana, https://www.liberliber.it/mediat
li governiamo per li toni» (Giovan Giorgio Trissino, Le sei divisioni della poetica, in Id., Tutte le opere di Giovan Giorgio
n Licenza de’ superiori, 1719, p. 15). [commento_2.11] Salfi diffida della possibilità di ricostruire la declamazione degli
del periodo si veda Raffaele Simone, Seicento e Settecento, in Storia della linguistica, a cura di Giulio C. Lepschy, vol. II
1990, pp. 313-395. Capitolo III [commento_3.1] La superiorità della superficie visiva era da rintracciarsi già nella
5, p. 1893). Anche Lessing aveva dedicato loro uno spazio all’interno della Drammaturgia d’Amburgo, alludendo in maniera evoc
i simili a marionette, che degradavano la scena coeva: «Poco sappiamo della cosiddetta chiromania degli antichi, cioè del com
ggio del corpo in termini sensistico-vichiani, ossia come prima tappa della comunicazione, la cui naturale evoluzione è costi
tematica aveva trovato spazio anche nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, frutto degli insegnamenti da lui impartit
mimica o di azione» (Francesco Saverio Salfi, Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di Franco Crispini, Morano, 1990,
de probabilmente da Engel. Egli infatti prendeva come esempio il caso della venerazione e sottolineava come, nella sua espres
[commento_3.4] Gli eccitatori possono essere visti come l’equivalente della funzione fatica propria del linguaggio verbale.
so e alla scansione del suo andamento. Appartengono dunque alla sfera della pre-espressività. [commento_3.6] I pittorici son
ento_3.6] I pittorici sono volti alla rappresentazione dell’oggetto o della persona in questione e costituiscono, sul piano g
o dei sordo-muti al quale Salfi fa riferimento, occorre fare menzione della figura dell’Abbé de l’Épée, primo istitutore grat
di scritti al riguardo e l’inaugurazione di un istituto. All’interno della sua prima opera pubblicata nel 1776, Institution
s par la voie des signes méthodiques, egli constaterà l’inadeguatezza della Dactylologie, ossia dell’alfabeto a due mani, in
anto questi segni non sono che lettere, incapaci di comunicare l’idea della cosa. Egli propone allora di partire da un lingua
si pensi all’idea di tempo, del tutto astratta). Per un inquadramento della sua figura si veda Maryse Bézagu-Deluy, L’abbé de
posizioni assunte dall’anima. Egli tuttavia sottolineava la debolezza della pura rappresentazione: «La montagna da imitare il
ine espressione [designo] ogni raffigurazione sensibile del contegno, della disposizione che l’anima assume in quanto compene
). [commento_3.8] Era stato Descartes a sottolineare l’impossibilità della volontà dell’anima di intervenire per evitare alc
sso con o privo di interlocutore. [commento_3.11] La prova tangibile della parentela tra il linguaggio verbale e quello gest
ella parentela tra il linguaggio verbale e quello gestuale, o meglio, della discendenza primo a partire da quello di azione,
osophique J. Vrin, 2002, p. 154). Pittorica è l’origine dei caratteri della scrittura come lo sono quei gesti, pittorici appu
mimico in relazione alla ritualità massonica era presente all’interno della memoria Dell’utilità della F. Massoneria sotto il
tualità massonica era presente all’interno della memoria Dell’utilità della F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
orale (1807), nella quale il gesto viene designato come il linguaggio della fratellanza massonica, nella sua capacità di infr
a sola, che i massoni abbiano adottata, come quella ch’è meno esposta della vocale ad essere dai varj popoli alterata e confu
iconoscono, s’intendono e si avvicinano; e l’identità ed universalità della lingua c’ispira e prescrive l’identità ed univers
d universalità degli affetti», (Francesco Saverio Salfi, Dell’utilità della F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
derebbe altrove le proprie radici, sarebbe riconducibile al fondatore della loro religione, il quale avrebbe manifestato la s
atura individualizzante del gesto, che muta al mutare delle passioni, della contingenza, del grado sociale, della nazione. In
muta al mutare delle passioni, della contingenza, del grado sociale, della nazione. In questo senso il linguaggio di azione
he pubblica sia in prosa che in versi, egli sottolinea la superiorità della prosa nel conferire verosimiglianza: «N’est-il pa
aneità tra l’avvicendarsi dei sentimenti e la loro espressione, l’uso della versificazione difficilmente avrebbe potuto ripro
a così all’utilizzo di una mimica orientata soltanto secondo le leggi della bellezza e della grazia. In virtù di questa corri
zo di una mimica orientata soltanto secondo le leggi della bellezza e della grazia. In virtù di questa corrispondenza, second
nia con la scelta di far virare la tragedia verso nuove forme, quelle della tragedia borghese o domestica. Nei suoi Entretien
ll’autore inglese sui suoi lettori fosse da attribuire all’infrazione della distanza tra la pagina e la vita. Le situazioni,
e gli altri personaggi diventano oggetto di conversazione all’interno della società. (Denis Diderot, Éloge de Richardson, in
iliare e i personaggi si scalzano dei coturni per indossare gli abiti della borghesia. La tragedia si desublima nel dramma bo
gnorelli descriveva l’esperimento: «Il piano è semplice, e l’economia della Favola è sul gusto de’ Greci; ma è scritta in pro
bilità all’endecasillabo per piegarlo alle sue intenzioni. L’asprezza della versificazione avrebbe portato con sé l’allontana
’enjembement, che nega la coincidenza tra la fine del verso e la fine della frase. [commento_4.7] Dante Alighieri, Inferno,
a parte di Alfieri, così Salfi si esprimeva all’interno del Ristretto della Storia della Letteratura italiana: «Diretto dal m
fieri, così Salfi si esprimeva all’interno del Ristretto della Storia della Letteratura italiana: «Diretto dal medesimo spiri
ca, credeva, che egli avesse alquanto spogliata la sua propria lingua della forza che Dante le aveva impressa. Intraprese a f
fredi e di tanti altri» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto di storia della letteratura italiana, cit., vol. II, pp. 490-491)
, in Id., Tragedie, cit., II, 1, p. 276. [commento_4.20] A proposito della metrica dantesca, Salfi si esprimeva in questo mo
d all’espressione del sentimento» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura italiana, cit., vol. II,
ione del sentimento» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura italiana, cit., vol. II, pp. 36-37).
a funzione espressiva al gesto, che viene visto come riflesso diretto della passione, al contrario di quanto avverrà in epoch
ditions Sociales, 1980, p. 192). Per un inquadramento più dettagliato della questione, si veda Patrizia Magli, The System of
1979, pp. 32-47. [commento_5.2] Riferimento fondamentale a proposito della corrispondenza tra anima e corpo è la dottrina di
la povertà del linguaggio non costituiva un limite per l’espressione della varietà del sentimento. Tutto stava nel comprende
e della varietà del sentimento. Tutto stava nel comprendere il potere della flessibilità del tono. [commento_5.5] «L’ira, ad
e acuto, agitato con continue interruzioni […] Altro ancora è il tono della paura, basso, esitante, abbattuto […] La violenza
n causa. I testi da cui attingere sono dunque selezionati in funzione della loro potenzialità drammatica, della loro capacità
no dunque selezionati in funzione della loro potenzialità drammatica, della loro capacità di generare immagini mentali. Come
oro capacità di generare immagini mentali. Come scrive nel R istretto della Storia della Letteratura Italiana: «I quadri di D
di generare immagini mentali. Come scrive nel R istretto della Storia della Letteratura Italiana: «I quadri di Dante non sono
questo ritratto è veramente vivo» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. I,
to è veramente vivo» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. I, p. 31). Dante
scene dalla forte vocazione drammatica. Sulla visione che Salfi aveva della Commedia dantesca, si veda Giuliana Angiolillo, D
i ed ai ritratti che gli delinea» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. I,
tti che gli delinea» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. I, p. 104). [co
no le critiche mosse da parte degli attori del Settecento al pigmento della biacca, che cristallizzava i movimenti del volto:
o XXXIII, vv. 94-96, p. 995. Una descrizione fisiologica del fenomeno della lacrimazione era stata fornita da Descartes all’i
anno acuti, si inumidiscono, si chiudono. Da essi scendono le lacrime della pietà; quando li baciamo ci sembra di toccare l’a
i con gli stessi criteri con cui si esaminavano gli oggetti di studio della Botanica. La proposta di Sulzer veniva riportata
rimere la coesistenza delle passioni, cosa che la linearità alla base della successione dei segni linguistici è meno incline
dell’odor suo, ed al mirarla di aver la percezione del suo colore, e della sua figura» (Francesco Soave, Istituzioni di logi
, Istituzioni di logica, metafisica ed etica, Napoli, Dalla Stamperia della Biblioteca Analitica, 1819, vol. I, p. 79). Sulla
’interno del trattato non mancano riferimenti ad opere d’arte, indice della cultura artistica del Salfi. Sull’argomento si ve
astratto che si sta svolgendo nella mente. [commento_6.6] L’analisi della gestualità tramite il ricorso alle figure retoric
piute, si tocca la schiena con la mano, mostrando «l’effetto in luogo della causa» (Johann Jakob Engel, Lettere sulla mimica,
ettere sulla mimica, cit., p. 382). [commento_6.8] Nella descrizione della gestualità legata all’innamoramento possiamo nota
trario, le linee si muovono in direzione opposta rispetto all’oggetto della passione, quasi che all’allontanamento fisico cor
rità. Questa differenza separa la gioia dalla tristezza. Se, nel caso della seconda, il desiderio di esternazione si coniuga
osizione di una passione con il desiderio. Evidente dunque l’influsso della ripartizione operata da Engel in affetti contempl
enta, sviene, colpisce, uccide: queste sono tutte espressioni proprie della gelosia, eppure quanto sono infinitamente discord
e mobilità del fenomeno passionale si concretizza nell’individuazione della natura mista di ogni passione, che risente sempre
ndividuazione della natura mista di ogni passione, che risente sempre della persistenza della passione precedente o delle pri
a natura mista di ogni passione, che risente sempre della persistenza della passione precedente o delle prime tracce della pa
mpre della persistenza della passione precedente o delle prime tracce della passione che le succederà [commento_6.20] Pierre
saputo far succedere al pallore dettato dal terrore, il rossore mosso della collera, utilizzati in funzione analogica per dip
evano permettere questi sentimenti che nella sua anima quelli opposti della collera e dell’orrore raggiungessero una potenza
so sembra prendere le parti di Dorat nell’apprezzamento nei confronti della performance di Baron, affermando tuttavia che il
sse penetrato dal sentimento amoroso; conoscere le reazioni somatiche della collera e saperle riprodurre significava non affi
7), la cui recensione, scritta da Mendelssohn, comparve tra le pagine della Bibliothek der schönen Wissenschaften und der fre
Wissenschaften und der freyen Künste nel 1758. La rivista era frutto della collaborazione, oltre che di Mendelssohn, anche d
o somatico. Burke in questo modo apre la strada a quanti, nell’ambito della trattatistica teatrale, insinueranno la possibili
espressione del suo viso e il suono di ogni sua parola, come le corde della lira, producono un suono corrispondente all’emozi
itato anche in Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura della poesia, cit., cap. II, p. 6. [commento_7.3] Anch
ggia inoltre dell’affermazione programmatica di Descartes a proposito della sua opera Les passions de l’âme: «[…] mon dessein
scolarsi e confondersi» (Luigi Mabil, Lettere stelliniane e prospetto della dottrina stelliniana intorno all’origine e al pro
ine e al progresso dei costumi del Cav. Luigi Mabil, Padova, Coi tipi della Minerva, 1832, p. 87). [commento_7.5] Salfi indi
a, 1832, p. 87). [commento_7.5] Salfi individua una scala ascendente della passione che, a seconda dell’intensità, si muta i
nel saggio di Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura della poesia, in cui si parlava del corpo umano come «m
e sensazioni» (Francesco Mario Pagano, Discorso sull’origine e natura della poesia, cit., cap. II, p. 3). L’introduzione dell
l’origine e natura della poesia, cit., cap. II, p. 3). L’introduzione della pigrizia all’interno del sistema delle passioni s
el «freddo moralista», intento a vedere solo i risvolti intellettuali della questione. [commento_7.14] Dante, Inferno, cit.,
ravvisata anche da Le Brun a proposito delle sopracciglia e dei lati della bocca: «Cet abaissement de sourcils et de la bouc
apportando come esempio la postura di Giulietta nella messa in scena della tragedia shakespeariana da parte di Gotter: «Pren
tare il nostro giubilo» (Luigi Mabil, Lettere stelliniane e prospetto della dottrina stelliniana intorno all’origine e al pro
e Mirra. Guardando alla Mirra alfieriana, sin dal primo atto le forme della malinconia si manifestano nei termini che abbiamo
-94. [commento_7.29] Il Conte Ugolino veniva menzionato come emblema della disperazione anche in Engel, dove veniva illustra
zzo morto dalla fame, nessuno potrà negare che quella è l’espressione della disperazione, ma lo è altrettanto il ritratto di
e di gradazione differenti è la gelosia, perché accoglie ora i tratti della tristezza, ora quelli dell’ira, del timore, dell’
ori, 1976, IV, 1, p. 455). La gelosia sembra dunque assumere i tratti della disperazione. Emblema della natura multiforme del
a gelosia sembra dunque assumere i tratti della disperazione. Emblema della natura multiforme della gelosia è la scena dell’u
assumere i tratti della disperazione. Emblema della natura multiforme della gelosia è la scena dell’uccisione di Desdemona (V
recisione dovrebbe essere possibile determinare le differenze proprie della maniera di procedere delle idee, che io ho indica
alla razionalizzazione che risiede la sua forza espressiva sul luogo della scena. Considerato in quest’ottica, il gesto sfug
lo VIII [commento_8.3] Giovanni Paolo Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura scultura ed architettura, Roma, presso Sa
parla delle sue messe in scena all’interno del Saggio storico-critico della commedia italiana: «Si vedevano a un tempo divers
incipalmente dovuta» (Francesco Saverio Salfi, Saggio storico-critico della commedia italiana, cit., p. 42). Particolare rili
institutions sociales di Madame de Staël, citata da Salfi all’interno della Selva per la declamazione (Ms. XX. 43 (II), 122v)
_8.5] Engel si soffermava sulla vivacità e la potenzialità espressiva della gestualità dell’italiano nella lettera VIII, desc
ore tedesco finirebbe con l’imbattersi in espressioni che sono frutto della maggiore irruenza delle passioni e che pertanto p
di Baldassar Castiglione, apriva la strada a un parallelo con l’arte della recitazione: alla scena teatrale si sostituiva la
l’arte della recitazione: alla scena teatrale si sostituiva la scena della società, dove le virtù sovrane sono grazia e spre
rappresentazioni di corte contenuta in: Claudio Vicentini, La teoria della recitazione. Dall’antichità al Settecento, cit.,
] Impossibile non relazionare la riflessione che Salfi fa a proposito della nascita di passioni nuove nei personaggi moderni
ura del suo repertorio tragico alla tematica amorosa con la scrittura della Francesca da Rimini nell’esilio parigino. Il manc
in scena alla sensibilità di un pubblico moderno era uno dei cardini della critica rivolta dai romantici all’Alfieri. Come s
e discendere alle private virtù, alle tenere passioni, alle peripezie della natura e dell’amore» (ivi, pp. 671-672). L’astigi
ancese che terminato lo spettacolo gli aveva chiesto cosa ne pensasse della sua interpretazione, «lei ha interpretato il ruol
izioni. Egli riprende infatti da Lessing la menzione dei gladiatori e della loro morte dignitosa che suscitava interesse nel
i contenute ne l’Arte del teatro di François Riccoboni e ne L’analisi della bellezza (1753) di William Hogarth. Si riveda a q
r risaltare la propria figura, piuttosto che a votarsi alla creazione della verosimiglianza scenica. A proposito della posizi
e a votarsi alla creazione della verosimiglianza scenica. A proposito della posizione delle braccia ad esempio afferma: «Perc
ogarth nelle sue indicazioni date ai pittori all’interno de L’analisi della bellezza, in cui egli aveva delineato il maggior
le ondeggianti fino a giungere alla linea serpentina, che è la linea della bellezza (William Hogarth, L’analisi della bellez
serpentina, che è la linea della bellezza (William Hogarth, L’analisi della bellezza, a cura di Maria C. Laudando, presentazi
uga. Capitolo X [commento_10.1] La ricerca di una sublimazione della realtà tramite l’arte era propria anche dell’este
nesso tra il segno e la cosa designata si fonda sulle caratteristiche della cosa designata stessa. Le passioni sono, per loro
onseguenza sono i corpi, con le loro qualità visibili, i veri oggetti della pittura. Oggetti che si susseguono l’un l’altro,
mano in generale azioni. Di conseguenza le azioni sono i veri oggetti della poesia» (Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, cit
ulla mimica, cit., p. 507). [commento_10.8] Nel Laocoonte lo statuto della declamazione appare incerto: «Il dramma, che è de
ra vivente dell’attore, forse dovrebbe anch’esso attenersi alle leggi della pittura materiale» (Gotthold Ephraim Lessing, Lao
sia l’estensione del campo del rappresentabile in relazione all’arte della declamazione. La teoria estetica lessinghiana ave
azione del dolore, perché la bocca spalancata negava la legge suprema della bellezza, al contrario lo stesso soggetto, in sed
. Avec les Pensées sur la déclamation, cit., p. 128). Sulla questione della necessità, da parte dei poeti drammatici, di adeg
della necessità, da parte dei poeti drammatici, di adeguarsi al gusto della nazione, Riccoboni si soffermava nel cap. VIII de
eguarsi al gusto della nazione, Riccoboni si soffermava nel cap. VIII della Dissertation sur la tragédie moderne: «Le but des
no che, anche se sono intellettualmente dotate e conoscono la tecnica della retorica, non potranno mai essere inserite nel no
ie e riflessioni sulla declamazione teatrale, cit., p. 156.) Il resto della citazione, assente dalla prima edizione a stampa
del sentimento, sottolineando come un ruolo fondamentale all’interno della performance sia svolto da «un certo che», ossia d
anto impegnato nella valutazione ragionata dei costumi e nello studio della gestualità tramite l’ausilio della pittura, affid
gionata dei costumi e nello studio della gestualità tramite l’ausilio della pittura, affidava tuttavia un peso notevole alla
. All’attore si richiede dunque non di provare sentimenti nel momento della performance, ma di avere una particolare propensi
iche di attualità politica, seppur rappresentate attraverso il filtro della temporalità, come era accaduto in epoca giacobina
li e Parigi. Carteggio 1792-1832, cit., p. 109). Il contesto è quello della scrittura di una tragedia di soggetto «barbaro» a
27), cit., pp. 231-303). [commento_12.3] Pur pronunciandosi a favore della nobiltà del genere tragico, non per questo Salfi
ia de’ suoi maggiori. Il teatro greco non ammetteva se non se i fasti della Grecia; e forse a tempi di Eschilo e di Sofocle n
, VI. R. F., p. XV). [commento_12.4] Una posizione simile, di difesa della nobiltà tradizionale del genere tragico, era stat
on in tutto confacente al soggetto. È senza contraddizione che l’eroe della tragedia, essendo uomo, non deve scostarsi dalla
natura; ma è ben anche vero che la grandezza delle azioni e l’altezza della nascita o del grado de’ tragici eroi addimanda un
imanda una natura maestosa e degna» (Elena Virginia Balletti, Lettera della signora Elena Balletti Riccoboni al signor abate
un fare timoroso e subalterno non avrà, o solo a momenti, gli slanci della grandezza di continuo necessari al ruolo rapprese
non si rendono conto di nulla: pretendevano che avessi sempre l’aria della regina di Cartagine» (Hippolyte Clairon, Memorie
re, Observations sur l’art du comédien, cit., p. 338). E, a proposito della frase pronunciata da Baron, la fonte resta sempre
, verso l’avvenire, sono sempre soggetti a cambiamenti e rivolgimenti della loro condizione interiore o esteriore, cambiament
cerca di una soluzione mediana tra il conversevole e la preservazione della sublimità del tragico era individuata come necess
da citazione è tratta da Antonio Eximeno, Dell’origine e delle regole della musica, In Roma, MDCCLXXIV, Nella Stamperia di Mi
ti del genio proveniente d’Oltremanica. [commento_13.14] A proposito della penetrazione di queste contaminazioni tra tragico
n Italia, si legga quanto scritto da Salfi nel Saggio storico-critico della commedia italiana: «Mentre tali scrittori si succ
dulgenza nel teatro» (Francesco Saverio Salfi, Saggio storico-critico della commedia italiana, cit., p. 65). Capitolo XIV
i inserisce in un piano di riforma che non coinvolge solo l’orizzonte della recitazione, ma anche la dimensione istituzionale
vere aprioristicamente alcuni attori, i primi uomini e le prime donne della compagnia. [commento_14.5] Sull’importanza del p
v. 25-30, p. 58.) [commento_14.6] Sull’insostituibilità dell’apporto della Natura, si legga Riccoboni: «Chi le gambe bistort
enze economiche, veniva segnalata da Riccoboni come un pregio proprio della nazione: «On voit d’ailleurs en Italie ce qu’il n
alfi aveva trattato il tema già nel numero 10 del Termometro politico della Lombardia, datato 8 termidoro IV repub. (martedì
ino» (Teatro nazionale, n. 10, 26 luglio 1796, in Termometro politico della Lombardia, a cura di Vittorio Criscuolo, cit., vo
ndo come tale stato di cose fosse sorto in seguito alla disgregazione della comicità dell’arte. Il passaggio da un sistema fo
re indifferente»» (Giuseppe Antonio Camerino, Alfieri e il linguaggio della tragedia: verso, stile, tópoi, Napoli, Liguori, 1
icus (1669), mentre quella alfieriana è l’Ottavia (1783). A proposito della figura di Oreste, Salfi allude invece a Le Coefor
5.7] La critica ad Alfieri è presente anche all’interno del Ristretto della Letteratura italiana, sede in cui viene ulteriorm
rasporli su un piano ideale, con l’effetto di «collocarli al di sopra della specie umana, o piuttosto della generazione attua
l’effetto di «collocarli al di sopra della specie umana, o piuttosto della generazione attuale» (Francesco Saverio Salfi, Ri
ttosto della generazione attuale» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. II,
generazione attuale» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, cit., vol. II, p. 254). Egl
ragione rimproverare all’Alfieri si è di aver mescolato un po’ troppo della sua tempra nella rifusione fatta di questi esseri
era, signore? Una Parta, una furia che chiede ai suoi amanti la testa della loro madre e regina, una parte tenera? Ecco, cert
tazione di Hume, ulteriore punto di riferimento per Salfi a proposito della mobilità del fenomeno passionale fu Henry Home, a
uta, non devono apparire bruschi, ma seguire la progressione graduale della passione. Salfi si scontra con il pregiudizio sec
quale, al culmine del sentimento, debba corrispondere l’innalzamento della voce verso i toni più acuti. Discendere «all’otta
ro, per consentire il naturale sviluppo del carattere. La dilatazione della temporalità che i romantici ottenevano infrangend
a progressione del sentimento. Laddove il poeta sottomesso ai vincoli della classicità doveva fermarsi, subentrava l’attore,
siderato l’attore nella sua fisionomia individuale, come se lo spazio della scena fosse un luogo deserto, sede di una serie i
ron che aveva abbandonato le scene. A proposito dell’eccessiva enfasi della sua recitazione, Lemazurier scrive: «[…] son jeu
ineata da Diderot in diversi luoghi dei suoi scritti. Già nell’ambito della critica d’arte, egli aveva mostrato la sua prefer
sa in scena de Il padre rivale del figlio, ancora legata all’universo della comicità dell’arte. Sin dall’inizio della pièce t
ancora legata all’universo della comicità dell’arte. Sin dall’inizio della pièce tuttavia, Goldoni immerge il pubblico in un
essi mostrano le spalle agli spettatori, come evidenzia l’insistenza della didascalia verso la scena. Queste annotazioni sot
, 1, p. 1198). [commento_17.12] Non è un caso allora che il soggetto della sua ultima opera tragica, la Francesca da Rimini,
sca da Rimini, sarà proprio l’amore. Salfi intuisce nel dispiegamento della passione amorosa la possibilità di conferire magg
ito dell’autore cosentino, che, senza abbandonare la vena anticuriale della produzione precedente, si avvia a nuove speriment
do di battute attraverso la frantumazione del verso anche all’interno della propria scrittura tragica. Si veda Francesco Save
ragedie, II, 5, cit., p. 36. [commento_17.20] Per un approfondimento della versificazione alfieriana, si veda Gian Luigi Bec
18.3] «La seconda regola, che gl’inglesi scrittori osservano poco più della prima si è che niuna persona debba mai comparir s
Ferdinando Baret, tomo II, pp. 290-291). [commento_18.4] A proposito della critica al dramma per musica, si rimanda al testo
ldamente lodato nella dedica Al signor conte Luigi Porro Lambertenghi della traduzione delle Lettere di Engel da parte del Ra
olla matita, i bei gruppi e le attitudini varie, commoventi parlanti, della gran scena ultima tra la madre e il figlio alle p
o dopo il sublime, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 123-157. All’interno della Drammaturgia d’Amburgo Lessing, paragonando la co
li attori, si sarebbe dato ragione, anche da un altro punto di vista, della opportunità di far apparire un fantasma davanti a
uente didascalia: «Tutti si compongono nelle attitudini del terrore e della sorpresa. Saulle cade a terra spaventato, e tosto
lare di Samuele si verificava anche all’interno di un’altra tragedia, della quale è possibile che il Salfi avesse avuto lettu
rra, / Vivo m’inghiotti… Ah! pur che il truce sguardo / Non mi saetti della orribil ombra» (Vittorio Alfieri, Saul, in Id., T
p. 1021-1023. Capitolo XX [commento_20.1] Per un inquadramento della questione si veda Renzo Guardenti, Il costume tea
e moderna. Dialogo di Pier Jacopo Martello, cit., p. 172. A proposito della Clairon, si legga quanto l’attrice scrive nelle s
entata, goffa, rigida e sconcia. L’unica moda da seguire è il costume della parte interpretata» (Hippolyte Clairon, Memorie e
rando gli attori secondari. [commento_20.10] Sulle inverosimiglianze della scena si legga: Francesco Algarotti, Saggio sopra
ne critiche al riguardo. Tra queste, la preoccupazione che l’apertura della scena fosse troppo vasta e rischiasse di non far
p. 371). [commento_20.14] Salfi sottolinea come nella pianificazione della struttura del teatro gli architetti debbano esser
tturato in maniera da permettere una buona visuale da qualsiasi punto della sala. Dietro questi dettagli materiali si cela un
e fatte in epoca giacobina, le quali auspicavano a un teatro specchio della rivoluzione che si voleva attuare in società. Tra
alfi scrive il trattato Della declamazione, l’apprendimento integrale della parte non costituiva un requisito indispensabile
sionale che si era resa quanto mai necessaria con la fine del sistema della comicità dell’arte, in cui prevaleva la recitazio
la recitazione all’impromptu. [commento_21.5] Lo studio individuale della parte rientrava già nella prassi scenica del temp
[commento_21.6] Il suggeritore, tramite un effetto di raddoppiamento della parte, infrange ogni illusione, ricordando allo s
tà, si sofferma sulla spartizione che gli attori facevano del gesto e della voce, affermando che fossero due gli attori ad an
 174-175). [commento_21.9] Si legga quanto scrive Larive a proposito della novità del suo metodo di insegnamento della decla
scrive Larive a proposito della novità del suo metodo di insegnamento della declamazione nella prefazione: «Jusqu’à présent p
Paris, chez Delaunay, 1810, s.n.). Du Bos aveva trattato la questione della notazione della declamazione, presumibilmente pra
unay, 1810, s.n.). Du Bos aveva trattato la questione della notazione della declamazione, presumibilmente praticata dagli ant
agedie e altre prose critiche, cit., p. 244); «Infatti la scioltezza della lingua, il movimento del corpo, il respiro hanno
mento del corpo, il respiro hanno bisogno, per essere migliorati, non della teoria, ma dell’allenamento» (Marco Tullio Cicero
Significativo appare allora il paragone che egli instaura all’interno della memoria Dell’utilità della F. Massoneria sotto il
il paragone che egli instaura all’interno della memoria Dell’utilità della F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
emente a corregger le proprie» (Francesco Saverio Salfi, Dell’utilità della F. Massoneria sotto il rapporto filantropico e mo
Nel rito massonico, come nel rito tragico, l’uomo, facendo esperienza della «morte massonica», risorgeva a nuova vita, dando
no di perfezionamento e purgazione. Non è un caso che tra gli emblemi della simbologia massonica comparisse la fenice, l’ucce
generalizzata dei drammi per musica dell’epoca, in cui l’ostentazione della ricchezza della scena e lo sfruttamento di elemen
i drammi per musica dell’epoca, in cui l’ostentazione della ricchezza della scena e lo sfruttamento di elementi estriseci al
oggettivi, senza lasciare offuscare la critica all’attore dal carisma della sua figura, era già presente in D’Aigueberre. Egl
inando il parere critico con l’invaghimento che provava nei confronti della donna: «[…] la conversazione ben presto si fece v
mazione». In Jean Dumas d’Aigueberre, Seconda lettera del suggeritore della Comédie di Rouen al garzone del caffè, ovvero con
médie di Rouen al garzone del caffè, ovvero conservazione sui difetti della declamazione, cit., p. 230. [commento_22.5] Cert
con quelle che egli rivolgeva, dalle colonne del Termometro politico della Lombardia, ai cantanti del dramma per musica, sem
mpo, né la libertà di applaudire» (Sul presente spettacolo del teatro della Scala, n. 52, 30 dicembre 1797, in Termometro pol
l teatro della Scala, n. 52, 30 dicembre 1797, in Termometro politico della Lombardia, cit., vol. 3, p. 403). L’episodio del
Auria Editore, 1998, II, 1, 334a, p. 113). Salfi parla con cognizione della proscrizione del genere tragico, dal momento che
dita, fra gli altri, dal ventunenne pugliese Emmanuele De Deo, membro della neonata Società Patriottica Napoletana, che venne
edie dai forti contenuti politici andasse a sopperire l’impossibilità della rappresentazione: «Il verbo “declamare” è usato d
rto tipo di recitazione — si pensi infatti alla pratica assai diffusa della lettura tragica — nella quale sembra impegnato Sa
nzione civile che le scene erano chiamate a svolgere, finiti i fuochi della rivoluzione era apparsa quanto più impellente la
dei passi e di assumere l’aria atteggiata del ballerino, ma il resto della sua arte è di grande necessità» (Hippolyte Clairo
la musica, bisogna apprendere gli elementi per conoscere l’estensione della propria voce, per rendere facilmente ogni intonaz
o dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete che con rincrescimento si
p. 55). [commento_24.3] Ecco cosa scrive Cornelio Nepote a proposito della sconfitta di Agesilao da parte di Cabria: «Il fat
formance, Salfi intendeva oltrepassare una lacuna intrinseca all’arte della declamazione, ossia l’assenza di una tradizione a
itica teatrale di Salfi contenuti all’interno del Termometro politico della Lombardia che, più che soffermarsi su aspetti leg
egati al testo, si concentrano sui meriti o i vizi emersi nell’ambito della performance. 1. Franco Ruffini, Semiotica de
ore dalle origini al Settecento, si veda Claudio Vicentini, La teoria della recitazione. Dall’antichità al Settecento, Venezi
iottico tra rivoluzione e impero, Roma, Bulzoni, 1991. Su questa fase della produzione salfiana si veda inoltre Alberto Grane
fiana si veda inoltre Alberto Granese, Divina libertà. La rivoluzione della tragedia, la tragedia della Rivoluzione. Pagano,
o Granese, Divina libertà. La rivoluzione della tragedia, la tragedia della Rivoluzione. Pagano, Galdi, Salfi, Salerno, Edisu
nti di rapido impiego: ecco dunque il costituirsi dell’immenso corpus della letteratura divulgativa d’orientamento repubblica
alfi, si veda Vittorio Criscuolo, Introduzione in Termometro politico della Lombardia, a cura di Vittorio Criscuolo, Roma, Is
1, nota 47, p. 23. 24. n. 1, 25 giugno 1796, in Termometro politico della Lombardia, cit., vol. 1, p. 81. 25. Teatro nazi
25. Teatro nazionale, n. 10, 26 luglio 1796, in Termometro politico della Lombardia, cit., vol. 1, pp. 161-162. 26. Ivi, p
Ibid. 28. «Una compagnia di dilettanti sottomettendosi all’ordine della detta proposta accademia, e dichiarandosi benemer
all’ordine della detta proposta accademia, e dichiarandosi benemeriti della patria, potrebbe sulle prime rimpiazzar questo vu
Declamazione tragica, n. 17, 20 agosto 1796, in Termometro politico della Lombardia, cit., vol. 1, p. 240. 32. Ivi, p. 241
33. Teatro, n. 37. 38, martedì 15 novembre 1796. Termometro politico della Lombardia, cit., vol. 1, p. 442. 34. Ivi, p. 444
. 444. 35. Teatri, n. 24, 13 settembre 1796, in Termometro politico della Lombardia, cit., vol. 1, p. 311 36. A proposito
nauguri la vera critica teatrale alfieriana e si pongano i fondamenti della sua fortuna scenica successiva», in Mariagabriell
. 491. 37. Teatri, n. 24, 13 settembre 1796, in Termometro politico della Lombardia, vol. 1, cit., p. 312. 38. L’approccio
ol. 1, cit., p. 312. 38. L’approccio con cui consideriamo l’elemento della didascalia, qui e in futuro, è da ricondursi alla
ienne, Paris, L. Janet, 1826. 55. Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, a cura di Pasq
L. Janet, 1826. 55. Francesco Saverio Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, a cura di Pasquino Crupi, S
. Paschoud, 1814, vol. 2, p. 379. 72. Per un’analisi più dettagliata della questione si veda Edmond Eggli, Schiller et le ro
it., vol. II, p. 269. 78. Sulle posizioni assunte dai collaboratori della Revue encyclopédique nella querelle tra classici
suo talento nel mettere in scena personaggi tragici. La seconda parte della sua esistenza fu volta all’insegnamento dalla cat
esi, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-, 74 voll., vol. 77,
le critiche rivoltele (del resto garbatamente) da Lessing a proposito della sua interpretazione della protagonista nella Céni
resto garbatamente) da Lessing a proposito della sua interpretazione della protagonista nella Cénie di M.me de Graffigny, il
t., pp. XII-XIII. 102. Se l’attore saprà imitare i sintomi esteriori della collera, «[…] lo afferrerà un cupo sentimento d’i
39 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Capitolo decimoquinto »
Capitolo decimoquinto Terza causa. Abbandono quasi totale della poesia musicale. Esame de’ più rinomati poeti dra
opinioni contrarie non meno al conseguimento del vero che ai vantaggi della religione. La seconda, perché pochi essendo i pri
o capace di poterle promuovere una sola pedata. Ed ecco il fondamento della massima di Orazio, colà dov’ei dice che né gl’idd
un popolo, questa supposizione non può andare disgiunta dal sospetto della loro mediocrità, perocché abbandonate fra le mani
i asiatici i titoli che scambievolmente si danno di signori del corno della luna, o di dominatori degli elefanti. Non potendo
on frutto la più deliziosa fra le arti d’imitazione ai grandi oggetti della morale, della legislazione e della politica, come
iù deliziosa fra le arti d’imitazione ai grandi oggetti della morale, della legislazione e della politica, come si faceva dai
rti d’imitazione ai grandi oggetti della morale, della legislazione e della politica, come si faceva dai Greci, né trovandosi
nza che altre immagini per lo più ci appresenti fuor di quelle solite della fiaccola d’imeneo che rischiara il sentiero alle
e di regalare la bilancia e la spada a saggio ed avvenente garzone, o della povera Nice, cui si danno dagli amanti più epitet
e capaci di produrre un piacere inaspettato allorché aveano il pregio della novità: sembrano «Sogni d’infermi e fole di roma
il diletto che nasce dalla sorpresa, né quello che viene dal riflesso della loro convenienza. Da ciò deriva lo spirito d’imit
i e le accademie, le lodi e chi le dispensa151. [5] Tra i generi però della poesia niuno v’ha più vilipeso e negletto che il
alla musica, soffrono ciò nonostante che la parte poetica primo fonte della espressione nel canto e della ragionevolezza nel
stante che la parte poetica primo fonte della espressione nel canto e della ragionevolezza nel tutto, giaccia obbrobriosament
ssiste alla rappresentazione, e al gusto di chi la legge. Gli insetti della letteratura, coloro cioè che ronzan dintorno alle
vergogne. Ed è ben ragione che il loro destino non sia punto migliore della loro capacità. Vili schiavi dell’impresario, del
r conseguenza, rinunziando ai propri diritti per modellarsi su quelli della padrona, ha dovuto metter in non cale la condotta
; terremmo allora con essi il costume, che suol tenersi col frammenti della greca scultura de’ quali in mancanza d’una intier
siderare il gran numero di que’ corpi sonori, di quegli esseri fisici della natura che si rappresentgno cogli sgomenti e non
ra loro, rapporti che formano, a così dire, la metafisica e l’algebra della musica, ma la cognizione de’ quali non è altrimen
i accennati uffizi, il suo impiego si restringe solo a imitar i tuoni della umana favella. Ma il peggio è che non ogni favell
ne ad eccitare i muovimene individui compresi nell’andamento generale della passione. E questa è la cagione per cui la sempli
rammatico più dilatato perché più conforme al presente stato politico della società, non si sono limitati alla rappresentazio
zza, l’amicizia, la gloria, l’amor coniugale, l’amor figliale, l’amor della patria con più altri affetti consimili sconosciut
teri da noi rappresentati non ha contribuito poco ad ampliar la sfera della musica, e che Temistocle, Arbace, Aristea, Megacl
ogni opera devano comparir sul teatro due donne e talvolta anche tré, della metà delle quali non sapendo che farsi il poeta p
lla passione amorosa, la quale come chè sia la forte e la più intensa della natura, è tuttavia la meno estesa, uno solo essen
he può infatti somministrare, fa di mestieri sostituire il linguaggio della immaginazione e dello spirito che signoreggiano a
signoreggiano ampiamente nel teatro moderno, dal che deriva la rovina della musica e della poesia; poichè siccome questa altr
mpiamente nel teatro moderno, dal che deriva la rovina della musica e della poesia; poichè siccome questa altro non fa sentir
materia di discorso sapranno essi trovare ricorrendo ai luoghi topici della galanteria. Vuol proccaciarsi la protezione e il
delle scene, lo stesso del numero e qualità dei personaggi, lo stesso della maniera d’intrecciare l’azione e dell’orditura di
mo disegno e che dispensano il poeta dal badare alla retta imitazione della natura e alle difficoltà che presenti un tragico
resenti un tragico lavoro accontiamente eseguito. E che importa a lui della unità di pensiero e d’argomento tanto raccomandat
tà di pensiero e d’argomento tanto raccomandata dai gran maestri? Che della semplicicità de’ mezzi, della verità dei caratter
anto raccomandata dai gran maestri? Che della semplicicità de’ mezzi, della verità dei caratteri, della eleganza dello stile,
aestri? Che della semplicicità de’ mezzi, della verità dei caratteri, della eleganza dello stile, della pittura del cuor uman
tà de’ mezzi, della verità dei caratteri, della eleganza dello stile, della pittura del cuor umano e della forza ed evidenza
caratteri, della eleganza dello stile, della pittura del cuor umano e della forza ed evidenza delle passioni quando ha trovat
re quell’insigne scrittore ha fatto attribuir al melodramma i difetti della loro incapacità, e perché non hanno essi saputo s
no essi saputo superare gli inciampi i che offrono nel presente stato della musica gli argomenti storici nel condurre passabi
testa singolar produzione del cielo italico sul gusto degli abitatori della Senna. Ed ecco che ritornando indietro da quasi u
le superbe comparse anziché colla ben pensata modulazione e coi fiori della eloquenza. Siffatto principio avrà delle pericolo
falso dal vero, e più diffìcili a lasciarsi sorprendere dai prestigi della fantasia.                                       
ltri motivi indicati. Sarà in ultimo luogo lo sterminio dello stile e della musica. Di quello per la regola generale che la p
i drammi musicali da rappresentarsi con regia magnificenza nel teatro della corte di Parma, i quali pruovano quanto siano lim
cchiata in attenzione alle altre sue cose bellissime, e contentiamoci della ingenua confessione che fa egli medesimo della su
ssime, e contentiamoci della ingenua confessione che fa egli medesimo della sua inesperienza in fatto di poesia drammatica. «
mando di atto in atto invece di crescere, al poco felice scioglimento della catastrofe, e alla inverosimiglianza di alcuni in
o trattato in prima da Metastasio, lo scontrarsi col quale sul cammin della gloria non è e non può essere vantaggioso per chi
senza necesssità cogli sposi; non avrebbe sagrificato alla vana pompa della decorazione l’orditura, la verosimiglianza e il b
nsigliando loro l’uccisione degli sposi senza che questi maravigliati della improvvisa lontananza in un giorno di sposalizio
olo discorso che Ariosto gli fa tenere col paladino Astolfo nel globo della luna. Però non ostanti i suoi talenti poetici, no
gran luogo ne’ suoi componimenti, ma si trae per il comune dai fonti della storia, e i costumi e i riti de’ popoli vengono o
profferir una parola: combattimento introdotto dal poeta per cagione della comparsa, ma che troppo funesta fin dal principio
raggio d’intraprendere in lingua non sua uno de’ più difficili lavori della ragione poetica qual è la tragedia, ha parimenti
io non avrei difficoltà di dir che fosse il primo, se alla semplicità della condotta, alla scelta e varietà nei metri, alla r
o le doti che caratterizzano l’Alessandro e Timoteo del Conte Gastone della Torre di Rezzonico rappresentato anni fa nel regi
i è scritto con uguale vaghezza. Ha inoltre il pregio incontrastabile della novità, essendo egli stato (per quanto a me pare)
descrittiva qual è quella dell’inglese Dryden intitolata Gli effetti della musica a le cui sorgenti ha l’autore italiano lar
rown gli ha somministrata l’idea nella sua dissertazione sulla unione della musica e della poesia. In altro luogo ci converrà
ministrata l’idea nella sua dissertazione sulla unione della musica e della poesia. In altro luogo ci converrà parlare più a
né eroe, né uomo di genio, ma piuttosto un farnetico divenuto giuoco della sua eccessiva sensibilità, uno schiavo della moll
arnetico divenuto giuoco della sua eccessiva sensibilità, uno schiavo della mollezza che ci vendica fra le sue catene dell’as
a altresì nel fine morale. Volendo far conoscere i prodigiosi effetti della musica, non dovevano questi manifestarsi spingend
ortigiana. In secondo luogo perché nel caso ancora che un falso amore della patria determinato l’avesse ad eseguire quell’att
a pubblica imitazione. Oh mortali! Non è abbastanza feroce lo spirito della guerra senza che voi cerchiate d’inferocirlo anco
la moltiplicità de’ caratteri, per la forza di essi, e per la verità della espressione è più dilatata nella prima che nella
rtengono esse, è di numero troppo scarso rispetto alla massa generale della nazione; quindi minore altresì esser deve la somm
media. I soggetti che vi s’introducono formano la classe più numerosa della società. Gli avvenimenti che vi si rappresentano
nes è la divisa del comico. Ma bisogna andare più oltre. Le affezioni della gente popolare sono meno riconcentrate, e consegu
meno artefatti e perciò più facili ad essere rappresentati. L’accento della loro voce più sfogato e vivace, e in conseguenza
colle spinose e tacite cure la condizione de’ potenti schiavi sempre della fortuna e del pregiudizio nell’atto stesso che al
di caratteri o sia di natura imitabile. Lo è per il secondo a motivo della più facile esecuzione sì perché i tratti dell’ogg
e originali da poter agiatamente studiare. Lo è per il terzo a motivo della ricchezza delle modulazioni che scaturisce dalle
que sopra di quella a questa dasse la preferenza. [25] Fin qui è vero della musica, e lo dovrebbe essere parimenti della poes
nza. [25] Fin qui è vero della musica, e lo dovrebbe essere parimenti della poesia: ma se da ciò che dovrebbe e potrebbe esse
drammatico-musicale; nulladimeno siccome trattasi del mio guadagno o della mia perdita, così mi permetterete che vi dia alcu
nsare innocente non i delitti odiosi e nocivi sono la materia propria della scena comica, che questa materia dee rappresentar
a dose d’argento vivo, ora un goffo tedesco che non parli d’altro che della sciabla e della fiasca, ora un Don Quisciotte spa
vivo, ora un goffo tedesco che non parli d’altro che della sciabla e della fiasca, ora un Don Quisciotte spagnuolo che cammi
el teatro, così v’avvisarete di fare che il primo uomo sia innamorato della prima donna, e il secondo della seconda; senza co
fare che il primo uomo sia innamorato della prima donna, e il secondo della seconda; senza codesta legge non ci sarebbe verso
ano principali, ovvero di episodio si confanno mirabilmente col genio della musica. In ricompensa del disagio potrete sceglie
più v’aggradino per maneggiare lo scioglimento. Ne fo così poco conto della condotta che nulla mi cale se va piuttosto così c
e corrente (cercando però di rammorbidirlo alquanto secondo i bisogni della melodia, e mettendo un poco più di contrasto e di
rio: E da te sortirà prole d’Eroi? Del restante qui non parlasi che della maggior parte, essendo certo per altro che trovas
si potrebbero paragonare ai rinegati che divengono implacabili nemici della religione che lasciarono. 158. [NdA] «Aut famam
tia finge», Art. Poet. 159. [NdA] Il problema intorno alle cagioni della deliziosa malinconia generata dalla tragedia che
u questo proposito la distinzione fatta da Aristotile nel capo decimo della Poetica: «Non è lo stesso il nascere l’una da un’
40 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 734-735
iede per tempissimo all’arte dopo alcune ottime prove fra’ dilettanti della sua città. Si trovava nel 1853 in Compagnia Feoli
agnia Feoli, già sposa all’attore Ludovico Mancini ; e ad Alessandria della Paglia, in quell’anno, uditala il Righetti, la sc
atro italiano dal 1821 al 1855 (Milano, 1893), così parla il Costetti della egregia artista, dopo di avere accennato al ritir
lla egregia artista, dopo di avere accennato al ritirarsi dalle scene della Romagnoli : Le succede Daria Cutini-Mancini, gio
celebrità del grembiule. La Cutini-Mancini recava con sè, in più della Romagnoli, uno spirito di modernità e un sentimen
di grande fierezza che il nuovo repertorio esigeva. Infatti, il ruolo della servetta vera e propria era finito : subentrava l
zza piccante, giovanissima, ella pure di 22, ’23 anni appena : svelta della persona, elegante nei movimenti, con una pronunzi
altre nelle commedie di Goldoni, di Molière e di Nota. Fu parte poi della Compagnia Pieri, e, cominciando a star male col p
ttimamente, come lo fu in questa occasione, per merito principalmente della signora Cutini-Mancini, delizia di ogni pubblico
41 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 186-194
à maravigliosa, e nella prodigiosa multiformità, a' più grandi attori della Commedia dell’arte, i quali, recitando e le buffo
e de' poeti drammatici, e d’imitar le più straordinariamente ridicole della natura (V. Bertinazzi) : pregio, avverte il Ricco
ia nessuno, come il Novelli, anche tra italiani, dalle altissime cime della tragedia potè scendere alle più basse della pocha
ani, dalle altissime cime della tragedia potè scendere alle più basse della pochade, passando pel dramma moderno in tutte le
sue consuetudini, che non sappiam più se in iscena reciti, o se fuor della scena discorra, tanto si fondono e confondon l’uo
volta le opere che rappresenta, di guisa che non rimanga più traccia della forma primitiva. Tagli, aggiunte, riduzioni, scen
to e sentito, si rinsangua, ripiglia vigore, e sfida glorioso a' lumi della ribalta l’edacità del tempo. Come si è rivelato i
è meno il frontespizio, di pensieri riposti dell’autore in una parola della lingua originale, di cui non conoscono l’alfabeto
ichi, ai quali è già tanto affezionato, che tra' più gustosi aneddoti della sua vita è questo, che, venduto un orologio antic
non capiscon jota, ridon delle compere del Novelli, che dicon vittima della propria ignoranza ; i più, tra noi, che dell’arte
’idea, ridon d’una sua interpretazione di tragedia, dicendolo vittima della sua presunzione. I successi clamorosi avuti nel v
aio di pupazzetti che ritraggon l’uomo e l’artista in ciascun momento della sua vita (Roma, 1899). Ma di tal reluttanza al pu
è più tosto delle circostanze. La interpretazione dell’alto dramma e della tragedia fu buttata dall’artista al pubblico, qua
stimento scenico, per la fedeltà storica dei costumi, per la sobrietà della dizione. Ne eran parti principali, oltre ai Pietr
!… Adesso !… Forza !… Bravo !… Coraggio !… Sinchè, gittatomi al finir della scena tra le braccia del padre, uno scroscio di a
disciplina era fatta tutta d’amore. Mostrava già allora la grandezza della sua duttilità artistica ; e il pubblico se ne com
ù varj del repertorio. Marecat degl’ Intimi, Francesco I de' Racconti della Regina di Navarra, Vouillard del Rabagas, Mario A
mico pregò, e Novelli, tediato dall’insistenza, accondiscese. La sera della farsa venne, e a un dato punto Novelli entrò in i
grande qualità del Novelli di allora, attenuatasi poi col sopravvenir della gloria, fu l’arte del trasformarsi. La camuffazio
iuto a prima vista il Novelli ? Quando la poca o niuna responsabilità della parola gli lasciava una piena libertà di azione,
un mondo di convenienze e sconvenienze, che impedivan l’esplicazione della sua forza e della sua volontà. Fu in quei vincoli
nienze e sconvenienze, che impedivan l’esplicazione della sua forza e della sua volontà. Fu in quei vincoli troppo stretti ch
dè di coraggio. Lottò con una pertinacia degna di chi ha la coscienza della propria forza, e vinse : chi gli rispose fu il pu
suo primo giudizio. Oggi Novelli è tutto vòlto alla erezione in Roma della Casa di Goldoni, di cui mise la prima pietra al T
42 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Capitolo terzo »
Capitolo terzo Perdita della musica antica. Origine della musica sacra in Ital
Capitolo terzo Perdita della musica antica. Origine della musica sacra in Italia. Pretese scoperte di Guido
casse a tutte le arti e le scienze, di niuna fece peggior governo che della musica. Le cagioni di cotal singolarità sono assa
succedesse per divino consiglio agli errori del gentilesimo, il fior della musica antica si ritrovava o negli inni, che cant
imparare la loro religione, e la loro morale. Erano altresì l’albergo della dissolutezza, poiché vi si rappresentavano le art
del pubblico , e nota è parimenti la esecrabile costumanza di privar della virilità loro i fanciulli, acciò più agili, e più
a di esse consonanti. Cotal rinforzamento unito alla più lunga dimora della voce sulle rispettive sillabe, che ne era una con
particolar dolcezza d’accento, e per essere stata la sede principale della musica antica ne’ paesi dell’Occidente conservò u
o d’avere appo se musici pregievoli, i quali «sollazzassero la gloria della possanza sua», come s’esprime l’originale, scriss
ircostanze, delle quali a me non s’appartiene il parlare, molte parti della musica greca, aveano parimenti perduti molti segn
ecoli: lo che ei fece raccogliendo gli scarsi ma pregievoli frammenti della musica greca guasta e mal concia, come era a suoi
licità era più atto a commuovere di quello che sia la sfoggiata pompa della musica presente. Ne faccia testimonianza il piant
e altre chiese greche e latine, compose e formò l’antifonario per uso della musica sacra. Aggiunse a questa maggior pompa e m
ulare, vantandosi quelli all’incontro di essere i soli e veri maestri della musica perché seguitavano la scuola di San Gregor
2. [4] Per quasi i due secoli susseguenti, tempo, in cui, per valermi della energica espressione d’un moderno scrittore, l’Eu
zione che il loro rozzo ed imbarbarito orecchio. Guido Aretino monaco della Pomposa, che fiorì dopo il mille, è in que’ tempi
iar da lontano. Egli vien creduto comunemente il fondatore e il padre della moderna musica. I suoi meriti principali sono d’a
rte di esse scoperte non hanno altro fondamento se non quello appunto della comun tradizione. Si dice, per esempio, che Guido
sa posizione di questi s’indicassero gli alzamenti e gli abbassamenti della voce; ma ciò si niega a ragione dal Kirchero nell
quale s’impara a dar il lor nome, e a intuonar con giustezza i gradi della ottava per le sei note di musica “ut, re, mi, fa,
o ad altro che a segnar colla posizione loro i gradi, e le differenze della intonazione. Tutt’erano d’ugual valore in quanto
intitolato Speculum musica, che si conserva inedito fra i manoscritti della Real Biblioteca di Parigi, parla delle note e del
o stato, in cui si trovava a’ suoi tempi questa principalissima parte della musica. «I moderni», dice, «usano presentemente d
di. [6] Ma onde, dimanderà qualcheduno, tanta incertezza nella storia della musica? Perché tal oscurità circa il tempo delle
nulla pregiavansi le opere dell’ingegno, perché neppur si sospettava della loro utilità: dal niun commercio tra popoli confi
erarsi in allora la musica non come un’arte di genio, gli avanzamenti della quale dovessero interessare il lusso e la voluttà
rali, alle nozze, e ad altre solennità, come ancora a’ Ludi o misteri della Passione, de’ quali, per essere stati in certa gu
ettere. Ora ne’ tempi e nelle nazioni che chiamansi rozze, i principi della religione agiscono con maggior forza sugli spirit
i vizi han troppa licenza, come perché, essendo il carattere generale della filosofia quello di render probabili le cose più
la faccenda procede altrimenti) impresero a trattar argomenti propri della religione di quel dato paese, come cel dimostra l
Francia, in Ispagna, e in Italia i ludi, ovvero siano i misteri detti della Passione. Sul principio non furono se non rozzi s
a d’esser eseguiti e d’aver per autori persone consecrate al servigio della religione. Ognun sà che i primi poeti greci furon
a dimenticanza de’ veri principi di questa, tenne dietro anche quella della morale. Giunsero non pochi fra loro a scordarsi,
ezione, e progressi: merito assai tristo per una religione, l’oggetto della quale debbe esser quello d’assicurar all’uomo la
getto della quale debbe esser quello d’assicurar all’uomo la felicità della vita presente, e della futura, e non di regolare
esser quello d’assicurar all’uomo la felicità della vita presente, e della futura, e non di regolare lo scalpello dello scul
io dico, si vedeva Giove padre degli dei dipinto ne’ pubblici templi della medesima città colla lira in mano, s’adoravano Ca
er i primi istituita la danza, veniva onorato Mercurio come inventore della eloquenza, e si dava a nove vergini deità la sing
reggiato poi dagli usi politici, e ravvivato dalla possente influenza della bellezza, principio comune delle une e delle altr
ovea pregiare assai più un vile schiavo virtuoso, che non gli oggetti della pubblica venerazione. Epitteto colla sua gamba fr
                                «Ah! di sicuro Nulla è quaggiù. Non della gloria il lampo, Non la fortuna toglieran, che l’
e de’ fatti patriotici, e conseguentemente risvegliar in esso l’amore della libertà, e della patria, virtù delle più utili pe
otici, e conseguentemente risvegliar in esso l’amore della libertà, e della patria, virtù delle più utili per tutto altrove,
simo, quella religion santa, che trae dal cielo la sua origine, ci dà della natura divina, e delle cose che le appartengono,
rché le operazioni dell’Esser infinito oltrepassano la debole potenza della finita ragione, esso ricava maggior motivo di ven
tenza della finita ragione, esso ricava maggior motivo di venerazione della sua medesima oscurità. «Profonda e chiara, teneb
per esaminare le più ascose rivolte dei cuore, la perpetua ricordanza della morte, e del suo futuro destino, in una parola la
tura divina alle passioni degli uomini, e far un materiale spettacolo della più spirituale fra tutte le religioni. Perciò gli
i di dolori ai denti, e aggiugne agli altri donativi già fatti quello della coda d’una carogna». Un siffatto pontefice doveva
presso di sé dei ministri non dissimili a lui, e questi erano i preti della stessa chiesa. Ne’ giorni che durava la festa (ci
a commedia. La farsa per il comune si recitava nell’atrio o cimeterio della chiesa. Ivi si tosavano i capegli e si radeva la
eno grata al nostro Signore di quello che fosse alla Madonna la festa della sua Concezione. «Diffatti (dicevano essi, appigli
essi, appigliandosi a quella ragione, ch’è stata mai sempre lo scudo della ignoranza, e il baloardo del fanatismo) i nostri
sotto gli occhi dell’Altissimo che fra le domestiche mura? Il liquore della saviezza è troppo forte, noi siamo dei vasi tropp
e che sappiamo esser stata fatta in Germania, intitolata Ludo Pascale della venuta, e morte dell’Anticristo altro non era, se
decimoquinto si recitò nel Delfinato l’Epulone dove Asmodeo, diavolo della lussuria, e Pluto, diavolo delle ricchezze, compa
cucine Le pentole fiutando, e del Profeta Se qualchedun gli parla, o della legge, La pancia Ei si tasteggia, e poi risponde:
olane, di spettacoli sconci che meritarono replicate volte le censure della chiesa e nominatamente del papa Innocenzo III, ch
a del Gonfalone col solo fine di rappresentarvi annualmente i Misteri della Passione. In Ispagna, dove le antiche usanze dura
col titolo di Autos sacramentales, ed abbellite coi più vaghi colori della poesia, e di superbe decorazioni. Il fecondissimo
oi s’appartiene, quattro furono i gradi o l’epoche dell’accrescimento della musica sacra. Il primo quel semplicissimo, il qua
gliori spiriti dall’altra disgustati dal misero strazio che si faceva della poesia, della musica, e del buon senso, preferiva
dall’altra disgustati dal misero strazio che si faceva della poesia, della musica, e del buon senso, preferivano all’armonia
cuna influenza nell’Italia dove la musica ecclesiastica con discapito della religione, con iscandalo degli esteri, e con irre
quelle bocche avvilite, cui meglio assai converrebbe intuonar l’inno della ebrietà fra gli evirati sacerdoti di Cibele. 20
mostra gran dispiacere e maraviglia di ciò che dissi in questo luogo della filosofia, e (come avviene quando s’ha più cura d
no aspetto) si è trasferita la mia proposizione dal senso particolare della filosofia applicata agli oggetti religiosi ad un
icata agli oggetti religiosi ad un senso tutto diverso, cioè a quello della filosofia, che seguendo il corso delle nazioni fo
o il mio libro, ch’io porto la stravaganza a segno di condannar l’uso della filosofia nelle produzioni letterarie, nonostante
zelo s’esclama contro questa nuova maniera di profanare il sacro nome della filosofia. Ma siccome io non mi rendo mallevadore
ne’ secoli chiamantisi illuminati, o filosofici il carattere generale della filosofia applicata agli oggetti religiosi è quel
questo mio sentimento debba chiamarsi una profanazione del sacro nome della filosofia, e non piuttosto una proposizione veris
rissima appoggiata sulla cognizione dell’uomo, sulla lettura riflessa della storia, e sulla quotidiana esperienza. Tale sicur
l’histoire de la fête des fous stampato in Losanna. 33. [NdA] Storia della Letteratura italiana, Tomo 4, Libro 3, Capitolo 3
43 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 260-263
29 dicembre del 1771, ed essere stata sepolta il domani nella cripta della Cappella della Vergine nella Chiesa del San Salva
l 1771, ed essere stata sepolta il domani nella cripta della Cappella della Vergine nella Chiesa del San Salvatore. Dal suo m
quanto di gloria in voi splender si vede. Al proposito del Maffei e della sua Merope, il Pindemonte scrisse che a invaghirl
ffei seguitasse la Compagnia, intervenendo in molte città alle recite della sua Merope. Nè io sarei alieno dal crederlo ; par
è io sarei alieno dal crederlo ; parendo omai accertato che le grazie della Flaminia suscitasser tali discordie tra il Maffei
Femia, acerbissima satira, in versi sciolti e divisa in cinque atti, della quale sono interlocutori Mercurio, Fama, Radamant
insaputa dell’autore, in Italia e all’estero. In proposito del valore della Riccoboni, e del seguirla che faceva il Maffei di
faceva il Maffei di città in città, assistendo alle rappresentazioni della Merope, la Fama (atto secondo, scena I) a Radaman
a I) a Radamanto, che, dopo la descrizione chiara e viva da lei fatta della tragedia, aveva detto : mentre Femia m’accusi, i
esto senso, cioè che intervenisse in varie città d’Italia alle recite della sua Merope, è cosa assai nota, e della quale ho i
rie città d’Italia alle recite della sua Merope, è cosa assai nota, e della quale ho in mano le testimonianze e le prove. Co
imonianze e le prove. Come chiusura dell’articolo, do l’ultima parte della lettera che la Flaminia scriveva all’abate Conti 
ci Italiani che nella Commedia ; mentre le Tragicommedie di Sansone e della Vita è un sogno, non sono tragedie ; ed è ben div
mo pur data una volta a Parigi, non gli può aver rappresentata l’idea della natura tragica italiana, essendo essa una di quel
r la natura tragica, ho conosciuto che nella comica giungerà al colmo della perfezione. Concludo il mio discorso coll’assicur
e discendino al di lui familiare, e se una volta potrà farsi un misto della tragica ed inverisimile dignità francese, con un
Baron (Michel Boyron) uno dei più forti, se non il più forte artista della Francia, nacque a Parigi l’ottobre del 1653, e vi
44 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO III. Stato della Commedia Francese prima e dopo di Moliere. » pp. 36-58
CAPO III. Stato della Commedia Francese prima e dopo di Moliere. Pie
ivata al punto, ove l’avea portata in Italia il cavaliere Giambatista della Porta; ma la dipintura delicata de’ costumi atten
liere, cui i posteri diedero e conservano il meritato titolo di padre della commedia francese. Dopo le guerre civili che dura
Francesi non ignorarono, che l’azione ed i principali colpi di teatro della prima si tolsero da una commedia Italiana11. Arle
la platea, coraggio, Moliere, questa questa è la buona commedia, voce della natura onde siamo avvertiti che il pubblico polit
Nell’autunno del medesimo anno venne Moliere co’ suoi nella capitale della Francia. Cominciò le rappresentazioni colla trage
cui riuscita consolò l’autore, e cancellò la svantaggiosa impressione della favola precedente, e gl’ Importuni commedia in cu
do ridere il pubblico a spese de’ suoi censori, e pubblicò la Critica della Scuola delle donne, in cui dipinse vagamente i ri
quale avea indegnamente ferito Moliere motteggiandolo sulla condotta della moglie col Ritratto del Pittore. Ma dopochè nel 1
re atti, produsse nel 1666 il Misantropo che fu il primo capo d’opera della commedia francese. Tutti i comici antichi e moder
iglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo della politezza e senza necessità, si pregia di dire ad
a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell
isentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell’idea, dell’ eleganza e pure
uale temendo di essere smascherata volea farlo passare per una satira della vera pietà e religione. Mille pregi rendono quest
e religione. Mille pregi rendono questo dramma l’ornamento più bello della comica poesia e delle scene francesi. L’interesse
el Misantropo, comincia nel Tartuffo a sentirsi sin dalla prima scena della vecchia Pernelle. La vivacità ch’è l’anima delle
provincia viene aggirato da Sbrigani personaggio modellato su i servi della commedia greca ed italiana antica e moderna. Gli
ma volta che questo monarca che si trovava nel trentesimosecondo anno della sua età, comparve in teatro a ballare scosso da a
sto di questo monarca e la stima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità della comica dipintura di M
tima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità della comica dipintura di M. Giordano, in cui si ridico
l che non si è. Tuttavolta vi si trovano molti colpi di teatro proprj della farsa; benchè gli uomini di gusto non pedantesco
tata nel 1671, sebbene il sacco in cui si avvolge Scapino, e la scena della galera appartengano a un genere comico più basso.
Trissottino. Dietro a questa commedia nell’anno stesso venne la farsa della Contessa d’Escarbagnas, una pastorale comica di c
che se ne fece il dì 17 di febbrajo, morì in sua casa questo principe della commedia francese, essendovi stato trasportato da
iere non fu quella che orgogliosa e vana sdegna di piegarsi al calore della passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di pe
fia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’ austerità della sua dottrina. La filosofia di Moliere e di ogni u
to di una virtù troppo fiera ed intollerante. Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere accoppiò quello degli scr
he sono imitazioni di Plauto l’Anfitrione e l’Avaro, e che i fratelli della Scuola de’ mariti sono modellati sugli Adelfi di
iliano, il Convitato di pietra, la Principessa d’ Elide, ed una parte della Scuola delle donne, si ricavarono dal teatro spag
dagl’ Italiani. Dallo Straparola trasse l’argomento ed alcune grazie della medesima Scuola delle donne. Varie scene ed astuz
ni, a riserba del modo di rappresentare pantomimico di Scaramuccia, e della commedia del Secchi, e del Cornuto immaginario. D
ò si vede la difficoltà di esser critico e pensatore senza cognizione della storia. Bisogna però mostrare maggiore ingenuità
o atto una pastorale, nel terzo una commedia, nel quarto una tragedia della morte di Clorinda, nel quinto una tragicommedia d
poi scrisse una satira, parendogli di non essergli stata dall’Orazio della Francia renduta tutta la giustizia. Il Legatario
Davide Agostino Brueys, benchè morto nel 1723, passò la maggior parte della sua età nel secolo XVII, essendo nato in Aix nel
venne poeta comico non ispregevole, e conservò tra’ Francesi il gusto della vera commedia. Le Grondeur gli acquistò molto cre
o il teatro francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e della Commedia Italiana dove andava Moliere a studiare
de Nouvelles di Vizè. 15. Numerando il sig. ab. Andres nel III tomo della sua opera su di ogni letteratura le favole france
a de’ Plaideurs. 19. V. le Memorie Letterarie che formano il tomo II della Dunciade di Palissot.
45 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 87-90
arini Virginia, figlia di Carlo e Teresa Weiss, nacque ad Alessandria della Paglia il 19 novembre del 1844. Essendo il padre
piccola Virginia attendeva ogni mattina alla ripulitura dei palchi e della platea, ingannando il tempo con tirate di commedi
tolfi), sorpresala nelle sue declamazioni, scoprì il tesoro magnifico della sua voce, e, vedovo da poco e per giunta con figl
ala metteva paura. Il pubblico aveva avuto per una settimana i grandi della Compagnia, Salvini, la Clementina Cazzola, e non
genere drammatico, e il successo fa eguale. Essa non perdeva sillaba della Cazzola, che, per eleganza, naturalezza, profonda
l’arte in Roma, ov'è tuttavia, chiamata a coprire la cattedra di arte della recitazione nel Liceo musicale di Santa Cecilia,
Cecilia, creata per decreto del Ministro Baccelli. Questa la cronaca della vita artistica di Virginia Marini. Enrico Panz
che pare profonda e confidente nei gesti, nel volto, nei toni pacati della sua bella voce ! La passione regna dentro poderos
ede e dalla speranza. Sotto le belle vesti di Rosane, nell’anticamera della tragedia, Adriana non ismentisce un solo istante
Fedra gittata a guisa d’uno schiaffo o d’un pugno di fango sul volto della rivale, ci rivela a un tratto tutta la potenza tr
a, e, direi quasi, di canto, tale e tanta era la carezzosa musicalità della sua voce. Quando non si andava svogliatamente com
interrotto di ogni sera. Passando dalle schiette e composte comicità della Serva amorosa agli sfrenati e sfacciati ardori di
ob, e via discorrendo. Ricordiamo ancora Virginia Marini alla vigilia della celebrità con Alessandro Monti al Teatro Alfieri
a sul pubblico, che rimaneva vinto di sorpresa, e soggiogato…. L'arte della Marini fu plastica nella dizione e nel portamento
le improvvisazioni inattese, e diciam pure gl’improvvisi lampi d’arte della Tessero mancavano a Virginia Marini ; ma nella gr
e nella lor trascuratezza, a tutto insomma il grande convenzionalismo della scuola moderna. Virginia Marini ha chiuso il vecc
46 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VIII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI ANTICHI E MODERNI. TOMO VIII. LIBRO VIII. Teatri d’oltramonti nel secolo XVIII. — CAPO III. Della vera Commedia Francese e della Italiana in Francia. » pp. 128-191
CAPO III. Della vera Commedia Francese e della Italiana in Francia. Due specie della vera com
lla vera Commedia Francese e della Italiana in Francia. Due specie della vera commedia noi contiamo, la Tenera, e la Piace
era commedia noi contiamo, la Tenera, e la Piacevole, prima di parlar della Commedia Italiana che troviamo allignata in Franc
mici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso della commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’in
ra. Adunque quest’ultima specie di commedia presenta tutti i vantaggi della sensibilità posta in tumulto nelle favole lagrima
andro, Apollodoro, Terenzio, Annibal Caro, Sforza Oddi, e Giambatista della Porta nel Moro e nella Sorella. Non sono le lagri
tragico, i delitti grandi, i patiboli. La commedia tenera si contenta della sobria piacevolezza che risulta dalla pittura com
che, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione della nobile e gentile commedia Tenera. Guai al pedante
una spanna , il quale non sapesse distinguere il pennello dell’autore della Pamela e della Nanina da quello che colorisce le
quale non sapesse distinguere il pennello dell’autore della Pamela e della Nanina da quello che colorisce le favole lagriman
icolo agli occhi de’ pregiudicati suoi amici col mostrarsi innamorato della propria moglie, incorre nell’altro di voler pales
ezza che esige un amor colpevole, e con ciò cagiona le tenere lagrime della consorte che l’ama; simile argomento, dico, è un
renti, di tenerezza e di piacevolezza comica, che manifesta il pregio della commedia tenera. A torto contro di questo genere
n si accolse troppo favorevolmente. L’azione è più semplice di quella della Pamela; ha di più il merito di essere bene scritt
te delicatamente; lo scioglimento avviene senza la grande rivoluzione della condizione della fanciulla; perchè Nanina al più
lo scioglimento avviene senza la grande rivoluzione della condizione della fanciulla; perchè Nanina al più vien riconosciuta
ior forza nella Pamela: il contrasto nel cuore di Milord dell’amore e della nobiltà più vivace e teatrale: i costumi inglesi
in Parigi nel 1709 è uno de’ Francesi che conservarono la giusta idea della comica giovialità, resistendo alla seduzione del
tesoriere di Francia, il più severo valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e della commedia piangente. Ne
ù severo valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e della commedia piangente. Nella sua dissertazione inser
lla commedia piangente. Nella sua dissertazione inserita nel tomo III della Raccolta della sua Accademia della Roccella conch
angente. Nella sua dissertazione inserita nel tomo III della Raccolta della sua Accademia della Roccella conchiude dicendo, c
issertazione inserita nel tomo III della Raccolta della sua Accademia della Roccella conchiude dicendo, che» se in una commed
farle spandere». Al contrario non la comprese l’autore de’ Tre Secoli della Letteratura francese, che non ammette altra speci
zio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto della piacevolezza di Regnard, e molto meno dello stile
il Palissot desiderava che il protagonista avesse un tono più proprio della gente nobile. Il Filosofo maritato presso il mede
da una favola inglese. In generale Des Touches è uno de’ buoni comici della Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole,
rettezze obligato a scriver troppo, mostra nelle sue favole l’effetto della precipitazione. Non si dovea stampare tutto ciò c
olezza; lo stile spiritoso e proprio senza sforzo e senza pregiudizio della naturalezza è animato da una versificazione armon
di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevè gli elogii de’ più noti poeti della Francia, e varie dichiarazioni di amore in versi,
a ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto della natura, il quale argomento su poco felicemente tr
te un tempo vezzosa, produssero alcune commedie pregevoli, a dispetto della moda lugubre, i seguenti scrittori. Giovanni Camp
ato in Amiens nel 1709, e quivi morto a’ 16 di giugno del 1777 autore della graziosa novelletta le Vert-vert (dopo aver dato
a commedia del Mechant il merito di un vivace colorito ne’ caratteri, della buona versificazione e di uno stile elegante e sa
edie inedite perdute, o dall’autore stesso soppresse, cioè il Secreto della commedia da lui letta a’ suoi amici, ed il Mondo
vventure romanzesche-sforzate. La Bacchettona ovvero la Conservatrice della Cassetta tratta da una favola inglese è parimente
e di buon cuore, come anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima, e male della seconda per prevenzione fonda
e anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima, e male della seconda per prevenzione fondata sulle apparenze,
ppresentata in Parigi nel 1793. Antonio Bret nato nel 1717 scrittore della Vita di Ninon l’Enclos si esercitò pure nel gener
sta al teatro francese. Tratto poi dall’esempio abbandonò il sentiero della commedia piacevole, e si rivolse al genere serios
so è l’avviso che in essa si dà a chi crede aver motivo di querelarsi della leggerezza donnesca: Le bruit est pour le fat, l
ecclissata. L’Inglese a Bordò di m. Favart si compose dopo la guerra della Francia coll’ Inghilterra, che fu la penultima de
a coll’ Inghilterra, che fu la penultima del XVIII prima delle novità della prima, e riuscì sulla scena. Per varii spettacoli
placata. Carlo de Montenoy Palissot nato in Nansi l’anno 1730 autore della Dunciade francese compose due drammi comici. L’av
tre. La Contessa di Genlis compose due Teatri, l’uno per l’educazione della gioventù, e l’altro di società, ne’ quali si preg
ata in Parigi nel 1787 poteva animare la gioventù a ricalcare le orme della buona commedia e a ricondurre in Francia il socco
he in versi ed in tre atti altro non produsse che rinnovare il dolore della perdita di quell’ingegno raro. Il Matrimonio segr
buoni attori. Collin d’Harleville giovane ancora produsse ne’ tempi della Repubblica l’Ottimista, ossia l’Uomo contento di
ntento di tutto, in cui prese a rilevare il ridicolo ove mena l’abuso della massima Leibniziana, tutto è bene. La migliore de
ni, dilicati, riuscì compiutamente allorchè si rappresentò nel Teatro della Repubblica. Si desidera non pertanto in essa più
più interesse; e si osserva che il vizio fondamentale è nel carattere della giovanetta che, secondochè si espresse l’autore,
l’autore di quello che sarà ben ricevuto dal pubblico, sarà lo sposo della loro figliuola. Con tal convenzione vanno al teat
riconvenuta di stare al patto ricusa e nega di consentire alle nozze della figliuola con Dami. Ma il marito per abbattere l’
ze della figliuola con Dami. Ma il marito per abbattere l’ostinazione della moglie, cava di tasca un manoscritto delle poesie
e poesie di Floricourt, fralle quali si legge una satira fatta contro della stessa Madama Armand, la quale convinta della pes
una satira fatta contro della stessa Madama Armand, la quale convinta della pessima sua scelta, fa scacciare il poetastro, e
ghi, ed un insipido riscaldamento delle Donne Letterate di Moliere, e della Metromania di Piron. Non vogliono obbliarsi varii
convenuti si fanno rientrare ne’ diritti e nelle cognizioni del resto della società quegli sventurati privi di due sensi nece
, con far correre voce di esser morto, onde potè usurpare col braccio della magistratura i beni appartenenti al Conte di Hara
perse l’anima a varie cognizioni. Passeggiando un giorno l’istitutore della scuola e l’allievo davanti al palazzo della giust
do un giorno l’istitutore della scuola e l’allievo davanti al palazzo della giustizia al vedere il fanciullo discendere dalla
lli. Si assicurò con ciò che era venuto da una delle principali città della Francia. Per indovinare donde effettivamente era
era Giulio; essendosene posto in possesso presentando un certificato della morte del legittimo erede. L’Abate ricorre al mig
ssia la Giovanezza di Richelieu. Tralle commedie pubblicate nel corso della Repubblica Francese, e chiamate Repubblicane, si
Mariage du Capucin di Volmerange, il quale, al dir di Piniere autore della satira le Siecle, pare che fosse tutto occupato a
edia del mentovato Dancourt a cagione di più d’una situazione comica, della condotta facile ed ingegnosa, di alcune scene nuo
rigi. Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi della buona condotta, dell’urbanità, e del rispetto che
ll’Arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava. della francese, e dell’italiana istrionica. In tal gene
ant-Foix, e poi l’attore Favart, e l’abate Voisenon. Tra gl’Italiani della stessa compagnia ne compose anche il lodato Ricco
a varii leterati Francesi che frequentavano la di lui casa, e scrisse della tragedia e della commedia con molta erudizione e
Francesi che frequentavano la di lui casa, e scrisse della tragedia e della commedia con molta erudizione e giudizio; come pu
elli Veneziani, da me ascoltata nel dicembre del 1777 in Mompelier, e della celebre attrice Carolina, i quali da molti anni s
discepolo di Moliere Michele Baron nato net 1653, e morto nel 1729, e della mirabile attrice Adriana Le Couvreur, sia andata
nerando. In fatti il signor Eximeno nel suo libro Origine e progressi della Musica, afferma che i commedianti (Francesi) pa
ttori francesi a voce bassa borbottando quando compariscono dal fondo della scena, e declamano più sonoramente quando si acco
profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo della scena, e più spiccate a misura che l’attore si av
nare il comodo di chi ascolta colla verità del dialogo, è la madrigna della natura. Si situano , aggiugne l’istesso Martelli
te dell’affettazione degli attori i Francesi di questi tempi. «L’arte della declamazione (dice uno di essi ironicamente) si
’azione.» Il signor Clement nelle sue Osservazioni critiche sul poema della Declamazione teatrale di Dorat scrive ancora: «Io
minore azione di braccia. Il sublime non richiede veruna esagerazione della natura, e la passione perde l’effetto nell’azione
animò colla musica dell’insigne nostro Sacchini nel 1775, come ancora della traduzione dell’Olimpiade recitata colla musica d
47 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [E-F]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 947-
avvento. Capitato allora a Milano Romualdo Mascherpa con la compagnia della quale era amoroso il Landozzi, e sentita la Fusar
ovinetta, baciata dall’autore e dalla Marchionni, ricevè il battesimo della gloria. Sempre col Lipparini, a Verona, andata la
ezzo al crescente entusiasmo per ben diciassette sere. Il matrimonio della Fusarini fu un romanzo inverosimile. A Livorno s
manifesti contorcimenti i dolori che la tormentavano ; un giovinotto della barcaccia di proscenio sussurrò a’ compagni, ma i
a una matta risata, poi lasciò il teatro ; quella recita fu l’ultima della Fusarini a Livorno. La malattia pigliò le più ser
ò l’olio santo. Alcuni tra’più caldi ammiratori entraron nella stanza della morente colle torce accese. A un tratto lo sguard
tanza della morente colle torce accese. A un tratto lo sguardo vitreo della poveretta si rischiarò, si animò ; le labbra si m
uegli cader di mano la torcia, colpito dal terrore, e se ne andò fuor della stanza, come pazzo. La Letizia a poco a poco ripr
raggiunger la compagnia a Parma, promessa sposa di lui, il giovinotto della barcaccia, Adriano Bargellini, uno de’ più stimab
ggitane come potè meglio, fu colta dal grippe che la tenne gran tempo della stagione obbligata al letto. Gustavo Naiper, il f
loriosi dell’arte sua, la presentò alla sorella San Vitale, col mezzo della quale fu invitata a colazione e protetta poi e am
solabile…. e quando io le domandai come potè lasciar l’arte nel colmo della gloria, e nel fior della giovinezza, senz’ ombra
domandai come potè lasciar l’arte nel colmo della gloria, e nel fior della giovinezza, senz’ ombra di rimpianto, ella infiam
r la sera di martedì 25 aprile 1843, in cui ebbe luogo la beneficiata della illustre artista. Se il solo merito dovesse esse
48 (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo VIII. Commedia turca. » pp. 422-425
a. Un pregiudizio volgare va impiccolendo sempre più in noi l’idea della coltura delle altre nazioni a proporzione della l
pre più in noi l’idea della coltura delle altre nazioni a proporzione della loro lontananza. Tutto ciò che non ci rassomiglia
a loro lontananza. Tutto ciò che non ci rassomiglia, sembraci indegno della nostra stima e incapace di buon senso, di spirito
rvare e riflettere se ne sottraggono. Generalmente i turchi, malgrado della loro comunicazione con alcune corti europee che p
statore, legislatore avveduto, virtuoso ancora e illuminato forse più della maggior parte de’ principi della sua età, si form
rtuoso ancora e illuminato forse più della maggior parte de’ principi della sua età, si formò sulla storia che amava di studi
persiano, come noi il greco e ’l latino. Quei che attendono alle cose della religione e alla loro giurisprudenza, si applican
o, e l’Ariosto degl’italiani. La drammatica di questi moderni signori della grecia non é certamente qual era a’ tempi di Socr
possessa del giovane, e cade infermo. Il padre tenero cerca il motivo della sua tristezza, lo trova, riflette, compatisce, si
te e comuni nella Turchia. In occasione di nozze si passa la giornata della cerimonia ballando o vedendo rappresentare i pupi
ata della cerimonia ballando o vedendo rappresentare i pupi. Le notti della quaresima della luna di Ramazan si spendono a man
nia ballando o vedendo rappresentare i pupi. Le notti della quaresima della luna di Ramazan si spendono a mangiare, fumare, p
49 (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Introduzione »
vo. Nonostante le censure, Algarotti fu però un esponente d’eccezione della cultura dei lumi, della quale ripercorre tutte le
e, Algarotti fu però un esponente d’eccezione della cultura dei lumi, della quale ripercorre tutte le tappe consuete; interpr
mo di lettere del XVIII secolo, volto a perseguire uno dei fondamenti della cultura umanistica settecentesca, quello di una l
oli originate siano dallo influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione (1762), Saggio sopra il commercio (1
to periodo di fervore intellettuale e nasce da una conoscenza diretta della messinscena operistica legata alla collaborazione
ello scritto che affrontava problematiche legate alla prassi concreta della rappresentazione operistica. Fin dalla prima reda
ulla sua collocazione nella gerarchia dei generi letterari. Alla fine della prima redazione, egli cita direttamente gli autor
é allora non si potrebbe dire che il dramma per musica è un grottesco della poesia; anzi l’età nostra potrebbe darsi vanto di
sima parte rinovato, dove la poesia, la musica, il ballo e l’apparato della scena faranno insieme un’amica congiura, e la cos
ropeo6, nel quale erano coinvolti in Francia esponenti di primo piano della philosophie; un dibattito che, se riguardava appa
a trasformazione radicale del gusto, in nome di una maggiore aderenza della poesia alla natura e all’uomo, in termini laici e
i proprio attorno al testo. Già in questa prima redazione, a supporto della sua tesi, Algarotti compone una sintetica ricogni
rvento di Algarotti d’altronde, se anticipa alcuni dei temi al centro della riflessione dei decenni successivi, rappresenta a
ione dei decenni successivi, rappresenta anche un momento di rilancio della discussione che parte dalla constatazione della d
n momento di rilancio della discussione che parte dalla constatazione della diffusione europea dell’opera italiana e da un’ac
pera italiana e da un’accettazione del genere nel sistema complessivo della cultura letteraria. Il dibattito sul teatro music
nimato le discussioni dell’inizio del secolo si collocava all’interno della riflessione sulla tradizione nazionale ed era str
dei generi letterari, il confronto con la cultura francese, l’eredità della poesia secentista11. Proprio nel 1700 il secolo e
zione di ogni regola poetica e la negazione di ogni intento educativo della poesia. Anche Lodovico Antonio Muratori nel Della
liberato il campo dalla necessità di giustificare l’esistenza stessa della poesia per musica, nello scritto di Algarotti il
questo contesto e con questi presupposti che va considerata la difesa della centralità della poesia con cui Algarotti esordis
con questi presupposti che va considerata la difesa della centralità della poesia con cui Algarotti esordisce nel suo Discor
organizza tutto il suo testo che nella prima redazione è ancora privo della divisione in paragrafi. Le argomentazioni di Alga
rmini del dibattito primo-settecentesco, dall’altro però si avvalgono della conoscenza diretta del mondo teatrale contemporan
dello spettacolo operistico. Stabilito dunque il principio essenziale della superiorità della poesia, Algarotti affronta in s
peristico. Stabilito dunque il principio essenziale della superiorità della poesia, Algarotti affronta in successione le ques
, fin da questa prima redazione nella parte relativa alla trattazione della musica13, ma cita, tra i contemporanei, anche Met
i pubblicati alla fine del testo. Algarotti entra anche nel dettaglio della composizione musicale e arriva a sostenere una te
ne musicale e arriva a sostenere una tesi, che è debitrice agli esiti della parigina querelle des bouffons del 1752-54: «Una
lla parigina querelle des bouffons del 1752-54: «Una qualche immagine della vera musica da Teatro ci è restata solamente, sia
ssente nella prima redazione in cui si ribadisce la natura ausiliaria della musica rispetto alla poesia. La necessità di conf
nti dell’arte19.» La conclusione si distanzita decisamente da quella della prima redazione; proprio in virtù di una ricompos
grado di valorizzare la tradizione italiana pur nella consapevolezza della necessità di una riforma radicale dello spettacol
so il teatro impresariale, lo strapotere dei cantanti, le imposizioni della musica. Il poeta cesareo sorvola invece su tutti
tra il 1755 e il 1763, alcuni interventi che ripropongono il problema della collocazione del teatro per musica nella cultura
llocazione del teatro per musica nella cultura letteraria del tempo e della sua riforma. I vari tentativi e la pluralità di v
ll’unità di luogo. Deciso nel contrastare l’opera francese, nel clima della querelle des bouffons, per l’eccesso di artificio
occio già sperimentato da Algarotti: la poesia è considerata il cuore della drammaturgia operistica, responsabile dell’organi
i è decisamente spostato da una considerazione del quadro complessivo della gerarchia dei generi letterari all’interno della
l quadro complessivo della gerarchia dei generi letterari all’interno della tradizione poetica italiana all’analisi di uno sp
e considera le articolazioni e specificità nazionali, la subalternità della poesia alla recitazione e al canto, la necessità
ia e si avvale di un approccio pragmatico, che nasce dalla conoscenza della situazione reale dei teatri per musica e dalla ne
l’indicazione di Napoli, ma in realtà uscita a Parigi28; il problema della paternità della lettera, attribuita al diplomatic
i Napoli, ma in realtà uscita a Parigi28; il problema della paternità della lettera, attribuita al diplomatico Josse de Ville
William Pitt, italianizzato in Guglielmo Pitt. Algarotti rende conto della scelta, che potrebbe essere considerata singolare
Non viene meno la volontà di riflettere sulla funzione catalizzatrice della poesia ma ogni aspetto è visto sullo sfondo del s
ova ampliata versione sia affidato il compito di riassumere i termini della questione e di legittimare anche attraverso il ri
questione e di legittimare anche attraverso il riferimento ai teorici della tradizione le soluzioni da lui prospettate che re
le critiche e la consapevolezza dell’esistenza dei consueti problemi della rappresentazione operistica, promuove un genere a
muove un genere al quale nel Settecento è affidata la fortuna europea della lingua e della letteratura italiane e spende quin
al quale nel Settecento è affidata la fortuna europea della lingua e della letteratura italiane e spende quindi la sua esper
39». Questa versione è decisamente ampliata rispetto alla precedente, della quale riporta la stessa epigrafe tratta da Ovidio
rte di Berlino. I due testi hanno molte differenze dal punto di vista della destinazione e della costruzione del testo stesso
testi hanno molte differenze dal punto di vista della destinazione e della costruzione del testo stesso. Il Discorso appare
atro, assente nelle redazioni precedenti, è aggiunto alla fine, prima della conclusione; tratta dell’architettura e della cos
giunto alla fine, prima della conclusione; tratta dell’architettura e della costruzione dei teatri d’opera. L’ultima edizione
asi francesi, magnificava il prezzo di quelle inezie, e il buon gusto della sua sposa.» Si cita da U. Foscolo, Opere, vol II,
rotti nel tardo Settecento e nell’Ottocento», in Nel terzo centenario della nascita di Francesco Algarotti (1712-1764), a cur
o, Torino, EDT, 1986, pp. 19-21. 12. G. M. Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, Buagni, 1700. 13. F. Algar
na, «Cinque argomenti nel Saggio sull’opera», in Nel terzo centenario della nascita di Francesco Algarotti (1712-1764), cit.,
zione l’epigrafe da Voltaire, Le Mondain, inserita invece all’interno della conclusione nella prima edizione del 1755. 24. R
50 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. LIBRO VII. Teatri Oltramontani del XVII secolo. — CAPO VI. Stato della Commedia Francese prima e dopo di Moliere. » pp. 212-244
CAPO VI Stato della Commedia Francese prima e dopo di Moliere. Pi
rvenuta al punto ove l’aveva portata in Italia il celebre Giambatista della Porta. Ma la dipintura delicata de’ costumi atten
liere, cui i posteri diedero e conservano il meritato titolo di padre della commedia francese. Dopo le guerre civili che dura
Francesi non ignorarono che l’azione ed i principali colpi di teatro della prima si tolsero da una commedia italianaa. Arlec
liere la sua del Dispetto amoroso; ma l’italiana termina assai meglio della francese, il cui quinto atto mal congegnato raffr
a tutta la favola. Dall’altra parte non vedesi nell’italiana vestigio della bella scena del Dispetto di Lucilla ed Erasto, in
platea, coraggio, Moliere, questa questa è la buona commedia , voce della natura onde siamo avvertiti, che il pubblico poli
. Nell’autunno del medesimo annovenne Moliere co’ suoi nella capitale della Francia. Cominciò le rappresentazioni colla trage
cui riuscita consolò l’autore, e cancellò la svantaggiosa impressione della favola precedente; e gl’Importuni commedia in cui
i novembre desolatoa. Nè vi ritornò il concorso se non colla comparsa della Scuola delle Donne rappresentata nel dicembre, ch
do ridere il pubblico a spese de’ suoi censori, e pubblicò la Critica della Scuola delle Donne, in cui dipinse vagamente i ri
uale aveva indegnamente ferito Moliere, motteggiandolo sulla condotta della moglie col Ritratto del Pittore. Ma dopo che nel
re atti, produsse nel 1666 il Misantropo che fu il primo capo d’opera della commedia francese. Tutti i comici antichi e moder
iglia di tutto e tutto condanna: che per non tradire il vero, a costo della politezza e senza necessità, si pregia di dire ad
a chi è avvezzo alle tinte risentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell
isentite che diconsi zingaresche. Ad onta della grazia de’ caratteri, della felice arditezza dell’idea, dell’eleganza e purez
ale temendo di essere smascherata voleva farlo passare per una satira della vera pietà e religionea, Mille pregi rendono ques
e religionea, Mille pregi rendono questo dramma l’ornamento più bello della comica poesia e delle scene francesi. L’interesse
el Misantropo, comincia nel Tartuffo a sentirsi sin dalla prima scena della vecchia Pernelle. La vivacità ch’è l’anima delle
provincia viene aggirato da Sbrigani personaggio modellato su i servi della commedia greca ed italiana antica e moderna. Gli
ma volta che questo monarca che si trovava nel trentesimosecondo anno della sua età, comparve in teatro a ballare, scosso da’
sto di questo monarca e la stima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità della comica dipintura di M
tima che faceva di Moliere. Parigi meglio della corte sentì la verità della comica dipintura di Monsieur Giordano, in cui si
che non si è. Tuttavolta vi si trovano molti colpi di teatro proprii della farsa; benchè gli uomini di gusto non pedantesco
tata nel 1671, sebbene il sacco in cui si avvolge Scapino, e la scena della galera appartengano a un genere comico più basso.
Trissottino. Dietro a questa commedia nell’anno stesso venne la farsa della Contessa d’Escarbagnas, una pastorale comica di c
che se ne fece il di 17 di febbrajo, morì in sua casa questo principe della commedia francese, essendovi stato trasportato da
iere non fu quella orgogliosa e vana che sdegna di piegarsi al calore della passione, o ignora l’arte sagace di mostrar di pe
ofia che fa pompa del suo compasso, de’ suoi calcoli e dell’austerità della sua dottrina. La filosofia di Moliere e di ogni u
to di una virtù troppo fiera ed intollerante. Allo studio dell’uomo e della propria nazione Moliere accoppiò quello degli scr
he sono imitazioni di Plauto l’Anfitrione e l’Avaro, e che i fratelli della Scuola de’ mariti sono modellati sugli Adelfi di
ariti sono modellati sugli Adelfi di Terenzio. Gli accidenti del velo della medesima favola, e nel Siciliano, il Convitato di
ciliano, il Convitato di pietra, la Principessa d’Elide, ed una parte della Scuola delle donne, si ricavarono dal teatro spag
più dagl’Italiani. Da Straparola trasse l’argomento ed alcune grazie della stessa Scuola delle donne. Varie scene ed astuzie
ni, a riserba del modo di rappresentare pantomimico di Scaramuccia, e della commedia del Secchi e del Cornuto immaginario . Q
ò si vede la difficoltà di esser critico e pensatore senza cognizione della storia. Bisogna però mostrare ingenuità maggiore
poi acrisse una satira, parendogli di non essergli stata dall’Orazio della Francia renduta tutta la giustizia. Il Legatario
Davide Agostino Brueys, benchè morto nel 1723, passò la maggior parte della sua età nel secolo XVII, essendo nato in Aix nel
venne poeta comico non ispregevole, e conservò tra’ Francesi il gusto della vera commedia. Le Grondeur gli acquistò molto cre
o il teatro Francese conserverà sempre grata memoria di Scaramuccia e della commedia Italiana frequentata da Moliere per istu
lles de Nouvelles di Vizè. a. Numerando Giovanni Andres nel tomo III della sua opera su di ogni letteratura le favole france
de’ Plaideurs. a. Vedi le Memorie letterarie che formano il tomo II della Dunciade di Palissot.
51 (1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO X. » pp. 112-139
queste parole, chi vi ha dato ad intendere generalmente siffatte cose della Drammatica del Cinquecento, non ebbe presenti i F
ee, delle Alcestidi, delle Ifigenie, noi avemmo l’Ezzelino, l’Antonio della Scala, il Piccinino, il Ferdinando, la Sofonisba,
VI. Lodovico Ariosto non dovè a’ Latini le invenzioni del Negromante, della Cassaria, della Lena, della Scolastica, nè il Mac
osto non dovè a’ Latini le invenzioni del Negromante, della Cassaria, della Lena, della Scolastica, nè il Machiavelli quella
è a’ Latini le invenzioni del Negromante, della Cassaria, della Lena, della Scolastica, nè il Machiavelli quella della Mandra
ella Cassaria, della Lena, della Scolastica, nè il Machiavelli quella della Mandragola, nè il Bentivoglio del Geloso, nè l’Ar
o, nè l’Aretino dell’Ipocrito, nè il Caro degli Straccioni, nè l’Oddi della Prigione d’Amore e delle altre due favole, nè il
dell’Idropica, nè il Brignole Sale del Geloso non geloso, nè il Porta della Turca, de’ Fratelli Rivali &c. &c. Voi tr
e ne avvenne secondo il Gravina? Dice forse, che questa fu la cagione della deformità del Teatro del seguente secolo (che di
i disbrigarono da quei lacci per rimanersi soggetti alle sobrie leggi della Verisimiglianza, le quali sono indispensabili per
e gli uomini rompendo il freno di eccedente rigore, trascorrono fuori della norma comune ad una immoderata licenza”. Quì dunq
sto passo? Io quì vedo un manifesto decreto di condennazione positiva della licenza immoderata della scuola Lopense e Caldero
manifesto decreto di condennazione positiva della licenza immoderata della scuola Lopense e Calderonica, la quale, traviando
Signorelli (Lamp. p. 197.) perchè, cercando l’origine delle arditezze della Commedia Italiana ravvisate anche dall’erudito Br
ri Cortigiani, sordidi venditori del favore, soldati, ribelli, nemici della Patria, come Don Opa. Ed ivi ancora si sono vedut
duti Frati, Eremiti, Parrochi, ed altri Ecclesiastici, per nulla dire della Commedia intitolata Il Falso Nunzio di Portogallo
store falsario che con firme imitate si fa credere Nunzio e Cardinale della Chiesa Cattolica, e pianta l’Inquisizione in quel
zia! Se pure non è stata una cautela apologetica, appresa nel dettato della scaltrezza volgare, chiama ladro al contrario pri
Non posso, caro Signor D. Saverio, menarvi buona quella sbraciata della p. 211. contro l’Italia nel XVII. secolo, nel qua
iano meno sconcie delle Arlecchinate? Credete che chiamare il Buffone della Commedia Arlecchino o Traccagnino, Calabaza o Cam
e in trionfo da chi ha fior di senno, non essendo queste le ricchezze della Poesia Scenica delle due Nazioni. Or perchè, Sign
o tempo durò sino alla fine del secolo. E’ questo un sommario sincero della Storia scenica del passato secolo. Il Maffei preg
e Commedie Spagnuole e la poca somiglianza che aveano cogli originali della natura le fecero andare in disuso, e ricondussere
tempi credete di parlare? Quelli furono i tempi gloriosi per l’Italia della cacciata di Aristotile dal trono con tutte le qua
rono con tutte le qualità occulte, le forme sostanziali e accidentali della materia, la leggerezza dell’Aria, la regione del
ni e i misteri tutti delle Scuole Arabe. Furono quelli i tempi felici della luce Fisica, Matematica, Astronomica. A quei temp
ui si attribuisce, e colla Camera Oscura che tantò illustrò la teoria della Luce, perfezionata indi dal divino Newton. Furono
e diveniva per tante scoperte nella Statica e Idrostatica l’Archimede della Toscana. A quei tempi il celebre Giannalfonso Bor
n tanta innocenza vi fate uscir di bocca a quei tempi, quasi parlaste della infanzia di qualche società di Pastori e Cacciato
sero per tutta la Nazione, per mezzo de’ loro individui, il vero lume della Ragione, e delle Esperienze, donde proviene il pe
iarato Signor Lampillas stima che gl’Italiani non potessero giudicare della manifesta mostruosità delle Commedie Lopensi e Ca
lmente gl’ingegni Italiani, che neglessero questo piacevole esercizio della Poesia Scenica. Le arlecchinate rimasero, come le
. In oltre se voi non siete da buon senno dichiarato pertinace nemico della verità istorica, dovete confessare, che la Musica
li Scrittori le purgarono de’ difetti principali; e chi fa una Storia della Poesia Drammatica, non corre dietro, come il vost
ro tutti gl’Italiani. Il Vives p. e. in una Lettera ad Erasmo si ride della puerilità di certo amico suo, che l’esortava a le
he il Vives biasimava il gusto di Latinità degl’Italiani, facendo uso della solita aritmetica apologetica, per cui quel certo
spettatore ciò vedendo, se ciò accade in luogo praticato dagli altri della Casa, che avverrà in parte più secreta! E così si
facciataggini, fughe, ratti, trascorsi vengono abbelliti coll’aspetto della virtù (come bene osserva Don Blas de Nasarre), e
more infonde spavento, ma da poi da questo estremo passano, per mezzo della gelosia, all’altro opposto, e rappresentano al Po
se, insegnando alle Donne oneste, e alle incaute fanciulle il cammino della perdizione, e la maniera di alimentare amori impu
sione amorosa che viene dipinta onesta e decente, che è la vera peste della gioventù”. Or che vi pare, Signor D. Saverio di q
omedias que oy se usan por España impresso in Malaga cinque anni dopo della sua morte1. E il P.F. Juan de la Concepcion appro
chiarissimamente manifestano, che se la Commedia esser debbe specchio della vita, senza dubbio le vite presenti sono estremam
ias”. Queste sono le dipinture che fanno gli stessi eruditi nazionali della decenza della gentil Dama del Signor Lampillas, d
ono le dipinture che fanno gli stessi eruditi nazionali della decenza della gentil Dama del Signor Lampillas, di sì onesta Du
dalle comiche bellezze, come si vede in Aristofane. Ma i savj stessi della Nazione non rifinano di declamare contro di essa
medesima occasione si piange, e si ride: si burla dell’ineguaglianza della locuzione nel tempo stesso nobile, e plebea &
gres”. Mi resta ancora un buon numero di savj nazionali, veri amatori della Patria, i quali riprovano quelchè l’Apologista pr
iosa; ma potrà dirsi riguardo al Teatro, che il non curare gli avvisi della Ragione, e i saggi legami delle buone regole, l’a
poco, nè punto), che tanta pompa facciate dell’abbondanza di Lope, e della felicità di schiccherare in uno o due giorni una
azia poetica colla prodigiosa celerità, partecipi dell’infelice vanto della prestezza nel comporre Commedie, che gli è comune
er tanto io son di avviso, che se il Goldoni prese di mira il sistema della Commedia di Lope, forse ciò fu nelle prime sue fa
le prime; ciò che dimostra che n’ebbe onta, e pentimento, e si avvide della mal fida scorta, e del gusto del secolo cangiato
osciute tanto per comporre, quanto per rappresentare. 1. Trattato della Tragedia Num. IX. 1. Lampillas Sag. Apolog. P.
a nude “Di pelo, al terzo poi mel fai barbuto, “Quale il Nocchier della infernal palude.” Non si può appropriare? E il
de Galicia Linda in fasce alla prima non interviene poi nel rimanente della favola in età di quindici anni? Nè anche si trove
terminare in Persia? E la Nave Vittoria che scorre per tutte le parti della Terra, va in America, e poi torna in Ispagna? Io
52 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 480-481
ò, a soli diciassette anni, italiano e francese. Fece parte con onore della nuova Filodrammatica pisana, indi sì aggregò nell
il 7 febbrajo era già ritirato dalle scene per paralisi progressiva, della quale morì il 4 febbrajo 1886 nel manicomio di Fr
nel cimitero di Lucca. Enrico Salvadori fu amoroso nel vero senso della parola. Il periodo migliore della sua vita artist
Salvadori fu amoroso nel vero senso della parola. Il periodo migliore della sua vita artistica è quello, in cui egli si trovò
-Bon a fianco di Adelaide Tessero. Egli era veramente il primo attore della Compagnia, ma primo attore che recitava il Fernan
rimo attore della Compagnia, ma primo attore che recitava il Fernando della Partita a Scacchi. Di aspetto piacevolissimo, di
Dumas, e prostrate a un tratto nel più terribile modo, con la ironia della serbata vita bestiale, col dono maledetto di un’a
53 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 765-771
assoluta, commovendo il pubblico alle lagrime colla rappresentazione della Dionisia di Dumas. Passò di là a Caserta, Capua e
o Andò (’97) col quale si trova tuttavia. Queste le note cronologiche della vita artistica di Tina Di Lorenzo. Dire del fasci
o alla dolcezza degli sguardi, alla soavità del sorriso, alla melodia della voce, all’armonia perfetta di tutta la persona, a
i. Nella recitazione alle Logge di Firenze (il gennaio del ’93) della Pamela nubile in memoria del primo centenario del
gennaio del ’93) della Pamela nubile in memoria del primo centenario della morte di Carlo Goldoni, con Tommaso Salvini Bonfi
rola, in una pausa, senza di che, artista grande nel significato vero della parola, non è. Malauguratamente ella non poteva i
o e da sella, ella dovette dalle patetiche paure, se così posso dire, della fanciulla goldoniana, balzare aspramente nelle pa
a fanciulla goldoniana, balzare aspramente nelle passionalità brutali della donna isterica, nevroastenica, sensuale, ribelle,
vita così sulla scena soddisfa e rinvigorisce tutto ciò che è frutto della propria operosità, tanto più adorato quanto più c
ed ebbrezze, consolazioni e gaudi, lagrime e sorrisi, che nel giorno della gran vittoria, sono la sua pagina di storia, la r
e doti naturali risponde, vigorosamente spontaneo e felice, il metodo della recitazione. Il metodo del quale la Tina Di Loren
so. Quel bagagliume non la riguarda ; lei sente che il momento umano, della situazione e del carattere, non deve essere alter
pratiche di quel mondo artificiale non hanno il potente alito di vita della creatura fatta ad imagine e similitudine ; lei se
n abbia dato finora delle interpretazioni complete, nel tono generale della recitazione della Tina Di Lorenzo si vede questo
a delle interpretazioni complete, nel tono generale della recitazione della Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bell
della Tina Di Lorenzo si vede questo che è la pura bellezza dell’arte della scena ; vivere una creatura, non fare una parte c
cose come veramente sono. La Tina Di Lorenzo è una speranza benedetta della scena italiana, ma nulla più …… Dal quarto artic
platee sono trascinate, e in preda al delirio : e la storia dell’arte della scena straccia tutte le pagine delle date memorab
rezza dell’interesse, del conforto, del consiglio. Poichè il domani è della giovanezza, sorreggiamola senza fiacchezza e senz
sagevole, non le nascondiamo il pericolo ma rassicuriamola sul valore della propria forza : e se precipita, per disgrazia o p
he anche nel dolore rimane limpido (?), e quasi attonito sul panorama della vita (?) ; quella voce che, come nell’inno greco,
a sua valentia. E l’ha dimostrato in modo non dubbio. Ora, il fascino della donna, conservatosi uguale, è vinto dal valore de
no di sforzare i suoi mezzi fisici e il suo ingegno ; e tutte le doti della sua persona, di cui la nota precipua è la delicat
aggio rappresentato, e quella puramente estetica prodotta dalla vista della interprete, esiste una compenetrazione armoniosa,
l suo campo : sembra infatti che la naturale bontà e la mite dolcezza della giovane donna si ribellino quasi all’espressione
54 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 619-638
Tornato in patria ripensò all’avvocatura ; ma una giovinetta, attrice della Compagnia di Antonio Fiorilli gli fe’ di punto in
scena, abbandonò il Cavicchi gli amorosi per darsi tutto allo studio della maschera di Brighella nella quale riuscì mirabilm
Bragaglia, esordì nel 1848 al Teatro Re di Milano qual prima amorosa della Compagnia di Cesare Asti. Fu il ’48-49 con Papado
stravano or languidi, or lampeggianti lo stato dell’anima. Il metallo della voce, rispondente a ogni corda del sentimento, sa
, nel ’65, Alessandro Dumas figlio, recatosi dopo la rappresentazione della Signora dalle Camelie, sul palcoscenico, disse al
el mio paese un’interprete come voi…. » Nè solo nella interpretazione della Signora dalle Camelie, ma in quelle ancora del Cu
elie, ma in quelle ancora del Cuore ed Arte, dell’Adriana Lecouvreur, della Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta, della
elle ancora del Cuore ed Arte, dell’Adriana Lecouvreur, della Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta, della Battaglia di d
’Adriana Lecouvreur, della Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta, della Battaglia di donne, della Piccarda Donati, dei Ge
Pamela, della Gabbriella, dell’Elisabetta, della Battaglia di donne, della Piccarda Donati, dei Gelosi fortunati, della Pia
ella Battaglia di donne, della Piccarda Donati, dei Gelosi fortunati, della Pia de’ Tolomei, e di cento altre opere o tragico
nere, si diede con ogni studio e con ogni amore alla rappresentazione della Saffo e della Norma…. tragedie irte di difficoltà
con ogni studio e con ogni amore alla rappresentazione della Saffo e della Norma…. tragedie irte di difficoltà materiali, pu
in favor suo tutti i fascini d’una figura oltre ogni dire simpatica, della quale pareva che tratto tratto si sprigionassero
revano cercati nella poetica di Victor Hugo, era il massimo prestigio della Cazzola. [http://obvil.github.io/historiographi
lo significava in una forma continuamente elegiaca. Nelle intonazioni della sua voce, nel gesto, nel muover degli occhi parea
netrare in voi a indagarvi ogni vostro pensiero. Le ugualissime perle della bocca servivano di specchio a chi le parlava, e i
nato dell’attrice romantica drammatica. Non era bella, ma la mobilità della sua fisonomia era tale, che appariva quello che e
n forzato e ricercato verismo con combinazioni di nervosità che fanno della verità una menzogna, dell’arte un giuoco di prest
re servito alla S.ma sua Casa. Servij all’A. V. mentre era nel ventre della madre, et spero di servir nel ventre della Ser.ma
. V. mentre era nel ventre della madre, et spero di servir nel ventre della Ser.ma Consorte la sua prole, che N. S. voglia, c
uitor Divottiss.º Pier M.ª Cecchini. Andò il 1600 a Lione, direttor della Compagnia l’Arlecchino Martinelli, pel matrimonio
braio al 26 d’ottobre del 1608, e questa volta direttore e conduttore della Compagnia ; a proposito della quale il Duca Vince
, e questa volta direttore e conduttore della Compagnia ; a proposito della quale il Duca Vincenzo in data 10 novembre 1607 a
uiscardi, Fritellino e sua moglie come i migliori personaggi non solo della sua compagnia ma di tutta Italia. A Parigi recita
bblico, dietro istanza firmata da Battistino Austoni, l’amministrator della compagnia, per tutti i compagni qualificati Comic
ompagni qualificati Comici Italiani del Duca di Mantova. Il successo della compagnia fu completo ; e Don Giovanni de’ Medici
ia fu completo ; e Don Giovanni de’ Medici, che allora era alla Corte della nipote e tanto amore mostrava alle commedie, scri
l’indole sua : ma è anche la volta in cui lo vediamo padrone assoluto della compagnia. E, senza dubbio, il miglior tempo dell
o padrone assoluto della compagnia. E, senza dubbio, il miglior tempo della sua vita artistica fu codesto appunto, e quello (
e nel 1619 si adoperò, brigò, combattè strenuamente per la formazione della Compagnia che doveva andare a Parigi ; si diè d’a
non sappiam bene se si dovesse cercar la causa nel carattere bestiale della moglie Orsola che, gelosa di Florinda, gelosa del
arattere bestiale della moglie Orsola che, gelosa di Florinda, gelosa della Rotari, gelosa di tutte, irruenta, violenta, aggr
 : ma è certo che nell’una cosa o nell’altra si dee ricercar la causa della lor serbata unione. Nel primo caso (e dati gli sf
che vediam confermato nell’oroscopo tolto come gli altri da un codice della Nazionale di Firenze, è stato messo la prima volt
no ’6oo, e il Cecchini si recò subito a recitare a Milano. Le cagioni della morte del De Vecchi sono chiaramente spiegate, ne
dell’ Illustrissima Sua Casa nel tempo, che riscaldandomi gli ardori della gioventù, mi rendevano tal’ hora bisognoso di un
ricouero per fuggir non so s’io debba dir lo sdegno, o pur il costume della Giustitia, la quale con il mezo dell’autorità, et
costume della Giustitia, la quale con il mezo dell’autorità, et bontà della felice memoria dell’ Illustrissimo Sig. Marchese
a pratica, scrive (XLIII) : S’io dicessi d’ amar assai più la vostra della mia salute, e ch’ io vorrei poter aggiunger a i g
a vostra della mia salute, e ch’ io vorrei poter aggiunger a i giorni della vostra vita que’ della mia, userei di quelle paro
te, e ch’ io vorrei poter aggiunger a i giorni della vostra vita que’ della mia, userei di quelle parole, che sogliono usar i
 : ma sì ben tanto, che niuno dopo me amo più di voi. A chi sparlava della sua nobiltà avuta dall’ Imperator Mattia, rispond
 : Le meraviglie che mi scrivete, che s’ han fatto molti nell’arrivo della nuova, che Sua Maestà Cesarea m’ ha privilegiato
(Da una serie di dodici acqueforti antiche, riproducenti alcuni tipi della Commedia Italiana). Dei Frutti delle moderne Come
ngegnoso il quale spiritosamente attendi senza buffonerie al maneggio della favola, che ne succedi un altro totalmente dissim
’Arlecchino. Ma nel monologo, in cui Frittellino chiude il terzo atto della Flaminia Schiava, è ben descritta tutta la furfan
rtal d’immortal lode è molto. L’operetta consta di una introduzione, della breve raccolta in latino de’Sette preclarissimi D
e braccia barbagiani che volano, e se voltano il capo, scolari di Zan della Vigna ; però il capo, le braccia, i piedi, gl’occ
se per sorte si parla solo fra sè stesso, si dee andar discorendo, se della sua donna si querella, alla casa di quella si vol
e solo si tocchi quello che già save il popolo. Raccordandosi l’autor della Comedia che il mettere in obbligo di ridir più vo
; che alla prima scena accortosi poco valere il sapere, senza il dono della natura, si ritirarono fuori de’ Teatri, confessan
l 19 gennaio 1619, nella quale si annunzia l’arrivo in Roma da Napoli della Compagnia del Cecchini sappiamo anche la paga ch’
55 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VIII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI ANTICHI E MODERNI. TOMO VIII. LIBRO VIII. Teatri d’oltramonti nel secolo XVIII. — CAPO I. Teatro Francese Tragico. » pp. 4-111
e in Italia, e perdendosene le tracce nelle Spagne per l’intemperanza della scuola Lopense, mentre Cornelio e Racine l’innalz
e Cornelio e Racine l’innalzavano in Francia assai dappresso al punto della perfezione, una folla di loro imitatori nel segui
avea scoperto il miglior camino, e prodotto l’Atalia, il capo d’opera della tragedia francese, senza avvilirla colla galanter
rar del tutto la tragedia, e la scena francese, dopo di lui si riempì della morale dell’opera di Quinault a. Alcibiade (aggiu
asii, de’ Pergolesi, suole esser seguita da una numerosa oscura prole della nojosa mediocrità. Ma la natura ha bisogno di rip
l periodo non pertanto qualche buon talento mostrò d’intendere l’arte della tragedia senza appressarsi ai modelli grandi. Gio
inunciato al teatro. La Fosse ne ravvivò il languore, e pieno com’era della lettura degli antichi Greci e Latini, nel 1696 se
rata benchè con poco fondamento. Egli contava allora quarantatre anni della sua età. Nel Teseo manifestò ugual sublimità di p
vata di Otwai col trasportare fra gli antichi Romani il fatto recente della congiura del Bedmar contro Venezia, diede un sagg
. Nel suo Amasi regna una molle galanteria sconvenevole all’argomento della Merope da lui appropriato a’ personaggi della sto
nvenevole all’argomento della Merope da lui appropriato a’ personaggi della storia dell’Egitto. Si recitò nel 1701. Il Voltai
ore non tragico. La Chapelle compose anche una Cleopatra non migliore della sua Merope. A simile mollezza universale seminata
volendo rimediare il Longepierre compose una Elettra tutta sul gusto della greca tragedia, semplice, senza episodii, senza s
e. I Francesi si confermarono nella credenza di esser passata la moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’
a moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’effetto della particolar debolezza del Longepierre. Tale era lo
effetto della particolar debolezza del Longepierre. Tale era lo stato della tragedia in Francia, quando cominciarono a fiorir
te di virtù eroica, è personaggio ozioso sino all’atto V. La condotta della favola merita riprensione per certi racconti inte
oliloquio puramente narrativo, e per la poca corrispondenza del tempo della rappresentazione con quello degli evenimenti. Lo
o dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete che con rincrescimento si
a greca dell’inverisimile ignoranza di Edipo intorno alle circostanze della morte di Lajo. Egli però ne tolse ogni utilità co
in Castiglia dal Bermudez e da Mexia de la Cerda, benchè al cospetto della Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile
è al cospetto della Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile della Ines generalmente è migliore di quello del Romolo
o ancora notarvisi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie della scena e della passione. In compenso i suoi caratt
visi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie della scena e della passione. In compenso i suoi caratteri mi sembran
edia che ne porta il nome: il suo Pirro è più grande ancora del Pirro della storia. Grande feroce malvagio ambizioso e politi
ato come virtuoso. Egli non sapendo se Ninia viva, macchina la rovina della propria sorella, cui, mancando il di lei figliuol
o dalla storia alla famosa conquistatrice reina degli Assiri. A vista della manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi cos
à dell’altro dottissimo gesuita Pietro Brumoy, gl’inspirarono l’amore della bella letteratura greca e romana; le opere del Cr
avea letto l’Edipo di P. Cornelio a, contando appena ne 1718 anni 19 della sua etàb, quando scrisse e pubblicò il suo Edipo.
e contro La Motte. Ci basti dire che Voltaire conservò molte bellezze della greca tragedia, che non seppe scansarne alcune du
greca tragedia, che non seppe scansarne alcune durezze nella condotta della favola, e che l’amoroso episodio di Teseo e Dirce
batista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna, che fu l’origine della lunga contesa che ebbe con lui il Voltaire. La Ma
e la scena seconda dell’atto V, in cui ella posta nel maggior rischio della sua vita sdegna di seguir Varo che vuol salvarla.
uolo. Il tetro e il forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira, della Merope e della Zaira. Crebillon battè un sentiero
e il forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira, della Merope e della Zaira. Crebillon battè un sentiero ben differente
i personaggi alla francese. In fatti i Tartari e i Cinesi dell’Orfano della Cina, gli Arabi Musulmani e gl’idolatri del Fanat
a il padre a lasciar di regnare. Egli ha migliorato anche l’artificio della parlata di Antonio, facendo portare per ultimo co
e nozze, sembra che la di lei morte non possa concepirsi come castìgo della sua passione. Intanto questo quadro felice intere
a’ componimenti giustamente applauditi? Nondimeno la lettura riposata della tragedia toglie alla critica tutta la forza. Zair
rito di essere stata la prima a mostrare sulle scene francesi i fatti della nazione. Shakespear ha preparata la materia della
ne francesi i fatti della nazione. Shakespear ha preparata la materia della Zaira colla tragedia di Othello, che l’Inglese ri
a Maria Vermejo. Riscuoteva da circa due lustri gli applausi concordi della più colta Europa la Merope del marchese Scipione
per la Merope del Maffei. Comunque ciò sia egli si valse del migliore della tragedia italiana, ma cercò di accomodarla meglio
Il nome che non combina, non basta a metterla nello stato di certezza della morte del figlio, potendovi essere diversi possib
el vecchio che impedisca l’esecrando sacrificio di un figlio per mano della stessa madre che pensa a vendicarlo. In tal trage
tali riflessioni non isfuggì al più volte lodato Calepio, e mal grado della di lui parzialità per la Merope Volteriana, non p
la Merope Volteriana, non potè lasciar di dire che nel miglior punto della passione rimane una fantasima, una chimera . Ciò
elle arti e alla gioventù col coprir di fiori i loro difetti. L’epoca della pubblicazione e rappresentazione del Fanatismo o
dell’atto IV di Zopiro con Seide e Palmira, e singolarmente la quinta della riconoscenza, la quale se non è nuova, almeno avv
ione a taluni quella di simile scellerato felice e trionfante a spese della virtù disgraziata. Lo stesso autore pensò di sodd
refige d’inspirare tutto l’abborrimento pel fanatismo, il quale abusa della religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti
ella religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti in pregiudizio della virtù. Il frutto morale dunque di questa tragedia
ragedia è manifesto essere di prevenire gl’incauti contro l’illusione della superstizione; e per conseguenza la di lei rappre
losa e pericolosa, diviene istruttiva ed utile alla società, malgrado della prosperità di uno scellerato. L’Alzira una delle
trice delle Istituzioni di Fisica secondo la filosofia di Leibnitz, e della traduzione de’ Principii del Newton, la quale ter
l fine a cui siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza della virtù della religione Cristiana che consiste nel
siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza della virtù della religione Cristiana che consiste nel perdonare ed
sempre in compenso vi trionfano l’umanità, l’orrore al vizio, l’amore della virtù. Alzira, Zamoro, Gusmano ed Alvaro sono per
Voltaire, e le situazioni tragiche vi si veggono animate dalla pompa della decorazione. Tutta l’azione però è fondata sull’a
zione dello spettatore, ma inferiore a fronte dell’interesse politico della tragedia nazionale di Eschilo. Soffre poi l’ombra
no alla presenza de’ principi, de’ satrapi, de’ maghi e de’ guerrieri della nazione, riesce così poco credibile al nostro tem
’arcano? Il poeta si è perduto nel suo piano, e dà la più atroce idea della divinità. In oltre tutte le situazioni tragiche n
e non hanno un solido fondamento. Qual sicurezza ha Ninia del delitto della madre? La lettera di Nino moribondo a Fradate non
dal Dolce, dal Shakespear, dal Conti, dal Maffei, pensò all’argomento della Semiramide o per la celebre tragedia del Manfredi
ltimi atti deludono le speranze che sorgono da i precedenti. L’Orfano della China rappresentata nel 1755 non è la stessa azio
o troppo poco si sforza di sapere con distinzione l’apparente delitto della figlia; ella mal si difende; i giudici non mostra
udici non mostrano la convizione del delitto. La concione di Orbassan della prima scena pieno di nobile indignazione al veder
brigands du midi, du nord et de l’aurore. Nobile e proprio de’ tempi della cavalleria è pure il bell’orgoglio di Amenaide ne
versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza della versificazione e la scorrezione dello stile. Da p
mori raffreddavano argomento sì tragico. Sentì La Touche la giustezza della critica, ed in otto giorni soppresse quel persona
rni soppresse quel personaggio ozioso e quell’amor freddo. Il maestro della Poetica Francese il sig. di Marmontel morto di ot
. di Marmontel morto di ottanta anni ritirato a Gallion l’anno ottavo della Repubblica Francese, si provò più volte a calzare
. Questi fatti istorichi non ebbero luogo nella tragedia. La sorgente della vendetta meditata da Warwick in questa si rifonde
cesi, e profonde un torrente di encomii sul suo protettore. L’arbitro della letteratura francese allora universalmente idolat
i altre produzioni tragiche mal riuscite e di una traduzione infelice della Gerusalemme del gran Torquato. Voltaire molto fin
asio. Il Voltaire nella satira le Pauvre Diable lo motteggiò, dicendo della di lui Didone, Le quel jadis a brodè quelque phr
l’atto IV per tutto il V sembrano troppo accumolati riguardo al tempo della rappresentazione; ma a giustificarne la verisìmig
ne, purchè ne faccia risultare il diletto dell’uditorio ed il trionfo della virtù, come appunto avviene nel Gustavo. Intorno
si. Prima di far parola de’ tragici componimenti prodotti sulle scene della Francia nel formarsi la Repubblica Francese, conv
si da tanti secoli? Che rappresentarono i Greci se non gli evenimenti della propria storia? Che i Latini stessi nella tragedi
ntano sotto la di lui penna dispregevoli e piccioli. L’Orazio Coclite della Francia, il famoso Bajardo detto il cavaliere sen
e aspirava alla gloria di tragico, avea ben false idee dell’eroismo e della virtù. Ma se egli travide nel dipingere gli eroi
ne maneggiata con gravità tragica o almeno con intelligenza e pratica della scenaa? Abbiamo accennate queste poche cose senza
ra la fama dell’Avogadro formandone un basso traditore, ed un mezzano della propria figliuola, e con documenti istorici che a
frire, al dir del cardinal Bembo, desiderano tornare sotto il dominio della Repubblica. Il conte Luigi viene particolarmente
mbara natogli di una Francese, implora la giustizia de’ nuovi padroni della città, non è ascoltato, i mali pubblici, e le pri
ure Avogadro un ribelle, cioè un suddito oppresso che non ha la virtù della tolleranza, e che disperando di ottener giustizia
stessa cosa essere in questa forma ribelle, che scellerato, ruffiano della figliuola, traditore di Bajardo e Gastone, e vile
esto Avogadro dipinto si neramente è figlio legittimo del Belloy, non della storia. Le scelleraggini, le infamie, gli assassi
il dolore del popolo intenerito. «A questo spettacolo (dicesi in fine della lettera) il duca di Nemours che sentiva commuover
ezza consiste in osservare, che l’ esposto non si dica dallo storico della vita di Bajardo, dando tutto il peso di una pruov
non dovè egli dubitar vivendo? Du-Bos che ignorava molto meno di lui della storia, narrò ciò che si trova dagli storici rife
Dalla più ragguardevole. L’assassino, l’infame, il poltrone Altemoro della tragedia si dice essere il Principe d’Altamura na
Cattolico, al marchese di Pescara? E qual parte ebbe questo Scipione della storia moderna nelle furbesche trame uscite dal c
I colla maggiore indegnità, come mostro come carnefice? Essendo amico della Francia avea quel pontefice desiderato che il fam
non rimangono che i nomi, mancando loro la nota del genio, l’armonia della versificazione, la correzione del linguaggio e la
riva di tenebre e d’orrore il cielo francese e seguiva il cangiamento della monarchia in democrazia, non mancarono di componi
agonista espresso con freddezza. Più celebrità ebbe Carlo IX in tempo della rivoluzione per certa analogia della strage di Sa
celebrità ebbe Carlo IX in tempo della rivoluzione per certa analogia della strage di San-Bartolommeo con gli orrori e l’esec
nalogia della strage di San-Bartolommeo con gli orrori e l’esecuzioni della repubblica che sorgeva in mezzo al sangue. L’orri
e accendeva i feroci petti nella mentovata esecranda strage del tempo della Lega sì ben descritta nell’Erriade, rinnovava la
’intervallo dall’atto IV al V. Si ripetè questa tragedia nell’anno IX della libertà, e l’autore sin dalla prima ripetizione v
lo IX sempre irrisoluto sino al punto che si avvicina il gran momento della strage deliberata, è assai ben delineata, e prese
lo non è posseduto dal fanatismo di Seide. Questo cardinale nel tempo della tremenda esecuzione si trovava in Roma, e Chenier
della tremenda esecuzione si trovava in Roma, e Chenier, per un abuso della storia simile a quelli ne’ quali incorse il Bello
r rappresentar felicemente le passioni tenere ed impetuose. L’anno IX della repubblica si rappresentò ancora Teseo tragedia d
edia intitolata Montmorenci che si recitò nel mese Pratile nel Teatro della Repubblica. Ha il merito di essere un argomento n
arlo per le stampe. Lagouée prodotto aveva prima sull’istesso teatro della Repubblica Eteocle e Polinice che non si avvicina
tragedie negli ultimi due lustri del secolo XVIII recitate sul teatro della Repubblica. Oscar figlio di Ossian di cinque atti
scar figlio di Ossian di cinque atti che si rappresentò l’anno quarto della repubblica, e si replicò sul cominciar del 1800;
ica prole di Contarini. Atto II. La scena rappresenta un appartamento della casa di Contarini. Mentre Bianca si trattiene con
si chiama imprudente, insensata; ed assicura Montcassin che si lagna della sua fortuna, che ella non sarà mai d’altri che di
nza può offendere l’autorità paterna; giurate di rispettar l’ingresso della mia casa fino a che Bianca non passi ad abitare i
uoi dubbii. Contarini dice, io gli farò svanire; venite nel bel mezzo della notte nell’antica cappella del mio palazzo; ricev
i di suo padre. Atto IV. Il teatro cangia in una cappella particolare della casa di Contarini con altare, in cui una porta ap
inestre che danno sul palazzo dell’ambasciadore di Spagna. In seguito della lunghissima scena dell’atto III della contesa poc
asciadore di Spagna. In seguito della lunghissima scena dell’atto III della contesa poco tragica di Contarini, e Montcassin,
tu ad abbandonare una dimora indegna, dove il solo interesse è quello della nobiltà, dove la voce dell’orgoglio copre la voce
sua sposa. Sopraggiunto il padre egli si determinò a suggire pel muro della casa di Spagna. Gl’Inquisitori Loredano e Contari
emoria al vedere gli amanti in piena felicità. L’autore si approfittò della giudiziosa avvertenza, e rendette alla favola il
io ne ricava il teatro? La tragedia suole alterare alcuna circostanza della storia, e con più frequenza quando l’evento risal
risale alla remota antichità: ma ciò si concede per aumentar le molle della compassione e del terrore, ma non già per iscemar
a nobile al pari di quello del Conte di Essex. Ben diversa è l’azione della tragedia di Arnault. Montcassin non può partecipa
è narra il Bembo. b. Principi d’Altamura furono in regno i figliuoli della famiglia del Balso già estinta nel principe Pirro
56 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VIII. Teatri Settentrionali nel XVIII secolo — CAPO III. Teatro Olandese: Danese: Suedese: Polacco. » pp. 253-256
me le migliori favole del paese due tragedie di Rotgans, ed un’ altra della sig. Van-Winter nata Van-Merken autrice vivente d
ato a coltivar la drammatica per le cure del re Federico V benemerito della letteratura e del teatro. Non solo egli invitò ne
en, sussistendo tale accademia, diverrà di giorno in giorno più degno della pubblica considerazione. A’ nostri dì si è segnal
i fecero onore fra’ suoi. Ma singolarmente dee la Danimarca pregiarsi della sig. Passow nata in Copenaghen e morta nel 1757,
3 divenne moglie di un tenente del re che nel 1731 era stato capitano della compagnia dell’Indie. Oltre della traduzione ch’e
re che nel 1731 era stato capitano della compagnia dell’Indie. Oltre della traduzione ch’ella fece del Filosofo Inglese e de
Andreini de’ Danesi, contribuì anche all’intrapresa e all’esecuzione della prima opera musicale Danese rappresentata a spese
o non inferiore agli altri dell’Alemagna. La regina Cristina si valse della penna del Messenio per far comporre favole suedes
scrisse meno imperfette. La nazione allora gli diede il nome di padre della poesia suedese per la tragedia di Brunhilde sogge
componimento intitolato il Sole risplende per tutto tradusse l’Orfano della China del Voltaire; Manderstroom, oltre a un’ ope
57 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — Milano, 1°Aprile 1803. » pp. 318-327
mise a calcar le scene con successo rapido e prodigioso. Fu al fianco della Pellandi il primo attore per le tragedie (quello
nel Saul. Lo troviamo nel 1812 a Tolentino colla sua regia Compagnia, della quale eran prime parti la celebre Pellandi, Luigi
e memorie tolentinati (Tolentino, 1882) – quasi tutti avanzi gloriosi della R. Compagnia istituita dal Vicerè d’Italia, che e
dava alcun poco il Foscolo. La voce era piuttosto rauca, ma nel calor della recitazione si faceva forte e pastosa. È grido ch
secchie d’acqua ; e rappresentando una volta l’Aristodemo, s’investì della parte a segno, che si ferì davvero e gravemente :
Blanes ; » e G. B. Niccolini ne dettò una breve e forbita necrologia, della quale ecco il principio : Paolo Belli-Blanes, fi
are che l’Italia soffre tanta penuria di valenti comici, ch’ ella dee della morte del Blanes, come di non lieve perdita, dole
cusa che l’Internari gli aveva mossa di voler guadagnare sulla recita della Matilde, riportava questa parte del battibecco co
ale, dopo una viva raccomandazione dell’anima nelle mani del Signore, della Beatissima e Gloriosa sempre Vergine Madre Maria,
te a Coriolano figlio naturale ch’ egli ebbe dalla signora Margherita della Rose, dimorante a Milano e presso un farmacista C
i-Brozzi mi manda questa nota e questo sonetto : Ieri sera al teatro della Scala si riprodusse il Cincinnato, e non furono t
moso Meneghino, o Beltramino, e più grandicello con Giorgio Duse, zio della celebre Eleonora : ma la sua vita artistica, può
to direttore. Passò con lui sedici anni, i migliori, non è a negarsi, della sua carriera artistica ; ed altri ancora forse av
o : da queste poi, a quelle di caratterista e promiscuo, ultimo grado della sua vita artistica, sul quale egli si trova tutta
l cospetto del pubblico, doventava un semplice e modesto mortale fuor della scena…. Ripensando il tempo della maggior gloria
un semplice e modesto mortale fuor della scena…. Ripensando il tempo della maggior gloria di Bellotti-Bon, che fu quello in
 ; e seppe con l’arte e con la bontà così ben meritare dell’affetto e della stima del suo Capocomico, che ne ottenne una figl
mode andava alternando e che per la squisitezza de’modi e l’avvenenza della persona, era accolto e gradito dalle dame di ogni
società con Giacomo Modena, e si trovò il ’99 in Napoli, allo scoppio della rivoluzione, nella quale, entrato il Cardinal Ruf
he il Padre Giuseppe, domenicano,fratello del Belloni. Alle suppliche della moglie atterrita, alle sue lagrime incessanti egl
condannato. Recitava allora a quel Teatro Valle la Compagnia Perotti, della quale anni a dietro fu parte il Belloni ; e venne
mar società con Meraviglia, Calamai ed Elisabetta Marchionni la madre della celebre Carlotta : società che andò innanzi a gon
età col solo Meraviglia, poi, dopo quattro anni, diventò il direttore della Compagnia di Tommaso Zocchi. Maritatasi la figlia
58 (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro II. — Capo III. La Poesia Drammatica nel Secolo XV fa maggiori progressi in Italia. In Francia cominciano i Misteri. » pp. 194-209
per le più ignote contrade d’Italia, non il promovimento dello studio della platonica filosofia per mezzo di Giorgio Gemisto
misto Pletone, e singolarmente di Marsiglio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola in Firenze, e del cardinal Bessarione i
ssi dell’arte drammatica, non il felice coltivamento dell’eloquenza e della poesia latina, e di ogni altro genere di erudizio
raldi e Scipione Maffei tutti gl’intelligenti del latino linguaggio e della poesia drammatica. Fu stampata per la prima volta
stessa guisa che i rozzi cori pastorali ed i semplici inni dionisiaci della primitiva tragedia greca mossero l’ingegno di Epi
repassava l’autore, per quanto credesi da taluni, l’anno diciottesimo della sua età quando la compose in tempo di duo giorni,
o minor osservante, che nell’anno scorso ha fatto a onore e beneficio della letteratura italiana stampare in Venezia appresso
stile de’ comici antichi, e pruova lo studio che l’Alberti avea fatto della lingua latina». Questa commedia poi, quantunque s
ta al marchese di Ferrara Leonello d’Este, uno de’ più dotti principi della sua età e de’ più splendidi mecenati della letter
uno de’ più dotti principi della sua età e de’ più splendidi mecenati della letteratura, fu da Aldo Manuzio il giovane pubbli
uce in buona prosa latina circa il tempo medesimo d’Ugolino da Parma, della famiglia Pisani. Di essa non sappiamo indicar edi
olla in Trento nel 1472 col titolo di Catinia da Catinio protagonista della favola, la quale, secondo che pensa Apostolo Zeno
le del suo palagio, la commedia dei Menecmi di Plauto, alla traduzion della quale egli istesso avea posto mano148; e a’ 21 di
tazioni, scorgendovi una certa profanazione delle cose più sacrosante della religione. Gli attori che ne traevan profitto, ri
lla religione. Gli attori che ne traevan profitto, ricorsero al favor della corte, prendendo il titolo di Fratelli della Pass
itto, ricorsero al favor della corte, prendendo il titolo di Fratelli della Passione, e nel 1402 ne ottennero da Carlo VI l’a
ero da Carlo VI l’approvazione. Posero allora il teatro nell’ospedale della Trinità, e vi rappresentarono per tutto il secolo
e della Trinità, e vi rappresentarono per tutto il secolo varie farse della Passione, e differenti misteri del Testamento Vec
fferenti misteri del Testamento Vecchio e Nuovo. Uno di questi drammi della Passione, scritto circa la metà del secolo, si cr
ricevute da Lucifero per aver tentato in vano Gesù Cristo, la figlia della Cananea spiritata che diceva cose assai libere, l
tina, e Luigi De la Cruz compose varie tragedie latine. Nel rimanente della penisola delle Spagne il popolo si divertiva coll
rarli. I più antichi giuochi di carnovale che siensi conservati, sono della metà del secolo, e furono composti in Norimberga
tre persone che si son salvate in una casa; e ’l VI. fa una dipintura della vita di due persone maritate. Oltre alle suddette
pivano allora e si esprimevano per mistero alla fiaminga i personaggi della mitologia152. 133. Dove siete andati, felici t
i parla colla sua solita dottrina ed esattezza il sopralodato storico della letteratura italiana. 135. La vita del gran Pont
1761 presso i fratelli Simoni. 136. Leggasi il tomo VI part. I e II della Storia della Letteratura Italiana di Girolamo Tir
i fratelli Simoni. 136. Leggasi il tomo VI part. I e II della Storia della Letteratura Italiana di Girolamo Tiraboschi. 137
della Letteratura Italiana di Girolamo Tiraboschi. 137. In un codice della Biblioteca Estense, in cui si contiene la traduzi
si profondono le ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni, della musica e della poesia, compongono quel tutto conc
le ricchezze facendo uso del ballo, delle decorazioni, della musica e della poesia, compongono quel tutto concatenato ed uno
ffò corredata eziandio di belle osservazioni appartenenti alla storia della poesia drammatica, l’Orfeo che fu fatto magnifica
il favore che dispensava ai dotti, l’introduzione, che a lui si dee, della scenica poesia, coltivata con splendide teatrali
appresentazione de Menecmi (dice il Tiraboschi) o fosse per la novità della cosa, o per la magnificenza dello spettacolo, ris
e stampato in Parigi nel 1772 presso Costard. 152. Vedasi il libro V della Storia di Borgogna di Ponto Heutero.
59 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — article » pp. 230-232
di sera in sera l’Asti ne andava perdendo, a cagione più specialmente della sua poca mente e della niuna istruzione. Cesare A
ne andava perdendo, a cagione più specialmente della sua poca mente e della niuna istruzione. Cesare Asti è passato proverbia
catore nella caduta di Missolungi, dovendo dire : « nell’imperversare della bufera, mi abbandonai alla discrezione delle onde
nai alla discrezione delle onde, » disse invece : « nell’imperversare della bufera, mi abbandonai alla descrizione di Londra…
i alla descrizione di Londra…. » Lo troviamo padre nobile, nel 1842, della drammatica compagnia condotta e diretta da Angelo
mualdo Mascherpa ; proprietario nel ’54-55 di una Compagnia discreta, della quale era prima attrice la Vedova-Ristori, e cara
erito non comune ; e finalmente, nel ’57-58, caratterista e promiscuo della Compagnia condotta e diretta da Valentino Bassi.
di una quinta. Un ahi lungo, doloroso seguì a quel colpo !… La punta della spada era andata a trovare le parti posteriori di
60 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 676-677
Visentini Francesco. Fratello della precedente, aveva poco più di un anno, quando fu
azione superiore alla sua età. Fu ricevuto poco dopo attore effettivo della Compagnia, per la vicenda col padre ; ma non vi s
ivo della Compagnia, per la vicenda col padre ; ma non vi son traccie della sua comparsa come Arlecchino ; bensì di quella co
una condotta specchiata. Un documento del 3 luglio 1749 reca l’accusa della sua domestica Elisabetta Deniset di averla con og
'52, alle nove di sera, ei si slanciò per di dietro su di un soldato della guardia che andava a braccietto di un amico : lo
petto, provocandolo e sfidandolo. L'amico intanto era corso in cerca della prima squadra della guardia, la quale arrivata, l
e sfidandolo. L'amico intanto era corso in cerca della prima squadra della guardia, la quale arrivata, lo trasse in arresto.
enza e fargli firmare carte compromettenti. Non si sa la data precisa della sua morte, che il Campardon mette verso il 1769.
61 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome I « A CHI AMA la poesia rappresentativa » pp. -
corifei si penetri con agevolezza incredibile ne’ più riposti arcani della natura, e corransi con sufficiente sicurezza gli
marrebbe nel proprio abisso sepolta la maggior parte delle maraviglie della natura. E che diverrebbe singolarmente delle bell
analisi e senza maneggiare l’astrolabio di Urania, siedono nel tempio della gloria esposti al l’ammirazione concorde di tutti
tti i secoli e di tutti i paesi. L’uomo stesso, opera la più mirabile della mano del Creatore, non vuolsi considerare soltant
e nello spazio, o come pianta che vegeti, o animale che senta. Dotato della ragione dono divino della, suprema sapienza, egli
nta che vegeti, o animale che senta. Dotato della ragione dono divino della , suprema sapienza, egli è dalla natura formato pe
dere ad illustrare e perfezionare la preziosa importantissima scienza della legislazione. Ed in fatti se a conservar la tranq
le radici viziate e le cagioni che le viziano ed affrettano la morte della pianta. Ma il mal costume invecchiato nè anche, a
e leggi si convertono in costumi. Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza che sappia correggere i costumi; e non e
rse una fiaccola chiara a sufficienza e durevole per tutto il cammino della vita? Il mondo ideale che si contempla nelle prop
ggi a) sconvolge tutte le idee del mondo immaginato. Pugnano i doveri della religione e delle leggi con molte opinioni adotta
e riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo che cerca ristoro dopo della fatiga. Ora se v’ha tra lumi somministrati dalla
dalla ragione rischiarata (oltre delle scienze esatte e delle leggi e della stessa moral filosofia) un educatore di simili ci
ppia il diletto del passatempo all’utile del l’insegnamento? il dolor della correzione al piacer dello spettacolo? Qual gener
erarsi di piacevolezza? Ben possiamo dire, che a somiglianza de’ numi della mitologia che cinti di umane spoglie viaggiarono
, per avvertirci delle discordanze de’ nostri ritratti dalle bellezze della sapienza e della virtù. La morale è la maestra de
delle discordanze de’ nostri ritratti dalle bellezze della sapienza e della virtù. La morale è la maestra de’ costumi, e la p
rofondamente nella natura dell’uomo! Adunque senza tener conto veruno della rigidezza affettata di alcuni sedicenti coltivato
venta la censura. Dà del bastone sullo specchio chi teme di arrossire della propria deformità. Catone pretese in Roma la cens
olumia. Non è adunque l’opera presente una semplice nuova impressione della mia storia teatrale, ma sì bene un nuovo libro ch
Contento di aver quì accennato succintamente l’eccellenza e l’utilità della poesia rappresentativa, stimo inutile per chi ha
e personificare, benchè non si trovassero registrate nel vocabolario della Crusca, le ho anche io usate senza dar retta a’ r
edizione e ritengo in questa, forse senza esempio, il termine tecnico della danza piroettare tratto del francese, che mi fu n
ho del tutto bandito il latinismo interloquire che tecnico può dirsi della drammatica, sembrandomi chiaro, intelligibile, so
convenzione? Parlar gergone è frase toscana inserita nel vocabolario della Crusca col l’esempio di Franco Sacchetti. Che se
chiama inusitate e strane c. O dunque debbesi moderatamente fare uso della severità de’ puristi’ intorno alle parole di stra
ica. Ecco quanto io ho fatto in quest’opera per diletto ed istruzione della gioventù che ama la poesia rappresentativa. Avrò
additati in questi primi fogli intorno al l’utilità e al l’eccellenza della drammatica ottenessero il frutto d’insinuare la n
era, che ci determina a quest’ultima edizione. a. Vedi la prefazione della ristampa dei suoi componimenti, dove nel tempo st
se non gentile asserzione. Ho poi troppe volte mostrato nelle Vicende della Coliure delle Sicilie che l’esgesuita Bettinelli
62 (1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO IX. Dell’uso delle antiche Maschere. » pp. 290-297
mo che volle introdurla, avesse avuto tal disegno, perchè l’inventore della maschera s’ignorava anche a’ tempi di Aristotile1
simo ne’ villaggi vollero che gli offesi venissero di giorno in mezzo della piazza a narrare le oppressioni sofferte. Ma per
e quando questa cominciò a pullulare da que’ semi, l’attore fece uso della feccia, delle capigliature e indi delle scorze, d
he e dalla teologia. Che se con Suida voglia attribuirsi l’invenzione della vera maschera, non ad Eschilo tragico, ma al Cher
osì dire, con ferro rovente alla presenza di un popolo fiero e geloso della sua libertà. Aureo in tal proposito è il passaggi
ero e geloso della sua libertà. Aureo in tal proposito è il passaggio della commedia degli Equiti di Aristofane, in cui si sc
questa verità istorica con un passo di Eliano, il quale nel ragionare della commedia delle Nuvole, in cui compariva il person
ì144: “Essendo Socrate mostrato sulla scena e nominato tratto tratto ( della qual cosa non è da stupirsi perchè egli era ancor
cordate da Giovenale e da Giulio Polluce appartengono ancora a’ tempi della nuova commedia. Nè anche queste medesime maschere
more che anticamente mosse i villani a tingersi di feccia. La libertà della Grecia avea ceduto alla potenza de’ principi Mace
soggiacere al fato di Eupoli e di Anassandride. Per sicurezza adunque della propria vita sacrificarono la verità dell’imitazi
comici avvezzati al rispetto verso i principi, e questi renduti certi della totale sommissione de’ poeti teatrali alla loro a
ne diverse, di matrona, di più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata
più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata, di quella che portava l’a
fiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata, di quella che portava l’acconciatura de
nell’Onomastico di Giulio Polluce148. E di questa naturale imitazione della maschera approfittandosi Nerone, si compiacque al
Venezia e in altre chiare città Italiane. 142. V. la Particella 39 della Poetica. 143. Libro I, cap. 7. 144. Hist. Var.
lle Lettere di Parigi, e Metastasio nel capitolo quinto dell’Estratto della Poet. di Arist. 148. Lib. IV, cap. 20. 149. V.
63 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » p. 330
ico. Si diede giovinetto alle scene, e fu per molti anni primo attore della primaria Compagnia, condotta da Giacomo Dorati. T
rometeo, I Riti Indiani, Cesare in Egitto, ed altri. Per dare un’idea della riuscita di questi spettacoli, basti dire che a M
di questi spettacoli, basti dire che a Milano, mentre al gran Teatro della Scala fanatizzava il Prometeo ballo, al Teatro Le
’espressione…. Fu il Bellotti artista proteiforme nel più largo senso della parola ; poichè mentre alla rappresentazione diur
vava il suo pubblico all’entusiasmo colla recitazione calda e vibrata della parte di Prometeo, a quella notturna faceva smasc
ia, vi morì in pochissimo tempo, a soli trentasette anni. Nell’elenco della Compagnia Dorati era anche un’Annetta Bellotti ch
che trovo poi nel 1831 in Compagnia di Domenico Verzura. Al proposito della proteiformità del Bellotti, il Giornaletto ragion
64 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 484-498
a amministrazione. Scrisse molte opere teatrali, in cui la sciattezza della forma era compensata da una cotal vivacità di dia
tista possente, formidabile, colossale, classico nel significato puro della parola. Ab Iove principium ! Come seguir codest
Domeniconi e Coltellini. Il '47 è collo stesso Domeniconi, al fianco della Ristori, già forte promessa nel Paolo della Franc
sso Domeniconi, al fianco della Ristori, già forte promessa nel Paolo della Francesca da Rimini, nel Romeo di Giulietta e Rom
i, nel Romeo di Giulietta e Romeo, nel Carlo del Filippo, nell’Egisto della Merope ; il '48 a Roma è consacrato attore tragic
un clamoroso successo. Il '60 è scritturato primo attore e direttore della Compagnia Reale de'Fiorentini in Napoli ; il '61
Compagnia per dar di quando in quando alcuna rappresentazione in pro della Cassa di previdenza per gli artisti drammatici, d
mpi il cannoneggiar d’una frase), tutta la freschezza e la musicalità della recitazione, tutto l’impeto della passione, tutta
tutta la freschezza e la musicalità della recitazione, tutto l’impeto della passione, tutta la profondità dell’interpretazion
ranza le sue facoltà fisiche : imperocchè, giovane, bello del volto e della persona, con una voce fresca, limpida, armoniosa,
ova ?… Con una intonazione altissima, disperata, proferiva sul fondo della scena la prima parte della frase, e correva poi c
altissima, disperata, proferiva sul fondo della scena la prima parte della frase, e correva poi con magnifica armonia di mov
sull’elmo, ma nol vedrà, chè di mia spada il lampo vince il riflesso della mia corona. Che quantità e varietà di note in q
di voce all’ultimo mia, con rapido abbassarsi a corona. E la chiusa della scena con Arnolfo, pur d’Arduino : Ard. Prete !
e tutta l’empia stirpe al vento disperda di Saul ? E la descrizione della lotta col leone in Sansone ? E Il figlio delle se
i sommesse consacrate dal pubblico e dalla critica. Salvini ha potuto della sua voce far tutto ciò che ha voluto. Dal ruggito
ini ha potuto della sua voce far tutto ciò che ha voluto. Dal ruggito della tigre passava con incredibile facilità al belato
ll’evasione nella Morte Civile era tutto un poema di sordine. Nessuno della presente generazione può farsi un’idea del come e
sillabo, da una esclamazione, da un sospiro per suscitar l’entusiasmo della moltitudine. Chi ricorda il non è vero di Giosuè
elve alla rivelazione dell’amore ? Egli aveva la consapevolezza piena della sua forza, si piaceva giocar con le difficoltà de
che come suo emulo, lasciava a lui con generosa sommessione la scelta della parte. In Francesca da Rimini l’insuperato Paolo
tiranno, fu, da allora, il più amabile e commiserabile de'personaggi della Francesca ; e il piccolo Pilade doventò un coloss
Ho detto più su che Tommaso Salvini fu classico nel significato puro della parola, chè non mai s’ebbe da notare nella sua es
coppi di furore era sempre la misura contegnosa, direi quasi plastica della forma : plasticità che non tradiva mai la fatica
atro del '500. L'ultimo e nuovo suo trionfo può dirsi oggi la lettura della miglior parte di una tragedia inedita di Cimino,
ella quale egli sa risvegliare tutta l’antica forza. Oggi il Ministro della Pubblica Istruzione gli ha fatto coniare una meda
65 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo terzo — Osservazioni »
Osservazioni Intorno ad un estratto del tomo 2 della presente opera inserito nel Giornale Enciclopedic
i Bologna, ha fatto varie opposizioni a due capitoli del secondo tomo della presente opera. Mi è sembrato che l’esaminarle po
amente, non dando la menoma idea delle materie che vi si trattano, né della maniera con cui vengono trattate, non indicando v
veruna delle riflessioni ch’ho cercato di spargere utili al progresso della musica e alla perfezione del gusto, passando inso
evare. È vero che Bayle, Bernard, le Clerc, Apostolo Zeno, gli autori della Biblioteca ragionata, e Maffei non facevano a que
di Bologna non sono nè Bayle, né Bernard, né le Clerc, né gli autori della Biblioteca ragionata, né Apostolo Zeno, né Maffei
e le mie opinioni fossero conformi all’idee giuste che dobbiamo avere della musica e dell’opera italiana, parmi che il vero m
ora in decadenza: di addurre i motivi di ciò, e di fare il parallelo della nostra musica con quella dei Greci. Ma dio buono!
Fra Giambattista Martini nella Dissertazione che chiude il terzo tomo della sua storia della Musica, l’Abate Arnaud nella Dis
Martini nella Dissertazione che chiude il terzo tomo della sua storia della Musica, l’Abate Arnaud nella Dissertazione intorn
della Musica, l’Abate Arnaud nella Dissertazione intorno agli accenti della lingua greca, e cent’altri. GIORNALISTA, [11] «E
[12] È cosa evidente per l’incomparabile estrattista che noi abbiamo della musica, della poesia, e delle rappresentazioni te
vidente per l’incomparabile estrattista che noi abbiamo della musica, della poesia, e delle rappresentazioni teatrali le stes
come una delle loro più celebri legislatrici non altrimenti che que’ della Beozia ammiravano Pindaro come uno de’ primi loro
lor composizioni poetiche. Stesicoro fu stimato dagli Imeresi, popoli della Magna Grecia, come il Franklin e il Wasington del
i Imeresi, popoli della Magna Grecia, come il Franklin e il Wasington della loro patria. Il lettore non ha bisogno d’essere a
sogno d’essere avvertito che parlandosi di que’ secoli quanto si dice della poesia intendersi dee anche della musica, imperoc
ndosi di que’ secoli quanto si dice della poesia intendersi dee anche della musica, imperocché l’una era inseparabile dall’al
’anzidette facoltà fossero il primo veicolo e lo strumento principale della religione. Plutarco nel suo dialogo sulla musica
usica ci assicura che la prima «applicazione che nella Grecia si fece della musica fu alle cerimonie religiose in onore degli
per apud omnes sancti sunt habiti atque dicti». [15] Quanto s’è detto della poesia e della musica si debbe interamente applic
sancti sunt habiti atque dicti». [15] Quanto s’è detto della poesia e della musica si debbe interamente applicare agli spetta
’ più illustri scrittori. Evanzio, grammatico, riferisce il principio della tragedia alle cose divine, alle quali applicavans
spirito delle antiche rappresentazioni quanto lo zelo de’ primi padri della chiesa nel riprenderle e condannarle. Erano essi
di San Francesco di Paola, di Santa Caterina, o di qualch’altro santo della nostra religione? Si fa voto di metter sulle scen
ione di musica, e che non caratterizza per niente l’indole e il gusto della musica nazionale, vorrà forse il giornalista trar
i al suono degli strumenti come faceva Orfeo, o d’ispirare i principi della religione agli idolatri Samoiedi con un rondò, co
er passare il tempo, per ridere, per divertirci coi vezzosi gorgheggi della Maccarini, o coi bei recitativi del Pacchierotti,
migliorarono”; anzi tutta l’antichità ci assicura che i grandi attori della Grecia fiorirono successivamente dai tempi d’Esch
dito Minosse degli altrui libri? GIORNALISTA. [22] «Una cagion forte della decadenza della nostra opera dipende secondo il S
li altrui libri? GIORNALISTA. [22] «Una cagion forte della decadenza della nostra opera dipende secondo il Sig. Arteaga dall
della nostra opera dipende secondo il Sig. Arteaga dalla separazione della filosofia, della legislazione, della poesia, e de
ra dipende secondo il Sig. Arteaga dalla separazione della filosofia, della legislazione, della poesia, e della musica, le qu
l Sig. Arteaga dalla separazione della filosofia, della legislazione, della poesia, e della musica, le quali facoltà ne’ prim
alla separazione della filosofia, della legislazione, della poesia, e della musica, le quali facoltà ne’ primi tempi della Gr
zione, della poesia, e della musica, le quali facoltà ne’ primi tempi della Grecia possedeva tutto unite un solo autore. Ma o
legislazione, di poesia, e di musica strumentale ch’è la vera essenza della musica; mentre il diletto che reca la musica voca
sica strumentale giunge a toccare, bisogna dire che tutto il merito è della sola musica; sebbene però questa non può commover
ggete, o mio caro giornalista, l’aureo trattato del Brown sull’unione della musica e della poesia, e imparerete molte cose ch
ro giornalista, l’aureo trattato del Brown sull’unione della musica e della poesia, e imparerete molte cose che ignorate. GIO
rerete molte cose che ignorate. GIORNALISTA. [24] «Due altre cagioni della decadenza della nostra musica il Sig. Arteaga le
e che ignorate. GIORNALISTA. [24] «Due altre cagioni della decadenza della nostra musica il Sig. Arteaga le rileva da due de
conoscessero una specie di contrappunto, e che nei tempi più floridi della Grecia non vi fosse una musica ricca al par della
i tempi più floridi della Grecia non vi fosse una musica ricca al par della nostra? Se v’era, essa sarà stata probabilmente s
l loro carattere fisico e morale, l’ho confermato scorrendo la storia della musica, e coll’esempio della cinese, dell’araba,
ale, l’ho confermato scorrendo la storia della musica, e coll’esempio della cinese, dell’araba, e delle nostre antiche cantil
ossia poco contrappunto.» RISPOSTA. [28] Un’altra prova demostrativa della inesattezza o della mala fede del giornalista. A
nto.» RISPOSTA. [28] Un’altra prova demostrativa della inesattezza o della mala fede del giornalista. A sentir lui pare ch’i
co o niun motivo abbiamo d’insuperbircene». Alla pag. 244, ragionando della nostra armonia e del contrasto delle parti, io di
r la sua vaghezza ed artificio, e tale è appunto il merito intrinseco della moderna musica dove l’arte et intrecciare le modu
grado di eccellenza sconosciuto affatto agli antichi.» Ecco un elogio della nostra armonia maggiore assai di quanti ne possa
Cerone e di Giacopo Peri, le parole dei quali addussi in vari luoghi della mia opera. Ma fui ben lontano dal condannar l’arm
hi, e del giusto tributo di laude che rendo ove parlo del secol d’oro della musica italiana, a coloro che la ripurgarono dal
A. [30] Un “discorrere in aria” chiama il giornalista ciò che si dice della possanza della musica greca e della somma stima i
correre in aria” chiama il giornalista ciò che si dice della possanza della musica greca e della somma stima in cui era press
ma il giornalista ciò che si dice della possanza della musica greca e della somma stima in cui era presso agli antichi? Sarà
lare d’un’arte affatto divina; quando Polibio ne inculca la necessità della musica per l’educazione, e rammenta i prodigiosi
one, e rammenta i prodigiosi effetti operati da essa su alcuni popoli della Grecia; quando Montesquieu impiega un’intiero cap
i popoli della Grecia; quando Montesquieu impiega un’intiero capitolo della sua opera immortale dello spirito delle leggi nel
antichi Greci; quando Burney, il più accreditato scrittore ch’esista della storia musicale, conferma il fin qui detto con un
ità riunita di tanti e così bravi scrittori, che gli Antichi avessero della musica un’idea superiore di molto a quella che no
atica al suono del flauto, come si narra di Meria, l’inalzar al suono della lira le muraglie di Tebe come dicesi d’Anfione, o
non la comunicazione fra tutte le parti del globo procurata per mezzo della navigazione, non lo scambievole commercio fra il
empera la ferocia e ne ringentilisce lo spirito, non più il progresso della filosofia e dei lumi sono a’ nostri tempi le cagi
duro e indifferente purché abbia l’orecchio disposto alle impressioni della melodia, non può resistere al di lei incanto quan
della melodia, non può resistere al di lei incanto quand’è veramente della più perfetta, e perfettamente eseguita?» RISPOST
endosi alle opinioni del Sig. Brown inglese (Dell’origine e progressi della poesia, e della musica) e del Sig. Rousseau (Essa
ioni del Sig. Brown inglese (Dell’origine e progressi della poesia, e della musica) e del Sig. Rousseau (Essai sur l’origine
estir con note alla maniera delle arie; poiché, se si fa tal musica a della poesia quasi prosaica e barbara come sono certe c
abbiamo esclusi dal genere musicale quasi tutte le moltiplici specie della poesia». Ora queste espressioni non indicano un’i
lustrazione, un comento dell’accennato pensiero, anzi tanto è lontano della verità ch’io voglia negare alla nostra musica la
l Signor Manfredini non legga con attenzione l’opere che vuol onorare della sua critica. GIORNALISTA. [45] «Passa quindi il
a nella poesia; che non sappiamo p. e. quale sia la sillaba più lunga della parola “spoglie”; che il maestro abbandona il val
a più lunga della parola “spoglie”; che il maestro abbandona il valor della poesia per badare al valor delle note ecc. ma tut
i tre sillabe, come ei la crede, e sa ancora adattar le note al valor della poesia.» RISPOSTA. [46] Tante proposizioni, altr
ere ciò che non esiste. Fino i ragazzi che imparano i primi rudimenti della rettorica sanno che la nostra poesia non ha quant
i brevi o di lunghe il compositore non può adattare le note al valore della poesia, qualora il Sig. Manfredini non voglia dar
ì questa che deve star soggetta in tutto alla poesia, e all’argomento della medesima: e in tal modo sono espresse le più bell
ch’era quella che presso agli antichi diriggeva il tempo e la misura della musica e regolava il numero delle note, qual altr
ché non è imaginabile che un maestro di musica riprenda uno che non è della professione intorno ai termini facoltativi dell’a
quale s’inalza per comune opinione sì nella teorica che nella pratica della musica tanto al di sopra di tutti i critici giorn
erflua. Indi mi potrebbe accusare, perché non ho parlato del triton e della quinta falsa, e dopo aver parlato di queste, perc
ta falsa, e dopo aver parlato di queste, perché non ho fatto menzione della quinta superflua, e della settima diminuita, e co
ato di queste, perché non ho fatto menzione della quinta superflua, e della settima diminuita, e così riprendermi all’infinit
ta, e così riprendermi all’infinito perché spiegandole cause generali della decadenza del melodramma non ho fatto un trattato
con diverso movimento pretende che tutto questo pregiudichi all’unità della cantilena, la quale certamente non può muovere gl
re la stessa melodia in più tuoni, e dal collocarla ne’ siti analoghi della composizione, o anche dal congruamente alternare
e coi rispettivi movimenti che sono diversi in ciascuna dal movimento della parte principale, e gli intervalli per cui scorro
erudizione più scelta hanno deciso nella presente quistione in favore della musica antica. Essi adunque tutti saranno pregiud
anno pregiudicati, invidiosi, e adoratori del rancidume. Ad onta però della magistrale decisione del Manfredini, ci permetta
o d’inesattezze e di false supposizioni. [58] 1. Finora s’era parlato della musica moderna in generale paragonandola coll’ant
ramente alle macchine e alle decorazioni badava poco alla dilicatezza della composizione, come perché la poesia dei drammi co
[61] «Cosa diremo, se egli che attribuisce al contrappunto la rovina della musica, lodale suddette opere, delle quali il più
molte bellissime comparazioni, ha contribuito a propagare il difetto della troppa musica strumentale nei teatri, ma queste c
nozioni elementari e triviali), io aveva detto nel tomo 2. pag. 263. della mia opera che le belle comparazioni che si trovan
re circa all’apertura dell’opera di cui parlando il N. A., e parlando della nostra musica in generale, impiega una quantità d
aesello, Anfossi, Gluk, e di tanti altri, e veda se il moderno quadro della musica teatrale è tal quale ei lo dipinge.» RISP
no a meraviglia la lingua latina, e gustano le più intime squisitezze della toscana, che sono versatissimi nella poesia, e ne
ragionare. Allora vedrà ch’ei non ha inteso né poco né molto lo stato della quistione, e che lavora in falso, perché non sa d
inclinazione ingenita in noi dalla natura, come un’effetto immediato della curiosità. L’anima nostra è fatta per pensare, ci
elle lettere, imperocché consistendo il bello di esse nell’imitazione della natura, ed essendo siffatta imitazione ristretta
lla determinata maniera; vanno a rischio di perder affatto le traccie della vera imitazione, smarrita la quale non resta per
ra i moderni la bella Dissertazione del Tiraboschi intorno alle cause della decadenza del gusto, e vedrà la felice applicazio
r ora all’eloquenza, alla poesia, e alla storia. Legga il terzo libro della Repubblica di Platone, e i Trattenimenti sullo st
erzo libro della Repubblica di Platone, e i Trattenimenti sullo stato della musica greca intorno al quarto secolo dell’era cr
l’acqua una parte del suo bastone, invece d’attribuirlo ad un’inganno della propria vista, credeva che il bastone si fosse re
r esempio, che la musica sia decaduta, perché nel primo tomo parlando della melodia si è lasciato uscir di penna il seguente
lasciato uscir di penna il seguente paragrafo? «Essa è l’unica parte della musica che cagioni degli effetti morali nel cuor
le citate nell’estratto si trovano alla pagina sesta del tomo secondo della presente edizione. Chiunque si prenderà la pena d
in quel luogo il paragone tra l’armonia e la melodia, esalta i pregi della melodia in riguardo all’espressione e all’imitazi
ta i pregi della melodia in riguardo all’espressione e all’imitazione della natura, e che favellando di essi dico che dobbiam
enti s’ammira de gran maestri». Egli è chiarissimo che parlandosi ivi della melodia in genere e non in ispecie, anche i maest
zione avrebbe dovuto il giornalista far vedere ch’io in qualche luogo della mia opera avessi espressamente negata a’ composit
d’un punto di rassomiglianza GIORNALISTA. [81] «E più oltre parlando della melodia in contrappunto si spiega come segue: “Si
dell’uditore, nel rinforzar il motivo dominante, ovvero sia il canto della parte principale con quella di ciascuna in partic
i che abbiano fatto i moderni italiani, è quello di conservar l’unità della melodia; ho inteso nel luogo citato (tom. 2. pag.
quelle cose ch’io aveva lodato? Ma io ho depresso alcuni compositori della nostra età? Ebbene il lodare gli scrittori d’un t
il Sig. Arteaga, cioè: «L’amor del piacere che ricompensa gl’Italiani della perdita della loro antica libertà, e che va del p
a, cioè: «L’amor del piacere che ricompensa gl’Italiani della perdita della loro antica libertà, e che va del paro in una naz
hi per istruirsi.» RISPOSTA. [84] Il giornalista entra nelle regioni della filosofia come i soldati di Goffredo entravano ne
r meglio la letteratura italiana, che l’eruditissimo Sig. Manfredini, della cui estesa e profonda dottrina in ogni ramo dell’
vi sono secondo l’estrattiva tante opinioni che gli facciano dubitare della loro certezza: pure i principi ond’io parto per e
anche falsi devono essere quelli del canto, e se non si può dubitare della certezza de’ secondi, non può nemmen rivocarsi in
Manfredini mostrandolo agli occhi del pubblico ignorante ne’ principi della scienza del canto210,‌ quindi l’astio del Manfred
derni scrittori italiani di neologismo straniero, chiamasse “ressorti della virilità” le parti nobili dell’uomo, essendo vero
one la nostra ricca favella.» RISPOSTA. [91] L’espressione “ressorti della virilità” è stata cangiata “in sorgenti della vir
L’espressione “ressorti della virilità” è stata cangiata “in sorgenti della virilità” nella veneta edizione. Se il Manfredini
se (siccome il pregai espressamente per lettera) compilato l’estratto della mia opera sull’edizion veneta anziché sulla bolog
ia opera sull’edizion veneta anziché sulla bolognese, il secondo tomo della quale fui costretto per motivi che non sono di qu
ve delle secrezioni dei talenti come i corvi e gli avoltoi si pascono della carne infracidata dei cadaveri. GIORNALISTA. [92
onare, e in ciò mostra la sua prudenza. L’esame che fin qui s’è fatto della sua logica mostra parimenti che avrebbe fatto meg
si la scena, quantunque non vi sia edizione che non lo ponga in bocca della sola Ecuba, e dovendosi considerare manifestament
l luogo dov’egli, secondo il giornalista asserisca, «che la divisione della nostra opera in recitativo semplice, recitativo o
attina che compilò l’estratto. GIORNALISTA. [99] «Quindi non è colpa della musica se tante volte le opere sono malamente com
dati da me a Metastasio, e la lode con cui ho nominati molti maestri della trascorsa età e della presente, fanno vedere ch’i
io, e la lode con cui ho nominati molti maestri della trascorsa età e della presente, fanno vedere ch’io non ho mai dubitato
olo d’Alessandro la gloria d’essere uno dei più illustri nella storia della greca letteratura, come i Bavi, i Mevi, e i Batil
nar rumore perché mi sono mostrato poco contento dello stato presente della musica, conviene ora meco intieramente accordando
agli oggetti che deve imitare ecc. Ma perché parlar di questa, e non della buona? Non segue forse lo stesso nelle altre arti
revenuta e disciolta l’obbiezione del giornalista tratta dal paragone della pittura e della scoltura; obbiezione che forse no
olta l’obbiezione del giornalista tratta dal paragone della pittura e della scoltura; obbiezione che forse non gli sarebbe ma
molto scarsa in ciò che spetta la parte filosofica storica e critica della musica, i soli aspetti cioè sotto i quali venga r
gli dia un diritto d’infallibilità quando parla a coloro che non sono della professione. Se questi devono avere la prudenza d
credono, ciò nonostante, d’essere divenuti gli Ettorri e gli Arganti della loro nazione e del loro secolo menando colpi a di
l’accattar brighe con qualunque straniero che non parli il linguaggio della prevenzion nazionale, come Don Quisciotte si stim
cherebbe di bel nuovo intrepido come Orazio al Ponte. Gli oggetti poi della disputa sono stati secondo lui della più singolar
Orazio al Ponte. Gli oggetti poi della disputa sono stati secondo lui della più singolare novità, e della più alta importanza
oi della disputa sono stati secondo lui della più singolare novità, e della più alta importanza. L’armi con cui finora ha gue
ltre opere pubblicate da lui se non per altro per riconoscenza almeno della costante e gentile attenzione di cui gli siamo de
66 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome IV « NOTE DI D. CARLO VESPASIANO. » pp. 301-306
come vogliono, dall’Arcivescovo di Siviglia Guglielmo Fonseca (Istor, della Chiesa tom. III, sec. XV, n. 8) cogli acquisti fa
ca (Istor, della Chiesa tom. III, sec. XV, n. 8) cogli acquisti fatti della dottrina Italiana; e leggendo per un gran pezzo i
vere la sua storia, e fu dal Cardinal Ximenes impiegato nell’edizione della Bibbia Poliglotta, e di poi alla direzione dell’U
di questa mia nota volle scagliarsi l’apologista Lampillas nel tom. I della P. II del Saggio Apologetico, attribuendola per a
accozzar un capriccioso e fallace raziocinio ed ascriverlo all’autor della Nota? Poteva (dice poi il medesimo apologista) ne
e naturale, cioè, che il Nasarre ignorasse o dissimulasse la barbarie della Penisola verso il principio del XVI secolo (alla
Nota II. Avvegnachè la prima Accademia scientifica de’ Segreti della Natura fosse stata formata in Napoli nel secolo X
l dotto ab. Gimma nella sua Italia letterata pag. 479) da Giambatista della Porta fertile ed elevato ingegno, pregio delle sc
dice il conte Mazzucchelli, a cui si può aggiugnere il giudizio, che della Tancia portò il Nisieli in questa guisa: Ridicolo
osa, accomodata e ingegnosissima invenzione mi par quella dell’ autor della Tancia commedia, ove per cori all’usanza delle an
ia ha perduto uno de’ più zelanti suoi difensori letterati e l’autore della presente storia il suo antico verace amico in que
letterato, il quale ha sostenuto diciotto anni in Parigi ed il resto della vita in Italia l’onor della lingua e della letter
enuto diciotto anni in Parigi ed il resto della vita in Italia l’onor della lingua e della letteratura Italiana. Egli godè l’
anni in Parigi ed il resto della vita in Italia l’onor della lingua e della letteratura Italiana. Egli godè l’amicizia de’ pi
uca di Belforte, dell’avvocato Diodati, del can de Silva de’ marchesi della Banditella, dell’ab. Cristofano Amaduzzi ecc. L’a
Banditella, dell’ab. Cristofano Amaduzzi ecc. L’autore delle Vicende della Coltura Siciliana nel sesto volume che si accinge
67 (1790) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome VI « LIBRO X ed ultimo. Teatro Italiano del secolo XVIII — CAPO ULTIMO. Conchiusione. » pp. 300-303
CAPO ULTIMO. Conchiusione. Ed eccovi il vasto grandioso edifizio della scenica poesia per la stessa antichità, varietà e
hi di bizzarri ornati di tritoni, egipani, sfingi e sirene a dispetto della natura: delizioso in mille guise ne’ boschetti, n
berinti e meandri. Tale da Pekin a Parigi è il prospetto vario e vago della drammatica. Gli Eschili, i Sofocli, gli Euripidi,
gli Euripidi, e gli Aristofani, gli Alessidi, i Filemoni, i Menandri della Grecia: gli Azzj, i Pacuvj, gli Ennj, i Seneca, e
l XVI secolo che risorgendo insegnava a risorgere: i Vega, i Calderon della Spagna: i Shakespear, gli Otwai, e poi i Wycherle
i Cornelj, i Racini, i Crebillon, i Voltaire, e i Molieri e i Regnard della Francia emula della Grecia e dell’Italia, e norma
i Crebillon, i Voltaire, e i Molieri e i Regnard della Francia emula della Grecia e dell’Italia, e norma gloriosa a’ moderni
al grado degli Huerta e de’ Sherlock: i Weiss, i Lessing, i Klopstock della Germania che dopo un lungo sonno si risveglia al
oli scenici correggere e divertire la società mediante un’ imitazione della natura rappresentata con verisimiglianza, adopera
della natura rappresentata con verisimiglianza, adoperandovi le molle della compassione e del ridicolo. Ma v’è chi per riusci
gnarsi del primo giudizio, ma ricreano la parte più pura e illuminata della società che sono i dotti, e passano indi a’ poste
68 (1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome II « LIBRO II — CAPO VII. ed ultimo. Vuoto della Storia teatrale. » pp. 248-280
CAPO VII. ed ultimo. Vuoto della Storia teatrale. Chiamiamo vuoto della storia
CAPO VII. ed ultimo. Vuoto della Storia teatrale. Chiamiamo vuoto della storia teatrale il lungo periodo interposto dalla
to della storia teatrale il lungo periodo interposto dalla corruzione della poesia drammatica sino alla perdita della lingua
interposto dalla corruzione della poesia drammatica sino alla perdita della lingua latina avvenuta principalmente per l’incur
ola, Pozzuoli, Siracusa, Catania ed altre città del regno di Napoli e della Sicilia, videro i loro teatri per quel periodo as
Bolsena rammentato nell’iscrizione pubblicata dal Muratori, di quelli della Toscana accennati dal Borghini, di quello di Anzi
eradori de’ primi secoli. Torello Saraina Veronese rammenta il teatro della sua patria157, oltre all’anfiteatro superbissimo
i teatro veggonsi nel Piceno dove era Alia rovinata dal Goto Alarico, della quale a’ tempi di Procopio rimanevano appena poch
di Sparta ecc. Bizanzio ebbe pure un gran teatro, il quale col resto della città fu rovinato dalle truppe di Severo160. Anti
ro160. Antiochia ne avea un altro, e i di lei istrioni furono cagione della trascuraggine e della fatal rovina di Macrino161.
ea un altro, e i di lei istrioni furono cagione della trascuraggine e della fatal rovina di Macrino161. In Tebe di Egitto vuo
Inghilterra, in cui si piantarono colonie Romane. Tacito fa menzione della colonia de’ veterani di Camaloduno, dove era un t
ogo che oggi occupa Senetil de las Bodegas, dove fu l’antico Acinippo della Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia es
Celtica mentovato da Plinio, trovansi tuttavia esistenti le tre porte della scena166. Una lega distante da Calpe, venendosi d
che si appartiene all’uditorio, non essendovi rimasto verun vestigio della scena167. II. Magnificenza e profusione ecces
coraulo un altro pallio in cui era ricamato il proprio nome e quello della moglie172. Peggio era avvenuto in tempo di August
olore, con dire che nel tuono lamentevole ancora spiccava la dolcezza della di lui voce175. Vitellio resse l’Imperio quasi se
oma, fu da lui creato prefetto dell’esercito177. III. Decadimento della poesia drammatica, e perchè avvenisse. Ma non
ri prostituiti agli strioni, debbesi da questo tempo contare il vuoto della storia teatrale, perchè la poesia drammatica in t
no i Menandri e i Sofocli, passarono innanzi a molti tragici e comici della stessa Grecia. Questi principii avrebbero acceler
la stessa Grecia. Questi principii avrebbero accelerata la perfezione della poesia rappresentativa; ma la repubblica sotto gl
resentare commedie, tragedie e atellane. Ma le cagioni distruggitrici della drammatica sussistevano, e i costumi e gli studii
miche, il quale ebbe l’ardire di satireggiare i principali personaggi della città senza eccettuarne lo stesso imperadore. Mar
oviamo mentovati con applauso se non Q. Trebellione pantomimo insigne della città di Telese due volte coronato179, e L. Acili
mimo insigne della città di Telese due volte coronato179, e L. Acilio della tribù Pontina archimimo che fu decorato dalla cit
cure fatiche che mai potevano influire in tempi sì tristi a vantaggio della poesia rappresentativa? Non ci somministra veruno
nel quale intervengono il Papa, l’ Imperadore, i Sovrani di Francia, della Grecia, di Babilonia, l’ Anticristo, l’Eresia, l’
i un poema grande e seguito come il drammatico. Certamente nel Saggio della Poesia Araba del Signor Casiri inserito nella Bib
rlocutori si tratta di tre cose differenti: nella prima parte parlasi della vendita di un cavallo, nella seconda delle furber
Velazquez che gli credè buonamente. Costui nel libretto delle Origini della Poesia Castigliana asserisce primamente, che i Ro
bbiamo in questo capo osservato, si deduce che il principio del vuoto della storia teatrale si trova a’ tempi de’ Tiberii, de
religione dell’Impero, intimò la guerra a qualsivoglia superstizione della gentilità, e conseguentemente ai teatri consecrat
dipignere d’idea e di maniera, purchè si piaccia alla vista, a costo della verità. Eccone intanto i principali lineamenti ra
de’ privati, e ad esser dalla legge richiamati a temperar l’ amarezza della satira, dal che proviene la bella varietà e delic
, fu Atene ne’ suoi dì luminosi che passando per tutte le solite fasi della drammatica, ne fissò l’arte e la forma. Fu Eschil
. Fu Eschilo che oscurando Epigene, Tespi e Frinico, divenne il padre della tragedia, ed insegnò il sentiero a chi dovea su d
semplicità di azione; sapendosi per tutto ciò egregiamente prevalere della più poetica e più armoniosa delle favelle antiche
lte con pari effetto da que’ repubblicani baldanzosi e pieni soltanto della loro potenza e libertà, la Perintia, Euclione, gl
Alesside illustrò la commedia mezzana colla grazia, e colla vivacità della satira senza appressarsi alla troppa mordacità di
l Signor Andres nel parlar rapidamente di ogni letteratura, ma comico della commedia mezzana, secondo Ateneo, ed in essa, e n
di passando la Grecia pervenne ad inventar la nuova commedia sorgente della Latina e dell’Italiana del secolo XVI. Domata la
Italiani che Romolo avea raccolti intorno ai sette colli. I Semigreci della Magna Grecia Livio Andronico, Ennio, Pacuvio, ed
media, la quale, non che a’ filosofi e letterati, piacque ai migliori della repubblica, ai Furii, agli Scipioni, ai Lelii. En
Romana. Il perno però su cui volgesi la tragedia Romana, è lo stesso della Greca, cioè il fatalismo, se tralle conosciute se
ll’ ultimo supplicio i tragici che non rispettavano la memoria de’ re della stessa mitologia o della più remota antichità com
agici che non rispettavano la memoria de’ re della stessa mitologia o della più remota antichità come Agamennone. Abbandonato
ità nel roveto ardente, e finalmente in un racconto fatto da un messo della fuga di quel popolo e dell’ evento del mar rosso.
’Accademia di San Ferdinando in Madrid. 166. Vedasene il II discorso della Tragedia del Signor Montiano. 167. Delle accenna
Grutero, dal Muratori, dal Tiraboschi, e da noi nel tomo I delle Vic. della Coltura p. 289. 180. Vedine anche l’iscrizione p
esso il Fiorentini, il Muratori e ’l Tiraboschi. 192. V. il tomo XIX della Stor. del Basso Imp. compilato da M. Le Beau pubb
o ed a Moliere. Si ebbe presente in queste comparazioni la differenza della commedia antica da quella de’ suoi posteri? e que
69 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome IX « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. Tomo IX. LIBRO IX. Continuazione de’ Teatri Oltramontani del XVIII secolo. — CAPO II. Teatro Olandese: Danese: Suedese: Polacco. » pp. 32-37
ralle migliori favole del paese due tragedie di Rotgans, ed un’ altra della signora Van-Winter nata Van-Merken autrice (che v
ciò a coltivar la drammatica per le cure del re Federigo V benemerito della letteratura e del teatro. Egli non solo invitò ne
teatro di Copenaghen, finchè sussistette tale accademia, parve degno della publica considerazione. Si segnalò a’ nostri di t
fecero onore fra suoi. Dee però singolarmente pregiarsi la Danimarca della signora Passow nata in Copenaghen, e morta nel 17
3 divenne moglie di un tenente del re che nel 1731 era stato capitano della compagnia dell’Indie. Oltre della traduzione da l
re che nel 1731 era stato capitano della compagnia dell’Indie. Oltre della traduzione da lei fatta del Filosofo Inglese e de
Andreini de’ Danesi, contribuì anche all’intrapresa, e all’esecuzione della prima opera musicale danese rappresentata a spese
atro non inferiore agli altri d’Alemagna. La regina Cristina si valse della penna del Messenio per far comporre favole in idi
scrisse meno imperfette. La nazione allora gli diede il nome di padre della poesia suedese per la tragedia di Brunhilde sogge
omponimento intitolato il Sole risplende per tutto, tradusse l’Orfano della China del Voltaire; Manderstroom, oltre ad un’ op
70 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [I-H-K]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 1055-1059
di Berry la solenne promessa di aver destinato un teatro alle recite della Compagnia italiana : promessa che non fu poi tenu
recitò alla Stadera di Milano il 13 marzo di quell’anno il terzo atto della Medea del Ventignano, maravigliando per la potenz
si a Firenze, vi recitò, come addio, nel dicembre del ’58, e a fianco della Ristori, la parte di Euriclea nella Mirra dell’Al
bbe in Santa Croce esequie solenni. La sua salma riposa nell’ esterno della chiesetta di S. Gervasio, ove una pietra bianca p
i lei come artista non è difficil cosa. Fu grande nel più largo senso della parola, così nella tragedia, come nella commedia
se la recitava al Comunale. Mario Consigli, nel compilar la biografia della sua illustre concittadina, ricorda la potenza d’a
a, ricorda la potenza d’arte ch’essa spiegava nel proferir quel verso della Pia di Carlo Marenco : non temo il disonor, temo
Quando al quinto atto, Ciniro, sdegnato del lungo e ostinato silenzio della figlia, le dice : Ma chi mai degno è del tuo cor
vedemmo – scrive l’anonimo – come vinta in quel punto dalla violenza della passione, inchinarsi su di lui, mentre egli si cu
mmo scossi in quella sera. » Le opere che nella non breve carriera della forte artista, si disser suoi cavalli di battagli
del Goldoni e del Nota. I più eletti ingegni del suo tempo l’onoraron della loro amicizia, e nell’ album di lei, ch’è oggi al
Alamanno Morelli. Io non rimpiango in Carolina Internari la perdita della donna, ma mi addolora la mancanza dell’ attrice t
reggi, come quaggiù nella memoria dei mortali) rivolgi a me un raggio della divina luce di tua sovrana intelligenza. Riscalda
ra stata raccomandata da persona di sua famiglia. Una lettera intima della celebre Pellandi scritta all’Internari da Verona
71 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome IV « LIBRO VI. Storia drammatica del XVII secolo. — CAPO II. Pastorali Italiane. » pp. 131-143
lli di Sciro dedicandola al VI duca di Urbino Francesco Maria Feltrio della Rovere. L’autore Guidubaldo de’ Bonarelli (fratel
demici la fecero solennemente rappresentare in Ferrara con un prologo della Notte composto dal cavalier Marini. Un’ altra rap
bblico o in segreto contro di esse; ma quelle superiori alle bassezze della timida malignità e dell’arrogante ignoranza poggi
o, e la Filli gode una lunga fama, ad onta dei difetti dello stile, e della moda già passata delle pastorali. Forse la critic
sprezzo. Anche circa lo stile la giusta critica non è sempre contenta della Filli; perchè, oltre al raffinamento, diciam così
erò notare che gli accidenti di Celia tirano verso di lei l’interesse della favola più di quello che vien concesso a un episo
la scena terza dell’atto I quando la finta Clori gentilmente si lagna della di lei freddezza: Sdegni ch’io ti riveggia?
trovarlo infedele per le di lui medesime parole. Il disperato dolore della ninfa si spiega nella prima scena dell’atto IV co
ano sommamente l’azione, che viene nobilitata nel V atto col pericolo della vita di Tirsi, il quale avendo gettati via que’ c
episodio di Jante ed Alcasto dell’atto I, in cui si spiega l’origine della festa di Arcadia: curioso quello dell’atto III de
per una menzogna, serenato dal disinganno, e felicitato dal possesso della pastorella amata. Vaga nell’atto I è la descrizio
vero e ad un bisogno bacchettone sveglia in Filebo lo stesso sospetto della fede di Gelopea, e l’invita a scorgerne l’infedel
II è la scena in cui Telaira sorella di Filebo vuol renderlo avveduto della inverisimiglianza del racconto fattogli da Nerino
ramonti che potesse sostenere senza manifesto svantaggio il confronto della Gelopea. L’Alcippo impressa in Venezia nel 1615 g
iacere a questa pena. Tirsi, il giudice più zelante per l’ osservanza della legge, si scopre essere il padre di Alcippo ignot
ella Clori. I caratteri vi sono ben sostenuti, e quello singolarmente della finta Megilla ha una nobiltà che incanta. Tutto p
da personaggi, e soprattutto nell’atto V. Si registrano nel catalogo della biblioteca Imperiali due pastorali di un caprajo
ato dalla lettura che nel campo un altro caprajo faceva del Furioso e della Gerusalemme. Forza de’ gran modelli! pur troppo è
elli! pur troppo è vero, hinc pectore numen concipiunt vates. L’amore della poetica armonia che bevve il Peri in sì bei fonti
sta favola mentovata dal Fontanini e dal Gravina esaltata nel lib. II della Ragion Poetica si fecero quattro impressioni sino
egi e di qualche difetto dello stile vedasi il V volume delle Vicende della Coltura delle Sicilie pag. 360 e seg. 68. Eritre
di aver composta questa favoletta da recitare in musica nel passaggio della regina di Ungheria per Mantua. Tali passi mi furo
72 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — 2 giugno 1902. Guido Biagi. » pp. 327-333
ove rimase fino all’ anno scorso (1882), quando fu nominato direttore della R. Scuola di Recitazione in Firenze. Attore studi
la di recitazione da lui diretta. Perchè il Rasi è ormai un transfuga della scena. Rinunziò un bel giorno agli applausi sonor
unziò un bel giorno agli applausi sonori, alle commozioni, ai trionfi della vita d’artista, contento di poter darsi agli stud
corpo con le difficoltà dell’ originale e dei metri, con la rigidità della nostra terribilissima lingua. Una delle sue passi
e sue passioni è il latino che conosce assai bene : un’altra è l’arte della lettura, ïntorno alla quale fa quotidianamente st
il fuoco sacro lo riaccende di nuovo. E forse allora sogna i trionfi della scena, una filarata di teste che pendono commosse
d’ una memorabile recita al Quirinale, dove in conspetto dei Sovrani, della Principessa Isabella e del Duca di Genova allora
ià asceso il culmine del capocomicato ed aspirava, con tutta la forza della sua tromba nasale, a quella commenda che è il sog
dimenti, ch'egli volle dedicato a Teresa Sormanni, la fedele compagna della sua vita, la collaboratrice intelligente e amoros
to un’ opera utile e buona che colma una vergognosa e dolorosa lacuna della nostra storia dell’ arte, fin qui così trascurata
delle sue fatiche il provvido collettore. Il Rasi è sempre Direttore della nostra R. Scuola di Recitazione, la quale vanta o
nta ormai molti alunni che son divenuti artisti acclamati. Ma le cure della Scuola, cui egli si è consacrato con grande abneg
o per primo un arduo esperimento, quello di accompagnare col commento della calda e passionata parola le melodie della musica
accompagnare col commento della calda e passionata parola le melodie della musica, anche quelle sonore d’ una orchestra inte
mmentare le armonie di Beethoven, hanno fatto comprendere come l’arte della parola possa utilmente e piacevolmente sposarsi a
a parola possa utilmente e piacevolmente sposarsi al canto indefinito della musica strumentale. Nè basta : il Rasi ha voluto
bbe sostituirsi anche nelle scuole a quel tedioso e forzato esercizio della memoria, che avvezza i ragazzi a non capire quell
Trezza. Caro Rasi, Torino, 20 febbraio '80. Sono veramente ammirato della splendida forma del tuo Bacco, e specialmente del
eramente ammirato della splendida forma del tuo Bacco, e specialmente della poesia per la grotta di Pozzuoli, piena di sentim
e un abbraccio e un bacio in cui geme il desìo delle dolcezze antiche della meridiana. Addio, addio. Tuo Edmondo (De Amicis
' io a leggere meno male i versi. Nella Esposizione che Ella ha fatto della mia Mors io piaccio a me stesso e meco stesso m’
ziarla del volume « I Monologhi » che, domani comincierò a leggere, e della notizia che mi dà del superbo lavoro, a cui ha gi
73 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 349-355
nato a Modena verso il 1675, esordì quale Innamorato nella Compagnia della Diana, moglie di Giovanni Battista Costantini, al
lhora di non lasciar mai più tal mestiere, e piombare al Inferno. Che della gratia, etc. Di fuori : A S. A. Ser.ma — Per Lui
riella Gardelini (V.), sorellastra di Francesco Materazzi, il dottore della Compagnia (V.), che gli morì giovanissima, e da c
ece andò al Teatro ove recitava il Lelio. Questi si permise alla fine della sua produzione di ringraziare i Serenissimi dicen
era stessa per mezzo delle Serenissime fatto porre in libertà all’ora della recita. E questo mi par provi in quale stima fos
l pubblico con molto decoro, e recitò con molto valore. — A proposito della recitazione tragica, è opportuno riferire quel ch
ente con l’opera, cominciando la sera del 18 maggio, nel nome di Dio, della Vergine Maria, di San Francesco di Paola e delle
la sera uno in palco, il quale spiegasse il lavoro. Or ecco l’elenco della Compagnia : UOMINI Pietro Alborghetti di Venezia
ona fama, dimandano che in nessun tempo sien ricevuti nella Compagnia della famiglia dei Costantini, per la quale, tutti sann
ti sanno che i Comici italiani lor predecessori, vennero in disgrazia della Corte. 3° Essi domandano umilmente sien lor conce
4° Se alcuno de'Comici avesse la sciagura di non incontrare il favor della Corte e della Città, sia data alla Compagnia faco
de'Comici avesse la sciagura di non incontrare il favor della Corte e della Città, sia data alla Compagnia facoltà di rimanda
. Il Principe Antonio di Parma inviò al Duca Reggente il Regolamento della Compagnia già approvato, senza che nè in esso, nè
nè in esso, nè in quello del Duca d’Orléans fosse più fatta menzione della Compagnia Costantini, alla quale il Riccoboni, es
il Riccoboni, essendo la sua scrittura una semplice aggiunta a quella della moglie, aveva accennato : e forse la ragione di q
Parma ; poscia, il novembre del '31, fe'ritorno a Parigi, dove, fuor della scena, morì a settantotto anni il 6 dicembre del
Re. Pare che a Modena si fosse sparsa, molti anni prima, la notizia della sua morte, poichè abbiamo un brano di lettera del
iano, opera più che altro di polemica, per quella benedetta quistione della derivazione della commedia dell’arte dall’antica
e altro di polemica, per quella benedetta quistione della derivazione della commedia dell’arte dall’antica Atellana, e dello
vero Thomassin, Visentini, morente ; e soprattutto per indurlo, prima della morte, a pensare alla sua famiglia. Ma ecco, senz
illustri italiani. Milano, Classici, M DCCCXXX), in cui dà ragguaglio della Fulvia, pastorale dell’abate Giovanni Bravi, dell
cui dà ragguaglio della Fulvia, pastorale dell’abate Giovanni Bravi, della quale tutti i letterati dicevan mirabilia, giudic
74 (1764) Saggio sopra l’opera in musica « Commento »
o inglese due volte dal 1756 al 1761 e dal 1766 al 1768, protagonista della guerra dei Sette anni e fautore dell’espansione c
inglesi contro la Francia in Canada, nelle Indie e sui mari nel corso della guerra dei Sette anni. Federigo: Federico II di
n, R. and J. Dodsley, 25 December 1755. «Come le acque di una fontana della Tessaglia, a causa della loro proprietà di intorb
December 1755. «Come le acque di una fontana della Tessaglia, a causa della loro proprietà di intorbidire, non potevano esser
alcosa»; Senofonte (430 ca – 355 ca a.C.) scrisse il dialogo Ierone o della tirannide, in cui discutono della vita Gerone tir
a a.C.) scrisse il dialogo Ierone o della tirannide, in cui discutono della vita Gerone tiranno di Siracusa e il poeta Simoni
a storiografia si considera questo episodio la prima vera coreografia della danza italiana, perché tutti i balletti erano leg
lino: Gioseffo Zarlino (Chioggia, 1517 – Venezia, 1590) fu un teorico della musica e compositore, maestro di cappella della b
, 1590) fu un teorico della musica e compositore, maestro di cappella della basilica di San Marco dal 1565 e compose nel 1574
Consiglio di Venetia, Venezia, Domenico Farri, 1574. Melpomene: musa della tragedia. gentilesimo: paganesimo. Cardinal Maz
no (Pescina, L’Aquila, 1602 – Vincennes, 1661) promosse la diffusione della cultura italiana in Francia; la prima opera itali
che venivano mosse nel Settecento all’opera riguardava l’incongruenza della rappresentazione di scene tragiche attraverso il
730) intonò diversi drammi metastasiani rappresentati in Italia prima della partenza per Vienna del poeta cesareo. Nota alla
ietà e simili. E ancora, come possiamo distinguere i rapidi movimenti della rabbia da quelli del terrore, della distrazione e
mo distinguere i rapidi movimenti della rabbia da quelli del terrore, della distrazione e di tutte le agitazioni violente del
02-103. [commento_2.3] Didone…Cleonice: allusione alla tragica fine della Didone abbandonata (1724) e al lieto fine con cui
a, 1692 – Padova, 1770) fu un famoso violinista, esponente di rilievo della musica strumentale italiana. [commento_2.13] Ce
li anni delle guerre di religione. Le fu attribuita la responsabilità della strage di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572) nel
sabilità della strage di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572) nel corso della quale vennero uccisi migliaia di ugonotti. Serva
insieme alle altre opere buffe italiane allestite in quell’occasione, della celebre «Querelle des bouffons», che divise il pu
detto Marcello (Venezia, 1686 – Brescia, 1739), compositore e teorico della musica, intonò le cantate Timoteo e Cassandra e s
lla nobile semplicità che probabilmente era la massima caratteristica della musica antica. In tale lavoro importante e arduo,
ewcastle 1709-1770) fu un compositore e organista britannico, teorico della musica. Della maniera del cantare e del recita
rto nell’arte dei gorgheggi vocali, sviluppati a partire dall’esempio della musica strumentale. [commento_3.7] rapsodisti:
moderni, o sieno osservazioni sopra il canto figurato, Bologna, Lelio della Volpe, 1723. girandola di Castel sant’Angelo: sp
a e la danza (o il movimento aggraziato) furono poi considerate parti della musica, quando la musica arrivò ad una certa perf
o musica è quello che essi chiamavano armonia, che era solo una parte della loro musica (costituita da parole, versi, voce, m
professore di Geometria all’università di Oxford e uno dei fondatori della Royal Society. John Lowthorp (1658 o 1659-1724) è
o the End of the Year 1700. Abridg’d and Dispos’d under General Heads della Royal Society, poi pubblicato in tre volumi nel 1
cavalieri tutto il godimento è passato dall’udito ai piaceri effimeri della vista incerta». Dei balli [commento_4.1]
di Eschilo, le Erinni o Eumenidi sono protagoniste nel primo epusodio della danza infernale contro Oreste, accusato di aver u
abbia visto le sue opere non potrà sospettare di ignorare la bellezza della natura, ha rinunciato agli spettacoli che noi chi
42 – Vienna, 1709), gesuita, è stato un architetto, pittore e teorico della prospettiva, maestro dell’illusionismo barocco, a
prospettiva, maestro dell’illusionismo barocco, autore dell’affresco della finta cupola della chiesa di Sant’Ignazio a Roma.
ro dell’illusionismo barocco, autore dell’affresco della finta cupola della chiesa di Sant’Ignazio a Roma. Nota alla nota d’a
eggesse questa assurdità) [commento_5.4] Mennone: Mennone è un eroe della mitologia greca al quale fu dedicato un tempio a
e geometrico e sulla simmetria e ordine delle composizioni; su invito della famiglia reale dei Savoia operò anche in Italia e
on van Rijn Rembrandt (Leida, 1606 – Amsterdam 1669). Talia: la musa della commedia. Menagio: Gilles Ménage (Angers, 1613 –
e, autore delle Origines de la langue françoise (1650), delle Origini della lingua italiana (1669 e 1685) e delle Observation
il teatro Formagliari fu inaugurato nel 1636 nel palazzo di proprietà della famiglia Guastavillani, presso la via Farini e fu
eatro barocco. Progettò assieme a Ferdinando Galli Bibbiena il teatro della Fortuna inaugurato a Fano nel 1677; trascorse un
ier (Castres, 1651 – Parigi, 1722) erano rinomati scrittori e teorici della scrittura teatrale, assieme agli Italiani Lodovic
lla nota d’autore n. 22: Aristotele, Poetica, cap. xv, «Dei caratteri della tragedia»: «Un esempio di perversità di carattere
75 (1788) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome III « LIBRO IV — CAPO PRIMO. Risorge in Italia nel secolo XVI la tragedia Greca, ed il teatro materiale degli antichi. » pp. 86-174
Grandi furono nel precedente secolo gli sforzi degl’ Italiani in prò della poesia drammatica. Essi che aveano assicurato al
pere degli antichi disotterrate, non tardò col confronto ad avvedersi della rozzezza de’ proprii drammi, e conchiuse che più
ei, veggansi in questo volume con miglior critica e filosofia i passi della poesia rappresentativa i quali all’epoca de’ loda
iuola uscirebbe il di lui uccisore, e spaventato congeda i pretensori della di lei mano, risolve di non accoppiarla a veruno,
i darsela; la Nutrice la dissuade. Il loro dialogo ha tutta l’energia della passione, ed è soprammodo lontano dalla durezza d
sono rigettate come impertinenti. Io non debbo dissimulare questo neo della tragedia del Tilesio; ma non è giusto poi lo spre
tto, per questo episodio. Atto IV. Ammirasi in quest’atto il racconto della pioggia d’oro penetrata nella torre pieno d’elega
ntane. Il coro da questa pioggia d’oro coglie l’opportunità di parlar della potenza di Cupido, indi lo prega ad esser propizi
si narra come al sospettoso Acrisio sembra aver veduto nella finestra della torre il capo di Danae con quello di un uomo. Ne
che possono notarvisi, e che forse tali non parvero all’autore pieno della lettura degli antichi. Contrasta colle grazie e c
utrice accumulando tante notizie mitologiche e geografiche, e l’altro della pomposa evocazione de’ morti. Seguì l’ originale
della pomposa evocazione de’ morti. Seguì l’ originale nell’economia della favola; ma si permise nel dialogo di dar talvolta
dugio alla sua partenza, tutte quelle che ha con Giasone, il racconto della morte del re e della figliuola, nel quale si è pe
za, tutte quelle che ha con Giasone, il racconto della morte del re e della figliuola, nel quale si è però il Cosentino nella
cena del delirio di Fedra da noi recata nel romo quarto delle Vicende della Coltura delle Sicilie. Anche il racconto del most
, senza imitar Seneca, che quando Teseo dovrebbe solo essere occupato della morte del figliuolo, lo rende curioso di sapere l
in qual maniera avrebbe dovuto Seneca o qual altro sia stato l’autore della Tebaide, recare nella lingua del Lazio, senza i d
la dipintura assai viva de’ loro caratteri, la robustezza dell’aringa della madre, la descrizione dell’assalto dato a Tebe, l
il coro dell’atto I da noi tradotto e recato nel IV t. delle Vicende della Coltura delle Sicilie. Spicca parimente il di lui
nsinuo, ma si bene di cedere ai potenti80. Martirano muta solo l’idea della forza che presenta la potenza, in quella della gi
irano muta solo l’idea della forza che presenta la potenza, in quella della giustizia, col sostituire la regia potestà: No
ste, che noi pur traducemmo con esattezza nel IV volume delle Vicende della Coltura delle Sicilie 81. Colla stessa signoril m
ro. Contentiamci di recare un solo frammento dell’eccellente racconto della morte di Cristo fatto da Gioseffo a Nicodemo:
io Vicentino nato nel 1478 e morto in Roma nel 1550, assai più famosa della precedente corse indi a non molto fra’ letterati
’autore così versato nelle greche lettere nella dedicatoria a Carlo V della sua Italia liberata, poema ricco di varie bellezz
a quella di Pietro Cornelio) e da un patetico animato da’ bei colori della natura che sempre trionfa nella vivace semplicità
di Euripide; e par che avesse voluto renderne lo stile più magnifico della Sofonisba. Sulle tracce poi dell’Ifigenia in Taur
i eleganza e vaghezza sparsi nelle tragedie del Rucellai? Uno storico della letteratura lascerà seppellirgli nell’ obblio, no
i uccisi che vi biancheggia; la bellezza del racconto che fa Ifigenia della propria sventura quando fu in procinto di esser s
quando fu in procinto di esser sacrificata in Aulide; quello del coro della pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste
uello del coro della pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste della morte di Agamennone. Molti squarci della generosa
co’ pastori; quello d’Oreste della morte di Agamennone. Molti squarci della generosa patetica contesa de’ due amici meritereb
no che il Rucellai. Egli trasse dalla storia de’ re di Roma l’eccesso della spietata Tullia per esporlo sulle scene. La purez
llerato del protagonista. Tullia non solo calpesta le più sacre leggi della natura ed aspira al regno paterno per immoderata
l Giustiniano. Luigi Alamanni celebre autore dell’elegantissimo poema della Coltivazione recò in Italiano ritenendone il tito
a menzione dell’Antigone Italiana, noverando l’autore tra’ benemeriti della toscana lingua Bembo, Trissino, Molza, Tolomei90:
in Vicenza in un teatro di legno costruito espressamente nel palagio della Ragione dal celebre Palladio. Noi stimiamo col Co
ltaire e del P. Folard; e col Nores troviamo riprensibile l’ episodio della discordia de’ figliuoli di Edipo, per cui si rend
Speroni degli Alvarotti dottissimo Padovano e l’oratore più eloquente della sua età, morto d’anni ottantotto nel 1588, compos
erezza di quelle celebri pastorali. Ma le forti e perturbate passioni della Canace esigevano stile più grave e la favella del
rturbate passioni della Canace esigevano stile più grave e la favella della natura più che dell’arte manifesta. Questo, e l’i
ortali pericoli; questi, dico, mi sembrano i veri difetti sostanziali della Canace; e pur questi difetti appunto, per quanto
nell’Orbecche si eccita il terrore co’ più vivi sanguinosi trasporti della crudeltà. Sulmone re di Persia gareggia colle atr
Giraldi nonpertanto si è guardato dall’affettazione di certi squarci della tragedia latina e da qualche ornamento ridondante
ecialmente l’Orbecche fralle Italiane che conseguiscono l’ottimo fine della tragedia di purgar con piacevolezza lo sregolamen
a di purgar con piacevolezza lo sregolamento delle passioni per mezzo della compassione o del terrore. Ed in fatti a suo temp
rime del teatro, purchè se ne troncassero acconciamente alcune ciance della nutrice, l’espressioni di Oronte appassionato nel
i trattiene per molti versi su i casi del nocchiero, la maggior parte della lunga scena seconda dell’atto III, quando Malecch
n so perchè, fin anche a’ più gran principi formidabile, uomo ad onta della sua mercenaria maldicenza, di qualche talento, sì
ne, di poca dottrina e di niuno onore, contribuì non poco alle glorie della tragedia Italiana. Fu egli il primo a porre sulla
nesta. Nel II Tazio venuto dal campo racconta a Publio Orazio l’esito della pugna, nella quale Roma ha trionfato, ed egli ha
e figli, dal qual racconto è abbattuta la misera Orazia colla notizia della morte dello sposo. Arriva nel III un servo che ap
’Orazia più giudizio nell’aver sempre l’ occhio allo scopo principale della tragedia di commuovere sino al fine pel timore e
sse anche in ciò imitato, avrebbe fatto corrispondere gli ultimi atti della sua tragedia che riescono freddi ed inutili, ai p
ri; privati ne sono gl’ interessi, ed in quel tempo non parvero degni della tragedia reale. Ne facciamo menzione perchè in es
le (dice il Manfredi nelle sue lettere) mi diceste che sarebbe l’idea della tragedia Toscana 93. Sappiamo dal Cav. Tiraboschi
o paziente attribuito al Nazianzeno. Il di lui Telefonte ha il pregio della scelta del più bel soggetto dell’antichità, cioè
do atto, le quali tutte si distribuiscono poi nel primo e nel secondo della tragedia compiuta. I passi più belli della non fi
oi nel primo e nel secondo della tragedia compiuta. I passi più belli della non finita si sono ritenuti nella perfezzionata;
ie ravvisa nel Torrismondo un carattere compiutamente tragico e degno della perfetta tragedia che va felicemente al vero suo
icemente al vero suo fine di purgar con diletto le passioni per mezzo della compassione e del terrore. Non per tanto il gesui
zione riguardo al Tasso, il quale ideò i suoi personaggi su i modelli della cavalleria de’ bassi tempi. Ma Rapin dovea dimost
pi. Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa, che ne’ tempi della cavalleria non potevano regnare nel cuore umano p
ai pensato a sostenere contro i nostri poeti romanzieri che i costumi della cavalleria errante fossero improprj per le gran p
osse, per qual capriccio volle negarle a’ tempi del governo feudale e della cavalleria notabili appunto pel vigoroso fermento
ti, osservarono, cioè che l’epoca de’ duelli, delle giostre, de’ beni della lancia è appunto un ritratto, appena da piccioli
e trovano le immagini nelle favolose storie di Turpino, e nel romanzo della Tavola Rotonda del re Artù, di cui parla il Camde
apin andava criticando l’Ariosto, il Trissino ed il Tasso pe’ costumi della cavalleria, non si sovvenne del combattimento di
erano e in Inghilterra e in Francia, come altrove, generali i costumi della cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò
costumi della cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò Rapin della giostra data nella Borgogna nel 1272, nella quale
gridava, or si vedrà chi di noi abbia più belle dame? Non all’ordine della Giarrettiera instituito in questo tempo in occasi
cia, nel secolo XV? Non fu allora che con buon senno disse un inviato della Porta che assisteva ad una giostra, per un vero c
tragedia del Torrismondo, essi certamente non provengono da’ costumi della cavalleria additati dal Rapin come contrarii al c
ttere tragico scelto con sommo giudizio ottimo per conseguire il fine della tragedia: una fina dipintura delle passioni: un p
da. Si vorrebbe purgata la favola di qualche scena di poca importanza della nutrice, com’ è la seconda dell’atto I; della des
cena di poca importanza della nutrice, com’ è la seconda dell’atto I; della descrizione troppo lunga e troppo circostanziata
a dell’atto I; della descrizione troppo lunga e troppo circostanziata della tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; de
della tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; delle lungherie della scena terza del medesimo atto di Torrismondo col
plica in varj modi e sotto varie forme le medesime cose; del racconto della Regina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la f
egina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la figliuola a maritarsi; della minuta numerazione che fa Torrismondo de’ giuochi
afferma il conte Mazzucchélli, gli autori del catalogo de’ codici mss della real libreria di Torino ne fanno autore Federico,
ennero manifestate dal Parisotti in un discorso inserito nel tomo XXV della raccolta degli opuscoli del Calogerà. Il Vicentin
in versi sdruccioli l’Altea che s’impresse nel 1556, e la Polissena, della quale non fe menzione il Fontanini. Scrisse di po
di una relazione circostanziata, piena com’ ella trovasi dell’orrore della sua perdita? I personaggi estremamente addolorati
alcun’ altra mentovata dal Quadrio. Vi si vede talvolta troppo studio della semplicità greca, talvolta un’ imitazione delle s
ste come aforismi, e sovente degli ornamenti più proprii dell’epica e della lirica poesia. Non per tanto esse, come ognun ved
nata ed interessante; ma io non mi fermo su ciascuna, per non abusare della pazienza di chi legge con formare estratti e crit
edi da Cesena, il quale dal Ghilini si disse Ravennate, perchè alcuni della di lui famiglia abitarono ancora in Ravenna. Ques
epio nel Nino di questa favola un carattere sommamente idoneo al fine della tragedia. Il soggetto di essa è fondato nella fam
fredi ha congiunte mirabilmente le premesse, i mezzi e le conseguenze della sua favola ingegnosa. E’ notabile nella scena qua
iramide rimane inflessibile. Al fine Beleso nulla sperando dalle armi della ragione ricorre a quelle del suo ministero, e la
Seneca nel Tieste e Giraldi nell’Orbecche usarono il medesimo colore della dissimulazione; ma secondo me Semiramide comparis
ta, minaccia la madre, invano volendo Simandio e Beleso farlo accorto della scelleraggine che vuol commettere. Egli va pur ri
so. Or che ha egli fatto frattanto? Ha forse combattuto trall’ orrore della vendetta e l’enormità dell’offesa? Un motto almen
dell’offesa? Un motto almeno di ciò avrei voluto ne’ di lui discorsi della prima scena, nella quale torna ad accingersi alla
ch’io prendea d’esser con lei Rimembrando mia madre. Certo Nino della disgrazia da lui maggiormente tenuta diviene un O
lei, l’affronta, la trafigge, la mira e piange; indi s’invia al luogo della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. N
ta, la trafigge, la mira e piange; indi s’invia al luogo della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto d
go della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto della morte di Nino il poeta imitando in parte l’attitu
contemporaneo Angelo Ingegnieri. La Semiramide trionfò dell’invidia e della pedanteria; e se in vece di criticarla i pedanti
Signor Muzio Sforza a Venezia desidera che gli si mandi un esemplare della traduzione di Girolamo Moncelli del Cristo, avend
o togliersi dalla folla i due che soggiungo perchè ridotti alle leggi della vera tragedia, cioè Jefte di Girolamo Giustiniano
. Il nome di Giammaria Cecchi fa che rammentiamo ancora l’Esaltazione della Croce di lui opera rappresentativa recitata nelle
eca di Parma. Cita Mons. Fontanini nell’Eloquenza Italiana l’edizione della Merope e del Tancredi fatta in Parma nel 1598, e
poi quella di tutte le cinque tragedie del 1605, cioè tre anni prima della morte dell’autore. Ma la Merope s’impresse prima
Egregiamente vi si disviluppa il di lui tirannico sistema e la ragion della forza che giustifica le scelleraggini. Ecco in qu
ca le scelleraggini. Ecco in qual guisa argomenta contro del Capitano della sua guardia: Le leggi e ’l giusto, di che tant
Di maniera che l’ingiustizia mai non trascura di prevalersi a suo pro della massima d’Achille, il quale Jura negat sibi na
si tiene, ed al coro continuo che spesso nuoce a’ secreti importanti della favola, è un difetto comune alla maggior parte de
ata narrazione, e non da arbitrarie decisioni, può ricavarsi l’indole della tragedia Italiana del XVI secolo. Ella fu un nobi
le della tragedia Italiana del XVI secolo. Ella fu un nobile ritratto della Greca, da cui riportò qualche neo e qualche lente
ni si è asserito. Per lei divenne più ricco il teatro cogli argomenti della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del
più ricco il teatro cogli argomenti della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del Tancredi, della Tullia, dell’Oraz
nti della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del Tancredi, della Tullia, dell’Orazia, ignoti a’ Greci, e somminist
arbare, era l’unico opportuno espediente per diffondere il vero gusto della tragedia, e il fecero gl’ Italiani, contuttochè n
cui piacere consacravano le loro penne. Ma per essere stata spogliata della musica dovea dirsi che la tragedia moderna non si
e interessa l’intere nazioni, e non già pochi privati, per le vicende della fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizion
onano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra della vita comune. Per tali cose essenziali le greche t
e sue muraglie nascere un Trissino, che mostrò all’Europa il sentiero della vera tragedia, e insegnò l’architettura all’incom
stono. Essi servirono per le compagnie de’ Sempiterni, degli Accesi e della Calza. Quello del Sansovino si alzò in Canareggio
e tutta nuova negò l’invenzione al Trissino perchè ricavò l’argomento della sua tragedia dalla storia di Tito Livio. Noi esam
arato nemico del Trissinoche nelle sue Lezioni biasimava la locuzione della Sofonisba (di che veggasi il citato art. Vù del D
e III. 89. Ciò fu ancora avvertito dal Conte di Calepio nel Paragone della tragica poesia nel capo IV, art. II. 90. Nel dis
a il lodato Zeno avverte ancora che Daria è un personaggio principale della tragedia del Soldato, e che la Daria, e ’l Soldat
tt. 145 scritta da Nancì a’ 25 di maggio del 1591. 94. Nel III libro della Cosmografia. 95. Tra questi è da riporsi l’oscur
97. Si vuol riflettere che il Tasso medesimo non era appieno contento della sua tragedia e vi andava facendo di mano in mano
ì spedì a Bergamo in due fogli a Licino. L’accurato moderno scrittore della di lui Vita l’eruditissimo Ab. Serassi cita in ta
delle di lui Opere, l’ una alla p. 270, l’altra alla 145. 98. Esame della poesia tragica cap. I, art. II. 99. Questa natu
ntollerabile la rappresentazione dell’Edipo in Verona ed in Venezia e della Semiramide in Verona, e dell’Aminta e del Pastor
ssere ottimamente scritta congiungesse sempre l’ altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidezza
sempre l’ altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidezza ed imparzialità ne’ giudizj. Ma il camp
76 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — 1748, 10, Dicembre » pp. 9-10
rtoli ; sebbene dalle memorie del Goldoni si rilevi come al proposito della rappresentazione dell’Assemblea letteraria, la su
la spigliatezza, che è nel 1° libro di monologhi. Delle corbellature della Passalacqua e del Vitalba, omai fatte pubbliche,
assalacqua, Goldoni e Vitalba, e mostrar sulla scena la mala condotta della prima, la buona fede del secondo e la scelleratez
 dice Goldoni — a perfezione. Il che non impedì che al primo rimpasto della Compagnia, ella, con gran piacere del Goldoni, fo
(I teatri di Napoli. Napoli, Pierro, 1891, pag. 422) riporta l’elenco della Compagnia dei comici lombardi, che nel giugno del
Bartolommeo D’Afflisio che troviamo per le parti di padre nell’elenco della Compagnia diretta da Francesco Menichelli, della
di padre nell’elenco della Compagnia diretta da Francesco Menichelli, della quale faceva parte il noto arlecchino Fortunati,
alacqua e lo fa rendere ad un tempo inteso di aver accordato a favore della compagnia di detta Donna il teatro della suddetta
o di aver accordato a favore della compagnia di detta Donna il teatro della suddetta città per il prossimo Carnevale, giusta
77 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CONCHIUSIONE. Dell’antica storia teatrale. » pp. 239-246
tici, pe’ quali si vanno scegliendo i colori più vivaci in detrimento della verità istorica, ed a capriccio vi si compartono
de’ privati, e ad esser dalla legge richiamati a temperar l’amarezza della satira; dal che proviene la bella varietà e delic
, fu Atene ne’ suoi dì luminosi che passando per tutte le solite fasi della drammatica ne fissò l’arte e la forma. Fu Eschilo
oscurando i predecessori Epigene e Tespi e Frinico, divenne il padre della tragedia, ed additò il sentiero a chi dovea su di
semplicità di azione, sapendosi per tutto ciò egregiamente prevalere della più poetica e più armoniosa delle favelle antiche
olte con pari effetto da que’ repubblicani baldanzosi e pieni sotanto della loro potenza e libertà finanche le greche favole,
? Alesside illustrò la commedia Mezzana colla grazia e colla vivacità della satira senza appressarsi alla soverchia mordacità
pagnuolo Andres nel parlar rapidamente di ogni letteratura, ma comico della commedia mezzana secondo Ateneo, ed in essa, e no
i passando la Grecia pervenne ad inventare la Nuova commedia sorgente della Latina e dell’Italiana del secolo XVI. Domata la
re. Di grazia si ebbe presente in siffatte comparazioni la differenza della commedia greca Antica da quella de’ posteri di Ar
Aristofane? quella che correva tra Atene emula di Serse e tra quella della Grecia avvilita sotto i Macedoni, o tra quella di
vilita sotto i Macedoni, o tra quella di Roma donna del Mondo noto, o della Francia che noi ammiriamo?
78 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 310-312
bia mai calcato le scene, a somiglianza del fratello Giovanni, marito della celebre Anna ; pur sappiamo ch’egli sostenne la p
gino nell’ Innamorato al tormento del Giraud ; e nell’elenco a stampa della Compagnia pel 1820 (un anno prima che egli avesse
a ; nè la sua fama cominciò a stabilirsi colla formazione e direzione della Compagnia Reale : chè molti e principali artisti
e virtù, morì a Torino il 1843 ; secondo il Regli (op. cit.), la data della morte sarebbe quella del 21 marzo 1853 ; ma è un
nel 1844 egli non era più nella Compagnia Reale Sarda, alla direzione della quale successe interinalmente Domenico Righetti,
di assidui studi e di lunga esperienza, vengono oggi in luce per cura della signora Marianna Righetti vedova Bazzi, a cui mor
sole italiano. C’ è un po’ di fervorino, se si vuole, per l’effetto della chiusa ; come appare un non so che di bizzarro, o
propri figli, ai giudici, agli astanti. Il giovialone colla certezza della netta sua coscienza ; il serbino colla noncuranza
terrotto da singhiozzi, e l’ipocrita lo assevera coll’unzione mendace della dissimulazione. La ingenua lo profferisce colle s
eduzione agli amici sorpresi. La caratteristica, perduto l’equilibrio della ragione, lo ripete col tuono della rampogna ; e l
ratteristica, perduto l’equilibrio della ragione, lo ripete col tuono della rampogna ; e la versatile vispa cameriera lo alte
a colla dovuta proprietà. Dimostrasi adunque ad evidenza la necessità della più accurata analisi e dello scrutinio del cuore
79 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 116-117
lamo. Il più celebre capocomico del secolo xviii, che dovè gran parte della sua celebrità, se non tutta, a' vincoli artistici
Raffi, dal quale fu scritturato, e del quale, divenuto poi direttore della Compagnia, domandò in moglie ufficialmente, il 15
he trovavasi da pochi mesi a Venezia. Furon testimoni, fra gli altri, della domanda, il padre della sposa Gasparo Raffi del f
si a Venezia. Furon testimoni, fra gli altri, della domanda, il padre della sposa Gasparo Raffi del fu Lazzaro, romano, di qu
ano, di quarantadue anni, l’attore Giuseppe Marliani, piacentino, zio della sposa (V.), esperto ballerino da corda, ed egregi
Milano. Ma, o in questa domanda il Medebach di fronte alla giovinezza della sposa si è scemato gli anni, o il Bartoli, che gl
esentare nel corr.te estate un corso di Recite nel Teatro Rangoni che della Grazia etc. E il permesso fu accordato. E la Com
era stata firmata fra l’autore e il capocomico la scrittura, in forza della quale doveva quegli scrivere otto commedie all’an
trentotto anni. Ma recitandosi con buon successo le nuove traduzioni della Caminer al Sant’Angelo, e con immensa fortuna le
recò non comune sollievo, specialmente con le molte rappresentazioni della Semiramide di Voltaire. Sollievo effimero codesto
crisse Francesco Bartoli : È stato il Medebach un esperto conduttore della sua Truppa, un eccellente recitante in que' suoi
e miserie altrui, merita bene il nome d’uomo onorato, e rendesi degno della stima d’ognuno. Essendo egli poi stato l’unico mo
80 (1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro I. — Capo VI. Continuazione del Teatro Greco. » pp. 82-108
nsarono di approfittarsi anch’essi delle fatiche di questo gran padre della poesia, e presero a imitare l’arsa urbana, falsa
one, Epicarmo, Connida, Magnete, Formide, Crate furono i poeti comici della più remota antichità. Trovavasi il teatro atenies
ci della più remota antichità. Trovavasi il teatro ateniese nel colmo della gloria nell’Olimpiade. LXXXI, quando cominciò a f
sempre colla grazia e colle facezie temperava mirabilmente l’amarezza della satira. Osserviamo intanto, che l’emulazione de’
o, che l’emulazione de’ poeti, la natura del governo, e la prosperità della repubblica, diedero a tal commedia i pregi e i vi
imitando i tragici, data forma e disposizione al lor poema, che gonfi della riuscita, presero a gareggiar co’ loro modelli, e
i maliziosi cangiamenti; nel che consisteva la parodia che fu l’anima della commedia antica. La vittoria li dichiarò per gli
e incantarono la grecia. Esse accoppiavano alla più esatta imitazione della natura i voli più bizzarri della fantasia, e nobi
oppiavano alla più esatta imitazione della natura i voli più bizzarri della fantasia, e nobilitavano gli argomenti in apparen
o popolare ateniese, nel quale i comici e gli spettatori erano membri della sovranità. Osò per questo un poema sì straordinar
. E per ultimo ella riuscì soprammodo sfacciata e insolente a cagione della prosperità della repubblica. La felicità continua
la riuscì soprammodo sfacciata e insolente a cagione della prosperità della repubblica. La felicità continuata corrompe gli a
irò senza orrore il fiele che sgorgava da questo fonte, si compiacque della sporcizia che vi regnava, vedendovi il ritratto f
ono senza la fiaccola de’ principi sopraccennati, senza la cognizione della polizia e del costume ateniese, senza la pratica
teniese, senza la pratica delle vite di Plutarco, e senza la contezza della guerra del Peloponneso così stringatamente e legg
n si ripete a costoro, che il tuono decisivo e inconsiderato é quello della fatuità, e che debbono apprendere; e sovvenirsene
cui i romani niuna cognizione aveano, non che dell’altre belle arti, della poesia teatrale, la quale pure da gran pezza colt
osci, e dagli etruschi, ed anche con più felice successo da i popoli della magna Grecia, e della Sicilia, che, come dice e m
i, ed anche con più felice successo da i popoli della magna Grecia, e della Sicilia, che, come dice e mostra il dottissimo Ti
come dice e mostra il dottissimo Tiraboschi, «in quasi tutte le parti della letteratura furon maestri ed esemplari agli altri
ato37. La nota commedia delle Nuvole, che fu c composta nel nono anno della guerra del Peloponneso, e che diede agli oziosi a
deurs, non ha potuto seguirlo passo passo; né anche ha potuto valersi della piacevolezza che risulta dal processo allegorico,
. Si butta nel mortaio il porro, donde viene il nome di Prasia. Città della Laconia, e l’aglio, particolar produzione di Mega
rare alcune corde per ismuovere le gran pietre, ond’é chiusa la bocca della caverna, in cui é serrata la pace. Alcuni tirano
e ’l proprio pallio, costretto da un bisogno naturale prende la vesta della moglie, e fa in piazza ciò che la natura gli coma
’una volta cangia d’abiti col proprio schiavo, ed é destinato giudice della disputa de’ due tragici. Nell’atto III alla di lu
ntichità. Pieno di coraggio e d’elevazione, ardente dichiarato nemico della servitù e di quanti tentavano di opprimere il suo
mmedia nelle di lui mani diventata una molla del governo, il baluardo della libertà, l’organo del patriotismo. Egli vituperav
co bene e che se gli ateniesi gli seguivano, si sarebbero impadroniti della grecia» 45. Il gran Platone, l’idolo de’ nostri f
a Dionigi il tiranno, che «per ben conoscere gli Ateniesi e lo stato della loro repubblica, bastava leggere le commedie di A
ort. Probabilmente cotesto Gaulese, e di lingua greca, e di poesia, e della politica che conveniva alla repubblica ateniese,
sulla scena. Eupoli che fiorì nell’Olimpiade LXXXVIII, fu la vittima della loro potenza, estendo stato per ordine di Alcibia
più pienamente ciò che abbiamo di sopra ragionato ne’ fatti generali della scenica poesia, quanto questo novello rigore, che
ia nuova, senza dubbio più dilicata e meno acre delle due precedenti, della quale sembra che avesse gittati i fondamenti l’is
gerne le opinioni secondo le vedute del legislatore e gl’insegnamenti della morale. Rifiutò ogni dipintura particolare, perch
i difetti di un ceto intero. Gioconda, ingegnosa sapienza! A dispetto della magia dell’amor proprio ha saputo astringere i vi
orità di Plutarco e di Acrone merita di esser ripetuto per infrazione della gioventù tratta dal proprio fuoco prima a scriver
e parole, ebbe minor parte che nel ballo, il quale privo del soccorso della poesia, tutto cercò nella rappresentazione. E qua
imostrazione rigorosa dell’esistenza del volgo e de’ fanciulli canuti della vostra nazione. Dopoché tanti spettacoli scenici
ici furono dalla campagna introdotti in Atene e in altre chiare città della grecia, si videro magnificamente rappresentati in
7. Sparta medesima, l’austera Sparta, avea un assai magnifico teatro, della cui eccellenza e bellezza favellano lo storico Pa
iosamente adduce il signor De la Guilletiere o Guillet nella II parte della sua Lacedemone Ancienne et Nouvelle per confutar
tazione del soprannominato D. Saverio Mattei, intitolata la Filosofia della Musica, che i greci andavano al teatro, come noi
i moderni, i quali in fatti esser dovrebbero le vere scuole pubbliche della gioventù. Del resto ciò ch’egli dice, ci fa perde
iù ragione adunque il teatro ateniese dovrebbe chiamarsi il gabinetto della Repubblica, il consiglio di Stato, in cui, benché
morale. Il di lei catechismo veniva tolto sacrificato al minimo cenno della politica gelosia, il cui principale oggetto, e ne
principale oggetto, e nell’ozio e negli affari, era la conservazione della libertà. 35. Epicarmo filosofo siciliano che fio
to magisrato del Pritaneo, che quantunque povero fosse parlava spesso della sua genealogia, e vantavasi di essere disceso del
giornato dodici anni nella corte del re di Persia, e Lamaco, generale della Repubblica nella guerra del Peloponneso, sono anc
e, da venditor di montoni essendo diventato questore, o sia tesoriere della Repubblica, e contendendo di magnificenza co’ pri
utto l’oro sumministratogli dalla Repubblica. 42. In questa commedia della pace fu eziandio posto in Berlina l’astronomo Met
ncesi (parso per sineddoche) soglion discorrer, giudicare, e scrivere della letteratura forestiera, ch’essi poco o nulla cono
pensarsi interamente avanti di animar colla locuzione la prima scena della commedia. La natura non produce una per volta le
81 (1790) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome VI « LIBRO X ed ultimo. Teatro Italiano del secolo XVIII — CAPO I » pp. 116-223
ali. Risorgeva a gran passi nel cader del passato secolo il gusto della vera eloquenza nelle contrade chiuse dalle Alpi;
al Delfino e ’l barone Caracci35 furono i precursori del rinascimento della tragedia italiana. L’onore di primo restauratore
o, nel Cicerone, nel Q. Fabio, nel Taimingi &c. 37. La semplicità della condotta, la nobiltà de’ sentimenti, l’eleganza e
oso del potere, e perciò crudele in Solimano, costituiscono il merito della Perselide. Altra volta recammo per saggio dello s
merito della Perselide. Altra volta recammo per saggio dello stile e della versificazione l’ appassionato monologo di Persel
alche altra del Teatro Italiano? Ciò che diffinisce i primi progressi della tragedia italiana sin dal principio di questo sec
comodò all’importanza e alla vaghezza de’ greci argomenti l’artifizio della moderna economia. Il confronto dell’Ifigenia in T
tercazioni di Admeto col padre. Impaziente parimente del risorgimento della nostra tragedia il celebre Calabrese Gian Vincenz
ngannò in più maniere nell’esecuzione del suo disegno. Pieno com’ era della più riposta erudizione greca, poteva far risalire
ca, poteva far risalire i leggitori sino a’ costumi de’ remoti popoli della Grecia nel Palamede e nell’Andromeda; ma qual van
te contenga le perfezzioni. La filosofia consiglierà sempre a valersi della nota sagacità di quel Greco pittore che raccolse
l Greco pittore che raccolse da molte leggiadre donne le sparse parti della beltà per formarne la sua Venere. Questo esser de
ti della beltà per formarne la sua Venere. Questo esser dee l’uffizio della vera storia teatrale ragionata; e questo non sann
atterriscono Livia dopo la morte di Druso, e opportuna l’osservazione della nutrice in tal proposito, O quai rei simulacri
zamento, si posporrà sempre a tutte le altre a cagione dell’ episodio della deflorata Volunnia che si frammischia al fatto di
zio, l’amara divisione di Orazia e Curiazio nell’atto III, la notizia della pugna stabilita tra’ Curiazj e gli Orazj nel IV,
Non è dunque maraviglia che, al dire anche degli eruditi compilatori della Bibliotheque Italique nel tomo VII, i dotti vi pr
iprende nelle nutrici introdotte dal Marchese la perizia che mostrano della mitologia. Ma pur non è sì grande lo svantaggio d
co Durante del Flavio Valente: Giovanni Adolfo Hasse detto il Sassone della Draomira: Nicola Fago detto il Tarantino dell’Eus
omira: Nicola Fago detto il Tarantino dell’Eustachio: Leonardo di Leo della Sofronia: Nicola Porpora dell’Ermenegildo: France
e l’eroismo cristiano che riscaldava il petto dell’autore. Per saggio della di lui maniera di colorire vedasi un frammento de
ile. Questo insidiatore strappa dalla bocca di Leovigildo la sentenza della morte del figliuolo, se non rinunzj al culto catt
ui dopo aver vinto Leovigildo fa trionfare la religione sul desiderio della vendetta, e gli perdona. Seppe dunque il Marchese
, e gli perdona. Seppe dunque il Marchese rilevare il pregio maggiore della Cristiana religione di perdonare e amare il nemic
i lo sguardo si avvede che non è il suo Eraclio, ma sì bene il figlio della stessa Irene che eroicamente lo sacrifica alla sa
figlio della stessa Irene che eroicamente lo sacrifica alla salvezza della prole reale. Ma il virtuoso imperadore non compor
e con queste tragiche situazioni prevenne il Marchese anche l’Orfano della China del Voltaire. Meriterebbe che si trascrives
ltaire. Meriterebbe che si trascrivesse il patetico e vivace racconto della carnificina di tutta la famiglia di Maurizio e di
ringa di Bruto animata da sobria eloquenza e bellezza poetica propria della scena. Ma Giulio Cesare che si rappresentò con so
na, e ti trasporta in Messenia? Chi di quella interessante semplicità della condotta? della verità de’ caratteri? del mirabil
ta in Messenia? Chi di quella interessante semplicità della condotta? della verità de’ caratteri? del mirabile vivo ritratto
della verità de’ caratteri? del mirabile vivo ritratto di una madre? della dolce forza che ti fanno le passioni espresse in
e i Francesi schivi non soffrirebbero nel lor teatro Ismene che parla della febbre di Merope? che questa regina per iscarsezz
le vestigia nel comporre la propria, manifestano vie più la prestanza della Merope italiana. Egli ne ingrandì ed esagerò i di
e di rime; chiamò Voltaire traduttore, copiatore, piggioratore ancora della Merope del Maffei specialmente nell’atto V. Volle
particolarità del fatto de’ Curiazj ed Orazj. Trionfa in essa l’amor della patria in ogni incontro. L’ammazzamento dell’addo
ffetti di Didone, questo tragico contrasto acconciamente approssimato della prima rassegnazione con quest’impeto repentino, t
del tempo richiesto perchè giunga Beatrice co’ sei compagni dal fondo della torre, non essendo passati dalla chiamata alla ve
o) viene a Tebe sotto virili spoglie, e domanda ad Ormindo il cammino della reggia ch’ella non dee ignorare. Viene con animo
eseguirlo per far la sua vendetta, senza riflettere all’impossibilità della riuscita. Forse potrebbesi risecare qualche cical
prime espressioni; passionata la narrazione delle proprie sventure e della fanciulla che diede alla luce; grande è il di lei
ulla che diede alla luce; grande è il di lei coraggio ed il disprezzo della morte in faccia di Creonte nel IV atto. Piace sop
nto di esser ferita da Giocasta. Ella s’ intenerisce alla rimembranza della figlia perduta, e dice al marito che la cerchi, e
rsene l’azione colla morte data dal padre al figliuolo e col suicidio della figliuola. I molti amici dell’ autore e del sever
ei l’applaudirono nella lettura, ma il teatro non l’ammise, mal grado della regolarità, dello stile, della versificazione, e
, ma il teatro non l’ammise, mal grado della regolarità, dello stile, della versificazione, e della nobiltà de’ cori. Uscì co
ise, mal grado della regolarità, dello stile, della versificazione, e della nobiltà de’ cori. Uscì contro di essa una piacevo
’egli ne avesse disapprovato tacitamente ogni altra cosa nel Paragone della Poesia Tragica, e perciò nel 1738 produsse contro
sua Confutazione di molti sentimenti del Salìo. Comunicato lo spirito della tragedia per la riuscita del Conti, del Martelli,
tampò in Venezia nel 1733 il suo Teatro Tragico e Comico col trattato della Perfetta Tragedia; ma le sue tragedie erano ben l
e sagge. Ma niuna di tali tragedie levò grido, o parve degna compagna della Merope del Maffei o del Cesare del Conti, o della
arve degna compagna della Merope del Maffei o del Cesare del Conti, o della Perselide del Martelli. Toccò al Varano e al Gran
ucca nel 1766 nella Biblioteca Teatrale. L’autore la chiamava impresa della prima sua gioventù, la quale verisimilmente l’avv
ella prima sua gioventù, la quale verisimilmente l’avvicina all’epoca della publicazione delle tragedie del Maffei, del Zanot
accomodato alle cose n’è lo stile, regolare e ben condotta l’economia della favola, ottima la versificazione, conveniente il
agli estremi; tale ostinazione non sembra necessaria e bella e degna della tragedia, se non quando Demetrio noto alla madre
eruditissimo discorso intorno alle profezie e agl’ istorici monumenti della distruzione di Gerusalemme, ed a varie circostanz
ie circostanze rammentate nel dramma. Notabile in esso è la dipintura della feroce grandezza d’animo di Giscala, e più di una
Seila figlia di Jefte. Regolarità, interesse, giudizio nella traccia della favola, destrezza nel colorire i caratteri, gran
a moderna, e solo nella terza scena dell’atto IV partono i personaggi della seconda, lasciando vuoto il teatro, ed ha i cori
fessò lo stesso autore, ma si rende assai pregevole per la semplicità della favola animata dal bell’ episodio de’ figli de’ d
cipio di una grande virtù. Il suo Geremia ben rassembra all’originale della Sacra Scrittura. Vedasi in qual guisa egli nella
ggia elevatezza, che inspira un tacito religioso rispetto pei decreti della Divinità. Non merita minore attenzione la magnani
imase indi oppresso dalla propria imprudenza o credulità, è il titolo della terza tragedia del Granelli. La regolarità della
edulità, è il titolo della terza tragedia del Granelli. La regolarità della condotta, la vivace espressione de’ caratteri ben
all’ interno sentimento di chi la legga o l’ascolti) tutto l’effetto della tragica compassione, e che non lascia intravedere
te, la qual cosa sgombra il timore che agitava gli animi col pericolo della vita di Seila, e la compassione quasi non ha più
ia la Virtù Ateniese, e Serse Re di Persia, le quali colla traduzione della Roma Salvata stamparonsi nel 1771 in Bassano, ma
ragedia di lieto fine semplice quanto altra mai fondata in quel detto della Scrittura, gustavi paullulum mellis, & ecce m
potrebbe per l’affetto naturale venire con ripugnanza all’esecuzione della sentenza; ma non mai essere incerto se debba o no
te il guardo, Serbate eterna a quante età verranno L’alta memoria della mia vendetta, Che la maggior sarà di mie vittor
in Timandro del padre e dell’arconte, dell’amor de’ figli con quello della patria, della passione colla virtù. Ma la seconda
el padre e dell’arconte, dell’amor de’ figli con quello della patria, della passione colla virtù. Ma la seconda e terza scena
ue il dotto Bettinelli; ma avrebbe potuto ben dire ancora che l’ombra della Semiramide apparsa in chiaro giorno in mezzo alla
elle terribili circostanze onde simili apparizioni scuotono gli animi della moltitudine, e perciò rimane inferiore non meno a
spaventa, sono alla solita saggia maniera accreditati dalla scarsezza della luce e dalla dubbia visione del fantastico simula
di altre del rinomato compatriotto del Chiabrera Innocenzio Frugoni, della mentovata Roma Salvata del Bettinelli, della Zair
rera Innocenzio Frugoni, della mentovata Roma Salvata del Bettinelli, della Zaira e di altre dell’elegante conte Gasparo Gozz
della Zaira e di altre dell’elegante conte Gasparo Gozzi, dell’Orfano della Cina del signor Giuseppe Pezzana di Parma, dell’I
ier Richeri, del conte Agostino Paradisi e del dottor Domenico Fabri, della Berenice del sig. Romano Garzoni Lucchese, dell’I
utore si determini a pubblicarla. Pregevole è parimente la traduzione della Fedra fatta dall’ab. Giacinto Ceruti di Torino co
conte Calini da Brescia, nella quale si riconosce qualche somiglianza della languida Blanche & Guiscard del Saurin; ma è
ietà dello stile, colla convenevolezza del costume e colla regolarità della condotta. Non basterà ciò per convincere i maldic
iano di questo secolo? Intorno al tempo che si maturava l’eccitamento della Corte Parmense corsero il tragico aringo molti il
espressioni di Virginia: buono il racconto non diffuso che fa Claudio della ferita data dal padre a Virginia: assai compassio
che importa che si riconduca sulle moderne scene un antico argomento della Grecia, purchè le passioni comuni a tutti i tempi
ico suo sostegno, perduto Ulisse; e che dee a lei importare l’origine della contesa in quel punto? È l’evento della pugna che
dee a lei importare l’origine della contesa in quel punto? È l’evento della pugna che dee occuparla tutta. Dopo di aver saput
utore di varie lodevoli produzioni, di un’ apologia del Metastasio, e della tragedia intitolata il Coreso. Il di lui Ulisse d
a più interessante in questa favola, oltre ad alcune vaghe imitazioni della maniera Metastasiana e di altri nostri poeti: l’a
Penelope nella scena 4 dell’atto II in procinto di aprirsi il foglio della scelta dello sposo; il colpo di scena quando al v
confidente di Circe, l’educatore di Telegono e partecipe dell’arcano della di lui nascita, taccia sino al fine e lasci che a
el tuo amor gli effetti Io potei paventar, che di soverchio La fe della madrigna a me palese Era. Ma sebbene sia uno
unesto dell’appassionata Bibli per Cauno suo fratello segue le tracce della Fedra di Racine. La stessa furiosa passione contr
alanteria subalterna d’Ippolito ed Aricia che indebolisce l’interesse della Fedra, caratterizza gli amori di Cauno, d’Idotea
erizza gli amori di Cauno, d’Idotea e di Mileto, e raffredda l’azione della Bibli. Sin dalla prima scena Bibli interessa e co
l solito un freddo racconto del passato, bensì una dipintura patetica della di lei situazione; ma il rimanente dell’atto I e
con passione e senza superfluità i suoi spaventi notturni, dà indizj della colpevole sua fiamma. Le prime cinque scene dell’
;c. proprie del Celtico Poeta, come si vede nel racconto che fa Calto della visione avuta. Ma nel rimanente lo stile rassomig
pere in musica. Oltreacciò non ha voluto l’autore soggettarsi all’uso della scena stabile, cambiandosi ben otto volte; ed in
to è patetica la descrizione che fa Marco nella scena 2 dell’atto II, della rassegnazione di Ugolino condotto al carcere, la
me sono l’ espressioni di Ugolino: nobile nella seguente è il rifiuto della libertà offertagli a condizione di portar le armi
una Cleopatra stampata in Napoli nel 1736, mentovata nel supplemento della Drammaturgia dell’Allacci e onorata con un bel di
ese che impresse nel 1751 il Numitore riuscita sulle scene, mal grado della trascuraggine dello stile: il sig. Flaminio Scarp
la sig. Francesca Manzoni di Milano, e la sig. Maria Fortuna auttrice della Zaffira, e della Saffo: tutti, dico, questi scrit
Manzoni di Milano, e la sig. Maria Fortuna auttrice della Zaffira, e della Saffo: tutti, dico, questi scrittori meritano lod
iremo del Diluvio Universale, dell’Anticristo, di Adelasia in Italia, della Rovina di Gerusalemme, del Nabucco, del Davide, d
asia in Italia, della Rovina di Gerusalemme, del Nabucco, del Davide, della Sara &c. del P. Ringhieri ristampate dopo la
saico, snervato, seminate di dispute sottili e mezzo scolastiche? Che della sua Bologna liberata armata di una prefazione con
i comica che tragica. Aggiungeremo per amor del vero che il carattere della sua Cleopatra insidiosa, mentitrice, infingevole,
li dà la storia, ma non essere nè sì tragico nè sì grande come quello della Cleopatra del cardinal Delfino. Il nobile autore
’ Baccanali tragedia pubblicata in Venezia nel 1788, colla regolarità della condotta, colla forza de’ caratteri, con varj tra
in Roma nel 1789 un’ Ifigenia in Tauri, uno de’ due argomenti tragici della Grecia, che Aristotile antiponeva ad ogni altro.
e. Il sig. Biamonti calca le orme di Euripide in tutte le circostanze della patetica generosa gara di Pilade ed Oreste, e del
te le circostanze della patetica generosa gara di Pilade ed Oreste, e della riconoscenza d’Ifigenia col fratello; ma premette
nza d’Ifigenia col fratello; ma premette all’azione una nuova ipotesi della peste onde Tauri è afflitta, per cui si è mandato
’oracolo di Apollo in Delo, il quale serve allo scioglimento naturale della favola senza l’intervento di una machina; nel che
d’Ifigenia non si fossero totalmente fondati sul di lei sogno e prima della notizia recata da Lico che in Argo regna Menelao.
Lico che in Argo regna Menelao. Mal grado di ciò, e di qualche neo e della copia delle apostrofi, e spezialmente di quella d
i qualche neo e della copia delle apostrofi, e spezialmente di quella della scena 5 dell’atto I, O fortunata quella cerva
che cangiar le catene de’ regni. Quì si vede una tremenda catastrofe della costituzione di un popolo che conculca le proprie
prima vittima il proprio sovrano. Il sig. Moreschi col solo presidio della storia degnamente colorita e posta in azione ci t
maggior d’Augusto. Vedasi il ritratto di Cromuel in queste parole della I scena dell’atto IV: Diadema non curo, o regi
mariti ed il più generoso degli uomini tradito ed offeso dagli amori della sua moglie Zulfa con Errico, per li quali si serb
della sua moglie Zulfa con Errico, per li quali si serba l’interesse della favola. Non per tanto è patetico il congedo che p
che cerca tutte le vie di persuader la figlia ad andarvi. L’argomento della tragedia di Dara è tratto dagli eventi de’ succes
alla storia Romana prese un argomento nuovo per la scena nel Sepolcro della libertà, ossia Filippi, cui i leggitori non esite
l’Addison, non manca di sublimità e di forza, nè gli amori subalterni della favola inglese interrompono il buono effetto dell
i Shakespear ne’ loro migliori momenti. Ne vorremmo, è vero, le parti della favola più concatenate; più fondato e naturale il
giuramento a non palesarne la nascita; l’entrar di Argia nella tomba della sorella preparato almeno con raccapriccio maggior
direbbe che lo spettro dell’Aristodemo sia la stessa cosa con quelli della Semiramide e dell’Hamlet, se non chi di tutto par
di atrocità, nel che s’inganna o mentisce, mentre eccetto il suicidio della catastrofe, non vi si rappresenta atrocità veruna
on tanta forza il terrore tragico, come si vede nel terribil racconto della scena 4 dell’atto I, nel congedo di Cesira e Aris
acconto della scena 4 dell’atto I, nel congedo di Cesira e Aristodemo della 3 dell’atto III, nella mirabile dipintura dello s
stodemo della 3 dell’atto III, nella mirabile dipintura dello spettro della 7 dell’istesso atto, nella 2 del IV in cui Aristo
echiamo per saggio del valor tragico del sig. Monti qualche frammento della scena 7 del III e dell’ultima dell’atto V. Ecco l
suo sangue tinta, E gli avanzi spargetene, e la polve Su i troni della terra, e dite ai regi, Che mal si compra co’ de
josi e più inverisimili. Quattro o cinque personaggi non senza offesa della verità nè senza rincrescimento alternano in cinqu
ascuna. Filippo. Spira tragica gravità questo componimento mal grado della snaturata barbarie di Filippo; della catastrofe p
tà questo componimento mal grado della snaturata barbarie di Filippo; della catastrofe preveduta sin dal principio; della ven
ta barbarie di Filippo; della catastrofe preveduta sin dal principio; della venuta d’Isabella nella 1 scena del I senza perch
a del I senza perchè o solo per tornar indietro dopo il suo monologo; della costruzione quasi alemanna,   ch’ei t’è padre e
del mal suono che fa quell’    a te sol resta Come a me morte; della mancanza degli articoli più volte &c. Non sap
non abborre che l’ingiustizia e la mala fede; sente in somma la voce della magnanimità in mezzo all’ ira. Tali caratteri ric
esse dicono, non conoscendosi, è senza riflessione se non per timore della loro vita, almeno per quello di non condurre a fi
io in parte narrativi, qualche intoppo che si presenta nella condotta della favola, l’ondeggiamento circospetto e picciolo de
ioni sullo stile e del gallicismo Atride forse già mi sospetta. Oltre della proprietà de’ caratteri e della forza delle passi
o Atride forse già mi sospetta. Oltre della proprietà de’ caratteri e della forza delle passioni, è inimitabile la guisa onde
gina sempre occultando il pravo suo disegno sino all’atto IV col velo della modestia e del grande amore che mostra di nutrir
giungere Agamennone, e quando vi s’ incontra, e quando freme all’idea della proposta lontananza di Egisto, e quando si determ
gne il fratello. L’atto V piacerà sempre per l’ oppressione repentina della tirannia, e pel ravvedimento del tiranno nell’att
a d’inverisimiglianza ed un rincrescimento, che si oppone all’effetto della compassione che si vuole eccitare. Ma nel Gernand
impressa in Parigi nel 1728, in cui volea pur mostrare la superiorità della letteratura francese) dent sæpe tragædias, qualis
ara si posero nella sala dell’accademia degl’ Intrepidi e nella porta della Cattedrale per onorarne la memoria. 42. V. Giust
delle coronate. Ciò dimostra l’ animo costante di quel Sovrano in pro della poesia drammatica; e confonde la falsità di certo
di lui gesta, e ad una descrizione spagnuola da me letta manoscritta della morte di Don Carlo, apparisce il simulato procede
iamo a parlare di queste tre tragedie, sapendo che l’autore nel tempo della pubblicazione del Gerbino pensò ad accumulare alc
82 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO VI. Tragedia Cittadina e Commedia Lagrimante. » pp. 134-143
lla grande e vera tragedia reale da Platone tenuta per più malagevole della stessa epopea, e fatta per ammaestrare ugualmente
lmente i principi e i privati. Ma essa anche può ammettersi in grazia della varietà, e per servire al diletto e all’istruzion
si in grazia della varietà, e per servire al diletto e all’istruzione della parte più numerosa della società, e a produrre il
à, e per servire al diletto e all’istruzione della parte più numerosa della società, e a produrre il bel piacere delle lagrim
troppo famigliari ed atti ad alienarlo dall’impressione del dolore e della pietà. I Francesi in questi ultimi tempi hanno av
sercitato in simil genere. Il suo Fajele contiene l’ argomento stesso della Gabriela del Belloy, cui il marito dà a mangiare
. Nell’uno si rappresentano le avventure del conte divenuto religioso della Trappa che geme tra i cimiterj e le teste de’ mor
ri comici e si contenti di cedere i primi onori al sublime continuato della tragedia grande, potrebbe tollerarsi anche in un
pogliandolo dell’affettazione pantomimica e delle azioni scimiesche e della lugubre dettatura del testamento, l’azione e il c
icata tenerezza che meglio si adatterebbe col comico utile disviluppo della favola e col cangiamento di M. de Lys affrettato
le Fermier del medesimo autore dee collocarsi in una classe men tetra della commedia piangente. Nè anche gli autori dell’Uman
citi; specialmente il Mercier sembra di aver degenerato nell’Abitante della Guadalupa. In quello che intitolò Natalia rappres
una specle di rappresentazione men lamentevole e perciò men difettosa della pretta lagrimante, ma però ben lontana dal pregio
men difettosa della pretta lagrimante, ma però ben lontana dal pregio della nobile commedia tenera. Nel Padre di famiglia del
re impiccato. Le passioni vi sono vive ma meno tragiche e più proprie della commedia nobile, o come dicono i Francesi, du hau
poco danno indizio di un ingegno investigatore de’ grandi lineamenti della natura e ricco di vero gusto. Nondimeno non parmi
one troppo seria di Eufemone il giovane sembra trascendere il confine della commedia. Nel Caffè dipingesi la natura con sagac
imo cuore è copiato dalla Bottega del Caffè del Goldoni. Il carattere della Scozzese è nobile, delicato, interessante. Non v’
83 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 45
compose (sono in tutti sessantatrè, due dei quali soltanto in versi : della primavera e della impietà) per comici di professi
utti sessantatrè, due dei quali soltanto in versi : della primavera e della impietà) per comici di professione, ma anche per
ostra presenza un’opera amorosa. In quella del prologo ventunesimo ( della Gloria), dice : Oggi coronerò di qncsta corona d
orrò qui dietro ad udirla, e non vo star qui per non invaghirli tanto della mia bellezza, che sol mirando il premio, che se g
, et altre cose non convenienti al grado loro. E in quella del XXII ( della Pace) : Io son venuto a darvi saggio di questa b
a riuscita conforme al vostro desiderio. La licenza del prologo LIV ( della Fatica), dice : Ogni cosa che giovamento apporta
anche per Compagnie di canto, come abbiamo da quello de gl’inventori della musica, il ventiquattresimo della raccolta, che t
e abbiamo da quello de gl’inventori della musica, il ventiquattresimo della raccolta, che termina così : abbiamo proposto in
84 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome V « STORIA DE’ TEATRI. LIBRO IV. — CAPO II. Tragedie Italiane del XVI secolo. » pp. 28-131
ío Vicentino nato nel 1478 e morto in Roma nel 1550, assai più famosa della precedente corse indi a non molto fra’ letterati
’autore così versato nelle greche lettere nella dedicataria a Carlo V della sua Italia liberata, poema ricco di varie bellezz
nelio venuta tanto più tardi) e da un patetico animato da’ bei colori della natura che sempre trionfa nella vivace semplicità
di Euripide; e par che avesse voluto renderne lo stile più magnifico della Sofonisba. Il signor Roscoe nella Vita di Lorenzo
i eleganza e vaghezza sparsi nelle tragedie del Rucellai? Uno storico della letteratura universale lascerà seppellirgli nell’
i uccisi che vi biancheggia; la bellezza del racconto che fa Ifigenia della propria sventura quando fu in procinto di essere
uando fu in procinto di essere sacrificata in Aulide; quello del coro della pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste
uello del coro della pugna de’ due Greci co’ pastori; quello d’Oreste della morte di Agamennone. Molti squarci della generosa
co’ pastori; quello d’Oreste della morte di Agamennone. Molti squarci della generosa patetica contesa de’ due amici meritereb
e non il Rucellai. Egli trasse dalla storia de’ re di Roma l’eccesso della spietata Tullia per esporlo sulle scene. La purez
llerato del protagonista. Tullia non solo calpesta le più sacre leggi della natura ed aspira al regno paterno per immoderata
l Giustiniano. Luigi Alamanni celebre autore dell’elegantissimo poema della Coltivazione recò in italiano, ritenendone il tit
ta menzione dell’Antigone italiana noverando l’autore tra’ benemeriti della toscana lingua Bembo, Trissino, Molza, Tolomeia.
in Vicenza in un teatro di legno costruito espressamente nel palagio della Ragione dal celebre Palladio. Noi stimiamo col co
oltaire e del p. Folard; e col Nores troviamo riprensibile l’episodio della discordia de’ figliuoli di Edipo, per cui si rend
Speroni degli Alvarotti dottissimo padovano e l’oratore più eloquente della sua età, morto di anni ottantotto nel 1588, compo
enerezza di quelle celebri pastorali. Ma le forti perturbate passioni della Canace esigevano stile più grave, e la favella de
turbate passioni della Canace esigevano stile più grave, e la favella della natura più che dell’arte manifesta. Questo, e l’i
ortali pericoli; questi, dico, mi sembrano i veri difetti sostanziali della Canace; e pur questi difetti appunto, per quanto
nel l’Orbecche si eccita il terrore co’ più vivi sanguinosi trasporti della crudeltà. Sulmone re di Persia gareggia colle atr
Giraldi non pertanto si è guardato dall’affettazione di certi squarci della tragedia latina e da qualche ornamento ridondante
cialmente l’Orbecche, fralle Italiane che conseguiscono l’ottimo fine della tragedia di purgar con piacevolezza lo sregolamen
a di purgar con piacevolezza lo sregolamento delle passioni per mezzo della compassione o del terrore. Ed in fatti a suo temp
rime del teatro, purchè se ne troncassero acconciamente alcune ciance della nutrice, l’espressioni di Oronte appassionato nel
i trattiene per molti versi su i casi del nocchiero, la maggior parte della lunga scena 2 dell’atto III, quando Malecche esor
so perchè, fin anche a’ più gran principi formidabile, uomo, ad onta della sua mercenaria maldicenza, di qualche talento, sì
ne, di poca dottrina e di niuno onore, contribuì non poco alle glorie della tragedia italiana. Pose prima di ogni altro in is
nesta. Nel II Tazio venuto dal campo racconta a Publio Orazio l’esito della pugna, nella quale Roma ha trionfato, ed egli ha
figli; dal qual racconto è abbattuta la misera Orazia per la notizia della morte dello sposo. Arriva nel III un servo che ap
gioventù, distesa in dodici versi, che incomincia. La gioventù furor della natura. Si troverà poi soverchio ardita e vizios
l’Orazia più giudizio nel tener sempre l’occhio allo scopo principale della tragedia di commuovere sino al fine pel timore e
se anche in ciò imitato, avrebbe fatto corrispondere agli ultimi atti della sua tragedia che riescono freddi ed inutili, a i
ari; privati ne sono gl’interessi; ed in quel tempo non parvero degni della tragedia reale. In fatti nel parlarne il Crescimb
e. Ma il lodato Zeno avverte che la Daria è un personaggio principale della tragedia del Soldato, e perciò che il Soldato e l
e (dice il Manfredi nelle sue Lettere) mi diceste che sarebbe l’idea della tragedia toscana a. Sappiamo dal cavaliere Girol
ttribuito a san Gregorio Nazianzeno. Il di lui Telefonte ha il pregio della scelta del più bel soggetto tragico dell’antichit
do atto, le quali tutte si distribuirono poi nel primo e secondo atto della tragedia compiuta. I passi più belli della non fi
i nel primo e secondo atto della tragedia compiuta. I passi più belli della non finita si sono ritenuti nella perfezionata; a
ie ravvisa in Torrismondo un carattere compiutamente tragico, e degno della perfetta tragedia che va felicemente al vero suo
icemente al vero suo fine di purgar con diletto le passioni per mezzo della compassione e del terrore. Non pertanto il gesuit
zione riguardo al Tasso, il quale ideò i suoi personaggi su i modelli della cavalleria de’ bassi tempi. Ma Rapin dovea dimost
pi. Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa, che ne’ tempi della cavalleria non potevano regnare nel cuore umano p
i pensato a sostenere contro i nostri poeti romanzieri, che i costumi della cavalleria errante fossero improprii per le passi
sse, per qual capriccio volle negarle a’ tempi del governo feodale, e della cavalleria notabili appunto pel vigoroso fermento
ti osservarono, cioè che l’epoca de i duelli, delle giostre, de’ beni della lancia, è appunto un ritratto appena da piccioli
e trovano le immagini nelle favolose storie di Turpino, e nel romanzo della Tavola Rotonda del re Artù, di cui parla il Camde
apin andava criticando l’Ariosto, il Trissino ed il Tasso pe’ costumi della cavalleria, non si sovvenne del combattimento di
erano e in Inghilterra e in Francia, come altrove, generali i costumi della cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò
costumi della cavalleria nel secolo XIII ancora? Non si ricordò Rapin della giostra data nella Borgogna nel 1272, nella quale
ia alla testa di un esercito contra il re Davide Brus? Non all’ordine della Giarrettiera istituito in questo tempo in occasio
ncia nel secolo XV? Non fu allora che con buon senno disse un Inviato della Porta che assisteva ad una giostra, per un vero
de’ nei nel Torrismondo, essi certamente non provengono da i costumi della cavalleria additati dal Rapin come contrarii al c
ttere tragico scelto con sommo giudizio ottimo per conseguire il fine della tragedia: una dipintura fina delle passioni: un p
da. Si vorrebbe purgata la favola di qualche scena di poca importanza della nutrice, com’ è la seconda dell’atto I; della des
cena di poca importanza della nutrice, com’ è la seconda dell’atto I; della descrizione troppo lunga e troppo circostanziata
a dell’atto I; della descrizione troppo lunga e troppo circostanziata della tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; de
della tempesta in bocca dell’angustiato Torrismondo; delle lungherie della scena terza del medesimo atto di Torrismondo col
eplica in varii modi e sotto varie forme le stesse cose; del racconto della regina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la f
a regina Madre de’ piaceri amorosi per indurre la figlia a maritarsi; della minuta numerazione che fa Torrismondo de’ giuochi
afferma il conte Mazzucchelli, gli autori del catalogo de’ codici mss della real libreria di Torino ne fanno autore Federico,
ennero manifestate dal Parisotti in un Discorso inserito nel tomo XXV della raccolta degli Opuscoli del Calogerà. Il Vicentin
in versi sdruccioli l’Altea che s’impresse nel 1556, e la Polissena, della quale non fa menzione il Fontanini. Scrisse poi l
di una relazione circostanziata, piena come ella trovasi dell’orrore della sua perdita? I personaggi estremamente addolorati
ie vicende egli stesso giunge ad impossessarsi di quel regno. L’ombra della madre di lui l’eccita a vendicarla; muove guerra
si trova mentovata dal Quadrio. In esse vedesi talvolta troppo studio della semplicità greca, talvolta d’imitar Seneca nell’i
lzar sentenze a guisa di aforismi, sovente di ornar con fregi proprii della poesia epica e lirica. Non pertanto anche dal sol
poche scene appassionate che tirano l’attenzione. A me non è permesso della lunga via di fermarmi su ciascuna di esse. Ravviv
redi da Cesena, il quale dal Ghilini si disse Ravennate perchè alcuni della di lui famiglia abitarono anche in Ravenna. Quest
lepio nel Nino di questa favola un carattere sommamente idoneo al fin della tragedia. Il soggetto di essa è fondato nella fam
fredi ha congiunte mirabilmente le premesse, i mezzi e le conseguenze della sua favola ingegnosa. E notabile nella scena quar
iramide rimane inflessibile. Al fine Beleso nulla sperando dalle armi della ragione, ricorre a quelle del suo ministero, e la
Seneca nel Tieste e Giraldi nell’Orbecche usarono del medesimo colore della dissimulazione; ma secondo me Semiramide comparis
ta, minaccia la madre, invano volendo Simandio e Beleso farlo accorto della scelleraggine che medita. Egli va pur risoluto. M
oso. Or che ha egli fatto frattanto? Ha forse combattuto trall’orrore della vendetta e l’enormità dell’offesa? Un motto almen
dell’offesa? Un motto almeno di ciò avrei voluto ne’ di lui discorsi della prima scena, nella quale torna ad accendersi di f
acer ch’io prendea d’esser con lei Rimembrando mia madre. Certo Nino della disgrazia da lui maggiormente temuta diviene un O
ei, l’affronta, la trafigge, la mira, e piange; indi s’invia al luogo della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. N
a, la trafigge, la mira, e piange; indi s’invia al luogo della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto d
go della strage della sposa e de’ figliuoli, e s’uccide. Nel racconto della morte di Nino il poeta imitando in parte l’attitu
contemporaneo Angelo Ingegnieri. La Semiramide trionfo dell’invidia e della pedanteria; e se in vece di criticarla i pedanti,
ntollerabile la rappresentazione dell’Edipo in Verona e in Venezia, e della Semiramide in Verona, e dell’Aminta e del Pastor
essere ottimamente scritta congiungesse sempre l’altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidità e
sempre l’altro indispensabile della veracità e sicurezza ne’ fatti e della solidità ed imparzialità ne’ gìudizii. Ma il camp
ua parte. Tornando anche un momento su qualche particolarità istorica della Semiramide notisi ancora che il Manfredi è stato
signor Muzio Sforza a Venezia desidera che gli si mandi un esemplare della traduzione di Girolamo Moncelli del Cristo, avend
togliersi dalla folla i due che soggiungo, perchè ridotti alle leggi della vera tragedia, cioè Jeste di Girolamo Giustiniano
. Il nome di Giammaria Cecchi fa che rammentiamo ancora l’Esaltazione della Croce di lui opera rappresentativa recitata nelle
a. Cita monsignor Giusto Fontanini nell’Eloquenza Italiana l’edizione della Merope e del Tancredi fatta in Parma nel 1597, e
poi quella di tutte le cinque tragedie del 1605, cioè tre anni prima della morte dell’autore. Ma la Merope s’impresse prima
Egregiamente vi si disviluppa il di lui tirannico sistema e la ragion della forza che giustifica le scelleraggini. Ecco in qu
ca le scelleraggini. Ecco in qual guisa argomenta contro del Capitano della sua guardia: Le leggi e ’l giusto, di che tanto
Di maniera che l’ingiustizia mai non trascura di prevalersi a suo pro della massima di Achille, il quale Jura negat sibi nat
si tiene, ed al coro continuo che spesso nuoce a’ secreti importanti della favola, è un difetto comune alla maggior parte de
ata narrazione, e non da arbitrarie decisioni, può ricavarsi l’indole della tragedia Italiana del XVI secolo. Essa fu un nobi
le della tragedia Italiana del XVI secolo. Essa fu un nobile ritratto della Greca, da cui riportò qualche neo ed una dose di
o ad asserire i critici moderni poco diligenti osservatori. Per mezzo della nostra nazione nel Cinquecento divenne più ricco
ricco il teatro con gli argomenti, che i Greci e i Latini non ebbero, della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del
che i Greci e i Latini non ebbero, della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del Tancredi, della Tullia, dell’Oraz
ro, della Sofonisba, del Torrismondo, della Semiramide, del Tancredi, della Tullia, dell’Orazia, ed i posteri l’ebbero dagl’I
zioni. Quanto è difficile entrare a sentenziare di cose che non sono della competenza di chi si arroga l’autorità di giudice
l XVI secolo, se non per altro, per la cultura, proprietà, purgatezza della loro lingua che a que’ tempi rifioriva? E pure il
rifioriva? E pure il signor Andres stesso non fu astretto dalla forza della verità a contradirsi: Si distingue l’Italia sopr
arbare, era l’unico opportuno espediente per diffondere il vero gusto della tragedia; e il fecero gl’Italiani, con tuttochè n
cui piacere consacravano le loro penne. Ma per essere stata spogliata della musica dovea dirsi che la tragedia moderna non si
one delle intere nazioni, e non già di pochi privati, per le vicende della fortuna eroica (secondo la giudiziosa diffinizio
onano disastri e pericoli grandi, e pe’ caratteri elevati al di sopra della vita comune. Per tali cose essenziali le greche t
a e tutta sua negò l’invenzione al Trissino perchè ricavò l’argomento della sua tragedia della Storia di Tito Livio. Noi esam
l’invenzione al Trissino perchè ricavò l’argomento della sua tragedia della Storia di Tito Livio. Noi esaminammo questa singo
ato nemico del Trissino, che nelle sue Lezioni biasimava la locuzione della Sofonisba (di che vedasi il citato articolo V del
e des leurs beautès. a. Di tante traduzioni ed imitazioni francesi della Sofonisba, quella di Mairet fu l’unica che si sos
te III. a. Ciò fu ancora avvertito dal conte di Calepio nel Paragone della tragica Poesia nel capo IV; art. II. a. Nel disc
tera 145 scritta da Nanci a’ 25 di maggio del 1591. a. Nel III libro della Cosmografia. a. Pongo tra questi l’oscuro provin
a. Si vuol riflettere che il Tasso medesimo non era appieno contento della sua tragedia, e vi andava facendo di mano in mano
i spedì a Bergamo in due fogli a Licino. L’accurato moderno scrittore della di lui vita l’erudito abate Serassi cita in tal p
X delle di lui Opere, l’una alla p. 270, l’altra alla 145. a. Esame della poesia tragica cap. I, art. II. a. Questa natur
85 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 492-494
ttina, cominciando alle 9, e rimandando il pubblico a ogni fin d’atto della stessa commedia, per dar posto al pubblico nuovo,
blico non fece conoscer mai a quegli ottimi sciagurati il significato della parola forno nel gergo teatrale ; nè col forno ne
andare in prigione, dovè recitare dinanzi…. all’unico rappresentante della legge per la tutela dell’ordine, entrato, s’inten
ende, a scapaccione. E in vario tempo, con varia fortuna, fecer parte della famiglia attori pregievoli come il Gandini, il Mi
i come il Gandini, il Mingoni, il Vedova : a poco a poco dai villaggi della Svizzera si passò alle grandi città d’Italia, dal
 ’61, da cui tolgo il presente ritratto, è l’Amalia chiamata la gemma della compagnia, la quale alla franchezza, alla disinvo
to Meneghino, poi in quella di Colomberti e Casilini, in sostituzione della coppia Caracciolo, superando la Borisi ogni aspet
lmente colla parte di Teresa nel dramma omonimo di Dumas e con quella della Marchesa nel Filippo di Scribe. Fece poi compagni
po dopo, colpito da malattia insanabile, morì a Milano fra le braccia della moglie, nella casa di salute dei fratelli Dufour.
ata lei l’ ’88 con Zago, che era divenuto nella proprietà e direzione della compagnia socio di Guglielmo Privato, vi è anch’o
i Borisi Armando e Maria : quello, divenuto attore-cantante, fa parte della Compagnia di operette del Gargàno ; questa, fatte
86 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 574-575
ochissimo danno. Cominciò a recitar da prima donna il 1756 nel Teatro della Sala di Bologna, e vi piacque assai sì nelle comm
vise, come nelle scritte. Separatasi dal marito, si diede allo studio della musica, e calcò alcun tempo le scene liriche, tor
Onofrio Paganini, tornato allora di Spagna, ma gelosa degli applausi della nuora, se ne staccò subito, e andò con Pietro Ros
zze, quali Bologna, Parma, Trieste, Milano, Brescia, Mantova, ecc., e della quale un foglio volante di Sassuolo ci dà l’elenc
onta dell’età non più giovine e di alcuni incomodi ; ma sopr'a tutto della sua indole collerica e sdegnosa, che la faceva in
i per intero (Il Teatro, tomo I, art. VI-VII). …….passai alla camera della prima donna, ch'era poco lontana. Trovai una pers
a, con tutti i riguardi di sanità. Palesandole il bisogno ch'io aveva della sua protezione, la trovai si disposta a farmi del
raccomandazione, che non mancava di alcun requisito. Seppi la storia della prima donna, che da quì inuanzi io chiamerò col n
e si cacciava tra le gambe la coda, e cedeva vergognosamente il campo della battaglia. Un giorno, dopo aver strapazzato ingiu
i fece venire le convulsioni. Che più ? Lo stesso suo amante, il nido della tolleranza umana, la bontà personificata, un uomo
Porta orientale, le aveva scossa la polvere dell’ andrienne co' colpi della sua canna. Questo poco serva a far meglio conosce
87 (1798) Addizioni alla Storia critica de’ teatri antichi et moderni « PARTE I — TOMO V. LIBRO VII » pp. 107-140
rodusse la sua Sofonisba; e benchè nell’imitarlo variasse la condotta della propria favola, osservò non per tanto le tre unit
rappresentanza seguitane nel 1629, ad onta de’ difetti che vi notò, e della debolezza dello stile, ne sentì il pregio, e l’ap
o Cornelio ebbe trattato quest’argomento, il pubblico si dilettò meno della Sofonisba del Mairet 2. Avvenne in fatti, che men
cese nè in italiano. Può veramente accordarsi a’ compilatori francesi della Picciola Biblioteca de’ Teatri, che vi si veggano
e interessa è la stessa Policrita appassionata amante di Pisistrato e della libertà, e che seconda le mire di Solone a costo
la del Dispetto amoroso; ma la commedia italiana termina assai meglio della francese, il cui quinto atto mal congegnato raffr
avola. Dall’altra parte nella commedia del Secchi non vedesi vestigio della bella scena del Dispetto di Lucilla ed Erasto, in
inunziato al teatro. La Fosse ne ravvivò il languore, e pieno com’era della lettura degli antichi Greci e Latini fe rappresen
alvata di Otwai, col trasportare agli antichi Romani il fatto recente della congiura di Bedmar contro Venezia, diede un saggi
. Nel suo Amasi regna una molle galanteria sconvenevole all’argomento della Merope da lui appropriata a’ personaggi della sto
nvenevole all’argomento della Merope da lui appropriata a’ personaggi della storia di Egitto. Si recitò nel 1701. ADDIZION
versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza della versificazione e la scorrezione dello stile. Da p
tutto il resto in argomento sì tragico. La Touche sentì la giustezza della critica, ed in otto giorni soppresse quel persona
ni soppresse quel personaggio ozioso, e quell’amor freddo. Il maestro della Poetica francese &c. ADDIZIONE XIII* Gus
arto per tutto il quinto sembrano troppo accumulati riguardo al tempo della rappresentazione, ma a giustificarne la verisimig
e, purchè ne faccia risultare il diletto dell’uditorio, ed il trionfo della virtù, come appunto avviene nel Gustavo. Intorno
pubblico francese. Il Mercier sembra di aver degenerato nell’Abitante della Guadalupa. In quello &c. ADDIZIONE XVI* D
o in Amiens nel 1709 e quivi morto a’ 16 di giugno del 1777, l’autore della graziosa novelletta le Vert vert, e della tragedi
i giugno del 1777, l’autore della graziosa novelletta le Vert vert, e della tragedia di Odoardo III, diede al teatro anche il
edie inedite perdute, o dall’autore stesso soppresse, cioè il Secreto della commedia da lui letta a’ suoi amici, ed il Mondo
re. Vi si scopre al solito spirito e finezza soverchia nella condotta della favola. Questa commedia si è di nuovo rappresenta
del Saurin. Il sig. Saurin che si è esercitato in diverse specie della poesia scenica, che riuscì competentemente con Sp
toso”. Pare che i Francesi non tarderanno a ridursi sotto il vessillo della verità e del senno prendendo ad imitar gli uomini
sulla scena gli spettatori agli attori. Vero è pur anco che il teatro della commedia francese ha ricevuti pochi anni fa notab
Vi si veggono eziandio i ritratti dipinti de’ più celebri drammatici della nazione; e nel Foyer architettato con magnificenz
Des Touches, Du Fresni, Dancourt, Piron, Crebillon &c., ed al piè della scalinata si è alzata la statua intera marmorea d
endono due ordini di logge. I primi palchi seguono il piano circolare della sala composta di tre scaglioni in anfiteatro con
, cioè una in fondo che guarda il teatro, e le altre due da’ due lati della sala, il cui fondo è di marmo bianco venato. *
mincia Voltaire negò questo &c. 2. Si ritenga anche la nota (2) della medesima pag. 6, che incomincia, La Sofonisba di
dalla struttura e dalle decorazioni del teatro de’ ballerini da corda della fiera di san Germano. Le favole si rappresentavan
. **. Al capo medesimo, pag. 29, lin. 8, dopo le parole, alla gloria della posterità, si ponga in nota ciò che siegue. *. A
resente addizione. 1. Oltre a ciò che nel tomo precedente si è detto della Marianna del Dolce, del Calderon, e di Tristan, v
trarca de Jerusalem. Ciò si deduce non senza fondamento dall’edizione della Primera Parte de Comedias de don Pedro Calderon d
de del Calderòn. Al contrario se il poeta spagnuolo non ebbe contezza della Marianna italiana del Dolce prodotta cento anni p
to avesse quest’argomento da’ Francesi, e che si fosse approfittato o della Marianne di Hardy, rappresentata in Parigi nel 16
10, o di quella di Tristan, che fece recitare e stampare la sua prima della favola del Calderòn. *. Al Capo II, pag. 34, dop
in nota. *. Al medesimo Capo III, pag. 44, lin. 18, dopo le parole, della vera pietà e religione, si apponga la seguente no
za, si tolgano le cinque linee che seguono in detta pagina, e le nove della pag. 77 dalle parole diedero allora fino a regna
ui si scrive. *. Al Capo V medesimo dalla pagina 116 (dopo le parole della pag. precedente spaventano e fanno inorridire) si
e scorretto, e si scriva l’addizione seguente. *. Al Capo VI in fine della pag. 135, che per errore tipografico si trova seg
ndosi dopo la lin. 29 le dieci seguenti da Ma gli altri drammi sino a della Guadalupæ. *. Al medesimo Capo VI, pag. 142, che
ot, si tolgano le quattro ultime linee di detta pagina e le prime due della seguente, e si cambi come segue. **. Al medesimo
88 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — Venezia il 31 10bre 1837.E il 14 novembre : » pp. 389-402
agnia chi per assoluta perizia può soddisfarlo, si appaghi dall’altro della tenera capacità e delle belle speranze, onde a bu
o terminato la scrittura col carnevale del ’29, si recò, in compagnia della madre, a Vicenza, per sostener le parti di prima
ilodrammatica…. che lasciò dopo un anno per formare una compagnietta, della quale essa era, si capisce, direttrice, prima att
alla Compagnia Nardelli passò (1835) in quella di Romualdo Mascherpa, della quale eran principale ornamento i fratelli Dondin
e ; e in Perugia le fu coniata questa medaglia d’oro, la riproduzione della quale, come quella de’ritratti, io debbo alla squ
della quale, come quella de’ritratti, io debbo alla squisita cortesia della figliuola Maria Lismondo. Nè agli applausi e a
Maria Lismondo. Nè agli applausi e agli onori si limitò il trionfo della Bettini ; chè ogni sera il teatro riboccava di sp
omponenti la Compagnia. Il ritiro del Nardelli coincise con quello della grande Marchionni, l’astro maggiore della R. Comp
ardelli coincise con quello della grande Marchionni, l’astro maggiore della R. Compagnia di Torino, diretta da Gaetano Bazzi,
due (2) del mese di Giugno ommesse le pubblicazioni seguite nel tempo della celebrazione della S. Messa in questa Chiesa Parr
Giugno ommesse le pubblicazioni seguite nel tempo della celebrazione della S. Messa in questa Chiesa Parrocchiale dei SS. Gi
o di Trento il sig. Dottore Raffaele figlio del fu Pasquale Minardi e della vivente signora Maria Pilati della Parrocchia di
e figlio del fu Pasquale Minardi e della vivente signora Maria Pilati della Parrocchia di S. Bartolomeo colla signora Amalia
Bartolomeo colla signora Amalia figlia del fu sig. Giovanni Bettini e della vivente signora Lucrezia Mora di questa Parrocchi
e in via Castiglione N. 345 e 7. A dare un’idea del valore artistico della Bettini, e del come e quanto ella fosse apprezzat
, il 28 novembre 1837, Pietro Monti propone alla Bettini di far parte della Compagnia dei Fiorentini per l’anno 1840 ; e sogg
cembre : Dalla tua ho rilevato che tu o non hai piacere di far parte della nuova compagnia propostati o che tu hai voluto sc
ualdo Mascherpa, con questa intestazione stampata : Il Capo Comico –  della Drammatica Compagnia al servizio di S. M. Maria L
allegrandosi colla Bettini che debuttava a Torino quale prima attrice della Reale Compagnia Drammatica Sarda. Giuseppe Coltel
a. Giuseppe Coltellini da Lucca (13 maggio 1840) chiede se è contenta della sua nuova posizione per farle in caso delle propo
le scritture in bianco con facoltà di aggiungervi, se crede, il nome della madre per le parti caratteristiche. Il 12 agosto
a il sequitare con la Compagnia Reale. Dato il caso io vado in tracia della mia fortuna, si come fu di Nardelli, che non fa c
ttini…. Il Paladini il 24 settembre da Roma annunzia che il progetto della Compagnia semi-sedentaria è caduto in terra addir
falliscono all’occorrenza, e senza nulla arrischiare fanno commercio della vostra capacità e del vostro sapere ! Se gli arti
o priva la drammatica arte. Mi stà tuttora presente la felice società della Marchionni, Meraviglia e Calamari, dessi andarono
fosse contenta di proseguire anco pel 42 e 43 con me. Alla Direzione della nuova Compagnia verrei io stesso e si agirebbe al
i accettare le proposte Mascherpa, dipendendo da essa sola l’avvenire della Compagnia, della quale naturalmente il Lottini fa
oposte Mascherpa, dipendendo da essa sola l’avvenire della Compagnia, della quale naturalmente il Lottini fa parte. Il Bosio,
8 maggio : …. la persona che ambirebbe avervi per cardine principale della Compagnia che vuol formare per Firenze, non esclu
nte assegnato al di lei diritto e nel caso di malattie approffitterei della opera sua per tutte cinque recite ; otterebbe da
lora nel venturo maggio tu ti decidessi a rimanere nell’arte pel bene della medesima, dammene un pronto avviso. Io pure se Di
amica : È egli vero ? Si attende un tuo assenso perchè ogni sventura della mia famiglia stia per avere un termine ! Mia cara
studio su di Amalia Bettini di Giuseppe Costetti (I dimenticati vivi della Scena italiana. Roma, 1886), abbiamo un sonetto i
riano nello Eridano Torinese, il 15 giugno ’41, scriveva al proposito della Iginia d’Asti di Silvio Pellico : …. Che diremo
a al proposito della Iginia d’Asti di Silvio Pellico : …. Che diremo della signora Amalia Bettini ? Ella fu dal grido univer
mpiacenza per la sua creazione ove l’avesse veduta rivivere per opera della egregia attrice. L’autore ha colorito il caratter
to, all’applauso, al delirio. Pareva che l’attrice volesse col vigore della sua anima, coll’espressione degli atti, coll’ardo
ettava nel Piccolo Faust di Bologna, il 24 maggio 1894, dopo la morte della celebre artista, avvenuta a Roma otto giorni prim
a che l’ha infisciata e che j’ha dato er latte ! E sotto un ritratto della Bettini, litografia Matraire di Torino, disegnato
inedite, che un egregio artista contemporaneo, e affezionato compagno della Bettini (Antonio Colomberti), lasciò scritto di l
nagione bianchissima. La sua voce corrispondeva a tutte le vibrazioni della sua anima. Di natura estremamente sensibile e ner
inque, sei, otto, fin dieci. Fra le produzioni formanti il repertorio della Bettini, cito le seguenti, nelle quali ella era c
89 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome II « CONTINUAZIONE DEL TEATRO GRECO E DEL LIBRO I — CAPO XVI. Dell’uso delle Antiche Maschere. » pp. 201-212
mo che volle introdurla, avesse avuto tal disegno, perchè l’inventore della maschera s’ignorava anche ai tempi di Aristotilea
imo ne’ villaggi, vollero che gli offesi venissero di giorno in mezzo della piazza a narrare le oppressioni sofferte. Ma per
e quando questa cominciò a pullulare da que’ semi, l’attore fece uso della feccia, delle capigliature ed indi delle scorze,
e, e dalla teologia. Che se con Suida voglia attribuirsi l’invenzione della vera maschera, non ad Eschilo tragico, ma a Cheri
osì dire, con ferro rovente alla presenza di un popolo fiero e geloso della propria libertà. Aureo in tal proposito è il pass
e geloso della propria libertà. Aureo in tal proposito è il passaggio della commedia degli Equiti di Aristofane, in cui si sc
re tal verità istorica con un passo di Eliano, il quale nel ragionare della commedia delle Nuvole in cui compariva il persona
osìa. «Essendo Socrate mostrato sulla scena e nominato tratto tratto ( della qual cosa non è da stupirsi perchè egli era anco
ordate da Giovenale e da Giulio Polluce, appartengono ancora a’ tempi della Nuova commedia. Nè anche queste medesime maschere
more che anticamente mosse i villani a tingersi di feccia. La libertà della Grecia aveva ceduto alla potenza de’ principi Mac
soggiacere al fato di Eupoli e di Anassandride. Per sicurezza adunque della propria vita sacrificarono la verità dell’imitazi
comici avezzati al rispetto verso i principi, e questi renduti certi della totale sommissione de’ poeti teatrali alla loro a
ne diverse, di matrone, di più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata
più di una ruffiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata, di quella che portava l’a
fiana, di due false vergini, della meretrice magnifica, della nobile, della coronata, di quella che portava l’acconciatura de
Giulio Polluce nel libro IV, capo 20. E di questa naturale imitazione della maschera approfittandosi Nerone, si compiacque, a
le Belle Lettere di Parigi, e Metastasio nel capitolo V dell’Estratto della Poetica di Aristotile. a. Si vegga il notissimo
90 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 412
Rosa Salvatore. Fratello della precedente, fu brillante egregio ed egregio carat
Vergnano (recitava questi al Nuovo in Compagnia Pezzana) il vantaggio della voce, della persona, della età ; ambedue amano l’
citava questi al Nuovo in Compagnia Pezzana) il vantaggio della voce, della persona, della età ; ambedue amano l’arte non da
l Nuovo in Compagnia Pezzana) il vantaggio della voce, della persona, della età ; ambedue amano l’arte non da istrioni, ma da
ragionevole e tenero, più che d’un trionfo a carico de'suoi compagni, della totale riuscita di un’azione drammatica. Sennonch
gnano….. (V.). L'incalzar degli anni accennava pur troppo a privarlo della vista, sì che dovette abbandonar l’arte, povero :
91 (1785) Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente « Tomo primo — Discorso preliminare premesso alla prima edizione »
mondo, le massime delle quali consistono nel distrugger i sentimenti della natura per inalzar sulle loro rovine l’idolo dell
irarsi da scioperati da palchetto in palchetto, scoprir nelle regioni della galanteria paesi non per anco tentati, spiar in a
dall’avarizia per consolar tante anime vuote, che non sanno che farsi della propria esistenza) ecco il fine, al quale rivolgo
il numero delle citazioni, e il merito degli autori secondo i secoli della loro nascita, giudicano a un dippresso dell’arte
on resteranno poco né molto commossi dal terribile e magnifico quadro della morte di Didone, ma ti faranno bensì una lunga di
Lazzarini all’Olimpiade del Metastasio, e tel proveranno con un testo della poetica d’Aristotile comentata dall’Einsio, rigua
Dotato di cuor sensibile e d’immaginazione vivace, osservator fedele della natura e degli uomini, ammaestrato ai fonti di Bo
prestito al cuore il suo linguaggio per far meglio valere i precetti della ragione: ora come uno specchio, che rappresenta l
ol gli è d’uopo investigare il legame segreto, che corre tra il genio della nazione e la natura dello spettacolo, tra il gene
ile diviene per lui eziandio l’erudizione, quell’erudizione medesima, della quale l’uomo di genio fa così poco conto, e senza
rico edifizio può alzarsi. Se la simmetria, la vaghezza, e il disegno della fabbrica sono del gusto, sua ne è la raccolta de’
ità, ora aver a tempo e luogo il coraggio di misurarla colla bilancia della ragione: quando apprezzar le particolarità, che s
dove risalire fino ai principi a fine di rintracciar meglio l’origine della perfezione loro, o del loro decadimento. In una p
all’Italia, il quale pel complesso di tutti i piaceri dello spirito, della immaginazione, del cuore, della vista e dell’udit
sso di tutti i piaceri dello spirito, della immaginazione, del cuore, della vista e dell’udito combinati insieme ad agitar l’
società. [9] Avendo bevuto a tali sorgenti, non mi dò il menomo vanto della esattezza e novità delle notizie sulle quali è ap
eggendo i molti e celebri autori che mi hanno preceduto nello scriver della letteratura, ho avuto ocularmente occasione di co
lettore vi troverà ciò nonostante, la storia non affatto superficiale della musica italiana e de’ suoi cangiamenti, come dell
fatto superficiale della musica italiana e de’ suoi cangiamenti, come della tragedia ancora e della commedia con molte rifles
musica italiana e de’ suoi cangiamenti, come della tragedia ancora e della commedia con molte riflessioni sugli altri rami d
agedia ancora e della commedia con molte riflessioni sugli altri rami della poesia, e su altri punti. Debbo avvertire bensì,
comodi, i quali veggendo le altrui fatiche esser un tacito rimprovero della loro dappocaggine, si sforzano di consolar il lor
pe. né vi mancheranno di quelli, i quali, ricorrendo a’ luoghi topici della ignoranza, troveranno nel titolo di straniero una
ocevole agli avanzamenti del gusto di quella che lo sia ai’ progressi della morale il patteggiare coi vizi: ho pensato, che l
on cerimoniosi e mentiti riguardi, figli per lo più dell’interesse, o della paura, ma col renderle senza invidia la giustizia
ppone dall’amor proprio che non possa sostener a viso fermo l’aspetto della verità conosciuta: mi sono finalmente avvisato, c
vanno tastoni nel ragionare del melodramma, ora rilegandolo ai mondi della favola, ora mettendolo tra le cose per sua natura
icura, di gusto mediocre, e di critica infelice impiegò un mezzo tomo della sua voluminosa opera intitolata Storia e ragione
e titoli, che date e nomi d’autori ammucchiati senz’ordine a spavento della memoria, e a strazio della pazienza. Quella noios
’autori ammucchiati senz’ordine a spavento della memoria, e a strazio della pazienza. Quella noiosa nomenclatura vien precedu
solito suo spirito e leggiadria di stile olezzante de’ più bei fiori della propria e della peregrina favella si trovano scri
ito e leggiadria di stile olezzante de’ più bei fiori della propria e della peregrina favella si trovano scritte riflessioni
poggiato sull’esatta relazione de’ movimenti dell’animo cogli accenti della parola, o del linguaggio, di questi colla melodia
ll’esame de’ poeti drammatici. Nel primo, derivando dagl’intimi fonti della filosofia la natura del melodramma, si cercherà d
Ma la riconoscenza delle anime oneste non deve arrestarsi alle soglie della morte.
92 (1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VI « LIBRO VI. Storia drammatica del secolo XVII. — CAPO II. Pastorali Italiane del XVII secolo. » pp. 274-291
lli di Sciro dedicandola al VI duca di Urbino Francesco Maria Feltrio della Rovere. L’autore Guidubaldo de’ Bonarelli (fratel
demici la fecero solennemente rappresentare in Ferrara con un prologo della Notte composto dal cavalier Marini. Un’altra rapp
bblico o in segreto contro di esse; ma queste superiori alle bassezze della timida malignità e dell’arrogante ignoranza poggi
a Filli gode una lunga fama ad onta di alquanti difetti dello stile e della moda già passata delle Pastorali. Forse la critic
sprezzo. Anche circa lo stile la giusta critica non è sempre contenta della Filli, perchè oltre al raffinamento, diciam così,
erò notare che gli accidenti di Celia tirano verso di lei l’interesse della favola più di quello che vien concesso ad un epis
a scena terza dell’atto I, quando la finta Clori gentilmente si lagna della freddezza di lei: Sdegni ch’io ti riveggia? Deh
trovarlo infedele per le di lui medesimo parole. Il disperato dolore della Ninfa si spiega nella prima scena dell’atto IV co
ano sommamente l’azione, che viene nobilitata nel V atto col pericolo della vita di Tirsi, il quale avendo gettati via que’ c
’episodio di Jante ed Alcasto dell’atto I, in cui si spiega l’origine della festa di Arcadia: curioso è quello dell’atto III
per una menzogna, serenato dal disinganno, e felicitato dal possesso della pastorella amata. Vaga nell’atto I è la descrizio
II è la scena in cui Telaira sorella di Filebo vuol renderlo avveduto della inverisimiglianza del racconto fattoli da Nerino.
ramonti che potesse senza manifesto svantaggio sostenere il confronto della Gelopea. L’Alcippo impressa in Venezia nel 1615 g
ggiacere a questa pena. Tirsi il giudice più zelante per l’osservanza della legge, si scopre esser e il padre di Alcippo igno
a bella Clori. I caratteri sono ben sostenuti, e quello singolarmente della finta Megilla ha una nobiltà che incanta. Tutto p
dal Fontanini, ed esaltata da Gian Vincenzo Gravina nel libro secondo della Ragion Poetica. Se ne fecero quattro edizioni sin
lche difetto dello stile può vedersi il V volume delle nostre Vicende della Coltura delle Sicilie. Filippo Finella anche in N
da’ personaggi e soprattutto nell’atto V. Si registrano nel Catalogo della Biblioteca Imperiali due pastorali di un caprajo
ato dalla lettura che nel campo un altro caprajo faceva del Furioso e della Gerusalemme. Forza de’ grandi modelli! Pur troppo
li! Pur troppo è vero: hinc pectore numen concipiunt vates. L’amore della poetica armonia che bevve il Peri in sì bei fonti
i aver composto questa favoletta da recitare in musica nel passaggio della regina di Ungheria per Mantua a. Cesare stesso c
93 (1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO III. Se ne’ secoli XIV., e XV. gl’Italiani ebbero Poesie Sceniche. » pp. 14-19
Drammatica] “nel secolo XIV., se fosse certo ciò che scrive l’Autore della Storia Critica de’ Teatri, cioè che la Poesia Dra
otuto scrivere tali parole chi avesse letto il II. Capo del II. Libro della Storia de’ Teatri? Intanto l’Apologista per confu
to assai alla sfuggita ciò che si narra nelle pagine 189. 190. e 191. della Storia de’ Teatri. Ivi si rapportavano tre Traged
queste TRAGEDIE DEL XIV. SECOLO? Nè anche vide ivi addotta la notizia della Tragedia, a noi non pervenuta, di Giovanni Manzin
a la notizia della Tragedia, a noi non pervenuta, di Giovanni Manzini della Motta, rammentata però in una delle Lettere Latin
al pari del Mussato, una storia nazionale, cioè la caduta di Antonio della Scala Signore di Verona. Chiuse parimente gli occ
dolcissimo Petrarca, ch’egli però non volle conservarci; ma, ad onta della delicatezza di questo grande ingegno, che fu uno
nella quale si rapportano le di lui Tragedie, e di non aver contezza della Commedia ESISTENTE del Vergerio. Ma come compatir
arebbe tale conseguenza, ma vergognosa quella che si tirerebbe contro della vostra onestà. Adunque gl’Italiani possono ben di
ando gli Antichi; il che non tentò verun’ altra moderna nazione prima della Italiana. Ma il Quadrio (osserva l’Apologista) ti
di Carlo Verardi? Fu sacra rappresentazione la Tragedia del Laudivio della morte del Piccinino? Era sacra e rozza rappresent
azioni le Commedie Italiane del medesimo tempo, la Catinia traduzione della Latina di Secco Polentone Lusus Ebriorum, i Menec
Pastorale del Correggio, il Timone del Bojardo, l’Amicizia del Nardi, della quale soltanto dice qualche cosa l’Apologista? Or
e cose co’ poco instrutti, ma non con gl’illuminati, e bene informati della nostra Letteratura, tra’ quali conta forse sestes
Dias, nè delle Mille Tragedie del Malara conservate nella Biblioteca della Luna); e i mal instruiti aveano bisogno di chi gl
94 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 438-443
Biancolelli Caterina, sorella minore della precedente ; la più rinomata servetta del teatro
Fontainebleau Pietro Lenoir de la Thorillière, egregio comico del Re, della Compagnia francese, e continuò a recitar le serve
continuò a recitar le servette alla Commedia Italiana sino all’epoca della sua chiusura che fu il 1697. Le fu offerto allora
di personaggi, senza però mai mutare essenzialmente il tipo primitivo della servetta birichina. Essa è avvocato, attrice, can
orrebbe far risalire al teatro antico ; e il Sand trascrive una scena della Mostellaria, mettendo a raffronto delle serve del
liano la Scafa plautina. Sino alla Colombina del xvii secolo, il tipo della servetta, si chiamasse Colombina, o Nespola, o Fr
civetteria insieme : vero ideale di servetta. Sul proposito a punto della civetteria, Colombina dice a Isabella : Non biso
parate, nelle pantomime. Il Watteau, uno de’ più geniali illustratori della Commedia italiana, del quale verrò riproducendo l
i la Colombina è stata scelta nel Teatro Comico a significare il tipo della servetta, che rimane pur sempre invariato ne’varj
ina, impertinente, civetta, amante o moglie d’arlecchino : ma il tipo della Colombina goldoniana sta a quello della Colombina
lie d’arlecchino : ma il tipo della Colombina goldoniana sta a quello della Colombina gherardiana, press’a poco, come la cive
ese, sia nella forma, sia anche nella sostanza. Nel maggiore sviluppo della Commedia italiana, alcuni tipi rimasero pressochè
del Castelvecchio le finezze d’espressione, d’intonazione, di dizione della Daria Cutini-Mancini, benchè già fuor dell’arte,
i, benchè già fuor dell’arte, può ben essersi fatta una idea chiara e della importanza di quel ruolo, e del valore di chi lo
hi-Paladini, le Romagnoli, le Cutini spariron dalla scena, e il ruolo della servetta fu a poco a poco ingoiato dalla prima do
95 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO VII. Della vera commedia Francese e dell’Italiana in Francia. » pp. 144-176
mici, cadete nella sempre riprensibile alleanza del pianto e del riso della commedia lagrimante che distrugge l’unità dell’in
ra. Adunque quest’ultima specie di commedia presenta tutti i vantaggi della sensibilità posta in tumulto nelle favole lagrima
o tragico, i gran delitti, i patiboli. La commedia tenera si contenta della sobria piacevolezza che risulta dalla pittura com
che, e fa vedere che la commedia lagrimante è l’abuso e la corruzione della nobile e gentile commedia tenera. Guai al pedante
icolo agli occhi de’ pregiudicati suoi amici col mostrarsi innamorato della propria moglie, incorre nell’altro di voler pales
ezza che esige un amor colpevole, e con ciò cagiona le tenere lagrime della consorte, quest’ argomento, dico, è un vago innes
renti, di tenerezza e di piacevolezza comica, che manifesta il pregio della commedia tenera. A torto contro di questo genere
i fu accolta troppo favorevolmente. L’azione è più semplice di quella della Pamela: ha di più il merito di essere bene scritt
inte delicatamente: lo scioglimento avviene senza la gran rivoluzione della condizione della fanciulla; perchè Nanina al più
e: lo scioglimento avviene senza la gran rivoluzione della condizione della fanciulla; perchè Nanina al più si trova figliuol
ior forza nella Pamela: il contrasto nel cuore di Milord dell’amore e della nobiltà più vivace e teatrale: i costumi Inglesi
Parigi nel 1709 è uno de’ Francesi che hanno ritenuta la giusta idea della comica giovialità, resistendo alla seduzione del
esoriere di Francia, il più severo, valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e della commedia piangente. Eg
severo, valoroso ed ingegnoso oppugnatore della tragedia cittadina e della commedia piangente. Egli nella sua dissertazione
ommedia piangente. Egli nella sua dissertazione inserita nel tomo III della raccolta della sua Accademia della Roccella conch
te. Egli nella sua dissertazione inserita nel tomo III della raccolta della sua Accademia della Roccella conchiude dicendo ch
issertazione inserita nel tomo III della raccolta della sua Accademia della Roccella conchiude dicendo che “se in una commedi
farle spandere”. Al contrario non la comprese l’autore de’ Tre Secoli della Letteratura Francese, che non ammette altra speci
zio, ed anche spirito comico, benchè non possa sostenere il confronto della piacevolezza di Regnard, non che dello stile e de
on a torto desiderava che il protagonista avesse un tuono più proprio della gente nobile. Il Filosofo maritato presso il mede
da una favola Inglese. In generale Des Touches è uno de’ buoni comici della Francia, e qualche sua favola riesce dilettevole,
e sue strettezze a scriver troppo, mostra nelle sue favole l’ effetto della precipitazione. Non si dovea stampare tutto ciò c
za: lo stile conveniente e spiritoso senza sforzo e senza pregiudizio della naturalezza: la versificazione ha tutta l’armonia
e di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevè gli elogj de’ più noti poeti della Francia, e varie dichiarazioni di amore in versi:
a ridicolezza comune a tutte le nazioni culte di far versi a dispetto della natura, il quale argomento fu infelicemente tratt
la rendeva vezzosa, i seguenti scrittori: Giovanni Campistron autore della buona commedia il Geloso disingannato rimasta al
ro; le Sage nato a Ruys in Brettagna nel 1677 e morto nel 1747 autore della graziosa commedia di Turcaret, e della piacevole
l 1677 e morto nel 1747 autore della graziosa commedia di Turcaret, e della piacevole commediola di Crispino rivale del padro
ti, ma pregevoli pe’ caratteri bene espressi. Gresset d’Amiens autore della graziosa novelletta le Vert-vert, dopo aver dato
la commedia del Méchant il merito d’un vivace colorito ne’ caratteri, della buona versificazione e di uno stile salso ed eleg
vventure romanzesche sforzate. La Bacchettona, ovvero la Custoditrice della Cassetta tratta da una favola inglese è parimente
ua e di buon cuore ed anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima e male della seconda, ed al fine a stento s
ed anche ad un uomo candido, il quale giudica bene della prima e male della seconda, ed al fine a stento si disinganna per op
to parlar gergone a lui proprio. Antonio Bret nato nel 1717 scrittore della Vita di Ninon l’ Enclos si esercitò pure nel gene
si trova questo giudizioso avviso a chi crede aver motivo di lagnarsi della leggerezza donnesca, Le bruit est pour le fat,
placata. Carlo de Montenoy Palissot nato in Nansì l’anno 1730 autore della Dunciade francese compose due drammi comici. L’av
al qual travaglio volendo noi mostrarci grati abbiamo fatto menzione della sua tragedia per conservarne almeno il titolo. So
La contessa di Genlis ha composti due Teatri, l’uno per l’educazione della gioventù, e l’altro di società, ne’ quali si preg
citata in Parigi nel 1787 può animare la gioventù a ricalcare le orme della buona commedia e a ricondurre in Francia il socco
i Moliere in versi e in tre atti che serve solo a rinnovare il dolore della perdita di quell’ingegno raro; la Giovane Sposa i
rigi. Il pubblico però benchè non pago delle loro favole compiacevasi della buona condotta, dell’urbanità e del rispetto che
ell’arlecchino; e quindi nacque un genere di commedia che partecipava della francese e dell’ italiana istrionica. In tal gene
nt-Foix, e poi l’attore Favart e l’abate Voisenon, e tra gl’ Italiani della stessa compagnia Domenico Romagnesi, Riccoboni, F
discepolo di Moliere Michele Baron nato nel 1653 e morto nel 1729, e della mirabile attrice Adriana Le Couvreur, sia andata
generando. In fatti il sig. Eximeno nel suo libro Origine e progressi della Musica afferma che i commedianti (Francesi) pajon
tori Francesi a voce bassa borbottando, quando compariscono dal fondo della scena, e declamano più sonoramente quando si acco
profferite con vivacità conveniente giungeranno meno sonore dal fondo della scena, e più spiccate a misura che si avvicini l’
il comodo di chi ascolta colla verità dell’espressione, è la madrigna della natura. Si situano (aggiugne) mostrando il profil
fettazioni degli attori nazionali i Francesi di questo tempo. “L’arte della declamazione (dice uno di essi ironicamente) si è
utta l’ azione”. M. Clement nelle sue osservazioni critiche sul poema della Declamazione teatrale di M. Dorat scrive ancora:
o nel 1775 animata dalla musica del celebre nostro Sacchini, ed anche della traduzione dell’Olimpiade pure rappresentata coll
96 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 69-70
olto applaudire e come attrice e come cantante. Destata poi l’invidia della prima donna della compagnia, artista provetta, ma
come attrice e come cantante. Destata poi l’invidia della prima donna della compagnia, artista provetta, ma già vecchia, non
anno citate più specialmente quelle di Cleri nel Disertor francese, e della protagonista nella Gabbriella di Vergy, in cui la
fu grandissima nel dramma. E tuttavia nel vigore degli anni, al colmo della gloria, più che circondata, assediata dal favore
spirito, a istillare in due suoi figliuoletti, le massime più austere della virtù sociale e spirituale. E l’altra non meno
l suo buon volere che fa tutti i sforzi possibili per renderla capace della sua professione, ma la meschina non è nata per la
sono a profusione le lodi per l’incomparabile artista. Delle qualità della donna egli discorre così nella lettera dedicatori
e col suo contegno ; che del medesimo nulla serbate, nell’ozio grato della vostra vita presente ; che alla vivezza dello spi
atire ; che ne' divertimenti co' quali il secolo invita la freschezza della età vostra, mantenere sempre sapete la decenza mu
97 (1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO V. Tragedia Francese nel secolo XVIII. » pp. 75-133
i in Italia, e perdendosene le tracce nelle Spagne per l’intemperanza della scuola Lopense, mentre Cornelio e Racine l’ inalz
mentre Cornelio e Racine l’ inalzavano in Francia sì presso al punto della perfezione, una folla di loro imitatori seguendog
avea scoperto il miglior cammino e prodotto l’Atalia, il capo d’opera della tragedia francese, senza avvilirla colla galanter
ima di depurarle del tutto, e la scena francese dopo di lui si riempì della morale dell’opera di Quinault27. Alcibiade (aggiu
asj, de’ Pergolesi, suole essere seguita da una numerosa oscura prole della nojosa mediocrità. Ma la natura ha bisogno di rip
periodo non per tanto qualche buon talento mostrò d’intendere l’arte della tragedia senza appressarsi a’ gran modelli. Giova
ella poesia tragica Riouperoux autore di un’ Ipermestra: La Fosse che della Venezia salvata di Otwai formò il suo Manlio Capi
o Manlio Capitolino trasportando agli antichi Romani il fatto recente della congiura di Bedmar contro Venezia, e che compose
romanzesco e tralle altre un Amasi rappresentato nel 1701, argomento della Merope trasportato nell’Egitto, in cui anche regn
esi volendo rimediare Longepierre compose una Elettra tutta sul gusto della greca tragedia, semplice, senza episodj, senza sf
ò. I Francesi si confermarono nella credenza di esser passata la moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’
a moda della greca semplicità, attribuendo al gusto di essa l’effetto della debolezza del Longepierre. In tale stato trovavas
virtù eroica è personaggio ozioso sino all’ atto quinto. La condotta della favola merita riprensione per certi racconti inte
oliloquio puramente narrativo, e per la poca corrispondenza del tempo della rappresentanza con quello degli evenimenti. Lo st
tanza con quello degli evenimenti. Lo stile del Romolo si risente più della precedente del difetto generale delle tragedie fr
o dal padre del teatro francese, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete che con rincrescimento si
a greca dell’inverisimile ignoranza di Edipo intorno alle circostanze della morte di Laio. Egli però ne tolse ogni utilità co
in Castiglia dal Bermudez e da Mexia de la Cerda, benchè al cospetto della Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile
è al cospetto della Inès francese spariscano tutte le altre. Lo stile della Inès generalmente è migliore di quello del Romolo
o ancora notarvisi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie della scena e della passione. In compenso i suoi caratt
visi varie allegorie, apostrofi, perifrasi poco proprie della scena e della passione. In compenso i suoi caratteri mi sembran
edia che ne porta il nome: il suo Pirro è più grande ancora del Pirro della storia: grande, feroce, malvagio, ambizioso e pol
ato come virtuoso. Egli, non sapendo se Ninia viva, machina la rovina della propria sorella, cui, mancando il di lei figliuol
o dalla storia alla famosa conquistatrice reina degli Assirj. A vista della manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi cos
’amistà dell’ altro dottissimo gesuita Brumoy gl’ inspirarono l’amore della bella letteratura greca e romana; le opere del Cr
letto l’Edipo di Cornelio33, contando appena nel 1718 anni diciannove della sua età34, quando scrisse e pubblicò il suo Edipo
ro M. de la Motte. Ci basti dire che Voltaire conservò molte bellezze della greca tragedia, che non seppe scansarne alcune du
greca tragedia, che non seppe scansarne alcune durezze nella condotta della favola, e che l’amoroso episodio di Teseo e Dirce
batista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna, che fu l’origine della lunga contesa ch’ebbe con lui il Voltaire. La Mar
e la scena seconda dell’atto V, in cui ella posta nel maggior rischio della sua vita sdegna di seguir Varo che vuol salvarla.
i personaggi alla francese. In fatti i Tartari e i Cinesi dell’Orfano della Cina, gli Arabi Musulmani e gl’ idolatri del Fana
a il padre a lasciar di regnare. Egli ha migliorato anche l’artificio della parlata di Antonio, facendo portare per ultimo co
e nozze, sembra che la di lei morte non possa concepirsi come castigo della sua passione. Intanto questo quadro felice intere
a’ componimenti giustamente applauditi? Nondimeno la lettura riposata della tragedia toglie alla critica tutta la forza. Zair
rito di essere stata la prima a mostrare sulle scene francesi i fatti della nazione. Shakespear ha preparata la materia della
ne francesi i fatti della nazione. Shakespear ha preparata la materia della Zaira colla tragedia di Othello. Un eccesso di am
a Maria Vermejo. Riscuoteva da circa due lustri gli applausi concordi della più culta Europa la Merope del marchese Maffei, q
per la Merope del Maffei. Comunque ciò sia egli si valse del migliore della tragedia italiana, ma cercò di accomodarla meglio
Il nome che non combina, non basta a metterla nello stato di certezza della morte del figlio, potendovi essere diversi possib
l vecchio che impedisca l’ esecrando sacrificio di un figlio per mano della stessa madre che pensa vendicarlo. In tal tragedi
lcuna di tali riflessioni non isfuggì al dotto Calepio, e e mal grado della di lui parzialità per la Merope Volteriana non po
r la Merope Volteriana non potè lasciar di dire che nel miglior punto della passione rimane una fantasima, una chimera. Ciò d
belle arti e alla gioventù coprendo di fiori i loro difetti. L’epoca della pubblicazione e rappresentazione del Fanatismo o
dell’ atto IV di Zopiro con Seide e Palmira e singolarmente la quinta della riconoscenza, la quale se non è nuova, almeno avv
rappresentazione quella di uno scellerato felice e trionfante a spese della virtù disgraziata. Voltaire stesso soddisfece a q
figge d’ inspirare tutto l’abborrimento pel fanatismo, il quale abusa della religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti
ella religione e toglie l’orrore a’ più atroci delitti in pregiudizio della virtù. Il frutto morale dunque di questa tragedia
agedia è manifesto essere il prevenire gl’ incauti contro l’illusione della superstizione; e per conseguenza la di lei erappr
rice delle Instituzioni di Fisica secondo la filosofia di Leibnitz, e della traduzione de’ Principj di Newton, la quale termi
l fine a cui siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza della virtù della religione Cristiana che consiste nel
siesi elevata la tragedia, cioè mostrare quanto la forza della virtù della religione Cristiana che consiste nel perdonare ed
sempre in compenso vi trionfano l’umanità, l’orrore al vizio, l’amore della virtù. Alzira, Zamoro, Gusmano ed Alvaro sono per
Voltaire, e le situazioni tragiche vi si veggono animate dalla pompa della decorazione. Tutta l’azione però è fondata sull’a
zione dello spettatore, ma inferiore a fronte dell’interesse politico della tragedia nazionale di Eschilo. Soffre poi l’ombra
no alla presenza de’ principi, de’ satrapi, de’ maghi e de’ guerrieri della nazione, riesce così poco credibile al nostro tem
’arcano? Il poeta si è perduto nel suo piano, e dà la più atroce idea della divinità. V Tutte le situazioni tragiche non hann
e non hanno un solido fondamento. Qual sicurezza ha Ninia del delitto della Madre? La lettera di Nino moribondo a Fradate, no
dal Dolce, dal Shakespear, dal Conti, dal Maffei, pensò all’argomento della Semiramide o per la celebre tragedia del Manfredi
mi atti deludono le speranze che fanno nascere i precedenti. L’Orfano della China rappresentata nel 1755 non è la stessa azio
o troppo poco si sforza di sapere con distinzione l’apparente delitto della figlia; ella mal si difende; i Giudici non mostra
ds du Midi, du Nord & de l’ Aurore. Nobile e propria de’ tempi della cavalleria è pure il bell’ orgoglio di Amenaide n
viluppo romanzesco, ma non si sostenne che l’ Amasi che è l’argomento della Merope. Guymond de la Touche nato nel 1729 e mort
de di credito nella lettura per lo stile duro e scorretto. Il maestro della Poetica Francese M. de Marmontel più volte si pro
si da tanti secoli? Che rappresentarono i Greci se non gli evenimenti della loro storia? Che i Latini stessi nello Scipione d
ntano sotto la di lui penna dispregevoli e piccioli. L’Orazio Coclite della Francia, il famoso Bajardo detto il Cavaliere sen
e aspirava alla gloria di tragico, avea ben false idee dell’eroismo e della virtù. Ma se egli travide nel dipingere gli eroi
ne maneggiata con gravità tragica o almeno con intelligenza e pratica della scena41? Noi abbiamo accennato queste poche cose
gra la fama dell’ Avogadro formandone un basso traditore e un mezzano della propria figliuola, e con documenti istorici che a
frire, al dir del cardinal Bembo, desiderano tornare sotto il dominio della repubblica. Il conte Luigi viene particolarmente
mbara natogli di una Francese, implora la giustizia de’ nuovi padroni della città, non è ascoltato. I mali pubblici e le priv
l’ Avogadro un ribelle, cioè un suddito oppresso che non ha la virtù della tolleranza, e che disperando di ottener giustizia
stessa cosa essere in questa forma ribelle, che scellerato, ruffiano della figliuola, traditore di Bajardo e Gastone, e vile
uesto Avogadro dipinto sì neramente è figlio legittimo di Belloy, non della storia. Le scelleraggini, le infamie, gli assassi
e l’esattezza consiste in osservare che ciò non si dica dallo storico della vita di Bajardo, dando tutto il peso di una pruov
non dovè egli dubitar vivendo! Du-Bos che ignorava molto meno di lui della storia, narrò ciò che si trova dagli storici rife
Dalla più ragguardevole. L’assassino, l’infame, il poltrone Altemoro della tragedia si dice essere il principe d’Altamura Na
Cattolico, al marchese di Pescara? E qual parte ebbe questo Scipione della storia moderna nelle furbesche trame uscite dal c
colla maggiore indegnità, come mostro, come carnefice? Essendo amico della Francia avea quel pontefice desiderato che il fam
non rimangono che i nomi, mancando loro la nota del genio, l’armonia della versificazione, la correzione del linguaggio e la
ll’amore. La Chapelle fece anche una Cleopatra non lontana dal merito della sua Merope. 29. Feu M. de la Motte (diceva Volt
ente che il tetro e forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira, della Merope e della Zaira. Crebillon batteva un sentie
ro e forte non è il carattere dell’autore dell’Alzira, della Merope e della Zaira. Crebillon batteva un sentiero ben differen
40. Voltaire lo motteggiò nella sua satira le Pauvre Diable, e della di lui Didone disse: Le quel jadis a brodé que
secondo il Bembo. 47. Principi d’Altamura furono in regno i signori della famiglia del Balso già estinta nel principe Pirro
98 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » p. 328
le parti ingenue, il 1814, nella Compagnia di Elisabetta Marchionni, della quale eran parte il padre e la madre. Nel 1819 so
cietà col Meraviglia. Con gli insegnamenti del padre, del Domeniconi, della Marchionni, con la fermezza della volontà, e la s
gnamenti del padre, del Domeniconi, della Marchionni, con la fermezza della volontà, e la squisitezza dell’ingegno potè in br
Zocchi, si unì in moglie ad Antonio Colomberti il primo attor giovine della Compagnia, col quale passò poi, il ’28 e ’29, in
invece per la Colomberti. Fu poi la prima donna e prima donna giovine della Compagnia formata da Carolina Internari in societ
vorno, e colà sgravatasi d’un bambino, fu colta da febbre d’infezione della quale morì, non ancor tocco il trentesimo anno de
99 (1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » p. 125
Miani Rinaldo. Veneziano. Dall’ arsenale della sua patria, dov' era impiegato, passò a recitar l
embre del '97, una sua azione spettacolosa, intitolata il Gran Torneo della Grecia, ch' ebbe una replica. Miani Anna. Nacque
r impararvi il mestiere, ma, educata alle scene, nella filodrammatica della città, dall’ ex-artista drammatico Zuccato, fuggì
casa, dopo la morte del padre (1836), per sottrarsi alla risoluzione della madre che volea far di lei una istitutrice, e si
l quale recitò, dopo la Carolina Santoni che l’aveva creata, la parte della protagonista nella Maria Giovanna. Abbandonò dopo
ietro, ove tranquillamente visse fino al 18 dicembre del 1888, giorno della sua morte.
100 (1772) Dell’opera in musica 1772
i all’istituzione de’ loro concittadini» (VII.III.18). Se c’è un eroe della storia — eroe musicale non politico — questi è, o
ente provato in mezzo a una delle più brillanti corti d’Europa. Parlo della corte di Vienna, nell’aulico teatro della quale f
lanti corti d’Europa. Parlo della corte di Vienna, nell’aulico teatro della quale fu menata la mentovata Alceste del dotto Ca
e Cristoforo Gluck. Questa musica è sì conforme all’idea qui espressa della musica teatrale, ch’io, osservata così ben intesa
proprie parole di questo dotto maestro quanto abbiamo fin qui esposto della musica teatrale, e di accattare a me credito con
sono i «precetti» cui il critico allude (segue la citazione integrale della celebre Dedicatoria al Granduca Leopoldo per l’Al
tutte le sillabe ancora di ciascuna parola» (III.III.8); la tirannia della musica sulle parole, del suono sul senso finiva c
cino a morte, si mettesse a notomizzare con elegante arguzia i motivi della volubilità umana: «Se una persona arsa di sdegno
eminate a piene mani dall’artista, non dovevano mai smarrire la guida della Ragione e della Natura, queste due inseparabili d
mani dall’artista, non dovevano mai smarrire la guida della Ragione e della Natura, queste due inseparabili dèe che vegliano
storia. Il libro, s’intende, non è tutto qui, nell’arringa in favore della riforma Calzabigi-Gluck. Le intenzioni dell’autor
sventura che possa avvenire a uno stato» (Prefazione, 6). A sostegno della tesi, cui il critico cerca riscontri dappertutto
rinuncia a un tentativo di disamina fisiologica intorno agli effetti della musica sulle fibre umane: la fonte è autorevole,
ome altrettante corde di uno strumento (quel che ai bruti, in ragione della differente ‘macchina’, non accadrebbe): «noi sper
hé nell’ascoltare un suono soffriamo talora un tremore in alcun luogo della nostra macchina. Dunque i nostri nervi hanno anch
rofitto» (III.I.5). In realtà, non tutto gioca a favore dei moderni e della loro grande sapienza formale. Planelli è infatti
coerente funzione educativa e parenetica, anche in termini militari, della musica nel mondo classico. Si tratta di idee molt
stato del resto questo il principio ispiratore dei colti classicisti della Camerata dei Bardi? Ecco allora l’elogio della me
dei colti classicisti della Camerata dei Bardi? Ecco allora l’elogio della medietas espressiva, con l’invito, nel canto, a e
o intendo l’arte d’esprimere co’ moti del corpo e colla modificazione della voce, i diversi sentimenti che si vogliono comuni
pel canto, né per la pronunziazione» (IV.II.8). Sugli usi e gli abusi della vocalità Planelli si sofferma a lungo: «deve in p
nto deve essere in ogni parola intellegibile e «far sentire il numero della poesia, e non dar nel farnetico d’alcuni, che si
(IV.II.15: a sfida un cantante aveva detto d’aver intonato «un pezzo della gazzetta corrente, senza che persona se ne avvede
ndri, gli scipioni, i cesari delle nostre scene dispongono del destin della terra con una voce che muove invidia nelle italia
richiamo delle incantatrici e degli incantatori. Le leggi inesorabili della verosimiglianza valgono anche per la scenografia.
i tutta italiana, di Ferdinando Galli Bibiena, dei suoi discendenti e della sua scuola; e dispensa le solite raccomandazioni:
Vienna di Noverre, Gasparo Angiolini, sodale di Gluck): «il patetico della danza consiste nell’imitazione di que’ movimenti
esse di osservazioni teoriche e pratiche sull’effettivo funzionamento della macchina musical-teatrale si concluda con un plai
ella macchina musical-teatrale si concluda con un plaidoyer in difesa della moralità del teatro. Planelli veste i panni di un
(il libretto): «procurerà in esso che i personaggi non parlino troppo della divinità, né (ove sieno pagani) secondo la grosso
stenda lunghe note di facile erudizione per richiamare passi di padri della Chiesa e di moderni prelati e vescovi che avevano
issimi oggetti; perché gli guarda come una delle più possenti cagioni della perfezione o della decadenza delle belle arti, de
ché gli guarda come una delle più possenti cagioni della perfezione o della decadenza delle belle arti, della formazione o de
possenti cagioni della perfezione o della decadenza delle belle arti, della formazione o del corrompimento del publico costum
no ancora ad avere un teatro. È lo stato delle belle arti un articolo della maggiore importanza per la felicità e ’l lustro d
l costume delle nazioni. Le rappresentazioni tragiche, in cui i poeti della Grecia poneano nel più terribile aspetto la tiran
lla per volgere a lor talento gli animi de’ loro popoli. Degno perciò della comun riconoscenza è quel savissimo magistrato, i
stume, direzione in cui consiste il più sacro e il più augusto dritto della sovranità, e allontana da’ teatri qualunque rappr
peterci quello che tante volte e da tanti secoli ci è stato insegnato della tragedia antica, della commedia, del dramma rusti
e volte e da tanti secoli ci è stato insegnato della tragedia antica, della commedia, del dramma rusticale, e d’altrettali dr
qualunque altro è capace d’influire nel progresso delle belle arti e della publica costumatezza. Pure una sì nobil materia,
M. con pronto compiacimento può dare all’illustre autore il permesso della stampa, perché in tutta l’opera si scorge quest’u
ova dell’antichità delle opere in musica ne somministrano gli statuti della Compagnia del Gonfalone16. Fu questa congregazion
ituita in Roma nel 1264 per principal fine di rappresentare i misteri della passion del Signore, la qual rappresentazione fu
e decorazioni17. E poiché il principale intendimento dell’istituzione della prefata compagnia fu, come dicemmo, di decentemen
oli d’ignoranza divenuta imperfettissima, particolarmente nella parte della poesia, ciò è del dramma. [Sez.I.1.0.8] Erano qu
altra storia, vite, vangeli; e denominazioni anche più strane, colpa della barbarie de’ tempi, qualche volta ancora sortiron
tare e a cantare que’ melodrammi27. [Sez.I.1.0.10] La prova maggiore della bellezza verso cui procedeva in quel secolo l’ope
0 rappresentati avanti al granduca. Nel 1595 pose in musica Il Giuoco della Cieca, altro dramma della Guidiccioni, e nel 1600
granduca. Nel 1595 pose in musica Il Giuoco della Cieca, altro dramma della Guidiccioni, e nel 1600 la Rappresentazione d’ani
ivano alla vaghezza del nostro spettacolo, non si potea dir lo stesso della poesia. E quantunque fin da’ principi del secolo
endo che i melodrammi allora usati molto si allontanavano dalle leggi della drammatica, confortarono Ottavio Rinuccini a tess
sfacesse. In questo senso ancora l’Harvey è riguardato come inventore della circolazione del sangue. [Sez.I.1.0.20] Non pote
ove questa perfezione consista. [Sez.I.2.0.2] In qualunque opera, sia della natura o dell’arte, perfezione appelliamo l’unifo
era, sia della natura o dell’arte, perfezione appelliamo l’uniformità della tendenza delle parti a un fine medesimo. Così per
ol riflettere che la parte predominante di questo spettacolo è quella della poesia. Il che è sì vero, che tra tutte le altre
teriore che ne usurpa: come un ritratto, a cui si attribuisce il nome della persona, onde imita l’esteriori fattezze. Così an
ice avvenimento facendo prorompere altri in voci d’allegrezza, alcuni della lieta adunanza, per dare maggior risalto a queste
la musica e la danza, si vagliono di mezzi naturali, come del colore, della figura, del suono, i quali la natura medesima ado
l suono, i quali la natura medesima adopera, quando voglia avvertirne della presenza di qualche obbietto, o l’un dall’altro v
sentimento ch’io pruovo è il diletto col quale l’armonia de’ versi e della rima cattivasi il mio udito: ma a questo ne succe
e mettono nelle opere loro: il che esser vero, chiaro apparirà quando della simmetria si sia formata una distinta nozione. Si
aglianza di due lunghi sermoni, come fa di quella de’ due primi versi della Gerusalemme Liberata? La seconda regola è di adop
one si rende oscura a’ sensi, e più scema per conseguenza la bellezza della loro simmetria. Onde avviene che la simmetria più
e doppia, sarà più piacevole di quella che dalla tripla, e questa più della seguente, e così in avanti, per vigore della seco
lla tripla, e questa più della seguente, e così in avanti, per vigore della seconda regola. Perciocché quando più questa ragi
voli simmetrie. Tuttavolta, siccome non tutti i sensi sogliono essere della medesima acutezza in un uomo, perciò spesso avvie
persona esercitata nell’architettura, alla prima occhiata si accorga della ragione di due architettonici membri, ma non se n
. Un simile artificio prescrive la poesia per la sonorità del verso e della rima, e da questo artificio stesso dipende la mel
lla rima, e da questo artificio stesso dipende la melodia e l’armonia della musica, siccome altrove si mostrerà. Né solamente
i mostrerà. Né solamente l’estetico di tali facultà, ma quello ancora della natura prende origine dalla simmetria. Bello in e
de origine dalla simmetria. Bello in effetti è un volto, se l’altezza della fronte, quella del naso, quella dello spazio comp
spazio che un occhio divide dall’altro, la larghezza del naso, quella della bocca (non compresavi la ripiegatura dell’estremi
i questi spazi sieno tra le medesime parallele compresi; se l’altezza della fronte sia il doppio della sua ampiezza e quella
medesime parallele compresi; se l’altezza della fronte sia il doppio della sua ampiezza e quella del volto intero il triplo
o della sua ampiezza e quella del volto intero il triplo dell’altezza della fronte; se la lunghezza d’un ciglio sia una volta
correndo per gli altri membri, siccome insegnano coloro che scrissero della simmetria del corpo umano. Da’ quali si può appre
l’ascoltare per esempio un poetico verso il mio spirito s’accorge che della totalità di quello egli può, se vuole, venire in
che della totalità di quello egli può, se vuole, venire in cognizione della grandezza di ciascuno de’ piedi che lo compone: p
rciocché in questo il verso differisce dalla prosa, ch’egli per mezzo della cadenza fa sentire la grandezza e ‘l numero delle
arti. Nell’ascoltar poi un seconde verso, questo gli riproduce l’idea della misura del primo e di tutti i suoi piedi. Al cont
ncora in un ordine d’architettura egli gode in avvedersi che ciascuna della parti contiene come in compendio la misura di tut
allo egli può facilmente dedurre quella di ciascuna sua parte, quella della colonna e di ciascuna ancora delle sue parti, e d
e di ciascuna ancora delle sue parti, e dell’architrave, del fregio, della cornice, e sì pure quella di tutti i piccioli mem
tti in simmetria: questa seconda idea come più feconda, più diletterà della prima. Non mi si opponga che niuno nel mirare la
sì fatte idee troppo cariche di simmetrie cagionerebbero allo spirito della fatica, o, che vale il medesimo, del dolore; onde
o al suggetto che si vuol presentare, fanno che lo spirito si avvegga della finzione. Insomma il piacere patetico cagionato d
e il cammino ch’esse debbono tenere, dappoi che si sarà veduto quello della poesia. Cap. I. Dell’estetico del melodramma
l’estetico del melodramma § I. Quali sieno i fonti dell’estetico della poesia [Sez.II.1.1.1] Sono gli uomini dalla na
che campeggi nelle opere nostre. [Sez.II.1.1.2] Di qui è che i padri della poesia, nel dispone le loro locuzioni, altro prim
vi co’ lunghi alternando. [Sez.II.1.1.3] Tal fu l’artifizio de’ padri della poesia, massime della metrica, cioè di quella ond
do. [Sez.II.1.1.3] Tal fu l’artifizio de’ padri della poesia, massime della metrica, cioè di quella onde l’estetico consiste
ome fu la greca e la romana. La poesia, in quanto è metrica, è spezie della musica metrica, che considera le durate de’ suoni
re, de’ tamburi), la quale altra bellezza non ha che quella che nasce della ragione, che passa fra i tempi delle percosse di
ngua d’alcune nazioni non distingueva tanto la brevità e la lunghezza della sillabe, quanto i tuoni di esse, cioè l’acutezza
delle altre colte lingue viventi. Siccome la poesia metrica è spezie della musica metrica, così la poesia armonica è spezie
trica è spezie della musica metrica, così la poesia armonica è spezie della musica armonica, la quale considera l’acutezza e
nasca da questa differenza di tuoni allora appieno s’intenderà quando della musica armonica si sarà ragionato. [Sez.II.1.1.5]
ne debba alla loro brevità e lunghezza. Intendo solo che la bellezza della prima più dipendea dal tempo che dal tuono delle
r di quanto la musica d’un gravicembalo, d’un violino è più pregevole della musica d’un timpano, d’una nacchera, di tanto la
timpano, d’una nacchera, di tanto la poesia armonica è più pregevole della metrica. Tanto più che gl’inventori della poesia
ia armonica è più pregevole della metrica. Tanto più che gl’inventori della poesia armonica introdussero in questa una nuova
amma [Sez.II.1.2.1] Come da questi cinque fonti derivi l’estetico della poesia italiana, i nostri maestri di poetica il d
erti, di Claudio Tolomei e di quegli altri autori de’ versi, e regole della Poesia nuova (uomini per altro letteratissimi), i
mi), i quali si affaticarono d’introdurre nelle poesia nostra i metri della latina, non accorgendosi che la diversa indole de
i dell’italiana poetica più attenzione avessero accordata alle regole della distribuzion delle lunghe e delle brevi, è solo p
guali esso adoperi, e qual uso far vi si debba del tuono, del tempo e della rima nelle sillabe che quei versi compongono. E p
si possono incontrare. Tuttavolta i più notabili sono l’accento acuto della penultima sillaba de’ versi piani, e un altro che
ro, o non mai nelle arie loro unirono versi ineguali, privando queste della bellezza che quella ineguaglianza, ove sia ben co
tarda, È la più barbara. La peggior morte. [Sez.II.1.2.23] E fin quì della mescolanza de’ versi ineguali. Avvertiremo però,
di brevi, colla cortezza loro (la quale fa spesso sentire il ritorno della simmetria) sogliono riuscire ameni, e però poco a
lasse degli affetti piacevoli. [Sez.II.1.2.32] Mi rimarrebbe a parlar della rima. Ma di questa non si possono assegnar regole
iolti e tal altra rimati. Nell’unione di questi due versi, e nell’uso della rima, il poeta non è noiato da alcun precetto; e
regole che riguardano il patetico del melodramma sono quelle medesime della tragedia; né di proprio esso ne ha che pochissime
Aristotile insino a noi, per gli tanti scienziati uomini che le leggi della tragedia insegnarono. La qual ripetizione, comech
gedia insegnarono. La qual ripetizione, comeché scusabil fosse in chi della tragedia in generale impreso avesse trattato, non
tutta sta in poche mutazioni fatte alle leggi di questa, per ragione della diversità che passa tra’ nostri costumi e quelli
e le leggi appartenenti all’unità del luogo, all’esito tristo o lieto della favola, al carattere del protagonista, al numero
omenta ciò ch’essa fu) lo conferma Aristotile, il quale nel Capo XIII della Poetica confessa che le migliori tragedie si aggi
po rigorosa unità di luogo. [Sez.II.3.0.4] Vero si è che la mutazione della scena tende ad estinguere l’illusione nell’animo
lo avea trasportato. Nondimeno la novità, la maraviglia, la bellezza della sostituita scena ripara incontanente al disordine
enzione del popolo e inebriando la sua fantasia. Insomma la mutazione della scena è un male; male però prudentemente adoperat
erato per ovviare a un altro anche maggiore, poiché l’interrompimento della drammatica illusione non dura che un momento. Ma
rosa unità offende, talora irreparabilmente, il costume e la condotta della favola, vale a dire le più essenziali qualità che
ragedie, che di essa rimangono, spirano da per tutto questo carattere della nazione: essendo i personaggi di quelle magnanimi
ntazione alcuna; da che noi non sentiamo troppa compassione e terrore della sciagura d’un tristo meritevolmente punito, e mol
personaggi, ed esortando a sostenere in pace i sopportabili incomodi della sua condizione, col mostrar la grandezza sottopos
lodramma, le quali efficacemente ci persuadono ad entrare nel cammino della virtù, che veggiamo dalla provvidenza sì dichiara
oro una musica cianciosa troppo e snervata. Nondimeno questi lodatori della sola antichità poteano pur riflettere non esser q
eglino degneranno d’un’ occhiata ciò che nella citata sezione diremo della musica teatrale, io spero che in avvenire non odi
ltro contenere che le formole, diciam così, del dolore, dello sdegno, della tenerezza, della disperazione, del timore o di ta
e le formole, diciam così, del dolore, dello sdegno, della tenerezza, della disperazione, del timore o di tal altra passione.
. L’aria che termina queste scena avrebbe dovuta essere il linguaggio della costernazione del medesimo protagonista, come in
li o vere, se ne fa un capitale per cantarsele a casa». La fievolezza della ragione mostra abbastanza di qual valore sia quel
arie? Ma il poeta non dee consumare nel recitativo gli estremi sforzi della passione. Questa vuol nascere e sollevarsi nel re
l loro stato: che perdita per lo teatro! Quante volte que’ capolavori della drammatica hanno svegliata la compassione nel più
allegorie ecc., le persone di buon senso le stimeranno sempre proprie della lirica, dell’epica, della didascalica, ma rare vo
di buon senso le stimeranno sempre proprie della lirica, dell’epica, della didascalica, ma rare volte della drammatica, e qu
re proprie della lirica, dell’epica, della didascalica, ma rare volte della drammatica, e queste rare volte solo in bocca di
enso. Quando all’opposto, se l’aria contenesse le più vive pennellate della passione cominciata nel recitativo, egli con una
l recitativo, per modo che l’aria nasca dal recitativo come germoglio della radice. Crede per avventura il lettore che io avr
olte snerva e insipidisce le arie, e che tende ad estinguere il fuoco della poetica fantasia, là dove più converrebbe che fos
abbandonare la malvagia usanza di terminar l’aria alla quarta replica della prima parte, e non piuttosto, come sarìa di ragio
e un tal sopruso, e speri intanto che il buon gusto rimetta gli occhi della mente alla virtuosa famiglia. § III. Del loro
n gravi al mio lettore che sulla generazione del suono e sulla natura della musica in genere io premetta alcune osservazioni
i osservazioni servir di princìpi alle regole appartenenti allo stile della musica teatrale, e in altre sezioni ancora a quel
a minore. [Sez.III.1.1.3] Da ciò si vede che la simmetria è l’origine della consonanza de’ tuoni. E se i maestri di musica in
gevolmente si spiega perché la quinta sia una consonanza più perfetta della terza maggiore, e questa più della terza minore;
ta sia una consonanza più perfetta della terza maggiore, e questa più della terza minore; e colla faciltà medesima se uopo il
ro, che unico, semplicissimo, costante è il principio dell’estetico e della bellezza sensibile, sì naturale, come artifiziale
anze (in cui consiste la musica armonica) l’unico fonte dell’estetico della musica. Esso tre altri ne ha, e sono: 1. la varia
re altri ne ha, e sono: 1. la varia durata delle note, ch’è l’oggetto della musica metrica; 2. la varietà de’ movimenti, o ta
etrica; 2. la varietà de’ movimenti, o tardi o presti, ch’è l’oggetto della musica ritmica; e 3. la varia intensità de’ tuoni
ù ricco, più vario, più artifizioso che l’antica non ebbe, l’estetico della quale fu semplicissimo. Tre invenzioni soprattutt
ve, per quanto da quelle notizie si ritrae, che fino a noi pervennero della loro musica stromentale. È chiaro che una musica,
ngasi al patetico di quest’arte. §. III. Dove consista il patetico della musica [Sez.III.1.3.1] Ciascuna passione port
ersona, e senza sapere l’attuale stato dell’animo suo, dal solo tuono della sua voce ci accorgiamo non solamente s’ella sia a
no or l’altro di tai tuoni, secondoché convenivano alle diverse parti della sua diceria50. [Sez.III.1.3.2] Ora il patetico de
le diverse parti della sua diceria50. [Sez.III.1.3.2] Ora il patetico della musica consiste nell’imitazione di questi tuoni,
tico della musica consiste nell’imitazione di questi tuoni, per mezzo della quale essa ci dispone gagliardamente al concepime
uella imitazione o ritratto. Tale appunto è il modo, onde il patetico della musica opera sulle spirito umano. Né questa azion
dell’animo. [Sez.III.1.3.3] Di qui si vede che il patetico, non solo della musica, ma di tutte le arti piacevoli, opera sull
tto corrisponda infallibilmente un altro moto nelle anzidette regioni della nostra macchina. E da queste agitazioni, che ivi
hé nell’ascoltare un suono soffriamo talora un tremore in alcun luogo della nostra macchina. Dunque i nostri nervi hanno anch
i natemi in mente, che mi rendono assai verisimile l’azione immediata della musica sul meccanismo de’ nostri affetti. La qual
di quegl’infermi che la Puglia chiama tarantolati. I quali effetti né della pittura, né della scultura, né si narraron mai di
he la Puglia chiama tarantolati. I quali effetti né della pittura, né della scultura, né si narraron mai di qualunque altra d
overe esporre in breve il mio sentimento intorno all’azione immediata della musica sul meccanismo delle passioni, perché potr
in alcun modo contribuire nel capitolo seguente a determinar lo stile della musica teatrale. § IV. Altra differenza tra la
antica. Pervennero i Greci a sì perfettamente analizzare questa parte della lor musica, ch’essi in breve tutti i modi ebbero
ci otteneano con una semplice osservanza delle regole di quella parte della musica. Tra’ nostri componitori e i Greci quel di
o il patetico dell’antica musica così regolare e così certo, e quello della moderna sì incerto e sì disordinato. La prima è l
tetici, sulla fantasia e sulla memoria, da’ quali dipende il patetico della musica. [Sez.III.1.4.6] La seconda ragione è l’id
o della musica. [Sez.III.1.4.6] La seconda ragione è l’idea che hanno della musica i moderni maestri, diversa da quella che n
ll’orecchio. Quindi è ch’essi rinvennero le vere ed invariabili leggi della melodia e dell’armonia, ma niuna di quelle che ap
ndi Ateneo ci assicura, che colla musica insegnavano i Greci i doveri della religione e della morale, e le azioni e gli esemp
cura, che colla musica insegnavano i Greci i doveri della religione e della morale, e le azioni e gli esempi degli uomini ill
ive Polibio55 di due popoli d’Arcadia, l’un de’ quali adottando l’uso della musica divenne virtuoso e colto, l’altro dispregi
[Sez.III.1.4.9] Ma come erano giunti i Greci a formare sì giusta idea della musica? Condotti dalla loro propria esperienza. E
i dalla loro propria esperienza. Essi erano stati istituiti per mezzo della musica, e a questa erano debitori della loro cult
ano stati istituiti per mezzo della musica, e a questa erano debitori della loro cultura. Lino, Orfeo, Cadmo, Anfione, da’ qu
allora menata, e a godere sotto la protezion delle leggi le dolcezze della civile società, di quella si erano serviti ad uma
i ferini. Perciò fu di essi allegoricamente favoleggiato che al suono della lira fossero pervenuti ad ammansir le fiere, e a
r le fiere, e a indurre i sassi stessi a edificar le città. Per mezzo della musica quegli uomini, che fino allora poco degni
remo, promulgate le leggi d’una patria nascente, istillate le massime della giustizia, dell’amistà, dell’amor coniugale, l’ur
] I Greci adunque, che aveano in loro stessi sperimentata l’efficacia della musica ad accendere e governare le passioni, furo
risce il torto ch’ebbero que’ moderni, i quali non badando all’indole della musica greca, e di questa giudicando come della n
on badando all’indole della musica greca, e di questa giudicando come della nostra, di stravagante e di ridicola tassarono la
. [Sez.III.1.4.12] Questo vantaggioso concetto che i Greci formarono della musica, gli portò a coltivarla con sommo studio,
à e di certezza, che godeva il patetico dell’antica musica in paragon della nostra. Perciocché quella fu professata dal fiore
ca in paragon della nostra. Perciocché quella fu professata dal fiore della letteratura d’una nazione, appo la quale le belle
fine, che formicava di sublimi ingegni, i quali portavano allo studio della musica un talento educato tra le scienze e le bel
Dio, il nostro secolo non cede in cultura a qualunque più florida età della Grecia. Ma coloro tra noi, che professano la musi
uo patetico profittar molto, come quello, che non può senza la scorta della filosofia andare innanzi. Onde di tutti i progres
capo seguente. Al che conduce ancora l’aver notato quanto il patetico della nostra musica sia tuttor lontano dalla sua perfez
amente ecclissa la bellezza del nostro spettacolo. Cap. II. Stile della musica teatrale. § I. Prima legge di questo
la e a muovere gli affetti. [Sez.III.2.1.2] Or primieramente lo stile della musica teatrale vuol poche note. Perciocché una m
cagiona alla voce dell’attore, scoprirebbe l’artifizio del compositor della musica: e l’aperto artifizio è, siccome ognun sa,
ambiziosi, i quali, per nulla lasciar d’intentato, invasero lo stile della musica stromentale. Essi acquistarono così più la
ica stromentale. Essi acquistarono così più largo campo da far mostra della flessibilità della lor gorga coll’imitare que’ mo
si acquistarono così più largo campo da far mostra della flessibilità della lor gorga coll’imitare que’ mordenti, que’ trilli
che solo per imperizia possono essere insieme confusi, e che lo stile della musica vocale vuol essere più sobrio e più severo
usica vocale vuol essere più sobrio e più severo assai che non quello della stromentale. [Sez.III.2.3.3] Mai però più che og
ersone di buon gusto, che si erano mantenute salde contro le lusinghe della nuova sirena, conoscendo che non erano più i temp
3.5] Questa difficilissima facultà costituisce la perfezione non solo della musica, ma ancora di tutte le arti compagne. Ques
quella del Marino, l’antica architettura alla gotica, la tranquillità della statuaria de’ Greci alla veemenza e alla vivacità
purché i maestri di cappella vi congiungano un’attenta considerazione della natura. Va primieramente osservato quai tuoni di
uogo in tutte le passioni, segnalatamente però lo ha nell’espressioni della tristezza, e dell’amore. È cosa indecente l’udire
osi in dieci diverse sembianze apparisca, né più sia, quello che uscì della penna dell’autor suo. Ma il freno maggiore por si
a e del brandire, che i cantanti fanno il capo, le braccia e ‘l resto della persona, nello stento che pruovano a cavar di goz
ormar le cadenze. Cap. III. Dello stile proprio di ciascuna parte della musica teatrale §. I. Stile della sinfonia d
tile proprio di ciascuna parte della musica teatrale §. I. Stile della sinfonia d’apertura [Sez.III.3.1.1] Dopo avere
Sez.III.3.1.1] Dopo avere co’ più necessari tratti delineato lo stile della musica teatrale, non ci crederemmo d’avere, quant
, se non iscendessimo a particolarmente favellare dello stile proprio della sinfonia d’apertura, de’ recitativi e delle arie,
ualmente legge queste nostre osservazioni sulla musica teatrale, ride della dabbenaggine di que’ cittadini. … Quid rides? mu
per lo più così sconnesso, come sono le nostre sinfonie a cui in pena della loro sconnessione si vogliono sostituire sì fatti
non condannano solamente le suddette repliche, ma le repliche altresì della prima parte dell’aria, e le introduzioni e ritorn
ò diviene inutile. [Sez.III.3.3.7] Io però ho molto migliore opinione della nazion mia. Io osservo frequentemente ch’ella si
lo, e lo condanna severamente, quando questo s’allontani dalle regole della drammatica e del verisimile; ch’ella condanna col
ente provato in mezzo a una delle più brillanti corti d’Europa. Parlo della corte di Vienna, nell’aulico teatro della quale f
lanti corti d’Europa. Parlo della corte di Vienna, nell’aulico teatro della quale fu menata la mentovata Alceste del dotto Ca
e Cristoforo Gluck. Questa musica è sì conforme all’idea qui espressa della musica teatrale, ch’io, osservata così ben intesa
proprie parole di questo dotto maestro quanto abbiamo fin qui esposto della musica teatrale, e di accattare a me credito con
uffizio di servire alla poesia per l’espressione e per le situazioni della favola, senza interrompere l’azione, o raffreddar
tante, per aver luogo di ripeter regolarmente quattro volte le parole della prima, e finir l’aria dove forse non finisce il s
erto degl’istrumenti abbia a regolarsi a proporzione dell’interesse e della passione, e non lasciare quel tagliente divario n
ella semplicità, ho evitato di far pompa di difficoltà in pregiudizio della chiarezza; non ho giudicato pregievole la scopert
ual pronunziazione convenga all’opera in musica. Cap. I. Importanza della pronunziazione nell’opera in musica [Sez.IV.1
o intendo l’arte d’esprimere co’ moti del corpo e colla modificazione della voce, i diversi sentimenti che si vogliono comuni
tra’ romani oratori. [Sez.IV.1.0.3] Le parole adunque hanno mestieri della pronunziazione, massimamente quelle destinate al
en persuasi di tal verità: appo di essi non v’era arte più necessaria della pronunziazione. In questa i Greci e i romani si e
tiranno di Sicione rifiutò Ipoclide ateniese, che aspirava alle nozze della figliuola, per essersi accorto non aver lui una m
a, Demostene e Cicerone, a due attori doveano in buona parte la forza della loro trionfatrice persuasione. Il romano oratore,
ttantoché sì dolorose ammonizioni nol condussero ad apprendere l’arte della pronunziazione dell’attore satiro76. E d’allora i
stri oratori sdegnano d’accordarle una seria occupazione, e i chironi della gioventù nostra non ebbero mai pur sospetto, che
iameremmo per contenti, se loro giugnessimo a persuadere l’importanza della pronunziazione. Gl’istrioni de’ drammi recitati d
di memoria i nomi dell’Acquino, di Catterina Aschieri, del Nicolini, della Tesi, perché sopra gli altri si distinsero in que
in musica, e non in quelli di drammi recitati? Ognuno, che sia capace della menoma riflessione, converrà con noi che ciò sia
ente adoperato, da che, pizzicando molto del giocolare, più proprio è della commedia che della tragedia. Né a torto Aristotil
che, pizzicando molto del giocolare, più proprio è della commedia che della tragedia. Né a torto Aristotile si ride di que’ c
i il cuore assai più profondamente che con gesto sostenuto dal valore della poesia e del canto. § II. Della voce [Sez.
anto. § II. Della voce [Sez.IV.2.2.1] Quanto alla modificazion della voce, è quest’arte più necessaria agli attori di
no come l’anima d’una danza. Veggiamo adunque ciò che in questa parte della pronunziazione esiga il popolo dalla diligenza d’
d’essere cuculiato a doppio, se la parli come facea la buona femmina della mamma nel dialetto del suo paese. [Sez.IV.2.2.3]
scodate e languide, com’è pur vezzo di molti. Il che facea dire a uno della loro professione, che si fidava di cantar sulla s
della loro professione, che si fidava di cantar sulla scena un pezzo della gazzetta corrente, senza che persona se ne avvede
; Questo è un cavallo”. [Sez.IV.2.2.4] III. Dee far sentire il numero della poesia, e non dar nel farnetico d’alcuni, che si
, secondo i diversi sentimenti. Tal espressione esige tutto lo sforzo della voce, tal altra una voce dimessa. Quel passo vuol
ndri, gli scipioni, i cesari delle nostre scene dispongono del destin della terra con una voce che muove invidia nelle italia
ssere impiegati a rappresentar donne. [Sez.IV.2.2.7] E fin qui basti della pronunziazione propria dell’opera in musica. Poss
tenzione in isceglier quello che meglio esprima la passione dell’eroe della sua opera, e che, secondo il precetto dell’Albani
ostri pittori, che più nell’espression si distinsero, come son quelle della scuola romana, educata tra le opere degli antichi
la, ve gli possa discernere, e confessi l’abito rassomiglare a quello della nazione, del tempo e della condizione del persona
, e confessi l’abito rassomiglare a quello della nazione, del tempo e della condizione del personaggio drammatico. Ma il rest
erà lo stile de’ ritrattisti, che conservando i principali lineamenti della persona che ritraggono, gli abbelliscono con altr
co dell’arte sua. Il colore degli abiti vuol essere diverso da quello della scena, ma sì che facciano insieme armonia. Se la
bada in oltre a degradarlo, quando i personaggi fanno anch’essi parte della decorazione, nel quale caso non tutti egualmente
spettatori, ma restano in differenti siti sul proscenio95. Una legge della visione, osservata esattamente dalla pittura, si
Cap. II. Della scena dell’opera in musica §. I. Della vastità della scena [Sez.V.2.1.1] Del Peruzzi, valente pitt
agna davano la scalata all’Olimpo: noto essendo, che l’occhio giudica della grandezza dell’oggetto dalla grandezza delle cose
on dee il pittor delle scene troppo scrupolosamente seguire le regole della prospettiva, le quali non lascerebbero spazio bas
anche perché le scene facciano buon effetto vedute da qualunque lito della platea, e de’ palchetti. Ma questa declinazione h
on si può senza una lunga pratica, o senza una diligente osservazione della pratica de’ migliori maestri. §. II. Della ver
della pratica de’ migliori maestri. §. II. Della verisimilitudine della scena [Sez.V.2.2.1] La verisimiglianza della s
ella verisimilitudine della scena [Sez.V.2.2.1] La verisimiglianza della scena induce lo spettatore a credere che il luogo
ogo dove si finge l’azione. Questa verisimiglianza dipende del decoro della scena, e dall’esatta osservanza delle regole dell
dipende del decoro della scena, e dall’esatta osservanza delle regole della prospettiva e dell’architettura. [Sez.V.2.2.2] I
e non ad altro paese100. [Sez.V.2.2.3] L’osservanza poi delle regole della prospettiva e dell’architettura, manterrà l’illus
ne un sì fragile appoggio; quando eccoti salta in mezzo un professore della medesima rilassata scuola del Pozzi, e credendo c
fu ben peggiore. Io credo ch’egli in un accesso dell’eteroclito estro della sua scuola non avrebbe dubitato di dipingere per
vogliano esporre li grottesco. § III. Della novità negli ornamenti della scena [Sez.V.2.3.1] Ma non basta che la scena
; e con quella sbadataggine sua distrugge lutto il bello dell’ombre e della degradazion de’ colori. [Sez.V.3.0.3] Convien du
non sieno diverse, e così confondano e rendano come incerto il tuono della voce. [Sez.V.4.1.5] Anche l’interno de’ teatri vu
vvenuto, che in un improvviso movimento, per la scarsezza delle porte della platea, gli spettatori sieno restati miseramente
ono avere un’eguale ampiezza. Essi debbono corrispondere all’ampiezza della città a cui appartengono, e ridicola si renderebb
e a’ suoi teatri. L’estensione a cui un teatro può giugnere, è quella della portata d’una voce mandata fuora senza stento. [
mento un’assai ambigua pruova. Mercecché, tirando così l’attore fuori della scena, si viene a rendere inutile tutta la scenic
udito. Taluni crederono d’aver soddisfatto al quesito coll’invenzione della campana fonica, com’essi chiamano. Questa invenzi
gelosamente in sé stesso? Di più, questa campana restringe lo spazio della platea e togli a molti palchetti la veduta delle
re in questa figura, e si è che allarga troppo il vano, o sia la luce della scena. Si ripara a questo inconveniente dando al
on so intendere come si possa render visibile il teatro a que’ luoghi della platea e a que’ palchi, che più avvicinano a’ lat
tanandosi, s’inoltrano verso il fondo del teatro, ciò è verso la metà della periferia, così vadano ancora salendo di qualche
o i semituoni, che compongono la scala musicale, e altrettanti i modi della nostra musica) gioverebbero moltissimo a parecchi
stenuti da certi mal intesi ornamenti, che divengono eterni monumenti della poca abilità di chi gli ammise e imbarazzo e sfre
are ordini d’architettura. Se del sostegno tu ne formi una colonna, e della fascia una cornice architravata, ne avverrà delle
in musica [Sez.VI.0.0.1] Scorse le qualità del melodramma e quelle della musica, della pronunziazione e della decorazione
Sez.VI.0.0.1] Scorse le qualità del melodramma e quelle della musica, della pronunziazione e della decorazione proprie dell’o
qualità del melodramma e quelle della musica, della pronunziazione e della decorazione proprie dell’opera in musica, che son
me fu detto altrove, dichiarata quasi tale dall’uso. Cap. I. Natura della danza §. I. Che sia danza e dove consista il
ie di straordinari movimenti del nostro corpo, regolati dalla cadenza della musica. Ella è una delle belle arti, e si divide
tire non osservano misura o cadenza alcuna. [Sez.VI.1.1.3] L’estetico della danza consiste nella simmetria che passa tra’ tem
ste nella simmetria che passa tra’ tempi de’ suoi movimenti e i tempi della musica che l’accompagna. In effetti il rincrescim
egli non lega con simmetria veruna questi tempi de’ suoi movimenti e della musica. Noi siamo allora per istinto portati a mu
re alla cadenza di quest’ultima il capo, le mani, i piedi, e ‘l resto della persona, per aiutare il ballerino ad osservarla,
uito in perfetta cadenza. [Sez.VI.1.1.4] Un altro fonte dell’estetico della danza è la simmetria ch’ella osserva tra’ vari te
a ch’ella osserva tra’ vari tempi de’ suoi movimenti, simile a quello della musica metrica e della metrica poesia. [Sez.VI.1.
vari tempi de’ suoi movimenti, simile a quello della musica metrica e della metrica poesia. [Sez.VI.1.1.5] Un terzo fonte del
embra hanno tra loro) ed alla macchina intera. §. II. Del patetico della danza [Sez.VI.1.2.1] Il patetico della danza c
era. §. II. Del patetico della danza [Sez.VI.1.2.1] Il patetico della danza consiste nell’imitazione di que’ movimenti
ido ed ameno. Cap. II. Della danza teatrale § I. Connessione della danza teatrale col melodramma [Sez.VI.2.1.1] N
ella danza teatrale col melodramma [Sez.VI.2.1.1] Nel secondo capo della prima sezione fu da noi stabilita la necessità, c
imento che vi cagiona la danza? È questa una delle principali cagioni della poca attenzione che si dà per ordinario alla favo
.2.1.4] Ma quale sarà il modo d’ottenere sì fatta unione? Il suggetto della danza vuol esser tratto da quelle azioni, che il
popolo, in vedere la favola continuata non più con parole, ma a forza della sola danza? Posto che il ballerino abbia i talent
non raffreddi lo spettacolo, quali azioni, quali disegni sieno propri della danza, quali sieno da rigettare, come incapaci d’
ica non fosse espressiva. Chi ha i piedi eruditi, e chi sa il dominio della musica sullo spirito e sulla macchina dell’uomo,
’uomo, non dubiterà d’esagerazione in ciò che asseriamo. Queste forza della musica si sperimenta in un modo maraviglioso su’
la danza per la fine dell’atto, si facesse nel corso di esso. I balli della più volte ricordata Alceste intervengono tutti no
attacco abbiano colla favola drammatica, per condir l’opera col sale della varietà. Ma chi è preso da sì fatto dubbio, che m
loro opere la noiosa uniformità? Se egli avrà mai esaminata l’essenza della perfezione e della bellezza, risponderà all’inesp
a uniformità? Se egli avrà mai esaminata l’essenza della perfezione e della bellezza, risponderà all’inesperto artista, che l
a formare l’opera in musica, se si vuole che piacciano, vanno marcate della medesima unità. I Greci infatti aveano per vizios
danze che niuna convenienza hanno col dramma, nol fanno mica per zelo della varietà, ma sì perché que’ balli sono più acconci
.VI.2.2.1] Dovendo adunque il ballo teatrale essere una continuazione della favola drammatica, egli vuol essere atto all’espr
gli vuol essere atto all’espression degli affetti. Quindi il patetico della danza, o sia il pantomimo, dovrà sempre regnare i
eroica mai compariva, ma solo il cordace, pantomimo grottesco e pieno della licenza delle loro commedie. Il medesimo discerni
imeno, quelli tra loro che con occhio filosofico penetrarono l’indole della loro professione, benché eccellenti nel ballo alt
ma mischiarvi più senso; allontanarsi con grazia dalle regole strette della scuola per seguire le impressioni della natura, e
n grazia dalle regole strette della scuola per seguire le impressioni della natura, e dare alla danza l’anima e l’azione, che
crittore107, che Pilade, saltando l’Ercole furioso si accese per modo della passione che voleva imitare, che giunse tra le su
che essi nel ballo alto. §. III. Avvertenze intorno all’esecuzione della medesima [Sez.VI.2.3.1] Tutto ciò propriamente
esima [Sez.VI.2.3.1] Tutto ciò propriamente appartiene alla teoria della danza teatrale, donde, passando alla sua pratica,
ranti, che i primi ballerini, per la stessa ragione per cui, parlando della pronunziazione, si disse quella delle ultime part
z.VI.2.3.2] Procuri in oltre d’osservar tra’ ballanti la degradazione della statura, per modo che quanto più le figure si all
de, massimamente quando il ballo nella sua introdduzione fa una parte della decorazion teatrale. Ecco come anni sono si gover
no uomini ed altrettante donne. La prima classe comprendea le persone della più vantaggiosa statura; la seconda era più bassi
giosa statura; la seconda era più bassi di quella; la terza più bassa della seconda, e via via; sì che l’ultima era formata d
ente a cavallo sopra un lontanissimo ponte, il quale era più picciolo della persona che su vi passava; disproporzione, che of
lare con quattro sole lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta della più vigorosa, della più passionevole espressione1
e lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta della più vigorosa, della più passionevole espressione108. Si mascheri il v
que’ personaggi. [Sez.VI.2.3.7] Non mi si opponga il costante uso che della maschera fecero gli antichi. Questa invenzione di
olto impiastrato di fango dagli attori di Tespi, nacque nell’infanzia della drammatica, e sopra un rozzo teatro. Il teatro co
roprie spese, cessa ogni necessità di maschere. Da ciò che si è detto della maschera, s’intende ancora quanto sarebbe desider
rallegato dialogo sulla danza richiede in un ballerino l’intelligenza della poesia, della geometria, della musica e della fil
ogo sulla danza richiede in un ballerino l’intelligenza della poesia, della geometria, della musica e della filosofia. Vuole
ichiede in un ballerino l’intelligenza della poesia, della geometria, della musica e della filosofia. Vuole che possegga il s
allerino l’intelligenza della poesia, della geometria, della musica e della filosofia. Vuole che possegga il segreto di muove
lettere non solo le cognizioni poc’anzi annoverate, ma di più quelle della notomia, della macchinistica, del disegno, richie
lo le cognizioni poc’anzi annoverate, ma di più quelle della notomia, della macchinistica, del disegno, richiede in un baller
nazione, se ciascuna delle medesime merita una particolare attenzione della politica, vie maggiore sarà l’attenzione ch’esse
tore dell’opera in musica dee regolare il poeta drammatico, i maestri della musica e de’ balli, l’ingegniere, l’architetto, l
ccorgerà egli, se il poeta o il pittore abbia o no osservate le leggi della drammatica, della prospettiva ecc.; se il maestro
il poeta o il pittore abbia o no osservate le leggi della drammatica, della prospettiva ecc.; se il maestro di cappella abbia
esecuzione dello spettacolo, il buon ordine che si richiede nel luogo della rappresentazione e, quello ch’è dilicatissimo olt
entazione e, quello ch’è dilicatissimo oltre a ogni altro, il costume della nazione. Veggiamo in breve, come s’abbia egli gov
pettacolo sia ben eseguito, il direttore dee principalmente occuparsi della scelta degli artisti che vi s’impiegano, ed aver
compagne, sono costrette a seguir le sue leggi e a trasgredir quelle della loro arte. [Sez.VII.2.0.2] L’unico mezzo d’evita
esto Tarpa esamini tritamente se il libricciuolo è fatto sulle regole della drammatica e del buon gusto, se la musica esprima
importante oggetto pel direttore dell’opera in musica sia il costume della nazione. La cosa parla sì vivamente da sé, che a
l libricciuolo. Procurerà in esso che i personaggi non parlino troppo della divinità, né (ove sieno pagani) secondo la grosso
uttosto la dipendenza che essi hanno dal sovrano arbitrio dell’autore della natura e dalla libertà degli uomini. [Sez.VII.3.
aggradevole e interessante, esse scendono senza opposizione nell’imo della mente e del cuore. Perciò è più volte avvenuto, c
igoroso. Una tale spezie di drammi, non prendendo il tuono importante della tragedia, ma con motteggi e con risa rallegrando
attacco. Nell’Eunuco si animano gli uomini a disordinare coll’esempio della divinità. Così il giovane Cherea incoraggisce sé
ide si fa un carattere sì lodevole, che basta per togliere dall’animo della fanciulle ogni ripugnanza d’abbandonarsi all’infa
colei, vedendo che anche una cantoniera può comparir virtuosa e degna della stima delle oneste persone. Simili riflessioni si
’abuso adunque, che le cantatrici e le ballerine non rare volte fanno della loro professione, indusse la saggia Roma, sedente
a’ soli uomini addossata: le attrici non comparvero sul teatro prima della metà del secolo sedicesimo. Senza che ogni altra
l secolo sedicesimo. Senza che ogni altra ragione dee cedere a quella della publica costumatezza. [Sez.VII.3.0.12] Per lodev
raggiare i buoni a questa professione, e a non permettere l’esercizio della medesima che a persone di sperimentata integrità.
essarie al governo nel quale egli vive, e le virtù e i vizi dominanti della sua nazione, per procurare che l’opera in musica
ne delle sue tragedie aveva unicamente in mira la nazione, pel teatro della quale egli scriveva, e valeasi di quelle per inge
allontanare dall’animo di ciascuno il pensiero d’erigersi in tiranno della propria patria. Ma questi medesimi drammi riuscir
a nazione, l’impresa non è la più malagevole. Ma lo screditare i vizi della medesima ha mestieri d’una somma circospezione. I
i n’è infetto. Perciocché, coloro ben sanno che i loro vizi son degni della publica esecrazione, onde, vedendo che non riscuo
ostro arbitrio, invano sarebbero perseguitati dalla drammatica, scopo della quale è la nostra emendazione. Quindi, que’ poeti
soccorso altrui? Qual ragione ha l’inumano poeta d’aggravare il peso della loro miseria? [Sez.VII.3.0.18] Non solamente il
o al costume; ma per lo contrario contribuirà moltissimo al progresso della publica costumatezza ed a quello delle belle arti
fermazione del primato dell’Italia anche nel teatro è un luogo comune della storiografia settecentesca: si veda per esempio S
Galilei; per quanto la Divinatio sia un trattato importante nel campo della geometria secentesca (è la ricostruzione, per via
ntemporaneo, meno per noi; potrebbe trattarsi (come ipotizza Degrada) della chiusura del napoletano Teatrino di San Giacomo,
oli cotanto profani avessero luogo così prossimo alle sacre cerimonie della superiore chiesa di San Giacomo» (B. Croce, I tea
zi di libretti in prosa, appositamente scritti dall’autore a sostegno della riforma dell’opera da lui proposta (Enea in Troja
.: Orazio, Epistole, II, 3 (Ars Poetica), vv. 304-305: «farò la parte della cote, / non adatta per tagliare ma per affilare l
de’ cittadini, sperando che mettesse buona pace tra loro [è il tempo della contesa tra Cerchi e Donati], per lo calen di mag
per fare allegrezza e festa, si rinnovarono e fecionsene in più parti della città, a gara l’una contrada dell’altra, ciascuno
orenzo De’ Medici il vecchio, di Madonna Lucrezia sua madre e d’altri della stessa famiglia. Raccolte e d’Osservazioni corred
n può essere, s’io non m’inganno, se non o quella di Teofilo, in fine della quale potrebbesi veder lo ‘nferno, essendovi nota
enza; o più tosto quella di Lazzero ricco e Lazzero povero, nella fin della quale il Ricco dallo ‘nferno chiede in vano socco
mento_Sez.I.1.0.6] • il Crescimbeni: cfr. G.M. Crescimbeni, L’Istoria della volgar poesia. Terza impressione, Venezia, Basegi
esima edizione del Cionacci Planelli poteva leggere l’ottava iniziale della Rappresentazione di San Giovanni e Paolo di Loren
da Filippo [Brunelleschi], per fare la rappresentazione o vero festa della Nunziata, in quel modo che anticamente a Firenze
mento_Sez.I.1.0.9] • verso il 1480: cfr. F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, III/II, Milano, Agnelli 17
il vero ben fondato, di Crescimbeni, l’idea di una precoce diffusione della poesia «drammatica musicale» nella città del papa
icelli […], Milano, Malatesta, 1644, pp. 59-85; dell’aspetto musicale della grandiosa allegoria dell’amor profano escogitata
: l’articolo Danse théâtrale è di Louis de Cahusac, storico e teorico della danza citato più avanti da Planelli. Il passo rel
aro, Le opere volgari, Padova, Comino 1723, pp. 422-426 (la citazione della didascalia da p. 425). Altre feste furono organiz
genti, Favole cit. • del mentovato Viola: Alla prima rappresentazione della favola pastorale Lo sfortunato del letterato e gi
irginia de’ Medici e Cesare d’Este. Bardi fu in sostanza il fondatore della Camerata fiorentina (detta infatti anche Camerata
i tratta ma di Fileno (Degrada). Il testo poetico del ballo Il giuoco della cieca (la cui musica è perduta) fu un rimaneggiam
ppena due sonetti e una canzone –, ma fu figura di rilievo nella vita della corte: vedi la ‘voce’ di T. Megale in Dizionario
gale drammatizzato, che mescola satiricamente nel testo, alla maniera della commedia dell’arte, vari dialetti settentrionali,
ell’arte, vari dialetti settentrionali, oltre a una versione parodica della lingua ebraica. • riportata dal Muratori: benché
impropriamente inventore del genere e quindi da anteporre ai toscani della Camerata: «Ma, poiché si tratta di gloria, siami
nni Antonio Bazzi detto il Sodoma (di cui sposò la figlia): nel campo della scenografia legò il suo nome soprattutto al magni
tto civile e militare, fu continuatore del Vasari nella realizzazione della fabbrica degli Uffizi e realizzò molti apparati s
bbiena (Arezzo 1470 – Roma 1520), cardinale e diplomatico al servizio della famiglia Medici, è autore dell’acclamata commedia
primo a Roma la tragedia greca, cimentandosi anche nel genere comico della palliata; della sua opera, che doveva essere cosp
tragedia greca, cimentandosi anche nel genere comico della palliata; della sua opera, che doveva essere cospicua, restano so
espi: Tespi è, secondo una tradizione che sfuma nel mito, l’inventore della tragedia in Grecia: i pochi frammenti conservati
r gli mancava: Planelli rievoca brevemente in queste pagine la storia della Camerata fiorentina, che costituisce il vero e pr
); Pietro Strozzi (seconda metà del XVI secolo), madrigalista, autore della musica della Mascarada degli accecati, su testo d
ozzi (seconda metà del XVI secolo), madrigalista, autore della musica della Mascarada degli accecati, su testo di Rinuccini,
ati, su testo di Rinuccini, 1595 (è tra gli interlocutori del Dialogo della musica antica et della moderna di V. Galilei, 158
ini, 1595 (è tra gli interlocutori del Dialogo della musica antica et della moderna di V. Galilei, 1581); Jacopo Corsi (Firen
ancora di Rinuccini), Peri scrisse solo i recitativi, mentre il resto della partitura è da attribuirsi a Monteverdi, «che il
o_Sez.I.1.0.20] • d’italica poesia: Planelli asseconda l’idea, tipica della storiografia settecentesca (arriverà sino al Tira
ipica della storiografia settecentesca (arriverà sino al Tiraboschi), della decadenza culturale secentesca e del conseguente
ente cosiddetto cattivo gusto barocco: con la significativa eccezione della scienza di tradizione galileiana. [commento_Sez.
uno dei più versatili musicisti del suo tempo: scrisse sia nel campo della musica strumentale, sia dell’opera (si ricordino,
(o Martelli), Bologna 1665 – 1727, fu uno dei più influenti scrittori della prima Arcadia: gli si devono tragedie, commedie e
nova 1692 – Parma 1768), poeta e professore di retorica, protagonista della vita di corte a Parma, prima sotto i Farnese poi
Le feste d’Imeneo, 1760), precorse, alla lontana, alcuni dei princìpi della riforma di Gluck. • il marchese Maffei: il verone
Paolo Rolli: Rolli (Roma 1687 – Todi 1765), tra i più originali poeti della prima Arcadia, scrisse durante un trentennale sog
erra: il cardinale Mazarino, principale fautore dell’italianizzazione della corte all’epoca della Reggenza, chiamò a Parigi L
arino, principale fautore dell’italianizzazione della corte all’epoca della Reggenza, chiamò a Parigi Luigi Rossi (1598-1653)
5 gennaio 1674 (Degrada); ma a lungo prevalse là il modello francese della tragédie lyrique, che ancora influenzò a fine sec
n cui, a integrazione e correzione, richiamò soprattutto alcuni punti della storia letteraria italiana. L’appendice cui Plane
a commento del brevissimo capitolo quinto «Della poesia»): scontento della troppo laconica e scolastica definizione di poesi
., l’apologo etc. Mal dunque alcuni restringono l’entusiasmo al fuoco della lirica. Non niego io già che l’entusiasmo di ques
teoria delle proporzioni musicali così come fu teorizzata nell’àmbito della polifonia (secondo la progressione 2:1, 3:1, 4:1,
st in operum perfectionibus» (‘La simmetria è un accordo tra le parti della stessa opera e una corrispondenza di ciascuna sep
ade). Sezione II Cap. I [commento_Sez.II.1.2.1] • regole della Poesia nuova: allude agli esperimenti rinasciment
11] • perché sprezzi de leggi d’amor: G. Gigli, La forza del sangue e della pietà. Drama per musica, atto III, scena V, ed. d
chi e moderni, compilata e corredata di critiche osservazioni per uso della studiosa gioventù dal Padre Teobaldo Ceva […], Ed
non essere i moderni drammi per l’ordinario, se non Tragedie vestite della Musica. Ma perché mi pare a dismisura mutato sott
el palazzo di Egisto per trattar con Oreste, e con Pilade la congiura della morte dell’usurpatore». Cap. IV [commento_
-1769) sotto lo pseudonimo di Cattuffio Panchianio scrisse, a parodia della molto stentata tragedia d’imitazione sofoclea Uli
sotto gli ornamenti, con che studia di sempre più abbellirle la foia della novità. Soverchiamente lunghi sogliono essere que
] • al Quadrio il quale asserisce: cfr. F. S. Quadrio, Della storia e della ragione cit., III/II, p. 447: il gesuita (che, ci
C. Viola, La tragedia degli inverisimili. Girolamo Tartarotti critico della Merope maffeiana, nel vol. coll. «Mai non diero i
Vinci, il 4 febbraio 1730: è l’ultimo grande testo metastasiano prima della partenza per Vienna (dell’aprile di quell’anno).
nda, il ciel s’imbruna, / cresce il vento e manca l’arte / e il voler della fortuna / son costretto a seguitar. / Infelice in
o da Planelli si riferisce evidentemente alla prima edizione a stampa della partitura e del libretto). L’opera volle essere,
istoforo Gluck» ma attribuibile all’italiano), una sorta di manifesto della nuova drammaturgia, che prevedeva tra l’altro una
nte ignota agli antichi) Planelli si riferisce a G.B. Martini, Storia della musica, t. I, Bologna, Dalla Volpe, 1757, Dissert
lare alle pp. 171-176. [commento_Sez.III.1.3.1] • alle diverse parti della sua diceria: cfr. Cicerone, De oratore, III, 60 «
llis (1621-1675), importante medico e anatomopatologo inglese, membro della Royal Society, ha legato il proprio nome alla nas
e, membro della Royal Society, ha legato il proprio nome alla nascita della neurologia, oltreché allo studio delle cause del
ica, IV-VI (Terpandro a Sparta). La discussione sugli effetti pratici della musica, con esplicito paragone tra antichi e mode
Conti offrì a Benedetto Marcello i versi de Il Timoteo o gli effetti della musica (cantata 1727: ispirato all’Alexander’s Fe
ica degli antichi non provan in niun modo, ch’essa fosse più perfetta della nostra, Venezia, Groppo, 1748 (l’originale è del
.7] • quindi Ateneo ci assicura: sul valore didattico e sugli effetti della musica Ateneo si sofferma in particolare nel libr
: nel quarto libro delle Storie, capp. 20-22, Polibio loda il costume della maggior parte dei popoli dell’Arcadia che insegna
il cantore lasciato da Agamennone: si riferisce alla versione omerica della storia di Clitemnestra: «E lei prima rifiutava l’
nfione, fondatore di Tebe, narrarono / che muoveva le pietre al suono della lira, / spostandole dove voleva / con la dolcezza
etre al suono della lira, / spostandole dove voleva / con la dolcezza della sua preghiera. / Così a quel tempo era la sapienz
’armoniké epistéme Giamblico parla per la precisione nel capitolo XXV della Vita di Pitagora. • Platone: la sentenza platonic
47d. [commento_Sez.III.1.4.12] • la sua patria: cfr. il capitolo II della Vita di Temistocle di Plutarco: il giovane condot
padre del febbraio 1778 diede giudizi severi sulle qualità artistiche della Gabrielli (è vero che Mozart poté ascoltarla solo
che della Gabrielli (è vero che Mozart poté ascoltarla solo alla fine della carriera). Vedi la ‘voce’ del Dizionario biografi
Salvo). • gli Scarlatti, i Pergolesi, i Vinci: • musicisti fondatori della scuola napoletana citati «in funzione polemica ri
uola napoletana citati «in funzione polemica rispetto alla situazione della musica teatrale contemporanea come rappresentanti
vi aveva aggiunto una corda allo scopo di dilettare con la variazione della voce». Al poeta Timoteo di Mileto (446 a.C. – 357
chini (1730-1786). Manca il nome di Domenico Cimarosa, forse in virtù della «modesta considerazione del nostro autore per l’o
i Antonio Caldara. [commento_Sez.III.3.1.5] • Altri ha voluto: «Suo [ della sinfonia] principal fine è di annunziare in certo
er la musica di J. A. Hasse; la complessità e anche l’imprevedibilità della peripezia di Antigono impedirebbe, secondo Planel
ta Dedica di Gluck, il cui testo è attribuibile al Calzabigi. L’onore della citazione per esteso sottolinea la completa e for
o tra Gluck e Raffaello: vedi F. Degrada, Il palazzo incantato. Studi della tradizione del melodramma dal Barocco al Romantic
, III, XIX, 1: «la recitazione [pronuntiatio] si articola nella forma della voce e nel movimento del corpo». • eloquenza del
• eloquenza del corpo: per la precisione, la celeberrima definizione della pronuncia oratoria come «eloquenza del corpo» app
_Sez.IV.1.0.4] • nel campo di Farsalia l’omise: si riferisce al passo della vita plutarchea in cui Bruto eloquentemente annun
i più celebri attori del suo tempo (gli si attribuisce l’introduzione della maschera in scena); Cicerone lo difese in una cau
anuale (perduto) che Roscio stesso avrebbe scritto accostando tecnica della recitazione e oratoria: «[…] res ad hanc artis su
one di voce, e con una maniera sì acconcia al costume e al sentimento della persona introdotta, che parvero totalmente divers
IV.1.0.6] • i nomi dell’Acquino, di Catterina Aschieri, del Nicolini, della Tesi: cantanti di varia fama e fortuna: Caterina
anista e contraltista (Napoli 1673 – 1732), diresse la Cappella Reale della sua città; nel 1708 si trasferì a Londra, dove fu
rutram vultum aliquando est visus»). L’apologia di Ammiano Marcellino della dignitas cristiana dell’imperatore è accostata si
commiserazione: un suono grave, duro e quasi impedito; altro il tono della paura: basso esitante, avvilito; altro la violenz
o bestia, / o bestia, non senti? / Da lontano è accattivante il miele della Dea della persuasione, / ma anche piace la voce g
/ o bestia, non senti? / Da lontano è accattivante il miele della Dea della persuasione, / ma anche piace la voce gonfia, che
La musica (già intitolata L’evirazione, 1769); si sa che nello Stato della Chiesa la pratica continuò sino a Ottocento inolt
na citato; Jospeh-Antoine Tousaint Dinouart (Amiens 1716-1686), abate della Chiesa di Sant’Eustachio a Parigi, socio d’Arcadi
imitare con parole i movimenti del corpo e con la scrittura il suono della voce. Per altro sono convinto di poterne scrivere
o Boyron (1653-1729), allievo di Molière, fu il più importante attore della Comédie française all’epoca del Re Sole, nel repe
o che fa, quello che anco ha fatto, e che sono per fare» (a proposito della pala d’altare dell’Annunciazione con Dio padre es
ai suoi sermoni, poi raccolti in vari volumi, accorreva il fior fiore della società parigina (predicò anche al cospetto di Lu
nell’ultimo quadro realizzato dal Tintoretto, e da aiuti, La raccolta della manna nel deserto (1592-94, Venezia, Chiesa di Sa
e vite cit., II, p. 728 : «Tribolo fece per gli abiti degl’intermedi [ della commedia Il Commodo di A. Landi e G.B. Gelli], ch
ançois Boucher. [commento_Sez.V.1.0.6] • proscenio: cfr questo passo della sesta lettera del Noverre: «Le mêlange des couleu
coreografo francese iniziatore, con il cosiddetto «ballet d’action», della danza moderna, da lui emancipata dai virtuosismi
Noverre (in Inghilterra esaltato da David Garrick come lo Shakespeare della danza) il nostro Gasparo Angiolini, che a Vienna
ale realizzò la residenza di Villa Farnesina a Roma; la recita romana della Calandra risale al dicembre 1514 (in onore di Eli
to di vista e la distanza, si debbano far corrispondere ad imitazione della natura tutte le linee verso un punto stabilito, c
43) pittore e architetto, fu forse il più grande scenografo e teorico della scenografia attivo in Italia tra Sei e Settecento
Sei e Settecento; oltre al trattato menzionato da Planelli (Direzioni della prospettiva teorica corrispondente a quelle dell’
(1711), dove è escogitata per la prima volta la «visione per angolo» della scena teatrale, che dà l’illusione allo spettator
re, architetto e ingegnere militare, qui evocato per la realizzazione della scenografia de L’Ortensio di Alessandro Piccolomi
tore e scenografo: tra i suoi lavori più significativi la decorazione della sala dei marmi del Palazzo del Belvedere inferior
suoi Briefe über die wienerische Schaubühne ha lasciato in occasione della prima recita viennese dell’Alceste di Gluck (1767
2.2.2] • una danza grottesca: l’emmeléia, era una danza grave, tipica della tragedia; il kordax era la danza del coro nell’an
rteneva la síkinnis, antica danza frigia nata inotrno ai culti agrari della dea Cibele. [commento_Sez.VI.2.2.3] • Cahusac: i
a nel secolo di Augusto i favori del pubblico, introducendo le novità della danza greca; Ila fu allievo e emulo di Batillo. •
i M. Nordera, Venezia, Marsilio 1992, p. 95). In Italia, sulla scorta della riscoperta francese del testo lucianeo, comparve,
973, p. 73. • si tolga poi via la maschera: questa avversione all’uso della maschera, che semplicisticamente Planelli ritiene
eddoto sul filosofo cinico Demetrio, che scopre il valore conoscitivo della danza di fronte alle prodezze di un pantomimo del
a Noverre si trovò comprensibilmente contro tutti i vecchi routiniers della professione. [commento_Sez.VI.3.1.3] • Lionardo
fessione. [commento_Sez.VI.3.1.3] • Lionardo da Vinci: Cfr. Trattato della pittura, parte II [Precetti al pittore]: «Le figu
e esprimere il concetto dell’animo loro» (Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, Roma, De Romanis, 1817, pp. 80-81). [co
bert (1647-1733), tenne uno dei più vivaci salotti letterari dell’età della Reggenza (vi si incontrarono tra gli altri Montes
omista e filosofo, fu uno dei più appassionati assertori dei princìpi della fisiocrazia: ebbe largo seguito tra gli illuminis
a dell’intrinseca moralità del teatro. Qui tocca la vecchia questione della liceità d’introdurre invocazioni agli dèi in bocc
é teatro» (G.A. Bianchi, Dej vizi cit., p. 197). Di là dalla sostanza della controversia teologica, è ovvia la preferenza di
attacchi volterriani al fanatismo (il Mahomet è del 1741: allo zenit della predicazione di Voltaire contro l’infâme), mentre
Sez.VII.3.0.18] • empia la dialettica faretra: cfr. Petrarca, Trionfo della Fama, III, 61-63: «E quel che ‘nver di noi divenn
o al costume; ma per lo contrario contribuirà moltissimo al progresso della publica costumatezza ed a quello delle belle arti
treme, che erano controverse: Bitonto 1737 – Napoli 1803): fu Maestro della Zecca e responsabile del riordino del Real Museo
., l’apologo etc. Mal dunque alcuni restringono l’entusiasmo al fuoco della lirica. Non niego io già che l’entusiasmo di ques
, 1972-1973; il volume coll. C.W. Gluck nel duecentesimo anniversario della morte. A cura di C. Del Monte e V.R. Segreto, Par
nel commento le fonti utilizzate da Planelli, che sono quelle tipiche della storiografia settecentesca, innestate su una soli
ragedia (classica) e opera seria vengono elencate nei capitoli II-VII della sezione seconda del libro: in generale, Planelli
lare con quattro sole lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta della più vigorosa, della più passionevole espressione»
e lettere dell’abbiccì, allo spettatore la veduta della più vigorosa, della più passionevole espressione» (VI.II.17). 12. In
21. Osservaz. Sopra le rime sacre di Lorenzo de’ Medici. 22. Stor. della poesia. 23. Il titolo di Misteri era dato non so
ch’ebbe la fede, si tornò nel tempio, qual fu subito portato in testa della sala. Da poi venne la Letizia vestita ornamente,
un errore. Esso è una licenza accordata a’ nostri poeti; licenza però della quale io non mi varrei se non parchissimamente, q
one di tal differenza si trovi nella differenza che passa tra il sito della macchina umana e ‘l sito di quella de’ bruti. Per
omi illustri nella greca filosofia, e lo stesso Antistene, istitutore della setta cinica. 61. V. il cap. II della I sez. 62
o stesso Antistene, istitutore della setta cinica. 61. V. il cap. II della I sez. 62. L. S. G. 63. Al primo de’ quali fu p
Vedi il suo proemio, all’Euridice del Rinuccini. 66. Vedi il cap. I della II sez. 67. «Pronuntiatio dividitur in vocis fi
Amm. Marcell., lib. XXI, cap. XVI. 80. Annot. al cap. V del III lib. della Perf. poes. del Murat. 81. «Aliud enim vocis ge
ettera inserita nella vita che di lui scrisse il Malvasia, nella p. 4 della Felsina pittrice. 88. V. L’Encyclopédie, art. Dé
ato da questo celebre professore in un suo libro intitolato Direzioni della prospettiva teorica, Bologna, 1753, XII. 100.
m insidiantem ei». Plin., Nat. hist., lib. XXXV. 101. V. il cap. III della II sez. 102. Parlo de’ gran teatri poiché, quant
la meraviglia. Ma questo è l’effetto di qualunque opera straordinaria della natura o dell’arte, non è già del numero di quell
acle aux Romains». V. Voltaire, Siècle de Louis XIV. 111. Nel cap. I della I sez. 112. L’ami des hommes, tom. I, chap. VI.
. Domma sì fatto era comune a’ misteri d’Iside e d’Osiride, di Mitra, della madre degli Dei, a’ misteri eleusini, a quelli di
urton hanno di che soddisfar pienamente il lettore. Che poi gli aditi della filosofia fossero comunemente frequentati dalle c
riducono gli Eruditi tutto ciò che contro a’ Teatri si cava da’ Padri della Chiesa. 1. ch’erano intimamente connessi colla pa
tendeano. Né ciò fu ignoto a’ Padri; fra’ quali S. Girolamo parlando della Commedia, scrisse: cuius finis est humanos mores
attivi, non avrebbero così spesso, come fecero, confermati i precetti della loro morale con sentenze di Tragici e di Comici.
li vizi, che rendeano esecrabile il Teatro, cessarono anche i Dottori della Chiesa d’inveire contro di essi, cominciando per
presentare più verisimilmente la sua parte, senza uscir mai dal luogo della rappresentazione? Senza che, quel travestimento n
ee scegliere per suggetto delle Opere Teatrali il vizio più dominante della Nazione, per la quale si compone». V. il Voltare
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