o-lirici dopo il Metastasio. Stato dell’opera buffa. [1] Le scienze,
che
hanno per oggetto la ricerca del vero, e le facol
Le scienze, che hanno per oggetto la ricerca del vero, e le facoltà,
che
hanno per fine il perfezionar il gusto, corrono,
le, e si seguiti a mantenerlo, acquistano maggiori progressi a misura
che
maggiore è il numero degli studiosi che le coltiv
o maggiori progressi a misura che maggiore è il numero degli studiosi
che
le coltivano; imperocché dipendendo l’avvanzament
moltiplicità e verificazioni e de’ fatti replicati, o dalle deduzioni
che
si cavano da un principio riconosciuto come incon
into di diverse opinioni contrarie non meno al conseguimento del vero
che
ai vantaggi della religione. La seconda, perché p
or definite né da tutti universalmente accettate, non può far di meno
che
non divenga arbitraria e vaga nelle sue conseguen
i meno che non divenga arbitraria e vaga nelle sue conseguenze. Ond’è
che
la regione de’ metafisici è per lo più la regione
che la regione de’ metafisici è per lo più la regione degli errori, e
che
per ogni spirito ben fatto l’annunziargli un nuov
so dal proporgli una nuova modificazion di falsità. [2] Nelle facoltà
che
hanno per oggetto il bello, avviene l’opposto che
. [2] Nelle facoltà che hanno per oggetto il bello, avviene l’opposto
che
nelle scienze. In queste l’arte di riuscire dipen
ado di sensibilità e di fantasia, dall’attuale disposizione di coloro
che
ricevono le impressioni, e dalle idee dominanti i
secondo le abitudini, gl’interessi, le passioni, i climi, e i governi
che
a superare cotanti ostacoli non basta un talento
gno di bassa lega per quanta cura ei ponga nell’esercitare le facoltà
che
riguardano il bello otterrà giammai i suffragi de
data. Ed ecco il fondamento della massima di Orazio, colà dov’ei dice
che
né gl’iddi, né gli uomini, né le colonne permette
assai rari in qualunque genere. Talvolta molti secoli scorrono senza
che
la storia possa annoverarne uno solo. La pianta d
senza che la storia possa annoverarne uno solo. La pianta dell’aloè,
che
sta cent’anni a germogliare, altri cento a rinvig
’origine, progressi, e annientamento delle arti del gusto e di coloro
che
le perfezionano. Qualora suppongasi non pertanto
usto e di coloro che le perfezionano. Qualora suppongasi non pertanto
che
la loro coltura diviene comune in un popolo, ques
tate da ingegni inferiori incapaci di sollevarsi fino a quell’altezza
che
richiede la loro natura, non può far di meno che
fino a quell’altezza che richiede la loro natura, non può far di meno
che
non divengano triviali anch’esse, e che non contr
o natura, non può far di meno che non divengano triviali anch’esse, e
che
non contraggano la piccolezza e i pregiudizi di c
venga loro siffatta appellazione colla stessa giustizia a un dipresso
che
convengono ad alcuni principi asiatici i titoli c
zia a un dipresso che convengono ad alcuni principi asiatici i titoli
che
scambievolmente si danno di signori del corno del
i Greci, né trovandosi oggimai animata da quello spirito vivificante,
che
seppero in essa trasfondere i Danti, i Petrarca,
sposalizio, di monacazione, di laurea, di nascita, di accademia, e di
che
so io, senza che altre immagini per lo più ci app
nacazione, di laurea, di nascita, di accademia, e di che so io, senza
che
altre immagini per lo più ci appresenti fuor di q
er lo più ci appresenti fuor di quelle solite della fiaccola d’imeneo
che
rischiara il sentiero alle anime degli eroi, i qu
elle sfere il felice sviluppo del germe, o di quel cattivello d’Amore
che
spezza per la rabbia lo strale innanzi alle sogli
ivello d’Amore che spezza per la rabbia lo strale innanzi alle soglie
che
chiudono la bella fuggitiva, o di Temide che avvo
rale innanzi alle soglie che chiudono la bella fuggitiva, o di Temide
che
avvolta in rosea nuvoletta fa trecento volte per
di fera e di scoglio, di Medusa e di Aurora, d’angioletta o di tigre
che
non iscagliò contro a Giove il famoso Timone nel
gio della novità: sembrano «Sogni d’infermi e fole di romanci», ora
che
lo spirito non rigusta più né il diletto che nasc
e fole di romanci», ora che lo spirito non rigusta più né il diletto
che
nasce dalla sorpresa, né quello che viene dal rif
ito non rigusta più né il diletto che nasce dalla sorpresa, né quello
che
viene dal riflesso della loro convenienza. Da ciò
, da questa il languore e non molto dopo il tedio dei lettori sensati
che
compresi da giustissimo sdegno condannano al ben
[5] Tra i generi però della poesia niuno v’ha più vilipeso e negletto
che
il dramma musicale. È cosa da stupire la contradd
lo spettacolo, mentre si vantano di essere quei fortunati coltivatori
che
l’hanno sollevato alla maggiore perfezione possib
one possibile, mentre si dimostrano pieni di entusiasmo per tutto ciò
che
ha riguardo alla musica, soffrono ciò nonostante
mo per tutto ciò che ha riguardo alla musica, soffrono ciò nonostante
che
la parte poetica primo fonte della espressione ne
al gusto di chi la legge. Gli insetti della letteratura, coloro cioè
che
ronzan dintorno alle più fangose paludi del Parna
zan dintorno alle più fangose paludi del Parnaso, sono appunto i soli
che
ardiscano a metter mano in una spezie di poesia l
rebbe essere il più arduo, ma non v’è in pratica impegno più triviale
che
il divenir autore d’un libretto dell’opera; titol
valore, lo tacciono a bella posta sul frontespizio per quell’istinto
che
porta gli uomini a celar le proprie vergogne. Ed
to che porta gli uomini a celar le proprie vergogne. Ed è ben ragione
che
il loro destino non sia punto migliore della loro
i compone drammi per musica è oggimai divenuto un fanciullo di scuola
che
non può discostarsi dalla riga senza tema di batt
lla riga senza tema di battiture, un fenomeno di questa natura merita
che
ci fermiamo alquanto per isvilupparne le cagioni.
A due (per quanto giungo a comprendere) si riducono queste. Alla voga
che
ha preso in teatro il moderno canto, e al gusto e
buffa. [6] Si è parlato a lungo nell’antecedente capitolo del dominio
che
s’usurparono sulla scena i cantori, si è mostrato
i sminuzzamenti di voce. Posto questo principio chiaramente si scorge
che
il canto è il dominante oggidì nel melodramma, ch
aramente si scorge che il canto è il dominante oggidì nel melodramma,
che
su questo perno si raggira tutta l’azione, che 1a
oggidì nel melodramma, che su questo perno si raggira tutta l’azione,
che
1a poesia ubbidiente allo stabilito sistema non è
l’azione, che 1a poesia ubbidiente allo stabilito sistema non è altro
che
una causa occasionale, un accessorio che dà motiv
tabilito sistema non è altro che una causa occasionale, un accessorio
che
dà motivo alla musica ma che dipende affatto da e
che una causa occasionale, un accessorio che dà motivo alla musica ma
che
dipende affatto da essa, e che per conseguenza, r
ccessorio che dà motivo alla musica ma che dipende affatto da essa, e
che
per conseguenza, rinunziando ai propri diritti pe
d’un finale tratto, come suol dirsi, pe’ capegli. E piacesse al cielo
che
queste arie, questi duetti o questi finali isolat
ueste arie, questi duetti o questi finali isolati fossero tali almeno
che
colla loro vaghezza, novità od interesse ci ricom
a loro vaghezza, novità od interesse ci ricompensassero dei sagrifizi
che
si fanno del buon senso in grazia del canto; terr
buon senso in grazia del canto; terremmo allora con essi il costume,
che
suol tenersi col frammenti della greca scultura d
si custodisce un braccio solo, una gamba, od una testa. Ma il fatto è
che
quelli squarci staccati sono egualmente cattivi e
che quelli squarci staccati sono egualmente cattivi e peggiori forse
che
non è il restante. Dico peggiori poiché oltre l’e
canti, ribattuti un millione di volte, e simili sul teatro ai sonetti
che
s’attaccano sulle colonne in occasione di laurea
sono ristrette a vicenda formandosi certi cancelli poetici e musicali
che
mantengono nella più servile mediocrità l’una e l
per oggetto diretto tutto ciò ch’è suono, e per indiretto molte cose
che
non lo sono, tuttavia questa idea generale si cir
ran numero di que’ corpi sonori, di quegli esseri fisici della natura
che
si rappresentgno cogli sgomenti e non colla voce.
e non colla voce. Bisogna altresì non pensare ai rapporti intrinseci
che
hanno i suoni fra loro, rapporti che formano, a c
n pensare ai rapporti intrinseci che hanno i suoni fra loro, rapporti
che
formano, a così dire, la metafisica e l’algebra d
a o sensazione aggradevole prodotta da qualunque vibrazione sonora, e
che
fatta per lusingare unicamente l’orecchio va disg
l’orecchio va disgiunta da ogni idea d’imitazione. Ecco non per tanto
che
sottraendo dalla musica vocale gli accennati uffi
i restringe solo a imitar i tuoni della umana favella. Ma il peggio è
che
non ogni favella, non ogni tuono di essa è propor
gni tuono di essa è proporzionato al canto. Lo sono unicamente quelli
che
hanno inflessione chiara e sensibile cosicché la
bile cosicché la loro espressione porti seco un significato da per se
che
non si confonda con verun altro. Lo sono i tuoni
gravità ed acutezza, o per la loro lentezza e velocità, essendo certo
che
un uniforme e per qualunque circostanza non mai a
rebbe divenir oggetto d’imitazione per la musica. Lo sono gli accenti
che
formano il tuono fondamentale d’una passione o un
to, poiché se l’anima ha per ogni sua affezione un movimento generale
che
la caratterizza, anche la musica, dovendo esprime
musica, dovendo esprimere cotal movimento, avrà un tuono fondamentale
che
le serva di regola. Lo sono finalmente tutti i tu
i regola. Lo sono finalmente tutti i tuoni analogi al fondamentale, o
che
nella progressione armonica vengono generati da e
amazione poetica scompagnata dal canto è naturalmente meno espressiva
che
non è la musica; cioè perché non trovasi in lei u
vantaggio di sembrarci più verosimile e più conforme alla natura, dal
che
ne viene in conseguenza che sebbene la declamazio
erosimile e più conforme alla natura, dal che ne viene in conseguenza
che
sebbene la declamazion recitata abbia minor azion
e circa la natura dei personaggi dove si fece più diffusamente vedere
che
i lunghi racconti, le deliberazioni, le trame, i
onsigli, le discussioni politiche, morali e filosofiche, tutto quello
che
v’ha nell’umano discorso di tranquillo e d’indiff
carsezza di esemplari imitabili resterebbe ancora alla musica una più
che
competente ricchezza, se la poesia meno schiava n
Greci, non avvisandosi di eccitar nelle loro tragedie altri movimenti
che
il terrore e la pietà, ebbero pure un teatro sì p
parte dei componimenti di Esalilo, di Sofocle, e di Euripide. E certo
che
la varietà degli affetti e la copia de’ caratteri
resentati non ha contribuito poco ad ampliar la sfera della musica, e
che
Temistocle, Arbace, Aristea, Megacle, Zenobia, Ip
nno aperto men fertile campo né meno leggiadro alla melodia di quello
che
a lei aprissero in Atene i caratteri di Ecuba, Or
ostumi ora dominanti fra noi, la poesia non osa più trattar argomenti
che
non versino sull’amore, e che non si rivolgano in
la poesia non osa più trattar argomenti che non versino sull’amore, e
che
non si rivolgano intorno ai sospiri, ai lamenti,
di quella passione. E ciò perché? Perché un inveterato costume vuole
che
in ogni opera devano comparir sul teatro due donn
ro due donne e talvolta anche tré, della metà delle quali non sapendo
che
farsi il poeta perché inutili affatto all’intrecc
ili affatto all’intreccio, né qual occupazione dar loro, bisogna pure
che
pensi a trovar un paio d’amanti coi quali si vezz
pei due primi personaggi le modulazioni più vere e più appassionate,
che
altro può metter in bocca agli attori subalterni
a della natura, è tuttavia la meno estesa, uno solo essendo l’oggetto
che
la determina e semplicissimi i mezzi. Però fornit
endo l’oggetto che la determina e semplicissimi i mezzi. Però forniti
che
siano quei pochi tratti caratteristici che distin
simi i mezzi. Però forniti che siano quei pochi tratti caratteristici
che
distinguono quella tal situazione, i protagonisti
liare un vivo interesse. Non somministrando il cuore altri sentimenti
che
quelli che può infatti somministrare, fa di mesti
vo interesse. Non somministrando il cuore altri sentimenti che quelli
che
può infatti somministrare, fa di mestieri sostitu
mestieri sostituire il linguaggio della immaginazione e dello spirito
che
signoreggiano ampiamente nel teatro moderno, dal
e dello spirito che signoreggiano ampiamente nel teatro moderno, dal
che
deriva la rovina della musica e della poesia; poi
ella poesia; poichè siccome questa altro non fa sentire per il comune
che
l’“idolo”, il “nume”, il “rio destino”, le “stell
dò. Nella poesia musicale italiana si verifica esattamente quel verso
che
Boileau applicava ad un suo compatriota «Et jusq
ota «Et jusqu’à “je vous hais”, tout s’y dit tendrement», tenerezza
che
sebbene talvolta da vera passione proceda, non è
rezza che sebbene talvolta da vera passione proceda, non è per lo più
che
un linguaggio convenzionale posto in uso dalla ga
onale posto in uso dalla galanteria, la quale è per il vero amore ciò
che
l’ippocrisia è per la virtù153. [9] Questo abuso
ole da mettere in bocca a’ suoi personaggi? Basta fìngerli innamorati
che
larga materia di discorso sapranno essi trovare r
elle spiritose e amabili cantatrici? Egli sa per una lunga esperienza
che
ad ottener ciò non havvi mezzo tanto opportuno qu
e e dell’orditura di essa, cose tutte lavorate sul medesimo disegno e
che
dispensano il poeta dal badare alla retta imitazi
poeta dal badare alla retta imitazione della natura e alle difficoltà
che
presenti un tragico lavoro accontiamente eseguito
e difficoltà che presenti un tragico lavoro accontiamente eseguito. E
che
importa a lui della unità di pensiero e d’argomen
al melodramma, ma dagli abusi accidentalmente introdottivi, il gusto,
che
vuol pur trovare un compenso ne’ suoi piaceri, va
razioni, le comparse, i cangiamenti di scena, queste sono le bellezze
che
si sostituiscono in oggi sul teatro italiano al p
razie abbellito da Metastasio. La poco avventurosa riuscita dei poeti
che
hanno voluto imitare quell’insigne scrittore ha f
ro incapacità, e perché non hanno essi saputo superare gli inciampi i
che
offrono nel presente stato della musica gli argom
el condurre passabilmente un’azione, si è con troppa fretta conchiuso
che
gli argomenti tratti dalla storia e il sistema ge
pera italiana non si confacciano più colle circostanze del teatro. Al
che
aggiugnendosi la vincitrice influenza del nome fr
ione del cielo italico sul gusto degli abitatori della Senna. Ed ecco
che
ritornando indietro da quasi un secolo degenera v
ma s’è lecito anticipar un vaticinio più sicuro nelle cose letterarie
che
non nelle politiche e nelle materie ancora di mag
he e nelle materie ancora di maggior importanza, asserirò francamente
che
nel caso che non risorga un novello spirito in It
terie ancora di maggior importanza, asserirò francamente che nel caso
che
non risorga un novello spirito in Italia simile a
secolo passato. Il Cornelio, e il Racine del teatro lirico credettero
che
l’eccellenza dell’opera italiana consistesse prin
principalmente nella bella musica e nella bella poesia; si crede ora
che
il suo pregio maggiore consista nel favellar agli
che il suo pregio maggiore consista nel favellar agli occhi piuttosto
che
agli orecchi, e nell’interessare collo spettacolo
scene quel maraviglioso d’immaginazione, quel macchinismo arbitrario
che
siede benissimo in un poema narrativo qual è l’ep
itrario che siede benissimo in un poema narrativo qual è l’epopea, ma
che
distrugge affatto e perverte, secondo che pensa c
rrativo qual è l’epopea, ma che distrugge affatto e perverte, secondo
che
pensa con molta ragione Aristotile 155, i poemi d
istotile 155, i poemi drammatici. La cagione si è perché le orecchie,
che
sono le giudici nella epopea, ponno essere più fa
edere le cose mirabili, laddove gli occhi innanzi ai quali si suppone
che
si rappresenti l’azione drammatica sono più dispo
lla fantasia. «E giunge Ciò
che
va per l’orecchio ognor più tardi Gli animi ad ag
sità di riempire le scene in uno spettacolo, dove altro non si cerchi
che
di abbagliare la vista, vi ricondurrà l’uso frequ
terminio dello stile e della musica. Di quello per la regola generale
che
la poesia non può fare una convenevol figura nel
gran dispendio delle comparse, dare ai musici le paghe considerabili
che
davano loro per lo passato, questi scoraggiti nel
scoraggiti nell’arringo rallenteranno l’ardore per lo studio a misura
che
verrà meno la speranza del guadagno e degli appla
attar la mia penna col racconto delle innumerabili scipite produzioni
che
disonorano oggidì la scena italiana. Ma contento
ena italiana. Ma contento di leggiermente accennarle, e persuadendomi
che
sarebbe una pedanteria mista di malignità il cons
passerò con piacere a far menzione di quelli scrittori melodrammatici
che
o meritano un luogo distinto pe’ i loro talenti,
simi poetastri. Vengono essi divisi in due classi. La prima di coloro
che
dopo il miglioramento del melodramma hanno tentat
ato di richiamar sul teatro il sistema francese. La seconda di quelli
che
seguitarono le vestigia del gran poeta cesareo. [
alore nell’azione, né contrasto negli incidenti, nulla insomma di ciò
che
rende interessanti e vive cotali produzioni. Dife
altre sue cose bellissime, e contentiamoci della ingenua confessione
che
fa egli medesimo della sua inesperienza in fatto
re i costumi. Io non so più dove m’abbia il capo. Cammino una strada,
che
non è in Parnaso la mia. Incespo ad ogni passo, e
nto e cinquanta zecchini di regalo oltre l’annua sua pensione, premio
che
certamente non ebbero né l’Artaserse, né il Caton
i e di rovinar la poesia. Nella prima mi sembra udire uno dei Ceteghi
che
rimprovera a Catilina la sua ribellione. Parmi ne
aziate, alle quali l’avara natura negò il fortunato dono di piacere e
che
mossa da invidia anziché da zelo pei costumi decl
hé da zelo pei costumi declama contro alle galanti mode oltramontane,
che
tanta grazia aggiungono al portamento e vieppiù f
feo e l’Alceste benché più celebri per la musica eccellente del Gluck
che
gli accompagna che per il proprio merito. La sort
ché più celebri per la musica eccellente del Gluck che gli accompagna
che
per il proprio merito. La sorte di cotai componim
ti è stata di aver avuto degli accusatori illustri. Dell’Orfeo è fama
che
dicesse Metastasio dopo averlo letto: «In questo
intorno alla musica di Gluck indirizzata all’Inglese Burney: critica
che
gli uomini di buon senso troveranno assai giudizi
nso troveranno assai giudiziosa se vorranno riflettere alla monotonia
che
vi regna dappertutto, alla poca varietà negli aff
to, alla poca varietà negli affetti e nelle situazioni, all’interesse
che
va scemando di atto in atto invece di crescere, a
inverosimiglianza di alcuni incidenti. Tali sono fra gli altri il far
che
i numi infernali sconsiglino Alceste dal morire,
rtegiani per festeggiare l’inaspettato ristabilimento di Admeto senza
che
in tanta allegrezza alcun si ricordi dell’assente
to senza che in tanta allegrezza alcun si ricordi dell’assente regina
che
ne dovea pur essere il principale personaggio. L’
anca certamente d’ingegno né di cognizioni, avrebbe dovuto riflettere
che
una composizione così uniforme e così tetrica com
sì tetrica come l’Alceste, era forse buona per il teatro di Atene, ma
che
dovendosi fra noi metter in musica da un uomo con
stesso e alla poesia qual’è il Cavalier Gluk, non poteva far di meno
che
non istancasse la pazienza degli uditori italiani
i italiani. Il piano adottato dal Calsabigi sembra essere non di fare
che
la poesia somministri da se stessa i colpi di sce
somministri da se stessa i colpi di scena e le situazioni, ma di far
che
le situazioni e i colpi di scena si tirino dietro
atore da tutte le bande cosicché non gli rimanga l’agio di badare più
che
tanto alla poesia. Ma svaniti che siano cotali es
on gli rimanga l’agio di badare più che tanto alla poesia. Ma svaniti
che
siano cotali estrinseci e passaggieri prestigi, l
mo di gusto non potrà far a meno di non dolersi nel vedere la poesia,
che
dovrebbe primeggiare qual donna e regina in ogni
ma ultimamente pubblicato in Napoli è paragonato coll’Ipermestra, ciò
che
sarebbe uno stravagante quadro di Giordano posto
pittura di Correggio. Se v’ha qualche carattere o qualche situazione
che
possa dirsi appasssionata, come per lo più lo son
in mezzo a personaggi veri e reali fatto comparir fantastici amorini
che
ballassero senza necesssità cogli sposi; non avre
one l’orditura, la verosimiglianza e il buon senso. Né si dee credere
che
finite appena le nozze avesse egli introdotto il
l tempio di Nemesi, e consigliando loro l’uccisione degli sposi senza
che
questi maravigliati della improvvisa lontananza i
ne facessero qualche ricerca col fine di penetrare l’arcano, e senza
che
le novelle spose mostrassero la menoma renitenza
strassero la menoma renitenza ai barbari comandi del padre. Tanto più
che
il carattere di Danao e delle Danaidi non ci vien
spergiuro, un mostro; laddove nelle Supplicanti di Eschilo sì quelle
che
questo altro non respirano fuorché riconoscenza,
ingi o scrittor.»158 [16] Nè il poeta cesareo si sarebbe immaginato
che
per render interessante e teatrale la sua tragedi
e per render interessante e teatrale la sua tragedia fosse di bisogno
che
le figlie, dopo aver commesso l’atroce misfatto,
tutte da baccanti e venissero sulla scena a cantare e a ballare senza
che
anteriormente venga indicata la cagione di così i
ndicata la cagione di così improvvisa e furibonda allegrezza, e senza
che
la loro venuta abbia verun altro oggetto fuorché
ppropriata quanto lo è a S. Giovanni Evangelissa il ridicolo discorso
che
Ariosto gli fa tenere col paladino Astolfo nel gl
ui ci porge egli eccellenti saggi non meno nella citata dissertazione
che
nella sua lettera al Conte Vittorio Alfieri; biso
mpo si sono rivolti alla imitazion dei Francesi: molti ancora vi sono
che
vollero piuttosto seguitar Metastasio nella sua l
r Metastasio nella sua luminosa carriera somiglianti a que’ satelliti
che
s’accerchiano intorno all’orbita del pianeta magg
umi e i riti de’ popoli vengono osservati a dovere. Egli è un peccato
che
nell’ordire i piani non sia stato abbastanza feli
è un peccato che nell’ordire i piani non sia stato abbastanza felice,
che
non dipinga i caratteri colla costanza che si ric
a stato abbastanza felice, che non dipinga i caratteri colla costanza
che
si richiederebbe, che gli scioglimenti siano fred
ice, che non dipinga i caratteri colla costanza che si richiederebbe,
che
gli scioglimenti siano freddi e per lo più invero
rebbe, che gli scioglimenti siano freddi e per lo più inverosimili, e
che
il desiderio di ridurre il melodramma ad un certo
arsi nell’Antigono la scena muta dei due fratelli Eteocle e Polinice,
che
compariscono sul teatro nella prima scena unicame
la: combattimento introdotto dal poeta per cagione della comparsa, ma
che
troppo funesta fin dal principio l’immaginazione
ze fuori di luogo frapposte almeno nella maggior parte, essendo certo
che
un giorno di lagrime e di lutto quale dovea esser
Creonte nell’ultima scena contrario al maligno e scellerato carattere
che
da tutta l’antichità gli viene attribuito, e fatt
la quale difficilmente pervengono i troppo fervidi ingegni, fa vedere
che
nessuno più di lui era forse in istato di rimpiaz
di rimpiazzare la perdita dell’illustre amico se la feconda fantasia
che
non s’appaga di una sola spezie di gloria, o le c
nclini per questo ad abbracciare i brillanti e poco solidi pensamenti
che
intorno alla convenienza del sistema drammatico d
alla maniera d’interpretare i tragici greci. [19] Un colto spagnuolo,
che
con esempio non facile a rinvenirsi ha avuto il c
stinto fra quelli del nostro tempo, ed io non avrei difficoltà di dir
che
fosse il primo, se alla semplicità della condotta
un più vivo contrasto negl’incidenti. Altri forse avrebbe desiderato,
che
la virtù di Scipione fosse meno tranquilla, e che
avrebbe desiderato, che la virtù di Scipione fosse meno tranquilla, e
che
i personaggi subalterni non s’usurpassero tanta p
ersonaggi subalterni non s’usurpassero tanta parte di quell’interesse
che
dovea principalmente cadere sul protagonista; ess
resse che dovea principalmente cadere sul protagonista; essendo certo
che
sebbene il carattere di Scipione considerato filo
rasto delle passioni, qualmente si vede in que’ due sfortunati sposi,
che
non la saggia fermezza d’un eroe di cui poco si p
poco gli è costato il sagrifìzio. Marco Aurelio e Plutarco vorrebbero
che
gli uomini fossero simili ad una rocca, la quale
ili ad una rocca, la quale immobile nella propria base spezza le onde
che
furiosamente le romoreggian d’intorno, e talmente
almente ha l’Abate Colomes dipinto il suo protagonista; ma il teatro,
che
ha una statica tutta sua, gli vorrebbe somigliant
na statica tutta sua, gli vorrebbe somiglianti piuttosto al naviglio,
che
sferzato da venti contrari ondeggia incerto del p
ietà e delicatezza d’immagini espresse con ottimo gusto, sono le doti
che
caratterizzano l’Alessandro e Timoteo del Conte G
bile della novità, essendo egli stato (per quanto a me pare) il primo
che
, cambiando il sistema di cotesto spettacolo, abbi
io di alcuni navigatori simili ai Cooki e ai Draki. Eppure non sembra
che
il pubblico la intenda così se giudicar dobbiamo
ubblico la intenda così se giudicar dobbiamo dalla fredda accoglienza
che
ha fatta al dramma del Conte Rezzonico. A che att
alla fredda accoglienza che ha fatta al dramma del Conte Rezzonico. A
che
attribuire quest’apparente ingratitudine? Ecco il
s’è detto nel tomo primo di quest’opera, dove si parlò delle qualità
che
deggiono avere lo stile e la lingua per rendersi
ifestamente false e insussistenti le teorie d’alcuni moderni italiani
che
vorrebbero trasferire alla poesia accompagnata da
sferire alla poesia accompagnata dai suoni le leggi medesime di stile
che
voglionsi per le poesie non inservienti alla musi
poema narrativo manca intrinsecamente di quella illusione e interesse
che
richiede il teatro. L’autore, imitando troppo esa
oppo esattamente il suo Dryden, ci fa intendere fin dalla prima scena
che
Taide e Timoteo vogliono rappresentar innanzi agl
i se mancando in chi ascolta la sorpresa derivata dal creder vero ciò
che
gli si racconta, manca in lui l’illusione eziandi
lo slegamento delle scene, succedendosi queste in tal guisa fra loro,
che
tolta via qualunque di esse, poco o nulla ne soff
di esse, poco o nulla ne soffre l’intiera composizione160. Aggiungasi
che
il protagonista il cui nome dovrebbe eccitare l’i
, non m’offre nel dramma del Conte Rezzonico veruna di quelle qualità
che
risvegliano l’interesse. Ivi non comparisce magna
to giuoco della sua eccessiva sensibilità, uno schiavo della mollezza
che
ci vendica fra le sue catene dell’ascendente che
hiavo della mollezza che ci vendica fra le sue catene dell’ascendente
che
aveva sopra di noi acquistato la sua fortuna. Pec
quella di abbrucciare fin colle proprie mani una popolatissima città
che
, deposte le armi, era pacificamente divenuta sua
le armi, era pacificamente divenuta sua suddita. Se fosse stato vero
che
Alessandro (com’egli pazzamente s’imaginava) era
o solo m’obbligherebbe a crederlo anzi prosapia delle Furie infernali
che
germe di Giove. Mi si risponderà ch’egli è mosso
i vendicar i Mani de’ Greci trucidati in altri tempi dai persiani, lo
che
ad un atto di giustizia o di patriotismo dovrebbe
un atto di giustizia o di patriotismo dovrebbe attribuirsi piuttosto
che
ad un capriccio irragionevole. Ma cotal difesa no
primo luogo perché non da principio riflesso di virtù si suppone ivi
che
fosse spinto Alessandro, ma da macchinale furore
istigazioni d’una cortigiana. In secondo luogo perché nel caso ancora
che
un falso amore della patria determinato l’avesse
ne. Oh mortali! Non è abbastanza feroce lo spirito della guerra senza
che
voi cerchiate d’inferocirlo ancor più divinizzand
senza che voi cerchiate d’inferocirlo ancor più divinizzando l’alloro
che
gronda di vostro sangue? E sì poco barbaro vi sem
e gronda di vostro sangue? E sì poco barbaro vi sembra il despotismo,
che
non avete orrore d’inghirlandarlo colla corona im
otismo, che non avete orrore d’inghirlandarlo colla corona immortale,
che
le belle arti non dovrebbon servare fuorché pei t
a tempo è ormai di venire all’opera buffa. Se si riflette ai vantaggi
che
ha la commedia musicale sopra la tragedia, parrà
vantaggi che ha la commedia musicale sopra la tragedia, parrà strano
che
giaccia quella nell’obbrobrioso stato in cui si r
di essi, e per la verità della espressione è più dilatata nella prima
che
nella seconda. Gli argomenti tragici, e conseguen
a che nella seconda. Gli argomenti tragici, e conseguentemente quelli
che
danno motivo ad una musica nobile e patetica, dev
umana sia una serie di muovimenti or dolorosi or piacevoli, la natura
che
attacca la conservazione dell’individuo allo stat
crisi d’una passione violenta non è più durevole nell’uomo di quello
che
lo sia in una stagione l’eccessivo rigore del fre
e una tragedia musicale. L’opposto avviene nella commedia. I soggetti
che
vi s’introducono formano la classe più numerosa d
oducono formano la classe più numerosa della società. Gli avvenimenti
che
vi si rappresentano sono frequentissimi nella vit
conseguenza più musicale. I ridicoli loro più evidenti e più caricati
che
è lo stesso che dire più acconci a piegarsi sotto
musicale. I ridicoli loro più evidenti e più caricati che è lo stesso
che
dire più acconci a piegarsi sotto la mano di chi
chi vuol imitarli. Tutto ciò deriva dalla eterna providenza di colui
che
, reggendo con invariabil sistema le cose di quagg
tenti schiavi sempre della fortuna e del pregiudizio nell’atto stesso
che
alleggerisce i disagi involontari del povero coll
mentita allegrezza, indizio d’uno spirito più contento. [23] Per poco
che
il lettore voglia inoltrarsi nelle idee accennate
che il lettore voglia inoltrarsi nelle idee accennate, troverà dunque
che
il sistema dell’opera buffa considerato in se ste
ra buffa considerato in se stesso è più ferace e più comodo di quello
che
sia il sistema dell’opera seria per il poeta, per
l’attore e per il compositore. Lo è per il primo mercè la gran copia
che
gli somministra di caratteri o sia di natura imit
tudiare. Lo è per il terzo a motivo della ricchezza delle modulazioni
che
scaturisce dalle stesse sorgenti, e dal non veder
e dal non vedersi obbligato ad alterar la natura almeno fino al grado
che
s’altera e si sfigura nell’opera seria. Imperocch
di non slontanarsi troppo dal parlar familiare proprio de’ personaggi
che
rappresentano, fa che i buffi non si perdano in g
ppo dal parlar familiare proprio de’ personaggi che rappresentano, fa
che
i buffi non si perdano in gorgheggi o cadenze smi
no, fa che i buffi non si perdano in gorgheggi o cadenze smisurate, e
che
non facciano uso di quel diluvio di note, col qua
lle opere buffe è, generalmente parlando, in migliore stato in Italia
che
la musica seria, e perché per un motivo di quest’
ia che la musica seria, e perché per un motivo di quest’ultimo genere
che
si senta composto con qualche novità e caratteriz
ieci nella musica buffa. [24] Mossi da tali ragioni vi sono di quelli
che
preferiscono ed amano, e mostrano di pregiare ass
scono ed amano, e mostrano di pregiare assai più la commedia musicale
che
la tragedia. E a dirne il vero, quantunque io non
uantunque io non gusti nella caricatura dei buffi quel diletto intimo
che
pruovo nelle lacrime dolci e gentili che mi costr
ei buffi quel diletto intimo che pruovo nelle lacrime dolci e gentili
che
mi costrigne a versare una bella musica tragica,
o temperamento mi vegga sospinto ad amare nella letteratura tutto ciò
che
parla fortemente alla immaginazione e alla sensib
opera seria e alla maggiore verità di natura e varietà di espressione
che
somministra l’opera buffa, concederò volontieri c
tà di espressione che somministra l’opera buffa, concederò volontieri
che
non deve facciarsi di stravaganza o di cattivo gu
lla musica, e lo dovrebbe essere parimenti della poesia: ma se da ciò
che
dovrebbe e potrebbe essere vogliamo argomentare a
e da ciò che dovrebbe e potrebbe essere vogliamo argomentare a quello
che
è, resteremo sorpresi nel vedere che non havvi al
re vogliamo argomentare a quello che è, resteremo sorpresi nel vedere
che
non havvi al mondo cosa più sguaiata, più bislacc
sta sul lido del mare era stata dai flutti talmente battuta e corrosa
che
non vi si scorgeva né un dio né un uomo ma uno sc
e gli abusi hanno in tal guisa sfigurata quella sorta di componimento
che
non vi si ravvisa veruna delle spezie appartenent
ica. Per farlo vedere più chiaramente figuriamoci un poco il discorso
che
tiene l’impresaro coll’autore quando gli raccoman
i persuasione capace di ottener il suo intento se il Messer Pandolfo,
che
mel fece avesse trovato il Damone di Boeleau per
ono stati gran tempo privi di teatrali divertimenti, il primo adunque
che
si rappresenterà tornerà in profitto considerabil
to non per tanto d’aprire a questo settembre uno spettacolo, e voglio
che
sia nuovo perché il pubblico è ormai ristucco del
cui (sebbene sia il primo drammatico del mondo) vuolsi fare quell’uso
che
si fa nelle case dei vasellami d’argento e delle
asserizie più triviali. «Potrei accomodarmi all’uso corrente d’Italia
che
è quello di strozzar i drammi di quell’autore, le
n sua vece arie e duetti fatti da qualche versificator dozzinale; dal
che
restano essi così sfigurati e mal conci che più n
rsificator dozzinale; dal che restano essi così sfigurati e mal conci
che
più non gli riconoscerebbe il padre che li generò
si così sfigurati e mal conci che più non gli riconoscerebbe il padre
che
li generò, se per nuovo miracolo di Esculapio tor
fra noi. Ma non mi piace siffato costume. L’eunucare un povero poeta
che
non ha fatto alcun male, è crudeltà che ripugna a
e. L’eunucare un povero poeta che non ha fatto alcun male, è crudeltà
che
ripugna al buon cuore. Il sostituire poi a ciò ch
n male, è crudeltà che ripugna al buon cuore. Il sostituire poi a ciò
che
a lei manca le altrui fanfaluche o le mie è cosa,
tuire poi a ciò che a lei manca le altrui fanfaluche o le mie è cosa,
che
pute un cotal poco di prosunzione. «Ricorro a voi
oi non per tanto, attendendo prima di tutto dalla vostra discrezione,
che
non sarete difficile intorno al prezzo. Io ho da
, nelle decorazioni, nei lumi, nell’affito del teatro e in altre cose
che
poco o nulla mi rimane per voi. Inoltre le parole
ose che poco o nulla mi rimane per voi. Inoltre le parole sono quello
che
meno interessa nell’opera e nel caso che voi non
noltre le parole sono quello che meno interessa nell’opera e nel caso
che
voi non vi troviate i vostri convenevoli, ci è un
vi troviate i vostri convenevoli, ci è una folla di poeti in Bologna
che
me le venderono a buonissimo mercato. E vedete, s
e trattasi del mio guadagno o della mia perdita, così mi permetterete
che
vi dia alcuni suggerimenti dai quali non vi dovre
a alcuni suggerimenti dai quali non vi dovrete dipartire. «Non vorrei
che
il dramma fosse intieramente serio, perché vi vor
uffo del tutto, perché si confonderebbe colle opere dozzinali. Vorrei
che
fosse di mezzo carattere (lo che in sostanza vuol
erebbe colle opere dozzinali. Vorrei che fosse di mezzo carattere (lo
che
in sostanza vuol dire che non abbia alcuno) che f
li. Vorrei che fosse di mezzo carattere (lo che in sostanza vuol dire
che
non abbia alcuno) che facesse piangere e ridere a
i mezzo carattere (lo che in sostanza vuol dire che non abbia alcuno)
che
facesse piangere e ridere allo stesso tempo, che
he non abbia alcuno) che facesse piangere e ridere allo stesso tempo,
che
il giocoso entrasse in una lega che mai non ha av
ngere e ridere allo stesso tempo, che il giocoso entrasse in una lega
che
mai non ha avuta col patetico, che ad un’aria app
he il giocoso entrasse in una lega che mai non ha avuta col patetico,
che
ad un’aria appassionata tenesse dietro una di tra
etico, che ad un’aria appassionata tenesse dietro una di trambusto, e
che
aprisse campo di mostrar la sua abilità alla virt
e che aprisse campo di mostrar la sua abilità alla virtuosa Pelosini,
che
spicca nel tenero e virtuoso Gnaccharelli, che so
lla virtuosa Pelosini, che spicca nel tenero e virtuoso Gnaccharelli,
che
sostiene la parte di buffo per eccellenza. Non vo
li, che sostiene la parte di buffo per eccellenza. Non vorrei nemmeno
che
l’argomento fosse tratto dalla storia; esso diver
alla storia; esso diverrebbe troppo serio, né sarebbe buono per altro
che
per comporre secondo le leggi di Aristotile, le q
o che per comporre secondo le leggi di Aristotile, le quali nulla han
che
fare coll’opera: mi piacerebbe bensì che ci entra
istotile, le quali nulla han che fare coll’opera: mi piacerebbe bensì
che
ci entrassero dentro dei cangiamenti di scena e d
esi. Oh quei Francesi hanno sfiorato il bello in tutte le cose! Oltre
che
le decorazioni piacciono moltissimo al popolo, io
io di far vedere una bellissima dipintura d’una prigione e d’un bosco
che
si trovano nello scenario preso ad affitto. «Voi
enario preso ad affitto. «Voi altri poeti avete certe regole di stile
che
vi fanno lambiccar il cervello per tornire acconc
o lambiccar il cervello per tornire acconciamente un periodo. Si dice
che
v’abbia con i suoi precetti comunicata cotal mala
ta cotal malattia contagiosa un maestro dell’arte, chiamato Orazio, e
che
i Greci e i Francesi v’abbiano fornito l’esempio.
ganza, e se vi piace anco dalla grammatica, insegnandomi l’esperienza
che
si può senza l’una e senza l’altra riscuoter sul
senza l’altra riscuoter sul teatro un durevole applauso. Non ha guari
che
si replicò più di quaranta volte sulle scene un’o
herà senza dubbio le ultime parole al poeta. «Ho sentito dire altresì
che
il ridicolo comico dev’essere cavato dalla esperi
comico dev’essere cavato dalla esperienza non tratto dalla fantasia,
che
si devono studiare profondamente gli uomini prima
devono studiare profondamente gli uomini prima d’esporli sul teatro,
che
le debolezze di temperamento non i vizi di rifles
i delitti odiosi e nocivi sono la materia propria della scena comica,
che
questa materia dee rappresentarsi abbellita da un
quanto caricato e forte ma non esagerato, con cert’altre filastrocche
che
voi altri autori dite esservi state prescritte da
tori dite esservi state prescritte dal buon senso. Ma vi torno a dire
che
il buon senso non è fatto per noi. Il teatro non
che il buon senso non è fatto per noi. Il teatro non ha altra poetica
che
quella delle usanze, e poiché queste vogliono che
on ha altra poetica che quella delle usanze, e poiché queste vogliono
che
deva ognor comparir sulle scene un martuffo con u
o da luna piena, con una boccaccia non differente da quella de’ leoni
che
si mettono avanti alla porta d’un gran palazzo, c
gran palazzo, con un parruccone convenzionale, e con un abbigliamento
che
non ha presso alla civile società né originale né
a presso alla civile società né originale né modello; poiché è deciso
che
cotal personaggio ridicolo abbia ad essere ognora
cco, od un marito sempre geloso e sempre beffato, od un vecchio avaro
che
si lascia abbindolare dal primo che gli sa destra
mpre beffato, od un vecchio avaro che si lascia abbindolare dal primo
che
gli sa destramente piantar le carote, poiché il c
o che gli sa destramente piantar le carote, poiché il costume comanda
che
per tariffa scenica devano mostrarsi in teatro or
devano mostrarsi in teatro ora un Olandese col cappello alla quakera
che
sembri muoversi colle fila di ferro a guisa di bu
i ferro a guisa di burattino, ora un Francese incipriato e donnaiuolo
che
abbia nelle vene una buona dose d’argento vivo, o
abbia nelle vene una buona dose d’argento vivo, ora un goffo tedesco
che
non parli d’altro che della sciabla e della fiasc
buona dose d’argento vivo, ora un goffo tedesco che non parli d’altro
che
della sciabla e della fiasca, ora un Don Quisciot
tro che della sciabla e della fiasca, ora un Don Quisciotte spagnuolo
che
cammini a compasso come figura geometrica, pieno
o al diavolo quanti precettori v’ammonissero in contrario. «V’avverto
che
non dovete introdurre più di sette personaggi, né
, di geloso, di mercante Olandese, o di qual più vi aggradi. Se colui
che
fa la parte del padre ha quindici o vent’anni men
o, il rossetto in buona dose e la lontananza aggiustano ogni cosa. Ma
che
il rimanente de’ personaggi parli assai poco, imp
Ma che il rimanente de’ personaggi parli assai poco, imperocché quei
che
mi sono toccati in sorte quest’anno cantano male.
il regno delle donne e l’anima del teatro, così v’avvisarete di fare
che
il primo uomo sia innamorato della prima donna, e
enio della musica. In ricompensa del disagio potrete sceglier i mezzi
che
più v’aggradino per maneggiare lo scioglimento. N
per maneggiare lo scioglimento. Ne fo così poco conto della condotta
che
nulla mi cale se va piuttosto così che altrimenti
così poco conto della condotta che nulla mi cale se va piuttosto così
che
altrimenti. «Ho la buona sorte di avere un primo
mpo acciocché brilli al suo talento. Egli ama poco il recitativo, dal
che
ne siegue che voi dovete essere estremamente laco
brilli al suo talento. Egli ama poco il recitativo, dal che ne siegue
che
voi dovete essere estremamente laconico a costo a
palmente, in quelle dove si può gorgheggiare come sono le romorose, o
che
chiudono qualche comparazione. E siccome incontrò
emo quella stessa, e tutto anderà a dovere. Sarà poi mio pensiero far
che
il maestro vi adatti sopra una musica sfoggiata e
un qualche strumento con botte, e risposte da una parte e dall’altra,
che
sarà proprio una delizia. «Vi metterete un solo d
te al primo uomo e alla prima donna. Guai se venisse cantato da altri
che
da loro! Nascerebbe un dissidio poco minore di qu
to da altri che da loro! Nascerebbe un dissidio poco minore di quello
che
accese in altri tempi i Geminiani contro ai Petro
Secchia rapita. A fine di schivar le contese fa di mestieri parimenti
che
tutti i personaggi cantino per ordine le loro ari
al primo uomo o dalla prima donna infino all’ultimo, e siccome vorrei
che
vi si mescolasse il buffo, così non farebbe male
antassero ad un tratto. Meglio poi se ci entra nelle parole un non so
che
di mulinello, di tempesta, di zuffa o di cosa che
le parole un non so che di mulinello, di tempesta, di zuffa o di cosa
che
apportasse gran fracasso. Allora l’orchestra batt
bbe fuoco, e gli uditori sguazzerebbero per l’allegrezza. Egli è vero
che
codesti finali rassomigliano per lo più ad una si
codesti finali rassomigliano per lo più ad una sinagoga di ebrei anzi
che
ad un canto ben eseguito, ma nelle cose di gusto
e di gusto non bisogna essere cotanto sofistico. «Avrete cura di fare
che
tutti gli attori abbandonino il teatro dopo aver
gli attori abbandonino il teatro dopo aver cantato le loro ariette, e
che
verso la fine dell’atto vadino sfilando a poco a
poi in vostra balia il tirar giù a grado vostro l’ultimo atto; basta
che
sia curto, che non vi si frammezzino arie d’impeg
balia il tirar giù a grado vostro l’ultimo atto; basta che sia curto,
che
non vi si frammezzino arie d’impegno, né decorazi
he non vi si frammezzino arie d’impegno, né decorazioni importanti, e
che
i personaggi alla perfine si rappattumino insieme
ortanti, e che i personaggi alla perfine si rappattumino insieme così
che
ogni cosa fornisca amichevolmente. Mi direte che
ttumino insieme così che ogni cosa fornisca amichevolmente. Mi direte
che
ciò non si conviene, e che anzi l’ultimo atto dov
ni cosa fornisca amichevolmente. Mi direte che ciò non si conviene, e
che
anzi l’ultimo atto dovrebbe essere il più vivo e
tigliezze dell’arte, nelle quali non me ne intrico. Quello ch’io so è
che
, fornito il secondo ballo, l’uditorio va via, e c
Quello ch’io so è che, fornito il secondo ballo, l’uditorio va via, e
che
i suonatori e virtuosi non vogliono più faticare.
olto più la Grotta di Trifonio, due commedie musicali di questo poeta
che
si sono rappresentate nell’imperial corte di Vien
uesto poeta che si sono rappresentate nell’imperial corte di Vienna e
che
ci fanno desiderare di vederne sortire altre molt
uni sugli altri, come la polvere sopra le strade ove si cammina senza
che
tali elogi facciano ni piccoli né grandi più di q
mina senza che tali elogi facciano ni piccoli né grandi più di quello
che
sono coloro che gli fanno o che gli ricevono, e s
ali elogi facciano ni piccoli né grandi più di quello che sono coloro
che
gli fanno o che gli ricevono, e si riducono ad un
no ni piccoli né grandi più di quello che sono coloro che gli fanno o
che
gli ricevono, e si riducono ad una moda, come è u
oda, un saluto, una riverenza.» Che avrebbe poi detto s’avesse saputo
che
si fanno persino pei cocchieri e pei cuochi, e ch
to s’avesse saputo che si fanno persino pei cocchieri e pei cuochi, e
che
persin la moglie d’un facchino fu nella sua gravi
augurio: E da te sortirà prole d’Eroi? Del restante qui non parlasi
che
della maggior parte, essendo certo per altro che
ante qui non parlasi che della maggior parte, essendo certo per altro
che
trovasi attualmente fra i poeti italiani più d’un
erto per altro che trovasi attualmente fra i poeti italiani più d’uno
che
compone con sensatezza e con gusto. 152. [NdA]
s subjecta fidelibus…» Orazio, Art. poet. 157. [NdA] Gli autori,
che
avendo abbracciato un qualche genere di letteratu
icolo l’opera in musica. Costoro si potrebbero paragonare ai rinegati
che
divengono implacabili nemici della religione che
ragonare ai rinegati che divengono implacabili nemici della religione
che
lasciarono. 158. [NdA] «Aut famam sequere, aut s
torno alle cagioni della deliziosa malinconia generata dalla tragedia
che
tanto ha occupate le penne di alcuni celebri scri
ra cosa», precetto egualmente applicabile alla succession delle scene
che
all’ordine degli avvenimenti.
izi popolari, e sulla varietà dei gusti musicali. [1] In una nazione
che
riguarda l’unione della musica e della poesia com
sero come in altri tempi musici, poeti e filosofi insieme, il costume
che
dà loro la preferenza sarebbe non solo commendabi
poiché, a riguardar le cose in se stesse, la musica strumentale non è
che
una imitazione o un sassidio della vocale. Ma dal
ofo; dacché ciascuna di esse volle sottrarsi da quella subordinazione
che
rendevasi necessaria e per la divisione comune e
studio i compositori; sebbene il cattivo gusto allor dominante faceva
che
vi s’introducessero non poche putidezze di contra
la maggior parte) trascurarono a poco a poco i recitativi in maniera
che
neppur li consideravano come necessari alla music
neppur li consideravano come necessari alla musica drammatica. Per lo
che
, trovandosi con siffatto metodo liberi della fati
atica. Per lo che, trovandosi con siffatto metodo liberi della fatica
che
doveva costar loro la verità e i tuoni più vicini
ero conformi al sentimento delle parole. Ecco l’origine di quel regno
che
di mano in mano sono venuti formando sulle scene
sulle scene i cantanti; imperocché accomodandosi questi ad un sistema
che
proccurava loro l’occasione di sfoggiare nel cant
di gola. [2] Se fosse mio divisamento alzar la voce contro agli abusi
che
non sono puramente letterari, citerei innanzi al
ella filosofia, e della religione la barbara ed esecrabile costumanza
che
si conserva tuttora in Italia come reliquia dell’
della natura, e per consolar i Caraibi ed i Giaghi della superiorità
che
gli Europei si vantano d’avere sopra di loro. Par
tà che gli Europei si vantano d’avere sopra di loro. Parlo del privar
che
si fa spietatamente delle sorgenti della virilità
pietatamente delle sorgenti della virilità tanti esseri men colpevoli
che
infelici, non per sigillare col loro sangue la ve
er sigillare col loro sangue la verità della nostra augusta religione
che
ispira solo mansuetudine e dolcezza e che abborri
la nostra augusta religione che ispira solo mansuetudine e dolcezza e
che
abborrirebbe sagrifizi sì infami, non per liberar
agura il sovrano, non per esercitar un atto di virtù eroica e sublime
che
ci ricompensasse della durezza dei mezzi coll’imp
o, ma per riscuotere un passaggiero e frivolo applauso in quei teatri
che
istituiti un tempo col fine di stampare negli ani
altrettante scuole di scostumatezza. Esorterei i grandi della terra,
che
accumulando insensatamente su tali persone onori
one, e meno perniciosi alla umana spezie. Farei arrossire i filosofi,
che
impiegando le loro ricerche in oggetti inutili, o
ali sostenitori, passano poi di volo sopra un così orribile attentato
che
si sostiene unicamente perché autorizzato dal tem
trovasse ricetto nel domicilio augusto della divinità un pregiudizio
che
non può far a meno, che non la offenda, e mettere
micilio augusto della divinità un pregiudizio che non può far a meno,
che
non la offenda, e metterei loro sotto gli occhi l
irazione. Mi rivolgerei a quel sesso da cui non si dovrebbe aspettare
che
patrocinasse una simile causa, ma tra il quale gl
dato alle donne sopra di noi, a sradicar un costume il quale divenuto
che
fosse più generale renderebbe affatto inutile sul
re gli abusi da costoro introdotti nell’opera. Non è il minore quello
che
apparisce a prima vista, e che risulta immediatam
tti nell’opera. Non è il minore quello che apparisce a prima vista, e
che
risulta immediatamente dalla loro figura e costit
cchio effeminato e cascante? Come potranno contraffare gli dei coloro
che
sono al di sotto degli uomini? Come è possibile c
re gli dei coloro che sono al di sotto degli uomini? Come è possibile
che
quelle lor voci liquide e dimezzate ispirino altr
sibile che quelle lor voci liquide e dimezzate ispirino altri affetti
che
mollezza e languore? Come non ha dovuto perder la
iugne come una conseguenza la poca espressione nei movimenti, difetto
che
hanno essi comune con quasi tutti gli altri canto
tutti gli altri cantori. Occupati solo del gorgheggiare, pare a loro
che
l’azione e il gesto non ci abbiano a entrare per
ne e il gesto non ci abbiano a entrare per niente, e si direbbe quasi
che
vogliano patteggiare colle orecchie dello spettat
antica Menfi la statua di Memnone al primo comparir dell’aurora senza
che
corrispondesse all’armonia verun atteggiamento es
per contraddir se medesimi, e per distrugger col gesto la commozione
che
avrebbe potuto destarsi col canto, accompagnando
o a Cleonice addolorata per la partenza di Alceste lo stesso contegno
che
le si darebbe alorché si consiglia coi grandi del
renare il riso in veggendo un Timante disperato o un furioso Farnace,
che
in mezzo alla disperazione o alla collera quando
per più minuti, come avessero a rappresentare i figliuoli della Niobe
che
si trovano nella galleria di Firenze? Cosa voglio
are cogli omeri, quel non aver mai il torace in riposo non altrimenti
che
facciano gli avvelenati o i punti dal morso della
facciano gli avvelenati o i punti dal morso della tarantola nel tempo
che
si espone la sua ragione ad un principe, o mentre
Regolo parla gravemente col senato di Roma? E è l’uomo di buon senso
che
non deva fremere nel veder per esempio Radamisto
mo di buon senso che non deva fremere nel veder per esempio Radamisto
che
, ferito in un braccio da Tiridate, continua ancor
ne col braccio ferito, come l’avesse pur sano? Nell’osservare Arbace,
che
apparecchiato a bere il veleno e cantando un’aria
a voltando, e rivoltando come fosse già vuota? Nel contemplar Argene,
che
mentre le vien narrata la disperata risoluzione d
quale comincia come per convenzione a dar nelle smanie? Nel rifletter
che
Beroe allorché parlando con Samnete gli dice: «I
a stolidezza degna di cotai mecenati? Per non dir nulla della energia
che
scemano alla situazione e al sentimento lasciando
nto lasciando il gesto inoperoso e senza effetto in tante circostanze
che
traggono appunto da esso la lor verità. [5] Come
to da esso la lor verità. [5] Come avessero un fedecommesso ne’ gesti
che
si trasmettesse per retaggio dal maestro al disce
dalle quali non si diparton giammai. Si cangia la musica annunziando
che
comincia il recitativo obbligato o l’aria? Ecco E
l’aria? Ecco Eponina voltar tosto le spalle all’imperador Vespasiano,
che
riman sulla scena senza riguardo al rispetto dovu
do lentamente il teatro come se per tutt’altro fine fosse venuta colà
che
per conciliarsi l’attenzione e per mostrarsi appa
ntar le parole colla nobil mimica esposta di sopra, e colla quale par
che
i cantanti vogliano prendersi a gabbo la sensatez
nto essa è inverosimile, disanimata e ridicola. E intanto Vespasiano,
che
ascolta, che fa egli? Sua maestà imperiale se la
verosimile, disanimata e ridicola. E intanto Vespasiano, che ascolta,
che
fa egli? Sua maestà imperiale se la passa garbati
iale se la passa garbatissimamente affettando un’aria di dissipazione
che
innamora, guardando per ordine i multiformi cimie
ndo per ordine i multiformi cimieri, e le vario-pinte altissime piume
che
si muovono nei palchetti, salutando nella platea
a si formano essi adunque del luogo dove si trovano, e dei personaggi
che
rappresentano? Non direste che vogliano ancor sul
uogo dove si trovano, e dei personaggi che rappresentano? Non direste
che
vogliano ancor sul teatro comparir que’ tali, che
entano? Non direste che vogliano ancor sul teatro comparir que’ tali,
che
sono, che si facciano uno scrupolo di mentire al
n direste che vogliano ancor sul teatro comparir que’ tali, che sono,
che
si facciano uno scrupolo di mentire al pubblico e
uesto proposito graziosamente il più volte lodato Benedetto Marcello)
che
abbiano timore non l’udienza prenda in iscambio i
parte consiste ancora nella inesperienza dei cantori, nel poco studio
che
ci mettono su tali cose, e nelle false idee che s
tori, nel poco studio che ci mettono su tali cose, e nelle false idee
che
si formano del loro mestiero, non sapendo, o non
che si formano del loro mestiero, non sapendo, o non volendo sapere,
che
l’anima degli affetti consiste nella maniera di e
re, che l’anima degli affetti consiste nella maniera di esprimerli, e
che
poco giova ad intenerirci la più bella poesia del
ti cantori ridotti per colpa loro a servir d’intermezzo ai ballerini,
che
avendo usurpata l’arte di rappresentare gli affet
le azioni umane meritamente hanno acquistata l’attenzione del popolo,
che
hanno gli altri meritamente perduta; perché conte
uanto nel restante. Per mettere in tutto il suo lume una proposizione
che
profferita da uno straniero in mezzo alla Italia
signori virtuosi, se pur la loro ignoranza o la vanità o i pregiudizi
che
partecipano dell’una e dell’altra, lasciano loro
è aggregato a veruna accademia musicale, e di dire intrepidamente ciò
che
si sente. [8] Nel nostro presente sistema drammat
e dello spettacolo. L’accento patetico della lingua non essendo altro
che
il linguaggio naturale delle passioni nei vari lo
linguaggio naturale delle passioni nei vari loro caratteri, è quello
che
serve di fondamento alla imitazion musicale princ
per così dire, il legame o vincolo fra l’uno e l’altra siccome quella
che
modifica l’accento secondo tali determinati inter
quella che modifica l’accento secondo tali determinati intervalli, e
che
dà ai suoni della melodia la necessaria precision
accennate sono così legate fra loro e così essenziali nel melodramma
che
ove mancasse una sola, non sarebbe possibile l’ot
della lingua sciolto, a così dire, e vagante non avrebbe altra forza
che
quella che si ritrae dal parlar ordinario. La mel
ua sciolto, a così dire, e vagante non avrebbe altra forza che quella
che
si ritrae dal parlar ordinario. La melodia da per
regola. L’armonia resterebbe una combinazione equitemporanea di suoni
che
niuna immagine, niuna idea presenterebbe allo spi
se la loro azione è necessaria nel melodramma, non è necessario però
che
quest’azione sia nello stesso grado dappertutto n
ecessario però che quest’azione sia nello stesso grado dappertutto né
che
sia simultanea. In una lingua armoniosa per natur
la misura, dove l’accento musicale se medesimo non abbisognava se non
che
dell’aggiunta del ritmo per divenire un perfetto
desima cosa. Ma nelle nostre lingue moderna appoggiate per le ragioni
che
s’addussero altrove su principi diversi siffatta
senza opprimere la compagna. A guisa dell’amore, ella non sa regnare
che
sola. Dall’altra parte l’azione della musica è co
e sola. Dall’altra parte l’azione della musica è così viva ed intensa
che
mal potrebbe regger l’uomo alle squisitezze d’una
ali però mi è forza passare di lungo per fermarmi soltanto nelle cose
che
tendono direttamente al mio assunto. Sarà la prin
rionfo del sentimento. [10] Partendo da un principio inconcusso, cioè
che
nella musica drammatica tutto esser deve imitazio
cusso, cioè che nella musica drammatica tutto esser deve imitazione e
che
niente può ella imitare dell’umano discorso fuorc
la imitare dell’umano discorso fuorché l’accento delle passioni o ciò
che
appresenti allo spirito una rapida successione d’
llo spirito una rapida successione d’immagini, si deduce con evidenza
che
poco o nulla può imitare la musica nel semplice r
io pel tuono della voce tranquilla con cui s’espone, e per le materie
che
vi si trattano, raro è che spicchi l’energia degl
nquilla con cui s’espone, e per le materie che vi si trattano, raro è
che
spicchi l’energia degli affetti. Tocca dunque all
i l’energia degli affetti. Tocca dunque alla poesia il far valere ciò
che
non potrebbe render la musica, ed ecco il luogo o
senza troppo affettatamente ricercarlo, insistendo sulle inflessioni
che
le somministra il discorso, facendo sentire gli i
tazioni accidentali dei tuoni, in una parola attaccandosi alle regole
che
prescrive l’arte della declamazione. La musica no
one. La musica non vi deve entrare se non quanto basti per far capire
che
l’azione rappresentata è un azion musicale per co
le per contraposizione alla recitata. Altro non vuolsi da essa se non
che
accompagni di quando in quando l’attore col basso
ne di sostenere la di lui voce, né si chiede altro dall’attore se non
che
misuri l’accento con qualche intervallo armonico,
’accento con qualche intervallo armonico, nel quale la regola sarebbe
che
non oltrepassi colla voce l’estensione d’una otta
endevolmente della poesia e degli strumenti come di due interlocutori
che
parlano l’uno dopo l’altro. Ed è qui appunto dove
terlocutori che parlano l’uno dopo l’altro. Ed è qui appunto dove più
che
altrove spiccar dovrebbe la scienza mimica dell’a
sugli uomini. Dovrebbe egli interpretare colla evidenza del gesto ciò
che
la voce non esprime abbastanza, perché trovasi, a
o all’idioma imitativo degli strumenti ora con lunghe pause e marcate
che
aprano largo campo all’azione di essi, ora con qu
prano largo campo all’azione di essi, ora con quei segni inarticolati
che
sono la favella dell’anima, e che mostrano la sup
si, ora con quei segni inarticolati che sono la favella dell’anima, e
che
mostrano la superiorità di un attore che sente e
ono la favella dell’anima, e che mostrano la superiorità di un attore
che
sente e conosce non solo quello che dice, ma quel
trano la superiorità di un attore che sente e conosce non solo quello
che
dice, ma quello ancora che deve tacersi. Dovrebbe
attore che sente e conosce non solo quello che dice, ma quello ancora
che
deve tacersi. Dovrebbe far sentire la successione
intervalli armonici nei tuoni della voce, e farla sentire in maniera
che
, notandoli fortemente e troppo spesso, non si dia
coll’atteggiamento della persona que’ tratti di forza e di sublimità
che
vengono assai meglio spiegati con un silenzio elo
meglio spiegati con un silenzio eloquente e con un accento interrotto
che
colla più pomposa orazione. Dalla imperizia de’ c
zione. Dalla imperizia de’ cantori in questo genere è venuta l’accusa
che
vari scrittori fanno al canto moderno di non conv
orso. S’avvicina, piange, le parla colla eloquenza propria d’un’anima
che
conosce tutta la sua umiliazione, e che vorrebbe
eloquenza propria d’un’anima che conosce tutta la sua umiliazione, e
che
vorrebbe pur patteggiare fra la religione e l’amo
orte di Creonte fa palese a Nerina sua confidente l’estremo desiderio
che
ha di vendicarsi, e la destrezza colla quale va c
e la destrezza colla quale va cercando i mezzi per riuscirvi. Nerina,
che
ignora ciò che ponno intraprendere le grandi pass
colla quale va cercando i mezzi per riuscirvi. Nerina, che ignora ciò
che
ponno intraprendere le grandi passioni, mostra di
presente alla pugna senza però vederne il fine, per avvisar il padre
che
i duo figliuoli suoi erano stati uccisi da’ Curia
r il padre che i duo figliuoli suoi erano stati uccisi da’ Curiazi, e
che
il terzo, vedendo di non potervi resistere, avea
otto. [16] Nel Macbetto dello stesso poeta un suo confidente gli dice
che
il suo nimico gli ha trucidata barbaramente la mo
alla spezie di canto e di musica solita a sentirsi oggidì sui teatri
che
contro il canto e la musica in generale, e benché
ò debba soltanto delle arie e non dei recitativi, dove è indubitabile
che
possono aver il lor luogo i tratti più vibrati ed
no pur qualche volta in quelli di Metastasio; egli è certo nonostante
che
l’accusa sarebbe men ragionevole ove la riflessio
enti determinati, allora l’accento della lingua rinforzato dal vigore
che
gli somministra la sensibilità posta in esercizio
ra la sensibilità posta in esercizio offre quella situazione o quadro
che
serve di fondamento all’aria. In questa la poesia
i alla poesia e alla lingua, prendendo dall’arte quel tanto e non più
che
ci vuole per presentar la natura nel suo più vero
e cosa puerile, e chi vorrebbeli al contrario supporre così necessari
che
disadorna e insoffribile riuscir dovesse senza di
n picciol vasetto di quint’essenza odorosa la sostanza di mille fiori
che
si trovavano sparsi per le campagne. [19] Lo scop
rappresentarla abbellita. Siccome tutte le cose create perciò appunto
che
sono create hanno dei limiti e siccome i limiti s
è possibile scoprir nell’universo un oggetto tanto assoluto e compito
che
possa servire di archetipo all’alta meta che si p
tanto assoluto e compito che possa servire di archetipo all’alta meta
che
si propongono le arti. Che fa dunque l’artefice?
e fa dunque l’artefice? Guidato dalla percezione intima di quel bello
che
esiste forse bella natura fino ad un certo punto
di quel bello che esiste forse bella natura fino ad un certo punto ma
che
non è nella maggior parte se non che una composiz
natura fino ad un certo punto ma che non è nella maggior parte se non
che
una composizione, un lavoro fattizio delle nostre
e, un lavoro fattizio delle nostre idee prende a modificar la materia
che
debbe servirgli di stromento, e togliendo da essa
che debbe servirgli di stromento, e togliendo da essa le parti tutte
che
mal corrisponderebbero al suo mentale disegno, ra
Augusto nel Cinna, l’anima di Regolo nel Metastasio, altro non furono
che
un aggregato di proprietà atte a produrre in noi
li artefici sotto ad un determinato concetto, costituirono quel tutto
che
viene decorato col nome di bello. Ecco la necessi
na spezie; come la descrizione della tempesta in Virgilio non è altro
che
l’unione di molti fenomeni naturali che si veggon
pesta in Virgilio non è altro che l’unione di molti fenomeni naturali
che
si veggono succedere negli oggetti, e che poi si
di molti fenomeni naturali che si veggono succedere negli oggetti, e
che
poi si radunano dal poeta in un solo quadro, così
n solo quadro, così un bel recitativo od una bell’aria altro non sono
che
la collezione d’una moltitudine d’inflessioni e d
mento, poiché sebbene non trovisi alcun oggetto sonoro in particolare
che
presenti all’orecchio la serie dei tuoni contenut
“se mai senti spirarti sul volto” di Gluck, egli è però indubitabile
che
separatamente presi si trovano tutti nella voce d
tate. Attalchè molto male, a mio avviso, opinò quel moderno autore141
che
ripose l’imitazion musicale nel rango delle chime
141 che ripose l’imitazion musicale nel rango delle chimere; opinione
che
non potè nascere in lui se non di poca filosofia,
ovità stravagante. [21] Al motivo d’abbellare e d’aggrandir la natura
che
ha comune la musica con tutte l’arti rappresentat
La sua maniera d’imitare è così indeterminata e generica, i sagrifizi
che
ci costrigne a fare nella poesia e nella declamaz
sono tanti sì replicati e sì grandi i segni esteriori delle passioni
che
servono di materia al linguaggio musicale sono co
a cagione di quel contegno, di quella tinta di falsità, o di riserba
che
hanno sparso sopra di noi i sistemi d’educazione,
i insomma dov’ella può afferrare gli oggetti sono sì oscuri e sì rari
che
la musica non ci offrirebbe verun compenso, né me
melodramma allorché volle sbandirà dalla musica drammatica tutto ciò
che
serve a dipignere e a far valere la possanza intr
lto ingegno due sorta di musica una semplice e un’altra composta, una
che
canta e un’altra che dipinge, una che chiama di c
di musica una semplice e un’altra composta, una che canta e un’altra
che
dipinge, una che chiama di concerto e un’altra di
mplice e un’altra composta, una che canta e un’altra che dipinge, una
che
chiama di concerto e un’altra di teatro. Alla mus
, e il far uso di tutte le squisitezze della melodia, ma non vorrebbe
che
la musica di teatro pensasse a verun’altra cosa f
nsasse a verun’altra cosa fuorché all’unica espressione delle parole,
che
in grazia di queste trascurar dovesse ogni idea d
azia di queste trascurar dovesse ogni idea di proporzione e di ritmo,
che
non s’imbarazzasse nel condurre artifiziosamente
a ciascun pensiero compreso nella poesia. In una parola vorrebbe egli
che
le grazie e le bellezze della musica fossero tutt
grificate ad una rigida verità. Nulla di più giusto né di più sensato
che
siffatta opinione ove non fosse stata condotta al
ffatta opinione ove non fosse stata condotta all’eccesso. Egli è vero
che
le grazie puramente musicali sfoggiate al di là d
llusione ch’è l’anima dell’interesse teatrale, ma egli è vero altresì
che
la troppo fedele e perfetta imitazione dei tuoni
dele e perfetta imitazione dei tuoni naturali privi dell’abbellimento
che
ricevono dalla musica non avrebbe sulle passioni
vono dalla musica non avrebbe sulle passioni la stessa forza muovente
che
ha l’altra imitazione meno perfetta ma più abbell
melodia. O nasca un siffatto fenomeno dalla impressione più gagliarda
che
i suoni musicali fanno sui nostri nervi, o dalla
arda che i suoni musicali fanno sui nostri nervi, o dalla compiacenza
che
risulta nell’anima dal veder imitati gli oggetti,
ulta nell’anima dal veder imitati gli oggetti, o dal piacere riflesso
che
ha lo spirito ritrovando nuova materia dove eserc
ua facoltà pensatrice e comparativa, o dalla sensazione analoga a noi
che
produce l’idea dell’armonia compresa negli interv
i intervalli musicali, o dal complesso di molte altre idee accessorie
che
s’uniscono a quella della immediata espressione d
uniscono a quella della immediata espressione dei sentimenti, certo è
che
dall’aggregato e dalla scelta dei colori che il m
dei sentimenti, certo è che dall’aggregato e dalla scelta dei colori
che
il musico aggiugne al quadro preso a dipingere, n
a dipingere, ne deriva un cumulo di piaceri maggiori assai di quello
che
ne risulterebbe dagli stessi originali imitati; n
endo di strano anzi essendo molto conforme alla quotidiana esperienza
che
i tuoni musici che rappresentano, per esempio, le
essendo molto conforme alla quotidiana esperienza che i tuoni musici
che
rappresentano, per esempio, le gelose smanie di P
ose smanie di Poro, ci riescano più gradevoli, e ci muovano più assai
che
nol farebbe la voce naturale di Poro s’esprimesse
ro s’esprimesse quelle smanie medesime, come un serpente od una tigre
che
ci farebbero inorridire in mezzo ad una campagna,
pa dagli occhi le lagrime e mi sveglia appunto quelle stesse passioni
che
vorrebbe svegliarmi la poesia senza recar onta ai
n soverchia stitichezza rinunziare ai vezzi musicali e agli ornamenti
che
mi ricompensano dei sagrifizi che sono costretto
ai vezzi musicali e agli ornamenti che mi ricompensano dei sagrifizi
che
sono costretto a fare in grazia del canto? Tutta
alla rappresentazione propria della musica quel grado d’abbellimento
che
la rende commovente e aggradevole senz’alterar di
enti dell’arte? Seguitiamo in cotal ricerca l’analisi. Quando si dice
che
l’arte debbe aiutar la natura, si viene a dire ch
si. Quando si dice che l’arte debbe aiutar la natura, si viene a dire
che
l’artificio è un supplemento di ciò che a lei man
ar la natura, si viene a dire che l’artificio è un supplemento di ciò
che
a lei manca. Per conseguenza dove la natura non h
atura abbia forza per se sola a produrlo, basta osservare se i tratti
che
si mostrano in lei fissano tutta l’attenzione del
trano in lei fissano tutta l’attenzione del nostro spirito in maniera
che
dopo averla veduta, e dopo ch’ella ha parlato, la
giovare, perché da una banda chiamano a se parte di quell’attenzione
che
dovrebbe tutta e intiera fissarsi sul tale oggett
so a riempiere quel voto lasciato tra la cagione e l’effetto, facendo
che
gli abbellimenti cuoi servano, a così dire, di me
e. Sua incombenza è di aggiugnere all’oggetto imitato quei lineamenti
che
gli mancavano nella prima sua impronta acciò più
ca l’imitazione. Ma si ricordi bene ch’essa appunto non dee far altro
che
riempiere il vuoto, vale a dire correggere, o aiu
invece di ausiliare vuol comparir prottetrice! Allora lo spettatore,
che
non s’interessa nell’oggetto se non se a motivo d
spregiando l’arte e l’artefice. [23] Dai principi accennati si ricava
che
il musico non dee ammetter in ogni luogo gli orna
o del sentimento, qualora promuovano il gener medesimo di espressione
che
regna nel canto, qualora si confacciano coll’ogge
le parti compagne, o tingono il motivo di un colore diverso da quello
che
esige il suo carattere, ovvero cangiano l’indole
indole della passione o la natura del personaggio. Come la materia di
che
si tratta è tanto importante, così sarà bene il d
n fatto; perocché nascendo l’interesse dalla chiara percezione di ciò
che
il produce, lo spettatore non potrebbe commuovers
resentandosi la dubbiezza dello spirito nata dal contrasto dei motivi
che
gli si fanno innanzi, l’anima concentrata nella s
erza. Non deve infiorar il principio di un’aria per la stessa cagione
che
non s’infiora l’esordio di una orazione, cioè per
ne che non s’infiora l’esordio di una orazione, cioè perché ivi è più
che
altrove necessaria la semplicità ad intender bene
é ivi è più che altrove necessaria la semplicità ad intender bene ciò
che
vuol dire il motivo, il quale mal si capirebbe tr
se sole, e gli ornati aggiunti in tal caso fanno il medesimo effetto
che
le nuvole frapposte a ciel sereno fra l’occhio de
luminoso del giorno. [28] Quinta. Né meno in quella spezie di affetti
che
ricavano il pregio loro maggiore dalla semplicità
one o la mossa degli strumenti è incitata e veloce. Sarebbe lo stesso
che
se ad uno che anela nel corso, altri gettasse fuo
degli strumenti è incitata e veloce. Sarebbe lo stesso che se ad uno
che
anela nel corso, altri gettasse fuori di strada a
sione anche agli scherzi dell’arte. [32] Nona. Come nelle arie ancora
che
si chiamano di mezzo carattere; perché non esprim
appresenta, ma canta, così a lui non si vieta usare di quelle licenze
che
si permettono a chi si diverte cantando in una ca
sioni scorrendole con un sol fiato e con quel numero di note soltanto
che
basti a far gustare il pensiero e a riconoscervi
sue bellezze a parte, il mischiarle con quelle del primo è lo stesso
che
vestire il pensiero di un abito non suo. [39] Dec
tima. Hassi a sbandire delle cadenze come un ornamento puerile quella
che
si chiama “recapitulazione dell’aria”, parola che
ento puerile quella che si chiama “recapitulazione dell’aria”, parola
che
o si risolve in una idea inintelligibile, o conti
e retorica del Padre De Colonia. [41] Decima ottava. Gli abbellimenti
che
s’introducono debbono essere di vaga e leggiadra
rsi con esattezza inemendabile, poiché sarebbe strana cosa e ridicola
che
il cantore si dimostrasse inesperto nelle cose ap
e capricciosa e incostante, o di abbandonarsi allo spirito di partito
che
non coglie nel vero giammai, avessero, siccome ho
ica vocale si troverrebbe in Italia in istato assai diverso da quello
che
si trova presentemente. Però non diffido che dal
assai diverso da quello che si trova presentemente. Però non diffido
che
dal lettore mi venga perdonata la lunghezza dello
dello svagamento in attenzione alla sua utilità. [43] Dicendo quello
che
dovrebber fare i cantori, ho detto appunto quello
a profferiscono le parole con un certo andamento uniforme e concitato
che
non a declamazione o a discorso naturale rassembr
zione o a discorso naturale rassembra, ma a quelle orazioni piuttosto
che
i fanciulli sogliono cinguettare presso al loro b
inguettare presso al loro babbo. Ora adoperano una cantilena perpetua
che
annoia insoffribilmente chi ascolta; ora scambian
arole profferendole per metà; ora sconnettono il nominativo dal verbo
che
gli si appartiene, ovvero una parte dell’orazione
i si appartiene, ovvero una parte dell’orazione dall’altra in maniera
che
tante volte non si capirebbe punto la relazione f
é il significato loro se non venisse in aiuto il libretto per far ciò
che
faceva il pittore di un castello chiamato Orbanej
ale, dopo aver dipinta una figura, riusciva fanto fedele l’imitazione
che
gli abbisognava per esser capito scriver di sotto
lo». Nulla dirò della radicale monotonia e della somiglianza perpetua
che
s’avverte sostituita a quella varietà d’intervall
tua che s’avverte sostituita a quella varietà d’intervalli e di tuoni
che
vi si dovrebbe sentire in ciascun periodo, anzi i
chi gli recita. V’è chi lo dice in confidenza, chi con una confusione
che
ributta. V’è chi affretta a guisa di chi vuol gal
fretta a guisa di chi vuol galoppare, v’è chi mostra una milensaggine
che
vi par quasi debba convertirsi in ghiaccio prima
sto difetto ne’ compositori, ma ciò non basta a scolparne i cantanti,
che
quasi sempre lo cantano male oltre l’inciampar ch
lparne i cantanti, che quasi sempre lo cantano male oltre l’inciampar
che
fanno in mille altri vizi, i quali nulla hanno di
une col movimento del basso. Passiamo alle arie. [45] Non negherò già
che
se il canto si prende in quanto è la maniera di m
no lontano dal voler comparire parziale od ingiusto. [46] Dirò di più
che
in questa spezie di canto si sono eglino distinti
di più che in questa spezie di canto si sono eglino distinti a segno
che
non solo le nazioni moderne, tra le quali è incon
segno che non solo le nazioni moderne, tra le quali è incontrastabile
che
nessuna può venire in paragone coll’italiana, ma
nessuna può venire in paragone coll’italiana, ma porto anche opinione
che
nemmeno quelle due antiche coltissime, la Greca e
ervenissero mai sul teatro all’artifizio e delicatezza di modulazione
che
si pratica a’ nostri giorni142. [47] Ma se per ca
appresentar modulando le passioni e i caratteri degli uomini talmente
che
vi si scorga chiaramente la verità dell’oggetto r
ion teatrale si proponi due fini, l’uno la rassomiglianza della copia
che
imita coll’originale imitato, e l’altro la rassom
tazion di natura è mai quella del canto drammatico dove la lontananza
che
passa tra l’originale e la copia è assai maggiore
nanza che passa tra l’originale e la copia è assai maggiore di quella
che
passerebbe tra due originali affatto diversi? Qua
evenuto dell’uditore tra il sentimento sublime, tranquillo e profondo
che
signoreggiava l’anima di Temistocle, allorché ris
idir.» e quel sentimento medesimo cantato alla moderna, cioè facendo
che
Messer Temistocle si diverta per un quarto d’ora
orpresa della smarrita Dircea allorché si confessa priva di senso non
che
di parole «Divenni stupida Nel colpo atr
lo stato medesimo obbligando a gorgheggiar con mille semicrome quella
che
“non sa parlare”, e facendo or sù or giù rotolare
he “non sa parlare”, e facendo or sù or giù rotolare la voce di colei
che
“non ha più voce”? Qual rapporto col suono grave
più voce”? Qual rapporto col suono grave e posato, col quale un uomo
che
fa riflessione alle funeste conseguente, che arre
osato, col quale un uomo che fa riflessione alle funeste conseguente,
che
arreca l’abbandonarsi agli sregolati suoi desider
ti solecismi musicali sono piene in tal guisa tutte le opere moderne,
che
l’accumulare gli esempi sarebbe, come dice un pro
ccumulare gli esempi sarebbe, come dice un proverbio greco, lo stesso
che
portar vasi a Samo o nottole ad Atene. [49] Ma l’
stesso che portar vasi a Samo o nottole ad Atene. [49] Ma l’imitazion
che
risulta dalla somiglianza del canto colla situazi
roppo di studio e di gusto perché deva sperarsi dagli automati canori
che
si chiamano virtuosi di musica. Vediamo almeno se
Vediamo almeno se si trovi un compenso nell’altro genere d’imitazione
che
nasce dalla convenienza delle parti elementari de
profferir le parole o le sillabe, pel grado di acutezza o di gravità
che
vi si mette, e per la forza o remissione colla qu
zza o la gravità, il piano e il forte rappresenta il diverso ricalcar
che
si fa sulle vocali. Ora siccome la natura e la co
no entrambe secondo l’indole e il grado delle passioni, essendo certo
che
l’andamento per esempio della malinconia è tardo
ondo l’espressione delle parole, e la natura dell’affetto individuale
che
si vuol rappresentare; né passar si dovrebbe dai
affetti e sentimenti contrari si pongono in opera li stessi capricci,
che
dalla piebaglia armonica vengono chiamati ornamen
aria dolente si frammischian le stesse volate, gruppi e salti di voce
che
converrebbonsi ad un’aria concitata? Dove esprime
rompe i tuoni in maniera a forza di repliche, di passaggi e di trilli
che
ove ti brattava d’imitar la tristezza o l’odio, m
erare la voce si sfigura talmente il carattere degli affetti naturali
che
più non si conosce a qual passione appartengano,
nosce a qual passione appartengano, onde ne risulta una nuova lingua,
che
non intendiamo? Dove non si comprende che vi sia
e risulta una nuova lingua, che non intendiamo? Dove non si comprende
che
vi sia alcun linguaggio articolato, ma un “a” o u
comprende che vi sia alcun linguaggio articolato, ma un “a” o un “e”
che
corrono precipitosamente per tutte le corde e per
per tutte le scale applicabili egualmente a parole ebraiche o latine
che
alle italiane? Dove all’aria stessa cioè alla ste
ine che alle italiane? Dove all’aria stessa cioè alla stessa passione
che
conserva la tinta e il colore medesimo si dà tutt
sione che conserva la tinta e il colore medesimo si dà tutte le volte
che
si torna da capo un tuono affatto diverso cambian
o, il movimento e il ritmo, quantunque il cambiamento non abbia punto
che
fare col basso e coi violini? Dove troncando a me
mezzo il senso delle parole e lo sfogo degli affetti attende talvolta
che
finisca l’orchestra che dia tempo ai polmoni di r
ole e lo sfogo degli affetti attende talvolta che finisca l’orchestra
che
dia tempo ai polmoni di raccoglier il fiato per e
il contrario s’impone silenzio alla orchestra, dando luogo al maestro
che
levi la mano dal cembalo e che pigli tabacco, men
alla orchestra, dando luogo al maestro che levi la mano dal cembalo e
che
pigli tabacco, mentre il cantore va follemente sp
note? Dove questi si prende ad ogni passo la libertà d’uscire da ciò
che
gli prescrive la composizione costringendo l’orch
estra a seguitarlo negli sciocchissimi suoi ghiribizzi? Dove in luogo
che
gli strumenti imitino la voce, è piuttosto la voc
o che gli strumenti imitino la voce, è piuttosto la voce umana quella
che
prende talvolta a gareggiare cogli strumenti chia
ne ora una tromba, ora un violino, ora un corno da caccia? Oh! Che sì
che
Giovenale nel vedere la strana violenza che fanno
rno da caccia? Oh! Che sì che Giovenale nel vedere la strana violenza
che
fanno i cantori al senso comune avrebbe avuto rag
bbe avuto ragion di esclamare «Quis tam ferreus ut teneat se?» Che sì
che
l’aveva quel francese autore d’un poema sulla mus
la natura, sia esso o non sia conforme al senso delle parole, certo è
che
piace generalmente sul teatro, e che le arie cant
e al senso delle parole, certo è che piace generalmente sul teatro, e
che
le arie cantate con le stranezze e le inverosimig
ze, contro alle quali vi scagliate sì fieramente, sono quelle appunto
che
riscuotono i maggiori applausi e che svegliano co
fieramente, sono quelle appunto che riscuotono i maggiori applausi e
che
svegliano costantemente l’ammirazione del popolo.
del popolo. Una delle due cose adunque vi fa di mestieri accordare: o
che
le orecchie del pubblico non sono giudici in fatt
che le orecchie del pubblico non sono giudici in fatto di musica, lo
che
sarebbe un paradosso, o che i vostri sognati rapp
o non sono giudici in fatto di musica, lo che sarebbe un paradosso, o
che
i vostri sognati rapporti fra la rappresentazione
ma dalla ignoranza e avvalorato da uno spezioso pregiudizio, è quello
che
cagiona l’esterminio di tutte le belle arti. E qu
iudicare bensì del proprio diletto e compiacersi d’una cosa piuttosto
che
d’un’altra, nel che i filosofi non gli faranno co
roprio diletto e compiacersi d’una cosa piuttosto che d’un’altra, nel
che
i filosofi non gli faranno contrasto, ma non è, n
così chiamato quando genera un diletto qualunque, ma allora soltanto
che
genera un diletto ragionato figlio della osservaz
letto ragionato figlio della osservazione e del riflesso. Il piacere,
che
gustan nel canto moderno coloro che nulla intendo
zione e del riflesso. Il piacere, che gustan nel canto moderno coloro
che
nulla intendono, non è altro che una serie di sen
che gustan nel canto moderno coloro che nulla intendono, non è altro
che
una serie di sensazioni materiali, a così dire, e
dalla melodia naturale inerente ad ogni e qualunque tuono armonico, e
che
si gode ne’ gorgheggi d’un rossignuolo al paro ch
tuono armonico, e che si gode ne’ gorgheggi d’un rossignuolo al paro
che
nella voce d’un cantore. E se di questo solo piac
solo vanno al teatro, appigliai eglino pure alle decisioni del volgo,
che
io non m’oppongo. Ma oh bellezza sovrumana della
mia sensibilità i privilegi della mia natura. Io chieggo prima da te
che
, trasportando nel falso le sembianze del vero, tu
asportando nel falso le sembianze del vero, tu mi seduca e m’inganni;
che
porti l’inganno e la seduzione al maggior grado p
ganni; che porti l’inganno e la seduzione al maggior grado possibile;
che
mi facci pigliar un inconsistente aggregato di su
n inconsistente aggregato di suoni pei veri gemiti d’un mio simile, e
che
mi costringa a correre, come un altro Enea, per a
antasma di Creusa invece del suo corpo. Tu devi poscia chieder da me,
che
svanita che sia l’illusione, io seguiti ancora a
reusa invece del suo corpo. Tu devi poscia chieder da me, che svanita
che
sia l’illusione, io seguiti ancora a godere della
ancora a godere della compiacenza riflessa di essere stato ingannato;
che
ammiri la possente magia dei suoni che pervennero
ssa di essere stato ingannato; che ammiri la possente magia dei suoni
che
pervennero a farlo; che paragoni que’ punti di ra
nnato; che ammiri la possente magia dei suoni che pervennero a farlo;
che
paragoni que’ punti di rassomiglianza col vero on
rassomiglianza col vero onde trasse origine il mio delizioso delirio;
che
sillogizzi comparando la voce che cantò colla pas
e origine il mio delizioso delirio; che sillogizzi comparando la voce
che
cantò colla passione o l’idea che voleva rapprese
; che sillogizzi comparando la voce che cantò colla passione o l’idea
che
voleva rappresentarmi; e che simile all’Adamo int
a voce che cantò colla passione o l’idea che voleva rappresentarmi; e
che
simile all’Adamo introdotto dal Milton, dopo aver
ta facoltà pensatrice, chi comprende ad un tratto la finezza non meno
che
la moltiplicità delle relazioni fra gli oggetti d
ll’altrui sensazione e non colla propria? Come sperarle da un udienza
che
va alle rappresentazioni drammatiche collo spirit
ienza che va alle rappresentazioni drammatiche collo spirito medesimo
che
anderebbe ad una bottega da caffè, ad una convers
ad un ridotto, cioè per ispendervi quattr’ore in tutt’altro esercizio
che
in quello di arricchire la sua testa d’idee e il
dalla mia penna, la mia pietà vi risparmia! Un avanzo di compassione,
che
pur mi resta, mi consiglia a non privarvi del dol
ne la vostra vanità, e a lasciarvi godere di quelli stolidi applausi,
che
sono l’unica ricompensa delle vostre comiche inez
sono l’unica ricompensa delle vostre comiche inezie. [54] Mi si dirà
che
il quadro da me abbozzato comprende il volgo solt
ende il volgo soltanto, non già il pubblico signorile e rispettabile,
che
forma per lo più l’udienza dell’opera. Nulladimen
non ancora civilizzato pampa del Paraguay, io ripiglierò francamente
che
, ove si tratta di pronunziar un fondato giudizio
ti, o il trasporto pei cani o pei cavalli maggiore talvolta di quella
che
hanno pe’ loro simili, o il frequente e piacevole
rosunzione di decidere. Volgo è la massima parte delle persone civili
che
frequentano il teatro o per le stesse cagioni che
elle persone civili che frequentano il teatro o per le stesse cagioni
che
i precedenti, o perché gli affari urbani o domest
nelle cose musicali quella razza di sapienti accigliati e malinconici
che
stampano su tutti gli oggetti l’impronta del loro
ci che stampano su tutti gli oggetti l’impronta del loro carattere, e
che
fatti per abitar piuttosto il mondo di Saturno ch
loro carattere, e che fatti per abitar piuttosto il mondo di Saturno
che
il nostro si stimerebbono rei di lesa gravità let
il nostro si stimerebbono rei di lesa gravità letteraria, permettendo
che
la mano incantatrice delle Grazie venisse talvolt
. E volgo è ancora l’aggregato degli uditori maggiore assai di quello
che
comunemente si crede, i quali indifferenti per na
terrogati sul merito degli attori rispondere come fece quel bolognese
che
, trovandosi in Roma in una veglia presso ad un ta
classe voglionsi aggiugnerc gli ippocriti di sentimento, quelli cioè
che
affettano di provar diletto nella musica per ciò
quelli cioè che affettano di provar diletto nella musica per ciò solo
che
stimano esser proprio d’uomo, di gusto il provarl
sser proprio d’uomo, di gusto il provarlo: se noveriamo anche i molti
che
, invasati dallo spirito di partito, commendano no
he i molti che, invasati dallo spirito di partito, commendano non ciò
che
credono esser buono, ma quello soltanto che ha ot
rtito, commendano non ciò che credono esser buono, ma quello soltanto
che
ha ottenuta la lor protezione; se vorremo separar
to che ha ottenuta la lor protezione; se vorremo separare i non pochi
che
essendo idolatri di un solo gusto e di un solo st
, esce ogni mattina dalla sua capanna per additar al sole la carriera
che
dee percorrere in quel giorno; si vedrà che alla
ditar al sole la carriera che dee percorrere in quel giorno; si vedrà
che
alla fine dei conti quel gran pubblico signorile
rile e rispettabile si risolve in un numero assai limitato di uditori
che
capaci siano di giudicare direttamente. E questi
ella decadenza della musica, e inveiscono contro i musici e i cantori
che
l’hanno accelerata. [56] Coloro poi che dal piace
o contro i musici e i cantori che l’hanno accelerata. [56] Coloro poi
che
dal piacere del volgo traggono un argomento per c
o poi che dal piacere del volgo traggono un argomento per conchiudere
che
ad eccitar l’interesse che può esservi nella musi
olgo traggono un argomento per conchiudere che ad eccitar l’interesse
che
può esservi nella musica nulla vaglia la connessi
eriale dei sensi nell’amore viene accompagnato da voluttà, pretendono
che
niun’altra cosa debba pregiarsi in quella passion
mentanea. Questi insensati discepoli di Aristippo mostrano d’ignorare
che
i diletti meccanici dell’amore si riducono presso
e, o l’entusiasmo generato dalle qualità morali. Quelli non capiscono
che
il piacere sensitivo ed esterno che producono i s
lità morali. Quelli non capiscono che il piacere sensitivo ed esterno
che
producono i suoni sull’uomo considerato semplicem
non è per alcun verso paragonabile con quell’altro diletto più intimo
che
producono nell’uomo morale, cioè nell’uomo consid
ta cognizione per metter in esercizio le proprie passioni. Cose tutte
che
non ponno provenire da una serie indeterminata di
re da una serie indeterminata di suoni, ma dalla determinazione bensì
che
ricevono essi suoni dalle parole, le quali, facen
venevole», e Platone comparò la poesia separata dal canto ad un volto
che
perde la sua beltà passato che sia il fiore della
poesia separata dal canto ad un volto che perde la sua beltà passato
che
sia il fiore della sua giovinezza144. Lo stesso f
ro attribuisce l’una e l’altra alla debolezza de’ poeti e dei musici,
che
presero per regola del bello nelle due facoltà il
e da una costante esperienza bastano a dileguar pienamente un sofisma
che
può chiamarsi l’ancora della speranza per gli ign
e spezie d’imitazione esposte di sopra debba altresì mancare la terza
che
deriva dalla somiglianza dei movimenti che svegli
a altresì mancare la terza che deriva dalla somiglianza dei movimenti
che
sveglia in noi la copia coi movimenti che sveglie
a somiglianza dei movimenti che sveglia in noi la copia coi movimenti
che
sveglierebbe la presenza dell’originale rappresen
o, non occorre fermarsi a lungo per provarlo. Imperocché egli è certo
che
altra via non hanno le arti rappresentative per c
fetti se non quella di colpir la nostra immaginazione nel modo stesso
che
la colpirebbero le cose reali e per gli stessi me
le a verun patto eccitare la commozione. Perlochè avendo fatto vedere
che
la musica vocale non corrisponde al suo oggetto,
o fatto vedere che la musica vocale non corrisponde al suo oggetto, e
che
le volate, i trilli, le vocalizzazioni, e le cade
olate, i trilli, le vocalizzazioni, e le cadenze, e i lunghi passaggi
che
costituiscono il principale abbellimento del cant
egory 147 poi di nuovo in Italia dal più volte lodato Borsa 148, cioè
che
prendendo a legger Metastasio, a fatica si può la
sse o dalla curiosità. La qual cosa non altronde deriva se non da ciò
che
il canto drammatico colle sue stranezze e inveros
anezze e inverosimiglianze sfigura in tal modo il senso delle parole,
che
tolta ogni connessione colla poesia, altro non ra
olla nostra sensibilità in cui ci pone il canto; poiché essendo certo
che
appena avremmo potuto frenare le lagrime per la c
o colla quale uno straniero nuovo alle impressioni riguarda l’insulto
che
si vuol fare alla sua ragione dandogli ad intende
rda l’insulto che si vuol fare alla sua ragione dandogli ad intendere
che
i soli Italiani hanno colpito nel segno, e che ad
dandogli ad intendere che i soli Italiani hanno colpito nel segno, e
che
ad essi unicamente appartiene il conservar il dep
artiene il conservar il deposito della bellezza musicale; asserzione,
che
vien provata da loro esagerando i pregi di questo
provata da loro esagerando i pregi di questo brillante spettacolo, ma
che
resta subito smentita dall’intimo sentimento di c
sentimento di chi gli ascolta, poiché invece della sublime illusione
che
gli si prometteva, invece di trovar quel congegna
, invece di trovar quel congegnamento mirabile di tutte le belle arti
che
dovrebbe pur essere il più nobil prodotto del gen
ano, tengono aperta la bocca per un quarto d’ora, e por partono senza
che
lo spettatore possa capire a qual fine ciò si fac
mitazione e l’oggetto imitato, il pensier musicale dell’aria non meno
che
la sua esecuzione restano applicabili a cento cos
o che la sua esecuzione restano applicabili a cento cose diverse; dal
che
avviene che il gusto dello spettatore abbandonato
esecuzione restano applicabili a cento cose diverse; dal che avviene
che
il gusto dello spettatore abbandonato a se stesso
nata potrebbe, se mal non m’appongo, sparger qualche lume sul quesito
che
ho udito farsi da molti onde tragga origin cioè l
ro a lustro, e perché siffatti cangiamenti siano più visibili in essa
che
in qualunque altra delle arti rappresentative. Io
delle arti rappresentative. Io non posso trattenermi a dir tutto ciò
che
mi somministrerebbe un argomento così fecondo, il
di tutto sapere se vi sia un genere di musica assoluto e universale,
che
debba piacere ugualmente in tutti i tempi, e pres
n tutti i tempi, e presso a tutti i popoli della terra; se il diletto
che
genera la musica sia un diletto di educazione fat
ia o dalla melodia ovvero dall’una e dall’altra; se consista nell’uso
che
si fa delle consonanze o nella illimitata licenza
nsista nell’uso che si fa delle consonanze o nella illimitata licenza
che
si prendono i musici nell’adoperare le dissonale;
ga dalla mancanza in natura d’un suono generatore fisso e determinato
che
possa riguardarsi come principio inalterabile deg
ggiore stabilità e fermezza ai gusti musicali ecc. [60] Dirò soltanto
che
la varietà delle opinioni e il rapido loro cangia
le opinioni e il rapido loro cangiamento nasce dal principio medesimo
che
fece degenerar il teatro italiano nel secolo scor
esse rifferirsi dallo spettatore, prese quella forma e travvisamento,
che
vollero dargli la svogliatezza, l’immaginazione e
no troppo lontane dalla natura, altro diletto non resta se non quello
che
viene dal gradevole accozzamento dei suoni dirett
se l’uditore, il quale prende i suoni per se stessi e non per quello
che
rappresentano, cerca appunto nella diversa combin
ntano, cerca appunto nella diversa combinazione di essi quel piacere,
che
non può ricavare da una poco intesa e mal conosci
a poco intesa e mal conosciuta imitazione. E siccome dicesi a ragione
che
una è la strada della verità e quella dell’errore
cessità di cambiarle sovente per non infastidir l’uditore, la tortura
che
si danno i cantori per trovar cose che lusinghino
fastidir l’uditore, la tortura che si danno i cantori per trovar cose
che
lusinghino le orecchie colla lor novità, e la var
e che lusinghino le orecchie colla lor novità, e la varietà de’ gusti
che
da ciò ne risulta. Non avviene talmente nelle alt
ento meno arbitrario. Della bellezza della Venere de’ Medici non meno
che
della perfezione del Misantropo di Moliere io giu
el Misantropo di Moliere io giudico per la comparazione cogli oggetti
che
mi cadono sotto gli occhi. La proporzione fra le
cia, le mani, ciascuna parte insomma ha degli originali nella società
che
servono, a così dire, di puntelli al comun parago
Climene, di Alceste, di Filinto, di Trissotino, di Vadio, e gli altri
che
si trovano in quella inimitabil commedia. Poco ci
a capacità della maggior parte, così poco riconoscibile l’imitazione,
che
necessario è che ondeggi anche il gusto fra tanti
maggior parte, così poco riconoscibile l’imitazione, che necessario è
che
ondeggi anche il gusto fra tanti e sì discordi gi
eno dei moderni da Guido Aretino fino al principio del nostro secolo,
che
si conosca, non che s’uniti sul teatro o in chies
uido Aretino fino al principio del nostro secolo, che si conosca, non
che
s’uniti sul teatro o in chiesa dai maestri o dai
l nostro secolo sono oggi mai divenute anticaglie, non piacendo altro
che
lo stile dei moderni cantori, il quale nel giro d
nel giro di pochissimi anni dovrà cedere anch’esso ad un nuovo gusto
che
dee succedere sicuramente. Ed ecco un motivo di p
to genere, il non rimanere cioè alla posterità un classico esemplare,
che
fìssi immobilmente lo studio dei giovani, perché
ore, morto ch’ei sia, il voler giudicare del suo merito dagli scritti
che
restano è lo stesso che giudicare delle bellezze
voler giudicare del suo merito dagli scritti che restano è lo stesso
che
giudicare delle bellezze di Elena sul suo cadaver
o stesso che giudicare delle bellezze di Elena sul suo cadavero. Così
che
niente v’ha di più inutile che il voler risapere
llezze di Elena sul suo cadavero. Così che niente v’ha di più inutile
che
il voler risapere lo stile di Egiziello, di Berna
da qualche composizion musicale publicata da essi. La mano del tempo,
che
stampa orme profonde di distruzione sù tutta la n
l paro di lui andò a perdersi fra le infinite passaggiere vibrazioni,
che
prodotte a vicenda e cancellate dall’urto de’ cor
la. [61] Con ciò si risponde all’obbiezione di coloro i quali vedendo
che
le arie de’ trapassati maestri riescono fredde e
edde e disanimate quando s’eseguiscono col metodo moderno argomentano
che
la musica della nostra età è superiore di molto a
uperiore di molto a quella degli altri tempi. Non vogliono riflettere
che
la più bella musica del mondo diventa insipida qu
da qualora le manchi la determinata misura del tempo e del movimento,
che
troppo è difficile conservar l’uno e l’altro nell
musicali prive dell’aiuto del cantore e della viva voce del maestro,
che
in quasi tutte l’arie antiche abbiamo perduta la
abbiamo perduta la vera maniera d’eseguirle, onde rare volte avviene
che
il movimento non venga alterato o per eccesso o p
ne che il movimento non venga alterato o per eccesso o per difetto, e
che
il gusto del cantore che s’abbandona a se medesim
enga alterato o per eccesso o per difetto, e che il gusto del cantore
che
s’abbandona a se medesimo nell’atto di ripeterle
simo nell’atto di ripeterle non può a meno di non travvisarle a segno
che
più non si riconosca la loro origine. Quindi a mo
enti nella musica, il quale al vantaggio di regolare anche nelle arie
che
si cantano in teatro la voce del cantore colla na
delle vibrazioni acciocché fregni tra l’orchestra e lui quella unione
che
vi si vede troppo soventemente mancare aggiungere
ubblicamente render giustizia in questo luogo a quei cantori viventi,
che
scevri del contagio comune ci porgessero altretta
del vero canto drammatico. Ma l’austera verità, alla quale fa d’uopo
che
un autore sacrifichi fino ai primi movimenti d’un
mi movimenti d’un cuor sensibile, mi trattiene dal farlo. No: avvenga
che
molti siano i cantori da me sentiti in Italia cre
e molti siano i cantori da me sentiti in Italia creduti bravissimi (e
che
sono tali secondo l’idea che si ha comunemente de
sentiti in Italia creduti bravissimi (e che sono tali secondo l’idea
che
si ha comunemente della bravura) non ho trovato n
nosco. Trovandosi tutti lontani dal retto sentiero, la maggior grazia
che
può loro farsi è quella di giudicarli per appross
dimeno antichissima, come lo è pur troppo quella di tanti altri abusi
che
disonorano ed avviliscono l’umana spezie. Nel Deu
t abscisso veretro in Ecclesiam Domini.» Dalle quali parole si scorge
che
ci dovevano esser gli eunuchi avanti al tempo in
nuchi avanti al tempo in cui visse quel legislatore. Manetone afferma
che
il padre del famoso Sesostri re di Egitto ucciso
esse voluto sforzar la natura distraendola dalle vie istituite da lei
che
sin dalla prima origine della vita va con tacita
a conservare in quei paesi. Qualunque ne sia stato il motivo, certo è
che
l’usanza degli asiatici antichi e moderni non è t
etesto in apparenza scusabile. Il desiderio di schivar una gravidanza
che
apporterebbe forse una serie di dolori fisici, il
e una serie di dolori fisici, il timore di non perdere la riputazione
che
per le donne è il primo elemento della vita moral
ere riflesso della preferenza e della esclusiva; circostanze entrambe
che
lusingano grandemente il nostro amor proprio, per
lla loro applicazione, ma plausibili nel loro principio. Ma noi? Noi,
che
vantiamo ragionevolezza, umanità, cultura, morale
cultura, morale, dolcezza di costumi con altri siffatti bei paroloni,
che
formano il pomposo filosofico gergo dei nostro se
stro secolo…Noi perché facciamo la medesima cosa? Per sentir una voce
che
sia una ottava più acuta delle altre voci. Oh qua
olitico e legislativo per cui i governi lo debban permettere! Si dice
che
i selvaggi del fiume S. Lorenzo col solo oggetto
ce intorno a questo argomento. I. «L’oggetto della musica non è altro
che
di piacere fisicamente». Ciò è vero se si parla d
esser espressiva, giacché l’espression musicale non consiste in altro
che
nel combinare aggradevolmente una serie di suoni
a le belle arti merita questo titolo; giacché non v’h tra loro alcuna
che
non tralasci o non aggiunga qualche cosa al suo r
one ma realtà. Ma se per pittoresca s’intende l’esprimere quei tratti
che
bastano per richiamare alla memoria l’oggetto, o
moria l’oggetto, o per sentirsi commuovere da quelle stesse affezioni
che
ecciterebbe la sua presenza; in tal caso la music
re se questa verità ha presso a lui bisogno di pruova. IV. «La musica
che
più s’avvicina alla espressione è la più noiosa».
Tragicissimo Gluck! La vostra musica è dunque la più noiosa? Si vede
che
questo scrittore non ha idea della vera imitazion
osa? Si vede che questo scrittore non ha idea della vera imitazione e
che
la confonde coll’esatta rassomiglianza, che non è
a della vera imitazione e che la confonde coll’esatta rassomiglianza,
che
non è né deve essere lo scopo della musica. V. «L
parlare del ballo chiamato alto, egli s’inganna enormemente. I suoni
che
regolano una contraddanza, un minuetto, un taice;
sa e non del tutto aliena dallo scopo di quest’opera, così mi lusingo
che
non isgradiranno i lettori il trovar qui radunato
e per altro resterà sempre oscuro a motivo delle poche notizie sicure
che
abbiamo intorno all’economia degli antichi teatri
mbrano incontrastabili attesa la moltiplicità degli antichi scrittori
che
le confermano. La prima che nella tragedia e nell
a la moltiplicità degli antichi scrittori che le confermano. La prima
che
nella tragedia e nella commedia s’usava una speci
’usava una specie di canto di qualunque natura egli fosse. La seconda
che
nell’una e nell’altra si ponevano in uso diverse
rimo della sua geografia) al recitare una prosa semplice, così da ciò
che
, secondo gli Antichi, si cantasse il loro recitat
menti, coi quali s’accompagnavano presso ai Greci e Latini tante cose
che
non erano canto né potevano esserlo (come sarebbe
a dire i bandi, le dichiarazioni di guerra, e le concioni al popolo)
che
l’uso di essi nelle rappresentazioni drammatiche
entazioni drammatiche non può servire di pruova esclusiva a stabilire
che
le tragedie o le commedie fossero in tutto somigl
degli Antichi? Prima di rispondere bisogna distinguere tra la melopea
che
apparteneva ai recitanti e quella del coro. Quell
e quella del coro. Quella dei recitanti si distingueva in “diverbio”,
che
corrispondeva al nostro dialogo, e “monodia”, ch’
”, che corrispondeva al nostro dialogo, e “monodia”, ch’era lo stesso
che
i nostri monologhi o soliloqui. I. Tutta la decla
le aveva alcune delle proprietà del canto nostro senz’averle tutte, e
che
nei dialoghi era a quando a quando accompagnata d
che nei dialoghi era a quando a quando accompagnata da uno strumento
che
rimetteva in sesto la voce quando aberrava dalla
la voce quando aberrava dalla intonazione. Io non posso diffinire in
che
consistesse questo suono medio, ignorandosi da no
i, e non essendoci altro mezzo di far capire all’anima una sensazione
che
la sensazione stessa, ma ch’esso fosse conosciuto
ngua greca, la quale, siccome abbiamo veduto, era talmente accentuata
che
bastava misurar la prosa col ritmo poetico perché
ol ritmo poetico perché divenisse cantabile. Infatti Aristosseno dice
che
v’era un certo canto proprio del parlare comune,
canto proprio del parlare comune, e Dionigi d’Alicarnasso ci assicura
che
nel linguaggio loro ordinario gli alzamenti e gli
lla voce sull’accento grave e l’acuto formavano una quinta intiera, e
che
nell’accento circonflesso composto dell’uno e del
a pronunzia doveva essere assai musicale, come si vede dal gran conto
che
facevano degli accenti, chiamandoli così dal cant
iamandoli così dal canto quasi ad concentum, e dai precetti premurosi
che
davano gli oratori intorno alle intonazioni della
emurosi che davano gli oratori intorno alle intonazioni della voce. E
che
questa non sia una semplice conghiettura mia l’ar
lice conghiettura mia l’arguisco da alcuni testi degli autori antichi
che
sembrano ammettere manifestamente declamazione di
versa dal canto. Cicerone (de Orat. l. pr.) parlando dell’esercitarsi
che
facevano i recitanti della tragedia nell’arte lor
rcostanze usa di termine molto consimile “proclamant”, e altrove dice
che
i tragedianti gridano ad alta voce e i commediant
». E intorno alle commedie Elio Donato, grammatico, ne parla in guisa
che
non si può ragionevolmente dubitare. «Diverbia, e
e nel terzo tomo delle sue riflessioni sulla pittura e la poesia dice
che
cotesta spezie di declamazione fosse notata coi s
so a disaminare più profondamente questa materia avrebbe forse veduto
che
i tuoni della semplice declamazione non ponno ass
bbastanza fisse e determinate, e finalmente perché, ammesso una volta
che
tutte l’inflessioni sensibili della voce nella se
, essendo quelle tanto numerose e variate, ne verrebbe in conseguenza
che
il numero dei segni musicali fosse eccedente, dif
ché impossibile a ritenersi. II. In alcuni luoghi sembra indubitabile
che
la declamazione si cambiasse in un vero canto, o
ofrigio s’usassero nelle scene, e non s’usassero nel coro? risponde:
che
questi due tuoni sono opportunissimi a esprimere
e questi due tuoni sono opportunissimi a esprimere l’agitate passioni
che
s’imitano dagli attori in iscena, ma non hanno qu
oni che s’imitano dagli attori in iscena, ma non hanno quella melodia
che
si richiede nei cori, i quali possono più facilme
sprime Ovidio colà dove parlando delle allegre occupazioni del popolo
che
si radunava nei prati vicino al Tevere in certe f
popolo che si radunava nei prati vicino al Tevere in certe feste dice
che
andavano cantando tutto ciò che appresero nei tea
vicino al Tevere in certe feste dice che andavano cantando tutto ciò
che
appresero nei teatri, e accompagnandolo coi moti
idquid didicere theatris, Et jactant faciles ad sua verba manus.» ma
che
quel canto fosse come il nostro cioè così sminuzz
e. Mi muovono a farlo due argomenti, i quali al mio parere convincono
che
la melopea degli antichi fosse diversa da quella
arere convincono che la melopea degli antichi fosse diversa da quella
che
usiamo in oggi nell’opera. Ricavo il primo dalla
citavano le tragedie. Essi sortivano alla scena con una gran maschera
che
copriva loro la testa, la quale era chiusa da per
ra che copriva loro la testa, la quale era chiusa da per tutto se non
che
verso la bocca s’apriva in una larga fissura chia
ssiodoro (Epist. 51 Lib. I.) un suono di voce quale non si crederebbe
che
potesse sortire dai polmoni d’un uomo. Come accop
o sa quanto fossero grandi i teatri degli Antichi. Quello di Marcello
che
conteneva venti mille persone era uno dei più pic
va intorno agli affari delio Stato. Ora dalla storia d’Atene sappiamo
che
le pubbliche deliberazioni non potevano decidersi
zi onde si prevalevano per ovviare a questo inconveniente. Aggiungasi
che
essendo senza teto, e avendo il suolo tutto spars
d’arena, la voce si disperderebbe in passando, onde non è possibile,
che
s’adoperasse nel recitare il suono dilicato e fie
altre volte citata dell’origine, progressi, e decadenza della Musica,
che
oltre i teatri grandi e scoperti v’erano in Roma
ode Attico, e il famoso Odeon erano parimenti coperti. Dicono altresì
che
anche nei teatri scoperti l’argomento della voce
le persone s’infievolisce di molto ogniqualvolta si voglia riflettere
che
essendo divisi i teatri in varie partizioni, in u
nevano combattimenti di fiere, o corse di cavalli, non era necessario
che
tutto il popolo godesse d’un solo spettacolo ma b
e pruovi abbastanza potersi dare fra gli Antichi una musica in genere
che
fosse più artifiziosa e più raffinata, nulla conc
a, nulla conchiude però per la musica teatrale in ispezie. Gli è vero
che
si trovavano dei teatri coperti, ma in questi non
Plutarco nella vita di Pericle anche il significato della voce Odeon
che
vale lo stesso che luogo di canto, imperciocché i
a di Pericle anche il significato della voce Odeon che vale lo stesso
che
luogo di canto, imperciocché ivi si tenevano le p
e la stessa, né si sciolge ricorrendo alla diversità degli spettacoli
che
s’eseguivano nel tempo medesimo, imperocché sminu
i spettatori, eccettuati i senatori e qualche altra famiglia distinta
che
avevano il loro posto più vicino alla orchestra,
voce in un canto delicato e gentile. III. Rispetto ai cori pare bensì
che
la loro melopea avesse i caratteri del vero canto
i caratteri del vero canto: I. Perché si misurava colle note musicali
che
regolavano i tempi e le cadenze, lo che si chiama
misurava colle note musicali che regolavano i tempi e le cadenze, lo
che
si chiamava dai Latini facere modos, non essendo
, lo che si chiamava dai Latini facere modos, non essendo concepibile
che
in tanto numero di cantori si lasciasse all’arbit
ano colle leggi della musica lirica, o per dir meglio, essi non erano
che
una spezie di componimento lirico che si cantava
per dir meglio, essi non erano che una spezie di componimento lirico
che
si cantava per istrofi girando attorno alla scena
nostra musica ecclesiastica, e lontano dai gorgheggi, trilli e volate
che
s’usano nell’arie dei teatri moderni, i quali non
moderni, i quali non potrebbero ottenersi da un complesso di persone
che
cantano insieme. Ed è perciò che Aristotile nel l
ottenersi da un complesso di persone che cantano insieme. Ed è perciò
che
Aristotile nel luogo sopraccitato dice che il mod
ntano insieme. Ed è perciò che Aristotile nel luogo sopraccitato dice
che
il modo ipodorio e il modo ipofrigio inducenti pi
centi pienezza, fuoco e impetuosità non erano a proposito per il coro
che
usava comunemente del modo ipolidio uguale per na
pistola in versi divisa in quattro canti, Chap. 3, inserita nel libro
che
ha per titolo Les dons des enfants de Latone. 14
copo quel fine morale cui la conducevano i Greci, e se tutte le parti
che
concorrono a formar lo spettacolo non hanno fra n
spettacolo non hanno fra noi quella relazione e congegnamento totale
che
fra loro avean messi la lunga usanza di molti sec
islazione, può quella, nonostante, adattarsi mirabilmente all’oggetto
che
si propone, ch’è di lusingar il senso con vaghe e
on pochi ancora fra i moderni poeti hanno fatto vedere in pratica ciò
che
la filosofia pronunziava da lungo tempo come cert
ciò che la filosofia pronunziava da lungo tempo come certissimo, cioè
che
le modificazioni del bello sono assai varie, che
ome certissimo, cioè che le modificazioni del bello sono assai varie,
che
i fonti del diletto nelle belle lettere e nelle a
le lettere e nelle arti non furono dagli antichi pienamente esauriti,
che
la barbarie dei nostri metodi era capace di diroz
di era capace di dirozzarsi fino ad un certo punto e ringentilirsi, e
che
da un sistema diverso da quello dei Greci potevan
alla cantata; così dalla perdita dell’antica prosodia nacque la rima,
che
sì maraviglioso diletto ci porge ne’ poemi dell’A
a attuale dell’opera italiana. Se non si può legitimamente pretendere
che
il compositore, il musico, il poeta ed il balleri
eta ed il ballerino diano alle rispettive lor facoltà la forma stessa
che
avevano venti secoli a dietro, si può bensì con r
vevano venti secoli a dietro, si può bensì con ragione esiger da essi
che
non isformino quella di cui lo stato loro present
oro presente le rende capaci. Colpa è di loro la niuna rassomiglianza
che
ravvisa lo spettatore fra la natura che doveva im
loro la niuna rassomiglianza che ravvisa lo spettatore fra la natura
che
doveva imitarsi, e le belle arti che promettono d
visa lo spettatore fra la natura che doveva imitarsi, e le belle arti
che
promettono d’imitarla. Colpa è di loro lo sconcer
i che promettono d’imitarla. Colpa è di loro lo sconcerto e disunione
che
regna nel tutto, e gl’infiniti abusi che hanno pr
oro lo sconcerto e disunione che regna nel tutto, e gl’infiniti abusi
che
hanno preso piede in ciascuno di questi rami in p
particolare. Colpa è di loro la mancanza d’illusione e di verosimile
che
vi trasparisce, e che rende sconnessa, grottesca
di loro la mancanza d’illusione e di verosimile che vi trasparisce, e
che
rende sconnessa, grottesca e ridicola la più bell
melodramma, e incominciando presentemente dalla composizione, io dico
che
il primo e capitale difetto dell’odierna musica t
zione di cui sono incapaci, la loro invenzione ad altro non si riduce
che
ad uno stile capriccioso, ad un falso raffinament
non si riduce che ad uno stile capriccioso, ad un falso raffinamento
che
lusinga la loro vanità, e che rovina intieramente
e capriccioso, ad un falso raffinamento che lusinga la loro vanità, e
che
rovina intieramente la musica. [4] A fine di vede
oggi la musica delle opere, cercando di farlo con quella imparzialità
che
si conviene ad un filosofo, il quale non iscrive
a, ma per solo amore del vero. E guardiamoci bene di non avanzar cosa
che
appoggiata non venga sulle eterne e generiche ide
e nebbie dardegigate dai raggi del sole. [5] E incominciando dall’uso
che
si fa generalmente della musica strumentale, pare
o dall’uso che si fa generalmente della musica strumentale, pare a me
che
la perfezione alla quale si è voluto condurre dai
canto e la poesia, e non gli stromenti, avvisandosi con gran giudizio
che
questi altro non essendo che una spezie di commen
stromenti, avvisandosi con gran giudizio che questi altro non essendo
che
una spezie di commento fatto sulle parole, era un
di commento fatto sulle parole, era una stoltezza da non sopportarsi
che
primeggiassero essi sulla voce e sul sentimento,
sentimento, come non potrebbe non tacciarsi d’ignoranza un grammatico
che
dasse maggior pregio alle illustrazioni di Servio
o alle illustrazioni di Servio o de la Cerda sulla Eneide di Virgilio
che
non al testo istesso del divino poeta. Tutta l’en
posta allora nella espressione delle parole, e l’orchestra non faceva
che
accompagnarle sobriamente e sotto voce per il com
li seppero, nonostante, conservarla senza dar negli eccessi, stimando
che
la musica strumentale esser dovesse per la poesia
imando che la musica strumentale esser dovesse per la poesia 131 ciò
che
per un disegno ben ideato la vivacità del colorit
e. L’uso ne fu portato più avanti dal Lampugnani compositor milanese,
che
rivolse a siffatto oggetto tutta la sua attenzion
ni in quà questa parte del melodramma ha ricevuto degli accrescimenti
che
oltrepassano ogni credenza. Si è moltiplicato all
orni di caccia, tutto è ivi raccolto a far dello strepito. Si direbbe
che
qualcheduna delle arie che si sentono accompagnat
raccolto a far dello strepito. Si direbbe che qualcheduna delle arie
che
si sentono accompagnate in simil guisa fosse un a
i tanti suoni accavallati l’uno sopra l’altro, tra i milioni di note,
che
richieggono il numero e la varietà delle parti, q
parti, qual è il cantore la cui voce possa spiccare? Qual è la poesia
che
non rimanga affastellata ed ingombera? Molto più
civano i suoni vigorosi e distinti. Al presente sono esse così minute
che
non hanno luogo a fare una impressione durevole,
non hanno luogo a fare una impressione durevole, né servono ad altro
che
a snervare, a così dire, la forza del suono spezz
dolo in parti troppo deboli perché troppo leccate, nella stessa guisa
che
l’eccedente uso dei diminutivi nello stile rende
follate e con tanta rapidità, affogano la voce del cantore in maniera
che
poco o nulla si sente dagli uditori. Ed ecco che
l cantore in maniera che poco o nulla si sente dagli uditori. Ed ecco
che
invece di andar insieme la musica vocale e la str
che invece di andar insieme la musica vocale e la strumentale, invece
che
la strumentale serva di appoggio alla vocale, com
natura, quella al contrario confonde questa, potendosi dire a ragione
che
sono gli strumenti che cantano, non già il cantor
ario confonde questa, potendosi dire a ragione che sono gli strumenti
che
cantano, non già il cantore. Ognun vede da sé qua
o alla illusione dello spettatore; imperocché altro egli non sentendo
che
il romore degli stromenti, né sapendo a quali par
sentimenti si riferisca tutta quella armonia, la serie di sensazioni
che
si svegliano in lui diviene inutile, perché priva
Allora non trova più verosimiglianza o interesse nell’opera di quello
che
troverebbe in un semplice concerto. E allora ci v
bbe in un semplice concerto. E allora ci va egregiamente il «suonata,
che
vuoi tu?» del Fontenelle. [7] Non è difficile il
stata coltivata dipersè in Italia e in Germania da uomini eccellenti,
che
hanno saputo ritrovar in essa bellezze inusitate
nusitate e novelle modificazioni di gusto. Alla soavità e dilicatezza
che
spiccano nelle composizioni italiane, si è saputo
saputo innestare la novità de’ passaggi e lo stile agiato e torrente
che
proprio sembra di alcune scuole tedesche, fra le
re fecondo e rapido di fantasia inventrice, di prontissimo ingegno, e
che
tra i suonatori ottiene il medesimo luogo che Rub
prontissimo ingegno, e che tra i suonatori ottiene il medesimo luogo
che
Rubens tra i pittori. Queste bellezze parziali, a
, hanno fatto sì ch’ei cerca di gustarle separatamente dalle altre, e
che
non ritrova nella melodia vocale un compiuto dile
mo fino a creare in lui dei gusti fattizi opposti o diversi da quelli
che
sono più conformi alla natura. Imperocché egli è
da quelli che sono più conformi alla natura. Imperocché egli è certo
che
fra l’imitazione che si propone la musica vocale,
iù conformi alla natura. Imperocché egli è certo che fra l’imitazione
che
si propone la musica vocale, e quella ch’è propri
trumentale, la prima è più fedele, più circostanziata e più immediata
che
non è la seconda, dove la distanza tra la maniera
mitatisi le cose se non se in maniera troppo vaga e generica. Di modo
che
non si discernerebbe punto l’individuale argoment
erica. Di modo che non si discernerebbe punto l’individuale argomento
che
gli strumenti prendono a dipignere, se le parole
dulazioni rapide, veloci e precipitate, le quali, imitando i fenomeni
che
accompagnano la terribile maestà della natura nel
nella guisa medesima. Que’ tratti principali, que’ contorni decisivi
che
caratterizzano le figure, rimangono affatto indis
le figure, rimangono affatto indistinti. E le circostanze particolari
che
danno sì gran mossa e vivacità alla eloquenza di
go, il diverso fine cui serbavalo Enea, lo sfortunato e miserabil uso
che
ne fa Didone, l’eccesso di passione che la guida
lo sfortunato e miserabil uso che ne fa Didone, l’eccesso di passione
che
la guida a troncare sì lagrimevolmente i suoi gio
e i suoi giorni, l’avvenenza, le grazie e le altre ragguardevoli doti
che
degna rendevano la bella regina d’assai più lieto
i verso una principessa cotanto amabile, mille altri aggiunti insomma
che
feriscono, a così dire, il cuore a colpi raddoppi
egato de’ quali risulta poi nello spirito quella sensazione complessa
che
ci intenerisce e ci attacca agli oggetti imitati;
a strumentale, di rado o non mai svegliano in noi quel vivo interesse
che
sogliono destare il canto e la poesia, le quali e
nto e la poesia, le quali esprimendo una qualche passione determinata
che
si contempla dall’anima in tutti i suoi aspetti,
mento verso l’oggetto di essa quante sono le individuali circostanze,
che
vi si scorgono. [9] Metastasio (chi lo crederebbe
ze contribuito a propagare il medesimo difetto. Le molte comparazioni
che
arricchiscono le sue arie, e che tante e sì leggi
esimo difetto. Le molte comparazioni che arricchiscono le sue arie, e
che
tante e sì leggiadre pitture contengono degli ogg
diversi effetti della musica, ha saputo a maraviglia distinguere ciò
che
poteva esprimersi colla voce da ciò che dovea rap
a maraviglia distinguere ciò che poteva esprimersi colla voce da ciò
che
dovea rappresentarsi principalmente dalla orchest
vea rappresentarsi principalmente dalla orchestra. Egli ha conosciuto
che
siccome non ogni inflessione, non ogni accento de
ine. Gli oggetti dell’universo agiscono sopra di noi in mille maniere
che
la melodia vocale non può, per quanto si faccia,
ri dell’umano discorso. Dirà il poeta con molta leggiadria: «L’aura,
che
tremala Tra fronda e fronda; L’on
a: «L’aura, che tremala Tra fronda e fronda; L’onda,
che
mormora Tra sponda e sponda, È me
ibilo, il susurro blando e lo scherzevole tremolio di quel venticello
che
soavemente romoreggia tra le frondi? Quai trilli,
ontrasti fra le idee, delle alternative fra i sentimenti, dei silenzi
che
nulla dicono perché si vorrebbe dir troppo, delle
ua inventata dall’arte affine di supplire all’insufficienza di quella
che
ci fu data dalla natura. Zenobia scaccierà via da
cca il fatale decreto gli strumenti coi loro suoni non altro spiranti
che
tenerezza ci faranno intendere quanto costi al cu
e.» ma l’orchestra dirà all’afflitta principessa in altro linguaggio
che
quella barbara sentenza «Sulle labbra gli sta, m
l suo tradimento gli dirà: «No, non ti credo, indegno. Dimmi
che
un empio sei, E allor ti crederò.» ma gl
dire, il velo a quella finta alterezza, e faranno capire agli uditori
che
v’ha un’altra voce dentro di Mandane, la quale ri
rrei, Ma odiarlo, oh Dio! non so.» così nelle interrogazioni
che
l’uomo appassionato fa sovente a se medesimo, nel
à, o per supplire alla scarsezza della vocale o per imitar molte cose
che
cadono direttamente o in direttamente sotto il go
imilitudini assai frequente in Metastasio, e la varietà di situazioni
che
somministrano i suoi drammi, hanno contribuito al
uali non sia inutile osservar brevemente. La prima si è la difficoltà
che
apparisce nel combinar fra loro tante parti diver
e nel combinar fra loro tante parti diverse subordinandole in maniera
che
ne risulti un unico suono principale senza che i
ordinandole in maniera che ne risulti un unico suono principale senza
che
i suoni parziali confondano il dominante, o si fa
re separatamente da esso, o producano un effetto differente da quello
che
si pretende. Diffatti pochi sono que’ maestri che
ifferente da quello che si pretende. Diffatti pochi sono que’ maestri
che
sappiano diriggere il movimento di tutta l’orches
estra al gran fine della espressione, e cavare da esso solo l’utilità
che
si potrebbe per rimettere, eccitare, trasfondere
rimettere, eccitare, trasfondere e variar le passioni. Pochissimi poi
che
sappiano dare a ciascuna delle parti principali c
i. Pochissimi poi che sappiano dare a ciascuna delle parti principali
che
compongono l’armonia, quel particolare andamento
parti principali che compongono l’armonia, quel particolare andamento
che
le si converrebbe a preferenza d’ogni altro. Eppu
massimo effetto possibile. La cagione si è perché essendosi osservato
che
quando il tuono fondamentale vibra una volta, l’o
bra due volte, la duodecima tre e così via discorrendo, egli è chiaro
che
se il compositore saprà donare alle parti che suo
correndo, egli è chiaro che se il compositore saprà donare alle parti
che
suonano cotali intervalli, un muovimento che s’ac
saprà donare alle parti che suonano cotali intervalli, un muovimento
che
s’accordi col numero e colla natura delle vibrazi
sarà più vigoroso, perché composto dall’unione di tutti gli elementi
che
lo compongono, e l’effetto indi prodotto sarà più
r le parole, onde invece di rinvigorir l’espressione, altro non sì fa
che
indebolire l’effetto, poiché, siccome s’accennò n
o, poiché, siccome s’accennò nell’antecedente capitolo, la simplicità
che
richiede la musica vocale ad ottener il suo inten
ale ad ottener il suo intento, viene distrutta dall’apparato armonico
che
esige la strumentale, la quale, essendo imperfett
compensare cotal mancanza coll’artifizio dando all’orecchio tutto ciò
che
non può concedere al cuore. Come fanno appunto qu
sfrondarsi a poco a poco sulle loro guancie le fresche rose e vivaci
che
rallumavano i desideri dell’amante, cercano pure
nsorzio degli uomini, e scaduti per sempre dalla protezione del nume,
che
presiede ai musicali piaceri. Ma, s’avessero egli
ma dagl’intimi fonti della filosofia, si sariano agevolmente avveduti
che
se bene convenga talvolta far precedere il ritorn
ore non può a meno di non riconoscere l’inganno, sentendo il cantante
che
rallenta all’improviso il corso della passione, c
tendo il cantante che rallenta all’improviso il corso della passione,
che
sospende e tronca il pendio naturale del periodo
riodo per dar luogo agli strumenti; dovechè il sano giudizio vorrebbe
che
il passaggio dal recitativo all’aria fosse natura
icemente alla fisica, è non meno riferibile alle produzioni dell’arte
che
a quelle della natura. Che si direbbe d’un cotale
zioni dell’arte che a quelle della natura. Che si direbbe d’un cotale
che
, camminando lentamente per via, si mettesse ad un
i mettesse ad un tratto a spiccar salti e cavriuole? Ognun crederebbe
che
il povero galantuomo uscito fosse di senno. Ora t
alantuomo uscito fosse di senno. Ora tali sembrano a me que’ maestri,
che
senza consultar prima il buon senso, senza la deb
rsi opportuna se non quando serva a mantenere o spiegare i muovimenti
che
lascia nell’anima la passione o sentimento compre
onseguenza del senso anteriore. E quando pur si riferisca alle parole
che
vengono doppo, non dovrebbe premettersi fuorché n
e parole che vengono doppo, non dovrebbe premettersi fuorché nel caso
che
l’aria o per esser lirica, o per non trovarsi int
teria senza far pompa d’armonia inutile? [16] La quarta osservazione,
che
può in qualche modo riferirsi all’antecedente, ri
ramma. Non già ch’io non lodi l’usanza di suonar gli strumenti avanti
che
sortano i personaggi, la quale mi sembra necessar
ti avanti che sortano i personaggi, la quale mi sembra necessaria non
che
opportuna a sedar il confuso mormorio degli udito
a preparar gli animi al silenzio ed alla compostezza. Condanno bensì
che
i maestri non abbiano cavato da siffatto principi
e i maestri non abbiano cavato da siffatto principio tutti i vantaggi
che
ne potevano e che riflettuto non abbiano qualment
biano cavato da siffatto principio tutti i vantaggi che ne potevano e
che
riflettuto non abbiano qualmente la sinfonia prel
copo eziandio l’esporre come in breve argomento l’indole dell’affetto
che
regnerà nella prima scena. Dico nella prima scena
iacché non saprei convenire col conte Algarrotti, il quale è d’avviso
che
l’apertura esser debba una espressione o compendi
r filosofato assai poco sulla natura della musica per non avvedersene
che
cotal sinopsi od epitome musicale diviene in prat
rsi, attesa l’indole vaga e indeterminata del linguaggio strumentale,
che
non può e non sa individuare alcun oggetto, e la
trettanti movimenti diversi e forse contrari quanti sono i sentimenti
che
risultano dal totale d’un dramma. E ciò nel breve
tano dal totale d’un dramma. E ciò nel breve spazio d’un quarto d’ora
che
a fatica s’impiega nell’apertura. Se difficilment
rnelli, i quali sono l’esposizione d’un’aria sola, ci sarà da sperare
che
riescano più chiari ed intelligibili nella esposi
li nella esposizione di trenta e forse più scene? E se fa di mestieri
che
l’uditore dopo aver sentita la sinfonia aspetti p
e dopo aver sentita la sinfonia aspetti pur anco le parole per sapere
che
quella che giace colà svenuta sul sasso, è la fed
sentita la sinfonia aspetti pur anco le parole per sapere che quella
che
giace colà svenuta sul sasso, è la fedele Aristea
pere che quella che giace colà svenuta sul sasso, è la fedele Aristea
che
il giovane che le sta al fianco tutto smarrito e
che giace colà svenuta sul sasso, è la fedele Aristea che il giovane
che
le sta al fianco tutto smarrito e piangente, è il
e le sta al fianco tutto smarrito e piangente, è il generoso Megacle,
che
il personaggio che sopragiunge inopportuno è Lici
tutto smarrito e piangente, è il generoso Megacle, che il personaggio
che
sopragiunge inopportuno è Licida, che le ridenti
oso Megacle, che il personaggio che sopragiunge inopportuno è Licida,
che
le ridenti e deliziose campagne che appariscono i
sopragiunge inopportuno è Licida, che le ridenti e deliziose campagne
che
appariscono in lontananza sono quelle di Elide, e
iziose campagne che appariscono in lontananza sono quelle di Elide, e
che
i flutti, che vede luccicare tremoli e cristallin
e che appariscono in lontananza sono quelle di Elide, e che i flutti,
che
vede luccicare tremoli e cristallini, sono le acq
ai di capire distintamente in un’apertura i diversi generi d’affetto,
che
debbono spiccare ne’ tanti avvenimenti, che s’aff
diversi generi d’affetto, che debbono spiccare ne’ tanti avvenimenti,
che
s’affollano, s’incalzano, e con tanta rapidità si
e ad una sgradevole monotonia, poiché, avendosi a rendere la passione
che
domina per tutto il dramma, l’uditore sarebbe cos
e costretto a sentire fin da principio quel gener medesimo d’armonia,
che
gli toccherà poi in sorte d’ascoltare sì lungo te
’armonia, che gli toccherà poi in sorte d’ascoltare sì lungo tempo, e
che
dee per conseguenza essere dal compositore sobria
sinfonia l’intiera azione, o si ristringa ad una sola scena, certo è
che
nell’uno e nell’altro caso dovrebbe variarsi seco
ena, certo è che nell’uno e nell’altro caso dovrebbe variarsi secondo
che
varia l’argomento, essendo diverso il suono che m
ebbe variarsi secondo che varia l’argomento, essendo diverso il suono
che
mi dispone a vedere i trionfi d’Achille, da quell
erso il suono che mi dispone a vedere i trionfi d’Achille, da quello,
che
mi prepara a sentire le amorose smanie d’Issipile
quello, che mi prepara a sentire le amorose smanie d’Issipile, quello
che
mi dee strappare le lagrime per l’abbandono di Co
lagrime per l’abbandono di Costanza nell’isola disabitata da quello,
che
m’indicherà le frodi del figliuolo di Venere nell
di alcune lavorate da maestri bravi la maggior parte delle aperture,
che
si sentono tutte ad una foggia e d’un carattere,
utte ad una foggia e d’un carattere, sono appunto come quelle lettere
che
dagl’imperiti segretari si riducono ad una sola f
tempesta con una sinfonia di bicchieri. Niente in oggi di più comune
che
il mischiare degli strumenti, l’azione dei quali
auti, per esempio, il cui suono dolce e grazioso non dovrebbe servire
che
ad esprimere il soliloqio d’Amarilli, la dichiara
re le battaglie e i trionfi. La dolcezza dei primi non può far a meno
che
non nuoca (come avviene sovente) alla fierezza de
arebbe il ritorno di Ezio fra gli applausi e l’allegrezza d’un popolo
che
si vede per mezzo di lui liberato dal timore di A
mezzo di lui liberato dal timore di Attila. Tale la sinfonia militare
che
precede la venuta d’Alessandro non men superbo pe
de la venuta d’Alessandro non men superbo per la conquista dell’India
che
pel supposto amore di Cleofile. [18] Si pecca alt
frequentemente nel voler vestire di copiosi accompagnamenti le arie,
che
da se stesse abbondano d’espressione; laddove il
se stesse abbondano d’espressione; laddove il buon gusto insegnerebbe
che
quando le parole sono talmente esprimenti che ba
uon gusto insegnerebbe che quando le parole sono talmente esprimenti
che
bastano esse sole a generare l’effetto, gli accom
nemici della verità musicale. Altro non si richiederebbe in tal caso
che
metterli all’unisono, e far giuocare utilmente il
dificazioni sonore escludendo dalle orchestre più sorta di strumenti,
che
sarebbero acconci a produrre a rinvigorir l’espre
rre a rinvigorir l’espressione. Rousseau ha sensatamente avvertito135
che
da niuno strumento si possono cavare tanti vantag
benché imperfettamente, il suono dell’arpa. [20] Tutti gli strumenti
che
si percuotono coll’arco hanno più o meno la stess
meno la stessa proprietà derivante dalla diversa giacitura e tensione
che
ricevono le corde dai tasti fino al ponticello, e
l’armonia. Tuttavia siccome né cotesti strumenti, né quelli da fiato,
che
s’usano comunemente, bastano a soddisfare alla im
usano comunemente, bastano a soddisfare alla immensa varietà di suoni
che
può somministrare l’arte drammatica, così mi semb
ietà di suoni che può somministrare l’arte drammatica, così mi sembra
che
la nostra musica abbia con grave scapito rinunzia
ca abbia con grave scapito rinunziato all’uso di non pochi strumenti,
che
a tempo e luogo adoperati farebbero un grandissim
ffetto. Perché, per esempio, non ammettere un organo nella orchestra,
che
suonato in qualche occasione a solo, o fra gl’int
così felicemente riesce nella musica sacra qual dubbio vi può essere
che
non riesca talvolta nella musica drammatica136?
maniconia più soave di qualunque allegrezza. Io porto ferma opinione
che
un’aria patetica cantata sul teatro da una bella
a e d’un flauto farebbe sull’udienza una impressione vieppiù profonda
che
non è quella delle arie più rinomate che si sento
impressione vieppiù profonda che non è quella delle arie più rinomate
che
si sentono in oggi eseguite con tutto il brillant
da me in altri tempi sentiti non debba ripetersi dall’amabile persona
che
percuoteva lo strumento, la quale rientrata tropp
osì tardi, e la disperazione d’averla così tosto perduta. [21] Se non
che
non sono questi i soli difetti che si commettono
la così tosto perduta. [21] Se non che non sono questi i soli difetti
che
si commettono nelle moderne composizioni musicali
mi tratterrò per ora se non quanto basta per far vedere la poca cura
che
hanno i maestri di seguitar in essi la natura e i
asso, lasciano poi il restante in balia del cantore. Da ciò ne deriva
che
or si rallenti or s’affretti sconciamente la pron
ne deriva che or si rallenti or s’affretti sconciamente la pronunzia,
che
le parole perdano il loro effetto, e che non vi s
i sconciamente la pronunzia, che le parole perdano il loro effetto, e
che
non vi si scorga punto quella perenne e non mai i
e non mai interrotta continuità di declamazione, quel tuono musicale
che
dee modellarsi prima sulla spezie di canto subosc
ir meglio, nasce dal mancare in Italia quest’arte della declamazione,
che
non può germogliar né fiorire dove manca un teatr
n può germogliar né fiorire dove manca un teatro tragico ed un comico
che
valgano la pena d’essere frequentati. Lulli in Fr
declamate privatamente, e segnati colla penna nel manoscritto i tuoni
che
meritavano d’essere rilevati. Tali esempi sono de
iere il chiaroscuro e le mezze tinte necessarie nell’armonia dal paro
che
nella pittura; difetti dei quali forse non è anda
uck. Ma siccome l’utilità d’un ritrovato non dee misurarsi dall’abuso
che
se ne può fare da chi non sa acconciamente metter
se prendono a disaminarsi imparzialmente le carte musicali si troverà
che
rare volte si conserva in essi il vero loro carat
il Ricimero doppo le seguenti parole «Mora: ma chi? Tolgan gli Dei,
che
imprima, Al genitor fatali Portentosi caratteri l
ono un sentimento risoluto, cioè quello di non condannare il padre? E
che
dopo tale risoluzione dee subito passare senza fe
festamente il passaggio da un movimento in un altro, cioè dall’orrore
che
ispira ad Ermelinda l’idea di dover condannare un
“fulmine” e il “risolve” un silenzio nella voce per sedici semicrome,
che
non viene indicato in alcun modo dal senso delle
aria. Questa spezie di componimento considerata dal poeta altro non è
che
un particolar sentimento compreso in una piccola
a dal compositore essa è l’espressione d’una idea o pensier musicale,
che
si chiama comunemente motivo, nel quale, come su
ro, il quale venga poi di mano in mano sviluppandosi ne’ diversi toni
che
lo costituiscono, non altrimenti che soglia far l
o sviluppandosi ne’ diversi toni che lo costituiscono, non altrimenti
che
soglia far l’oratore analizzando nel corpo della
far l’oratore analizzando nel corpo della orazion sua la proposizione
che
n’è l’argomento; debbono i motivi subalterni rife
a idea complessa; debbonsi in tal guisa subordinare fra loro i suoni,
che
l’unione dell’uno non nuoca punto anzi maggiormen
o dell’altro, cercando di combinare per quanto sia possibile l’unità,
che
convince ed appaga lo spirito colla varietà che l
ia possibile l’unità, che convince ed appaga lo spirito colla varietà
che
lo ricrea. Ha inoltre da cercare il compositore c
ito colla varietà che lo ricrea. Ha inoltre da cercare il compositore
che
il motivo d’un’aria abbia un carattere decisivo c
re il compositore che il motivo d’un’aria abbia un carattere decisivo
che
lo distingua da ogni altro del medesimo genere; c
arattere decisivo che lo distingua da ogni altro del medesimo genere;
che
le modulazioni, per esempio, ch’entrano nella com
ecclesiastico miserere ai cupi e dolorosi omei d’Alceste, o d’Admeto;
che
la misura che dà tanta mossa e vigore alla melodi
miserere ai cupi e dolorosi omei d’Alceste, o d’Admeto; che la misura
che
dà tanta mossa e vigore alla melodia, e gli accom
isura che dà tanta mossa e vigore alla melodia, e gli accompagnamenti
che
ne aumentan l’effetto servano a far ispiccar il c
aumentan l’effetto servano a far ispiccar il canto senz’alterarlo, e
che
né questi né quella si prendano la libertà di rap
libertà di rappresentar cose staccate dal senso generale dell’aria, e
che
non abbiano immediata relazione colle parole, ess
che non abbiano immediata relazione colle parole, essendo certissimo
che
gli episodi fuori di luogo non sono meno ridicoli
episodi fuori di luogo non sono meno ridicoli nella musica di quello
che
lo siano nella oratoria e nella poesia. [26] Supp
poesia. [26] Supposti gli accennati principi tanto più sicuri quanto
che
sono ricavati non da’ capricci dell’usanza né dal
li odierni compositori nel lavorare le arie? Pensieri rancidi e vieti
che
si replicano mille volte e mille volte si sentono
ee buttate all’improvviso come vengono giù dalla penna, senza la lima
che
vien dallo studio, e senza la sensatezza che acqu
lla penna, senza la lima che vien dallo studio, e senza la sensatezza
che
acquistano dalla riflessione; tratti raccolti qua
sati maestri combinati poi bizzarramente, onde ne risulta un ritratto
che
non ha fisonomia determinata; mosaici composti d’
sti d’altrettante pietre di vario colore quanti sono i diversi stili,
che
sovente concorrono alla composizione dell’aria st
eriodi musicali raccozzati insieme senza disegno a formar un soggetto
che
per lo più è in contraddizione con se medesimo e
col tutto insieme del dramma; una fluidità insignificante di melodia
che
s’oppone alla robustezza e maestà dello stile, ch
ficante di melodia che s’oppone alla robustezza e maestà dello stile,
che
restringe la musica a non trattare fuorché i rond
restringe la musica a non trattare fuorché i rondò e le barcaruole, e
che
esprime la nobile tristezza d’Ezio o d’Achille co
enti; per dir tutto in poche parole il secolo del Marini e del Preti,
che
va succedendo nella musica dietro a quello dell’A
conferma volendo discendere all’esame d’un’aria, qualunque ella sia,
che
serva d’esempio se non di tutte almeno della magg
serva d’esempio se non di tutte almeno della maggior parte di quelle
che
si cantano in oggi sui teatri. [28] Aprasi per un
i per un poco una carta o spartito musicale, e vi s’osservi il metodo
che
comunemente si tiene nel lavorarle. Appena l’inte
gli uditori, agguisa di proemio, o preambolo, del sentimento generale
che
dee regnare nell’aria. Cessano gli stromenti, e l
irti almeno al lato Perché a me tu nieghi ancor? Giusto Ciel,
che
acerbi affanni! Perché, oh Dio! tanto r
piegando qualche minuto in gorgheggiar su quel povero core. Crederemo
che
sia finita? Non per certo. Fa pausa il cantore, e
gio degli ottentoti, di cui la musica ne fosse il dizionario, bisogna
che
l’attore gliel’inculchi di nuovo ripigliando coll
la prima parte. E la seconda? Oh questa poi ha la medesima disgrazia
che
i cadetti delle famiglie illustri, ai quali tocca
e illustri, ai quali tocca languire in ristrettezza di fortune mentre
che
il fratello maggiore vive fra il lusso e l’opulen
on quattro note senza l’analisi, divisione, o repetizione dei periodi
che
si fa nella prima, se non in quanto fra le pause
nostro viaggio? Chi così credesse viverebbe in inganno. Questo non è
che
il primo ostello dove si rinfrancano i cavalli pe
usto non prevenuto dai pregiudizi dell’usanza, o da quelli dell’arte,
che
gliene paia della esposta economia di quest’aria?
omia di quest’aria? A qual fine quelle fastidiosissime ripetizioni? A
che
giova quel tanto stritolarne i periodi sempre agg
ritolarne i periodi sempre aggirandosi dintorno alle stesse parole? A
che
il ripigliar più volte i due primi versetti sospe
le occasioni senza distinzione? Ad onta del verosimile? Contro a ciò
che
richiede l’indole della passione? Hassi a spezzar
rgheggiando un quarto d’ora su una cadenza per far capire all’udienza
che
lo smascolinato Arione è capace di eseguir venti
nti battute di gorga in luogo di dieci? Ciò è a un dipresso lo stesso
che
dire che la natura è fatta per ubbidire alla musi
te di gorga in luogo di dieci? Ciò è a un dipresso lo stesso che dire
che
la natura è fatta per ubbidire alla musica, non l
on la musica per imitar la natura. [30] Io son ben lontano dal volere
che
l’ordin metodico delle parole serva esattamente d
siero, e a così dir, l’analizzi per entro alle differenti modulazioni
che
le somministra il suo tono dominante senza la qua
omministra il suo tono dominante senza la quale licenza non è facile,
che
l’espressione musicale ottenga il suo intento sic
’esser condotta per più modulazioni differenti. né m’è ignoto altresì
che
il costume di replicar talvolta una parola o una
a una parola o una frase può avere il suo fondamento nella ragione, e
che
ciò ha luogo principalmente allora quando l’uomo
uando l’uomo stimolato da una viva passione, e ripieno di quella idea
che
serve ad eccitargliela, altro non rivolge in ment
per poco inoltrarsi nell’abisso della sensibilità umana, sembra forse
che
debba ritrarsi da una persuasione intima che l’am
lità umana, sembra forse che debba ritrarsi da una persuasione intima
che
l’amor proprio fa nascere in noi, che se gli uomi
rarsi da una persuasione intima che l’amor proprio fa nascere in noi,
che
se gli uomini, i numi, od il destino non rendono
ch’era l’unico oggetto delle sue tenerezze, si sente fra i singhiozzi
che
le offuscan la voce fra le lagrime che le inondan
zze, si sente fra i singhiozzi che le offuscan la voce fra le lagrime
che
le inondano il sembiante, fra gli amplessi onde s
esse. Così nell’Avaro di Moliere allorché arriva a notizia d’Arpagone
che
gli è stata rubbata dal proprio figlio la cassett
t,… ah mon cher argent». Così nel secondo libro dell’Eneide, Anchise,
che
fuggendo da Troia incendiata in compagnia d’Enea,
sa, e d’Ascanio, vede lampeggiar in lontananza le armature dei nemici
che
l’inseguiscono, esclama mosso dalla paura: «… na
tratti dell’aria, come ha fatto da gran maestro il celebre Gluck nel «
che
farò senza Euridice?» dell’Orfeo, dove il protago
ivato della compagnia d’una sposa cui tanto amava, è assai verosimile
che
vada egli sfogando da sé solo il proprio cordogli
circostanza è secondo il mio avviso non meno contrario al buon senso
che
all’ottimo gusto, poiché siffatte repliche non si
non come altrettante battologie della sintassi musicale. [32] Ma ciò
che
non è conforme alla natura né alla ragione si è l
quel da capo solito a mettersi nel fine delle arie. Senza l’abitudine
che
fa loro chiuder gli occhi su tante improprietà, g
li occhi su tante improprietà, gl’Italiani avrebber dovuto riflettere
che
niuna cosa fa tanto chiaramente vedere la poca fi
quale vengono regolati di qua dai monti gli spettacoli quanta questa:
che
il carattere della passione non è mai quello di r
ale per fermarsi a ripigliar con ordine la stessa serie di movimenti;
che
il distaccare dal tutto insieme d’un’azione uno s
uno squarcio per recitarlo di nuovo è dissonanza non minore di quella
che
sarebbe in un ambasciatore il ripeter due volte i
ripeter due volte in presenza del sovrano l’esordio d’un’allocuzione;
che
il carattere della musica non può legitimare cote
ssimo e rinvigorir l’espressione senza ricantar di nuovo il motivo; e
che
uno spartito dove si vegga appiccato al margine u
argine un da capo è ugualmente difforme agli occhi della sana ragione
che
sarebbe agli occhi d’un naturalista un braccio co
gli occhi d’un naturalista un braccio con due mani, oppure un animale
che
avesse un paio di nasi sulla faccia. Mi si rispon
nimale che avesse un paio di nasi sulla faccia. Mi si risponderà (e a
che
non rispondono i maestri?) che la colpa non è di
si sulla faccia. Mi si risponderà (e a che non rispondono i maestri?)
che
la colpa non è di loro, ma degli ascoltanti che c
ispondono i maestri?) che la colpa non è di loro, ma degli ascoltanti
che
chiedono con furore la replica. Ma gli ascoltanti
, e se l’andamento dell’azion musicale fosse così unito e concatenato
che
la curiosità dell’udienza venisse ognor più solle
gnor più sollecitata a risaperne lo scioglimento, come si vede da ciò
che
giammai si domanda in una commedia di carattere,
[33] Bisognerebbe render grazie al Piccini per essere stato (a quello
che
sento da alcuni) il primo a sbandirne i noiosi da
bandirne i noiosi da capo sostituendovi le arie lavorate a rondò, del
che
ne diede egli per la prima volta un plausibile es
ad una sgradevole uniformità, altro per lo più non sentendosi in oggi
che
arie intrecciate e ridotte a rondò. Così si passa
a rondò. Così si passa da un vizio all’altro, e la pretesa perfezione
che
, secondo i moderni, acquista di mano in mano la m
el distruggere un difetto per impiantarvi un maggiore. Il peggio si è
che
un tal costume è passato ancora dal teatro in chi
is, a dextris, sede a dextris, sede a dextris». [34] Alcuni giudicano
che
potrebbe ovviarsi al difetto del soverchio ripete
o del soverchio ripeter le stesse parole lavorando le arie in maniera
che
contenessero quattro o cinque strofi invece di du
quattro o cinque strofi invece di due; così, dicono essi, l’uditore,
che
si diletta di sentir cantare, resterebbe appagato
ntare, resterebbe appagato senza scapito del buon senso, e il cantore
che
altro non cerca se non di far brillare la sua voc
, la quale non consiste nella scarsezza delle parole, ma nella smania
che
ha il cantore di condurre la sua voce per tutti i
antore di condurre la sua voce per tutti i tuoni possibili, mi sembra
che
si caderebbe in difetti non minori di quello cui
in tante strofi un unico pensier musicale, ne verrebbe in conseguenza
che
non vi si potrebbe nemmeno accomodar un solo moti
lle arie giocose, le quali, rappresentando caratteri poco profondi, e
che
rimangono, a così dire, nella superficie dell’ani
dell’anima, non abbisognano se non se di musica brillante e leggiera
che
scorra senza fermarsi a lungo sugl’individuali se
, le quali aprono larga sorgente di espressione alla melodia, convien
che
il poeta divenga economo di parole, acciocché la
conomo di parole, acciocché la musica, percorrendo i moltiplici tuoni
che
il suo argomento le somministra, faccia meglio va
ccia meglio valere la sua possanza. [35] Che diremo del poco riguardo
che
si ha da maestri dozzinali per le convenienze del
e ne mutila dieci. Se il senso rimane imperfetto poco gli cale; basta
che
non si generi fastidio al cantante, e che si facc
rfetto poco gli cale; basta che non si generi fastidio al cantante, e
che
si facciano sui quindici versi le stesse sfoggiat
cantante, e che si facciano sui quindici versi le stesse sfoggiature
che
si farebbero sui venticinque. Alle volte cangian
el tutto l’altra parte dell’aria senza punto badare alla proposizione
che
resta smozzata all’esempio di quei quadri che rap
adare alla proposizione che resta smozzata all’esempio di quei quadri
che
rappresentano le figure soltanto a mezzo busto. A
mo rilievo, richiamerà altrove l’attore, ma egli non partirà a motivo
che
il compositore lo trattiene mezz’ora in sulla sce
a melodia del mondo. La sconcezza in questo genere è arrivata a segno
che
in un’opera veduta da me dovendo salir sopra un n
sopra un naviglio il primo uomo e cantar prima una cavatina, la nave,
che
veniva spinta dalle onde, ha dovuto fermarsi, com
nde, ha dovuto fermarsi, come s’avesse udito e cognizione, attendendo
che
finissero que’ noiosi arzigogoli. Peggio poi quan
onia esprimendo colla musica un senso intieramente contrario a quello
che
dicono le parole. Diranno queste “Raggio del ciel
ntitolato I tre amanti ridicoli posto sotto i due versi seguenti «Oh
che
rabbia, o che furore! Io mi sento lacerar.» un t
e amanti ridicoli posto sotto i due versi seguenti «Oh che rabbia, o
che
furore! Io mi sento lacerar.» un tempo di minuet
e e la rabbia in un tempo di minuetto da ballo! Altro non gli restava
che
riserbar il tuono del Miserere per una contradanz
à il compositore in nomi propri o appellativi in avverbi, o in parole
che
non hanno espression musicale per se medesime, co
“seeee”, “froooo”, ec. laddove la filosofia della musica insegnerebbe
che
i passaggi non si debbono comporre fuorché su par
eterminato genere di passione. Difatti cosa è un passaggio? Non altro
che
una breve dimora della voce su una qualche vocale
zza. Ora cotal ornamento non può rendersi verosimile fuorché nel caso
che
il replicar le note serva ad imitar la natura del
tato, come si farebbe nelle parole “scorrere”, “tremolare”, “volare”,
che
suppongono un’azione successiva, ovvero in queste
a sua imitazione. [37] Che si dovrà pensare eziandio dello strapazzar
che
fanno miseramente l’espressione fermandosi soltan
iseramente l’espressione fermandosi soltanto nelle parole individuali
che
si trovano per accidente nella composizione, e tr
sul “tuono”, e fanno quindici o venti slanci di voce qualora il leone
che
errando vada per la natia contrada, o l’orsa nel
ano l’effetto generale del motivo, se l’orditura dell’aria esigerebbe
che
si scorresse di lungo sui movimenti particolari e
dovrebbe, l’attenzione dell’uditore ad un punto solo, altro non fanno
che
miseramente distrarnela; ciò nulla importa al com
a al compositore. Per essi il fior del bello è riposto nel far capire
che
sanno l’armonia; alla qual notizia arrivandosi pi
armonia; alla qual notizia arrivandosi più presto con siffatto metodo
che
con quello di esaminare l’intiera orditura musica
nza de’ suoni individui col tutto insieme d’un’aria, non è maraviglia
che
prendano in ciascun vocabolo occasione di fermars
o con cose affatto disparate, o almeno estranee al soggetto. Quindi è
che
il volgo de’ compositori allora si delizia sopra
fare una qualche smanceria, oppure quelle piccole immagini del fiume
che
mormora, dello zeffiro che tremola, del gorgeggia
, oppure quelle piccole immagini del fiume che mormora, dello zeffiro
che
tremola, del gorgeggiante augellino, dell’eco che
mora, dello zeffiro che tremola, del gorgeggiante augellino, dell’eco
che
ripete, del fragore del tuono, del turbo nereggia
del fragore del tuono, del turbo nereggiante con siffatte anticaglie,
che
sono (quasi direi) venute a nausea per la loro fr
he sono (quasi direi) venute a nausea per la loro frequenza. Anfossi,
che
pur non è fra cotesto volgo, non ha avuto diffico
sulla seconda vocale della parola “amato” nell’aria “Contro il destin
che
freme” dell’Antigono. E ciò per due volte consecu
ri quello è di poco o nulla studiare l’accento patetico della lingua,
che
serve di fondamento alla musica imitativa, cioè i
i ciascuna passione. Avvegnaché tutte l’affezioni dell’uomo non siano
che
altrettante modificazioni della fisica sensibilit
o non siano che altrettante modificazioni della fisica sensibilità, e
che
a siffatto riguardo esse non parlino che un solo
della fisica sensibilità, e che a siffatto riguardo esse non parlino
che
un solo linguaggio cioè quello del piacere o del
ed un gesto proporzionato al proprio carattere e al grado d’interesse
che
si piglia nell’infausto avvenimento. L’uomo prude
ppe sfuggirlo. La malignità farà vedere un non so qual tuono d’ironia
che
indicherà la segreta compiacenza che ha del danno
re un non so qual tuono d’ironia che indicherà la segreta compiacenza
che
ha del danno altrui. La politezza si contenterà d
a del danno altrui. La politezza si contenterà d’espressioni generali
che
dinotino un qualche rammarico. L’amicizia farà se
ia farà sentire il linguaggio della tenerezza, s’asterrà d’ogni motto
che
possa inacerbire la sua doglia, accompagnerà talv
le lagrime dello sventurato amico. L’amore… ah! per l’amore non v’ha
che
il velo di Timante, o l’impietrimento d’Othello.
’Othello. [39] Dalla fedele rappresentazione di questi diversi idiomi
che
non può eseguirsi se non da chi si è molto avanti
si è molto avanti inoltrato nella cognizione degli uomini, nasce ciò
che
s’appella in musica “espressione”, la quale non è
nasce ciò che s’appella in musica “espressione”, la quale non è altro
che
l’imitazione abbellita d’un sentimento determinat
osì la vera espressione musicale nella drammatica non è né può essere
che
l’esatta imitazione della imagine, passione o sen
lle parole. Queste due cose hanno una così stretta relazione fra loro
che
la musica fatta sulle parole d’un’aria non potreb
rsi essere trasferita alle parole d’un’aria diversa; come il ritratto
che
rappresenta con esattezza una fisonomia, non può
ra esposti, hanno saputo afferrare in maniera lo spirito delle parole
che
chiunque volesse o cambiar le arie loro o accomod
accompagnamenti e l’espressione totale ad un’altra poesia non farebbe
che
distrugger affatto la loro verità musicale. E que
preciso accento delle individuali passioni? Intendono essi nemmeno in
che
consista l’espressione poetica? Basta gettar uno
lontani dal comprendere il linguaggio individuale di ciascun affetto
che
non conoscon neppure i gradi specifici che gli di
viduale di ciascun affetto che non conoscon neppure i gradi specifici
che
gli distinguono. Lo stesso motivo che serve di fo
oscon neppure i gradi specifici che gli distinguono. Lo stesso motivo
che
serve di fondamento ad un’aria d’amore viene da l
disperazione, né questa dal terrore, e così via discorrendo. Quindi è
che
qualora si cavino le parole dallo spartito, la co
lo più veruna rassomiglianza, verun linguaggio intelligibile per chi
che
sia. E quindi viene altresì la facilità che trova
gio intelligibile per chi che sia. E quindi viene altresì la facilità
che
trovano i moderni compositori di cambiar le loro
le loro composizioni adattandole a cento sentimenti diversi. [42] Ma
che
parlo io di sentimenti diversi? Poche sono le ari
e dopo una travagliata fortuna la sua amatissima sposa, egli è chiaro
che
il compositore avrebbe dovuto seguitar l’espressi
’espressione delle parole rappresentando in maniera siffatto giubbilo
che
, volendo ancora cambiar la composizione questa no
mi per ora di fare una supposizione contraria e di figurarmi Farnaspe
che
inebbriato da quel nettare inconcepibile cui l’am
ile cui l’amore fa gustare alla presenza, e in compagnia dell’oggetto
che
s’ama, fosse pur costretto a distaccarsi improvis
destino, lasciando la sua sposa in balia d’un rivale odiato e potente
che
si prenderebbe il barbaro piacere di tormentarla.
renderebbe il barbaro piacere di tormentarla. Voglio supporre altresì
che
le parole con cui Farnaspe esporrebbe la cruccios
e stenti L’inesorabile Suo fier destin.» ora io dico
che
la musica dell’Astaritta applicata a quest’ultima
così malamente connessi colla declamazion naturale di quelle parole,
che
facilmente ponno rivoltarsi a qualunque altro sig
lla poetica parodia testé arreccata una strofetta in lingua francese,
che
nulla ha di comune né coi senso dell’aria di Meta
lettore può chiarirsene da sé dando una occhiata alla carta musicale
che
si trova infine di questo volume, dove osserverà
trova infine di questo volume, dove osserverà la sinfonia preliminare
che
non ha verun carattere decisivo, il motivo che re
a sinfonia preliminare che non ha verun carattere decisivo, il motivo
che
rende la malinconia dal paro che il giubbilo, il
verun carattere decisivo, il motivo che rende la malinconia dal paro
che
il giubbilo, il «Vicina al termine De su
ina al termine De suoi contenti» espresso nella stessa guisa
che
il “già presso al termine de’ suoi martiri”, il “
mento francese “un dieu puissant en ces lieux l’amene” non altrimenti
che
il “quest’anima sciolta in sospiri”, l’epiteto “i
a sciolta in sospiri”, l’epiteto “inesorabile” colla melodia medesima
che
l’“amabile”, e il “caro bene” convertito in un “f
a, come tutto si riferisce all’unità di azione nella tragedia. Sembra
che
i compositori vogliano metter dal paro le composi
tazioni e di disegno e stimabili solo per la vivacità del colorito, e
che
dimenticandosi affatto della meta principale, cor
oltramontani, ma sono tratti staccati cui manca la primaria bellezza
che
consiste nella esatta relazione colle parole e co
? Per mancanza di studio e di riflessione, per mantenere i pregiudizi
che
hanno ormai acquistato forza di legge, perché vog
ni, pe’ i suoi parenti ed amici, e per la processione de’ flagellanti
che
si faceva in Campazas, sua patria. Insomma perché
arano la musica da pedanti e non da filosofi. [45] E non è maraviglia
che
così avvenga, se si pone mente al cattivo metodo
binare in varie guise le note. [46] Ma da siffatte cose fino a quelle
che
dee sapere un compositore corre una distanza infi
atica della musica, e servono piuttosto a non commettere degli errori
che
a produrne delle vere bellezze. Si può chiamare l
olle, delle massime e delle lunghe, delle crome e delle biscrome anzi
che
quella della vera eloquenza musicale. Non s’inseg
enza musicale. Non s’insegna loro la rettorica dell’arte, quella cioè
che
sollevando l’ingegno sopra la meccanica disposizi
invenzione del motivo principale, il quale dee corrispondere al tuono
che
domina nella poesia, additando i mezzi per ben di
nella poesia, additando i mezzi per ben disporne i motivi subalterni
che
si scelgono secondo l’indole di ciascuna scena in
l’indole di ciascuna scena in particolare, indicando i diversi stili
che
sono nella musica corrispondenti a quelli della p
debbano adoperarsi. Non s’insegna loro la fisica propria del mestiere
che
consisterebbe nello studio dell’acustica, ossia n
erebbe nello studio dell’acustica, ossia nello esame di quei rapporti
che
la risonanza dei corpi sonori ha colla macchina u
in particolare col nostro orecchio, quantunque sia fuor d’ogni dubbio
che
tali notizie gioverebber moltissimo alla perfezio
de esprimer poscia col mezzo de’ suoni ora quei tratti caratteristici
che
manifestano al primo colpo d’occhio la natura in
io la natura in tumulto, ora quelle sfumature più delicate e leggiere
che
richieggono a bene osservarsi uno sguardo più esp
ù esperimentato. Non s’istillano loro i principi di quella erudizione
che
tanto è necessaria per chi s’accinge a comporre,
i costumi de’ popoli per non dare all’asiatico Enea la stessa melodia
che
al mauritano Jarba, e non far cantare sul medesim
cienza loro sono così all’oscuro la maggior parte dei moderni maestri
che
niuno si trova meno in istato di soddisfare alla
estri che niuno si trova meno in istato di soddisfare alla difficoltà
che
ponno muoversi contro da chiunque non sia della p
propria, per comprenderne i quali basta una mente avvezza a ragionare
che
abbia avuto qualche consorzio colla filosofia. Al
rt, Eximeno, Burney, Grimm, Blainville e tali altri uomini di merito,
che
hanno con tanta lode avanzata la teoria, la prati
lla musica nel nostro secolo, sono nomi egualmente sconosciuti a loro
che
al gran Lama del Tibet, o ai Telapoini del Siam.
del loro mestiere, o conoscendoli, la buona fede di confessarli. Pare
che
l’anima loro non esista fuorché nei tasti del cem
arli. Pare che l’anima loro non esista fuorché nei tasti del cembalo,
che
la loro esistenza tutta si raduni sulle punte dei
embalo, che la loro esistenza tutta si raduni sulle punte dei diti, e
che
gli spartiti siano la carta geografica dove si co
tutto il loro universo scientifico. Se si dovesse cercare un emblema
che
rappresentasse al vivo il maggior numero degli od
ovato in quell’artificiale automate fabbricato dal celebre Vaucanson,
che
suonava il flauto meccanicamente, oppure in quell
a maggior parte degli uomini sono ciò ch’è la bussola per le caravane
che
traversano i deserti immensi di Saara e di Biledu
he traversano i deserti immensi di Saara e di Biledulgerid; se quelli
che
s’adoperano comunemente nelle scuole di musica no
se quelli che s’adoperano comunemente nelle scuole di musica non meno
che
nelle altre scuole che formano la nostra educazio
no comunemente nelle scuole di musica non meno che nelle altre scuole
che
formano la nostra educazion letteraria, servono t
ntellettuali dell’umano spirito hanno così stretta relazione fra loro
che
non può farsi gran via in una scienza o facoltà s
o che non può farsi gran via in una scienza o facoltà senz’essere più
che
mediocremente versato nella cognizione delle altr
mediocremente versato nella cognizione delle altre facoltà o scienze
che
le tengono mano; se il talento s’avvilisce qualor
ercenario, e se le arti liberali somiglianti a quelle piante generose
che
marciscono ne’ luoghi paludosi o ristretti, né s’
onno fiorire colà dove i coltivatori loro le prendono per un mestiero
che
debbe unicamente servire di stromento al loro gua
nte servire di stromento al loro guadagno; egli fa d’uopo confessare,
che
la musica soggetta a tutti gli accennati inconven
ha loro non poche volte fatto uscir di sentiero. L’amore del piacere,
che
ricompensa gl’Italiani della perdita della loro a
che ricompensa gl’Italiani della perdita della loro antica libertà e
che
va dal paro in una nazione coll’annientamento di
questa è poi venuta la sazietà del bello, e il desiderio di variare,
che
hanno generato in seguita la mediocrità, la strav
fermi, e i provvedimenti alle calamità pubbliche, ma è fuor di dubbio
che
non mancherà la sua spezie di Coliseo per gli sci
non mancherà la sua spezie di Coliseo per gli scioperati. La dimanda
che
oggidì fa il popolo italiano a chi timoneggia nel
ggidì fa il popolo italiano a chi timoneggia nel governo, è la stessa
che
ne faceva sedici secoli addietro a’ tempi di Giov
fantasia di vestirsi delle spoglie di un vitello per intraprender ciò
che
non oserei raccontare senz’allarmar la dilicatezz
dalla inquietudine e dalla vanità. Per un effetto della prima avviene
che
l’uomo, non sapendo stabilire dei limiti alle pro
o stabilire dei limiti alle proprie facoltà e restando sempre con ciò
che
desidera al di sopra di quello che ottiene, ama s
facoltà e restando sempre con ciò che desidera al di sopra di quello
che
ottiene, ama sul principio nell’armonia gli accor
cipio nell’armonia gli accordi più naturali e più semplici, tali cioè
che
nascano espontaneamente dall’argomento, e possano
en presto, non trovando in quella naturalezza la novità e la sorpresa
che
cagionavano il suo piacere, cerca degli altri tuo
che cagionavano il suo piacere, cerca degli altri tuoni più piccanti,
che
risveglino, a così dire, la sua infastidita sensi
la stessa cagione insipidi e freddi dopo qualche tempo, necessario è
che
cadano nella stessa dimenticanza che i primi per
dopo qualche tempo, necessario è che cadano nella stessa dimenticanza
che
i primi per dar luogo ad altre modulazioni più vi
fetto del sapere né dell’ingegno, ma da una non so quale disposizione
che
sebbene dal cielo sia stata data a pochissimi, pe
ellezze semplici. Ella preferisce lo straordinario e il bizzarro, ciò
che
suppone un qualche sforzo di mente per ben compre
olto alla intelligenza comune. E tal è la bassezza dell’amor proprio,
che
quantunque la natura gli si appresemi con tutti i
, cerca nonostante di chiuder gli occhi alle vaghezze di lei, temendo
che
il mostrarsi sensibile ad esse noi faccia cadere
asporto di un popolo per gli spettacoli tanto più grande è la libertà
che
concede ai coltivatori di essi. Simili agli amant
nno bisogno di pigliar incremento, di spiar tutte le uscite e veicoli
che
guidano al bello non per anco ben conosciuto, e d
e di quelle sorgenti onde scaturisce il diletto. In tal caso i metodi
che
le circoscrivono, riducendole prima di tempo in s
ci, allora una licenza illimitata produce l’effetto contrario. Ognuno
che
coltiva una professione vuol distinguersi dai com
dai compagni. Desideroso di esser grande piuttosto colla lode propria
che
coll’altrui, cerca d’avanzarsi nella sua carriera
prezzo per gli antichi metodi, il discostarsi dai maestri e il creder
che
hanno fatto meglio di loro quando hanno fatto div
i, e tale è presentemente quello della musica. [52] Ciò non vuol dire
che
in così sfavorevol sentenza siano compresi tutti
compresi tutti quanti i compositori d’Italia. Chi scrive sa benissimo
che
ogni regola patisce la sua eccezione e che in cia
a. Chi scrive sa benissimo che ogni regola patisce la sua eccezione e
che
in ciascuno dei rami della facoltà musicale può q
o scrittore pieno di melodia e di naturalezza, il quale in pochi anni
che
visse ebbe la stessa sorte del Pergolesi, cui non
; d’un Anfossi ritrovatore facile e fecondo massimamente nel buffo, e
che
forse ottiene fra i compositori lo stesso luogo c
ente nel buffo, e che forse ottiene fra i compositori lo stesso luogo
che
Goldoni fra i poeticomici; d’un Paisello tornato
estro singolare e d’una maravigliosa ricchezza nelle idee musicali, e
che
risplende per ornatissimo stile e per nuovo gener
ompositori del suo tempo pel colorito forte e robusto, per la ragione
che
spicca nelle sue composizioni, e per la verità de
sica teatrale italiana spogliandola delle palpabili inverosimiglianze
che
la sfiguravano, studiando con accuratezza somma
e sue composizioni un carattere tragico e profondo dove l’espressione
che
anima i sentimenti va del paro colla filosofia ch
dove l’espressione che anima i sentimenti va del paro colla filosofia
che
regola la disposizione dei tuoni139. [53] Parimen
l’imitare il suo maestro divenne eccellente nella esecuzione non meno
che
nella patetica e dolce gravità de’ suoi adagi. Si
no. Degni discepoli d’un tanto maestro tuttora si mostrano il Borghi,
che
rammorbidisce a meraviglia con una certa dolcezza
rdini, imitatore felice dello stile del suo maestro, al quale si dice
che
aggiunga del suo una bellissima cavata di suono l
l suo sesso. Sarebbe più facile «Ad una ad una annoverar le stelle»
che
il fare patitamente menzione di tanti altri compo
itamente menzione di tanti altri compositori o esecutori più giovani,
che
sotto la scorta degli accennati maestri coltivano
entare soltanto agli occhi de’ lettori una rapida prospettiva. Quello
che
in generale può dirsi è che nelle loro mani la mu
e’ lettori una rapida prospettiva. Quello che in generale può dirsi è
che
nelle loro mani la musica acquista a certi riguar
tazione più o meno abbellita della natura, e nell’esprimere l’oggetto
che
prende a dipingere senza sfigurarlo né caricarlo
to che prende a dipingere senza sfigurarlo né caricarlo più di quello
che
comporta l’indole della imitazione, se questo fin
pressione, e se ogni e qualunque ornamento, ogni e qualunque bellezza
che
le si aggiunga senza riguardo a cotale scopo, non
ellezza che le si aggiunga senza riguardo a cotale scopo, non è altro
che
una imperfezione, un difetto di più, in tal caso
più, in tal caso bisogna pur confessare, e confessarlo con coraggio,
che
la maggior parte delle pretese finezze armoniche,
estri, invece di provare il miglioramento del gusto altro non provano
che
la sua visibile decadenza. Come il lusso, che man
gusto altro non provano che la sua visibile decadenza. Come il lusso,
che
manifesta una ricchezza apparente nello stato pol
ne alla musica dell’Alceste. 132. [NdA] Oggidì può dirsi dello stile
che
regna nella musica ciò che Seneca diceva dello st
. 132. [NdA] Oggidì può dirsi dello stile che regna nella musica ciò
che
Seneca diceva dello stile di Mecenate: «laudem su
rà rintracciati con molta sensatezza e filosofia in due belle lettere
che
intorno alla musica imitativa dell’opera ha inser
stre. Il conte Algarotti ne cita un qualche esempio. 137. [NdA] Dico
che
l’aria, di cui ora intraprendo la censura, è dell
rimo Saggio Analitico sulla natura del dramma musicale. Differente
che
lo distinguono dagli altri componimenti drammatic
a principalmente le tre prime, sono fra loro così strettamente unite,
che
non può considerarsene una senza considerarne le
o della musica, e della decorazione. Attalchè gli argomenti poeti ci,
che
acconci non sono ad invaghire gli orecchi colla s
natura sbanditi dal dramma; come all’opposto i più atti sono quelli,
che
riuniscono l’una e l’altra delle anzidette qualit
rte più essenziale del dramma viene comunemente riputata la musica, e
che
da lei prende sua maggior forza, e vaghezza la po
[2] L’unione della musica colla poesia è dunque il primo costitutivo,
che
distingue codesto componimento dalla tragedia, e
inverosimile come pretenderebbero alcuni, a cui pare una stravaganza
che
gli eroi e l’eroine s’allegrino, s’adirino, e si
tto il vero quanto la rappresentazione del vero, né si vuole da esso,
che
esprima la natura nuda e semplice qual è, ma che
né si vuole da esso, che esprima la natura nuda e semplice qual è, ma
che
l’abbellisca, e la foggi al suo modo. Al pittore
bellisca, e la foggi al suo modo. Al pittore non si comanda soltanto,
che
dipinga un uomo, ma che il perfezioni nel dipigne
suo modo. Al pittore non si comanda soltanto, che dipinga un uomo, ma
che
il perfezioni nel dipignerlo, aggiungendovi quell
gli non ha comunemente. Così è fino a noi pervenuta la fama di Zeusi,
che
volendo far il ritratto di Elena, e non trovando
fanciulle bellissime i tratti più perfetti, onde poi un tutto formò,
che
non esisteva fuorché nella mente del pittore. Si
on esisteva fuorché nella mente del pittore. Si richiede dal tragico,
che
esprima le passioni, e i caratteri, ma che gli es
. Si richiede dal tragico, che esprima le passioni, e i caratteri, ma
che
gli esprima cogli stromenti propri dell’arte sua,
ostretto a far parlar Maometto, e Zaira in linguaggio arabo piuttosto
che
in francese, in prosa familiare, e non in versi a
alessandrini. Così la musica imita la natura, ma la imita pei mezzi,
che
le si appartengono, cioè col canto e col suono: i
l canto e col suono: il qual linguaggio, attesa la tacita convenzione
che
passa tra l’uditore, e il musico, non è meno vero
l’uditore, e il musico, non è meno verosimile in se stesso di quello
che
lo sia il linguaggio dei versi, e l’assortimento
linguaggio dei versi, e l’assortimento de’ colori, poiché l’oggetto,
che
la musica ad imitar si propone, esiste realmente
pone, esiste realmente nella natura non altramenti, ch’esista quello,
che
prendono ad imitare la pittura, e la poesia. Onde
poesia. Onde accusar il dramma musicale perché introduce i personaggi
che
cantano, è lo stesso che condannarlo perché si pr
ramma musicale perché introduce i personaggi che cantano, è lo stesso
che
condannarlo perché si prevale nella imitazione de
one de’ mezzi suoi invece di prevalersi degli altrui: è un non voler,
che
si trovino nella natura cose atte ad imitarsi col
drammatico. Tentiamo, se si può, di metter in chiaro cotal questione,
che
abbraccia tutto l’argomento del nostro discorso.
on m’inganno, la soluzione dipende dall’esame intimo delle relazioni,
che
corrono fra le due facoltà. [4] Il poeta ha per o
il poeta or direttamente scoprendo negli oggetti quelle circostanze,
che
hanno più immediata relazione con noi, e che ride
etti quelle circostanze, che hanno più immediata relazione con noi, e
che
ridestano per conseguenza il nostro interesse, gi
sì dire, attaccato il sentimento. [5] Questa seconda maniera è quella
che
rende la poesia tanto acconcia ad accoppiarsi col
à, la quale fino ad un certo segno è comune ugualmente alla eloquenza
che
alla poesia, non è che il fondamento della melodi
certo segno è comune ugualmente alla eloquenza che alla poesia, non è
che
il fondamento della melodia imitativa, ovvero sia
che il fondamento della melodia imitativa, ovvero sia del canto: dal
che
ne seguita eziandio, che la possanza della eloque
melodia imitativa, ovvero sia del canto: dal che ne seguita eziandio,
che
la possanza della eloquenza se non in tutto almen
roprietà d’un essere ad un altro trasferendo a vicenda: ora cercando,
che
la collocazione, la pronunzia, e il suono stesso
ù la espressione poetica de’ motti s’avvicina alla natura delle cose,
che
si rappresentano, tanto più agevolmente potrà la
di nuda e secca geometria nelle loro gotiche poesie2. [6] Egli è vero
che
negli autori anche più celebri si trovano spesso
gli autori anche più celebri si trovano spesso delle sentenze morali,
che
paiono scompagnate dall’uno e dall’altro, e già v
truzione composta: ma esaminando bene cotai componimenti, si troverà,
che
le sentenze loro o si risolvono ultimamente in qu
ltimamente in qualche movimento di passione, o in qualche immagine, o
che
altrimenti annoiano tosto. [7] Delle tre cose acc
le inflessioni della favella ordinaria, onde si risvegliano le idee,
che
delle passioni furono principio: ora raccogliendo
delle passioni furono principio: ora raccogliendo cotali inflessioni,
che
si trovano sparse ordinariamente nella voce appas
riamente nella voce appassionata, e radunandole in un canto continuo,
che
è quello che soggetto s’appella: ora ricercando c
a voce appassionata, e radunandole in un canto continuo, che è quello
che
soggetto s’appella: ora ricercando coi suoni armo
musicale dottamente regolati il suono materiale degli oggetti fisici,
che
sono capaci d’agire sull’animo nostro qualora li
o il fragore del tuono: ora risvegliando colla melodia le sensazioni,
che
in noi producono le immagini di quegli oggetti, i
potendo significare la tomba di Nino, l’odore de’ fiori, o tai cose,
che
appartengono ad altri sensi e non all’udito; il m
i sensi e non all’udito; il musico rappresenta invece loro l’effetto,
che
in noi cagiona la veduta maninconica di quel maus
cagiona la veduta maninconica di quel mausoleo, o il placido languore
che
inducono i fiori odorati: ora eccitando per mezzo
allora quando il musico volendo esprimere il tranquillo riposo d’uno
che
dorme, ovvero la solitudine della notte, e il sil
e in più profonda ricerca intorno a questo punto. Cotale spiegazione,
che
tutta dipende dalla maniera con cui agiscono i su
cui agiscono i suoni sulla nostra macchina, e dalla intima relazione
che
passa tra la vista e l’udito, relazione sospettat
r ai sensi, e per mezzo loro al cuore, né potendo agire per altra via
che
per quella del movimento, non ha conseguentemente
i mezzi d’arrivare fino all’astratta ragione. I suoni altro non sono
che
suoni: rendono le sensazioni e le immagini ma in
andamento e col tempo il tuono generale del discorso, purché i versi,
che
s’accompagnano, non abbiano suono così malagevole
versi, che s’accompagnano, non abbiano suono così malagevole e rozzo,
che
al canto inetti riescano, e per conseguenza non s
onde i soggetti Abbiano in chi comanda L’esempio d’ubbidir. Sia quel
che
dei Non quel che puoi dell’opre tue misura. Il pu
Abbiano in chi comanda L’esempio d’ubbidir. Sia quel che dei Non quel
che
puoi dell’opre tue misura. Il pubblico procura Pi
e dei Non quel che puoi dell’opre tue misura. Il pubblico procura Più
che
il tuo ben. Fa che in te s’ami il padre, Non si t
puoi dell’opre tue misura. Il pubblico procura Più che il tuo ben. Fa
che
in te s’ami il padre, Non si tema il tiranno. È d
modulazioni della voce. Ma siccome non ha la disposizione intrinseca,
che
s’abbisogna per isprimerli, niente niente che dur
isposizione intrinseca, che s’abbisogna per isprimerli, niente niente
che
duri il dissertare diverrà un rumore insignifican
iente niente che duri il dissertare diverrà un rumore insignificante,
che
avrà l’apparenza esterna della musica senz’averne
oesia risultano due osservazioni spettanti al mio proposito. La prima
che
la musica è più povera della poesia, limitandosi
sica è più espressiva della poesia, perché imita i segni inarticolati
che
sono il linguaggio naturale, e per conseguenza il
o fisicamente sopra di noi, sono più atti a conseguire l’effetto loro
che
non sono i versi, i quali dipendendo dalla parola
l’effetto loro che non sono i versi, i quali dipendendo dalla parola,
che
è un segno di convenzione, e parlando unicamente
ser gustati bisogno di più squisito, e dilicato sentimento. Quindi è,
che
una melodia semplice commuove universalmente assa
Quindi è, che una melodia semplice commuove universalmente assai più
che
non faccia un bel componimento poetico. La second
te assai più che non faccia un bel componimento poetico. La seconda è
che
la poesia fatta per accoppiarsi colla musica, deb
a fatta per accoppiarsi colla musica, debbe rivestirsi delle qualità,
che
questa richiede, e rigettarne tutte le altre: cir
ualità, che questa richiede, e rigettarne tutte le altre: circostanza
che
tanto più divien necessaria quanto la lingua è me
ndole della musica, e se questa non può esprimere se non gli oggetti,
che
contengono passione, o pittura, dunque il dramma
dunque il dramma musicale dee principalmente versare circa argomenti,
che
abbondino dell’una e dell’altra, e rigettarne que
nti, che abbondino dell’una e dell’altra, e rigettarne quelli altresì
che
apportando seco lente discussioni, lunghi ragiona
ono perfettamente. E così abbiam trovata la prima qualità essenziale,
che
distingue l’opera dalla tragedia. Questa non asso
menti d’interesse e d’azione, dove essa principalmente campeggia. Dal
che
nascono due inconvenienti: il primo che essendo i
principalmente campeggia. Dal che nascono due inconvenienti: il primo
che
essendo il linguaggio della musica troppo vago e
vago e generico, e dovendo conseguentemente per individuare l’oggetto
che
vuol esprimere, far lunghe giravolte, e scorrere
prendesse la cura di troncare le circostanze più minute. Il secondo,
che
siffatte minutezze per esser prive di calore e di
bbero accompagnarsi se non da modulazione insignificante, e triviale,
che
niuno spirito aggiungesse alle parole. Un passagg
te combinata di scene vive ed appassionate, una economia di discorso,
che
serva, per così dire, come di testo, su cui la mu
ome di testo, su cui la musica ne faccia poscia il commento; ecco ciò
che
il poeta drammatico debbe somministrare al compos
speditezza, e rapidità dell’intreccio. Merope nella tragedia francese
che
porta il suo nome, fa una lunga ed eloquente parl
il suo nome, fa una lunga ed eloquente parlata chiedendo a Polifonte,
che
le venga restituito il proprio figliuolo. Una mad
. Ma questi quattro versetti soli accompagnati dalla mossa e vivacità
che
ricevono da una bella musica faranno, come riflet
ma lirico, un effetto vieppiù sorprendente sugli animi degli uditori,
che
non la tragica e artifiziosa scena della Merope d
ché faccia il suo effetto, ha bisogno di certi intervalli o distanze,
che
lascino luogo alla espressione, altrimenti scorre
oppia una poesia troppo carica d’incidenti, l’affollamento di essi fa
che
l’una non vada mai d’accordo coll’altra, e che la
ffollamento di essi fa che l’una non vada mai d’accordo coll’altra, e
che
la musica non possa marcar le situazioni, che le
d’accordo coll’altra, e che la musica non possa marcar le situazioni,
che
le somministra la poesia. Ed ecco un altro distin
re, gaudio, tristezza, voluttà, speranza, e timore, colla circostanza
che
ciascuna di esse passioni ha il suo segno partico
ircostanza che ciascuna di esse passioni ha il suo segno particolare,
che
la esprime, laddove il canto le esprime tutte sen
er fuori di se gli uomini agitati da qualche sorpresa, o affetto: dal
che
ne siegue che il linguaggio, che corrisponde al c
gli uomini agitati da qualche sorpresa, o affetto: dal che ne siegue
che
il linguaggio, che corrisponde al canto, debbe es
da qualche sorpresa, o affetto: dal che ne siegue che il linguaggio,
che
corrisponde al canto, debbe essere diverso dal co
ssere diverso dal comune, cioè, tale quale si converrebbe ad un uomo,
che
esprime una situazione dell’animo suo non ordinar
ne, o agitazione, o come vogliamo chiamarla, o ha per oggetto le cose
che
interessano vivamente il cuore, e allora lo stile
lo stile di chi canta sarà appassionata, ovvero ha per iscopo quelle
che
colpiscono l’immaginazione, e in tal caso chi can
nguaggio immaginativo, o pittoresco, il quale in sostanza non è altro
che
il lirico. Quindi lo stile figurato, e traspositi
vista, è nondimeno assai conforme alla natura; imperocché, supponendo
che
e’ cantino ciò che dicono, si suppone parimenti,
assai conforme alla natura; imperocché, supponendo che e’ cantino ciò
che
dicono, si suppone parimenti, che siano invasi, o
cché, supponendo che e’ cantino ciò che dicono, si suppone parimenti,
che
siano invasi, o sorpresi. Il canto è dunque il li
isvegliar idee grandi, sublimi, e fuori dell’ordinario si vede da ciò
che
spesso i sacri Profeti avanti di proferir i vatic
roferir i vaticini ispirati loro da Iddio, richiedevano il suonatore,
che
risvegliasse loro lo spirito. Si vede tra i profa
Chiabrera, Guidi, Rousseau, Driden, Gray, Gleim, e Klopstoc sono ciò,
che
è l’uccello, che svolazza intorno alle paludi, pa
Rousseau, Driden, Gray, Gleim, e Klopstoc sono ciò, che è l’uccello,
che
svolazza intorno alle paludi, paragonato coll’aqu
l’uccello, che svolazza intorno alle paludi, paragonato coll’aquila,
che
spazia imperiosamente pell’immenso vuoto dell’ari
porta dunque ad ammettere lo stile lirico. Perciò molti modi di dire,
che
grandemente piacciono nel dramma, non piacerebber
«Placido zeffiretto, Se trovi il caro oggetto, Digli,
che
sei sospiro, Ma non gli dir di chi. Lim
Limpido ruscelletto, Se ti rincontri in lei Dille,
che
pianto sei, Ma non le dir qual ciglio
olieuto, o nel Mitridate, ma bisognerebbe esser troppo in odio al dio
che
presiede ai musicali diletti, per volerli esclude
ncora una ragione di più per ammetterlo nell’opera, ed è l’uniformità
che
risulterebbe nella musica, se dovesse aggirarsi s
andoci noi spontaneamente della ricca sorgente di bellezze armoniche,
che
somministra la pittura degli altri oggetti. Belli
e somministra la pittura degli altri oggetti. Bellissima è la musica,
che
esprime le affettuose smanie di Timante: «Miser
, Voi siete il mio terror.» [17] Ma non è men bella l’altra
che
corrisponde a quell’aria tutta lirica dell’Orfeo:
vaghezza di contrasti, qual ricchezza non si cresce alla poesia? Dal
che
si vede che troppo nemici de’ nostri piaceri si s
contrasti, qual ricchezza non si cresce alla poesia? Dal che si vede
che
troppo nemici de’ nostri piaceri si sono mostrati
matico al solo genere appassionato ridurre. [19] È però d’avvertirsi,
che
sebbene il principio da noi stabilito sia general
più libera, piena di voli ardimentosi, di trasposizioni e d’immagini,
che
esprimano lo stato in cui si trova lo spirito del
rito del cantore. Ma nel dramma, dove né si può, né si debbe supporre
che
i personaggi abbiano la mente alienata fino a tal
e l’azione, l’interesse e l’affetto hanno tanto luogo, il linguaggio,
che
corrisponde, può essere lirico bensì ma con parsi
ritti alla teatrale verosimiglianza, e al diverso genere di passione,
che
vi si rappresenta. Quindi l’origine dello stile l
roprio dell’opera in musica, la esatta proporzione del quale è quella
che
caratterizza Metastasio sopra tutti gli altri. [2
persone capaci di commozioni vive e profonde, né in altre circostanze
che
in quelle che suppongono agitazione. Mal s’applic
di commozioni vive e profonde, né in altre circostanze che in quelle
che
suppongono agitazione. Mal s’applicherebbe la più
ante. Mal si confarebbe ad un Socrate, ad uno stoico di viso arcigno,
che
scevro da ogni commozione d’affetto mi chiudesse
iudesse in un’arietta quattro apotegmi del liceo. Male ad un vecchio,
che
agghiacciato dalla età i rivolge verso di se unic
ghiacciato dalla età i rivolge verso di se unicamente la sensibilità,
che
gli altri oggetti richiederebbono. Male ad uno st
uno statista, ad un avaro, ad un politico, a que’ caratteri insomma,
che
capaci solo di passioni sordide, o cupe, e per in
oro quella chiarezza e forza d’accento, quella varietà d’inflessioni,
che
sono l’anima della musica imitativa. Però si dee
ssioni, che sono l’anima della musica imitativa. Però si dee schivare
che
s’introducano nei melodramma, oppure se vi si int
i altri fanno un gran effetto sul teatro tragico, perché i personaggi
che
imitano, parlano alla ragione eziandio, e perché
ragione eziandio, e perché la poesia piace non meno quando istruisce
che
quando commuove; la prima delle quali cose può co
nseguirsi egualmente coi caratteri freddi, tranquilli, o dissimulati,
che
coi loro opposti. Ma la natura del canto, per cui
la natura del canto, per cui vuolsi energia e commozione d’affetto, e
che
non sa imitare dell’anima se non il trasporto, li
, qual luogo deggiono ottenere precisamente nel melodramma? [21] Ecco
che
l’accennata interrogazione ci porta ad un altra c
ione non meno interessante, a quella cioè dei diversi generi di canto
che
corrispondono al diverso carattere, e alla situaz
i espongono le circostanze, e si riempie, per così dire, l’intervallo
che
passa tra un movimento di passione e un altro. Co
lo che passa tra un movimento di passione e un altro. Codesto genere,
che
appartiensi perfettamente al narrativo, è quello
Codesto genere, che appartiensi perfettamente al narrativo, è quello
che
caratterizza il recitativo semplice, di cui sono
ltra narrazione la perspicuità, la chiarezza e la brevità, osservando
che
l’ultima di queste doti è più necessaria nell’ope
à, osservando che l’ultima di queste doti è più necessaria nell’opera
che
nella tragedia sì per la strettezza, e rapidità c
ssaria nell’opera che nella tragedia sì per la strettezza, e rapidità
che
la musica esige, e sì perché, essendo il canto o
nte finché non arriva a conseguirlo. Nel recitativo semplice adunque,
che
declamazion musicale piuttosto che canto dee prop
. Nel recitativo semplice adunque, che declamazion musicale piuttosto
che
canto dee propriamente chiamarsi, giacché della m
o dee propriamente chiamarsi, giacché della musica altro non s’adopra
che
il Basso, che serve di quando in quando a sostene
ente chiamarsi, giacché della musica altro non s’adopra che il Basso,
che
serve di quando in quando a sostenere la voce, né
i perfettamente armonici: hanno il lor luogo i personaggi subalterni,
che
noi abbiamo supposto finora inutili al canto. Hav
l’alternativo passaggio da un movimento in un altro diverso è quello
che
forma il recitativo obbligato, lo stile del quale
lo stile del quale dee conseguentemente essere vibrato, e interciso,
che
mostri nell’andamento suo la sospensione di chi p
ri nell’andamento suo la sospensione di chi parla, e il turbamento, e
che
lasci alla musica strumentale l’incombenza di esp
strumentale l’incombenza di esprimere negli intervalli della voce ciò
che
tace il cantante. L’anima stanca delle sue incert
delle sue incertezze si risolve finalmente, e abbraccia quel partito
che
più confacente le sembra. Gli affetti più liberam
ria, la quale considerata sotto questo filosofico aspetto non è altro
che
la conclusione, l’epilogo, o epifonema della pass
tti, di pensieri, e di dubbi, se deggia con mano armata inseguir Enea
che
fugge, o darsi in braccio a Jarba suo rivale, o p
, o piuttosto procacciarsi da disperata la morte. Codesta situazione,
che
comunemente si esprime in un monologo, è propria
ione. Siffatta riflessione alle volte è morale cavata dall’avvertenza
che
si fa alle proprie circostanze; in tal caso l’ari
apitolo di Seneca, ovvero alcuna di quelle lunghe tiritere morali, di
che
tanto abbondano le tragedie de’ cinquecentisti, n
ra da me condannate: ma non è già così di piccole, e brievi sentenze,
che
spontaneamente vengono suggerite all’animo dallo
ona appassionata le sono anzi naturalissime per quel segreto vincolo,
che
lega insieme tutte le facoltà interne dell’uomo,
olo, che lega insieme tutte le facoltà interne dell’uomo, onde avvien
che
la riflessione desti in noi le passioni, e queste
sofia delle passioni, e dall’avere stabilito come regola generale ciò
che
dovrebbe essere una eccezione soltanto. V’ha dell
e ciò che dovrebbe essere una eccezione soltanto. V’ha delle passioni
che
ammettono le sentenze riflesse, v’ha di quelle ch
’ha delle passioni che ammettono le sentenze riflesse, v’ha di quelle
che
le ricusano. Fra queste ultime è l’amore, e la ra
l’amore, e la ragione dipende dall’indole di quell’affetto. L’amante,
che
prostrato a’ piedi della sua bella, chiede la sos
suo ingegno, né alla sua dottrina della fortuna d’essere riamato. Sa
che
l’amore indipendente per lo più della riflessione
per lo più della riflessione, e della ragione non ha altro domicilio
che
il cuore, né altra legge che quella, che gli dett
, e della ragione non ha altro domicilio che il cuore, né altra legge
che
quella, che gli detta l’affetto. Le lagrime sono
gione non ha altro domicilio che il cuore, né altra legge che quella,
che
gli detta l’affetto. Le lagrime sono li suoi argo
della sua amata con teoremi, o con principi tratti da una filosofia,
che
l’amore non riconosce. «Egle distratta intanto T
neralizzare le idee. Non è così per esempio dell’ambizione. L’oggetto
che
questa si propone di sovrastar tutti gli altri, e
onforme all’indole di tal passione l’esprimersi con massime generali,
che
suppongono meditazione. Non è verosimile che Mirt
si con massime generali, che suppongono meditazione. Non è verosimile
che
Mirtillo nel Pastor fido la prima volta, che si a
azione. Non è verosimile che Mirtillo nel Pastor fido la prima volta,
che
si abbocca con Amarilli per iscoprirle il suo amo
n vince ove trionfa amore» affinch’ella soggiunga «Chi non può quel
che
vuol, quel che può voglia» colla lunga filastroc
onfa amore» affinch’ella soggiunga «Chi non può quel che vuol, quel
che
può voglia» colla lunga filastrocca che seguita.
non può quel che vuol, quel che può voglia» colla lunga filastrocca
che
seguita. Ma è naturale bensì, che Artabano compre
uò voglia» colla lunga filastrocca che seguita. Ma è naturale bensì,
che
Artabano compreso da smoderato desiderio di regna
pieghi col figlio in tali termini: «È l’innocenza, Arbace, Un pregio
che
consiste Nel credulo consenso Di chi l’ammira, e
eatro del mondo agli occhi altrui.» [24] Nel primo si vede il poeta,
che
vuol far pompa di spirito in mancanza del sentime
dedur si potrebbe una teoria generale cavata dalla natura delle cose,
che
risparmierebbe molte critiche poco fondate, e che
natura delle cose, che risparmierebbe molte critiche poco fondate, e
che
riuscirebbe utilissima a chi vuol innoltrarsi nel
zioni. Mi sembra egualmente ingiusto lo sbandirle affatto dal dramma,
che
il volerle tutte senza eccezione difendere. L’uom
nza eccezione difendere. L’uomo generalmente è più dominato dai sensi
che
dalla ragione. Le catene colle quali la natura l’
sovente a paragonarsi con essi, e a discoprirvi le relazioni segrete
che
passano tra la natura loro e la propria. La fanta
e passano tra la natura loro e la propria. La fantasia ripiena di ciò
che
le vien tramandato per mezzo degli organi non sa
zo degli organi non sa creare se non immagini corrispondenti a quello
che
vede, e l’uomo, sul quale ha codesta facoltà sì g
mmaginare le cose anche più astratte se non rivestite delle proprietà
che
osserva negli oggetti sensibili. Quindi l’origine
udini egualmente naturali all’uomo, allorché non trovando espressione
che
corrisponda alla vivacità del suo concetto mental
appiglia per farsi capire alla comparazione colle cose sensibili. Nel
che
è da osservarsi in confermazione del mio proposit
ensibili. Nel che è da osservarsi in confermazione del mio proposito,
che
l’uso del parlar figurato e comparativo tanto è m
di Saadi, e le canzonette americane, e vi si troverà una somiglianza
che
a prima vista sorprende, benché scritte da nazion
sì diversi. Tutto in esse è metafora, tutto è comparazione. Par quasi
che
il poeta non viva, e non senta, ma che senta e vi
utto è comparazione. Par quasi che il poeta non viva, e non senta, ma
che
senta e viva per lui la natura. A misura però che
va, e non senta, ma che senta e viva per lui la natura. A misura però
che
il linguaggio si stende, che le arti si moltiplic
e viva per lui la natura. A misura però che il linguaggio si stende,
che
le arti si moltiplicano, e che la coltura delle l
sura però che il linguaggio si stende, che le arti si moltiplicano, e
che
la coltura delle lettere vi si aumenta, lo stile
, i quali, come dice l’Abbate Terrason, perdono in solidità tutto ciò
che
acquistano in estensione. [26] Può dunque il poet
simili, dee metterle come lo farebbe la natura, e non altrimenti. Ora
che
insegna la natura su tal proposito agli uomini ap
menoma relazione. Ciò s’appartiene piuttosto allo spirito tranquillo
che
alla passione, la quale occupata unicamente di se
etti se non se alla sfuggita. Allorché sento una persona incollorita,
che
parlando di sé, prorompe: «Orsa nel sen piagata,
llorita, che parlando di sé, prorompe: «Orsa nel sen piagata, Serpe,
che
è al suol calcata, Tigre, che ha perso i
«Orsa nel sen piagata, Serpe, che è al suol calcata, Tigre,
che
ha perso i figli, Leon, che aprì gli arti
è al suol calcata, Tigre, che ha perso i figli, Leon,
che
aprì gli artigli Fiera così non è.» [27]
a un uomo dallo sdegno fortemente compreso. Ma qualora sento Aquilio,
che
immerso ne’ più profondi pensieri mi vien fuori c
iva Che vincitor lo fa.» allora io credo ascoltar un poeta,
che
vuol insegnarmi l’arte della scherma, non già un
on già un personaggio occupato in pensieri di qualche importanza. Ciò
che
dico della presente comparazione, dico di tutte l
modulazione eccellente, ma sempre mancherà loro la primaria bellezza,
che
consiste nella fedele espressione della natura, e
zio mi susurra all’orecchio «pulcrum est, sed non erat hic locus». So
che
a difendere Metastasio, il quale sovente inciampa
uesto difetto, s’adduce da alcuni l’esempio di Sofocle, e d’Euripide,
che
ne usarono talvolta nelle loro tragedie; ma (dica
i con coraggio) né Sofocle, né Euripide, né Metastasio hanno autorità
che
basti a distruggere i fermi ed inalterabili princ
struggere i fermi ed inalterabili principi della ragione. [28] Se non
che
né comparazioni, né sentenze, né poesia fraseggia
dovranno aver luogo nei duetti, terzetti ecc. Ciò sarebbe lo stesso,
che
render affatto inverosimili tali componimenti, i
lla sua bella lettera francese intorno al dramma intitolato l’Onfale,
che
due o tre personaggi, che parlano alla volta, e s
cese intorno al dramma intitolato l’Onfale, che due o tre personaggi,
che
parlano alla volta, e si confondono, dicendo le m
e quell’altro: ciò è contrario egualmente alla urbanità di chi parla,
che
alla sofferenza di chi ascolta, e però si sbandis
ragedia, dove hassi tanto riguardo al decoro. Nullameno considerando,
che
il duetto lavorato a dovere è il capo d’opera del
duetto lavorato a dovere è il capo d’opera della musica imitativa, e
che
produce sul teatro un effetto grandissimo: riflet
tativa, e che produce sul teatro un effetto grandissimo: riflettendo,
che
l’agitazion d’animo veemente, che ne’ personaggi
n effetto grandissimo: riflettendo, che l’agitazion d’animo veemente,
che
ne’ personaggi si suppone, basta a rendere se non
bilità basta a giustificar il poeta nella sua imitazione: ripensando,
che
lo sbandir dal dramma siffatti pezzi sia lo stess
: ripensando, che lo sbandir dal dramma siffatti pezzi sia lo stesso,
che
chiuder una sorgente feconda di diletto alle anim
gentili; il critico illuminato sarà costretto a commendarne l’uso non
che
a permetterlo, avvisandosi, che nelle belle arti
arà costretto a commendarne l’uso non che a permetterlo, avvisandosi,
che
nelle belle arti l’astratta ragione debbe sottopo
o il punto più viva, ovvero sia la crisi della passione, userà il più
che
possa del dialogo nell’aria che lo precede, sarà
la crisi della passione, userà il più che possa del dialogo nell’aria
che
lo precede, sarà ristretto ne’ periodi, conciso e
vi, e duetti lavorati su principi diversi, ciò altro non prova se non
che
pochi autori hanno penetrato nello spirito dell’a
non che pochi autori hanno penetrato nello spirito dell’arte loro, e
che
appunto veggonsi tanti drammi noiosi e languidi p
mi noiosi e languidi perché non sono stati scritti secondo le regole,
che
prescrive una critica filosofica. [30] Dall’esame
he prescrive una critica filosofica. [30] Dall’esame dei cangiamenti,
che
dal suo accoppiamento colla musica nella poesia r
lla musica nella poesia risultano, passiamo ora a vedere le mutazioni
che
induce la prospettiva, ovvero sia con vocabolo pi
bolo più esteso la decorazione. L’opera non è, o non dovrebbe essere,
che
un prestigio continuato dell’anima, a formare il
sica ne soffre alquanto la verosimiglianza poetica per la difficoltà,
che
v’ha nel concepire un aggregato di persone, che a
ca per la difficoltà, che v’ha nel concepire un aggregato di persone,
che
agiscono sempre cantando, e che siffatta difficol
el concepire un aggregato di persone, che agiscono sempre cantando, e
che
siffatta difficoltà non si toglie via se non tene
ettiva, e la decorazione ora rivestendo i personaggi di quella pompa,
che
l’occhio invaghisce cotanto, ora spiegando tutte
rinforzo eziandio dell’una e dell’altra, poiché assai chiaro egli è,
che
né l’azione più ben descritta dal poeta, né la co
e il luogo della scena non è preparato qual si conviene a’ personaggi
che
agiscono, e se il decoratore non mette tal corris
decoratore non mette tal corrispondenza fra gli occhi, e gli orecchi,
che
gli spettatori credano di essersi successivamente
dimento, non lascia il tempo alla fredda ragione di riflettere se ciò
che
vede, sia vero o falso; l’immagine del luogo che
di riflettere se ciò che vede, sia vero o falso; l’immagine del luogo
che
si ha presente, seguita a mantener l’illusione qu
le umane passioni per mezzo della melodia, e dello spettacolo, o ciò,
che
è lo stesso, l’interesse e l’illusione. Il buon g
suo fine, non dee imbarazzarsi gran fatto dei cicalecci dei critici,
che
gli si oppongono. La prima legge dell’opera super
pettatore s’accorgerebbe di essere stato ingannato) l’unità di scena,
che
s’opporrebbe all’una e all’altra, è bandita per s
a ben fatto nella tragedia il mantener sempre la stessa scena, atteso
che
la premura di conservar la verosimiglianza in una
la premura di conservar la verosimiglianza in una cosa, è la cagione
che
venga violata in molte altre, mancandosi sovente
tre, mancandosi sovente al decoro, alla verità, ed al costume per far
che
tutti gli avvenimenti accadano nel medesimo luogo
molti inconvenienti oltre gli accennati della tragedia. Abbiamo detto
che
la poesia debbe esser variata, che dee parimenti
nati della tragedia. Abbiamo detto che la poesia debbe esser variata,
che
dee parimenti variarsi la musica in guisa che le
ia debbe esser variata, che dee parimenti variarsi la musica in guisa
che
le situazioni si succedano rapidamente l’una all’
tto sia movimento, e azione. Ora cotal fine si distruggerebbe, se ciò
che
si vede, fosse in contradizione con ciò che si se
si distruggerebbe, se ciò che si vede, fosse in contradizione con ciò
che
si sente, se godendo l’orecchio della varietà suc
n campo di battaglia. [34] E qui ci si affaccia un dubbio importante,
che
conviene dilucidare, il sapere cioè se alla inter
, un componimento fatto per dilettare l’immaginazione e i sensi, pare
che
ad ottener un tal fine siano più acconci degli al
, e maravigliose. Inoltre, dovendosi escludere dalla musica tutto ciò
che
non commuove, e non dipinge, e dovendosi in essa
re le situazioni, ove l’anima rimanga, per così dire, oziosa, sembra,
che
ciò non s’ottenga così bene negli argomenti di st
ci entrano per necessità discussioni, moralità, ed altre circostanze
che
legano un accidente coll’altro, e che sostituisco
moralità, ed altre circostanze che legano un accidente coll’altro, e
che
sostituiscono la lentezza alla passione. O ci con
hiari scrittori ardisco di slontanarmi dalla opinione loro, tanto più
che
la trovo appoggiata sulle false nozioni ch’eglino
ell’anima: L’opera quello de sensi.» «L’opera, dice il secondo, non è
che
il maraviglioso dell’epica trasferito al teatro».
a e dell’opera è dunque lo stesso, né si distinguono se non pei mezzi
che
vi conducono: quella per lo sviluppo più circosta
la illusione, e della melodia. [36] Altrimenti se l’opera non badasse
che
a dilettar i sensi, in che si distinguerebbe da u
ia. [36] Altrimenti se l’opera non badasse che a dilettar i sensi, in
che
si distinguerebbe da una prospettiva, o da un con
nsi, in che si distinguerebbe da una prospettiva, o da un concerto? A
che
gioverebbe la poesia piena di varietà, e d’intere
concerto? A che gioverebbe la poesia piena di varietà, e d’interesse,
che
dee pur essere il principal fondamento? Si dirà f
interesse, che dee pur essere il principal fondamento? Si dirà forse,
che
l’Olimpiade, e il Demofoonte parlano meno all’ani
e, che l’Olimpiade, e il Demofoonte parlano meno all’anima di quello,
che
facciano la Fedra, o la Zaira? Ovvero altro non s
a di quello, che facciano la Fedra, o la Zaira? Ovvero altro non sono
che
lo spettacolo de’ sensi i caratteri di Tito, e di
affetti, né distinguendosi dalla tragedia se non per le modificazioni
che
risultano dal suo accoppiamento colla musica, egl
zioni che risultano dal suo accoppiamento colla musica, egli è chiaro
che
la sua essenza non è riposta nel maraviglioso del
oso” come la prende il Marmontel, vale a dire, per una serie di fatti
che
accadono senza l’intervento delle leggi fisiche d
superiore alla umana spezie. Ora in questo senso non si può dubitare,
che
il maraviglioso dell’Epica trasferito al dramma n
asferito al dramma non faccia perdere il suo effetto a tutte le parti
che
lo compongono. Se riguardiamo la poesia, niun’art
nella melodia, perché poco v’ha nell’azione, e perché la poesia non è
che
un tessuto di madrigali interrotti da stravaganze
tessuto di madrigali interrotti da stravaganze, la modulazione non è
che
un aggregato di motivi lavorati senza disegno. Se
one, niuna cosa più inverosimile, e insiem più difficile ad eseguirsi
che
codesti personaggi fantastici. Non vi par egli ch
icile ad eseguirsi che codesti personaggi fantastici. Non vi par egli
che
l’atteggiamento, e le sembianze d’un fiume, dell’
siano facili ad imitarsi? È possibile trovar i gesti e il linguaggio,
che
s’appartiene ad essi. Un vestiario, una conciatur
gio, che s’appartiene ad essi. Un vestiario, una conciatura di testa,
che
divenga lor propria? Dove ne troveremo i modelli?
gli argomenti maravigliosi sottoposti a tanti difetti, ragion vuole,
che
si debbano ad essi preferire gli storici. né non
preferire gli storici. né non è già vero, come pretende il Marmontel,
che
questi non somministrino al decoratore abbondanza
viso una furia, né si vedrà volar per l’aria una sfinge, un castello,
che
comparisce e poi si dilegua: se un sole non si pr
i strambezze solite ad usarsi nelle opere francesi, non è per questo,
che
non abbia in essi un gran luogo la prospettiva, r
spettacolo assai più vario, più dilettevole e più fecondo di quello,
che
sia l’universo ideale fabbricato nel cervello de’
icato nel cervello de’ mitologi e de’ poeti. né ci è pericolo altresì
che
illanguidisca la musicale espressione, purché l’a
rie argomenti pieni d’affetto d’interesse sfuggendo le particolarità,
che
nulla significano: anzi il dover rappresentare gl
che nulla significano: anzi il dover rappresentare gli umani eventi,
che
il musico ha tante volte veduti, o de’ quali alme
dell’uditore, come il dover dipingere eziandio gli oggetti naturali,
che
sono sotto gli occhi di tutti, gli darà più mossa
i di tutti, gli darà più mossa e coraggio a destramente imitarli. Dal
che
si vede, che sebbene il pittore pochissimo, o niu
li darà più mossa e coraggio a destramente imitarli. Dal che si vede,
che
sebbene il pittore pochissimo, o niun giovamento
hissimo, o niun giovamento ritragga dal musico, non è piccolo quello,
che
il musico può ritrar dal pittore. La veduta di un
dirà sortir dalla orchestra più minaccioso il fragore della tempesta,
che
il decoratore avrà sul teatro maestrevolmente dip
il ruscello, dove Licida s’addormenta diverrà più vermiglia l’aurora,
che
presiede alle tenerezze di Mandane, e d’Arbace, e
n campeggi, si mischia ne’ drammi tratti dal vero, ciò prova soltanto
che
non tutte le situazioni sono egualmente suscettib
tuazioni sono egualmente suscettibili del medesimo grado di passione,
che
la musica dee talvolta piegarsi all’uopo della po
olta piegarsi all’uopo della poesia in attenzione ai molti sagrifizi,
che
fa questa in grazia di quella, e che si ricchiegg
n attenzione ai molti sagrifizi, che fa questa in grazia di quella, e
che
si ricchieggono degli intervalli, ne’ quali il po
il musico di respirare, per così dire, dalla troppo viva commozione,
che
desterebbesi da una melodia continua. Le quali ci
stesse non solo per gli argomenti storici, ma pei favolosi eziandio,
che
: non vanno esenti da simili difetti, come si potr
ut, se l’opportunità il richiedesse. Io convengo coll’illustre autore
che
non ogni argomento di storia è proprio dell’opera
li fino a noi tramandata, abbia acquistato una spezie di credibilità,
che
la spogli dell’inverosimile ributtante. Tali sare
naut, avvilir l’opera italiana per innalzar la francese, è lo stesso,
che
voler imitare il costume di que’ popoli della Gui
lo stesso, che voler imitare il costume di que’ popoli della Guinea,
che
dipingono neri gli Angioli, perché stimano, che i
popoli della Guinea, che dipingono neri gli Angioli, perché stimano,
che
il sommo grado della bruttezza consista nel color
[40] Riandando le cose anzidetto possiamo a mio parere determinare in
che
consista il vero carattere dell’opera. Essa è la
ia: quindi la distinzione dell’opera in seria, e in buffe. Ma quello,
che
non ha di comune né coll’una né coll’altra è il d
dalla decorazione. Da tale accoppiamento risulta un tutto drammatico,
che
ha le sue leggi privative, e peculiari, come le h
teatro, e l’abilità di lui consiste nel combinar le cose in maniera,
che
divenga il compagno, e non lo schiavo del composi
ammatica, e la mancanza di queste non è men viziosa in lui di quello,
che
sia nel tragico, e nel comico. Anche in quelle oc
a fin là soltanto dove il richiede il fine propostosi. Si vuol da lui
che
sfugga gli argomenti troppo lunghi o troppo compl
he sfugga gli argomenti troppo lunghi o troppo complicati, ma non già
che
ne intrecci una serie di scene disunite, e senz’a
e star attaccato alla unità di scena, ma non dee trascurarla a segno,
che
ad ogni scena vi sia un cangiamento, o che gli sp
n dee trascurarla a segno, che ad ogni scena vi sia un cangiamento, o
che
gli spettatori vengano trasportati ad un tratto d
fuga…» [41] Insomma il poeta drammatico abbia pur fisso nell’animo,
che
il buon senso vuol essere da per tutto rispettato
nell’animo, che il buon senso vuol essere da per tutto rispettato, e
che
gli squarci più vaghi d’immaginazione, e d’affett
deducono molte altre in particolare spettanti alla natura delle parti
che
lo compongono. Ma molte di esse sono state di già
re si toccheranno nel seguito di quest’opera. Basti per ora il sapere
che
dal complesso di tali regole nasce una differenza
elodramma, e gli altri componimenti teatrali assai diversa da quelle,
che
sono state assegnate finora dagli autori. Non con
a esso e quello della tragedia e della commedia, né come gli affetti,
che
svegliar mi debbe il primo, si differenzino dagli
ffetti, che svegliar mi debbe il primo, si differenzino dagli affetti
che
svegliar mi debbe il secondo. né tampoco nella sc
rgomenti tratti dalla storia s’addattano egualmente bene, anzi meglio
che
i favolosi alla natura dell’opera. Non finalmente
se il protagonista s’uccidesse in presenza degli spettatori di quello
che
sia facendo altrimenti. Le ragioni che s’arrecano
nza degli spettatori di quello che sia facendo altrimenti. Le ragioni
che
s’arrecano da alcuni, sono di poca o niuna conseg
drammi con lieto fine. Ma siffatta usanza ebbe origine da tutt’altro
che
dalle leggi fondamentali del componimento. L’Impe
gnori a’ quali non aggradavano gli spettacoli sanguinari, non volendo
che
il popolo tornasse a casa scontento dal teatro10.
, e ultimamente per Metastasio, tutti poeti della corte. Supponghiamo
che
Carlo VI avesse avuto genio contrario, que’ poeti
uccessori. I critici avrebbono allora cicalato altrettanto per provar
che
l’esito infelice era essenziale all’opera, quanto
ll’opera, quanto fanno ora per provare l’opposto. Così avverrà sempre
che
la critica anderà scompagnata dalla filosofia. [4
a anderà scompagnata dalla filosofia. [43] Il lettore avrà riflettuto
che
in questo ragionamento si è parlato dell’unione d
ne, le costumanze, e i fini politici possono indurre cangiamenti tali
che
gli spettacoli abbisognino d’altre leggi e d’altr
gli spettacoli abbisognino d’altre leggi e d’altra poetica. Quindi è
che
poco fondata mi è sembrata mai sempre la rassomig
Quindi è che poco fondata mi è sembrata mai sempre la rassomiglianza,
che
alcuni hanno preteso di ritrovare fra il nostro s
egli antichi. 2. [NdA] perché di cento uomini di gusto e sensibili,
che
leggono e rileggono con diletto le Georgiche di V
con diletto le Georgiche di Virgilio, a fatica si troveranno cinque,
che
leggano due volte nella lor vita il poema intiero
orecchio lavorando i suoi versi con una varietà e dolcezza d’armonia,
che
incanta. Di tali doti alcune si trovano mediocrem
uello delle lodi della vita rusticana nelle Georgiche interessano più
che
i sei libri de natura rerum. 3. [NdA] Siccome al
to desiderio di veder indicata questa relazione, e l’analogia altresì
che
passa tra i colori e i tuoni musicali, così m’è s
tel, gesuita francese. Prima ragione d’analogia. Sette sono i colori,
che
si contengono in un raggio di luce, scomposto dal
ali della scala musicale. Seconda: havvi un colore tonico e primitivo
che
serve di fondamento agli altri colori; havvi anco
a un tuono originale ch’è la base degli altri tuoni. Terza: gli spazi
che
i colori divisi dal prisma e ricevuti su una cart
a occupano sopra la carta si ritrovano fra loro nella stessa ragione,
che
i numeri esprimenti gli intervalli dei tuoni musi
i. Settima: la diversità dei colori nasce dalle differenti vibrazioni
che
riceve la luce dalle particole eteree di diversa
diversa natura; la diversità de’ tuoni proviene dagli urti differenti
che
le corde aeree ricevono dai corpi sonori. Ottava:
so clavicembalo oculare, dove i colori doveano fare lo stesso effetto
che
i suoni, e la musica dovea essere di luce, ma il
uce, ma il progetto svanì, perché nella esecuzione mostrò più ingegno
che
giudizio. 4. [NdA] Trattato dell’opera in music
bbiamo notizia alcuna della sua vita prima delle nozze : è certo però
che
appena sposa, ella, a sedici anni, entrò di punto
a era quella stessa della quale parla il marito Francesco (V.) « tale
che
pose termine alla drammatica arte, oltre del qual
one d’allora possiamo farci un’idea, leggendo il dialogo del De Somi,
che
è alla fine di quest’articolo : comunque sia, a m
i (op. cit.), quella fama dalla quale fu celebrata in questa medaglia
che
le conjarono in Lione, specialmente se ci facciam
le scene, ornamento de’ theatri, spettacolo superbo non meno di virtù
che
di bellezza, ha illustrato ancora lei questa prof
he di bellezza, ha illustrato ancora lei questa professione, in modo,
che
mentre il mondo durerà, mentre staranno i secoli,
e, la vostra amata donna si può dir viva e non morta, se viva è colei
che
gloriosa rimane al mondo per mezzo della virtù. »
comunicazione di G. Baccini, la notizia, già accennata dal D’Ancona,
che
il « 13 maggio 1589 » fu recitato la Pazzia, comm
appello), con tutti li Principi e Personaggi e co’ medesimi intermedi
che
erano stati alla Zingara della Vittoria. La qual
tanta meraviglia, in particolare dal valore ed eloquenza d’Isabella,
che
ognuno di lei restò stupefatto. Gl’ Intermedi ad
ssi della Pellegrina del Bargagli. Io non credo, come parve ad altri,
che
la Zingara e la Pazzia fosser commedie dovute all
alla fantasia dell’Isabella e della Vittoria : dicendo il Settimanni
che
fu recitato la Pazzia commedia d’Isabella commedi
ia commedia d’Isabella commediante, e più giù, co’ medesimi intermedi
che
erano stati alla Zingara della Vittoria, certo eg
ati alla Zingara della Vittoria, certo egli volle alludere, piuttosto
che
a commedie scritte dalle attrici, a commedie che
alludere, piuttosto che a commedie scritte dalle attrici, a commedie
che
erano di esse il caval di battaglia. Quanto alla
a de’ Gelosi. Scenario, a dir vero, il quale non mi dà l’idea di quel
che
potè essere la Isabella, valente, ed eloquente, c
dà l’idea di quel che potè essere la Isabella, valente, ed eloquente,
che
, proprio al momento della Pazzia, nell’atto terzo
, et ella comincia a dire : « Io mi ricordo l’anno non me lo ricordo,
che
un Arpicordo pose d’accordo una Pavaniglia Spagno
accheroni, e la polenta si uestirono a bruno, non potendo comportare,
che
la gatta fusa fusse amica delle belle fanciulle d
ciulle d’Algieri : pure come piacque al Califfo d’Egitto fu concluso,
che
domattina sarete tutti duo messi in berlina. » Se
scerlo, lo saluta, e dice d’hauerlo veduto fra le 48 imagini celesti,
che
ballaua il canario con la luna vestita di verde,
iva pian piano, e si pone in mezo a Pantal. & a Gratiano, dicendo
che
stieno cheti, e che non facciano romore, perchè G
pone in mezo a Pantal. & a Gratiano, dicendo che stieno cheti, e
che
non facciano romore, perchè Gioue vuol stranutare
i espressione e di gesto e di voce si sarà lasciata l’attrice. Vero è
che
la Pazzia piacque tanto al pubblico e agli attori
ttrice. Vero è che la Pazzia piacque tanto al pubblico e agli attori,
che
restò poi nel patrimonio delle Compagnie drammati
e drammatiche, mutando semplicemente di nome, a seconda dell’ attrice
che
la rappresentava. Così la Pazzia d’Isabella diven
ia d’Isabella diventò più tardi la Pazzia di Lavinia coll’Antonazzoni
che
, a Firenze specialmente, rinnovò gli entusiasmi d
talia facean tutti a gara in celebrar questo tipo singolare di donna,
che
al raro sapere sembrò congiungere una rara virtù,
ngiungere una rara virtù, con versi di ogni maniera. Trascelgo quelli
che
toccan più da vicino l’attrice. DI TORQUATO TASSO
gemme in terra e lumi in cielo. E spargea fresche rose in vivo gelo,
che
l’aura e ’l sol mai non disperde o scioglie, e qu
dori l’Oriente accoglie. E perchè non v’asconda invidia o zelo, Ella,
che
fece il bel sembiante in prima, poscia il nome fo
zelo, Ella, che fece il bel sembiante in prima, poscia il nome formò
che
i vostri onori porti e rimbombi e sol bellezza es
an velo omai, veggiasi intorno dar bella Donna altrui diletto e pena,
che
in su la viva e luminosa scena faccia a Venere, a
tatore il Ciel, teatro il Mondo. DI GABRIELLO CHIABRERA Nel giorno,
che
sublime in bassi manti Isabella imitava alto furo
aggiore ; Allor saggia tra ’l suon, saggia tra i canti, non mosse piè
che
non sorgesse Amore, nè voce apri, che non creasse
ggia tra i canti, non mosse piè che non sorgesse Amore, nè voce apri,
che
non creasse amanti, nè riso fè, che non beasse un
non sorgesse Amore, nè voce apri, che non creasse amanti, nè riso fè,
che
non beasse un core. Chi fu quel giorno a rimirar
u quel giorno a rimirar felice, di tutt’altro quaggiù cesse il desio,
che
sua vita per sempre ebbe serena. O di scena dolci
bella Gelosa…. (La Saggia Egiziana). e le dedica il seguente sonetto
che
tolgo dal suo Teatro celeste : Sopra la madre de
d’honor saggia Andreina, Raggio nel mondo, e ’n ciel pura fiammella,
che
di suo foco a ’ncenerir destina. Donna dono fata
sua, col suo sapere, colla sua virtù divenne, si può dir, l’amica più
che
la protetta di Maria Medici, la quale, partita Is
o tempo, la Signora Isabella Andreini comica celebre per le opere sue
che
sono alle stampe, fu dalle lettere del Grand’Enri
lettera non mai pubblicata, io credo, (Archivio di Stato di Firenze)
che
Isabella scriveva Al molto Ill re , mio S re ,
sa, forse la Loro Augusta protezione nel suo prossimo parto ; quello
che
, non condotto a fine, doveva, sei mesi dopo, cond
o Discepolo, 1598. Un’altra lettera nello stesso Archivio ho trovato,
che
ritengo pure inedita, e che mi pare valga la pena
lettera nello stesso Archivio ho trovato, che ritengo pure inedita, e
che
mi pare valga la pena di trascrivere, così per le
ì per le nuove cose ivi discorse, come per una riprova dell’interesse
che
le LL. Maestà prendevano alle cose anche private
rarsene, send’ io stata parecchi mesi senza scriverle di particolare,
che
pur m’importa. Hora non potendo far di meno, è fo
far di meno, è forza ch’ io replichi queste poche righe. Saprà V. S.
che
da che Le mandai la lettera scritta dalla Regina
meno, è forza ch’ io replichi queste poche righe. Saprà V. S. che da
che
Le mandai la lettera scritta dalla Regina a sua A
stata con la Compagnia à servire : la prima io le mostrai la lettera,
che
’l S.r Cioli per ordine di V. S. m’ hauea scritta
di Marzo del corrente anno, le altre due, e particolarmente l’ultima,
che
fu il mese passato, le dissi che non ne haueua ha
tre due, e particolarmente l’ultima, che fu il mese passato, le dissi
che
non ne haueua havuto altro auiso ; ma ch’ io ne s
’io scriuessi di nuouo, e procurassi d’intender l’essito del negozio,
che
s’ hauesse bisognato altra lettera, l’haueria scr
perchè mi sarebbe più caro di renderle grazie della grazia ottenuta,
che
d’affaticarla in altro scrivere, e la prego ad or
ttenuta, che d’affaticarla in altro scrivere, e la prego ad ordinare,
che
me ne sia dato ragguaglio : che ben la lettera gi
tro scrivere, e la prego ad ordinare, che me ne sia dato ragguaglio :
che
ben la lettera giungerà a tempo, dovendo noi star
doue disegni d’andar il Re. Qui ognun dice ch’ anderà in Provenza ; e
che
per ottobre deu’essere in Lione. Sia come si vogl
porta da Pietro Mattei, Istorico e Consigliere del Re Cristianissimo,
che
Isabella Andreini fu favorita dalla Comunità di L
Accesa d’amor, d’amor accende l’eterno Amante ; e ne l’empirea scena,
che
d’angelici lumi è tutta piena, dolce canta, arde
on più liete voci esprima di festa il vostro canto. Piangete voi, voi
che
pietosi avete al suo tragico stil più volte piant
E il seguente dettò Gio. Paolo Fabbri comico detto Flaminio : Quella
che
già cosi faconda espresse detti sublimi, ed ornam
edie ho già seruito à i Gigli di Francia in compagnia di quella Donna
che
non teme del tempo i duri artigli. Quella che di
mpagnia di quella Donna che non teme del tempo i duri artigli. Quella
che
di virtù ferma colonna fù sempre, cui diede la Br
ignora Isabella Andreini Padouana, morta in Lione, la maggior comica,
che
sia mai stata nell’ esercitio. » Quanto al valor
bei fiori della Rettorica, e la sana Filosofia e gli scherzosi detti
che
allettar possono infinitamente, di cui trova spar
1. L’esser e ’l non esser secondo alcuni star insieme non possono, il
che
io non affermo, perchè so ch’io son morta a i dil
e morta e viva. (Lett. 62). 2. La morte sola può vietar al pensiero,
che
non pensi a quello, ch’egli vuol pensare : infeli
ce mia sorte, poichè mentre ch’ io penso di pensar ad ogn’altra cosa,
che
all’avervi amato impensatamente, pensato mi vien
e di voi pensando, convien per forza ch’io pensi d’avervi amato ; il
che
più mi dispiace e più m’addolora che s’io pensass
ch’io pensi d’avervi amato ; il che più mi dispiace e più m’addolora
che
s’io pensassi alla morte, pensando insieme di dov
io. Vi saluterò come corvo, poichè così volete, ma non vorrò già dire
che
voi siate il mal tempo. Costanza. Anzi, ch’io so
za. Anzi, ch’io sono l’istesso mal tempo per voi, poichè per me dite,
che
non havete mai buon tempo : noi sogliamo dire qua
operto di nubi, ch’egli è mal tempo ; e voi mille volte m’avete detto
che
il mio viso è un cielo angusto, ma che le mia cig
voi mille volte m’avete detto che il mio viso è un cielo angusto, ma
che
le mia ciglia torve di sdegno son quelle nubi, ch
cielo angusto, ma che le mia ciglia torve di sdegno son quelle nubi,
che
lo rendino fosco & oscuro ; l’oscurità cagion
te. Più i Contrasti erano lunghi, più appariva (meglio a’comici forse
che
al pubblico) l’acume e la sottigliezza de’recitat
rta intero il dialogo fra uomo e donna per la caduta d’un fazzoletto,
che
è un modello del genere, e dal quale si può argui
alle Lettere – Edizione di Venezia, Zaltieri, 1607. Ma dove pare a me
che
l’Andreini si levi talvolta a grande altezza è ne
ei versi, o la leggiadra semplicità dello stile. Anche Adolfo Bartoli
che
trovò, come dissi, esagerata la Fama della medagl
li che trovò, come dissi, esagerata la Fama della medaglia, conchiude
che
l’Andreini non è sicuramente de’rimatori più scad
, conchiude che l’Andreini non è sicuramente de’rimatori più scadenti
che
avesse l’Italia nel secolo xvii(?), e tra’nojosi
, non toccherò della Mirtilla, Pastorale scritta nella età giovanile,
che
ha i soliti lambicchi, i soliti contrasti, non pe
fiammato mio cor sù l’ale stassi. Sonetto CXXV Io non t’amo crudel,
che
me l’contende Del cor seluaggio la natia durezza
e l’contende Del cor seluaggio la natia durezza ; Pur s’alcun veggio,
che
di tua bellezza Porti sembianza, à me si vago spl
Quando più ch’altra bella Hielle sorgendo, la uermiglia Aurora Vide,
che
uiolette, e rose, e gigli Da la sua chioma inanne
iè vago d’animata neue Di fior premendo l’ingemmato suolo Seguitò fin
che
giunse Là doue scaturia da vn viuo sasso Liquefat
che giunse Là doue scaturia da vn viuo sasso Liquefatto vn bel vetro,
che
se n’gìa Con lento e queto passo L’herbe irrigand
de gli occhi miei Perciò rasciughi il pianto. Al tuo vago apparir più
che
mai lieti Sorgono i fiori à proua : io (lassa) ma
carole I garruli Augelletti : Io dolente non meno O Sole al tuo venir
che
al tuo partire, Viuo in amaro pianto ; Ma voi deh
e : hor più non lice Di smeraldo portar gonna ridente. Dipinti Augei,
che
per le Tosche selue Di ramo in ramo saltellando a
io ; E breu’vrna sotterra Gran beltà, gran virtù, gran lode serra. Ma
che
dich’io ? sua lode intorno scorre, Ed hà solo per
elo Dou’hor si posa la bell’alma, e lieta Vagheggia à voglia sua quel
che
noi tanto In dubbio pone. A noi stà sopra il Sole
: à noi non cale, Ch’ei dal Mondo ne sciolga, ò da noi stessi. Et io,
che
più d’ogn’altra afflitta viuo Ben à dritta ragion
euarmi dai viui Ben ella in ciò saria veloce, e presta Come fù alhor,
che
tè da noi diuise ; Ma perch’ella conosce, Ch’esse
va ; » de’ figli, uno fu quel D. Pietro Paolo, Monaco di Vallombrosa,
che
sostenne (Bartoli) « carichi ragguar devoli nella
ascritto con ogni nitidezza di caratteri dall’originale, quello forse
che
è fra le opere di lui in sedici volumi nella Bibl
o per anni x dare stanza in Mant.ª da rappresentare comedie, a coloro
che
per prezzo ne vanno recitando, offerendosi egli d
i precetti del recitare, et de i modi del uestire, et di tutto quello
che
generalmente apartiene a gl’ histrioni con molti
histrioni con molti neccessari auuertimenti et ricordi. Sommario Di
che
qualita si dee elegere la comedia da recitarsi —
tragedie — Habiti pastorali — Habiti de le Nimphe — Auertimento prima
che
si mandi fuori il prologo — Ordine o norma per ma
uori il prologo — Ordine o norma per mandar fuori i recitanti — Prima
che
si mandi giù la tela — Qualita de prologhi — Volt
cose da lui trattate. Mass. Et io me ne aspetto anco di meglio, però
che
credo, che egli habbi guidate più comedie, che co
trattate. Mass. Et io me ne aspetto anco di meglio, però che credo,
che
egli habbi guidate più comedie, che composte ; on
o anco di meglio, però che credo, che egli habbi guidate più comedie,
che
composte ; onde son certo, che egli sarà fatto pi
o, che egli habbi guidate più comedie, che composte ; onde son certo,
che
egli sarà fatto più esperto nel modo del condurle
nde son certo, che egli sarà fatto più esperto nel modo del condurle,
che
nelle proprieta loro nello inuentionarle. mad ecc
: sedete. Mass. Vi hauremo forse disturbato, essendo uoi per quello
che
comprendo, intento a conteggiare. Ver. Nò uerame
per quello che comprendo, intento a conteggiare. Ver. Nò ueramente,
che
questa non è lista di dare, ne d’ hauere : ma anz
che questa non è lista di dare, ne d’ hauere : ma anzi è apunto cosa,
che
apartiene al soggetto, di che uolete che hoggi si
, ne d’ hauere : ma anzi è apunto cosa, che apartiene al soggetto, di
che
uolete che hoggi si fauelli. Sant. Et come ? Ve
ere : ma anzi è apunto cosa, che apartiene al soggetto, di che uolete
che
hoggi si fauelli. Sant. Et come ? Ver. Questa è
e ? Ver. Questa è una lista ch’ io fò, de gli habiti, et altre cose,
che
occorrono a i recitanti nostri, per non mi condur
il pardo, al primo salto la preda, cominciaremo a dimandarui del modo
che
uoi terreste essendo [poniam caso] ricercato hogg
ipe nostro, a farle rappresentare una comedia. Ver. Presuponete uoi,
che
egli me ne desse una a suo modo ? Sant. Anzi nò.
uponete uoi, che egli me ne desse una a suo modo ? Sant. Anzi nò. ma
che
ui desse anco l’ assunto di trouarla. Ver. Prima
l’ assunto di trouarla. Ver. Prima io mi sforzarei d’ hauer comedia
che
mi satisfacesse, con di quelle osseruationi, che
rei d’ hauer comedia che mi satisfacesse, con di quelle osseruationi,
che
dissi principalmente conuenirsi a tali poemi, e s
te conuenirsi a tali poemi, e sopra tutto di bella prosa contesta, et
che
non fosse noiosa per molti soliloquij, o lunghi e
o dicerie impertinenti. per ciò ch’ io concorro nel parere di coloro,
che
hanno detto quella comedia esser perfetta, che le
nel parere di coloro, che hanno detto quella comedia esser perfetta,
che
leuandone una poca parte resti imperfetta. ma nou
fuggendo più ch’ io potessi le stampate, quantunque piu belle. si per
che
ogni cosa noua piu piace ; et si per esser parer
er che ogni cosa noua piu piace ; et si per esser parer quasi comune,
che
le comedie, delle quali lo spettatore, hà notitia
no poco grate, per di molte cagioni, tra le quali, principale cred’io
che
sia questa : che douendo l’histrione ingegnarsi,
r di molte cagioni, tra le quali, principale cred’io che sia questa :
che
douendo l’histrione ingegnarsi, et sforzarsi quan
zarsi quanto piu può [come diremo] d’ingannar lo spettatore in tanto,
che
li paiano ueri i successi, che se gli rappresenta
mo] d’ingannar lo spettatore in tanto, che li paiano ueri i successi,
che
se gli rappresentano, sapendo l’ascoltante prima,
uccessi, che se gli rappresentano, sapendo l’ascoltante prima, quello
che
hà a dire et a fare il recitante, li par poi trop
rta et sciocca menzogna, et la fauola perde di quel suo naturale, con
che
ella ha sempre da esser accompagnata, onde l’ udi
rnito non solo uilipende lo spettacolo, ma disprezza anco se medesmo,
che
come fanciullo si sia lasciato condure, a udir, c
condure, a udir, come si dice in prouerbio, la nouella de l’ oca. il
che
non auiene cosi delle comedie noue, per che quant
la nouella de l’ oca. il che non auiene cosi delle comedie noue, per
che
quantunque l’huomo sappia da principio, hauer da
da udir cose non uere ; stando però atento alla nouita de i casi, par
che
ei si lasci ingannar da se medesimo a poco a poco
asi, par che ei si lasci ingannar da se medesimo a poco a poco, tanto
che
gl’ assembra di ueder in effetto, quei successi c
oco a poco, tanto che gl’ assembra di ueder in effetto, quei successi
che
se gl’ appresentano. se pero gl’ histrioni sarann
me gli si richiede. Sant. Certo, conosco esser uero quanto dite, per
che
io mi son ritrouato ueder rappresentar bene, di b
itrouato ueder rappresentar bene, di bellissime comedie gia stampate,
che
me ne son partito insieme con gl’ altri, in certo
satisfatto ; et ne ho poi udito recitare di non cosi belle, ma noue,
che
sono riuscite garbatissime. Mass. Hor sia detto
ia detto assai, quanto alla clettione della comedia, et ditene eletta
che
sia, come ui gouernate. Ver. Prima io ne cauo tu
io ne cauo tutte le parti ben corrette, e quindi, eletti i personaggi
che
mi paiono più atti [auuertendo il più che si puo,
quindi, eletti i personaggi che mi paiono più atti [auuertendo il più
che
si puo, a quei particolari di che ragionaremo più
paiono più atti [auuertendo il più che si puo, a quei particolari di
che
ragionaremo più avanti] li riduco tutti insieme ;
anti] li riduco tutti insieme ; et consegnato a ciascuno quella parte
che
piu le si conuiene, fò legger loro, tutta la come
parte che piu le si conuiene, fò legger loro, tutta la comedia tanto,
che
sino a i fanciulli che ui hanno d’ hauer parti ;
uiene, fò legger loro, tutta la comedia tanto, che sino a i fanciulli
che
ui hanno d’ hauer parti ; siano instrutti del sog
auer parti ; siano instrutti del soggetto di essa, o almeno di quello
che
a lor tocca. imprimendo a tutti nella mente, la q
or tocca. imprimendo a tutti nella mente, la qualita del personaggio,
che
hanno da imitare ; et licentiati con questo, le d
lla particolar elettione de recitanti, e destribuittione delle parti,
che
mi par cosa importantissima. Ver. Tanto, che è d
ibuittione delle parti, che mi par cosa importantissima. Ver. Tanto,
che
è da stupirne, et oso dire, anzi affermo per uero
. Ver. Tanto, che è da stupirne, et oso dire, anzi affermo per uero,
che
piu importi hauer boni recitanti, che bella comed
so dire, anzi affermo per uero, che piu importi hauer boni recitanti,
che
bella comedia, et chel sia il uero habbiamo uedut
glio, al gusto de gl’ascoltanti, una comedia brutta, ma ben recitata,
che
una bella mal rappresentata. Et pero quand’ io so
Et pero quand’ io sono per elegerli, hauendo copia d’ huomini atti et
che
ubidienti esser uoglino, m’ ingegno di hauerli, p
oglino, m’ ingegno di hauerli, prima di bona prouincia, et questo piu
che
altro importa, et poi cerco che siano di aspetto
rima di bona prouincia, et questo piu che altro importa, et poi cerco
che
siano di aspetto rappresentante quello stato, che
porta, et poi cerco che siano di aspetto rappresentante quello stato,
che
hanno da imitare piu perfettamente che sia possib
o rappresentante quello stato, che hanno da imitare piu perfettamente
che
sia possibile come sarebbe, che uno inamorato sia
he hanno da imitare piu perfettamente che sia possibile come sarebbe,
che
uno inamorato sia bello un soldato membruto, un p
uelli, per ch’ io la trouo una de le grandi et principali importanze,
che
ui siano. ne darrei [potendo far di meno] la part
siano. ne darrei [potendo far di meno] la parte di un uecchio, ad uno
che
hauesse la uoce fanciullesca, ne una parte da don
oce fanciullesca, ne una parte da donna [e da donzella maxime] ad uno
che
hauesse la uoce grossa. Et se io, poniam caso, ha
llante per natura, o almeno atta con un falsetto tremante, far quello
che
si richiede in tale rappresentatione. De le fatez
piu uigoroso, et rubicondo, o piu bianco, o piu bruno, et tali cose,
che
ne possono occorrere. Ma non mai però in caso alc
rò in caso alcuno, mi seruirei di mascare, ne di barbe posticcie, per
che
impediscono troppo il recitare. et se la necessit
d uno sbarbato, la parte di un vecchio, io li dipingerei il mento, si
che
paresse raso, con una capigliara canuta sotto la
i darrei alcuni tocchi di pennello su le guancie, e su la fronte, tal
che
non solo lo farrei parere attempato, ma decrepito
farrei parere attempato, ma decrepito, et grinzo, bisognando. Et per
che
quanto alla elettione, e della comedia e de i rec
lettione, e della comedia e de i recitanti non mi occorre al presente
che
altro dire, aspetto, se altro uolete da me intend
al presente che altro dire, aspetto, se altro uolete da me intendere,
che
mi dimandiate. Sant. Noi uoressimo intender prim
imo intender prima, con quai documenti si hanno ad essercitare, et in
che
modo hanno da recitare questi eletti. Ver. Quest
o è impresa grauissi-ma. Ma per farui solo intendere, parte di quello
che
faccio io intorno a Recitanti, dico, che è da aue
o intendere, parte di quello che faccio io intorno a Recitanti, dico,
che
è da auertirli prima generalmente, a dir forte, s
quanto basti a farsi udire comodamente a tutti gli spettatori, accio
che
non cagionino di quei tumulti, che fanno souente
ente a tutti gli spettatori, accio che non cagionino di quei tumulti,
che
fanno souente coloro, li quali, per esser più lon
o seruir solo, lo hauer il recitante bona uoce per natura, come dissi
che
dopo la bona pronuncia principalmente le bisognar
re si hà come credo ad imitar l’uso del parlar familiare, giudicarei,
che
quel recitar cosi adagio, e con tardità come dite
n tardità come dite, togliesse il naturale al dire. Ver. Siate certo
che
non gle le toglie in parte alcuna, per che, oltre
al dire. Ver. Siate certo che non gle le toglie in parte alcuna, per
che
, oltre che il fauellare adagio, non concedo io ch
er. Siate certo che non gle le toglie in parte alcuna, per che, oltre
che
il fauellare adagio, non concedo io che sia mal u
parte alcuna, per che, oltre che il fauellare adagio, non concedo io
che
sia mal uso, anzi l’ approuo per proprio delle pe
liori] bisogna poi anco al recitante auuertire di più in questo caso,
che
egli hà da dar tempo alli spettatori di poter cap
eta, et gustar le sue sentenze, non sempre comuni, e trite. Et uoglio
che
sappiate, che quantunque spesso paia a chi recita
le sue sentenze, non sempre comuni, e trite. Et uoglio che sappiate,
che
quantunque spesso paia a chi recita in scena, di
so paia a chi recita in scena, di dire adagio, non è mai tanto tardo,
che
a l’uditore non paia uelocissimo, pur chel dir no
paia uelocissimo, pur chel dir non sia spezzato, ma sostenuto in modo
che
non induca afettatione et noia. Circa poi a gl’ a
noia. Circa poi a gl’ altri precetti, o modi di recitare, non mi par
che
dar si possi alcuna regola particolare. ma parlan
lcuna regola particolare. ma parlando generalmente diremo, presuposto
che
il recitante habbia bona pronuncia, bona uoce, et
ronuncia, bona uoce, et appropriata presenza, naturale, o artificiata
che
sia, che bisogna sempre che egli s’ingegni, di ua
bona uoce, et appropriata presenza, naturale, o artificiata che sia,
che
bisogna sempre che egli s’ingegni, di uariar gl’a
opriata presenza, naturale, o artificiata che sia, che bisogna sempre
che
egli s’ingegni, di uariar gl’atti secondo la uari
o la uarieta delle occasioni, et imitare non solamente il personaggio
che
egli rappresenta, ma anco lo stato in che quel ta
on solamente il personaggio che egli rappresenta, ma anco lo stato in
che
quel tale, si mostra di essere in quell’ hora. M
er Veridico ui uorrei piu chiaro. Ver. Eccomi con uno essempio. dico
che
non basterà ad uno che faccia la parte [poniam ca
iu chiaro. Ver. Eccomi con uno essempio. dico che non basterà ad uno
che
faccia la parte [poniam caso] d’uno auaro, il ten
entar spesso se li è caduta la chiaue de lo scrigno ; ma bisogna anco
che
sappia, occorrendo, imitar la smania, che egli ha
o scrigno ; ma bisogna anco che sappia, occorrendo, imitar la smania,
che
egli haurà [essempli gratia] intendendo chel figl
di disperatione trar uia il capello, o simili altri eficaci effetti,
che
danno spirito al recitare. Et se farà la parte di
farà la parte di uno sciocco, oltre al risponder mal a proposito [il
che
gl’ insegnarà il poeta con le parole] bisogna che
mal a proposito [il che gl’ insegnarà il poeta con le parole] bisogna
che
a certi tempi, sappia far anco di più, lo scimoni
asion lo comporta, ouer mordersi un dito per isdegno, et simili cose,
che
il poeta, nella testura della fauola, non puo esp
plicatamente insegnare. Mass. Io mi ricordo hauerne ueduti di quelli
che
ad una mala noua si sono impalliditi nel uiso, co
qualche cosa terribile o pericolosa, i capelli me si rizzano, » et lo
che
segue. Ma queste cose in uero malagevolmente inse
to impossibili da impararsi, se da la natura non si apprendono. E ben
che
da gli antichi si facci mentione di molti histrio
antichi si facci mentione di molti histrioni eccelenti, et si conosce
che
questo era uno studio particolare, nel quale si e
sercitauano ; non si può però cauar regole di questa proffessione per
che
ueramente bisogna nascerci Et tra molti galanti h
ione per che ueramente bisogna nascerci Et tra molti galanti huomini,
che
di recitare perfettamente si sono dilettati a tem
mo Zoppino da Mantoua, et un’altro Zoppino da Gazzolo. Et molti altri
che
potiamo hauer conosciuti a tempi nostri] mirabile
elle qualita ornata, talmente è giudicata rara in questa professione,
che
non credo che gli antichi uedessero, ne si possi
rnata, talmente è giudicata rara in questa professione, che non credo
che
gli antichi uedessero, ne si possi fra moderni ue
ra moderni ueder meglio per chè in fatti ella è tale su per la scena,
che
non par gia a gli uditori di ueder rappresentare
i gesti, le uoci, et i colori, conforme a le uarietà delle occorenze,
che
commoue mirabilmente chiunque l’ascolta non meno
e, che commoue mirabilmente chiunque l’ascolta non meno a marauiglia,
che
a diletto grandissimo. Sant. Mi ricordo hauerla
ia, che a diletto grandissimo. Sant. Mi ricordo hauerla udita, et sò
che
molti bei spiriti, inuaghiti delle sue rare manie
tieri alcuno. Ver. Per compiacerui uoglio recitarui due sonetti soli
che
mi ricordo in lode sua l’ uno è Mentre gli occhi
amp;c. hora per tornar a parlar de recitanti in generale dico di nouo
che
bisogna hauerci dispositione da natura, altriment
non si può far cosa perfetta ma però chi intende ben la sua parte, et
che
abbia ingegno troua anco mouimenti et gesti assai
à uirtu generalmente, de insegnar meglio alcuni ignoti suoi concetti,
che
fanno comparir il poema piu garbato, et i suoi re
et i suoi recitanti per conseguenza paiono piu desti. Dico desti. per
che
sopra tutte le cose bisogna che il recitante sia
nza paiono piu desti. Dico desti. per che sopra tutte le cose bisogna
che
il recitante sia nel suo dire suegliatissimo, et
ecitante sia nel suo dire suegliatissimo, et sempre giocondo, eccetto
che
doue hà da mostrar qualche dolore, et anco in que
lore, et anco in quel caso, lo hà da far con uiuacissima maniera, tal
che
non induca tedio a gl’ ascoltanti, et in somma si
er sempre desti, et non li lasciar cadere in quella sonacchiosa noia,
che
tanto fastidisce altrui in cosi fatti spettacoli,
esto diffetto, è neccessario a recitanti [et a quelli particolarmente
che
piu che esperti non sono] l’usarsi anco in tutte
fetto, è neccessario a recitanti [et a quelli particolarmente che piu
che
esperti non sono] l’usarsi anco in tutte le proue
il recitante hà piu parte nella comedia, ch’io non pensaua, et forse
che
altri non crede. Ver. Di atti, et di parole, ui
ltri non crede. Ver. Di atti, et di parole, ui ho detto altre uolte,
che
si compone la comedia, come di corpo, et d’anima
dre della lingua latina eloquenza del corpo, son di tanta importanza,
che
non è per auentura magiore l’ efficacia delle par
importanza, che non è per auentura magiore l’ efficacia delle parole,
che
quella de i gesti. et fede ne fanno quelle comedi
parole, che quella de i gesti. et fede ne fanno quelle comedie mute,
che
in alcune parti di europa si costumano, le quali,
si fanno cosi bene intendere, et rendono si piaceuole lo spettacolo,
che
è cosa marauigliosa a crederlo a chi ueduti non l
corporale eloquenza [quantunque sia parte importantissima , talmente
che
è chiamata da molti l’ anima de l’ oratione, la q
tendo assegnare regola particolare, dirò solo, generalmente parlando,
che
il recitante dee sempre portar la persona suelta,
giadria quando gl’ occorre, seruar co ’l capo un certo moto naturale,
che
non paia che egli l’ habbia affissato al collo co
o gl’ occorre, seruar co ’l capo un certo moto naturale, che non paia
che
egli l’ habbia affissato al collo co chiodi. et l
deono lassar andare oue la natura gl’inchina. et non far come molti,
che
uollendo gestar fuor di proposito, par che non sa
na. et non far come molti, che uollendo gestar fuor di proposito, par
che
non sappiano che se ne fare. Et se una Donna [per
me molti, che uollendo gestar fuor di proposito, par che non sappiano
che
se ne fare. Et se una Donna [per gratia di essemp
sempre, ne molto spesso, in quel modo ; ma finito quel ragionamento,
che
cotal atto richiede, rimouersi da quello, et trou
chiede, rimouersi da quello, et trouarne un piu proprio al parlamento
che
segue, et quando altro gesto appropriato non trou
parlamento che segue, et quando altro gesto appropriato non troui ; o
che
atteggiar non gl’ occorre ; lasci andar come io d
o. seruando pero sempre ne gl’ atti maggiore o minor grauità, secondo
che
lo stato richiede del personaggio che si rapprese
ggiore o minor grauità, secondo che lo stato richiede del personaggio
che
si rappresenta. et cosi anco nel suono delle paro
mpre imitando Et osseruando il naturale, di quelle qualita di persone
che
si rappresentano : et sopra tutte le cose fuggire
tesco, per non saperle io trouar piu proprio nome, simile al repetere
che
fanno nelle scole i fanciulli, quando dinanzi al
lor pedagogo rendono di stomana. fuggir dico quel suono del recitare,
che
par una cantilena imparata alla mente, Et sforzar
mutando le uoci, Et accompagnandoui i gesti, secondo i propositi] far
che
quanto si dice, sia con efficacia esplicato, Et c
i propositi] far che quanto si dice, sia con efficacia esplicato, Et
che
non paia altro che un familiar ragionamento, che
he quanto si dice, sia con efficacia esplicato, Et che non paia altro
che
un familiar ragionamento, che improuisamente occo
icacia esplicato, Et che non paia altro che un familiar ragionamento,
che
improuisamente occorra. Et per che come dico il d
ltro che un familiar ragionamento, che improuisamente occorra. Et per
che
come dico il darui regole piu particolari, mi par
lli attorti et affaldati, et le meretrici di giallo s’ ornauano ; per
che
cosi fatte osseruationi, sarebbono per la uarieta
ente ch’ io mi sforzo, di uestir sempre gl’ histrioni, piu nobilmente
che
mi sia possibile, ma che siano però proporzionati
uestir sempre gl’ histrioni, piu nobilmente che mi sia possibile, ma
che
siano però proporzionati fra loro, atteso che l’h
he mi sia possibile, ma che siano però proporzionati fra loro, atteso
che
l’habito sontuoso [et massimamente a questi tempi
a loro, atteso che l’habito sontuoso [et massimamente a questi tempi,
che
sono le pompe nel lor sommo grado, e sopra tutte
a tutte le cose, i tempi, e i lochi osseruar ci bisogna] mi par dico,
che
l’ habito sontuoso, accresca molto di riputatione
Ne mi restarei di uestir un seruo, di ueluto, o di raso colorato, pur
che
l’habito del suo patrone, fosse con ricami, o con
abito del suo patrone, fosse con ricami, o con ori, cotanto sontuoso,
che
hauessero fra loro la debita proportione : ne mi
chetto ; accrescendo poi tanto di nobile al uestire de i lor patroni,
che
comportasse la leggiadria de gl’ habiti ne i seru
mportasse la leggiadria de gl’ habiti ne i serui. Mass. Non è dubbio
che
il ueder quei cenci, che altri mette tal uolta at
e gl’ habiti ne i serui. Mass. Non è dubbio che il ueder quei cenci,
che
altri mette tal uolta attorno ad uno auaro, o ad
er. Ben si puo uestir uno auaro, o un uillauo ancora, di certi habiti
che
hanno nel lor grado del sontuoso, ne però si esce
t si anco a facilitare l’ inteligenza della fauola. Et per questo piu
che
per altro cred’ io, che gl’ antichi haueuano gl’
’ inteligenza della fauola. Et per questo piu che per altro cred’ io,
che
gl’ antichi haueuano gl’ habiti appropriati, Et i
i maglia, se lo stato di lui puo tollerarlo [parlando però di comedia
che
l’ habito Italiano ricerca] et cosi hauendo da ue
co pennacchi alla berretta, et l’altro con oro senza penne ; a fine,
che
tosto che l’huomo uegga, non pur il uiso, ma il l
chi alla berretta, et l’altro con oro senza penne ; a fine, che tosto
che
l’huomo uegga, non pur il uiso, ma il lembo della
ste de l’uno, o dell’altro ; lo riconosca : senza hauer da aspettare,
che
egli, con le parole si manifesti. auuertendo gene
ttare, che egli, con le parole si manifesti. auuertendo generalmente,
che
la portatura del capo, è quella che piu distingue
nifesti. auuertendo generalmente, che la portatura del capo, è quella
che
piu distingue, che ogn’ altro habito, cosi ne gl’
generalmente, che la portatura del capo, è quella che piu distingue,
che
ogn’ altro habito, cosi ne gl’ huomini, come nell
per lo piu gl’ habiti di colori aperti, Et chiari, seruendosi il meno
che
sia possibile del nero, o di colore che molto cup
Et chiari, seruendosi il meno che sia possibile del nero, o di colore
che
molto cupo sia. ne solo mi sforzo io di uariare i
cora potendo di trasformare ciascuno, da l’ esser suo naturale, accio
che
non sia cosi tosto riconosciuto da li spettatori,
naturale, accio che non sia cosi tosto riconosciuto da li spettatori,
che
hanno giornalmente la sua pratica ; senza cader p
hanno giornalmente la sua pratica ; senza cader pero nell’errore, in
che
cadeuano gl’ antichi, i quali accio che i loro hi
za cader pero nell’errore, in che cadeuano gl’ antichi, i quali accio
che
i loro histrioni non fossero conosciuti, le tinge
ro conosciuti, le tingeuano il uiso di feccia di uino, o di luto. per
che
a me basta il trasformarli, e non trasfigurarli,
ngegnandomi quanto piu posso, di farli parer tutti persone noue. però
che
quando lo spettatore conosce il recitante, se gli
quel dolce inganno, in cui deuressimo tenerlo ; facendoli credere piu
che
sia possibile per uero successo, ogni nostra rapp
sia possibile per uero successo, ogni nostra rappresentatione. Ma per
che
ogni nouita piu piace assai, riesce molto piaceuo
ena habiti barbari, et astratti dalle nostre usanze, et quindi auiene
che
riescono per lo piu cosi uaghe le comedie uestite
r lo piu cosi uaghe le comedie uestite alla greca. Et per questo, piu
che
per altra cagione fo io che la scena della comedi
ie uestite alla greca. Et per questo, piu che per altra cagione fo io
che
la scena della comedia nostra che uedrete martedi
to, piu che per altra cagione fo io che la scena della comedia nostra
che
uedrete martedi [piacendo a Dio] si finge costant
noi onde spero d’ aggiun ger uaghezza non poca allo spettacolo, oltre
che
piu ci parra sempre uerisimile il ueder succeder
e piu ci parra sempre uerisimile il ueder succeder fra genti strane e
che
non conosciamo ; di quelle cose che per lo piu ne
ueder succeder fra genti strane e che non conosciamo ; di quelle cose
che
per lo piu nelle comedie si rappresentono, che ue
ciamo ; di quelle cose che per lo piu nelle comedie si rappresentono,
che
uederle acadére tra cittadini, co quali habbiamo
o, non uestendo mai [se fia possibile] i suoi interlocutori, a i modi
che
modernamente si costuma, ma nelle maniere, che su
nterlocutori, a i modi che modernamente si costuma, ma nelle maniere,
che
su le scolture antiche, o su le pitture figurati
figurano cosi uagamente quei personaggi de gl’ antichi secoli. Et per
che
tra i piu belli spettacoli, si mostra bellissimo
oli, si mostra bellissimo il ueder comittiua di huomeni armati ; lodo
che
si facci comparire, in compagnia de i Re, o de i
sempre alcuni soldati, et gladiatori, guarniti all’ antica ne i modi
che
nelle castramentationi de i primi tempi si disseg
i si dissegnano, quando pero l’occasione lo patisca. Sant. Veramente
che
queste cosifatte rappresentationi si conosce, che
a. Sant. Veramente che queste cosifatte rappresentationi si conosce,
che
non son cose, se non da principi, che hanno l’ an
te rappresentationi si conosce, che non son cose, se non da principi,
che
hanno l’ animo grande, et il modo da spendere, et
ande, et il modo da spendere, et ne gl’ apparati, et ne gl’ ornamenti
che
le si richiedono. Ver. De gl’ aparati non uoglio
e gl’ ornamenti che le si richiedono. Ver. De gl’ aparati non uoglio
che
ragioniamo hoggi, et per dimane ui prometto di tr
attarne alquanto, Ma per non lasciarui ingannati, credendo uoi forse,
che
ci bisogna uno stato per rappresentare una traged
gna uno stato per rappresentare una tragedia, uoglio dir solo questo,
che
non é cosi mal fornita guardarobba d’un principe,
ir solo questo, che non é cosi mal fornita guardarobba d’un principe,
che
non se ne possa cauare da uestire ordinariamente
possa cauare da uestire ordinariamente ogni gran tragedia : se colui
che
la conduce, sara galant’ huomo, da sapersi seruir
olui che la conduce, sara galant’ huomo, da sapersi seruire di quello
che
ci hà, et ualersi di alcuni drappi intieri, et di
ntichi, senza tagliarli, ne guastarli, in parte alcuna. Mass. Certo,
che
chi uolesse fare tutti i uestimenti apposta, ui a
osa pastorale. e pur ci seruiamo per lo piu di cose fatte. Mass. Poi
che
ricordato n’ hauete non ui graui di gratia, dirne
he ricordato n’ hauete non ui graui di gratia, dirne anco il modo con
che
si uestono queste cose pastorali, et come si fabb
o con gl’ altri aparati dimane ; hora circa al modo del uestirle dico
che
se il poeta, ui haurà introdotto alcuna deita, od
ua : ma circa al uestir i pastori, si haurà prima quello auertimento,
che
si è detto anco conuenire nelle comedie ; cioè, f
tto anco conuenire nelle comedie ; cioè, farli tra lor piu differenti
che
si può, Et quanto al generale il lor uestir sara
di color uago, ma senza maniche ; et sopra quelle due pelli [nel modo
che
descriue Homero ne l’ habito del pastor troiano]
qualche bel legno a cintola, altri un Zaino legato sopra una spalla,
che
gli penda sotto l’opposito fianco. Habbiano ogn’
o d’ hedera, per uariare, et con questi modi, o simili, si potrà dire
che
honoreuolmente sia nel suo grado uestita : Varian
, nella carnagione, et nella portatura del capo, et simile altre cose
che
insegnar non si possono, se non in fatti, e con i
, ma con le maniche. et io soglio usare, di farci dar la salda, accio
che
legandole co munili, o con cinti di seta colorate
ili, o con cinti di seta colorate, et oro, facciano poi alcuni gomfi,
che
empiano gl’ occhi, et comparano leggiadrissimamen
ntura in giù, di qualche bel drappo colorato, et uago, succinta tanto
che
ne apaia il collo del piede ; il quale sia calzat
uero di qualche somacco colorato. gli richiede poi un manto sontuoso,
che
da sotto ad un fianco, si uadi ad agroppare sopra
adi ad agroppare sopra la oposita spalla. le chiome folte, Et bionde,
che
paiono naturali, et ad alcuna si potranno lasciar
a, coperte con di quei veli sutilissimi et cadenti giù per le spalle,
che
nel ciuil uestire, cotanta uaghezza accrescono ;
ome dico] si potrà concedere anco in questi spettacoli pastorali, poi
che
generalmente il uelo suentoleggiante, è quello ch
oli pastorali, poi che generalmente il uelo suentoleggiante, è quello
che
auanza tutti gl’ altri ornamenti del capo d’una d
capo d’una donna, et hà pero assai del puro Et del semplice come par
che
ricerca l’habito d’una habitatrice de boschi In m
poi et l’ uno, et l’ altro. et sopra tutti gl’ auuertimenti, bisogna
che
chi essercita questi poemi, sia bene essercitato
nti, bisogna che chi essercita questi poemi, sia bene essercitato per
che
è molto piu difficile condur una sifatta rapprese
to per che è molto piu difficile condur una sifatta rappresentatione,
che
stia bene : che non è a condurre una comedia ; et
to piu difficile condur una sifatta rappresentatione, che stia bene :
che
non è a condurre una comedia ; et per la uerità f
uesto nome di nimphe uoi non comprendete gia tutte le sorti di donne,
che
in tali spettacoli s’ intropongono ? ne sotto il
? ne sotto il nome di pastore tutti gli huomeni ? Ver. Anzi nò, per
che
se il poeta u’ introducesse [come sarebbe per ess
o, uariandolo dal piu sontuoso al meno, et senza darle altro in mano,
che
un bastone pastorale. Et si come rende gran uaghe
l pastore haurà seco alle uolte, uno, o piu cani, cosi mi piacerebbe,
che
alcuna delle Nimphe de boschi ne hauesse ; ma di
tili, con collari vaghi, et copertine leggiadre. e per finire quello,
che
a me pare a questi poemi conuenirsi, dico che si
e. e per finire quello, che a me pare a questi poemi conuenirsi, dico
che
si come nella lor testura, le se ricerca il uerso
che si come nella lor testura, le se ricerca il uerso ; cosi bisogna
che
chi li ueste, o essercita facci accompagnare, la
compagnare, la presenza et i mouimenti di chi ui recita, alla grauità
che
con li uersi li haurà dato il poeta. Mass. Io non
grauità che con li uersi li haurà dato il poeta. Mass. Io non credo,
che
sia possibile assegnar piu particolar regole di q
non credo, che sia possibile assegnar piu particolar regole di quelle
che
assegnate ci hauete sopra le cose pastorali : per
ueniamo al atto di mandar fuori il prologo delle comedie. Ver. Prima
che
si conduca a questo, si suol fare una rassegna, d
a, de i personaggi, et uedere, se sono tutti prouisti di quelle cose,
che
fa lor bisogno, nel modo che in una lista [come q
, se sono tutti prouisti di quelle cose, che fa lor bisogno, nel modo
che
in una lista [come quella ch’ io faceua pur dianz
sta [come quella ch’ io faceua pur dianzi] bisogna hauer notato : per
che
una poca cosa che si scordi, può in gran parte sc
h’ io faceua pur dianzi] bisogna hauer notato : per che una poca cosa
che
si scordi, può in gran parte sconcertar lo spetta
e, et a qual desinenza, co ’l principio anco de le lor parole ; accio
che
con questa norma, possi chi n’ haurà cura, porre
un d’ essi, alla sua desinenza, e porli anco in bocca la parola, con
che
haurà da cominciare. Sant. A questo modo, non è
a, con che haurà da cominciare. Sant. A questo modo, non è periglio,
che
possi restar da una scena all’ altra, il Theatro
, il Theatro uoto. hora ueniamo al mandar giu della cortina o sipario
che
se la chiamassero gl’ antichi. Ver. Prima che qu
ella cortina o sipario che se la chiamassero gl’ antichi. Ver. Prima
che
quella cada, lodo il far suonar alquanto, ad imit
mici, o trombe, o piffari, ouero qualche altro istromento strepitoso,
che
habbia forza di destare gli animi, quasi adorment
bia forza di destare gli animi, quasi adormentati per la lunga dimora
che
ordinariamente fan la maggior parte de gli spetta
mora che ordinariamente fan la maggior parte de gli spettatori, prima
che
si uenghi al desiderato principio : et questo Gio
i et alle qualita di essi. Ver. Quanto alle qualita loro, a me pare,
che
abbiano molta maesta, et che siano molto conuenie
er. Quanto alle qualita loro, a me pare, che abbiano molta maesta, et
che
siano molto conuenienti, quei modi de prologhi us
o molto conuenienti, quei modi de prologhi usati da gl’ antichi, cioè
che
in persona del poeta, eschi uno, togato, Et laure
togato, Et laureato, il cui habito richiede essere, non men sontuoso
che
graue. Et addice molto aggiungere sotto alla laur
della scena. et giunto con tardità a mezo d’ essa ; fermarsi tanto ;
che
senta ridotto in silentio quel bisbiglio, che suo
essa ; fermarsi tanto ; che senta ridotto in silentio quel bisbiglio,
che
suol sentirsi in cosi fatti lochi : et poi agiata
si in cosi fatti lochi : et poi agiatamente incominciare. Ne lodo io,
che
uadi mutando loco ; ma che con grauità si fermi a
poi agiatamente incominciare. Ne lodo io, che uadi mutando loco ; ma
che
con grauità si fermi a recitare, e se pur haurà d
nerale, cosi a tutti i recitanti come al prologo, et all’ argomento ;
che
mai non bisogna Voltar le spalle a spettatori, et
ll’ argomento ; che mai non bisogna Voltar le spalle a spettatori, et
che
sempre è bene il ridursi a ragionare piu in mezo,
bene il ridursi a ragionare piu in mezo, et piu in ripa al proscenio,
che
sia possibile, si per accostarsi il più che si pu
piu in ripa al proscenio, che sia possibile, si per accostarsi il più
che
si può a gl’ uditori ; come per iscostarsi quanto
scostarsi quanto piu sia possibile dalle prospettiue della scena, poi
che
accostandolisi perdono del lor naturale, et il mo
come benissimo la esperienza ci mostra. et generalmente dico ancora,
che
mentre si parla ; non si dee mai caminare, se gra
itene di gratia se la scena si fingerà, per cosi dire, esser Roma, et
che
la comedia [poniam caso] si reciti in firenze, qu
o] si reciti in firenze, questo prologo, con chi ha da parlare, et in
che
loco hà da mostrar di trouarsi ? Ver. Lassando d
de quali si trattarà poi ragionando de gl’ intermedij uesibili] dico,
che
quello che in persona del poeta fauella ; ha da r
trattarà poi ragionando de gl’ intermedij uesibili] dico, che quello
che
in persona del poeta fauella ; ha da rizzare semp
da rizzare sempre il suo ragionamento alli spettatori [contrario allo
che
ha da fare il recitante] et mostrarsi come lor ci
tante] et mostrarsi come lor citta dino : dandoli notitia della citta
che
rappresenta la scena ; della qualita et del titol
olete uoi dir hoggi cosa alcuna ? Ver. Lasciando di parlar di quelli
che
apaiono in scena, di che si trattarà dimane, come
alcuna ? Ver. Lasciando di parlar di quelli che apaiono in scena, di
che
si trattarà dimane, come ui ho detto, e darouui a
re circa il loro accrescere o scemare riputatione a le comedie, dico,
che
gl’ intermedij di musica almeno, sono necessarij
alquanto di refrigerio alle menti de gli spettatori ; et si anco per
che
il poeta [come ui cominciai a dir hieri] si serue
rue di quello interuallo, nel dar proportione alla sua fauola. poscia
che
ogn’uno di questi intermedij, ben che breue, puo
ortione alla sua fauola. poscia che ogn’uno di questi intermedij, ben
che
breue, puo seruir per lo corso, di quattro, sei,
breue, puo seruir per lo corso, di quattro, sei, et otto hore a tale
che
quantunque la comedia, per lunga che sia, non hà
uattro, sei, et otto hore a tale che quantunque la comedia, per lunga
che
sia, non hà da durar mai piu che quattro hore ; s
che quantunque la comedia, per lunga che sia, non hà da durar mai piu
che
quattro hore ; spesso se le dà spatio di un giorn
rsonaggi in scena ; fa questo effetto con maggiore eficacia. Mass. E
che
sorti d’intermedij ui par poi, che piu conuengono
to con maggiore eficacia. Mass. E che sorti d’intermedij ui par poi,
che
piu conuengono alle tragedie, et ai poemi pastora
ti [quantunque i moderni per propria autorita le diuidono] et i chori
che
in esse si fanno da poeti, sogliono seruire per q
ori che in esse si fanno da poeti, sogliono seruire per quella parte,
che
hà da trascorrer di tempo tra un successo et l’al
rte, che hà da trascorrer di tempo tra un successo et l’altro. Ma per
che
par che si usi a tempi nostri da destinguerle [pe
hà da trascorrer di tempo tra un successo et l’altro. Ma per che par
che
si usi a tempi nostri da destinguerle [pero che i
altro. Ma per che par che si usi a tempi nostri da destinguerle [pero
che
i moderni le ordiscono di piu lunghi soggetti] di
, Et insieme anco parlaremo de gl’ interualli de poemi pastorali, poi
che
per hoggi si è detto assai : et in uero mi conuie
ere a far proua di alluminar la scena della nostra comedia, per ueder
che
non gli manchi cosa alcuna, et però con uostra li
oi, o signor Massimiano accettar questo cortese inuito ? Mass. E per
che
no ? Ver. Andiamo dunque alla scena. Sant. Andi
lla scena italiana, di questo dialogo, in cui sono massime e sentenze
che
assai ben si addirebbero agli attori di oggidì, e
progresso dell’arte esteriore, se così posso dire, ossia di tuttociò
che
concerne il gesto, la voce, la dizione ; quel pro
tuttociò che concerne il gesto, la voce, la dizione ; quel progresso
che
fa spesso proferire un discorso eterno colle spal
tate al pubblico, e tutto d’un fiato, rapido, precipitoso, ruzzolato,
che
il pubblico non arriva mai ad afferrare ; quel pr
zzolato, che il pubblico non arriva mai ad afferrare ; quel progresso
che
fa del palcoscenico, nel nome santo della verità,
buon senso, una stanza a quattro pareti, senza tener conto quasi mai
che
per una di esse, il boccascena, gli spettatori ha
ettatori han diritto dai palchi e dalla platea di vedere e udire quel
che
accade lassù ; quel progresso, dico, ha vita da p
ire quel che accade lassù ; quel progresso, dico, ha vita da poco più
che
trent’ anni. Gli avvertimenti sulle Commedie nuov
di fondo, presso un camino con le spalle verso il pubblico, a me pare
che
il tratto sia troppo lungo. Senza convenzionalism
ma. [1] Abbiamo finora osservati i fondamenti del brillante edifizio
che
potrebbero le belle arti inalzare al piacere non
te edifizio che potrebbero le belle arti inalzare al piacere non meno
che
alla gloria d’una nazione. Non è colpa nostra se
regiudizi hanno sfigurata nella pratica quella sublime idea del bello
che
negli annali del gusto avea tracciata la penna lu
inarsi gli ornati fra i quali il ballo ottiene un luogo così distinto
che
il passarlo sotto silenzio sarebbe lo stesso dife
osì distinto che il passarlo sotto silenzio sarebbe lo stesso difetto
che
il tralasciare fra le regole dell’architettura qu
sso difetto che il tralasciare fra le regole dell’architettura quelle
che
insegnano la maniera ci abbellire una facciata o
. Oltradicchè diventa oggimai tanto più necessario il parlarne quanto
che
la possente influenza della imitazione francese h
cercherò di restringere colla brevità e nettezza possibile tutto ciò
che
nella presente materia ha uno stretto legame col
ifesta in due maniere o coll’azione o col suono. La stessa sensazione
che
ci strappa un urlo di spavento o un grido di gioi
re eziandio certi determinati gesti analoghi alla natura dell’affetto
che
ci predomina. Se l’apprensione è d’un male, i muo
erni servono a comunicare coi nostri simili parte di quell’allegrezza
che
tanto giova a rinserrare i vincoli dell’amicizia.
si ad eccitar in nostro aiuto l’altrui commiserazione facendo vedere,
che
ci sovrasta un qualche pericolo. Si vede adunque
facendo vedere, che ci sovrasta un qualche pericolo. Si vede adunque
che
l’origine naturale del ballo e del canto è la ste
vede adunque che l’origine naturale del ballo e del canto è la stessa
che
l’istinto (quella facoltà indiffinibile, ma vera,
nto è la stessa che l’istinto (quella facoltà indiffinibile, ma vera,
che
negli esseri sensibili è il supplemento della rag
mento della ragione) è la cagion produttrice dell’uno e dell’altro, e
che
siccome i suoni inarticolati della voce umana son
composti e fuori di regola non formano modulazione nella stessa guisa
che
i gesti fuori di misura non formano cadenza. Gli
e leggi inalterabili e severe, le quali sono le medesime per la danza
che
per la musica. Come questa ha bisogno d’una misur
e per la danza che per la musica. Come questa ha bisogno d’una misura
che
regoli la durazione di ciascun tuono, d’un muovim
’una misura che regoli la durazione di ciascun tuono, d’un muovimento
che
affretti o rallenti la misura, d’un’armonia che c
uono, d’un muovimento che affretti o rallenti la misura, d’un’armonia
che
combini e temperi le parti simultanee, e d’una me
un’armonia che combini e temperi le parti simultanee, e d’una melodia
che
disponga i tuoni in una successione aggradevole,
turale e un canto imitativo. Nel primo chi canta non ha altro disegno
che
di eccitar in se stesso o in altrui quel diletto
isegno che di eccitar in se stesso o in altrui quel diletto meccanico
che
risulta dalla dolcezza inerente a qualunque tuono
ta possiamo considerare di ballo. Una dove l’uom non ha altro disegno
che
di ballar per ballare, cioè di eseguire certi sal
llo senz’altro fine riflesso si chiama propriamente danza ed è quello
che
s’usa nei festini, nelle accademie, e nei domesti
a, e coi tratti animati della fisionomia tutta la serie di situazioni
che
somministra l’argomento nello stesso modo che la
la serie di situazioni che somministra l’argomento nello stesso modo
che
la esprime colla voce il cantore. Questa seconda
be condursi un siffatto strumento, ma havvi ogni apparenza di credere
che
se gli uomini non avessero sviluppato giammai l’o
o comodamente supplire all’uno e all’altra. La sperienza ci fa vedere
che
i fanciulli, non sapendo ancora articolare gli ac
ducazion ragionata, onde sono capaci i muti nati, pruova con evidenza
che
la natura non ha stabilito su questo punto verun
natura non ha stabilito su questo punto verun impreteribil confine, e
che
un senso potrebbe acconciamente far le veci d’un
be acconciamente far le veci d’un altro. La storia inoltre ci insegna
che
il linguaggio primitivo de’ popoli fu dappertutto
na che il linguaggio primitivo de’ popoli fu dappertutto più d’azione
che
di parole composto, e che dalla usanza appunto di
tivo de’ popoli fu dappertutto più d’azione che di parole composto, e
che
dalla usanza appunto di parlar agli occhi acquist
a sua presenza recide senza profferir parola la sommità de’ papaveri,
che
grandeggiavano sopra gli altri; Dario re dei Pers
de’ papaveri, che grandeggiavano sopra gli altri; Dario re dei Persi,
che
essendosi inoltrato nella Scizia con intenzione d
guerra a que’ popoli, si vede comparir avanti da parte loro un araldo
che
gli appresenta una rana, un topo, un uccello e ci
enza alla comune vendetta; l’Indiana descritta da un poeta orientale,
che
interrogata dall’amante chi sia il fortunato ogge
avea fatta la dimanda; l’altrettanto bella quanto incontinente Frine,
che
vedendo i giudici dell’Areopago non essere in suo
de abbastanza commossi, s’inginocchia avanti loro, si straccia i veli
che
le ricoprivano il seno, offre ai loro sguardi una
in regalo un nastro, un pannizuolo, o qualche altra cosa triviale, ma
che
avendo nella sua piegatura e configurazione diver
altri esempi di questa natura, de’ quali abbonda non meno la sacra161
che
la profana storia, pruovano che certa classe di s
e’ quali abbonda non meno la sacra161 che la profana storia, pruovano
che
certa classe di sentimenti e di passioni ponno di
dipignersi alla fantasia con più vivaci colori per mezzo della vista
che
per mezzo dell’udito. E se non temessi diffonderm
essi diffondermi troppo in una materia ch’è il fondamento del diletto
che
ci procurano tutte le belle arti, farei ancora ve
del diletto che ci procurano tutte le belle arti, farei ancora vedere
che
l’ascosa origine del piacere, che certi tratti ar
le belle arti, farei ancora vedere che l’ascosa origine del piacere,
che
certi tratti arrecano nella musica, nella poesia
e nella eloquenza, è nel linguaggio d’azione principalmente riposta;
che
ciò che rende eloquenti i quadri oratori o poetic
eloquenza, è nel linguaggio d’azione principalmente riposta; che ciò
che
rende eloquenti i quadri oratori o poetici è l’ar
quella di far sentire la successione regolata de’ tuoni e del ritmo;
che
la forza di certe lingue massimamente delle orien
mamente delle orientali deriva dall’accennato principio: osservazione
che
può farsi ancora nello stile de’ più grandi scrit
plicarla all’esercizio delle passioni utili alla società, o ai motivi
che
interessano generalmente il cuore umano; posciach
i di rinforzo nel governo degli stati, e nella politica. [6] I Greci,
che
seppero tutto inventare e perfezionar tutto, i Gr
[6] I Greci, che seppero tutto inventare e perfezionar tutto, i Greci
che
non lasciarono inoperosa veruna facoltà del corpo
asciarono inoperosa veruna facoltà del corpo o dello spirito, i Greci
che
fecero servire fino i propri divertimenti agli og
nominare senza entusiasmo, intesero così bene questo gran principio,
che
non temettero di dover essere accusati di leggere
inerva; ballarono Teseo, Pirro, Achille e tanti altri, e perfin colui
che
al detto di Cicerone chiamò la filosofia dal ciel
n colui che al detto di Cicerone chiamò la filosofia dal cielo, colui
che
dall’oracolo fu riputato il più saggio fra gli uo
na parola il gravissimo Socrate ebbe fama di bravo danzatore. Questa,
che
nelle nostre idee tanto diverse da quelle sembra
re una religione non meno rispettabile per la purità della sua morale
che
veneranda per la santità ineffabile de’ suoi dogm
do argomentare dalla profonda sagacità del legislatore di Lacedemonia
che
un sì bizzarro costume fosse privo d’ogni ragion
onia che un sì bizzarro costume fosse privo d’ogni ragion sufficiente
che
rendesse non solo utile ma legittima la sua istit
rno filosofo, il quale aveva l’anima Spartana e le viste di Platone, «
che
l’usanza di cui si tratta conveniva solamente agl
’usanza di cui si tratta conveniva solamente agli allievi di Licurgo;
che
la vita frugale e laboriosa, il costume puro e se
o così stravagante per qualunque popolo non d’altre virtù posseditore
che
della sola decenza» 162. [7] I Romani meno sensib
posseditore che della sola decenza» 162. [7] I Romani meno sensibili
che
non lo erano i Greci ai piaceri dello spirito olt
he non lo erano i Greci ai piaceri dello spirito oltre l’applicazione
che
sul loro esempio fecero della danza propriamente
urono ancora i primi a introdur sul teatro la danza pantomimica. Dico
che
furono i primi, poiché sebbene trovinsi fra i Gre
i quest’arte sotto gl’imperatori, né i miracoli de’ celebri pantomimi
che
tanta impressione fecero su i Romani, e sì perico
164, e il Chausac 165 appagheranno ampiamente la curiosità di coloro
che
di sapere più oltre avessero vaghezza. Tuttavia d
nto meritano di essere rilevate. L’una si è l’evidenza di espressione
che
conservavano i pantomimi nonostante la somma diff
pressione che conservavano i pantomimi nonostante la somma difficoltà
che
dovevano sentire nel rappresentare, essendo privi
’altra l’energia del ballo pantomimico riconosciuta persin nel guasto
che
dava ai costumi, e nell’oscurar che fece la trage
co riconosciuta persin nel guasto che dava ai costumi, e nell’oscurar
che
fece la tragedia e la buona commedia con ogni alt
arebber capaci fra noi le arti pantomimiche avendo mezzi più efficaci
che
non avevano essi per ben riuscirvi. La seconda pu
un’illimitata licenza sul teatro senza restringerlo fra quei cancelli
che
prescrivono il buon gusto e la sana filosofia. Ma
acciono tutte le arti d’imitazione, cioè di dare alla spezial materia
che
scelgono esse come strumento tutta la possibile s
lgono esse come strumento tutta la possibile somiglianza coll’oggetto
che
vogliono imitare. Così perché la danza rappresent
muovimenti e de’ gesti, l’arte del bravo pantomimo consiste nel fare
che
i suoi gesti e i suoi muovimenti esprimano con tu
e coi principi dell’arte sua” affine di prevenir il sofisma di coloro
che
indicate vorrebbero nella imitazione delle belle
ti tutte quante le particolari circostanze del vero, senza riflettere
che
l’oggetto di quelle non è la semplice natura ma l
he l’oggetto di quelle non è la semplice natura ma la bella natura, e
che
l’arbitraria non meno che stitica teoria di quei
è la semplice natura ma la bella natura, e che l’arbitraria non meno
che
stitica teoria di quei pretesi filosofanti sbandi
vesti, coi muovimenti scompassati e colle maniere rozze ed improprie,
che
realmente in simili personaggi s’osservano. E ciò
tta rassomiglianza fra l’imitazione e l’imitato. [10] Dalla necessità
che
ha la danza di esser vera e conforme nasce in lei
sce in lei altresì la necessità di esser chiara e distinta. Non basta
che
il danzatore faccia dei gesti e delle attitudini,
n basta che il danzatore faccia dei gesti e delle attitudini, bisogna
che
i gesti abbiano un senso e le attitudini un signi
nte compreso, faccia loro nascer tosto in mente l’immagine della cosa
che
vuolsi rappresentare. Senza questo requisito esse
rare e il combinarli fra loro, formando una serie ragionata, è quello
che
costituisce il vero linguaggio d’azione. Se nella
nguaggio d’azione. Se nella serie accennata si trovano dei muovimenti
che
m’imbarazzano, o perché nulla significano, o perc
qualità generiche richieste nel ballo rappresentativo sono le stesse
che
esigono le azioni drammatiche, e gli argomenti de
apparire la danza una, varia, ordinata, conveniente e patetica. Una,
che
rappresenti cioè un’unica azione principale senza
ale senza divagarsi in episodi inutili e fuori di luogo, facendo anzi
che
tutte le sortite e le entrate, tutte le scene e l
tutte le scene e le mosse corrispondano ad un solo oggetto168. Varia,
che
senza cangiar il piano generale dell’azione sappi
le dell’azione sappia svegliar negli animi degli spettatori la novità
che
nasce dai diversi incidenti somministrati dall’ar
asce dai diversi incidenti somministrati dall’argomento169. Ordinata,
che
rappresenti le situazioni in maniera che le ultim
dall’argomento169. Ordinata, che rappresenti le situazioni in maniera
che
le ultime cose si confaccino colle prime, e quest
ino colle prime, e queste colle medie e colle ultime170. Conveniente,
che
nell’adattare ai personaggi i rispettivi gesti ab
tteri, il tempo, il luogo, e le circostanze171. Infine patetica, cioè
che
così acconciamente dipinga i movimenti propri dei
così acconciamente dipinga i movimenti propri dei vari affetti umani,
che
lo spettatore sia costretto a risentirli in se st
mo porta seco un gesto animato e imitabile fuorché la passione. Un re
che
parla posatamente, un filosofo che silogizza (e i
itabile fuorché la passione. Un re che parla posatamente, un filosofo
che
silogizza (e in questi esempi si racchiudono tutt
i dello stile nella pantomima. S’aggiunge come prerogativa essenziale
che
debbano essere aggiustate, perspicue e scelte. L’
bbano essere aggiustate, perspicue e scelte. L’aggiustatezza richiede
che
si dia alle cose il loro genuino colore senz’alte
per difetto, acciocché il danzatore non incorra nella taccia di colui
che
cita, il quale facendo Aiace furioso si trasportò
e furioso si trasportò in modo e cagionò un tale scompiglio in teatro
che
si sarebbe detto che non contrafaceva il furioso,
ò in modo e cagionò un tale scompiglio in teatro che si sarebbe detto
che
non contrafaceva il furioso, ma che lo era173. La
io in teatro che si sarebbe detto che non contrafaceva il furioso, ma
che
lo era173. La perspicuità vuole che ogni gesto es
e non contrafaceva il furioso, ma che lo era173. La perspicuità vuole
che
ogni gesto esprima con nettezza e precisione ciò
erspicuità vuole che ogni gesto esprima con nettezza e precisione ciò
che
vuol rappresentare affinchè lo spettatore non sia
esta virtù rende simile la espression pantomimica alle fosche nebbie,
che
addensandosi su una valle ne tolgono alla vista o
su una valle ne tolgono alla vista ogni vaghezza. La sceltezza esige
che
il danzatore, non contentandosi di cavar dal suo
mosse inaspettate e decisive così atte a produrre il loro effetto, e
che
sono il frutto più pregiato dello studio e del ge
dello studio e del genio. Bello è il rappresentarmi Galatea nell’atto
che
scherzevolmente colpisce col pomo l’innamorato pa
pomo l’innamorato pastorello; ma la danzatrice non avrà altro merito
che
quello d’una imitazione volgare se non mi fa vede
così desideri, insomma quell’inesprimibile atteggiamento della ninfa,
che
fugge verso il boschetto, e fuggendo cerca di ess
amente guardata174. [13] Dal semplice abbozzo esposto finora, si vede
che
l’arte pantomimica è capace di teoria ragionata a
ntomimica è capace di teoria ragionata al paro delle altre facoltà, e
che
potrebbe acconciamente scriversi la retorica e la
atori. Ma lasciando cotal impegno (più utile e di maggior conseguenza
che
non si crede comunemente) ad altri scrittori più
o teatrale o accompagnando costantemente la poesia per tutto il tempo
che
dura l’azione, o in qualche determinata occasione
atti. [15] L’unione delle belle arti e il fratellevole combaciamento
che
hanno insieme la danza, la poesia e la musica esi
bbe forse l’applicazione del ballo nella prima maniera, e così è fama
che
facessero gli antichi, appo i quali le intiere az
lorché divennero essi più lunghi e più complicati. Così tanto i Greci
che
i Latini si videro astretti a sciogliere quella r
lle tre arti distribuendo in diverse persone le moltiplici incombenze
che
dianzi erano affidate ad una sola. S’ignora chi f
dal popolo a ripetere diverse volte alcuni passaggi favoriti; per lo
che
ottenne la permissione di sostituire in suo luogo
lo che ottenne la permissione di sostituire in suo luogo uno schiavo,
che
cantasse il poema insieme col musico mentre egli
uale fa d’uopo assoggettare non meno le facoltà appartenenti al gusto
che
le più elevate scienze, ha insegnato ai coltivato
sto che le più elevate scienze, ha insegnato ai coltivatori di quelle
che
un discorso fatto simultaneamente allo spirito in
due idiomi affatto differenti non può far a meno di non confonderlo,
che
se la danza dice lo stesso che la compagna il suo
non può far a meno di non confonderlo, che se la danza dice lo stesso
che
la compagna il suo linguaggio diviene inutile, co
se dice l’opposto; ch’essendo la pantomima fondata sulla supposizione
che
debba parlarsi ad un uditorio di sordi o di muti,
a qualora si senta nel medesimo tempo sulla scena un altro linguaggio
che
distrugga l’ipotesi, e che se gli spettatori si p
simo tempo sulla scena un altro linguaggio che distrugga l’ipotesi, e
che
se gli spettatori si prestano di buon grado ad un
sia in contraddizione col primo. [16] Strana non per tanto è da dirsi
che
fosse l’opinione del Signor Grimm, il quale desid
a vorrebbe, appoggiandosi al testé citato esempio di Livio Andronico,
che
i ballerini cantassero eglino stessi nell’atto di
che i ballerini cantassero eglino stessi nell’atto di danzare, oppure
che
mentre danzano, una voce nascosta dietro alle sce
o del loro ballo. Una siffatta idea è non meno stravagante a proporsi
che
impossibile ad eseguirsi. Lo spiritoso ed elegant
el nostro canto sminuzzato acuto squisito e sottile l’azione violenta
che
richiede la danza, mettersi i polmoni e la glotti
la glottide dei cantanti nell’atto d’eseguire l’arie in una posizione
che
verrebbe alterata necessariamente dal ballo o aff
a molte idee astratte, molte relazioni puramente riflessive e mentali
che
non potrebbono in verun conto eseguirsi dal balle
usica strumentale mille artifizi, mille pitture degli oggetti esterni
che
non possono essere rappresentate coi piedi, dover
o e del canto in una sola persona una caricatura non minore di quella
che
sarebbe il prevalersi d’una traduzione ebraica pe
itare l’intelligenza d’una lettera scritta in latino. [17] Le ragioni
che
vietano l’accompagnamento perpetuo della danza ne
stesse per doverla bandir eziandio come episodio. Un ballo improviso
che
venga sul più bello a sospender l’azione, indebol
d’ogni spettacolo dipende dalla costante e non interrotta impressione
che
fa esso sull’animo, così qualunque ornamento stra
mpressione che fa esso sull’animo, così qualunque ornamento straniero
che
vi si frapponga diminuisce l’impressione, e per c
eguenza l’effetto; tanto più se l’ornamento frapposto è di tal natura
che
invece d’agevolare l’intelligenza di ciò che dico
rapposto è di tal natura che invece d’agevolare l’intelligenza di ciò
che
dicono le parole, non serve che a renderla più di
ece d’agevolare l’intelligenza di ciò che dicono le parole, non serve
che
a renderla più difficile. Tale appunto è il ballo
. Tale appunto è il ballo, il quale per essere meno naturale all’uomo
che
non è l’uso de’ vocaboli, ha un significato men c
r per ballare, ma come una usanza propria del popolo o dei personaggi
che
parlano, appoggiata sulla storia o sulla tradizio
ta sulla storia o sulla tradizione. Così perché la storia ci assicura
che
gli Spartani usavano d’un certo ballo particolare
nemici in battaglia, non disdirebbe punto ad un poema melodrammatico
che
vi s’introducesse acconciamente siffatto ballo, c
ottatori nei funerali di Castore, e in più altri drammi. Ma s’avverta
che
in questi e simili casi la danza non è propriamen
tiva d’una qualche azione determinata, ma soltanto un ballo figurato,
che
contiene l’espressione vaga d’un affetto passaggi
estarsi nel melodramma fuorché nelle circostanze accennate, e i poeti
che
si sono dimenticati di farvi riflessione hanno ma
a bellezza delle arti sceniche non già nella modificazion passaggiera
che
ricevono dagli abusi; ma nell’idea archetipa del
ello assoluto ed intrinseco, siamo costretti a pronunziar francamente
che
l’usanza di frammettere la pantomima negl’interva
li del dramma è un’assurdità palpabile, un’eresia in materia di gusto
che
deve affatto proscriversi innanzi al tribunal del
proscriversi innanzi al tribunal del buon senso. Difatti se tutto ciò
che
distrugge il fine principale d’uno spettacolo è d
o alla fine senza interrompimento, e se la pantomima è appunto quella
che
interrompe il progresso dell’azione, ne seguita d
nto quella che interrompe il progresso dell’azione, ne seguita dunque
che
la sua introduzione come intermezzo è condannabil
spettacolo. Comunque voglia intromettersi sarà sempre una mutilazione
che
si fa al melodramma, uno svagamento straniero che
pre una mutilazione che si fa al melodramma, uno svagamento straniero
che
fa perdere il filo al restante, un riempitivo fuo
iero che fa perdere il filo al restante, un riempitivo fuori di luogo
che
tronca il tutto musicale e poetico in parti indep
, perché dovremo pensare altrimenti di cotesto stravagantissimo ballo
che
viene appunto a far lo stesso nel melodramma? E s
unto a far lo stesso nel melodramma? E se sarebbe deriso uno storico,
che
sul più bello d’un racconto fatto in volgare mi s
cconto fatto in volgare mi saltasse in campo con un paragrafo tedesco
che
da Firenze portasse il lettore fino a Sarmacanda,
uon senso non dovrà parimenti confondere la strana fantasia di coloro
che
, mentre io porgo attenzione al linguaggio della m
ignota fu a loro la divisione delle tragedie in iscene oin atti, nomi
che
noi abbiamo appresi soltanto dai latini autori. B
o il tempo della rappresentazione. Così fecero ancora i Romani in ciò
che
appartiene a non mischiare la pantomima colle azi
ttor le parti, e d’un sol uom sostenga, Quando bisogna il coro: e ciò
che
suole Cantar fra un atto e l’altro, al fin propos
to e l’altro, al fin proposto Ben s’adatti e convenga…»176 dove ciò
che
si dice del canto s’intende ancora del ballo che
enga…»176 dove ciò che si dice del canto s’intende ancora del ballo
che
non s’eseguiva da altre persone, che da quelle de
canto s’intende ancora del ballo che non s’eseguiva da altre persone,
che
da quelle del coro. Non è questo il luogo d’esami
ù per l’autorità imperiosa della religione, o d’un inveterato costume
che
per proprio sentimento177, ma sarà sempre vero a
per proprio sentimento177, ma sarà sempre vero a confusione di quelli
che
vorrebbono legittimare l’abuso coll’esempio degli
quelli che vorrebbono legittimare l’abuso coll’esempio degli antichi,
che
questi non introdussero mai la danza nelle azioni
ell’Europa a trovare un ballo pantomimico presso ai Greci e ai Latini
che
servisse d’intermezzo in una tragedia o in una co
i l’arti musicali e rappresentative, e nella poca filosofia di coloro
che
furono i primi a restituirle, non è maraviglia ch
ilosofia di coloro che furono i primi a restituirle, non è maraviglia
che
s’introducessero non pochi abusi avvalorati in se
gusto del popolo. E fu probabilmente il desiderio di piacere a questo
che
sedusse gl’inventori della drammatica, determinan
curioso punto di storia per maggior istruzione dei lettori; tanto più
che
pochissimo o nulla si trova raccolto dagli scritt
vicende in quésta nazione. [20] Pier Francesco Rinuccini, nel dedicar
che
fa l’opere d’Ottavio Rinuccini suo zio agli accad
a condurre da Francia in Italia l’uso dei balli. Questo elogio non è
che
un ritrovato dell’amor proprio per accumulare nel
ma; dall’altro furon visti in un tratto due tori tanto simili al vero
che
alcuni pensorono che fosser veri, che gittavan fu
visti in un tratto due tori tanto simili al vero che alcuni pensorono
che
fosser veri, che gittavan fuoco dalla bocca ecc.
o due tori tanto simili al vero che alcuni pensorono che fosser veri,
che
gittavan fuoco dalla bocca ecc. A questi s’accost
a poco del palco uomini armati all’antica, tanto bene quanto cred’io
che
si possa; e questi ballarono una fiera moresca pe
con una facella sulla mano nuda; il carro era tirato da due colombe,
che
certo parevano vive, e sopra esse cavalcavano due
diverso colore, e tutti questi erano tanto ben fatti, Monsignor mio,
che
certo non credo che mai più si sia finto cosa sim
utti questi erano tanto ben fatti, Monsignor mio, che certo non credo
che
mai più si sia finto cosa simile al vero; e tutti
e poche stante la significazione delle intromesse.» [21] È probabile
che
gl’Italiani traessero la prima idea di cotali rap
degli spettatori, ch’io per me non so s’ho veduto giammai spettacolo
che
più mi diletti e molto mi meraviglio, che sin qui
o veduto giammai spettacolo che più mi diletti e molto mi meraviglio,
che
sin qui l’Italia, ove non si lascia indietro veru
ella ecc» 178. Questa lode è tanto più dovuta a quella nazione quanto
che
in ogni tempo si è in tal genere di gentilezza ma
stinta. Ciò nonostante gl’Italiani non devono escludersi dalla gloria
che
giustamente ad essi appartiene. Tre fra loro sepp
it l’inventore delle più leggiadre feste, e dei balletti più rinomati
che
fossero al suo tempo eseguiti nella corte di Catt
etta non meno al progresso dell’arti imitative appartenenti al teatro
che
a far conoscere il merito della nazione italiana
o della nazione italiana nel coltivamento di esse sembra esiger da me
che
se ne faccia in questo luogo la descrizione. [24]
e truppe comparvero sul Tamigi sovra piccoli navigli ornati in foggia
che
annunziava la sontuosità e la leggiadria. Erano e
. Erano essi preceduti e seguitati da un numero infinito di strumenti
che
suonavano diverse sinfonie rispondendosi gli uni
no un ballo allegorico, e magnifico sopra ogni credere. La religione,
che
univa la Gran Bretagna al resto della terra, era
sieme con esse dicendo aver egli appreso in altri tempi da Archimede,
che
se trovar si potesse un punto d’appoggio fuori de
, voler non per tanto smuover il globo e scaricarsi da un peso enorme
che
gli avea per tanti secoli gravate le spalle, cons
nzò una spezie di prologo in ballo, e i principi di tutte le nazioni,
che
sortirono dal globo- con un sontuoso corteggio, d
ccessivamente facendo più sortite di diverso carattere coi personaggi
che
si trovavano sulla scena. Atlante fece sortire co
Atlante fece sortire coll’ordin medesimo l’altre parti del mondo, lo
che
formò una divisione naturale e semplice del balle
plice del balletto, ciascun atto del quale fu terminato cogli omaggi,
che
dalle mentovate nazioni furono resi alla giovine
o resi alla giovine principessa d’Inghiltera e coi magnifici presenti
che
le furono fatti. [25] Ottavio Rinuccini, inventor
Parigi, dove la danza era stata a gran incremento condotta. I balli,
che
in allora avevano voga presso ai Francesi, erano
ena delle quali si ballava in diversa foggia. La loro musica non meno
che
la loro cadenza consisteva in una serie di note l
vezzose giovanette rassomigliavano piuttosto ad un coro di Certosini
che
volteggiassero, che non ad una truppa di giulivi
rassomigliavano piuttosto ad un coro di Certosini che volteggiassero,
che
non ad una truppa di giulivi danzatori. [26] Venn
foggia umana insieme cogli Uomini. Ma una imitazione così imperfetta
che
non aveva verun modello nella natura, una rappres
veva verun modello nella natura, una rappresentazione così misteriosa
che
faceva pensare agli spettatori tutt’altro che que
tazione così misteriosa che faceva pensare agli spettatori tutt’altro
che
quello che s’offeriva ai loro sguardi, un linguag
ì misteriosa che faceva pensare agli spettatori tutt’altro che quello
che
s’offeriva ai loro sguardi, un linguaggio de’ ges
o che s’offeriva ai loro sguardi, un linguaggio de’ gesti così oscuro
che
mai non si comprendeva il significato, una serie
sia, e tanto poca n’aveva il sentimento, un’arte insomma così sterile
che
non somministrava alla musica né sentimenti né im
ca. Così dopo d’avere lusingata per qualche tempo la vanità di coloro
che
si contentavano di far pompa d’ingegno colà dove
ondo il solito gli adoratori del rancidume si diedero tosto a gridare
che
la musica si corrompeva, e che il buon gusto anda
l rancidume si diedero tosto a gridare che la musica si corrompeva, e
che
il buon gusto andava in rovina. Per fortuna dell’
entandosi di segnar talvolta le figure e i passi a’ maestri di ballo,
che
pon ben sapevano tener dietro al suo violino. Dal
alle nazioni e ai personaggi rappresentati l’atteggiamento e le mosse
che
convenivano loro, e si vide Plutone per la prima
sitori di sommo merito perfezionarono a tal segno la musica de’ balli
che
«al mio tempo (dice l’Abbate Du Bos, da cui tratt
nca teatrale» 181. [27] L’Italia frattanto non potendo uguagliare non
che
superare i Francesi, in cotal genere di gentilezz
invenzioni. Diamone anche un qualche saggio di esse rimettendo coloro
che
più oltre cercassero alla storia della danza del
l quale, levandosi dagli occhi la benda, chiamava la luce invitandola
che
venisse a diffondersi dappertutto, affinchè dando
e co’ suoi colori mille forme diverse, egli ne possa scegliere quella
che
più a grado le sia. Giunone ode gl’inviti d’Amore
ne sceglie il gridellino come il più vivo e il più perfetto, volendo
che
in avvenire codesto colore divenga il simbolo del
amor senza fine. Comanda inoltre ch’esso si vegga brillare ne’ fiori,
che
traluca nelle pietre più preziose, che gli uccell
o si vegga brillare ne’ fiori, che traluca nelle pietre più preziose,
che
gli uccelli più rari se ne adornin le piume, e ch
etre più preziose, che gli uccelli più rari se ne adornin le piume, e
che
serva di fregio agli abiti de’ più felici mortali
i fecero per ordine le loro sortite, dopo le quali comparve il tempo,
che
mandò via l’Apparenza. Indi facendo aprir la nube
lontananza un gran orologio d’arena, onde uscirono la Verità e l’Ore,
che
fecero varie mutazioni e sortite, dalle quali si
tigiani, era giunta presso ai Romani, a quel grado di perfezione cioè
che
nasce dall’eseguire col solo aiuto de’ gesti e se
allora comunemente più abile nel promuovere l’erudizione e le scienze
che
nel coltivare l’arti di leggiadria e di gusto. I
di Gessner, di Zaccaria, di Gleim e d’altri poeti stimabili non meno
che
cogli Hendel, gli Stamitz, i Bach, i Nauman, i Gl
irito». Essi fecero ancora di più. Mostrarono d’averlo in quelle cose
che
sembrano appartenere soltanto alla sveltezza ed a
evalsero tosto della scoperta rendendola in tal guisa propria di loro
che
parve affatto francese all’altre nazioni. Contrib
assalisce la fantasia per finir poscia colle gambe e coi piedi è tale
che
per lui non istà se tutti i letterati non abbando
i spettatori lasciando in dubbio gli astanti se il prodigioso effetto
che
risentivano provenisse dal terribile argomento, o
rovata in tal guisa la pratica e stabilita la teoria non è maraviglia
che
si propagasse subito cotesto genere di pantomima
ica nei teatri esteri, e per conseguenza in quelli d’Italia. Pitraot,
che
s’era distinto a Parigi col famoso ballo di Telem
, dove prese gran voga e trovò maestri bravi e compositori eccellenti
che
perfezionaron la musica e rappresentarono i più r
fra gli altri non meno per la bravura nell’inventare e nell’eseguire
che
per le sensate dottrine esposte da lui nelle lett
co siami lecito in mezzo al plauso generale e le grida d’approvazione
che
dappertutto si sentono per così fatta scoperta, f
tanto da lui pregiata è ella veramente giunta al grado di perfezione
che
comunemente si crede? Nel caso che realmente pote
ente giunta al grado di perfezione che comunemente si crede? Nel caso
che
realmente potesse perfezionarsi converrebbe ai pr
a convenevole e decisiva risposta, verrò svolgendo i motivi di dubbio
che
m’hanno suggerita l’idea delle due accennate inte
, allora soltanto può dirsi aver toccata la perfezione quando i mezzi
che
adopera sono in perfetta corrispondenza col fine,
iara e sensibile agli occhi dell’ottimo giudice, e quando gli effetti
che
ne risultano sono tali appunto quali l’arte stess
uali l’arte stessa mi prometteva di produrli. Così conosciuto il fine
che
si propone una facoltà, disaminata la convergenza
fine che si propone una facoltà, disaminata la convergenza de’ mezzi
che
vi pone l’artefice, e ponderato l’effetto che in
a convergenza de’ mezzi che vi pone l’artefice, e ponderato l’effetto
che
in me cagiona il rapporto tra questi e quelli, io
o d’essa facoltà. Il fine dell’arte oratoria è di persuadere, i mezzi
che
adoperava Cicerone erano i più atti alla persuasi
stessa nol riconoscerò più nelle operazioni degli artefici, se vedrò
che
le linee tirate da loro invece di tendere ad un c
n ritroverò né dalla parte di quella facoltà né dalla parte di coloro
che
la coltivano veruna di quelle magnifiche promesse
parte di coloro che la coltivano veruna di quelle magnifiche promesse
che
m’erano state fatte da essi; allora io conchiuder
tate fatte da essi; allora io conchiuderò (e conchiuderò con ragione)
che
o l’arte è fallace e imperfetta di sua natura, o
erò con ragione) che o l’arte è fallace e imperfetta di sua natura, o
che
gli artefici lontano dall’averla perfezionata l’h
mplici, chiari e verissimi all’odierna pantomima. [34] Qual è il fine
che
si propone la mimica? Quello di rappresentare coi
one la mimica? Quello di rappresentare coi gesti un’azione in maniera
che
s’ecciti in chi la guarda l’interesse e l’illusio
l’azione ch’egli mi metterà sotto gli occhi, di regolarla colle leggi
che
prescrive il buon senso, d’accrescere maggior ene
stogli dall’inventore, di scordarsi d’essere ballerino per non essere
che
pantomimo, d’usare di que’ gesti soltanto, la sig
, può facilmente essere intesa dagli spettatori. Ecco le belle parole
che
mi danno l’arte e gli artefici. Le attengono in p
artefici. Le attengono in pratica? Esaminiamolo. [35] Non negherò già
che
la mimica, considerata in quanto è un linguaggio
itolo, una grande energia per generare l’interesse e l’illusione. Ciò
che
per mezzo degli occhi si tramanda allo spirito co
lando, a’ nervi del sensorio delle scosse più efficaci e più veementi
che
non sono quelle che per mezzo degli altri sensi v
sensorio delle scosse più efficaci e più veementi che non sono quelle
che
per mezzo degli altri sensi vi si trasmettono; pe
osi anche le proprietà intrinseche dell’animo per mezzo de’ movimenti
che
partono da tutte le membra, la fantasia di chi lo
nsorio ne riceve maggior copia di vibrazioni, onde i nervi subalterni
che
sono scossi più fortemente mettono in maggior ese
cizio la sensibilità, dalla quale in ultima analisi nasce l’interesse
che
ci attacca alle cose rappresentate. Da ciò ne con
nteresse che ci attacca alle cose rappresentate. Da ciò ne conseguita
che
la mimica ha tutti i vantaggi della pittura e del
ativa di poter mettere ne’ suoi quadri una successione, un muovimento
che
mettervi non ponno i pittori o gli scultori conda
rimere fuorché un solo atteggiamento nelle figure, né tampoco negherò
che
veduto non si sia un qualche ballo pantomimo in I
iore di quello ch’è solita a produrre la tragedia recitata. Ma quello
che
dirò sempre e costantemente affermerò si è che ta
ia recitata. Ma quello che dirò sempre e costantemente affermerò si è
che
tali effetti della mimica, come si coltiva fra no
si coltiva fra noi, sono accidentali, ch’ella ha dei vizi intrinseci
che
non potranno estirparsi giammai, e che se riesce
ch’ella ha dei vizi intrinseci che non potranno estirparsi giammai, e
che
se riesce bene una qualche volta per mille altre
ile, per non dire impossibile, il tessere un’azione di qualche durata
che
condotta sia colla necessaria chiarezza, e che in
ione di qualche durata che condotta sia colla necessaria chiarezza, e
che
interessi per la novità. Che l’idioma de’ gesti d
e l’idioma de’ gesti deva essere scarso nella natura apparisce da ciò
che
accompagnandosi ogni concetto mentale dell’uomo e
; ciascuno d’essi segni dee perder molto della sua influenzi a misura
che
prevale e si perfeziona quell’altro; dimodochè ov
stare in perpetua veglia sopra di noi. Prescrivendoci una compostezza
che
annunzia la disuguaglianza delle fortune e dei ra
suguaglianza delle fortune e dei ranghi ci hanno ispirato un contegno
che
imprigiona la naturale scioltezza. Avvezzandoci a
hé non ci tradiscano a dare ad essi un significato contrario a quello
che
vorrebbe la natura, a reprimere i primi movimenti
a quanto si è detto la mimica eroica dev’essere più scarsa di modelli
che
non la pantomima comica, perocché nella prima l’i
pantomima comica, perocché nella prima l’influenza di quella qualità,
che
si chiama “politezza”, non può far a meno di non
a “politezza”, non può far a meno di non rendere i personaggi sublimi
che
vi si rappresentano, misurati, contegnosi, e lont
ne, rendendo le persone imitate più spensierate e più schiette, fa sì
che
s’abbandonino al loro istinto con minore ritegno
atta scarsezza nella materia primitiva della danza s’aggiunge l’altra
che
risulta dalla costituzione intrinseca di qualunqu
a di qualunque lavoro rappresentativo. È impossibile ordire un’azione
che
abbia il suo cominciamento, il suo mezzo e il suo
o, il suo mezzo e il suo fine senza intrecciarla di mille circostanze
che
suppongono un significato convenzionale, una rela
future, ad oggetti lontani o segreti, a riflessioni puramente mentali
che
non cadono sotto i sensi, per non dir nulla delle
sensi, per non dir nulla delle infinite idee accessorie e subalterne
che
hanno bisogno d’un vocabolo ad esser comprese, e
o corso di tante scene diverse una rappresentazione sarebbe lo stesso
che
l’accingersi a compiere un quadro senza prepararn
glianti, è acconcia bensì a mostrare una rapida successione di quadri
che
siano in movimento e in azione, ma non può se non
sione di quadri che siano in movimento e in azione, ma non può se non
che
troppo difficilmente farci vedere la connessione
a connessione fra essi. Come ci farà ella, per esempio, conoscere ciò
che
dipende dalla memoria, come sarebbe a dire che Br
esempio, conoscere ciò che dipende dalla memoria, come sarebbe a dire
che
Bruto nella Morte di Cesare è figliuolo di Giulio
sarebbe a dire che Bruto nella Morte di Cesare è figliuolo di Giulio,
che
l’ebbe egli da Servilia sorella di Catone, che l’
è figliuolo di Giulio, che l’ebbe egli da Servilia sorella di Catone,
che
l’ha colmato insin allora di benefizi, e che ha f
vilia sorella di Catone, che l’ha colmato insin allora di benefizi, e
che
ha fatto di già il suo testamento dove gli lascia
me far sapere a questo giovine per mezzo d’un gesto o d’una capriola,
che
Cesare è suo genitore? Come esporre alla vista ci
’una capriola, che Cesare è suo genitore? Come esporre alla vista ciò
che
accadde dietro alle scene cioè il biglietto trova
’animo mista d’ambizione e di tenerezza, in Marcantonio il cortigiano
che
serve senza perder di vista il proprio interesse,
esse, in Cassio il republicano inesorabile, in Bruto lo stoico feroce
che
porta fin nell’esercizio della virtù, i pregiudiz
tico componimento. Talmente avverrà in qualsivoglia azione continuata
che
si prenda ad imitare dalla mimica, la quale non p
esporre agli occhi la legatura degli oggetti fra loro, né il risalto
che
acquistano dalla riflessione, altro non farà che
loro, né il risalto che acquistano dalla riflessione, altro non farà
che
mutilare sconciamente i teatrali componimenti, e
gibile oscura, e per conseguenza non atta ad eccitare quell’interesse
che
mai non si genera senza la chiara percezion dell’
era senza la chiara percezion dell’oggetto. Come farebbe uno scultore
che
si credesse d’aver maravigliosamente espresso Rac
figure ch’egli volesse far passare per Tito, Berenice, ed Antioco, ma
che
altri collo stesso diritto prender potrebbe per E
tragedia od una commedia fatta coi soli gesti non è da maravigliarsi
che
non possa mantener le promesse fatte allo spettat
re. È bensì da stupire ch’ei non conosca la difficoltà d’eseguire ciò
che
promette, oppur conoscendolo, abbia il coraggio d
mimico. Per tali devono stimarsi la maggior parte degli odierni balli
che
ad eterna infamia di Tersicore, a perpetuo scorno
socco sulle degradate scene italiane superbamente passeggiano. Balli,
che
niuna connessione avendo col dramma né pel genere
ompagnia non per tanto di cui non potrei dolermi riflettendo a quella
che
toccò in sorte ad altri, che dall’isola di Lemno
non potrei dolermi riflettendo a quella che toccò in sorte ad altri,
che
dall’isola di Lemno tra Isipile, Giasone e gli Ar
non si mette veruna differenza tra chi danza nel proprio gabinetto e
che
si diverte in sollazzevole compagnia, tra chi si
sticolatori demoni, dove non solo si da senso e vita agli spettri (lo
che
pur si concede ai pittori ed ai poeti) ma si fann
endosi in iscena colle donne come nella Semiramide dell’Angiolini; lo
che
sebbene formi un quadro spaventoso e terribile, f
enza all’imaginazione184. Balli per lo più di soggetto così recondito
che
pochissimi spettatori ne sanno la storia, d’ordit
pochissimi spettatori ne sanno la storia, d’orditura così complicata
che
non vi si può tener dietro da chicchesia, d’azion
i si può tener dietro da chicchesia, d’azioni così cariche d’episodi,
che
il principale si confonde e si travvisa nell’acce
onde e si travvisa nell’accessorio, di significazione così arbitraria
che
ad ogni sortita vi si vorrebbe il suo dizionario,
riva del mare. Una truppa di danzatrici s’avvanza abbigliata in guisa
che
non sapete se greche siano od orientali, giacché
l coro, e si danno scambievolmente ballando segni di tenerezza, senza
che
gli spettatori possano comprendere il perché. Ecc
possano comprendere il perché. Ecco apparir in lontananza un vascello
che
veleggia verso la riva. I marinari sbarcano, adoc
stessa e la sua compagna dalla invasione. Un’altra truppa di marinari
che
sopraggiunge improvvisamente si scaglia contro la
ovvisamente si scaglia contro la prima per rubbar quelle prigioniere,
che
con mille salti e scambietti esprimono la sorpres
to il fischio de’ venti, i cupi tuoni, i lampi interrotti, e il cielo
che
tratto a tratto nereggia annunziano la vicina pro
lmini. Durante la tempesta, le due truppe si ricoverano in una grotta
che
giace sulla riva del mare. Ivi le fanciulle non p
o e della stanchezza cadono sdraiate sul terreno insieme coi marinari
che
non le perdono d’occhio giammai. Né prima s’erano
ri che non le perdono d’occhio giammai. Né prima s’erano addormentate
che
si vede muovere verso la scena un fanciullo appar
pitori, e fuggirsene. Ma destatisi questi inseguiscono il pargoletto,
che
s’invola frettoloso ai loro sguardi. Tornate in i
nate in iscena le danzatrici lo cercano dappertutto, finché trovatolo
che
s’era nascosto dietro ad uno scoglio, il riportan
ll’atto di partire avventa un piccolo dardo contro alla giovine greca
che
resta facendo delle contorsioni apparentemente pe
re sotto gli occhi l’argomento dell’anzidetto ballo con una chiarezza
che
certamente da niuno fra gli spettatori si ravvisa
spiegazione. Eppure ancora dopo la mia esposizione chi è quel lettore
che
abbia capito rappresentarsi in questo ballo le Fe
le dell’isola di Gnido? Il fanciullo esser l’amore fratello d’Imeneo,
che
viene a secondar le sue brame? La freccia scaglia
li credono d’ovviare gl’inventori del ballo, presentando il programma
che
spiega l’argomento. Ma la necessità d’un sì mesch
amma che spiega l’argomento. Ma la necessità d’un sì meschino ripiego
che
spesso è insufficiente a capir l’orditura, e che
sì meschino ripiego che spesso è insufficiente a capir l’orditura, e
che
sempre ne distrae l’attenzione dello spettatore d
a fra lo spettacolo e il libro, non pruova ella più d’ogni altra cosa
che
i balli sono altrettanti enimmi, i quali hanno bi
commento e d’interprete? «Ciò è lo stesso, diceva un uomo di spirito,
che
se un pittore dopo aver fornito un quadro mi pres
un paio d’occhiali per poterlo vedere». [41] Se grandi sono i difetti
che
si veggono nella composizione, non sono minori qu
o i difetti che si veggono nella composizione, non sono minori quelli
che
nella esecuzione s’osservano. Privi per mancanza
a filosofica dell’arte propria, i ballerini non sanno distinguere ciò
che
vuole una danza artifiziosa da ciò che vorrebbe u
rini non sanno distinguere ciò che vuole una danza artifiziosa da ciò
che
vorrebbe una facoltà imitativa, ma mischiano l’un
tà imitativa, ma mischiano l’una coll’altra, e la confondono in guisa
che
tu sei costretto a non vedere che il danzatore co
oll’altra, e la confondono in guisa che tu sei costretto a non vedere
che
il danzatore colà dove non cercavi che il pantomi
tu sei costretto a non vedere che il danzatore colà dove non cercavi
che
il pantomimo. Ciò si scorge ora nell’adoperar che
là dove non cercavi che il pantomimo. Ciò si scorge ora nell’adoperar
che
fanno sì spesso e senza verun discernimento il ba
dovrebbe dal teatro pantomimico onninamente sbandirsi siccome quello
che
nulla immitando, ed ogni muovimento del corpo ad
gl’impulsi della natura; dare infine al ballo l’anima e il muovimento
che
deve avere per generare l’interesse.» Quindi è ch
ma e il muovimento che deve avere per generare l’interesse.» Quindi è
che
gli eroi della favola o della storia imitati dai
lla storia imitati dai ballerini fanno presso a poco la stessa figura
che
i personaggi d’una tragedia rappresentata dai bur
colo agli occhi di chi stima dirittamente un Vespasiano, per esempio,
che
vestito all’eroica e in maestoso paludamento deci
udamento decide della vita di Sabino con una cavriola od un mulinetto
che
un Augusto, il quale perdona a Cinna col gesto e
ll’altro, e dandosi leggieri gentilissimi calci all’intorno nell’atto
che
si tratta di liberar Ifigenia dal sagrifizio di q
nell’atto che si tratta di liberar Ifigenia dal sagrifizio di quello
che
lo sia il far vedere Pilade ed Oreste, che con un
a dal sagrifizio di quello che lo sia il far vedere Pilade ed Oreste,
che
con un palmo e mezzo di statura vanno qua e là sa
invisibili ordigni. [42] Questi raffinamenti dell’arte mal applicati
che
travisano e sformano qualunque idea d’imitazione,
qualunque idea d’imitazione, hanno avuta nel ballo la stessa origine
che
nella musica. Perciò quanto s’è detto dell’una è
ll’una è perfettamente applicabile all’altro. E siccome abbiam veduto
che
i vizi introdottisi nella scienza armonica non al
ll’agilità della loro persona e della destrezza delle loro gambe (nel
che
non può negarsi che molti e bravi professori non
o persona e della destrezza delle loro gambe (nel che non può negarsi
che
molti e bravi professori non annoveri in oggi l’I
l’Italia) senza badare alla vera espressione degli affetti, quello è
che
ha rovinato la pantomima. Al che s’aggiunge come
espressione degli affetti, quello è che ha rovinato la pantomima. Al
che
s’aggiunge come un altra causa il cercar di spieg
ra causa il cercar di spiegare ad ogni modo col mezzo de’ gesti cose,
che
per le ragioni addotte di sopra non sono in verun
ioni addotte di sopra non sono in verun modo spiegabili; onde avviene
che
i ballerini si veggano costretti parte per imposs
ggiamenti un significato così strano, così capriccioso, così involuto
che
rimpetto ad esso diverrebono chiarissimi i cinesi
erinesco185; ma basti il fin qui detto per far comprendere al lettore
che
l’arte pantomimica o si riguardi la facoltà in se
ta pur la vorrebbono a’ nostri tempi i suoi fautori, appena può dirsi
che
sia nella sua fanciullezza, della quale havvi ogn
a nella sua fanciullezza, della quale havvi ogni apparenza di credere
che
non sia per sortire così presto. [43] Ma facciasi
on sia per sortire così presto. [43] Ma facciasi pure la supposizione
che
arrivi un giorno a perfezionarsi, converrebbe for
rno a perfezionarsi, converrebbe forse ai progressi del gusto lasciar
che
la mimica regni sulle scene dispoticamente, come
mpagnia del dramma? Permettasi ai miei giusti timori la dura sentenza
che
m’ispirano essi. Se vogliamo conservare gli altri
gustarci d’ogni altro spettacolo drammatico agguisa dei liquori forti
che
incalliscono, a così dire, il palato, e insensibi
ra efficace. Se la intende cogli occhi più facili ad essere ingannati
che
non lo sono le facoltà dell’anima. Mette in parti
re senza obbligarlo a pensare. Dispensa da quell’attenzione laboriosa
che
richiede una tragedia recitata, od una commedia.
una commedia. Colpisce l’anima con una folla di sensazioni complesse,
che
tengono in perpetua azione la sensibilità. Unisce
suoni. Offrendo alla vista le varie mosse, e le seducenti attitudini
che
possono prender le membra del corpo umano regolat
resì l’idee della bellezzan fisica, e con esse l’immagine dei diletti
che
ne vanno congiunte. Gli occhi veggono, la fantasi
ne fa le sue fiamme in lui più vive». [44] Questo complesso di cause
che
producono quasi sempre il loro effetto, siccome r
ono quasi sempre il loro effetto, siccome rende ragione del trasporto
che
mostra il pubblico per la pantomima, così ne porg
il pubblico per la pantomima, così ne porge fondati motivi di credere
che
ovunque sarà coltivata quest’arte torrà infallibi
no alla tragedia, alla commedia, al canto, e ad ogni altro spettacolo
che
abbisogni di più dilicatezza a comporsi, e di mag
be conoscere assai poco il sistema dei teatri italiani per lusingarsi
che
possa altrimenti accadere. Il volgo (e in questo
volgo (e in questo nome comprendo non la sola plebe, ma tutti coloro
che
nella mancanza di coltura e di gusto s’avvicinano
di coltura e di gusto s’avvicinano ad essa) il volgo, dico, è quello
che
regola gli spettacoli, e della sorte loro imperio
vrana. Come dunque si può con qualche ragionevolezza aspettare da lei
che
diventi sobria di propria scelta e regolata nell’
n maggior dose in mezzo alla disattenzione e alla spensieratezza? Ah,
che
tale non è il pendio dell’umana natura, né tale l
rendenti della mimica presso ai Romani, e si vedrà non solo il guasto
che
diede ai costumi, ma il danno che indi si derivò
mani, e si vedrà non solo il guasto che diede ai costumi, ma il danno
che
indi si derivò alla drammatica più giudiziosa, co
che indi si derivò alla drammatica più giudiziosa, cosicché a misura
che
venne crescendo il regno de’ pantomimi disparve a
affatto dalle scene latine quello dei buoni poeti. S’attenda al piede
che
va ora pigliando in Italia, e se v’ha qualcheduno
ttenda al piede che va ora pigliando in Italia, e se v’ha qualcheduno
che
assistito si creda da profetico spirito, mi dica
brar troppo rigorosa a più d’uno de’ miei lettori. Ned io contrasterò
che
atteso lo stato attuale degli spettacoli in Itali
l’indole degli spettatori, cioè di que’ sibariti in materia di gusto,
che
vogliono il godimento senza la fatica di ricercar
a di gusto, che vogliono il godimento senza la fatica di ricercarlo e
che
amano la diversità nei piaceri perché si confà co
nza, l’esiliare affatto la pantomima dal melodramma sarebbe lo stesso
che
togliere un diletto di più senza rimediare alle a
che togliere un diletto di più senza rimediare alle altre sconvenenze
che
vi s’osservano. Però se si vuol lasciare si lasci
e vi s’osservano. Però se si vuol lasciare si lasci, ma in guisa tale
che
punto non nuoca all’effetto del dramma spezzandol
de pei sovraccennati riflessi la vorrei esclusa irremissibilmente. So
che
mi s’opporrà in contrario l’usanza, ma io ho avve
to i miei lettori a non regolare i loro giudizi sull’esempio di essa,
che
un’autorità di più non avrebbe oramai a generare
iù non avrebbe oramai a generare in loro un effetto diverso da quello
che
una scomunica del muftì produrebbe su un controve
oversista romano. Dovrebbe soltanto la pantomima aver luogo terminato
che
fosse il dramma, e se questo sarà troppo lugubre
fosse il dramma, e se questo sarà troppo lugubre e tragico, il ballo
che
vi s’introduce potrebbe convenevolmente essere d’
s’introduce potrebbe convenevolmente essere d’un genere diverso; dal
che
ne risulterebbero non pochi vantaggi. Il primo di
ntaggi. Il primo di temperare la troppo forte impressione di mestizia
che
lasciata avesser nell’animo dello spettatore i tu
Il terzo di schivar il difetto della trasposizione di scena nel tempo
che
si suppone esistere ancora quella del dramma, dif
a nel tempo che si suppone esistere ancora quella del dramma, difetto
che
rinuova in certo modo sul teatro il miracolo dell
rgomento senza discapitare nel buon senso; perocché allora si suppone
che
sia essa non un intermezzo ma uno spettacolo nuov
46] Ma come riempiere allora (m’obbietterà taluno) lo spazio di tempo
che
resta tra un atto e l’altro del dramma? Nel modo
di tempo che resta tra un atto e l’altro del dramma? Nel modo stesso
che
suol riempirsi nella tragedia anzi più acconciame
degl’interatti mantenendo nel cuore degli spettatori le disposizioni
che
vi lasciò l’ultima scena, preparandoli a gustare
oni che vi lasciò l’ultima scena, preparandoli a gustare i sentimenti
che
verranno dopo, e mettendo in tal modo una conness
connessione, un vincolo fra tutte le parti dello spettacolo. Costume
che
riesce quivi assai meglio adattato e più naturale
tacolo. Costume che riesce quivi assai meglio adattato e più naturale
che
nella tragedia o nella commedia recitata, perocch
zione di parlare e non quella di suonare, il sentir poi gli strumenti
che
fanno in certo modo da interlocutori, non va disg
a di gusto. Così quando dopo le vive agitazioni di Seid e di Palmira,
che
tanto m’aveano intenerito alla fine dell’atto qua
del Maometto, sento all’improviso la prima arcata dei violini, parmi
che
questi vogliano rasciugar le mie lagrime dicendom
ar le mie lagrime dicendomi: «Non istate a creder niente; non è altro
che
una traduzione dell’Abbate Cesarotti.» 161. [Nd
rotti.» 161. [NdA] Veggasi l’opera del celebre Warburthon, Inglese,
che
ha per titolo Saggio sopra i Geroglifici, §§ 8. e
zioso libro intitolato lo Spirito, va ancora più avanti, e supponendo
che
l’accennato costume non fosse abbastanza efficace
accennato costume non fosse abbastanza efficace avrebbe voluto di più
che
ad eccitar negli Spartani l’entusiasmo, o com’ei
o delle antiche vestali, le quali servir dovessero di premio a coloro
che
si fossero diportati meglio nella zuffa. Così, di
ù virtuosi, perché la virtù cresce in proporzione del maggior piacere
che
le s’offre in premio, e perché i maggiori anzi i
n voglio far da casista coll’Elvezio esaminando lo strano significato
che
da egli alla parola virtù; ciò sarebbe lo stesso
rano significato che da egli alla parola virtù; ciò sarebbe lo stesso
che
citare le controversie del Bellarmino argomentand
bonzo del Giappone. Né mi fermerò a ribattere la falsissima opinione
che
i piaceri de’ sensi siano i maggiori anzi i soli
i della vita; ciò mi condurrebbe più oltre del bisogno. Ma dirò bensì
che
questo celebre scrittore mostra d’ignorare non me
nsì che questo celebre scrittore mostra d’ignorare non meno la storia
che
in vera politica de’ Lacedemoni. Tanto è egli lon
ia che in vera politica de’ Lacedemoni. Tanto è egli lontano dal vero
che
Licurgo pensasse a procurare a suoi allievi per p
o pensasse a procurare a suoi allievi per premio il piacere de’ sensi
che
non vi fa mai al mondo legislatore più austero, n
cere de’ sensi che non vi fa mai al mondo legislatore più austero, né
che
più cercasse di rimuovere dal suo popolo ogni mol
overe dal suo popolo ogni mollezza, ogni e qualunque piacere corporeo
che
sortisse dal puro necessario. Il suo codice legis
l godimento aveva anzi uno scopo diametralmente opposto. Conobbe egli
che
bisognava dar alle donne le virtù degli uomini pe
degli uomini perché quelle non dassero a questi le proprie debolezze,
che
faceva d’uopo ispirare ad esse il coraggio, la to
a pigrizia, l’effemminatezza, la voluttà, e lo spirito di frivolezza;
che
il soverchio pudore non andando mai disgiunto da
egno ch’egli voleva, onde bisognava sminuirlo fino ad un certo punto,
che
l’avezzarsi a riguardar certi oggetti colle dovut
ezzarsi a riguardar certi oggetti colle dovute cau-tele era lo stesso
che
rintuzzare in non piccola parte la loro attività,
era lo stesso che rintuzzare in non piccola parte la loro attività, e
che
però la totale nudità delle donzelle Spartane esp
meno pericolosa ad uomini induriti dalla educazione contro ai piaceri
che
non lo è per uomini avviliti e degradati quali no
ano una parte del loro corpo se non per rendere più seducente l’altra
che
scuoprono. Io non dico se bene o male s’avvisasse
hé non sarebbe questo il luogo d’entrare in siffatra ricerca, ma dico
che
tale fu realmente lo spirito di quella sua legge
NdA] L’inverosimiglianze a cui diede luogo il coro furono così grandi
che
giunsero a far ristuccare di esso gli uditori a s
tico autore) ad alzarsi dai sedili, e abbandonar lo spettacolo subito
che
cominciava la cantilena. I poeti dal loro canto n
nsiero d’Eschilo allorché introduce nell’Eumenidi il coro delle furie
che
russavano ridicolamente, come tale può credersi a
elle furie che russavano ridicolamente, come tale può credersi ancora
che
fosse la fantasia d’Aristofane, allorché componev
allorché componeva i suoi cori d’uccelli, di vespe e di rane. Mi pare
che
questa inrerpretazione faccia più onore a’ greci
pare che questa inrerpretazione faccia più onore a’ greci drammatici
che
non il crederli capaci di introdurre seriamente t
] Fu tanto singolare un ballo allegorico eseguito in Londra nel 1709,
che
ho giudicato opportuno l’apporne quivi per curios
monarca col piede e col bastone un personaggio taciturno ed immobile
che
riceveva i colpi con una pazienza degna d’Epittet
n una pazienza degna d’Epitteto senza scuotersi né vendicarsi con chi
che
fosse. Questo muto personaggio significava il pop
ambiando di luogo ad ogni mossa, sottentrava al suo antecessore senza
che
apparisse veruna distinzione tra le figure. Così
sarebbe stato rappresentato probabilmente sotto l’emblema d’una madre
che
careggiava i figli affollantisi all’intorno con t
metria, e ne facessero perdere la pazienza ai suonatori. Tanto è vero
che
gli uomini giudicano degli oggetti a misura delle
udicano degli oggetti a misura delle disposizioni del loro spirito, e
che
tutti più o meno rassomigliamo a quei popoli dell
ito, e che tutti più o meno rassomigliamo a quei popoli della Guinea,
che
prestano agli angioli del paradiso il proprio col
o Martin, spagnuolo pensionato di S. A. il Signor principe d’Asturias
che
ha prodotti in questo genere di musica parecchi s
e in Germania. 183. [NdA] Ballo comico intitolato il Don Quisciotte
che
servì d’intermezzo anni sono ad un opera buffa.
i sono ad un opera buffa. 184. [NdA] Mi s’opporrà l’esempio d’Enea,
che
«tenues ferro diverberat umbras», l’autorità d’Om
pio d’Enea, che «tenues ferro diverberat umbras», l’autorità d’Omero,
che
introduce Diomede combattendo cogli dei, e quella
mero, che introduce Diomede combattendo cogli dei, e quella d’Ossian,
che
nel poema di Carricatura ci rappresenta Fingal az
olta è abbandonata a se stessa, e n’ingigantisce gli oggetti a misura
che
gli sente. Nella rappresentazione ella è circoscr
itta dai sensi, e per conseguenza non può spaziare al di là di quello
che
questi le somministrano, e che viene appoggiato a
za non può spaziare al di là di quello che questi le somministrano, e
che
viene appoggiato ad un’intima persuasione. Ciò è
o, e che viene appoggiato ad un’intima persuasione. Ciò è tanto vero,
che
la battaglia di Fingal collo spirito, benché rapp
gal collo spirito, benché rappresenti il più fiero e magnifico quadro
che
abbia mai prodotto l’epica poesia, diventerebbe n
l’epica poesia, diventerebbe nonostante sconcio e ridicolo trasferito
che
fosse alla drammatica. Rispetto agli altri due es
pi, Enea non m’offre degli spettri azzuffati cogli uomini, ma un’uomo
che
vorrebbe far fronte agli spettri. Omero in più lu
za siamo noi preparati a veder lottare una donna con un’ombra? L’idea
che
ci fermiamo delle ombre è altra forse che quella
donna con un’ombra? L’idea che ci fermiamo delle ombre è altra forse
che
quella d’un corpo aereo sottilissimo impalpabile,
di ciò si possono vedere in tre Lettere piene di filosofia e di gusto
che
intorno ai balli pantomimici scrisse il Dottore M
sto che intorno ai balli pantomimici scrisse il Dottore Matteo Borsa,
che
si trovano inserite negli Opuscoli di Milano.
amorato. Francesco Bartoli, seguìto poi dal Sand e dagli altri, dice
che
lo Scala si pose alla testa de' Comici Gelosi che
e dagli altri, dice che lo Scala si pose alla testa de' Comici Gelosi
che
andarono a Parigi per privilegio ottenuto da Arri
(op. cit.) se davvero figurasse in quella Compagnia più tosto questo
che
quel comico, e se davvero ne fosse capo lo Scala,
ebbe tale da escluderlo assolutamente dai Gelosi. Come mai l’Andreini
che
nelle Bravure del Capitano Spavento enumera tutti
ppresentative, facendo dell’artista il più largo elogio ? E infatti :
che
ci sarebbe stato a fare quell’Innamorato accanto
al fianco d’Isabella Andreini, per la quale avea composto gli Scenarj
che
la misero più in voga, come La fortunata Isabella
ella Corte di Bruxelles, nelle Fiandre e in Brabante. « Fra i comici,
che
divertivano la Corte di Mantova nel gennajo 1606
Spinola. » Del 1610 abbiamo una lettera da Ravenna in data 24 marzo,
che
il Cardinale Caetani scrive al Duca di Modena, pr
Cardinale Caetani scrive al Duca di Modena, pregandolo di dar ordine
che
capitando Flaminio Scala nel suo Stato con Compag
r comedie, e ciò perchè gli era stato dato da lui il maggior disgusto
che
potesse dargli huomo della sua conditione. E nel
nome di Flavio (lasciatoci dal Ruzzante), specchio degli Innamorati,
che
, bello, galante, poeta, musicista, gentile come u
o non è scritto in dialogo, ma solamente esposto in semplici scenarj,
che
non sono così concisi come quelli di cui facciamo
arj, che non sono così concisi come quelli di cui facciamo noi uso, e
che
esponiamo attaccati ai muri del teatro dietro le
so, e che esponiamo attaccati ai muri del teatro dietro le quinte, ma
che
pure non sono tanto prolissi da poterne trarre la
oterne trarre la minima idea del dialogo : essi spiegano soltanto ciò
che
l’attore deve fare in scena, e l’azione di che si
spiegano soltanto ciò che l’attore deve fare in scena, e l’azione di
che
si tratta, e nulla più. E li dice cattivi e scan
verbo a verbo come s’usa di fare ; ma perchè oggidì non si vede altro
che
comedie stampate con modi diversi di dire, e molt
on sdegnino d’onorar le sue fatiche da lui composte non ad altro fine
che
per dilettare solamente, lasciando il dilettare e
eme, come ricerca la poesia, a spiriti rari e pellegrini. Vedasi ciò
che
dice Evaristo Gherardi, ottant’anni più tardi, di
dasi ciò che dice Evaristo Gherardi, ottant’anni più tardi, di coloro
che
recitan le commedie a soggetto. Andrea Perucci pi
frare i lazzi e tutte le minuzie necessarie, con aver cura delle cose
che
fanno di bisogno per la comedia. Il Perucci pre
impresa, nè vi si devono porre se non persone idonee ed intendenti, e
che
sappiano che vuol dire regola di lingua, figure R
i si devono porre se non persone idonee ed intendenti, e che sappiano
che
vuol dire regola di lingua, figure Rettoriche, tr
tropi, e tutta l’ arte rettorica, avendo da fare all’ improvviso ciò
che
premeditato fa il poeta…. ma quando esse abbiano
ovvisa. Per esempio : recitando all’ improvviso è più facile impedire
che
il personaggio che entra in iscena s’ incontri co
: recitando all’ improvviso è più facile impedire che il personaggio
che
entra in iscena s’ incontri con quello che esce,
mpedire che il personaggio che entra in iscena s’ incontri con quello
che
esce, perchè parlando, ed aggiungendo parole sop
a la materia, si può vedere quale scena sia occupata dal Personaggio,
che
sarà per uscire, e non entrare per quella ; ma pe
Rimediare alle scene vuote e mute si può altresì più all’improvviso,
che
al premeditato, potendo ciascuno uscire sopra il
uscire sopra il tenore della scena antecedente, e parlare fin a tanto
che
venga a chi toccherà d’uscire. Noi, grazie a Dio
co o con un monologo o con una scena, finchè non entri il personaggio
che
deve entrare, ne abbiamo ancora. Della eccellenza
Davari, nelle quali Don Giovanni De' Medici si oppone strenuamente a
che
alcuni de'suoi comici Confidenti (Mezzettino Onor
ssino a richiesta di Lelio e di Florinda, a far parte della Compagnia
che
il Duca di Mantova vorrebbe inviare in Francia. L
dal Duca, Don Giovanni scrive alla Duchessa (Venezia, 2 aprile 1618)
che
pensando potesse essere la venuta della sua Compa
Scapino e Mezzettino (V. Gabbrielli Francesco e Onorati Ottavio) non
che
lo Scala, rassegnandosi a vedere lo sfascio della
a e dello spirito. E dice inoltre : Non negherò ancora Ser.mo Sig.re
che
amando io Flaminio Scala et desiderandogli ogni b
i ogni bene, nè potendo io come povero Cav.re farli di quei benefizij
che
i Principi grandi sanno et possono fare a loro ca
e a loro cari servi.ri, ho cercato col tener questa compagnia insieme
che
egli possa sostentarsi cavandone utile che verame
r questa compagnia insieme che egli possa sostentarsi cavandone utile
che
veramente mi rincresce che resti tolto a questo p
che egli possa sostentarsi cavandone utile che veramente mi rincresce
che
resti tolto a questo povero galanthuomo che sempr
he veramente mi rincresce che resti tolto a questo povero galanthuomo
che
sempre è vissuto in maniera da capir per tutto. T
to. Tuttavia può tanto in me il desiderio di servire et gustare V. A.
che
senza far reflessione sopra cosa alcuna accomoder
gusto, nè penserò più a' commedianti, et lo Scala è tanto galanthuomo
che
egli medesimo instantemente mi ha pregato ch' io
mo instantemente mi ha pregato ch' io operi in questo affare in guisa
che
V. A. resti servita di conoscere ch' egli serve v
i serve volontieris.° a gran Principi suoi pari senz' altro interesse
che
di buon ser.re, che è debito suo, rimettendo ogni
° a gran Principi suoi pari senz' altro interesse che di buon ser.re,
che
è debito suo, rimettendo ogni altra cosa nell’arb
e'suoi Padroni. Ma ahimè ! quel povero Don Giovanni non seppe più da
che
canto rifarsi per avere un po' di pace. I comici
el Capocomico di buon cuore prevalse la ragione de' comici, tanto più
che
i personaggi richiesti dal Duca non lo eran per s
eme a Lelio e Florinda. Vale la pena ch' io dia qui intera la lettera
che
Don Giovanni scrisse da Venezia il 21 marzo 1620
Sig.r Flaminio Scala, et io quasi quasi gli avevo consigniato non so
che
ostriche per Mad.ª Ser.ma, ma domandandogli poi,
nsigniato non so che ostriche per Mad.ª Ser.ma, ma domandandogli poi,
che
buon vento lo spingeva in costà, mentre si assett
scritta su le 6 hore, la quale letta da me mi indusse subito a dirgli
che
non occorreva ne per acqua ne per terra che egli
i indusse subito a dirgli che non occorreva ne per acqua ne per terra
che
egli venissi in costà, se non haveva altro negozi
e per terra che egli venissi in costà, se non haveva altro negozio in
che
servire S. A. che di far la compagnia per mandare
li venissi in costà, se non haveva altro negozio in che servire S. A.
che
di far la compagnia per mandare in Francia, poich
per mandare in Francia, poichè il concerto fatto con esso, io sapevo
che
non poteva in modo alcuno havere effetto. In quan
vere effetto. In quanto però appartiene alla compagnia de Confidenti,
che
sta ancora sotto la mia protezione, essendosi mit
osi mitissimamente ristabilita, nella quale ancor' egli si ritrova et
che
quanto a altri comici che S. A. fa trattenere cos
lita, nella quale ancor' egli si ritrova et che quanto a altri comici
che
S. A. fa trattenere costì, soggiunsegli che non v
che quanto a altri comici che S. A. fa trattenere costì, soggiunsegli
che
non vedevo quello che egli vi havesse che fare, e
ici che S. A. fa trattenere costì, soggiunsegli che non vedevo quello
che
egli vi havesse che fare, et dissigli di più, che
ttenere costì, soggiunsegli che non vedevo quello che egli vi havesse
che
fare, et dissigli di più, che mi maravigliavo che
e non vedevo quello che egli vi havesse che fare, et dissigli di più,
che
mi maravigliavo che essendo egli informatissimo d
che egli vi havesse che fare, et dissigli di più, che mi maravigliavo
che
essendo egli informatissimo della rissolutissima
asse a venir costà con le mani piene di vento, et soggiungendomi egli
che
si moveva per ubbidire, io gli supplicai, che già
et soggiungendomi egli che si moveva per ubbidire, io gli supplicai,
che
già che egli sapeva non poter servire a cosa alcu
iungendomi egli che si moveva per ubbidire, io gli supplicai, che già
che
egli sapeva non poter servire a cosa alcuna nel c
i sapeva non poter servire a cosa alcuna nel concertato suo con S. A.
che
mi pareva prima di dovere io scrivere a V. S. qua
aggio a sproposito ; et così lo fermai di testa. Dico adunque a V. S.
che
al ritorno di Monferrato del detto Scala, con la
a, con la lettera di S. A. io risposi all’A. S. come ella può sapere,
che
all’ hora haverebbe la compagnia satisfatto all’
sapere, che all’ hora haverebbe la compagnia satisfatto all’ obbligo
che
haveva qui in Venezia, e poi a quaresima harei pr
ciavo (come si dice) cuocere nel loro grasso, ma venuta la quaresima,
che
le minestre son più magre, quando l’uno e quando
me, non una volta, ma ben quattro, mi son venuti a dire et protestare
che
assolutissima.te non si volevan disunire di sieme
olevan disunire di sieme, et havendogli io più volte detto et ridetto
che
non mi volevo impacciare di questo affare ma che
lte detto et ridetto che non mi volevo impacciare di questo affare ma
che
gli farei sapere quanto mi pareva bene per utile
rnorno tutti a dire, con humiliss.e preghiere di non gli abbandonare,
che
erono rissolutiss.i di non si voler disunire, ne
issolutiss.i di non si voler disunire, ne separare in modo alcuno, et
che
però in tal modo io gli comandasse che erano pron
ne separare in modo alcuno, et che però in tal modo io gli comandasse
che
erano prontiss.mi ad ubbidire, ma altrimenti più
e col dividersi, più tosto harebbono eletto di fare ogni vil mestiero
che
più recitare, e tutto hanno fondato, secondo me,
itare, e tutto hanno fondato, secondo me, sul vedere il buon guadagno
che
hanno fatto quest’ anno. Io Sig.r Hercole mio per
Io Sig.r Hercole mio per parlar con V. S. alla libera vedendo in quel
che
consiste e da quel che depende la loro risoluzion
r parlar con V. S. alla libera vedendo in quel che consiste e da quel
che
depende la loro risoluzione, non ho saputo, ne an
e per tutto l’anno, come ogni uno di loro quest’ anno s’è guadagnato,
che
prima che scriverlo, creda pur V. S. che l’ ho vo
o l’anno, come ogni uno di loro quest’ anno s’è guadagnato, che prima
che
scriverlo, creda pur V. S. che l’ ho voluto molto
quest’ anno s’è guadagnato, che prima che scriverlo, creda pur V. S.
che
l’ ho voluto molto ben vedere e toccar con mano.
a dirmi, come potevo io dire, tu hai da andare, tu hai da restare, tu
che
sei primo diventar secondo, et fra huomini dove è
? Che atto di cortesia o di gratitudine harei io dimostrato a costoro
che
per 7 anni continui mi hanno obbedito al cenno, s
vero, son persona dolce, ne so far male a chi mi riverisce. V. S. sà
che
'l mondo si governa con l’opinione ; questi pover
per le ragioni dette, non ho saputo trovar parole da principiare non
che
da persuaderglielo. Però gli ho risposto che facc
arole da principiare non che da persuaderglielo. Però gli ho risposto
che
faccin bene che io gli aiuterò sempre, e così li
iare non che da persuaderglielo. Però gli ho risposto che faccin bene
che
io gli aiuterò sempre, e così li ho licenziati. M
licenziati. Mi sono ben fatto promettere da ciascuno in particolare,
che
sempre, che per qual si voglia accidente si disun
Mi sono ben fatto promettere da ciascuno in particolare, che sempre,
che
per qual si voglia accidente si disunischino, ogn
arà quel ch' io vorrò. V. S. vede ch' io non ho lasciato di fare quel
che
potevo ma visto che non bastava per complice a qu
ò. V. S. vede ch' io non ho lasciato di fare quel che potevo ma visto
che
non bastava per complice a quel che harebbe volut
di fare quel che potevo ma visto che non bastava per complice a quel
che
harebbe voluto S. A. ho fatto alla cortigiana ; e
e voluto S. A. ho fatto alla cortigiana ; et più tosto volevo tacermi
che
scriver cosa di poco gusto, nondimeno perchè la l
icato bene dargliene parte acciò S. A. ne resti informata, confidando
che
la distrezza di V. S. gliene porgerà in quella ma
confidando che la distrezza di V. S. gliene porgerà in quella maniera
che
è proporzionata al sommo desiderio che ho sempre
iene porgerà in quella maniera che è proporzionata al sommo desiderio
che
ho sempre di servire a S. A. in ogni cosa. Io che
al sommo desiderio che ho sempre di servire a S. A. in ogni cosa. Io
che
conosco i nobiliss.i concetti dell’A. S. et la su
poveri huomini senza suo servizio particolare, perchè credami V. S.,
che
questi separati, non darebbono ne in ciel ne in t
. S., che questi separati, non darebbono ne in ciel ne in terra, anzi
che
S. A. manderebbe in Francia la torre di Babel e n
t io gli ho per scusati, perché ancor' io più volentieri ho comandato
che
ubbedito, et questo è desiderio innato in ciascun
io innato in ciascun’ huomo, et però ardisco di dire immutabile, anzi
che
cresce cogli anni. Però creda V. S. ch' io stimo
immutabile, anzi che cresce cogli anni. Però creda V. S. ch' io stimo
che
sia servitio di S. A. che di questo negozio non s
e cogli anni. Però creda V. S. ch' io stimo che sia servitio di S. A.
che
di questo negozio non se ne tratti, perchè non è
ozio non se ne tratti, perchè non è proporzionato alla sua Grandezza,
che
quattro commedianti si allontanino dal suo gusto,
a Grandezza, che quattro commedianti si allontanino dal suo gusto, et
che
lasciando in parte il dovuto rispetto non stiano
re gli inconvenienti. Non voglio anche tacere a V. S. un mio pensiero
che
io tengo per sicuriss.° che la prudenza di S. A.
glio anche tacere a V. S. un mio pensiero che io tengo per sicuriss.°
che
la prudenza di S. A. conosca tutte queste cose mo
la prudenza di S. A. conosca tutte queste cose molto meglio di me, ma
che
l’ importunità di tutti cotesti comici di cotesta
gliela confidentemente, io non mi curo punto di rompere una Compag.ia
che
dipende da me per dar gusto a commedianti che per
i rompere una Compag.ia che dipende da me per dar gusto a commedianti
che
per invidia hanno concertato et vorrebbono urtarl
me si suol dire) quasi peccato, e tanto più senza cavarne il profitto
che
forse si spera. Sono stato lungo, ma era necessar
, perchè egli, come buona persona, veniva a toccare una nasata, et io
che
hoggi mai ho la barba più bianca che nera, ho sti
niva a toccare una nasata, et io che hoggi mai ho la barba più bianca
che
nera, ho stimato sia meglio così et rimettere il
stimato sia meglio così et rimettere il tutto nella prudenza di V. S.
che
saprà con la conveniente circuspezione et riveren
, certi impeti vivaci, soliti a regnare nelle menti de gran Principi,
che
dai buoni ser.ri devon’ essere desiderati quieti
o cessano le notizie della vita artistica di Flaminio Scala, di colui
che
, se non migliorò la commedia dell’arte, la svilup
nuovi e più varj atteggiamenti. Da questa lettera di ringraziamento,
che
esso Scala inviò al Duca non appena giunto a Vene
n appena giunto a Venezia, vien fuori un nuovo personaggio, la Livia,
che
parrebbe, all’ascendente che esercita su lui, una
en fuori un nuovo personaggio, la Livia, che parrebbe, all’ascendente
che
esercita su lui, una moglie in calzoni. Ser.mo Si
ro a pena mi diede tempo di mandarlo a pigliare et perchè à giudicato
che
non sia per me pover huomo, me ne ha dette tante
rchè à giudicato che non sia per me pover huomo, me ne ha dette tante
che
m’ha havuto a far perdere la patienza, ond’in vec
Ser.mo Sig.re. Starò attendendo i comandamenti de V. A. et sia certa
che
la servirò conforme la mia obligatione et in quan
d.° Flavio. Parmi ozioso il fermarsi sul granchio preso dal Quadrio,
che
fa moglie dello Scala Orsola, detta in commedia F
Cecchini valentissimo allievo dello Scala, trae la probabile ipotesi
che
la Cecchini fosse una figlia del maestro maritata
e, metterò qui un madrigale del Petracci, e il sonetto dell’Andreini,
che
dicon chiaro le lodi dell’autore e dell’opera :
le invidia paga il doloroso fio : Godi dunque felice un tanto honore,
che
'l mondo in premio delle tue fatiche lieto ti por
Compagnia, (Milano, Malatesta, 1652), sono le lodi artistiche di lei,
che
sostenne la parte della protagonista, espresse ne
onar di stelle il tuo pentire. Vn gentiluomo Cremonese. A Maddalena,
che
terge i Pié di Christo con i Capegli. Et Capillis
n Theatro rappresentando Maddalena Delle gemme disprezzatrice. A
che
, o bella pentita frenetica divota, sprezzi perle
ni). Il Bartoli riferisce di lei il seguente aneddoto : In occasione
che
questa Comica recitava in Venezia con grido, vi f
sione che questa Comica recitava in Venezia con grido, vi fu un tale,
che
invaghito del di lei merito, pensò di acquistarsi
tamente il presentato Sonetto, e lo trovarono si goffo e disgraziato,
che
non poterono far a meno di prorompere in una sole
eno di prorompere in una solenne risata. L’ Abriani disse alla Coris,
che
voleva mortificare lo scimunito innamorato, e il
o scimunito innamorato, e il giorno appresso fece capitare il sonetto
che
segue ad una brigata d’ amici, fra’ quali eravi l
ca illustre, un tal mosso a far versi alcuni ne sputò de’ così tersi,
che
parver d’ un Toscan nato in Canaria. Di rime in p
sa una mistura varia fece, e di piedi e numeri diversi, ma soavi così
che
amica fersi l’ asinesca d’ amor turba gregaria.
un altro sonetto sopra il medesimo soggetto, ed inviollo alla Coris,
che
lo trovò del tenore seguente : ( ?) Son così dol
ò del tenore seguente : ( ?) Son così dolci, Eularia, i bei concetti
che
v’ escon dalla bocca saporita, che nè Saffo, nè L
osì dolci, Eularia, i bei concetti che v’ escon dalla bocca saporita,
che
nè Saffo, nè Laura, o Margherita, nè il Petrarca
direbbe, leccandosi le dita, questi dell’alma mia sono i confetti. Ma
che
sto a dir ! Qualor voi favellate d’Orfeo mi pare
a dir ! Qualor voi favellate d’Orfeo mi pare il suon sentire allora,
che
le fiere traea quasi incantate. Ma questo è poco
pio dell’articolo, un punto interrogativo, non osando io di affermare
che
Orsola ed Eularia sieno qui la stessa persona. De
mare che Orsola ed Eularia sieno qui la stessa persona. Della Eularia
che
rappresentò la Maddalena dell’Andreini non abbiam
che rappresentò la Maddalena dell’Andreini non abbiamo altre notizie
che
quelle già riferite. Dell’Orsola, non mai da alcu
Orsola, non mai da alcuno citata, abbiamo le seguenti lettere inedite
che
pubblico per gentile comunicazione del cav. Davar
mantovano dei Gonzaga. Ser.ma Altezza, Ho havuto haviso da Flaminio
che
à otenuto dal S.mo Gran Duca le licenze per tutta
le nuove da Firenze l’A. V. Io invio il mio servitore a Mantova acciò
che
questa mia le giunga più presto di quello che far
rvitore a Mantova acciò che questa mia le giunga più presto di quello
che
farebbe per la posta, prego l’A. V. a favorirmi d
era per Flaminio, ma scritta di bon inchiostro, il tenore sij questo,
che
venga quanto prima alla compagnia e non la facci
per Franccia, tanto meglio può lassarla, non andando molto lontano ;
che
guardi bene a non trasgredire a suoi comandi che
ando molto lontano ; che guardi bene a non trasgredire a suoi comandi
che
altrimente sarà per risentirsi, poi chè il suo gu
oi comandi che altrimente sarà per risentirsi, poi chè il suo gusto è
che
la compagnia cominci presto e guadagni bene. V. A
guadagni bene. V. A. questa volta facci un poco il cospetone. Questo
che
le scrivo è solo perchè Flaminio si è lasciato in
scrivo è solo perchè Flaminio si è lasciato intendere qui in Bologna
che
per tutto estate non vuol partirsi di Roma, e que
può trovare temerità magiore, mi honori dunque di porre nella lettera
che
la ragazza faci quello che viene a bisogno come l
e, mi honori dunque di porre nella lettera che la ragazza faci quello
che
viene a bisogno come l’anno passato, non conoscen
l’anno passato, non conoscendola buona a far cosa di più, acenandole
che
V. A. si maraviglia che facci questa dimanda così
oscendola buona a far cosa di più, acenandole che V. A. si maraviglia
che
facci questa dimanda così spropositata, mentre no
a dimanda così spropositata, mentre non dovrebbe neanche fiatare, non
che
far domande inlecite, considerando che tira una p
dovrebbe neanche fiatare, non che far domande inlecite, considerando
che
tira una parte e meza, perchè non merita neanche
esto particolare. Le giungerà per la posta di Venetia una mia lettera
che
sarà di quatro o cinque righe in circa sopra ques
à di quatro o cinque righe in circa sopra questo tenore, ma dubitando
che
le giunga troppo tardi scrivo questa e la mando p
o tardi scrivo questa e la mando per il servitore a posta. La patente
che
V. A. m’à concesso non è come quella che à dato a
ervitore a posta. La patente che V. A. m’à concesso non è come quella
che
à dato a Flaminio ond’io la bramerei come quella
on è come quella che à dato a Flaminio ond’io la bramerei come quella
che
dice per essere rafermato nella sua servitù haven
servitù havendo servito con deligienza ve le concedo per bene merito
che
goda etcetera. Scusi per gratia del troppo ardire
goda etcetera. Scusi per gratia del troppo ardire e mi conceda quello
che
ò dimandato, accompagnato con una lettera di racc
mpagnato con una lettera di raccomandazione per me al S.mo Gran Duca,
che
le prometto di star un pezo ad infastidirlo. Le i
rovano a cantare, voi fareste disperarmi, poichè sono tanto importune
che
non credo possa far di meno di non disperarsi lez
perarsi leziendole, lo prego però a perdonarmi del ardire, conoscendo
che
il tutto nasce dalla necessità che mi stimola ad
perdonarmi del ardire, conoscendo che il tutto nasce dalla necessità
che
mi stimola ad essere ardita. Son gionta in Ligorn
laminio, ma perchè la compag.ia non è compita non abiamo quel udienza
che
supuniamo d’havere al suo arrivo. Sin ad hora abi
biamo dato fuori cento e sei Boletini a una doppia l’uno per un mese,
che
viene a essere un utile sicuro. Voglia Dio che le
pia l’uno per un mese, che viene a essere un utile sicuro. Voglia Dio
che
le lettere che V. A. à fatto scrivere a Roma a Fl
n mese, che viene a essere un utile sicuro. Voglia Dio che le lettere
che
V. A. à fatto scrivere a Roma a Flaminio, facino
ttere che V. A. à fatto scrivere a Roma a Flaminio, facino profitto e
che
venga alla compag.ia quanto prima acciò non sij d
la nuova al S.r Co. Vialardi, et egli stare alegramente poichè stimo
che
per mezo di questo parentado V. A. uscirà for di
ovale stando in Mantova la d.ta Sig.ra à avuto paura, tengo per fermo
che
hora havrà l’angoscia. Qui si dice che l’opera in
à avuto paura, tengo per fermo che hora havrà l’angoscia. Qui si dice
che
l’opera in musicha di Firenze non si fa per insin
ò questa non è nova sicura, io ne avrei grand.ma sotisfatione sapendo
che
sarebbe facile al A. V. il poterla vedere e riman
assai di quella dell’anno passato, come sarà arrivato Flaminio penso
che
sarà la meglio di tutte le compagnie di questo an
giudice lui di questa causa. Circa alla compagnia della S.ra Lavinia
che
va prima di noi a Firenze, tutti affermono quello
la S.ra Lavinia che va prima di noi a Firenze, tutti affermono quello
che
dice l’A. V., che in quel tempo non faranno nulla
e va prima di noi a Firenze, tutti affermono quello che dice l’A. V.,
che
in quel tempo non faranno nulla per essere troppo
gratia avenuta al S.r marchese Lanzoni e Amorotti, ma poi mi rallegro
che
è stata disgratia gratiata non essendoli succedut
La Lessandrina humil.te lo riverisce rendendole gratie della memoria
che
si compiace tener di lei, assicurandolo che non f
dole gratie della memoria che si compiace tener di lei, assicurandolo
che
non fa altro che studiare da Trufaldino per poter
memoria che si compiace tener di lei, assicurandolo che non fa altro
che
studiare da Trufaldino per poter servire l’ A. V.
la sta atendendo il ritratto con grandis.ª ansietà non vedendo l’hora
che
giunga. Quest’altro ordinario le manderò qualche
nga. Quest’altro ordinario le manderò qualche arietta nuova, sperando
che
serà di suo gusto, almeno per la novità. Mi occor
ella quale V. A. mi fece haver la moda, dico però quella della notte,
che
se non m’inganno disse, che gliela haveva datta l
er la moda, dico però quella della notte, che se non m’inganno disse,
che
gliela haveva datta la figlia del S.r Terachia pe
amo terminato il mese e riscosso le cento e sette doppie de bolettini
che
havevamo dispensato, e di nuovo gli abiamo confer
lettini che havevamo dispensato, e di nuovo gli abiamo confermati, si
che
sino ad hora si potiamo contentare. La comedia in
mati, si che sino ad hora si potiamo contentare. La comedia in musica
che
si doveva fare qui non si farà per adesso, poichè
musica che si doveva fare qui non si farà per adesso, poichè volevano
che
vi cantassi io, ma perchè non possono essere al o
non ò voluto per non far danno alla Comp.ia accettare la parte, a ben
che
i compagni abino corisposto con poco termine, poi
ben che i compagni abino corisposto con poco termine, poichè sapendo
che
questi mi stimolano a pigliar questo impiego, dis
chè sapendo che questi mi stimolano a pigliar questo impiego, dissero
che
se io havessi recitato in questa comedia m’ havre
nte al meno, a capo della Compagnia ? O una favorita del Duca ? O una
che
fosse l’una cosa e l’altra insieme ? E di dove sa
, se bene il Bartoli chiami l’Eularia giovinetta nel 1652, ho pensato
che
quella potesse essere figliuola di questa, e che
nel 1652, ho pensato che quella potesse essere figliuola di questa, e
che
la madre di cui chiedeva la vicenda Flaminio (Mar
o del 1643, comunicatami dal Conte Malaguzzi dell’Archivio di Modena,
che
comincia così : Feci dire nell’ anno passato a B
dire nell’ anno passato a Bernardino Coris, Comico, chiamato Silvio,
che
non s’obbligasse a Compagnia, poichè desiderano i
ella minore), l’Orsola saluta il Duca di Mantova ? Anche sta il fatto
che
mentre il nome di Eularia sarebbe, nei comici con
teatro. Bernardino Coris, è anche citato dal Bertolotti fra i comici
che
abitavano il 1658 in Roma, nel distretto della Pa
Del teatro [6.1] Fin qui delle varie parti
che
forman l’opera, le quali hanno tutte non picciolo
olo bisogno di correzione e di riforma. La voglia di gradir più oltre
che
non converrebbe, fu la cagion principale che usci
glia di gradir più oltre che non converrebbe, fu la cagion principale
che
usci ciascuna de’ termini suoi. Con che si venne
ebbe, fu la cagion principale che usci ciascuna de’ termini suoi. Con
che
si venne a guastare una composizione, la cui bell
tutte, l’una insieme con l’altra. [Dalla cagione medesima pur nacque
che
, essendo occorso in questi ultimi tempi di dover
occasione molte e varie cose furono disputate intorno alla materia di
che
convenga fabbricare il teatro, intorno alla grand
che convenga fabbricare il teatro, intorno alla grandezza e figura di
che
ha da essere, intorno alla disposizione dei palch
e non moltissimo commendare coloro i quali murano i teatri in maniera
che
i corridori e le scale sieno di mattoni o di piet
aniera che i corridori e le scale sieno di mattoni o di pietra. Oltre
che
la fabbrica in tal modo è perpetua, ella viene ad
n tal modo è perpetua, ella viene ad esser più difesa dagl’incendi, a
che
vanno forse più di ogni altro edifizio soggetti i
e vanno forse più di ogni altro edifizio soggetti i teatri. Così però
che
non si vorrebbe che, o per la maggiore perpetuità
ogni altro edifizio soggetti i teatri. Così però che non si vorrebbe
che
, o per la maggiore perpetuità della fabbrica o pe
asse di fare di pietra anche i palchetti e tutte quelle interne parti
che
guardano l’imboccatura della scena. Poiché, così
aver l’occhio dall’architetto; e ciò è ch’esso riesca sonoro e tale,
che
le voci de’ cantanti vi spicchino il più che è po
so riesca sonoro e tale, che le voci de’ cantanti vi spicchino il più
che
è possibile, e sieno a un tempo melodiose e grate
tempo melodiose e grate a chi ode. Dimostra giornalmente l’esperienza
che
in una stanza ove nudi sieno i muri, ne sono assa
voci mollemente rimbombano, e giungon piene all’orecchio e soavi. Dal
che
ben pare che l’esperienza ne insegni qualmente, p
te rimbombano, e giungon piene all’orecchio e soavi. Dal che ben pare
che
l’esperienza ne insegni qualmente, per l’interior
del teatro, a prescegliere si abbia il legno; quella materia cioè di
che
fannosi appunto gli strumenti da musica, siccome
a cioè di che fannosi appunto gli strumenti da musica, siccome quella
che
è più atta di ogni altra, quando percossa dal suo
a, quando percossa dal suono, a concepir quella maniera di vibrazioni
che
meglio si confanno cogli organi dell’udito. In ef
essi teatri erano di materia dura, di pietra, di cementi o di marmo,
che
sono cose che non possono risuonare; laddove di t
rano di materia dura, di pietra, di cementi o di marmo, che sono cose
che
non possono risuonare; laddove di tale artifizio
sono risuonare; laddove di tale artifizio non abbisognavano in quelli
che
erano fatti di legno, il quale forza è, come dice
atti di legno, il quale forza è, come dice espressamente Vitruvio 57,
che
renda suono. E con ciò quello antico maestro vien
llo antico maestro viene quasi di rimbalzo ad insegnare a’ moderni di
che
materia e’ debban fare i loro teatri. Nel che è n
insegnare a’ moderni di che materia e’ debban fare i loro teatri. Nel
che
è necessario avvertire che il legname da mettersi
materia e’ debban fare i loro teatri. Nel che è necessario avvertire
che
il legname da mettersi in opera sia bene stagiona
on l’altra, e più regolarmente ripercuoterà le onde sonore quel legno
che
in ogni sua parte verrà a vibrare d’un modo. [6.
che in ogni sua parte verrà a vibrare d’un modo. [6.3] Stimano i più
che
molto faccia alla bellezza del teatro la vastità
bellezza del teatro la vastità sua. E certo li magni edifizi hanno di
che
sorprendere insieme e dilettar l’uomo; se non che
ni edifizi hanno di che sorprendere insieme e dilettar l’uomo; se non
che
anche quivi, come ogni altra cosa, è da osservars
to disdirebbe a una picciola terra un teatro grande, è da considerare
che
ciò che determina la lunghezza della platea e, pe
rebbe a una picciola terra un teatro grande, è da considerare che ciò
che
determina la lunghezza della platea e, per conseg
è la portata della voce, e non altro. Che troppo avrebbe del ridicolo
che
altri facesse un teatro così grande, che non vi s
troppo avrebbe del ridicolo che altri facesse un teatro così grande,
che
non vi si potesse comodamente udire; come sarebbe
rande, che non vi si potesse comodamente udire; come sarebbe ridicolo
che
così grandi si facessero le opere di una fortezza
cessero le opere di una fortezza da non le potere dipoi difendere. Il
che
avverrà ogni qual volta che non si ragguagli al t
ezza da non le potere dipoi difendere. Il che avverrà ogni qual volta
che
non si ragguagli al tiro della moschetteria la li
chetteria la linea di difesa, ovveramente la lunghezza della cortina,
che
è come il modulo delle altre parti della fortific
sser potevano i teatri degli antichi. Perché, oltre ai vasi di bronzo
che
rinforzavano le voci, le bocche delle maschere ch
ai vasi di bronzo che rinforzavano le voci, le bocche delle maschere
che
usavano i loro attori, erano quasi una foggia di
va la natural portata della voce ad accrescersi di assai. Dove a noi,
che
siam privi di tali aiuti, ne convien stare dentro
e già non si voglia alzar la voce a guisa di banditore ed isforzarla;
che
tanto è a dire se travisare non si voglia ogni ve
entazione. [6.4] Ma perché gli uomini vanno generalmente presi a ciò
che
ha del grande e del magnifico, hanno pensato a un
ori, fanno ch’ei sporga per molti piedi all’infuori nella platea. Con
che
, ponendo gli attori quasi nel bel mezzo dell’udie
glia uditi da ognuno. Ma un tal modo non può se non quelli contentare
che
sono di troppo facile contentatura. E chi non ved
lli contentare che sono di troppo facile contentatura. E chi non vede
che
è un metter sossopra ogni buon ordine, ogni regol
o a cui nelle sceniche rappresentazioni ordinato è ogni cosa. Ed ecco
che
si contravviene dirittamente all’intendimento del
e a buona parte dell’udienza, e non seguano tali altri inconvenienti,
che
ciò che si era preso per un compenso diviene una
a parte dell’udienza, e non seguano tali altri inconvenienti, che ciò
che
si era preso per un compenso diviene una sconciat
per un compenso diviene una sconciatura grandissima. [6.5] A far sì
che
in un teatro, per grande ch’ei fosse, vi si potes
sse, ciò non ostante, comodamente udire, hanno ancora avvisato taluni
che
molto vi facesse la figura interna di esso teatro
hanno finalmente prescelto fra tutte le figure quella della campana,
che
piace loro di chiamar fonica. La bocca della camp
a invenzione, è facile a vedersi: la similitudine cioè, o l’analogia,
che
immaginarono doversi trovare tra il suono reso da
rsi trovare tra il suono reso dalla campana e la figura della campana
che
il rende. Ma egli è anche facile a conoscere qual
to la saldezza. La figura concava della campana con quelle sue labbra
che
mettono all’infuori, è attissima a spandere per o
infuori, è attissima a spandere per ogni verso il suono del battaglio
che
batte in su quelle labbra medesime. E sospesa ch’
esa ch’ella sia d’alto, mette facilmente in agitazione il mare d’aria
che
le è d’intorno. Ma che per ciò? Dovrà la voce del
mette facilmente in agitazione il mare d’aria che le è d’intorno. Ma
che
per ciò? Dovrà la voce del cantore, posto quasi n
parti di essa? Ciò potrebbe per avventura trovar fede presso a coloro
che
credevano dover correre di gran pericoli in acqua
di gran pericoli in acqua chi era nato sotto il segno dell’Acquario,
che
prescrivevano a’ tisici il giulebbo del polmone d
colastico travisata era del tutto la faccia della filosofia. Oltre di
che
non poche sono le disconvenienze che risultano da
faccia della filosofia. Oltre di che non poche sono le disconvenienze
che
risultano dalla figura della campana: il venirsi
dere a parecchi palchetti la veduta di tutta la scena, e alcune altre
che
qui riferire non giova. Che se per avventura si d
più acconcia di tutte a disporvi i palchetti, risponderemo: la stessa
che
usavano gli antichi a disporre nel loro teatro i
dal mezzo equidistanti, tutti odono e vedono egualmente. Tanto è vero
che
nelle arti, dopo i primi lunghi rigiri, tornar co
ero che nelle arti, dopo i primi lunghi rigiri, tornar conviene a ciò
che
vi ha di più semplice. Un solo inconveniente ha i
solo inconveniente ha il semicerchio adattato a’ moderni teatri; ed è
che
, per la costruzione del nostro palco scenario, di
po grande viene a riuscire la imboccatura o la luce di essa scena. Al
che
pronto per altro e facilissimo è il riparo. Basta
lissimo è il riparo. Basta cangiare il semicerchio in una semielissi,
che
ne ha appresso a poco tutti i vantaggi, il cui as
ghizzi, scolare del Brizio e del Dentone e predecessore dei Bibbiena,
che
l’hanno più volte dipoi posta in opera anch’essi.
he l’hanno più volte dipoi posta in opera anch’essi. E sta in questo,
che
i palchetti, secondo che dalla scena camminano ve
i posta in opera anch’essi. E sta in questo, che i palchetti, secondo
che
dalla scena camminano verso il fondo del teatro,
sce punto la vista dell’altro; massimamente se traforato sia l’assito
che
gli divide, a modo di rastrello o di stia: come p
o o di stia: come praticato vedesi nel teatro Formagliari di Bologna,
che
fu dal Sighizzi ordinato in tal forma. [6.7] Dis
nosi da schivare, per il miglior effetto delle voci, quelli ornamenti
che
troppo rilevano ed hanno del centinato e del sinu
teatro sbandire quella maniera di ornati, tanto alla moda in Italia,
che
rappresentano ordini di architettura; pedanteria,
moda in Italia, che rappresentano ordini di architettura; pedanteria,
che
abbiamo redata dal secolo del Cinquecento, in cui
r così, pigmee, di quel grandioso troppo perdendo e di quella dignità
che
loro si conviene. E il sopraornato, quand’anche s
, quand’anche si facessero le cornici architravate, è troppo più alto
che
non comporta la grossezza del semplice palco, che
, è troppo più alto che non comporta la grossezza del semplice palco,
che
ha da dividere l’un ordine di palchetti e l’altro
e leggi architettoniche, a dare agli ordini di sopra più di sveltezza
che
a quelli da basso, vengono i palchetti ad avere d
i di troppo gli spettatori degli ordini superiori dal punto di veduta
che
si prende nel palchetto di mezzo del primo ordine
rdini dei palchetti, e perdi inutilmente dello spazio. L’architettura
che
, ad ornare come si conviene l’interno del teatro,
al voce non verranno ad esser offesi gli orecchi moderni. Voglio dire
che
gracilissimi deggiono farsi i fulcri dei palchett
. Voglio dire che gracilissimi deggiono farsi i fulcri dei palchetti,
che
avendo a sostenere un picciolissimo peso, quasi n
deggiono similmente farsi gli sopraornati, o per meglio dire le fasce
che
dividono l’un ordine di palchetti dall’altro, e s
ngegnazione e l’ornato dei palchetti fornirà all’architetto, non meno
che
il restante dello edifizio, materia da mostrare l
so e magnifico l’architettura. Secondo una tale idea sono due disegni
che
m’è avvenuto di vedere in Italia, ne’ quali, non
disegni che m’è avvenuto di vedere in Italia, ne’ quali, non ostante
che
nulla manchi di quanto richiedono le moderne rapp
antico teatro dei Greci. L’uno è del Sig. Tommaso Temanza, uomo raro,
che
ne’ suoi scritti dà novella vita al Sansovino e a
l Sansovino e al Palladio; l’altro del Sig. Conte Girolamo Dal Pozzo,
che
colle sue opere rinfresca in Verona sua patria la
a memoria del Sanmichele. E non lungi dalla medesima idea è il teatro
che
fu, non sono ancora molti anni, consecrato in Ber
ossono rimaner lungo tempo nel medesimo grado. Somigliante alla curva
che
descrivono nella immensità dello spazio i pianeti
descrivono nella immensità dello spazio i pianeti d’intorno al corpo
che
serve ad essi di centro, la carriera delle arti h
oni degli astri. Non si maravigli adunque il lettore se nel dipigner,
che
farò, lo stato attuale dell’opera più non udrà ri
arò, lo stato attuale dell’opera più non udrà risuonar que’ gran nomi
che
tanto splendore alla nazion loro recarono, se tro
o splendore alla nazion loro recarono, se troverà le moltiplici parti
che
concorrono a formar il dramma, tutte per l’addiet
almente rapirsi dalle altre nazioni qualche ramo del fortunato alloro
che
pareva destinato dal cielo a crescere ed allignar
o privilegiato della Italia. Si dovrà bensì maravigliare onde avvenga
che
in tanta luce di gloria, come abbiamo veduto bale
abbia in Italia prodotta la menoma particella degli stupendi prodigi
che
produceva in Grecia l’antica. La qual meraviglia
a l’antica. La qual meraviglia tanto dee crescere maggiormente quanto
che
la sfoggiata ricchezza della nostra colla povertà
le particolarità più interessanti. [2] Bisogna richiamar in mente ciò
che
abbiam detto in altro luogo, cioè che nel risorgi
Bisogna richiamar in mente ciò che abbiam detto in altro luogo, cioè
che
nel risorgimento delle lettere in Italia, come in
lle lettere in Italia, come in tutta Europa, le belle arti non furono
che
un prodotto della imitazion degli antichi. Ciò si
stra imitazion distaccata dai principi religiosi, naturali e politici
che
sostenevano l’original presso a’ Greci, e trasfer
per non dir contrario, non ha potuto produrre effetti simili a quelli
che
producevano fra loro le medesime cose. Gli uffizi
menti necessari alla gloria, ed alla sussistenza delle nazioni: ond’è
che
la persona del musico o poeta era tenuta dal popo
vatore della pubblica felicità. All’opposto nelle nostre legislazioni
che
s’aggirano sopra un perno tutto diverso, la music
tico degli Stati. Dal quale principio si ricavano alcune conseguenze,
che
possono a mio giudizio servire a spiegar lo scadi
o di noi delle belle arti in generale, e più immediatamente di quelle
che
contribuiscono a formar il melodramma. La prima è
mente di quelle che contribuiscono a formar il melodramma. La prima è
che
essendo fra noi da gran tempo separate la filosof
dividuale influenza ha dovuto esser minore perché divisa. La seconda,
che
essendo ciascuno di essi rami rinato dipersè e cr
e pieghevole quanto la medesima lo era presso agli antichi. La terza,
che
non avendo né il poeta né il musico alcuna ingere
ali d’una intiera nazione? Qual differenza non si scorge nell’onorar,
che
noi facciamo, la memoria del più celebre musico c
più celebre musico con una iscrizione od un sonetto, e nel collocare,
che
facevano gli antichi, tra le costellazioni la lir
sua immagine, o invocandolo nelle calamità del paese, non altrimenti
che
soglia farsi col nume tutelare, siccome sappiamo
crità. Imperocché ove le cose non hanno altro interesse se non quello
che
nasce da passaggiero e insignificante divertiment
ante divertimento, la misura della lor perfezione altra appunto non è
che
il capriccio di chi vuol divertirsene. E siccome
on senso, così hanno essi degenerato in quell’assurdità e stravaganza
che
si osserva: quindi lo scadimento del moderno teat
si osserva: quindi lo scadimento del moderno teatro e il niun effetto
che
fa sopra di noi l’unione di tutte le belle arti b
usica presso ai Greci; indarno la filosofia, disaminando la relazione
che
hanno i movimenti dell’armonia col nostro fisico
scoglio fatale contro a cui si spezzano tutte le teorie, ci fa vedere
che
il superbo e dispendioso spettacolo dell’opera al
spettacolo dell’opera altro non è se non, un diporto di gente oziosa
che
non sa come buttar via il tempo e che compra al p
non, un diporto di gente oziosa che non sa come buttar via il tempo e
che
compra al prezzo di quattro o cinque paoli la noi
di mano replicate cento volte; indi si torna all’antico dissipamento
che
ti par quasi di sentire come si lagnava Orazio de
quasi di sentire come si lagnava Orazio dei teatri di Roma, il vento
che
rimuggia per entro alle boscaglie del Gargano o i
ulla musica francese vorrebbe far l’onore agl’Italiani di non credere
che
così avvenga ne’ loro teatri, ed attribuisce simi
edere che così avvenga ne’ loro teatri, ed attribuisce simili effetti
che
si veggono costantemente in Parigi, all’indole so
i occhi di ciò ch’egli immaginava soltanto in sistema, avrebbe veduto
che
l’Italia non merita in questo punto maggior indul
rita in questo punto maggior indulgenza della Francia. Avrebbe veduto
che
la musica più bella che si canti nelle lingue viv
gior indulgenza della Francia. Avrebbe veduto che la musica più bella
che
si canti nelle lingue viventi, né il più bravo po
prospettiva bastano nel paese delle belle arti a destare in un popolo
che
cerca solo il piacer passaggiero di poche ore que
ssaggiero di poche ore quelle commozioni vive e profonde, quel pathos
che
pur dovrebbe essere il gran fine di tutte le arti
e il gran fine di tutte le arti rappresentative. [4] Niuno crederebbe
che
la ricchezza appunto della nostra musica fosse qu
crederebbe che la ricchezza appunto della nostra musica fosse quella
che
la rendesse meno patetica. Eppur questa si è la s
a che la rendesse meno patetica. Eppur questa si è la seconda cagione
che
prendiamo a disaminare. Noi abbiamo un contrappun
rendiamo a disaminare. Noi abbiamo un contrappunto, del quale si dice
che
gli antichi non avessero alcuna notizia; abbiamo
tizia; abbiamo un’armonia via più doviziosa e più raffinata di quella
che
avevano essi nel tempo in cui s’operavano effetti
empo in cui s’operavano effetti cotanto maravigliosi; si dice altresì
che
i moderni strumenti, abbracciando più ottave di q
aga, la rendono parimenti meno acconcia a destar le passioni. Questo,
che
a prima vista sembra un paradosso, verrà nondimen
cilmente accordato dal lettor giudizioso qualora ei voglia riflettere
che
la energia de’ suoni musicali nel muovergli affet
ia o da qualunque altra passione impetuosa e vivace. Ora egli è certo
che
quanto più l’armonia diviene artifiziale e comple
fiziale e complessa, tanto più si scosta dall’accento appassionato, e
che
a misura che i tuoni acquistano vaghezza e lavoro
plessa, tanto più si scosta dall’accento appassionato, e che a misura
che
i tuoni acquistano vaghezza e lavoro di note, van
maniera d’imitare e l’oggetto imitato, qual maraviglia è se il cuore,
che
non ne sente il rapporto, rimane freddo e indiffe
ose ricchezze? [5] Che se nei suoni non vuolsi considerare la facoltà
che
hanno d’imitare, ma quella soltanto di agire fisi
i suoni tanto è più efficace quanto più gagliarde sono le impressioni
che
per mezzo delle vibrazioni dell’aria comunicano i
ì dire, la sensibilità col troppo squisitamente ricercarla. Non havvi
che
un determinato numero d’inflessioni atte a produr
rgiche quanto più fedelmente esprimono la voce della natura. Quindi è
che
un urlo solo, un gemito, un sospiro d’un infelice
ll’afferrare col mezzo dei suoni quei pochi ma caratteristici tratti,
che
fornisce l’oggetto preso ad imitare. Tutto ciò ch
tteristici tratti, che fornisce l’oggetto preso ad imitare. Tutto ciò
che
l’arte ne aggiunge non è più il linguaggio dell’a
vece di rinvigorir le nostre sensazioni simplificandole, altro non fa
che
snervarle moltiplicandole all’eccesso, e invece d
ri sminuzzamenti di voce, si ritrova infine come il Mida della favola
che
moriva di fame in mezzo agl’infiniti ragunati tes
ci porge una opportuna conferma della mia proposizione facendo vedere
che
la musica greca perdette il gran segreto di muove
musica greca perdette il gran segreto di muover gli affetti a misura
che
si venne scostando dalla sua semplicità primitiva
zza in sul principio come lo erano i costumi degli abitanti, si disse
che
ratteneva i fiumi, ammansava le tigri e innalzava
la lira per significar con siffatte allegorie la prodigiosa influenza
che
acquistò sugli animi di quei popoli fra le mani d
a morale e delle leggi. Allora si può dire senza tema di esagerazione
che
il suono della lira governasse la Grecia collo st
Ecco veniva Terpandro a placarle senz’altra persuasione, altra forza
che
quella degli accordi armonici. Un decreto rigoros
are con certe regole i fanciulli, gli adulti e i vecchi, e l’Arcadia,
che
dianzi era il soggiorno d’uomini selvaggi, divien
si serviva degl’inni e dei cori nel culto degli dei diversi da quelli
che
sono prescritti dalle leggi, i sacerdoti e i magi
il perché in seguito gli uomini più saggi fra i Greci, persuadendosi
che
fosse più utile anzi necessario al bene dello sta
anzi necessario al bene dello stato il moderar le passioni del popolo
che
il troppo violentemente svegliarle, abbiano appun
affetti della ubbriacchezza tanto più pericolosa a que’ tempi quanto
che
gli animi non ancor dirozzati si trovavano natura
iriggevano la marcia delle truppe loro piuttosto col suono dei flauti
che
con quello delle trombe, acciocché la temperata d
l teatro le azioni drammatiche furono talmente considerate dai Greci,
che
secondo la testimonianza del giudizioso Plutarco
vero acquistarono novella gloria ed onore agli Ateniesi, ragion vuole
che
cotali rappresentazioni contendano coi trofei che
niesi, ragion vuole che cotali rappresentazioni contendano coi trofei
che
il teatro s’agguagli alla reggia e che il maestro
ntazioni contendano coi trofei che il teatro s’agguagli alla reggia e
che
il maestro di siffatte invenzioni al capitano sia
tte invenzioni al capitano sia paragonato» 111. [8] Ma guari non andò
che
la musica affascinata dalle proprie bellezze rinu
che la musica affascinata dalle proprie bellezze rinunziò all’imperio
che
avea fino allora ottenuto sugli animi, contentand
ni s’introdussero in Atene le gare fra i ceteratori, cioè fra i poeti
che
cantavano le proprie poesie accompagnandosi colla
scuno di questi rami un’arte da sé, nacque presso a’ Greci la scienza
che
i moderni chiamano musica, cioè quella combinazio
oderni chiamano musica, cioè quella combinazione artifiziosa di suoni
che
può esistere e realmente esiste divisa dalle paro
a di suoni che può esistere e realmente esiste divisa dalle parole, e
che
ha i suoi colori, le sue figure, i suoi movimenti
spressione poetica, o per esprimersi con più esattezza, altro non era
che
l’arte di far valere gli accenti della poesia. Se
o non era che l’arte di far valere gli accenti della poesia. Separati
che
furono codesti rami, divenne necessario il condur
venne necessario il condurli paratamente a quel grado di raffinamento
che
esigeva la vanità dei professori e la svogliatezz
degli ascoltanti. La poesia non ebbe più quel perfetto combaciamento
che
aveva dianzi avuto colla musica, né questa colle
ro guerra al nascente corrompimento; gli sforzi loro altro non fecero
che
ritardar per poco la malattia senza impedirne gli
ositori per distinguersi fra gli altri non seppero rinvenir altra via
che
la novità e la stranezza. Quanto più moltiplicava
l vedere tanti e sì rapidi cangiamenti il comico Anassila ebbe a dire
che
la musica, agguisa della Libia, generava tutti gl
no i principali autori, la musica cessò di cagionare i grandi effetti
che
prima era solita di produrre, e divenuta più arti
sa e più dotta divenne meno espressiva e patetica. Nella stessa guisa
che
alla moderna musica, quantunque lontana assai dal
narsi alla semplicità. Ho udito persone intelligentissime raccontarmi
che
trovandosi in Roma, ed ascoltando ivi il famoso M
a eseguito dai cantori della cappella pontifìcia senz’altro ornamento
che
quello d’una voce fermata e sostenuta a dovere, s
entivano esse rapire in estasi di divozione e di dolcezza interna, lo
che
non era loro avvenuto di esperimentare sentendo l
a le quali se si ritrova qualcheduna talmente grave, dolce e maestosa
che
i moderni durerebber fatica a lavorarne l’uguale,
rosa e commovente nel suo principio è venuta poi degenerando a misura
che
acquistava un maggiore raffinamento; ma basterà p
o recar in mezzo l’esempio dei Cinesi e degli Arabi, nazioni entrambe
che
hanno al paro dei Greci conosciuta l’influenza di
lla politica. Le tradizioni della China parlano in guisa dell’armonia
che
quasi sembrano aver esse voluto copiar fedelmente
ne e d’Orfeo rattenere i fiumi e camminare le selve. Credono i Cinesi
che
l’antica musica del loro paese avesse fatto scend
igenze superiori, e cavati dall’abisso gli spiriti. Credevano altresì
che
per mezzo dell’armonia si potesse ispirar agli uo
. «Si vuol sapere s’un regno è ben governato e se i costumi di coloro
che
l’abitano sono buoni o cattivi? Si guardi il g
he l’abitano sono buoni o cattivi? Si guardi il gusto della musica
che
vi regna» diceva Confucio. Ma quanto siasi fra lo
fra l’altre pruove dalla dichiarazione fatta dall’imperatore Ngaiti,
che
sali sul trono l’anno 364 dell’era cristiana, nel
sali sul trono l’anno 364 dell’era cristiana, nella quale, lagnandosi
che
le musiche tenere, artifìziose, ed effemminate is
ente la riforma, e proibisce ogni sorta di musica a riserva di quella
che
serve per la guerra e per la cerimonia Tiao 115.
oussouly e in Alfarabi i loro Lini, i loro Ismeni e i loro Epimenidi,
che
operavano dei miracoli colla voce e cogli strumen
strumento chiamato zir era simile al fuoco pei suoni animati ed acuti
che
rendeva, il metsni somigliava all’aria pella dili
za e la gravità, e i motsellets l’avevano coll’acqua pei suoni freddi
che
generavano. L’armonia, secondo gli Arabi, era la
al tripudio, da questo alla tristezza, e dalle lagrime al sonno senza
che
alcuno potesse resistere a quell’incomprensibile
se n’era slontanato con fermo proposito di non più ritornarvi. L’idea
che
gli Arabi si formavano della musica si potrà megl
ca si potrà meglio comprendere dalla traduzione del seguente squarcio
che
si trova in uno dei loro poeti, come lo ricavo da
ntorno alla musica di quella nazione, alla quale io rimetto i lettori
che
volessero acquistare più distinte notizie. «L’im
ia maga adopera anch’ella una specie di canto nelle misteriose parole
che
borbotta fra se. Coll’aiuto d’una sconosciuta e b
camminare de’ suoi cammelli. «L’astuto uccellatore adopera una musica
che
imita il canto dei diversi uccelli ingannati dai
a che imita il canto dei diversi uccelli ingannati dai suoni omogenei
che
fa egli sentire nel silenzio della notte. La timi
enzio della notte. La timida pernice, l’incauto tordo e il francolino
che
fugge lo sguardo degli uomini, inciampano frattan
io latte, e l’addormenta al suono delle dolci nenie ec.» [12] Se non
che
i componimenti musicali degli antichi Greci bench
e a motivo della eccellente loro costituzione, e dell’intimo rapporto
che
avevano insieme tutte le parti che li componevano
stituzione, e dell’intimo rapporto che avevano insieme tutte le parti
che
li componevano. Si è parlato in altro luogo della
ta all’interno loro meccanismo, onde rintracciar meglio la differenza
che
passa tra quelli e i nostri. Simplificando l’idea
o la differenza che passa tra quelli e i nostri. Simplificando l’idea
che
noi abbiamo della musica in generale, sembra che
Simplificando l’idea che noi abbiamo della musica in generale, sembra
che
altro non intendiamo con questo vocabolo se non s
ostume in cui siamo fin dalla infanzia di non considerar nella musica
che
la semplice modificazione del suono secondo le le
ali, comprendevano sotto quella parola più cose. Il largo significato
che
le davano i Greci apparisce più chiaramente dalle
che le davano i Greci apparisce più chiaramente dalle seguenti parole
che
si leggono nell’Alcibiade di Platone. «Socrate: D
, il cantare, e il ballare? Non ti darebbe l’animo di trovare un nome
che
significasse tutte le parti comprese in quest’art
ade: Non saprei trovarlo. Socrate: Provati un poco. Quali sono le dee
che
presiedono a quest’arte? Alcib. Intendi forse di
. Considera dunque qual nome può ricevere l’arte da loro. Alcib. Pare
che
tu vogli accennare la musica. Socr. Cotesto appun
a musica. Socr. Cotesto appunto». Attenendoci soltanto alla divisione
che
fa in altro luogo lo stesso Platone 116, la mel
scuna di esse parti separatamente prese, e dall’intima corrispondenza
che
metter seppero fra tutte come linee dirette ad un
d un solo centro, devono ricavarsi in gran parte i prodigiosi effetti
che
ci vengono descritti. [13] E incominciando dalla
uantunque libera errasse in sul principio e vagante senz’altra regola
che
l’orecchio, né altra misura che gli spazi di temp
principio e vagante senz’altra regola che l’orecchio, né altra misura
che
gli spazi di tempo impiegati nel proferir le paro
e gli spazi di tempo impiegati nel proferir le parole, guari non andò
che
dall’istinto ammoniti i poeti la frenarono con se
moniti i poeti la frenarono con severa legge e invariabile. La lingua
che
serviva loro di strumento era la più flessibile,
e, la più vaga, la più armoniosa, la più pittoresca e la più musicale
che
sia stata giammai parlata dagli uomini. Le doti c
e la più musicale che sia stata giammai parlata dagli uomini. Le doti
che
separatamente prese rendono bello ciascuno dei mo
riunite. La diversità dei dialetti dorico, ionico, eolico ed attico,
che
indifferentemente s’usavano dai loro scrittori, p
erentemente s’usavano dai loro scrittori, per mezzo dei quali le cose
che
non potevano esprimersi bene in una maniera s’esp
vano meglio in un’altra; le trasposizioni o inversioni della sintassi
che
aggiugnevano grazia, numero e volubilità singolar
golare al periodo; la copia di parole imitative, ovvero sia di quelle
che
esprimono col suono l’indole dell’oggetto, che ra
, ovvero sia di quelle che esprimono col suono l’indole dell’oggetto,
che
rappresentano e che indicano, per così dire, alla
le che esprimono col suono l’indole dell’oggetto, che rappresentano e
che
indicano, per così dire, alla fantasia la strada
per rinvenirle; l’uso frequente delle parole composte, onde accadeva
che
una sola espressione rappresentasse all’anima un
con discapito delle lingue e della poesia. Che si dirà poi dell’arte
che
avevano i loro musici nel contrasegnare gli accen
lio della natura delle vocali, delle semivocali e delle appena vocali
che
potevano entrare nel verso. Sappiamo da lui cosa
e e le tenui, le mute e le medie. Ci vengono indicati i diversi suoni
che
corrispondevano a ciascuna delle vocali e delle c
te scabri, e sempre opportunamente variati; ci si fa vedere la scelta
che
di essi facevano i compositori, e la scrupolosa e
tresì con cui venivano adoperate dai poeti secondo il diverso oggetto
che
prendevano a dipignere117. I loro poemi, e singol
el caso presente. Parimenti se vuol descrivere il galoppo de’ cavalli
che
traversano su e giù le cime del monte Ida, lo fa
he traversano su e giù le cime del monte Ida, lo fa con evidenza tale
che
ti par quasi di sentirne il calpestio. «Πολλά δʹ
rà per ultimo l’addurre una pruova tratta dal gran comico Aristofane,
che
volendo nella sua commedia intitolata il Pluto ra
r molte volte quella vocale di suono oscuro e nasale, rappresenta ciò
che
vuol dire con più energia che da altri non farebb
suono oscuro e nasale, rappresenta ciò che vuol dire con più energia
che
da altri non farebbesi in una intiera scena. [16]
lla lingua greca rispetto a tutte le altre) non si trovava neppur uno
che
non fosse stato inventato per adattarlo piuttosto
fosse stato inventato per adattarlo piuttosto ad una spezie di canto
che
ad un’altro. Imperocché avendo eglino con sottile
ad un’altro. Imperocché avendo eglino con sottile filosofia osservato
che
le passioni dell’animo s’esprimono con movimento
durazione, lentezza o velocità l’indole fisica di essi movimenti, dal
che
trassero origine i poetici piedi e la combinazion
e alla musica. Nella poesia il ritmo è la durazion relativa de’ tempi
che
s’impiegano nel pronunziar le sillabe d’un verso;
el pronunziar le sillabe d’un verso; nella musica altro non significa
che
la durazion relativa dei suoni ch’entrano nella c
quantunque non ammetta alcuna varietà di suono, vedesi non per tanto
che
a forza delle varianti percosse escono fuori cert
ti percosse escono fuori certi suoni esprimenti l’evoluzioni militari
che
dispongono i soldati al coraggio, e gli aiutano n
oldati al coraggio, e gli aiutano nella fatica118. Tal era l’affetto
che
quest’autore portava al ritmo, che lo credeva com
ella fatica118. Tal era l’affetto che quest’autore portava al ritmo,
che
lo credeva compagno indivisibile di tutta la natu
visibile di tutta la natura. Lo ritrovava nel camminar lento non meno
che
nell’affrettato galoppar dei cavalli. Lo sentiva
meno che nell’affrettato galoppar dei cavalli. Lo sentiva nell’acqua,
che
a stilla a stilla grondava chetamente sui sassi.
risvegliando nell’anima la memoria o l’idea di quella tal cosa fanno
che
si riproduca in noi la stessa passione che eccite
a di quella tal cosa fanno che si riproduca in noi la stessa passione
che
ecciterebbe se sopposta fosse ai nostri sensi. Or
o sopra di noi con varie spezie di movimenti, così faceva di mestiere
che
i ritmi poetici e musicali comprendessero nella i
ccellenza della poesia e della musica greca consisteva in ciò appunto
che
nessun effetto naturale poteva concepirsi che non
nsisteva in ciò appunto che nessun effetto naturale poteva concepirsi
che
non venisse espresso dall’una e dall’altra colla
o quelli del ballo dei satiri? I poeti adoperavano il piede tribraco,
che
costava di tre sillabe brevi, e la misura musical
ndeva esattamente a queste. Si dovea rappresentare un qualche oggetto
che
agisse con imbarazzo, tardità, o fatica? Ecco gli
re il bisogno il ritmo presso ai Greci e Latini era come un orologio,
che
misurava con tutta la precisione possibile l’anda
delle passioni, e il suo carattere individuale n’era talmente fissato
che
la trasposizione d’una sillaba sola bastava per c
nte d’una sillaba lunga e d’un’altra breve con questa differenza però
che
il giambo incomincia da una breve, ed il trocheo
il trocheo da una lunga. Ora siccome il primo di codesti piedi sembra
che
ad ogni passo raddoppi altrettanto del suo vigore
e Aristofane nella commedia degli Acharnensi, dove a motivo del metro
che
vi si adopera, sembra che venga mancando di mano
a degli Acharnensi, dove a motivo del metro che vi si adopera, sembra
che
venga mancando di mano in mano il vigore ai vecch
dopera, sembra che venga mancando di mano in mano il vigore ai vecchi
che
ballano nel coro. Secondo gli accennati principi
tica, nel quale i nostri ciurmatori grammatici altro non sanno vedere
che
un accozzamento insignificante di sillabe era fra
le possanza. [19] Ben più elevato e più sublime era l’altro vantaggio
che
aveva il ritmo d’influire cioè sui costumi nazion
ridicola agli occhi di coloro i quali tengono per favolosi tutto ciò
che
non è conforme alle loro picciole idee, nondimeno
testimonianza degli antichi filosofi su questo punto è così decisiva
che
non si può a meno di non assentire qualora non si
e qualora non si voglia cadere in un biasimevole pirronismo. Di molte
che
potrebbono addursi, basti solo l’autorità di Plat
tri vizi, e quali metri esprimano meglio le virtù contrarie. Quindi è
che
il ritmo e i numeri acquistano la loro forza nell
19 Il secondo si mostra così persuaso della verità di questa opinione
che
riguarda il cangiamento del ritmo come una delle
iamo (egli dice) a confronto i tempi antichi coi no stri, troveremo
che
anticamente v’era una gran varietà di misure, del
el ritmo». 120 Indi ne ricava poi la cagione per cui l’arte musicale,
che
tanta influenza aveva dianzi avuta sulla pubblica
l ritmo poteva essere così intimamente legato coi costumi d’un popolo
che
dallo stato di quello se ne dovesse cavar consegu
ppia) sciolto finora. Tentiamo di rispondervi insistendo sui principi
che
ci hanno fin qui servito di scorta. Il ritmo musi
corta. Il ritmo musicale era in tal guisa modellato sul ritmo poetico
che
l’indole, natura e durazione dell’uno era precisa
e all’indole, natura e durazione dell’altro. Il ritmo poetico non era
che
una successiva imitazione dei diversi moti delle
ersi moti delle passioni; il ritmo musicale adunque non poteva essere
che
una rappresentazion successiva dei medesimi moti.
ni e la maniera d’esprimerle si vanno cambiando in un popolo a misura
che
va egli passando dallo stato di rozzezza a quello
ricavava presso ai Greci una pruova dello stato attuale dei costumi,
che
hanno un così stretto rapporto coll’indole e la f
quale indica con tal esattezza le variazioni accadute nell’atmosfera
che
dallo stato dell’uno s’argomenta a vicenda allo s
ze al bene od al male; essendo principio incontrastabile in filosofia
che
le virtù e i vizi puramente umani (non le virtù t
del fisico temperamento, i moti de’ quali dipendono dalle impressioni
che
vengono loro comunicate, o che ponno comunicarsi
de’ quali dipendono dalle impressioni che vengono loro comunicate, o
che
ponno comunicarsi dalla educazione non meno priva
comunicate, o che ponno comunicarsi dalla educazione non meno privata
che
pubblica. Qualora non per tanto si trovi un ogget
meno privata che pubblica. Qualora non per tanto si trovi un oggetto
che
agisca fortemente e immediatamente sulla sensibil
emente e immediatamente sulla sensibilità degli uomini, egli è chiaro
che
fra le mani d’un saggio filosofo diverrà esso uno
fra le mani d’un accorto legislatore diverrà il veicolo delle massime
che
si vorranno ispirare ad una nazione. Meditando so
tando sovra siffatti principi, si troverebbe lo scioglimento di tanti
che
a noi sembrano paradossi ne’ costumi degli antich
non essere cotanto favolosa, né contraria al senso comune l’opinione,
che
avevano i Greci intorno alla morale influenza del
tudio posto da loro nella formazion della poesia e del metro non meno
che
nella scelta e nel maneggio del ritmo s’arguisce
el ritmo s’arguisce con evidenza la cura con cui trattarono tutto ciò
che
concerne la musica propriamente detta. Noi siamo
cosa fossero i loro generi diatonico, cromatico, edenarmonico, parole
che
la moderna musica prende in significazione affatt
la moderna musica prende in significazione affatto diversa da quella
che
da essi ci vien tramandata. Non sappiamo con esat
uzione e l’uso preciso dei loro strumenti, il numero delle consonanze
che
potevano entrar nei loro sistemi, mille altre cir
ille altre circostanze insomma, senza le quali riesce impossibile non
che
difficile il formar un positivo e sicuro giudizio
2] Ma da un complesso di ragioni indirette cavate dai fatti si diduce
che
i Greci mostraron nell’uso che facevano della mus
i indirette cavate dai fatti si diduce che i Greci mostraron nell’uso
che
facevano della musica vocale e strumentale la med
lla musica vocale e strumentale la medesima profondità di riflessione
che
nelle altre cose. Siccome in tutte le belle arti
vero, con siffatta idea, di molte squisite ed artifiziose modulazioni
che
questa produce presso di noi, e delle quali va co
ni assai più importanti e più propri d’ogni arte imitativa. Rilevando
che
l’energia dell’effetto è sempre in ragione dell’o
i studiarono con sommo impegno d’adattare ad ogni effetto particolare
che
dovea generarsi dalla musica l’individuale cagion
to particolare che dovea generarsi dalla musica l’individuale cagione
che
dovea generarla. Però sempre gli vediamo intenti
, quelli intervalli fra gli altri, quei menomi componimenti specifici
che
sembravan loro acconci ad eccitar piutosto certa
he sembravan loro acconci ad eccitar piutosto certa classe di affetti
che
d’un’altra. Talché ogni genere, ogni cantilena, o
gni genere, ogni cantilena, ogni modo aveva il suo particolar uffizio
che
lo distingueva. Il diatonico per le gravi e sempl
resso di tempo l’uno verso il grave, e l’altro verso l’acuto talmente
che
da cinque divennero quindici cantilene o melodie
alche particolar uffizio destinata colla esclusione d’ogni altro, dal
che
ne risultava una riunione di cause una convergenz
iunione di cause una convergenza di linee dirette ad un unico centro,
che
veniva a rinforzar la espressione in ragione dei
mento di queste teneva dietro quello degli strumenti. Il modo dorico,
che
era il più grave, suonavasi con due tibie destre,
i. La loro esattezza arrivava fino a determinar il gener di strumenti
che
si conveniva all’età ed al sesso. Secondo Giulio
doperavano le tibie perfettissime, e secondo Ateneo le perfette e più
che
perfette. V’erano le tibie verginali, le puerili,
Dal picciol saggio ch’io non ho fatto se non brevemente abbozzare, e
che
meriterebbe forse di esser trattato con maggior e
barazzata e difficil maniera d’impararla, l’imperfezione delle chiavi
che
servono di regola all’armonia, i vizi radicali de
ntori delle note musicali contenti d’agevolare lo studio al solo fine
che
richiedevano le circostanze loro, non sospettaron
chiedevano le circostanze loro, non sospettaron neppure i cangiamenti
che
doveano col tempo sopraggiungere alla musica, e l
ti che doveano col tempo sopraggiungere alla musica, e le novelle vie
che
aprir poteva in quest’arte lo sviluppo successivo
poteva in quest’arte lo sviluppo successivo del genio. Però a misura
che
l’armonia fece dei progressi trovossi ognor più d
e volendo ovviare i maestri, stabilirono di mano in mano regole nuove
che
palliavano gl’inconvenienti presenti senza preved
che palliavano gl’inconvenienti presenti senza prevederne i futuri, e
che
non recidendo il vizio nella sua radice, raddoppi
pezie, colà un borgo fuori delle mura, dappertutto aggiunte posticele
che
ne turban l’ordine e ne sfigurano la simmetria. M
r bene tante e sì spinose materie vi si vorrebbe un intiero volume, e
che
altronde il fermarsi su tali cose non è necessari
al mio assunto, così mi restringerò a toccar brevemente quei difetti
che
nella nostra musica impediscono, secondo il mio a
tra musica impediscono, secondo il mio avviso, i maravigliosi effetti
che
dovrebbono attendersi dalla sua unione colla poes
one colla poesia. Quanto più avanti s’anderà col pensiero si ricaverà
che
cotai difetti si riducono a due, l’uno al non ave
e e moltiplici spezie della poesia. Noi non contiamo in questa classe
che
le sole cantate, qualche canzonetta, e il melodra
e le sole cantate, qualche canzonetta, e il melodramma. Il madrigale,
che
prima era in uso nelle musiche di camera, giace o
’umano ingegno, vengono trattati da noi come generi puramente poetici
che
mai non debbono accoppiarsi alla musica. Quindi n
ai non debbono accoppiarsi alla musica. Quindi non è da maravigliarsi
che
ridotta quest’arte a trattar pochissimi generi no
giugnendosi l’una dall’altra, i confini della musica erano gli stessi
che
quelli della poesia. I nostri compositori si trov
icolar melodia. E diversamente cantavansi i poemi d’Omero e di Esiodo
che
gl’idili di Teocrito, o di Bione; altra era la co
di teatro, e così via discorrendo. [25] In secondo luogo, nella parte
che
veramente ci resta siamo ben lontani dal poter ve
egolata armonia nella combinazione del tuono e del tempo, ogni poesia
che
non sia egualmente felice nella combinazione dell
arà musicale in tutta l’estensione del termine. Ora la nostra poesia,
che
tutta quanta è appoggiata al regolamento del tuon
i al numero materiale delle sillabe, avevano tuttavia la stessa cura,
che
abbiamo noi nella opportuna collocazione degli ac
lunga, e tardandosi nel pronunziare la lunga un tempo duplo di quello
che
si tardava nel pronunziare la breve, ne veniva in
llo che si tardava nel pronunziare la breve, ne veniva in conseguenza
che
la misura musicale fosse regolata perfettamente d
la misura musicale fosse regolata perfettamente dalla prosodia, così
che
il musico per batter con precisione il tempo non
che il musico per batter con precisione il tempo non doveva far altro
che
seguitar alla cieca il poeta. La qual cosa non os
s exuviae dum fata, Deusque sinebant.» e quest’altro d’Annibal Caro,
che
gli serve di traduzione: «Spoglie, mentre al Cie
one: «Spoglie, mentre al Ciel piacque, amate e care.» egli è chiaro
che
al maestro resterebbe pochissimo da fare nel prim
, poiché, trovando di già misurata ogni sillaba, non doveva far altro
che
impiegar quattro tempi nella parola “dulces” comp
overebbe esattamente aver corrisposto al pensier del poeta. Tutto ciò
che
il musico poteva metter del suo, era il movimento
“e”, non sa precisamente se alla prima corrispondano più o meno tempi
che
alla seconda, e alla terza. Si vede non per tanto
li, le quali non avendo nella collocazion loro altro regolatore fisso
che
il solo arbitrio del musico, formano di per sé un
cale distinto per lo più dal poetico, e non poche volte contrario. Lo
che
si vede da ciò che sovente la stessa composizion
o più dal poetico, e non poche volte contrario. Lo che si vede da ciò
che
sovente la stessa composizion musicale produce il
Giambattista Lulli, e nello stabat mater del Pergolesi. [27] Quindi è
che
invece di formar, come si dovrebbe, un unico e so
solo linguaggio, invece di concorrere unitamente al medesimo effetto
che
è quello di risvegliar nell’animo una cotal sensa
ue proprie e independenti dall’altro, ha posto quei rilevante divario
che
pur sussiste nei nostri moderni sistemi ad onta d
nostri moderni sistemi ad onta degli sforzi di tanti uomini illustri
che
vi si sono affaticati per levarlo di mezzo. E ciò
uomini illustri che vi si sono affaticati per levarlo di mezzo. E ciò
che
si dice della poesia rispetto alla musica, si dic
a, si dice ancora della musica strumentale rispetto alla vocale, cioè
che
vicendevolmente si nuocono per voler ciascuna pri
iare da sé, sottraendosi dalla dipendenza della sua compagna. [28] So
che
i fautori della moderna musica, alla testa de’ qu
ttere ed alla sua patria)126 mostrano di far poco conto del vantaggio
che
avevano gli antichi nel regolamento del tempo, qu
el vantaggio che avevano gli antichi nel regolamento del tempo, quasi
che
simili finezze non siano necessarie atteso l’attu
ea si formano essi della imitazion poetica e musicale? Ignorano forse
che
queste non producono il loro effetto se non in qu
ste dicono una cosa allorché la frase musicale ne esprime un’altra, e
che
un medesimo oggetto rappresentato sotto due aspet
esimo oggetto rappresentato sotto due aspetti differenti altro non fa
che
dividere l’attenzione dello spirito senza fissarl
idere l’attenzione dello spirito senza fissarla? Non s’accorgono essi
che
dove la lingua non ha una prosodia regolare e sta
la musica, siccome quello cui manca il principal fonte della energia,
che
consiste nella espressione di qualche individuale
la pronunzia, le note non possono seguitar l’ordine delle sillabe? E
che
nelle arie stesse dove il riposo della voce sulle
è grande tuttavia l’incertezza del compositore nel numero delle note
che
a ciascuna sillaba dee corrispondere, e nei tempi
mero delle note che a ciascuna sillaba dee corrispondere, e nei tempi
che
debbono impiegarsi nel proferirle? Però la mancan
vero e positivo difetto nelle nostre lingue, il quale per l’influenza
che
ha nella musica, spiega altresì sufficientemente
quei poeti e musici antichi chiamati Bardi dai settentrionali, parola
che
, secondo lui, significa in ebreo lo stesso che “c
settentrionali, parola che, secondo lui, significa in ebreo lo stesso
che
“cantar in suoni sminuitati e rotti”. Non so se l
ttura di questo erudito possa dirsi abbastanza fondata; dirò soltanto
che
l’usanza è tale da non ismentire la sua barbara o
che l’usanza è tale da non ismentire la sua barbara origine. [29] Ma
che
vo io parlando della mancanza di misura poetica q
lla prosodia poetica, rappresentava lo stesso numero di piedi ritmici
che
la poesia. La ricchezza non per tanto dell’una si
ricchezza non per tanto dell’una si comunicava alla sua compagna, dal
che
ne risultava la varietà prodigiosa dei ritmi non
dal che ne risultava la varietà prodigiosa dei ritmi non meno musici
che
poetici, onde lungamente abbiamo parlato di sopra
nde lungamente abbiamo parlato di sopra. Ma qual è il numero di tempi
che
ponno esprimere le misure musicali accettate da n
ccettate da noi? Se si parla delle misure semplici, le quali non sono
che
due la dupla cioè, e la tripla, la prima non espr
ali non sono che due la dupla cioè, e la tripla, la prima non esprime
che
due soli tempi, e la seconda tre. Se si parla del
tempi, e la seconda tre. Se si parla delle composte, queste non sono
che
quattro, cioè la quadrupla, ch’è una dupla doppia
seconda sei, la terza altri sei, e la quarta nove. Ora egli è chiaro
che
con siffatta divisione non si possono misurar mol
chiaro che con siffatta divisione non si possono misurar molti ritmi
che
attissimi sono a muover gli affetti. Con qual mis
mi inconvenienti. Il primo di metter due note in una sillaba sola, lo
che
, slungando e distraendo la pronunzia più del dove
sola, lo che, slungando e distraendo la pronunzia più del dovere, fa
che
affatto si perda il senso delle parole; ed ecco l
. Il secondo di non assegnare la loro individuale differenza ai ritmi
che
costano di tre tempi, come sono il giambo, il tro
alla nostra misura, ma per le ragioni allegate finora anche gli altri
che
dai grammatici vengono chiamati anfimacri, anfibr
rno modo di misurare. Quanto ciò ne ritardi l’effetto lo sanno coloro
che
hanno filosofato sull’origine e i fonti della esp
hanno filosofato sull’origine e i fonti della espressione musicale, e
che
conoscono altresì come una sola spezie di misura
e che conoscono altresì come una sola spezie di misura non può se non
che
con discapito della espressione rendersi comune a
non potremo assicurarci giammai, nonostante i molti e celebri autori
che
l’hanno trattata) egli è chiaro che la sua utilit
nostante i molti e celebri autori che l’hanno trattata) egli è chiaro
che
la sua utilità almeno per la musica teatrale è ta
che la sua utilità almeno per la musica teatrale è tanto problematica
che
poco o niun motivo abbiamo d’insuperbircene. Ques
’insuperbircene. Questa proposizione è tanto conforme alla esperienza
che
Vincenzo Galilei, Giulio Caccini, e Jacopo Corsi,
e è ancora l’immaginarsi come la moltiplicità e varietà degli accordi
che
richiede il contrappunto possa produrre una deter
ella iracondia, e così delle altre affezioni dell’animo in guisa tale
che
se fra loro si mischiano movimenti di diversa nat
dall’azione contraria dell’altro. Ora delle quattro parti principali
che
costituiscono la nostra armonia equitemporanea, c
ranea, cioè il basso, il tenore, il contralto e il soprano, il basso,
che
è l’estremo più grave e per conseguenza quello ch
soprano, il basso, che è l’estremo più grave e per conseguenza quello
che
procede con moti più lenti, si congiugne nella st
con moti più lenti, si congiugne nella stessa cantilena col soprano,
che
è l’estremo più acuto e che procede con movimenti
iugne nella stessa cantilena col soprano, che è l’estremo più acuto e
che
procede con movimenti più celeri; dalla qual cong
dalla qual congiunzione risulta una mischia, una opposizione di forze
che
distruggono l’animo dell’uditore in parti contrar
oltiplicità delle parti si dice altresì della scelta degli intervalli
che
sono in uso nella nostra armonia. Si riducono que
ono. La natura intrinseca di essi intervalli, e soprattutto di quelli
che
entrano ordinariamente nell’armonia, vale a dire
e ne debbe essere affatto diversa, poiché la modificazione del suono
che
risulta da ciascuno, e conseguentemente l’azione
scun intervallo, differente altresì esser debbe l’effetto individuale
che
ne vien generato. Ciò è tanto vero che se in una
er debbe l’effetto individuale che ne vien generato. Ciò è tanto vero
che
se in una cantilena fa il musico valere piuttosto
una cantilena fa il musico valere piuttosto una quinta, per esempio,
che
una terza, il risultato del suono e dell’effetto
terza. Posto questo principio incontrastabile, facciasi la supsizione
che
il compositore debba esprimere un sentimento di a
one che il compositore debba esprimere un sentimento di allegrezza, e
che
gli intervalli più a proposito per rappresentare
are siffatto sentimento siano le due terze. Egli è chiaro in tal caso
che
la base fondamentale della modulazione dovrà prin
della modulazione dovrà principalmente raggirarsi intorno alle terze,
che
il movimento dovrà colla sua velocità aumentarne
ze, che il movimento dovrà colla sua velocità aumentarne l’effetto, e
che
fra tutte le voci dovrà scegliersi quella del sop
ù atta a significar l’allegrezza. Mentre la cantilena non si modulerà
che
all’unisono, le cose tutte anderanno a dovere, ma
secondo le leggi dell’armonia equitemporanea necessariamente avverrà
che
le parti del tenore, del contralto e del basso pr
n nascere una cotal distrazione fra la voce principale e le aggiunte,
che
non potrà mai generarsi il dovuto effetto per cui
r cui voglionsi, come abbiam veduto, movimenti omogenei. Non si niega
che
da siffatto contrasto non possa per opera d’un va
un valente compositore cagionarsi talvolta una combinazione dei suoni
che
diletti l’udito per la sua vaghezza ed artifizio
d’eccellenza sconosciuto affatto agli antichi; ma egli è indubitabile
che
siffatto artifizio non è atto ad eccitar le passi
ubitabile che siffatto artifizio non è atto ad eccitar le passioni, e
che
l’intrinseca ripugnanza che regna nel sistema del
izio non è atto ad eccitar le passioni, e che l’intrinseca ripugnanza
che
regna nel sistema della nostra armonia (ripugnanz
[32] Il grande svantaggio della nostra musica è non per tanto quello
che
qualunque principio di conmozione venga eccitato
individuale e preciso. Ciò si ricava, oltre l’intrinseca contrarietà,
che
abbiamo provato esistere nell’armonia, anche dall
a cantilena o composizione, la quale a eccezione del tuono principale
che
varia secondo l’indole del motivo, in tutto il re
, in tutto il restante è costretta a prevalersi di que’ tali elementi
che
sono gli stessi per esprimere ogni e qualunque sp
e sono gli stessi per esprimere ogni e qualunque spezie d’affetto, ma
che
dovrebbero variarsi a misura del bisogno e delle
la misura, ma i ritmi specifici propri in tal modo di quella passione
che
non potessero trasferirsi a verun’altra, non solo
oggetto, ma la tendenza individuale altresì di tutte quante le parti
che
la compongono. [33] Ma fintantoché il movimento t
le verrà in qualunque composizione accompagnato da movimenti parziali
che
ne distruggon l’effetto; fintantoché i minimi com
i inerente ed intrinseca al nostro sistema musicale; fintanto insomma
che
non ripiglieremo il metodo antico ch’era quello d
orriso della prevenzione e i sofismi della pedanteria, ci farà vedere
che
noi non abbiamo della musica fuorché la parte più
bbiamo della musica fuorché la parte più materiale e meno importante,
che
non conosciamo lo spirito vivificante che l’anima
ateriale e meno importante, che non conosciamo lo spirito vivificante
che
l’animava altre volte, che non possiamo scontrare
che non conosciamo lo spirito vivificante che l’animava altre volte,
che
non possiamo scontrare in essa la vera espression
in essa la vera espressione se non rare volte, e per puro accidente,
che
quale noi la coltiviamo non é atta in se stessa a
te, che quale noi la coltiviamo non é atta in se stessa a produrla, e
che
finalmente cotesta facoltà incantatrice e prodigi
ombinare i suoni». [34] Ricercata filosoficamente l’intima differenza
che
corre tra il nostro sistema musicale e quello deg
icati in generale gli inconvenienti annessi alla nostra armonia, pare
che
la serie di ragioni addotte fin qui bastar dovess
o assunto. Ma siccome nel numero dei lettori haccene ancora di quelli
che
facendo professione di vivere eternamente attacca
’una pruova, fa d’uopo venir avanti coll’autorità spezie di argomento
che
l’inerzia adotta volentieri perché la dispensa da
o che l’inerzia adotta volentieri perché la dispensa dal ragionare, e
che
il pregiudizio accarezza talvolta a fine di nasco
che il pregiudizio accarezza talvolta a fine di nasconder colla stima
che
mostra verso le opinioni d’un solo, il disprezzo
nder colla stima che mostra verso le opinioni d’un solo, il disprezzo
che
ha per la capacità di tutti gli altri. Sentano es
i. Sentano essi adunque parlare due scrittori cogniti alla Europa non
che
alla Italia per la loro perizia nelle scienze mus
opa non che alla Italia per la loro perizia nelle scienze musicali, e
che
non possono venire accagionati di giudicare senza
muovere qualcuno degli affetti, per esser caso raro, ci fa conoscere
che
ella intrinseca mente e di sua natura non possi
non possiede codesta attività». 129 Il secondo è il famoso Marcello,
che
nella prefazione alla sua Parafrasi musicale sopr
sicale sopra i primi venticinque salmi, parlando di tutte quelle cose
che
nella musica greca concorrevano ad eccitar le pas
atone l’uso di esse, egli è ben facile da comprendersi dal non udirsi
che
appena o di rado da canti nostri, benché da vari
quali a chiunque odali raccontare sembrar convengono piuttosto favole
che
veri»130. 109. [NdA] «Garganum mugire putes
) e il Maresciallo di Sassonia nelle sue Memorie è parimenti d’avviso
che
se i soldati s’avezzassero a seguitar con esattez
0. [NdA] De Musica. 121. [NdA] È singolare fra le altre la storiella
che
si racconta di Pitagora, la quale per altro sono
racconta di Pitagora, la quale per altro sono ben lontano dal volere
che
passi per vera. Dicesi, che andando quel filosofo
ale per altro sono ben lontano dal volere che passi per vera. Dicesi,
che
andando quel filosofo a spasso di notte per una c
se smanie cui s’abbandonava un giovine sotto ad una finestra a motivo
che
mentre egli spendeva il suo tempo e i suoi danari
tempo e i suoi danari nel dar una serenata alla sua bella, un altro,
che
s’era introdotto in casa furtivamente, la cortegg
se egli il segreto di restituire la calma all’afflitto amante facendo
che
uno dei suonatori di flauto cambiasse il modo nel
ori di flauto cambiasse il modo nella misura espondaica. Che peccato,
che
fra le tante belle invenzioni di Pitagora si sia
della forza e unione della musica e della poesia riflette saggiamente
che
l’idea che noi abbiamo del loro genere enarmonico
e unione della musica e della poesia riflette saggiamente che l’idea
che
noi abbiamo del loro genere enarmonico debbono es
enere enarmonico debbono esser alterate e false. Imperocché dicendosi
che
le loro corde medie si distinguevano per interval
’un tuono (con una frapposta mescolanza di due tuoni intieri) si vede
che
siffatta divisione oltracciò doveva riuscir somma
sommamente sgradevole all’orecchio, è cotanto difficile a praticarsi
che
appena la voce snodatissima e leggerissima di un
non trovandosi tra gli antichi e moderni scrittori alcun filo sicuro
che
ci serva di guida in cotal labirinto. Alcuni desu
al labirinto. Alcuni desumono la loro diversità dalla sola differenza
che
corre fra i gradi dell’acuto e del grave: altri d
ve: altri dall’indole diversa delle cantilene nazionali. Chi sostiene
che
il modo significasse lo stesso che il ritmo; chi
cantilene nazionali. Chi sostiene che il modo significasse lo stesso
che
il ritmo; chi ripon la sua essenza in una spezie
obliqui, destri, o sinistri, trovandosi gli autori discordi a segno,
che
al medesimo strumento, cui veniva da alcuni asseg
e alla stessa cantilena s’attribuiscono più volte effetti opposti non
che
dissimili. Platone, per esempio, parlando della m
rlando della melodia frigia, dice ch’era più tranquilla della dorica,
che
ispirava la moderazione, e che si conveniva ad un
ce ch’era più tranquilla della dorica, che ispirava la moderazione, e
che
si conveniva ad un uomo ch’esercitasse un atto di
sercitasse un atto di religione. Aristotile per il contrario pretende
che
fosse torbolenta e propria ad eccitar l’entusiasm
nta e propria ad eccitar l’entusiasmo. Il medesimo filosofo asserisce
che
le composizioni d’Olimpo antico musico nativo del
i d’Olimpo antico musico nativo della Frigia ispiravano un furore più
che
umano. Ciò nonostante, i Nomi, ovvero siano canti
avverte altresì con ragione (Essai sur l’origine des langues ch. 18)
che
non conoscendo i Greci l’intervallo del tuono min
allo del tuono minore, né dando il nome di consonanze se non a quelle
che
noi chiamiamo consonanze perfette, e conseguentem
E dopo tale e tanta ignoranza si trovano pure degli scrittori fra noi
che
con grossi tomi corredati da citazioni pretendono
rla alla nostra! I loro racconti mi sembrano avere la stessa autorità
che
le Relazioni del famoso inglese Valtein Raleing s
olamente si giudichi su questa materia da chi non vi porta altri lumi
che
quelli d’una pesante e inutile erudizione. Marco
, autore d’una traduzione latina eccellente dei sette scrittori greci
che
hanno trattato di musica, si ritrovava in Isvezia
senza notizie, senza critica, e senza filosofia, persuase alla regina
che
comandasse a Meibomio di cantar in sua presenza u
uisse alcune danze greche colla voce e coi piedi. I poveri letterati,
che
aveano nella voce tutta la rozzezza d’un uomo di
e d’un erudito da bene, adempirono così sgarbatamente la commissione,
che
, nonostante il rispetto dovuto alla regina, i cor
dosi poi nel Bourdelot, gli pestò il viso a forza di pugni dovuti più
che
all’innocente sua curiosità alla balordaggine con
5. [NdA] Alcuni celebri autori sono di contraria opinione, affermando
che
la poesia greca e latina si fondassero soltanto n
ioè all’acutezza e gravità de’ suoni nella pronunzia. Ma il vero si è
che
i Greci e i Latini facevano uso dell’uno e dell’a
o della sua Dissertazione intorno alla misura del tempo nella poesia,
che
quanto ci vien narrato dai grammatici intorno al
lore quantitativo delle sillabe nei poemi degli antichi altro non sia
che
una pura e pretta favola, giacché, secondo lui, i
una pura e pretta favola, giacché, secondo lui, i poeti non badavano
che
alla sola posizione degli accenti, come si fa nel
lle quali sostiene egli siffatta opinione; basterà soltanto avvertire
che
l’erudito autore non ha posto mente all’autorità
endo la prima breve, non può mettere il suo nome in un verso faleucio
che
la richiedeva lunga: «Nomen nobile, molle, delic
icere non rudi volebam, Sed tu, sillaba contumax, repugnas» dice poi
che
i Greci avrebbero potuto farlo più comodamente, p
comodamente, perché si prendevano maggior libertà su questo punto, ma
che
rispetto ai Latini «Nobis non licet esse tam dis
vo delle politiche, appellandola artifiziosa, e non valevole ad altro
che
a venire in contrasto con gli emoli suoi, né esse
a dedotte dalla sua formazione, e dal suo meccanismo. Cause politiche
che
hanno contribuito a renderla tale. [1] Lascio da
cevute degli eruditi, e mi restringo ad esaminare soltanto i vantaggi
che
ha la lingua italiana per la musica: circostanza
tanto i vantaggi che ha la lingua italiana per la musica: circostanza
che
più d’ogni altra cosa ha contribuito all’incremen
lendore di codesto leggiadrissimo ramo della italiana letteratura. Il
che
tanto più volentieri eseguirò quanto più opportun
sì interessante argomento. Ma tale è la disgrazia di quelle facoltà,
che
chiamansi di genio, e particolarmente di questa.
à, che chiamansi di genio, e particolarmente di questa. I professori,
che
hanno tutta l’anima nelle dita, stimano che altre
di questa. I professori, che hanno tutta l’anima nelle dita, stimano
che
altre cognizioni non vi siano d’apprendere nell’a
perfezione delle arti di gusto: come se l’innocente e sicuro diletto
che
può ritrarsi da esse, sia un troppo picciolo frut
rti oggetti, i quali la natura ha bastevolmente mostrato di non voler
che
si cerchino, o togliendoci affatto la possibilità
bilità di conoscerli, o rendendoci inutile la cognizione di essi dopo
che
si sono saputi. [2] Affinchè proceda con precisio
delle lingue pel canto. La voce considerata in se stessa non è altro
che
l’aria sospinta in su dai polmoni, la quale intro
’aria sospinta in su dai polmoni, la quale introducendosi per canale,
che
si chiama trachea, indi assottigliandosi per la f
alle labbra formando un romore, o suono inarticolato. La parola non è
che
il suono medesimo quando nel sortir dalla bocca r
do nel sortir dalla bocca riceve due modificazioni di genere diverso,
che
articolato lo rendono. La prima modificazione è q
e diverso, che articolato lo rendono. La prima modificazione è quella
che
forma le lettere vocali, e consiste nella maggior
e permanente senza toccarsi insieme: dalla qual permanenza ne siegue,
che
il riposo della voce ne’ detti suoni non meno die
gli abbassamenti di essa, possono essere più o meno durevoli, secondo
che
più o meno dura l’espirazione dell’aria, che esce
o meno durevoli, secondo che più o meno dura l’espirazione dell’aria,
che
esce dai polmoni. Attalchè tutte le regole che si
espirazione dell’aria, che esce dai polmoni. Attalchè tutte le regole
che
si danno per li accenti e per l’intonazioni appar
’intonazioni appartengono principalmente alle vocali, anzi non cadono
che
sopra queste. L’altra modificazione, che forma le
alle vocali, anzi non cadono che sopra queste. L’altra modificazione,
che
forma le lettere consonanti, si fa, qualora passa
longitudine geografica. Ma di ciò, come ancora delle cagioni morali,
che
contribuiscono ad alterar i linguaggi, si farà di
saggio filosofico sull’origine della espressione poetica, e musicale,
che
da chi scrive si conserva inedito. [3] Dal primo
esso intorno alla formazione delle vocali, e delle consonanti risulta
che
la lingua più a proposito per il canto sarà quell
isulta che la lingua più a proposito per il canto sarà quella: primo,
che
conti maggior numero di vocali, perché facendosi
lle intonazioni, e per conseguenza degli elementi del canto: secondo,
che
impieghi maggior numero d’inflessioni diverse nel
nto, e più sensibile renderassi il valor musicale delle note: quarto,
che
non usi nelle parole di troppo rincontro di lette
orrente, perché ciò contribuisce non meno alla dolcezza della lingua,
che
all’agevole collocazione delle note. [4] Ma i suo
i perfettamente armonici, né possono misurarsi per alcuna delle note,
che
entrano nei nostri sistemi di musica. Il canto è
lle note, che entrano nei nostri sistemi di musica. Il canto è quello
che
li determina, dando loro un valore e una durazion
le per alcuno dei segni musicali. Ma cosa è egli mai questo canto? In
che
si distingue dalla favella ordinaria? Quali mutaz
ni fisici della voce? Io lascio volentieri agli altri questa ricerca,
che
non è strettamente ligata col mio argomento, e ch
ri questa ricerca, che non è strettamente ligata col mio argomento, e
che
apprendersi non potrebbe senza troppo apparato sc
potrebbe senza troppo apparato scientifico. Mi contenterò d’osservare
che
in qualunque sentenza a cui ci appigliamo (nè tro
are che in qualunque sentenza a cui ci appigliamo (nè trovasi alcuna,
che
alla proposta quistione in ogni sua parte rispond
e rispettive vocali del discorso secondo tali determinati intervalli,
che
sono quelli che s’esprimono nella musica coi nomi
ali del discorso secondo tali determinati intervalli, che sono quelli
che
s’esprimono nella musica coi nomi di seconda, ter
a e leggiadria del suono, il quale non esce assottigliato nella guisa
che
si richiede. Non dee averla nasale, perché facend
te, sulle quali, non potendo la voce far le sue poggiature a cagione,
che
non si pronunziano, i passaggi s’intorbidano, e l
ché bisogna notarle quantunque scommettano nel discorso, dalche nasce
che
le note di rado o non mai vadano d’accordo coll’i
possono né meno riceverlo dalle note, le quali non hanno in tal caso
che
una espressione insignificante. Facili dovranno e
lazioni, le sillabe nettamente divise, le parole di lunghezza giusta,
che
non assorbiscano, a così dire, tutto il fiato al
ta, che non assorbiscano, a così dire, tutto il fiato al cantante, ma
che
gli lascino il tempo di proferirle intiere senz’e
ssa è l’italiana sicuramente. Per chiarirsene d’altro non abbisognasi
che
di farne l’applicazione. Il numero delle sue voca
tavia è assai ricca anche in questi, distinguendo molto bene il suono
che
corrisponde all’“a” semplice, da quello che corri
uendo molto bene il suono che corrisponde all’“a” semplice, da quello
che
corrisponde all’“a” con aspirazione, l’“i” breve
ch’equivalgono all’eta, all’omega de’ Greci dall’“e”, ed “o” chiuso,
che
rassomigliano all’“e” breve, e all’omicron. né mi
é, secondo le osservazioni del Buonmattei 11, da venti soli caratteri
che
s’annoverano nel toscano alfabeto, si ricavano ne
anti modi leggiadri di profferire, di tanti suoni, ed accenti diversi
che
s’usano ne’ moltiplici e vari dialetti di questa
vari dialetti di questa penisola. né sono molto lontano dal credere,
che
se di comune consenso della nazione sene facesse
issimi, la musica ne acquisterebbe un pregio maggiore assai di quello
che
attualmente possegga, udendosi ora l’accento moll
lo che attualmente possegga, udendosi ora l’accento molle de’ sanesi,
che
appena toccano a mezzo suono le vocali, e rendono
nsibili massimamente nel fine: ora l’intenso e veloce de’ napoletani,
che
squartano, a così dire, le sillabe colla loro lar
i, che squartano, a così dire, le sillabe colla loro larga pronunzia,
che
sarebbe perciò opportunissima a’ canti guerreschi
ll’espressione della voluttà: ora la chiarezza e sonorità del romano,
che
alle gravi e seriose melodìe mirabilmente si conf
onsonanti non può essere più opportuna, non essendoci alcuna sillaba,
che
ne contenga più di quattro, né trovandosi tre in
ro, né trovandosi tre in seguito senza l’aiuto di qualche semivocale,
che
temperi la rozzezza del suono. E i passaggi da un
gi da una parola in un’altra fansi con agevolezza grandissima, atteso
che
tutte le dizioni, siano nomi siano verbi, termina
succinto». [8] Inoltre la giusta misura e proporzione delle parole,
che
più acconci e le rende a ricever il valor delle n
, e a seguitar il movimento, unita all’intervallo così proporzionato,
che
trovasi ne’ versi italiani tra parola e parola, t
ne ed articolazione, e alla felice mescolanza delle medesime fanno sì
che
la poesia italiana, ove maneggiata venga a dovere
non sente subito il musicale nell’artifiziaìe combinazione de’ suoni,
che
compongono la seguente ottava? «Sommessi accenti
arole, Rotti singulti, e flebili sospiri Della gente,
che
in un s’allegra, e duole Fan che per l’ar
sospiri Della gente, che in un s’allegra, e duole Fan
che
per l’aria un mormorio s’aggiri, Qual nel
aggiri, Qual nelle folte selve udir si suole S’avvien
che
tra le frondi il vento spiri, O quale inf
Sibila il mar percosso in rauchi stridi». [9] Nè dalla delicatezza,
che
scorgesi in questi e simili esempi si debbe argom
alcuni critici francesi, i quali si compiacciono di giudicare di ciò
che
mostrano di non intendere, che la lingua italiana
li si compiacciono di giudicare di ciò che mostrano di non intendere,
che
la lingua italiana sia troppo effemminata e casca
consonanti, come “alloppiare, oggetto”, il quale, oltre il sostenere
che
fa la pronunzia, serve a dividere più esattamente
i toscani formano un suono, ch’io assomiglierei volontieri al romore,
che
fanno le penne degli augelli nel tempo, che spicc
rei volontieri al romore, che fanno le penne degli augelli nel tempo,
che
spiccano il volo: ora colle frequenti elisioni, c
ugelli nel tempo, che spiccano il volo: ora colle frequenti elisioni,
che
spesseggiano il rincontro delle consonanti, dando
n Parigi, indi si giudichi se la lingua italiana ad altro non è buona
che
ad esprimere l’effemminatezza. [11] Sebbene non o
emminatezza. [11] Sebbene non ogni evidenza di stile, non ogni numero
che
alla poesia si confà, sarebbe a proposito per la
nella convenienza delle parole e de’ suoni colla natura dell’oggetto,
che
esprimono: l’una e l’altra dipende dalla prosodia
primono: l’una e l’altra dipende dalla prosodia della lingua non meno
che
dalla cadenza ritmica del periodo, e da quella di
alla cadenza ritmica del periodo, e da quella dimensione artifiziale,
che
cerca gli intervalli e i riposi. Ma nell’armonia
i per musica cercasi non tsnto la forza determini quanto la relazione
che
hanno essi col canto: per lo che voglionsi parole
forza determini quanto la relazione che hanno essi col canto: per lo
che
voglionsi parole composte di vocali chiare ed ape
ste di vocali chiare ed aperte, vuolsi un tal collocamento d’accenti,
che
affretti o rallenti in proporzione il movimento s
d’accenti, che affretti o rallenti in proporzione il movimento senza
che
abbia a inceppare in articolazioni troppo diffici
inceppare in articolazioni troppo difficili, o in suoni confusi, dal
che
ne risulti sintassi più facile, e, a così dir, pi
al che ne risulti sintassi più facile, e, a così dir, più scorrevole,
che
metta ne’ suoni una opportuna distanza tra il pia
e le pause della voce. Le lingue e le poesie più perfette sono quelle
che
sanno combinar meglio insieme codeste due spezie
’ poeti, e il vario loro carattere. Ed è siffatto carattere musicale,
che
distingue i versi di Virgilio da quelli di Lucano
che distingue i versi di Virgilio da quelli di Lucano, e di Lucrezio,
che
fa comparir sì gentile il Petrarca dirimpetto al
omparir sì gentile il Petrarca dirimpetto al fiero e rugginoso Dante,
che
rende Metastasio superiore a Zeno, e Frugoni, e c
rugginoso Dante, che rende Metastasio superiore a Zeno, e Frugoni, e
che
mette Torquato Tasso al di sopra di Chiabrera, e
l’Ariosto ricche d’evidenza e di suono al paro di quella. Io rispondo
che
la espressione che scorgesi nei versi del ferrare
evidenza e di suono al paro di quella. Io rispondo che la espressione
che
scorgesi nei versi del ferrarese, è piuttosto poe
espressione che scorgesi nei versi del ferrarese, è piuttosto poetica
che
musicale, che non percuote soltanto l’orecchio ma
e scorgesi nei versi del ferrarese, è piuttosto poetica che musicale,
che
non percuote soltanto l’orecchio ma la pronunzia,
che musicale, che non percuote soltanto l’orecchio ma la pronunzia, e
che
l’accozzamento de’ suoni fra le vocali e le conso
nde pel canto. Mettasi sotto le note il primo verso di quella stanza,
che
fra le altre s’adduce in prova dal Bettinelli. «
iene e sonanti, la disposizione dell’“a”, e dell’“o” oltre l’esprimer
che
fa mirabilmente la vacuità, e il silenzio delle c
o de’ colori vedesi a maraviglia osservato, onde ne risulta un tutto,
che
riunisce il colorito alla evidensa, e l’espressio
mpi, e degli accenti; così stimo miglior consiglio il rimandar coloro
che
vorranno sapere più oltre, ai musici di professio
ai musici di professione, e ai matematici14. Basti per ora il sapere,
che
sebbene la prosodia italiana sia di gran lunga in
arola venivano determinate dal valore, e dalla quantità delle sillabe
che
formavano la parola stessa, laddove nella favella
mpi del poetico ritmo non possono esattamente determinarsi a cagione,
che
la maggior parte delle sillabe non ha quantità fi
quantità fissa, e sensibile; nondimeno cotal difetto è minore in lei
che
nelle altre lingue viventi. Imperocché ha ella un
lle altre lingue viventi. Imperocché ha ella una variazione d’accento
che
la rende molto a proposito per la formazione de’
i cinque sillabe, mettendo l’accento sulla seconda, far brievi le tre
che
le rimangono, come in “determinano”: può fare lo
o”: abbonda moltissimo di piedi dattili come “florido, lucido”, piedi
che
molto giovano all’armonia a motivo dell’ultima, e
ultima, e penultima breve precedute danna sillaba lunga, circostanza,
che
più agevole rende la musicale misura: adatta l’ac
ravura, sentenza”, ora sull’ultima, come in “morì, bontà, virtù”, dal
che
vario e differente suono risulta sì nelle rime ch
bontà, virtù”, dal che vario e differente suono risulta sì nelle rime
che
nei periodi, e più facile diviene la poggiatura n
foggia de’ Greci, e de’ Latini, o almeno la pronunzia di esse è tale
che
facilmente potrebbero misurarsi, ond’è che può fo
a pronunzia di esse è tale che facilmente potrebbero misurarsi, ond’è
che
può formare dei piedi il trocheo, come “venne fro
idonico, il faleucio, l’anapesto e il giambo15. [14] Da ciò ne siegue
che
la melodia della lingua e del canto italiano è la
imitazione trasferita al canto delle diverse successive inflessioni,
che
fa l’uomo nella voce ordinaria, allorché è agitat
egli accenti nella sua pronunzia; egli è per conseguenza chiarissimo,
che
più espressiva sarà la melodia a misura, che la l
conseguenza chiarissimo, che più espressiva sarà la melodia a misura,
che
la lingua sarà più abbondevole e varia in questo
mitazione della natura diverrà più perfetta. Che se alcun m’opponesse
che
i vantaggi di sopra indicati nella lingua italian
ento naturale, o per dir meglio, patetico, assai diverso da quello, e
che
in questo è riposto il principio ascoso della mel
he in questo è riposto il principio ascoso della melodia, io rispondo
che
l’accento prosodiaco il naturale necessariamente
lla pronunzia nel proferire le sillabe non si sono altronde ricavate,
che
dalla continua osservazione di ciò che succede in
non si sono altronde ricavate, che dalla continua osservazione di ciò
che
succede in natura, e dai diversi alzamenti, o abb
o lentezza, con cui nell’uomo le passioni si esprimono: e l’asserire
che
tali regole niente hanno di comune coll’accento n
accento naturale, o patetico, sarebbe ugualmente assurdo, e ridicolo,
che
il dire che la musica strumentale ha fondamenti c
rale, o patetico, sarebbe ugualmente assurdo, e ridicolo, che il dire
che
la musica strumentale ha fondamenti contrari o di
, così accostano vieppiù il recitativo alla declamazion naturale, nel
che
la sua bellezza è a giudizio degli intendenti pri
utte le parole si pronunziano coll’accento sull’ultima sillaba; ond’è
che
i cantanti per rendere men monotono il recitativo
tretti a discostarlo dal naturale, caricandolo di falsi ornamenti. Al
che
s’aggiugne eziandio l’indole de’ loro versi, i qu
aggiore, or minore ricevere. La lingua italiana ha dunque un discorso
che
facilmente divien poesia, ha poesia che s’avvicin
taliana ha dunque un discorso che facilmente divien poesia, ha poesia
che
s’avvicina alla natura del canto, ha finalmente i
ia che s’avvicina alla natura del canto, ha finalmente il recitativo,
che
dalla declamazione poetica non molto si scosta: d
l recitativo, che dalla declamazione poetica non molto si scosta: del
che
somministra una pruova il vedere, che i drammi de
oetica non molto si scosta: del che somministra una pruova il vedere,
che
i drammi dello Zeno, e del Metastasio sono ugualm
mi dello Zeno, e del Metastasio sono ugualmente acconci per recitarsi
che
per cantarsi. Il Signor D’Alambert pretende che s
acconci per recitarsi che per cantarsi. Il Signor D’Alambert pretende
che
siffatta indifferenza per la recita e per il cant
ana16. Io lontano dall’acconsentire al suo parere porto anzi opinione
che
ciò sia un pregio grandissimo, e maggiore ancor l
eometra ha dovuto poco dopo convenir egli stesso, poiché tra i mezzi,
che
da gran maestro addita per migliorar il recitativ
si cangino dall’ordine loro le parole, mettendo sul principio quelle,
che
sono al fine, ovvero sul fine quelle, ch’erano in
oni, nel Dolce, e nel Casa, i quali ti fanno sfiatare i polmoni prima
che
arrivi a terminar un periodo: né che non preferis
i fanno sfiatare i polmoni prima che arrivi a terminar un periodo: né
che
non preferisca sì in verso che in prosa uno stile
a che arrivi a terminar un periodo: né che non preferisca sì in verso
che
in prosa uno stile conciso, e pieno di cose all’a
iarezza, e la disinvoltura sono i principali ornamenti. Ma dico bensì
che
la lingua che avrà il vantaggio della trasposizio
disinvoltura sono i principali ornamenti. Ma dico bensì che la lingua
che
avrà il vantaggio della trasposizione farà in ugu
ora per la maggior attitudine a dipignere cagionata dal diverso giro,
che
può darsi alla frase, e dalla varietà, che da ess
agionata dal diverso giro, che può darsi alla frase, e dalla varietà,
che
da esso ne risulta, onde si sfugge la monotonia,
zza in quello delle consonanti inevitabili spesse fiate nelle lingue,
che
hanno sintassi sempre uniforme: ora questo medesi
a e gravità dell’oggetto: ora facendo opportuna scelta di quei suoni,
che
più alla mimetica armonia convengono: ora per la
ni, che più alla mimetica armonia convengono: ora per la sospensione,
che
fa nascer nello spirito lo sviluppo successivo d’
nsiero, di cui non si sa il risultato sino alla fine del periodo. Nel
che
è da osservarsi che le lingue, le quali per conse
i sa il risultato sino alla fine del periodo. Nel che è da osservarsi
che
le lingue, le quali per conservar rigorosamente l
oiché mentre il sentimento dei versi è completo, quello della musica,
che
va poco a poco spiegandosi, non finisce se non co
ori, della ricchezza determini cagionata dal gran numero di dialetti,
che
sono concorsi a formarla, della sua varietà nata
cità delle sue forme, dell’abbondanza d’augmentativi e di diminutivi,
che
la rendono opportuna quelli per lo stile ditiramb
o stile ditirambico, questi per l’anacreontico, e della pieghevolezza
che
in lei nasce dal concorso di queste e d’altre cau
re non ebbe difficoltà di dire: «Che è una lingua affatto giochevole,
che
altro non intende che di far ridere coi suoi dimi
di dire: «Che è una lingua affatto giochevole, che altro non intende
che
di far ridere coi suoi diminutivi», e notisi, che
e altro non intende che di far ridere coi suoi diminutivi», e notisi,
che
molti di quelli ch’ei nomina non si trovano frale
gli Inglesi fischiano, gli Italiani sospirano, né ci ha propriamente
che
i Francesi, i quali parlino». Dopo i quali spropo
ci dobbiamo punto maravigliare dello spiritoso, e leggiadro giudizio,
che
dà intorno alle tre lingue sorelle: «Cioè che la
, e leggiadro giudizio, che dà intorno alle tre lingue sorelle: «Cioè
che
la lingua spagnuola è una superba di genio altier
orelle: «Cioè che la lingua spagnuola è una superba di genio altiero,
che
vuol comparir grande, ama il fasto e l’eccesso in
fraschetta, e una vanerella sempre carica d’ornamenti e di belletto,
che
altro non cerca che piacere ad altrui, e che ama
anerella sempre carica d’ornamenti e di belletto, che altro non cerca
che
piacere ad altrui, e che ama molto le bagatelle.
ornamenti e di belletto, che altro non cerca che piacere ad altrui, e
che
ama molto le bagatelle. La francese è una matrona
a spagnuola? Oppure si credeva abbastanza ricompensato dal dispregio,
che
meritano dagli stranieri le sue decisioni coll’ap
ricercare onde abbiasi la lingua italiana acquistata quella dolcezza,
che
sì abile al canto la rende, e da quai fonti siano
otrà egli a mio giudizio rinvenirli nelle cagioni seguenti. La prima,
che
non essendo stata l’Italia né tutta intiera, né l
tteri meglio delle altre nazioni, dove la lingua, e i costumi non men
che
la religione, e le leggi hanno dovuto piegare sot
ncese, la quale altro non è, se crediamo a’ loro autori più illustri,
che
un antico dialetto celtico diversamente alterato,
ottami ancora della lingua italica primitiva anteriore alla latina, e
che
formavasi dai dialetti etrusco, indigene, osco, g
digene, osco, greco, sabino, e tant’altri usati dai rispettivi popoli
che
abitavano questi paesi. Di ciò appaiono manifesti
o, per quella ragione avverata in tutti i secoli e da tutte le genti,
che
l’accento naturale è più durevole delle leggi e d
tezza intentata contro ai cantori italiani da Gregorio Sarisberiense,
che
fioriva verso il 1170. [19] La seconda, della imm
verso il 1170. [19] La seconda, della immaginazione pronta e vivace,
che
tanto influisce sul naturale degli Italiani, la q
egli organi destinati all’esercizio della parola trova subito quelle,
che
alla maniera loro di concepire maggiormente si co
passioni sia, generalmente parlando, lo stesso in tutti gli uomini, e
che
la natura si spieghi con certi segni comuni ad og
con certi segni comuni ad ogni nazione, egli è nondimeno certissimo,
che
la differenza de’ climi e de’ temperamenti, il ma
io nella maniera di esprimer gli affetti non meno tra popolo e popolo
che
tra individuo ed individuo. Bisogna scorticar un
se l’accento naturale. Perlochè è mirabile la vivacità, e l’evidenza,
che
osservasi non solo nella collera, ma anche nel di
uello delle parole, ed ecco il gran fonte onde scaturisce il modello,
che
il musico dee per ogni verso cercar d’imitare, e
sua possanza. [20] Un’altra ragione potrebbe addursi per ultimo, ed è
che
essendosi vedute di buon ora in Italia signorie g
, le arti, e il commercio contribuivano non meno ad ingentilir l’ozio
che
a fomentarlo, la tendenza al piacere, che da tai
n meno ad ingentilir l’ozio che a fomentarlo, la tendenza al piacere,
che
da tai radici germoglia, e della quale la storia
pi sorprendenti, s’introdusse per entro a tutte le facoltà del gusto,
che
hanno per immediato strumento la parola. Le donne
tre, dalle quali ogni civile socievolezza dipende, avendo per cagioni
che
non sono di questo luogo acquistata una influenza
on sono di questo luogo acquistata una influenza su i moderni costumi
che
mai non ebbero appresso gli antichi, giovarono al
ono al medesimo fine eziandio ora per l’agio, e morbidezza di vivere,
che
ispira il loro commercio, onde s’addolcì la guerr
la guerresca ferocia di que’ secoli barbari: ora per l’innato piacere
che
le trasporta verso gli oggetti che parlano alla i
barbari: ora per l’innato piacere che le trasporta verso gli oggetti
che
parlano alla immaginazione ed al cuore: ora per l
dio di molte posto nelle belle lettere, e nelle arti più gentili, dal
che
nacque il desiderio d’imitarle ne’ letterati avid
ustre quanto fosse altro mai per le donne italiane: ora per le fiamme
che
svegliano esse nei petti degli uomini, onde quest
ggiugner la robustezza purgando la dizione dai Gotici e Latini avanzi
che
vi rimanevano nelle ruvide desinenze, nella sinta
olazioni disagevoli, ne’ passaggi troppo confusi, e in altre cose. Lo
che
essi non avrebbero mai eseguito se il desiderio d
esse lor fatto nascere il pensiero di divenire scrittori. [21] Se non
che
siffatto donnesco ascendente, come giova a far ge
olle del vigore negli uomini, ripongono in mano alle donne quel freno
che
la natura avea ad esse negato: quando una giovent
sagrifica alle insidiose tiranne della loro libertà insiem col tempo
che
perde anche i talenti, di cui ne abusa: quando gl
gli oggetti e le idee per proporzionarle agli sguardi delle saccenti
che
regolano imperiosamente i giudizi e la critica di
astarlo sono malgrado loro sforzati a preferire lo stile d’un giorno,
che
nasce e muore, come gli insetti efimeri, alle bel
la natura, ch’esprimono. Tali furono a un dipresso le ascose cagioni,
che
fecero degenerare la poesia e la lingua dopo i se
erare la poesia e la lingua dopo i secoli d’Alessandro e d’Augusto, e
che
corruppero ogni bella letteratura in Italia dopo
tal rimprovero potessero incolparsi soltanto i passati secoli, senza
che
nulla avessimo a rammaricarci pel nostro! 11. [
al pregiudizio di questo scrittore sulla lingua spagnuola; tanto più
che
non si è fermato soltanto in Francia, ma, valican
ando le Alpi ha penetrato ancora in Italia dove si crede comunemente,
che
la lingua spagnuola sia piena di fasto, e di bori
acconcia ad esprimere la dilicatezza, e l’affetto. Si crede inoltre,
che
in quasi tutta la nostra pronunzia si senta la go
inoltre, che in quasi tutta la nostra pronunzia si senta la gorgia, e
che
la maggior parte delle parole finiscano in “-as”,
ggior parte delle parole finiscano in “-as”, “-es”, “-os”, “-us”, dal
che
troppo frettolosamente si conchiude, ch’essa non
della nostra lingua si riduce a tre sole lettere delle ventiquattro,
che
compongono l’alfabeto, cioè “x”, “g” e “iota”; ch
elle ventiquattro, che compongono l’alfabeto, cioè “x”, “g” e “iota”;
che
il loro suono, quando vien proferito da bocca cas
a noi del bello e colto parlare, è meno aspro, e men rozzo di quello,
che
sia la pronunzia del popolo più colto d’Italia ci
nel pronunziare in “ca”, dov’essi fanno assai più sentire la gorgia;
che
la frequenza di esse lettere non è tale, che non
i più sentire la gorgia; che la frequenza di esse lettere non è tale,
che
non possa agevolmente schivarsi, ove si voglia co
non possa agevolmente schivarsi, ove si voglia comporre per il canto;
che
appena la terza parte delle parole spagnuole fini
arole spagnuole finisce in consonante, e per ben due terzi in vocale;
che
esse consonanti finali sono le più dolci, e soavi
“s, d, l, n, r”, ove la pronunzia niuno trova, o pochissimo intoppo;
che
le consonanti più ruvide, e meno musicali tanto a
, k, g, m, ll, rr” sono affatto sbandite in fine delle nostre parole;
che
niun vocabolo termina con due consonanti in segui
ti in seguito, come avviene agl’Inglesi, Tedeschi, Francesi e Latini;
che
però siffatte terminazioni rendono la notra lingu
s, -os” non toglievano alla lingua greca l’esser dolce, e soavissima;
che
quasi tutti i vantaggi insomma, che sono stati da
reca l’esser dolce, e soavissima; che quasi tutti i vantaggi insomma,
che
sono stati da me osservati nella lingua italiana
ngua spagnuola alla italiana in quanto alla musica. A me sembra però,
che
la lite rimanga assai dubbia esaminandola imparzi
saggi, anche questa si mantiene assai meglio colla maestà, e pienezza
che
le somministrano le sue sillabe finali. Se la pro
eparato a’ zerbini, e a’ saccenti italiani; ma non mi sfugge altresì,
che
i saccenti, e i zerbini d’Italia sono, come quell
sono, come quelli di tutti gli altri paesi, la più ridicolosa genia,
che
passeggi orgogliosamente sulla faccia della terra
timento, un autore, il quale per esser moderno, e filosofo, e (quello
che
più importa) francese, spero, che m’abbia a servi
sser moderno, e filosofo, e (quello che più importa) francese, spero,
che
m’abbia a servire di scudo, contro a codesti fero
a moda. Parlo del celebre Alambert, nel quale essi neppur sospettano,
che
si possano trovare le seguenti parole: «Una lingu
ur sospettano, che si possano trovare le seguenti parole: «Una lingua
che
abbondasse in vocali, e sopra tutto in vocali dol
, dee non solamente esser dolce, ma esser ancora variata. Una lingua,
che
avesse come la spagnuola, una opportuna mischianz
Saverio (dalla p. 258. alla 274.) si consuma il cervello per provare,
che
l’Opera Italiana sia così difettosa, come la Comm
a Italiana sia così difettosa, come la Commedia Spagnuola. Credo però
che
egli vada fuor di cammino. E’ da avvertirsi in pr
Credo però che egli vada fuor di cammino. E’ da avvertirsi in prima,
che
, confessando i difetti della Commedia Spagnuola,
ù perfetti. Sicchè in questo esame avventura più il Teatro Spagnuolo,
che
l’Italiano. Si vuol notare in secondo luogo esser
re molto strana la comparazione di Opera, e Commedia, generi diversi,
che
non si debbono misurare colla stessa squadra. La
ci, Eroi, Esseri allegorici, sono materia ad essa accordata. E’ vero,
che
gli Spagnuoli si hanno fatto lecito d’introdurre
hanno fatto lecito d’introdurre queste medesime cose nella Commedia,
che
eccessivamente adopera apparizioni, stregherie, d
era apparizioni, stregherie, demonj, trasformazioni, machine, in modo
che
tante non se ne trovano, non che in Bojardo, e Ar
nj, trasformazioni, machine, in modo che tante non se ne trovano, non
che
in Bojardo, e Ariosto, in tutti gli Amadis, i Mes
i Meschini, i Tristani, i Fioravanti, e simili ciance cavalleresche,
che
stravolsero il capo a Don Chisciotte. Ma è chiaro
cavalleresche, che stravolsero il capo a Don Chisciotte. Ma è chiaro
che
l’Europa culta ride al vedere tali cose sulla sce
non se ne maraviglia nelle rappresentazioni Musicali, per la ragione
che
le stima proprie di questo genere. Queste breviss
inga del Lampillas, il quale, sebbene dotato di gran talento, quì più
che
altrove si palesa non totalmente innoltrato nella
canto introdottosi nel Teatro dell’Opera Italiana”. Bel bello, Amico,
che
voi smucciate alla porta di casa. Non credo che p
a”. Bel bello, Amico, che voi smucciate alla porta di casa. Non credo
che
per malizia vogliate infrascarla, cambiando i ter
omodandola a vostro modo; ma però voi dite ch’io vò ribattere coloro,
che
tacciano d’inverisimile il moderno canto dell’Ope
iate trascritta in parte l’osservazione del Signorelli, pare tuttavia
che
non l’abbiate ben letta. Ecco quello che io dico:
el Signorelli, pare tuttavia che non l’abbiate ben letta. Ecco quello
che
io dico: I Criticastri Oltramontani censurano l’O
cco quello che io dico: I Criticastri Oltramontani censurano l’Opera,
che
manda a morire gli Eroi cantando. Adunque questi
teatro. Più nettamente si dice nella Storia de’ Teatri poco appresso,
che
questi Periodici Pedantini decidono, che il canto
ia de’ Teatri poco appresso, che questi Periodici Pedantini decidono,
che
il canto rende inverisimili le Favole Drammatiche
con tutti gli avveduti Critici dell’Europa, il Signorelli affermerà,
che
la Musica Moderna non rare volte tradisce nell’Op
isce nell’Opera la verità. Si tratta dunque in questo luogo di Canto,
che
assolutamente rende inverisimili i Drammi. I sagg
i, non pretendono questo. Ed io mel so, Sig. Lampillas; e però dissi,
che
sono Criticastri, Pedantini, o Pedantacci, compil
Pedantini, o Pedantacci, compilatori di scritti periodici, saputelli,
che
leggono pettinandosi, quelli che riprovano ogni s
ori di scritti periodici, saputelli, che leggono pettinandosi, quelli
che
riprovano ogni sorte di canto in teatro, e non gi
ltiplicare i Volumetti del vostro fruttifero Saggio? Dubitaste forse,
che
possa esservi uno Scrittore così strano, che cens
Saggio? Dubitaste forse, che possa esservi uno Scrittore così strano,
che
censuri assolutamente il canto teatrale? Io posso
Signor Lampillas, ve ne ha, nè sono pochi, nè scioli da cassè questi,
che
io pur chiamo Criticastri; anzi sono tenuti in so
chiamo Criticastri; anzi sono tenuti in sommo pregio da voi appunto,
che
solete spedire patenti di eruditissimi a coloro,
da voi appunto, che solete spedire patenti di eruditissimi a coloro,
che
dicono quel che voi volete. Accenniamone qualched
che solete spedire patenti di eruditissimi a coloro, che dicono quel
che
voi volete. Accenniamone qualcheduno per isgannar
tro alla rassegna l’incomparabile vostro M. de Marmontel. Egli dice1,
che
gl’Italiani all’austerità de’ soggetti storici ha
st là le vice de l’Opera, que les Italiens se sont fait”. Ecco dunque
che
l’insigne ammiratore di Lucano ammirato dal saggi
no ammirato dal saggio Critico Lampillas, è il primo de’ Criticastri,
che
rifiutano il canto nell’Opera Italiana, e voglion
ll’Opera Italiana, e vogliono conservarlo nella Francese per ragioni,
che
si vedranno da me altrove combattute. Il secondo
ioni, che si vedranno da me altrove combattute. Il secondo Scrittore,
che
censurò Metastasio per aver composte le bellissim
ne Lettere, pure si accordò col prelodato Sig. Clavijo, e desiderava,
che
Metastasio correggesse quel da lui creduto difett
ori, i quali ripetono lo stesso; ed appresso ve ne additerò un altro,
che
voi non credereste mai, il quale da se stesso si
la folla de’ Criticastri. Vi sono dunque oltramonti tali Criticastri,
che
riprendono assolutamente il canto dell’Opera Ital
’egli travedendo abbia presi per folgori tremende i razzi da feste, e
che
non abbia letti bene que’ passi che adduce; perch
gori tremende i razzi da feste, e che non abbia letti bene que’ passi
che
adduce; perchè que’ grand’uomini ch’egli cita, so
bene que’ passi che adduce; perchè que’ grand’uomini ch’egli cita, so
che
riprendono la qualità del canto, e non il canto s
osta erudizione antica, dichiararsi contro il canto teatrale, sapendo
che
Atene e Roma, le maestre dell’Universo colto, l’a
no usato costantemente, producendo con esso su’ cuori quegli effetti,
che
non ci fanno sperare i moderni? Non ignoravano qu
non ci fanno sperare i moderni? Non ignoravano questi valent’uomini,
che
sebbene non era il canto scenico Greco, e Latino
il Diatonico, e in questi l’Enarmonico. Sapevano que’ dotti Italiani,
che
l’istesso parlar naturale, non che l’aringare, pe
ico. Sapevano que’ dotti Italiani, che l’istesso parlar naturale, non
che
l’aringare, per essere un canto, un’ armonia oscu
nostri Eruditi, a differenza de’ Criticastri transalpini, informati,
che
non solo gli Attori Scenici, ma fin anco i celebr
rsi ne’ tuoni moderati. Sì, eruditissimo Signor Abate, essi sapevano,
che
Plutarco nel Trattato Del frenar la collera mento
n vocant, modos, quibus deberet intendi, ministrabat. E voi vorreste,
che
valent’uomini che dalla loro più fresca età dovea
uibus deberet intendi, ministrabat. E voi vorreste, che valent’uomini
che
dalla loro più fresca età doveano sapere siffatte
ri? Essi rigettano l’eccesso, l’abuso, la qualità impropria del canto
che
oggi si è impossessato del teatro: canto per se s
delicato, canto accademico, dotto, forse superiore ad ogni altro, ma
che
rare volte anima a tempo la passione nel Dramma;
d ogni altro, ma che rare volte anima a tempo la passione nel Dramma;
che
è quello che potrebbe tener sospesi, e divertiti
ma che rare volte anima a tempo la passione nel Dramma; che è quello
che
potrebbe tener sospesi, e divertiti gli Spettator
e è quello che potrebbe tener sospesi, e divertiti gli Spettatori, sì
che
assistessero svegli in platea, e senza giuocare n
stessero svegli in platea, e senza giuocare ne’ palchetti. Ed infatti
che
mai dice il Muratori da voi allegato in primo luo
Muratori da voi allegato in primo luogo? Che muove a riso il vedere,
che
gli Attori Musicali “prendono a contraffare gravi
e lunghissimo trillo? E’ l’abuso, l’eccesso, l’improprietà del Canto,
che
riprova il Muratori, ed io con essolui. In second
uogo cavate fuori il Marchese Maffei. Egli mostrò in prima di temere,
che
nel Canto si smarriscano i costumi, i modi dell’e
di dell’età e delle passioni. Ma qual Canto ebbe egli in mira? quello
che
è, o quello che fu, e che può tornare ad essere?
lle passioni. Ma qual Canto ebbe egli in mira? quello che è, o quello
che
fu, e che può tornare ad essere? Egli il dichiara
ni. Ma qual Canto ebbe egli in mira? quello che è, o quello che fu, e
che
può tornare ad essere? Egli il dichiara con iscag
sta maniera di Musica si riterrà, non sarà mai possibile far in modo,
che
non sia un’arte storpiata in grazia di un’ altra”
e non già la Musica. Ci presentate per terzo l’erudito Crescimbeni. E
che
dic’egli? Primieramente che l’Opera ha esterminat
entate per terzo l’erudito Crescimbeni. E che dic’egli? Primieramente
che
l’Opera ha esterminata la buona Comica, e Tragica
imieramente che l’Opera ha esterminata la buona Comica, e Tragica. Ma
che
male ciò sarebbe, sempreche l’Opera fosse buona i
a buona Commedia, e alla buona Tragedia? Questo vorrebbe significare,
che
alla buona Comica, e Tragica si sarebbe accoppiat
sero affatto a’ componimenti la forza degli affetti”. Egli vorrà dire
che
le Ariette improprie, riposate, inanimate, che po
etti”. Egli vorrà dire che le Ariette improprie, riposate, inanimate,
che
portano in conseguenza il Cantabile degli Attori
rtano in conseguenza il Cantabile degli Attori evirati, sono le cose,
che
gli fanno detestare la Musica teatrale; altriment
egue per quarto un passo del Martelli, anco pensando il Signor Abate,
che
egli riprenda il Canto come Canto, e non come can
he egli riprenda il Canto come Canto, e non come canto malescelto. Ma
che
il Martelli non parlasse del Canto assoluto, è ma
se del Canto assoluto, è manifesto, oltre dall’essere a lui notissimo
che
i Greci l’adoperavano propriamente, dall’avere ne
Martelli) vengono storpiate dagli smaschiati Cantori, e dalle nostre
che
per vergogna del secolo osiam chiamare Virtuose”.
secolo osiam chiamare Virtuose”. Egli dunque parla di quella Musica,
che
serve e si soggetta alle chiamate Virtuose, e ai
ciò l’Opera. Adunque il Martelli strepita contro gli eccessi moderni,
che
io mai non ho difesi, e non già contro il Canto.
; ma oh di quanto egli dista da loro, e da quei svaporati cervellini,
che
io diceva, i quali si fanno lecito inveire contro
drio, il vostro baccalare, Signor Lampillas, adducete tra gl’Italiani
che
riprendono il Canto nell’Opera. E non per tanto q
l’Italiani che riprendono il Canto nell’Opera. E non per tanto quello
che
egli dice, non è quello che voi vorreste, che dic
Canto nell’Opera. E non per tanto quello che egli dice, non è quello
che
voi vorreste, che dicesse. “Il Dramma Musicale (a
E non per tanto quello che egli dice, non è quello che voi vorreste,
che
dicesse. “Il Dramma Musicale (asserisce) è un lav
ro si logorano il capo per fare una cattiva Opera”. Questo vuol dire,
che
riguarda agli abusi presenti, e non al Canto come
to teatrale, ma la servile moderna dipendenza del Musico e del Poeta,
che
inceppa ambi gli Artisti. Cita poi questo Scritto
se. Cita egli in fine anche il Gravina. Ma questo nostro gran Critico
che
cosa riprova nell’Opera? I trilli i passaggi, o g
to in materia di Poesia e Teatro, quello biasimano nel Canto scenico,
che
ne biasima il Signorelli. Ma che bado io a dimost
quello biasimano nel Canto scenico, che ne biasima il Signorelli. Ma
che
bado io a dimostrare quello, che senza accorgerse
co, che ne biasima il Signorelli. Ma che bado io a dimostrare quello,
che
senza accorgersene stà confessando il medesimo Ap
a accorgersene stà confessando il medesimo Apologista? Non dice egli,
che
i Saggi Critici non pretendono riprendere il Cant
. Saverio, in tutta la vostra diceria contro l’Opera Italiana si vede
che
vacillate, ora appressandovi a chi vitupera assol
traccia del vero, e vi siete attaccato alle ombre. Quindi addiviene,
che
tutte le conseguenze fabbricate su’ fondamenti ar
un Canto deciso, come il Moderno, nè un parlar naturale, ma una cosa
che
partecipava dell’uno e dell’altro. Fu questo anco
Francese, e specialmente l’erudito M. Duclos: “Io credo (egli dice2),
che
potrebbe prendersi un partito di mezzo tra coloro
o (egli dice2), che potrebbe prendersi un partito di mezzo tra coloro
che
riguardano la Declamazione degli Antichi come un
e degli Antichi come un Canto somigliante all’Opera Moderna, e coloro
che
stimano che fosse del medesimo genere di quella d
chi come un Canto somigliante all’Opera Moderna, e coloro che stimano
che
fosse del medesimo genere di quella del nostro Te
tro Teatro”. E il dissero altri moltissimi; e tutti quelli il diranno
che
intendono ragione. Ma che volete Voi, Signor D. L
altri moltissimi; e tutti quelli il diranno che intendono ragione. Ma
che
volete Voi, Signor D. Lampillas, da ciò dedurre?
non sono in ogni parte simili come due gocciole d’acqua? Ecco da ciò
che
voi presumete qual conseguenza ne scende: Che l’a
ovando contro una parte si conchiude sensatamente contro del tutto? E
che
modo di ragionare è il vostro? Bisogna che abbiat
amente contro del tutto? E che modo di ragionare è il vostro? Bisogna
che
abbiate molto bassa idea di coloro che vi hanno a
ragionare è il vostro? Bisogna che abbiate molto bassa idea di coloro
che
vi hanno a leggere, o che amiate di perdere il te
ogna che abbiate molto bassa idea di coloro che vi hanno a leggere, o
che
amiate di perdere il tempo, e di farlo perdere: c
anno a leggere, o che amiate di perdere il tempo, e di farlo perdere:
che
è peggio. Nò, Signor mio, non invano pretende il
orelli valersi dell’esempio dell’antica Musica teatrale per mostrare,
che
il Canto non è inverisimile ne’ Drammi. Se io pre
icastri Oltramontani. Intanto benchè nol diciate nel Saggio, prevedo,
che
farete fra voi stesso alla Opera Italiana la segu
ttissimi Italiani, e dallo stesso Signorelli riprovata nella maniera,
che
oggi si trova introdotta, l’Opera dunque di oggid
gidì è diffettosa al pari della Commedia Spagnuola =. Avvertite però,
che
anche quì conchiudereste male. I difetti della Mu
e’ Recitativi, e i tuoni naturali delle passioni, nè vi erano Ariette
che
le raffreddassero, e interrompessero la rapidità
esta dal Dramma; questi risparmiavano la maggior parte del travaglio,
che
loro costato avrebbe l’animare con giuste espress
era in voga un genere di Musica artificioso, delicato all’estremo, ma
che
non bene secondava il calore e le mire del gran P
n bene secondava il calore e le mire del gran Poeta. Essi credettero,
che
il comporre pel Teatro fosse lo stesso, che scriv
n Poeta. Essi credettero, che il comporre pel Teatro fosse lo stesso,
che
scrivere per le Chiese, per le Accademie, per le
coltose arditezze felicemente superate colla loro voce. Il gran nome,
che
questi famosi Cigni acquistarono per l’Europa, l’
he questi famosi Cigni acquistarono per l’Europa, l’applauso generale
che
riscuotevano, arrestò verisimilmente il gran Poet
o di vedersi per la di lui mano condotta alla Greca verità. Non è già
che
non iscappassero fuori tratto tratto certi lampi
imili repliche delle stesse parole, le quali altro oggetto non hanno,
che
la chiamata da’ Maestri Musici Circolazione di tu
ivo eletto. Molti pezzi di Musica del famoso Gluck comprovano ancora,
che
havvi oggi più di un genio, che con poco saprebbe
a del famoso Gluck comprovano ancora, che havvi oggi più di un genio,
che
con poco saprebbe convertire l’Opera all’antica v
ito di essi si elevi la passione, e non aspettando il colpo dell’Aria
che
troppo tranquilla e parlante intepidisce l’azione
fa trascurare i pezzi più appassionati de’ Recitativi. Ciò dimostra,
che
la Musica teatrale è incaminata alla perfezione,
non potè tutto in un colpo ovviare. Il Signor Lampillas non ignorerà,
che
prima che un nuovo genere abbia, come dice nella
utto in un colpo ovviare. Il Signor Lampillas non ignorerà, che prima
che
un nuovo genere abbia, come dice nella Poetica Ar
oria musicale prova alcuna cosa a favore del Signor Lampillas? Prova,
che
la non curanza de’ Maestri, e de’ Cantori nel ben
o dovrebbe aver luogo nel Dramma, sieno difetti della Poesia1? Prova,
che
tali improprietà musiche, contro di cui si schiam
dell’Opera accanto alla Poesia della vostra Commedia, voi troverete,
che
niuno de’ difetti di questa trovisi in quella. Fo
i troverete, che niuno de’ difetti di questa trovisi in quella. Forse
che
l’Opera mostra i personaggi giovani, e vecchi in
a forse di quei perenni rimedj de’ manti, de’ nascondigli, delle case
che
si compenetrano? introduce i Buffoni, come fanno
ivilegj per non infrangere le regole, non gia del Maestro Aristotele,
che
pure le attinse nella pratica de’ buoni Poeti ant
ella pratica de’ buoni Poeti antichi, ma della eterna Ragion Poetica,
che
risulta dal verosimile ben inteso. In fatti niuno
rancesi ha mai sognato attribuire alla Opera Italiana le mostruosità,
che
voi fantasticate, nè quelle riconosciute da’ più
el loro Teatro. Anzi i più chiari ragionatori della Senna confessano,
che
“le Tragedie-Opere Italiane vagliono più delle Fr
fessano, che “le Tragedie-Opere Italiane vagliono più delle Francesi:
che
Metastasio è sicuramente un Poeta superiore a’ lo
iore a’ loro Poeti Lirici (cioè Musicali) senza eccettuarne Quinault:
che
gl’Italiani danno alle loro Opere più unità de’ F
inault: che gl’Italiani danno alle loro Opere più unità de’ Francesi:
che
le parole sono più proprie per la Musica, e la Mu
tende di presentare i veri oggetti, ma di rappresentarli; nè si vuole
che
tutti gli oggetti rappresentati siano veri, vuols
ole che tutti gli oggetti rappresentati siano veri, vuolsi bensì però
che
siano verisimili . . . . . Non possiamo avanti pe
norelli ha forse nel suo Libro contraddetto a tal dottrina? ha detto,
che
debbansi presentare sulla Scena oggetti veri? Tut
gnor Lampillas si scaglia con vigore contro certi Filosofi alla moda,
che
cercano il solo Vero nella Poesia. Egli sostiene
in tutte le sue Scritture l’opinione del Poeta Filosofo Orazio, cioè
che
Ficta voluptatis causa sint proxima veris, Se
Sentimento espresso con altri termini da un giudizioso Inglese, cioè
che
il Vero Poetico sia il Verisimile. Ed Aristotele
Aristotele parlando del Credibile e del verisimile della Favola, dice
che
vi ha un Vero che in Poesia è inverisimile e incr
o del Credibile e del verisimile della Favola, dice che vi ha un Vero
che
in Poesia è inverisimile e incredibile; e il Cast
battuto nelle prime parole affermò contro i ragionatori d’oltramonti,
che
“il diletto che partoriscono le faccende poetiche
ime parole affermò contro i ragionatori d’oltramonti, che “il diletto
che
partoriscono le faccende poetiche, proviene dalla
del Vero colla Finzione”, allegando l’eruditissimo Calabrese Gravina,
che
avea detto, che ogni imitazione poetica consiste
inzione”, allegando l’eruditissimo Calabrese Gravina, che avea detto,
che
ogni imitazione poetica consiste nel trasporto de
te nel trasporto della verità nella finzione. Ora quell’Oltramontano,
che
non si stima forestiere ne’ giusti principj di ra
niuna tacita convenzione fra’ rappresentatori e l’Uditorio può fare,
che
sia perfetta rappresentazione del vero oggetto qu
può fare, che sia perfetta rappresentazione del vero oggetto quella,
che
ci dà una idea Disconforme dal vero; nè che sia v
del vero oggetto quella, che ci dà una idea Disconforme dal vero; nè
che
sia verisimile ciò, che al vero non rassomiglia”.
, che ci dà una idea Disconforme dal vero; nè che sia verisimile ciò,
che
al vero non rassomiglia”. E qual è, Signor Lampil
he al vero non rassomiglia”. E qual è, Signor Lampillas, questa idea,
che
voi chiamate Disconforme dal vero? Il Canto sceni
e voi (sia ciò detto di passaggio) quì vi conformate co’ Criticastri,
che
escludono dalla Opera il Canto? Siete adunque anc
scludono dalla Opera il Canto? Siete adunque ancor voi “Uno di quei,
che
la gran Torre accese;” e quell’aggiunto Moderno,
“Uno di quei, che la gran Torre accese;” e quell’aggiunto Moderno,
che
vi apponeste, fu un pretesto per valervi de’ pass
te persuaso dell’opinione degl’imperiti Criticastri. Non vi prevenni,
che
altri ancora, oltre i da me nominati, erano di qu
filosofica con una asserzione comprovata dalla storia delle nazioni,
che
però per voi sarà un paradosso. Sappiate, che di
a storia delle nazioni, che però per voi sarà un paradosso. Sappiate,
che
di tutte le accennate Supposizioni il Canto è il
meno inverisimile, il meno ripugnante alla umana natura. Sovvenitevi,
che
il parlar naturale stesso è un Canto oscuro; che
natura. Sovvenitevi, che il parlar naturale stesso è un Canto oscuro;
che
recitando versi, e aringando ancora, secondo Cice
nforme dal vero. Versi non vi furono fra’ Greci ne’ più felici tempi,
che
ricusassero l’accompagnamento del Canto. Allora i
o. “Conoscendo” (dice il Gravina1) “i primi autori della Vita Civile,
che
la soavità del Canto rapiva dolcemente i cuori um
monia del verso accoppiarono con l’armonia ed ordinazione della voce,
che
Musica appellarono”. E perchè l’avrebbero allonta
sioni per insinuare al Popolo i precetti salutari della Morale? Forse
che
le inflessioni della voce non nascono dalle commo
ni della voce non nascono dalle commozioni degli affetti? E la Musica
che
sappia ben copiarle, sarà perciò Disconforme dal
e, sarà perciò Disconforme dal vero? Essa non sarà l’istesso vero (il
che
nè anche voi vorreste, e volendolo cadereste in u
forme. Se voi dunque vorrete mostrarvi un poco più Filosofo, vedrete,
che
il Canto regolato a norma della verità sarà una p
fosse usato con savia moderazione, e portato a quel punto di verità,
che
i Saggi richiedono? Fede ne facciano non pochi Re
esser manifesto, assai più naturale della declamazione Francese, non
che
della Spagnuola. In essi recitativi l’Attore o l’
l’Attrice interrompe le parole come sospesa dalla novità de’ pensieri
che
le sopravvengono, o dalla varietà delle passioni,
creto a voces di Calderón, in cui il Galán e la Dama mostrano sapere,
che
essi parlano in versi? E più verisimile del Canto
parlano a’ Re come pedagoghi? E’ più del Canto verisimile lo studio,
che
pongono questi Attori in sentar bien el verso, va
tto in grazia della versificazione, e in cantar male senza Musica, di
che
non v’è cosa più nojosa? Erano più del Canto veri
non v’è cosa più nojosa? Erano più del Canto verisimili las Cortinas,
che
circa dodici anni fa componevano tutto l’apparato
nico Spagnuolo, dalle quali entravano ed uscivano sovente personaggi,
che
l’azione richiedeva, che non si vedessero? E’ più
li entravano ed uscivano sovente personaggi, che l’azione richiedeva,
che
non si vedessero? E’ più del Canto verisimile, ch
azione richiedeva, che non si vedessero? E’ più del Canto verisimile,
che
gli Attori rappresentando caratteri di Africani o
per verisimile la falsità ch’egli vi ravvisa, in grazia del diletto,
che
attende dal rimanente? Se queste osservazioni, o
ggiadro Poema non citate se non un solo verso? Ripetete poi (p. 269.)
che
non sarebbe illusione, se si presentassero i veri
9.) che non sarebbe illusione, se si presentassero i veri oggetti: al
che
si è di sopra replicato, che il Signorelli non ma
, se si presentassero i veri oggetti: al che si è di sopra replicato,
che
il Signorelli non mai ha ciò sognato di pretender
sognato di pretendere, o asserire. Ma prima affermate con franchezza,
che
“la Drammatica non ha bisogno dell’indulgenza del
rata”. Veramente la Drammatica cerca per tutte le vie quel verisimile
che
tira l’attenzione, sì, che poco rimanga da suppli
ica cerca per tutte le vie quel verisimile che tira l’attenzione, sì,
che
poco rimanga da supplire all’Uditorio. La Poesia
o di Eschilo. Le Maschere furono di tal modo al di fuori configurate,
che
potessero con la maggior proprietà e decenza rapp
, che potessero con la maggior proprietà e decenza rappresentare, non
che
la vecchiaja e la gioventù ed il sesso, fin anco
in anco i costumi delle persone. Aristofane proverbiava que’ Tragici,
che
con poca proprietà vestivano i personaggi. Sofocl
celebri Pittori di quadratura i Bibbiena, i Natali, i Joli, i Baldi,
che
colla Prospettiva s’industriarono di dare alla su
li Pittori Spagnuoli di Prospettiva. Se la Drammatica non ha bisogno,
che
di se stessa per partorire l’illusione, a che tan
mmatica non ha bisogno, che di se stessa per partorire l’illusione, a
che
tante cure e tante spese? Poi perchè mai spogliat
abili scoperte. Egli schiverà l’assalto con dire: = Io non asserisco,
che
di tali cose non abbia bisogno, ma bensì dell’ind
n poco, caro Signore: Tali cose sono, o non sono necessarie? Se dite,
che
non sono necessarie, siete smentito da’ fatti ant
otele, e poi dalle disposizioni del Conte di Aranda. Se confesserete,
che
sono necessarie, prima dunque che esse si ritrova
l Conte di Aranda. Se confesserete, che sono necessarie, prima dunque
che
esse si ritrovassero, e s’introducessero sulla Sc
Lampillas è fantastica, è falsa. = Ma io non dico (non è improbabile,
che
egli tenti lo scampo per quest’altra viottola) ch
non è improbabile, che egli tenti lo scampo per quest’altra viottola)
che
essa Drammatica non avea bisogno dell’indulgenza
gno dell’indulgenza prima di trovarsi tal proprietà dell’Apparato, ma
che
al presente non ne abbisogni =. Ditemi, Signor Ap
non ne abbisogni =. Ditemi, Signor Apologista, potete essere sicuro,
che
oggi tutta la proprietà necessaria alla Drammatic
oldoni, Mondo e Teatro? Avete su tali cose sì profondamente meditato,
che
già vedete chiaro, che essa ha quanto le occorre,
Avete su tali cose sì profondamente meditato, che già vedete chiaro,
che
essa ha quanto le occorre, e che per tutti i seco
nte meditato, che già vedete chiaro, che essa ha quanto le occorre, e
che
per tutti i secoli d’altro non abbisognerà? Io ho
ccorre, e che per tutti i secoli d’altro non abbisognerà? Io ho paura
che
nè in Italia, nè in Ispagna sareste creduto, anco
duto, ancorchè il pretendeste. Io vi vorrei un poco allato di alcuno,
che
abbia tali materie bene esaminate, quando si rapp
a da lavorare per fornir la Drammatica di tutto l’opportuno soccorso,
che
l’è necessario! E quando pure i moderni Roscj e N
ate del verso, dell’Attore, del linguaggio, e di cento altre minuzie,
che
smentiscono la rappresentazione. A questo non si
e ricchezze di Cleopatra, della vera Regia di Cartago, ed altre cose,
che
con tanta grazia affastellate; anzi vi dico, che
tago, ed altre cose, che con tanta grazia affastellate; anzi vi dico,
che
con questa verità distruggereste dell’intutto la
e con questa verità distruggereste dell’intutto la stessa Poesia, non
che
l’illusione. Meditate, pensatevi su un poco megli
che l’illusione. Meditate, pensatevi su un poco meglio, e troverete,
che
l’ultimo punto della scenica verità è desiderabil
uale col fatto convenga in non cercare un impossibile, cioè una cosa,
che
non può andare altramente di quello, che và. E ch
impossibile, cioè una cosa, che non può andare altramente di quello,
che
và. E che diverrebbe del Teatro Spagnuolo al manc
le, cioè una cosa, che non può andare altramente di quello, che và. E
che
diverrebbe del Teatro Spagnuolo al mancare questa
azione ad esso più immediata, vieppiù la produrrebbe. Quegli effetti,
che
voi con bella rettorica enumerazione di parti ins
ibuite alla viva naturale rappresentazione. Ma come non vi accorgete,
che
portate in prova quello, che si controverte? che
presentazione. Ma come non vi accorgete, che portate in prova quello,
che
si controverte? che questa viva naturale rapprese
me non vi accorgete, che portate in prova quello, che si controverte?
che
questa viva naturale rappresentazione è appunto i
te? che questa viva naturale rappresentazione è appunto in questione?
che
è contraddetta dal parlare in versi, dal linguagg
ersi, dal linguaggio comune a tutti, dalla conoscenza degli attori; e
che
per conseguenza lo spettatore non la troverebbe s
spettatore non la troverebbe sì viva e naturale, se non considerasse,
che
a quella cosa non dee badare? Se non m’inganno, i
dove vada? Vado, risponderà ridendo, alla Commedia (cioè ad una cosa
che
sa di esser finta): vado a vedere Los Aspides de
aspidi fatti dal suo compagno? a quella finta morte, a quella Regina,
che
morta ancora, nell’esser condotta dentro da’ serv
entazione da partorire da se la illusione? Piano (dirà l’Apologista),
che
se l’Attrice sarà abile, non si ajuterà co’ suoi
imediate agli aspidi di Cartone del suo compagno? come alla sicurezza
che
egli ha, che colei non muore, e che non è Cleopat
aspidi di Cartone del suo compagno? come alla sicurezza che egli ha,
che
colei non muore, e che non è Cleopatra, ma La Hue
suo compagno? come alla sicurezza che egli ha, che colei non muore, e
che
non è Cleopatra, ma La Huertas, o Mariguita del R
n è Cleopatra, ma La Huertas, o Mariguita del Rosario, o la Carreras,
che
la rappresenta? Signor Lampillas mio, all’evidenz
Lampillas mio, all’evidenza mal si contrasta. E voi potete scorgere,
che
non avete alla coda cattivi bracchi. Passa l’Apol
i cui per altro non v’è il più malsicuro per le infinite circostanze,
che
diversificano gli oggetti. Egli dice: Chi pensare
vedere i quadri di Raffaello e di Tiziano, ed al provare gli effetti
che
fanno nell’animo suo quelle immagini? Io non dubi
he fanno nell’animo suo quelle immagini? Io non dubito, Signor Abate,
che
a un bisogno voi parlereste sì bene di Pittura, c
ne di Pittura, come fate di Poesia Rappresentativa. Pure a me sembra,
che
in questo esempio state in termini troppo general
vasta erudizione, di cui vi suppongo adornato, non vi farà ignorare,
che
nel XV. secolo la Pittura, tutto che nelle mani d
adornato, non vi farà ignorare, che nel XV. secolo la Pittura, tutto
che
nelle mani del Masolini, del Masacci, e del Ghirl
manifesto all’osservatore a poco, a poco gli si rendè famigliare, sì
che
in mirando le Opere di quegli abili Artefici, tac
asi un secolo, e vengo all’esempio del divino Raffaello. Credete voi,
che
questo prodigio della moderna Pittura andasse lib
goziante, un Cavaliere dabbene, cerca un quadro, e destina le figure,
che
debbono entrarvi, ed allora voi vedrete San Franc
i collocati a richiesta di una Comunità di Francescani. Lo spettatore
che
intende, tacitamente assentisce a quell’anacronis
cere l’avido sguardo di quel quadro incomparabile, senza idea alcuna,
che
disturbi il suo piacere. Lo stesso avviene nell’a
a del pesce fatto per i Domenicani di S. Tommaso di Aquino di Napoli,
che
ora trovasi nell’Escoriale. Non fu certamente pen
al Pittura. E se lo spettatore vuol godere delle infinite perfezioni,
che
rendono questo gran quadro singolare1, fa uopo ch
finite perfezioni, che rendono questo gran quadro singolare1, fa uopo
che
in se stesso convenga in discolpare il Pittore di
’è bellezza di chiaroscuro, di grazia, di colorito, e di composizione
che
non vi si ammiri. Intanto vi si veggono congiunti
e, il Bambino, un Angelo, San Geronimo, la Maddalena. Bisogna adunque
che
l’osservatore non fermi il pensiero su gli anacro
e ritragga tutto il diletto da quel cumolo di pittoriche bellezze. E
che
dice ora il mio Signor D. Saverio? la tacita conv
enzione: dove sia un ammasso d’inverisimili, non vi sarà convenzione,
che
basti a produrla”. Parmi, che da queste due part
inverisimili, non vi sarà convenzione, che basti a produrla”. Parmi,
che
da queste due parti della vostra proposizione pot
la rappresentazione vuole esser perfetta per produrla. Dunque, posto
che
la Spagna ascolta con attenzione la sua Commedia
la sua Commedia sregolata, raffigurandola per tale, è segno evidente,
che
supplisce alla imperfezione della rappresentazion
on una tacita indulgenza. Dunque fa mestieri in Teatro la convenzione
che
voi negate. All’altro. Dove (voi dite) la rappres
appresentazione è un ammasso d’inverisimili, non vi sarà convenzione,
che
basti a produrre l’illusione. Ma in Ispagna la Co
produrre l’illusione. Ma in Ispagna la Commedia inverisimile si vede,
che
la produce. Dunque anche una rappresentazione inv
e una rappresentazione inverisimile può produrla. Voi però affermate,
che
sendo tale non dee, nè può produrla. Dunque la pa
le non dee, nè può produrla. Dunque la partorisce un altro principio,
che
se non istà nello spettacolo, forza è che trovisi
torisce un altro principio, che se non istà nello spettacolo, forza è
che
trovisi nello Spettatore, il quale voglia con ben
ta, produrrà l’illusione =. Ciò si nega, di ciò appunto si questiona:
che
se non mostrate il modo di superare gl’inconvenie
tre parole ancora) è un ammasso d’inverisimili, non sarà convenzione,
che
basti a produrla =. Ciò parimente è asserito con
le ascolta, ed oggi giorno la producono. Non è dunque la perfezione,
che
non può darsi in tutte le parti della rappresenta
Lope. E così abbigliato il nostro Melodramma, malgrado di un sistema,
che
può migliorarsi, ha fatto la delizia dell’Europa.
un sistema, che può migliorarsi, ha fatto la delizia dell’Europa. Or
che
sarebbe, se i passi dati verso la perfezione dal
l, e sur la declamation notée. 1. Io mi esibisco a mostrare, quando
che
il desideri qualche incredulo Ant’Italiano, che u
co a mostrare, quando che il desideri qualche incredulo Ant’Italiano,
che
un’ Opera stessa del Zeno, o del Metastasio tante
Il primo Tragico Spagnuolo, per cui si lamenta il Signor Apologista
che
io non l’abbia mentovato, è l’Andaluzzo Giovanni
XVI. Di costui non si è conservata cosa veruna teatrale; ma si vuole
che
ne avesse scritte a migliaja rappresentate verso
ne avesse scritte a migliaja rappresentate verso il 1579.; di maniera
che
al Malara più giustamente converrebbe lo stupore
o in versi di Giovanni della Cueva, intitolato Esame poetico, si dice
che
il Malara compose mille Tragedie. Or chi gli terr
llas, fedele seguace del nominato Autore, parimente conviene in dire,
che
il Cueva, l’Esaminatore poetico, esagerò. Ed in v
l’Esaminatore poetico, esagerò. Ed in vero egli dovè tanto esagerare,
che
giammai fiato fanciullesco non ingrossò gocciola
a, in una testa più gigante ca e colossale. Egli esagerò per tal modo
che
le Mille non resteranno neppure cinquecento, nepp
intitolata Absalon 2. Così uno per miracolo operato da un Esaminatore
che
ti voglia favorire, e di un buono Apologista che
to da un Esaminatore che ti voglia favorire, e di un buono Apologista
che
ti sostenga, può arricchirti di un Migliajo. Dias
che ti sostenga, può arricchirti di un Migliajo. Diasi non per tanto
che
, oltre all’Absalon, il Malara scrivesse altre Fav
oltre all’Absalon, il Malara scrivesse altre Favole, può assicurarsi
che
fossero Tragedie? Egli che nominò il suo Absalon,
ra scrivesse altre Favole, può assicurarsi che fossero Tragedie? Egli
che
nominò il suo Absalon, non avrebbe fatta menzione
e Tragedie, ma se ne hanno altre pruove? v’è qualche altro testimonio
che
l’appoggi? Mi perdoni il Signor Lampillas questa
può fidare circa il genere? La di lui medesima incostanza nelle lodi
che
dà al Malara piuttosto ci conduce a ravvisare in
conduce a ravvisare in lui uno de’ tanti Drammatografi di quel tempo,
che
forse si attenne al sentiero calcato da’ compatri
e per comporre mille Tragedie, per non riportarne infine altro titolo
che
di Comico! Io credo, Signor Lampillas, che potrem
rtarne infine altro titolo che di Comico! Io credo, Signor Lampillas,
che
potremo per lo meglio affermare, che le favole de
ico! Io credo, Signor Lampillas, che potremo per lo meglio affermare,
che
le favole del Malara fossero state Tragedie, come
ara fossero state Tragedie, come le sei del Vega. Vorreste replicare,
che
poteva aver fatte anche Commedie, e meritar quest
ragedie non bastarono ad acquistare al Malara nome di Sofocle Betico,
che
dovè contentarsi di quello di Menandro, non sarà
loro merito. L’Esaminatore stesso ci dà a ciò motivo col confessare,
che
le pretese Tragedie non furono scritte secondo il
e (secondo alcuni versi di lui rapportati dal Lampillas in Italiano),
che
il Malara, guardando obediente l’uso antico nelle
non secondo il metodo degli Antichi. E se il Malara fu uno Scrittore,
che
probabilmente si accomodò al gusto generale intro
gusto generale introdotto nella Penisola, pare al Signor Apologista,
che
, dove di molti Greci, Latini, Italiani, Spagnuoli
r la gioventù, dovessi poi consumare il tempo sulle favole del Malara
che
non esistono, nè si sa che cosa fossero? Io cedo
consumare il tempo sulle favole del Malara che non esistono, nè si sa
che
cosa fossero? Io cedo volentieri questo campo agl
II. GIOVANNI DE LA CUEVA. Non potendo dire il Signor Lampillas
che
del Cueva io non abbia favellato, almeno si lagna
gnor Lampillas che del Cueva io non abbia favellato, almeno si lagna,
che
io omettessi di narrarne i pregi, quando sulla fe
udito; e solamente intesi di accennare il modo di comporre del Cueva,
che
io non avea letto come il confessai, sul testimon
uarci della Poesia Castigliana, dice trionfando: “Crede il Signorelli
che
sieno moltissime le Tragedie di quel secolo che p
“Crede il Signorelli che sieno moltissime le Tragedie di quel secolo
che
possano pregiarsi di altrettanto?” Io credo, Sign
o che possano pregiarsi di altrettanto?” Io credo, Signor Apologista,
che
non sieno moltissime le ottime Tragedie; e perciò
sieno moltissime le ottime Tragedie; e perciò queste medesime parole
che
Voi degnate onorare incastrandole nel vostro bel
o, io indirizzai al P. Lalantè a proposito del Torrismondo. Ma sapete
che
cosa credo ancora? Che questa domanda quì ripetut
a? Che questa domanda quì ripetuta ci stia, come dicesi, a pigione; e
che
vi abbia del gran tratto dal fare al contraffare.
oltre all’averne rilevati i pregi con parole, addussi alcuni squarci
che
forse presso gl’Intelligenti giustificano le lodi
to da quelle del Cueva per farvi dire altrettanto? Volete Voi, a quel
che
pare, far la guerra sedendo nella Reggia alla man
te Infantes de Lara, confessa il Signor Lampillas con penna tremante,
che
l’Autore si discostò dalle regole degli antichi M
enti tolse un Atto alla Tragedia riducendola a quattro. L’Apologista,
che
degli altri difetti non sa come discolparlo, tutt
di cui spera ottenere l’assoluzione. Ma di questo chi mai l’accusa? a
che
dunque consumare in vano la carta? Il tempo de’ r
ati se ne ridevano. Il famoso Antonio Moreto tra tanti altri, osservò
che
questa meccanica divisione di Atti e di Scene fu
di due, di tre, di quattro, e di cinque Atti; e sono ben rari coloro
che
riprendono la Sofonisba del Carretto per la divis
ne degli Atti. Sono però gelosi i Moderni di quei precetti Drammatici
che
costituiscono l’essenza dell’ottimo componimento
he Commedie; e niuno certamente per questo gli moverà lite. Il male è
che
Montiano taccia questa prima Tragedia come difett
chè dunque (ripiglia il Signor Apologista) riprendete tai difetti Voi
che
asierite che ci è maggior lode in trov e le belle
ipiglia il Signor Apologista) riprendete tai difetti Voi che asierite
che
ci è maggior lode in trov e le bellezze di un com
erchè ad esse non vi atteneste in questa Tragedia? Torno a replicarvi
che
dovevate leggere nel mio Libro, che io non avea a
esta Tragedia? Torno a replicarvi che dovevate leggere nel mio Libro,
che
io non avea avuto sotto gli occhi le favole del C
velino le infermità occulte de’ corpi Drammatici? Quella osservazione
che
altri ancora ha fatta, tende a tutt’altro che a p
ci? Quella osservazione che altri ancora ha fatta, tende a tutt’altro
che
a provvedere di salvo condotto l’imperizia. La in
r Lampillas coll’esempio del Prometeo di Eschilo e degli altri Greci,
che
introducono Numi ed Esseri allegorici personifica
icati, nella quale apologia si commettono due gravi falli. Il primo è
che
egli non ha riflettuto, che tra un Poeta Cristian
si commettono due gravi falli. Il primo è che egli non ha riflettuto,
che
tra un Poeta Cristiano e i Tragici Gentili in sì
i Arnobj, i Lattanzj, i Cipriani, i Giustini Martiri. L’altro fallo è
che
l’Apologista, per iscusare una trasformazione rec
una trasformazione reca la Forza e la Violenza del Prometeo: risposta
che
siede veramente alla quistione come il basto al b
in un Poeta Cristiano si riprendesse p. e. la Fede, la Misericordia e
che
so io, allora si allegherebbero acconciamente gli
li Esseri allegorici personificati da’ Gentili; ma questi nulla hanno
che
fare con la Trasformazione. Trovi il Lampillas me
bero potuto usarne gli antichi Poeti, e pur nol fecero. E di là venne
che
Orazio consigliò che non si converta sulla Scena
i antichi Poeti, e pur nol fecero. E di là venne che Orazio consigliò
che
non si converta sulla Scena Progne in uccello e C
a Platea di Cristiani? Ebbe dunque ragione il Signor Montiano a dire,
che
l’Ajace del Cueva peccava d’inverisimiglianza, e
Montiano a dire, che l’Ajace del Cueva peccava d’inverisimiglianza, e
che
nulla avea di comune coll’Ajace di Sofocle, “porq
Il Signor Lampillas non potè tranguggiare quel principali, parendogli
che
rendesse più grave questo difetto. Ma egli non vi
, parendogli che rendesse più grave questo difetto. Ma egli non vide,
che
se non si fosse trattato di azioni principali, il
la causa perduta e convenne col censore. Volle tutta volta accennare
che
in simile caso di un Autore Italiano il Signorell
re che in simile caso di un Autore Italiano il Signorelli avea detto,
che
le osservazione della fredda Critica non sogliono
disgrazie di Ecuba del Signor Ab. Ceruti. Potrebbe il Lampillas dire
che
fosse tale nella Tragedia del Cueva? Il manifesti
fosse tale nella Tragedia del Cueva? Il manifesti con qualche scena;
che
io a pruova ne produrrò alcun’ altra di quella de
commozione riportata dal patetico del Teatro; e quei cuori sensibili
che
trovansene tuttavia riscaldati, non si curano di
tavia riscaldati, non si curano di ascoltarla. Questo forse vuol dire
che
la Critica tranquilla non merita di essere ascolt
la Critica tranquilla non merita di essere ascoltata? Vuole ciò dire
che
l’errore del Cueva non è errore? Masticate le alt
il Montiano (accompagnandolo col Signorelli), perchè quel Letterato (
che
in tali studj vide molto, nè parlò di materie da
radizione. Ma se il Cueva si comporta in quel carattere in tal guisa,
che
si diparte da ciò che la natura suol mostrare pos
eva si comporta in quel carattere in tal guisa, che si diparte da ciò
che
la natura suol mostrare possibile coll’attuarlo t
ento di tal critica, e poichè il dice uopo è crederglielo; e vorrebbe
che
il Signorelli gliel facesse sapere (p. 102.). Que
igro, Vada e il rintracci ne’ Discorsi del Montiano. Ma il Signorelli
che
ama di compiacerlo, rende della censura le seguen
ti ragioni. Essa principalmente si appoggia in alcuni versi Oraziani,
che
non parlano già o di numero di Atti, o di quello
credi. O seguir bisogna la fama, la voce comune, o fingere in modo
che
ad essa non disdicano le cose immaginate; esse de
i cose, benchè finte, simili a quelle di cui essi conservano le idee;
che
se voi gli parlerete delle idee fantastiche sugli
i ristuccheranno presto, ascolteranno senza credere. In somma bisogna
che
essi trovino corrispondenza tralle immagini appor
ndenza tralle immagini apportate dalle parole del Poeta, e tra quelle
che
conservano nella fantasia; dalla qual comparazion
letto e la loro istruzione. Un Critico Filosofo presenta una dottrina
che
rischiara ancora il contenuto ne’ citati versi: “
ontenuto ne’ citati versi: “Prima di natura fu la cosa rappresentata,
che
la cosa rappresentante.... La Verisimilitudine di
se un carattere è chimerico, sfornito di somiglianza di un vero noto,
che
non risveglia nell’ascoltatore veruna idea di cos
icatoria, qualche Prefazione, qualche Lettera, qualche Esame poetico,
che
l’inanimisca a rendersi superiore a qualunque dot
si tengono per incredibili, per fantastici. Dipoi convien riflettere
che
la censura non riguarda semplicemente la malvagit
etestava gli errori scenici de’ suoi compatrioti (e noti l’Apologista
che
allora fiorivano i Drammatici Andaluzzi nominati
o, “Queen seis horas compone una Comedia.” Ciò mi animava a sperare
che
la di lui Tragedia potesse essere regolare. Ma co
dia potesse essere regolare. Ma come fidarsi più d’inferire da quello
che
si predica quello che può eseguirsi, dopo l’esemp
olare. Ma come fidarsi più d’inferire da quello che si predica quello
che
può eseguirsi, dopo l’esempio del Cervantes, che
he si predica quello che può eseguirsi, dopo l’esempio del Cervantes,
che
intorno al Teatro parlò sì bene, ed eseguì sì mal
di pascere l’altrui curiosità. Che io non imiterei mai il Lampillas,
che
con una fiducia senza pari e con tutta la serietà
opere teatrali”. Egli al più avrebbe potuto dire, può farci sperare,
che
sarebbe stata regolata. Toglierei poi la giunta d
o quasi ogni anno mostra una favola col titolo Los Amantes de Toruel,
che
appartiene al Montalban. Di questa nella nuova Ed
nel Saggio, con lodi vaghe applicabili ad ogni Dramma, o con biasimi
che
tengonsi ammaniti come le formole delle private S
PERCIO LEONARDO DE ARGENSOLA. Niuna cosa più chiaramente dimostra,
che
il Sig. Lampillas non cerca se non diffusi panegi
he il Sig. Lampillas non cerca se non diffusi panegirici di tutto ciò
che
appartiene a’ Drammatografi Spagnuoli, quanto ciò
ci di tutto ciò che appartiene a’ Drammatografi Spagnuoli, quanto ciò
che
dice del Signorelli a proposito delle Tragedie di
proposito delle Tragedie di questo buon Poeta. Si lagnò l’Apologista
che
di quelle del Cueva io avea narrato i difetti, e
il Sign. Lampillas de’ manifesti difetti dell’Alessandra; ma non vede
che
i medesimi si trovano nell’Isabella, e si diffond
i quest’ultima. Io non vi trovo, egli afferma, i pretesi gran difetti
che
altri dice. E se vi è qualche neo, si dee, second
MS. viziati, ne’ quali si trovarono versi tronchi, o mancanti. Su di
che
è da notarsi, che nell’Isabella non si scorge un
quali si trovarono versi tronchi, o mancanti. Su di che è da notarsi,
che
nell’Isabella non si scorge un sol verso tronco o
del Lampillas, è il disordine nella distribuzione delle scene: quasi
che
questa potesse introdurre nella favola la moltipl
favola la moltiplicità delle azioni dove non sia. Egli però pretende
che
sia una sola l’azione principale, e le altre suba
e, è morta Isabella, oggetto principale della Tragedia, e si può dire
che
la favola stia nel maggior vigore. Si continua l’
l di lui suicidio, il quale porta in conseguenza l’altro di Aja. Così
che
non cessa l’Autore finchè non ha fatti morire tut
sciando appena in vita alcuni servi introdotti nella favola. Quindi è
che
se io dovessi dire, quante sieno le azioni princi
ramente tragico, e più di ogni altro interessante (salva la Religione
che
ci attacca ad Isabella), il qual personaggio ci f
no non niega questa moltiplicità di azioni, egli è assai notabil cosa
che
l’Apologista impugni l’evidenza, e che, quando a
oni, egli è assai notabil cosa che l’Apologista impugni l’evidenza, e
che
, quando a due azioni dell’Ecuba Greca diede il ti
ni dell’Ecuba Greca diede il titolo di molte, a queste dell’Isabella,
che
molte sono, dia il titolo di Una. Aritmetica Apol
putazioni del Sedano intorno al vedersi in essa la strana uniformità,
che
porta tutti i persognaggi ad agire pel medesimo i
scolperà l’Apologista l’inutile apparizione dello spirito d’Isabella,
che
viene a recitare un Sonetto caudato, per dire che
spirito d’Isabella, che viene a recitare un Sonetto caudato, per dire
che
qual Fenice dalle fiamme è risorta per gire al Ci
e’ Cristiani; ma il Signor Don Saverio mostrerà esser cosa plausibile
che
quei due Vecchi dabbene le propongano, come già p
e le propongano, come già propose Idraotte Saracino e Mago ad Armida,
che
vada a lusingare il Re, che ne fomenti l’amore, c
opose Idraotte Saracino e Mago ad Armida, che vada a lusingare il Re,
che
ne fomenti l’amore, che ne sostenga e nutrisca le
e Mago ad Armida, che vada a lusingare il Re, che ne fomenti l’amore,
che
ne sostenga e nutrisca le speranze? Ecco come si
te d’Isabella accompagnata dalle varie circostanze narrate dal Messo,
che
richiedono non poco tempo, nella scena III., quan
, quando ella è partita dal Teatro terminata la I., nè vi s’interpone
che
il soliloquio di Aja? E fluida, sonora, armoniosa
E fluida, sonora, armoniosa la verificazione: ma il Signor Lampillas,
che
tralle altre cose rinfaccia alla Sofonisba del Ca
? E pura, elegante la locuzione: ma è conveniente al genere teatrale,
che
ricusa molte figure, molte descrizioni, molti orn
la Scenica Poesia le lunghe, studiate, poetiche, liriche comparazioni
che
si trovano sparse nell’Isabella? Lasciando quella
ll’Isabella? Lasciando quella già accennata dello spirito d’Isabella,
che
in due quadernarj spiega l’indole della Fenice, a
che in due quadernarj spiega l’indole della Fenice, a cui si compara,
che
dirà il Signor Lampillas di quella della 5. scena
dalla e chiusa in una Ottava, “Qual Toro que delexos vè que asoma?”
che
di quella della 2. del II. detta da Isabella prol
prolongata per dodici versi, “Qual suele de los vientos combatida?”
che
di quella della 3. scena dell’Atto III. declamata
esse sono certamente: ma non conservano nella Drammatica la bellezza
che
hanno in altri generi: non erat hic locus, dice O
io, non essendo mio intendimento di mettere in vista tutte le pruove,
che
ha dato in questa favola il per altro famoso Poet
in cui la scrisse, e del gusto al suo tempo dominante nella Penisola,
che
non gli permise maggiore esattezza. L’Apologista
a del Sedano pel carattere perfettamente buono d’Isabella; di maniera
che
di lui acconciamente può dirsi in tal proposito c
a; di maniera che di lui acconciamente può dirsi in tal proposito ciò
che
dell’Europa affermava l’Ariosto, “Lampiglia è in
Non capisco però perchè per tal motivo si lagni anche del Signorelli,
che
nulla ha detto della bontà o malvagità de’ tragic
terarie da ammettere o rifiutare. Censuri adunque l’Apologista quello
che
io dico, ma non si curi d’interpretare senza fond
ico, ma non si curi d’interpretare senza fondamento nè bisogno quello
che
io non rivelo. V. CRISTOFORO VIRUES. Rimane
questo Capitano e Poeta Sivigliano. Dispiace all’Apologista (p. 110.)
che
io dica delle di lui Tragedie, che, a riserba del
Dispiace all’Apologista (p. 110.) che io dica delle di lui Tragedie,
che
, a riserba dell’ultima, non osservò nelle altre r
ragedia del Virues. Nella Semiramide (ei dice) confessa il Montiano,
che
il Poeta non osservò veruna delle tre unità; ma n
altrui peccati un maturo esame. Non avvertì dunque il Sign. Lampillas
che
l’istesso Virues fece la sua confessione nel Prol
illas, come di un sicurissimo asilo. Ma il Montiano incalza il nemico
che
si ritira, e grida, e pretende che ciò sia contra
. Ma il Montiano incalza il nemico che si ritira, e grida, e pretende
che
ciò sia contrario all’uso antico e al moderno, e
al moderno, e aggiugne: “Questa intolerabile licenza, se vi ha alcuno
che
ne abbia usato o ne usi, è la cosa più sconnessa
a ad analizzarle tutte e tre quasi fossero Tragedie distinte, e trova
che
da questa separazione stessa nascono di molti ass
arazione stessa nascono di molti assurdi. Di passaggio osserva ancora
che
il Virues attribuisce alla Nazione Assira le Verg
di tre, come il corpo favoloso di Gerione; cioè i Tramezzi e i Balli
che
s’interpongono fra atto e atto in altri Drammi. I
re, e forse l’istesso Sign. Lampillas, vedrà bene la poca connessione
che
ha una Tragedia divisa in tre (che piacevolmente
as, vedrà bene la poca connessione che ha una Tragedia divisa in tre (
che
piacevolmente potrebbe nomarsi Tritragedia, se pu
llo o un Tramezzo o un Mimo antico o una Petite-piéce Francese, corpi
che
reggono da se, nè abbisognano del Dramma, come il
ncipj capricciosi, con tali assurdi e difetti ne’ caratteri, mi parve
che
riescir dovesse poco accetta a’ posteri la memori
dovesse poco accetta a’ posteri la memoria di alcun pensiero elevato
che
vi si trovasse; che quanto alla concatenazione na
a a’ posteri la memoria di alcun pensiero elevato che vi si trovasse;
che
quanto alla concatenazione naturale degli acciden
e degli accidenti, e alla proprietà della locuzione, mi sembrano cose
che
neglette partoriscono vergogna, ed osservate con
eret, sed contempsit eum, qui minus id facere potuisset 1. Udiste ciò
che
si è insegnato quasi venti secoli fa? Ci vogliono
Udiste ciò che si è insegnato quasi venti secoli fa? Ci vogliono cose
che
facciano stupire, e, secondo il medesimo Cicerone
rone, inorridire in certo modo ed esclamare gli ascoltatori, per fare
che
degnamente passino a’ Posteri. Ma per soddisfare
eri. Ma per soddisfare alla domanda del Sign. Lampillas “se io creda,
che
tutte le Tragedie che occupano nobil posto nella
alla domanda del Sign. Lampillas “se io creda, che tutte le Tragedie
che
occupano nobil posto nella mia Storia, abbiano ta
. . . . . . . come da me si suole “Liberi sensi in semplici parole;”
che
più di una volta mi sono imbattuto in una Tragedi
mi sono imbattuto in una Tragedia infelice con questi medesimi pregi,
che
rapiscono l’Apologista. Anche a un Poeta dozzinal
mi pregi, che rapiscono l’Apologista. Anche a un Poeta dozzinale (non
che
al celebre Virues) scappano tal volta certi lampi
di manifeste inverisimiglianze. Circa all’altra domanda, se io creda,
che
si possa dire altrettanto della Semiramide del Ma
anto della Semiramide del Manfredi, rispondo colla medesima nettezza,
che
da questa sola domanda comprendo che l’Apologista
ispondo colla medesima nettezza, che da questa sola domanda comprendo
che
l’Apologista non l’abbia letta, nè abbia udito pa
prendo che l’Apologista non l’abbia letta, nè abbia udito parlarne, e
che
il Virues avrebbe potuto approfittarsi di essa, e
itragedia. Oh caro Sig. Apologista! Io auguro alle Scene Castigliane,
che
tosto giunga l’epoca fortunata di un Tragico, che
Scene Castigliane, che tosto giunga l’epoca fortunata di un Tragico,
che
arrivi a pareggiare il merito non equivoco del Ma
del vostro stomaco avvezzo ad altro nutrimento. Resta adunque provato
che
la prima Tragedia del Virues è difettosa e assurd
mo avanti (dice il Lampillas p. 115.). “Dove ha trovato il Signorelli
che
il Montiano confessa che il Virues nella Cruel Ca
las p. 115.). “Dove ha trovato il Signorelli che il Montiano confessa
che
il Virues nella Cruel Casandra non osservò regola
regola veruna?” Subito vi contento. Ho ciò trovato nella confessione
che
fa l’ingenuo Signor Montiano, cioè che “in essa s
ciò trovato nella confessione che fa l’ingenuo Signor Montiano, cioè
che
“in essa si accumulano tanti e tanti fatti che ec
Signor Montiano, cioè che “in essa si accumulano tanti e tanti fatti
che
eccede per la complicazione e la moltitudine . .
ono in certo modo l’Azione senza lasciarle quella brillante chiarezza
che
si esige”. E sebbene l’istesso Montiano dica che
brillante chiarezza che si esige”. E sebbene l’istesso Montiano dica
che
vi si osservano le tre unità, non si vede offesa
la di Azione dalla moltitudine e complicazione di tanti e tanti fatti
che
ne offuscano la necessaria chiarezza? E tanti e t
à del tempo? In questa guisa si osservano le Unità? Ho trovato ancora
che
il Montiano il confessa allorchè riprende in ques
tiano il confessa allorchè riprende in questa favola la incredibilità
che
risulta dall’eccessivo orrore che cagiona tanto s
e in questa favola la incredibilità che risulta dall’eccessivo orrore
che
cagiona tanto sangue sparso, che di nove Attori n
tà che risulta dall’eccessivo orrore che cagiona tanto sangue sparso,
che
di nove Attori ne muojono otto, onde la Tragedia
Or questo è osservar le regole? Sappia in oltre il Signor Lampillas,
che
non tutte le regole Sceniche si racchiudono nelle
elle sole tre unità. Altre molte e molto delicate ne prescrivono, non
che
Aristotile, Orazio, Gravina, Boileau, Luzán, il V
ile e l’Interesse teatrale veri Maestri di Poetica. Udite un poco uno
che
sapeva qualche cosa di più delle regole di Unità,
adunque alla seconda Tragedia del Virues per chiamarsi regolata. “E
che
(l’Apologista p. 116.)? Forse nell’Attila non vi
Spagnuolo ci assicura tutto l’opposto”. Questo Critico Spagnuolo dice
che
in grazia de’ vivi colori, con cui è dipinto in q
rsi fralle regolari. Quì dunque si dispensa grazia e indulgenza, anzi
che
si amministri giustizia. Vuol poi il Signor Lampi
risce il Montiano (dice seguitando a travedere l’Apologista p. 117.) “
che
nella Infelice Marcella non vi si osservi veruna
escritte unità”. Montiano, il quale, a differenza di altri, intendeva
che
le unità non sono le sole regole Drammatiche, che
di altri, intendeva che le unità non sono le sole regole Drammatiche,
che
trasgredite deturpano un componimento, dice di ta
erebbe, piuttosto una Novella compassionevole ridotta in buoni versi,
che
una ben regolata Tragedia. Adunque non solamente
o vere asserito esser questa una Tragedia mal regolata, dice appresso
che
vi sono osservate le unità. Osservar le regole, e
glianza nelle persone. Gli assassini di campagna, la Donna da partito
che
gli siegue, i Pastori, corrispondono alla bassezz
nella Marcella? E il Montiano non lo confessa? E il Signor Lampillas
che
il nega, non mostra di aver letto il Montiano all
o il Montiano alla sfuggita? Ma vuol meglio assicurarsi l’Apologista,
che
, a riserba dell’Elisa, le altre quattro Tragedie
ccezione? Egli nel Prologo premesso alle cinque sue Tragedie previene
che
“nelle prime quattro ha procurato unire il meglio
urato unire il meglio dell’arte antica e del costume moderno” . . . e
che
l’ultima va escrita toda per el estilo de Griegos
a per el estilo de Griegos y Latinos. L’Elisa dunque è l’unica favola
che
il Virues tiene per veramente regolare; e se l’At
e regole, l’avrebbe accoppiate coll’Elisa, e non colle altre. Ed ecco
che
a confermare il sentimento del Signorelli concorr
re Spagnuolo. Ben poteva inoltre notare il Signor Lampillas il carico
che
dà il Montiano al Virues, cioè di aver contribuit
oesia, como los llama Cascales. E conferma la sua opinione colla lode
che
Lope dà al Virues nel Laurel de Apolo; facendo os
la lode che Lope dà al Virues nel Laurel de Apolo; facendo osservare,
che
Lope, come parziale dell’alterazione del Teatro,
e delle migliori regole Comiche, e ciò dice appunto allorchè aggiugne
che
scrisse Tragedie; di maniera che se ne ricava, ch
e ciò dice appunto allorchè aggiugne che scrisse Tragedie; di maniera
che
se ne ricava, che “gradúa la mudanza que introdux
allorchè aggiugne che scrisse Tragedie; di maniera che se ne ricava,
che
“gradúa la mudanza que introduxo Virues por orige
antiquos y la costumbre moderna”. Vede adunque il Signor D. Saverio,
che
il Signorelli non si allontana da’ sentimenti de’
gita, nè sopprime i fatti, nè abbisogna di far dire a’ Giraldi quello
che
non dissero mai. 1. V. il Prologo del T. VI.
ologo del T. VI. del Parn. Esp. 2. V. il II. Discorso del Montiano,
che
cita l’Opera del Malara intitolata Philosophia Vu
a Vulgar P. I. Cent. 7. Refr. 1. Il Signor Sedano di lui dicę ancora,
che
solo se le conoce por Autor de la Tragedia de Abs
se. Dicesi appena del re Edoardo VI, grandemente esaltato da Cardano,
che
avesse composta una commedia elegantissima intito
strare un nome assai sublime. La figliuola di Errico VIII Elisabetta,
che
suol riporsi insieme coi più gran principi del su
tragedie di Sofoclea. Non ebbe però questa gran regina molti compagni
che
lavorassero a far risorgere la drammatica co’ mod
la drammatica co’ modelli dell’antichità. Non vi fu nel di lei regno
che
il loro Tommaso Sackville che compose Gordobuc co
l’antichità. Non vi fu nel di lei regno che il loro Tommaso Sackville
che
compose Gordobuc commedia in qualche maniera scri
libertinaggio, e compose poi per sostentarsi pel teatro di un popolo
che
ancor non poteva gloriarsi di aver prodotto alle
morti, spiriti invisibili, un leone, un sorcio, il chiaro, della luna
che
favellano: egli non seppe nè astenersi dal miraco
incredibile, nè separare dal tragico il comico, restando perciò, non
che
lungi dal pareggiare Euripide, inferiore allo ste
sso Tespi. Ebbe non per tanto un ingegno pieno di vigoroso entusiasmo
che
lo solleva talvolta presso a’ più insigni tragici
o entusiasmo che lo solleva talvolta presso a’ più insigni tragici, e
che
giustifica il giudizio datone da’ suoi compatriot
i tragici, e che giustifica il giudizio datone da’ suoi compatriotti,
che
egli abbondi di difetti innumerabili e di bellez
isi compinte de i drammi di Shakespear; ben persuasi della difficoltà
che
incontrano, non che altri, non pochi suoi naziona
ammi di Shakespear; ben persuasi della difficoltà che incontrano, non
che
altri, non pochi suoi nazionali in afferrare lo s
o la tessitura e le bellezze principali, senza omettere qualche scena
che
ci sembri disdicevole alla gravità tragica. Atto
he ci sembri disdicevole alla gravità tragica. Atto I. Alcuni soldati
che
guardano il palazzo del re di Danimarca, si tratt
stato solo riflette fra se alla criminosa precipitazione di sua madre
che
appena passato un mese dalla morte del re suo mar
di sua madre che appena passato un mese dalla morte del re suo marito
che
tanto l’amava, si è congiunta in matrimonio col f
che tanto l’amava, si è congiunta in matrimonio col fratello del re,
che
ora ne occupa il trono. Sopravvengono Orazio e Ma
a ne occupa il trono. Sopravvengono Orazio e Marcello due de’ soldati
che
videro l’ombra del re trapassato. Dice Amlet che
ello due de’ soldati che videro l’ombra del re trapassato. Dice Amlet
che
sempre egli l’ha presente. Orazio che egli l’ha v
a del re trapassato. Dice Amlet che sempre egli l’ha presente. Orazio
che
egli l’ha veduto effettivamente la scorsa notte,
congedo da sua sorella Ofelia e da Polonio suo padre vecchio cicalone
che
con molte parole scagliando massime ad ogni occor
segue sul medesimo stile colla figlia in proposito del principe Amlet
che
l’ama, versando copiosamente regole e sentenze mo
nima infelice! Mor. Non compatirmi: ascolta soltanto attentamente ciò
che
sono per rivelarti. Aml. Parla; ti prometto ogni
er rivelarti. Aml. Parla; ti prometto ogni attenzione. Mor. Ascoltato
che
mi avrai, promettimi vendetta. Aml. Perchè? Mor.
a al fuoco durante il giorno, affinchè le fiamme purifichino le colpe
che
commisi nel mondo… Se mai sentisti tenerezza per
nell’orecchio certo licore velenoso sì contrario al sangue dell’uomo
che
a guisa di mercurio s’insinua, penetra tutte le v
tà! orribile! Deh se ascolti la voce della natura, non voler soffrire
che
il talamo reale di Danimarca sia il letto dell’in
macchiar l’anima con un delitto incrudelendo contro tua madre. Lascia
che
la punisca il cielo, lascia che quelle punte acut
incrudelendo contro tua madre. Lascia che la punisca il cielo, lascia
che
quelle punte acute che tiene fitte nel petto, la
madre. Lascia che la punisca il cielo, lascia che quelle punte acute
che
tiene fitte nel petto, la feriscano e la tormenti
ne, eccetto il tuo comando, sì lo giuro. Vengono i soldati. Amlet fa
che
giurino di non palesare a veruno l’apparizione di
al figlio in Parigi con tante ammonizioni miste ad inezie e minutezze
che
spiegano il carattere di un vecchio che ciancia i
i miste ad inezie e minutezze che spiegano il carattere di un vecchio
che
ciancia in tuono famigliare, basso di tratto in t
ortigiani trattano della mutazione di Amlet impazzito. Viene Polonio,
che
prende gravemente a favellare sulla di lui follia
chiamo, perchè (a ben riflettere) altra cosa non è la pazzia, se non
che
uno è interamente matto. E questa la ragione com
perfettamente; tu sei il pescivendolo . E va proseguendo con dir cose
che
sembrano fuori di ragione, benchè osservi certo m
antz, i quali d’ordine reale lo mettono in discorso per iscoprire ciò
che
senta internamente. Si passa in seguito su i comm
a in seguito su i commedianti da esso principe incontrati pel camino,
che
compongono la compagnia tragica di Elsingor. Essi
voce, e tutto si compone ad esprimere la passione per commuovere. Or
che
farebbe , aggiugne, se interiormente sentisse i m
, aggiugne, se interiormente sentisse i medesimi movimenti di dolore
che
in me sento? E pure io disgraziato rimango stupid
ngo stupido e muto mirando i miei torti!… Altro dunque io non so fare
che
piangere?… Ma no. Udii dire che assistendo talvol
i torti!… Altro dunque io non so fare che piangere?… Ma no. Udii dire
che
assistendo talvolta alla rappresentazione di una
ersone malvage furono così vivamente ferite per l’illusione teatrale,
che
alla presenza di tutti manifestarono la propria r
priva di lingua, sempre si manifesta quando meno si attende. Io farò
che
quegli attori rappresentino avanti di mio zio qua
farò che quegli attori rappresentino avanti di mio zio qualche scena
che
rassomigli alla morte di mio padre. Lo trafiggerò
e, osserverò i suoi sguardi, se cangia colore, se si agita… sò quello
che
saprò far io. L’apparizione che mi si presentò, p
cangia colore, se si agita… sò quello che saprò far io. L’apparizione
che
mi si presentò, potrebbe essere opera di spirito
eggere nell’interno del nipote si tiene in disparte per intendere ciò
che
Amlet dice ad Ofelia. Il principe viene dicendo f
orsi del nipote, e così conchiude: Altra idea chiude egli nell’animo
che
fomenta la sua tristezza; la quale potrebbe produ
Inghilterra. Condiscendendo pero alla proposta di Polonio acconsente
che
Amlet parli prima con la regina dopo la rappresen
er ben rappresentare; indi uscendo Orazio di cui si fida, gl’ingiunge
che
mentre segue la rappresentazione di quanto egli h
a l’occhio attento sopra del re e l’esamini con tutta la cura, e dice
che
farà egli lo stesso, e si communicheranno poi le
ice che farà egli lo stesso, e si communicheranno poi le osservazioni
che
ciascuno avrà fatte, per giudicare su ciò che ind
nno poi le osservazioni che ciascuno avrà fatte, per giudicare su ciò
che
indicherà il di lui esteriore. Viene il re e la r
principio alla rappresentazione muta a suono di trombette. Gli attori
che
sostengono le parti del re, e della regina del dr
ena muta contiene l’argomento del dramma. Si finge nella prima scena
che
il re e la regina esprimano i loro affetti. Il re
a che il re e la regina esprimano i loro affetti. Il re mostra timore
che
se egli venisse a morire, ella ne prenderebbe un
di questo dramma? Tiene alcuna cosa di mal esempio? Aml. Non signore;
che
mal esempio? Tutto è una finzione, un veleno ma f
ore; che mal esempio? Tutto è una finzione, un veleno ma finto; oibo!
che
mal esempio? Re. Che titolo porta questa favola?
e la sua consorte Battista. Viene un commediante ad avvelenare quel
che
dorme, ed Amlet dice: Aml. Vedete? Ora l’avvelen
e? Ora l’avvelena nel giardino per usurpargli lo stato… Tosto vedrete
che
la sposa s’innammora dell’uccisore. A ciò il re
al trono usurpato. Arriva Amlet, l’osserva, va per ferirlo; pensa poi
che
se l’ammazza mentre stà orando, gli assicura la g
ubriaco, affinchè l’anima sua rimanga nera e maledetta come l’inferno
che
dee ingojarla. Va dalla madre. Appartamento dell
omandate con troppa perversità. Reg. Che vuol dire ciò, Amlet? Aml. E
che
vuol dire ciò, madre? Reg. Ti dimentichi di chi s
uol dire ciò, madre? Reg. Ti dimentichi di chi sono? Aml. No, perdio,
che
non mi dimentico che siete la regina congiunta in
Reg. Ti dimentichi di chi sono? Aml. No, perdio, che non mi dimentico
che
siete la regina congiunta in matrimonio col frate
n matrimonio col fratello del vostro primo marito; e al ciel piacesse
che
così non fosse. Ah siete mia madre! Reg. E bene i
senno. Aml. Venite, sedete. Di quì non si parte, non vi movete prima
che
io non vi ponga innanzi uno specchio, in cui ravv
li… Pol. Ajuto chiede? oh!… Amlet si accorge di essere inteso; pensa
che
sia il re che stia ad ascoltare; finge che sia un
chiede? oh!… Amlet si accorge di essere inteso; pensa che sia il re
che
stia ad ascoltare; finge che sia un topo, e lo fe
ge di essere inteso; pensa che sia il re che stia ad ascoltare; finge
che
sia un topo, e lo ferisce. Polonio grida, son mo
ori di se! Aml. Vieni forse a riprendere la negligenza di tuo figlio,
che
indebolito dalla compassione e dalla tardanza obb
recetto? Parla. Mor. Non obbliarla. Vengo a riaccendere il tuo ardore
che
par quasi estinto. Ordina poi che parli alla mad
Vengo a riaccendere il tuo ardore che par quasi estinto. Ordina poi
che
parli alla madre che vede piena di spavento. Aml
il tuo ardore che par quasi estinto. Ordina poi che parli alla madre
che
vede piena di spavento. Aml. A che pensate, o ma
Ordina poi che parli alla madre che vede piena di spavento. Aml. A
che
pensate, o madre? Reg. Oimè! A che pensi tu che c
he vede piena di spavento. Aml. A che pensate, o madre? Reg. Oimè! A
che
pensi tu che così dirigi i tuoi sguardi dove non
di spavento. Aml. A che pensate, o madre? Reg. Oimè! A che pensi tu
che
così dirigi i tuoi sguardi dove non si vede cosa
re i miei disegni crudeli, e far correre il pianto in vece del sangue
che
tu domandi. Reg. A chi dici tu queste cose? Aml.
Aml. Nulla vedete in quel canto? Reg. Nulla, e pur vedo tutto quello
che
vi è. Aml. Nè anche ascoltaste nulla? Reg. Nulla,
che vi è. Aml. Nè anche ascoltaste nulla? Reg. Nulla, fuor di quello
che
noi due stiamo parlando. Aml. Mirate là, là… lo v
o a poco dal colpevole suo nuovo sposo… Di poi ripigliandosi le dice,
che
anzi nol faccia, ed ironicamente le insinua di to
arsi a lui, di porsi nel suo letto e fralle sue braccia, di scoprirli
che
la pazzia del figlio è finta, e che tutto è un ar
fralle sue braccia, di scoprirli che la pazzia del figlio è finta, e
che
tutto è un artificio. La regina l’assicura che ci
del figlio è finta, e che tutto è un artificio. La regina l’assicura
che
ciò non farà mai. Atto IV. Intende il re l’uccisi
per sicurezza comune. Fa venire Amlet alla presenza sua, e gl’impone
che
si accinga subito a partir per Inghilterra. Ordin
a, e gl’impone che si accinga subito a partir per Inghilterra. Ordina
che
si porti il cadavere di Polonio alla capella: Ora
rti il cadavere di Polonio alla capella: Orazio fa sapere alla regina
che
Ofelia è divenuta pazza. Ella stessa viene cantan
che Ofelia è divenuta pazza. Ella stessa viene cantando, e dà indicii
che
la morte del padre ha cagionato lo sconcerto dell
re ha cagionato lo sconcerto della ragione di lei; ma ad ogni domanda
che
le si fa, risponde con un’ arietta musicale, e po
il re di timori e di sospetti per le mormorazioni del popolo, accenna
che
è venuto di Francia il fratello di Ofelia, che si
ni del popolo, accenna che è venuto di Francia il fratello di Ofelia,
che
si occulta. Si ode strepito grande. Un cavaliero
Si ode strepito grande. Un cavaliero chiama la guardia, e dice al re
che
fugga, perchè il volgo va seguendo Laerte furibon
nella morte di Polonio. Lo prega ad ascoltarlo da parte, protestando
che
se lo trovasse colpevole, gli cederebbe di buon g
arinari presentano alcune lettere. Orazio legge; è un foglio di Amlet
che
dice: Orazio, come avrai letto questo foglio, di
e dice: Orazio, come avrai letto questo foglio, dirigerai gli uomini
che
te lo recano al re, pel quale ho dato loro un alt
ome ladri compassionevoli, ed io gli ho ben compensati. Tu fa in modo
che
il re riceva le carte che gli mando, indi vieni a
ed io gli ho ben compensati. Tu fa in modo che il re riceva le carte
che
gli mando, indi vieni a vedermi con tanto diligen
ermi con tanto diligenza, come se fuggissi dalla morte. Saprai arcani
che
ti renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno c
ssi dalla morte. Saprai arcani che ti renderanno attonito. Gli stessi
che
ti hanno consegnata la lettera, ti condurranno da
icare il sangue del di lui padre nell’uccisore. Amlet, sì per l’amore
che
ha per lui la madre, come per l’affezione del pop
ca lettere del principe pel re e per la madre. Il re leggendo intende
che
Amlet è tornato nudo e solo, e che verrà domani.
r la madre. Il re leggendo intende che Amlet è tornato nudo e solo, e
che
verrà domani. Palesa poi a Laerte un espediente c
to nudo e solo, e che verrà domani. Palesa poi a Laerte un espediente
che
gli è sovvenuto per disfarsi di Amlet: Sul suppos
un espediente che gli è sovvenuto per disfarsi di Amlet: Sul supposto
che
verisimilmente egli ricuserebbe d’imprendere un n
erisimilmente egli ricuserebbe d’imprendere un nuovo viaggio, per far
che
pera in guisa che la morte sua sembri alla madre
ricuserebbe d’imprendere un nuovo viaggio, per far che pera in guisa
che
la morte sua sembri alla madre stessa casuale, pr
a in guisa che la morte sua sembri alla madre stessa casuale, propone
che
celebrando la fama la destrezza di Laerte nel man
il re di fargli susurrare all’udito di tal sorte il valore di Laerte,
che
si dia luogo ad una scommessa, tenendo alcuni la
Preventivamente si prepareranno alcuni fioretti colla punta scoperta
che
sarà avvelenata, e Laerte ne prenderà uno per se,
ortalmente, e la sua morte si attribuirà al solo caso. Aggiugne il re
che
per assicurare il colpo farà anche ammanire una t
endo da bere, rimanga dal mortifero licore ucciso. La regina annunzia
che
Ofelia tratta dalla sua follia si è affogata nel
te. Atto. V. Cimiterio. Aprono l’atto due becchini parlando di Ofelia
che
si ha da sotterrare in luogo sacro. L’uno dice ch
parlando di Ofelia che si ha da sotterrare in luogo sacro. L’uno dice
che
ciò stà ben disposto dal giudice; l’altro che stà
luogo sacro. L’uno dice che ciò stà ben disposto dal giudice; l’altro
che
stà mal giudicato, perchè ella si è ammazzata da
cena comica bassa. Cade indi il loro discorso sulla nobiltà di coloro
che
maneggiano la zappa, come becchini, zappatori ecc
io. Un becchino zappa e canta. Amlet osserva l’insensibilità di colui
che
nell’aprire una sepoltura stà cantando. Il becchi
ndo. Il becchino getta al suolo una testa di un morto. Amlet riflette
che
potrebbe quella appartenere a qualche uomo di sta
mlet riflette che potrebbe quella appartenere a qualche uomo di stato
che
in vita pretese ingannare il cielo stesso, o a qu
lungamente. La conversazione riesce totalmente comica per le risposte
che
essi danno, e morale insieme per le riflessioni d
n Amlet. Partono tutti. Restano Amlet ed Orazio. Il principe racconta
che
mentre dormivano Guildestern e Rosencrantz, egli
arte. Tornò nel suo stanzino, aprì i dispacci, e scoprì il tradimento
che
gli tramava il re, dando ordine preciso di ammazz
Danimarca e dell’Inghilterra. Ne mostra l’ordine ad Orazio. Aggiugne
che
egli scrisse in nome del re di Danimarca al re d’
diatamente i due messaggi, e sugellò la lettera col sigillo del padre
che
seco avea, sul quale erasi formato quello che usa
a col sigillo del padre che seco avea, sul quale erasi formato quello
che
usava il re presente. Ciò fatto e chiuso di nuovo
nuovo il plico, lo ripose nel sito medesimo onde tratto l’avea, senza
che
il cambio si fosse conosciuto. Il dì seguente avv
contro sei spade francesi co’ pugnali corrispondenti. Il re scommette
che
in dodici assalti Laerte darà ad Amlet tre soli c
Laerte s’impegna a dargliene nove. Amlet accetta la sfida, ed ordina
che
si rechino in quella sala i fioretti. Altro messo
vuol sapere se Amlet pensa battersi subito con Laerte. Amlet risponde
che
se quell’ora è comoda pel re, egli è pronto. Amle
pronto. Amlet confessa ad Orazio di sentir qualche cosa nel suo cuore
che
l’affanna. Orazio vorrebbe dissuaderlo dall’impre
e che l’affanna. Orazio vorrebbe dissuaderlo dall’impresa. Amlet dice
che
egli si ride di simili presagi; pur nella morte
allorchè arrivi. Se l’uomo al terminar di sua vita ignora sempre ciò
che
potrebbe avvenire da poi, che importa che la perd
terminar di sua vita ignora sempre ciò che potrebbe avvenire da poi,
che
importa che la perda presto o tardi? Sappia morir
sua vita ignora sempre ciò che potrebbe avvenire da poi, che importa
che
la perda presto o tardi? Sappia morire . Viene il
ndono ciascuno un fioretto, e si dispongono all’assalto. Il re ordina
che
si copra la mensa di bicchieri colmi di vino. Se
a seconda stoccata, o nel terzo assalto colpisce l’avversario, ordina
che
si scarichi tutta l’artiglieria. Il re berà alla
ute di Amlet, buttando nel bicchiere una onice più preziosa di quella
che
hanno usata i quattro ultimi sovrani Danesi. Inco
cia l’assalto. Amlet dà la prima stoccata a Laerte. Il re bee e vuole
che
egli beva ancora; Amlet vuol prima fare il second
ambi, e restano feriti. La regina va mancando. Il re vuol far credere
che
al vedere il sangue sia svenuta; ma ella grida,
no, no, la bevanda, la bevanda…. Amlet sono avvelenata… Amlet ordina
che
si chiudano le porte, e che si trovi il traditore
da…. Amlet sono avvelenata… Amlet ordina che si chiudano le porte, e
che
si trovi il traditore. Laerte morendo dice, che i
chiudano le porte, e che si trovi il traditore. Laerte morendo dice,
che
il traditore è presente . Tu sei morto, Amlet,
ce, che il traditore è presente . Tu sei morto, Amlet, non ti resta
che
mezz’ora di vita; la punta del ferro che tieni in
i morto, Amlet, non ti resta che mezz’ora di vita; la punta del ferro
che
tieni in mano, è avvelenata, e… mi ha morto; io n
t muore. Termina la tragedia coll’arrivo di Fortinbras, il quale dice
che
paleserà tutto tosto che saranno esposti alla pub
dia coll’arrivo di Fortinbras, il quale dice che paleserà tutto tosto
che
saranno esposti alla pubblica veduta que’ cadaver
rietà degli avvenimenti, e da alcune interessanti situazioni tragiche
che
vi sono, come è la scena dell’ombra con Amlet nel
fettoso e del mirabile del dramma, delle bellezze e delle mostruosità
che
vi si notano. Basti per tutti il sentimento del V
arne. «Shakespear (egli disse) non ha presso gl’Inglesi altro titolo
che
di divino. Pur le sue tragedie sono altrettanti m
ssero ammirare un autore così stravagante; ma in progresso mi accorsi
che
aveano ragione… Essi al par di me vedevano i fall
entivano meglio di me le bellezze tanto più singolari per esser lampi
che
balenavano in una oscurissima notte. Tale è il pr
ola, per incognite non corse strade, ma lascia dietro di se tutto ciò
che
altro non è che ragione ed esattezza.» Abbiamo o
te non corse strade, ma lascia dietro di se tutto ciò che altro non è
che
ragione ed esattezza.» Abbiamo osservato nel par
a mancanza di erudizione, di emoli e di modelli supplita dall’ingegno
che
lo scorgeva ad’ internarsi nell’uomo, a studiare
tragico inglese studiando la natura mancò di giudizio nell’imitar ciò
che
in società si riprenderebbe. Non è inverisimile (
mile (disse pur Voltaire per iscolpar se stesso nel Figliuol Prodigo)
che
mentre in una stanza si piange un morto, dicasi d
in una stanza si piange un morto, dicasi da un buffone qualche motto
che
muova a riso. Ma questo vero indiscreto non dee s
secondo luogo il poeta giudizioso non lavora mai contro se stesso. Or
che
altro fa colui che volendo intenerire e commuover
eta giudizioso non lavora mai contro se stesso. Or che altro fa colui
che
volendo intenerire e commuovere impedisce egli st
oni non di rado la perde di vista. Non l’ebbe presente ne’ rimproveri
che
ne’ Due Gentiluomini di Verona fa il duca di Mila
Nella sola orazione di Antonio nel Giulio Cesare, in quella orazione
che
Martino Sherlock stima il capo d’opera dell’eloqu
di Omero, di Virgilio, di Demostene, di Cicerone , in quell’orazione
che
in ogni parola abbraccia mille bellezze ignote
e lagrime è forse una bellezza naturale? Oltre a ciò la falsa ragione
che
si adduce, non distrugge l’accusa di ambizioso da
o l’alterigia vizii composti di presunzione e di ferocia, sono quelli
che
rendono l’uomo disprezzante duro insensibile agli
’ambizione non rare volte si copre di umanità e di dolcezza. Sherlock
che
ha studiato venti anni i drammi di Shakespear, ha
di Bruto) come sforzandosi di uscire per sapere, se fosse possibile,
che
questo era Bruto. Longino, Orazio e Boileau, de’
ore, avrebbero ravvisato del patetico e del sublime in questo sangue
che
si sforza di uscire per seguire il ferro e per sa
a? L’unica vera bellezza dell’orazione di Shakespear è quella appunto
che
è sfuggita alla diligenza del Sherlock che da ven
hakespear è quella appunto che è sfuggita alla diligenza del Sherlock
che
da venti anni lo stà studiando. Il merito del Sha
iferitaci dagli scrittoria; spiegandovi un patetico risentito e forte
che
accompagna lo spettacolo alle parole; e per quest
dagli oggetti e dalle circostanze? Non comprende l’enorme differenza
che
corre trallo spiegar la pompa oratoria nel Foro o
pi di simili paragoni impossibili? E pure egli stesso riprende coloro
che
comparano Racine e Shakespear, perchè il primo (e
e a’ di lui sguardi è più stravagante il confronto di due drammatici,
che
di un romanziere con un drammatico? Non è meravig
drammatici, che di un romanziere con un drammatico? Non è meraviglia
che
quel focoso viaggiatore preso dal farnetico di ra
r di letteratura vada tirando di taglio e di punta contro i fantasimi
che
egli stesso infanta, e giudichi de’ popoli colla
chi de’ popoli colla più deplorabile superficialità. Non è meraviglia
che
abbia scarabocchiato un libercolo picciolissimo i
carabocchiato un libercolo picciolissimo in tutti i sensi per provare
che
in Italia la poesia non è uscita ancor dalla fan
uscita ancor dalla fanciullezza ; non consistendo la sua grande opera
che
in pagine 104 in picciolo ottavo, delle quali (se
erate lodi della sua innamorata, cioè di Shakespear. Non è meraviglia
che
nella medesima brochure o scartabello che sia, ca
hakespear. Non è meraviglia che nella medesima brochure o scartabello
che
sia, cancelli con una mano quel che con l’altra d
a medesima brochure o scartabello che sia, cancelli con una mano quel
che
con l’altra dipigne; e nell’atto che dichiara gl’
sia, cancelli con una mano quel che con l’altra dipigne; e nell’atto
che
dichiara gl’Italiani fanciulli in poesia , affer
; e nell’atto che dichiara gl’Italiani fanciulli in poesia , affermi
che
abbondino di eccellentissimi poeti lirici in og
ellentissimi poeti lirici in ogni genere; non avendo ancora imparato
che
l’ entusiasmo, la mente più che divina, il sommo
ni genere; non avendo ancora imparato che l’ entusiasmo, la mente più
che
divina, il sommo ingegno, la grandezza dello stil
convengono singolarmente alla poesia lirica. Non è meraviglia ancora
che
mentre nega il nome di poeta grande ad Ariosto, c
cora che mentre nega il nome di poeta grande ad Ariosto, confessi poi
che
sia egli gran poeta descrittivo , con altra palp
erlock, potrebbero recarci stupore, se fossero profferite da un altro
che
non ci avesse puerilmente ed à propos des bottes
Japigia e parte della Sicilia, le quali altro linguaggio non avevano
che
il greco, e mandarono a spiegar la pompa del loro
e a Costantinopoli i Metodii, i Crisolai, i Barlaami: a quell’Italia,
che
dopo la distruzione del Greco Impero tutta si die
la lingua greca diventò sì comune dopo la presa di Constantinopoli,
che
, come dice Costantino Lascari nel proemio ad una
cava vergogna agl’Italiani, e la lingua greca più fioriva nell’Italia
che
nella stessa Grecia a: a quella Italia in fine c
oriva nell’Italia che nella stessa Grecia a: a quella Italia in fine
che
oggi ancor vanta così gran copia di opere, nelle
in Verona, in Venezia, in Mantova, in Modena, in Bologna, in Milano,
che
vince di gran lunga l’istesso gregge numeroso de’
senso degl’Inglesi, d’indole per altro tanto, al suo dire, singolare
che
difficilmente se ne trovano due che si somigliano
ro tanto, al suo dire, singolare che difficilmente se ne trovano due
che
si somigliano ; ed afferma che in Inghilterra in
re che difficilmente se ne trovano due che si somigliano ; ed afferma
che
in Inghilterra in quasi duecento anni non vi è s
isole Brittanniche contro di Shakespear per renderlo informato di ciò
che
ignora de’ suoi medesimi nazionali. Inglese era D
dedicatoria della tragedia Troilus and Cressida afferma ingenuamente
che
nelle composizioni scritte da Shakespear nel seco
sregolata la dicitura, oscura ed affettata l’espressione ; aggiugendo
che
al principio del secolo susseguente quel padre de
pure nella prefazione dice di lui moltissimo bene e moltissimo male,
che
è quello appunto che fanno gli esteri imparziali.
e dice di lui moltissimo bene e moltissimo male, che è quello appunto
che
fanno gli esteri imparziali. Io tanto più di buon
hakespear il troppo studio d’imitar la natura universale. Hanno detto
che
i suoi Romani non erano vestiti del proprio costu
anno detto che i suoi Romani non erano vestiti del proprio costume; e
che
ai re da lui introdotti mancavano le dignità rich
a) perchè Menenio senator di Roma faccia il buffone; e Voltaire crede
che
sia violar la decenza il dipingere che fa nell’Ha
a il buffone; e Voltaire crede che sia violar la decenza il dipingere
che
fa nell’Hamlet l’usurpatore Danese ubbriaco, Ma S
tà. Esigeva la sua favola de’ Romani e de’ re, ed egli altro non vide
che
gli uomini. Avea egli bisogno di un buffone, ed i
regevole ed odioso, aggiunse a i di lui vizii l’ubbriachezza, sapendo
che
il vino esercita la sua possanza su i re come su
dotto senza arte. Egli trascura le occasioni di piacere o interessare
che
presentagli naturalmente lo scioglimento. Perchè
in un verso pomposo… Quando vuole intenerire dipingendo la grandezza
che
ruina, o l’innocenza che pericola, più sensibilme
ndo vuole intenerire dipingendo la grandezza che ruina, o l’innocenza
che
pericola, più sensibilmente manifesta l’ineguagli
tetico… Il difetto più notabile del nostro poeta è il gusto singolare
che
avea pel giuoco puerile delle parole; non v’ ha c
to singolare che avea pel giuoco puerile delle parole; non v’ ha cosa
che
non sacrifichi al piacere di dire un’ arguzia ecc
ate voi? Farsa tragico-comi-pastorale, nel corso della quale non meno
che
nella prefazione viene finalmente, e con grazia c
de’ versi di lui piacevolissime parodie. Adunque non è punto vero ciò
che
afferma il signor Martino, che in Inghilterra non
parodie. Adunque non è punto vero ciò che afferma il signor Martino,
che
in Inghilterra non vi è stata mai una voce sola c
non vi è stata mai una voce sola contro Shakespear; non è punto vero
che
quivi sono tutti ciechi adoratori non meno delle
vero che quivi sono tutti ciechi adoratori non meno delle bruttezze,
che
delle bellezze di lui. In compenso però può oggi
e contare di essere stato dichiarato l’innamorata del tenero Sherlock
che
consiglia con tutto gusto e giudizio la gioventù.
colarità della scrittura di costui, nella quale trovansi sparse senza
che
vengano citate moltissime cose che leggonsi altro
nella quale trovansi sparse senza che vengano citate moltissime cose
che
leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da que
l rimanente del suo libretto. Io ne ho voluto accennare soltante quel
che
riguarda la drammatica, non curandomi di mettere
ì il cavalier Fulck Grevil Brooke chiaro nelle armi, e nelle lettere,
che
fu l’intimo amico di Sidney favorito della regina
teatro brittannico. Tralle di lui favole passa per eccellente quella
che
intitolò Il Re non Re. Non si vuole però omettere
uella che intitolò Il Re non Re. Non si vuole però omettere di notare
che
sin da que’ dì sulle scene di quell’Isole cominci
quell’Isole cominciò ad allignare un gusto più attivo e più energico
che
altrove. Gl’Inglesi amano sul teatro più a vedere
e più energico che altrove. Gl’Inglesi amano sul teatro più a vedere
che
a pensare. Da quel tempo spiegarono una propensio
ne particolare al grande, al terribile, al tetro, al malinconico, più
che
al tenero, ed una vivacità e una robustezza, e un
d una vivacità e una robustezza, e un amor deciso pel complicato, più
che
per la semplicità; e questo carattere di tragedia
P. I, cap. XII. b. Si comprende particolarmente da quest’ultimo nome
che
noi non intendiamo qui di offendere i viaggiatori
ensare del drammatico Inglese. a. Non vo lasciare però di aggiugnere
che
il Sherlock molto provvidamente indirizza il suo
il Sherlock molto provvidamente indirizza il suo Consiglio ai giovani
che
non hanno oltrepassati i ventidue anni, altriment
n so poi se possa esservi uomo dotato di ugual malignità e stupidezza
che
adottar possa i di lui sentimenti. Pur se alcuno
ragedie Spagnuole per la loro rarità, donde potevano essi argomentare
che
nella Penisola si conoscesse tal genere di Poesia
scorsi del Signor Montiano, si accorda con M. Du Perron in affermare,
che
gli Spagnuoli non conoscono la Tragedia. Forse io
diligenza rinnovare di tali poche Tragedie la memoria: e questa cura,
che
non può al certo nascere da un animo avverso e in
dovesie adottarsi questa ragione, sarebbe compatibile chi avanzasse,
che
gl’Italiani non conobbero la Tragedia nel secolo
e recitate Tragedie, Commedie, Pastorali, e Drammi Musicali, di sorte
che
i forestieri vedendo sulla Scena incessantemente
i questi generi, non potevano essere cotanto irragionevoli e ingiusti
che
volessero non vedere quello che pur vedeano, e do
sere cotanto irragionevoli e ingiusti che volessero non vedere quello
che
pur vedeano, e doveano confessare che tutte le ac
che volessero non vedere quello che pur vedeano, e doveano confessare
che
tutte le accennate specie di Poesie Drammatiche f
poi dell’Apologista non può reggere, primieramente, perchè un Popolo
che
reciti Tragedie non molto buone, si dirà che colt
amente, perchè un Popolo che reciti Tragedie non molto buone, si dirà
che
coltivi male questo genere, ma non già che non ab
e non molto buone, si dirà che coltivi male questo genere, ma non già
che
non abbia Tragedie. Di poi non regge il di lui ra
a proposito? Io dico: Voi avete poche Tragedie (regolate o sregolate
che
siano); ed egli replica: Voi ne avete poche ben r
bblica per le stampe, non sarebbero mai più compatibili gli Stranieri
che
asserissero che la Spagna non conosce la Tragedia
ampe, non sarebbero mai più compatibili gli Stranieri che asserissero
che
la Spagna non conosce la Tragedia. Non consiglier
con quello delle Italiane. Sono più di cinquanta i Letterati di nome
che
hanno composte Tragedie in Italia. Io penso che e
a i Letterati di nome che hanno composte Tragedie in Italia. Io penso
che
esse ascendano a un centinajo e mezzo; e che se s
edie in Italia. Io penso che esse ascendano a un centinajo e mezzo; e
che
se si comparino quelle delle due nazioni, si trov
e mezzo; e che se si comparino quelle delle due nazioni, si troverà,
che
le Spagnuole stanno alle Italiane a un di presso
die Spagnuole, come potrebbe l’Apologista osservare, scorrendo meglio
che
non ha fatto la nostra Storia Letteraria. E bench
nostra Storia Letteraria. E benchè gl’Italiani non potessero vantarsi
che
di due soli, ma eccellenti, con poco senno da ciò
e di due soli, ma eccellenti, con poco senno da ciò si argomenterebbe
che
essi non hanno conosciuta l’Epica Poesia. L’orgog
o un altro in Virgilio; e per questo si potrebbe asserire sobriamente
che
tutti i Greci e i Latini non hanno conosciuta l’E
ste vostre, Signor Lampillas, sono ragioni, o arzigogoli? Nè crediate
che
sia la stessa cosa riguardo alle Tragedie Spagnuo
rediate che sia la stessa cosa riguardo alle Tragedie Spagnuole. E in
che
(direte) stà la differenza? In questo che soggiun
le Tragedie Spagnuole. E in che (direte) stà la differenza? In questo
che
soggiungo. Le Tragedie Spagnuole, siano regolate
golate o difettose, unendo quelle de’ due secoli trascorsi, non parmi
che
arrivino alle due dozzine, e in esse tutta si con
rcatanzia, nè fuori di queste altre ne additano gli Eruditi nazionali
che
non si allucinano. Al contrario uscendo da Omero,
giabili, se ne troverà un buon numero in Grecia e in Italia di altri,
che
se non pervennero ad uguagliare la gloria di quel
nero ad uguagliare la gloria di quelle due gran coppie, meritano pure
che
si leggano, si studiino, e che la loro memoria pa
quelle due gran coppie, meritano pure che si leggano, si studiino, e
che
la loro memoria passi a’ più lontani posteri. Ed
eri. Ed ecco, Signor D. Saverio, come e perchè poco acconciamente par
che
siate riuscito a ritorcere nell’avversario la rag
ste: La Honra de Dido restaurada, e la Destruicion de Constantinopla,
che
si dicono impresse nel Romanzero di Gabriel Gasso
do y Eneas di D. Guillèn de Castro; e finalmente due altre innominate
che
si mentovano dal Salas Barbadillo. Ora di questi
ali in effetto. Lope de Vega chiamò così ancora sei delle sue Favole,
che
non erano Tragedie a verun patto. Impropriamente
i buffonerie, e d’inverisimiglianze. Di D. Guillen de Castro sappiamo
che
si pubblicarono in Valenza due Tomi di Commedie n
agedia se non nelle mani di Corneille; or possiamo dire con sicurezza
che
fosse vera Tragedia cotesta Dido y Eneas? Con qua
vera Tragedia cotesta Dido y Eneas? Con qual fondamento diremo ancora
che
fossero Tragedie le favole accennate dal Barbadil
ossero Tragedie le favole accennate dal Barbadillo? Sappiamo in oltre
che
la Ifigenia recitata nel Teatro de la Cruz fosse
e scritta colle leggi della Tragedia? Una ve ne vidi io dieci anni fa
che
era Tragedia come tutte le Favole di Lope: ma non
i fa che era Tragedia come tutte le Favole di Lope: ma non posso dire
che
fosse l’istessa. Sapeva finalmente il Montano che
: ma non posso dire che fosse l’istessa. Sapeva finalmente il Montano
che
fossero Tragedie vere le Favole impresse nel Roma
ci Spagnuoli più di un nome, qualora volesse usare della imparzialità
che
in lui commendammo. Infatti a che includervi Lope
ra volesse usare della imparzialità che in lui commendammo. Infatti a
che
includervi Lope de Vega? a che Miguel Cervantes c
lità che in lui commendammo. Infatti a che includervi Lope de Vega? a
che
Miguel Cervantes che confessa di avere scritte Co
ndammo. Infatti a che includervi Lope de Vega? a che Miguel Cervantes
che
confessa di avere scritte Commedie? a che Vasco D
ega? a che Miguel Cervantes che confessa di avere scritte Commedie? a
che
Vasco Dias di cui tutto egli ignora? a che il Mal
avere scritte Commedie? a che Vasco Dias di cui tutto egli ignora? a
che
il Malara? a che Guillèn de Castro? O se questi v
mmedie? a che Vasco Dias di cui tutto egli ignora? a che il Malara? a
che
Guillèn de Castro? O se questi vuol egli decorare
Storia de’ Teatri un abbaglio intorno al Portoghese Luis de la Cruz,
che
si registrò nel finire del secolo XV. in vece del
e del XVI. Me ne rimprovera l’impeccabile Apologista, benchè sapesse,
che
l’impressione non si fece sotto gli occhi dell’Au
altri gentilmente ha praticato, essere in ciò indulgente, e credere,
che
ad onta di questo fallo corso per essersi confusi
a di questo fallo corso per essersi confusi i segni di alcune giunte,
che
io trasmetteva in Napoli, egli non ignorasse il t
vi di riforma nel melodramma. Lettera d’un celebre letterato francese
che
contiene l’idea d’un’opera eccellente da farsi in
oria della tragedia e della comedia italiana, e intorno all’influenza
che
deve avere sull’indole dello spettacolo lo stato
te di queste cose, e sconvenevole il trattarle alla lunga in up’opera
che
ha tutt’altro fine ed oggetto. Tanto più che l’It
e alla lunga in up’opera che ha tutt’altro fine ed oggetto. Tanto più
che
l’Italia avrà fra poco il piacere di leggere le v
esposte con molta erudizione e criterio nella Nuova Storia de Teatri
che
si va preparando in Napoli da un mio cortese e ge
di già conosciuto in altre sue stimabili produzioni, e per lo studio
che
attualmente vi pone nell’arricchirla di scelte ed
ente vi pone nell’arricchirla di scelte ed opportune notizie. Per ciò
che
riguarda il secondo argomento vi sarà luogo a più
idea186. [2] Altro non resta dunque per compiere l’intrapreso lavoro
che
il parlare dei mezzi imaginati da alcuni celebri
tiero una lettera del Sig. d’Arnaud, stimatissimo scrittore francese,
che
può chiamarsi un capo d’opera nel suo genere per
nel suo genere per l’eccellenti riflessioni e per le viste utilissime
che
racchiude concernenti la filosofia della musica e
ne, e contiene l’idea d’un’opera da eseguirsi intorno alla musica, ma
che
per isventura della filosofia e del buon gusto no
di non poter meglio terminare l’opera mia intorno al teatro musicale
che
dandola tradotta a’ lettori italiani, e corredata
ote a maggior illustrazione dell’argomento. Al vantaggio non mediocre
che
gli amatori illuminati di siffatte materie potran
llo cioè di trovare gran parte di quelle idee sparse nella mia opera,
che
da alcuni imperiti sono state riputate insussiste
l’autorità d’uno scrittore non meno rispettabile per la sua filosofia
che
per la sua critica, e la sua erudizione. Letter
ore, [3] L’opera mia ha per oggetto la musica. Quell’arte deliziosa,
che
i saggi dell’antichità risguardavano come il dono
osa, che i saggi dell’antichità risguardavano come il dono più grande
che
gli dei avessero fatto agli infelici mortali, for
elle ricerche de’ più illustri filosofi. Né ho difficoltà di asserire
che
fra tutte le materie questa è forse quella intorn
sieno vieppiù esercitati. Ma da una banda il maggior numero di coloro
che
hanno professata quest’arte l’han considerata non
loro che hanno professata quest’arte l’han considerata non altramenti
che
s’ella fosse una cosa di puro istinto e d’abitudi
arcano della quale credo impossibil cosa il penetrare, sono d’avviso
che
guardar si possa la musica sotto un altro punto d
e’ suoni, a ordinar de’ concerti, a conoscere i moti e le misure anzi
che
a darci a divedere le differenti energie di essa,
ommovere, e di dipingere, e ad illuminarci finalmente intorno all’uso
che
di tali forme dee fare chiunque voglia ottenere i
ni di precetti e d’esempi, e la musica, quella di tutte le belle arti
che
più ci commove, quella che ha maggior imperio sug
e la musica, quella di tutte le belle arti che più ci commove, quella
che
ha maggior imperio sugli animi nostri, è l’unica
sono infinitamente più moltiplicati e molto meno costanti e sensibili
che
gli obbietti delle altre arti, avendo essa di più
icile l’analizzar bene questa facoltà. Per altro l’abuso sorprendente
che
di tali obbietti fanno i più degli artisti, i qua
sia, ne ha in tal guisa sformati i lineamenti, e confasi i caratteri,
che
si credette impossibile il ravvisarli. Pure a ciò
consultati gli antichi senza ritrarne gran frutto? Egli è vero bensì
che
la via d’intenderli bene e di gustarli non è tant
sto, e d’un certo tatto squisito somministratoci dal sentimento. Pare
che
que’ grand’uomini vogliano essere conosciuti nell
ciamente in tale imitazione. E a fine di procedere col miglior metodo
che
per me si potrà nella lettera che mi dò l’onore d
ine di procedere col miglior metodo che per me si potrà nella lettera
che
mi dò l’onore d’indirizzarvi, io mi farò imprima
esti capi generali. Dopo molti e molti riflessi mi sono anzi avvisato
che
non potrei trattarla felicemente se non se divide
i non cade in acconcio l’esporvi, o Signore, i differenti significati
che
gli autori più antichi e que’ de’ secoli posterio
attaccavano a siffatta parola. Allorché noi sappiamo indubitatamente
che
la musica loro era rigorosamente soggetta alla qu
o era rigorosamente soggetta alla quantità, d’altro non abbiam d’uopo
che
di por niente al meccanismo della loro poesia per
tal termine. E di ciò appunto io ne feci serio esame. A tutti è noto
che
il più bello e più squisito artificio della versi
teva nella combinazione delle sillabe brevi e lunghe. È palese ancora
che
le parole atte a formare la misura propria di cia
iamate piedi o numeri secondo il maggior o minor numero di sillabe di
che
eran composti. I grammatici, i retori, i poeti ed
ssi ancor più precisa e più chiara trasferendoli alla musica per modo
che
il valore d’ogni nota corrispondesse perfettament
pieno di forza e di nobiltà; cosicché noi leggiamo in Aristotile 187
che
quando la tragedia era un’intreccio di canti e di
mate “gavotte” e “vaudevilles”. La grandezza e dignità dello spondeo,
che
Platone voleva che fosse consecrato ai canti reli
audevilles”. La grandezza e dignità dello spondeo, che Platone voleva
che
fosse consecrato ai canti religiosi, m’ha tornato
giammai li più studiati raffinamenti. Valerio Massimo 188 ci riporta
che
i Lacedemoni correano animosi alla zuffa, allorch
di questo piede Tirteo riaccese negli animi loro il valor guerriero,
che
da molte reiterate perdite era quasi spento del t
enzione al passo di Valerio Massimo, pure m’ha confessato egli stesso
che
fa toccar di continuo l’anapesto in quelle sinfon
le osservazioni degli antichi. [5] Io debbo qui avvertire, o Signore,
che
la legge della quantità, alla quale s’assoggettav
tà, alla quale s’assoggettavano i musici, non li costrigneva talmente
che
non potessero allontanarsene un cotal poco. Quint
, il monosillabo “stant” esige una pronunzia più lenta e più durevole
che
in queste “stant acies”. Leggesi ancora nel medes
in queste “stant acies”. Leggesi ancora nel medesimo autore (IX. 4.),
che
vi ha delle sillabe lunghe più lunghe delle une e
ono del pari composte di tre lunghe: ad ogni modo e chi non s’accorge
che
la prima parola va più lentamente della seconda?
ica antica. Io non poteva far conoscere a nostri musici tutti i mezzi
che
il ritmo appresta per l’imitazione, né poteva tam
ione incorso in grandissimi abbagli. Né mi dimenticherò di riflettere
che
ogni sorta di misura ha l’energia sua propria, e
rò di riflettere che ogni sorta di misura ha l’energia sua propria, e
che
siffatte energie non ponno trasferirsi, scomporsi
, scomporsi, o simplificarsi, ove non se ne alteri l’espressione. Del
che
tenterò accuratamente di spiegar le ragioni, e so
zioni si devono collocare nel novero di quelle percezioni indistinte,
che
noi proviamo spesso senza poterle valutare, e qua
conoscerle. La musica dice, M. Leibnizio 189, non è a molti riguardi
che
un calcolo oscuro e secreto che l’anima fa senza
Leibnizio 189, non è a molti riguardi che un calcolo oscuro e secreto
che
l’anima fa senza esserne consapevole190. [6] Da q
onsapevole190. [6] Da quanto ho l’onore di dirvi, o Signore, ne viene
che
gli antichi non ebbero il costume d’affastellar p
ro il costume d’affastellar più note intorno ad una stessa sillaba, e
che
non conobbero punto le prolazioni191. Noi all’opp
rolazioni191. Noi all’opposto ci approfittiamo talmente della libertà
che
ci lascia la troppo ignorata prosodia delle nostr
ibertà che ci lascia la troppo ignorata prosodia delle nostre lingue,
che
spezzando e ognor più accorciando i nostri suoni
edi onde ogni parola è composta. Io addito loro i moltissimi vantaggi
che
ne trarrebbono da questo studio. E primieramente
perfezione a cui essi potrebbero inalzare la nostra lingua. La greca,
che
per la sua bellezza meritò d’essere considerata c
ezza meritò d’essere considerata come l’opera degli dei, altro non fu
che
l’opera de’ musici. Del resto io son ben lontano
ca, voglio dire all’onomatopea, di cui Quintiliano ne fa tanto conto,
che
si lagna forte perché la lingua latina non ne sia
ò fine facendo di passaggio un qualche motto della lunga controversia
che
durò sì lungo tempo tra gli eruditi, e che non pu
o della lunga controversia che durò sì lungo tempo tra gli eruditi, e
che
non può ancora dirsi spenta intorno alla natura d
degli accenti. Isaacco Vossio e il Padre Montfaucon furono di parere
che
non si potesse riflettere a questi nella pronunzi
fissare i suoni di questo linguaggio veramente musicale in occasione
che
gli stranieri erano avidi d’impararlo considerand
si pronunzia di fatti ognora una sillaba più alta e più bassa, senza
che
v’entri per niente la sua quantità, ed io non cap
rché la maggior parte degli eruditi s’ostinano a slungare una sillaba
che
sarà breve di sua natura, ove unicamente sarà seg
loro carattere. Avvegnaché vi sieno dei filosofi, i quali sostengono
che
parlando a rigore non avvi lingua alcuna che poss
sofi, i quali sostengono che parlando a rigore non avvi lingua alcuna
che
possa dirsi superiore ad ogni altra, e che le div
ore non avvi lingua alcuna che possa dirsi superiore ad ogni altra, e
che
le diverse qualità degli idiomi essendo puramente
ai costumi, dagli usi, e dal carattere dei popoli non contengono cosa
che
meriti una preferenza esclusiva: io porto ciò non
che meriti una preferenza esclusiva: io porto ciò nonostante opinione
che
sebbene le lingue sieno strumenti arbitrari e fat
o d’un flauto è più dolce di quello d’un tamburo… Ma io non m’avveggo
che
qui mi fo a sviluppare le cose, quando voi non m’
eggo che qui mi fo a sviluppare le cose, quando voi non m’addimandate
che
un semplice abbozzo. Prima di passare alla melodi
ttete, o Signore, ch’io ragioni un poco de’ modi della musica antica,
che
non differivano dalle nostre modulazioni. A dir v
lle proprietà, e di caratteri insensibilmente dileguasi, e poco manca
che
le lettere e le arti non ricadano in quella confu
ati per opera appunto di coloro, la fama, e il grado de’ quali sembra
che
renderli dovesse non i distruggitori ma i sosteni
di essa, e non comunicabile agli altri generi, come più non si pensa
che
il ridicolo è l’anima e il fondamento della comme
mmedia 193. Noi ci promettiamo de’ nuovi e più squisiti piaceri allor
che
ne infettiamo le sorgenti, e ne confondiamo la di
ne infettiamo le sorgenti, e ne confondiamo la diversa natura. Quello
che
parla all’imaginazione, che ne ricrea lo spirito,
ne confondiamo la diversa natura. Quello che parla all’imaginazione,
che
ne ricrea lo spirito, e lo sorprende, quello che
la all’imaginazione, che ne ricrea lo spirito, e lo sorprende, quello
che
porta seco un certo carattere di novità, e di sin
olto e gustato contrasporto, e quasi direi con delirio. Ma basta egli
che
piaccia una cosa, perché debba essere accolta ed
cosa, perché debba essere accolta ed applaudita? E non fa egli d’uopo
che
il piacere che se ne ritragge, conciliar si debba
bba essere accolta ed applaudita? E non fa egli d’uopo che il piacere
che
se ne ritragge, conciliar si debba colla ragione?
ge, conciliar si debba colla ragione? Altrimenti cosa diremo a coloro
che
preferiranno l’archittetura de’ Goti e de’ barbar
a qual segno la tennero in considerazione. Non sì tosto la scopersero
che
si fecero un religioso divieto non dico di corrom
delle più belle proporzioni, ma applicavano ad ogni divinità l’ordine
che
più s’acconciava al suo carattere. Il dorico pien
à fu consecrato a Giove sovrano degli dei e degli uomini, il corintio
che
spira eleganza e dilicatezza fu destinato a Vener
. Aristotile dopo aver notati i differenti generi di musica soggiugne
che
ognuno di questi avea un modo e un’energia sua pr
ggiugne che ognuno di questi avea un modo e un’energia sua propria, e
che
il carattere dell’uno non si affacceva all’altro.
sa ogni maniera di ritmo. E ciò mi torna a mente un tratto singolare,
che
mi fia permesso di farvi noto. L’anno 1751, alcun
ero senza dubbio riguardo a’ costumi de’ Francesi que’ tristi effetti
che
Platone presagiva a’ costumi de’ Greci, ove eglin
che Platone presagiva a’ costumi de’ Greci, ove eglino permettessero
che
il disordine, la confusione, ed anche il solo can
endo l’agio di osservare in Plutarco, in Dione, e in Massimo di Tiro,
che
la decadenza della musica de’ Greci seco trasse a
a noi, la musica de’ Greci fu nella sua origine in tal modo semplice
che
ogni strumento non avea che un modo solo196. E qu
fu nella sua origine in tal modo semplice che ogni strumento non avea
che
un modo solo196. E questo ci rende ragione della
unsero a formarsi delle proprietà e de’ modi un’idea così ben fondata
che
giammai li confusero insieme. Io so che rigorosam
modi un’idea così ben fondata che giammai li confusero insieme. Io so
che
rigorosamente parlando v’hanno due modi, il maggi
sua energia, la sua proprietà; ed è talmente vera questa proposizione
che
non havvi suono il quale ne sia privo. E se i mus
a porli in opera acconciamente. Per riuscirvi non si avrebbe mestieri
che
di prescrivere un tuono, e di fissarlo per tutti
fatto di comprender lo spirito, e la verità dei diversi componimenti
che
dovrebbono eseguirsi; i nostri organi acquistareb
apo, avvegnacchè io non possa convenire con M. Vallis, il quale pensa
che
il nostro minore risponda al modo dorico affaccen
onda al modo dorico affaccendosi assai poco la gagliardia e la maestà
che
attribuivano a questo modo gli antichi, alla moll
ella musica antica, non perciò pretendo di ristabilirla; voglio bensì
che
il musico conduca un medesimo soggetto per divers
, purché queste rendano più interessante e più forte l’espressione, e
che
innanzi ad ogni altra cosa abbia egli in vista d’
tano vicendevolmente abbellimento ed aiuto. Ben avventurato l’artista
che
sa coglierlo! E più felice ancora colui che dopo
Ben avventurato l’artista che sa coglierlo! E più felice ancora colui
che
dopo aver toccato il segno, non lo lascia smarrir
[7] La melodia è un campo feracissimo di osservazioni, ma io non farò
che
sbozzarne i principali caratteri. Definisco la me
ne i principali caratteri. Definisco la melodia in generale, o quello
che
noi chiamiamo “un bel canto” una tessitura di suo
amiamo “un bel canto” una tessitura di suoni omogenei e proporzionati
che
hanno un intimo legame fra loro, e ch’esistono in
ne in una lingua, la esprimerebbe male in un’altra) così io soggiungo
che
codesti suoni debbono essere conformi a quelli di
da il linguaggio della nazione. Distinguo la melodia libera da quella
che
non lo è. La melodia libera, la strumentale a mod
a modo d’esempio può scorrere a suo grado per tutte le idee musicali
che
si vorranno, e per quanto vaga e indeterminata si
rocché essendo una seconda espressione de’ sentimenti e delle imagini
che
si ricercano, essa non debbe essere toccante, viv
prietà de movimenti e de’ modi, ma ancora di quelli de’ suoni; studio
che
gli antichi aveano molto a cuore, e che caldament
a di quelli de’ suoni; studio che gli antichi aveano molto a cuore, e
che
caldamente raccomandavano ai principianti, come l
e per esso nella musica lo spirito gode del canto presente di quello
che
lo ha preceduto, e si accorge in certa guisa del
di quello che lo ha preceduto, e si accorge in certa guisa del canto
che
dee venire in appresso. Bellezza inestimabile e n
dalla maggior parte de’ nostri artisti anche più celebri. Io osservo
che
nella musica più che in ogni altra arte v’ha de’
de’ nostri artisti anche più celebri. Io osservo che nella musica più
che
in ogni altra arte v’ha de’ luoghi che si dovrebb
o osservo che nella musica più che in ogni altra arte v’ha de’ luoghi
che
si dovrebbero trascurare, o levar via del tutto,
a sazietà. Bacone, e insieme Leibnitzio, hanno giudiziosamente notato
che
il merito principale delle dissonanze è di preser
a insopportabile d’una continua e non mai interotta dolcezza. Io farò
che
tutto ciò comparisca più evidente per mezzo di es
più evidente per mezzo di esempi; e siccome non parlo a prima giunta
che
della sola melodia francese: così li traggo dalle
rdevoli per la varietà e l’ampiezza delle loro cognizioni, con quello
che
ne han pensato i più grand’uomini dell’Italia 198
scoprire le cagioni della sua seduzione, e della sua magia, mostrando
che
la monotonia di cui noi l’incolpiamo deriva meno
formità dei tratti, delle combinazioni, e dei riposi del nostro canto
che
dall’uniformità del suo andamento. Soggiugnerò ch
i del nostro canto che dall’uniformità del suo andamento. Soggiugnerò
che
le forme del canto italiano non sono né più abbon
iano non sono né più abbondanti né più varie di quelle del nostro, ma
che
la musica italiana debbe in gran parte l’interess
e in gran parte l’interesse e l’incanto ch’ella produce, al contrasto
che
v’è fra la maniera secca e quasi direi urtante de
cui sono sviluppati i motivi. Mi fo lecito d’assicurarvi, o Signore,
che
trattando siffatta materia, io cercherò di farlo
eria, io cercherò di farlo con quel candore e con quella imparzialità
che
si richiede da chi ama e tiene in pregio il bello
iana, ma non perciò voglio rassomigliare a quegli amanti appassionati
che
adorano fino i difetti delle loro belle200. I dot
è dotata d’un’arditezza maggiore, perché ha più di spirito e di brio
che
non la nostra, perché abbonda di tuoni più felici
ione, e vegniamo intanto all’armonia. [9] Il maggior numero dei dotti
che
hanno penetrato più addentro in questa parte dell
netrato più addentro in questa parte della musica, vuol concordemente
che
fosse sconosciuta agli antichi. Il Signor Burette
a gli altri ha esposta quest’opinione con un’erudizione così profonda
che
parve non lasciar più adito alcuno a chi volesse
ntraddizioni, e degli sbagli. Ardisco adunque di ravvivare la disputa
che
sembrava conchiusa da lui, e reco a pro dell’opin
e, e l’uso dell’armonia presso agli antichi. Io convengo nientedimeno
che
le nostre idee su tale proposito sieno di gran lu
ardite combinazioni, tutto era ad essa nascosto: ma queste ricchezze
che
stan così bene che nulla più alla musica istrumen
i, tutto era ad essa nascosto: ma queste ricchezze che stan così bene
che
nulla più alla musica istrumentale, non convengon
ato reca nuovo abbellimento e nuovo vigore all’espressione, da quelli
che
non servono ad altro che a procacciar fama di sci
to e nuovo vigore all’espressione, da quelli che non servono ad altro
che
a procacciar fama di scienziato al compositore. C
sia di carattere, e la ravviserò come quella corrispondenza di mezzi,
che
adoprano tutte le arti imitatrici cogli oggetti c
ondenza di mezzi, che adoprano tutte le arti imitatrici cogli oggetti
che
devono da loro imitarsi. In tali circostanze i su
za vi si debbe prestare per non esporsi a quelle gratuite ripetizioni
che
il senso delle parole non vorrebbe, e che s’adott
quelle gratuite ripetizioni che il senso delle parole non vorrebbe, e
che
s’adottano soltanto pel bisogno di afferrar di nu
anto pel bisogno di afferrar di nuovo le prime modulazioni. [10] Dopo
che
vi ho accennati, o Signore, e sviluppati per quan
ll’infinito. Ma come quest’illustre accademico s’era egli dimenticato
che
Platone e Aristotile non han giammai dichiarato e
iettura di siffatta opinione? Essi ci rendono consapevoli all’opposto
che
l’opere di Empedocle, di Parmenide, di Nicandro,
hé era da loro sbandita la finzione. Egli è non pertanto indubitabile
che
col mezzo della finzione e della favola, la poesi
la, la poesia antica formava la principal sua imitazione, ed è perciò
che
gli antichi l’hanno mai sempre risguardata come l
no mai sempre risguardata come l’essenza della poesia201. [11] Coloro
che
non abbracciano siffatta opinione ricorrono all’a
ffatta opinione ricorrono all’autorità de’ Latini, ma non s’avveggono
che
questi non aveano e non doveano aver nemmeno dell
i non aveano e non doveano aver nemmeno della poesia la medesima idea
che
i Greci, i poeti de’ quali furono i primi teologi
’ quali furono i primi teologi, i primi legislatori, ned altro fecero
che
comunicare alla loro nazione la sapienza ch’essi
i unita alla maniera di metterla in opera. I più degli autori moderni
che
han trattato di tale materia, anzicchè svilupparl
e rischiararla l’hanno involta in maggiori tenebre, e confusione; lo
che
nacque dal non avere studiata accuratamente l’ori
gnerebbe mai a dilucidare queste materie. Siccome essa non si propone
che
di cucire, e tessere insieme de’ testi separati c
li può ognuno profferire il proprio giudizio; così d’ordinario non fa
che
moltiplicare inutilmente i trattati, e i sistemi.
a lungo parlando della loro declamazione. Quindi io ritorno ai mezzi
che
la musica adopera per imitare, e dopo averli esam
n icastiche e fantastiche. Chiamo icastiche, o similitudinarie quelle
che
hanno per oggetto le cose non adatte alla fantasi
e alla fantasia, e tutti gli esseri fisici; chiamo fantastiche quelle
che
rappresentano gli esseri morali e le idee della i
lle che rappresentano gli esseri morali e le idee della imaginazione,
che
non hanno una certa e determinata corrispondenza
istotile, è la più semplice, e la meno semplice è quella senza dubbio
che
vuol tutto imitare. Vò scorrendo tutti i tropi, t
rendo tutti i tropi, tutte le figure onde si serve la musica del pari
che
l’eloquenza a piacere, commovere, e persuadere; p
mi sforzo di svelare infinite sue bellezze parando innanzi l’analogia
che
hanno coi fenomeni che ci stanno intorno; paragon
finite sue bellezze parando innanzi l’analogia che hanno coi fenomeni
che
ci stanno intorno; paragono le nostre opere in mu
e cose nuove accende a riordinare la forma de’ nostri drammi lirici,
che
di tutti i drammi sono certamente i più imperfett
tti i drammi sono certamente i più imperfetti, non essendo per lo più
che
una serie d’episodi staccati fra loro senza verun
avezzassero a cogliere per tal modo il carattere principale de’ poemi
che
ponessero mente alle parti senza trascurare il tu
i diversi stili de più celebri musici non meno della scuola francese,
che
dell’italiana. [12] Ecco o Signore un leggiero ab
in un angolo d’una provincia, nel solitario gabinetto e nel silenzio
che
accompagna la riflessione. Amico dell’oscurità, i
o dell’oscurità, il cui soave riposo m’è sembrato mai sempre più caro
che
non il fasto pieno d’inquietezze, e di noiosi fas
’inquietezze, e di noiosi fastidi, io non cantai, al dir d’un antico,
che
per me, e per le muse. Del resto se da un canto l
i faceano cader d’animo intieramente, né mi lasciavano altro conforto
che
quello d’abbandonarmi a delle querele inutili. E
d’abbandonarmi a delle querele inutili. E di fatti dolevami non poco
che
simil disegno non fosse stato conceputo da qualch
tere, o delle arti, e portava invidia alla pittura, per aver meritato
che
voi le consecraste le vostre fatiche e le cognizi
re s’è acceso di nuovo. Il vostro consenso ha dileguati gli ostacoli,
che
fin ora aveano rallentato il mio corso, e dacché
no rallentato il mio corso, e dacché posso nodrire la dolce speranza,
che
voi seconderete i miei sforzi, e m’aiuterete coi
lle belle Arti e nelle belle Lettere. Secondo la presente divisione, (
che
potrebbe forse cambiarsi secondo il bisogno e la
ntrinseche relazioni poste dalla natura fra i nostri sensi sì esterni
che
interni con tutto ciò che forma l’oggetto delle b
dalla natura fra i nostri sensi sì esterni che interni con tutto ciò
che
forma l’oggetto delle belle arti, e delle belle l
co delle arti imitative, ovvero sia li moltiplica fonti d’espressione
che
somministra l’imaginazione, e i mezzi propri di c
lle differenti vie prese dalle arti per eccitarle, dove si dimostrerà
che
il diletto che ci arrecano i diversi generi e gli
vie prese dalle arti per eccitarle, dove si dimostrerà che il diletto
che
ci arrecano i diversi generi e gli stili diversi
uga del dolore. Nel quinto si parlerà a lungo delle cause estrinseche
che
possono accrescere, diminuire alterare, o variar
ca, onde accertatamente giudicare in siffatte materie. A tale fatica,
che
a più d’uno sembrerà erculea, io m’accingerò tost
] Valerio Massimo L. 2. c. 6. Aulo Gellio riporta, seguendo Tucidide,
che
la musica degli spartani era maestosa e tranquill
artani era maestosa e tranquilla, meno atta a risvegliare il coraggio
che
a temperare l’ardore e regolare la marcia de’ sol
olare la marcia de’ soldati; ma ciò non prova se non se l’impressione
che
in essi dovettero fare i suoni impetuosi e iterat
onti levar la sete» e lega ne fece, e compagni trovò di sommo grido,
che
la invenzione sua più oltre condussero, tra quali
storo non disdegnò di concorrere alla riforma con quella stessa penna
che
in versi tanto armoniosi e virgiliani la Sifillid
a essere da capo a fondo rovesciata. Le perpetue desinenze in vocale,
che
mollezza spesse fiate e grazia le aggiungono ne’
come si vede aver fatto i Greci ed i Latini. L’articolo “il, la, lo”,
che
si premette a tutti i casi della declinazione di
lie una cagione feconda di varietà e di precisione, essendo manifesto
che
più facile e pieghevole non meno pel genere eroic
endo manifesto che più facile e pieghevole non meno pel genere eroico
che
pel lirico sarà quella lingua che col solo cangia
eghevole non meno pel genere eroico che pel lirico sarà quella lingua
che
col solo cangiar terminazione esprima in una paro
minazione esprima in una parola il diverso caso della sua inflessione
che
non l’altra, la quale conservando sempre la termi
ue parole per esprimerlo. Così più disinvolta e precisa sarà la greca
che
dice “logos logu, logo, logon e logos” ovvero la
vvero la latina “sermo, sermonis, sermoni, semonem, sermo a sermone”,
che
non l’italiana, la quale non può declinare il med
enza premettere a ciascun caso l’articolo. Nella medesima guisa l’uso
che
si fa dei verbi ansiliari essere e avere mettendo
a molti della voce attiva induce non so qual imbarazzo nella sintassi
che
nuoce alla trasposizione, al numero, e all’armoni
ingua italiana senza alterarla considerabilmente; oltre la difficoltà
che
sarebbe di assegnar a ciascuna sillaba il suo qua
sarebbe di assegnar a ciascuna sillaba il suo quantitativo valore, lo
che
non potrebbe farsi, mancando gli esempi negli aut
lo che non potrebbe farsi, mancando gli esempi negli autori classici
che
o per una autorità puramente arbitraria, e perciò
convenzione generale di tutta la nazione più difficile a conseguirsi
che
la mutazione istessa. 191. [NdA] Questa legge f
no d’una stessa sillaba. I filosofi gridarono forte contro tale abuso
che
se ne faceva: pure malgrado il loro zelo e l’eloq
n poi essi compiansero la perdita della musica antica. Imperocché ciò
che
Plutarco, Massimo di Tiro, Dione d’Alessandria ha
ro, Dione d’Alessandria hanno in conto di musica antica altro non era
che
questa scrupolosa esattezza nel conservare il val
[NdA] Secondo Iginio, Apolline non vinse Marsia se non perché questi
che
servivasi d’un flauto adatto soltanto al modo fri
doro, e Teofrasto ed Antigenida ambi di Tebe. 197. [NdA] È vero però
che
talvolta la melodia strumentale fa sentire un’ide
più viva, più forte, più vibrara, e più piena; ma questo è un merito
che
da essa non si esige e senza il quale può renders
ali deve contarsi il Muratori nel secondo tomo della perfetta poesia)
che
veggendo i difetti della musica italiana nascere
difetti della musica italiana nascere per la massima parte dall’abuso
che
si fa del canto nell’arie vorrebbono ad ogni modo
ietà e leggiadria degli accompagnamenti; nondimeno bisogna confessare
che
la musica drammatica ridotta al solo ed unico rec
ecitativo diverrebbe monotona ed insopportabile. L’aria sola è quella
che
fa conoscere in tutta la sua estensione l’abilità
are colla varietà de’ suoi disegni, e colla leggiadria del suo canto,
che
non il recitativo. Ecco perché gli Italiani hanno
nzione dell’aria come la scoperta la più brillante e la più doviziosa
che
potesse mai farsi nella musica drammatica, scoper
più doviziosa che potesse mai farsi nella musica drammatica, scoperta
che
ha dato loro senza contrasto la preferenza sulla
nella mia opera. 200. [NdA] Lo stimato autore d’un Giornal periodico
che
si stampa a Parigi, parlando dell’opera italiana
la favola ella formava la principal sua imitazione, adoperando quello
che
Aristotile chiamava l’universale, val a dire vest
val a dire vestendo i sentimenti e le imagini di tutte le circostanze
che
potevano lumeggiarle o abbellirle. 202. [NdA] U
mare il melodramma è stato quello indicato dal più volte citato Brown
che
noi esporremo colle sue proprie parole, come si t
e della musica e della poesia alla pag. 205. «Ma affinchè non sembri
che
vogliasi ristringere la musica ad una alleanza co
giunti con la probabilità, e la naturalezza. «Abbiamo veduto di sopra
che
da una unione dell’ode e del poema epico si formò
lle azioni grandi, terribili, e patetiche. Questa unione forma quello
che
può chiamarsi propriamente ode narrativa od epica
e distruggerebbe il carattere medesimo del poema. Supponendo adunque
che
l’azione sia semplice e non appassionata, il poem
aranno accompagnate da un tal grado di naturalezza, e di probabilità,
che
daranno all’unione della musica, e della poesia l
della musica, e della poesia la maggior forza e pathos. Le narrazioni
che
si frammischiano debbono esser brevi ed animate;
parti affettuose dell’azione possono mettersi in vista mentre quello
che
vi è di freddo, d’improbabile, e di non toccante
e parti narrative, perderà qui una gran parte di quella improbabilità
che
l’ingombra nella rappresentazione drammatica: per
senza improbabilità, o improprietà alcuna un accompagnamento musicale
che
si avvicini ad un’aria perfetta. Finalmente le ar
e i cori sono nella loro esecuzione tanto lungi dall’essere naturali,
che
anzi altro non sono che una possente copia tratta
esecuzione tanto lungi dall’essere naturali, che anzi altro non sono
che
una possente copia tratta dalla natura, che spign
, che anzi altro non sono che una possente copia tratta dalla natura,
che
spigne coloro, i quali ascoltano la recita dell’a
di tali componimenti considerati come puramente lirici, egli è certo
che
il piano di riforma proposto dall’inglese non é p
primo luogo perché qui non si tratta di creare un componimento misto,
che
partecipi dell’oda e del poema epico, ma di conse
rrebbe ovviare, rimangono gli stessi nel piano proposto. S’é il poeta
che
parla solo, e che racconta, con qualche verosimig
mangono gli stessi nel piano proposto. S’é il poeta che parla solo, e
che
racconta, con qualche verosimiglianza si passa da
iglianza si passa dal racconto all’azione? Con qual verità si suppone
che
gli uditori nel sentir parlare il poeta abbiano d
o concertato? E poi questo coro si suppone composto da quelli stessi,
che
ascoltano il poeta, oppure dai personaggi, che ve
osto da quelli stessi, che ascoltano il poeta, oppure dai personaggi,
che
vengono indicati nell’oda narrativa? Nel primo ca
secondo si fa una strana violenza all’imaginazioue, poiché nel punto,
che
il poeta mi dice, o mi fa capire che mi trovo ad
’imaginazioue, poiché nel punto, che il poeta mi dice, o mi fa capire
che
mi trovo ad ascoltarlo in una camera, il coro mi
ma musicale sarebbe inutile il ricorrere a simili espedienti. Il solo
che
ci sembra convenire è l’indicato dall’autore nel
testo, sul quale non mi trattengo, perché a un di presso il medesimo
che
da me fu lungamente proposto nel primo capitolo d
li vestiti, come anche quelli de’ musici, hanno da accostarsi, il più
che
sia possibile, alle usanze dei tempi e delle nazi
arsi, il più che sia possibile, alle usanze dei tempi e delle nazioni
che
sono rappresentate sulla scena. E dico accostarsi
nazioni che sono rappresentate sulla scena. E dico accostarsi il più
che
sia possibile; che il teatro pur vuole una qualch
appresentate sulla scena. E dico accostarsi il più che sia possibile;
che
il teatro pur vuole una qualche licenza, e forse
a possibile; che il teatro pur vuole una qualche licenza, e forse più
che
in altro luogo si ha ivi da star lontano dalla st
stumati insieme e bizzarri, ci vorrebbono i Giuli Romani e i Triboli,
che
diedero prova anche in tal genere del loro valore
ro prova anche in tal genere del loro valore; o almeno faria mestieri
che
i nostri uomini che presiedono al vestiario fosse
l genere del loro valore; o almeno faria mestieri che i nostri uomini
che
presiedono al vestiario fossero inspirati dal gen
rati dal genio di quegli eruditi artefici. E molto più saria mestieri
che
dagli odierni pittori seguite fossero le tracce d
i campi Elisi o su nell’Olimpo. Or chi non vede quanto sia necessario
che
la fantasia del pittore sia regolata dall’erudizi
ti nelle antichità; ma a qual altri dovrà egli aver ricorso piuttosto
che
al poeta, all’autor medesimo dell’opera, il quale
mente ogni cosa, e niente ha d’aver lasciato indietro di tutto quello
che
può meglio abbellire e render verisimile l’azione
di tutto quello che può meglio abbellire e render verisimile l’azione
che
egli ha tolto a rappresentare ? [5.3] Quantunque
lmo della perfezion sua nel secolo felice del Cinquecento, non è però
che
l’arte del dipingere le scene non abbia per molti
dare ricetto all’opera tanti nuovi teatri, è necessariamente avvenuto
che
abbia posto lo studio nel dipinger le scene un as
sto lo studio nel dipinger le scene un assai maggior numero d’ingegni
che
fatto non avea per lo addietro. Le invenzioni di
dietro. Le invenzioni di Girolamo Genga tanto magnificate dal Serlio,
che
nel teatro di Urbino fece gli arbori ed altre sim
tra le fanciullaggini quasi direi da presepio. Ed io punto non dubito
che
l’istesso Serlio, dal cui trattato sopra le scene
effetti e un gioco grandissimo all’occhio le scene vedute per angolo,
che
con gran discrezione di giudizio conviene per alt
mettere in pratica, e in quelle vedute di faccia i punti accidentali
che
vi fa nascere il movimento vario della pianta su
ero cose pur troppo secche quelle strade, que’ viali, quelle gallerie
che
corrono sempre al punto di mezzo, dove insieme co
ca, s’avvisò di muovere, dirò così, di atteggiar le scene a quel modo
che
fecero i pittori del Cinquecento delle figure dei
rte al sommo, per quanto si appartiene alla magnificenza e a un certo
che
di maraviglioso, così ancora, egualmente che Paol
agnificenza e a un certo che di maraviglioso, così ancora, egualmente
che
Paolo, ebbe il destino di averla messa in fondo p
olo, ebbe il destino di averla messa in fondo per conto degli allievi
che
crebbero sotto di lui. Rivolti costoro ad imitare
gli allievi che crebbero sotto di lui. Rivolti costoro ad imitare ciò
che
nelle sue invenzioni vi era di più facile, cioè l
di più facile, cioè la bizzarria, e lasciato il fondamento dell’arte
che
le rendea verisimili, si allontanarono via via da
lo strano. E per non parlare di una certa loro arbitraria prospettiva
che
sonosi creati in mente, danno dipoi il nome di ga
va che sonosi creati in mente, danno dipoi il nome di gabinetto a ciò
che
potrebbe a un bisogno chiamarsi un salone, o un a
a un bisogno chiamarsi un salone, o un atrio, e chiamano prigione ciò
che
servir potrebbe per un cortile e forse anche per
e gran bravura di mano. Quando saltò su un certo Licinio matematico,
che
aperse loro gli occhi. «E non vedete voi», disse
tematico, che aperse loro gli occhi. «E non vedete voi», disse loro, «
che
se voi nelle pitture quello approvate che non può
n vedete voi», disse loro, «che se voi nelle pitture quello approvate
che
non può stare in fatto, la vostra città corre gra
vostra città corre gran pericolo di esser posta nel numero di quelle
che
non hanno gran riputazione per isvegliatezza d’in
le che non hanno gran riputazione per isvegliatezza d’ingegno54?» Ora
che
direbbe quel matematico vedendo come nelle nostre
erinti di architettura, dove si smarrisce il vero, a quelle fabbriche
che
non si possono né reggere, né ridurre in pianta,
ossono né reggere, né ridurre in pianta, e in cui le colonne in luogo
che
si veggano ire a tor suso l’architrave e il soffi
posti così a mezz’aria? E il simile avviene anche talora delle volte,
che
si rimangon zoppe o monche, posano da una banda e
non trovano dove impostarsi dall’altra, quasi sogni di gente inferma,
che
non hanno nelle loro parti connessione veruna. Ma
Licini ne saltano fuori di tanto in tanto anche tra noi55 . E quello
che
avvenne all’antico pittore di Tralli, ebbe a prov
li per ciò non lieve carico; quando tolse loro ogni pensiero, secondo
che
riferisce egli stesso, un professore, amico suo,
le colonne con la cupola fossero venute a cadere: magra scusa, quasi
che
l’architettura non si avesse a dipingere secondo
architettura non si avesse a dipingere secondo le buone regole, e ciò
che
offende nel vero non offendesse ancora nelle imma
nvenzione, non potrà mai il pittore studiare abbastanza le fabbriche,
che
sono tuttavia rimase in piedi, della veneranda an
lasciando stare le piramidi, di quegli avanzi del palagio di Mennone
che
torreggiano tuttavia lungo il Nilo, e della Tebe
e torreggiano tuttavia lungo il Nilo, e della Tebe dalle cento porte,
che
, mercè l’opera dell’accurato Nordeno, sono ora di
no ora di pubblica ragione? Nelle forme di essi e ne’ sobri ornamenti
che
ricevono da’ colossi e dalle sfingi onde sono acc
ogliono, dell’Egitto, fornir ne potria di bellissime scene. Non è già
che
io ne volessi adottare quegli strani ghiribizzi c
scene. Non è già che io ne volessi adottare quegli strani ghiribizzi
che
appresso di noi sono entrati in luogo delle erudi
, dell’India e degli altri maestri di quel secolo. Non vorrei né meno
che
da noi s’imitassero quelle loro pagode e quelle t
il soggetto dell’opera. Ma bensì per le deliziose e per li giardini,
che
spesso occorrono nelle scene, di assai vaghe idee
rità e varietà sua. [5.6] Loro costume è di scegliere quegli oggetti
che
nel genere loro piacciono il più alla vista, disp
che nel genere loro piacciono il più alla vista, disporgli in maniera
che
l’uno sia all’altro di contrapposto, e ne risulti
no sia all’altro di contrapposto, e ne risulti dall’insieme un non so
che
di peregrino e d’insolito. Vanno tramezzando ne’
i differente portamento, condizione, tinta e natura. Vari sono i siti
che
nel medesimo sito, per così dire, rappresentano.
parterri, di limpidi canali e di vaghe isolette con di belli edifizi
che
nelle acque si specchiano. Dal sito il più orrido
maraviglia, la quale, nel porre un giardino, essi cercano egualmente
che
da noi fare si soglia nel tesser la favola di un
ser la favola di un poema. Simili ai giardini della Cina, sono quelli
che
piantano gl’Inglesi dietro al medesimo modello de
praterie con dei tempietti, degli obelischi ed anche di belle rovine
che
spuntano qua e là, si trova quivi riunito dal gus
si trova quivi riunito dal gusto dei Kent, dei Chambers e dei Brown,
che
hanno di tanto sorpassato il Le Nôtre, tenuto già
i siti paiono naturali, il culto è misto col negletto, e il disordine
che
vi regna è l’effetto dell’arte la meglio ordinata
la meglio ordinata56. [5.7] Ma per tornare a cose più vicine a noi,
che
non istudiano i nostri pittori quelle che pur han
re a cose più vicine a noi, che non istudiano i nostri pittori quelle
che
pur hanno negli occhi? Oltre agli antichi edifizi
pittori quelle che pur hanno negli occhi? Oltre agli antichi edifizi
che
tuttavia sussistono in Italia, le più belle fabbr
zi che tuttavia sussistono in Italia, le più belle fabbriche moderne,
che
si potriano senza inverisimiglianza trasportar su
nza trasportar sulle scene? Che non istudiano i campi di architettura
che
adornano molti quadri di Paolo, co’ quali ben si
ia? I paesi del Pussino, di Tiziano, di Marchetto Ricci e di Claudio,
che
nella natura hanno saputo vedere quanto vi ha di
tino que’ loro paesaggi, imitando quel valentuomo il quale, piuttosto
che
far del suo delle cattive prediche, imparava a me
na cosa importantissima, alla quale non si ha tutta quella attenzione
che
si vorrebbe, è il dover lasciar nelle scene le co
nti aperture, onde gli attori possano entrare ed uscire in siti tali,
che
con l’altezza delle colonne abbia una giusta prop
tto dipende dalla grandezza della sua immagine congiunta col giudizio
che
si forma della distanza di esso. Cosicché, posta
veduto tanto più grande, quanto più sarà giudicato lontano. Quindi è
che
appaiono come torrioni di giganti quei personaggi
ntano. Quindi è che appaiono come torrioni di giganti quei personaggi
che
si affacciano dal fondo della scena, facendocegli
E cotesti giganti impiccoliscon dipoi e diventan nani di mano in mano
che
si fanno innanzi ed all’occhio più vicini. Lo ste
i fanno innanzi ed all’occhio più vicini. Lo stesso è delle comparse,
che
non si vorrebbon mai far andare colà dove i capit
un pezzo. [5.9] Un’altra cosa importantissima, a cui non si bada più
che
tanto, è la illuminazione delle scene; ed a torto
ti della scena e quasi privandone alcune altre, non è egli da credere
che
producesse anche nel teatro quegli effetti di for
e nel teatro quegli effetti di forza e quella vivacità di chiaroscuro
che
a mettere ne’ suoi intagli è giunto il Rembrante?
uoi intagli è giunto il Rembrante? E quella amenità di lumi e d’ombre
che
hanno i quadri di Giorgione o di Tiziano, non sar
le trasferirla alle scene. Ben può ognuno ricordarsi di que’ teatrini
che
vanno attorno sotto il nome di vedute ottiche mat
imili altre cose. Il lume vi è introdotto a traverso di carte oliate,
che
ne smorzano il troppo acuto; e la pittura ne vien
e la pittura ne viene a ricevere un tale sfumamento, un tale accordo,
che
nulla più. Ed io mi ricordo, in occasione di uno
che nulla più. Ed io mi ricordo, in occasione di uno di quei sepolcri
che
soglionsi fare in Bologna, di alcune grossolane p
i quadratura ch’erano su per li muri della chiesa, e di alcune statue
che
meglio si direbbero fastellacci di carta, le qual
marmo. In un teatro illuminato a dovere si verrebbe a manifestare più
che
mai il vantaggio che noi abbiamo sopra gli antich
lluminato a dovere si verrebbe a manifestare più che mai il vantaggio
che
noi abbiamo sopra gli antichi, di fare le nostre
e nostre rappresentazioni sceniche di notte tempo. E già non è dubbio
che
, vistesi in tale teatro delle scene inventate da
decoro e con giudizio, non piacessero sopra tutte le strane fantasie
che
sono ora tanto in voga, e vengono tanto esaltate
ntasie che sono ora tanto in voga, e vengono tanto esaltate da quelli
che
niente considerano e di ogni cosa decidono. Avver
niente considerano e di ogni cosa decidono. Avverrebbe in questo ciò
che
avvenne in Francia, quando, dopo gli arzigogoli s
sto ciò che avvenne in Francia, quando, dopo gli arzigogoli spagnuoli
che
vi avevano lungo tempo sfigurato Talia, usci prim
naturale. Grandissimo fu il colpo ch’ella fece in virtù dell’imperio
che
sugli animi del pubblico ha il vero; e il Menagio
i di questo autore, il quale mostra assai meglio quanto egli valesse,
che
non fanno tutte le invenzioni che vanno attorno d
a assai meglio quanto egli valesse, che non fanno tutte le invenzioni
che
vanno attorno di lui intagliate dal Buffagnotti e
ta disciplina, conviene ordinatamente procedere alle differenti parti
che
forman l’opera, per mettervi quella mano emendatr
rvi quella mano emendatrice di cui ha bisogno ciascuna. La prima cosa
che
vuol essere ben considerata è la qualità dell’arg
onsiderata è la qualità dell’argomento, o sia la scelta del libretto,
che
importa assai più che comunemente non si crede. D
à dell’argomento, o sia la scelta del libretto, che importa assai più
che
comunemente non si crede. Dal libretto si può qua
più che comunemente non si crede. Dal libretto si può quasi affermare
che
la buona dipende o la mala riuscita del dramma. E
dell’edifizio; esso è la tela su cui il poeta ha disegnato il quadro
che
ha da esser colorito dipoi dal maestro di musica.
musica. Il poeta dirige i ballerini, i macchinisti, i pittori, coloro
che
hanno la cura del vestiario; egli comprende in me
; egli comprende in mente il tutto insieme del dramma, e quelle parti
che
non sono eseguite da lui le ha però dettate egli
però dettate egli medesimo. [1.2] Immaginarono da principio i poeti
che
il miglior fonte, donde cavare gli argomenti dell
tologia. Di qui la Dafne, l’Euridice, l’Arianna di Ottavio Rinuccini,
che
furono i primi drammi che circa il principio dell
l’Euridice, l’Arianna di Ottavio Rinuccini, che furono i primi drammi
che
circa il principio della trascorsa età sieno stat
esentati in musica; lasciando stare la favola di Orfeo del Poliziano,
che
fu accompagnata da strumenti, quella festa mescol
rgonzo Botta, o una specie di dramma fatto in Venezia per Enrico III,
che
fu messo in musica dal famoso Zarlino, con altre
messo in musica dal famoso Zarlino, con altre tali rappresentazioni,
che
si hanno solamente a riguardare come lo sbozzo e
elpomene accompagnata dalla musica, dal ballo e da tutta quella pompa
che
a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle cor
imo, ne trasporta nell’Olimpo, ne’ campi Elisi e giù nel Tartaro, non
che
ad Argo ed a Tebe; ne rende verisimile con l’inte
d esaltando in certa maniera ogni cosa sopra l’essere umano, può, non
che
altro, far sì che il canto nell’opera abbia sembi
ta maniera ogni cosa sopra l’essere umano, può, non che altro, far sì
che
il canto nell’opera abbia sembianza del natural l
bianza del natural linguaggio degli attori. Cosi in quei primi drammi
che
per festeggiare sposalizi si rappresentavano nell
rosi cori, danze di più maniere, ballo mescolato col coro; cose tutte
che
naturalmente le forniva la qualità medesima dell’
e forniva la qualità medesima dell’argomento. E già non è da dubitare
che
grandissimo diletto non dovesse altrui porgere un
non dovesse altrui porgere una tale rappresentazione; siccome quella
che
nella unità del soggetto una varietà comprendeva
me quella che nella unità del soggetto una varietà comprendeva presso
che
infinita d’intrattenimenti. Una assai fedele imma
ata dal cardinal Mazzarino, quale era a’ suoi tempi in Italia. Se non
che
al decoro di simili rappresentazioni dovette dipo
tenere, come è ben naturale a pensare, col tanto apparato e splendore
che
tratti avea dall’origin sua. A ciò contribuirono
avea dall’origin sua. A ciò contribuirono ancora moltissimo le paghe
che
convenne dare a’ musici; le quali di picciole che
moltissimo le paghe che convenne dare a’ musici; le quali di picciole
che
erano da prima, a segno che una cantatrice fu sop
enne dare a’ musici; le quali di picciole che erano da prima, a segno
che
una cantatrice fu sopranominata la Centoventi per
fondere doveasi dall’altra. Lasciati da canto gli argomenti favolosi,
che
tutto abbracciando, per cosi dire, l’universo son
ra sommamente dispendiosi, si rivolsero ben tosto a’ soggetti storici
che
dentro a’ più ristretti termini si rimangano circ
conscritti; e questi e non altri furono posti sulle scene. Di maniera
che
l’opera, discendendo come di cielo in terra, dal
sia, co’ vezzi di una più raffinata musica. E tal credenza radicò più
che
mai, quando l’una di queste arti tornata alla imi
liando la forma in cui la vediamo al dì d’oggi. [1.4] La verità si è
che
tanto co’ soggetti cavati dalla mitologia, quanto
i dalla mitologia, atteso il gran numero di macchine e di apparimenti
che
richiedono, metter sogliono il poeta a troppo ris
ampo di far giocare i caratteri e le passioni di ciascun personaggio;
che
è pur necessario nell’opera, la quale non è altro
io; che è pur necessario nell’opera, la quale non è altro in sostanza
che
una tragedia recitata per musica. Da ciò deriva c
altro in sostanza che una tragedia recitata per musica. Da ciò deriva
che
buona parte delle opere francesi, per non parlare
tanto pascolo agli occhi, ed hanno piuttosto sembianza di mascherata,
che
di dramma. L’azion principale vi è come affogata
cessori; e la parte poetica di esse ne rimane così debole e meschina,
che
con qualche color di ragione furono chiamate altr
soggetti cavati dalla storia non cosi bene si confanno con la musica,
che
in essi ha meno del verisimile. Siccome può osser
erisimile. Siccome può osservarsi tutto giorno tra noi, dove non pare
che
i trilli di un’arietta stiano cosi bene in bocca
di un’arietta stiano cosi bene in bocca di Giulio Cesare o di Catone,
che
in bocca si starebbono di Apollo o di Venere. Non
voglia porre nella schiera degli attori quella marmaglia di comparse
che
nelle nostre opere sogliono anche dentro al gabin
egli è troppo difficile trovare balli e simili altri intrattenimenti,
che
ben si adattino con azioni tolte dalla storia. De
parti integranti del tutto, come gli ornamenti nelle buone fabbriche,
che
non servon meno a decorarle che a sostenerle. Tal
gli ornamenti nelle buone fabbriche, che non servon meno a decorarle
che
a sostenerle. Tale è per esempio nel teatro franc
stenerle. Tale è per esempio nel teatro francese il ballo dei pastori
che
celebrano le nozze di Medoro e di Angelica, e fan
e celebrano le nozze di Medoro e di Angelica, e fanno venire Orlando,
che
in essi si abbatte, in cognizione dell’estrema su
rema sua miseria. Non è così degl’intrattenimenti delle nostre opere;
che
quando bene in un soggetto romano il ballo sia di
esso mai parte dell’azione, non vi è meno disconveniente e posticcio,
che
la scozzese o la furlana. Ond’è che i soggetti st
meno disconveniente e posticcio, che la scozzese o la furlana. Ond’è
che
i soggetti storici, o hanno il più delle volte a
, o hanno il più delle volte a rimanersi nudi o a rivestirsi di panni
che
non vi si affanno per niente, e, come si suoI dir
n discrezione grandissima. E perché egli possa conseguire il fin suo,
che
è di muovere il cuore, dilettare gli occhi e gli
seguita in tempi o almeno in paesi da’ nostri molto remoti ed alieni,
che
dia luogo a più maniere di maraviglioso, ma sia a
sonaggi della favola e per far, come si conviene, giocar le passioni,
che
sono la molla maestra e l’anima del teatro. [1.6
magnifiche ambascerie, imbarchi, cori, combattimenti, incendi: e pare
che
ivi il regno dell’opera venga ad essere più ampio
pera venga ad essere più ampio, per così dire, ed anche più legittimo
che
d’ordinario esser non suole. Simile sarebbe di Mo
i soggetti ne possono ancora essere forniti dall’Ariosto e dal Tasso,
che
sariano pure il caso al teatro dell’opera. Tanto
e dal Tasso, che sariano pure il caso al teatro dell’opera. Tanto più
che
in quei soggetti al popolo notissimi, oltre a un
soggetti dei nostri tempi, si verrebbe quasi a far dell’opera quello
che
è necessario fare degli stati: che, a mantenergli
ebbe quasi a far dell’opera quello che è necessario fare degli stati:
che
, a mantenergli in vita, conviene di quando in qua
i a due capitoli del secondo tomo della presente opera. Mi è sembrato
che
l’esaminarle potrebbe contribuire a maggiormente
do risposto ad altri miei critici, se facendolo avessi potuto sperare
che
la fatica restasse compensata dall’utile. GIORNAL
omma degno di essere letto.» RISPOSTA. [3] Bel panegirico proemiale,
che
sotto l’apparenza di encomio nasconde una positiv
r gli orli del vaso». [4] Ma io ho quella cognizione del cuore umano
che
basta per non ignorare che la malignità sa talvol
Ma io ho quella cognizione del cuore umano che basta per non ignorare
che
la malignità sa talvolta dispensar delle lodi. Il
ista “non intende di criticar il mio libro”, ma il suo estratto non è
che
una critica continuata dal principio sino al fine
ove e travisa le mie opinioni per poterle poi presentare in quel lume
che
le renda men giuste. La mia opera è “realmente co
ga criticandolo perpetuamente, non dando la menoma idea delle materie
che
vi si trattano, né della maniera con cui vengono
insomma sotto un silenzio ingiusto quel poco di nuovo e di passabile
che
per avventura vi possa essere, e che tanti altri
uel poco di nuovo e di passabile che per avventura vi possa essere, e
che
tanti altri accreditati scrittori d’Italia hanno
itati scrittori d’Italia hanno avutala gentilezza di rilevare. È vero
che
Bayle, Bernard, le Clerc, Apostolo Zeno, gli auto
onata, e Maffei non facevano a questo modo gli estratti; ma già si sa
che
i giornalistici enciclopedici di Bologna non sono
iscernere il vero dal falso in cui purtroppo, se rari sono gli autori
che
non v’incorrino, quanto più facilmente vi caderà
li autori che non v’incorrino, quanto più facilmente vi caderà quello
che
tratta di una cosa non sua». RISPOSTA. [6] Gli e
e tratta di una cosa non sua». RISPOSTA. [6] Gli errori e le falsità
che
il giornalista saprà scoprire nel mio libro, e le
alsità che il giornalista saprà scoprire nel mio libro, e le risposte
che
da me gli verranno date, faranno vedere la giuste
pinioni sparse nel medesimo circa la musica e circa l’opera italtana,
che
non ci sono sembrate conformi all’idee giuste che
a l’opera italtana, che non ci sono sembrate conformi all’idee giuste
che
dobbiamo avere dell’opera e dello stato presente
Prima d’esaminare se le mie opinioni fossero conformi all’idee giuste
che
dobbiamo avere della musica e dell’opera italiana
e giuste che dobbiamo avere della musica e dell’opera italiana, parmi
che
il vero metodo di filosofare avrebbe richiesto ch
ra italiana, parmi che il vero metodo di filosofare avrebbe richiesto
che
il giornalista fissasse quest’“idee giuste” che c
are avrebbe richiesto che il giornalista fissasse quest’“idee giuste”
che
circa gli oggetti in questione si debbono avere,
’“idee giuste” che circa gli oggetti in questione si debbono avere, e
che
poi riportasse le sue censure a quella norma inco
za di mille domande e risposte inconcludenti. Ma ho riflettuto dappoi
che
questo metodo obbligherebbe il povero galantuomo
i vede non essere avvezzo, cioè a quello di ragionare per principi, e
che
siccome sarebbe un’ingiustizia l’esiggere che tut
gionare per principi, e che siccome sarebbe un’ingiustizia l’esiggere
che
tutti gli uomini dovessero avere la forza di Milo
niata, o la bellezza di Nirea: così è una indiscretezza il pretendere
che
un maestro di musica che fa il giornalista deva a
irea: così è una indiscretezza il pretendere che un maestro di musica
che
fa il giornalista deva avere in testa la dialetti
’Alembert. GIORNALISTA. [9] «Pretende in primo luogo il Sig. Arteaga
che
l’opera italiana sia ora in decadenza: di addurre
ò mai paragonarsi una cosa evidente, qual è la nostra musica, con una
che
non si vede, qual è la musica greca, che ora esis
è la nostra musica, con una che non si vede, qual è la musica greca,
che
ora esiste solamente nella testa orgogliosa degli
eca, che ora esiste solamente nella testa orgogliosa degli eruditi, e
che
realmente non sappiamo cosa ella si fosse?» RISP
itica di Licurgo con quella del governo veneto? Ciò sarebbe lo stesso
che
levare ogni sua influenza alla storia, ogni sua f
o a più d’uno de’ mezzi ond’ella si prevaleva, e intorno agli effetti
che
venivano prodotti. Un’intero dialogo degno dell’a
li effetti che venivano prodotti. Un’intero dialogo degno dell’autore
che
ancor ci rimane fra le opere di Plutarco, molte n
da Boezio, e da Suida, più d’un raggio di teorica e d’istorica luce,
che
tratto tratto risplende negli scrittori greci di
basta nella ricerca di questo ramo delle greche cognizioni. Quindi è
che
si può istituire fra le due musiche un parallelo
ionevolissimo. La nostra ignoranza circa le loro teorie musicali farà
che
non si possano comparare a priori, cioè esaminand
i quali è appoggiato l’uno e l’altro dei sistemi; ma non toglierà mai
che
si possano mettere in confronto a posteriori, cio
no mettere in confronto a posteriori, cioè argomentando dagli effetti
che
produceva l’una, e che non sono stati mai generat
a posteriori, cioè argomentando dagli effetti che produceva l’una, e
che
non sono stati mai generati dall’altra. Di fatti
è stato più volte istituito da uomini niente meno eruditi e sensati,
che
Vincenzo Galilei ne’ suoi Dialoghi sulla musica a
ell’Accademia di Parigi, Fra Giambattista Martini nella Dissertazione
che
chiude il terzo tomo della sua storia della Music
della lingua greca, e cent’altri. GIORNALISTA, [11] «Egli asserisce
che
la musica e la poesia presso i Greci erano oggett
le bensì, ma sempre inutile al bene degli stati. Egli è evidente però
che
nello stesso modo dei Greci consideriamo ancor no
noi.» RISPOSTA. [12] È cosa evidente per l’incomparabile estrattista
che
noi abbiamo della musica, della poesia, e delle r
usica, della poesia, e delle rappresentazioni teatrali le stesse idee
che
avevano gli antichi. Una tale evidenza si trova p
isogna vivere in una profonda ignoranza dell’antichità per non sapere
che
la poesia, la musica e gli spettacoli furono per
ell’opera presente. E quantunque il giornalista non abbia addotta non
che
confutata neppur una sola di esse, nulladimeno sa
i loro poeti come rivestiti d’un carattere legislativo si vede da ciò
che
le loro prime leggi, le prime politiche istituzio
Mitilene come una delle loro più celebri legislatrici non altrimenti
che
que’ della Beozia ammiravano Pindaro come uno de’
ngton della loro patria. Il lettore non ha bisogno d’essere avvertito
che
parlandosi di que’ secoli quanto si dice della po
hé l’una era inseparabile dall’altra. [13] Non è meno incontrastabile
che
l’anzidette facoltà fossero il primo veicolo e lo
le della religione. Plutarco nel suo dialogo sulla musica ci assicura
che
la prima «applicazione che nella Grecia si fece d
o nel suo dialogo sulla musica ci assicura che la prima «applicazione
che
nella Grecia si fece della musica fu alle cerimon
dei si vedeva in qualche tempio d’Atene colla lira in mano. Quindi è
che
gli antichi poeti e musici meritarono il nome di
lle Ennius sanctos appellat poetas». E lo stesso Cicerone è di parere
che
siffatta appellazione data a’ poeti fosse comune
o si portavano attorno in processione i loro simolacri, o gli emblemi
che
gli rappresentavano. Per ciò che spetta alle rapp
ione i loro simolacri, o gli emblemi che gli rappresentavano. Per ciò
che
spetta alle rappresentazioni teatrali il fatto è
chi ringraziando gli dei dopo la raccolta dei frutti. Diodoro afferma
che
fossero inventati da un re di Macedonia in onore
di Macedonia in onore delle Muse e di Giove. La comune opinione vuole
che
fossero i drammi trovati in occasione di solenniz
recia i poeti tragici e gli attori. Dagli antichi scoliasti si ricava
che
dentro del teatro, e sulle scene, e nell’ingresso
ria. La prima introduzione degli spettacoli scenici in Roma fa vedere
che
anche in Italia erano allora considerati come rit
on seppero trovare altro espediente onde placare lo sdegno degli dei,
che
quello di chiamare dalla Toscana gli istrioni che
o sdegno degli dei, che quello di chiamare dalla Toscana gli istrioni
che
introducessero le rappresentazioni, come da noi i
are per l’avvenire un giorno dell’anno; laonde non è da meravigliarsi
che
i più sensati autori ne facessero un così gran co
nto delle arti drammatiche. Platone chiama le favole sceniche un dono
che
gli dei aveano fatto al genere umano compassionan
ionando le sue miserie. Plutarco, come da noi altrove si asserì, dice
che
le rappresentazioni tragiche contendono co’ trofe
sserì, dice che le rappresentazioni tragiche contendono co’ trofei, e
che
Eschilo e Sofocle sono paragonabili co’ più gran
della chiesa nel riprenderle e condannarle. Erano essi così persuasi
che
fossero una specie di rito religioso che per loro
le. Erano essi così persuasi che fossero una specie di rito religioso
che
per loro l’assistere a’ teatri era lo stesso che
ie di rito religioso che per loro l’assistere a’ teatri era lo stesso
che
confessarsi tacitamente idolatra. Di molti passi
ri era lo stesso che confessarsi tacitamente idolatra. Di molti passi
che
potrebbono addursi in conferma, basterà riportarn
lti passi che potrebbono addursi in conferma, basterà riportarne due,
che
sono decisivi. Il primo è di Tertulliano nell’Apo
entili, i vostri spettacoli, in quanto abbiamo in odio l’origine loro
che
sappiamo venire dalla superstizione». Il secondo
membro dell’Areopago enciclopedico di Bologna se sia cosa “evidente”
che
noi consideriamo nel modo stesso che i Greci la p
i Bologna se sia cosa “evidente” che noi consideriamo nel modo stesso
che
i Greci la poesia, la musica e gli spettacoli? Fa
il Padre Eterno col flauto in bocca, o col violino in mano? Crediamo
che
la Madonna fosse ballerina? Si legge ne’ nostri l
mo che la Madonna fosse ballerina? Si legge ne’ nostri libri canonici
che
gli apostoli promulgassero la legge del Vangelo p
ggine, con quale fondamento l’impareggiabile Signor Manfredini decide
che
su tutti i mentovati oggetti pensiamo come gli an
ce ne serviamo, com’essi nei templi, nei teatri, e nelle case ecc.» E
che
perciò? In tutti que’ luoghi ce ne serviamo solta
o le sinfonie per accademia o per camera composte dall’Hayden. È vero
che
abbiamo un genere di armonia destinato al culto d
n genere di armonia destinato al culto divino, ma da questo solo ramo
che
comprende una picciolissima porzione di musica, e
uesto solo ramo che comprende una picciolissima porzione di musica, e
che
non caratterizza per niente l’indole e il gusto d
a aveva uno scopo religioso, morale e politico? Ciò sarebbe lo stesso
che
se dall’avere il parlamento d’Inghilterra citato
rio re come facevano sovente gli efori in Isparta, altri argomentasse
che
la costituzione anglicana fosse perfettamente sim
arice del Richardson, e in molti altri romanzi; ma si dirà per questo
che
i mentovati libri vengono considerati da noi come
a dalle leggi aveva uno scopo religioso, politico, e legislativo, del
che
si vedevano in pratica gli effetti; presso a noi
provar ciò vuolsi poca serietà e poca dottrina. Il Signor Manfredini,
che
ha dimorato lungo tempo in Moscovia, e che vi sar
ina. Il Signor Manfredini, che ha dimorato lungo tempo in Moscovia, e
che
vi sarà forse andato col disegno d’incivilire que
A. [20] «Se poi talvolta sono malamente eseguiti dai guastamestieri (
che
abbondano in ogni professione) non potendo il poe
o stessi. Dunque (prima conseguenza) non essendo in Italia il costume
che
il poeta e il maestro eseguiscano da loro stessi
onseguenza) se i drammi fossero rappresentati dal poeta e dal maestro
che
li mette in musica, allora sarebbero ben eseguiti
musica, allora sarebbero ben eseguiti. Ecco i meravigliosi corollari
che
derivano dalla proposizione del giornalista. Di t
roposizione del giornalista. Di tutte l’illazioni surriferite, quella
che
più mi rincresce è l’ultima. Non posso far a meno
è l’ultima. Non posso far a meno di non isdegnarmi contro il costume
che
vieta ai maestri di musica di salir sulle scene a
i maestri di musica di salir sulle scene a cantar i propri drammi. Oh
che
bello spettacolo sarebbe allora quello di vedere
ionamento? Ma pazienza se l’estrattista manca di logica, poiché si sa
che
questa non si può avere che dalla madre natura; i
estrattista manca di logica, poiché si sa che questa non si può avere
che
dalla madre natura; il peggio si è che manca nell
sa che questa non si può avere che dalla madre natura; il peggio si è
che
manca nella storia, per la quale basta aver degli
a, per la quale basta aver degli occhi, e volontà di leggere. È falso
che
i drammi greci fossero malamente eseguiti quando
te eseguiti quando “migliorarono”; anzi tutta l’antichità ci assicura
che
i grandi attori della Grecia fiorirono successiva
i d’Eschilo fino ai tempi di Filemone e di Menandro. È poi falsissimo
che
i drammi greci cominciassero a scriversi con più
iversi con più personaggi da Sofocle e da Euripide. Molto tempo prima
che
scrivessero i due mentovati poeti s’introducevano
rlocutori. Nelle tragedie di Eschilo si trova una folla di personaggi
che
parlano diversi da quelli del coro. Nelle sue Eum
bra di Clitennestra. Nel Prometeo, senza nominar le Ninfe Oceanitidi,
che
formano il coro, declamano Prometeo, Vulcano, Oce
e s’avverò ne’ suoi componimenti il detto d’Aristotile nella Poetica «
che
dopo assai mutazioni che sopportò la tragedia si
nimenti il detto d’Aristotile nella Poetica «che dopo assai mutazioni
che
sopportò la tragedia si riposò infine ottenuto ch
orali ecc., ma tale separazione doveva risultar naturalmente a misura
che
le dette facoltà s’ingrandivano e si miglioravano
’ingrandivano e si miglioravano; e lo stesso successe ancora al tempo
che
la Grecia fu colta e sapiente. Onde non si può di
la Grecia fu colta e sapiente. Onde non si può dire con buona ragione
che
la detta separazione abbia ad esse pregiudicato,
hanno anche molta essendo separate, come lo dimostrano le belle opere
che
esistono di filosofia di legislazione, di poesia,
sica strumentale ch’è la vera essenza della musica; mentre il diletto
che
reca la musica vocale può derivare ancora dalle p
arte; ma quando una musica strumentale giunge a toccare, bisogna dire
che
tutto il merito è della sola musica; sebbene però
do l’una l’azione direttrice dell’altra. Niente di più comune fra noi
che
il veder i governi prescriver delle leggi opposte
prescriver delle leggi opposte a quanto detterebbe la sana filosofia,
che
sentir i filosofi insegnar massime e principi dis
ntir i filosofi insegnar massime e principi disapprovati dal governo,
che
l’udir poesie lontane da ogni oggetto morale, pol
’udir poesie lontane da ogni oggetto morale, politico, e legislativo,
che
ascoltar infine delle musiche effeminate e frivol
legislativo, che ascoltar infine delle musiche effeminate e frivole,
che
non hanno il menomo rapporto colle altre compagne
hanno il menomo rapporto colle altre compagne. Perciò è un paradosso
che
fa vedere una profonda ignoranza d’ogni filosofia
osso che fa vedere una profonda ignoranza d’ogni filosofia l’asserire
che
la separazione d’esse facoltà non abbia ad esse p
ad esse pregiudicato, come un paradosso sarebbe in meccanica il dire
che
la velocità d’un corpo è la stessa quando le forz
canica il dire che la velocità d’un corpo è la stessa quando le forze
che
lo spingono sono divergenti, o contrarie, che qua
stessa quando le forze che lo spingono sono divergenti, o contrarie,
che
quando l’azione loro è verso d’un solo punto dire
to diretta. Che la separazione dovesse risultar naturalmente a misura
che
le dette facoltà s’aggrandivano, ciò è verissimo,
rown sull’unione della musica e della poesia, e imparerete molte cose
che
ignorate. GIORNALISTA. [24] «Due altre cagioni d
la sua ricchezza e dal contrappunto. Ma chi può con certezza asserire
che
anche i Greci non conoscessero una specie di cont
rire che anche i Greci non conoscessero una specie di contrappunto, e
che
nei tempi più floridi della Grecia non vi fosse u
l diventar più ricca specialmente in materia dì scienza, non crediamo
che
sia un demerito.» RISPOSTA. [25] Il giornalista
tazione un dubbio, se i Greci conoscessero o no il contrappunto, pare
che
voglia dare a credere ch’io sono per la negativa.
secondo tomo ho detto «noi abbiamo un contrappunto del quale si dice
che
gli antichi non avessero alcuna notizia». Alla pa
non potremmo assicurarci giammai nonostante i molti e celebri tutori
che
l’hanno trattata).» Ora un “si dice” in un luogo,
renderle più dotte, più variate, più estese, ma non è una conseguenza
che
debba renderle più patetiche e più commoventi. Ne
noscere qual sia la buona armonia e buona modulazione, è stato quello
che
ha contribuito più di tutto all’avanzamento di es
to più di tutto all’avanzamento di essa. Ma qual è quella cosa ottima
che
non degeneri, se se ne abusa? Così segue del cont
? Così segue del contrappunto, l’uso moderato del quale non può esser
che
buono; ma abusandone, cioè volendo comporre a tro
quelle specialmente a più soggetti, non può nascer altro sicuramente
che
un gran danno alla buona melodia ch’è quella acco
arebbe il rapportarli qui tutti di nuovo, basterà soltanto ridire ciò
che
ho detto nel capitolo stesso citato dal Manfredin
veranno parlando del contrappunto le seguenti parole: «egli è chiaro,
che
la sua utilità almeno per la musica teatrale è ta
he la sua utilità almeno per la musica teatrale è tanto problematica,
che
poco o niun motivo abbiamo d’insuperbircene». All
a nostra armonia e del contrasto delle parti, io dissi: «Non si niega
che
da siffatto contralto non possa per opera d’un va
’un valente compositore cagionarsi talvolta una combinazione di suoni
che
diletti l’udito per la sua vaghezza ed artificio,
il contrappunto pregiudicato alla musica in generale; ho detto bensì
che
pregiudicava alla musica drammatica, e anche qui
del Cinquecento lo condannai come contrario alla musica scenica, nel
che
altro non feci che tener dietro alle pedate di Vi
condannai come contrario alla musica scenica, nel che altro non feci
che
tener dietro alle pedate di Vincenzo Galilei, di
en lontano dal condannar l’armonia moderata, come si vede dagli elogi
che
fo in cento luoghi, e del giusto tributo di laude
ede dagli elogi che fo in cento luoghi, e del giusto tributo di laude
che
rendo ove parlo del secol d’oro della musica ital
e che rendo ove parlo del secol d’oro della musica italiana, a coloro
che
la ripurgarono dal fiammingo squallore. Soggiunsi
liana, a coloro che la ripurgarono dal fiammingo squallore. Soggiunsi
che
l’artifizio del contrappunto non è atto ad eccita
asserzione internandomi nell’essenza dell’armonia, e facendo vedere
che
la moltiplicità delle parti, la natura degli inte
ità delle parti, la natura degli intervalli e l’intrinseca repugnanza
che
regna nel nostro sistema armonico, (ripugnanza na
trionfale, come farebbe Alessandro dopo la conquista di Tiro. Oh! Sì
che
questa è una bella maniera di far gli estratti GI
r gli estratti GIORNALISTA. [29] «Pretendere ancora come fa il N. A.
che
altre cagioni più forti dimostrino la disuguaglia
forti dimostrino la disuguaglianza delle due musiche, cioè i prodigi
che
faceva l’antica de’ quali è scarsa la nostra: la
quali è scarsa la nostra: la considerazione in cui l’aveano i Greci,
che
l’impiegavano nei loro maggiori bisogni ecc. ques
a.» RISPOSTA. [30] Un “discorrere in aria” chiama il giornalista ciò
che
si dice della possanza della musica greca e della
più celebrati, de’ più sensati filosofi e de’ più illuminati critici,
che
tutti concordemente ne assicuran di ciò. E quando
iandio e i vizi e la sapienza degli uomini; quando Ateneo ci assicura
che
gli Arcadi deponessero la loro ferocia costretti
i deponessero la loro ferocia costretti dalla soavità dell’armonia, e
che
a questa fossero debitori di più temperati e più
a sibbene acciochè s’occupassero ad affrenare gli sregolati movimenti
che
destan nell’animo le troppo lussureggianti imagin
sua opera immortale dello spirito delle leggi nel verificare i fatti
che
si rapportano, e nel rintracciarne le cagioni; qu
dottissimo Brown ci fa toccare con mano la grande e generale possanza
che
acquistò l’armonica facoltà sulle menti e sulle a
l’argomentare dall’autorità riunita di tanti e così bravi scrittori,
che
gli Antichi avessero della musica un’idea superio
gli Antichi avessero della musica un’idea superiore di molto a quella
che
noi ci formiamo di essa, e che avvezzi fossero a
ca un’idea superiore di molto a quella che noi ci formiamo di essa, e
che
avvezzi fossero a veder operati dalla melodia deg
mezzo per distruggerla? Con qual logica con qual erudizione ci pruova
che
tutto ciò altro non sia che un “discorrere in ari
qual logica con qual erudizione ci pruova che tutto ciò altro non sia
che
un “discorrere in aria”? È inutile il dimandargli
orrere in aria”? È inutile il dimandarglielo poiché altro non apporta
che
la sua sola e semplice asserzione. Ma oh mio Sign
per attribuire alla loro musica una sorprendente energia, è lo stesso
che
spingere il pirronismo storico al grado cui lo sp
lo stravagante e pazzo Arduino. GIORNALISTA. [33] «O bisogna credere
che
non sarà stata la sola musica che gli avrà operat
ORNALISTA. [33] «O bisogna credere che non sarà stata la sola musica
che
gli avrà operati, ma ancora la poesia, che dessa
sarà stata la sola musica che gli avrà operati, ma ancora la poesia,
che
dessa accompagnava, dalla quale un tone nasce cer
nasce certamente maggior diletto e maggior forza.» RISPOSTA. [34] Vè
che
uomo avveduto è egli mai codesto maestro di cemba
a musica non s’accompagna altresì colla poesia? Che vuol dire adunque
che
un siffatto accoppiamento non opera presso di noi
piamento non opera presso di noi il menomo di quei prodigiosi effetti
che
operava presso gli antichi Greci? La diversità de
rsità delle cause. GIORNALISTA. [35] «Ma perché incolpare la musica,
che
adesso non operi tanto, se i miracoli gli ha già
mento di governi più regolari, non la saviezza e la forza delle leggi
che
imbrigliarono l’impetuosità dell’interesse person
cio fra il vecchio e il nuovo continente, non le ricchezze e il lusso
che
indi ne derivarono, non lo spirito di società il
progresso della filosofia e dei lumi sono a’ nostri tempi le cagioni
che
hanno “umanizzata gran parte del mondo”, ma la mu
i Chiquitos ed altri popoli selvaggi dell’America non ha da far altro
che
spedire nel nuovo continente il maestro Manfredin
a da far altro che spedire nel nuovo continente il maestro Manfredini
che
insegni loro quattro leggi di contrappunto al gio
uito e segue ancora fra noi; ma da tutto questo si deve forse arguire
che
non esiste più una buona musica, o si deve piutto
na buona musica, o si deve piuttosto confessare per nostra confusione
che
finché durerà il mondo vi sarà sempre il male acc
in tutte le sciente accanto a’ buoni? Sì, bisogna confessarlo, e ciò
che
è ancor più fatale ma che non è men vero, si è ch
to a’ buoni? Sì, bisogna confessarlo, e ciò che è ancor più fatale ma
che
non è men vero, si è che non sempre gli stessi br
confessarlo, e ciò che è ancor più fatale ma che non è men vero, si è
che
non sempre gli stessi bravi autori hanno fatte op
Che la musica cangiasse al tempo dei Greci, come ha fatto nel nostro;
che
presso loro fosse prima bambina; che indi a poco
Greci, come ha fatto nel nostro; che presso loro fosse prima bambina;
che
indi a poco a poco crescesse, e poi divenisse adu
poco a poco crescesse, e poi divenisse adulta al paro dell’italiana;
che
i Greci avessero i loro guastamestieri come abbia
i Greci avessero i loro guastamestieri come abbiamo noi; ciò ha tanto
che
fare colla questione come i porri colla luna. Que
ale diversità di fini, di sistema, e di mezzi. L’arguire da tutto ciò
che
più non esiste una buona musica, è una conseguenz
iò che più non esiste una buona musica, è una conseguenza arbitraria,
che
cava l’estrattista, ma che a me non è venuta in m
uona musica, è una conseguenza arbitraria, che cava l’estrattista, ma
che
a me non è venuta in mente nemmeno per sogno. La
el Sig. Rousseau (Essai sur l’origine des langues), conviene con essi
che
noi siamo realmente all’oscuro sulla vera natura
Greci, sui loro generi, modi, strumenti ecc. quindi gli sembra strano
che
si voglia pospor la loro musica alla nostra; ma p
greca alla moderna senza restrizione. Replicherò per la decima volta
che
l’ho antiposta nella semplicità, nell’espressione
la ricchezza, e nel raffinamento. In secondo luogo è anche falsissimo
che
non si possa instituire un paragon ragionevole fr
cipio dell’estratto. GIORNALISTA. [43] «Pensa ancora il Sig. Arteaga
che
la nostra musica non possa accoppiarsi ad ogni ge
petrarchesca, alla pindarica, all’anacreontica ecc. ecc., ma altro è
che
tali poesie noi non usiamo di porle in musica all
tali poesie noi non usiamo di porle in musica alla maniera delle arie
che
sono più proprie a tale assunto; e altro è che la
lla maniera delle arie che sono più proprie a tale assunto; e altro è
che
la nostra musica non abbia modi da esprimerle: me
a esprimerle: mentre desse si possono cantare benissimo, (e tutto ciò
che
si canta, anche da una sola voce, è sempre musica
ze del fogliettista. Nel luogo da lui citato 204 io non ho mai detto
che
la nostra musica non possa accoppiarsi ad ogni ge
ca non possa accoppiarsi ad ogni genere di poesia; ho detto soltanto «
che
per una generale inavvedutezza noi abbiamo esclus
ne’ compositori di non mai eseguirlo. Tutto il paragrafo non è altro
che
un’illustrazione, un comento dell’accennato pensi
la nostra musica la capacità d’accompagnarsi coi detti generi poetici
che
in più luoghi delle mie Rivoluzioni ho parlato de
compositori romani, e di cent’altre sorti di poesie. Non può negarsi
che
il Signor Manfredini non legga con attenzione l’o
può negarsi che il Signor Manfredini non legga con attenzione l’opere
che
vuol onorare della sua critica. GIORNALISTA. [45
la sua critica. GIORNALISTA. [45] «Passa quindi il N. A. ad asserire
che
noi ignoriamo la quantità sillabica nella poesia;
A. ad asserire che noi ignoriamo la quantità sillabica nella poesia;
che
non sappiamo p. e. quale sia la sillaba più lunga
sappiamo p. e. quale sia la sillaba più lunga della parola “spoglie”;
che
il maestro abbandona il valor della poesia per ba
ia per badare al valor delle note ecc. ma tutto questo è falso stante
che
il bravo compositore conosce benissimo la quantit
osce benissimo la quantità e la qualità delle sillabe nella poesia sa
che
la parola “spoglie” è di due e non di tre sillabe
à delle sillabe nella nostra poesia, perché nessuno può conoscere ciò
che
non esiste. Fino i ragazzi che imparano i primi r
esia, perché nessuno può conoscere ciò che non esiste. Fino i ragazzi
che
imparano i primi rudimenti della rettorica sanno
. Fino i ragazzi che imparano i primi rudimenti della rettorica sanno
che
la nostra poesia non ha quantità sillabica, e che
lla rettorica sanno che la nostra poesia non ha quantità sillabica, e
che
questa era propria soltanto dei versi greci e lat
vità degli accenti. In secondo luogo è una scempiaggine il pretendere
che
il compositore conosca la quantità sillabica nell
itore conosca la quantità sillabica nella parola “spoglie”, perché sa
che
costa di due sillabe, e non di tre. Il sapere il
sta di due sillabe, e non di tre. Il sapere il numero non è lo stesso
che
sapere la quantità, perocché in grammatica e in f
non voglia dare alla parola “valore” un significato diverso da quello
che
da tutti le vien dato in grammatica ed in rettori
premettere per l’avvenire ad ogni sua critica un picciolo dizionario
che
fissi la significazione arbitraria dei termini ad
guadagnar tempo prezioso a tutti e in particolar modo a’ giornalisti
che
devono parlar d’ogni cosa. GIORNALISTA. [47] «Co
e devono parlar d’ogni cosa. GIORNALISTA. [47] «Come non è men falso
che
, se sopra alla musica stessa si possono applicar
erché il musico nella collocazione delle note non ha altro regolatore
che
il proprio arbitrio, poiché una tale operazione n
, e il sentimento delle parole sia lo stesso: onde egli è sempre vero
che
non è la poesia che deve servir la musica, ma ben
lle parole sia lo stesso: onde egli è sempre vero che non è la poesia
che
deve servir la musica, ma bensì questa che deve s
e vero che non è la poesia che deve servir la musica, ma bensì questa
che
deve star soggetta in tutto alla poesia, e all’ar
della medesima: e in tal modo sono espresse le più belle composizioni
che
ora abbiamo, delle quali voglio supporre anch’io,
le composizioni che ora abbiamo, delle quali voglio supporre anch’io,
che
la Grecia abbondasse, e forse ne avesse anche del
ritico se la nostra poesia manca di quantità sillabica, ch’era quella
che
presso agli antichi diriggeva il tempo e la misur
egolarità, tanti modi diversi di vestir l’aria istessa? Che vuol dire
che
se Gluk, Paisello, e Mazzoni metteranno sotto le
e del terzo probabilmente una cosa mediocre, o cattiva? Ciò vuol dire
che
ciascuno combina le note e gli accordi secondochè
non essendo eguale in tutti tre, nemmeno eguale può essere l’effetto
che
ne risulta. A questo inconveniente andava molto m
mente alle leggi prescritte loro dai poeti. Non replicherò le pruove,
che
trovansi esposte alla distesa nella mia opera nel
rio sopprimendo tutte le ragioni su cui sono appoggiate. I due canoni
che
prescrive il Signor Manfredini per applicar retta
fredini per applicar rettamente la stessa musica a varie parole, cioè
che
i versi sieno d’una stessa misura, e che il senti
musica a varie parole, cioè che i versi sieno d’una stessa misura, e
che
il sentimento delle parole sia lo stesso, sono pi
l sentimento delle parole sia lo stesso, sono piuttosto regole di ciò
che
dovrebbe esser che di ciò, ch’è infatti, imperocc
parole sia lo stesso, sono piuttosto regole di ciò che dovrebbe esser
che
di ciò, ch’è infatti, imperocché ad eccezione d’a
ultimo capitolo del secondo tomo, adducendo inoltre le carte musicali
che
lo confermano205, quantunque né di queste né di q
ui confessa egli stesso di essere poco iniziato. Egli asserisce p. e.
che
gli intervalli che sono in uso nella nostra armon
esso di essere poco iniziato. Egli asserisce p. e. che gli intervalli
che
sono in uso nella nostra armonia si riducono all’
dell’ottava, ch’è d’una sorte sola.» RISPOSTA. [50] Ognuno s’aspetta
che
questa obbiezione debba essere la più terribile d
one debba essere la più terribile di tutte, giacché non è imaginabile
che
un maestro di musica riprenda uno che non è della
utte, giacché non è imaginabile che un maestro di musica riprenda uno
che
non è della professione intorno ai termini facolt
e non è della professione intorno ai termini facoltativi dell’arte, e
che
non dica delle cose incontrastabili. Nulladimeno
ora in questo caso. Ei mi rimprovera perché noverando gli intervalli
che
sono in uso nella nostra armonia, non ho fatto pa
tto parola delle due seconde maggiore e minore, e perché non ho detto
che
tutti gli altri intervalli a riserva dell’ottava
i altri intervalli a riserva dell’ottava sono triplicati. Buon per me
che
il rimprovero non cade sopra di me soltanto, ma s
’uno scrittore il quale s’inalza per comune opinione sì nella teorica
che
nella pratica della musica tanto al di sopra di t
lla di più (noti bene l’accigliato estrattista) perché il resto non è
che
una replicazione degli antecedenti 206 ». Ora a
tuono? E il tuono e il semituono non sono essi appunto gli intervalli
che
si chiamano con altro nome seconda maggiore, e se
glio da me commesso? Il non aver dato al lettore l’importante notizia
che
i teorici davano due nomi diversi allo stesso int
erché nominando Cicerone non s’è presa la cura d’avvertire chi legge,
che
altri lo chiamarono ancora Marco Tullio. Così pot
n eguale giustezza rimproverarmi, perché non mi sono avvisato di dire
che
la terza minore si nomina qualche volta seconda s
dire che la terza minore si nomina qualche volta seconda superflua, e
che
alla settima maggiore si da in qualche occorrenza
ervalli. GIORNALISTA [52] «Ritornando poi a parlare del contrappunto
che
consiste in una successione di varie voci espress
varie voci espresse contemporaneamente con diverso movimento pretende
che
tutto questo pregiudichi all’unità della cantilen
gli affetti, se non è chiara, semplice, precisa; ma abbiamo già detto
che
quando il contrappunto è moderato (cioè quando le
proposizione isolata, e non adduce neppur una sola delle molte pruove
che
la fortificano. In secondo luogo è falsissimo ch’
e che la fortificano. In secondo luogo è falsissimo ch’io abbia detto
che
se la cantilena composta in contrappunto non muov
e queste. In terzo luogo non è men falso ciò ch’avanza il Manfredini,
che
quando il contrappunto è moderato non solo non pr
a perfeziona bensì, se per perfezionare s’intende darle quella unità,
che
risulta dal trasportare la stessa melodia in più
ne accompagnino e rinforzino la cantilena principale sarà sempre vero
che
a generare non già un’affetto vago e indeterminat
ione voglionsi de’ movimenti omogenei e tendenti tutti ad un fine; lo
che
non può assolutamente ottenersi col contrappunto.
ocché le parti subalterne agiscono anch’esse coi rispettivi movimenti
che
sono diversi in ciascuna dal movimento della part
quella degli intervalli per cui camina questa: È impossibile adunque
che
non risulti nel tutto una mischia di forze, una r
arti, il quale impedisca d’eccitare la determinata serie di movimenti
che
voglionsi a svegliare un tale affetto. Sentasi il
imenti che voglionsi a svegliare un tale affetto. Sentasi il Tartini,
che
da gran maestro ha prevenuta e disciolta l’obbiez
ha prevenuta e disciolta l’obbiezione del giornalista. «Né giova dire
che
la voce acuta, per esempio, come estremo più inte
condo la pratica (notate bene, Manfredini dolcissimo, perché mi preme
che
un giornalista sia docile alla verità, notate, di
ché mi preme che un giornalista sia docile alla verità, notate, dico,
che
uno de’ più eccellenti pratici che abbia mai avut
docile alla verità, notate, dico, che uno de’ più eccellenti pratici
che
abbia mai avuti la vostra nazione dice che la vos
de’ più eccellenti pratici che abbia mai avuti la vostra nazione dice
che
la vostra proposizione è falsa secondo la pratica
senza la qual proporzione non s’otterrà giammai l’armonia. E nel caso
che
s’accordasse la proposizione non si può almeno di
caso che s’accordasse la proposizione non si può almeno di non negare
che
nascerà necessariamente una tal distrazione tra l
ssariamente una tal distrazione tra la voce principale e le aggiunte,
che
impedirà quella totale attenzione senza cui è imp
’intento di commuovere.» GIORNALISTA. [54] «Insomma ci può dir quel
che
vuole per provare che la nostra musica è inferior
.» GIORNALISTA. [54] «Insomma ci può dir quel che vuole per provare
che
la nostra musica è inferiore alla Greca, che non
el che vuole per provare che la nostra musica è inferiore alla Greca,
che
non proverà mai nulla, non potendosene fare il co
sene fare il confronto; e le autorità dei tre rispettabili professori
che
adduce in favor suo ancor esse sono inutili su ta
uomini, ma ebbero i loro pregiudizi ancor essi, fra gli altri quello
che
hanno quasi tutti i vecchi professori di qualunqu
tiche e sprezzar le moderne, come se tutte le arti, nello stesso modo
che
son soggette a declinare, non fossero suscettibil
ioramento, la qual cosa è assai più probabile per quella gran ragione
che
è facile l’aggiunger perfezione alle cose già inv
“pregiudicati” e d’“invidiosi” data a tre uomini de’ più rispettabili
che
abbia avuti l’Italia fosse una ragione, noi conch
ttabili che abbia avuti l’Italia fosse una ragione, noi conchiuderemo
che
l’estrattista sapeva dire delle ragioni; ma essen
Manfredini, ci permetta parlando di qualunqne de’ suddetti scrittori
che
noi gli susurriamo rispettosamente all’orecchio «
mini fu grandissimo il numero di coloro a cui piacque più la loro età
che
l’antica, non tanto perché reputiamo un atto lode
un non mediocre ornamento. Di ciò è un manifesto argomento il vedere
che
infinite persone di niuna o pochissima vaglia e d
i niuna o pochissima vaglia e di cui non potrebbe assegnarsi il luogo
che
occupano presso i loro contemporanei, ciò nonosta
oranei, ciò nonostante inalzano a tal segno il secolo in cui vissero,
che
per poco non vanno sulle furie quando altri comme
urono. La provvida natura dispose con tale accorgimento le umane cose
che
sebbene l’uomo sia inchinevole a lagnarsi di tutt
uomo sia inchinevole a lagnarsi di tutto, non si trova neppur un solo
che
non viva persuaso e contento del proprio ingegno,
r un solo che non viva persuaso e contento del proprio ingegno, e ciò
che
oltremodo fa meravigliare si è che quanto più si
ontento del proprio ingegno, e ciò che oltremodo fa meravigliare si è
che
quanto più si scarseggia di talento, tanto di se
re del Carissimi, del Palestrina ecc. a preferenza delle più moderne,
che
sono cento volte migliori e più perfette?» RISPO
e più perfette?» RISPOSTA. [57] Queste quattro righe altro non sono
che
un gruppo d’inesattezze e di false supposizioni.
l confusione propria dell’estrattista risulta un’accusa contro di me,
che
mai non ho pensato a confondere una cosa coll’alt
sprezzatori, perché ho lodato Palestrina e Carissimi, due compositori
che
sono stati ricolmati di lodi dai più accreditati
ati di lodi dai più accreditati scrittori di musica non meno stanieri
che
Italiani. [60] 3. M’imputa d’aver commendate l’op
aver commendate l’opere del Carissimi a preferenza delle più moderne,
che
sono cento volte migliori e “più perfette”, lo ch
delle più moderne, che sono cento volte migliori e “più perfette”, lo
che
è falso assolutamente, giacché non ho lodati i re
aceva perdere il suo pregio anche al lavoro delle note». Convien dire
che
gli occhiali con cui il Signor Manfredini guarda
nza tra gli uni e gli altri. GIORNALISTA. [61] «Cosa diremo, se egli
che
attribuisce al contrappunto la rovina della music
3] «Per criticar poi la musica delle nostre arie, adduce quei difetti
che
sono già stati conosciuti da tanti altri, e dei q
ià stati conosciuti da tanti altri, e dei quali son più di venti anni
che
sin la ciurma dei nostri compositori se ne astien
alle cagioni del difetto, e ai mezzi di correggerlo. È poi falsissimo
che
da venti anni in quà fin la ciurma de’ compositor
i anni in quà fin la ciurma de’ compositori se ne astenga. Gli esempi
che
ho recato in mezzo (e de’ quali secondo il costum
slungare in altra occasione il catalogo, e di fargli toccare con mano
che
la maggior parte de’ moderni maestri mettono i ri
strumenti, hanno ecc. ecc. GIORNALISTA. [65] «Egli asserisce ancora
che
Metastasio, colle molte bellissime comparazioni,
Senza riccorrere alle Regole armoniche del Manfredini (libro frivolo,
che
altro non contiene fuorché delle nozioni elementa
ari e triviali), io aveva detto nel tomo 2. pag. 263. della mia opera
che
le belle comparazioni che si trovano ne’ drammi d
detto nel tomo 2. pag. 263. della mia opera che le belle comparazioni
che
si trovano ne’ drammi di Metastasio hanno giovato
si trovano ne’ drammi di Metastasio hanno giovato alla musica. Ma ciò
che
ho detto io, e che il Manfredini non vorrebbe che
mi di Metastasio hanno giovato alla musica. Ma ciò che ho detto io, e
che
il Manfredini non vorrebbe che si dicesse, si è c
alla musica. Ma ciò che ho detto io, e che il Manfredini non vorrebbe
che
si dicesse, si è che dall’uso troppo frequente di
he ho detto io, e che il Manfredini non vorrebbe che si dicesse, si è
che
dall’uso troppo frequente di esse comparazioni è
simo pericolo d’affogar la voce del cantore. Si può aggiungere ancora
che
siffatta usanza troppo intemperantemente imitata
onfessargli il mio torto; ma essendosi contentato di dire in generale
che
sono “inconcludenti, e false” senza provarlo, non
nconcludenti, e false” senza provarlo, non posso risponder altrimenti
che
dicendo esser falso il suo “false”, e inconcluden
iccini, Sacchini, Guglielmi, Sarti, Paesello, Anfossi e Gluk meritano
che
si parli con distinzione, l’autore delle Rivoluzi
pio del recitativo obligato, del rondò, dell’aria e delle altre parti
che
ha preso a disaminare dal Borghi, dall’Andreozzi,
disaminare dal Borghi, dall’Andreozzi, dall’Astaritta e da più altri,
che
non sono né Gluck, né Anfossi, né Paesello, né Sa
gio. Qual nuovo genere d’onestà letteraria è mai quella di tacere ciò
che
ha detto l’avversario, e poi combatterlo come se
to declamare e senza ripetere ciò ch’è stato già detto da altri (cioè
che
vi sono molti guastamestieri che le regole non so
ch’è stato già detto da altri (cioè che vi sono molti guastamestieri
che
le regole non sono ancora tutte perfette; e che s
molti guastamestieri che le regole non sono ancora tutte perfette; e
che
se anche lo fossero esse non basterebbero per for
anche lo fossero esse non basterebbero per formare un grand’uomo, lo
che
è più vero) poteva dire che pochi riescono nell’a
asterebbero per formare un grand’uomo, lo che è più vero) poteva dire
che
pochi riescono nell’arte musica, perché non tutti
i, e a concertate le farti”? GIORNALISTA. [73] «Come non è men falso
che
tutti i compositori siano tanti ignoranti non sap
tori siano tanti ignoranti non sappiano nemmeno la propria lingua non
che
la latina, non conoscano la poesia, la letteratur
n che la latina, non conoscano la poesia, la letteratura e gli autori
che
han trattato e trattan di musica; poiché gli cono
ce d’avanzare ciò ch’ho avanzato, dovea sostenere con zelo apostolico
che
la maggior parte dei moderni maestri sono dottiss
apostolico che la maggior parte dei moderni maestri sono dottissimi,
che
intendono a meraviglia la lingua latina, e gustan
la lingua latina, e gustano le più intime squisitezze della toscana,
che
sono versatissimi nella poesia, e nella letteratu
lla toscana, che sono versatissimi nella poesia, e nella letteratura,
che
hanno come suol dirsi sulla punta delle dita tutt
a, che hanno come suol dirsi sulla punta delle dita tutti gli autori,
che
hanno trattato e trattan di musica. Infatti per t
ima, le viste sublimi e filosofiche, l’aureo stile e la logica esatta
che
risplendono nell’estratto del Signor Manfredini m
re. GIORNALISTA. [75] «Perché condannar tanto il desiderio di novità
che
hanno gli uomini in generale di musica, se lo han
di musica, se lo hanno ancora per tutte le altre cose, e se a quelli
che
non sono automi viene infuso dalla natura? Dunque
cc., non dovrebbe scrivere un Piccini, un Paesiello ecc.? E se ognuno
che
coltiva una professione vuol distinguersi dai com
i dai compagni, desidera di esser grande piuttosto colla lode propria
che
coll’altrui, cerca di avanzarsi nella sua carrier
edrà ch’ei non ha inteso né poco né molto lo stato della quistione, e
che
lavora in falso, perché non sa dare alla parola “
vora in falso, perché non sa dare alla parola “novità” il significato
che
nel caso nostro le si conviene. Il desiderio di n
gli uni degli altri; quindi è impossibile il conoscerne un solo senza
che
si svegli il desiderio di conoscere quello che se
noscerne un solo senza che si svegli il desiderio di conoscere quello
che
seguita, o quello che lo precede. Ma quest’idea m
che si svegli il desiderio di conoscere quello che seguita, o quello
che
lo precede. Ma quest’idea metafisica di novità lo
n se stessa anzi necessaria all’uomo è in tutto differente dall’altra
che
vien condannata allorché si parla delle arti di s
Il desiderio di essa altro non significa allora se non se il prurito
che
hanno molti di coloro che le coltivano, di render
o non significa allora se non se il prurito che hanno molti di coloro
che
le coltivano, di rendersi singolari scostandosi d
stile e dagli ottimi esemplari, o l’inquieta smania degli ascoltanti,
che
infastiditi delle cose passate e noiati delle pre
combattuto una proposizione chiara quanto il lume di giorno, e capirà
che
un ragionamento che serve di base ai più accredit
sizione chiara quanto il lume di giorno, e capirà che un ragionamento
che
serve di base ai più accreditati scrittori per is
arte di pensare, e quella di scrivere. GIORNALISTA. [77] «Quello poi
che
ci sorprende maggiormente si è che dopo che il N.
re. GIORNALISTA. [77] «Quello poi che ci sorprende maggiormente si è
che
dopo che il N. A. ha resa giustizia a una quantit
ALISTA. [77] «Quello poi che ci sorprende maggiormente si è che dopo
che
il N. A. ha resa giustizia a una quantità di prof
i professori viventi separandoli dai mediocri torna da capo, sostiene
che
la maggior parte delle finezze armoniche onde van
estri, invece di provare il miglioramento del gusto altro non provano
che
la sua decadenza. Questa non è una patente contra
tone, invece d’attribuirlo ad un’inganno della propria vista, credeva
che
il bastone si fosse realmente sotto l’onda incurv
e sotto l’onda incurvato. Non avviene altrimenti delle contraddizioni
che
vede ne’ miei sentimenti il giornalista, ma ch’es
lontani, ma conciliabili fra loro, non si scorge da chi legge il filo
che
le avvicina o per pochezza d’ingegno, o per preci
onde sono tinti gli umori de’ propri occhi. Ma esaminiamo ora quelle
che
mi vengono imputate, e incominciamo dalla prima.
tà di professori viventi separandoli dai mediocri, sostengo poco dopo
che
«la maggior parte delle finezze armoniche, onde v
stri» invece di provare il «miglioramento del gusto altro non provano
che
la sua decadenza». Se quest’ultima proposizione c
ue censure. Si ricorra alla pag. 130. del mio secondo tomo e si vedrà
che
dopo aver terminato il catalogo dei valenti profe
e si vedrà che dopo aver terminato il catalogo dei valenti professori
che
meritano, a mio avviso, d’essere separati dagli a
ltri, soggiungo: «sarebbe più facile ad una ad una noverar le stelle,
che
il fare partitamente menzione di tanti altri comp
itamente menzione di tanti altri compositori o esecutori ptù giovani,
che
sotto la scorta degli accennati maestri coltivano
entare soltanto agli occhi de’ lettori una rapida prospettiva. Quello
che
in generale può dirsi è che nelle mani loro (cioè
e’ lettori una rapida prospettiva. Quello che in generale può dirsi è
che
nelle mani loro (cioè non de’ maestri accennati p
ntraddizione? GIORNALISTA. [79] «S’egli vuol sostenere, per esempio,
che
la musica sia decaduta, perché nel primo tomo par
ir di penna il seguente paragrafo? «Essa è l’unica parte della musica
che
cagioni degli effetti morali nel cuor dell’uomo,
l cuor dell’uomo, i quali oltrepassano la limitata sfera dei sensi, e
che
trasmette ai suoni quell’energia dominatrice che
a sfera dei sensi, e che trasmette ai suoni quell’energia dominatrice
che
ne’ componimenti s’ammira de’ gran maestri.» (T.
melodia in riguardo all’espressione e all’imitazione della natura, e
che
favellando di essi dico che dobbiamo a lei princi
ressione e all’imitazione della natura, e che favellando di essi dico
che
dobbiamo a lei principalmente «quell’energia domi
si dico che dobbiamo a lei principalmente «quell’energia dominatrice,
che
ne componimenti s’ammira de gran maestri». Egli è
ce, che ne componimenti s’ammira de gran maestri». Egli è chiarissimo
che
parlandosi ivi della melodia in genere e non in i
e negata a’ compositori d’ogni età l’arte di far valere la melodia, e
che
poi nel luogo citato da lui l’avessi loro espress
n molti luoghi delle mie Rivoluzioni smentite entrambe, mi permetterà
che
torni alla mia similitudine di Margita, col quale
parte principale con quella di ciascuna in particolare, e nel far sì
che
l’armonia, il movimento, la misura, la modulazion
agnamenti s’acconsentano scambievolmente, e non parlino, a così dire,
che
un solo linguaggio. Codesto pregio che non sembra
e, e non parlino, a così dire, che un solo linguaggio. Codesto pregio
che
non sembra a prima vista né straordinario, né dif
italiani.” Basti questo solo saggio di contraddizioni per far vedere,
che
il Sig. Arteaga non doveva deprimere quelle cose
per far vedere, che il Sig. Arteaga non doveva deprimere quelle cose
che
prima egli avea lodate con tanta eloquenza. E s’e
cose che prima egli avea lodate con tanta eloquenza. E s’egli ci dirà
che
s’intese di lodar la musica de’ primi inventori d
olesi, di un Leo ecc. e non la nostra; noi gli risponderemo lo stesso
che
già si rispose ad altri nella summentovata nota13
ri nella summentovata nota13. del nostro libro Regole armoniche, cioè
che
la musica d’allora in poi avendo sempre guadagnat
ov’è mai in queste parole neppur un’ombra di contraddizione? Ho detto
che
uno degli sforzi più grandi che abbiano fatto i m
un’ombra di contraddizione? Ho detto che uno degli sforzi più grandi
che
abbiano fatto i moderni italiani, è quello di con
ni d’un altro è forse un contraddirsi? O pretenderebbe il giornalista
che
per non essere in opposizione con me medesimo ave
a coi compositori di cinquanta anni dopo? La pretensione sarebbe tale
che
non meriterebbe risposta. Circa i guadagni e le p
ebbe tale che non meriterebbe risposta. Circa i guadagni e le perdite
che
ha fatto la musica dai tempi del Pergolesi e del
di fare il censore e il Radamanto degli altrui libri colla sicurezza
che
la repubblica letteraria ne farà piccolissima per
ima perdita. GIORNALISTA. [83] «Non ci sembra neppur ben provato ciò
che
asserisce il Sig. Arteaga, cioè: «L’amor del piac
provato ciò che asserisce il Sig. Arteaga, cioè: «L’amor del piacere
che
ricompensa gl’Italiani della perdita della loro a
che ricompensa gl’Italiani della perdita della loro antica libertà, e
che
va del paro in una nazione coll’annientamento di
io si trova inalzato un teatro (…). Il popolo italiano ora non chiede
che
panem, et circenses, come facevano i Romani a’ te
villaggio ed ogni picciola città abbia il teatro, ma egli è ben certo
che
l’abbondanza dei teatri e la frequenta degli spet
ettacoli quando però non sia eccessiva, prova piuttosto l’avanzamento
che
l’annientamento delle virtù politiche d’un paese;
trattenerla con qualche onesto ed utile passatempo, crediamo appunto
che
anche perciò l’Italia possa dirsi fortunata, conc
che perciò l’Italia possa dirsi fortunata, conciosiachè se adesso più
che
in passato abbonda di teatri e di spettacoli, abb
ogni facoltà, dei quali pregi tutti, se gli stranieri stessi, quelli
che
sono giusti ed imparziali non ne fossero persuasi
alisi la menoma connessione. Per far conoscere il guazzabuglio d’idee
che
regna nelle sue parole basterà scomporre le fila
nelle sue parole basterà scomporre le fila del mirabile ragionamento
che
vi s’asconde. Aveva io detto: «L’amor del piacere
e ragionamento che vi s’asconde. Aveva io detto: «L’amor del piacere,
che
va del paro in una nazione coll’annientamento di
distruggere la mia asserzione il giornalista doveva provare due cose,
che
l’amor del piacere in una nazione non va del paro
del paro coll’annientamento di pressoché tutte le virtù politiche, e
che
l’amor del piacere non ha fatto nascere la freque
iò pianta fin da principio una proposizione in tutto differente, cioè
che
l’«abbondanza de’ teatri e la frequenta degli spe
ù politiche in un paese, ma la conseguenza è dunque «crediamo appunto
che
anche perciò l’Italia possa dirsi fortunata». Non
appunto che anche perciò l’Italia possa dirsi fortunata». Non vi par
che
l’estrattista giuochi al giuoco degli spropositi,
». Non vi par che l’estrattista giuochi al giuoco degli spropositi, e
che
interrogato “perché fa caldo nella state?” rispon
tto il Trattato del matrimonio”? Tralascio le proposizioni intermedie
che
non reggono a martello per tener dietro alla sua
tener dietro alla sua logica mirabile. «Conciosiachè, ecco la causale
che
dee rinforzare la sua conseguenza, se adesso più
ecco la causale che dee rinforzare la sua conseguenza, se adesso più
che
in passato abbonda di teatri e di spettacoli, abb
abbondanza de’ teatri, e dalla frequenza degli spettacoli, ch’era ciò
che
doveva provarsi. «De’ quali pregi (seguita il nos
ione, poca imparzialità e poca giustizia negli stranieri, per credere
che
in Italia vi saranno degli Spedali, delle Scuole,
delle Stamperie e delle Università come vi son dappertutto, né penso
che
il desiderio di vedere tali cose gli spronerà a p
erio di vedere tali cose gli spronerà a partire dal proprio paese; ma
che
ha da fare tutto ciò colla prima proposizione che
l proprio paese; ma che ha da fare tutto ciò colla prima proposizione
che
doveva dimostrarsi falsa cioè: l’«amor del piacer
a nazione ricca in ogni coltura (quantunque si veda ne’ suoi scritti,
che
non l’ho per anche conosciuta), non avrebbe potut
’uomo erudito e virtuoso ch’egli è.» RISPOSTA. [86] Anche qui sembra
che
il giornalista amico di sollazzarsi abbia guiocat
iornalista amico di sollazzarsi abbia guiocato al giuoco dei pegni, e
che
per riscuoterne qualcheduno de’ suoi gli sia stat
riscuoterne qualcheduno de’ suoi gli sia stato imposto per penitenza
che
dica una lode e un biasimo. Lo ringrazio quanto d
eritarla; e in quanto al secondo compreso nella parentesi mi protesto
che
attenderò per conoscer meglio la letteratura ital
i protesto che attenderò per conoscer meglio la letteratura italiana,
che
l’eruditissimo Sig. Manfredini, della cui estesa
luminose e replicate prove, mandi in luce una storia generale di essa
che
ci faccia dimenticare quella del Tiraboschi. GIOR
. [87] «Nei tre seguenti capitoli, cioè nel terzo, quarto, e quinto,
che
compiscono questo secondo tomo, grazie al cielo n
scono questo secondo tomo, grazie al cielo non vi sono tante opinioni
che
ci facciano dubitare di loro certezza, ma anzi vi
ente sopra l’infame usanza dell’evirazione, e sopra molte altre cose,
che
ci uniamo ben volentieri alle giuste idee del N.
ll’edizione bolognese non vi sono secondo l’estrattiva tante opinioni
che
gli facciano dubitare della loro certezza: pure i
nare lo stile del moderno canto italiano sono gli stessi stessissimi,
che
mi serviron di scorta per disaminare lo stile del
incoerenza? Forse ch’ei non ha letto con attenzione quel capitolo, o
che
non l’ha inteso? [89] Si mostra inoltre molto sod
intorno «all’infame usanza dell’evirazione», ma non creda il lettore
che
ciò sia per farmi una grazia. Il giornalista ha l
e nominare Martano. GIORNALISTA. [90] «Solo non avremmo voluto udire
che
uno, il quale ha preteso di unirsi al Sig. Borsa
sulla bolognese, il secondo tomo della quale fui costretto per motivi
che
non sono di questo luogo a non riconoscere per mi
tano, compiacenza a cui difficilmente resiste quella genia di persone
che
vive delle secrezioni dei talenti come i corvi e
cadaveri. GIORNALISTA. [92] «Nè si vorrebbe ch’egli avesse asserito
che
«la musica non sa accompagnarsi colla poesia senz
senza opprimere la compagna, e a guisa dell’amore ella non sa regnare
che
sola». No: questo non sembraci vero. La musica pu
sica può regnar sola, ma non vuole, e sanno benissimo i bravi maestri
che
dessa ha sempre più efficacia ed espressione quan
paragrafo la confutazione, e quale la cosa confutata? Io aveva detto,
che
«la musica, cioè non la musica in genere, ma la t
accompagnarsi colla poesia senza opprimerla». Il giornalista risponde
che
non è vero, e perché? «Perché la musica può regna
ed espressiva quando va congiunta colla poesia». La mia proposta era
che
la musica al dì d’oggi affoga le parole. La rispo
oposta era che la musica al dì d’oggi affoga le parole. La risposta è
che
la musica può star da per sé, e che ha più forza
i affoga le parole. La risposta è che la musica può star da per sé, e
che
ha più forza quando s’unisce alle parole. «La ra
le, et la rime Quinaut.» GIORNALISTA. [94] «Egli è ancor d’opinione
che
la divisione in recitativo semplice, obbligato, e
oi ci uniamo piuttosto al parere del Sig. avvocato Mattei, e crediamo
che
fosse la stessa stessissima.» RISPOSTA. [95] Il
i si dispensa dal ragionare, e in ciò mostra la sua prudenza. L’esame
che
fin qui s’è fatto della sua logica mostra parimen
enza. L’esame che fin qui s’è fatto della sua logica mostra parimenti
che
avrebbe fatto meglio ad essere prudente più di bu
itica insidiosa. Di più, non indicando in qual luogo delle sue opere,
che
sono comprese in molti volumi, abbia quel dotto e
prese in molti volumi, abbia quel dotto ed erudito scrittore asserito
che
la nostra divisione in recitativo semplice, recit
esente. Se ciò fosse vero non si dovrebbe sdegnare l’illustre autore,
che
il pubblico non abbandonasse così presto l’opinio
uttori e de’ commentatori ch’egli crede tutti inesperti. Ma fin tanto
che
il dotto scrittore non s’accigne a così magnanima
ne a così magnanima impresa, noi continueremo a far uso dell’edizioni
che
abbiamo, e a prestar fede a que’ dotti commentato
re ne’ drammi greci quelle rassomiglianze coi nostri ch’egli pretende
che
vi siano. Per esempio, nella prima scena dell’Att
? Se dell’ospite infedele Non punite il tradimento Ah
che
fate, o numi, in ciel?» ma con quali argomenti s
Ah che fate, o numi, in ciel?» ma con quali argomenti si prova
che
l’aria qui esposta sia un duetto? 1. Nel testo gr
bbono se formassero un duetto. 4. Il sentimento non indica per niente
che
qui vi deva essere un duetto. Ecco la traduzione
i! Dove sono i castighi contro gli ospiti?» Lo stesso dico del finale
che
il traduttore mette in bocca di tutti al terminar
bocca di tutti al terminarsi la scena, quantunque non vi sia edizione
che
non lo ponga in bocca della sola Ecuba, e dovendo
aputo rinvenire il luogo dov’egli, secondo il giornalista asserisca, «
che
la divisione della nostra opera in recitativo sem
semplice e l’obligato. GIORNALISTA. [97] «Soggiunge ancora (ibid.),
che
un dramma di Metastasio moverà le lagrime leggend
toccherà assai di più.» RISPOSTA. [98] Questa è una di quelle verità
che
gli Spagnuoli chiamano “di Pietro Grullo”, e in q
usica e ben eseguiti dai cantanti, senza dubbio ci moverebbono di più
che
se fossero semplicemente recitati, ma appunto per
e solo può darsi ad intendere il contrario a qualche tartaro Kalmuko
che
non abbia la menomissima idea delle rappresentazi
a la menomissima idea delle rappresentazioni musicali. E tanto è vero
che
i drammi del Metastasio non fanno più effetto sul
è vero che i drammi del Metastasio non fanno più effetto sulle scene,
che
rare volte hanno gli impresari il coraggio di esp
alvolta lo fanno, non gli espongono se non mutilati, e così mal conci
che
appena sono riconoscibili. Le cagioni di questo f
no altera colle sue stranezze, e travisa l’imitazion naturale a segno
che
, tolta ogni connessione colla poesia, altro non r
ggior parte del dramma, è così trascurato dai maestri e dai cantanti,
che
non può ned eccitare la curiosità dell’uditore, n
balli occupano in oggi tanto spazio di tempo nella rappresentazione,
che
bisogna accorciare anzi stroppiare i drammi accio
atto il Calsabigi, e il Conte Rezzonico; e così la tragedia musicale,
che
fra le mani dell’illustre poeta cesareo avea tocc
è ritornata un’altra volta ai tempi di Eschilo. Al vedere l’ignoranza
che
mostra di tutte queste cose il giornalista non si
si crederebbe ch’egli fosse un maestro di musica de’ nostri tempi, ma
che
simile al greco Epimenide si fosse addormentato q
greco Epimenide si fosse addormentato quaranta o cinquanta anni fa, e
che
avesse prodigiosamente continuato il suo sogno fi
che avesse prodigiosamente continuato il suo sogno fino alla mattina
che
compilò l’estratto. GIORNALISTA. [99] «Quindi no
eggio eseguite, e la questione non consiste nel decidere se i drammi,
che
ora si rappresentano, son male composti e male es
drammi, che ora si rappresentano, son male composti e male eseguiti,
che
questo purtroppo succede spesso; consiste nel def
ire se abbiamo adesso una buona poesia e musica teatrale, in favor di
che
le opere del gran Metastasio e di qualcun altro,
rtisti non può mai derogare alla perfezione d’un arte; anzi ci sembra
che
questo appunto sia un segno del suo valore sublim
una buona musica ed una buona poesia; ed ecco ciò ch’io ho negato, e
che
il Signor Manfredini non m’ha provato finora. E s
la greca letteratura, come i Bavi, i Mevi, e i Batilli non impedirono
che
l’età di Cicerone, di Virgilio, e d’Orazio non ve
delfo a quella di Pericle e di Filippo. [101] È inoltre da osservarsi
che
il giornalista, il quale finora altro non ha fatt
da osservarsi che il giornalista, il quale finora altro non ha fatto
che
menar rumore perché mi sono mostrato poco content
o presente della musica, conviene ora meco intieramente accordandomi,
che
siamo «nella scarsezza de’ bravi artisti e che l’
eramente accordandomi, che siamo «nella scarsezza de’ bravi artisti e
che
l’opere che al presente si rappresentano sono mal
ordandomi, che siamo «nella scarsezza de’ bravi artisti e che l’opere
che
al presente si rappresentano sono mal composte, e
parere uniforme il Sig. Arteaga al P. Martini e a qualcun altro, cioè
che
la musica non abbia un gusto fisso; che le compos
rtini e a qualcun altro, cioè che la musica non abbia un gusto fisso;
che
le composizioni dei primi maestri del nostro seco
dei primi maestri del nostro secolo sieno già divenute anticaglie; e
che
lo stesso succederà alle migliori che si compongo
ieno già divenute anticaglie; e che lo stesso succederà alle migliori
che
si compongono presentemente, e tutto ciò perché v
ono presentemente, e tutto ciò perché vi è molta musica, tanto antica
che
moderna, assai mediocre e inverisimile, non essen
imile, non essendo adattata niente affatto alle parole e agli oggetti
che
deve imitare ecc. Ma perché parlar di questa, e n
tture mediocri ch’esistono? Per finir dunque ripeteremo solamente ciò
che
già si disse nella più volte citata nota 13. dell
estratto incluso in questo giornale al N. VIII dell’anno scorso, cioè
che
quello ch’è veramente buono e bello in qualunque
llo ch’è veramente buono e bello in qualunque arte vesta sempre tale;
che
la musica, essendo un’arte nuova o rinnovata, i s
uelli sono di pittura e di scultura, arti perfezionate molto prima, e
che
se le composizioni dei primi maestri del nostro s
composizioni potranno sempre servire di classico esemplare ai giovani
che
vorranno diventare eccellenti nell’arte di compor
rre. Manfredini.» RISPOSTA. [103] Io non mi sono contentato di dire
che
la nostra musica non ha un gusto fìsso. Ho cercat
delle ragioni, e indicando delle viste filosofiche su tal proposito,
che
mi lusingo non saranno riputate triviali da chi è
mi lusingo non saranno riputate triviali da chi è qualche cosa di più
che
cattivo compilatore di estratti. Siffatte ragioni
alista tratta dal paragone della pittura e della scoltura; obbiezione
che
forse non gli sarebbe mai venuta in mente se non
nti su cui s’appogiano le mie opinioni, lascia a capriccio e muta ciò
che
non intende, o che non fa per lui, ricorre a luog
ano le mie opinioni, lascia a capriccio e muta ciò che non intende, o
che
non fa per lui, ricorre a luoghi comuni nel confu
zze pagine di declamazioni fuor del luogo, o di critiche frivolissime
che
spariscono da sé tostochè si sono rilette le mie
molte, in cui è solito d’incorrere il logicismo estrattista, il dire
che
le composizioni del Pergolese, e del Leo fra gli
ra gli altri potranno sempre servire di classico esemplare ai giovani
che
volessero diventar eccellenti nell’arte di compor
de’ nostri tempi? Ecco le sue parole: «E se il Signor Arteaga ci dirà
che
s’intese di lodar la musica de’ primi inventori d
lese, e d’un Leo ecc. e non la nostra, noi gli risponderemo lo stesso
che
già si rispose ad altrui nella summentovata nota
i nella summentovata nota 13. del nostro libro Regole armoniche, cioè
che
la musica d’allora in poi non è stata mai tanto e
evono servire di esemplare e di modello alla gioventù, come può darsi
che
la musica abbia sempre guadagnato dopo loro, e ch
tù, come può darsi che la musica abbia sempre guadagnato dopo loro, e
che
si ritrovi nella sua eccellenza, ora che tanto s’
mpre guadagnato dopo loro, e che si ritrovi nella sua eccellenza, ora
che
tanto s’è allontanata dal gusto di quei classici
egregare il vero dal falso, in cui pur troppo se rari sono gli autori
che
non v’incorrino, quanto più facilmente vi caderà
li autori che non v’incorrino, quanto più facilmente vi caderà quello
che
tratta d’una cosa non sua». Se l’amor proprio non
a d’una cosa non sua». Se l’amor proprio non mi seduce mi sembra però
che
l’autore “che tratta di una cosa non sua”, ha evi
on sua». Se l’amor proprio non mi seduce mi sembra però che l’autore “
che
tratta di una cosa non sua”, ha evidentemente mos
otato di tanto “raziocinio”, e di tanta “dose di cognizioni musicali”
che
il raziocinio di lui è inconcludente, frivolo e c
inio di lui è inconcludente, frivolo e contrario alla buona logica, e
che
la sua dose di cognizioni musicali, è molto scars
gica, e che la sua dose di cognizioni musicali, è molto scarsa in ciò
che
spetta la parte filosofica storica e critica dell
riguardata quell’arte nell’opera delle Rivoluzioni. Ciò mi fa sperare
che
il Signor giornalista diverrà un pò men baldanzos
il Signor giornalista diverrà un pò men baldanzoso per l’avvenire, e
che
uscirà dalla persuasione in cui è che il saper co
en baldanzoso per l’avvenire, e che uscirà dalla persuasione in cui è
che
il saper combinare bene o male dei diesis e dei b
dei bemolle gli dia un diritto d’infallibilità quando parla a coloro
che
non sono della professione. Se questi devono aver
’ poeti far la poesia, e a’ musici far la musica, ma non s’appartiene
che
al filosofo il parlar bene dell’una e dell’altra.
redini; ne sono compresi anche i letterati. Niente v’ha di più comune
che
il vedere certi scrittorelli, i quali privi d’ogn
’assoggetta a’ loro privati e piccoli pensamenti. Stimano soprattutto
che
sia un effetto di patriotismo l’accattar brighe c
a un effetto di patriotismo l’accattar brighe con qualunque straniero
che
non parli il linguaggio della prevenzion nazional
davanti all’adorata Dulcinea. Havvi in oggi uno di costoro in Italia,
che
si crede d’aver conquistato ei solo più paesi che
costoro in Italia, che si crede d’aver conquistato ei solo più paesi
che
non conquistò Tamerlano per avere, a così dire, p
n letterine scritte in una latinità fatta per le dame, in dialoghetti
che
patiscono d’infreddattura, e in serraoncini poeti
n dialoghetti che patiscono d’infreddattura, e in serraoncini poetici
che
sentono dell’oraziano come le attrici in guardinf
tura rassomigliano sulle scene a Semiramide e a Zenobia. È un peccato
che
l’Europa non sia rimasta gran fatto persuasa né d
ori, i quali diano a cosìffatte cose un pregio minore assai di quello
che
vorrebbe il Cavaliere Clementino Vannetti, che po
minore assai di quello che vorrebbe il Cavaliere Clementino Vannetti,
che
potrebbe chiamarsi il Lauso e il Zerbino degli od
ma di Gravina e Crescimbeni, in un contesto culturale quanto mai teso
che
sfocerà nello scisma del 1711, proietta la propen
ediografo3 e critico. Tra il 1709 e il 1710 escono infatti il Teatro (
che
comprende cinque tragedie premesse dal trattato D
trattato Del verso tragico), Comentario e canzoniere, e Versi e prose
che
raccolgono il poemetto Degli occhi di Gesù (in ot
l dialogo Del volo e la Poetica in terzine. Timoroso dell’accoglienza
che
le sue tragedie in martelliani avrebbero avuto, M
sione del Teatro; nel maggio del 1710, infatti, rispondeva a Muratori
che
ne aveva accusato la ricezione: V’accorgerete da
veva accusato la ricezione: V’accorgerete dalla prosa il gran studio
che
mi costano queste apparenti negligenze delle trag
bblicate, le tengo come suppresse, sì perché ne ho in prova altre due
che
voglio aggiungere a queste quando usciran dalla l
, come avverte un’altra preziosa testimonianza di Eustachio Manfredi,
che
mostra di apprezzare le tragedie di Martello e in
anfredi nel giugno di quell’anno: «So qualche cosa delle persecuzioni
che
voi mi accennate di avere in Bologna, ma so anche
le persecuzioni che voi mi accennate di avere in Bologna, ma so anche
che
sono appunto ridicole e che l’effetto universale
ccennate di avere in Bologna, ma so anche che sono appunto ridicole e
che
l’effetto universale sarà per noi 6.» Certo il ‘m
to ‘marchigiano’ di austera imitazione classicista lasciano intendere
che
tra i detrattori delle tragedie di Martello ci fo
rattori delle tragedie di Martello ci fosse anche Domenico Lazzarini,
che
dopo un lungo soggiorno romano durante il quale e
matura lo scisma arcadico di cui Martello informa l’ignaro Manfredi,
che
così commenta: Ma si può sentire cosa più ridico
ggendo il Monitorio e le lettere crescimbeniane al march. Orsi. Veggo
che
il capo della divisione è Gravina e nel poetico h
ra gli altri l’abate Rolli di cui ho lette cose buone. Con tutto però
che
questi scismatici componessero meglio degli Arcad
ti scismatici componessero meglio degli Arcadi Cattolici, non mi pare
che
dovessero far la commedia di separarsene, che è q
Cattolici, non mi pare che dovessero far la commedia di separarsene,
che
è quella gli mette dal lato del torto. Oh che bel
ommedia di separarsene, che è quella gli mette dal lato del torto. Oh
che
bella cosa9. È verosimile che in questo contesto
uella gli mette dal lato del torto. Oh che bella cosa9. È verosimile
che
in questo contesto, fatto anche di letture privat
10. Il successo di pubblico, tuttavia, non dovette appagare Martello
che
, a leggere la struttura dell’Impostore (questo il
greci metter in scena una tragedia di gusto loro. Mi par impossibile
che
persona l’ascoltasse; e l’Arcadia è ella riunita1
passar la voglia di leggere le tragedie del Gravina colla descrizione
che
me ne fate. Io era persuaso che si darebbe nel se
ragedie del Gravina colla descrizione che me ne fate. Io era persuaso
che
si darebbe nel secco, come ci danno sempre cotest
sti greci moderni, e fanno tanto mistero della loro erudizione e godo
che
così appunto sia accaduto15». La partita si spost
o fu raggiunto da una stringata lettera di Manfredi: «Mi giunse nuova
che
vi sia chi scriva contro le vostre tragedie, le q
el 171319, portando con sé le tragedie già composte e qualcosa di più
che
il vago progetto di un’apologia20. A dispetto del
ottica comparatistica e delle ripetute allusioni al contesto parigino
che
hanno funzionato da validi depistaggi21, TrAM aff
tera a Ubertino Landi del giugno 1714 («Io vorrei essere a Parigi ora
che
mi riesce un po’ il ciangottare25»), inoltre, pro
po pranzo il sig. Martelli vi ha lette tre delle quattro sue giornate
che
sta componendo sopra varie parti della tragedia;
ome inserendolo più per comprova alla bella inclinazione ch’ha per me
che
per dare alcun risalto a questa sua opera piena d
mma dottrina e vestuta d’un leggiadrissimo stile28. È poco credibile
che
Martello, che era giunto a Parigi il 29 maggio29,
vestuta d’un leggiadrissimo stile28. È poco credibile che Martello,
che
era giunto a Parigi il 29 maggio29, nel primo mes
e distendere le prime tre sessioni; tanto più inverosimile l’ipotesi
che
abbia potuto dialogare con la cultura francese e
i quelle conversazioni nelle prime tre ‘giornate’ dell’Impostore. Ciò
che
Martello fece, certamente, è confrontarsi con la
ele nel teatro delle Tuillerie31.» È l’esperienza diretta e originale
che
Martello vive al Théâtre de la rue des Fossés-Sai
inale che Martello vive al Théâtre de la rue des Fossés-Saint-Germain
che
lievita nella quarta giornata dell’Impostore (la
cia dopo la partenza di Martello e grazie alle cure di Antonio Conti,
che
, come si è visto, entrò nel laboratorio del dialo
amente coerente con quello annotato da Ubertino Landi nel suo diario,
che
parte da Genova su una nave che ospita la prima s
ato da Ubertino Landi nel suo diario, che parte da Genova su una nave
che
ospita la prima sessione e che giunge a Savona, d
iario, che parte da Genova su una nave che ospita la prima sessione e
che
giunge a Savona, dove, in prossimità della villa
les incontra Aristotele al teatro de la rue des Fossés-Saint-Germain,
che
gli dà appuntamento al giardino delle Tuileries,
unità aristoteliche, cui segue una sezione più moderna e movimentata
che
sfrutta le disparità nazionali (Italia e Francia)
e rendere impellente in Martello un ampliamento del testo originario,
che
rispondesse alle critiche del fronte bolognese, g
costà dove io facilmente li darò al foco, non essendo stato mia mente
che
escano prima dell’averli io rivisti e accresciuti
one non è possibile, allo stato attuale, dire molto se non ipotizzare
che
Martello avesse già integrato il passo di Bulinge
i! e con qual franchezza! Han dato ad intendere al povero abate Conti
che
le femmine greche non andavano alla comedia, ed e
che non andavano alla comedia, ed egli se l’è creduto, e su ciò fonda
che
noi dobbiamo far capital degli amori, perché i no
dessero nel teatro a vista de’ forestieri, secondo le greche autorità
che
porta il Bulingero. Io tutto ho scritto all’amico
a lettera francese a Conti, Martello si diffonde anche sulle critiche
che
paventa dal fronte interno, ovvero da Gravina di
tica e moderna Sarà proprio per rispondere alle critiche implicite
che
leggerà nel Della tragedia di Gravina che Martell
ere alle critiche implicite che leggerà nel Della tragedia di Gravina
che
Martello rivedrà una seconda volta il testo dell’
lunghe, specifiche sessioni. Se non si vuole accogliere l’eventualità
che
il Bolognese sia entrato in possesso di una copia
copia manoscritta del trattato di Gravina, tale ‘aggiunta’ non potrà
che
essere successiva alla pubblicazione del trattato
elodramma. La breve sinossi indica chiaramente le linee correttorie
che
portano all’edizione del 1715: dei quattro insert
i, TrAM è il sottotesto del riformismo tragico di Zaccaria Valaresso,
che
da Martello mutua anche l’inclinazione a vestire
Si è intervenuti sulla punteggiatura, spianando la virgola davanti al
che
dichiarativo e nel caso di relativa restrittiva.
oni convenzionali di M.e → madame, P. → padre, ma non quella di M.r
che
può dare esito a diverse grafie. Si sono corret
un trattato più universale e compiuto, invia i lettori ad un volume,
che
poco fa è uscito o sta per uscire alla luce, del
effetto introduce un impostore, in cui figura uno di quei ciarlatani
che
tutto dì udiamo spacciarsi per chimici e possedit
articolarmente del dramma per musica, ha egli adoperate alcune parole
che
sono per avventura in commercio, ma che però non
egli adoperate alcune parole che sono per avventura in commercio, ma
che
però non si leggono nel Vocabolario, e di queste
che però non si leggono nel Vocabolario, e di queste dimanda perdono,
che
spera di conseguire dagli accademici trattandosi
gli accademici trattandosi di termini comunemente accettati in lingua
che
tuttavia vive e cresce, e che per or non ha in pr
termini comunemente accettati in lingua che tuttavia vive e cresce, e
che
per or non ha in pronto vocaboli equivalenti. [In
n pronto vocaboli equivalenti. [Intro.5] Protesta finalmente l’autore
che
quantunque non sappia aver detto cosa di cui la n
postori, e questa è una certa razza di spiriti o torbidi o disperati,
che
quantunque sieno detestabili per la lor professio
one, non sono però affatto disprezzevoli per qualche ardir di talento
che
gli fa spiccare fra gli uomini e senza il quale m
ini e senza il quale mai non può regger l’impostura. [1.2ED] Quindi è
che
avvenutomi a’ giorni miei con un di costoro, most
arri ragionamenti, imperocché, se bene questi mi movevano a tali risa
che
io stentava molto a sopprimerle, nondimeno dalle
ntarne i discorsi, siccome intraprendo con quelle curiose circostanze
che
dalla mia qualsiasi memoria mi saranno suggerite
riviera di Genova verso Savona, nella più allegra e nobile compagnia
che
mai potesse per viandante desiderarsi, godendo io
mai interrotta di sangue illustre e patrizio; uomo non men letterato
che
protettore de’ letterati; prelato insomma a cui,
d’Atri, signori de’ quali bastano i cognomi per saperne la nascita e
che
alla nascita aveano conformi le doti dell’animo e
o sarebbe il registrar qui tutto il numero de’ gentilissimi cavalieri
che
coronavano la poppa della galera, comandata e dir
utela del commendatore Piero Minucci per sua Altezza Reale di Toscana
che
a monsignor Aldrovandi l’avea generosamente conce
e a monsignor Aldrovandi l’avea generosamente conceduta. [1.6ED] Io,
che
per uso talvolta mi sottraggo dalla conversazione
di toga, assai contraffatto della persona, piccolo, gobbo e di un’età
che
pareami poco minore di settant’anni; ma accostato
iosità di parlargli, scopersi in esso un difetto ancora di più ed era
che
ei balbutiva, perché, balbutendo appunto, mi diss
le attenzione ch’io ben discerno la mia strana figura muoverti a riso
che
, quantunque dentro respinto dall’onestà tua, non
ti a riso che, quantunque dentro respinto dall’onestà tua, non è però
che
non ti appaia negli occhi ed ora ancor maggiormen
a, non è però che non ti appaia negli occhi ed ora ancor maggiormente
che
mi odi deforme nel mio pronunziare come mi vedi n
pronunziare come mi vedi nella persona; ma qualunque io mi sia, sappi
che
io te conosco più che tu non credi e se tu pure c
di nella persona; ma qualunque io mi sia, sappi che io te conosco più
che
tu non credi e se tu pure conoscerai me, spero di
me, spero di separare nell’animo tuo la derisione dalla maraviglia e
che
questa prevalerà a quella, dimodoché non disprezz
qui avanti deridere chi ascolto sì ben ragionare? [1.9ED] Io confesso
che
cotest’abito del tuo corpo, che altri poteva muov
sì ben ragionare? [1.9ED] Io confesso che cotest’abito del tuo corpo,
che
altri poteva muovere a scherno, moveva me a compa
e l’apro ben volentieri acciocché tu scopra senz’alcun velo l’avidità
che
ho di saper chi tu sia. — [1.10ED] — Tu vedi — ei
hio, secondo l’apparenza, di settant’anni, ma in sostanza uom tu vedi
che
da giovanetto passato in Atene ivi fu ascoltator
ore e maestro del poi sì grande Alessandro. [1.11ED] Ma lode al cielo
che
ridi scopertamente del mio parlare. [1.12ED] Sfòg
orse non meriti d’esser deriso da un poeta italiano un greco filosofo
che
oltre all’avere scritti non infelici versi nel pr
imi, il ridere nondimeno ti sia permesso per l’amore di quella verità
che
tu cerchi e che un mio invincibil genio mi ha pos
ondimeno ti sia permesso per l’amore di quella verità che tu cerchi e
che
un mio invincibil genio mi ha posto in animo di s
bil genio mi ha posto in animo di scoprirti. [1.13ED] Fa dunque conto
che
io sia un impostore, ma attendi alle mie ragioni.
ie ragioni. — [1.14ED] — Intanto — io seguiva — mi vuoi tu sì credulo
che
io mi dia per vinto all’illusione di aver sugli o
illusione di aver sugli occhi Aristotile, di cui sono secoli e secoli
che
io credo smarrite ancora le ceneri? [1.15ED] Cert
o credo smarrite ancora le ceneri? [1.15ED] Certamente io dirò quello
che
io lessi aver detto, benché mal a proposito, in a
dire qualche cosa atta a persuaderti alquanto, se non a convincerti,
che
io sono Aristotile. [1.17ED] Hai tu mai letto chi
questi Nicomaco, medico di professione, come saprai; ma sappi inoltre
che
ei fu ancora chimico sì sventurato che prima dell
come saprai; ma sappi inoltre che ei fu ancora chimico sì sventurato
che
prima della sua morte non poté perfezionar quel r
venturato che prima della sua morte non poté perfezionar quel rimedio
che
, sebbene non rende immortale, fa però vivere sì l
imedio che, sebbene non rende immortale, fa però vivere sì lungamente
che
uno sciocco arriverebbe a sperare di più non mori
o io abbia poi faticato coll’arte a riempierlo, la fortuna o il cielo
che
mi vuol mortale, non mi han secondato, in guisa c
ortuna o il cielo che mi vuol mortale, non mi han secondato, in guisa
che
io godo di questa luce per l’ultimo secolo. [1.20
cose lontane dal creder mio. [1.21ED] Ma non hai tu contezza di tanti
che
han lungamente dormito e si son poscia svegliati
te alla mia. [1.23ED] Dormirono alcuni più lungamente perché a misura
che
il farmaco è più o meno possente, lavora in più b
in più breve o in più lungo tempo di sonno una nuova tempra di umori
che
purgano le viscere infracidite e le ristoran manc
ubea due tazze, l’una del vino di Lesbo, l’altra di quello di Rodi, e
che
gustatone di ambidue, fu il primo per me preferit
er me preferito: lo preferii come più acconcio a custodire lo spirito
che
furtivamente v’infusi del mio possente preservati
rito che furtivamente v’infusi del mio possente preservativo; di modo
che
quel giorno fu ben fatale a Demostene in Puglia,
modo che quel giorno fu ben fatale a Demostene in Puglia, ma non a me
che
, fattomi chiuder in una cassa di cedro di cui mi
ti metalli mi venivano alla mano, diedi nuovo cominciamento alla vita
che
va a finir pochi lustri dopo la tua. [1.25ED] Ed
5ED] Ed ecco quanto io posso addurti per render più verisimile quello
che
io ben m’accorgo te credere tuttavia ostinatament
role con tanta efficacia d’espressione e con tanta vivezza di spirito
che
malagevolmente io mi do a credere potersi formar
icai — mi vo’ far questo sforzo di non crederti per ora impostore. Ma
che
hai tu fatto in tanti secoli che sei vissuto? [1.
i non crederti per ora impostore. Ma che hai tu fatto in tanti secoli
che
sei vissuto? [1.28ED] Ti sei tu dato a comporre n
rai prodotti in sì lungo agio di età da pubblicarsi, ora massimamente
che
la facil troppo invenzion tedesca, parlo della
litato cotanto il commercio dell’opere e degl’ingegni? — [1.30ED] — È
che
studiando — m’interruppe lo svelto gobbo — sul li
o non mi trascinasse inevitabilmente alla fossa. [1.31ED] Io ti giuro
che
più d’una volta ho pianto amaramente il mio nome,
miei sofismi lacerate e dismesse; e se alcun obbligo mi lega a quelli
che
vengon creduti miei posteri, questi solamente son
olo abbozzo della medesima si son fatto un idolo, un giogo, una legge
che
fra di essi mi rende ancor venerabile. [1.32ED] Q
[1.32ED] Questo mio resto di riputazione sia raccomandato anche a te
che
ne’ tuoi Sermoni hai ardito di pizzicarmi e di ap
e ne’ tuoi Sermoni hai ardito di pizzicarmi e di appianarmi le spalle
che
, con tutto il tuo battere, conservansi ancor rile
die ottenuto. [1.35ED] Ed eccoti già nella curiosità d’intendere quel
che
io ne giudichi, però ti prego a non curarti del m
curarti del mio giudicio, ma di quello dell’università de’ letterati,
che
difficilmente s’inganna; ed ora massimamente che
rsità de’ letterati, che difficilmente s’inganna; ed ora massimamente
che
nella vostra Italia si pesano assai saviamente gl
parti della medesima, mentre la legge della tua o non tua Poetica, ma
che
sotto il nome d’Aristotile va per le bocche degli
tragedie e le nostre. [1.37ED] Intendo voler ragionare di alcune cose
che
non ritrovo io ne’ drammi su’ quali hai tu fondat
cose che non ritrovo io ne’ drammi su’ quali hai tu fondata la regola
che
prescrivi e che presentemente (e abbaino i critic
rovo io ne’ drammi su’ quali hai tu fondata la regola che prescrivi e
che
presentemente (e abbaino i critici) si frequentan
ste cagioni o se sia dicevole l’aggiungere angustie nuove a quelle in
che
ha ristretti gl’ingegni la tua Poetica. [1.39ED]
alia. [1.40ED] Ci sono certi invidiosi della felicità del loro secolo
che
attribuiscono tutto a’ passati e massimamente a q
ati e massimamente a quelli ne’ quali fiorivano i Greci; non vogliono
che
si possa più conseguire altra gloria che quella d
rivano i Greci; non vogliono che si possa più conseguire altra gloria
che
quella del somigliarli come ombra corporea. [1.41
che quella del somigliarli come ombra corporea. [1.41ED] Io mantengo
che
costoro sono pazzamente invidiosi della moderna g
attribuire a’ tuoi Greci qualche parzialità della provvidenza divina
che
abbia meglio organizati e disposti que’ primi ing
sti que’ primi ingegni destinati per essa ad inventare, con simmetria
che
potesse accreditarsi fra gli uomini, quelle cose
e, con simmetria che potesse accreditarsi fra gli uomini, quelle cose
che
dovean servir d’esemplare e procacciar de’ seguac
. [1.45ED] Ma perché ti sei posta tu la parrucca se cotesta, a’ tempi
che
dici tuoi, non usavasi? [1.46ED] Perché non vesti
o e perché non copri il tuo dorso con catenelle d’oro, siccome è fama
che
allora tu adoperassi? [1.47ED] Tu mi dirai d’aver
este adornano pur la testa anche secondo il gusto di voi altri Greci,
che
l’amavate chiomata con ricci delicatamente pettin
cranie non sono più sì frequenti e si trovano più comode quelle teste
che
al lor bisogno e temperamento proporzionano l’art
ande intendete tutte le frutte, ve la fo buona, non mangiate, dunque,
che
frutte; e non bevete che acqua. [1.53ED] Ma mi di
rutte, ve la fo buona, non mangiate, dunque, che frutte; e non bevete
che
acqua. [1.53ED] Ma mi direte d’avere voi migliora
carni e col vino, perché massimamente dopo il diluvio non si convince
che
coloro vivessero più di voi, se si ha la dovuta f
oi, se si ha la dovuta fede agli storici. [1.54ED] Ma io vi soggiungo
che
noi pure abbiamo migliorata la condizion vostra n
e i lusinghieri ragù e i teneri arrosti non ti spiaceranno, tanto più
che
vedo pochissima differenza fra l’età vostre e le
e nostre. [1.55ED] Io non voglio correre per gli esempli perché altro
che
poche sessioni si richiederebbono al nostro ragio
to in simil materia per avventura adducessi. [1.56ED] Nella poesia sì
che
sta tutto il guaio, perché questa fu, per così di
(come abbiam proposto) della tragedia. [1.57ED] Ma, padre mio, io so
che
le tragedie franzesi piacciono più delle vostre e
sassinamenti, d’incesti ed appariscono assai più scostumate di quelle
che
oggi sui palchi rappresentiamo. [1.60ED] Anzi, se
lle insoffribili, e chi queste imita se meriti fortuna nol so, so ben
che
non l’ha. [1.62ED] Si sfogano i secchi poeti cont
quali si strepita maggiormente è il non aver osservate le regole tue,
che
tutte sono ragioni nate dall’esempio e dall’appla
ono ragioni nate dall’esempio e dall’applauso comune, e ciò vuol dire
che
non han seguitati in ogni lor parte gli esempi la
65ED] Schiamazzino pure, si facciano de’ seguaci, moriranno di voglia
che
i criticati drammi perdano appresso de’ letterati
ellando al giudicio di una più saggia posterità. [1.67ED] Io pretendo
che
il mio esemplare infallibile siano non già i Grec
mio esemplare infallibile siano non già i Greci soli, ma la natura, e
che
siano il mio fondamento non già i soli tuoi scrit
sendo, a mio credere, ne’ tragici Greci molte sconvenevolezze di cose
che
patiscono una necessaria mutazione dal tempo, que
odare, ma non giammai imitare; e giova il sostituir ad esse le nostre
che
si conformano all’uso. [1.69ED] Ve ne sono ben po
re che si conformano all’uso. [1.69ED] Ve ne sono ben poi delle altre
che
non patiscono mutazione da’ tempi, ed in queste s
osservare le antiche tragedie ed ecco quanto io posso dire di quelli
che
leggono i tragici greci in ginocchioni; e son cer
ire di quelli che leggono i tragici greci in ginocchioni; e son certo
che
Sofocle ed Euripide ne direbbero forse lo stesso
Sofocle ed Euripide ne direbbero forse lo stesso ed amerebbero più me
che
imito le loro virtù, di cotesti che i loro vizi e
se lo stesso ed amerebbero più me che imito le loro virtù, di cotesti
che
i loro vizi esaltano e propagano, e non per carit
ltano e propagano, e non per carità verso i poeti greci, ma per amore
che
hanno disordinatamente a sé stessi, col pretesto
rendono ingiuriosamente spregevoli. Aristotile, questo è un episodio
che
ha che fare con la materia non meno di quel delle
o ingiuriosamente spregevoli. Aristotile, questo è un episodio che ha
che
fare con la materia non meno di quel delle navi c
n episodio che ha che fare con la materia non meno di quel delle navi
che
tu tanto lodi per la connessione sì necessaria ch
di quel delle navi che tu tanto lodi per la connessione sì necessaria
che
ha con la favola dell’Iliade. — [1.71ED] — Ma tu
dell’Iliade. — [1.71ED] — Ma tu non avverti — soggiunse il vecchio —
che
i Greci sono stati perfetti in quell’arti che han
soggiunse il vecchio — che i Greci sono stati perfetti in quell’arti
che
han molta somiglianza alla poesia? [1.72ED] La pi
è di buono nelle opere loro senza giammai arrivarci. [1.73ED] Tu vedi
che
l’Ercole de’ Farnesi e la Venere de’ Medici sono
ici sono i prototipi delle corporature umane imitate; e felice quello
che
sa più degli altri accostarsi a questi perfetti,
erba Roma, di cui ammiriamo ancora gli avanzi. [1.75ED] Della pittura
che
non si vede, il lungo tratto de’ secoli è in colp
dipintori e de’ tuoi architetti. [1.77ED] Io, quanto alla pittura, so
che
avrei molto che dire; e so che se tu hai veduto A
tuoi architetti. [1.77ED] Io, quanto alla pittura, so che avrei molto
che
dire; e so che se tu hai veduto Apelle, non ti ra
. [1.77ED] Io, quanto alla pittura, so che avrei molto che dire; e so
che
se tu hai veduto Apelle, non ti rammaricherai più
che dire; e so che se tu hai veduto Apelle, non ti rammaricherai più
che
tanto che le sue pitture non vivano a fronte di q
e so che se tu hai veduto Apelle, non ti rammaricherai più che tanto
che
le sue pitture non vivano a fronte di quelle di R
ratta e del Cignano e de’ loro più valenti scolari, perché mi lusingo
che
la gloria greca in ciò non supererebbe la nostra.
loria greca in ciò non supererebbe la nostra. [1.78ED] Nella scoltura
che
si conserva io vedo un’immagine che àltera e migl
a nostra. [1.78ED] Nella scoltura che si conserva io vedo un’immagine
che
àltera e migliora il vero senza scostarsene; te l
àltera e migliora il vero senza scostarsene; te lo accordo: ma vorrei
che
un Greco avesse scolpito il Mosè del gran Michela
sono adesso le statue più rinomate de’ Greci; pure questo non toglie
che
le vostre non siano perfette. [1.79ED] Solamente
toglie che le vostre non siano perfette. [1.79ED] Solamente aggiungo
che
, se al secolo del tuo sì grande Alessandro e, se
, coteste cose erano così perfette, tu hai a provarmi colla tua loica
che
tali fossero a’ tempi di Omero, di Eschilo, di Eu
o a’ tempi di Omero, di Eschilo, di Euripide e di Sofocle per dedurne
che
, siccome eran perfette la scoltura, la pittura e
olle imperfezioni delle seconde, quando sia vero (qual tu mi supponi)
che
abbiano insieme una necessaria ed infallibile con
a stenterai. [1.83ED] Io non voglio dilungarmi ora sui tragici, ma so
che
sei persuaso come non la cederei al Tassoni. [1.8
85ED] Certo i primi hanno imitata la natura e noi, imitandola, sembra
che
quelli imitiamo; perché come vorresti dipingere u
erò, se quanti se ne genereranno saranno sempre sul modello del primo
che
fu generato, saranno perciò meno uomini di quel p
fra’ troppo attaccati di venerazione all’antichità e fra alcuni altri
che
non vogliono attorno altra legge che quella del l
all’antichità e fra alcuni altri che non vogliono attorno altra legge
che
quella del loro capriccio. [1.90ED] — Può essere
lla del loro capriccio. [1.90ED] — Può essere — replicò l’Impostore —
che
gli uni e gli altri di questi fallino strada. [1.
uesti fallino strada. [1.91ED] Per altro tu non t’inganni nel credere
che
io abbia veduto rappresentare le tragedie de’ nos
tri autori e de’ vostri, siccome ancora ho gustati fra’ vostri coloro
che
venerano affatto l’antichità e quelli ancora che
i fra’ vostri coloro che venerano affatto l’antichità e quelli ancora
che
la disprezzano. [1.92ED] Ti dei ricordare averti
che la disprezzano. [1.92ED] Ti dei ricordare averti io poco fa detto
che
ti conosceva: questa almeno non è un’impostura. [
ti conosceva: questa almeno non è un’impostura. [1.93ED] Dal ritratto
che
sta intagliato in fronte dell’opere tue ti ravvis
l’alma città di Roma e in una certa conversazione di giovani derisori
che
, oh lor fortunati se tanto di moderazione avesser
antichità. [1.96ED] Colà tu ridevi della caricatura d’un gobbo canuto
che
gridava: «Oh bello!» ad ogni parola e quello era
a e quello era io: guardami bene ed esamina se sotto questa parrucca,
che
mi ha non so se abbigliato o più deformato, ti so
ha non so se abbigliato o più deformato, ti sovviene di questa figura
che
pur dovrebbe esserti rimasta fitta nella memoria.
9ED] — A dirti il vero, oh maestro — io soggiunsi — non posso negarti
che
mi mortificasse il veder dopo un mio lavoro di pi
lari solamente, ma da quelli del loro medesimo maestro giureconsulto,
che
nel suo bizzarro prologo generale pronunzia assai
, apparisce in tutte le altre tragedie o estere o italiane, tanto più
che
questo ristoratore della tragedia, questo distrut
nondimeno, benché non mi nomini espressamente, gli sono ben’obbligato
che
mi cacci ancor senza nome nel gregge del Trissino
101ED] — Impara — riprese a dir l’Impostore — di trattar co’ filosofi
che
da nessun altro rispetto si lasciano indurre 0se
ltro rispetto si lasciano indurre 0se non da quello del vero o di ciò
che
essi apprendon per vero. [1.102ED] Quel tale giur
r vero. [1.102ED] Quel tale giureconsulto filosofante ha scritto quel
che
ha sentito e sente quello che ha scritto. [1.103E
ureconsulto filosofante ha scritto quel che ha sentito e sente quello
che
ha scritto. [1.103ED] Tu aspetti intanto che io g
a sentito e sente quello che ha scritto. [1.103ED] Tu aspetti intanto
che
io giudichi fra voi due, ma vi giuro per Aristoti
petti intanto che io giudichi fra voi due, ma vi giuro per Aristotile
che
invano attenderete ambi la mia sentenza. [1.104ED
si contro di lui, parrebbe fatto in vendetta dello strapazzo continuo
che
ei fa del mio nome in ogni occasione di scrivere
— [1.109ED] — Questo popolo, signor Aristotile — allora io risposi —
che
voi mi date per giudice non sarà accettato per ta
composizioni poetiche è giudice competente, egli è però delle azioni
che
si rappresentano in scena. [1.111ED] Se tu vorrai
rò delle azioni che si rappresentano in scena. [1.111ED] Se tu vorrai
che
il popolo (e quando dico popolo intendo un’adunan
azioni sceniche, la maggior parte e la più degna del popolo ha cuore
che
fisicamente si lascia muover gli affetti, e quand
ndotta del fatto rappresentato quanto vi vedrebbero i veri personaggi
che
in scena sono imitati se, non finta, ma realmente
tragedie de’ pochi mesi e le altrui, attendiam l’opinione del popolo
che
ha udite le prime recitate per chi le leggeva son
la tal quale conversazione. [1.114ED] Questo popolo adunque non crede
che
rappresentate possano ricevere quell’applauso che
o adunque non crede che rappresentate possano ricevere quell’applauso
che
vari passi bellissimi e forti meriterebbero e, se
a trovo giusta, ma nell’altra merita appello. [1.115ED] Dicon costoro
che
invece d’elevare il proprio spirito a ritrarci il
popolo non travede. In altra cosa sbaglia, al creder mio, giudicando
che
la condotta di quelle tragedie sia troppo etica e
uelle tragedie sia troppo etica e liscia, senza veruno intrecciamento
che
metta in curiosità l’auditore di ciò che avverrà,
senza veruno intrecciamento che metta in curiosità l’auditore di ciò
che
avverrà, in guisa che, quanto dee poi avvenire, r
amento che metta in curiosità l’auditore di ciò che avverrà, in guisa
che
, quanto dee poi avvenire, riesca nuovo ed inaspet
ti intrecciati nella tragedia, de’ quali è nauseata la Lombardia dopo
che
ha gustato sui propri teatri le tragedie franzesi
facile, piana e naturale, siccome appunto son quelle de’ vostri poeti
che
son nostra scorta. [1.117ED] Or vatti a fidare de
i età, d’ogni sesso, d’ogni nascita e professione sarà il vero popolo
che
non errerà in sentenziare, e quando dissi rappres
cosa assai differente dal leggerle in una stanza ove non appariscono
che
per metà. [1.120ED] Quanto poi alla decisione pro
, auguriamogli miglior fortuna di quella del padre Scamacca siciliano
che
con più di quaranta tragedie di questo peso ed id
etto poi agl’intrecciamenti ed all’inviluppata condotta, egli è certo
che
i Greci non l’hanno amata, non l’amano punto i Fr
cui la tragedia moderna dee molto per l’invenzione di quei caratteri
che
voi chiamate sforzati e che tanto hanno elevati i
molto per l’invenzione di quei caratteri che voi chiamate sforzati e
che
tanto hanno elevati i sentimenti de’ vostri attor
è stata ancor l’inventrice di questo ingegnoso viluppo di avvenimenti
che
ha fatto per lungo tempo sì gran figura in Italia
per lungo tempo sì gran figura in Italia. [1.124ED] E siam d’accordo
che
un tal viluppo ha il suo pregio intero nelle comm
ia pur agevole e verisimile. [1.125ED] E così lodo quel genio tragico
che
a tutta possa si astiene da simili annodamenti go
o tragico che a tutta possa si astiene da simili annodamenti gordiani
che
non si possono sciogliere senza tagliarli, e lodo
o fra gli altri l’autore del tuo Papiniano. [1.126ED] La ragione si è
che
a ciascheduno di noi privati, come di quelli che
6ED] La ragione si è che a ciascheduno di noi privati, come di quelli
che
per poco prendiamo degli sbagli e che piccoli aff
di noi privati, come di quelli che per poco prendiamo degli sbagli e
che
piccoli affari abbiam per le mani e siamo meno os
per le mani e siamo meno osservatori e meno osservati, avvengono cose
che
quando ci avvengono sogliam dire parer così inver
ono cose che quando ci avvengono sogliam dire parer così inverisimili
che
raccontate in un romanzo o rappresentate in una c
impossibili; e pur le abbiam provate noi vere e non v’è uomo privato
che
nel corso della sua vita non ne possa numerar qua
per verisimili arriviamo poi anche a compiacercene. [1.128ED] Meglio
che
nelle regie, nelle private persone accader puote
o per somiglianza di vestimento; il confidare ad un servo una lettera
che
passi disgraziatamente alla mano di chi non dovev
vanno come mascherate e nascoste, e si dan solo a conoscere con segni
che
posson produrre degli equivoci, fonti ordinari di
ED] Ma perché non si può avere un popolo spettatore tutto di prìncipi
che
, esaminando le proprie coscienze, trovino vero in
he, esaminando le proprie coscienze, trovino vero in sé stessi quello
che
vedono rappresentato in altrui, e il popolo che i
o in sé stessi quello che vedono rappresentato in altrui, e il popolo
che
interviene allo spettacolo generalmente ha troppo
principe esce di casa solo e sconosciuto a suo arbitrio; non è facile
che
soprarrivi all’improvviso in una stanza ove altri
he soprarrivi all’improvviso in una stanza ove altri discorra di cose
che
gli appartengano, essendo i personaggi reali in t
gegnoso il viluppo, lo scioglimento sia naturale; e questa è la spina
che
per lo più guasta la fioritura delle loro vaghe i
i: sarà dunque la commedia assai più ingegnosa della tragedia, mentre
che
in questa non contenendosi stranezza di avvenimen
fane, il Cornelio a Molière, il Tasso all’Ariosto, ma posso ben dirti
che
chiunque di questi eseguisce felicemente il suo d
nte alla tragedia di cui dobbiamo ragionare. [1.135ED] Non è già vero
che
la tragedia manchi di avvenimenti che rechino mer
onare. [1.135ED] Non è già vero che la tragedia manchi di avvenimenti
che
rechino meraviglia, ma voglion essere così ben te
vvenimenti che rechino meraviglia, ma voglion essere così ben tessuti
che
la riuscita sia verisimile ed in conseguenza la m
essuti che la riuscita sia verisimile ed in conseguenza la meraviglia
che
ne deriva sia ragionevole. [1.136ED] Due cose fan
e. [1.136ED] Due cose fanno altamente meravigliar ne’ grandi: l’una è
che
, per la loro ricchezza e possanza abbagliandoci,
destino, precipitati; e, perché la ragione degli opposti è la stessa,
che
un personaggio grande ridotto in miseria ascenda
hé più di rado avvenire e ne abbiamo dalle storie non pochi racconti,
che
tal volta un principe erri sconosciuto fuor de’ s
un principe erri sconosciuto fuor de’ suoi stati per qualche tempo e
che
poi nel grand’uopo si scopra con incontrovertibil
e poi nel grand’uopo si scopra con incontrovertibili contrassegni, lo
che
produce meraviglia insieme e diletto negli ascolt
requente e naturale come la prima e perciò più perigliosa; di maniera
che
difficilmente consiglio i tragici a frequentarla,
gici a frequentarla, perché pochissime di queste agnizioni si trovano
che
siano felicemente condotte e che non lascino che
ssime di queste agnizioni si trovano che siano felicemente condotte e
che
non lascino che ridire. [1.139ED] Vi è la famosa
agnizioni si trovano che siano felicemente condotte e che non lascino
che
ridire. [1.139ED] Vi è la famosa dell’Edipo, in c
. [1.139ED] Vi è la famosa dell’Edipo, in cui concorrono tutte quelle
che
da’ vostri famosi drammatici italiani sono state
ndo e nel Pastor fido. [1.140ED] Vi è l’altra dell’Ifigenia in Tauris
che
almeno per metà è bellissima, e che tu ti sei ing
è l’altra dell’Ifigenia in Tauris che almeno per metà è bellissima, e
che
tu ti sei ingegnato d’imitare e di compiere nella
e; e vi è quella di Agrippa nel Finto Tiberino del Franzese Quinault,
che
non ha invidia alle due, che che siasi del credit
el Finto Tiberino del Franzese Quinault, che non ha invidia alle due,
che
che siasi del credito che ha questo sventurato tr
into Tiberino del Franzese Quinault, che non ha invidia alle due, che
che
siasi del credito che ha questo sventurato tragic
zese Quinault, che non ha invidia alle due, che che siasi del credito
che
ha questo sventurato tragico fra’ suoi nazionali.
ha questo sventurato tragico fra’ suoi nazionali. [1.141ED] Quindi è
che
senza quest’agnizione può ben sussistere la trage
enza quest’agnizione può ben sussistere la tragedia, ma felice quella
che
avrà la peripezia e l’agnizione così intrecciate
ma felice quella che avrà la peripezia e l’agnizione così intrecciate
che
vicendevolmente influiscansi ad esser cagione ed
luiscansi ad esser cagione ed effetto di sé medesime. [1.142ED] Dissi
che
senza questa agnizione può sussistere la tragedia
questa dallo scoprimento d’una passione in un animo opposta a quella
che
dianzi appariva. [1.143ED] Stupiremo se, là dove
’incontri; e così sempre avverrà, qualora un affetto opposto a quello
che
noi aspettavamo inaspettatamente si sveli. [1.144
ni spagnuoli dai viluppi interni delle passioni, impegnate in maniera
che
impegnino gli affetti degli ascoltanti, quando ad
e quando ad odiare chi amavano, con movimento sì vero e sì penetrante
che
poi nel fine della rappresentazione ricrea, mentr
a: [1.147ED] — Non so se veramente mi lasci sedurre a crederti quello
che
tu mi racconti dell’esser tuo, ma non posso già i
l ti conosco, uomo di molta erudizione e dottrina, e però nel viaggio
che
far ci resta ti prego a continuarmi la conversazi
ccia, a discorrere d’alcune altre circostanze della tragedia, secondo
che
caderacci ordinatamente in acconcio, e moveremo a
atamente in acconcio, e moveremo alcune quistioni non meno importanti
che
nuove, per non essere state da te insegnate o non
tate da te insegnate o non pensate o leggermente toccate per altri, e
che
nondimeno giudico importantissime a questo fastid
ero, onde non ho voluto così masticarlo co’ miei denti alla posterità
che
, infingarda, pascendosi de’ miei troppo ammolliti
Le ho dati lumi per metterla in traccia del mio cammino, ma ho voluto
che
si avvezzi per le tenebre de’ miei termini a spec
per le tenebre de’ miei termini a speculare. [1.152ED] Ben è poi vero
che
la cosa è ita più lontana di quel che io credeva;
ulare. [1.152ED] Ben è poi vero che la cosa è ita più lontana di quel
che
io credeva; si sono avvezzati i filosofi a pensar
uel che io credeva; si sono avvezzati i filosofi a pensar tanto da sé
che
nulla più pensano a me, se non per deridermi e di
o a me, se non per deridermi e disprezzarmi. [1.153ED] Ma già tu vedi
che
alla buona cena di poppa ti aspettano i cavalieri
alla buona cena di poppa ti aspettano i cavalieri; e chi son que’ due
che
ti accennaro? — [1.154ED] Così egli; ed io: [1.1
— L’uno è il marchese Ubertino Landi, nobilissimo cavalier piacentino
che
meriterebbe venir per terzo a’ nostri ragionament
tro più giovinetto è il conte Marcantonio Ranuzzi, patrizio bolognese
che
cammina a gran passo per arrivare all’età ed alle
lle cognizioni dell’altro. — [1.156ED] — Godo — replicò l’Impostore —
che
tu abbia amici e compagni sì qualificati di costu
istotile o fa’ di tacere per ora ad essi il mio nome e di contentarti
che
a quattr’occhi fra noi due soli segua, con recipr
tr’occhi fra noi due soli segua, con reciproco nostro diletto, questa
che
chiami impostura. — [1.157ED] Così, all’imbrunir
parire della mattina sbarcammo il Filosofo ed io ad una parte di molo
che
signoreggia non solamente la darsena, ma tutta la
una catena deliziosa di colli, non meno lieti per gli ameni giardini
che
per le vaghe perspettive di bei palazzi che qua e
ti per gli ameni giardini che per le vaghe perspettive di bei palazzi
che
qua e là, secondo il genio degli abitanti, fra le
eggiano. [2.2ED] Ivi osservammo la casa del famoso Gabriele Chiabrera
che
condusse alla gloria di Anacreonte e di Pindaro i
delle franzesi. [2.5ED] Io nondimeno sempre sono stato di sentimento
che
l’uditore perdoni agevolmente alla favola o azion
le quali si vedono neglette queste prescrizioni di tempo in tal guisa
che
alcuna volta esce in principio della commedia un
guisa che alcuna volta esce in principio della commedia un fanciullo
che
poi nella fine vecchio vi comparisce. [2.7ED] Alt
da in grazia all’immaginazione dell’uditore tanto intervallo di tempo
che
preso insieme con quello che si consuma rappresen
e dell’uditore tanto intervallo di tempo che preso insieme con quello
che
si consuma rappresentando non ecceda le ventiquat
che si consuma rappresentando non ecceda le ventiquattr’ore, si sente
che
tale ha fatto un viaggio a cui più mesi richieder
ebba intendere questa triplicata unità; e anticipatamente ho da dirti
che
prima di concepire il mio libro della tragedia, d
, io frequentava il teatro ed, osservate attentamente quelle tragedie
che
riportavano maggior applauso dal popolo, conobbi
tragedie che riportavano maggior applauso dal popolo, conobbi ancora
che
lo stesso faceva loro giustizia e che a mio crede
auso dal popolo, conobbi ancora che lo stesso faceva loro giustizia e
che
a mio credere ancora quelle eran le più perfette.
Ciò eseguito, ridussi per ammaestramento de’ posteri a regola quello
che
più eccellente veniva riputato nelle medesime, ac
trattai però dell’unità dell’azione, imperciocché aveva io osservato
che
una e non più azioni rappresentavansi in quelle;
tante ne meritava e per infonder negli animi terrore di que’ delitti
che
anche commessi con qualche umana, se non divina r
bietto; perché, se più azioni si rappresentassero in scena, il senso,
che
tanto è minore quanto è intento a più cose, divag
tu stesso convenite col mio sentimento. [2.12ED] L’unità del tempo,
che
io così chiamo in grazia del rinomato Pietro Corn
ei di maggiormente dilettar gli ascoltanti col rappresentar loro cose
che
in un breve giro di Sole rare volte si è udito av
come mutazioni grandissime di fortuna e riconoscimenti di personaggi
che
sotto altro nome ed in abiti diversi viveano nasc
i, nondimeno, perché il mirabile facilmente si scosta dal verisimile,
che
, a mio credere, è l’anima di tutti gli avveniment
enti, non ho avuto gran scrupolo nel dilatar questo tempo in tal modo
che
non si abbandoni il mirabile, come per avventura
abile, come per avventura fan gli Spagnuoli, non essendo meraviglioso
che
gran cose in lungo tempo succedano; né si esca de
go tempo succedano; né si esca del verisimile, non essendo verisimile
che
gran cose in breve tempo succedano, e però legger
hai tu in mente le Trachinie, per parlar di una delle nostre tragedie
che
or mi sovviene, avrai osservato che Deianira, ing
rlar di una delle nostre tragedie che or mi sovviene, avrai osservato
che
Deianira, ingelosita per Ercole innamorato d’altr
oso sangue di Nesso. [2.14ED] Tu puoi dimandare una femmina del tempo
che
si ricerca a perfezionare un ricamo, ancor grosso
quanti giorni egli è uopo spendere in tal viaggio, supponendo ancora
che
i venti non siano contrari al messo, siccome a no
io in Eubea a cui meno d’un giorno non si può dare. [2.17ED] Aggiungi
che
Ercole avvelenato viene a morire sul monte Eta, e
el luogo ho io parlato nel mio libro della tragedia, ma nel frammento
che
voi ne avete non ne ritrovo pur orma. [2.19ED] Pu
ure per farti intendere come io concepisca questa unità, è necessario
che
io ti parli ancora della perfezione che io stimai
ca questa unità, è necessario che io ti parli ancora della perfezione
che
io stimai conveniente all’unità tragica, sia d’az
ità tragica, sia d’azione sia di tempo o alfin sia di luogo; e ripeto
che
per comporre una tragedia veramente perfetta un’a
ramente perfetta un’azione, una di un giorno, non si dee rappresentar
che
in un luogo; ma questa unità non è così semplice
tto né tampoco con esso penetrate. [2.20ED] Il luogo insomma sia tale
che
i personaggi della favola possano andarsene e rit
itornarsene dall’una all’altra parte del luogo rappresentato in tempo
che
l’azione possa terminarsi in poco più o in poco m
i — meriti d’esserlo per la saviezza del tuo discorso; ma mi permetti
che
, lasciando in un canto le due unità nelle quali t
cui non convengono alcuni dei più scrupolosi, e di quelli in sostanza
che
attendono a giudicare dell’opere altrui, senza la
za lasciarne uscir delle proprie. [2.22ED] Non pretendono già costoro
che
l’azione segua in un luogo rigoroso, mentre tutto
costoro che l’azione segua in un luogo rigoroso, mentre tutto quello
che
si racconta dai nunci certamente succede fuori de
a dai nunci certamente succede fuori del luogo della rappresentazione
che
è la scena, ma per lo più succede appunto in tale
azione che è la scena, ma per lo più succede appunto in tale distanza
che
chi racconta possa essersi trovato presente al su
este si possano porre sotto gli occhi con la mutazion delle scene, lo
che
nell’opinion d’alcuni moderni è un errore. [2.24E
nell’opinion d’alcuni moderni è un errore. [2.24ED] E la ragione si è
che
, abbisognando la tragedia di questo esterno aiuto
questo bisogno, tanto più si rende imperfetta e meno meravigliosa, lo
che
non avverrebbe, se in quel luogo, che attualmente
erfetta e meno meravigliosa, lo che non avverrebbe, se in quel luogo,
che
attualmente si vede, senza maggior fatica dell’im
hio, tutto potessesi agevolmente rappresentare; dovendosi confessare,
che
quanto più la tragedia ha bisogno d’esterni aiuti
no sussisterà per sé stessa, tanto più recederà da quella semplicità,
che
è un attributo della maggior perfezione. — [2.25E
ntra una setta di uomini nel numero de’ quali o sono o almeno presumo
che
tu mi creda. [2.27ED] Ma tanti anni di esperienza
elle cose, perché certo ogni cosa creata è sempre inferiore all’idea,
che
si può dir creatrice. [2.29ED] Ma niente è più di
l’idea, che si può dir creatrice. [2.29ED] Ma niente è più difettuoso
che
il voler ridurre le cose istesse alla perfezion d
on Omero da Virgilio o dal Tasso; siccome in nulla distinguonsi, fuor
che
nel numero, i getti che dalla forma medesima sono
al Tasso; siccome in nulla distinguonsi, fuor che nel numero, i getti
che
dalla forma medesima sono improntati e moltiplica
ggi di membra e di sentimenti, ma di lineamenti e colori così diversi
che
appena se ne trovino due fra di loro tanto unifor
così diversi che appena se ne trovino due fra di loro tanto uniformi
che
l’uno dall’altro non si distingua. [2.35ED] Certo
anto uniformi che l’uno dall’altro non si distingua. [2.35ED] Certo è
che
cotesta possanza meno nell’uniformità che nella d
distingua. [2.35ED] Certo è che cotesta possanza meno nell’uniformità
che
nella diversità comparirebbe meravigliosa, e pure
tirono e nell’idea sua ritornarono, non essendo accolte dalle nazioni
che
, se le avessero accettate, non vi sarebbe più div
una famiglia e il mondo politico perderebbe il suo maggior ornamento
che
nasce da tanta varietà di governi adattati a’ gen
mo degli oratori né i suoi successori si distinguerebbero da Cicerone
che
nell’idioma, e tutti perorerebbero a una maniera
utti perorerebbero a una maniera e nausearebbero, come un ottimo cibo
che
, venendo poi sempre in tavola con un sapore che f
, come un ottimo cibo che, venendo poi sempre in tavola con un sapore
che
fosse immortalmente lo stesso, stuccherebbe e svo
.39ED] Io, avvegnaché filosofo, ho dato molto all’esempio, conoscendo
che
tutto alla sola ragione dar non dovevasi ne’ miei
ecetti della tragedia. [2.40ED] Nondimeno, come filosofo, ti confesso
che
non ho affatto da me sradicato il vizio ingenito
i pento dell’aver conformata forse un po’ troppo la tragedia all’idea
che
n’ebb’io, valendomi bensì degli esempli ch’io ved
eatri come gli schiavi dalla galea? [2.44ED] Ed eccoti ormai persuaso
che
non bisogna desiderare alla cosa tal perfezione,
i ormai persuaso che non bisogna desiderare alla cosa tal perfezione,
che
la distrugga in vece di mantenerla. [2.45ED] Ogni
seguisse: così sarebbe più meravigliosa senza alcun dubbio; ma quello
che
trapassa i termini del possibile è mostruoso e ch
ta tanto decantata unità rigorosa di luogo è una di quelle perfezioni
che
eccedono l’essere di una verisimile rappresentazi
tà, cerca chimere. [2.49ED] Già non è azione rappresentata da tragico
che
si figuri seguita in un solo luogo, ma quanto di
go, ma quanto di essa si vede in scena e quanto di essa non si vede e
che
compie con le sue parti l’azione, non segue mai c
ssa non si vede e che compie con le sue parti l’azione, non segue mai
che
in più luoghi. [2.50ED] Quello che si vede è la s
sue parti l’azione, non segue mai che in più luoghi. [2.50ED] Quello
che
si vede è la scena, ma questa è sempre stata comp
gica. [2.51ED] Ed ecco dunque sparir l’unità rigorosa di luogo in ciò
che
si vede. [2.52ED] Tanto meno la ritroverai in que
luogo in ciò che si vede. [2.52ED] Tanto meno la ritroverai in quello
che
non si vede, perché le cose seguite fuor della sc
in quello che non si vede, perché le cose seguite fuor della scena e
che
si narrano in essa sono parte essenzialissima del
o di più luoghi composto, non più distanti l’uno dall’altro di quello
che
l’andare e il ritornare richiede nel tempo che st
o dall’altro di quello che l’andare e il ritornare richiede nel tempo
che
sta prescritto all’azione. [2.54ED] Resta or da c
tere sotto gli occhi con la mutazion della scena. [2.55ED] Tu mi dici
che
tanto meno la tragedia è perfetta quanto più d’ai
fetta quanto più d’aiuti esterni abbisogna. [2.56ED] Ed io ti replico
che
questa è una di quelle perfezioni chimeriche. [2.
abbisognasse la voce ed il gesto, cose esterne ad un concetto mentale
che
, quando per le strade degli occhi e degli orecchi
a e non la gestisce a sé stesso. [2.59ED] Maledetta quella perfezione
che
non conviene alla cosa se nella cosa si cerca, e
e alla cosa se nella cosa si cerca, e benedetto quell’aiuto esteriore
che
fa perfetta la cosa nella sua sfera e che, moltip
detto quell’aiuto esteriore che fa perfetta la cosa nella sua sfera e
che
, moltiplicandosi, le moltiplica ancor la bellezza
apparenza. [2.61ED] Onde io non so come non sia più diletto il vedere
che
il supporre l’obbietto, quando per ciò che riflet
sia più diletto il vedere che il supporre l’obbietto, quando per ciò
che
riflette nell’azione, il vederlo e il supporlo è
ll’azione, il vederlo e il supporlo è lo stesso. [2.62ED] Tu mi dirai
che
la mutazion della scena, che è mutazione fisica d
pporlo è lo stesso. [2.62ED] Tu mi dirai che la mutazion della scena,
che
è mutazione fisica di luogo, non è verisimile, me
azione fisica di luogo, non è verisimile, mentre non si vede nel vero
che
un palazzo instantaneamente divenga un giardino.
ED] Ma paragoniamo questo inverisimile ad inverisimili maggiori assai
che
accadono nelle tragedie di alcuni de’ nostri Grec
resentare tutto in casa. — [2.64ED] — Mi vien supposto — soggiunsi —
che
i tragici greci non abbiano mutato mai scena e di
, dimodoché quella sala diventa come un’anticamera degli appartamenti
che
in essa riescono ed ivi ciascun personaggio disco
. — [2.65ED] — E cotesto è bene lo scandalo — ripigliò l’Impostore —
che
in una sala, dove rare volte si parla di cose gel
un personaggio a tramare una secreta congiura contro di un principe,
che
di lì a poco vi s’oda l’istesso principe in disco
e con gli esempi alla mano ti farò vedere il contrario, non volend’io
che
tu stia alla mia sola relazione, mentre nel tuo c
to so d’esser tuttavia un impostore. [2.67ED] Tuttavolta egli è certo
che
cotesta prodigiosa facilità di mutare scena, dell
di ordigni mobili sotto e sovra del palco novellamente inventati; del
che
diasi ancora la dovuta lode a un fanese cognomina
del che diasi ancora la dovuta lode a un fanese cognominato Da Rossi,
che
ha congegnato un teatro in Ancona da capo a fondo
i, e tu vedresti ad un solo fischio e bande e soffitta cangiarsi così
che
il guardo non può raggiungere la volubile rapidit
e la volubile rapidità della scena, e si scorge il tutto mutato prima
che
lo spettatore s’accorga dell’intenzion di mutare.
teva in una lunga e diritta via di logge o di giardini o di boschi, e
che
per porre l’un telaro dipinto sovra dell’altro ri
into sovra dell’altro richiedevasi una folla intricatissima di operai
che
tumultuavan di dentro, mentre gli attori sfiatava
na corte signora di tanta parte dell’Universo. [2.71ED] Quindi deduci
che
quella che voi altri dite virtù de’ tragici greci
gnora di tanta parte dell’Universo. [2.71ED] Quindi deduci che quella
che
voi altri dite virtù de’ tragici greci era piutto
entre, essendo eglino scarsi di bravi meccanici e dipintori, era uopo
che
accomodassero al luogo la rappresentazione e che,
dipintori, era uopo che accomodassero al luogo la rappresentazione e
che
, per cosi dire, facessero tutto in strada. [2.72E
ando l’immaginazione e poco dilettando la vista. [2.73ED] Egli è vero
che
i nostri re, parlo di quelli che vivevano avanti
tando la vista. [2.73ED] Egli è vero che i nostri re, parlo di quelli
che
vivevano avanti Alessandro, erano men pomposi di
i, sparso fra’ nostri, si dilatò all’Italia e finalmente alla Francia
che
l’ha tramesso in Germania e sino nell’Inghilterra
ermania e sino nell’Inghilterra. [2.75ED] Contuttociò non è mica vero
che
ne’ nostri teatri non si pensasse alla mutazion d
mutazion della scena. [2.76ED] Ricorri al tuo Vitruvio e vi troverai
che
tre cangiamenti di scena si congegnavano sui nost
nche, fontane ed altre apparenze villerecce e selvagge, e benché paia
che
a tre sorte diverse di rappresentazioni ciascuna
la comica alla commedia e la satirica alla boschereccia, certa cosa è
che
favole boscherecce non furono mai poste in scena
Tasso, mercé del suo leggiadrissimo Aminta. [2.80ED] Ma diasi ancora
che
cantassero satire per cantori mascherati da semic
ntassero satire per cantori mascherati da semicapri, non vi ha dubbio
che
vi erano ordigni per cangiare l’una nell’altra sc
ni per cangiare l’una nell’altra scena congegnati a foggia di trigono
che
, raggirandosi in perno, scoprivan una delle tre f
alco agiatamente per ogni rappresentazione; e senza recar vari autori
che
ciò asseriscono e nominatamente Cesare Scaligero
riscono e nominatamente Cesare Scaligero in quel libro di sua Poetica
che
per lui s’intitola Istorico, a cui ti riporto per
sua Poetica che per lui s’intitola Istorico, a cui ti riporto per ciò
che
riguarda le macchine dell’antico teatro, vo’ che
i ti riporto per ciò che riguarda le macchine dell’antico teatro, vo’
che
tu creda almeno a Virgilio che nel terzo della Ge
da le macchine dell’antico teatro, vo’ che tu creda almeno a Virgilio
che
nel terzo della Georgica, disponendosi a cangiare
o Cesare, cantò: Vel scena ut versis discedit frontibus. [2.81] Lo
che
, comentato da Servio appresso Filandro, s’interpr
c species picturae nudaretur interior». [2.82ED] Del qual luogo, quei
che
voglion difendere la mutazion delle scene in una
dallo spettacolo; dove contemporanea al medesimo la spiega Virgilio,
che
che ne dicano i semidotti. [2.83ED] Io so che al
lo spettacolo; dove contemporanea al medesimo la spiega Virgilio, che
che
ne dicano i semidotti. [2.83ED] Io so che al temp
imo la spiega Virgilio, che che ne dicano i semidotti. [2.83ED] Io so
che
al tempo del mio gran re53 presedeva io alle rapp
so, soggiungendo: Serra prestamente le porte. [2.90] Cioè le porte
che
erano state aperte. [2.91ED] Di più arrivando il
a dire il padre Scamacca intestato di questa unità rigorosa di scena,
che
non contento d’aver in grazia di essa ammesse mil
nelle proprie tragedie, spende tre ore di un suo discorso a provare,
che
nell’Aiace non si cangiò scena, cosa affatto inut
a dipinta ver l’orizonte. [2.94ED] Primieramente, dato e non concesso
che
ciò potesse essere, ciò sempre saria mutare scena
lmeno nella testa degli uditori; e poi gli accennati passi convincono
che
non avanti, ma dentro il padiglione di Aiace si r
contrario; avrebbe messo in distanza il più rilevato della tragedia,
che
è la morte di Aiace. [2.97ED] Passiamo all’Edipo
agedia, che è la morte di Aiace. [2.97ED] Passiamo all’Edipo Coloneo,
che
tanto piacque al grande Alessandro e a tutta la c
ghi interni molti rosignuoli si odon cantare. [2.99] Tu ben conosci
che
la prima comparsa di Edipo è nelle vicinanze di A
fatta cosa degna di me, né de’ tuoi maggiori, né della tua patria, tu
che
entrato in una città che, constituita secondo le
é de’ tuoi maggiori, né della tua patria, tu che entrato in una città
che
, constituita secondo le leggi senza legge nulla f
e nulla fa, non considerata la giuridizione del luogo, porti via quel
che
vuoi, ed operi violentemente, e pensasti, che io
l luogo, porti via quel che vuoi, ed operi violentemente, e pensasti,
che
io possedessi una città serva, e vuota d’uomini,
o in iscena, seguito nella città di Atene. [2.101ED] Anzi l’interroga
che
avrebbe egli fatto, se Teseo avesse tentato in Te
te dentro e parte fuori di Atene, siccome nel Sisara hai fatto, senza
che
possa tu esserne ragionevolmente tacciato. [2.103
o nel letto. [2.105ED] Mentre egli dorme, la sorella parla con Elena,
che
paventa di uscire da quella stanza per timore di
a, ho creduto doverlo fingere in strada mosso dalle parole di Pilade,
che
invita l’amico a entrare nella sua casa, dove Ele
n letto, e qui dee entrare in casa, dunque era in strada. [2.110ED] E
che
sia vero che questa tragedia è composta di due mu
i dee entrare in casa, dunque era in strada. [2.110ED] E che sia vero
che
questa tragedia è composta di due mutazioni di sc
ragedia è composta di due mutazioni di scena, Elettra, quella Elettra
che
prima sedeva al letto del fratello infuriato, dic
a ghirlande a Diana, e canta inni e disprezza il simulacro di Venere,
che
si vedea collocato sulle sue porte. [2.113ED] Inv
ed i suoi compagni dentro la casa. [2.116ED] Arriva Teseo, ed è certo
che
arriva in istrada, mentre maravigliandosi di non
una lettera in mano; entra e sovra vi piange; e ciò è fuor di dubbio
che
avviene dentro alle stanze. [2.117ED] Ippolito,
or di dubbio che avviene dentro alle stanze. [2.117ED] Ippolito, poi
che
è morto vicino al mare, vien portato in scena e T
i sopra le smanie e ciò segue in istrada, e così appunto ho io voluto
che
ad Alessandro si rappresenti. [2.118ED] Quattro e
risimile. [2.119ED] Lo puoi vedere nella Elettra. [2.120ED] Pare a te
che
una vergine mal contenta della sua madre e di Egi
ure era con più decoro e con più profitto nelle sue stanze, tanto più
che
né la madre né il padrigno erano nella reggia. [2
nella reggia. [2.122ED] Vi è ben di peggio. [2.123ED] La madre sente
che
la figliuola dice male di lei, che la mette in di
i peggio. [2.123ED] La madre sente che la figliuola dice male di lei,
che
la mette in disgrazia de’ popoli; e questa vedova
ere chi sta di guardia alla porta della reggia? [2.125ED] Il Pedagogo
che
confessa come si sarebbero uditi i consigli tutti
n avesse ben custodita la porta; ed ecco un forestiero non conosciuto
che
si crea svizzero d’una reggia, senza che alcuno g
un forestiero non conosciuto che si crea svizzero d’una reggia, senza
che
alcuno glielo impedisca. [2.126ED] Del Filotete d
non ho io fatto menzione per esemplificarti la mutazion della scena,
che
ivi veracemente non è, ma per dirti che la scena
arti la mutazion della scena, che ivi veracemente non è, ma per dirti
che
la scena satirica fu alle volte costantemente usa
ntro, alla vista de’ promontori e de’ lidi. [2.127ED] Una sola scusa,
che
è la necessità, si può addurre in discolpa di que
he è la necessità, si può addurre in discolpa di questi tragici, ed è
che
nati poveri, in repubbliche limitate ed econome,
no l’opera o dentro o fuori del verisimile a quella vecchia scenaccia
che
avean trovata in teatro. [2.128ED] Càcciati dunqu
di Saint Orpè, non venendomi bene in acconcio il cercar tanto di lui
che
insospettissi chi ne osservava e che averebbe for
acconcio il cercar tanto di lui che insospettissi chi ne osservava e
che
averebbe forse potuto richiedermi o, curioso, spi
, ammirava io la profusion de’ tesori e la magnificenza di Luigi XIV,
che
oltre l’aver quivi ammassato ne’ gran ridotti di
insegnamento, esposti allo studio ed all’esercizio di giovani nobili
che
a spese regie in un maestoso collegio apprendon l
te e de’ venti, ad affrontare, a combattere coraggiosamente le flotte
che
o l’interesse o l’impegno o l’invidia, renda nemi
nel delizioso e magnifico passeggio del corso, ove que’ grand’alberi
che
fan ala ed ombra ad un lieto numero di giovani e
beri che fan ala ed ombra ad un lieto numero di giovani e di donzelle
che
quivi si spazia interrompono senza nascondere le
i spazia interrompono senza nascondere le adorne facce de’ bei palagi
che
, sì dall’una che dall’altra parte, per lungo trat
pono senza nascondere le adorne facce de’ bei palagi che, sì dall’una
che
dall’altra parte, per lungo tratto quasi egualmen
di furto la mano, mi disse all’orecchio di ritrovarci alla cittadella
che
domina il porto e la città tutta, come anche part
città tutta, come anche parte della campagna, luogo non men delizioso
che
solitario e quasi fatto per parlare da quella cim
mene colline della mia patria, nel rimirarne la simiglianza su quelle
che
quivi attorniano la popolata città, tutte vestite
versità delle galere, delle navi e di tante altre sorte di bastimenti
che
rendean pieno di bizzarre figure e guernito di pi
su la tralasciata materia; onde io presi a dire: [3.7ED] — Quel dito
che
tu mettesti alla bocca mi strozzò più richieste c
rispose il vecchio — nel loro sceneggiamento altro non considerarono
che
il loro bisogno, piantando talvolta in scena per
0ED] Lo fanno ancora talora sortire, perché venga a dire i suoi versi
che
dan progresso alla favola; lo fanno rientrare qua
gli ha terminati e quando conviene far parlare altra persona di cose
che
il primo non dee ascoltare, ed in ciò son bene in
voi Italiani. [3.11ED] Voi moderni regolate lo sceneggiamento di modo
che
un attore non si sfiati recitando la maggior part
gli alternate e risparmiate a vicenda, e nell’economia sì del sortire
che
dell’entrare usate bensì di qualche libertà nel p
za ci è circa lo sceneggiamento fra’ tragici franzesi e fra noi, ed è
che
i Franzesi hanno per li soliloqui un cert’odio ch
si e fra noi, ed è che i Franzesi hanno per li soliloqui un cert’odio
che
noi non abbiamo. [3.14ED] Pochi e per lo più brev
inomate tragedie, ma nelle nostre e (se a me lice parlar di quello di
che
doverei forse tacere) nelle mie se ne trovano di
di che doverei forse tacere) nelle mie se ne trovano di non brevi, ma
che
però molto mi servono ad una buona e chiara condo
na e chiara condotta delle mie favole. [3.15ED] Pretendono i Franzesi
che
sia da pazzo lungamente dialoghizzar con se stess
ia da pazzo lungamente dialoghizzar con se stesso ed inventano attori
che
chiamano ‘confidenti’, con cui interamente possa
ente possa aprir l’animo suo un traditore, un amante, una vergine, da
che
(dicon essi) nasce più verisimiglianza in chi rap
ssi ne’ quai li finge la favola; ed essendo la voce quell’instrumento
che
ci fa scorgere, come in uno specchio, l’immagine
e ci fa scorgere, come in uno specchio, l’immagine di que’ sentimenti
che
in altra guisa non si vedrebbero, ciò ottenuto, n
ò ottenuto, nulla più ci rimarrebbe a bramare se veramente credessimo
che
si pensasse come si parla e se non ci costasse pe
pensasse come si parla e se non ci costasse per esperienza ed esempli
che
altro alle volte si dice ed altro si pensa. [3.18
pli che altro alle volte si dice ed altro si pensa. [3.18ED] Quindi è
che
, imitando col finto il vero in questi ragionament
l vero in questi ragionamenti rappresentato, l’uditore può sospettare
che
quanto uomo esprime anche ad un suo confidente no
avviene nel vero, perché rare volte uom seco stesso favella in guisa
che
altri lo possa ascoltare. [3.19ED] Nondimeno se u
re. [3.19ED] Nondimeno se una fiata ci riesce di ascoltar qualcheduno
che
(siccome nelle gran passioni o nelle gran macchin
) seco stesso altercando mette fuori quanto ha nel cuore non credendo
che
altri l’ascolti, grandissimo diletto ne concepiam
cupamente pensoso, a qual si sia costo diletterebbeci il saper quello
che
sta ruminando? [3.21ED] Ora un tal piacere, che c
bbeci il saper quello che sta ruminando? [3.21ED] Ora un tal piacere,
che
ci vien cagionato da’ veri soliloqui sol per metà
ppiamente da’ finti: interamente perché non solo imitiamo i soliloqui
che
in luoghi solitari talora i più passionati a se m
i a se medesimi proferiscono, ma riduciamo anche in voce l’altra metà
che
essi pensano e non pronunziano. [3.22ED] Accordan
età che essi pensano e non pronunziano. [3.22ED] Accordano i Franzesi
che
qualcheduno si possa introdurre da sé parlante, m
i ciò esempli nelle loro famose tragedie; e son’io d’accordo con essi
che
, quando si dovesse imitare chi ad alta voce seco
i; ma quando si riduce a voce il sol pensamento, allora son di parere
che
il soliloquio possa allungarsi perché sarà sempre
iero. [3.23ED] Penserà, ruminerà per un’ora un personaggio quel tanto
che
noi in voce e dentro lo spazio di otto o di dieci
iamo, seguendo in ciò la regola generale di tutti i discorsi di scena
che
, per non annoiar gli uditori, s’imitan sempre con
er non annoiar gli uditori, s’imitan sempre con più brevità di quella
che
verisimilmente soffrono i veri ragionamenti; e qu
lla che verisimilmente soffrono i veri ragionamenti; e quindi avviene
che
in tre ore al più si discorrono in scena materie
e quindi avviene che in tre ore al più si discorrono in scena materie
che
non si digerirebbero in otto, anzi in più ore di
del poeta il cangiare in voce il pensamento di un personaggio, allora
che
l’introduce solo a discorrere; e per me credo che
personaggio, allora che l’introduce solo a discorrere; e per me credo
che
questa sia una di quelle libertà che dal teatro v
olo a discorrere; e per me credo che questa sia una di quelle libertà
che
dal teatro vengano liberalmente permesse. [3.25ED
tro vengano liberalmente permesse. [3.25ED] Permette dunque il teatro
che
un attore, il qual dovria parlar da se stesso, in
teatro che un attore, il qual dovria parlar da se stesso, in maniera
che
l’altro attore non l’udisse, perché così vogliono
no i suoi interessi, parli con voce più bassa, ma non però così piano
che
il popolo non l’ascolti; se il popolo, che è più
sa, ma non però così piano che il popolo non l’ascolti; se il popolo,
che
è più lontano, dee udirlo, tanto l’udirà maggiorm
o, che è più lontano, dee udirlo, tanto l’udirà maggiormente l’attore
che
è più vicino; ma perché in altra guisa non si pot
sa in disparte colui, di buona voglia ci siamo avvezzi ad immaginarci
che
l’attore non debba ascoltare quello che noi ascol
siamo avvezzi ad immaginarci che l’attore non debba ascoltare quello
che
noi ascoltiamo ed, in grazia della necessità, ass
nterlocutore da questo inevitabile inconveniente. [3.26ED] Ben è vero
che
allora il discorso in disparte dee esser brevissi
perché o fosse borbottare o fosse mero pensare quello del personaggio
che
col personaggio compagno sta poi per altro parlan
nsar lungamente a tutt’agio. [3.28ED] Per queste ragioni non è facile
che
io m’arrenda a coloro che han per costume di ride
o. [3.28ED] Per queste ragioni non è facile che io m’arrenda a coloro
che
han per costume di ridersi di tutto quello ch’ess
i tutto quello ch’essi non fanno se tu non ti metti dal loro partito,
che
allora comincerò a credere essere il partito dell
venga abbracciato. — [3.29ED] — Io ti ricordo — replicò il vecchio —
che
nacqui greco e che ho qualche superbia della mia
— [3.29ED] — Io ti ricordo — replicò il vecchio — che nacqui greco e
che
ho qualche superbia della mia patria, e che non h
chio — che nacqui greco e che ho qualche superbia della mia patria, e
che
non ho men vanità de’ Franzesi nel vantar tragici
a mia patria, e che non ho men vanità de’ Franzesi nel vantar tragici
che
sono i vostri esemplari. [3.30ED] E però nelle vo
comincio a piegare al tuo partito, purché ciò sia a condizioni il più
che
si può ragionevoli. [3.31ED] Io rammento che nell
sia a condizioni il più che si può ragionevoli. [3.31ED] Io rammento
che
nell’Aiace di Sofocle questo sfortunato eroe parl
brevi negli Orazi del Cornelio, ed uno ancor nel suo Cid, per quello
che
su due piè mi sovviene, sicché di esempli a tuo f
é di esempli a tuo favore non si scarseggia. [3.32ED] Ma certa cosa è
che
la scena appresso di noi compariva sempre guernit
parlasse. [3.33ED] Noi piantavamo in scena una certa razza di popolo
che
alle volte s’instatuiva alle bande, ed allora pot
volte s’instatuiva alle bande, ed allora poteva ben cicalare l’attore
che
l’uditorio dovea immaginarsi che quello parlasse
allora poteva ben cicalare l’attore che l’uditorio dovea immaginarsi
che
quello parlasse da sé e che parlasse in maniera c
l’attore che l’uditorio dovea immaginarsi che quello parlasse da sé e
che
parlasse in maniera che coloro non lo potessero m
dovea immaginarsi che quello parlasse da sé e che parlasse in maniera
che
coloro non lo potessero mai ascoltare; quando poi
o non lo potessero mai ascoltare; quando poi tornava bene alla favola
che
coloro ascoltassero e che non vi era altro attore
oltare; quando poi tornava bene alla favola che coloro ascoltassero e
che
non vi era altro attore, allora questi con una cr
nza da Greci entravano in mezzo ed interrogavano e rispondevano, cosa
che
, mentre si viveva alla buona, non offendea, ma ch
rispondevano, cosa che, mentre si viveva alla buona, non offendea, ma
che
ora riporterebbe da voi puntigliosi una sdegnosa
zione e abusivamente detto ancor tale o semitale nelle altre, essendo
che
nella seconda non è che un supplemento d’interloc
to ancor tale o semitale nelle altre, essendo che nella seconda non è
che
un supplemento d’interlocutori e nella prima non
seconda non è che un supplemento d’interlocutori e nella prima non è
che
un numero di genti mute che voi popolarmente deno
mento d’interlocutori e nella prima non è che un numero di genti mute
che
voi popolarmente denominate ‘comparse’. [3.35ED]
i popolarmente denominate ‘comparse’. [3.35ED] Questo popolo adunque,
che
sempre trovavasi in scena, non impediva con la su
scena, non impediva con la sua presenza i soliloqui perché, se color
che
parlavano fisicamente non erano soli, moralmente
almente erano e fisicamente parlavano da sé soli. [3.36ED] Ben è vero
che
l’empiere di questi soliloqui le tragedie è poi v
e; ed è affatto insoffribile l’introdurli freddi e senza quel diletto
che
appunto o dall’imitazione di ciò che in quel caso
urli freddi e senza quel diletto che appunto o dall’imitazione di ciò
che
in quel caso veracemente avverrebbe o dallo scopr
cculto animo altrui ci risulta; e, se mal non giudico o qualche genio
che
ho per te non mi accieca, per quanto ho letto le
le tue tragedie, non hai da pentirti né de’ tuoi soliloqui né di quel
che
chiami sceneggiamento. — [3.37ED] — Siasi questa
issime, e pure ne’ vostri argomenti se ne conoscono i fonti, in guisa
che
noi, imitando le tragedie sì di Sofocle che di Eu
noscono i fonti, in guisa che noi, imitando le tragedie sì di Sofocle
che
di Euripide v’introduciamo agevolmente gli amori,
. [3.39ED] L’amore è una passione così viva e così gentile ed antica,
che
non poté esser incognita a’ vostri bravi poeti; e
l suo fuoco e nel suo maggior lume, siccome fassi oggidì? [3.40ED] Tu
che
hai lette le belle opere del Cornelio e del Racin
ti sarai sentito muovere a tenerezza dall’espressioni non meno grandi
che
amorose de’ loro attori: sono iti questi due famo
di quest’affetto e si son serviti di essa per muoverlo con tal forza
che
nelle loro tragedie piangono gli attori, che pur
r muoverlo con tal forza che nelle loro tragedie piangono gli attori,
che
pur sanno di fingere; piangono gli uditori, che p
piangono gli attori, che pur sanno di fingere; piangono gli uditori,
che
pur sanno di udir cosa finta; ma gli uni e gli al
scordano di se stessi e la imitazione del vero ad essi par così vero
che
in lor produce il medesimo effetto, siccome in un
produce il medesimo effetto, siccome in un passionato amante succede
che
ei parli al ritratto della sua donna freneticando
uccede che ei parli al ritratto della sua donna freneticando e, quasi
che
abbia avanti degli occhi l’originale, vi piange s
i smania. — [3.41ED] — Gran corda è cotesta — ripigliò l’Impostore —
che
tu mi tocchi; e tu puoi ben esser certo che la pa
— ripigliò l’Impostore — che tu mi tocchi; e tu puoi ben esser certo
che
la passione amorosa non era incognita a’ nostri p
e, Saffo ed altri lirici (trattone il severissimo Pindaro) conoscerai
che
questo affetto pizzicava ben vivamente l’animo de
ffetto pizzicava ben vivamente l’animo de’ nostri maggiori, tanto più
che
il nostro clima è assai più adatto che il vostro
de’ nostri maggiori, tanto più che il nostro clima è assai più adatto
che
il vostro agl’incentivi amorosi. Contuttociò i1 g
nell’epopeia, Sofocle ed Euripide nella tragedia, se ne sono, il più
che
han saputo, astenuti. [3.43ED] Tu vedi Achille sd
a Calipso in Omero, fonti inesiccabili di tenerezze amorose, ma parrà
che
ti si mostrino i fonti per farti crescer la sete,
quest’ardente passione. [3.45ED] Ora per nostra difesa tu dei sapere
che
l’amore di noi altri Greci non era già una passio
di noi altri Greci non era già una passione inferiore alla vostra, ma
che
l’espressioni amorose erano molto diverse e tali
nissimi accoppiamenti. [3.47ED] Se vuoi vederne la differenza non hai
che
a confrontare l’Ippolito d’Euripide e la Fedra de
diano in preda al desio dell’incestuoso adulterio. [3.48ED] Quindi è
che
, non avendo noi mai avuti cotesti vostri princìpi
vendo noi mai avuti cotesti vostri princìpi di parlar d’amore in modo
che
la pubblica onestà ne potesse esser contenta, ce
guardati. [3.49ED] Né ci ha punto cangiati di proposito quel Platone
che
in oggi col di lui nome coonesta le vostre corris
vostre corrispondenze amorose. [3.50ED] Il mio maestro ebbe in mente
che
la propagazione di se stesso fusse il vero fine d
ente che la propagazione di se stesso fusse il vero fine dell’amore e
che
l’unione ne fusse il mezzo; ma siccome due manier
ce sempre l’amore o sia l’amicizia, e questa è unione per sé sterile,
che
nulla propaga se non trae seco per l’una parte qu
questa è comune anche a’ bruti siccome all’uomo e alla donna, se non
che
ne’ bruti supplisce all’unione degli animi ragion
anch’essa propaga le cognizioni dell’un intelletto nell’altro, senza
che
cosa alcuna esca visibilmente da tale accoppiamen
isibilmente da tale accoppiamento intellettuale. [3.56ED] E non è già
che
questa union d’intelletti non possa avvenir fra l
fra l’uomo e la donna, ma perché può essere frastornata dalla natura
che
aspira all’unione principalmente de’ corpi, crede
a e l’un intelletto propaga nell’altro le proprie cognizioni, di modo
che
la propagazione si va raddoppiando a vicenda sì n
di modo che la propagazione si va raddoppiando a vicenda sì nell’uno
che
nell’altro oggetto amante ed amato egualmente. [3
to alla libidine, non si è voluto per noi rappresentar nelle tragedie
che
aspettano il ‘viva’ dal popolo, incapace d’applau
gedie che aspettano il ‘viva’ dal popolo, incapace d’applaudere a ciò
che
per esser raro e maraviglioso esce al suo credere
tri avete ne’ vostri amori rappresentati fra uomo e donna una fortuna
che
noi non avemmo, e questa è la religione. [3.61ED]
one. [3.61ED] La religione vi vieta gli accoppiamenti illegittimi, lo
che
vi fa molto cauti ne’ vostri amoreggiamenti; ma p
reggiamenti; ma perché il senso d’altra parte è lo stesso ne’ moderni
che
fu negli antichi, avete pensati modi di parlare d
ell’amor sensuale fra uomo e donna con onestà, attraendo i sentimenti
che
proferite dalla bassezza e dalla lascivia, di mod
o i sentimenti che proferite dalla bassezza e dalla lascivia, di modo
che
le vostre eroine favellan d’amore senza cagion d’
e e rendon sì bella e sì pura questa per sé fecciosa e vile passione,
che
dove prima era macchia ora diventa ornamento. [3.
reca) e i moderni franzesi nelle tragedie hanno un linguaggio d’amore
che
in nulla si scosta dall’onestà, o se talor se ne
e talor se ne scosta, ciò si tollera rappresentato in que’ personaggi
che
il poeta vuol far comparir gastigati in pena del
3.63ED] Ma questa fuga dell’antica colpa degenera in vizio ogni volta
che
l’epico e il tragico o troppo raffinino i loro pe
te l’abbrucia. [3.66ED] Quello dell’amore è un fuoco di maggior lume,
che
non è sì violento ne’ suoi principi, onde più abb
lento ne’ suoi principi, onde più abbaglia e meno tormenta, anzi pare
che
diletti; quindi è che ne’ personaggi tragici la p
i, onde più abbaglia e meno tormenta, anzi pare che diletti; quindi è
che
ne’ personaggi tragici la passione dell’ira che g
che diletti; quindi è che ne’ personaggi tragici la passione dell’ira
che
gli trasporta non ispicca tanto che copra sotto d
aggi tragici la passione dell’ira che gli trasporta non ispicca tanto
che
copra sotto di sé il carattere principale, a cui
pettava un eroe, mi rappresentate un amante. [3.68ED] Aggiungi ancora
che
tutte le altre passioni servono a formare il cara
servono a formare il carattere d’un personaggio, ma l’amore non serve
che
a rovinarlo; imperocché lo sdegno (per parlar di
a rovinarlo; imperocché lo sdegno (per parlar di una delle più forti)
che
nasce dall’irascibile, essendo più nobile dell’op
) che nasce dall’irascibile, essendo più nobile dell’opposta passione
che
, con tutte le vostre meditazioni magnifiche, nasc
ele o d’un ambizioso o d’un politico, e, per così dire, gli dà non so
che
di spirito che più lo rileva, ma non così l’altro
zioso o d’un politico, e, per così dire, gli dà non so che di spirito
che
più lo rileva, ma non così l’altro affetto, che t
non so che di spirito che più lo rileva, ma non così l’altro affetto,
che
troppo si oppone alle massime costitutive degli a
sime costitutive degli accennati caratteri. Io paragono l’ira a colui
che
, non avendo fortune corrispondenti alla chiarezza
lla chiarezza del sangue illustre, va così altiero del suo nascimento
che
non manca perciò di rispetto verso di chi lo lasc
ragono l’amore de’ vostri tragici a quel plebeo follemente arricchito
che
, nato dalla feccia del volgo, con tutte le distin
he, nato dalla feccia del volgo, con tutte le distinzioni ed i titoli
che
a lui dona o gran fortuna o gran principe, non pu
i favori gli dan baldanza e gli accrescano lena, si fa così temerario
che
non solo sprezza e soverchia i suoi pari, ma perd
maggiori. [3.69ED] Bisogna dunque illustrar quest’amore, ma non tanto
che
perda affatto la conoscenza della sua nascita e c
ore, ma non tanto che perda affatto la conoscenza della sua nascita e
che
mentisca la concupiscibile d’esser sua madre, alt
assione. [3.70ED] Così non fusse. [3.71ED] Eccoti quel gran Mitridate
che
, dopo aver tenuto fronte a’ Romani, battuto dalla
ente smarrito della disgrazia, si fa vedere nella reggia di Ponto più
che
mai tremendo a’ Romani. [3.72ED] Io l’ammiro, ma
Romani. [3.72ED] Io l’ammiro, ma se il tuo diletto Racine, nell’atto
che
quegli sta agitando così terribil vendetta, me lo
are di lui figlio, questa viltà di passione me lo disfà più di quello
che
l’han disfatto i Romani, e d’un terribile vecchio
verità, onde posso anche dir male in qualche cosa de’ tuoi Franzesi,
che
per altro venero e stimo e al par di te e più di
ben campo all’amore di spaziarsi in quella tragedia, non si contenta
che
Fedra ami Ippolito, ma vuol di più: che Ippolito
lla tragedia, non si contenta che Fedra ami Ippolito, ma vuol di più:
che
Ippolito ami anche Ariccia. [3.77ED] Ecco dunque
ane casto, quanto nella preoccupazione del genio innocente e amoroso,
che
aveva per Ariccia; ed eccovi con questo amore dim
enza nulla contien di mirabile né si dà merito di virtù all’astinenza
che
è cagionata dalla sazietà di cibo migliore. [3.78
d averebbe accresciuta la di lui virtù col farlo disprezzatore di ciò
che
amava, giacché non poteva amare con onestà. [3.79
gliono in ogni maniera ficcare e ve lo ficcano e lo dilatano in guisa
che
distruggono il grande ed il generoso de’ loro car
o caratteri. — [3.80ED] — Ma pure — io interrompeva — non può negarsi
che
aride come (perdona al vero) le vostre sarebbero
e come (perdona al vero) le vostre sarebbero le nostre tragedie senza
che
questa bella passione le rinverdisse. — [3.81ED]
ndo non voglia tu contar per uno di questi amori l’amor della patria,
che
nel tuo Procolo più tosto nasce dall’irascibile c
mor della patria, che nel tuo Procolo più tosto nasce dall’irascibile
che
dalla concupiscibile? [3.82ED] E poi chi condanna
D] E poi chi condanna gli amori? Condanno il dar troppo ad un affetto
che
da se stesso se ne usurpa dipoi altrettanto. [3.8
[3.83ED] Nell’Ifigenia hai posta in scena una vergine innamorata, ma
che
però preferisce il pregio della verginità alla su
: per questa tua condotta ne’ quattro drammi accennati hai tu sentito
che
ti si facciano le fischiate? [3.86ED] Ma nella Pe
i dunque con la prima massima il tuo teatro e non caderai nel difetto
che
sin ad ora ho perseguitato io ne’ moderni, né in
l difetto che sin ad ora ho perseguitato io ne’ moderni, né in quello
che
tu perseguiti negli antichi. — [3.88ED] — Io non
’amore non mi guadagni la briglia nelle tragedie; ma egli è però vero
che
di quest’affetto ho avuto in animo di servirmi co
vile degli altri suoi pari venga elevato; il restante della famiglia,
che
lo vede far da signore sul suo signore, questo di
to disprezza e quello quasi venera ed ubbidisce. [3.89ED] Egli è uopo
che
il valletto sia sempre valletto e che sempre per
ubbidisce. [3.89ED] Egli è uopo che il valletto sia sempre valletto e
che
sempre per tale e dal padrone e da’ famigli si ri
oderne tragedie, e questo è un sentimento di qualche erudito franzese
che
, in udire opporsi da me questi soverchi infocamen
rchi infocamenti amorosi alle tragedie della sua patria, rispose cosa
che
mi arrestò e che arrestar te potrebbe quand’ella
amorosi alle tragedie della sua patria, rispose cosa che mi arrestò e
che
arrestar te potrebbe quand’ella sia vera. [3.91ED
potrebbe quand’ella sia vera. [3.91ED] Diceva dunque il buon monsieur
che
presentemente il nostro teatro è assai diverso da
nto si astenevano dal teatro quant’or lo riempiono. [3.92ED] Quindi è
che
la donna, come violentemente a quest’affetto incl
la donna, come violentemente a quest’affetto inclinata e come quella
che
rare volte da passioni più rilevanti preoccupata
nodrirli con sobrietà, dimodoché non facciano di quelle dell’ellera,
che
tanto d’umore sugge dall’albero il quale la nudre
le dell’ellera, che tanto d’umore sugge dall’albero il quale la nudre
che
arriva ingrata a seccarlo. [3.93ED] Così viensi a
i ad ottener l’utile del moderar la passione, trattandola nelle guise
che
van d’accordo con l’onestà, e si conseguisce l’ap
onestà, e si conseguisce l’applauso e il compiacimento dell’uditorio,
che
per la maggior parte è di femmine. — [3.94ED] — F
o ha fatta tacere la disputa; ma non avrebbe già convinto Aristotile,
che
ha visto il teatro greco ed il teatro latino folt
il teatro greco ed il teatro latino folti di donne non meno di quello
che
sien oggi il franzese, l’italiano, lo spagnuolo,
e medesime destinato. [3.96ED] Ma, perché si parla del greco, non vo’
che
tu creda alla mia parola, perché ritorceresti con
on vo’ che tu creda alla mia parola, perché ritorceresti contro di me
che
ti parlo la mia sentenza; diresti almen fra te st
ontro di me che ti parlo la mia sentenza; diresti almen fra te stesso
che
all’impostura ci vuoi franchezza nell’asserire, e
n fra te stesso che all’impostura ci vuoi franchezza nell’asserire, e
che
io già sono impostore. [3.97ED] Credilo per lo me
che io già sono impostore. [3.97ED] Credilo per lo meno al Bulingero,
che
scrive: «Athenis mulieres, et hospites spectabant
o — seguia l’Impostore —, e quante cose ho io pronunciate con termini
che
non significano nulla? [3.102ED] Noi altri filoso
di per politica e per ambizione; ma quella venerazione degl’ignoranti
che
ci pubblicava quasi uomini che avessero che far c
; ma quella venerazione degl’ignoranti che ci pubblicava quasi uomini
che
avessero che far con gli dii, ci metteva in una s
enerazione degl’ignoranti che ci pubblicava quasi uomini che avessero
che
far con gli dii, ci metteva in una stravagantissi
na stravagantissima soggezione ed era di rispondere a tutto quello di
che
interrogavano, e molte volte interrogavan di cose
a di filosofo non potea per verun conto rispondere. [3.103ED] Allora,
che
doveva farsi per un mio pari ch’era filosofo e co
] Il mezzo termine per uscirne era appunto l’invenzione di un termine
che
nulla significasse, ma che nell’oscurità mostrass
rne era appunto l’invenzione di un termine che nulla significasse, ma
che
nell’oscurità mostrasse involvere arcani, ed io f
unamento degli occhi loro e de’ folli applausi delle lor lingue a ciò
che
né essi né io intendevamo. [3.106ED] Ma il mio pu
ompassione non è in questa sfera, e son obbligato all’interpretazione
che
in ciò ha data al mio testo l’eruditissimo abate
ssioni, facendo ch’ei si scarichi sovra oggetti finti della tristezza
che
lo divora. [3.108ED] Nella maniera che una musica
oggetti finti della tristezza che lo divora. [3.108ED] Nella maniera
che
una musica malinconica solleva e toglie la nostra
critto, posso ora interpretare quella espressione diversamente da ciò
che
allora sentii. [3.109ED] Gli affetti nostri ci po
o io fondato sull’idea la più generale delle nostre antiche tragedie,
che
è di esporre sul palco prìncipi sventuratamente c
giato nella maggior parte dell’universo e per questo conto può essere
che
i nostri vecchi argomenti potesser piacer tuttavi
narca nulla inferiore ad Augusto. [3.113ED] Tu ascolterai certe leggi
che
han renduto questo regno indomabile alle maggiori
te di esse nasce dalla mente di questo Luigi XIV, detto il Grande, ma
che
potria dirsi il massimo di tutti i re della terra
a dirsi il massimo di tutti i re della terra. [3.114ED] È lungo tempo
che
io vedo monarchi; ho veduto Alessandro, Cesare, O
onarchi; ho veduto Alessandro, Cesare, Ottaviano e Traiano, ma non so
che
di più ancora osservo nel gran Luigi. [3.115ED] G
bliche. [3.116ED] E benché possa dirsi lo stesso di molte nazioni, io
che
ho già camminati tutti i paesi sin ora scoperti d
dagli uomini, mi ho eletto questa per lasciar le mie ossa in un regno
che
fra tutti quanti mi è parso il più florido, il pi
questa parte — io risposi — e tanto maggiormente io l’approvo quanto
che
son bolognese. Io vanto un monarca che nel manegg
ggiormente io l’approvo quanto che son bolognese. Io vanto un monarca
che
nel maneggio delle cose celesti appar così grande
ero, così le cure ne son differenti, perché il mio principe ha quelle
che
convengono ad un viceddio, il quale presiede in t
gono ad un viceddio, il quale presiede in terra alle divine ragioni e
che
parla il linguaggio dello Spirito Santo ne’ suoi
acoli. [3.119ED] E quelle del re di Francia convengono ad un regnante
che
presiede alle umane ragioni e mantiene col peso d
fari de’ sudditi. [3.121ED] La mia patria si truova ancor così libera
che
appena s’accorge aver principe, massime sotto il
l fine politico della tragedia e giovare al pubblico per altre strade
che
per quelle del rendere odiosa la monarchia. [3.12
per quelle del rendere odiosa la monarchia. [3.125ED] Converrà perciò
che
dalle tragedie si cavi qualche profitto morale ch
D] Converrà perciò che dalle tragedie si cavi qualche profitto morale
che
riguardi la buona educazion de’ figliuoli, la fed
ed altre divise un’esemplare virtude e col mostrar gastigato il vizio
che
se le oppone. [3.126ED] E perché tanto più spicca
ente dall’imbarazzo di dover distinguer tutte le sorte de’ personaggi
che
compongono l’azione di un tragedia. [3.127ED] Ma
rio il nostro ragionamento. [3.128ED] Tu non rivedrai questo Impostor
che
a Parigi. [3.129ED] Già siamo fuori della galera
e mercantile città valse a ricrearmi. [4.2ED] Altro sollievo non ebbi
che
il soggiornare sovra una lieta collina presso a u
na chiesa divota dedicata alla Vergine detta delle Forviere, eminenza
che
signoreggia tutta quanta la terra e le ville, e m
va appunto di starmi sul nostro colle di San Michele in Bosco, se non
che
dal nostro non si veggono come nel piano di Lione
con immense e larghe contrade, tutte bollenti di popolo e di carrozze
che
volano ritto e a traverso, dando la fuga a’ pedon
pedoni. [4.6ED] Quivi, o alberghi o non alberghi la povertà, certo è
che
non s’incontra se non in apparenza di ricchezza e
tra se non in apparenza di ricchezza e di fasto. [4.7ED] Le botteghe,
che
sono in numero quattro volte maggior delle case,
volte maggior delle case, fanno di sé medesime una scena assai vaga,
che
ad ogni passo si cangia e nella quale gli attori
bbigliate; e qui conobbi la sterminata possanza di questo gran regno,
che
se altra città non avesse come ne ha tante potreb
stituirne de’ nuovi non meno formidabili e numerosi. [4.8ED] Confesso
che
questa aspettata, ma sempre maggiore grandezza di
a aspettata, ma sempre maggiore grandezza di cose mi oppresse in modo
che
mi riempiè di se stessa e per qualche giorno poco
o mi ricordai d’Aristotile e meno della tragedia, e, come un assetato
che
vorrebbe, allorché arriva ad un fonte, tutto in u
oraggio reale. [4.9ED] Ivi monsignor Bentivoglio nunzio apostolico e
che
, eguagliando l’altezza del suo nascimento con que
fra verdure costrette a far di sé logge, portici, teatri e tutto ciò
che
di grande e di vago può inventare la prospettiva
ulando la famigliare sua vastità ma imitando appunto la Mente eterna,
che
non men grande apparisce nel lavoro terribile del
erna, che non men grande apparisce nel lavoro terribile dell’elefante
che
in quello della breve, leggera e dipinta farfalla
nche nel piccolo e vago palagio di sua residenza e negli altri minori
che
gli fanno ala fa comparir chi è Luigi. [4.12ED] R
arlerei anche, per così dire, se non mi fosse stato per essi risposto
che
aspettassi sino all’aver veduto Versaglie per fin
non mi fossi a caso incontrato in un cartello affisso ad una colonna
che
m’indicava rappresentarsi nel vicino teatro l’Ifi
lla curiosità di trovarmi ad una tragedia franzese e massime a questa
che
è delle più rinomate del mentovato poeta. [4.14ED
entre stavansi per un servo accendendo le dodici lampane di cristallo
che
illuminavan la scena, sento tirarmi il mantello e
— Figliuolo, sta ben composto perché questa per altro allegra nazione
che
tu hai veduto per le vostre contrade d’Italia can
ière. [4.17ED] Goditi questa tragedia e quella commedia, e assaggiate
che
avrai queste due, nel seguente giorno ti porterai
vi cantato e rappresentato. — [4.18ED] — Domattina — io risposi — vo’
che
l’alba mi truovi in Versaglie per dare un’occhiat
saglie per dare un’occhiata a quella reale villeggiatura, non sì però
che
non sia per avermi il teatro all’Anfitrione. [4.1
trovarti agl’Invalidi, là parleremo con libertà dell’opera in musica,
che
ha qualche rassomiglianza con la tragedia e che,
dell’opera in musica, che ha qualche rassomiglianza con la tragedia e
che
, secondo l’opinion di coloro che pensano tutto es
che rassomiglianza con la tragedia e che, secondo l’opinion di coloro
che
pensano tutto essersi cantato nelle greche traged
or di proposito il favellarne, poiché nulla tu vuoi trascurare di ciò
che
differenzia l’antica dalla moderna tragedia. [4.2
D] Intanto oggi, dopo l’Ifigenia, mi vedrai nel caffè di Ponte nuovo,
che
per tua notizia è il caffè de’ poeti: ivi conosce
istretta, di cui mi sarei servito io per esempio assai più volentieri
che
dell’originale greco nella Poetica, se come Omero
già stato più secoli avanti di me, così almeno fosse vissuto al tempo
che
io scrissi M.r de la Motte. [4.22ED] Capistron po
discorreremo unicamente del verso franzese e fra qualche giorno, dopo
che
avrai gustata la rappresentazione della commedia
gomito su l’orchestra a veder uscire Agamennone. [4.26ED] Le due ore
che
si consumarono in quello spettacolo mi parvero du
in quello spettacolo mi parvero due momenti, tanta era la contentezza
che
io aveva di trovarmi ad esso presente, e mi risco
ezzo da una superba statua a cavallo rappresentante Enrico il Grande,
che
fa dall’elevato suo piedestallo di sé prospettiva
e, che fa dall’elevato suo piedestallo di sé prospettiva a due strade
che
sul bel mezzo del medesimo ponte diramansi, a piè
rovai quel rinomato caffè contrassegnatomi dalla presenza del vecchio
che
da’ cristalli della facciata vidi con occhio capr
giuocava e de’ discorsi poetici in cui riscaldavansi i nominati poeti
che
ad uno ad uno mi furono brevemente fatti conoscer
ro, e immediatamente Aristotile addimandommi del verso e dell’effetto
che
udito in bocca di quegli attori avea prodotto nel
esta risposi: [4.30ED] — Io veramente all’udirlo non ho trovata cosa
che
me l’abbia fatto apparire molto diverso da quello
ho trovata cosa che me l’abbia fatto apparire molto diverso da quello
che
io me l’era già figurato in leggendolo e in disco
mi pento dell’avere in simil guisa rimate le mie tragedie, con tutto
che
questa nuova sorta di verso italiano abbia eccita
atria. [4.31ED] Io temeva bensì di qualche fracasso, ma non di quello
che
ormai comincia ad assordarmi, perché io credeva i
armi, perché io credeva in questa parte i miei giudici men passionati
che
ragionevoli. [4.32ED] Io già prefisso mi era che
udici men passionati che ragionevoli. [4.32ED] Io già prefisso mi era
che
avrebbero riso di mia presunzione in voler vender
so quanto vaglia appresso di noi il seguir più tosto l’esempi altrui
che
il farsi esemplare, se non per altro almen per so
lceste confessai di averne derivata la moda da certo Ciullo del Camo,
che
fu uno de’ nostri antichi poeti, appunto celebre
anta ostinazione la maggior parte han disapprovato la nuova (e vedete
che
nuova!) invenzione del verso senz’armonia e con t
udire, caro Aristotile, maggior sciocchezza di questa? [4.35ED] Quasi
che
fra il verso franzese ed il mio non sia notabile
franzese ed il mio non sia notabile differenza, sì nella disposizione
che
nella misura. [4.36ED] Ma o costoro non hanno let
oro non hanno letto la dissertazione proemiale o pure non l’hanno (lo
che
non vorrei credere) intesa. [4.37ED] Alcuni altri
o che non vorrei credere) intesa. [4.37ED] Alcuni altri han soggiunto
che
quel mio verso così rimato non può recitarsi senz
ar le orecchie degli ascoltanti. [4.38ED] Né ha giovato il rispondere
che
in varie città dell’Italia sia stato udito con pl
pondere che in varie città dell’Italia sia stato udito con plauso, né
che
il famoso Luigi Riccobuoni (dovendosi molto in qu
rdendo il verso delle tragedie, sopprimerne la lettura, certi di loro
che
han fatto il viaggio di Francia, conchiudono che
ttura, certi di loro che han fatto il viaggio di Francia, conchiudono
che
le rime franzesi nella maniera del recitare di qu
i vengono a ferire sfacciatamente nel timpano dell’udito: circostanza
che
io non potea dicifrare per non averne avuto esper
he io non potea dicifrare per non averne avuto esperienza, ma in oggi
che
, la Dio mercé, mi son trovato con le orecchie tes
é, mi son trovato con le orecchie tese a questa tragedia, ti assicuro
che
ho benissimo distinto le rime e che invece di sta
se a questa tragedia, ti assicuro che ho benissimo distinto le rime e
che
invece di stancarmi di questa lor consonanza me n
nanza me ne sono, oltre ogni credere, compiaciuto. [4.39ED] Ora da te
che
non sei né italiano (cred’io) né franzese, vorrei
ciuto; e se maggior maestà e gravità conterrebbe sì il verso franzese
che
il mio se o con rime frequenti o senza veruna sor
e rimate elle sieno. — [4.40ED] A questo discorso, mostrommi i denti,
che
conservava anche interi, ridendo il buon vecchier
isurato da sei piedi, parte dattili e parte spondei, con questa legge
che
da uno dattilo con uno spondeo che a quello succe
e parte spondei, con questa legge che da uno dattilo con uno spondeo
che
a quello succeda sia terminato. [4.42ED] Ma di un
4.42ED] Ma di una parlando, avrò parlato di tutte le sorte de’ versi,
che
tutte sotto una stessa ragione convengono. [4.43E
nostri dattili e i nostri spondei facea conoscere quella tal quantità
che
voi adesso non conoscete se non coll’indizio e co
esso non conoscete se non coll’indizio e colla guida di quelle regole
che
su l’esempio de’ poeti vi siete formati con quell
quelle regole che su l’esempio de’ poeti vi siete formati con quella
che
chiamate voi prosodia. [4.44ED] Al vostro orecchi
amate voi prosodia. [4.44ED] Al vostro orecchio suona lo stesso umida
che
liquida (meglio mi par teco usare gli esempi lati
) ma alle nostre sonava diversamente e ben capivano dal sol recitarle
che
l’uno era dattilo e l’altro tribraco, siccome voi
do e infìdo; e pure, se si perdesse la lingua italiana ora viva, quei
che
venissero non potrebbero giudicare della diversa
della diversa quantità di queste parole, se non per via di una regola
che
lor bisognerebbe inventare per discernere dove la
cciolate in errori di quantità, componendo versi o greci o latini; lo
che
a’ nostri poeti era, per così dire, impossibile;
rsi del nostro Virgilio — ; e recitommi la proposizione di quel poema
che
io malagevolmente in bocca sua intesi, tanto era
suo pronunciare dal nostro; ma ben compresi un’armonia più compita e
che
appunto mi facea sentire e distinguere la quantit
a. [4.49ED] Il verso, dunque, essametro, non con altra legge composto
che
con quella che ho detto di sopra, scorreva con un
verso, dunque, essametro, non con altra legge composto che con quella
che
ho detto di sopra, scorreva con una necessaria ar
Latino senz’esser poeta o facitor di versi per recitarlo in un tuono
che
non poteva non esser musico e dolce. [4.50ED] Pas
i versi italiani e prendiam quelli dell’Italia liberata del Trissino,
che
son senza rima, e diamoli un po’ a recitare ad un
a, e diamoli un po’ a recitare ad una zitella, o fiorentina o romana,
che
per altro pronunciando giustamente i vocaboli, no
dove i periti si fermano recitando, rompe affatto il tuono del verso
che
voi endecasillabo nominate. [4.52ED] Tu rideresti
te. [4.52ED] Tu rideresti adunque, ma non riderebbe già un cortigiano
che
mai letti versi non avesse, ma d’esquisita prosa
nti; e solamente giudicheria delle frasi un po’ baldanzose e rilevate
che
quella prosa (e pur saria verso) non fosse candid
e in quello: Nemica naturalmente di pace. [4.56] Fatta questa prova
che
vi riuscirà quale io dico, fatene un’altra. [4.57
e posate, vi storpi il verso, non però potrà tanto in lei l’imperizia
che
il cortigiano prosaico non s’accorga alla corrisp
anza ancor di periodo viene interrotta parecchie volte dal sentimento
che
conduce l’un verso ad entrare in parte dell’altro
l’altro susseguente; formiamo dunque così l’argomento: quello è verso
che
ha una sostanziale armonia inseparabile dal medes
D] Il verso italiano senza rima si può recitar punteggiato in maniera
che
altri non vi conosca il numero armonioso. [4.63ED
ssa proposizion generale un altro argomento e diciamo: quello è verso
che
ha una sostanziale armonia inseparabile dal medes
4.66ED] Dunque il verso italiano rimato è verso. [4.67ED] Io crederei
che
tu mi dovessi tutto concedere quando tanto nell’u
ti questi due argomenti, insorgerò nella seguente maniera: per quello
che
mi è concesso, quello è verso che ha una essenzia
nella seguente maniera: per quello che mi è concesso, quello è verso
che
ha una essenziale armonia inseparabile dallo stes
ta dal genio tuo l’incontrerà questa volta; dalla qual cosa ricaverai
che
il verso greco e latino hanno per anima dell’armo
l’anima del verso italiano è la rima. [4.74ED] Né il solo ritmo opera
che
il verso sia verso, essendo il ritmo ancor comune
ionarla, ma un deformarla; e Marco Tullio intende tanto perfezionarla
che
anzi vorria ridurla all’idea, e vorria costituire
i derivato da un mio sentimento, essendo uopo, secondo l’opinion mia,
che
la prosa abbia il ritmo, ma non già il metro, per
sum in oratione vetat esse, numerum jubet.» [4.77ED] Il ritmo dunque,
che
rende armoniosa l’orazione disciolta, non basta a
da essa l’orazion legata italiana, quando non vi si aggiunga la rima,
che
sostanzialmente dalla prosa il verso italiano dis
stri gravissimi autori, ch’ella porge agli orecchi ben purgati è tale
che
i versi sciolti a lato ai rimati se ben sono non
o averti assai persuaso; e mostrò il vostro Bembo di concepir anch’ei
che
la rima fosse la sostanziale forma dell’armonia n
o italiano, pronunciando: «le rime graziosissimo ritrovamento si vede
che
fu per dare al verso volgare armonia e leggiadria
ì verso impropriamente e di solo nome sarebbe. — [4.81ED] Poco mancò,
che
io non baciassi il mio gobbo, tanto solleticavami
ze, poiché tu sostieni con tanta costanza la mia; né certamente credo
che
a tue ragioni possan resistere le contrarie quant
ere le contrarie quantunque ostinate opinioni. [4.83ED] Ma dato ancor
che
debba ammettersi nella tragedia la rima, pretende
dato ancor che debba ammettersi nella tragedia la rima, pretenderassi
che
questa più naturalmente risuoni alternata e che n
a rima, pretenderassi che questa più naturalmente risuoni alternata e
che
non entri con sì soverchia e nauseante dolcezza a
da’ Greci né da’ Latini nelle loro tragedie. [4.85ED] Ben è però vero
che
il mio verso non è così pertinace come è il verso
sto dal ritmo, supponendo io, secondo la sentenza di Mario Vittorino,
che
: «metrum sit quaedam compositio, rythmus autem te
cor Diomede trascritto da Beda. [4.87ED] Con questa ragion mi lusingo
che
a’ miei versi, che in verità sensibilmente l’uno
tto da Beda. [4.87ED] Con questa ragion mi lusingo che a’ miei versi,
che
in verità sensibilmente l’uno dall’altro son diff
nti, sia bensì necessaria la rima per compiere con essa quell’armonia
che
non è perfezionata da ritmo. [4.88ED] Mi conferma
autorità di Lodovico Castelvetro, mentr’ebbe a dire il prode modonese
che
il nostro idioma non avea verso privo di rima; ne
prode modonese che il nostro idioma non avea verso privo di rima; nel
che
concorda anche il Vossio: «ne quidem intelligas v
r finientem auferas clausulam». [4.89ED] Ma non posso poi già dedurne
che
il rimar contiguo piuttosto che l’alternato si de
[4.89ED] Ma non posso poi già dedurne che il rimar contiguo piuttosto
che
l’alternato si debba scegliere, quando altra ragi
erò in questa parte usa pure della tua abituale sincerità e senza più
che
tanto adulare la mia opinione, palesami pur franc
lesar con franchezza il mio sentimento, ti dorrebbe però (lo conosco)
che
fosse contrario a cotesto tuo; ma fatti pur animo
rio a cotesto tuo; ma fatti pur animo, oh figlio, e sta di buon cuore
che
non è; e non è non per adulazione, ma per ragione
è; e non è non per adulazione, ma per ragione. [4.92ED] Tu dei sapere
che
la tragedia è fatta per esser udita, io parlo de’
per esser veduto. [4.93ED] L’epopeia ha conseguito il suo fine letta
che
sia; non l’ha conseguito già la tragedia quando n
ll’apparato veduta. [4.94ED] Perché dunque si comprenda da’ leggitori
che
l’epopeia italiana è composta in verso, è necessa
a’ leggitori che l’epopeia italiana è composta in verso, è necessario
che
sia rimata, ma si possono alternare le rime a pia
alla moda dell’Ariosto e de’ Tassi, o in stanze siciliane, ma in modo
che
l’ultima rima dell’una leghi con quella del primo
lla del primo verso della seguente, alla guisa del tuo poema giocoso,
che
intitoli il Radicone; imperciocché il lettore ha
Radicone; imperciocché il lettore ha tutto l’agio di fermarsi su ciò
che
vede e di aspettare con attenzione la consonanza
tutto ciò è stato creduto necessarissimo a ben perfezionar l’armonia
che
ad ogni otto versi vi sieno due rime contigue, me
a delle corone, rendeva meno armonioso e raccolto il componimento; lo
che
per avventura ne’ terzetti non fu necessario, per
on brevi e, se le desinenze non sono contigue, son così poco distanti
che
non annoia l’attenderle e non sospende soverchiam
delibus, nella tragedia, acciocché ne venga negli uditori il diletto
che
risulta dall’armonia del verseggiare nel passegge
del verseggiare nel passeggero momento dell’ascoltarla, egli è d’uopo
che
le rime si faccian meno aspettare, e in conseguen
n gustare anche in udendo il diletto dell’armonia. [4.97ED] Né ti dia
che
pensare la nausea che dal troppo dolce suol prove
ndo il diletto dell’armonia. [4.97ED] Né ti dia che pensare la nausea
che
dal troppo dolce suol provenire, perché tu sai ch
pensare la nausea che dal troppo dolce suol provenire, perché tu sai
che
io nel mio fragmento della Poetica sto predicando
, perché tu sai che io nel mio fragmento della Poetica sto predicando
che
i parlari della tragedia sian dolci; non basta an
ragedia sian dolci; non basta anche, secondo il sentimento di Orazio,
che
sieno belli i poemi che «dulcia sunto» (ei soggiu
basta anche, secondo il sentimento di Orazio, che sieno belli i poemi
che
«dulcia sunto» (ei soggiunge), supponendo che que
che sieno belli i poemi che «dulcia sunto» (ei soggiunge), supponendo
che
questo sia un gran segreto per la mozione delle p
4.98] Ben è vero lodar io quella sorta, sia di misura sia di periodo,
che
più al parlar grave e naturale si accosta, e però
rché essi imitano il parlare ordinario e vi stan bene tutti que’ nomi
che
nella prosa si parlano»; e il verso franzese e di
tuo alla gravità del jambo assai si avvicinano; ma perché ho scritto
che
«vi stan bene tutti que’ nomi che nella prosa si
si avvicinano; ma perché ho scritto che «vi stan bene tutti que’ nomi
che
nella prosa si parlano», rifletti che appunto nel
e «vi stan bene tutti que’ nomi che nella prosa si parlano», rifletti
che
appunto nella tragedia richiedendosi una locuzion
sono i nomi propri, le metafore e i nomi ornati.» [4.99ED] Non è però
che
nella locuzione tragica non sia più periglioso il
che nella locuzione tragica non sia più periglioso il parlare ornato
che
il naturale, mentre nella prosa l’oratore si most
to propri di questa sorta d’imitazione tutti quegli ornamenti poetici
che
convengono alla poesia lirica ed epica, tu vedi b
enti poetici che convengono alla poesia lirica ed epica, tu vedi bene
che
la tragedia abbisogna di una dolcezza forse maggi
ne che la tragedia abbisogna di una dolcezza forse maggiore di quella
che
si ricerca negli accennati poemi, la qual dolcezz
negli accennati poemi, la qual dolcezza due effetti produce: l’uno è
che
aiuta notabilmente a condur le passioni dell’udit
ti; e questa è una forza fisica, di cui più si vede l’effetto di quel
che
se ne possa immaginar la cagione; lo che ha fatto
iù si vede l’effetto di quel che se ne possa immaginar la cagione; lo
che
ha fatto fare tante speciose meditazioni a’ plato
mostrare di asserir qualche cosa, ove per verità poco o nulla dicono
che
vaglia a convincere. [4.100ED] L’altro è che ques
rità poco o nulla dicono che vaglia a convincere. [4.100ED] L’altro è
che
questo ornamento della dolcezza ricompensa quegli
he questo ornamento della dolcezza ricompensa quegli altri ornamenti,
che
la locuzione della tragedia non ha; e però han cr
ecedendo anche alle volte dal jambo ordinario non solamente ne’ cori,
che
di lor natura ciò portano, ma nelle scene degli a
con la vicinanza e con la varietà delle rime a conseguir la dolcezza
che
non averete dal metro, da cui i Greci ed i Latini
edo io necessarie, perché queste unicamente mi contrasegnano il verso
che
il solo ritmo non basterebbe a contrasegnarmi, e
dolce il ragionare della tragedia franzese e italiana; e tanto è vero
che
le rime unicamente ci contrasegnano il verso che
iana; e tanto è vero che le rime unicamente ci contrasegnano il verso
che
quanti han letto il tuo verso, benché tocchino ev
ia. [4.102ED] Così, suo malgrado, i tuoi Italiani vengono a giudicare
che
il verso senza rima verso non sia, mentre dell’et
rima verso non sia, mentre dell’ettasillabo non rimato non giudicano
che
sia verso, ove il quattordicisillabo credono tale
ordicisillabo credono tale perché ha la rima. [4.103ED] E nella guisa
che
, quando veggiamo gli obbietti i quali son dipinti
enta co’ piè all’insù, nondimeno li giudica ritti, e tanto li giudica
che
ce li fa apprendere e traveder come tali, perché
aziocinio abbaglia e vince la forza contraria del senso; i letterati,
che
vedono il tuo verso esser due, lo giudicano come
su cui non riflettono, ma alla quale inevitabilmente consentono, si è
che
quello solamente sia verso in vostra lingua che h
ente consentono, si è che quello solamente sia verso in vostra lingua
che
ha rima. — [4.104ED] — Oh qui sì — io ripigliava
vostra lingua che ha rima. — [4.104ED] — Oh qui sì — io ripigliava —
che
vi vogliono delle comparazioni per dar ad intende
parazioni per dar ad intendere tanto a me, quanto agli altri Italiani
che
molto schiamazzo abbiano fatto e facciano sul mio
io verso, perché solo apprendean per verso quel misurato ragionamento
che
vien terminato e legato con l’altro dalla cadenza
con l’altro dalla cadenza. [4.105ED] Son anzi impegnati nel giudicare
che
i versi sciolti da rima ma regolati da un numero
’ nostri poeti, particolarmente ne’ drammi, come anche perché credono
che
la rima repugni all’imitazione del parlar natural
rima repugni all’imitazione del parlar naturale, potendo ben accadere
che
noi parliamo in verso senz’avvedercene, come il C
della sua famosa Orazione a Carlo V; ma, non potendo giammai avvenire
che
parliamo in rima, e, se la tragedia è un’imitazio
. — [4.106ED] — Io — replicava l’Impostore — ti ho detto altre volte
che
l’imitazione perché diletti dee contentarsi di un
venire col vero e in alcune disconvenire. [4.107ED] Egli è per questo
che
le comparazioni son belle, imperocché fra due cos
fra due cose dissomiglianti si viene a conoscere qualche convenienza
che
per l’avanti non appariva; ma la similitudine del
ro una cosa medesima e sarebbe un comparare lo stesso a se stesso, lo
che
non dilettevole, ma viziosa renderebbe la compara
ebbe il gran merito del produr gli effetti ne’ cuori umani col finto,
che
si producon col vero. [4.109ED] Che se pensassero
] Imperocché gran parte di loro conosce quell’istrione fuori di scena
che
in scena rappresenta Edipo; conosce che quell’Ore
quell’istrione fuori di scena che in scena rappresenta Edipo; conosce
che
quell’Oreste è un tale che si sopranomina Lelio,
na che in scena rappresenta Edipo; conosce che quell’Oreste è un tale
che
si sopranomina Lelio, che l’Ifigenia è la Flamini
a Edipo; conosce che quell’Oreste è un tale che si sopranomina Lelio,
che
l’Ifigenia è la Flaminia, che quella è una scena
ste è un tale che si sopranomina Lelio, che l’Ifigenia è la Flaminia,
che
quella è una scena dipinta, che quegli abiti gioi
Lelio, che l’Ifigenia è la Flaminia, che quella è una scena dipinta,
che
quegli abiti gioiellati son oro falso e cristallo
na dipinta, che quegli abiti gioiellati son oro falso e cristallo; sa
che
quelle parole sono premeditate; e sente che dalla
oro falso e cristallo; sa che quelle parole sono premeditate; e sente
che
dalla scena vi è con la candeletta sul libro chi
he dalla scena vi è con la candeletta sul libro chi le suggerisce; sa
che
il recitamento dee essere in versi; sa che un’azi
ibro chi le suggerisce; sa che il recitamento dee essere in versi; sa
che
un’azione di un giorno non può eseguirsi material
ti. [4.111ED] E queste non son bagatelle (Martello mio) da lusingarsi
che
si possa condur l’impostura tant’oltre quanto per
tura tu lo vorresti. [4.112ED] Ma tutti questi disinganni operano poi
che
l’imitazion del costume, delle passioni, de’ riti
ciano, perché nel finto cotanto lontano dal vero si ravvisa un non so
che
più perfetto e più pulito de’ veri medesimi, e il
e la meraviglia e il diletto convenientissimo. [4.114ED] Ma, mi dirai
che
per muover gli affetti è inefficace un’imitazione
scere; perché l’applauso vien dall’ingegno e la compassione dal cuore
che
fisicamente si muove, né si può muovere quando no
do non venga perfettamente ingannato e sedotto a creder per vero quel
che
non è. [4.115ED] In quella guisa che di due, l’un
e sedotto a creder per vero quel che non è. [4.115ED] In quella guisa
che
di due, l’uno de’ quali veda piangere per la sua
piangere per la sua dipartita una donna, mentre l’altro sa di sicuro
che
colei nulla più brama che la di lui lontananza e
tita una donna, mentre l’altro sa di sicuro che colei nulla più brama
che
la di lui lontananza e che quel pianto è spremuto
tro sa di sicuro che colei nulla più brama che la di lui lontananza e
che
quel pianto è spremuto non dalla passione, ma dal
ED] Nelle azioni tragiche adunque vi vuol un’imitazione così perfetta
che
l’uditore non vi creda arte o finzione; e però bi
non vi creda arte o finzione; e però bisogna star lontanissimi da ciò
che
olezza artificio, valendosi di un verso sciolto,
verso sciolto, lo qual somigli alla prosa, ed astenendosi dalle rime
che
troppo mettono in vista l’affettazione. [4.117ED]
e troppo mettono in vista l’affettazione. [4.117ED] A ciò ti rispondo
che
sbagli se credi che l’ascoltante con tutto questo
vista l’affettazione. [4.117ED] A ciò ti rispondo che sbagli se credi
che
l’ascoltante con tutto questo possa tanto inganna
gli se credi che l’ascoltante con tutto questo possa tanto ingannarsi
che
creda veri i pianti della famosa Flaminia rappres
ione facendosi presente quel caso, si astrae nel medesimo e si figura
che
la vera Ifigenia parlasse con que’ sentimenti e s
in quella maniera in cui appunto si esprime e smaniasi la Flaminia, e
che
il poeta non abbia fatt’altro che mettere in vers
i esprime e smaniasi la Flaminia, e che il poeta non abbia fatt’altro
che
mettere in versi il discorso della principessa d’
in qui può arrivar l’impostura; imperocché, se altrimenti avvenisse e
che
non la vera, ma la finta Ifigenia lo movesse, ne
vera, ma la finta Ifigenia lo movesse, ne avverrebbe infallibilmente
che
l’ira, la misericordia e l’amore ancora dopo l’az
a. [4.120ED] Questa meditazione ti arriverà forse nuova, ma mi glorio
che
quanto più vi rifletterai, tanto più la ritrovera
he quanto più vi rifletterai, tanto più la ritroverai vera, spogliato
che
tu sia del pregiudicio della tua prima e folle cr
del pregiudicio della tua prima e folle credenza. [4.121ED] Quindi è
che
né i versi né tampoco le rime impediscono il movi
on l’impediscono per le ragioni accennate. [4.122ED] Certa cosa è poi
che
non bisogna spingere l’artificio tropp’oltre vale
o tropp’oltre valendosi del verso saffico o di metri affatto lirici e
che
dal parlar naturale troppo sfacciatamente si scos
lar naturale troppo sfacciatamente si scostano; ma quei metri o ritmi
che
modestamente da’ ragionamenti degli uomini si all
erlopiù usammo il jambo, i Franzesi l’alessandrino e tu il verso tuo,
che
ha qualche rassomiglianza con questi. [4.123ED] P
somiglianza con questi. [4.123ED] Per altro poi è sciocchezza il dire
che
il jambo cada sovente negli ordinari parlari. [4.
cere ciò rare volte avvenire, siccome pure rarissime volte succedere,
che
il vostro verso endecasillabo sia casualmente ins
dioma italiano, le cui parole terminano tutte in vocali, è più facile
che
il caso porti la rima che la misura, alla qual la
ole terminano tutte in vocali, è più facile che il caso porti la rima
che
la misura, alla qual la natura di cotesta lingua,
bo a qualunque altro verso per la tragedia, non altro in animo avemmo
che
il valerci di un verso la cui giacitura è delle p
. [4.127ED] Ma noi avevamo il metro e conseguentemente anche il ritmo
che
contrasegnava e rendea musico il nostro verso, e
gnava e rendea musico il nostro verso, e voi avete il ritmo e la rima
che
indica e rende armonico il vostro. [4.128ED] Cias
proporzionati per lo conseguimento della dolcezza. — [4.129ED] — Ma
che
domine son eglino, adunque, — io seguiva — que’ r
D] — Ma che domine son eglino, adunque, — io seguiva — que’ ragionari
che
di undici in undici sillabe o di sette in sette n
loro han conseguiti proporzionalmente gli applausi. [4.134ED] In ciò
che
spetta al verso, quando anche tu avessi operato c
. [4.137ED] Cosi han fatto i poeti italiani per assicurarsi le spalle
che
tu ti vedi già minacciate per aver voluto quel ch
icurarsi le spalle che tu ti vedi già minacciate per aver voluto quel
che
sin ora non si è voluto per altri. [4.138ED] Ma p
er altri. [4.138ED] Ma per tornare a que’ ragionari (siccome dicesti)
che
di undici in undici sillabe o di sette in sette n
abe o di sette in sette non punto rimati van riposando, chi dice a te
che
riposino e quale indizio ne hai? [4.139ED] Tanto
hi dice a te che riposino e quale indizio ne hai? [4.139ED] Tanto più
che
cotesti vostri poeti han per legge che il sentime
io ne hai? [4.139ED] Tanto più che cotesti vostri poeti han per legge
che
il sentimento col verso sciolto frequentemente no
ge che il sentimento col verso sciolto frequentemente non termini, ma
che
anzi variamente esteso nasconda col suo periodo l
anzi variamente esteso nasconda col suo periodo la cantilena uniforme
che
la costumanza suol dare a cotesti periodi misurat
za perturbazione il giro dell’armonia, quando almen vi resti la rima,
che
poi al dispetto di quello studiato interrompiment
il verso, non so biasimar l’artificio; perché così dassi pure non so
che
di men ordinato e di più naturale alla disposizio
zione non uniforme della punteggiatura e de’ sensi. [4.141ED] Ma dato
che
il verso italiano sciolto non sia nemmen pronunzi
iolto non sia nemmen pronunziato o recitato secondo la costumanza, ma
che
si rompa o si diversifichi a misura de’ sentiment
e si rompa o si diversifichi a misura de’ sentimenti, sosterrò sempre
che
nulla ha di verso. [4.142ED] Al più, al più i ver
ccioli sciolti potrebbero dirsi in qualche maniera pur versi, essendo
che
quelle tre ultime sillabe recano almen con se ste
attilo. [4.143ED] Ne’ versi tronchi pur anche ti vo’ accordare non so
che
di armonico innato; ma questi poi non si diran se
onico innato; ma questi poi non si diran senza rima, se si rifletterà
che
terminando ciascheduno di essi in una delle cinqu
no l’anima a considerarne la consonanza. [4.144ED] Ma ne’ versi piani
che
troverai tu di verso? [4.145ED] Vi troverai ben i
di rima ed incapaci di quantità, secondo l’opinione dello Scaligero,
che
pronuncia: «Hebraismus, Syriasmus, et Arabismus n
ermonis non patitur.» [4.149ED] Ma l’equilibrio della divisione vuole
che
, siccome per render musiche la lingua latina e la
queste nazioni ha misura e rima nel verso, e la sola lingua italiana,
che
nel verso tragico sciolto non ha che misura, vorr
erso, e la sola lingua italiana, che nel verso tragico sciolto non ha
che
misura, vorrà essere la più povera d’armonia di t
re nelle tragedie e dovrebbonsi dagl’Italiani imitare i nostri Greci,
che
quando inventavano una sorta di verso non prima u
cosa ha solamente al Berni accordata simil fortuna. — [4.154ED] — Ma
che
dirà — io interruppi — di cotesta tua opinione un
dirà — io interruppi — di cotesta tua opinione un certo giureconsulto
che
scrive con tanto disprezzo e nausea della rima it
asci in pace a’ poeti la Ragione poetica. [4.157ED] Io lo conosco più
che
non credi, né vo’ trovargli il pelo nelle opere s
o più che non credi, né vo’ trovargli il pelo nelle opere sue legali,
che
forse ancor lo potrei, se non nell’erudizione per
e in una professione non mia, perché imiterei il vostro giureconsulto
che
vuol comparirci legislatore di poesia. [4.159ED]
etica del Boelò un racconto assai grazioso. [4.160ED] Vi era un certo
che
volea far il medico ed avea talento per far l’arc
ella prima arte, ch’egli credeva più gloriosa, colla mediocre pratica
che
ne aveva incominciò a medicare, ma con tanta feli
cre pratica che ne aveva incominciò a medicare, ma con tanta felicità
che
uno ne guariva per accidente e dieci ne ammazzava
mazzava per imperizia; dimodoche non vi era famiglia per lui medicata
che
non portasse gramaglia. [4.161ED] Chi si lamentav
no a questo mondo manca di amici, lo portò il caso sovra una fabbrica
che
da un suo amico innalzavasi e tali errori corress
lzavasi e tali errori corresse e sì belle proprie direzioni gli diede
che
per suo consiglio la fabbrica fu perfetta, ond’ei
lle impostura della già sua medicina e abbandonossi con lode, per sin
che
visse, all’architettura. [4.163ED] Se il nostro g
Se il nostro giureconsulto non lascerà la poetica, gli avverrà quello
che
sarebbe avvenuto all’architetto franzese, se non
n materia della quale o è o debbe essere peritissimo. [4.164ED] A me,
che
son filosofo e loico, spetterebbe l’esaminare il
lla maniera ch’è nota a tutti gl’ingegni, perché nulla meno ha costui
che
il vantato buon raziocinio, come nulla meno che l
nulla meno ha costui che il vantato buon raziocinio, come nulla meno
che
la sostanza dell’onore, han coloro che la parola
on raziocinio, come nulla meno che la sostanza dell’onore, han coloro
che
la parola ne han sempre in bocca. [4.165ED] Scriv
che la parola ne han sempre in bocca. [4.165ED] Scrive egli dunque:
che
quando una favella di sua natura nobile e copiosa
incontra ad avere in qualche tempo tal numero di eccellenti scrittori
che
abbondi più che mai per tutte le materie e tanto
e in qualche tempo tal numero di eccellenti scrittori che abbondi più
che
mai per tutte le materie e tanto in prosa, quanto
endone appunto gl’indizi dagli scrittori, e della volgare conchiude:
che
l’italiana, la quale alla foggia della greca e de
a foggia della greca e della latina da’ greci e latini professori più
che
ogni altra presente lingua fu coltivata, al giudi
periodo delle febbri acute, potremmo giudicare del loro stato avanti
che
terminassero; ma, come fu sempre incerto ed inegu
do chi ne giudica non sia dotato del dono della profezia, indovinando
che
più eccellenti scrittori di quelli che ha finora
no della profezia, indovinando che più eccellenti scrittori di quelli
che
ha finora avuti non sia per aver quella lingua ch
crittori di quelli che ha finora avuti non sia per aver quella lingua
che
tuttavia vive e fiorisce; e quanto a me, non so s
ani scrittori, il più moderno avesse in materia di autori e di regole
che
invidiarne all’antico. [4.169ED] Aggiungi ancora
tori e di regole che invidiarne all’antico. [4.169ED] Aggiungi ancora
che
nello stesso periodo il Loico si contradice, asse
i ancora che nello stesso periodo il Loico si contradice, asserendo: «
che
la lingua greca e latina da’ greci e latini profe
endo: «che la lingua greca e latina da’ greci e latini professori più
che
ogni altra presente lingua fu coltivata». [4.170E
prima sono i vocaboli, la seconda si è l’uso loro. [4.172ED] Certo è
che
quanto ai vocaboli una lingua viva sempre dee cre
della Crusca col suo moderno Vocabolario e maggiormente con un altro
che
più copioso sta preparando, dà a divedere che que
ggiormente con un altro che più copioso sta preparando, dà a divedere
che
questa lingua non ha finito di crescere e di arri
e. [4.173ED] Rispetto poi all’uso de’ vocaboli, soggiace ad una legge
che
in due si divide ed è che un uso debbano aver nel
all’uso de’ vocaboli, soggiace ad una legge che in due si divide ed è
che
un uso debbano aver nella prosa, un altro nel ver
tte ancora limitare i propri vocaboli agli usati da quegli autori, lo
che
è contro l’esperienza; e dovette limitare altresì
uso de’ vocaboli stessi alle regole prescritte da quelli sì nel verso
che
nella prosa, usando in quella la misura e la rima
la la misura e la rima, in questa il numero del periodo raggirato, lo
che
contradice al nostro giureconsulto quando asseris
raggirato, lo che contradice al nostro giureconsulto quando asserisce
che
lo stato della lingua italiana è quello de’ rimat
taliana vivente non potersi assegnare ancora lo stato: alcuni credere
che
l’abbia avuto quattrocento anni fa, quasi che nel
o stato: alcuni credere che l’abbia avuto quattrocento anni fa, quasi
che
nel suo nascere, mercé di Dante, del Petrarca e d
si che nel suo nascere, mercé di Dante, del Petrarca e del Boccaccio,
che
allora vissero e l’illustrarono; ma costoro di gr
sì perché le voci ne crescono giornalmente, sì perché tanto la prosa
che
il verso con l’uso delle voci stesse si perfezion
perfezionano; allora essere stato accetto il periodo ritondo latino,
che
in oggi genera oscurità nella spiegazione de’ sen
o di sperare pervenuta allo stato di perfezione la lingua vostra, ora
che
sono uscite le sue tragedie senza rime e l’eglogh
del Trecento. Dunque gli scrittori tanto nella prosa quanto nel verso
che
vissero nel secolo del Trecento, diedero lo stato
si astennero dall’usare la rima. Ma quelle son regole buone nel verso
che
dagli scrittori del Trecento la lingua ricevé e l
render in avvenire tanto nella prosa quanto nel verso dagli scrittori
che
fecero lo stato di perfezione alla lingua. Ma Dan
avvistosi e quasi adiratosi: [4.181ED] — Io non pretendo — mi disse —
che
tu distingua se io sia veracemente Aristotile o u
modello dell’Impostore in cui potrai tu raffigurare qualche originale
che
lo somiglia; ma io non lo somiglierò forse tanto
nestissimo uomo, ancorché pessimo letterato. [4.186ED] Ma dato ancora
che
in linea di letteratura vi sia qualche specie di
ione dall’altrui giudicio estrinsecamente dipende. [4.187ED] Quindi è
che
l’impostore, apprendendo per vero onore la sola r
’impostore, apprendendo per vero onore la sola riputazione e credendo
che
l’essere riputato valente letterato non sia disgi
alento per abbagliar i corrivi, facendo altrui credere di essere quel
che
non è. [4.188ED] Per conseguire il suo fine, parl
volgare italiana discorrerà della greca e così parlerà sempre di ciò
che
appena sa con quelli che o nulla o meno ne sanno;
erà della greca e così parlerà sempre di ciò che appena sa con quelli
che
o nulla o meno ne sanno; e cosi pianta in altri u
re contro della giustizia, come anche per un caritatevol contrassegno
che
la provvidenza dà agli occhi nostri dell’impostur
tri dell’impostura. [4.192ED] L’imprudente ardir di costoro fa dunque
che
affettino la novità perigliosa nelle opinioni, co
oro fa dunque che affettino la novità perigliosa nelle opinioni, cosa
che
fa stralunar gli occhi alla gioventù inesperta no
ioni, cosa che fa stralunar gli occhi alla gioventù inesperta non men
che
animosa e però amante in qualunque cosa di novità
ando non so qual colore di spirito all’erroneità e all’imprudenza, lo
che
dalla gioventù di sua natura imprudente riporta l
ioni, e cosi fansi de’ partigiani avvenenti, audacissimi e cicalieri,
che
mettono in soggezione i dotti e i prudenti di tac
di questa truppa sedotta, insulta impunemente la vera saviezza e più
che
mai va fastoso della sua sicura baldanza. [4.194E
terati, deprimendo i loro avversari ed inalzandone alcuni alle stelle
che
o sono oppur vorrebbero lor partigiani; dalla qua
rrebbero lor partigiani; dalla qual cosa, massime nelle corti, deriva
che
anche molti uomini savi cerchino di tenerseli ami
hi, biasimando molti, poi loda alcuni, mentre allor l’impostura opera
che
in un quasi universal detrattore la particolar lo
al modello; puo essere, se io scriverò quanto fra noi si è discorso,
che
taluno vedendosi nelle tue parole allo specchio,
dell’impostore e tornando al nostro giureconsulto, approvo quel tanto
che
della sua Ragion poetica hai divisato, purché tu
ecolo. — [4.200ED] Ma a questo il Filosofo: [4.201ED] — Io mi credea
che
per ragione di cerimonia tu dovessi a Pitagora so
er ragione di cerimonia tu dovessi a Pitagora sostituire Aristotile e
che
tu avessi in corte apparato il mestiero de’ lusin
ma tu non hai voluto così scopertamente piaggiarmi, sapendosi troppo
che
il giureconsulto sopracitato non è meno alieno da
con gran galanteria, ci presentò due tazze di caldo e fumante caffè,
che
a sorsi a sorsi per noi bevuto ci dié congedo da
rsazione, dalla quale io partiva ripieno delle cose udite, in maniera
che
, recatomi in un fiaccaro a casa, neppur volli met
un fiaccaro a casa, neppur volli mettermi a cena, per istendere prima
che
mi fuggissero dalla mente gli a me saporiti disco
mente gli a me saporiti discorsi, e in quella notte non altro sognai
che
Aristotile e rime. Sessione quinta [5.1] No
ella pianura a cui fa prospettiva la maestosa macchina degl’Invalidi,
che
sento chiamarmi da un rauca voce per nome. [5.4ED
amarmi da un rauca voce per nome. [5.4ED] Mi volgo ed ecco Aristotile
che
più più si affrettava per l’avidità di raggiugner
quando io partii ultimamente di Francia non venia nominato quel luogo
che
per un parco selvaggio, unicamente destinato alle
cresciuta, e di cui ho letto e sento dir meraviglie. [5.7ED] Ma a te
che
vieni dalla bella Italia e da’ pomposi giardini d
tata Versaglie? — [5.8ED] — Versaglie — io soggiunsi nell’accostarci
che
noi facevamo a passi lenti al castello — è una co
facevamo a passi lenti al castello — è una copia de’ nostri giardini
che
di gran lunga si lascia addietro gli originali. [
l’invenzione; l’ha nell’esecuzione la Francia. [5.10ED] Ti posso dire
che
son rimaso assorto dall’incanto e dalla maestà di
ire che son rimaso assorto dall’incanto e dalla maestà di quel luogo,
che
per me descritto in versi altre volte, ma in lont
itto in versi altre volte, ma in lontananza, mi fece allora conoscere
che
poco giova un immaginar grande e felice per conce
zano, coll’esporlo all’ingiuria delle stagioni, quel prezioso metallo
che
l’altrui avarizia con tanta gelosia suol nasconde
re, ordinate comodissime sedie guernite ed ombrate di porpora e d’oro
che
, sulle rote girevoli spinte liberalmente da due l
questo continuato incanto di pellegrine e deliziose magnificenze, sin
che
dan luogo alle gondole, che per un canale artefat
pellegrine e deliziose magnificenze, sin che dan luogo alle gondole,
che
per un canale artefatto e che sostiene vari sorte
icenze, sin che dan luogo alle gondole, che per un canale artefatto e
che
sostiene vari sorte di legni, cioè vascelli, gale
ellezza e di stranezza atta a fare meravigliare chi non gli ha veduti
che
sui volumi talvolta dell’accurato Junston. [5.15E
5.15ED] Sbrigato alfin da’ giardini, non credeva io di veder più cosa
che
mi allettasse; quand’ecco nella gran galleria per
5.16ED] Egli era il tenero Delfino, amor e speranza di questi popoli,
che
con la mano destinata allo scettro accennava d’in
ncora nel rizzarsi dal letto, lo contrassegnano per quel gran monarca
che
delle sue imprese ha pieno già l’universo. [5.19E
e cose si avviliscono. [5.20ED] Egli sublime sorge in mezzo a’ grandi
che
lo circondano; ma l’eccelse stature si abbassano,
per le battaglie nelle gazette, ma a fronte sua così minori diventano
che
rimanendo in certi l’uom solo, sparisce l’eroe. [
tutto il giorno di ieri mi fu dato di veder uno cui non è uom lontano
che
o non si faccia gloria d’averlo veduto o non desi
D] Tai furono i primi, e non dissimili conobbi essere tutti gli altri
che
in numero di sei mila popolano di se stessi quel
de’ semplici soldati provista con abbondanza. [5.28ED] Dirò solamente
che
osservata questa vasta opera, del cui materiale p
del cui materiale potrebbe Augusto pregiarsi, non mi meraviglio più,
che
i Franzesi vadano, per così dir, folli del loro a
spor la sua vita in pro della patria, sotto il comando di un principe
che
da ogni altra miseria che non sia morte sollieva
lla patria, sotto il comando di un principe che da ogni altra miseria
che
non sia morte sollieva i cari suoi combattenti, a
agio e con libertà, diportandosi in quegli esercizi, ancor militari,
che
si sono fatti abituali al loro genio e senza de’
o presidio d’Invalidi è ben composto di corpi imperfetti, ma di cuori
che
si son mostrati alla prova noncuranti di qualsivo
à di uomini contrafatti terrebbe fronte a qualunque più sano esercito
che
in numero eguale e ancor raddoppiato ardisse assa
i, avendo più parte ne’ vittoriosi successi l’intrepidezza dell’animo
che
la robustezza della persona. [5.31ED] Passàti dun
go: [5.32ED] — Tu hai — cominciò l’Impostore — gustata già la Medea,
che
perciò accorderai potersi denominare tragedia, pe
u distenderlo a’ tuoi, perché, a dir vero, la maggior parte di quelle
che
ho in Vinegia, in Genova, in Milano, in Reggio ed
[5.36ED] — Io lo voglio accordare — replicò quegli — ma ben mi spiace
che
cotesti per altro insigni e spiritosi poeti abbia
ritosi poeti abbiano sì male impiegati i loro talenti in componimento
che
mai non vivrà, né farà vivere i loro nomi; perché
e, e sempre vi compariran deformati dalla sfrenata libidine di novità
che
nelle ariette si vuole, o non saran ricantati, ed
llora: [5.38ED] — Hai ragione di deplorare la sorte di quegl’ingegni
che
s’imbarazzano in questa razza di dramma ed io, ch
e di quegl’ingegni che s’imbarazzano in questa razza di dramma ed io,
che
vari ne ho posti in scena, non ho maladetti di cu
enti impiegati a comporre come allora vedendo le cose più brillanti e
che
più sono vezzose e delle quali più si compiace il
er la musica e detestabili a’ nostri smaschiati cantori e alle nostre
che
per vergogna del secolo osiam chiamar ‘virtuose’.
D] Quando per lo contrario li tratti più sciaurati della poesia e ciò
che
letto nauserebbe, ho veduto gustarsi, gradirsi, a
ebbe, ho veduto gustarsi, gradirsi, acclamarsi non meno dall’uditorio
che
da’ cantori e spiccar di maniera sui palchi che i
on meno dall’uditorio che da’ cantori e spiccar di maniera sui palchi
che
io stesso, assidendomi ascoltatore, mi son sentit
zzicare a compiacermene e me ne son compiaciuto; e molte volte quello
che
letto mi piacque, al dispetto della ragione e del
.41ED] — Ciò appunto doveati avvenire, perciocché la poesia mediocre,
che
dilata agevoli sentimenti ed affetti, in recitati
tor della musica di spaziarvisi a suo talento e di sfogar la sua idea
che
quanto meno è storpiata dall’angustia de’ sentime
piacimento e all’applauso. [5.42ED] Questo spettacolo adunque è tale
che
solleva gli animi da tutte le cure, gli assorbe i
eva gli animi da tutte le cure, gli assorbe in una spensierata quiete
che
di sé contenti li rende, di maniera che ritornano
rbe in una spensierata quiete che di sé contenti li rende, di maniera
che
ritornano dagli uditi concenti e dalle vedute app
dagli uditi concenti e dalle vedute apparenze così ristorati di lena
che
poi si trovano più forti, più vegeti a tutte le o
ommedia e della tragedia. [5.43ED] Ma bisogna supporre per fondamento
che
in questo vago spettacolo non dee negarsi la prem
rebbe usar termini a te incogniti e tali anche a quelli per avventura
che
gl’inventarono. [5.45ED] Dirò solamente che, se h
he a quelli per avventura che gl’inventarono. [5.45ED] Dirò solamente
che
, se hai tu udito deplorare la perdita della music
lla musica antica, di’ a nome mio a cotesti adoratori dell’antichità,
che
sono impostori. [5.46ED] Giudica della musica deg
a della musica degli Ebrei e degli altri Orientali da’ loro strumenti
che
erano corni, timpani e trombe. [5.47ED] La cetera
5.48ED] Ma chi meglio non ode, si assuefa ad ascoltar come ottimo ciò
che
riuscirebbe pessimo in confronto dell’odierna per
5.49ED] Voglio pure, almen per rispetto al nostro presente soggiorno,
che
sfuggiamo di paragonare in questa parte la musica
de’ loro recitamenti cantare un’arietta di poesia e moda italiana; lo
che
poco prova, avendo io osservato esultar altresì g
opere s’inserisce una canzonetta franzese. [5.52ED] Ma questo è certo
che
tanto le orecchie tedesche quanto le Inglesi pref
zioni a grave prezzo ne stipendiano i professori più rinomati; ed io,
che
son Greco, difficilmente mi separo da questa opin
ifficilmente mi separo da questa opinione. [5.53ED] Ma il peggio si è
che
l’autor franzese di quel prefazio che è posto ava
one. [5.53ED] Ma il peggio si è che l’autor franzese di quel prefazio
che
è posto avanti alla raccolta stampata delle più s
ilettare l’aiuto delle parole e della poesia, e sostengo sinceramente
che
no. [5.57ED] Io provo che, mentre di nottetempo a
ole e della poesia, e sostengo sinceramente che no. [5.57ED] Io provo
che
, mentre di nottetempo ascolto uno e più rusignuol
irli, e pure il lor gorgheggiare è limitato dalla natura a certe arie
che
sono fra di loro uniformi, per non dir sempre le
sibilmente più ore, se più ne dura, con diletto tanto maggiore quanto
che
i sonatori fanno co’ vari loro strumenti sinfonie
ternino i canti. [5.60ED] E perché tanto più alletta quell’augelletto
che
canta, quanto è più leggiadro nella sua corporal
piume è vestito; e parimenti più ci sodisfa quel leuto e quel flauto
che
suona, se alla bontà aggiunge ancor la bellezza d
ccettissima da una donna il cui petto risaltando a tenor del respiro,
che
viene su per le fauci a ricevere la forma del can
evedere nel tremolare delle mammelle. [5.61ED] Tanto più poi goderemo
che
cotesto bel corpo sorga di vesti ricche, vaghe, b
la scena, dell’avvenenza e de’ vestimenti. [5.63ED] Ma incontentabili
che
noi siamo, massime quando ci diamo a nuotar nel p
o gli strumenti e come gli uomini soli ragionano, desideriamo altresì
che
alla dolcezza del canto umano si aggiunga quella
atte ad esprimerci i sentimenti dell’animo; ed ecco un’altra delizia
che
vien di fianco in aiuto di questo spettacolo, ed
[5.65ED] Ma la povera poesia viene in figura molto diversa da quella
che
sostiene sì nella tragedia che nella commedia. [5
iene in figura molto diversa da quella che sostiene sì nella tragedia
che
nella commedia. [5.66ED] In quelle tiene il posto
iatori, ma nemmeno verseggiatori, perché poi vi ha ad esser la favola
che
fa essere non so che di più che verseggiatore; no
rseggiatori, perché poi vi ha ad esser la favola che fa essere non so
che
di più che verseggiatore; non dunque meri versegg
, perché poi vi ha ad esser la favola che fa essere non so che di più
che
verseggiatore; non dunque meri verseggiatori, non
ue meri verseggiatori, non veri poeti, ma non saprei come dirli certi
che
, siano più degli uni e meno degli altri, s’inviti
ono crudi e disaggradevoli. [5.71ED] Molta architettura di vari punti
che
ostenti larghezza e lunghezza di siti molto maggi
ane, derivate in scena con arte; una vista di mare con l’onda spumosa
che
si volteggi; e ricordiamoci ancora o di un tempio
di una prigione di ordine rustico, versando più volentieri in questi
che
in altri suggetti la mutazione della scena. [5.72
ggiadre ne movimenti. [5.74ED] Gli abiti sian gioiellati e con ricami
che
fingan oro ed argento, e tagliati per lo più alla
per lo più alla reale. [5.75ED] Le voci siano tali e in tal quantità
che
il compositor della musica possa intrecciarle cos
n tal quantità che il compositor della musica possa intrecciarle così
che
l’una faccia risaltare l’altra invece di opprimer
siano appaltatori dell’opere in musica. [5.76ED] Ma quanto a’ versi,
che
farem noi sicché non riescan discari al componito
o Pistocco, non meno celebre per aver raffinato l’esercizio del canto
che
per aver congegnata la combinazion delle note in
patria. [5.78ED] Compose in Germania musica e parole di un melodramma
che
fu la delizia e la maraviglia della corte di Prus
nto que’ sentimenti erano facili, lisci e distesi quel solo e non più
che
richiedevan le note, che forse in quel tal sito e
facili, lisci e distesi quel solo e non più che richiedevan le note,
che
forse in quel tal sito egli credé necessarie alla
erso, ma questo a quella serviva, e serviva piuttosto come volontario
che
come schiavo; e però vorrei mediocremente poeta i
caverebbe dalle bocche e dalle borse degli uditori non meno i ‘viva’
che
la moneta. [5.82ED] Ma perché purtroppo avviene
on meno i ‘viva’ che la moneta. [5.82ED] Ma perché purtroppo avviene
che
pochi mastri di cappella sappiano intendere i ver
avviene che pochi mastri di cappella sappiano intendere i versi, non
che
formarli, non sarà difficile almeno che il poetas
ppiano intendere i versi, non che formarli, non sarà difficile almeno
che
il poetastro verseggiatore s’intenda alquanto di
giatore s’intenda alquanto di note e di musica, per conformare il più
che
potrà la sua invenzione e i suoi versi all’idea d
à la sua invenzione e i suoi versi all’idea del compositore, nel modo
che
nelle macchine architettate dall’ingegnero aggiun
o, non imbarazzi per altro l’effetto né delle corde, né delle girelle
che
sovra ogni altra cosa son necessarie per lo poggi
(così voi li chiamate) di note, uomini i più versatili dell’universo
che
trovano sovra di un cembalo parole facili e abbon
e trovano sovra di un cembalo parole facili e abbondanti delle vocali
che
appunto occorrono alla beltà de’ passeggi ed alle
alla beltà de’ passeggi ed alle volte poco, alle volte eziandio quasi
che
nulla significanti. [5.84ED] Ma nondimeno annicch
ere cantate per fino ad una schiera di letterati e sian pur di quelli
che
pasconsi del criticare le poesie più accreditate
stino, da Salustio e da qualunque più antico e venerato scrittore, lo
che
saria inevitabile per introdurvi le cose che vuol
e venerato scrittore, lo che saria inevitabile per introdurvi le cose
che
vuole il compositore, che vogliono i cantori, le
he saria inevitabile per introdurvi le cose che vuole il compositore,
che
vogliono i cantori, le cantatrici, che vuole l’ar
cose che vuole il compositore, che vogliono i cantori, le cantatrici,
che
vuole l’architetto, il macchinista, il pittore e
to favoloso, perché in ogni caso il verseggiatore ha tutta la facoltà
che
avevano i nostri antenati di dar ad intendere del
così fanno fortunatamente i Franzesi, e così farà l’Italiano; e come
che
il nome suo non sia per vivere più oltre delle ra
r gli castrati e per le cantanti quello di virtuosi. [5.87ED] E, quel
che
più importa, potrà sputare fra la mandra di costo
l’arca di collane, di gioielli e di contante, per darsi bel tempo, lo
che
non è poco premio, anzi è un sovrabbondante compe
che non è poco premio, anzi è un sovrabbondante compenso allo sprezzo
che
nella lettura de’ suoi melodrammi avrà dagli Arca
aranno, perché altrimenti non servirebbe alla pompa degli abiti regii
che
splendono nella guardaroba degl’impresari, che vo
ompa degli abiti regii che splendono nella guardaroba degl’impresari,
che
voi chiamate vestiario, se meno che personaggi di
nella guardaroba degl’impresari, che voi chiamate vestiario, se meno
che
personaggi di regi o di semidei imitasse, vedendo
eno che personaggi di regi o di semidei imitasse, vedendosi per prova
che
le azioni pastorali poco compariscono in musica,
rse, e come schive di certe scene forti e di certe rilevate apparenze
che
allenano questo spettacolo musicale. [5.89ED] Tu
alcheduno di meno ne avrà chi compone in servigio di qualche principe
che
, non per guadagno, ma per gala e per liberalità v
per guadagno, ma per gala e per liberalità vuol dare alla nobiltà più
che
al popolo, un’illustre e graziosa rappresentazion
[5.92ED] Così è avvenuto in Roma a quelle di un eminentissimo autore,
che
ha voluto per proprio nobil divertimento e per ri
rne. [5.93ED] Così è riuscito al principe real di Polonia Alessandro,
che
ha fatto servir la poesia del Capece alla musica
genio del poeta con quello de’ compositori e dei musici (come quegli
che
dell’una e dell’altra facoltà è intelligentissimo
i (come quegli che dell’una e dell’altra facoltà è intelligentissimo)
che
gli è sortito espor melodrammi i quali poi senza
n di questi vorrei da te qualche norma, non essendo forse impossibile
che
me pure la convenienza e la forza impegnasse a si
da’ cavalieri, i quali frenano l’avidità dell’impresario a quel segno
che
non assorbisca affatto quel tutto che è di soddis
tà dell’impresario a quel segno che non assorbisca affatto quel tutto
che
è di soddisfazione all’onesta gente ed a’ lettera
quale potesse un abil poeta regolare anche un dramma da leggersi non
che
da ascoltarsi. — [5.97ED] Allora Aristotile: [5.
ED] — Giacché tu vuoi ch’io ti dia qualche regola per un componimento
che
per piacere vuol essere sregolato, te ne dirò qua
rò qualcheduna, piuttosto fondata sull’osservazione e sulla sperienza
che
sulla ragione, e mescolerò quanto posso per appag
ndotti dall’impresario. [5.101ED] E perché alla spesa ancora è d’uopo
che
abbia riguardo il poeta, esplori sopra di essa l’
o la riputazione poetica e sarai più suo nemico dopo l’averlo servito
che
negando d’infelicemente servirlo. [5.102ED] Anche
r della musica. [5.104ED] Per altro, se l’impresario non è sì economo
che
pur non sia generoso; se il teatro è sufficientem
ia vera di eroi per fondamento all’azione, capace di tali avvenimenti
che
possano agevolmente nel dato teatro rappresentars
agevolmente nel dato teatro rappresentarsi; capace di tai personaggi
che
adattar si possano a quelle voci che son destinat
ntarsi; capace di tai personaggi che adattar si possano a quelle voci
che
son destinate, e conferitala con l’impresario e c
onseguitala, datti immediatamente a disporla. [5.106ED] L’uso comanda
che
il tuo melodramma sia diviso in tre atti perché,
popolo una tragedia e ti faresti debitor follemente di quelle regole
che
in nessuna maniera potresti poi osservare. [5.107
ascoltanti all’intreccio, dando loro la necessaria notizia degli eroi
che
battono il palco, degli antefatti opportuni alla
oria, e facendo la prima mostra de’ caratteri, almeno de’ principali,
che
dovranno intervenire all’azione. [5.108ED] Nell’i
ervenire all’azione. [5.108ED] Nell’ingresso della tua favola avverti
che
il teatro si vegga guernito di personaggi con qua
che il teatro si vegga guernito di personaggi con qualche apparenza,
che
ecciti l’aspettazione e la maraviglia. [5.109ED]
desti princìpi della tragedia e dell’epopeia; e piàntati ben in mente
che
quando si alza il sipario, il popolo si raffredda
fanno inarcar le ciglia a’ tuoi spettatori e benedicono quell’argento
che
hanno speso alla porta per sollazzarsi. [5.112ED]
a all’intrecciamento ingegnoso degli Spagnuoli. [5.114ED] Io non dico
che
tu debba ommettere affatto il verisimile negli ac
gli accidenti, ma questo diletto tuo verisimile non ti sia tanto caro
che
più non sialo il mirabile. [5.115ED] Inverisimili
a l’amorosa passione di tutti le altre trionfi e le altre non servano
che
a far spiccar questa, la quale, essendo la più co
mini, si vede rappresentata più volentieri. [5.119ED] Ben è però vero
che
per amore della repubblica ti dee piacer l’onestà
’ legittimi accoppiamenti da’ quali nasce il bene del crescer popolo,
che
è l’anima delle cittadi. [5.120ED] Nel terzo atto
limento, e sia pur anche per macchina, se lo permetterà l’impresario;
che
certamente sarà più accetto per la meraviglia del
glia dell’apparenza, ancorché il nodo per avventura non meritasse più
che
tanto d’incomodar un nume a scender dal cielo per
un abito improvvisamente cangiato; ad una combinazione di circostanze
che
prima era occulta; a certi arredi trovati nella c
certi arredi trovati nella cuna del personaggio quand’era bambino, e
che
poi all’uopo del riconoscerlo vengono in scena o
D] Ma quanto alle peripezie per te si può far piuttosto veder le cose
che
immaginarle, perché ciò che percuote i sensi più
per te si può far piuttosto veder le cose che immaginarle, perché ciò
che
percuote i sensi più piace al popolo, assiso più
é ciò che percuote i sensi più piace al popolo, assiso più per vedere
che
per pensare. [5.124ED] Le peripezie sieno sempre
in questo scioglimento per utile della repubblica il poeta prefiggasi
che
i personaggi virtuosi restin premiati con meritat
miati con meritata felicità, e i viziosi rimangan puniti con severità
che
mai non arrivi alla morte, non volendosi le morti
[5.127ED] Dei ancora aver riguardo alle voci, intrecciandole in modo
che
aiutino e non distruggano l’intenzione del compos
ED] Dei però convenire col compositore ed egli consentirà facilmente,
che
ciaschedun atto contenga una di quelle che si chi
gli consentirà facilmente, che ciaschedun atto contenga una di quelle
che
si chiamano ‘scene di forza’ o per qualche violen
ti fo sicurtà per la felice riuscita dell’opera e più non ti rimarrà
che
il mettere in versi il tuo dramma. [5.130ED] Egli
essione non concitata dovrebbe esprimersi in verso recitativo; ma ciò
che
ha la mossa della passione o contrassegna non so
citativo; ma ciò che ha la mossa della passione o contrassegna non so
che
di più violento inclina più volentieri alla canzo
olentieri alla canzonetta. [5.133ED] Il recitativo si ama tanto breve
che
non addormenti col tedio e tanto lungo che non ge
itativo si ama tanto breve che non addormenti col tedio e tanto lungo
che
non generi oscurità. [5.134ED] I periodi e le cos
uzioni del nostro recitativo si vogliono agevoli e piuttosto raccolte
che
stese, così saran comode al compositor della musi
al compositor della musica, al musico e all’uditore: al compositore,
che
potrà dar maggiore spirito al per sé morto recita
al per sé morto recitativo con la mutazione delle cadenze; al musico,
che
potrà ripigliar fiato nel pronunciarli e rinnovar
pronunciarli e rinnovar la lena alla voce con le posate; all’uditore
che
, non avezzo a la musica, la quale àltera all’orec
verrà più a secondare il genio lubrico della musica. [5.136ED] Quello
che
ho detto della brevità de’ recitativi patisca qua
la brevità de’ recitativi patisca qualche limitazione in quelle scene
che
ho denominate ‘scene di forza’, dovendo in esse i
a’, dovendo in esse il recitativo prevalere alle ariette, come quello
che
dà più polso e più evidenza all’azione; ed allora
anzonette sono o semplici o composte. [5.138ED] Semplici direm quelle
che
a voce sola; composte quelle che a due o che a pi
ste. [5.138ED] Semplici direm quelle che a voce sola; composte quelle
che
a due o che a più voci si cantano. [5.139ED] Quel
D] Semplici direm quelle che a voce sola; composte quelle che a due o
che
a più voci si cantano. [5.139ED] Quelle a due voc
utela è d’uopo valersi delle medie, perché riescono fredde ogni volta
che
a mezzo una scena gli attori muti sono obbligati
na gli attori muti sono obbligati a star così ritti ad udire l’attore
che
canta a tutt’agio, e però in queste vi vuole un n
io, e però in queste vi vuole un necessario accompagnamento di azione
che
almeno costringa gli altri attori a qualche atto
amento di azione che almeno costringa gli altri attori a qualche atto
che
non li lasci interamente oziosi, e allora produco
o. [5.145ED] In queste sole è soffribile alle volte l’interrogazione,
che
in altre tutte è odiosa, siccome quella che non d
e volte l’interrogazione, che in altre tutte è odiosa, siccome quella
che
non dà luogo a varietà di note in esprimerla. [5.
scena terminata con spirito e con vivezza. [5.149ED] Ma avverti bene
che
terminando una scena con aria d’ingresso, non com
ll’altra ed invece di spalleggiarsi, si opprimono. [5.152ED] Quindi è
che
per lo più ne’ soli cominciamenti degli atti comp
dramma ha applaudito, e lo strepito de’ cantanti e degli strumenti fa
che
tutti si levino in piedi e partano ripieni ed all
5ED] Queste ariette o sien canzonette si debbono compartir di maniera
che
i cantanti di maggior credito ne abbiano numero e
mpetenze de’ musici, ed essendo ancor utile al recitamento del dramma
che
le miglior voci facciano pompa eguale di sé medes
rlare secondo l’usanza italiana. [5.157ED] Quello delle otto sillabe,
che
è il più sonoro, trionfi di tutti gli altri, come
l lido Ne rimbomba: al mare, al mare. [5.161] Ma ti sia ben a cuore
che
in ciaschedun’aria vi sia l’intercalare. [5.162ED
[5.162ED] Intercalare chiamano i professori la prima parte dell’aria,
che
poi ripetesi dal cantore, essendo che in questa f
ssori la prima parte dell’aria, che poi ripetesi dal cantore, essendo
che
in questa facendo il compositore brillar l’artifi
musico e ne gode egualmente il popolo; e perciò debbesi aver riguardo
che
la prima parte, quando ella sia di ottosillabi, n
ente nelle altre canzonette, secondo la lunghezza e brevità de’ versi
che
le compongono. [5.164ED] Succede all’ottosillabo
l’ettasillabo, e questo pure nel fine della cadenza si ama più tronco
che
piano, venga poi il troncarlo dalla vocale accent
di cinque sillabe? [5.169ED] Eccolo: Voglio un amore tutto di core;
che
vi sia nato sol per pietà. [5.170] Ne vuoi final
sono ideati di misure sì sconcertate e sì incapaci di buona armonia,
che
non ti consiglio adoperare! [5.173ED] Questi metr
5.173ED] Questi metri saranno più grati se li adatterai alle passioni
che
meglio in essi risuonano. [5.174ED] Il furore meg
giore terribilità, massime se lo farai sdrucciolare sino alla cadenza
che
sempre ti esorto ad appianare o a troncare, come
vorrei una corrispondenza ben regolata di rime, perché questa non può
che
piacere al compositore, a’ musici, al popolo, men
al popolo, mentre dove si tratta di rilevare la musica, tutto quello
che
è consonanza e armonia, vi contribuisce notevolme
ntribuisce notevolmente. [5.179ED] Ora rimane il trattar dello stile,
che
riesce più confacevole al melodramma. [5.180ED] I
o stile, che riesce più confacevole al melodramma. [5.180ED] Io credo
che
a questo qualunque componimento convenga più il m
e a questo qualunque componimento convenga più il moderato e venusto,
che
il grave e magnifico; perché la musica, essendo a
to degli animi, dee pure rimaner secondata da parole e da sentimenti,
che
vestano la piacevol natura delle delizie. [5.181E
i, che vestano la piacevol natura delle delizie. [5.181ED] Non è però
che
a tempo a tempo il magnifico non debba usarsi, se
e non per altro per far maggiormente spiccare il venusto, nella guisa
che
l’acido misto al dolce diletta sommamente con un
onde schifa, e delicata donzella lo sputa. [5.182ED] Però ti replico,
che
le costruzioni si vogliono agevoli; i periodi chi
, di navicella, di augelletto o di ruscelletto: queste son tutte cose
che
guidano l’idea in non so che di ridente che la ri
o di ruscelletto: queste son tutte cose che guidano l’idea in non so
che
di ridente che la ricrea; e siccome sono venusti
to: queste son tutte cose che guidano l’idea in non so che di ridente
che
la ricrea; e siccome sono venusti questi obbietti
ricrea; e siccome sono venusti questi obbietti, così il son le parole
che
li rammentano e li dipingono alla fantasia; ed il
on avvenenza di note; ed avrai osservato anche ne’ pessimi melodrammi
che
il musico riporta distinto applauso cantandone un
nio franzese, aggiungono leggiadria. [5.184ED] Mettiti ancora in capo
che
nelle arie, quanto più le proposizioni son genera
er valersene onestamente con la sua donna, cantandoli nelle occasioni
che
di giorno in giorno avvengono agli amanti di gelo
soli particolari, perché, se l’azione non si vuol fredda, si ricerca
che
le parole l’animino di tal guisa che siano uno sp
e non si vuol fredda, si ricerca che le parole l’animino di tal guisa
che
siano uno spirito adattatissimo a quella e non ad
dattatissimo a quella e non ad altra azione. [5.186ED] Quando poi tu,
che
finalmente non sei nel gregge de’ verseggiatori s
, che finalmente non sei nel gregge de’ verseggiatori servili, vorrai
che
chi legge il tuo melodramma ti riconosca ancor pe
orrai, non sperarle senza contrasto, inimicizia e ripulsa; e ti basti
che
le altre si possano non abborrire per la purità e
e del compor melodrammi (Martello mio) è un scuola per voi di morale,
che
più di ogni altra insegna a’ poeti il vincer se s
o se una musica vorranno al piè di un tuo recitativo conficcarne una
che
abbia guadagnato loro l’applauso in Milano, in Vi
e: e sia pur lontana dal sentimento lo quale dovrebbe ivi esprimersi,
che
t’importa? [5.189ED] Lasciala lor metter dentro,
rti le tempie con soprani e contralti rimproveri. [5.190ED] Il meglio
che
ti possa accadere sarà il ridurli a capitolare ch
5.190ED] Il meglio che ti possa accadere sarà il ridurli a capitolare
che
ti si permetta lo stirare su quelle note parole m
a dimmi: e qual ripiego troverai tu se in luogo di un’aria di sdegno,
che
vi era già collocata, un’altra vi si dee porre ch
un’aria di sdegno, che vi era già collocata, un’altra vi si dee porre
che
era d’amore e che di sdegnose parole vuol rivesti
che vi era già collocata, un’altra vi si dee porre che era d’amore e
che
di sdegnose parole vuol rivestirsi? [5.195ED] Se
lla seconda. [5.196ED] Io dunque stimerei sempre meglio il permettere
che
i musici a loro talento cacciassero l’arie ove vo
rmettere che i musici a loro talento cacciassero l’arie ove vogliono,
che
il farmi complice del lor mancamento col caricarl
che il farmi complice del lor mancamento col caricarle; e basta bene
che
non discordino nella tessitura musicale, della qu
poi l’impresario, il quale dee pagarti la tua fatica (non arrossire,
che
questa è l’unica sorta di poesia destinata a serv
esta è l’unica sorta di poesia destinata a servir per mercede), vorrà
che
tu le carichi e tu le carica, e dona al cielo l’e
elodramma e già l’hai avuta; ne sei tu contento? — [5.199ED] — A quel
che
ascolto — io tutto smarrito risposi — egli è più
ascolto — io tutto smarrito risposi — egli è più faticoso il far male
che
bene. [5.200ED] Si suda meno a comporre una buona
oso il far male che bene. [5.200ED] Si suda meno a comporre una buona
che
una cattiva tragedia, giacché deduco da’ tuoi dis
una buona che una cattiva tragedia, giacché deduco da’ tuoi discorsi
che
il melodramma è un’imperfetta imitazion de’ migli
rfetta imitazion de’ migliori e in conseguenza un’imperfetta tragedia
che
non può vivere con applauso fuor delle note e del
te — ripigliò il vecchio — egli è più difficile il deformar la natura
che
l’imitarla. [5.202ED] Tu nondimeno, se vuoi viver
[5.202ED] Tu nondimeno, se vuoi vivere, non ti lasciar uscir di bocca
che
sia più difficile il compor una cattiva che una b
ti lasciar uscir di bocca che sia più difficile il compor una cattiva
che
una buona tragedia, e massime in presenza di cert
or una cattiva che una buona tragedia, e massime in presenza di certi
che
essendo di corto ingegno ed avendone con molta, m
do, vogliono dar ad intendere aver assai più faticato intorno ad essa
che
Omero intorno all’Iliade, e all’Odissea, ed esser
tà in condurre alla sua fine un’azione angustiata da un giro di Sole,
che
un’altra che in una o in più stagioni può dilatar
e alla sua fine un’azione angustiata da un giro di Sole, che un’altra
che
in una o in più stagioni può dilatarsi. [5.203ED]
bilità s’ingegnano di comparir vaste a forza di magnificare quel poco
che
dalle loro operazioni si può esiggere. [5.206ED]
ioni si può esiggere. [5.206ED] Io pure era di questa opinione allora
che
abbozzai la mia Poetica o fosse perché credei tro
i la mia Poetica o fosse perché credei troppo al mio diletto Agatone,
che
tutto ciò ch’ei voleva mi dava a intendere; o fos
etto Agatone, che tutto ciò ch’ei voleva mi dava a intendere; o fosse
che
, siccome esaltai tanto il suo dramma, volessi cel
benché consapevoli, mercé del Fior d’Agatone lodato, di quell’affetto
che
a lui mi legava. [5.207ED] Ma se il mio libro com
o, avreste veduto mutata affatto una sì ingiusta sentenza. Io concedo
che
la tragedia sia soggetta a molte difficoltà, mass
ssimamente se vogliamo ridurla all’idea; ma l’esperienza fa conoscere
che
molte plausibili se ne possono tesser da un uomo,
ossono tesser da un uomo, benché non tutte si conformino a quell’idea
che
io ne ho data nelle mie regole e dalla quale io s
contenersi dentro una minor lunghezza di tempo; e quanto a me, credo
che
Omero avrebbe poco più penato a metter insieme qu
rebbe poco più penato a metter insieme quarantotto tragedie di quello
che
abbia faticato a legar due azioni in quarantotto
gar due azioni in quarantotto libri de’ suoi poemi. [5.209ED] Io vedo
che
Sofocle molte ne ha fatte, molte Euripide ed Omer
omini pubblici e principali, se gli ne presentano tanti per avventura
che
tutti non li può chiudere in un sol dramma, e per
mo li tiene in serbo per altre tragedie; e ne va sempre formando, fin
che
ritrova caratteri da animarle; e son di opinion c
pre formando, fin che ritrova caratteri da animarle; e son di opinion
che
non solo Eschilo, Omero, Sofocle, Euripide, ma Co
Euripide, ma Cornelio, Racine siano morti con molte tragedie in corpo
che
per difetto di vita non han partorite e che, se a
n molte tragedie in corpo che per difetto di vita non han partorite e
che
, se avessero avuto il mio segreto, avrebbero post
irai: quante noi ne leggiamo non confrontano perfettamente con l’idea
che
ne dai. [5.211ED] Io ti replico che nessun’arte a
frontano perfettamente con l’idea che ne dai. [5.211ED] Io ti replico
che
nessun’arte arriverà mai all’idea, essendo l’arri
bisogno; siccome ho detto altre volte. [5.212ED] Tu lo vedi nell’idea
che
io ti ho suggerita del melodramma. [5.213ED] Pare
nell’idea che io ti ho suggerita del melodramma. [5.213ED] Pare a te
che
con tutte le cautele che io ti ho prescritte e ch
uggerita del melodramma. [5.213ED] Pare a te che con tutte le cautele
che
io ti ho prescritte e che secondo la ragione melo
5.213ED] Pare a te che con tutte le cautele che io ti ho prescritte e
che
secondo la ragione melodrammatica paiono necessar
dramma? [5.214ED] E pure si dovran per questo chiudere tutti i teatri
che
a simili rappresentazioni son destinati? — [5.21
tazioni son destinati? — [5.215ED] — Volesse il cielo — io seguiva —
che
si chiudessero; imperciocché non arrossirei tanto
ossirei tanto vedendo come la bella Italia, mia patria, così folleggi
che
si abbandoni al piacere dell’ascoltar l’opere in
ll’ascoltar l’opere in musica; né mi vergognerei tanto di me medesimo
che
bramo dal capo al piè dell’anno ascoltarne. [5.21
amo dal capo al piè dell’anno ascoltarne. [5.216ED] Tanto egli è vero
che
il gusto di noi Italiani e di ciascun’altra nazio
o egli è vero che il gusto di noi Italiani e di ciascun’altra nazione
che
giura nell’opinion della nostra sia depravato e c
le nazioni. [5.218ED] Io teco mi accordo, siccome ho detto di sopra,
che
molto più di pensiero in ciò si richieda a far ma
tto di sopra, che molto più di pensiero in ciò si richieda a far male
che
bene; e che non sia così agevole il contrariar la
, che molto più di pensiero in ciò si richieda a far male che bene; e
che
non sia così agevole il contrariar la natura che
far male che bene; e che non sia così agevole il contrariar la natura
che
il secondarla, e per questa ragione pochi sono i
i e gli animali son molti; ma pochissimi poi fra li mostri son quelli
che
con piacere congiunto alla meraviglia si mirino.
e congiunto alla meraviglia si mirino. [5.219ED] Quindi anche avviene
che
pochissime fra tante di queste mostruose tragedie
di queste mostruose tragedie, si possan leggere con diletto disgiunte
che
sian dalle note e dalla modulazion delle voci. [5
20ED] Ma quest’arte poetica ne ha ben dell’altre sul teatro musicale,
che
alla stessa disgrazia soggiacciono. [5.221ED] La
forme a’ sinceri raggi del Sole. [5.222ED] Quegli abiti tanto pomposi
che
spirano lusso e magnificenza, recati giù dal teat
si fan schernire come falseggiati e ridicoli? [5.223ED] Ma il canto,
che
pure t’imparadisa animato da quelle note, fuori d
5.224ED] E non muore affatto se tace? [5.225ED] Queste son tutte cose
che
si fan vedere e sentir in teatro come al corteggi
6ED] Una cosa è da condannarsi ed è il tuo giudicio e di tutti quelli
che
intervengono al melodramma con l’erronea presunzi
tutti quelli che intervengono al melodramma con l’erronea presunzione
che
la poesia faccia in esso la prima figura. [5.227E
è una comparsa di maggior grado della pittura e di minor delle voci,
che
è destinata al corteggio di un personaggio maggio
anche la poesia; o s’ella è sostanza è come il colore, il quale non è
che
una sostanza di lume (per parlare con sentenza no
a talento del suo naturale, ma dell’altrui. [5.230ED] Ed ecco il modo
che
non ti spiaccia più che tanto la poesia melodramm
le, ma dell’altrui. [5.230ED] Ed ecco il modo che non ti spiaccia più
che
tanto la poesia melodrammatica, considerandola di
noratamente la poesia, niente comandando e solo ubbidendo alla musica
che
in teatro n’è la padrona. [5.234ED] E questa musi
usica poi è una delle arti più meravigliose e perfette dell’universo,
che
non perisce alla posterità né con gli autori né c
più insigni poeti e filosofi meritan fama questi venerabili, non men
che
amabili artefici. [5.236ED] Il Pasquini, il Colon
sti, il Zanettini, il Benati, il Pollaroli, il Pistocco e tanti altri
che
lungo saria raccontare viveranno ne’ loro scritti
è giammai penetrata, e li paragono a’ nostri antichi greci scultori,
che
si distinguono da’ lor moderni seguaci non tanto
e nelle ricercate diramazioni delle vene e de’ nervi sì nelle braccia
che
nelle gambe e nelle loro estremità delicate e fin
oche ore immuni dalle sventure, quanto sarà mai più pregevole un’arte
che
senza sospenderci l’uso del vivere come fa il son
te dunque, ridotta ad una perfezione così esquisita in Italia, merita
che
l’Italia ne faccia il suo più caro e pomposo spet
he i sovracigli più austeri con lodevole giovialità; e merita altresì
che
le forestiere nazioni consentano al dilettarsi di
ita altresì che le forestiere nazioni consentano al dilettarsi di ciò
che
diletta sì giustamente l’Italia; merita che le vo
tano al dilettarsi di ciò che diletta sì giustamente l’Italia; merita
che
le voci, gli strumenti, la poesia, la pittura, l’
tr’arte, la corteggino e la ubbidiscano. [5.245ED] Merita finalmente,
che
tu non faccia comparire nell’impressione del tuo
tìti dunque dagl’Invalidi, accolsi il Filosofo dentro ad un fiaccaro,
che
ivi a caso trovai per servirlo al suo alloggiamen
ivi a caso trovai per servirlo al suo alloggiamento, ma ben mi avvidi
che
all’uso appunto degl’impostori non volea colui ch
, ma ben mi avvidi che all’uso appunto degl’impostori non volea colui
che
per me s’imparasse il suo albergo, mentre, intern
volea colui che per me s’imparasse il suo albergo, mentre, internati
che
fummo nella città, si ostinò in ogni maniera a sm
ampugnano, letterato fiorentino e segretario di monsignor Aldrovandi,
che
m’invitò per parte de’ due prelati a vedere nella
per parte de’ due prelati a vedere nella galleria del Loure le piazze
che
o furono o sono sotto la giurisdizione reale e co
te in piccolo da un ingegner fiorentino. [6.4ED] Oh bella Firenze, in
che
non sei tu felice? [6.5ED] In qual ragione di cos
on d’ornamento, supera almen di lunghezza la Vaticana, io dico quella
che
Gregorio XIII Pontefice Massimo e cittadino della
pennello umano non imitata. [6.7ED] Ma in questa del Loure altro vi è
che
pittura. [6.8ED] Le piccole piazze non solamente
ne’ porti i vascelli, le galee, le feluche, con forse maggior delizia
che
se ti trovassi presente a que’ luoghi, perché cos
ava intorno alla modellata piazza gli approcci, secondo le relazioni,
che
ne venian dall’armata; dimodoché dal suo gabinett
osì disposti incoraggiscono alle imprese i lontani ingegneri, sapendo
che
il loro monarca non solo ascolta, ma vede come si
fra le quali unicamente mi spiacque e come ad italiano e come ad uomo
che
mille grazie ne avea ricevute nel mio passeggero
iù dalle scale mi vennero incontro le Tuillerie. [6.15ED] Mi fu detto
che
in questo luogo altre volte si fabbricavan le teg
gran giardino, tutto intorniato di fioritura non pellegrina, ma vaga
che
in sé rinserra verdi ricami d’erba e di busso sov
erreno, mi abbandonai al gran viale di mezzo fra gli altissimi alberi
che
quinci e quindi grandeggiano in replicate file e
la folta ombra de’ quali chi si asside, chi passeggia, uomini e donne
che
se non son tutti di egual nobiltà, son però tutti
utti di egual nobiltà, son però tutti nobilmente abbigliati, in guisa
che
mi parea di veder un gran popolo di cavalieri e d
con inaspettata serietà divertirsi e vagare in sommessi ragionamenti
che
somigliavano ad un discreto sussurro di vento che
mmessi ragionamenti che somigliavano ad un discreto sussurro di vento
che
soavemente respiri fra le commosse verdure. [6.17
zza a cui fra noi altri il nero busso riducesi, con questa differenza
che
là dove il busso esala un odor disgustoso che fen
, con questa differenza che là dove il busso esala un odor disgustoso
che
fende le teste, questo ricrea la vista senza disg
rato e nuocere alla salute. [6.18ED] Montammo dunque su quel terreno,
che
forma il palco. [6.19ED] — Ed eccoci in scena — c
scena — cominciò il vecchio — a rappresentar un filosofo ed un poeta
che
della rappresentazione quistionano. [6.20ED] Ques
e della rappresentazione quistionano. [6.20ED] Questa nostra commedia
che
finiam oggi di recitare, goderà del privilegio de
lle Spagnuole ed ancora (te lo attesti Saint Evremond) delle Inglesi,
che
non si vogliono confinate né a misura di tempo né
anto mi piace e quanto mi spiace in questi istrioni, se pur v’ha cosa
che
o possa o debba spiacermi. [6.25ED] Essi dunque n
debba spiacermi. [6.25ED] Essi dunque nelle tragedie hanno una certa
che
chiaman declamazione, mercé della quale danno tut
chiaman declamazione, mercé della quale danno tutta l’enfasi al verso
che
gli dà lo stesso poeta quando ad altro poeta lo l
cando la voce su quelle finezze, siano di sentimenti, siano di stile,
che
vogliono rilevare, acciocché si osservino e lodin
i osservino e lodino da chi le ascolta. [6.26ED] Né già confermo quel
che
si sparge in Italia, cioè che sopprimano in guisa
ascolta. [6.26ED] Né già confermo quel che si sparge in Italia, cioè
che
sopprimano in guisa co’ rompimenti del verso le r
Italia, cioè che sopprimano in guisa co’ rompimenti del verso le rime
che
queste difficilmente si rendan sensibili all’udit
come ho detto altre volte) danno tutto il suono al verso e alla rima,
che
anzi diletta cadendo non stentata ma naturale, ne
o e alla rima, che anzi diletta cadendo non stentata ma naturale, nel
che
veracemente sono eccellenti i bravi poeti di ques
lenti i bravi poeti di questa nazione. [6.27ED] Cantano insomma allor
che
declamano e mi han fatto immaginare che tale per
6.27ED] Cantano insomma allor che declamano e mi han fatto immaginare
che
tale per avventura poco diverso fusse il canto de
ruditissimo bibliotecaio di Modena, Muratori; e però su questo, prima
che
io passi avanti, ti prego a sinceramente instruir
ED] — Di buona voglia — soggiungea l’altro — m’appiglio a convincerti
che
la tragedia greca si cantava e non si cantava. [6
n si cantava. [6.29ED] Se per canto tu intendi quella sorta di musica
che
voi usate nelle vostr’opere, dico che non si cant
intendi quella sorta di musica che voi usate nelle vostr’opere, dico
che
non si cantava, perché tu ben conosci quanto è ri
ere, dico che non si cantava, perché tu ben conosci quanto è ridevole
che
un personaggio agitato dalla passione rompa a mez
tta. [6.30ED] Ma dei pertanto sapere esservi un’altra sorta di canto,
che
conviene a’ versi nel recitarli ed alle passioni
citarli ed alle passioni nell’esprimerle vivamente, e questo è quello
che
si ascoltava nelle tragedie. [6.31ED] Del nostro
pane. [6.34ED] Della nostra musica noi parleremo più a basso soltanto
che
io possa darti ad intendere la cantilena, qualunq
edesima possa sussistere, non rende a noi sensibili le sue operazioni
che
per lo mezzo degli organi corporei; e di natura d
animi altrui per l’organo dolce de’ versi. [6.37ED] Ma tu replicherai
che
imitandosi nel dramma i veri ragionamenti, questi
agionamenti, questi solamente seguono in prosa, avvenendo casualmente
che
qualche verso cada fra mezzo al discorso; alla qu
ro l’imitazione del vero; il vero ha per sé un’efficacia a persuadere
che
non ha il finto, né l’imitazione pareggia mai l’i
o, né l’imitazione pareggia mai l’imitato. [6.38ED] Questa differenza
che
sempre è notabile, viene ricompensata altamente d
avità la mente degli ascoltanti, vi discende con tanto lor piacimento
che
poi, animato dalle ragioni, le quali da esso veng
lle ragioni, le quali da esso vengono contenute, muove non altrimenti
che
se vero fusse ed anche alle volte assai più del v
olte assai più del vero. [6.39ED] Questo fascino dunque dell’armonia,
che
tanto vale a condurre a suo talento gli affetti,
[6.40ED] Premo io però nella mia Poetica, ove tratto della tragedia,
che
i «parlari sian dolci»; e ne esorta anche a ciò i
ed il latino co’ versi franzesi e con gl’italiani, già ti ho mostrato
che
i nostri metri son più colanti e ritondi, ed in c
son più colanti e ritondi, ed in conseguenza più numerosi de’ vostri
che
dalle lor posature sempre risaltano se non con un
le differenza, dimodo ché paragono i nostri al mormorio di que’ fonti
che
cadono naturalmente all’ingiù ed i vostri allo st
dono naturalmente all’ingiù ed i vostri allo strepito di quegli altri
che
sono fatti spiccar in alto dall’arte. [6.42ED] Il
e sarà mormorio, il secondo sarà sempre strepito. [6.43ED] Voi dunque
che
non avete un verso paragonabile al nostro nella d
avete (come abbiam detto) prudentemente aggiunta alla misura la rima
che
con la sua consonanza compensi quella soavità che
alla misura la rima che con la sua consonanza compensi quella soavità
che
per altro non ha il vostro metro: di tanto peso è
agera, allora la voce non è così eguale, ma si accosta più al cantare
che
al parlare, come è dicevole all’enarmonica. [6.46
l parlare, come è dicevole all’enarmonica. [6.46ED] Nella prima basta
che
vi si conosca tanta armonia quanta vale a non asc
lla seconda si ricerca di più una tal quale cantilena simile a quella
che
ne’ discorsi affettuosi naturalmente si pratica,
si pratica, alterandosi sempre in essi la voce con una certa sonorità
che
contrasegna l’infermità dell’animo querulo e geme
passione. [6.47ED] Di queste due musiche, adunque, è composta quella
che
i vostri Franzesi chiamano declamazione, la qual
, detta cromatica, pur era nella nostra tragedia, e questa era quella
che
framezzava gli atti secondati dalle tibie e da va
zava gli atti secondati dalle tibie e da vari altri strumenti, ma, da
che
voi altri moderni avete con tanto fasto introdott
moderni avete con tanto fasto introdotte sul palco l’opere in musica
che
noi non avemmo, vi dispensate da questa terza spe
l’instrumenti. [6.49ED] Io veramente non so in questo approvar quello
che
vedo omai approvato dall’uso. [6.50ED] Bensì comp
ssuefatti alla moda, mentre per quanto essi abbiano faticato ne’ cori
che
si leggono o nelle pastorali o nelle loro princip
oro principali tragedie rappresentate, non han potuto mai aver grazia
che
sieno cantati, saltandoli come inutili ciarle i c
parlando delle tragedie, e di cotest’opere in musica, ripetere quello
che
Saint Evremond lasciò scritto, cioè che «i Greci
re in musica, ripetere quello che Saint Evremond lasciò scritto, cioè
che
«i Greci facevano belle tragedie ove qualche cosa
tornare nel nostro cammino, tu omai conosci quanto s’ingannin coloro
che
credono essersi per noi tutto cantato nelle trage
ior parte de’ tragici recitamenti si declamava più dolcemente di quel
che
fanno i Franzesi, non per altro se non perch’è pi
de’ quali è affatto sterile la franzese, e quando voi altri Italiani,
che
di sillabe brevi abbondate, recederete dal mal co
[6.52ED] Io crederei poterti bastare la mia testimonianza per creder
che
la tragedia antica non si cantasse. [6.53ED] Tu l
a e dividendola in prologo, episodio, esodo e corico; dopo aver detto
che
questo alle volte è stabile e mobile ancor alle v
o che questo alle volte è stabile e mobile ancor alle volte; aggiungo
che
il prologo è quella parte della tragedia che è av
cor alle volte; aggiungo che il prologo è quella parte della tragedia
che
è avanti l’ingresso del coro; che l’episodio è la
ologo è quella parte della tragedia che è avanti l’ingresso del coro;
che
l’episodio è la parte giusta della tragedia fra i
dio è la parte giusta della tragedia fra i perpetui canti del coro; e
che
l’esodo è la giusta parte della tragedia non suss
hé vi ha una parte di coro la qual si mescola con gli attori, accenno
che
questa che io chiamo coro, non canta, essendo un
a parte di coro la qual si mescola con gli attori, accenno che questa
che
io chiamo coro, non canta, essendo un accompagnam
on canta, essendo un accompagnamento di pianto e di gemito con quelli
che
son in scena. [6.54ED] Da ciò dedurrai che il ver
nto e di gemito con quelli che son in scena. [6.54ED] Da ciò dedurrai
che
il vero coro sempre canta e che le altre parti de
on in scena. [6.54ED] Da ciò dedurrai che il vero coro sempre canta e
che
le altre parti della tragedia non si cantano, anz
aggi in scena, non canta, ma geme con quelli, essendo troppo ridevole
che
il coro cantasse con chi ragiona e solendosi per
lo più introdurre il coro con gli attori a colloquio nelle occasioni
che
ha maggior mossa l’affetto e che si abbandona ad
i attori a colloquio nelle occasioni che ha maggior mossa l’affetto e
che
si abbandona ad un’alterata declamazione. [6.55ED
monia, e melodia si ritrova. Ma ciò separatamente è distinto, essendo
che
alcune parti sono del solo metro contente; alcune
liono inoltre la melodia. [6.56ED] Ma ciò dovria chiarire abbastanza
che
basta al recitativo la dolcezza che seconda il tu
Ma ciò dovria chiarire abbastanza che basta al recitativo la dolcezza
che
seconda il tuono composto di diatonica e di enarm
per recarti altre testimonianze non men convincenti de’ tempi latini
che
han derivato il tragico costume dai Greci e che t
enti de’ tempi latini che han derivato il tragico costume dai Greci e
che
tu non crederesti sì inferiori a’ nostri, se, com
e degli anni d’Augusto e sovra tutto quelle di Ovidio Nasone, fortuna
che
a me per avventura non è mancata, non ho che a fa
i Ovidio Nasone, fortuna che a me per avventura non è mancata, non ho
che
a farti sentire secondo la tradizione ancor d’Ari
ncor d’Aristoxeno una particella del capitolo IV del vostro Vitruvio,
che
parla dell’armonia della voce (trattando del teat
m facimus modulatiionis. [6.58ED] E quinci comincerai a persuaderti
che
le voci erano armoniche, ma non canore, e quella
ò per anche non ti bastasse, passa al capitolo susseguente e troverai
che
il medesimo autore discorre di alcuni vasi di ram
re discorre di alcuni vasi di rame situati così nel teatro e disposti
che
raccoglievano in sé medesimi e rendean più chiare
é medesimi e rendean più chiare e più dolci le voci de’ recitanti, lo
che
pur anche giovava a quei che cantavano (intendend
re e più dolci le voci de’ recitanti, lo che pur anche giovava a quei
che
cantavano (intendendo de’ cori): Hoc vero licet
etiam in citharoedis, perché questi servivano non men a chi recitava
che
a chi cantava, cantando i cori e declamando gli a
cantando i cori e declamando gli attori con l’aiuto de’ concavi rami,
che
riflettevano sonoramente le voci. — [6.61ED] — Io
Io rimango pago — qui ripigliai — delle ragioni e delle testimonianze
che
tu mi adduci, per condurmi nel sentimento che l’a
i e delle testimonianze che tu mi adduci, per condurmi nel sentimento
che
l’armonia della voce dee in qualche maniera secon
a voce dee in qualche maniera secondare il numero ancora del verso, e
che
nelle gran passioni sta bene un po’ di gemito e d
sti Franzesi osservo piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie
che
un attore il quale esagera le sue passioni, mentr
ma ne’ bei passi e nelle enfasi de’ gran sentimenti; di modo ché par
che
non solo essi vogliano rilevare la verità dell’af
l tragico. [6.62ED] Le loro commedie più celebri son pur verso ed io,
che
mi son trovato all’Anfitrione, son rimasto conten
con te — ricominciò l’Impostore —. [6.64ED] Più caricano la tragedia
che
la commedia, tanto nella lunghezza del ragionare
per conformarsi alla natura ed a’ Greci. [6.65ED] Quanto a me, credo
che
i discorsi lunghi sian del carattere vero della t
e esigge lunghezza: il parlar de’ gravi personaggi con gravità, porta
che
senza interruzione procedano i ragionamenti sino
ssere mai interrotti, se non per importantissimi e violenti riguardi;
che
sebbene i discorsi tragici appaiono lunghi, non l
scorsi tragici appaiono lunghi, non lo saranno paragonati a quel vero
che
si vorrebbe dalla materia, e che in grazia dell’u
on lo saranno paragonati a quel vero che si vorrebbe dalla materia, e
che
in grazia dell’uditorio si abbrevia, ma si abbrev
ia, e che in grazia dell’uditorio si abbrevia, ma si abbrevia in modo
che
l’imitazione moderi il vero, non lo distrugga. [6
umultuoso ed interrotto e per avventura più scarso, perché gli affari
che
si maneggiano da’ privati, essendo di minor peso
maneggiano da’ privati, essendo di minor peso e di minor conseguenza
che
quelli che si maneggian da’ prìncipi, richiedono
da’ privati, essendo di minor peso e di minor conseguenza che quelli
che
si maneggian da’ prìncipi, richiedono ancora mino
ne delle passioni, ma nell’enfasi maggiore de’ sentimenti, di maniera
che
nella maggior parte di ciò in cui spicca l’ingegn
dee spiccare la voce ancor dell’attore, e recitano esattamente coloro
che
così fanno nella tragedia; né mi replicare che tr
ano esattamente coloro che così fanno nella tragedia; né mi replicare
che
troppo con l’imitazione passano il vero: torno a
i replicare che troppo con l’imitazione passano il vero: torno a dire
che
nella rappresentazione tutto dee esser caricato,
etto del vero negli animi di chi ascolta. [6.69ED] Un perito artefice
che
dipinga Apolline fra le Muse in un sito che, per
.69ED] Un perito artefice che dipinga Apolline fra le Muse in un sito
che
, per altezza o per lontananza affatichi lo sguard
degli spettatori, àltera e rileva il dintorno sì dello dio giovinetto
che
delle vergini sue compagne, e queste figure che a
dello dio giovinetto che delle vergini sue compagne, e queste figure
che
a chi di lontano le guarda rassembrano sì delicat
o grossolane, gigantesche e troppo alterate; così avverria de’ colori
che
con tanta soavità paiono entrare l’un nell’altro
franzese veduto avrai maraviglie e maraviglie non meno nella parlante
che
nella muta. [6.71ED] Voi Italiani particolarmente
e quando ascoltano per lo più non danno il dovuto segno del movimento
che
in essi l’altrui parlare cagiona; e se taluno si
di affettazione; né arriva punto a piacermi quel continuo passeggiare
che
per voi fassi in scena attraverso, l’un dietro al
n loderei lo star ritti e piantati sempre in un canto. [6.72ED] Diasi
che
certi discorsi ricerchino questo movimento bizzar
maniera parlare a chi in nessun modo vorrebbe ascoltare, certa cosa è
che
in un ragionamento degno di molta attenzione e di
materie talvolta si divisano passeggiando, ciò non è mai nella guisa
che
nelle scene italiane si rappresenta. [6.73ED] Si
.73ED] Si possono bensì dar movimenti alla persona dell’attore, senza
che
si scosti sempre o s’accosti con questo regolato
e i movimenti saranno plausibili se si troveranno uniformi all’affare
che
si propone o alla passione che si eccita, sien po
i se si troveranno uniformi all’affare che si propone o alla passione
che
si eccita, sien poi d’occhi, di braccia, di passi
ersona leggiadramente contorta. — [6.74ED] — Confesso — io risposi —
che
l’azion de’ Franzesi ha non so che di più attento
[6.74ED] — Confesso — io risposi — che l’azion de’ Franzesi ha non so
che
di più attento quando non parla e, quando parla,
italiana. [6.75ED] Trovo però alcuni errori nel recitamento franzese
che
non sono nell’italiano. [6.76ED] Primieramente pa
cominciando sempre i colloqui dal fondo della scena in voce sì bassa
che
dall’orchestra stessa non è uomo che si vanti di
ndo della scena in voce sì bassa che dall’orchestra stessa non è uomo
che
si vanti di poter distinguere i sensi del lor bor
el lor borbottare. [6.77ED] Questo è un gravissimo error nell’attore,
che
dee in grazia degli uditori parlar sempre intelli
sempre intelligibilmente, ancora quando la natura della cosa vorrebbe
che
in voce sommessissima favellasse; quando poi s’ac
amazione. [6.78ED] Deesi al comodo del popolo un altro riguardo, ed è
che
il viso e la bocca di chi favella sien sempre vol
ialoghizza negl’intervalli del suo ragionare; là dove l’interlocutore
che
finge ascoltare, può collocarsi in profilo verso
l’uno e l’altro frequentemente al gran Baubour. [6.81ED] Egli è vero
che
questo famoso attore lo pratica in occasione di m
i di palesare il dispetto. [6.82ED] Appena lo ammetterei in una donna
che
udisse tentarsi impropriamente d’amore in circost
chiarazione. [6.83ED] La verginità, la modestia ha talvolta un non so
che
d’incivile, che ben s’accorda con la custodia del
83ED] La verginità, la modestia ha talvolta un non so che d’incivile,
che
ben s’accorda con la custodia della virtù. [6.84E
orda con la custodia della virtù. [6.84ED] E per terminare quel tanto
che
ho impreso impensatamente a dir dell’azione, ella
ommosso, quelle avvertite rivolte d’occhi girati a tempo, que’ pianti
che
, a differenza de’ finti pianti d’Italia, non fann
er altro incomparabil Baubour e molto più del suo imitatore Quinault,
che
alcuna fiata è più da fanatico che da passionato
to più del suo imitatore Quinault, che alcuna fiata è più da fanatico
che
da passionato e che tanto s’ama fuor di proposito
tore Quinault, che alcuna fiata è più da fanatico che da passionato e
che
tanto s’ama fuor di proposito da questi comici vo
sionato e che tanto s’ama fuor di proposito da questi comici volatori
che
aleggiano ritti su’ piè come sul tetto della lor
a lingua, e perciò lanciarsi dietro alle spalle una ciocca di capelli
che
le scherzava sul petto, quasi le fosse ancor ques
vederle dipinte ne’ volti, perché così facevano ancora i primi comici
che
a’ tempi antichi assai più de’ tuoi si tingevano,
omici che a’ tempi antichi assai più de’ tuoi si tingevano, e conosco
che
la notte, i lumi, la lontananza, le gioie e la so
o con un cappello in testa piramidato di piume è una di quelle figure
che
noi Italiani esporremmo per muovere a riso coll’i
’abito; io perdono a’ Franzesi l’amar cotanto il lor diletto cappello
che
lo pongano ancora su quelle teste sulle quali dov
uai si finge l’azione, pure non iscomoderà punto gli occhi del popolo
che
gli ascolta. [6.93ED] Ma ecco Agamemnone col capp
, ricamate d’oro, snello, ridevole, né franzese né greco né di nazion
che
si sappia sinora scoperta nell’universo. [6.94ED]
formas, Spectatum admissi risum teneatis amici? [6.95] Tu vedi bene
che
il giudizioso Racine mi suppone Agamemnone più to
iudizioso Racine mi suppone Agamemnone più tosto in paludamento reale
che
quasi in farsetto ed in fatto Ifigenia si rallegr
isera essersi esso così vestito per assistere al suo sacrificio, cosa
che
muove l’uditorio, consapevole della imminente sve
della imminente sventura, ad una giusta pietà verso di quella vergine
che
crede d’esser la sposa di Achille ed è la vittima
non lasciar vuota la scena, volendo la maggior parte de’ tragici loro
che
resti sempre un attore della scena la qual finisc
e un attore della scena la qual finisce a colloquio con uno di quelli
che
va a cominciare, ad effetto (dicono) che non si d
colloquio con uno di quelli che va a cominciare, ad effetto (dicono)
che
non si dia il vuoto nella tragedia, come tu sei d
icono) che non si dia il vuoto nella tragedia, come tu sei d’opinione
che
non si debba dar nella natura; ma io aderisco al
ra; ma io aderisco al partito di que’ filosofi più mansueti e moderni
che
ammettono qualche parte di vuoto per facilitare i
alche parte di vuoto per facilitare il movimento de’ corpi, tanto più
che
questo vuoto di scena è difetto del corago, non d
conseguendosi agevolmente questo material riempimento coll’avvertire
che
nel mentre l’uno esce l’altro entri; e così il po
l’uno esce l’altro entri; e così il popolo veda sempre piuttosto due
che
nessuno. [6.97ED] Son ben altresì in tua sentenza
na avvertenza hanno poscia nel sortire in iscena e nel rientrare, nel
che
noi siamo religiosissimi. [6.98ED] Noi altri facc
il suo soggiorno e sempre colà rientrare, quando l’azione non chieda
che
ei debba in altra parte portarsi; e allora, se qu
a parte portarsi; e allora, se questa parte è determinata, avvertiamo
che
a quella volta ei s’incammini; se è indeterminata
ranzese, spessi incontri nell’entrare e nell’uscire di due personaggi
che
deono l’un l’altro sfuggirsi o almen si suppone c
di due personaggi che deono l’un l’altro sfuggirsi o almen si suppone
che
non si debban reciprocamente vedere, lo che pure
ggirsi o almen si suppone che non si debban reciprocamente vedere, lo
che
pure si nota di errore fra noi, e vi ha casi ne’
ente alla rappresentazione. [6.100ED] A questo proposito mi fu detto
che
nel Brittannico di Racine, dopo rappresentatasi a
nico di Racine, dopo rappresentatasi a maraviglia da madame Demairre,
che
ivi era Giunia, e di Quinault, che era Brittannic
i a maraviglia da madame Demairre, che ivi era Giunia, e di Quinault,
che
era Brittannico, la scena in cui questa povera pr
nico, la scena in cui questa povera principessa è astretta da Nerone,
che
sta d’ascoso ad ascoltare, a non accogliere l’esp
scena, entrando là dove era un momento avanti entrato Brittannico, lo
che
potea produrre un effetto di maggior gelosia nel
erso altra parte e dentro il proprio appartamento; mi fu detto ancora
che
questa poca avvertenza fu notata da tutto il popo
tto in un fiato, m’interruppe l’accorto Impostore col ridere in guisa
che
ne ballavano le rilevate sue spalle e, postami su
— un po’ respirare e poi discorriamola seriamente. [6.103ED] Per Dio
che
i Franzesi non possono tacciarti di adulatore!, m
e i Franzesi non possono tacciarti di adulatore!, ma né meno ameresti
che
ti tacciassero di satirico, e però esaminiamo la
6.104ED] Primieramente tu non hai veduto i migliori attori di Francia
che
a’ nostri giorni sieno stati monsieur Baron e mad
eur Baron e madame Duclos nel tragico, e giudichi solamente di quelli
che
sono i migliori fra i men perfetti. [6.105ED] Que
el rappresentar recitando dee senza dubbio aver le sue leggi, ma come
che
alcune ve ne siano universali ed inevitabili, che
sue leggi, ma come che alcune ve ne siano universali ed inevitabili,
che
qualsivoglia nazione dee, quando è savia, accetta
zione dee, quando è savia, accettare, ve n’ha però alcune particolari
che
bene stanno ad una nazione e non ad un’altra, e t
06ED] Vedine l’esempio nel ballo. [6.107ED] Il francese balla di modo
che
sembra quasi nuotare. [6.108ED] Le braccia sempre
nde leggiadramente, e guizza in mille rivolgimenti con la vita, quasi
che
ceda con le sue dolcissime piegature al moto dell
la corrente, e di tempo in tempo saltella appunto come quel nuotatore
che
, secondando gl’innalzamenti dell’onda, si lascia
[6.109ED] Lo vedi girarsi e rigirarsi senza un cert’ordine di figura
che
almeno sensibilmente si faccia distinguere per qu
avi, ma il tutto eseguito con tanta grazia a seconda degl’instrumenti
che
t’innamora, e tu avrai certamente nella Medea las
ea lasciati gli occhi dietro il leggiadro danzare della piccola e più
che
vezzosa madame Prevoste. [6.111ED] Questa maniera
ncora generalmente all’altre provincie, perché l’amore è una passione
che
è comune a tutto il genere umano. [6.112ED] Con t
] Con tutto ciò lo spagnuolo ha una maniera di ballo in sé raccolta e
che
, nello stesso svincolamento leggero di vita, cust
colamento leggero di vita, custodisce un non so qual decoro di maestà
che
è indivisibile dal genio grave della nazione, dim
ra più tosto un passeggio adorno di bizzarrie spiritose, di movimenti
che
mettono in vista la dispostezza e l’agilità della
postezza e l’agilità della vita, alta, minuta e disciolta: doti tutte
che
si tengono in giusto pregio da un popolo che mai
e disciolta: doti tutte che si tengono in giusto pregio da un popolo
che
mai non piega a viltà. [6.113ED] L’italiano in me
leggerissimamente sul piano e, appena toccatolo, risale come pernice
che
tutta ritta si spicca nel breve suo volo di terra
l breve suo volo di terra, a cui, agilmente rendutasi, delude il cane
che
se le accosta col rialzarsi. [6.114ED] Questa ter
he se le accosta col rialzarsi. [6.114ED] Questa terza sorta di ballo
che
fa la maggior comparsa nell’aria, somigliasi al v
uola, ma poscia manca di quella altrui gravità. [6.117ED] Ora tu vedi
che
questi tre balli, quando siano esequisitamente es
liscio e leggero. [6.119ED] Il ballo spagnuolo vuol l’abito nazionale
che
scopra con la sua ben adatta lindura i fini e sot
e di spirito. [6.121ED] Quella degli Spagnuoli ha più tosto un non so
che
di dignità e di querela. [6.122ED] Ma è tutta que
o, ma tutto dicono con sussiego e con gravità, e ben di rado adiviene
che
variino i tuoni del loro parlare in scena, sempre
ecano a grandezza d’animo il non alterarsi esternamente per tutto ciò
che
potrebbe alterare ogni anima men che spagnuola. [
rarsi esternamente per tutto ciò che potrebbe alterare ogni anima men
che
spagnuola. [6.126ED] Voi altri Italiani ora vi co
126ED] Voi altri Italiani ora vi componete ora vi scomponete, secondo
che
vi pare portar il bisogno, ora gravi ora famiglia
ar il bisogno, ora gravi ora famigliari, ma più pendete al famigliare
che
al grave, più all’espressione civile che alla tra
ma più pendete al famigliare che al grave, più all’espressione civile
che
alla tragica e passionata declamazione. [6.127ED]
ciascuno preferisce con troppo amore il proprio genio all’altrui; io,
che
vengo per terzo ad eriggermi in giudice di queste
e tre i loro vizi e le loro virtù, e ti vo’ dar gusto con sentenziare
che
l’italiano va a piacere con più ragione degli alt
scolamento mi dà grande speranza Luigi Riccobuoni detto Lelio comico,
che
con la sua brava Flaminia si è dato non solo ad i
e, le rappresenta con vivacità e con fermezza conveniente a’ soggetti
che
tratta, di modo ché potete voi dargli il giusto t
(perdoni la Crusca questo ed altri termini del teatro), egli è certo
che
né si dee vestir Agamemnone alla franzese né tamp
nzese né tampoco in farsetto; ma vi dee essere un certo modo di mezzo
che
senza disgustar l’occhio avvezzo alle mode presen
abbigli riccamente il personaggio, facendo concepire al credulo vulgo
che
sia vestito all’antica. [6.130ED] Questo vestire
che sia vestito all’antica. [6.130ED] Questo vestire ideale è quello
che
voi altri chiamate eroico, e che sì nelle tragedi
30ED] Questo vestire ideale è quello che voi altri chiamate eroico, e
che
sì nelle tragedie che ne’ vostri drammi per music
deale è quello che voi altri chiamate eroico, e che sì nelle tragedie
che
ne’ vostri drammi per musica usate, e che i Franz
co, e che sì nelle tragedie che ne’ vostri drammi per musica usate, e
che
i Franzesi in quella che chiaman ‘opera’ adoprano
ie che ne’ vostri drammi per musica usate, e che i Franzesi in quella
che
chiaman ‘opera’ adoprano. [6.131ED] Ma certa cosa
esi in quella che chiaman ‘opera’ adoprano. [6.131ED] Ma certa cosa è
che
i Franzesi in questa parte dan bene che imitare a
no. [6.131ED] Ma certa cosa è che i Franzesi in questa parte dan bene
che
imitare a voi Italiani, e siete ancor lontani di
are, talché l’imitazione, favorita dalla distanza e da’ lumi, par sin
che
superi il vero; e benché più di noi Greci, meno c
.135ED] Egli è uopo avvezzare il gusto del popolo a divertirsi di ciò
che
giova al costume, e prega il cielo che lungamente
del popolo a divertirsi di ciò che giova al costume, e prega il cielo
che
lungamente conservi il marchese Scipione Maffei,
e Scipione Maffei, di cui non fu intelletto più amante della verità e
che
si prendesse men soggezione delle pur anche accre
mal condotto puntiglio e del falso onore, e lo vedrai nella raccolta
che
ei sta facendo di alcune antiche tragedie, parte
va spopolando questo fronzuto passeggio a cui va levando il bel verde
che
sì ne allettava. [6.138ED] Amico, a rivederci. —
, a rivederci. — [6.139ED] Così mi disse ed, entrato fra quelle scene
che
formano quivi il teatro, mi lasciò solo; né mai o
XIV nella controversia sorta tra la Santa Sede e Filippo V di Spagna
che
aveva decretato la chiusura del tribunale della N
Nunziatura di Spagna (1709). Al seguito di Aldrovandi partì anche M.,
che
risiedette a Parigi da giugno a dicembre 1713. [
c: con ogni probabilità un discendente degli Howard duchi di Norfolk,
che
, come si legge nel diario di U. Landi, portava il
ct. Att., XIII.5.1-12; preservativo: farmaco; quel… me: ‘il farmaco
che
fu fatale a Demostene, quel giorno non lo fu a me
ne, quel giorno non lo fu a me’. Riferisce Plutarco (Vit. Dem., xxix)
che
Demostene avrebbe assunto del veleno per sottrars
l’aristotelismo tragico (le tre unità, il personaggio mezzano, ecc.),
che
trova un puntuale riscontro anche in Gravina, Pro
sione ad André Dacier, così ricordato nel Proemio all’Edipo Tiranno: «
che
è uno di que’ Franzesi che leggono, al dir di col
ricordato nel Proemio all’Edipo Tiranno: «che è uno di que’ Franzesi
che
leggono, al dir di colui, i Greci inginocchioni,
anche argomentativo. [commento_1.101ED] o… vero: correctio ironica
che
nel proclamare l’‘infallibilità’ dei ‘filosofi’ d
scena: il pubblico è il solo giudice delle opere teatrali, cioè colui
che
con il successo ne decreta la bontà o no. [comme
ha fatto: soggetto ‘Gravina’; intrecciamento: viluppo drammaturgico
che
trova la propria conclusione nella ‘peripezia’, o
aspettato». [commento_1.116ED] in… d’Italia: allusione alla fortuna
che
la drammaturgia tragicomica di derivazione iberic
to_1.121ED] Trissino… omerica: G. G. Trissino, gentiluomo vicentino,
che
con l’Italia liberata dai Goti (1547) tentò la re
scimento di Ifigenia da parte di Oreste, avvenuto grazie alla lettera
che
Ifigenia consegna al fratello; poi quello di Ores
ice del Fontanini di A. Gareffi, Manziana, Vecchiarelli, 2000, p. 15,
che
sostiene che la mutazione di scena renderebbe «im
nini di A. Gareffi, Manziana, Vecchiarelli, 2000, p. 15, che sostiene
che
la mutazione di scena renderebbe «imperfetta la f
ettivo avverte della prospettiva storico-progressista cui aderisce M.
che
pone l’antichità classica non sotto il segno, gra
zione ironica da Gravina, Della tragedia, p. 570: «Di qual luogo quei
che
voglion difendere la mutazion delle scene in una
5, vol. II. [commento_2.106ED] Non… strepito?: passo non rinvenuto,
che
allude, comunque, al dialogo tra Elena e Elettra
vi, 1119. [commento_2.110ED] State… casa: altro passo non rinvenuto
che
interessa il primo coro dialogato con Elettra (Eu
come sogliamo essere disposti verso il vero»; ivi, p. 202: «Quindi è
che
il poeta…»). fenestrella: allusione al tòpos del
22ED] chi… … pensamento: M. individua due tipi di soliloquio: quello
che
imita il parlare a se stesso e quello con cui si
naggio: ovvero se sia legittimo il secondo tipo di soliloquio, quello
che
esprime il pensiero interno e silenzioso del pers
zione dell’‘a parte’, in cui un attore in scena pronuncia una battuta
che
convenzionalmente non è udita dall’altro attore i
non solamente per l’esser noi sottoposti ad un soave giogo di legge,
che
nelle favole nostre maggior correzioni di costume
essa tanto nella Republica quanto nel Fedro, con il mito dell’auriga)
che
distingue tre anime: quella razionale, quella ira
ivora: riprende l’esposizione di Claude-François Fraguier (1660-1728)
che
aveva espresso un’interpretazione medica della ca
iusta monarchia. M. riprende così una lettura politica della tragedia
che
da Castelvetro era giunta fino a Rapin, di cui Gr
entrale in Della tragedia, p. 582 (e cfr. Rapin, Réflexions, p. 122),
che
aveva così giustificato lo spostamento della trag
rghese. [commento_4.8ED] Marlì: Marly, località a nord-est di Parigi
che
ospitava una parte del sistema idraulico che alim
ità a nord-est di Parigi che ospitava una parte del sistema idraulico
che
alimentava le fontane di Versailles con l’acqua d
. J. Martello, Vita… scritta da lui stesso fino l’anno 1718, p. 288) «
che
spesso lo voleva suo commensale, lo fece conoscer
tutti i luoghi più riguardevoli, ed in somma in quattro mesi e mezzo
che
l’autore dimorò in Parigi, ebbe mediante questo l
ili». Aldrovrandi: cfr. supra I.[5]. trombe: ‘condotte’. declive: ‘
che
digrada’. Marlì: il serbatoio sul colle del Cœur
eclive: ‘che digrada’. Marlì: il serbatoio sul colle del Cœur Volant
che
sovrasta Versailles. [commento_4.10ED] verdure…
alais-Royal, residenza dei duchi d’Orleans e sede dell’omonimo teatro
che
ospitava l’Opéra. Nel 1713 fu rappresentata la Me
ità lirica e per L’Iliade, poème, avec un discours sur Homère (1714),
che
accompagnava la riduzione della traduzione omeric
o’ e vuole restituire l’eccezionalità della fruizione melodrammatica,
che
ottunde le facoltà razionali e provoca una totale
Gonzaga in via Lata, nel 1709. [commento_4.35ED] nella disposizione
che
nella misura: nella prosodia e nella quantità sil
aris, Droz, 1943-1945. dovendosi… comici: si colga l’intenso scambio
che
M. seppe intrattenere con il mondo del teatro e i
_4.55ED] essenziale armonia: ‘la prosodia non è dettata dalle parole
che
lo compongono, ma da regole esterne’. Nemica…. p
ogistico, chiaramente ironica rispetto ai modi espositivi graviniani,
che
sarà ulteriormente parodiata nel trattato Del vol
commento_4.61ED] minore: la proposizione minore del sillogismo, cioè
che
«il verso italiano senza rima non ha quest’armoni
o loico: sagace filosofo. [commento_4.67ED] primo principio: ovvero
che
verso è quello che ha armonia. [commento_4.75ED]
osofo. [commento_4.67ED] primo principio: ovvero che verso è quello
che
ha armonia. [commento_4.75ED] Cicerone… Oratore
scambio dialogico sia perché consente una giusta distanza tra le rime
che
, se troppo ravvicinate, snerverebbero il verso co
ispetto al contesto tragico, prescrivendo una versificazione naturale
che
«paia effetto del caso» (ivi, p. 160) e parole-ri
to ‘ignobile’ o oscuro, appellandosi, infine, all’esperienza teatrale
che
avrebbe dimostrato che i versi non pregiudicano n
appellandosi, infine, all’esperienza teatrale che avrebbe dimostrato
che
i versi non pregiudicano né all’arte attorica né
. [commento_4.110ED] conosce… scena: conosce l’identità dell’attore
che
recita. Lelio: nome d’arte di Luigi Riccoboni (c
e recita. Lelio: nome d’arte di Luigi Riccoboni (cfr. supra IV.[38])
che
interpretò Oreste nell’Ifigenia in Tauri di Marte
commento_4.116ED] Cfr. Martello, Del verso tragico, p. 181: «è d’uopo
che
l’arte sia conosciuta e distinta dalla natura per
che l’arte sia conosciuta e distinta dalla natura per qualche tratto
che
la corregga non solo, ma, se abbisogni ancora, no
surati: ‘il senso del discorso non coincida con il limite versale, ma
che
lo scavalchi per camuffare l’uniformità prosodica
ite versale, ma che lo scavalchi per camuffare l’uniformità prosodica
che
la consuetudine suole dare a questa prosa ritmata
nio e Fabio Carsellini era in gioco lo statuto dell’Antico Testamento
che
Garofalo, sulla scia di Spinoza aveva ridotto a t
ssia della lettura di Garofalo non sarebbe passata inosservata, tanto
che
nel 1718 l’opera finì all’Indice (cfr. E. Di Rien
erché… bocca: perché ha tanto raziocinio quanto sono onorevoli coloro
che
si riempiono la bocca della parola ‘onore’. che…
ono onorevoli coloro che si riempiono la bocca della parola ‘onore’.
che
… mancando: Gravina, Della ragion poetica, pp. 278
ndo: Gravina, Della ragion poetica, pp. 278-279. [commento_4.167ED]
che
… rivocato: Gravina, Della ragion poetica, p. 279.
rivocato: Gravina, Della ragion poetica, p. 279. [commento_4.169ED]
che
… coltivata: Gravina, Della ragion poetica, p. 279
lla Casa, Luigi Tansillo (1510-1568), Angelo di Costanzo (1507-1591),
che
in età arcadica godettero di una rinnovata fortun
le accuse mosse dall’ala crescimbeniana e da Sergardi a Gravina, così
che
M. fa rocambolare su Gravina l’accusa di impostor
commento_5.35ED] Secondo canone, questa volta relativo al melodramma,
che
include: Giovanni Andrea Moniglia (1625-1700), me
Comentari, pp. 120-121. [commento_5.43ED] Risponde a Saint-Évremond
che
in Sur les opéras, cit., p. 395, aveva invece rib
’. [commento_5.83ED] caricatori… note: ‘verseggiatori’, coloro cioè
che
ricoprono di parole le note. [commento_5.85ED] U
derazione M. riserva agli spettacoli musicali offerti da un mecenate,
che
, rivolgendosi a un pubblico non pagante e selezio
etto (1677-1714), figlio di Giovanni III di Polonia e Maria Casimira,
che
, rimasta vedova, si trasferì a Roma dove aprì la
ED] Bononcino: Giovanni Bononcini (1670-1747), compositore modenese,
che
lavorò presso le principali corti europee (Vienna
o alla porta: per l’acquisto del biglietto. [commento_5.115ED] Posto
che
lo spettacolo deve sorprendere lo spettatore, ciò
ramma deve avere un lieto fine, altrimenti non conseguirà il suo fine
che
è di piacere e sollevare gli animi. utile… repub
ento_5.127ED] tagliar… atti: metafora ‘tecnica’ dell’arte drammatica
che
insiste sul campo metaforico tessile; se ne ricor
ivolge ad un altro già in scena. [commento_5.145ED] interrogazione:
che
avvia il dialogo, ma che dovendo rispettare l’int
scena. [commento_5.145ED] interrogazione: che avvia il dialogo, ma
che
dovendo rispettare l’intonazione ascendente tipic
D] M. rivela la paradossalità della sua preferenza per il melodramma,
che
razionalmente non può che condannare in quanto mo
ità della sua preferenza per il melodramma, che razionalmente non può
che
condannare in quanto monstruum, ma che dal punto
mma, che razionalmente non può che condannare in quanto monstruum, ma
che
dal punto di vista sensoriale è fonte di irrefren
ngolare convergenza con l’estetica graviniana in merito ad una poesia
che
deve rendere sensibili e quindi corporei (dando f
uita’. [commento_5.243ED] Ritorna il concetto di fruizione estatica,
che
addormenta le facoltà razionali, già espressa sup
26). Vaticana: la Galleria delle carte geografiche, lunga 120 metri,
che
conduce alla Cappella Sestina, ultimata tra il 15
: ‘è rappresentata’. [commento_6.70ED] muta: ‘pantomimo’, un genere
che
ebbe notevole diffusione in Francia tra fine Sei
in «Studi e problemi di critica testuale», LXXXVII, 2013, pp. 21-46,
che
riproduce l’orazione martelliana, testimonianza d
, testimonianza del suo precoce ‘modernismo’: «Meravigliossi Torquato
che
l’Ariosto, partendo dalle vestigia degli antichi
le lingue, e sempre più ringiovinendo nella sua fama; ove il Trissino
che
i poemi d’Omero religiosamente imitò e dentro i p
condiviso da più di un Bolognese: F.’A. Ghedini a G. P. Zanotti: «Par
che
niuno altro fine primario della poesia si possa t
tti: «Par che niuno altro fine primario della poesia si possa trovare
che
il diletto. Della natura dunque della poesia verr
l diletto. Della natura dunque della poesia verrà ad essere tutto ciò
che
possa dilettare nel verso» (in Delle lettere fami
sì bella fatica, altrettanto stava irresoluto per dar giudicio di ciò
che
avrebbe fatto, posta sul teatro, una tal novità d
sta sul teatro, una tal novità di verso e di rima continuata, incerto
che
potesse esser ben ricevuta dal nostro uditorio. I
torio. Io mi sono lusingato di bene ed ho voluto farne esperienza, il
che
mi è riuscito con fortuna più grande dello sperat
3. E. Manfredi, lettera a P. J. Martello, 3.X.1712: «Ed io vi replico
che
Pontico Vitruvio non si trova né in istampa né in
tera di S. Maffei a Muratori (23.VIII.1710), in cui oltre a precisare
che
le tragedie furono composte a sua richiesta, aggi
preziosa testimonianza per la genesi del testo, Marc’Antonio Ranuzzi,
che
appuntò l’esperienza in uno snello scritto odepor
giorno Parigi] compiè alcuni Dialoghi della tragedia antica e moderna
che
aveva già cominciati in viaggio, dove, mordendo a
lle pretese di riallacciarlo all’antica tragedia greca: «In occasione
che
io vo’ disaminare il merito de’ correnti drammi p
o scarto tra la prospettiva di Martello e quella di François Raguenet
che
nel Parallèle des Italiens et des François en ce
corsivo mio); Id., Lo sternuto d’Ercole, ivi, p. 378, laddove ricorda
che
furono proprio Landi e Conti a far conoscere ai ‘
r abate Conti, patrizio veneto, la mia delizia eravate siccome quelli
che
, leggendo le cose mie, le facevate ancor leggere
Poeti] sedendomi un giorno in mezzo a una turba di giovincelli poeti
che
ad alta voce i poemi italiani schernivano, né si
rovvisamente e colle ragioni sopraccennate così li sorpresi e confusi
che
, l’uno dietro all’altro quindi sparendo, lasciaro
scite le tragedie stampate in Napoli dall’abate Gravina, ma non credo
che
si propagheranno ne’ teatri, quando non si faccia
si propagheranno ne’ teatri, quando non si facciano risorgere coloro
che
poco distinguevano i principi dalla plebe. Ma res
et. 5): «Amico carissimo, Chi sono cotesti Quirini, e come sapete voi
che
mi domandino un componimento, quando io non ne so
i, / l’armi mie stesse in me ritorse, e tanto / mie tragedie incalzò,
che
le sospinse / poco men che nel fiume a noi confin
e ritorse, e tanto / mie tragedie incalzò, che le sospinse / poco men
che
nel fiume a noi confine»; già opportunamente mess
rati», t. XXXVIII, parte prima, 1733, p. 163, si legge tuttavia: «Ciò
che
è notabile e raro a’ nostri giorni, si è che ques
si legge tuttavia: «Ciò che è notabile e raro a’ nostri giorni, si è
che
questi due letterati, cioè il Gravina ed il Marte
affatto contrari, senza giammai dissimulare le proprie opinioni e ciò
che
l’uno contro dell’altro scriveva, serbassero un’i
l’uno contro dell’altro scriveva, serbassero un’incorrotta amicizia,
che
durò insino a tanto che il Gravina, nell’anno 171
scriveva, serbassero un’incorrotta amicizia, che durò insino a tanto
che
il Gravina, nell’anno 1718, passò a miglior vita.
. A. Muratori, p. 61, let. del 2.VI.1714. 37. Si potrebbe ipotizzare
che
per affinità tematica anche gli altri omissis fil
rsitaria, Aut. III.27, c. 1r). 41. Segnalo unicamente gli ‘aggiunti’
che
interessano una porzione sovrafrasale; più circos
elle cose, perché certo ogni cosa creata è sempre inferiore all’idea,
che
si può dir creatrice. Ma niente è più difettuoso
eriore all’idea, che si può dir creatrice. Ma niente è più difettuoso
che
il voler ridurre le cose istesse alla perfezion d
505-527, p. 506) intorno all’eredità felsinea di un barocco moderato
che
consente ai ‘riformatori’ di primo Settecento un
veduti nella fine del 1777 erano più regolari e più grandi di quelli
che
oggi esistono in Madrid; ma sventuratamente in di
sventuratamente in diverso tempo entrambi soggiacquero ad un incendio
che
gli distrusse. Sussistono quelli di Cadice e di L
li distrusse. Sussistono quelli di Cadice e di Lisbona, e sento anche
che
in questa capitale del Portogallo nel 1793 siesi
e Coràl de la Cruz. Del real teatro mentovato nel precedente capitolo
che
prende il nome dal Ritiro, fu l’architetto Giacom
n di sopra del palco, ma di sotto di esso nel comodo e spazioso piano
che
vi soggiace, quanto per agevolare l’apparenza del
iano che vi soggiace, quanto per agevolare l’apparenza delle macchine
che
il Bonavera inventava. La sua forma è circolare a
ù il vantaggio singolare di valersi alle occorrenze del gran giardino
che
le stà a livello, e presta spazio conveniente all
nti, e simili decorazioni. Vi osservai tuttavia esistenti le macchine
che
servirono per la rappresentazione della Nitteti,
ono per la rappresentazione della Nitteti, cioè un gran sole, la nave
che
si sommergeva, un gran carro trionfale, alcuni lu
unghi tubi ottagoni all’esteriore, ed al di dentro lavorati a lumaca,
che
ripieni di petruzze col solo voltarsi, e rivoltar
, l’architetto prese il partito di profondarne il pavimento, in guisa
che
per andare alla platea dovea scendersi. Ciò si di
ocevole ai mascherati vestiti di seta leggera. Dopo di tale occasione
che
durò per due carnevali, l’edificio ripigliò l’ant
ioni sceniche, ancor quando non eranvi teatri fissi. Natural cosa era
che
le famiglie abitatrici di tali casettè avessero d
e sì de’ palchi superiori, e della platea, e dello scenario inferiore
che
ne occupava una porzione, e ritennero il nome di
cupava una porzione, e ritennero il nome di corales. Madrid ne ha due
che
appartengono al corpo amministrativo che rapprese
di corales. Madrid ne ha due che appartengono al corpo amministrativo
che
rappresenta la Villa che tra noi si diceva Città,
due che appartengono al corpo amministrativo che rappresenta la Villa
che
tra noi si diceva Città, e dalle due strade ove e
xas scrittore comico del XVII secolo da noi già mentovato. Si sa solo
che
quello della Cruz più difettoso dell’altro, e pos
dificio, e moderno per la scalinata anfiteatrale, e per gli palchetti
che
hanno. La figura di quello del Principe si scosta
’altro è mistilinea, congiungendovisi ad un arco di cerchio due linee
che
pajono rette, perchè s’incurvano ben poco, onde a
due linee che pajono rette, perchè s’incurvano ben poco, onde avviene
che
da una buona parte de’ palchetti vi si gode poco
olamente entravano, ed uscivano gli attori con tutti gl’inconvenienti
che
nuocono al verisimile e guastano l’illusione. Per
scena con cortinas un sonatore di chitarra per accompagnare le donne
che
cantavano, raddoppiandosene la sconvenevolezza, p
ni scaglioni posti in giro l’uno sopra l’altro a foggia di anfiteatro
che
chiamano la grada. Circonda la fascia superiore d
a. Circonda la fascia superiore di tale scalinata un corridojo oscuro
che
anche si riempie di spettatori, ed a livello del
eggono unite in un gran palco dirimpetto alla scena chiamato cazuela,
che
congiunge i due archi della grada. Entrambi i tea
na, girano di tal modo, perchè non impediscano la vista ai corridojo,
che
guardano al punto opposto, cioè alla cazuela. Il
cioè alla cazuela. Il sig. abate Saverio Lampillas esgesuita catalano
che
ha dimorato in Genova sin dal tempo dell’espulsio
a catalano che ha dimorato in Genova sin dal tempo dell’espulsione, e
che
non mai avea veduto Madrid, volle dubitare della
ella verità di questa descrizione, per natural costume di non credere
che
a se stesso ed a’ suoi corrispondenti che tante v
ural costume di non credere che a se stesso ed a’ suoi corrispondenti
che
tante volte l’ingannarono con false notizie. Dal
bitatori di Madrid, e ad un milione almeno di altri Spagnuoli viventi
che
avranno veduti i due descritti teatri. Essi diran
n potei la vera origine, tuttocchè ne richiedessi varii eruditi amici
che
frequentavano i teatri. Udii da alcuno che il nom
edessi varii eruditi amici che frequentavano i teatri. Udii da alcuno
che
il nome di Polacchi venne da un intermezzo o da u
lor celeste. Qualche sconcerto nato tralle due fazioni, e l’animosità
che
ne risultava, determinò chi governava a troncar c
i partiti di Chorizos e Polaccos appena una fredda serena parzialità,
che
ad altro non serviva se non che a sostenere un mo
appena una fredda serena parzialità, che ad altro non serviva se non
che
a sostenere un momento di conversazione ne’ caffè
ici pagine ed otto versi del suo formidabile Prologo, cui nulla manca
che
un morrion. A penas hay (egli intona per antif
ereza, equivocacion, o falta de instruccion del Signorelli. Aggiugne
che
anche i meno affezionati alle commedie saben (san
Aggiugne che anche i meno affezionati alle commedie saben (sanno) ciò
che
ignora il Signorelli; e questo saben si ripete be
taggio di risparmiar la spesa di farli imprimere. Vediamo intanto ciò
che
importino i sei saben di codesto picciolo pedante
o ciò che importino i sei saben di codesto picciolo pedante. I Saben «
che
i partiti de’ Chorizos y Polacos sussistono nel p
uixote. Se in castigliano ed in italiano questo primo saben significa
che
di questi partiti non si sono ancora aboliti i no
ca che di questi partiti non si sono ancora aboliti i nomi, io vorrei
che
mi si rinfacciasse, dove abbia io detto il contra
si rinfacciasse, dove abbia io detto il contrario. Avendo io scritto
che
di essi rimane oggi appena una fredda e serena p
va la lingua italiana? Ma simile pacata parzialità dimostra benissimo
che
il primo stato di furore o vigore ch’egli diceva
a di sussistere, era cessato colle provvidenze del Governo. II Saben «
che
il nome di Chorizos venne da’ Chorizos che mangia
nze del Governo. II Saben «che il nome di Chorizos venne da’ Chorizos
che
mangiava certo buffone in un tramezzo, e quello d
angiava certo buffone in un tramezzo, e quello di Polacos da un fatto
che
Huerta sa ma che non vuol dire». Notizie pellegri
fone in un tramezzo, e quello di Polacos da un fatto che Huerta sa ma
che
non vuol dire». Notizie pellegrine, Di poema deg
e, Cadahalso, Robira, Morales ec., nè costoro più ne sapevano di quel
che
io ne ho narrato. Io non poteva informarmene da G
e io ne ho narrato. Io non poteva informarmene da Garcia de la Huerta
che
dimorava nel presidio di Oràn, altrimenti avrei a
ta de’ chorizos, e manifestata l’origine famosa’ de’ Polacos, dicendo
che
consisteva in certa notizia che Huerta sapeva e
origine famosa’ de’ Polacos, dicendo che consisteva in certa notizia
che
Huerta sapeva e che non voleva dire . E qual risa
Polacos, dicendo che consisteva in certa notizia che Huerta sapeva e
che
non voleva dire . E qual risalto non avrebbe ciò
ire . E qual risalto non avrebbe ciò dato al mio racconto? III Saben «
che
è una crasitud affermare che questi partiti si di
bbe ciò dato al mio racconto? III Saben «che è una crasitud affermare
che
questi partiti si distinguono per la loro passion
fanfaluche, in quallibro ciò suppone o dice il Signorelli? IV Saben «
che
non vi sia stata mai altra insolenza di tali part
nados alternativamente alguna puñada». Se Garcia de la Huerta credeva
che
colla parola insolenza io avessi preteso indicare
ampale simile a quella de’ Mori e degli Spagnuoli sotto il re Rodrigo
che
decise del dominio delle Spagne, o le guerre plus
rappresentazioni de’ due teatri a colpi di pugni? Era bagattella quel
che
soggiugne senza avvertire alle conseguenze delle
ire alle conseguenze delle sue parole? Vediamolo passando al V Saben «
che
la disposizione data di unire i prodotti de’ due
ini derivati da i due partiti». E qual ragione adduce di ciò? Questa;
che
il regolamento di fare una cassa sola seguì due a
ragione! la medicina dovea precedere i mali. Non capi codesto pedante
che
senza le precedenti insolenze, senza que’ pugni
orso a reprimerli dopo due anni con quell’espediente? Nega in oltre
che
vi fossero stati sconcerti e contese (perchè cont
ese (perchè contava per nulla il venire alle mani); ed il più bello è
che
dell’unione delle casse deliberata dal Governo mo
più bello è che dell’unione delle casse deliberata dal Governo mostra
che
fu la causa il rimediare alla prepotenza alterna
u la causa il rimediare alla prepotenza alternativa de’ due partiti
che
rendeva disuguale il guadagno, e cagionava intrig
eggi nella formazione delle Compagnie de’ commedianti. Chi crederebbe
che
ciò si allegasse a provare che tali partiti non p
pagnie de’ commedianti. Chi crederebbe che ciò si allegasse a provare
che
tali partiti non produssero contese e sconcerti?
hi e gli sconcerti ed i pugni scambievoli e la prepotenza vicendevole
che
alimentava la discordia in una capitale della mon
ava per nulla dal ragionatore Vicente de la Huerta? Confessa in oltre
che
allora si unirono gl’interessi delle due compagni
ressi delle due compagnie, e si fece una cassa sola; ma sostiene però
che
per questo non divennero esse un corpo solo. Unic
el rispettivo repertorio in due teatri. Frattanto sopprime la notizia
che
il Governo intento a dissipare ogni motivo di par
che il Governo intento a dissipare ogni motivo di parzialità dispose
che
le due compagnie alternassero le proprie recite c
lità dispose che le due compagnie alternassero le proprie recite così
che
i Chorizos in un anno recitavano nel teatro de lo
tavano luogo. Ora questa provvidenza del Governo dimostra appunto ciò
che
Huerta negava, cioè che ciascun partito avea una
provvidenza del Governo dimostra appunto ciò che Huerta negava, cioè
che
ciascun partito avea una predilezione decisa pel
maniera ed evitare le contese, gl’intrighi, le prepotenze ed i pugni
che
il Signorelli chiamava insolenze. Dissimulò ancor
gnorelli chiamava insolenze. Dissimulò ancora l’ingenuo sig. Vincenzo
che
le due compagnie aveano un solo monte che aliment
ora l’ingenuo sig. Vincenzo che le due compagnie aveano un solo monte
che
alimentava gl’individui di entrambe dopo aver ser
ia come qualche anno avvenne al Ribera ed a Martinez, non è l’istesso
che
fare un corpo solo? Fu ciò nel sig. Huerta abbond
fede o mancanza di raziocinio? Venghiamo all’ultimo e VI Saben, cioè «
che
il sombrero chambergo non è in Ispagna più antico
ombrero chambergo non è in Ispagna più antico della Guardia Chamberga
che
ne fece uso in tempo di Carlo II». Se il sig. Vin
in tempo di Carlo II». Se il sig. Vincenzo avesse detto ciò nel tempo
che
io ancora dimorava in Madrid, gli avrei mostrato
tempo che io ancora dimorava in Madrid, gli avrei mostrato facilmente
che
s’ingannava anche in questo, e che la voce Chambe
rid, gli avrei mostrato facilmente che s’ingannava anche in questo, e
che
la voce Chamberga potè forse usarsi in proposito
a dell’epoca di Carlo II. Non era certamente à tres picos il cappello
che
usarono i Goti in Ispagna, in Francia ed in Itali
bergo di detta Guardia fu forse un poco più grande, ciò non vuol dire
che
fosse nuova invenzione e precedente soltanto a qu
Ed il Signorelli quando parla di sombrero chambergo altro non dinota
che
un cappello slacciato che involava una parte del
arla di sombrero chambergo altro non dinota che un cappello slacciato
che
involava una parte del volto e proteggeva in cert
ava una nuova origine al cappello usato in Ispagna prima di Carlo III
che
volle abolirlo. Ciò detto sia soltanto per dissip
del sig. Vincenzo) codesta profonda erudizione tutta chamberga, cioè
che
cade da tutti i lati, che cosa mai fa al caso nos
a profonda erudizione tutta chamberga, cioè che cade da tutti i lati,
che
cosa mai fa al caso nostro? Diede forse il Signor
vato per altro il cappello rotondo (qualunque stata ne sia l’origine)
che
per indicare le varie cagioni della male intesa
per indicare le varie cagioni della male intesa libertà del popolo
che
assisteva alle rappresentazioni teatrali? Quanti
un tempo la poca sincerità del sig. Huerta, rammento agl’imparziali,
che
tali furono le insolenze del volgo, che prima il
rta, rammento agl’imparziali, che tali furono le insolenze del volgo,
che
prima il Governo di Madrid, indi il riputato cont
idevole della chitarra sulla scena una buona orchestra; con decretare
che
all’alzarsi del sipario tutti dovessero togliersi
re che all’alzarsi del sipario tutti dovessero togliersi il cappello;
che
per la platea e per la scalinata più non vagasser
alinata più non vagassero i venditori di aranci, di nocciuole, acqua;
che
più non si fumasse, non si fischiasse, non si sch
dando fuera fuera contro gli attori mal graditi. Simili inconvenienti
che
e prima della Guardia Chamberga e sin dal secolo
posizioni del vigilante rispettato Presidente. E da allora la decenza
che
si loda e si pratica nelle nazioni polite regnò n
. Huerta ignorando l’idioma in cui sono scritti i miei libri teatrali
che
pur voleva mordere, cadde ne’ riferiti strafalcio
ordere, cadde ne’ riferiti strafalcioni sulle parole e sul sentimento
che
ne attaccò. Egli (non senza il solito ricco corre
taccò. Egli (non senza il solito ricco corredo di villanie) conchiuse
che
nella mia Storia io dovea verificare le important
come aveano una cassa, se il nome di Chorizos venisse dalle salcicce
che
mangiava Francho, e se quello di Polacos veniva d
cce che mangiava Francho, e se quello di Polacos veniva dalla notizia
che
Huerta sapeva e che non voleva dire ) in vece di
cho, e se quello di Polacos veniva dalla notizia che Huerta sapeva e
che
non voleva dire ) in vece di perdere il tempo nel
pera del Signorelli, perchè critica (si noti la sapienza in ogni cosa
che
proferisce don Vicente) nel vocabolario di lui eq
se sempre uguale, tuonando ne’ Caffè e ne’ passeggi e ne’ papelillos
che
scarabbocchiava, servendogli d’eloquenza l’arroga
ille Racine , l’ ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’Italiani
che
non dican o che il teatro della sua nazione sia i
ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’Italiani che non dican o
che
il teatro della sua nazione sia il primo del mond
onata delle migliori, siccome ognuno attendeva dopo tanti anni? Non è
che
una semplice reimpressione di trentacinque favole
ttuosa reimpressione non meno all’istruzione della gioventù spagnuola
che
al disinganno degli esteri male istruiti? Certo è
ventù spagnuola che al disinganno degli esteri male istruiti? Certo è
che
dopo di tal raccolta manca ancora a sì culta nazi
ta come satira maligna, ma da me con predilezione amata e studiata, e
che
vorrei che sempre nelle mie opere risplendesse ,
ira maligna, ma da me con predilezione amata e studiata, e che vorrei
che
sempre nelle mie opere risplendesse , a costo di
he vedute, e tal conoscenza de’ costumi e dello stato degli Ateniesi,
che
, mal grado delle bassezze ed oscenità, piaceranno
nte impressovi con caracteri indelebili. Ma la commedia singolarmente
che
dipinge per gli spettatori presenti e non per gli
ficoltà diletta nelle scene nazionali senza notabili cangiamenti. Ora
che
diverrà di una Greca di ventidue secoli indietro,
censori di tutta l’antichitâ. Mai abbastanza a costoro non si ripete
che
il tuono decisivo e inconsiderato è quello della
ipete che il tuono decisivo e inconsiderato è quello della fatuità, e
che
debbono apprendere e ritenere, per sovvenirsene n
debbono apprendere e ritenere, per sovvenirsene nelle loro decisioni,
che
questo Aristofane era un Ateniese, e che fioriva
irsene nelle loro decisioni, che questo Aristofane era un Ateniese, e
che
fioriva sul principio del quarto secolo di Roma n
ccolo frammento, come dell’Anfiarao e del Cocalo. Delle undici intere
che
ce ne rimangono, sono questi i titoli: la Pace, i
Vespe, il Pluto. La Pace (Ειρηνης). Nulla prova con maggiore evidenza
che
nel comico teatro de’ Greci agitavansi le quistio
Del sale comico di questa favola il lettore prenderà diletto a misura
che
si avvezzerà all’artificio dell’allegoria. Trigeo
i codesto Greco Don-Quijote cercano rimuoverlo dal proposito, temendo
che
si abbia a rompere il collo, o che ne divenga mat
rimuoverlo dal proposito, temendo che si abbia a rompere il collo, o
che
ne divenga matto del tutto. Tu cascherai nel mare
urio gli domanda chi sia. Sono (dice) Trigeo Atmoneo buon vignajuolo,
che
non sono nè spione nè ladro. Mercurio gli dice ch
o buon vignajuolo, che non sono nè spione nè ladro. Mercurio gli dice
che
se vuol parlare a Giove, è venuto a mal tempo, es
sponde Mercurio, per non veder combattere i Greci, nè ascoltar quelli
che
gli porgono suppliche. Aggingne che per la loro o
ttere i Greci, nè ascoltar quelli che gli porgono suppliche. Aggingne
che
per la loro ostinazione essi non vedranno più la
e. Aggingne che per la loro ostinazione essi non vedranno più la pace
che
dalla Guerra è stata gettata in una profonda spel
più la pace che dalla Guerra è stata gettata in una profonda spelonca
che
ha coperta e serrata con gran sassi. Nè contenta
Guer. O Megara, Megara, tu sarai tosto schiacciata. Tri. Oimè, oimè,
che
la Guerra annunzia grandissimi guai a’ Megaresi!
finge di non trovarne nè presso gli Ateniesi, nè presso i Lacedemoni,
che
l’hanno prestato a’ Traci. Entrasene la Guerra. T
on tutto ciò la più vaga allegoria di questa favola consiste nel Coro
che
fa sforzi grandi, tirando alcune corde per ismuov
e fa sforzi grandi, tirando alcune corde per ismuovere le gran pietre
che
chiudono la bocca della caverna senza punto avanz
politica e di commercio. Tutti ne gongolano, e Mercurio fa osservare
che
le città prima miseramente saccheggiate durando l
utar la Dea. Dopo il canto egli vuol sapere da Mercurio, onde avvenne
che
la Pace abhandonò la Grecia? Mercurio ne dà la pr
loria . Rammenta come egli sia stato il primo ad acchetare gli uomini
che
contendevano, si calunniavano e combattevano per
ro gli Ercoli divoratori famelici, poltroni, ingannatori, ed i servi,
che
sempre piangono o che sempre mostrano le piaghe r
ri famelici, poltroni, ingannatori, ed i servi, che sempre piangono o
che
sempre mostrano le piaghe ricevute e le lividure
strano le piaghe ricevute e le lividure del bastone. Daciò si ricava,
che
quanto i comici Latini dicevano di se e de’ poeti
tifizio, e comincia a predicare e mostrare di esser volontà degli Dei
che
non si cessasse dal guerreggiare avanti che il l
esser volontà degli Dei che non si cessasse dal guerreggiare avanti
che
il lupo menasse in moglie una pecora . Altercando
l lupo menasse in moglie una pecora . Altercando con Trigeo asserisce
che
non potrà mai farsi che un gambero cammini dirit
una pecora . Altercando con Trigeo asserisce che non potrà mai farsi
che
un gambero cammini diritto, che un guscio di cas
eo asserisce che non potrà mai farsi che un gambero cammini diritto,
che
un guscio di castagna non sia irsuto , e nega di
Ognuno vede quanto graziosamente quì si ridicolizzi l’aria di oracolo
che
prendono gl’impostori, profferendo con affettata
ontenze enigmatiche e concetti oscuri. Ognuno vi apprende con diletto
che
il linguaggio dell’impostura è sempre misterioso.
ponde lepidamente: Tri. No, amico, non possiamo fartene parte, prima
che
il lupo meni in moglie una pecora. Jer. Vi suppli
Il ribattere le altrui parole è un artificio scenico pieno di sale,
che
sempre riesce vivace e dilcttevole sì ne’ gravi c
co pieno di sale, che sempre riesce vivace e dilcttevole sì ne’ gravi
che
ne’ lepidi drammi. Arriva altra gente in mezzo al
saletti, di lance e di trombe guerriere vengono a lamentarsi, dicendo
che
periscono per la fame nella pace, e i contadini g
i partoriti dalla pace non possono vedersi eseguiti nel giorno stesso
che
si pubblica. In oltre Trigeo dice appena di voler
he si pubblica. In oltre Trigeo dice appena di voleré andare in cielo
che
vi si trova: appena vuol tornar fra’ suoi che par
voleré andare in cielo che vi si trova: appena vuol tornar fra’ suoi
che
parla alla sua famiglia. Nè anche l’unità del luo
poscia in certe balze. Vi si trovano ancora varie immagini schifose,
che
svegliano idee d’immondizie puzzolenti da fuggirs
liano idee d’immondizie puzzolenti da fuggirsi da qualunque scrittore
che
sa rispettare il pubblico. Il lettore sagace lasc
lettore sagace lascerà tali difetti e bassezze al popolaccio Ateniese
che
le tollerava, e si appiglierà solo alle molte fin
olo alle molte finezze comiche, delle quali la Pace abbonda, non meno
che
al buon senno e all’amor patriotico che vi campeg
ali la Pace abbonda, non meno che al buon senno e all’amor patriotico
che
vi campeggia. Ma che censura è quella dell’erudit
non meno che al buon senno e all’amor patriotico che vi campeggia. Ma
che
censura è quella dell’erudito Nisielia? La pace,
a. Non dice mai una parola, ed è pure il fondamento della favola; or
che
perciò? qual convenienza, qual regola in questo s
in casa senza farmi toccare; mi metterò la veste del più vago colore
che
mi abbia; mi raffazzonerò, mi farò trovare gaja e
echismo, siccome può dedursi dalla sola esposizione dell’argomento. E
che
laido catechismo non sarebbe la sfacciata sozza s
gio in questa commedia vien motteggiato Pisandro uomo di bella figura
che
andava armato galantemente, ma che in un combatti
iato Pisandro uomo di bella figura che andava armato galantemente, ma
che
in un combattimento gittò le armi; onde nacque ap
o. Espone poscia la loro imperizia nel concionare. Prassagora stessa,
che
se ne fa capo e sembra la meno sciocca, aringa st
ringa stranamente valendosi de’ più ridicoli argomenti nel dimostrare
che
per migliorare la città debbe concedersene alle d
ostretto a venir fuori da un bisogno naturale, per fare in piazza ciò
che
la decenza prescrive di farsi nel più segreto del
espressamente in istrada per siffatte cose? Di più se è di notte, sì
che
non possa esser veduto, ond’è che sopravviene un
atte cose? Di più se è di notte, sì che non possa esser veduto, ond’è
che
sopravviene un altro che lo ravvisa? e che vede i
notte, sì che non possa esser veduto, ond’è che sopravviene un altro
che
lo ravvisa? e che vede il colore della veste che
possa esser veduto, ond’è che sopravviene un altro che lo ravvisa? e
che
vede il colore della veste che ha indosso? Non pa
sopravviene un altro che lo ravvisa? e che vede il colore della veste
che
ha indosso? Non parlando ora dell’indecenza di ta
oloro, a’ quali incresce il nostro rispetto verso la dotta antichità,
che
noi in quest’opera collo spirito d’imparzialità c
dotta antichità, che noi in quest’opera collo spirito d’imparzialità
che
ne governa, e con giusto sforzo (non so se felice
el fiore per inspirare il buon gusto, e di osservarne anche i difetti
che
potrebbero guastarlo: differenti in ciò totalment
bero guastarlo: differenti in ciò totalmente da certi pedanti moderni
che
si fanno gloria di esagerare tutti i difetti degl
bellezze. Blepiro adunque con naturale ma schifosa dipintura, e, quel
che
è peggio, inutile per l’azione, si dispera per no
uello di Prassagora la riprende di essere uscita sì di buon’ora senza
che
gliene abbia fatto motto. Ella si discolpa col pr
governo della città. Ecco l’oggetto del poeta: mostrare gli sconcerti
che
ne seguirebbero. Prassagora se ne rallegra, ed af
sconcerti che ne seguirebbero. Prassagora se ne rallegra, ed afferma
che
in tal guisa se ne correggeranno i vizii e gli ab
azione prendere il sostentamento di ciascuno. Imperocchè non mi piace
che
uno straricchisca mentre un altro manchi del biso
i piace che uno straricchisca mentre un altro manchi del bisognevole,
che
uno possegga molte terre, intanto che un altro no
n altro manchi del bisognevole, che uno possegga molte terre, intanto
che
un altro non ne abbia una spanna per esservi sepp
intanto che un altro non ne abbia una spanna per esservi seppellito;
che
uno sia circondato da una folla di schiavi, ed un
i avrà prima trattenute le più sparute e le vecchie. Si oppone ancora
che
non si conosceranno i figliuoli di ciascuno. Ma q
. Questo progetto suole in ogni paese trovarsi nella bocca de’ poveri
che
non posseggono, per invidia de’ ricchi, e per rin
alla bocca le quistioni politiche, e per distruggere i pregiudizii sì
che
i volgari vi si ammaestrino senza tediarsi della
strino senza tediarsi della lezione! Uno de’ principali inconvenienti
che
il poeta mette in vista, è che molti avvezzi a po
ione! Uno de’ principali inconvenienti che il poeta mette in vista, è
che
molti avvezzi a possedere non vorranno spogliarsi
iarsi del proprio, e defrauderanno il pubblico. L’altro inconveniente
che
subito manifestá la stranezza del progetto, nasce
della precedente, e secondo gl’intelligenti lo stile è più sollevato
che
nelle altre, e si avvicina al genere tragico. Vi
a vivente contro le accuse delle donne satireggiate da questo tragico
che
in tal favola a tutto potere vien motteggiato. Ne
itazione del padrone. Osservate, o popoli, un silenzio religioso ora
che
il Coro delle Muse discesenel gabinetto del mio p
della di lui attillatura e mollezza; Donde sei (egli domanda) o tu
che
non sembri uomo del tutto? quale è la tua patria?
i domanda) o tu che non sembri uomo del tutto? quale è la tua patria?
che
foggia di vestire adopri tu? che vivere ambiguo?
mo del tutto? quale è la tua patria? che foggia di vestire adopri tu?
che
vivere ambiguo? come accoppi tu lo specchio e la
ri tu? che vivere ambiguo? come accoppi tu lo specchio e la spada? di
che
spezie sei tu? parla hai tu tutto quello che stà
specchio e la spada? di che spezie sei tu? parla hai tu tutto quello
che
stà bene all’uomo? Tu sembri allevato come una do
a donna; ma dove sono le poppe? Questo tragico assettatuzzo risponde
che
un poeta aver debbe i costumi convenienti alle f
o risponde che un poeta aver debbe i costumi convenienti alle favole
che
maneggia, e chi ne fa delle effemminate, uopo è c
ienti alle favole che maneggia, e chi ne fa delle effemminate, uopo è
che
accomodi se stesso a que’ costumi…, Ibico, Anacre
musica portavano creste femminili e ballavano alla Jonica; e Frinocoo
che
appariscente e vago era, vestiva leggiadramente;
stiva leggiadramente; la natura fruttifica secondo i semi . Mnesiloco
che
è alquanto buffone, risponde: Perciò dunque Filo
rciò dunque Filocle ch’è disonesto, compone disonestamente, e Senocle
che
è malvagio, scrive perversamente, e Teognide ch’è
ide accusato come nemico delle donne. Agatone se ne scusa; ed è forza
che
il solo Mnesiloco tolga sopra di se l’impresa. Eu
mposto di donne insieme col banditore invoca le deità tutte, pregando
che
muoja di mala morte colui che tende insidie al po
nditore invoca le deità tutte, pregando che muoja di mala morte colui
che
tende insidie al popolo, o chè maltratta le donne
morte colui che tende insidie al popolo, o chè maltratta le donne, o
che
fa tregua o amicizia con Euripide, o che pensa di
o chè maltratta le donne, o che fa tregua o amicizia con Euripide, o
che
pensa di farsi tiranno della patria, o che manife
o amicizia con Euripide, o che pensa di farsi tiranno della patria, o
che
manifesta qualche donna che espone un fanciullo,
he pensa di farsi tiranno della patria, o che manifesta qualche donna
che
espone un fanciullo, o la serva ruffiana che sver
manifesta qualche donna che espone un fanciullo, o la serva ruffiana
che
svergogna il padrone, o la messaggiera bugiarda c
la serva ruffiana che svergogna il padrone, o la messaggiera bugiarda
che
porta notizie é speranze false, o quell’indegno c
saggiera bugiarda che porta notizie é speranze false, o quell’indegno
che
inganna e non paga le donne, o la meretrice che t
alse, o quell’indegno che inganna e non paga le donne, o la meretrice
che
tradisce il drudo, o le vecchiarde che regalano i
paga le donne, o la meretrice che tradisce il drudo, o le vecchiarde
che
regalano i loro mercenarii amanti. Atto II. Il ba
zii donneschi da lui propalati. Un’altra donna l’accusa di ateismo, e
che
coll’aver negato l’esistenza degli Dei, ella che
accusa di ateismo, e che coll’aver negato l’esistenza degli Dei, ella
che
vender soleva ghirlande per gli sagrifizii, dopo
i sagrifizii, dopo le di lui tragedie non vende la mettà delle corone
che
prima vendeva. Levasi appresso Mnesiloco e contra
ico spiega tutta l’amarezza della satira contro il bel sesso, facendo
che
Mnesiloco racconti mille e mille furberie donnesc
e. Tale aringa solleva l’assemblea femminile contro la finta oratrice
che
vien minacciata di esser pelata col fuoco. Contin
everaggi apprestati a’ mariti per farli impazzire ed altro. Il romore
che
eccita questa maligna orazione, è sospeso dall’ar
di lui costumi) il quale fa sapere alle donne di avere udito nel foro
che
Euripide ha inviato nel tempio di Cerere il vecch
doveva risultare dal movimento di tutta l’adunanza, e dalle diligenze
che
faceva il Corro per accertarsi se altri vi fosse
suocero di Euripide non so come si sviluppa e si distriga dalle donne
che
lo custodiscono, e strappata dalle braccia di una
cendo forse una parodia di qualche scena tragica, No , dice, non fia
che
mai più tu allatti questa fanciulla, se non sono
sono lasciato in libertà; con questo ferro le taglierò le vene, farò
che
ne sgorghi tutto il sangue e ne rosseggi quest’ar
rgomento per inveire contro l’ebrezza e intemperanza donnesca. Quello
che
rende più satirico e piacevole questo colpo teatr
a. Quello che rende più satirico e piacevole questo colpo teatrale, è
che
l’azione si rappresenta nel terzo giorno delle Te
de in forma di Menelao, e la scena tragica riesce graziosa. Tutto ciò
che
vedesi sul teatro viene da essi adattato alla sto
empio chiamasi casa di Proteo, l’altare vien detto sepolcro, la donna
che
è presente detta Critilla, è presa per Teonoe fig
ravvisarsi e riconoscersi. Ecco un dialogo ed una agnizione tragica,
che
accompagnata dalla parodia e caricata con azione
produrre sì piacevole effetto sulle scene Ateniesi. La donna intanto
che
custodisce il colpevole, annunzia la venuta di un
to V. Euripide non comparisce più, ed il suocero freme. Si avvede poi
che
di lontano gli fa qualche cenno, dal quale intend
ualche cenno, dal quale intende (per altro con poca verisimilitudine)
che
vuole che si finga Andromeda. Euripide torna vest
no, dal quale intende (per altro con poca verisimilitudine) che vuole
che
si finga Andromeda. Euripide torna vestito dá Ecc
ci. Euripide la consola. Chi sei tu? gli dice Andromeda. Io sono Ecco
che
ripete i suoni e le parole; e seguita la scena de
questo nuovo travestimento nasce un nuovo passaggio tragico. È chiaro
che
tutte queste trasformazioni tendevano a contraffa
ie più rinomate. Il Coro invoca Pallade, ed Euripide dice alle donne,
che
se vogliono venir seco a patti e liberar Mnesiloc
di non dir mai più male di loro. Le donne sono di accordo, ma temono
che
il custode abbia ad opporsi; alla qual cosa Eurip
lle trasformazioni degli zanni scemano di pregio in ragione del tempo
che
va tramezzandosi fra essa ed il Comico Greco. Anc
ta Cesareo (nel capitolo V dell’Estratto della Poetica di Aristotile)
che
l’asione incomincia in istrada, poi passa, conti
figuri, come agevolmente poteva eseguirsi nel vasto teatro Ateniese,
che
comprendesse due membri, de’ quali l’uno rapprese
, e si finge molto poltrone, per deridere prohabilmente qnalche poeta
che
era mal riuscito a vestire e caratterizzare il fi
zzare il figliuolo di Alcmena. Bacco in compagnia di Santia suo servo
che
porta alcuni vasi, un letto ed altro, batte alla
lcuni vasi, un letto ed altro, batte alla porta di Ercole, e gli dice
che
in leggendo l’Andromeda di Euripide erasi invogli
i invogliato di trarre questo tragico dall’inferno ed averlo seco. E
che
vuoi tu farne? gli dice Ercole. Bac. Vo che rit
erno ed averlo seco. E che vuoi tu farne? gli dice Ercole. Bac. Vo
che
ritorni al mondo, perchè i tragici che vi sono ri
ne? gli dice Ercole. Bac. Vo che ritorni al mondo, perchè i tragici
che
vi sono rimasti, sono ignoranti. Erc. Tutti ignor
anti. Erc. Tutti ignoranti? Ma non vive Jofone? Bac. Questo è l’unico
che
sia passabile, ma non so dire dove egli sia. Erc.
meglio portar qui Sofocle anteriore ad Euripide? Bac. Io non vò altri
che
Euripide, perchè un furbo come egli è saprà contr
erchè un furbo come egli è saprà contribuire dalla sua banda a far sì
che
io possa agevolmente condurlo meco. Erc. Ed Agato
. Mi ha lasciato questo poetino tanto desiderato dagli amici. Erc. In
che
parte sarà andato? Bac. Nel Convito de’ beati. Er
tragedie, e sono più loquaci di Euripide? Bac. Sono tutti cianciatori
che
fanno vergogna al mestiere. Questo squarcio ne d
no vergogna al mestiere. Questo squarcio ne dà la storia de’ tragici
che
sopravvissero a Sofocle, fra’ quali, al dir di Ar
li, al dir di Aristofane, il meno cattivo era Josone. Bacco poi vuole
che
Ercole gl’insegni la via da calare speditamente a
Ercole gl’insegni la via da calare speditamente all’inferno, ma vuole
che
gliene additi una che non sia nè troppo calda nè
ia da calare speditamente all’inferno, ma vuole che gliene additi una
che
non sia nè troppo calda nè troppo fredda. Erc. T
di mandarti giuso, vi anderai. Bac. Dove? Erc. Abbasso. Bac. Tu vuoi
che
ti rompa la testa. Io non vo’ miga andar per siff
ndar per siffatte vie. Erc. E perchè? Bac. Perchè vo’ gire per quella
che
tu facesti. Erc. Oh! Per quella avrai molto trava
ue oboli. Bac. Oh oh! anche nell’inferno hanno forza le monete? Ma in
che
modo vi andasti tu? Erc. Mi guidò Teseo ecc. Erc
uidò Teseo ecc. Ercole gli dice poi tutto il cammino e le difficoltà
che
incontrerà, e parte. Bacco rimane fermo nel propo
ppellirsi, e gli domandano, se voglia portar que’ vasi; il morto dice
che
gli porterà per due dramme. Due dramme a Bacco se
nvengono; e s’incamminano soli senza cercar di altri. Trovano Caronte
che
ammette solo Bacco nella sua barca, e Santia è co
ute tutte le cose accennate da Ercole. Santia risponde di no, e stima
che
le abbia dette per ispaventarlo; ma egli è bravo,
in questo luogo è la descrizione dell’Empusa, ossia della Fantasima,
che
per ventura possiamo far conoscere colla versione
amo far conoscere colla versione del riputato Cesarottia. San. Zitto
che
non so che d’intorno rombami. Bac. Dove? San. Do
oscere colla versione del riputato Cesarottia. San. Zitto che non so
che
d’intorno rombami. Bac. Dove? San. Dove?Dietro l
è l’Empusa! San. Oimè! questa è l’Empusa! Affè ch’io credolo. Vè vè
che
il viso come bragia avvampale. E una gamba ha di
lodi di Bacco, e dice quali sono i perversi, i furfanti, i traditori
che
debbono star lontani da i cori sacerdotali. Quì c
ne, e si annunzia per Ercole. Ercole? (risponde Eaco furibondo) colui
che
rubò il nostro cane Cerbero? Bacco s’impaurisce e
o? Bacco s’impaurisce e prende il partito di cangiar vesti con Santia
che
mostra più coraggio di lui. Ma viene una fantesca
erne, riprende la clava e la pelle di leone. Vengono però altri servi
che
lo prendono per un rubatore, ed egli dice a Santi
rò altri servi che lo prendono per un rubatore, ed egli dice a Santia
che
torni ad esser Ercole. Torna Eaco, e per sapere q
essi due è il ladro e quale Ercole, immagina questo espediente: colui
che
soffrirà le bastonate senza dar segno di dolore,
lli e degli arlecchini, ma è vivace e ridicola. Un pianto, uno sdegno
che
convenga occultare, un riso o dissimulato o sforz
ga occultare, un riso o dissimulato o sforzato, ogni affetto in somma
che
sia dallo spettatore conosciuto, ma che il person
orzato, ogni affetto in somma che sia dallo spettatore conosciuto, ma
che
il personaggio debba reprimere, produce in teatro
la quale havvi tra’ morti un gran contrasto. È una legge dell’inferno
che
il più eccellente in un arte occupi la sede di Pl
ccupi la sede di Plutone, pronto a cederla a un altro di maggior nome
che
sopravvenga. San. E perchè dunque Eschilo è cosi
n’è stato ancora discacciato? Eac. No, ma il popolo grida, e pretende
che
si esamini qual de’ due sia il più insigne. San.
etende che si esamini qual de’ due sia il più insigne. San. E Plutone
che
cosa ha deliberato? Eac. Farne l’esame. San. Ma S
orse la mano ad Eschilo, lo bacio, e non volle aspirare al trono… Ora
che
sa che si contende pel primato, ha risoluto di co
mano ad Eschilo, lo bacio, e non volle aspirare al trono… Ora che sa
che
si contende pel primato, ha risoluto di confermar
pel primato, ha risoluto di confermare ad Eschilo la cessione in caso
che
rimanga vincitore; se poi egli perde, fa conto di
ingiuriandosi. Bacco cerca di farli acchetare. Non è dovere, ei dice,
che
poeti, uomini di lettere, si vituperino, e dicans
i di lettere, si vituperino, e dicansi villanie come due donnicciuole
che
vendono del pane. Eschilo protesta di aver pena d
na di contendere con un emolo la cui poesia è morta coll’autore, dove
che
la sua è ancor viva. Comincia la disputa. Euripid
isputa. Euripide in prima taccia l’emulo come superbo; gli rimprovera
che
in lui il Coro soleva guastar l’ordine del canto,
ole strane ignote agli spettatori. A quest’ultima cosa Bacco aggingne
che
in fatti egli aveva un’intera notte vegliato, per
aggingne che in fatti egli aveva un’intera notte vegliato, per sapere
che
mai fosse un Equigalto. Ma a ciò Eschilo risponde
e un Equigalto. Ma a ciò Eschilo risponde. Oh ignorantissimo! impara
che
questa era una dipintura capricciosa fatta sulle
capricciosa fatta sulle navi. Segue Euripide: Non ho fatto io così,
che
avendo ricevuta l’arte da te ch’eri gonfio e pien
che avendo ricevuta l’arte da te ch’eri gonfio e pieno di jattanza, e
che
adoperavi parole inintelligibili, primieramente l
n linguaggio più umano, più naturale, più adattato alle varie persone
che
imitai. Son io (soggiugne) che ho insegnato a pa
rale, più adattato alle varie persone che imitai. Son io (soggiugne)
che
ho insegnato a parlare agli Ateniesi: sono io che
Son io (soggiugne) che ho insegnato a parlare agli Ateniesi: sono io
che
ho fatti discepoli migliori de’ tuoi; perochè tu
all’incontro di buoni gli hai fatti divenire scellerati. Non così io
che
in vece di renderli sofisti, ciarloni, astuti, co
come tu facesti, gli ho fatti generosi e inclinati all’armi; di modo
che
chiunque ha veduti i Tebani, ha desiderato esser
o ancora vestiti di abiti tragici, gravi e assai più nobili di quelli
che
communemente usiamo; dovecchè tu, distruggendo qu
censura de’ canti o sia della musica apposta alla loro poesia. Sembra
che
Euripide ripetendo uno squarcio di qualche dramma
a cantilena di Euripide Ei ei ei ei . Tali critiche benchè esagerate
che
Aristofane mette in bocca ai due tragici, ci cons
pportate. In fine Bacco pone questi emuli a un nuovo cimento, volendo
che
profferiscano a vicenda un verso per esaminare qu
ito, prendendo la parola peso materialmente, e dando la palma a colui
che
nomina in esso cose più gravi. Giudice siffatto d
hilo, il quale si accinge a tornar tra’ vivi; ma prima dice a Plutone
che
conceda la sede tragica a Sofocle, affinchè gliel
conceda la sede tragica a Sofocle, affinchè gliela conservi, in caso
che
dovesse egli ritornare all’inferno, non istimando
sorio, ed il fondamento della sentenza pronunziata da Bacco manifesta
che
Aristofane volle burlarsi di ambedue, benchè con
ritica s’impara il sito dell’inferno de’ Greci. Sarebbe a desiderarsi
che
i Critici in ogni censura domandassero a se stess
censura domandassero a se stessi, a qual genere appartiene la favola
che
io esamino? La maggior parte delle osservazioni d
ervazioni di quell’erudito contro Aristofane svanisce al considerarsi
che
egli volle misurare le di lui favole colla squadr
diede agli Ateniesi oziosi materia di ragionare anche due mesi prima
che
l’autore ottenesse la licenza di porla in teatro.
e grazie e l’artifizio senza detestarla, altro far non bisogna se non
che
al nome del virtuoso Socrate che astiosamente vi
starla, altro far non bisogna se non che al nome del virtuoso Socrate
che
astiosamente vi è malmenato, sostituirne un altro
che impostore malvagio corruttore della gioventù. Non fu già vero ciò
che
s’imputò al poeta, cioè di essere stato subornato
iscemò punto per la rappresentazione delle Nuvole. Può ben dirsi però
che
in essa il Comico temerario osò attaccare la stes
ecento. Sappiamo dall’altra parte da Eliano accusatore di Aristofane,
che
Socrate non frequentava i teatri ed il Pireo, se
gico più abborrito da Aristofane. Sappiamo ancora dal medesimo Eliano
che
Socrate affatto non apprezzava i poeti comici, od
ν της κωμοδιας ην αυτῶ τα ασπερματα, e queste cose (cioè il disprezzo
che
faceva Socrate de’ comici maledici) furono ancora
eri da piacere in tutti i tempi nelle più colte città: una donna vana
che
dameggia, un figliuolo di un villano che fa da ca
colte città: una donna vana che dameggia, un figliuolo di un villano
che
fa da cavaliere e si occupa di carrette (ed ora d
rozze) a due, a quattro ed a sei cavalli, e un contadino mal accasato
che
a suo dispetto si tratta da gentiluomo e si caric
trimonio disuguale cominciarono a buon’ora le discordie de’ consorti,
che
Strepsiade va rivangando nella prima scena. Il p
va rivangando nella prima scena. Il primo contrasto avvenne pel nome
che
portar doveva il figliuolo. Io voleva chiamarlo F
lo. Io voleva chiamarlo Fidonnide dal nome dell’avolo, ed ella voleva
che
il nome terminasse in ippo, che dinota nobiltà e
e dal nome dell’avolo, ed ella voleva che il nome terminasse in ippo,
che
dinota nobiltà e generosità a, e si chiamasse o S
o figliuolo, e accarezzandolo diceva: E quando, o caro, verrà quel dì
che
tu fatto grande condurrai il cocchio in città com
ù veri nè di più vaghi. Con questi principii materni non è meraviglia
che
il figliuolo sia cresciuto con inclinazione al lu
ciò ne darà motivo in appresso di ammirare l’arte del poeta. Gli dice
che
bisogna mutar vita e costumi, mettere da banda la
e egli stesso a studiare. Batte alla porta di Socrate, e un discepolo
che
viene a veder chi picchia, lo sgrida perchè ha in
Questo solo colpo di pennello manifesta subito lo spirito della casa;
che
se il servo o discepolo affetta tanto l’uomo d’in
il servo o discepolo affetta tanto l’uomo d’ingegno e di conseguenza,
che
sarà il padrone o maestro? Strepsiade vuol sapere
conseguenza, che sarà il padrone o maestro? Strepsiade vuol sapere in
che
trovasi attualmente occupato il maestro. Ed il di
. Ed il discepolo lo prega a conservare il segreto, e poi gli confida
che
stà misurando quanti de’ proprii piedi una pulce
isurato lo spazio corso nel salto. Strepsiade esclama, Str. O Giove!
che
prodigiosa acutezza? Disc. E che dirai di quest’a
. Strepsiade esclama, Str. O Giove! che prodigiosa acutezza? Disc. E
che
dirai di quest’altra?. Domandato da Cherefonte, s
ose esperienze è giunto a sciorre sì gran problema, e si è assicurato
che
il canto venga dalla parte deretana. Str. Il di d
za; ma dove sono gli Aristofani? Il discepolo apre la porta, e sembra
che
Strepsiade sia introdotto nella scuola senza part
tigui successivamente senza uscire dalla scena; se non si voglia dire
che
i Greci non si fecero una legge intorno al luogo,
a al suolo, altri estatico si affisa al cielo. Osserva indi le statue
che
rappresentano la geometria e l’astronomia, e i ma
Eubea, la Laconia. Vede in fine il maestro Socrate assiso in un cesto
che
stà sospeso, e gli domanda in prima che cosa facc
ro Socrate assiso in un cesto che stà sospeso, e gli domanda in prima
che
cosa faccia in quel cesto. Socrate risponde che e
gli domanda in prima che cosa faccia in quel cesto. Socrate risponde
che
egli va colla mente spaziando per l’aere e medita
e egli va colla mente spaziando per l’aere e meditando sul sole, cosa
che
far non potrebbe, se co’ piedi toccasse la terra,
orza di elevarsi alla contemplazione delle cose superiori. Non sembra
che
favelli un cerretano che vada affastellando grand
templazione delle cose superiori. Non sembra che favelli un cerretano
che
vada affastellando grandi paroloni ch’egli stesso
li studii severi è bene antica, e si perpetuerà massime in que’ paesi
che
sono privi di teatro perfetto, ove possano senza
gli Dei. Che sorta di Dei giuri tu? ripiglia Socrate. Tu dei sapere
che
la prima cosa che qui s’insegna, si è che non vi
a di Dei giuri tu? ripiglia Socrate. Tu dei sapere che la prima cosa
che
qui s’insegna, si è che non vi sono Dei. Ecco le
glia Socrate. Tu dei sapere che la prima cosa che qui s’insegna, si è
che
non vi sono Dei. Ecco le conseguenze della falsa
ai Newton a provare l’esistenza di Dio dalle cose fattea; e la falsa
che
tutto ignora il mirabile magistero dell’universo,
ristofane introdotto con malignità col nome del buon Socrate, insegna
che
non vi sia altro nume fuor delle Nuvole, alle qua
ro delle Nuvole accompagnato o preceduto dallo scoppio del tuono; nel
che
si noti come i Comici Greci si approfittavano di
vorato con forza e arricchito d’immagini poetiche. Strepsiade domanda
che
cosa sono queste Nuvole? sono esse regine? No ,
ono esse regine? No , dice Socrate, sono Nuvole celesti, Dee sublimi,
che
agli uomini pacifici e studiosi, come noi siamo,
e contraddire. Desidera indi di veder le Nuvole, e Socrate gli dice,
che
si volga verso il monte Parnaso, donde potrà vede
tupisce il candidato, perchè queste Nuvole non rassomigliano a quelle
che
ei suol vedere iu aria, avendo queste l’aspetto d
he ei suol vedere iu aria, avendo queste l’aspetto donnesco; e quelle
che
volano per l’aria sembrano tanti volumi di lana c
onnesco; e quelle che volano per l’aria sembrano tanti volumi di lana
che
ondeggi. O sciocco , gli dice Socrate, non hai t
auro, a un pardo, a un lupo, a un toro? Esse si trasformano in quello
che
vogliono. Se vedono uno zotico come Senofonte, pr
mone, diventano lupi; se il poltrone Cleonimo, si fanno cervi; ed ora
che
hanno aocchiato l’effemminato Clistene, si sono c
e e nominavano i viventi. Sparge indi il poeta varie empietà, facendo
che
Socrate neghi Giove, per renderlo odioso, giusta
acendo che Socrate neghi Giove, per renderlo odioso, giusta l’oggetto
che
si ha prefisso. Ma Giove, dice Strepsiade, non f
imo e Teoro spergiuri e mancatori spacciati? Giove non fulmina se non
che
il suo tempio, la cima della rocca Ateniese, e le
rchè questo? le quercie forse giurano sul falso? Socr. Abbi per certo
che
non visono se non se queste tre cose, il Caos, le
giudici e deludere i creditori. Le Nuvole gliel promettono ordinando
che
si dia in potere delle loro fantesche e si adatti
ia avanti a favellar di se. È questo l’equivalente di un vero prologo
che
i Latini premisero alla favola. I Greci però sono
ri chiunque per farlo ragionare, e tra tanti non sarà sembrato strano
che
venisse fuori lo stesso autore come un individuo
o delle Nuvole si suppone composto di esseri immaginarii, ed il poeta
che
si presenta alla scoperta, pare che ne distrugga
i esseri immaginarii, ed il poeta che si presenta alla scoperta, pare
che
ne distrugga ogni illusione. Che che sia di ciò,
si presenta alla scoperta, pare che ne distrugga ogni illusione. Che
che
sia di ciò, egli parla di se stesso, loda le prop
tepassati. Dice di esser questa la migliore delle sue favole, e spera
che
l’uditorio l’accolga benignamente, tanto più che
sue favole, e spera che l’uditorio l’accolga benignamente, tanto più
che
egli è in possesso della sua cortesia, da che non
benignamente, tanto più che egli è in possesso della sua cortesia, da
che
non avendo l’età propria da presentar commedie (r
n avendo l’età propria da presentar commedie (richiedendosi per legge
che
il poeta avesse almeno trent’anni, e secondo altr
quaranta) ne produsse una anonima ottimamente ricevuta. Spera adunque
che
la presente sia ugualmente accetta, perchè niuna
alvi, non a far dipinture e balli osceni, non a introdurre un vecchio
che
va col bastone percotendo quanto incontra, non a
Io m’ingegno di comporne sempre delle nuove e spiritose con tal cura
che
l’una all’altra non rassomigli e se una volta ho
se una volta ho battuto Cleone, non torno a saltargli addosso mentre
che
giace in terra. All’incontro gli altri avendo pre
’ calci. Eupoli, nella sua commedia intitolata Marica, altro non fece
che
trasformare la mia che nominai i Cavalieri, e sol
sua commedia intitolata Marica, altro non fece che trasformare la mia
che
nominai i Cavalieri, e solo vi aggiunse una vecch
mia che nominai i Cavalieri, e solo vi aggiunse una vecchia ubbriaca
che
faceva un ballo lascivo, e questa ancora egli tol
lungo coro termina l’atto. Atto II. Socrate adirato contro Strepsiade
che
poco comprende, e nulla ritiene, lo chiama per da
r dargli una lezione. La scena è molto salsa e piacevole. Socr. Orsù
che
cosa vuoi tu prima imparare di tante che ne ignor
lsa e piacevole. Socr. Orsù che cosa vuoi tu prima imparare di tante
che
ne ignori? Vuoi tu studiare di misure di parole o
Strep. O non è egli tetrametro il semisestario? Socr. Va alle forche,
che
tu sei troppo tondo e grosso. Queste cose non son
sono pe’ tuoi denti. Potresti piuttosto imparar di eanto. Strep. O o,
che
giovano i canti alla farina? In fine egli si dic
r solo apparare il modo di persuadere l’ingiustizia. Socrate replica,
che
prima bisogna apprendere molte altre cose; ma si
tte le fantastiche dettegli dal maestro. Finalmente conoscendo questi
che
per lo capo del vecchio altro non si aggira che i
nte conoscendo questi che per lo capo del vecchio altro non si aggira
che
il non rendere le usure, il persuade a raccorsi i
i notte la Luna e chiusala in un vaso rotondo me la serbassi? Socr. E
che
ti gioverebbe? Strep. Se non nascesse più la Luna
quistione. Socr. Se ti fosse scritta una pena di cinque talenti, in
che
modo la scancelleresti? Strep. In che modo… in ch
una pena di cinque talenti, in che modo la scancelleresti? Strep. In
che
modo… in che modo…? E cosa da cercare… Oh! l’ho t
cinque talenti, in che modo la scancelleresti? Strep. In che modo… in
che
modo…? E cosa da cercare… Oh! l’ho trovata, è bel
ù in età di apprendere. Strepsiade dice di aver bene un figliuolo, ma
che
non vuole imparare. Il Coro replica che lo costri
di aver bene un figliuolo, ma che non vuole imparare. Il Coro replica
che
lo costringa, ed il vecchio va a chiamarlo. Atto
epsiade parlando al figliuolo impiastriccia alla rinfusa tutto quello
che
ha udito da Socrate di gallo, di gallina, di Giov
a tutto quello che ha udito da Socrate di gallo, di gallina, di Giove
che
non esiste, del turbine che regna in sua vece ec.
da Socrate di gallo, di gallina, di Giove che non esiste, del turbine
che
regna in sua vece ec., di sorte che il giovane cr
Giove che non esiste, del turbine che regna in sua vece ec., di sorte
che
il giovane crede che il padre sia diventato matto
del turbine che regna in sua vece ec., di sorte che il giovane crede
che
il padre sia diventato matto, e sta pensando se d
rza. Strepsiade al fine l’obbliga ad andar da Socrate per imparar ciò
che
è giusto e ingiusto, o almeno solo l’ingiusto. So
ò che è giusto e ingiusto, o almeno solo l’ingiusto. Socrate per fare
che
il giovine impari più facilmente, vuol che ascolt
ingiusto. Socrate per fare che il giovine impari più facilmente, vuol
che
ascolti il favellar del Dritto e del Torto. Vengo
ascolti il favellar del Dritto e del Torto. Vengono fuori due attori
che
rappresentano questi esseri allegorici, e diconsi
lte ingiurie aspramente altercando. Non v’è giustizia, dice il Torto;
che
se vi fosse Giove che ha legato il padre, sarebbe
e altercando. Non v’è giustizia, dice il Torto; che se vi fosse Giove
che
ha legato il padre, sarebbe stato punito. Il Coro
a legato il padre, sarebbe stato punito. Il Coro si frappone; e vuole
che
tanto il Dritto che ha insegnato a’ tempi antichi
arebbe stato punito. Il Coro si frappone; e vuole che tanto il Dritto
che
ha insegnato a’ tempi antichi, quanto il Torto ch
he tanto il Dritto che ha insegnato a’ tempi antichi, quanto il Torto
che
insegna a’ giorni nostri, dicano pacatamente le l
omo si priva di ogui piacere e delizia della vita. Risponde il Dritto
che
se i giovani prestassero orecchio a ciò che dice
vita. Risponde il Dritto che se i giovani prestassero orecchio a ciò
che
dice il suo nemico, diventerebbero tanti infami c
nterebbero tanti infami ciuedi. E se ciò avvenisse, replica il Torto,
che
mai sarebbe? E quì il poeta lancia i più amari e
nando a dito nell’uditorio, e dimostra di essere in così gran numero,
che
il Dritto stesso si confessa vinto, e passa dalla
ano il popolo a pregiarle e tenerle per Dee, mostrandogli i benefizii
che
da esse può ricevere, dispensando a tempo la piov
e, dispensando a tempo la piova e la serenità, e i danni all’incontro
che
gli arrecheranno non essendo da esse onorate. Att
dolo venire) io scorgo nella tua fronte cert’aria novella d’impudenza
che
non avevi; tu hai un aspetto franco ed un colore
baldanza e sfacciataggine totalmente contraria a quel modesto rossore
che
, secondo Catone presso Plutarco, è il colore dell
escendo a dismisura all’udire le cavillazioni e le risposte furbesche
che
dà il figliuolo. Si noti che questo Fidippide bal
le cavillazioni e le risposte furbesche che dà il figliuolo. Si noti
che
questo Fidippide baldo, trincato, calunniatore, è
ippide baldo, trincato, calunniatore, è diverso dal Fidippide modesto
che
il poeta maestrevolmente ci presentò nella prima
della corrotta scuola di un falso filosofo. Egli fa trapelare ancora
che
per l’avvenire questo sfacciato andrà più oltre.
siade, in vece di rispondere congruamente, gli domanda, se pensi egli
che
Giove faccia piovere ognora acqua fresca, o se il
ole attragga a se di bel nuovo l’acqua piovuta? Il creditore risponde
che
nulla sa di ciò, nè cura saperlo. Come dunque (ri
riprende Strepsiade). Or dimmi un poco; il mare è più pieno di quello
che
è stato prima? Io credo (il creditore) che sia se
mare è più pieno di quello che è stato prima? Io credo (il creditore)
che
sia sempre lo stesso. Come? (conchiude il mal pag
gatore) il marc non cresce col concorso di tanti fiumi, e pretendi tu
che
il tuo danajo si aumenti colle usure? E adunque d
nuto sommamente destro a guadagnare i litigii; ma chi sa (aggiugne)
che
il padre non abbia un giorno a piangere e a desid
piangere e a desiderare ch’ei fosse mutolo? Atto V. Questo è quello
che
il poeta insegna nell’ultimo atto. Un giovane cos
gini. Egli batte il padre e colla solita sfrontatezza vuol dimostrare
che
ciò sia ben fatto. Con mille ridicoli sofismi va
pia proposizione, e aggiunge prendendo ad ogni parola nuova baldanza,
che
sia lecito battere la madre ancora. Va scellerato
i mali. O perchè (replica il vecchio) non mi diceste allora quello
che
mi dite adesso, in cambio di aggirare e ingannare
(quelle ripigliano) facciamo sempre così, qualora conosciamo alcuno
che
è inclinato al male, fino a tanto che non lo gett
così, qualora conosciamo alcuno che è inclinato al male, fino a tanto
che
non lo gettiamo in qualche disgrazia per insegnar
i fate del male, ma non senza una specie di giustizia. Ora mi accorgo
che
bisagnava rendere i danari altrui ed esser giusto
i servi, si fa dare una fiaccola e attacca fuoco alla casa di Socrate
che
insegna delitti ed ingiuria gli Dei. Così termina
tofane, e vuolsi perciò detestare come maligno accusatore; il secondo
che
lo renderebbe un nemico del popolo, un distruttor
o avidissimamente ascoltate. E tali e tanti applausi egli ne riportò,
che
fu a pieni voti dichiarato vincitore, e s’impose
ortò, che fu a pieni voti dichiarato vincitore, e s’impose a’ giudici
che
niun altro nome a quello dell’autore delle Nuvole
sceva in questa favola e si rideva della semplicità di Madama Dacier
che
l’aveva letta quaranta volte a, si sarebbe egli m
er che l’aveva letta quaranta volte a, si sarebbe egli mai immaginato
che
contenesse tante bellezze e tant’arte, mal grado
tenesse tante bellezze e tant’arte, mal grado di alcuni pochi difetti
che
vi si notano e dell’empia calunnia che la deturpa
grado di alcuni pochi difetti che vi si notano e dell’empia calunnia
che
la deturpa? Ma i Cartaud vogliono avere il piacer
più gli applausi della Grecia, l’arditezza di un Comico calunniatore
che
insolentiva contro la probità, o la tranquillità
ore che insolentiva contro la probità, o la tranquillità di un Saggio
che
assisteva in piedi alla rappresentazione per fars
uriosi? Essi domandavano chi fosse quel Socrate? Io sono Socrate (par
che
egli dicesse loro serenamente): vi pare che io si
ate? Io sono Socrate (par che egli dicesse loro serenamente): vi pare
che
io sia quel malvagio corruttore che quì si morde?
icesse loro serenamente): vi pare che io sia quel malvagio corruttore
che
quì si morde? La virtù trionfa della malignità; m
ocali e di fatti particolari piacevoli senza dubbio pe’ contemporanei
che
ne comprendevano l’allusione, ma perduti per gli
nicia dimorante nelle paludi chiamato Fenicottero? Chi l’uccello Medo
che
vaga alteramente per lo monte? Chi quell’uccello
nte? Chi quell’uccello divoratore variamente dipinto? Chi quel Nibbio
che
signoreggiava la Grecia? Chi quel Cucco che domin
dipinto? Chi quel Nibbio che signoreggiava la Grecia? Chi quel Cucco
che
dominava in Egitto e nella Fenicia? Tutte queste
e commedie antiche e dal sapere qual religione professassero i popoli
che
le applaudivano, risulta una delle coutraddizioni
i miscredenti; ma intanto facevano la delizia di Atene certe commedie
che
inspiravano l’ateismo e l’irreligione. Pistetero
rtato nel regno degli Uccelli è una copia de’ viaggiatori progettisti
che
vanno disseminando novità negli altrui paesi per
tili come essi sieno stati i primi regnatori delle regioni abitate, e
che
sieno più degli Dei meritevoli di venerazione. Pe
i del calabro Mattei al popolo Ateniese. Nel coro si ragiona del caos
che
precedette la creazione. Era prima di ogni altra
l’aere, non il cielo, ma ne’ golfi interminabili dell’erebo la notte
che
ha le penne negre, partorì un uovo pieno divento,
i uccelli di varie specie imitava al possibile la fisonomia di coloro
che
si volevano dal poeta additare e mordere; ed oltr
carlo cava dalle mani di Pistetero qualche vestito; indi un impostore
che
si spaccia per interprete degli oracoli; appresso
ore che si spaccia per interprete degli oracoli; appresso un geometra
che
pretende misurar l’aria, compartir le strade, mis
ti questi oziosi vengono discacciati, come anche una spia ed un altro
che
si spaccia giure-consulto e venditore di giudizii
si così presto, e mostrandosene le conseguenze. Ma si vuol riflettere
che
non è già una commedia di Menandro o di Moliere o
spedizione minacciata da Giove e dagli altri Dei. Iride viene a dire
che
bisogna sacrificare agli Dei. Pist. A quali? Ir.
che bisogna sacrificare agli Dei. Pist. A quali? Ir. A quali! A noi
che
siamo Dei del cielo. Pist. Voi Dei? Ir. Ve ne son
ad abitare fra gli Uccelli fortunati, ma ne sono esclusi, un malvagio
che
pensa di poter secoloro percuotere impunemente il
dicolo verseggiatore ditirambico chiamato Cinesia, ed un calunniatore
che
vorrebbe le ali per far male e guadagnare illecit
non mi vegga!… Dov’è Pistetero? Pist. Che cosa è questa? Chi è costui
che
viene così coperto? Prom. Vedi tu alcuno degli De
? Chi è costui che viene così coperto? Prom. Vedi tu alcuno degli Dei
che
mi seguiti? Pist. Non veggio alcuno io. Ma tu chi
veggio alcuno io. Ma tu chi sei tu? Prom. Boleto o Peretero. Pist. Oh
che
mai dì tu! conoscendolo per Prometeo. Prom. Che f
uvole agli uomini? Pist. Povero il mio Prometeo! Prom. Taci di grazia
che
mi scopriranno! Pist. Caro Prometeo, io… Prom. No
possa tutto narrarti, prendi questo parasole, e tienlo sopra di me sì
che
io non sia veduto dagli Dei. Pist. Ottima invenzi
ora senza timore. Prom. Odi adunque. Pist. Ti ascolto. Prom. Fa conto
che
Giove sia morto. Pist. Morto? Prom. Morto. Pist.
. Già niuno più sacrifica agli Dei ec. Prometeo prosegue narrandogli
che
fra poco verranno a lui ambasciadori di pace da p
re l’imperio agli Uccelli e di dare a lui per consorte certa donzella
che
stà presso Giove e dispone di tutto; col quale av
o e bravando e minacciando di volere strangolare quell’ardito ribello
che
con un muro ha chiuso suori gli Dei. Nettuno gli
ribello che con un muro ha chiuso suori gli Dei. Nettuno gli ricorda
che
essi vengono per trattar di pace. Si propone in p
r di pace. Si propone in prima una tregua e poi la pece, a condizione
che
Giove e gli Uccelli godano unitamente il dominio
che Giove e gli Uccelli godano unitamente il dominio dell’universo, e
che
Pistetero abbia a conginngersi colla donzella acc
, e terminano gli esercizii spirituali dell’empietà. In questa favola
che
parmi la più strana e bizzarra e la più irregolar
tterizzati come vespe. Vi si dipinge la follia di Filocleone giudice,
che
mal grado della debolezza della sua mente pretend
enza di Cleone da noi motteggiata. Pur non vo’ lasciare di dirvi cosa
che
forse non vi piacerà, cioè che la commedia satiri
ta. Pur non vo’ lasciare di dirvi cosa che forse non vi piacerà, cioè
che
la commedia satirica è la più giusta e la più dot
li riprende il carattere sospettoso degli Ateniesi ed il loro costume
che
si andava disusando ed ora torna a venire in moda
l giudice stravagante s’industria di provare l’autorità e superiorità
che
banno i giudici nella città esercitando la lopo c
nella città esercitando la lopo carica, ed il figliuolo vuol provare
che
essi sono meri schiavi. Quest’ultimo riesce più f
estiche occorrenze. E per mantenere in certo modo appagato il vecchio
che
pargoleggia, gli prepara il ridicolo giudizio di
vecchio che pargoleggia, gli prepara il ridicolo giudizio di un cane
che
ha rubato un formaggio di Sicilia. Tutte è ordina
dice mentecatto. Al giudizio precede l’usato sacrifizio agli Dei; nel
che
si noti che quasi sempre sul teatro soleva introd
tto. Al giudizio precede l’usato sacrifizio agli Dei; nel che si noti
che
quasi sempre sul teatro soleva introdursi la pomp
atore, si dà il termine delle difese al reo, si esaminano i testimoni
che
produce; si fà insomma quanto può caratterizzar p
ato dal padrone del cane. Il giudice per procedere con ordine comanda
che
si prenda la dichiarazione e la deposizione del c
he si prenda la dichiarazione e la deposizione del cane, indi decreta
che
al cane reo sia fecato dove meglio stia un stoppi
di decreta che al cane reo sia fecato dove meglio stia un stoppino, e
che
si accenda, e si consumi l’oglio a beneficio dell
e minute formalità de’ tribunali, nè anche valersi della piacevolezza
che
nella greca farsa risulta dal processo allegorico
rsa risulta dal processo allegorico, nè introdurvi il cane accusatore
che
appartiene unicamente alla commedia antica. Oltre
ine il reo è veramente un cane, ed il cappone rubato è veramente quel
che
si dice; là dove in Aristofane il cane rubatore d
mpre co’ principii della commedia nuova, ed io sempre dovrei ripetere
che
questa differisce di molto dalla farsa allegorica
eta in questa favola denominata così da un Coro di Equiti o Cavalieri
che
vi s’introduce, fu dí fare sul teatro una denunzi
e di lui estorsioni e ruberie. Quale ardire? accusare ridendo un nomo
che
disponeva del popolo come suol dirsi a bacchetta!
come suol dirsi a bacchetta! Osò il comico poeta assalirlo nel tempo
che
egli era più rispettato e temuto. Osò accusarlo a
riuscì così bene nella favola a svelarné i ladronecci e gli artifizii
che
il popolo condannò Cleone a pagar cinque talenti,
condannò Cleone a pagar cinque talenti, cioè intorno a tremìla scudi
che
furono regalati al poeta. Si finge in questa comm
emìla scudi che furono regalati al poeta. Si finge in questa commedia
che
Demostene e Nicia capitani mentovati insieme con
altro rispetto e per lo più con manìfesta adulazioné anche de’ popoli
che
servono nelle monarchie e nelle aristocrazie. Que
tintore di pelli di nazione Paflagone calunniatore e ribaldoa. Costui
che
ha ben conosciuto il carattere e la maniera di vi
tutti gli altri schiavi dalla di lui presenza, si fa bello di quello
che
gli altri fanno di buono, accusa e calunnia i com
uono, accusa e calunnia i compagni, e ne carpisce danajo, se vogliono
che
egli loro non rechi nocumento. Questa anticipazio
pazione del carattere di Cleone è giudiziosa e piena d’arte. Un poeta
che
cerchi dirigere l’attenzione di chi ascolta al pr
l loro nemico pensano gli schiavi congiurati di valersi di un oracolo
che
annunzia la rovina di Cleone per mezzo di un vend
i un venditore di salcicce. Agoracrito è tale, ed essi gli persuadono
che
si addossi l’impresa di far fronte a Cleone, e di
n qual modo avverrà tutto questo (domanda Agoracrito) se io non sono
che
un venditor di salcicce? Giusto per questo tu div
il tuo vero merito l’essere odioso, vile, ignorante; anzi è sventura
che
tu conosca, benchè a stento, l’abici. Ma (il sal
u conosca, benchè a stento, l’abici. Ma (il salcicciaro) come volete
che
io sappia il modo di regolarmi nel governare il p
governare il popolo? E Demostene: Non v’ha cosa più agevole. Fa quel
che
fai ora delle tue salcicce; scomponi e rattoppa a
e parolette, a somiglianza de’ cuochi. Animo; nulla a te manca di ciò
che
può rendertelo benevolo; hai la voce chioccia e s
i non si fa caso. Demostene: Havvi un migliajo di Cavalieri dabbene
che
odiano Cleone; e ti ajuteranno; havvi un buon num
no; havvi un buon numero di ottimi discreti cittadini e di spettatori
che
ti proteggeranno; ed io con tutti questi ti spall
proteggeranno; ed io con tutti questi ti spalleggerò. Non temere, no;
che
sebbene per la paura che si ha della di lui poten
tutti questi ti spalleggerò. Non temere, no; che sebbene per la paura
che
si ha della di lui potenza, niuno degli artefici
inora ha osato di farne la maschera, pure sarà siffattamente imitato,
che
verrà tosto conosciuto, essendo questo teatro pie
pieno di spettatori savii e sagici. Ora in queste parole non sembra
che
la finzione tutta svanisca, e si converta in veri
Al comparir di Cleone si spaventa Agoracrito e vacilla. Ma al vedere
che
una parte del Coro l’insulta ed oltraggía, ripigl
rte del Coro l’insulta ed oltraggía, ripiglia l’ardire non altrimenti
che
Pulcinella divenuto principe a forza, e Sganarell
ostro al pari de’ poeti antichi, perchè egli abborrisce que’ medesimi
che
noi detestiamo, e perchè non teme di dire con fra
simi che noi detestiamo, e perchè non teme di dire con franchezza ciò
che
è giusto… Egli è vero che da alcuni di voi, o spe
perchè non teme di dire con franchezza ciò che è giusto… Egli è vero
che
da alcuni di voi, o spettatori, gli è stato amich
ò a sostenersi sino alla vecchiaja, perchè cessò di dir male. Cratino
che
merito si gran lode, stette in fiore finchè fu mo
n lode, stette in fiore finchè fu mordace; ma perchè ora altro non fa
che
cianciare, si vede andare con una corona secca e
Pritaneo. E quanto non sofferse dal vastro sdegno il Comico Cratete,
che
pure profferiva tante e sì belle e urbane sentenz
perdonate al nostro poeta, e animandolo con applauso strepitoso fate
che
parta lieto dal teatro . Torna Agoracrito vittori
l popolo, e Agoracrito baldanzoso non ricusa il nuovo cimento. Cleone
che
conosce l’indole del popolo che a ma di esser lus
o non ricusa il nuovo cimento. Cleone che conosce l’indole del popolo
che
a ma di esser lusingato con parolette melate, si
ccio, belluccio.E chi mi chiama? Cle. Son io, son desso, il tuo Cleon
che
a torto Da costui son battuto. Pop. Da costui so
bramoti Da lungo tempo, e di giovarti struggomi. Ecco poi le offerte
che
essi gli fanno a gara: Salc. Oimè, tu siedi in q
? Ah questo al certo Fu un atto generoso e democratico. Cle. Vedi con
che
moine ei lo si ha compero! Maa non mi vincerai) V
essere stato lungo tempo aggirato da Cleone, e gli ritoglie l’anello
che
aveagli dato, discacciandolo dal suo servizio. L’
onimo, Clistene, Stratone, Cratino comico, Morsimo tragico, e Lisicle
che
succedette a Pericle da mercatante di montoni che
tragico, e Lisicle che succedette a Pericle da mercatante di montoni
che
egli era, e sì buono che il poeta lo nomina per t
uccedette a Pericle da mercatante di montoni che egli era, e sì buono
che
il poeta lo nomina per terzo dopo Cinna e Salabac
lissimo pizzicagnolo per governatore del popolo Ateniese . Atene però
che
doveva intendersi meglio del Nisieli delle qualit
t aggi confrontati coi disastri della guerra. Diceopoli, il quale par
che
rappresenti il personaggio del poeta, gode di ave
ticolare per se e per la sua famiglia. Questo Amfiteo tornando avvisa
che
gli Acarnesi lo perseguitano co’ sassi per aver p
o, il di lui ritorno col trattato di pace conchiuso, e le conseguenze
che
ne risultane, sono cose dal poeta aggruppate con
sono cose dal poeta aggruppate con poca verisimiglianza per lo tempo
che
dovrebbe corrervi in una commedia regolare; ma gl
nza per aver procurato di ottenere per se solo la pace. Havvi un Coro
che
parla a favore del poeta, ed accenna il pericolo
detta la verità agli Ateniesi accusando Cleone. Vi si troya un colpo
che
caratterizza l’indole di que’ repubblicani amici
uerilità Ateniese. Disbrigatosi. Diceopoli felicemente dalla molestia
che
gli dava il Coro per la pace fatta, ne va godendo
questi un povero Megarese, il quale trasforma due sue donne in guisa
che
sembrano porci per farne mercato, esortandole a c
compera. Questa è una scena episodica del comico più basso e triviale
che
forse per qualche allusione potè allora piacere a
che forse per qualche allusione potè allora piacere agli Ateniesi, e
che
ha dato al Nisieli motivo di declamar fortemente,
cifico fortunato Diceopoli arricchito dal commercio. Il Coro riflette
che
a lui tutto va a seconda ed ogni bene corre dietr
ro riflette che a lui tutto va a seconda ed ogni bene corre dietro, e
che
accade il contrario a chi ama la guerra. Diceopol
la copia e la squisitezza de’ cibi, la diligenza e lo zelo di coloro,
che
servono, e i preziosi regali che da ogni banda gl
i, la diligenza e lo zelo di coloro, che servono, e i preziosi regali
che
da ogni banda gli vengono tributati. Intanto sopr
ena piacevole e artificiosa, nella quale si mostrano l’ore tranquille
che
si passano nella pace, e gli agitati momenti dell
gitati momenti della vita di chi si trova in guerra. Si avvisa Lamaco
che
tenga pronte le schiere, perchè i ladroni Beoti m
di volerli assaltare. Si avvisa Diceopoli da parte del sacrificatore
che
venga a cena, tutto essendo pronto, tavole, letti
Lam. Dammi del sale e delle cipolle. Dice. Dammi i miei manicheretti,
che
le cipolle m’increscono ec. Così l’inevitabile f
evitabile frugalità del soldate contrasta colla dovizia del cittadino
che
gode la pace. Lamaco va a combattere, Diceopoli a
cenare e a dormire. Un nuovo Nunzio dà avviso alla famiglia di Lamaco
che
prepari lenzuola, balsami, empiastri e bende da f
Giugne egli stesso lamentandosi e considerando per cordoglio maggiore
che
se Diceopoli il vede eosi mal concio, si ridera d
o, per rendere vi è più manifesto il suo trionfo si rallegra a misura
che
Lamaco si lamenta. Nisieli non dovette avvedersi
nta. Nisieli non dovette avvedersi di tale artifizio, allorchè asseri
che
in questa favola era uno confusione di cose parl
tutte le favole di Aristofane. Il Pluto (Πλουτος). Quaranta anni dopo
che
Aristofane produsse sotto l’Arconte Diotimo la pr
al modo di migliorare la propria condizione e al genere di educazione
che
dovrà dare all’unico suo figliuolo. Vuol sapere,
nchè abbia miglior fortuna e più ricchezza del padre. Apollo risponde
che
all’uscir del tempio si ponga a segnitare il prim
pollo risponde che all’uscir del tempio si ponga a segnitare il primo
che
incontri sulla strada non mai abbandonandolo, fin
Pluto risponde di sì, e vuol partire. Cremilo nol permette; gli dice
che
egli è uomo dabbene; e gli fa sperare di adoperar
iove. Cremilo riprende la di lui pusillanimità: Credi tu (aggiugne)
che
i fulmini di Giove saranno più rispettati riacqui
(aggiugne) che i fulmini di Giove saranno più rispettati riacquistata
che
avrai la vista?… A Giove si sacrifica unicamente
istata che avrai la vista?… A Giove si sacrifica unicamente per l’oro
che
se ne attende. Per te solo, o Pluto, tutte s’inve
i beni e di tutti i mali. L’incoraggisce mostrandogli l’onnipotenza
che
ha sulla terra, e promette d’investigar la manier
uarirlo. Per mezzo poi di Carione invita i suoi compagni uomini probi
che
mancano di pane, a venire a partecipare de’ favor
ossa arricchirli. Anzi Blessidemo nettamente dice allo stesso Cremilo
che
a lui non piace di vederlo tutto ad un tratto div
non piace di vederlo tutto ad un tratto divenuto ricco; ed ha timore
che
egli abbia rubato a qualche nume la ricchezza. Cr
la la cagione di ogni bene, e non potersi commettere eccesso maggiore
che
procurare di arricchire i giusti… Se Pluto torna
occhi cisposi di molti scioli oltramontani e nostrali! Il Coro oppone
che
la povertà riempie anzi il mondo di miserie. Par
rra di pulci ed insetti molestise schifosi, il colmarla di miserabili
che
non hanno pane da satollarsi nè letti da dormire?
non hanno pane da satollarsi nè letti da dormire? Questi sono i beni
che
tu fai all’uomo…. O semplicioni, (ripiglia la Pov
all’uomo…. O semplicioni, (ripiglia la Povertà) voi non sapete quello
che
vi pescate. Voi me confondete colla Miseria; ma d
llo che vi pescate. Voi me confondete colla Miseria; ma dovete sapere
che
noi siamo due cose ben distinte. La povertà nulla
noi siamo due cose ben distinte. La povertà nulla patisce dei disagi
che
accennate, ne mai gli patirà. La vita del mendico
isce dei disagi che accennate, ne mai gli patirà. La vita del mendico
che
dipingete, consiste in mancare delle cose più nec
ondar di beni, ma in non mancar di nulla. Io, vi dico, io sono quella
che
rende gli uomini saggi e prudenti e di buono aspe
gli uomini saggi e prudenti e di buono aspetto, a differenza di Pluto
che
gli fa diventare gottosi panciuti grossi di gambe
a casa di Cremilo si converte in reggia d’abbondanza per le ricchezze
che
vi versa Pluto guarito. Ne vola intorno la fama;
o giusto per ringraziarlo della mutata sua fortuna; e nella dipintura
che
ne fa Aristofane maestrevolmente possiamo ravvisa
nvertiti e ravveduti nella miseria per l’ingratitudine degli scrocchi
che
gli adulavano nell’abbondanza. Viene un Sicofanta
per tali comodi malgrado delle di lei grinze la corteggiava; ma oggi
che
col favore di Pluto è uscito di miseria, l’ha abb
eche di quel tempo dall’essere gli esercizii spirituali della nazione
che
videvi il traduttor de’ Salmi autore de’ Paradoss
Mercurio, non importa un frullo di tutti gli Dei, ma mi dolgo per me
che
muojo di fame. Questo Mercurio pezzente fa una s
lo un Sacerdote di Giove, il quale non ha più modo di sostentarsi ora
che
Pluto cogli occhi sani vede e distingue i buoni e
ni e li arricchisce. Osserva giustamente l’erudito Benedetto Fioretti
che
in questa favola l’azione abbraccia lo spazio di
d’invenzioni stranissime. Con tutto ciò il Pluto per mio giudizio par
che
tenga il principato di tutte quelle favole, perch
lle aggiungere del suoche Aristofane non era nè comico nè poeta : il
che
avventurò con soverchia leggerezza. M. Marmontel
ontel volle ancora dar su di ciò il suo parere e derise Madama Dacier
che
avea tanto encomiato Aristofane. Ma quella celebr
va pienamente il greco idioma, ed ha voto autorevole allorchè afferma
che
Aristofane è fino puro armonioso, ed empie di pia
erma che Aristofane è fino puro armonioso, ed empie di piacere coloro
che
hanno la fortuna di leggerlo originale; sortuna c
di piacere coloro che hanno la fortuna di leggerlo originale; sortuna
che
auguriamo al traduttore di Lucano autore della Po
colpi, e per la fecondità la pienezza il sale attico di cui abbonda e
che
oggi a’ nostri orecchi non può tutto penetrare. D
egli stud osi additando l’arte e le bellezze dello stile. Questi, sì,
che
possono farsene giudici; ma sono rari pur troppo
alle opere degli antichi. Avea egli tutti questi pregi M. de Chamfort
che
nell’elogio di Moliere volle malmenare Aristofane
occhi di tutti nelle sue favole la segreta ambizione de’ magistrati,
che
governavano la Repubblica, e de’ generali che com
bizione de’ magistrati, che governavano la Repubblica, e de’ generali
che
comandavano gli eserciti. Era nelle di lui mani l
oni; anzi con pubblico decreto gli diedero la corona del sacro olivo,
che
era il maggiore onore che far si potesse a un cit
reto gli diedero la corona del sacro olivo, che era il maggiore onore
che
far si potesse a un cittadino. Il gran Re (cioè i
adori Spartani e de’ soggetti ordinarii delle sue satire, ebbe a dire
che
«i di lui consigli erano diretti al pubblico bene
ebbe a dire che «i di lui consigli erano diretti al pubblico bene, e
che
se gli Ateniesi gli seguivano, si sarebbero impad
tanti inutili sforzi di parer simili, scriveva a Dionigi il tiranno,
che
«per ben conoscere gli Ateniesi e lo stato della
lito dolce e armonioso di questo poeta, e se n’era talmente invaghito
che
onorò un sì eccellente comico con un distico del
il cuore di Aristofane, e mai più non l’abbandonarono a Ecco quello
che
agli occhi de’ dotti era Aristofane. Dopo ciò che
rono a Ecco quello che agli occhi de’ dotti era Aristofane. Dopo ciò
che
pensereste di un giovine Gaulese, il quale più di
di duemila anni dopo la morte di tal valoroso scrittore viene a dirci
che
egli altro non era che un satirico sfrontato, un
morte di tal valoroso scrittore viene a dirci che egli altro non era
che
un satirico sfrontato, un parodista, un supersti
, un bestemmiatore, un buffone da piazza, un Rabelais sulla scena , e
che
le di lui commedie sono un ammasso di assurdità,
quì M. Freron critico dotto e sagace e riputato ad onta della nimistà
che
ebbe con Voltaire. La cosa più da notarsi nell’el
ebbe con Voltaire. La cosa più da notarsi nell’elogio di Moliere si è
che
le scempiaggini profferite da Chamfort si approva
e Vargas Macciucca nel tomo II delle Antiche Colonie venute in Napoli
che
terminando i nomi in ὶππος, per esprimere nobiltà
entali יםח ed יםי, le quali dinotano esser bello e pieno di decoro, e
che
sarebbe sconcezza il prenderli dalla greca voce ὶ
voce ὶππος, cavallo. Pure nel presente passo di Aristofane non parmi
che
sconvenga nè l’una nè l’altra derivazione. Ὶππος
. Ὶππος senza dubbio ha prodotto Ὶππεις, cavalieri, per lo nobile uso
che
essi fanno del cavallo. E se questa madre vuol ch
. E se questa madre vuol chiamare il figliuolo Callippide, p. e., par
che
desideri nominarlo bel Cavaliere, nulla in lui so
nulla in lui sofferendo di plebeo o di commune, nè anche il nome; nel
che
da quanti moderni plebei non viene ella imitata,
de Principii propos. VII, coroll. 3. 4. a. Fabbricatore di lanterne
che
giunse a governare Atene, e fu punito coll’ostrac
enerla soggetta e priva di commercio. Mentre Pistetero (Alcibiade) fa
che
gli Uccelli (gli Spartani) si fabbricano Nefeloco
268. a. V. il tomo III del Teatro Greco di Pietro Brumoy. a. Cleone
che
divenne sì potente in Atene, era un plebeo che es
tro Brumoy. a. Cleone che divenne sì potente in Atene, era un plebeo
che
esercitava il mestiere di cuojajo. a. Cesarotti
il mestiere di cuojajo. a. Cesarotti tomo II, pag. 330. 331. a. Ciò
che
segue è detto nell’originale dopo varie altre cos
le arti onde ricava donare dalle città vendendo la patria, e l’ardire
che
ha di uguagliarsi a Temistocle ec. E questa fu l’
l’ardire che ha di uguagliarsi a Temistocle ec. E questa fu l’accusa
che
fe condannar Cleone. a. Qui allude (e l’ossèrva
vani il conoscerne l’origine. Eravi in Atene una razza di umane arpie
che
sulle accuse e le denunzie si era fatta una rendi
a. L’istesso gran filosofo gli diede miglior luogo nel suo Convito,
che
è uno de’ suoi più belli dialoghi, e mise sotto i
suoi più belli dialoghi, e mise sotto il di lui nome il hel discorso
che
egli fa dell’amore. b. Vuolsi a ciò aggiugnere:
nere: e della politica conveniente alla repubblica Ateniese, e di ciò
che
poteva in que’ tempi e su quelle scene dilettare.
l quale traggonsi moltissime osservazioni importanti. Vi si dice però
che
la prima epoca gloriosa della poesia regolare dr
la prima epoca gloriosa della poesia regolare drammatica è al 1520,
che
secondo me dee risalire qualche altro lustro. Il
nche il sign. di Voltaire volle negarci questi pochi anni, e confessò
che
la ville de Vicence en 1514 fit des depenses imm
iamo di quelle dell’Ariosto, del Bibbiena e del Machiavelli, si vedrà
che
si scrissero assai prima del 1520, cioè intorno a
ai prima del 1520, cioè intorno al 1498 o poco più; e per conseguenza
che
l’epoca della poesia regolare drammatica dovrà fi
eta prodigioso nato nel 1474 a corre le prime palme in tutti i generi
che
maneggiò (che che abbia voluto gratuitamente asse
nato nel 1474 a corre le prime palme in tutti i generi che maneggiò (
che
che abbia voluto gratuitamente asserire in iscapi
o nel 1474 a corre le prime palme in tutti i generi che maneggiò (che
che
abbia voluto gratuitamente asserire in iscapito d
no, o non vogliono vederle, da se stessi. I Suppositi. Nell’edizione
che
se ne fece in Venezia nel 1525 si vede questa fav
dell’autore gli fè dissimulare il merito principale della sua favola,
che
consiste nell’averla avviluppata e sciolta con mi
bilmente interessante colla venuta di Filogono padre di Erostrato; di
che
non fu debitore in verun conto agli antichi. Di f
senza riserba veruna avanzato nella lettera scritta a Scipione Maffei
che
i nostri Comici son di gran lunga inferiori a’ La
che i nostri Comici son di gran lunga inferiori a’ Latini. È vero poi
che
l’Ariosto si valse di alcuni caratteri antichi, m
cati, cattedratici, teologi. Per la qual cosa possiamo fare osservare
che
il gesuita Rapin diede al Moliere una lode immagi
gesuita Rapin diede al Moliere una lode immaginaria, allorchè affermò
che
fu questo celebre autore comico francese il primo
nobili, uscendo da servi, parassiti, raggiratori e trasoni. Io trovo
che
i Cinesi, gl’Indiani, i Greci, i Latini, gl’Itali
se ben m’appongo, fece Castilhon nelle sue Considerazioni, asserendo
che
in Ispagna e in Italia i poeti comici , toltone
oni, non hanno ancor pensato a dare alle donne caratteri nobili . Noi
che
abbiamo studiata un poco più l’Italia e la Spagna
iamo studiata un poco più l’Italia e la Spagna, possiamo assicurargli
che
in tali paesi si sono infinite volte dipinte le d
piacevole non lascia di adornarsi di quelle sobrie bellezze poetiche,
che
a tal genere non isconvengono: satireggia con sal
tà senza addentar gl’individui. E a tal proposito si vuol riflettere,
che
la commedia Italiana di tal tempo non pervenne al
almeno non furono schiavi come la maggior parte de’ Latini. Quindi è,
che
nelle commedie del l’Ariosto, e de’ contemporanei
un saggio de’ Suppositi. Lizio servo nell’atto V attribuisce a coloro
che
presiedono al governo, gli sconcerti privati. Un
ri? Credi tu Che intendano ogni cosa? E Lizio risponde: …… Anzi
che
intendano Poco e mal volentier credo, e non vogli
r dovrebbono Che le taverne gli uscii le domeniche. E quì si avverta
che
si parla appunto de’ Rettori di Ferrara, dove si
cipe e forse di que’ medesimi Rettori. Non meno penetrante è il colpo
che
questo Lizio satirico dà a’ giudici, che oggi for
n meno penetrante è il colpo che questo Lizio satirico dà a’ giudici,
che
oggi forse non si permetterebbe sulle scene. Pong
rtata all’azione dalle notizie rilevate opportunamente, e l’interesse
che
va graduatamente crescendo col disordine che mena
tunamente, e l’interesse che va graduatamente crescendo col disordine
che
mena allo scioglimento; ma tali cose meglio si se
scioglimento; ma tali cose meglio si sentono nella lettura continuata
che
nel racconto. La Cassaria. Benchè in questa favol
in terzarima, ove dimostra sommo rispetto per gli antichi; ed allora
che
la ridusse in versi sdruccioli, nel prologo abbel
ta la favola. In alcune circostanze le immagini ritratte dal vivo par
che
si scostino dalle caricature de’ nostri giorni; m
par che si scostino dalle caricature de’ nostri giorni; ma chi non sa
che
di tutta la poesia, la comica è la più soggetta a
quella freschezza di colorito e quella rassomiglianza agli originali
che
poteva attendersi dal suo pennello, ma che noi ve
somiglianza agli originali che poteva attendersi dal suo pennello, ma
che
noi venuti sì tardi più non sappiamo rinvenirvi.
m comuntur, annus est ; poi la dipintura degli effemminati govinastri
che
si bellettano come le femmine, la quale per altro
y in Inghilterra. Il nostro insigne poeta così ne parla: …… Che fuor
che
titoli E vanti e fumi, ostentazioni e favole, Ci
si spendono, Polirsi, profumarsi come femmine, E pascer mule e paggi,
che
lor trottino Tutto dì dietro, mentre essi avvolge
re essi avvolgendosi Di quà e di là, le vie e le piazze scorrono, Più
che
ognuna civetta dimenandosi, E facendo più gesti c
n questa favola un innamorato. Eulalia lo rimprovera perchè le sembra
che
non si curi di liberarla; egli punto da ciò manif
on la certifichi, Ch’io non amo altra persona, nè voglione Mio padre…
che
mio padre? me medesimo Non ne vo trarre ancor, qu
ne vo trarre ancor, quanto la minima Parte di lei? Notisi il calore
che
spirano le di lui parole, quando sa che gli è sta
rte di lei? Notisi il calore che spirano le di lui parole, quando sa
che
gli è stata menata via Eulalia. Vol. Ove ir vuoi
, quando sa che gli è stata menata via Eulalia. Vol. Ove ir vuoi tu?
che
pensi tu far? Eros. Ove ir vuoi tu? che pensi tu
lalia. Vol. Ove ir vuoi tu? che pensi tu far? Eros. Ove ir vuoi tu?
che
pensi tu far?Vogliola O riavere, o morire. Vol.
an presa la via?Di qua mi parvero Andar. Volp. Andar.Non ir, padron,
che
non ti facciano Qualche male. Eros. Qualche male
n ir, padron, che non ti facciano Qualche male. Eros. Qualche male.E
che
peggio mi potriano Far, se già m’han levato il cu
e se ne compiace. La Lena. Piacevole è l’intrigo di questa commedia,
che
su di un semplice fondamento aggirandosi produce
hio insospettito mena seco il Cremonino, per esaminarlo in casa senza
che
Corbolo possa interromperlo. Flavio intanto che è
minarlo in casa senza che Corbolo possa interromperlo. Flavio intanto
che
è in casa della Lena, è deluso ed obbligato a nas
nturatamente il padrone di tale botte viene a riprenderla, per dubbio
che
pe’ debiti del marito della Lena non abbia a peri
aggiugne un creditore con gli sbirri, e la vuol torre in pegno. Fazio
che
è il padre di Licinia amata da Flavio, arriva in
olpi teatrali senza discendere sino alla farsa. È da notarvisi ancora
che
vi si tratta di un intrigo amoroso, e di un giovi
die? Ma di ciò nella favola seguente. Il Negromante. Questa commedia (
che
ci sugerirà alcune curiose osservazioni critiche)
vivace dipintura de’ caratteri, e per la grazia de’ motteggi, merita
che
si legga con attenzione che sarà ben compensata d
eri, e per la grazia de’ motteggi, merita che si legga con attenzione
che
sarà ben compensata dal diletto. Massimo vecchio
amillo Pocosale innamorato di picciola levatura, senza volerlo fa sì,
che
si manifesti l’amore di Cintio e Lavinia, rimanen
r impostore. Delle molte bellezze di questa favola additiamone alcuna
che
ne sembri più piacevole, e più degna di esser not
che ne sembri più piacevole, e più degna di esser notata. Cintio teme
che
il Negromante colla sua scienza possa scoprire il
garzone.Fateci, Se Dio vi ajuti, udir questi miracoli. Cint. Mi dice,
che
a sua posta fa risplendere La notte, e il di oscu
Or, sa far altro? Cint. Or, sa far altro?Fa la terra muovere Sempre
che
il vuole. Tem. Sempre che il vuole.Anch’io tal v
r, sa far altro?Fa la terra muovere Sempre che il vuole. Tem. Sempre
che
il vuole.Anch’io tal volta muovola, S’io metto al
e, allor dimenola. Cint. Te ne fai beffe, e ti par di udir favole? Or
che
dirai di questo, che invisibile Va a suo piacere?
nt. Te ne fai beffe, e ti par di udir favole? Or che dirai di questo,
che
invisibile Va a suo piacere? Tem. Va a suo piace
nt. Che altro sa far?De le donne e degli uomini Sa trasformar sempre
che
vuole in varii Animali e volatili e quadrupedi. T
Nostro… Faz. Nostro…Narraci Pur come? Tem. Pur come?Non vedete voi
che
subito Ch’un divien potestate, commissario, Notaj
o di alcun nibbio? Faz. Cotesto è vero. Tem. Cotesto è vero.E tosto
che
un d’ignobile Grado vien consigliere e segretario
vero.E tosto che un d’ignobile Grado vien consigliere e segretario, E
che
di comandare agli altri ha uffizio, Non è vero an
egretario, E che di comandare agli altri ha uffizio, Non è vero anche
che
diventa un asino? Faz. Verissimo. Tem. Verissimo
anche che diventa un asino? Faz. Verissimo. Tem. Verissimo.Di molti
che
si mutano In becco io vò tacere. Queste trasform
accennate con somma lepidezza, nè hanno minor grazia comica di quella
che
osservammo in Aristofane nelle Nuvole che prendon
nor grazia comica di quella che osservammo in Aristofane nelle Nuvole
che
prendono varie forme; se non che l’Italiano satir
sservammo in Aristofane nelle Nuvole che prendono varie forme; se non
che
l’Italiano satireggia con più artificio i ceti in
ne particolari, come fa l’Ateniese. Reca singolar diletto al filosofo
che
non arzigogola, cioè che ragiona con sicurezza di
’Ateniese. Reca singolar diletto al filosofo che non arzigogola, cioè
che
ragiona con sicurezza di dati, il rintracciar nel
e diletto privansi per certo spirito di superficialità molti Italiani
che
non curansi di esaminare le ricchezze teatrali ch
ità molti Italiani che non curansi di esaminare le ricchezze teatrali
che
posseggono, contenti di averne false e superficia
ti di averne false e superficiali notizie nelle opere oltramontane. E
che
può sapere, per esempio, dell’indole dell’Italica
er esempio, dell’indole dell’Italica commedia quell’Italiano meschino
che
prende per iscorta la Poetica Francese del Marmon
l, dove trovansi stabiliti principii contraddetti dal fatto? Ecco ciò
che
con filosofica baldanza disse quel Francese erudi
sofica baldanza disse quel Francese erudito degl’Italiani: Un popolo
che
per gran tempo ha posto il proprio onore nella fe
nne (io son pronto a mostrare ad un bisogno a codesto Enciclopedista
che
tutta l’Europa, e singolarmente i Francesi, hanno
e de’ tradimenti amorosi (e pure dovea sapere l’autore del Belisario
che
non sono stati gl’Italiani che hanno più di una f
re dovea sapere l’autore del Belisario che non sono stati gl’Italiani
che
hanno più di una fiata portato sulla scena a’ gio
hanno più di una fiata portato sulla scena a’ giorni nostri i Fajeli
che
per gelosia strappano il cuore agli amanti delle
manti e capaci di esercitare la furberia de’ servi. Pongasi da parte
che
tal maestro di poetica cìò scrivendo non si ricor
zzi, di questi intrighi e di questa furberia servile. Osserviamo solo
che
questo principio è fabbricato sulla rena. Le comm
nor Marmontel in pensiero e non mai sotto gli occhi, sono, per quello
che
si stà narrando, frutti per la maggior parte del
secolo XVI. Ora per verificare il principio fondato dal nomato autore
che
diede al teatro Cleopatra, bisognerebbe dimostrar
nomato autore che diede al teatro Cleopatra, bisognerebbe dimostrare
che
gl’Italiani in tal tempo fossero stati, come egli
altro popolo, tutti gelosi e vendicativi. Ma io gli anfana a secco, e
che
non si è curato di bene osservare. Ariosto è il p
l’altro sesso somministratomi dalla favola del Negromante. Ecco quel
che
dice Cintio a Massimo lodatore della ritiratezza
empo mio non era solito. Doveano al vostro tempo avere i giovani, Più
che
non hanno a questa età, malizia. Mass. Non già, m
zia. Mass. Non già, ma bene i vecchi più accorti erano. Mi meraviglio
che
al presente gli uomini Non sieno affatto grossi c
è hanno tutti sì buon stomaco. È questa l’esagerata gelosia Italiana
che
corre di bocca in bocca tra’ Francesi? E con tal
une bellezze e dell’artificio della favola del Negromante, osserviamo
che
il carattere di Mastro Giachelino furbo vagabondo
do viene sin dal principio dell’atto II enunciato da Nibio. Egli dice
che
avendo appena appreso a leggere e scriver male, h
quello stesso Che sa l’asino e ’l bue di sonar gli organi. Aggiugne
che
egli ed il maestro vanno come zingari Di paese i
icare differentemente i creduli suoi merlotti, con tal arte e grazia,
che
è da dolersi che la gioventù, la quale trascura l
ente i creduli suoi merlotti, con tal arte e grazia, che è da dolersi
che
la gioventù, la quale trascura la lettura di tali
to mette in agitazione Temolo e Fazio già insospettiti del Negromante
che
prima aveano cercato di guadagnare. Essi temono q
Massimo, si turbano. Faz. Comparazion, di grandine o di fulmine. Ah
che
la cassa recano Che hai detto! Tem. Che hai dett
diavolo Corre costui? perchè da me sì subito S’è dileguato? Io credo
che
farnetichi. Ma no; Temolo non gli risponde, perc
a no; Temolo non gli risponde, perchè non ha tempo d’istruirlo di ciò
che
ha pensato, e si ritira per lasciar venir fuori N
vien fuori esclamando: O terra scelerata! Faz. O terra scelerata!Di
che
diavolo Grida costui? Tem. Grida costui?Non ci s
ù vivere. Tutta è piena di traditor. Faz. Tutta è piena di traditor.
che
gridi tu? Tem. E d’assassini. Faz. E d’assassin
sassini. Chi t’ha offeso!O povero Gentiluomo! Faz. Gentiluomo!Mi par
che
tu sia… Tem. Gentiluomo! Mi par che tu sia…O Faz
tiluomo! Faz. Gentiluomo!Mi par che tu sia… Tem. Gentiluomo! Mi par
che
tu sia…O Fazio Gran pietà! Faz. Gran pietà!Che p
ho potuto ritener di piangere Di compassione. Faz. Di compassione.Di
che
? Tem. Di compassione. Di che?Aimè d’un povero Fo
Di compassione. Faz. Di compassione.Di che? Tem. Di compassione. Di
che
?Aimè d’un povero Forastier, ch’ho veduto or ora u
meriti a Nibio non ignoti del suo padrone, non è molto ch’egli creda
che
Mastro Giachelino, secondo il racconto di Temolo,
e accorrere a vederlo; Temolo gl’insegna la via, e poi soggiugne, Ma
che
voglio insegnar? Non è possibile Errar. Va dietro
stato beffato, e cerca della cassa. Graziosissima è la seconda burla
che
riceve. Fazio gli dice che il facchino l’ha porta
la cassa. Graziosissima è la seconda burla che riceve. Fazio gli dice
che
il facchino l’ha portata in dogana, cosa verisimi
azio gli dice che il facchino l’ha portata in dogana, cosa verisimile
che
spaventa Nibio d’altra sorte, e lo sbalza verso l
mento reca all’azione questa cassa condotta in casa di Fazio. Camillo
che
v’è rinchiuso intende il secreto dell’unione degl
el caso va in cerca di Camillo per pregarlo di tacere. Fazio gli dice
che
faccia conto che Massimo abbia già saputo il fatt
ca di Camillo per pregarlo di tacere. Fazio gli dice che faccia conto
che
Massimo abbia già saputo il fatto, essendo iti a
la favola. Cintio disperato pensa a fuggire (egli dice) Tanto lontano
che
giammai più Massimo Non mi rivegga: aspettar la s
erata in Terenzio, e qual sarà mai? Dessa è appunto, la quale, a quel
che
io ne penso, non è altra cosa, se non che un mov
è appunto, la quale, a quel che io ne penso, non è altra cosa, se non
che
un movimento proprio della comica poesia, il qua
guidezza mortal veleno della scena: vi aggiunse comica, per dinotare,
che
tale esser debba e nelle situazioni e ne’ colpi d
ipose tal forza comica nella copia de’ sali e de’ motteggi, non parmi
che
si apponesse. Una languidissima favola non mai av
el teatro spagnuolo, con tutte le loro possibili lepidezze, non credo
che
ispirerebbero forza e calore a una favola fredda
ica, tuttochè abbondasse di gravi sentenze politiche e morali. Direi,
che
meno di altri critici e precettori di poetica si
dato signor Marmontel, il quale pose la forza comica ne’ gran tratti
che
sviluppano i caratteri, e vanno a cercare il vizi
iere questi grandi tratti fosse mancata a Terenzio. Ma è troppo noto,
che
il pregio maggiore di questo Cartaginese fu appun
e certamente vi desìderava quel piacevole e comico calore e movimento
che
anima la favola, e tiene svegliato lo spettatore.
que par ce vis comica Cesar ne vouloit pas tant parler des passions (
che
era l’avviso del di lei padre) que de la vivacitè
v’ha di freddo, nulla di superfluo. La piacevolezza aumenta a misura
che
l’azione s’inviluppa, e va crescendo sino all’ult
sino all’ultimo grado comico lo scioglimento. Nè dee recare stupore,
che
per questa parte rimanga il comico. Latino supera
anga il comico. Latino superato dall’Italiano. Terenzio, poco o molto
che
il facesse, piegava il proprio ingegno a seguire
piegava il proprio ingegno a seguire le greche guide; e l’attenzione
che
dava a spiegare le idee altrui, gli toglieva quel
trui, gli toglieva quel portamento originale, libero, franco, vivace,
che
l’Ariosto inventore manifesta ad ogni trattoa. Qu
trattoa. Questa favola fu rappresentata in Roma a’ tempi di Leone X,
che
la richiese all’autore, il quale nel rimetterglie
rancese, e s’impresse in Parigi nel medesimo secolo, cioè assai prima
che
vi si conoscesse il teatro spagnuoloa. La Scolas
Ippolita facendola passare per figlia di messer Lazzaro cattedratico
che
si aspettava, e che per notizie sopravvenute si s
passare per figlia di messer Lazzaro cattedratico che si aspettava, e
che
per notizie sopravvenute si sapeva di non dover p
a famiglia nella propria casa. Regge così la macchina finchè Bartolo,
che
si trova in istrada, non vede uscir Bonifazio ins
in istrada, non vede uscir Bonifazio insieme con Lazzaro, e non sente
che
questi dà all’altro il nome di Bartolo. Si trova
trent’anni prima avea ricevuto in deposito molti beni da un suo amico
che
morì, perchè gli rendesse alla di lui moglie e fi
Il buon teologo (i falsi teologhi non pregiudicano ai veri e virtuosi
che
nel consigliare hanno soltanto la mira al giusto)
spese; e quanto al ritener le altrui ricchezze depositate, conchiude
che
si potrà commutare in qualche opera pia, non esse
. Simile alla risposta data dal servo Davo a Miside nell’Andria è ciò
che
quì dice Accursio: Ma non sapete voi che Messer
a Miside nell’Andria è ciò che quì dice Accursio: Ma non sapete voi
che
Messer Claudio Meglio dirà che non ci son, creden
quì dice Accursio: Ma non sapete voi che Messer Claudio Meglio dirà
che
non ci son, credendosi Di dir la verità, che cono
sser Claudio Meglio dirà che non ci son, credendosi Di dir la verità,
che
conoscendosi Bugiardo? e meglio le parole vengono
oscendosi Bugiardo? e meglio le parole vengono Che si partan dal cuor
che
quella ch’escano Sol dalla bocca all’intenzion co
quanta verità parlino in essa gl’innamorati. Nell’atto II una vecchia
che
conduce Ippolita ad Eurialo, l’esorta ad esser pr
romette; ma appena dice Accursio Ecco la casa là del nostro Eurialo,
che
trasportata dice, O cuor mio caro, o vita mia, di
re. Altro non aggiungeremo intorno alle commedie dell’Ariosto, se non
che
egli è sì ingegnosamente regolare e semplice nell
tanta aggiustatezza e verità dialogizza senza aggiungnere una parola
che
non venga al proposito; che stimo che mai non ter
à dialogizza senza aggiungnere una parola che non venga al proposito;
che
stimo che mai non termineranno con lode la comica
za senza aggiungnere una parola che non venga al proposito; che stimo
che
mai non termineranno con lode la comica carriera
imo che mai non termineranno con lode la comica carriera que’ giovani
che
allo studio dell’uomo e della società, per la qua
pieno applauso riportò questa favola nelle replicate rappresentazioni
che
se ne fecero in Italia, ed anche in Francia. Apos
lla nostra Letteraturab; giacchè il Castiglione dice di questa recita
che
non essendo ancor giunto il prologo del Bibbiena,
ogo del Bibbiena, aveane egli composto uno, la qual cosa può indicare
che
la di lui commedia fosse scritta di recente, anzi
n del tutto compiuta. Le parole con le quali si conchiuse l’argomento
che
vi e apposto dopo il prologo, indicano che la rap
i si conchiuse l’argomento che vi e apposto dopo il prologo, indicano
che
la rappresentazione non si faceva in Roma, ma in
aceva in Roma, ma in un’altra città. Nel parlarsi de’ gemelli si dice
che
essi sono in Roma, e che gli spettatori vedranno
ltra città. Nel parlarsi de’ gemelli si dice che essi sono in Roma, e
che
gli spettatori vedranno comparirli nella propria
mparirli nella propria loro città. Nè crediate però (si soggiungue)
che
per negromanzia sì presto da Roma vengano quì…. p
e per negromanzia sì presto da Roma vengano quì…. perciocchè la terra
che
vedete quì (cioè nella scena) è Roma, la quale g
, la quale già esser soleva sì ampia…. e ora è sì picciola diventata,
che
, come vedete, agiatamente cape nella città vostra
a. L’altra recita si fece in Roma alla presenza di Leone X, per quel
che
accenna il Giovio nella di lui Vita, e le magnifi
fiche scene furono opera di Baltassarre Peruzzi Sanesea; ed allora fu
che
v’intervenne anche la nominata marchesa di Mantov
, costando da una delle lettere del Castiglione conservate in Mantova
che
ella fu in Roma nel 1514, cioè su i principii del
egalo di ottocento doppie, e ciò anche accadde più dì un secolo prima
che
i Francesi conoscessero Castro, Lope e Calderon.
lità della favola, ed in fine si dà una graziosa discolpa dell’accusa
che
si potria fare all’autore di essere ladro di Plau
ta con giuramento si aggiugne di non averglisi furato cosa veruna; e
che
ciò sia vero, si cerchi quanto ha Plauto e trover
veruna; e che ciò sia vero, si cerchi quanto ha Plauto e troverassi
che
niente li manca di quello che aver suole . Coll’a
si cerchi quanto ha Plauto e troverassi che niente li manca di quello
che
aver suole . Coll’argomento poi narrato da un alt
ll’argomento poi narrato da un altro attore viene l’uditorio istruito
che
la favola si aggira sulle avventure di due gemell
tria rimangono divisi sin dalla fanciullezza, e per varii casi, senza
che
l’uno sappia dell’altro, giungono in Italia, appr
favola prende il nome) i fratelli lietamente si riconoscono. Calandro
che
ha veduto Lidio vestito da femmina quando visitav
ndra non può essere nè più grazioso nè più proprio per gli personaggi
che
vi s’imitano. I caratteri vi sono dipinti con bri
aratteri vi sono dipinti con brio e verità, e nelle passioni mediocri
che
vi si maneggiano si manifesta in bel modo la ridi
mediocri che vi si maneggiano si manifesta in bel modo la ridicolezza
che
ne risulta. Soprattutto è dipinta al vivo la scem
ne risulta. Soprattutto è dipinta al vivo la scempiaggine di Calandro
che
rassomiglia al Tofano del Boccaccio. Piacevoli so
o che rassomiglia al Tofano del Boccaccio. Piacevoli sono i propositi
che
tiene coll’astuto Fessenio che se ne burla e l’ag
Boccaccio. Piacevoli sono i propositi che tiene coll’astuto Fessenio
che
se ne burla e l’aggira. Egli l’ha persuaso ad and
ua fanciulla; egli in altra scena passa più oltre, e gli dà a credere
che
possa morire e resuscitare a sua posta, ed in tal
posta, ed in tal guisa gliene insegna il modo: Fes. Tu sai Calandro,
che
altra differenza non è dal vivo al morto, se non
andro, che altra differenza non è dal vivo al morto, se non in quanto
che
il morto non si muove mai e il vivo sì; e però qu
rte si va con Dio, e l’uomo ritorna vivo. E stà sicuro, Calandro mio,
che
chi fa questo, non è mai morto. Calandro content
tissimo pruova a morire e rivivere col bel segreto. Fessenio gli dice
che
guardi a farlo bene. Cal. Tu ’l vedrai. Or guard
fuora eccellentemente? Se così bene di drento muore, non sentirà cosa
che
io gli faccia, e conoscerollo a questo. Zas: bene
Io son morto, io son morto. Fes. Diventa vivo, diventa vivo: su, su,
che
alla fe tu muori galantemente. Spunta in su. Ed
vo: su, su, che alla fe tu muori galantemente. Spunta in su. Ed ecco
che
i lavacceci italiani hanno la fisonomia de’ Pourc
a de’ Pourceaugnac francesi, nè è a noi mancato un pennello nazionale
che
abbia saputo ritrarli un secolo e mezzo prima del
iana, non a torto però il dotto Lilio Gregorio Giraldi nel confessare
che
abbondi di sali e facezie, affermò che mancava d
regorio Giraldi nel confessare che abbondi di sali e facezie, affermò
che
mancava d’arte . L’intrigo non è fra quelli che
i e facezie, affermò che mancava d’arte . L’intrigo non è fra quelli
che
ben concatenati prestano all’azione forza ed inte
azione forza ed interesse. In molte parti si desidera quel verisimile
che
accredita le favole sceniche e chiama l’attenzion
si vede, per darne un esempio, nell’atto I la ragione per cui Fulvia
che
altre volte ha veduto in casa Lidio vestito da fe
altre volte ha veduto in casa Lidio vestito da femmina, pretenda poi
che
Ruffo per via d’incanti, lo trasformi in femmina
intento; e perchè non usa del modo più agevole già praticato? Allora
che
nell’atto V i fratelli di Calandro ci hanno colto
hanno colto Lidio e Fulvia insieme, non si vede chiaro come nel tempo
che
si aspettano i fratelli di lei, sieno gli amanti
si aspettano i fratelli di lei, sieno gli amanti così mal custoditi,
che
possa a Lidio sostituirsi Santilla per far rimane
Boccaccio la novella di Tofano, in cui si vede un’ avventura simile e
che
suggerì al Moliere la farsa di George Dandin. Il
George Dandin. Il pudore poi richiesto ne’ moderni colti teatri vuol
che
si schivino gli amorazzi di Fulvia; come altresì
mita anzi l’oscenità di qualche passo della Lisistrata di Aristofane,
che
la piacevolezza di Plauto. In oltre Fessenio che
trata di Aristofane, che la piacevolezza di Plauto. In oltre Fessenio
che
incomincia l’atto III dicendo Ecco, spettatori,
ina l’abuso fatto da un tal Timoteo del credito dovuto a certo stato,
che
per tanti secoli si è rispettato, e quantunque se
o allora si fece, e si rappresentò in Firenze contal plauso generale,
che
giusta il racconto di Paolo Giovioa, «i medesimi
nella favola di Nicia soffrirono con pazienza l’ingiuria, e la marca
che
gli segnava, in grazia della mirabile urbana piac
gli segnava, in grazia della mirabile urbana piacevolezza; e Leone X
che
da cardinale l’avea veduta nella patria, volle go
are alla bella sua moglie una pozione di mandragola colle circostanze
che
l’accompagnano, per averne un figliuolo maschio.
ontento di pagarvi il vino. Nè vano è questo vanto della picevolezza
che
promette; che ridicola essa riesce moltissimo per
arvi il vino. Nè vano è questo vanto della picevolezza che promette;
che
ridicola essa riesce moltissimo per tutte le sue
riesce moltissimo per tutte le sue parti. Per conoscere messer Nicia
che
avrà la ventura di aver de’ figliuoli, vedasi uno
squarcio della seconda scena dell’atto I. Ligurio parassito gli dice,
che
egli forse avrà briga di andar colla moglie a’ ba
ne, io sono stato molto randagio, e non si fece mai la fiera a Prato,
che
io non vi andassi, e non ci è castel veruno all’i
e voi il mare? Nic. Ben sai ch’io il vidi. Lig. Quanto è egli maggior
che
Arno? Nic. Che Arno? Egli è per quattro volte, pe
comici stranieri. Soprattutto è da vedersi il di lui carattere in ciò
che
dice di sua moglie nella scena ottava dell’atto I
travestiti per cogliere alcuno giovinaccio spensierato per lo bisogno
che
ne hanno: Lig. Non perdiamo più tempo quì. Io vo
qui il dottore; Siro fia retrogrado per dare sussidio a quella banda
che
inclinasse; il nome fia San Cocù. Nic. Chi è san
l nome fia San Cocù. Nic. Chi è san Cocù? Lig. E il più onorato santo
che
sia in Francia. L’atto IV si conchiude colle par
VI. Se si attenda alla felicissima dipintura de’ caratteri introdotti
che
non può migliorarsi, e all’ardita satira de’ lice
dello stile; noi converremo di buon grado col celebre conte Algarotti
che
in essa ritrova la eleganza del dire di Terenzio
renzio, e la forza comica di Plauto. Ci scommetterei (egli aggiugne)
che
avrebbe mosso a riso l’istesso Orazio, a cui non
Du Bos e da non pochi altri bravi letterati oltramontani. Ma intanto
che
valentuomini di prima nota Italiani e Oltramontan
o e forza comica, il sign. Giovanni Andres dice delle di lui commedie
che
peccano alle volte in lentezza e in languore . A
zza e in languore . A chi daranno fede i giovani? A codesto esgesuita
che
le chiama languide, o a que’ grandi uomini che vi
i? A codesto esgesuita che le chiama languide, o a que’ grandi uomini
che
vi riconoscono, segnatamente nella Mandragola, fo
vivacità? A lui no certamente, perchè non ne adduce una ragione vera
che
convinca. Languide esse sono per lui, per volers
necessaria e vicina cagione di languidezza? Altre immediate sorgenti
che
non si scorgono nella Mandragola, sogliono cagion
di moderno le antiche favole, sarebbe in una favola un pregio di più
che
renderebbe quegli antichi bei tratti naturali sem
onseguenza allontanerebbe sempre più la favola dalla languidezza. Ciò
che
dice poi dell’oscenità di tali commedie potrebbe
rista dell’osceno libro della Celestina ruffiana famosa? Si vede bene
che
il favellar di gusto e poesia drammatica antica e
one o una bella copia della Casina di Plauto o di Difilo. Nel prologo
che
è in prosa come tutta la commedia, lo confessa l’
prosa come tutta la commedia, lo confessa l’autore stesso. Egli dice
che
un caso anticamente avvenuto in Grecia, è poi seg
nti . Passa indi a discolparsi, se ad alcuno paresse esservi cosa men
che
onesta, benchè egli non creda che vi sia; ma quan
ad alcuno paresse esservi cosa men che onesta, benchè egli non creda
che
vi sia; ma quando pur vi fosse, dice, sarà in mo
gli non creda che vi sia; ma quando pur vi fosse, dice, sarà in modo
che
queste donne potranno senza arrossire ascoltarla
in modo che queste donne potranno senza arrossire ascoltarla . Parmi
che
dalla prima scena possa rilevarsi che si sia tal
za arrossire ascoltarla . Parmi che dalla prima scena possa rilevarsi
che
si sia tal commedia rappresentata intorno al 1506
ice: Quando dodici anni sono nel 1494 passò il re Carlo per Firenze,
che
andava con un grande esercitò all’impresa del reg
a scena poi dell’atto II, in cui altercano Sofronia e Nicomaco, parmi
che
si vegga che l’autore compose prima la Mandragola
ell’atto II, in cui altercano Sofronia e Nicomaco, parmi che si vegga
che
l’autore compose prima la Mandragola. Nicomaco pr
gioso. A chi andremo? Dice Sofronia. Nic. È non si può ire a altri
che
a F. Timoteo, che è nostro confessore di casa, ed
emo? Dice Sofronia. Nic. È non si può ire a altri che a F. Timoteo,
che
è nostro confessore di casa, ed è un santarello,
a già fatto qualche miracolo. Sof. Quale? Nic. Come quale? Non sai tu
che
per le sue orazioni Monna Lucrezia Calfucci che e
ome quale? Non sai tu che per le sue orazioni Monna Lucrezia Calfucci
che
era sterile, ingravidò? Questo motto non riuscir
lizia. Il Machiavelli ha fatto con molta felicità della Casina quello
che
Plauto stesso e Cecilio e Nevio e Terenzio ed Afr
erenzio ed Afranio fecero delle favole greche. E sarebbe a desiderare
che
nella nostra chiamata illuminata età, in vece di
se ne facessero sulle orme del Machiavelli fresche imitazioni libere
che
tirassero l’attenzione appunto coll’adattarvisi a
erò ne trascrisse aut impudenter aut perversè . E per esempio di ciò
che
ne dice in ultimo luogo, adduce il passo della sc
dell’atto II della Casina, Quid istuc est, quicum litigas . Olympio,
che
il Machiavelli traduce ed imita nella sesta dell’
duce ed imita nella sesta dell’atto III della sua Clitia: Pir. Prima
che
io facessi ciò che voi volete, io mi lascerei sco
sesta dell’atto III della sua Clitia: Pir. Prima che io facessi ciò
che
voi volete, io mi lascerei scorticare. Nic. La co
Pir. Combatto ora con chi voi combattete sempre. Nic. Che dice ella?
che
vuole ella? Pir. Pregami che io non tolga Clizia
i combattete sempre. Nic. Che dice ella? che vuole ella? Pir. Pregami
che
io non tolga Clizia per donna. Nic. Che l’hai tu
nna. Nic. Che l’hai tu detto? Pir. Che io mi lascerei prima ammazzare
che
la rifiutassi. Nic. Ben dicesti. Pir. Se io ho be
con Cristo parve a Balsac meno castigata; e veramente non può negarsi
che
avrebbe potuto esporsi con minore impudenza o irr
gia, il colore, i fregi, tutto vivace e moderno, e sì ben rassettata,
che
par nativa di Firenze, e non della Grecia; per le
le quali cose tira l’attenzione di chi legge o ascolta, e l’interesse
che
risveglia la preserva dalla pretesa lentezza e la
rte son poste per tramezzi nella fine di ciascun atto. Adunque coloro
che
pretendono, sol perchè l’asserirono la prima volt
rasformare le pastorali del XVI secolo in opere in musica, per sapere
che
vi furono poste in musica le canzonette de’ cori,
sa sarebbe una rara scoperta del secolo XVIII. Guardici però il cielo
che
ancor questo sproposito alcun dì non abbia a veni
ar pure una pretta traduzione dell’Andria di Terenzio, la quale parmi
che
per la prima volta siesi impressa nell’edizione d
velli. Dalla lentezza e languore attribuita loro dal signor Andres,
che
è la frase che egli adopra per intingolo perpetuo
entezza e languore attribuita loro dal signor Andres, che è la frase
che
egli adopra per intingolo perpetuo in parlar del
dopra per intingolo perpetuo in parlar del teatro italiano, apparisce
che
egli parlar volle (il dirò pure) di una provincia
iano, apparisce che egli parlar volle (il dirò pure) di una provincia
che
non aveva visitata. Più grazioso è poi il giudizi
una provincia che non aveva visitata. Più grazioso è poi il giudizio
che
ne diede il chiarissimo Bettinelli. Ben è Curios
. Non hanno dunque condo lui altro merito le commedie del Machiavelli
che
lo stil fiorentino? Ed intanto mille o duemila al
gnaziano l’oscenità di esse? E perchè parlando della rappresentazione
che
fecesi in Roma della Calandra del cardinal da Bib
rdinal da Bibbiena (incomparabilmente o almeno altrettanto licenziosa
che
la Mandragola) egli dice graziosamente che i pap
eno altrettanto licenziosa che la Mandragola) egli dice graziosamente
che
i papi, i cardinali e i prelati non si facevano
a? E lasciando da banda l’oscenità comune ad entrambe, pensa egli mai
che
il merito della Calandra sorpassasse quello della
dere giustizia ai talenti dello stesso ab. Bettinelli io son persuaso
che
egli ne conosce più di noi i pregi. Ma egli può n
censurare più per singolarizzarsi allontanandosi dal l’avviso comune,
che
per intera persuasione e per amor del vero e del
so comune, che per intera persuasione e per amor del vero e del bello
che
gli determini ne’ loro giudizii. Intorno a cinqua
on permette tante minute ricerche e continue pause il nostro racconto
che
abbraccia tante età e nazioni e tanti generi di d
mmi. Ci arresteremo dunque in alcune più notabili per qualche ragione
che
più interessi o istruisca. Tra primi nostri lette
che ragione che più interessi o istruisca. Tra primi nostri letterati
che
ci arricchirono di buone commedie, contisi il nob
to illustre latterato morto in Venezia d’anni sessantadue nel 1572 a,
che
nella satira e nella commedia si avvicinò di molt
avventura come nel proprio elemento in questa favola del Bentivoglio
che
di proposito dipinge un geloso? Vediamolo. Ermin
assicurarsene finge un’ assenza di un giorno o due, e soccorso da uno
che
egli crede mercatante, si traveste, appiccasi al
to di Livia nipote del medico, lo consiglia a travestirsi colle vesti
che
gli ha lasciate Ermino, perchè senza difficoltà v
sto travestito sul punto di picchiare è trattenuto prima da una donna
che
toltolo pel medico vuole che vada a visitar suo m
icchiare è trattenuto prima da una donna che toltolo pel medico vuole
che
vada a visitar suo marito infermo, indi da due pa
visitar suo marito infermo, indi da due palafrenieri di un cardinale
che
lo chiamano da parte del padrone, e finalmente da
irarsi. Rimpatria intanto nello stesso giorno Folco fratello d’Ermino
che
di soldato divenuto mercatante, di povero schiavo
edere la sua famiglia. Picchia; ma il servo ubbriaco, dopo aver detto
che
Ermino è morto di peste, e che Livia è fuggita vi
ma il servo ubbriaco, dopo aver detto che Ermino è morto di peste, e
che
Livia è fuggita via, serra l’uscio, ed il lascia
ver per ventura conservata una chiave dell’uscio di dietro. Il medico
che
stà in osservazione, vede entrare questo mercatan
rova il fratello, si disinganna, chiede perdono alla moglie del torto
che
le faceva col sospettar di lei, e si conchiude il
o di Livia con Fausto. Sono questi gl’intrighi pericolosi e le stragi
che
somministrano la gelosia e la vendetta italiana?
tima data, ma del Principe geloso, di Sganarello e di Giorgio Dandino
che
da circa un secolo e mezzo si rappresentano in Fr
eloso del Bentivoglio avrebbe dovuto essere da lui ignorato, per poco
che
avesse l’uso di fornirsi di dati certi prima di f
’argomento di questa favola è nuovo. L’autore stesso dice nel prologo
che
si è sforzato di comporre una commedia Nuova d’i
Tralle grazie comiche di questa favola son da contarsi gl’impedimenti
che
sopravvengono a Fausto nell’atto III, ne’ quali s
egl’Importuni (les Facheux) del Moliere, ma col maestrevole vantaggio
che
essi sono utili a fare avanzare con moto l’azione
ed imitata da un frammento di Plauto è pure la disperazione di Fausto
che
nella scena quarta dell’atto V vuole andar via pe
o congedando gli spettatori mostra lo scopo morale dalla favola: Voi
che
avete moglier giovane e bella, Da lui pigliate es
giovane e bella, Da lui pigliate esempio, e non ne siate Gelosi più,
che
certo fate peggio; Perchè il più delle volte è te
e certo fate peggio; Perchè il più delle volte è temeraria La gelosia
che
vi presenta cose Che’ n effetto non sono; e non è
laria di Plauto si ammira in quest’altra favola del Bentivoglio. Egli
che
pur sapeva si bene inventare e disporre senza alt
. Egli che pur sapeva si bene inventare e disporre senza altra scorta
che
la natura, volle non per tanto dare un bell’esemp
mo innanzi. Lo stile è al solito felice ed elegante da per tutto, di
che
molti passi assai belli si potrebbero addurre in
contenteremo di un solo dell’atto III, cioè di una parte del racconto
che
fa il servo al vecchio Basilio intorno a’ fantasi
del racconto che fa il servo al vecchio Basilio intorno a’ fantasimi
che
gli dà a credere che appajono nella loro casa. Ac
il servo al vecchio Basilio intorno a’ fantasimi che gli dà a credere
che
appajono nella loro casa. Accorro, egli dice, ai
a. Accorro, egli dice, ai gridi di Fulvio, e gli domando, Che avete?
che
vi duol, padron mio caro? Su su (disse ei tremand
sta casa, Nè mai più porvi alla mia vita il piede. Voi dovete sognar:
che
vi è incontrato? Nol posso dire, egli mi rispond
di buon passo a dormir con Flaminio suo amico; io resto con più sonno
che
paura, ridendo e compassionandolo. Così mentre d
ra, ridendo e compassionandolo. Così mentre di lui meco sol penso, E
che
mi chino a spegner la lucerna Col destro braccio,
strepito, il maggiore Che mai sentissi alla mia vita, e veggo L’uscio
che
s’apre da sua posta, ch’io Pur dianzi chiuso avea
o. Basil. Miracolo! oh dio! ch’è quello ch’odo? Ne. Poi veggo un uom,
che
dal sepolcro uscito Allora allor verso il mio let
i morto allora. Ne. Necro (diss’ei con spavente vol voce) Or odi quel
che
ancora a Fulvio ho detto: Non mettete mai più quà
i. Il Lollio, il Pigna, il Giraldi, il Doni, il Varchi, il Domenichi (
che
vagliono bene una gran parte de’ censori transalp
ezza ai suoi Fantasimi. Cinque commedie compose allora Pietro Aretino
che
si discostano dalle commedie degli antichi, e dip
lle leggi teatrali del verisimile; e consiste nell’estrema avversione
che
ha un Marescalco al matrimonio posta alla tortura
on i titoli del Cavallerizzo, del Finto, e del Sofista; ma è ben noto
che
fu impostura tipografica scoperta poi dal Crescim
posti alla berlina due personaggi ridicoli, cioè un Sanese scempiato
che
viene in Roma per farsi cardinale, imparando prim
in Roma per farsi cardinale, imparando prima ad esser Cortigiano, da
che
nasce il titolo della commedia, ed un signor Para
n furbo suo servidore. Francesco Buonafede altro impostore letterario
che
avea data alla luce la Talanta altra commedia del
ogni vivacità; la qual cosa pruova (contro l’asserzione dell’Andres)
che
la lentezza ed il languore provengono da tutt’alt
es) che la lentezza ed il languore provengono da tutt’altra sorgente,
che
dallo studio di adattare le antiche frasi alle mo
ando entrò in Siena, e s’impresse nel 1559. La seconda è l’Alessandro
che
si stampò nel 1553. L’Ortenzio che fu la terza si
el 1559. La seconda è l’Alessandro che si stampò nel 1553. L’Ortenzio
che
fu la terza si rappresentò nel 1560 entrando in S
pio di voglia di ridere, e per rispetto de’ forestieri tengo la bocca
che
non rida. Un Napoletano nella stessa commedia in
’Intronati comincia a vedersi alcun personaggio buffonesco subalterno
che
parla in qualche dialetto particolare, come Ligdo
fante, dice: Crede farmi stare a qualche scudo; ma è male informata,
che
io sono allievo di Spagnuoli. Degni però di scus
o gl’Italiani di allora, come troppo vicini al funesto sacco di Roma,
che
sì gran parte ne ridusse in miseria; e la commedi
mmedia nomata degl’Ingannati si recitò due giorni dopo del Sacrificio
che
fu come un’ introduzione agli spettacoli del carn
figliuola di Virginio, questi risponde: Quando fu il sacco di Roma,
che
ella ed io fummo prigioni di que’ cani, finiva tr
erò mai le scene simili alla quinta del V atto di Cittina: Io non so
che
trispigio sia dentro a questa camera terrena; io
a camera terrena; io sento la lettiera fare un rimenio, un tentennare
che
pare che qualche spirito la dimeni, ecc. Si lasc
terrena; io sento la lettiera fare un rimenio, un tentennare che pare
che
qualche spirito la dimeni, ecc. Si lascino quest
lla sfacciataggine de’ repubblicani Ateniesi di venti secoli indietro
che
se ne compiacevano. Regolari e piene di sali e mo
5, e il Marito nel 1560; le altre tre sono in buona prosa, il Ragazzo
che
s’impresse nel 1541, il Ruffiano tratta dal Ruden
sse nel 1541, il Ruffiano tratta dal Rudente di Plauto, e la Fabrizia
che
si pubblicarono nel 1549. Nel 1548 comparvero in
elli, ambi fiorentini. Scrisse anche il Gelli l’Errore altra commedia
che
non s’impresse se non nel 1603. Tralle migliori c
lle migliori commedie di quel tempo si noverano le nominate del Gelli
che
Moliere non isdegnò d’imitar nell’Avaro ed in alt
sdegnò d’imitar nell’Avaro ed in altre sue commedie. La protestazione
che
egli fa nel prologo della Sporta, mostra l’intell
e egli fa nel prologo della Sporta, mostra l’intelligenza ed il gusto
che
possedeva in tal genere: In Essa (egli dice) no
a (egli dice) non si vedranno riconoscimenti di giovani o fanciulle,
che
oggidì non occorre, ma accidenti di una vita civi
na vita civile e privata sotto una immaginazione di verità, e di cose
che
tutto il giorno accaggiono al viver nostro. Con
itte fossero nel linguaggio Tibetano. Questo piacevolissimo scrittore
che
morì d’anni sessantacinque nel 1563, fu calzolajo
) fu una piacevole commedia di Antonio Mariconda cavaliere napolitano
che
sebbene s’impresse nel 1548 era stata rappresenta
do compose in buona prosa la Pescara, la Cesarea Gonzaga, la Trinuzia
che
si pubblicarono con applauso nel 1550. Agnolo Fir
gnolo Firenzuola cittadino fiorentino abate Vallombrosano e letterato
che
si distinse in più di un genere, e visse sotto Cl
mmedie in prosa elegante e graziosa tralle quali spiccano la Gelosia (
che
non rassomiglia punto all’atroce vendicativo furo
ava, il Donzello, il Corredo, lo Spirito, e il Servigiale; e per quel
che
ne dice il Quadrio, molte altre ne rimasero inedi
e la Floria commedia in prosa, secondo Apostolo Zeno, licenziosa anzi
che
no, che si pubblicò nel 1560. Il Capitano bizzarr
ria commedia in prosa, secondo Apostolo Zeno, licenziosa anzi che no,
che
si pubblicò nel 1560. Il Capitano bizzarro commed
ia nel 1551. Giordano Bruno di Nola compose la commedia del Candelajo
che
si pubblicò in Parigi nel 1582, e vi si reimpress
Massimo Cameli aquilano si pubblicò nell’Aquila nel 1566. La Virginia
che
il secondo Bernardo Accolti fece sulla sua serva,
Luigi Alamanni s’impresse in Firenze nel 1556 per cura di Andrea Lori
che
la fece recitare nella Compagnia di san Bernardin
e satire (ma non già della Libertà tragedia attribuitagli dal Ghilini
che
però si compose da un apostata della Cattolica Fe
re superstiziosamente il giambico greco e latinoa Ma tutti i vantaggi
che
essi speravano ottenere co’ nuovi metri poco e nu
avvi una descrizione lodevole della commedia, nella quale si sostiene
che
tutti i vantaggi della pittura della musica e del
inguaggio dell’innamorato Licinio, il quale così dice alla sua Delia,
che
gli parla da dentro senza aprirgli la porta: Lic
elia, che gli parla da dentro senza aprirgli la porta: Licinio è quì
che
come smarrito augello cerca diridursi nel vostro
he come smarrito augello cerca diridursi nel vostro nido, come aquila
che
stà per fissar l’occhio in voi suo bel sole: deh
però ben mi colpì nella stessa commedia la saviezza della fanciulla,
che
sebbene innamorata dissuade Licinio dal rompere l
lerla sposare, ed ella l’impedisce dicendo: Non gittate, non gittate,
che
io l’accetto, e come mio ve lo ridono, acciocchè
io l’accetto, e come mio ve lo ridono, acciocchè se a Dio piacerà mai
che
io possa come vorrei, esser vostra, ne leghi eter
orrei, esser vostra, ne leghi eternamente ambedue; e tenete per certo
che
ogni mio desiderio, ogni mio pensiero, ogni mia s
certo che ogni mio desiderio, ogni mio pensiero, ogni mia speranza è
che
voi o per serva, o per altro che mi vogliate, abb
ni mio pensiero, ogni mia speranza è che voi o per serva, o per altro
che
mi vogliate, abbiate ad essere scudo dell’onor mi
di me. Non si possono mai abbastanza lodare questi tratti di saviezze
che
spandono per l’uditorio un piacere indicibile, sp
ta scena, senza affettazione e senza farne un sermone da pulpito anzi
che
da teatro. Là dove le oscenità, gli equivoci impu
olario della Crusca. Le più stimate sono: i Bernardi in versi sciolti
che
si produsse in Firenze nel 1563 e 1564, la Cofana
comparvero le commedie di Girolamo Parabosco, Una ne compose in versi
che
è il Pellegrino impressa nel 1570, e sette in pro
in ogni altra cosa seguitato il loro uso. E se vi parrà (soggiugne)
che
in qualche parte l’abbia alterati, considerate, c
arrà (soggiugne) che in qualche parte l’abbia alterati, considerate,
che
sono alterati ancora i tempi e i costumi, i quali
te, che sono alterati ancora i tempi e i costumi, i quali sono quelli
che
fanno variar le operazioni e le leggi dell’operar
dell’operare. Chi vestisse ora d toga e di pretesta, per begli abiti
che
fossero, ci offenderebbe non men che se portasse
a e di pretesta, per begli abiti che fossero, ci offenderebbe non men
che
se portasse la berretta a toglieri o le calze a c
e nel tempo stesso nella passione di Gisippo e Giulietta un interesse
che
avvicina questa bella commedia al genre dell’Ecir
e la salverà, sempre dal cadere in dimenticanza E una verità costante
che
le dipinture delle maniere locali, benchè eccenll
loro franchezza in ogni tempo. Anima mia (dice nell’atto II Gisippo
che
crede morta la sua bella Giulietta) tu sei pure i
randezza del mio dolore, e il desiderio di venir dove tu se. Tu senti
che
il tuo nome m’è sempre in bocca. Tu vedi che la t
nir dove tu se. Tu senti che il tuo nome m’è sempre in bocca. Tu vedi
che
la tua immagine mi stà continuamente nel cuor. Tu
ca. Tu vedi che la tua immagine mi stà continuamente nel cuor. Tu sai
che
d’altri che tuo non poso essere, quando bene ad a
che la tua immagine mi stà continuamente nel cuor. Tu sai che d’altri
che
tuo non poso essere, quando bene ad altri sia dat
ini di calore e di verità il linguaggio della natura; quel linguaggio
che
sarà sempre ignoto a certuni che si hanno formato
uaggio della natura; quel linguaggio che sarà sempre ignoto a certuni
che
si hanno formato un picciolo frasario preteso fil
certuni che si hanno formato un picciolo frasario preteso filosofico
che
vogliono applicare in ogni incontro ed in ogni si
ogni incontro ed in ogni situazione. Gisippo poi intende nell’atto V
che
Giulietta è viva. Satiro servo gliene reca la nov
a Giulietta , egli dice Gis. Che Giulietta, bestia? Sat. Oh padrone,
che
ho io veduto! Gis. Che hai spiritato? Sat. Io ho
ho veduta la Giulietta, e l’ho veduta con questi occhi. Gis. Qualcuna
che
le somiglia forse? Sat. Lei stessa. Gis. La Giuli
ato, ella ha parlato a me, e mi ha data questa lettera e quest’anello
che
vi porto. Dem. Questo è il giornò delle maravigli
esto è il giornò delle maraviglie. Gis. Oh dio, questo è l’anello con
che
la sposai, e questa è sua lettera. Dem. Non m’ave
naturalezza di questo dialogo, in cui non si dice o si risponde cosa
che
non sembri l’unica espressione richiesta nel caso
ira tutto il patetico della tenerezza sfortunata di un cuor sensibile
che
offeso si querela senza lasciar di amare. A’ legg
ra di tragedie cittadine e commedie piagnevoli oltramontane; a quelli
che
non hanno il sentimento irruginito dalla pedantes
ati nel XV secolo, fossero poi anche scempi e fanciulleschi; a quelli
che
sanno burlarsi di coloro che non vorrebbero che a
i anche scempi e fanciulleschi; a quelli che sanno burlarsi di coloro
che
non vorrebbero che altri rilevasse mai le bellezz
nciulleschi; a quelli che sanno burlarsi di coloro che non vorrebbero
che
altri rilevasse mai le bellezze de’ componimenti
asi obbliati, per poterli saccheggiare a loro posta; a quelli in fine
che
non pongono la perfezione delle moderne produzion
del pennello maestrevole del Caro. Gisippo in essa è chiamato Tindaro
che
è il suo nome primiero; Dem. leggendo. Tindaro,
poichè mi trovo serva de’ servidori della vostra moglie) gli affanni
che
io ho sofferti sinora grandissimi e infiniti, son
erando di ritrovarvi, e consolarmi di avervi per mio consorte. Ma ora
che
finalmente vi ho ritrovato, poichè a me tolto vi
iete, sconsolata e disperata persempre desidero di morire. Gis. Oimè!
che
parole son queste?….seguitate. Dem. leg. Ahi Tin
iete pur di fede, e mi dovete essere per obbligo. Non sono io quella,
che
per esser vostra moglie non mi sono curato di abb
r dispersa dalla mia patria, nè divenir favola del mondo? Ricordatevi
che
per voi sono state tante tempeste, per voi sono v
peste, per voi sono venuta in preda de’ corsari, per voi si può dire,
che
io sia morta, per voi son venduta, per voi carcer
rimaritate. Gis. È Giulietta scrive queste cose? Dem. leg. Il dolore
che
io ne sento, è tale che ne dovrò tosto morire, ma
etta scrive queste cose? Dem. leg. Il dolore che io ne sento, è tale
che
ne dovrò tosto morire, ma solo desidero di non mo
di condurmi, col testimonio della mia virginità, a mostrare a’ miei,
che
io per legittimo amore, e non per incontinenza, h
vi prego (se più di momento alcuno sono i miei prieghi presso di voi)
che
procuriate per me: poichè non posso morir donna v
o di voi) che procuriate per me: poichè non posso morir donna vostra,
che
io non mi muoja almeno schiava d’altri. O ricuper
rate con la giustizia, o impetrate dalla vostra sposa la mia libertà:
che
, per esser ella così gentile, come intendo, ve la
ve la dovrà facilmente concedere: e, bisognando, promettete il prezzo
che
sono stata comperata, che io prometto a voi di re
cedere: e, bisognando, promettete il prezzo che sono stata comperata,
che
io prometto a voi di restituirlo. Gis. Oh che dol
e sono stata comperata, che io prometto a voi di restituirlo. Gis. Oh
che
dolore è questo! Dem. leg. E quando questo non v
E quando questo non vogliate fare, mi basterà solamente di morire: il
che
desidero così per finire la mia miseria, come per
la mia miseria, come per non impedire la vostra ventura. E per segno
che
io non voglio pregiudicare alla libertà vostra, v
nello del nostro maritaggio. Nè per questo si scemerà punto dell’amor
che
io vi porto. State sano, e godete delle nuove noz
i sicuro di avere il cuore formato di assai diversa tempera da quella
che
costituisce un’ anima nobile. Ogni parola è una b
a per chi l’analizza, nè l’analizza chi non ha il cuore fatto per ciò
che
i Francesi chiamano sentimento. Non si vede nelle
’Emilia nel 1596, tutte scritte in versi, e con lo spirito di arguzia
che
domina ne’ componimenti di questo famoso Cieco d’
a si veste da uomo, e nel l’accingersi a partir per Lione dove sapeva
che
dimorava l’amante bandito, lo trova in Bologna ad
suo amante chiamato Aristide è conosciuto ed arrestato. Alla novella
che
ne ha Elfenice ripiglia le vesti di donna coll’in
ale alla mano (con poca verisimiglianza però) imbatte nella giustizia
che
mena a morte Milziade suo fratello convinto per d
confessione di latroneccio. Sbigottiscono gli sbirri a vista di colei
che
il giorno avanti era stata sepolta, e presi da st
enza badare al delinguente, il quale si maraviglia della sorella viva
che
corre come forsennata, e giugne presso la casa di
uggono. Il Governadore intende i casi di Aristide e di Milziade, vede
che
un doppio parentado potrebbe riconciliare le due
e dall’omicidio commesso da Aristide, proseguendosi per li sette anni
che
egli dimorò in Lione, mostrandosi la morte appare
la sua Donna costante dalla venuta di Aristide in Bologna nel giorno
che
è stata sepolta fintamente Elfenice, e che è mena
tide in Bologna nel giorno che è stata sepolta fintamente Elfenice, e
che
è menato a morir Milziade. Potrebbe dunque questa
rietà di stile; ma non son pago dei discorsi accademici e pedanteschi
che
vi si tengono, delle storie, degli esempi, de’ ve
o il servo Lucilio, il medico Erosistrato ed il parassito Edace. Ed a
che
servono quelle inezie all’usanza spagnuola? L’aut
autore l’accompagnò con sei intermedii. Il primo serve d’introduzione
che
va innanzi al prologo, in cui la scena rappresent
quattordici versi. Nel secondo in fine dell’atto I si vede un antro,
che
è la reggia del Sonno, in cui Iride ed il Sonno c
dal duca Borbone generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta
che
dice, Quella che il Mondo vinse abbiamo vinta,
generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta che dice, Quella
che
il Mondo vinse abbiamo vinta, alla quale succede
abbiamo vinta, alla quale succede il lamento di Roma, in due ottave
che
conchiudono Già vinsi il Mondo, or servo a gente
un balc. Eccoti dunque una commedia in prosa con accompagnamenti tali
che
le danno diritto a chiamarsi opera in musica, sec
lmente al suo supplicio. Oddi vi aggiunse la venuta di una innamorata
che
al vedere l’amante esposto, per essere ostaggio d
e al vedere l’amante esposto, per essere ostaggio del di lei fratello
che
esattamente la rassomiglia, ed al sapere già vici
a l’amante. La pena ch’ella ne riceve, è un sonnifero creduto veleno,
che
apporta poco stante un lieto scioglimento. L’altr
la presenza del cardinal Odoardo Farnese gl’Intrichi d’Amore commedia
che
porta il nome di Torquato Tasso: e che s’impresse
e gl’Intrichi d’Amore commedia che porta il nome di Torquato Tasso: e
che
s’impresse in Viterbo presso Girolamo Discepolo n
i piacevoli ben rilevati. Il Baruffaldi, e Monsignor Bottari dubitano
che
sia componimento dell’autore della Gerusalemme; i
nell’accurata Vita di Torquato impressa in Roma l’anno 1785, giudica
che
sia opera di Giovanni Antonio Liberati che fece i
Roma l’anno 1785, giudica che sia opera di Giovanni Antonio Liberati
che
fece il prologo e gl’intermedii a questa commedia
ece il prologo e gl’intermedii a questa commedia, per la sola ragione
che
quest’Accademico di Caprarola si dilettava di scr
dato abatte Serassi quante volte discopre errori del Manso sulle cose
che
riguardano Torquato! Che sia poi piuttosto da rif
iuttosto da riferirsi tal favola al Tasso napoletano nato in Sorrento
che
al Liberati di Caprarola, cel persuade in certo m
madre napoletana, e quì allevato sino al decimo anno della sua età, e
che
vi tornò poscia già grande, e vi dimorò diversi m
morò diversi mesi, e potè rilevarne alcune caricature e piacevolezze:
che
quel Liberati, il quale nè nacque in questo regno
ezze: che quel Liberati, il quale nè nacque in questo regno, nè si sa
che
lo visitò; ed altro di lui non si afferma se non
regno, nè si sa che lo visitò; ed altro di lui non si afferma se non
che
fece in quella favola gl’intermedii, e che si dil
lui non si afferma se non che fece in quella favola gl’intermedii, e
che
si dilettava del genere drammatico. Forse l’ultim
orse l’ultimo scrittore comico del cinquecento fu il vecchio Loredano
che
dal 1587 al 1608 pubblicò sette commedie in prosa
non pubblicato. Della Pellegrina di Baltassarre di Palma parmigiano,
che
si rappresentò avanti al cardinal Grimani, e dell
mai osò dire esser esse così sfornite d’arte, di spirito e di gusto
che
neppure di una sola possa sostenersi la lettura
a sostenersi la lettura a? Che se egli seppe soltanto per tradizione
che
esistevano commedie antiche in Italia, o stimò ch
nto per tradizione che esistevano commedie antiche in Italia, o stimò
che
altra cosa non fossero che le farse dell’Arlecchi
tevano commedie antiche in Italia, o stimò che altra cosa non fossero
che
le farse dell’Arlecchino per avventura vedute sul
teatro detto Italiano di Parigi, egli stesso può avvedersi del torto
che
fa alla propria erudizione e filosofia, giudicand
a di cui non aveva nè contezza nè idea veruna. Veramente una nazione,
che
fece risorgere in Europa tutte le belle arti e le
poco più di diligenza in quell’erudito maestro di Poetica Francese. E
che
direbbe egli se si volesse dare idea del teatro d
ro rapina rimanga spesso occulta a’ volgari. Essi ad altro non badano
che
a copiare stentatamente ciò che erasi già con gen
a’ volgari. Essi ad altro non badano che a copiare stentatamente ciò
che
erasi già con genio e franchezza dipinto sul teat
isce di colori le tele, alla maniera della scimia di Franco Sacchetti
che
voleva fare come faceva il pittore. a. L’autore
lezione del Teatro Italiano antico. b. Incomincia con questi versi
che
adduco per esempio: E’ mi conviene ogni mese com
i commedia o traduzione accorciata e corretta dal Trinummus di Plauto
che
diede a recitare ai nobili giovani Accademici del
recitare ai nobili giovani Accademici del Collegio di quella città, e
che
si eseguì egregiamente alla presenza de’ Sovrani.
beni, il Fontanini, il Poccianti, il Mazzucchelli. a. Fu strana cosa
che
l’Enciclopedista Marmontel avesse ciò pronunziato
sse ciò pronunziato senza pensare e senza leggere. Ma stranissimo poi
che
un Italiano avesse pappigallescamente copiate e r
in Roma nel 1771 e ristampata in Venezia nel 1773. L’autore anonimo (
che
si crede che fosse Francesco Milizia, di cui in u
1771 e ristampata in Venezia nel 1773. L’autore anonimo (che si crede
che
fosse Francesco Milizia, di cui in un Giornale Si
ano si è parlato con poco vantaggio) affermò sulla stessa intonazione
che
nell’immensa collezione delle nostre commedie no
ddi e di altri venti almeno scrittori riputati, egli non ne trova una
che
si possa leggere da un uomo di spirito? Il suo sp
fogge, di smancerie: e sarebbe ora il tempo di rinnovare quel decreto
che
fecero già i lacedemoni contro a colui il quale,
la novità in tal genere sono pur troppo vaghi i nostri uomini. Vero è
che
senz’essa non avrebbe ricevuto la musica quegli a
i. Vero è che senz’essa non avrebbe ricevuto la musica quegli aumenti
che
ricevuto ha; ma egli è anche vero che ha trabocca
cevuto la musica quegli aumenti che ricevuto ha; ma egli è anche vero
che
ha traboccato per essa in quello scadimento di cu
essa in quello scadimento di cui si dolgono i migliori. Sino a tanto
che
le arti sono rozze per ancora, l’amore della novi
o, maturità e perfezione: ma giunte al sommo, quel principio medesimo
che
diede loro la vita è anche quello che dà loro la
sommo, quel principio medesimo che diede loro la vita è anche quello
che
dà loro la morte. Appresso tutte le nazioni hanno
per tutta Europa, e venne anche dagli oltramontani coltivata a segno,
che
ben si può dire aver essi per qualche tempo dato
vo suo paese, vi fece nelle due trascorse età tali e tanti progressi,
che
nelle nostre scuole pur dovettero i forestieri ve
bborrendo quello di cui avevamo ieri tanta fantasia. Quella cantilena
che
ne facea levare in ammirazione pochi anni addietr
ma perché divenuta vecchia, perché andata fuori di usanza. E non meno
che
avvenga nelle fogge de’ vestiti e delle cuffie, i
cuffie, in composizioni eziandio fatte per imitar la natura e quello
che
sta sempre di un modo, va del continuo variando l
a, è quel suo proprio e particolar regno ch’ella ha preso a fondare e
che
è cresciuto oggigiorno a tanta altezza. Il compos
mondo non gli può entrare in capo ch’egli ha da essere subordinato, e
che
il maggior effetto della musica ne viene dallo es
re le impressioni dei versi, muovere cosi generalmente quegli affetti
che
abbiano analogia colle idee particolari che hanno
neralmente quegli affetti che abbiano analogia colle idee particolari
che
hanno da essere eccitate dal poeta; dare in una p
re energia43. Né quella critica fatta già contro all’opera in musica,
che
le persone se ne vanno alla morte e cantano, non
, se non se dal non ci essere tra le parole ed il canto quell’armonia
che
si richiede. Imperciocché se tacessero i trilli,
fosse scritta come si conviene, non vi sarebbe maggior disconvenienza
che
uno morisse cantando, che recitando dei versi. Ad
iene, non vi sarebbe maggior disconvenienza che uno morisse cantando,
che
recitando dei versi. Ad ognuno è noto che anticam
a che uno morisse cantando, che recitando dei versi. Ad ognuno è noto
che
anticamente gli stessi poeti erano musici. E con
, più viva, più calda dei concetti e degli affetti dell’animo. Ma ora
che
le due gemelle, poesia e musica, vanno disgiunte,
ica, vanno disgiunte, qual maraviglia se avendo uno a colorire quello
che
ha disegnato un altro, i colori sieno bensì vaghi
consulti dipoi sopra quanto avrà scritto, ne abbia quella dipendenza
che
avea il Lulli dal Quinault, il Vinci dal Metastas
le disconvenienze della odierna musica dee notarsi in primo luogo ciò
che
la prima cosa salta, per cosi dire, agli orecchi
e egli trovare tra una sinfonia ed un’altra? Tra quella, per esempio,
che
precede la morte di Didone abbandonata da Enea, e
esempio, che precede la morte di Didone abbandonata da Enea, e quella
che
precede le nozze di Demetrio e di Cleonice? Suo p
zione, di preparar l’uditore a ricevere quelle impressioni di affetto
che
risultano dal totale del dramma. E però da esso h
l’esordio. Ma la sinfonia non altrimenti viene riputata al di d’oggi
che
come una cosa distaccata in tutto e diversa dal d
tutto e diversa dal dramma, come una strombazzata, diciamo così, con
che
si abbiano a riempiere d’avanzo e ad intronare gl
ell’udienza. Che se pure taluni la pongono come esordio, convien dire
che
sia di una medesima stampa cogli esordi di quegli
dire che sia di una medesima stampa cogli esordi di quegli scrittori
che
con di bei paroloni si rigiran sempre sull’altezz
pre sull’altezza dell’argomento e sulla bassezza del proprio ingegno,
che
calzano a ogni materia e potriano stare egualment
osi questi ne sono, per cosi dire, la parte più sorda. E pare oggimai
che
i nostri compositori sieno venuti in parere che i
sorda. E pare oggimai che i nostri compositori sieno venuti in parere
che
i recitativi non meritino il pregio che vi si pon
sitori sieno venuti in parere che i recitativi non meritino il pregio
che
vi si ponga grande studio, non potendosi aspettar
Basta vedere quanto nel proemio della Euridice ne scrive Iacopo Peri,
che
con giusta ragione è da dirsi l’inventore del rec
rsi l’inventore del recitativo. Datosi a cercare l’imitazion musicale
che
conviene ai poemi drammatici, volse l’ingegno e l
iene ai poemi drammatici, volse l’ingegno e lo studio a trovar quella
che
in somiglianti soggetti usavano gli antichi Greci
Greci. Osservò quali voci nel nostro parlare s’intuonano, e quali no;
che
viene a dire quali sono capaci di consonanza, e q
lla poesia come nella musica esercitatissimi. E conchiuse, alla fine,
che
il fondamento di una tale imitazione ha da essere
ine, che il fondamento di una tale imitazione ha da essere un’armonia
che
seguiti passo passo la natura, una cosa di mezzo
ario e la melodia, un temperato sistema tra quella favella, dic’egli,
che
gli antichi chiamavano diastematica, quasi tratte
antichi chiamavano diastematica, quasi trattenuta e sospesa, e quella
che
chiamavano continuata. Tali erano gli studi de’ p
ali avvertenze e considerazioni procedevano; e ben mostrava l’effetto
che
non si perdevano in vane sottigliezze. Il recitat
e faceva sopra tutto bene spiccare quelle inflessioni e quei risalti
che
la violenza degli affetti ha forza d’imprimere ne
ti di semplice recitativo commovevano gli animi dell’udienza in modo,
che
niun’aria a’ giorni nostri ha saputo fare altrett
ha saputo fare altrettanto. [2.5] Una qualche commozione egli sembra
che
cagioni presentemente il recitativo, quando esso
glion dire, e accompagnato con istrumenti. E forse non disconverrebbe
che
una tale usanza si facesse più comune ancora ch’e
in esempio la maggior parte dell’ultimo atto della Didone del Vinci,
che
è tutta lavorata a quel modo. È da credere che se
ella Didone del Vinci, che è tutta lavorata a quel modo. È da credere
che
se ne sarebbe compiaciuto lo stesso Virgilio, tan
imata e terribile. Un altro buon effetto seguirebbe da simile usanza:
che
non ci saria allora tanta la gran varietà e dispr
debbono essere stati più di una volta offesi a quel subito passaggio
che
si suol fare da un recitativo liscio et andante a
orata con tutti i raffinamenti dell’arte. Non è egli la medesima cosa
che
se altri in passeggiando venisse tutto ad un trat
sse tutto ad un tratto a spiccar salti e cavriole? [2.6] Bene è vero
che
, a meglio ottenere tra le varie parti dell’opera
partito anche sarebbe quello di lavorar meno e di meno instrumentare,
che
far non si suole, le arie medesime. Furono esse i
uole, le arie medesime. Furono esse in ogni tempo la parte dell’opera
che
più delle altre risaltò. E secondo che la musica
ogni tempo la parte dell’opera che più delle altre risaltò. E secondo
che
la musica da teatro si è venuta raffinando, hanno
lumeggiamenti sempre maggiori. Di somma semplicità rispetto a quello
che
sono al dì d’oggi si può affermare che fossero da
a semplicità rispetto a quello che sono al dì d’oggi si può affermare
che
fossero da principio. Tantoché e per la melodia,
lle voci, a cui debbono soltanto servire. Non picciola è la mutazione
che
da quel maestro è seguita a’ tempi nostri, nei qu
arie si rimangono oppresse e quasi sfigurate sotto agli ornamenti con
che
studiano sempre più di abbellirle. Soverchiamente
di abbellirle. Soverchiamente lunghi sogliono essere quei ritornelli
che
le precedono e ci sono assai volte di soprappiù.
ci sono assai volte di soprappiù. Nelle arie di collera per esempio;
che
troppo ha dell’inverisimile che un uomo in coller
ù. Nelle arie di collera per esempio; che troppo ha dell’inverisimile
che
un uomo in collera se ne stia ad aspettare con le
che un uomo in collera se ne stia ad aspettare con le mani a cintola
che
sia finito il ritornello dell’aria, per dare sfog
che sia finito il ritornello dell’aria, per dare sfogo alla passione
che
bolle dentro il cuor suo. Quando poi, finito il r
dentro il cuor suo. Quando poi, finito il ritornello, entra la parte
che
canta, quei tanti violini che l’accompagnano che
i, finito il ritornello, entra la parte che canta, quei tanti violini
che
l’accompagnano che altro mai fanno se non abbagli
ello, entra la parte che canta, quei tanti violini che l’accompagnano
che
altro mai fanno se non abbagliare e coprir la voc
mpagnano che altro mai fanno se non abbagliare e coprir la voce? Pare
che
per ogni ragione se ne avesse a scemare il numero
Pare che per ogni ragione se ne avesse a scemare il numero. Tanto più
che
ne sono bene spesso cosi affollate le nostre orch
Tanto più che ne sono bene spesso cosi affollate le nostre orchestre,
che
avviene in esse come in un naviglio, che la gran
follate le nostre orchestre, che avviene in esse come in un naviglio,
che
la gran moltitudine delle mani, in luogo che giov
sse come in un naviglio, che la gran moltitudine delle mani, in luogo
che
giovi al governo di quello, gli è al contrario d’
e maggiormente i bassi, e accrescere piuttosto il numero de’ violini,
che
sono gli scuri della musica? Perché non rimettere
sono gli scuri della musica? Perché non rimettere i liuti e le arpe,
che
col loro pizzicato danno a’ ripieni non so che de
ere i liuti e le arpe, che col loro pizzicato danno a’ ripieni non so
che
del frizzante? Perché non restituire il loro luog
forse anche dall’organo, come era altre volte in costume44. Così però
che
ciascuna qualità di strumenti convenisse all’indo
strumenti convenisse all’indole delle parole a cui debbono servire, e
che
eglino entrassero a luogo a luogo, dove più lo ri
al numero nelle belle prose, il quale, a detto di quel savio, convien
che
sia come il batter de’ fabbri, musica insieme e l
2.7] Ma non sono questi, quantunque assai gravi, i maggiori disordini
che
sieno entrati nella composizione delle arie. Conv
de primaria del male. Il maggior disordine, giudicano i veri maestri,
che
abbia radice nella trovata e nella condotta del s
a e nella condotta del soggetto stesso dell’aria. Rade volte si cerca
che
l’andamento della melodia abbia del naturale, o r
lla melodia abbia del naturale, o risponda al sentimento delle parole
che
ha da vestire. E le tante varietà in cui lo vanno
na veramente di pericolo, se uno guardi al buon effetto della melodia
che
, stando anch’essa nel mezzo, tiene maggiormente d
rmente della virtù; e nella musica si vuol fare quell’uso degli acuti
che
si fa dei lumi ardenti nella pittura. [2.9] Quant
ti nella pittura. [2.9] Quanto ai passaggi, prescrive la sana ragione
che
non convenga usargli, salvoché nelle parole espri
parole e quegli accozzamenti fatti soltanto in grazia della musica e
che
non formano senso veruno, quanto non sono essi ma
fribili? Le parole non si vogliono replicare, se non con quell’ordine
che
detta la passione e dopo finito il senso intero d
l più delle volte non si dovrebbe neppure dir da capo la prima parte;
che
è uno de’ trovati moderni, e contrario al natural
ano al meno. [2.11] Potrà ancora ciascuno avere assai volte avvertito
che
il sentimento dell’aria sarà concitato e furioso;
più ch’ei può, e di rallentare a un tratto l’impeto della musica. Con
che
si persuade, oltre all’aver dato alle parole quel
Con che si persuade, oltre all’aver dato alle parole quel sentimento
che
si conviene, di aver anche condito la composizion
anche condito la composizione sua di varietà; ma noi diremo piuttosto
che
egli l’ha guasta con una dissonanza di espression
non si ha da esprimere il senso delle particolari parole, ma il senso
che
contiene il tutto insieme di esse, e la varietà h
ascere dalle modificazioni diverse del medesimo soggetto, non da cose
che
al soggetto si appiccino e sieno ad esso stranier
appiccino e sieno ad esso straniere o repugnanti. [2.12] Egli sembra
che
i nostri compositori adoperino come quegli scritt
Egli sembra che i nostri compositori adoperino come quegli scrittori
che
per nulla badando al legamento del discorso e all
e di belle voci. Per quanto sonore ed armoniose si fossero, non altro
che
vana ed inetta ne riuscirebbe l’orazione. E lo st
rimangono soltanto scolpite nella memoria dell’universale quelle arie
che
dipingono o esprimono, che chiamansi parlanti, ch
nella memoria dell’universale quelle arie che dipingono o esprimono,
che
chiamansi parlanti, che hanno in sé più di natura
ersale quelle arie che dipingono o esprimono, che chiamansi parlanti,
che
hanno in sé più di naturalezza; e la bella sempli
parlanti, che hanno in sé più di naturalezza; e la bella semplicità,
che
sola può imitar la natura, viene poi sempre prefe
ia era tutta fuori del vero, iperbolica, concettosa, fantastica. E da
che
si mise nel buon sentiero la poesia, lo smarrì la
ono assai volte messe in musica da compositori secentisti. Non è però
che
una qualche immagine di verità non si scorga anch
dove la qualità principalissima dell’espressione domina assai meglio,
che
in un qualunque altro componimento che sia: e ciò
pressione domina assai meglio, che in un qualunque altro componimento
che
sia: e ciò forse dal non potere quivi i maestri,
natura. Da qualunque causa ciò venga, a cagione appunto della verità
che
in sé contiene, ha la voga e trionfa un tal gener
ionfa un tal genere di musica, benchè riputata plebea. E dessa pur fu
che
estese la nostra riputazione di là dall’Alpi nel
parte de’ Francesi prese partito a favore della musica italiana. Cosi
che
quella rivoluzione che non poterono operare per l
e partito a favore della musica italiana. Cosi che quella rivoluzione
che
non poterono operare per lunghissimi anni in Pari
racchiusa la buona musica. Nelle opere serie è anche forza confessare
che
si odono qua e là dei pezzi degni dei tempi migli
da morte troppo di buon’ora; del Galuppi, del Iomelli e del Sassone,
che
non potranno mai abbastanza vivere. A così fatti
’Andromaca singolarmente del Iomelli, riuscirebbe loro meno difficile
che
agli altri lo entrare nella intenzion nostra, che
loro meno difficile che agli altri lo entrare nella intenzion nostra,
che
è di secondar sempre e di abbellir la natura. La
be del continuo nei recitativi, nelle arie, nei cori medesimamente di
che
vanno corredate le nostre opere, ne’ quali cori s
opere, ne’ quali cori saprebbono metterci di contrappunto quel tanto
che
bastasse e nulla più. Infatti ella è opinione de’
asse e nulla più. Infatti ella è opinione de’ migliori nostri maestri
che
il contrappunto, o vogliam dire l’armonia simulta
simultanea di varie parti, possa bensì produrre una certa temperanza,
che
alla musica di chiesa dà tanto decoro e solennità
temperanza, che alla musica di chiesa dà tanto decoro e solennità, ma
che
a risvegliare nell’animo nostro le passioni non s
e nell’animo nostro le passioni non sia atto per niente. E la ragione
che
ne adducono è questa. Essendo esso composto di va
na acuta, l’altra grave, questa di andamento presto, quella di tardo,
che
hanno tutte a trovarsi insieme e ferir l’orecchie
a discrezione di giudizio; lo più bel ramo, dice quello antico savio,
che
dalla radice razionale consurga. In tal modo adop
alla radice razionale consurga. In tal modo adoperando, saremo sicuri
che
la musica ne darà bene spesso sul teatro un qualc
ne spesso sul teatro un qualche saggio di quella vittoriosa sua forza
che
mostrava ne’ tempi addietro, e che presentemente
gio di quella vittoriosa sua forza che mostrava ne’ tempi addietro, e
che
presentemente nelle dotte composizioni dispiega d
02, in the note. 44. [Nota d’autore n. 5] Nell’orchestra del teatro,
che
è nella famosa villa del Cattaio, ci si vede un o
er avere dinanzi una data cosa a dipignere con le varie modificazioni
che
l’accompagnano, e non perder mai d’occhio il moti
schiarata, e Cuore sensibile. In quale angustia mi riduce l’accusa
che
son per proporre fattami dall’Apologista! M’impeg
esercitato e vigoroso. Concedo ancora, se piace al Signor Lampillas,
che
“nella mia Storia nulla io dico intorno agli affe
r Lampillas, che “nella mia Storia nulla io dico intorno agli affetti
che
debbe eccitare la Tragedia, che mi assicuri il va
ia nulla io dico intorno agli affetti che debbe eccitare la Tragedia,
che
mi assicuri il vanto sopra il P. Rapin di giudica
de’ componimenti Drammatici” (p. 123.). Riserbomi solo il ricordargli
che
io in verun luogo non ho mai ciò preteso, o dimos
in verun luogo non ho mai ciò preteso, o dimostrato tale orgoglio; e
che
il contrastare a qualcheduno un merito, non è lo
goglio; e che il contrastare a qualcheduno un merito, non è lo stesso
che
appropriarselo. Or l’accennata mia confessione, p
ella e fatta. Tolto me di mezzo, vengasi al P. Rapin, di cui io dissi
che
mancava di cuore, per ben giudicare di Poesie Sce
e mancava di cuore, per ben giudicare di Poesie Sceniche, espressione
che
irrita l’Apologista. Il Francese Rapin era senza
’ più dotti uomini del suo tempo: le Comparazioni di alcuni Scrittori
che
ci ha lasciate, non sono già colme di sofisticher
on soffre l’impaziente Signor Lampillas sì ardita proposizione, quasi
che
io, ciò dicendo, venissi a tacciare d’ignoranza s
un sereno sensato ragionamento, in cui Rapin giudiziosamente afferma
che
lo Spettatore vuole essere commosso. Ma ciò chiam
Lampillas aver cuore? Io il chiamo intendere. Altro è Mente e Ragione
che
ben discerne, altro è Cuore e Sensibilità che ben
Altro è Mente e Ragione che ben discerne, altro è Cuore e Sensibilità
che
ben sente: entrambi Requisiti indispensabili a gi
pagna dal secondo, giudicherà dell’arte, e non del patetico; e sembra
che
il secondo per senso, trattandosi di commozioni e
fetti, perviene più prontamente del raziocinio a ravvisarli. Quindi è
che
suol vedersi un popolaccio intenerirsi (e come a
popolaccio dinotano ch’egli abbia cuore, e dove egli piange, è certo
che
vi è il patetico. Non pare a voi, Signor Abate, c
i piange, è certo che vi è il patetico. Non pare a voi, Signor Abate,
che
così sia? Voi, se la vostra censura non m’inganna
olti loro volumi La Chambre e Senaut, e nel breve eccellente Opuscolo
che
intessè sugli Affetti, indirizzato alla Regina di
s. E forse trovereste ancora quel pregio nel saper ripetere tutto ciò
che
sulla ormai fino a’ barbieri nota diffinizione Ar
i? Sì, caro Signor Lampillas, i Dotti la conoscono; ed alcuni ve n’ha
che
ne sono impastati a segno, che non solo ne soglio
Dotti la conoscono; ed alcuni ve n’ha che ne sono impastati a segno,
che
non solo ne sogliono ragionare egregiamente, ma c
e meditare, senza punto ammortire la forza sensitiva della natura; di
che
ha date varie pruove (non fredde riflessioni) e c
e ha date varie pruove (non fredde riflessioni) e colla sua eloquenza
che
porta il fuoco da per tutto, e colla vaghissima P
di, i Manfredi, gli Zanotti, Filosofi, e Matematici illustri non meno
che
delicati Poeti, che hanno dato saggio di Mente il
Zanotti, Filosofi, e Matematici illustri non meno che delicati Poeti,
che
hanno dato saggio di Mente illuminata, e di Cuore
astasio? E chi negherà a questo Spirito gentile la profonda dottrina,
che
traluce ne’ suoi Poemi ugualmente, che una indubi
gentile la profonda dottrina, che traluce ne’ suoi Poemi ugualmente,
che
una indubitata superiore sensibilità? Chi non dip
non dipenderebbe da’ suoi giudizj, intorno alla Poesia Drammatica più
che
da tutti i possibili Rapin, i quali decidono coll
ensibilità, e se ne pregiano. Ma vi è anche un altro genere di Dotti,
che
ne sanno favellare, se volete, e rintracciarne le
favellare, se volete, e rintracciarne le sorgenti. Questi vi diranno,
che
sebbene l’Uomo sia nel genere degli animali, è no
di un’ Anima immortale, e di un Corpo a lei strettamente congiunto; e
che
per la prima vanta una Ragione che lo costituisce
po a lei strettamente congiunto; e che per la prima vanta una Ragione
che
lo costituisce superiore agli esseri, che ne son
la prima vanta una Ragione che lo costituisce superiore agli esseri,
che
ne son privi1, e pel secondo, benchè soggetto a t
, si trova dotato di una elasticità e attività di fibbre, e di nervi,
che
lo rende atto a signoreggiare sul rimanente del m
e sul rimanente del mondo animale, minerale, e vegetabile. Vi diranno
che
questa elasticità di congegnazione, accoppiata a
forma l’Uomo per natura sommamente sensitivo agli urti degli oggetti
che
lo circondano. Aggiugneranno, che quantunque in t
e sensitivo agli urti degli oggetti che lo circondano. Aggiugneranno,
che
quantunque in tali forze attive debba riconoscers
la disuguaglianza delle organizzazioni, sia per la forza della Mente,
che
suole felicemente assoggettare il suo compagno, e
comuni a tutta la specie umana. Ma vi confesseranno nel tempo stesso,
che
, scendendo agl’individui di essa specie, si trova
sua fantasia, e si ravviserà già diventato indifferente agli oggetti,
che
quelli e questa riguardano; là dove la gioventù t
gioventù tutta senso e fantasia vivacissima, si attacca agli oggetti,
che
la solleticano con una sensibilità eminente. Il p
intepidire i sensi e la prima vivacità della fantasia; ma i Selvaggi
che
sentono più che non pensano, sono estremamente se
nsi e la prima vivacità della fantasia; ma i Selvaggi che sentono più
che
non pensano, sono estremamente sensibili. Del par
on pensano, sono estremamente sensibili. Del pari i Dotti, i Filosofi
che
si deliziano nel coltivare le forze mentali, poco
mbizione, e a’ piaceri tengono così compressa l’elasticità de’ sensi,
che
questi ne tornano ottusi, e la sensibilità del lo
reciproca della scarsezza di elasticità de’ loro sensi. Quindi nasce
che
il Dotto, il Filosofo, riflette meglio, e la giov
s (i fabbri) di Madrid, piangono in teatro al pianto d’Ines, il Dotto
che
vede l’artificio del Poeta, dove coloro veggono i
alcuna fiata alle nuove rappresentazioni di Euripide per l’amicizia,
che
seco avea. Dicesi che Newton mai non si era curat
ve rappresentazioni di Euripide per l’amicizia, che seco avea. Dicesi
che
Newton mai non si era curato di udire una Musica.
esi che Newton mai non si era curato di udire una Musica. Un Geometra
che
sentiva lodar la Fedra, diceva, questa Fedra non
ta alle scienze predilette, può dirsi, senza derogare al loro sapere,
che
mancavano di cuore. La Natura è anteriore alla ri
le forze della fantasia e del cuore per sentire le voci della natura,
che
è il solo specchio di tutta la Poesia. Così equil
nía, e al cuore quello di sentire senza trascurare di cedere al freno
che
lo richiami, ne risulterà un individuo capace di
nto possiamo distinguere gli uomini in tre classi: la prima di quelli
che
riflettono senza curarsi di sentire, come il Dott
urarsi di sentire, come il Dotto imperturbabile; la seconda di coloro
che
sentono unicamente senza neppure accorgersene, co
orgersene, come i selvaggi, i fanciulli, i volgari; la terza di quei,
che
senza immollare le ali alla sensibilità, fanno se
nsibili, e perciò più socievoli, più compassivi, più uomini in somma,
che
pretese divinità. Ma lasciate le tesi, venghiamo
i scritti del Tasso, del Riccoboni, del Castelvetro, e di Paolo Beni,
che
egli chiamava, Dottore in tutto, fuorchè nella co
Paolo Beni, che egli chiamava, Dottore in tutto, fuorchè nella corda
che
a lui dissonava, cioè quando parla della sua Nazi
e tratto tratto vi contradicesse e Aristotile, di cui pure affermava,
che
on s’égare dès qu’on ne le suit pas, e se medesim
Riflessioni fatte sulla Poetica in generale, egli intanto conchiude,
che
solo “Omero l’incoraggisce, e Virgilio lo riscald
sono essi per lui languidi e freddi”. Confessi il Signor D. Saverio,
che
da queste parole traspare non solo scarsezza di s
do è per lui Esiodo è Teocrito? de’ quali il primo fu di età non meno
che
di frase ed espressione, e di naturalezza e sempl
, ed il secondo abbonda di tanta soavità, grazia, e delicatezza: così
che
da essi prese l’Epico Latino non poco di quel fuo
atezza: così che da essi prese l’Epico Latino non poco di quel fuoco,
che
infiamma il P. Rapin. Languidi e freddi reputa an
eo, Stesicoro, Saffo, e Anacreonte? Lascio Orazio, lascio Ovidio, non
che
il Tasso e l’Ariesto, e il Camoens, e Dante, e il
il Petrarca, benchè in essi di bell’ardore si accendano tutti quelli,
che
ambiscono diventar Poeti, e che trovano le loro P
ell’ardore si accendano tutti quelli, che ambiscono diventar Poeti, e
che
trovano le loro Poesie fatte appunto per mettere
no Orazio Flacco, o al Francese Renato Rapin? Questi non trova calore
che
in Virgilio e in Omero, l’altro, concessi ad Omer
irgilio e in Omero, l’altro, concessi ad Omero i primi onori, osserva
che
l’elevatezza impareggiabile di Pindaro, la robust
nell’obblio. Osserva ancora l’istesso gran Critico e sommo Poeta (oh
che
grande osservatore, Signor Lampillas!), che “Anc
Critico e sommo Poeta (oh che grande osservatore, Signor Lampillas!),
che
“Ancor respira amore, “Ancor l’intenso ardore “F
quieu? Per concedergliela bisognerebbe non avere studiati altri libri
che
le di lui Riflessioni: ma ben altri ve ne sono, n
siglierebde a non parlar quì de’ nostri Poeti. Ma Plutarco mi avverte
che
havvi certa Verecondia viziosa, che bisogna super
tri Poeti. Ma Plutarco mi avverte che havvi certa Verecondia viziosa,
che
bisogna superare, e perciò non mi asterrò dal fav
udine, per insegnarci a star sempre vigilanti; e le Grazie stesse par
che
gli abbiano porta la mano, e scelto il pennello p
onta il fermarvi gli alteri sguardi, e solo si affretta a decretare,
che
quelle mollezze disdicono all’Epopea. E in qual n
dicono all’Epopea. E in qual nuovo Aristotile ha ciò appreso? E crede
che
l’Epopea non debba narrare se non orrori, ammazza
mento esclude dal Poema Epico le compassionevoli avventure di Erminia
che
si rifugge a un tugurio pastorale. Egli volle per
, e la falsità della dottrina, per cui non permette alla Epopea altro
che
un solo genere di narrazione, contrariando agli e
carattere piacevole al serioso a cagione delle disgrazie di Erminia,
che
tanti patetici movimenti risvegliano in altri cuo
menti risvegliano in altri cuori. La compassione forse, e il disastro
che
la sveglia, è una piacevolezza? E dove trovasi lo
onversa lungamente con Eumeo guardiano di porci? Aristotile non disse
che
nell’Epopea entrano i personaggi migliori, peggio
igliori, peggiori, e simili? Perchè dunque è quì abbandonato da Rapin
che
si protesta volerlo seguire costantemente? Oltre
per rallegrare Erminia? Nulla di questo. E pure il maestoso Virgilio
che
riscalda sì bene il Rapin, mischia in fatti in ce
r motteggiare sinistramente il Tasso. Or quì, in vece di sensibilità (
che
gli mancò, o compresse per astio contro dell’Epic
affront, “Si les Graces jamais leur deroidoient le front.” Non pare
che
questo Critico, che vale assai più del vostro Rap
aces jamais leur deroidoient le front.” Non pare che questo Critico,
che
vale assai più del vostro Rapin, abbia a dirittur
contrapporsi alla censura ingiusta fatta contro del Tasso? Un giudice
che
avesse sensibilità e gusto pari alla dottrina, ne
ciderebbe così: “Riguardo all’Iliade domandi a se stesso ogni lettore
che
penserebbe nel leggere la prima volta l’Iliade e
re i nomi de’ loro Autori nè i tempi, e senza pigliare altro giudice,
che
il proprio piacere. Potrebbe egli negare in tutto
apposta al sublime” (per non toccar sempre la stessa corda? Aspettate
che
passino altri secoli, e forse non se ne farà più
e forse non se ne farà più comparazione). Vi pare, Signor Lampillas,
che
questo giudice, che si accorda col sentimento del
arà più comparazione). Vi pare, Signor Lampillas, che questo giudice,
che
si accorda col sentimento del Boileau, e diametra
tto, sensibile, atto a decidere sulla Poesia Epica; è M. de Voltaire,
che
in tal maniera decreta nel Capitolo C. del Saggio
ibilità nè maestria io trovo in chi pensa come Rapin (Rifles. XXIV.),
che
in Teatro nulla vaglia tanto a dilettare, quanto
e dell’Uditorio: per la qual cosa l’adoperano immoderatamente coloro,
che
si compiacciono di Favole romanzesche. Ma essa ap
he si compiacciono di Favole romanzesche. Ma essa apporta un piacere,
che
in ciascuna rappresentazione va scemando, perchè
si contribuisce, ma sovente nuoce, e chi la insinua mostra tutt’altro
che
sensibilità. Essa è in somma un puro colpo di Tea
o che sensibilità. Essa è in somma un puro colpo di Teatro. Il Poeta,
che
disegna intenerirci alla morte di un Eroe, lungi
ello può osservare nelle Poesie di Ossian come la morte di Aganateca,
che
avviene senza, che il Lettore l’attenda, anzi che
nelle Poesie di Ossian come la morte di Aganateca, che avviene senza,
che
il Lettore l’attenda, anzi che intenerirci, c’ist
morte di Aganateca, che avviene senza, che il Lettore l’attenda, anzi
che
intenerirci, c’istupidisce, e passiamo, senza com
rci, c’istupidisce, e passiamo, senza compiangerla, ad altri oggetti,
che
il Poeta ci presenta. Questa dottrina compresero
migliore, nè più sensibili giudice si manifesta il P. Rapin nel dire,
che
niuna cosa fa la bellezza delle Tragedie, se non
nda per bellezza principale ciocchè è solo una conseguenza di quello,
che
effettivamente la produce. E come spera egli bei
la cosa, il fatto: Verbaque provisam rem non invita sequentur. E
che
mancava a Corneille, a Racine, a Voltaire per far
anto essi in tali favole sembrano meno eloquenti e meno appassionati,
che
non sono nel Poliuto, nella Fedra, nell’Alzira. O
o nella rappresentazione l’interesse, e prima nel Poeta l’entusiasmo,
che
gli dà anima, vivacità, calore, e per conseguenza
ro Rapin, bensì il desiderio di scagionarmi presso di Voi. Dico solo,
che
troppo vi è da spigolare nelle di lui bellissime
, che troppo vi è da spigolare nelle di lui bellissime Riflessioni, e
che
un cuore, che si è mostrato sì poco sensibile all
i è da spigolare nelle di lui bellissime Riflessioni, e che un cuore,
che
si è mostrato sì poco sensibile alle grazie, alle
usto, e non riscaldare il vostro zelo in sua difesa, perchè io dissi,
che
in quanto accennò delle Tragedie del Trissino, e
a ciò come non avrebbe scorto il patetico di Euripide in quelle cose,
che
io scelsi di esse Tragedie? Non vi si vede a mara
elsi di esse Tragedie? Non vi si vede a maraviglia dipinta la natura,
che
soffre? espressa con sentimenti non languidi, non
el Signor Apologista, e alla di lui imparzialità e buona fede, sempre
che
voglia leggere quei Drammi, fatto però anticipata
per portare a tal lettura vista chiara e mente serena. Vedrà allora,
che
quegli aurei spezzoni sfuggirono al Rapin per man
Rapin per mancanza di cuore. Vedrà poscia con altr’occhio la difesa,
che
ne imprende con più calore, che avvedutezza, e co
drà poscia con altr’occhio la difesa, che ne imprende con più calore,
che
avvedutezza, e con certo tono un poco troppo acut
n più calore, che avvedutezza, e con certo tono un poco troppo acuto,
che
può obbligare altri a rispondere in consonanza. E
ondere in consonanza. E forse, senza derogare interamente alla stima,
che
per altro merita per ogni riguardo il P. Rapin, i
ogni riguardo il P. Rapin, il cancellerà pure dal lato del P. Brumoy,
che
si distingue per erudizione, per gusto, e per sin
e per sincerità. E forse il Signor Lampillas non rimarrà pago di ciò,
che
scrisse nella p. 193.: “Ma dove trovare ne’ moder
tro quelle qualità necessarie a giudicar dritto delle opere d’ingegno
che
noi ammiriamo in un Brumoy e in un Rapin?” Dove?
i ammiriamo in un Brumoy e in un Rapin?” Dove? Vel dirò io. In coloro
che
mostrano, e possono mostrare a tutte le ore sempr
e mostrano, e possono mostrare a tutte le ore sempre con nuove prove,
che
sanno distinguere il merito di Rapin da quello di
arnesi. 1. Noi non riconosciamo ne’ Bruti nè una Ragione compiuta,
che
loro assegna Plutarco, nè un’ Anima simile alla U
essi ravvisavano gli antichi Egizj, e i Greci Pitagorici e Platonici,
che
ammettevano la trasmigrazione delle anime. 1. O
Sofonisba è quella del Carretto, la quale dagli Scrittori Spagnuoli,
che
ignorano le Tragedie Italiane del XIV., e XV. sec
ia del Carretto, come riguardo al Vasco, ci vuole almeno rimproverare
che
tale Tragedia non doveva chiamarsi, come noi face
discutere l’opinione dell’Ingegnieri, perchè non si oppone alla mia;
che
sebbene egli dica che era stravagante, non però n
dell’Ingegnieri, perchè non si oppone alla mia; che sebbene egli dica
che
era stravagante, non però nega che fosse Tragedia
ne alla mia; che sebbene egli dica che era stravagante, non però nega
che
fosse Tragedia. Lascio anche il Quadrio, che talv
ravagante, non però nega che fosse Tragedia. Lascio anche il Quadrio,
che
talvolta esagera, ma che nè anche nega nè afferma
che fosse Tragedia. Lascio anche il Quadrio, che talvolta esagera, ma
che
nè anche nega nè afferma, che fosse Tragedia. Ven
he il Quadrio, che talvolta esagera, ma che nè anche nega nè afferma,
che
fosse Tragedia. Vengo all’eruditissimo Signor Mar
tto dal numero de’ Poeti Tragici. Mi permetterà il Signor D. Saverio,
che
io anteponga la ragione all’autorità. Un Dramma f
egimento dalle follie o da’ vizj di tal Soldato, mal si apporrebbe. E
che
hanno a fare gli errori del Poeta, il meccanismo
. E dice forse altra cosa il ch. Tiraboschi? Egli1 asserisce soltanto
che
la moltiplicità degli Atti, il metro dell’Ottava
a questa Sofonisba di salire in gran pregio. E questo significa forse
che
non è Tragedia? Anche quì mostra l’Apologista il
ostra l’Apologista il suo rincrescimento perchè ripetei di passaggio,
che
prima assai di questa Tragedia gl’Italiani ne ave
i si va lusingando di poter ajutarsi col Varchi e con Giraldi Cintio,
che
dissero essere il Trissino stato il primo a scriv
rsi i passi di questi Letterati meno alla sfuggita, avrebbe osservato
che
essi dicono che il Vicentino fu il primo a scrive
uesti Letterati meno alla sfuggita, avrebbe osservato che essi dicono
che
il Vicentino fu il primo a scrivere una degna Tra
, cioè in idioma Italiano. Nè poteva dire altrimenti chi non ignorava
che
nell’altro secolo se n’erano composte in Latino.
i non ignorava che nell’altro secolo se n’erano composte in Latino. E
che
? Forse per essere Latine perdettero il dritto di
ico, e il pregio dell’invenzione. Quanto al tempo, dice l’Apologista,
che
secondo Gregorio Giraldi, essa fu terminata di sc
S. Angelo a Nido in Napoli, e nella Reale di Madrid, trovo soltanto,
che
mentre Ariosto era per dare alla luce il Furioso,
nè avea ancora prodotto le sue belle Satire, ma solo alcuna Commedia
che
fu intorno al 1498., il Trissino (dice il Giraldi
ujus quosdam actus nonnumquam ille recitat.1 Con ciò si afferma forse
che
egli terminò di scriverla verso il 1515., come Vo
he coadjutore vi somministrò tal notizia, ditegli per un’ altra volta
che
vene trasmetta delle più accurate. Di grazia Sign
e del celebre Filosofo, e Letterato l’Ab. Antonio Conti Nobil Veneto,
che
in Vicenza, e in Roma furono cantati i Cori della
che in Vicenza, e in Roma furono cantati i Cori della Sofonisba, ciò
che
ci addita le due rappresentazioni. Non disconveng
za nel 1514. [vale a dire, secondo il Signor Lampillas, un anno prima
che
fosse terminata di scriversi]. Inoltre è chiaro c
as, un anno prima che fosse terminata di scriversi]. Inoltre è chiaro
che
, ad insinuazione del Trissino suo sviscerato amic
e del Trissino suo sviscerato amico, il Rucellai compose la Rosmunda,
che
ognun sa che fu posteriore alla Sofonisba; or la
o suo sviscerato amico, il Rucellai compose la Rosmunda, che ognun sa
che
fu posteriore alla Sofonisba; or la Tragedia del
l Rucellai si recitò in Firenze nel 1516.; quella dunque del Trissino
che
la precedè, fu recitata prima del 1516., come io
no che la precedè, fu recitata prima del 1516., come io dissi. Vero è
che
il Zeno nelle Note al Fontanini dice che la Rosmu
1516., come io dissi. Vero è che il Zeno nelle Note al Fontanini dice
che
la Rosmunda si rappresentò nel 1517.; il Voltaire
anini dice che la Rosmunda si rappresentò nel 1517.; il Voltaire però
che
porta la rappresentazione della Sofonisba in Vice
ella presente questione col Signor D. Saverio. Importa solo il sapere
che
due anni prima del 1516., come vuole il Voltaire,
la Sofonisba si rappresentò nella Patria dell’Autore. Vediamo ora ciò
che
dice l’Apologista sul merito di questa Tragedia.
fida sul di lui giudizio, avrà certamente scoperti in lui requisiti,
che
il rendano giudice competente delle altrui Traged
ose Drammatiche non sembranmi i più sicuri; ed eccone qualche ragione
che
ne assegno. Il Varchi preferì le Favole del Ruzza
rla? Io trovo sulle Atellane così contrarie opinioni negli Scrittori,
che
non saprei determinarmi a diffinirle, se non col
ro due epoche, o sia riconoscendo in esse un’ alterazione successiva,
che
di sobrie, gravi, e degne di essere privilegiate,
ste? In oltre il Varchi parla dell’Antigona di Luigi Alamanni, e dice
che
anzi che Tragedia debba dirsi traduzione dell’Ant
ltre il Varchi parla dell’Antigona di Luigi Alamanni, e dice che anzi
che
Tragedia debba dirsi traduzione dell’Antigona di
nzi che Tragedia debba dirsi traduzione dell’Antigona di Euripide. So
che
Euripide per certi versi de’ suoi frammenti ci fa
pide. So che Euripide per certi versi de’ suoi frammenti ci fa chiari
che
avesse anch’egli, come Sofocle scritta un’ Antigo
a Greca per noi perduta forse da due mila anni. A queste osservazioni
che
ci dimostrano, che il Varchi, benchè avesse scrit
duta forse da due mila anni. A queste osservazioni che ci dimostrano,
che
il Varchi, benchè avesse scritta qualche Commedia
l Varchi tutti i Fiorentini, e all’avere sempre il Trissino sostenuto
che
il Dialetto Fiorentino non dovea considerarsi com
to il gusto dell’Antichità. Altro non si può rinfacciare al Trissino,
che
qualche declamazione, qualche difetto nel viluppo
che declamazione, qualche difetto nel viluppo, e qualche languidezza,
che
però erano anche i difetti de’ Greci. Ei gl’imitò
il citi a suo favore, e in confermamento del giudizio del Varchi, di
che
più di uno si maraviglierà. Lo Storico adunque de
tico accennato da me nella scena del veleno e di Sofonisba moribonda,
che
forma un quadro degno di Euripide. E se il Signor
rte di quel Dramma, presumendolo dotato di cuore sensibile, son certo
che
in questo ci accorderemmo; nè mi condannerebbe pe
e in questo ci accorderemmo; nè mi condannerebbe per aver io dubitato
che
qualche Oltramontano avvezzo alla gonfiezza sdegn
eguiterebbe a cercar di deprimere la Sofonisba col criticare la scena
che
siegue alla morte di questa Regina, allorchè vien
ale scena all’ Apologista sembra freddissima. Quando anche ciò fosse,
che
perderebbe la scena da me lodata? Se in un quadro
be pensato? Quando la maggior parte de’ Critici intelligenti ingiunge
che
si evitino gli argomenti finti (ad onta di varie
e Tragedie di fatti ideati, come il Torrismondo, l’Alzira &c.), e
che
si cavino dalla Storia, dalla Mitologia antica, e
dalla Mitologia antica, e da’ Poemi Epici moderni ancora, di maniera
che
quasi più difficoltoso pare che sia il rinvenire
oemi Epici moderni ancora, di maniera che quasi più difficoltoso pare
che
sia il rinvenire un fatto Eroico proprio della Tr
oso pare che sia il rinvenire un fatto Eroico proprio della Tragedia,
che
il tesserne la favola e il ben verseggiarla: il S
ampillas ardisce in faccia all’odierna Europa riprovar questo appunto
che
s’inculca, e attribuire a difetto d’invenzione ne
li Ateniesi contro di Euristeo, è una storia delle antichità Attiche,
che
si legge nel I. Libro di Pausania: addio antica A
oeti antichissimi, onde i Tragici trassero gli argomenti delle favole
che
ne idearono, di che vedasi il citato Pausania: ad
nde i Tragici trassero gli argomenti delle favole che ne idearono, di
che
vedasi il citato Pausania: addio insomma diremo a
ma narrati i loro argomenti dagl’Istorici e da’ Mitologi. Strana cosa
che
un Apologista sì acuto non vedesse ove il menava
osa che un Apologista sì acuto non vedesse ove il menava un argomento
che
prova sì esorbitantemente? Ma venghiamo alle due
n Perez de Oliva, le quali l’Apologista vorrebbe strascinare al tempo
che
si compose la Tragedia del Trissino. Secondo le d
e anni col suo Maestro Siliceo. Da queste epoche ricava l’Apologista,
che
il Perez soggiornasse in Italia dal 1514. sino a’
a, dovettero esse comporsi nel 1515., o 1516.” Bel bello, Signor mio,
che
Voi fate certi salti più prodigiosi di quello di
Tragedie in Italia: E quando Voi, o i vostri nazionali, avete provato
che
in Italia le componesse? Costa ciò, o non costa?
Costa ciò, o non costa? Se costa, perchè non ne adducete i documenti
che
possono a dirittura dirimere la quistione? Se non
umenti che possono a dirittura dirimere la quistione? Se non costa, a
che
darlo per certo? a che affastellar cose di niun m
rittura dirimere la quistione? Se non costa, a che darlo per certo? a
che
affastellar cose di niun momento? S’io non m’inga
ali sognò mai di asserire simil cosa, cominciando da Ambrogio Morales
che
pubblicò le Scritture di quel suo zio. Don Nicola
cò le Scritture di quel suo zio. Don Nicolas Antonio afferma soltanto
che
tali scritture autografe si trovarono morto il Pe
rez, e il Morales le raccolse, e fece imprimere nel 1585. Il Montiano
che
fu assai diligente altro non dice nel I. Discorso
Montiano che fu assai diligente altro non dice nel I. Discorso se non
che
“sono così antiche le Tragedie in Ispagna, che pr
nel I. Discorso se non che “sono così antiche le Tragedie in Ispagna,
che
prima dell’anno 1533.” se ne aveano due ben disti
tivamente dal Signor Lampillas; nè poi a verun patto dice il Montiano
che
si componessero in Italia. Il Signor D. Giuseppe
Italia. Il Signor D. Giuseppe Lopez de Sedano dice, come il Montiano,
che
le scrivesse prima del 1533., ma non già che ciò
dice, come il Montiano, che le scrivesse prima del 1533., ma non già
che
ciò avvenisse in Italia: “Costando (egli dice) ch
1533., ma non già che ciò avvenisse in Italia: “Costando (egli dice)
che
le compose prima del 1533., e trovandosi fuori di
uori di Spagna, e per esercitarsi nel nativo idioma, non v’ha ragione
che
ripugni a credere che ciò potè essere [pudo ser]
esercitarsi nel nativo idioma, non v’ha ragione che ripugni a credere
che
ciò potè essere [pudo ser] verso il 1520.” Nè anc
iò potè essere [pudo ser] verso il 1520.” Nè anche però vi è ragione,
che
ripugni a credere che le componesse in Ispagna; e
er] verso il 1520.” Nè anche però vi è ragione, che ripugni a credere
che
le componesse in Ispagna; e così rimangono in ugu
tture. Solo il Signor Lampillas più franco e coraggioso dà per sicuro
che
le componesse in Italia, appena lasciate le scuol
è forse permesso agli Apologisti il recare per pruova quello appunto
che
si contrasta? E perchè non additare a’ leggitori
il tempo in cui nacque! Essi si combattono: il Signor Sedano presume
che
il Perez potesse nascere verso il 1497. il Signor
di più, risale sino al 1494., o 1495. Non vi è altro di certo se non
che
s’ignora, del pari della nascita, il tempo e il l
cita, il tempo e il luogo, in cui il Perez compose le sue Tragedie, e
che
restarono sconosciute a tutto il Mondo; nè s’impr
i si rappresentarono, e giacquero sepolte per più di mezzo secolo. Or
che
tanto arzigogolare per approssimarle a quella del
dar di cozzo?” Furono le Tragedie del Perez la Venganza de Agamenon,
che
è l’Elettra di Sofocle, e l’Hecuba triste, che è
Venganza de Agamenon, che è l’Elettra di Sofocle, e l’Hecuba triste,
che
è l’Ecuba di Euripide. Osarono il Sedano e il Sig
sarono il Sedano e il Signorelli chiamarle Traduzioni, e il Lampillas
che
pur le avea egli stesso così chiamate in un altro
r le avea egli stesso così chiamate in un altro Volume del Saggio1, e
che
pure nega al Trissino l’invenzione per aver preso
conservati ancora quelli degli originali, coll’importante variazione,
che
nella prima ha dato ad Oreste Pilade per compagno
te variazione, che nella prima ha dato ad Oreste Pilade per compagno,
che
rimane un personaggio insulso, inutile, e per cui
trarla lontana dall’Originale. Pruova apologetica sottilissima! quasi
che
potesse darsi un protagonista Tragico allegro e f
o (dice il Signor Lampillas) “in parte alla moltiplicità delle azioni
che
si trovano nell’originale Greco, unendole tutte s
nsiste in inventare o incontrare un vocabolo felice. Spiacemi intanto
che
di sì felice osservazione non vi si debba la glor
i sì felice osservazione non vi si debba la gloria intera, e converrà
che
vi contentiate di dividerla col Signor Sedano, ch
intera, e converrà che vi contentiate di dividerla col Signor Sedano,
che
ve l’ha suggerita. Ma a Voi tanta parte ne rimane
Signor Sedano, che ve l’ha suggerita. Ma a Voi tanta parte ne rimane,
che
potete riceverne le congratulazioni. Perdonate pe
Perdonate però se interrompo un’ estasi così bella con rappresentarvi
che
le azioni dell’Ecuba Greca non sono già molte, co
è la morte di Polissena, e la vendetta presa da Ecuba di Polimestore;
che
la morte di Polidoro è seguita prima dell’azione
sta nella parola triste, sono ancor due nella traduzione del Perez. E
che
ci volete fare, Signor Lampillas? Lasciate correr
rrere: già sapete in qual mondo oggi siamo: vi sono alcuni saputelli,
che
vogliono saper più de’ Saccentoni, nè si accomoda
ragica gravità degli originali. Si vorrebbe talvolta in qualche pasio
che
il Perez si fosse più attaccato all’originale (pe
si fosse più attaccato all’originale (perchè sempre è meglio tradurre
che
peggiorare). Infatti nella Scena di Elettra col C
ndo abbattuto da gravi calamità fa di siffatte richieste? va cercando
che
altri gli dica che gran piova serbi nel proprio c
avi calamità fa di siffatte richieste? va cercando che altri gli dica
che
gran piova serbi nel proprio corpo per versar tan
lsità più propria del secolo XVII., dando corpo a’ gemiti e asserendo
che
non possono capire nell’atmosfera. “Habed yo os r
mentan”. Vi par questo linguaggio scenico? I ventilatoj delle fornaci
che
ha nel corpo, non vuole che se le turino co i con
aggio scenico? I ventilatoj delle fornaci che ha nel corpo, non vuole
che
se le turino co i consigli? I consigli convertiti
a in questo medesimo luogo! Due soli versetti producono quell’effetto
che
si distrugge cogli accennati consigli, ventilatoj
effetto che si distrugge cogli accennati consigli, ventilatoj, gemiti
che
riempiono tutta l’estensione dell’atmosfera. ἐατ
mpio della seconda Traduzione. Il nobilissimo carattere di Polissena,
che
sin dalle prime parole traluce in Euripide, non a
e nel di lei dialogo con Ecuba alla presenza di Ulisse, nella maniera
che
stà espresso nella copia: “Pol. Què es esto, Mad
to degli astanti, dal dolore inteso, e dalle espressioni della Madre,
che
non si trattava di nozze? Assai diversamente le f
le fa annunziare l’amara notizia il tragicissimo Euripide nella scena
che
incomincia, ιὠ μᾶτερ μᾶτερ τι βοᾶς. Ecco come io
miti? Quì fuori Come atterrito augel, Madre volai Di terror piena. Or
che
a gridar ti spinse? “Ec. Ahi figlia! “Pol. Ahi f
riginale, ha nociuto o alla naturalezza, o al patetico, o alla maestà
che
in quello si ammira. E quante bellezze non ha egl
in prosa, sarebbe un delirio. Non abbiamo se non l’eloquente Ceruti,
che
volle provarsi ad animare una Tragedia con una pr
o da un Voltaire; nè è di questo luogo addurne le ragioni. Dico però
che
l’Apologista, nel volere assegnare alcuna di quel
ore della prosa nelle Tragedie, cavalca a disdosso, dicendo [p. 83.],
che
si veggono applaudite tante Commedie scritte in p
e si veggono applaudite tante Commedie scritte in prosa. Egli crederà
che
in tutte la cose si combacino questi due generi,
. Egli crederà che in tutte la cose si combacino questi due generi, o
che
essi siano un solo genere eterogeneo, come furono
quale traggonsi moltissime osservazioni di buongusto. Vi si dice però
che
la prima epoca gloriosa della poesia regolare dra
e la prima epoca gloriosa della poesia regolare drammatica è al 1520,
che
secondo me dovrebbe risalire qualche altro lustro
che il Signor di Voltaire volle negarci questi pochi anni, e confessò
che
la ville de Vicence en 1514 fit des dépenses imme
iamo di quelle dell’Ariosto, del Bibbiena e del Machiavelli, si vedrà
che
furono scritte assai prima del 1520, cioè intorno
ai prima del 1520, cioè intorno al 1498 o poco più; e per conseguenza
che
l’epoca gloriosa della poesia regolare drammatica
eta prodigioso nato nel 1474 a corre le prime palme in tutti i generi
che
maneggiò (che che abbia voluto gratuitamente asse
nato nel 1474 a corre le prime palme in tutti i generi che maneggiò (
che
che abbia voluto gratuitamente asserire in iscapi
o nel 1474 a corre le prime palme in tutti i generi che maneggiò (che
che
abbia voluto gratuitamente asserire in iscapito d
vogliono o non sanno vederle da se stessi. I Suppositi. Nell’edizione
che
se ne fece in Venezia nel 1525, si vede questa fa
dell’autore gli fe dissimulare il merito principale della sua favola,
che
consiste nell’ averla avviluppata e sciolta con m
bilmente interessante colla venuta di Filogono padre di Erostrato; di
che
non fu debitore agli antichi. In fatti la gloria
vrebbe senza veruna riserba avanzato nella lettera scritta al Maffei,
che
i nostri Comici son di gran lunga inferiori a’ La
he i nostri Comici son di gran lunga inferiori a’ Latini. E’ vero poi
che
l’Ariosto si valse di alcuni caratteri antichi, m
cati, cattedratici, teologi. Per la qual cosa possiamo fare osservare
che
il gesuita Rapin diede al Moliere una lode immagi
gesuita Rapin diede al Moliere una lode immaginaria, allorchè affermò
che
fu questo celebre Francese il primo a far ridere
nobili, uscendo da’ servi, parassiti, raggiratori e trasoni. Io trovo
che
i Cinesi, gl’ Indiani, i Greci, i Latini, gl’ Ita
piacevole non lascia di adornarsi di quelle sobrie bellezze poetiche
che
a tal genere non isconvengono: satireggia con sal
vivacità senza addentar gl’ individui. E su di ciò si vuol riflettere
che
la commedia Italiana di tal tempo non pervenne al
almeno non furono schiavi come la maggior parte de’ Latini. Quindi è
che
nelle commedie dell’Ariosto e de’ contemporanei s
n saggio de’ Suppositi. Lizio servo nell’atto IV attribuisce a coloro
che
presiedono al governo, gli sconcerti privati. Un
i tu Che intendano ogni cosa? E Lizio risponde: . . . . . Anzi
che
intendano Poco e mal volentier credo, e non vog
vrebbono, Che le taverne gli uscj le domeniche. E quì si avverta
che
si parla appunto dei rettori di Ferrara, dove si
cipe e forse di que’ medesimi rettori. Non meno penetrante è il colpo
che
questo satirico di Lizio dà a’ giudici, che oggi
eno penetrante è il colpo che questo satirico di Lizio dà a’ giudici,
che
oggi forse non si permetterebbe sulle scene; ed i
sta favola, e delle altre, non dell’Ariosto solamente, ma degli altri
che
scrissero dopo; perchè pregio degl’ Italiani fu i
rtata all’azione dalle notizie rilevate opportunamente, e l’interesse
che
va gradatamente crescendo col disordine che mena
rtunamente, e l’interesse che va gradatamente crescendo col disordine
che
mena allo scioglimento; ma tali cose meglio si se
scioglimento; ma tali cose meglio si sentono nella lettura continuata
che
nel racconto. La Cassaria. Benchè in questa favol
in terza rima, ove dimostra sommo rispetto per gli antichi; ed allora
che
la ridusse in versi sdruccioli, nel prologo abbel
del rimanente. In alcune circostanze le immagini ritratte al vivo par
che
si scostino dalle caricature de’ nostri giorni; m
par che si scostino dalle caricature de’ nostri giorni; ma chi non sa
che
di tutta la poesia, la comica è la più soggetta a
quella freschezza di colorito e quella rassomiglianza agli originali
che
poteva attendersi dal suo pennello, ma che noi ve
somiglianza agli originali che poteva attendersi dal suo pennello, ma
che
noi venuti sì tardi più non sappiamo rinvenirci.
comuntur, annus est; e poi la dipintura degli effeminati giovinastri
che
si bellettano come le femmine, la quale per altro
nghilterra. Il nostro insigne poeta così ne parla: . . . . Che fuor
che
titoli E vanti e fumi, ostentazioni e favole,
pendono, Polirsi, profumarsi come femmine, E pascer mule e paggi,
che
lor trottino Tutto dì dietro, mentre essi avvol
ssi avvolgendosi Di quà e di là, le vie e le piazze scorrono, Più
che
ognuna civetta dimenandosi, E facendo più gesti
n questa favola un innamorato. Eulalia lo rimprovera perchè le sembra
che
non si curi di liberarla; egli punto da ciò manif
tifichi Ch’io non amo altra persona, nè voglione Mio padre, . . .
che
mio padre? me medesimo Non ne vo’ trarre ancor,
o’ trarre ancor, quanto la minima Parte di lei? Notisi il calore
che
spirano le di lui parole, quando sa che gli è sta
e di lei? Notisi il calore che spirano le di lui parole, quando sa
che
gli è stata menata via Eulalia: Volp. Ove ir vu
quando sa che gli è stata menata via Eulalia: Volp. Ove ir vuoi tu?
che
pensi tu far? Erof. Vogliola O riavere, o mor
sa la via? Trap. Di quà mi parvero Andar. Volp. Non ir, padron,
che
non ti facciano Qualche male. Erof. E che peg
Volp. Non ir, padron, che non ti facciano Qualche male. Erof. E
che
peggio mi potriano Far, se già m’han levato il
e se ne compiace. La Lena. Piacevole è l’intrigo di questa commedia,
che
su di un semplice fondamento aggirandosi produce
chio insospettito mena seco il Cremonino per esaminarlo in casa senza
che
Corbolo possa interromperlo. Flavio intanto che è
minarlo in casa senza che Corbolo possa interromperlo. Flavio intanto
che
è in casa della Lena, è deluso, ed obbligato a na
nturatamente il padrone di tale botte viene a riprenderla, per dubbio
che
per gli debiti del marito della Lena, non abbia a
olpi teatrali senza discendere sino alla farsa. È da notarvisi ancora
che
vi si tratta di un intrigo amoroso e di un giovin
die? ma di ciò nella favola seguente. Il Negromante. Questa commedia (
che
ci suggerirà alcune curiose osservazioni critiche
a vivace dipintura de’ caratteri e per la grazia de’ motteggi, merita
che
si legga con attenzione che sarà ben compensata d
teri e per la grazia de’ motteggi, merita che si legga con attenzione
che
sarà ben compensata dal diletto. Massimo vecchio
dopo varie pratiche e molti rimedj tentati invano ricorre ad un furbo
che
passa per astrologo e negromante. Costui cercando
Camillo Pocosale innamorato di picciola levatura, senza volerlo fa sì
che
si manifesti l’amore di Cintio e Lavinia, rimanen
r impostore. Delle molte bellezze di questa favola additiamone alcuna
che
ne sembri più piacevole e più degna di esser nota
che ne sembri più piacevole e più degna di esser notata. Cintio teme
che
il Negromante colla sua scienza possa scoprire il
Tem. Fateci, Se Dio v’ajuti, udir questi miracoli. Cint. Mi dice
che
a sua posta fa risplendere La notte, e il dì os
finestre . . . Or sa far altro? Cint. Fa la terra muovere Sempre
che
’l vuole. Tem. Anch’io talvolta muovola, S’io
llor dimenola. Cint. Te ne fai beffe? e ti par di udir favole? Or
che
dirai di questo, che invisibile Va a suo piacer
Te ne fai beffe? e ti par di udir favole? Or che dirai di questo,
che
invisibile Va a suo piacere? Tem. Invisibile?
tro sa far? Cint. De le donne e degli uomini Sa trasformar sempre
che
vuole in varii Animali e volatili e quadrupedi.
polo Nostro . . . . Faz. Narraci Pur come? Tem. Non vedete voi
che
subito Ch’un divien podestate, commissario, N
E tosto ch’un d’ignobile Grado vien consigliere o segretario, E
che
di comandare agli altri ha ufficio, Non è vero
tario, E che di comandare agli altri ha ufficio, Non è vero anche
che
diventa un asino? Faz. Verissimo. Tem. Di mol
è vero anche che diventa un asino? Faz. Verissimo. Tem. Di molti
che
si mutano In becco, io vo’ tacere. Queste tra
accennate con somma lepidezza, nè hanno minor grazia comica di quella
che
osservammo in Aristofane nelle Nubi che prendono
minor grazia comica di quella che osservammo in Aristofane nelle Nubi
che
prendono varie forme; se non che l’Italiano satir
osservammo in Aristofane nelle Nubi che prendono varie forme; se non
che
l’Italiano satireggia con più artificio i ceti in
teri, e non le persone particolari. Reca singolar diletto al filosofo
che
non arzigogola, cioè che ragiona con sicurezza di
rticolari. Reca singolar diletto al filosofo che non arzigogola, cioè
che
ragiona con sicurezza di dati, il rintracciar nel
e diletto privansi per certo spirito di superficialità molti Italiani
che
non curansi di esaminare le ricchezze teatrali ch
ità molti Italiani che non curansi di esaminare le ricchezze teatrali
che
posseggono, contenti di averne false e superficia
nti di averne false e superficiali notizie nell’opere oltramontane. E
che
può sapere, per esempio, dell’indole dell’Italica
per esempio, dell’indole dell’Italica commedia quel meschino Italiano
che
prende per sua scorta la Poetica Francese del Mar
el, dove trovansi stabiliti principj contraddetti dal fatto? Ecco ciò
che
con filosofica franchezza disse quel Francese deg
n filosofica franchezza disse quel Francese degl’ Italiani: Un popolo
che
per gran tempo ha posto il proprio onore nella fe
onne (io son pronto a mostrare ad un bisogno a quest’ enciclopedista,
che
tutta l’Europa, e singolarmente i Francesi, hanno
de’ tradimenti amorosi (e pure dovrebbe sapere l’autore del Belisario
che
non sono stati Italiani quelli che hanno portato
ebbe sapere l’autore del Belisario che non sono stati Italiani quelli
che
hanno portato più d’una fiata sulla scena a’ gior
e hanno portato più d’una fiata sulla scena a’ giorni nostri i Fajeli
che
per gelosia strappano il cuore agli amanti delle
manti, e capaci di esercitare la furberia de’ servi. Pongasi da parte
che
questo maestro di poetica ciò scrivendo non si ri
zzi, di quest’ intrighi e di questa furberia servile. Osserviamo solo
che
questo principio è fabbricato sulla rena. Le comm
Sig. Marmontel in pensiero, e non mai sotto gli occhi, sono, per quel
che
si stà narrando, frutti per la maggior parte del
el secolo XVI. Ora per verificare il principio posto da questo autore
che
ha dato al teatro la Cleopatra, bisognerebbe dimo
o autore che ha dato al teatro la Cleopatra, bisognerebbe dimostrare,
che
gl’ Italiani in tal tempo fossero stati, com’ egl
Ma io gli proverò colle medesime commedie, ch’egli anfana a secco, e
che
non si è curato di bene osservare. Ariosto è il p
l’altro sesso, somministratomi dalla favola del Negromante. Ecco quel
che
dice Cintio a Massimo lodatore della ritiratezza
non era solito. Cin. Doveano al vostro tempo avere i giovani, Più
che
non hanno a questa età, malizia. Mass. Non già,
hanno tutti sì buon stomaco. È questa l’esagerata gelosia Italiana
che
corre di bocca in bocca tra’ Francesi? E con tal
icerca di alcune bellezze e dell’artificio del Negromante, osserviamo
che
il carattere di Mastro Giachelino furbo vagabondo
do viene sin dal principio dell’atto II enunciato da Nibio. Egli dice
che
avendo appena appreso a leggere e scriver male, h
o stesso Che sa l’asino e ’l bue di sonar gli organi. Aggiugne,
che
egli e ’l maestro vanno come zingari Di paese
e differentemente i creduli suoi merlotti, con tal arte e tal grazia,
che
è da dolersi che la gioventù la quale trascura la
i creduli suoi merlotti, con tal arte e tal grazia, che è da dolersi
che
la gioventù la quale trascura la lettura di tali
to mette in agitazione Temolo e Fazio già insospettiti del Negromante
che
prima aveano cercato di guadagnare. Essi temono q
endola portare verso la casa di Massimo si turbano: . . . . Faz. Ah
che
la cassa arrecano Che hai detto! Tem. Ov’è?
volo Corre costui? perchè da me sì subito S’è dileguato? io credo
che
farnetichi. Ma no; Temolo non ha tempo d’istrui
credo che farnetichi. Ma no; Temolo non ha tempo d’istruirlo di ciò
che
ha pensato, e si ritira, per lasciar venir fuori
vivezza. Egli vien fuori esclamando: O terra scellerata! Faz. Di
che
diavolo Grida costui? Tem. Non ci si può più
. Faz. Chi t’ha offeso? Tem. O povero Gentiluomo! Faz. Mi par
che
tu sia ... Tem. O Fazio, Gran pietà! Faz. C
bile! Non m’ho potuto ritener di piangere Di compassione. Faz. Di
che
? Tem. Aimè d’un povero Forestier, ch’ho vedut
meriti a Nibio non ignoti del suo padrone, non è molto ch’egli creda
che
Mastro Giachelino, secondo il racconto di Temolo,
accorrere a vederlo, Temolo gl’insegna la via, e poi soggiugne, Ma
che
voglio insegnar? Non è possibile Errar. Va diet
stato beffato, e cerca della cassa. Graziosissima è la seconda burla
che
riceve. Fazio gli dice, che il facchino l’ha port
a cassa. Graziosissima è la seconda burla che riceve. Fazio gli dice,
che
il facchino l’ha portata in dogana, cosa verisimi
io gli dice, che il facchino l’ha portata in dogana, cosa verisimile,
che
spaventa Nibio d’ altra sorte, e lo sbalza verso
mento reca all’azione questa cassa condotta in casa di Fazio. Camillo
che
v’è rinchiuso, intende il secreto dell’unione deg
el caso va in cerca di Camillo per pregarlo di tacere. Fazio gli dice
che
faccia conto che Massimo abbia già saputo il fatt
ca di Camillo per pregarlo di tacere. Fazio gli dice che faccia conto
che
Massimo abbia già saputo il fatto, essendo iti a
favola. Cintio disperato pensa a fuggire, egli dice, Tanto lontano
che
giammai più Massimo Non mi rivegga: aspettar la
erata in Terenzio, e qual sarà mai? Dessa è appunto, la quale, a quel
che
io ne penso, non è altra cosa, se non che un movi
è appunto, la quale, a quel che io ne penso, non è altra cosa, se non
che
un movimento proprio della comica poesia, il qual
guidezza, mortal veleno della scena: vi aggiunse comica, per dinotare
che
tale esser debba e nelle situazioni e ne’ colpi d
ipose tal forza comica nella copia de’ sali e de’ motteggi, non parmi
che
si apponesse. Una languidissima favola non mai av
el teatro Spagnuolo, con tutte le loro possibili lepidezze, non credo
che
ispirerebbero forza e calore a una favola fredda
gica, tuttochè abbondasse di gravi sentenze politiche e morali. Direi
che
meno di altri critici e precettori di poetica si
elodato Sig. Marmontel, il quale pone la forza comica ne’ gran tratti
che
sviluppano i caratteri, e vanno a cercare il vizi
ogliere questi gran tratti fosse mancata a Terenzio. Ma è troppo noto
che
il pregio maggiore di questo Cartaginese fu appun
e certamente vi desiderava quel piacevole e comico calore e movimento
che
anima la favola, e tiene svegliato lo spettatore1
v’ha di freddo, nulla di superfluo. La piacevolezza aumenta a misura
che
l’azione s’inviluppa, e va crescendo sino all’ult
sino all’ultimo grado comico lo scioglimento. Nè dee recare stupore,
che
per questa parte rimanga il comico Latino superat
manga il comico Latino superato dall’Italiano. Terenzio, poco o molto
che
il facesse, piegava il proprio ingegno a seguire
piegava il proprio ingegno a seguire le greche guide; e l’attenzione
che
dava a spiegare le idee altrui, gli toglieva quel
trui, gli toglieva quel portamento originale, libero, franco, vivace,
che
l’Ariosto inventore manifesta ad ogni tratto112.
ratto112. Questa favola fu rappresentata in Roma a’ tempi di Leone X,
che
la richiese all’autore, il quale nel rimetterglie
rancese, e s’impresse in Parigi nel medesimo secolo, cioè assai prima
che
vi si conoscesse il teatro Spagnuolo (Nota XIV).
Ippolita, facendola passare per figlia di Messer Lazzaro cattedratico
che
si aspettava, e che per notizie sopravvenute si s
passare per figlia di Messer Lazzaro cattedratico che si aspettava, e
che
per notizie sopravvenute si sapeva di non dover p
la famiglia nella propria casa. Regge così la macchina finchè Bartolo
che
si trova in istrada, non vede uscir Bonifazio ins
in istrada, non vede uscir Bonifazio insieme con Lazzaro, e non sente
che
questi dà all’ altro il nome di Bartolo. Si trova
trent’anni prima avea ricevuto in deposito molti beni da un suo amico
che
morì, per renderli alla di lui moglie e figlia. B
Il buon teologo (i falsi teologi non pregiudicano a i veri e virtuosi
che
sono i più, e che nel consigliare non hanno la mi
falsi teologi non pregiudicano a i veri e virtuosi che sono i più, e
che
nel consigliare non hanno la mira che alla giusti
ri e virtuosi che sono i più, e che nel consigliare non hanno la mira
che
alla giustizia) l’esorta a risparmiarsi l’incomod
spese; e quanto al ritener le altrui ricchezze depositate, conchiude
che
si potrà commutare in qualche opera pia, non esse
erenzio. Simile alla risposta data da Davo a Miside nell’Andria è ciò
che
quì dice Accursio: Ma non sapete voi che Messe
Miside nell’Andria è ciò che quì dice Accursio: Ma non sapete voi
che
Messer Claudio Meglio dirà che non ci son, cred
dice Accursio: Ma non sapete voi che Messer Claudio Meglio dirà
che
non ci son, credendosi Di dir la verità, che co
Claudio Meglio dirà che non ci son, credendosi Di dir la verità,
che
conoscendosi Bugiardo? e meglio le parole vengo
dosi Bugiardo? e meglio le parole vengono Che si partan dal cuor,
che
quelle ch’ escano Sol dalla bocca all’intenzion
uanta verità parlino in essa gl’ innamorati. Nell’atto II una vecchia
che
conduce Ippolita ad Eurialo, l’esorta ad esser pr
te; ma appena dice Accursio Ecco la casa là del nostro Eurialo,
che
trasportata dice, O cuor mio caro, o vita mia,
e s’incamina con tutta fretta. Sono queste le pennellate maestrevoli
che
di un sol tratto spiegano tutto quanto è l’ affet
re. Altro non aggiugneremo intorno alle commedie dell’Ariosto, se non
che
egli è sì in gegnosamente regolare e semplice nel
n tanta aggiustatezza e verità dialogizza senza aggiugnere una parola
che
non venga al proposito, che stimo, che mai non te
tà dialogizza senza aggiugnere una parola che non venga al proposito,
che
stimo, che mai non termineranno con lode la comic
za senza aggiugnere una parola che non venga al proposito, che stimo,
che
mai non termineranno con lode la comica carriera
o, che mai non termineranno con lode la comica carriera que’ giovani,
che
allo studio dell’uomo e della società, per la qua
pieno applauso riportò questa favola nelle replicate rappresentazioni
che
se ne fecero in Italia, ed anche in Francia. Apos
a nostra letteratura116; giacchè il Castiglione dice di questa recita
che
non essendo ancor giunto il prologo del Bibbiena,
ogo del Bibbiena, aveane egli composto uno, la qual cosa può indicare
che
la di lui commedia fosse scritta di recente, anzi
on del tutto compiuta. Le parole colle quali si conchiude l’argomento
che
vi è apposto dopo il prologo, indicano che la rap
i si conchiude l’argomento che vi è apposto dopo il prologo, indicano
che
la rappresentazione non si faceva in Roma, ma in
ceva in Roma, ma in un’ altra città. Nel parlarsi de’ gemelli si dice
che
essi sono in Roma, e che gli spettatori vedranno
ltra città. Nel parlarsi de’ gemelli si dice che essi sono in Roma, e
che
gli spettatori vedranno comparirli nella propria
comparirli nella propria loro città. Nè crediate però (si soggiugne)
che
per negromanzia sì presto da Roma vengano quì . .
negromanzia sì presto da Roma vengano quì . . . . perciocchè la terra
che
vedete quì (cioè nella scena) è Roma, la quale gi
quale già esser solea sì ampla . . . . e ora è sì picciola diventata,
che
, come vedete, agiatamente cape nella città vostra
ra. L’altra recita si fece in Roma alla presenza di Leone X, per quel
che
accenna il Giovio nella di lui Vita, e le magnifi
che scene furono opera di Baltassarre Peruzzi Sanese117; ed allora fu
che
v’intervenne anche la nominata marchesa di Mantov
o da una delle lettere inedite del Castiglione conservate in Mantova,
che
ella fu in Roma nel 1514, cioè su i principj del
egalo di ottocento doppie; e ciò anche accadde più di un secolo prima
che
i Francesi conoscessero Castro, Lope e Calderon.
ità della favola, ed in fine si dà una graziosa discolpa dell’ accusa
che
si potria fare all’autore di essere ladro di Plau
lta con giuramento si aggiugne di non averglisi furato cosa veruna; e
che
ciò sia vero, si cerchi quanto ha Plauto e trover
a veruna; e che ciò sia vero, si cerchi quanto ha Plauto e troverassi
che
niente gli manca di quello che aver suole. Coll’
i cerchi quanto ha Plauto e troverassi che niente gli manca di quello
che
aver suole. Coll’ argomento poi narrato da un alt
’ argomento poi narrato da un altro attore viene l’uditorio instruito
che
la favola si aggira sulle avventure di due gemell
atria rimangono divisi sin dalla fanciullezza, e per varj casi, senza
che
l’uno sappia dell’ altro, giungono in Italia, app
favola prende il nome) i fratelli lietamente si riconoscono. Calandro
che
ha veduto Lidio vestito da femmina quando visitav
ndra non può essere nè più grazioso nè più proprio per gli personaggi
che
vi s’imitano. I caratteri vi sono dipinti con bri
aratteri vi sono dipinti con brio e verità, e nelle passioni mediocri
che
vi si maneggiano, si manifesta in bel modo la rid
ediocri che vi si maneggiano, si manifesta in bel modo la ridicolezza
che
ne risulta. Soprattutto è dipinta al vivo la scem
ne risulta. Soprattutto è dipinta al vivo la scempiaggine di Calandro
che
rassomiglia al Tofano del Boccaccio. Piacevoli so
ro che rassomiglia al Tofano del Boccaccio. Piacevoli sono i dialoghi
che
fa coll’ astuto Fessenio che se ne burla e l’aggi
del Boccaccio. Piacevoli sono i dialoghi che fa coll’ astuto Fessenio
che
se ne burla e l’aggira. Egli l’ha persuaso ad and
fanciulla; egli in altra scena passa più avanti, e gli dà a credere,
che
possa morire e resuscitare a sua posta, e così gl
a sua posta, e così gliene insegna il modo: Fes. Tu sai, Calandro,
che
altra differenza non è dal vivo al morto, se non
andro, che altra differenza non è dal vivo al morto, se non in quanto
che
il morto non si muove mai e il vivo sì; e però, q
te si va con Dio, e l’ uomo ritorna vivo. E stà sicuro, Calandro mio,
che
chi fa questo, non è mai morto . . . . Calandro
tissimo pruova a morire e rivivere col bel secreto. Fessenio gli dice
che
guardi a farlo bene: Cal. Tu ’l vedrai. Or guar
fuora eccellentemente? Se così bene di drento muore, non sentirà cosa
che
io gli faccia, e conoscerollo a questo. Zas: bene
o son morto, io son morto. Fes. Diventa vivo, diventa vivo: su, su,
che
alla fe tu muori galantemente. Sputa in su. Ed
vo: su, su, che alla fe tu muori galantemente. Sputa in su. Ed ecco
che
i lavaceci Italiani hanno la fisonomia de’ Pource
a de’ Pourceaugnac Francesi, nè è a noi mancato un pennello nazionale
che
abbia saputo ritrarli un secolo e mezzo prima de’
iana, non a torto però il dotto Lilio Gregorio Giraldi nel confessare
che
essa abbondi di sali e facezie, affermò che manca
io Giraldi nel confessare che essa abbondi di sali e facezie, affermò
che
mancava d’arte. L’intrigo non è di quelli che ben
sali e facezie, affermò che mancava d’arte. L’intrigo non è di quelli
che
ben concatenati prestano all’azione forza ed inte
ne forza ed interesse. In molte sue parti si desidera quel verisimile
che
accredita le favole sceniche e chiama l’attenzion
de, per darne qualche esempio, nell’atto I la ragione, per cui Fulvia
che
altre volte ha avuto in casa Lidio vestito da fem
e altre volte ha avuto in casa Lidio vestito da femmina, pretenda poi
che
Ruffo per via d’incanti lo trasformi in femmina p
intento; e perchè non usa del modo più agevole già praticato? Allora
che
nell’atto V i fratelli di Calandro ci hanno colto
anno colto Lidio e Fulvia insieme, non si vede chiaro, come nel tempo
che
si aspettano i di lei fratelli, sieno gli amanti
si aspettano i di lei fratelli, sieno gli amanti così mal custoditi,
che
possa a Lidio sostituirsi Santilla per far rimane
occaccio la novella di Tofano, in cui si vede un’ avventura simile, e
che
suggerì al Moliere la piacevole farsa di George D
George Dandin. Il pudore poi richiesto ne’ moderni colti teatri vuol
che
si schivino gli amorazzi di Fulvia; come altresì
mita anzi l’oscenità di qualche passo della Lisistrata di Aristofane,
che
la piacevolezza di Plauto. In oltre Fessenio che
trata di Aristofane, che la piacevolezza di Plauto. In oltre Fessenio
che
incomincia l’atto III dicendo, ecco, spettatori,
o allora si fece e si rappresentò in Firenze con tal plauso generale,
che
giusta il racconto di Paolo Giovio120 “i medesimi
nella favola di Nicia soffrirono con pazienza l’ ingiuria e la marca
che
gli segnava, in grazia della mirabile urbana piac
gli segnava, in grazia della mirabile urbana piacevolezza; e Leone X
che
da cardinale l’avea veduta nella patria, volle go
are alla bella sua moglie una pozione di mandragola colle circostanze
che
l’accompagnano, per averne un figliuolo maschio.
ento di pagarvi il vino. Nè vano è questo vanto della piacevolezza
che
promette, che ridicolissima essa riesce per tutte
i il vino. Nè vano è questo vanto della piacevolezza che promette,
che
ridicolissima essa riesce per tutte le sue parti.
icolissima essa riesce per tutte le sue parti. Per conoscere M. Nicia
che
avrà la ventura di aver de’ figliuoli, vedasi uno
ne, io sono stato molto randagio, e non si fece mai la fiera a Prato,
che
io non v’ andassi, e non ci è castel veruno all’i
g. A sì, la verrucola. A Livorno vedeste voi il mare? Nic. Ben sai
che
il vidi. Lig. Quanto è egli maggior che Arno?
voi il mare? Nic. Ben sai che il vidi. Lig. Quanto è egli maggior
che
Arno? Nic. Che Arno? Egli è per quattro volte,
comici stranieri. Soprattutto è da vedersi il di lui carattere in ciò
che
dice di sua moglie nella scena ottava dell’atto I
travestiti per cogliere alcuno giovinaccio spensierato per lo bisogno
che
ne hanno: Lig. Non perdiam più tempo quì. Io vo
quì il dottore; Siro fia retrogrado per dare sussidio a quella banda
che
inclinasse; il nome fia San Cocu. Nic. Chi è Sa
e fia San Cocu. Nic. Chi è San Cocu? Lig. E’ il più onorato santo
che
sia in Francia. L’atto IV si conchiude colle pa
VI. Se si attenda alla felicissima dipintura de’ caratteri introdotti
che
non può migliorarsi, e all’ardita satira de’ lice
dello stile, noi converremo di buon grado col celebre conte Algarotti
che
in essa ritrova la eleganza del dire di Terenzio
Terenzio e la forzæ comica di Plauto. Ci scommetterei (egli aggiugne)
che
avrebbe mosso a riso l’istesso Orazio, a cui non
ento amoroso. Ma questa si pubblicò in Venezia nel 1583, ed io trovo,
che
nella stessa città un’ altra se ne impresse nel 1
nno prima a Zara. È un cattivo componimento fondato sopra incantesimi
che
producono nojose e inverisimili situazioni, e vi
vi s’introducono per buffoni Calabaza Spagnuolo e Graziano Bolognese
che
parlano ne’ proprj idiomi. Altro dunque non ha di
ognese che parlano ne’ proprj idiomi. Altro dunque non ha di notabile
che
di aver preceduto il Pentimento amoroso. Il Groto
nese giovanetto nel 1583, quando fu dedicata alla nobile Camilla Lupi
che
vi sostenne la parte d’Amarilli; e si stampò poi
dell’Aminta, e si sviluppa con un’ agnizione. Venere languidezza. Ciò
che
dice poi dell’oscenità di tali commedie, potrebbe
one o una bella copia della Casina di Plauto o di Difilo. Nel prologo
che
è in prosa come tutta la commedia, lo confessa l’
rosa come tutta la commedia, lo confessa l’istesso autore. Egli dice,
che
un caso anticamente avvenuto in Grecia, è poi seg
inti. Passa indi a discolparsi, se ad alcuno paresse esservi cosa men
che
onesta, benchè egli non creda che vi sia; ma quan
ad alcuno paresse esservi cosa men che onesta, benchè egli non creda
che
vi sia; ma quando pur vi fosse, sarà in modo dett
gli non creda che vi sia; ma quando pur vi fosse, sarà in modo detta,
che
queste donne potranno senza arrossire ascoltarla.
do detta, che queste donne potranno senza arrossire ascoltarla. Parmi
che
dalla prima scena possa rilevarsi che si sia tal
nza arrossire ascoltarla. Parmi che dalla prima scena possa rilevarsi
che
si sia tal commedia rappresentata intorno al 1506
dice: Quando dodici anni sono nel 1494 passò il re Carlo per Firenze,
che
andava con un grande esercito all’impresa del reg
a scena poi dell’atto II, in cui altercano Sofronia e Nicomaco, parmi
che
si vegga che l’autore compose prima la Mandragola
ell’atto II, in cui altercano Sofronia e Nicomaco, parmi che si vegga
che
l’autore compose prima la Mandragola. Nicomaco pr
gioso. A chi andremo? dice Sofronia. Nic. E’ non si può ire a altri
che
a F. Timoteo, che è nostro confessore di casa, ed
mo? dice Sofronia. Nic. E’ non si può ire a altri che a F. Timoteo,
che
è nostro confessore di casa, ed è un santarello,
à fatto qualche miracolo. Sof. Quale? Nic. Come quale? Non sai tu
che
per le sue orazioni Monna Lucrezia Calfucci che e
ome quale? Non sai tu che per le sue orazioni Monna Lucrezia Calfucci
che
era sterile, ingravidò? Questo motto non riuscir
lizia. Il Machiavelli ha fatto con molta felicità della Casina quello
che
Plauto stesso e Cecilio e Nevio e Terenzio ed Afr
erenzio ed Afranio fecero delle favole greche. E sarebbe a desiderare
che
nella nostra illuminata età, in vece di farsi sce
se ne facessero sulle orme del Machiavelli fresche imitazioni libere
che
si rendessero interessanti appunto per adattarvis
però ne trascrisse aut impudenter aut perverse. E per esempio di ciò
che
ne dice in ultimo luogo adduce il passo della sce
a dell’atto II della Casina, Quid istuc est, quicum litigas, Olympio,
che
il Machiavelli traduce ed imita nella sesta dell’
ce ed imita nella sesta dell’atto III della sua Clizia: Pirr. Prima
che
io facessi ciò che voi volete, io mi lascerei sco
esta dell’atto III della sua Clizia: Pirr. Prima che io facessi ciò
che
voi volete, io mi lascerei scorticare. Nic. La
r. Combatto ora con chi voi combattete sempre. Nic. Che dice ella?
che
vuole ella? Pirr. Pregami ch’io non tolga Clizi
Nic. Che l’hai tu detto? Pirr. Ch’io mi lascerei prima ammazzare
che
la rifiutassi. Nic. Ben dicesti. Pirr. Se io
risto ecc. parve a Balzac meno castigata; e veramente non può negarsi
che
avrebbe potuto esporsi con minor impudenza o irri
gia, il colore, i fregi, tutto vivace e moderno, e sì ben rassettata,
che
par nativa di Firenze e non della Grecia; per le
e quali cose tira l’ attenzione di chi legge o ascolta, e l’interesse
che
risveglia la preserva dalla pretesa lentezza e da
rte son poste per tramezzi nella fine di ciascun atto. Adunque coloro
che
pretendono, sol perchè l’asserirono la prima volt
trasformare le pastorali del XVI secolo in opere in musica per sapere
che
vi furono poste in musica le canzonette de’ cori,
e anche una pretta traduzione dell’Andria di Terenzio, la quale parmi
che
per la prima volta si sia impressa nell’ edizione
ima volta si sia impressa nell’ edizione di Parigi delle di lui opere
che
porta la data di Londra del 1768. Se questo celeb
amente. Non perchè tutte non ci presentino pregi degni da osservarsi;
che
ingegnose e regolari esse sono, e in grazioso e s
erchè non permette tante minute ricerche e continue pause un racconto
che
abbraccia tante età e nazioni e tanti generi di d
mmi. Ci arresteremo dunque in alcune più notabili per qualche ragione
che
interessi ed instruisca. Tra’ primi nostri letter
lche ragione che interessi ed instruisca. Tra’ primi nostri letterati
che
ci arricchirono di ottime commedie, contisi il no
o illustre letterato morto in Venezia d’anni sessantadue nel 1572122,
che
nella satira e nella commedia si avvicinò di molt
delle stampe nel 1545; ma de’ Romiti e dell’Arianna non ci è rimasto
che
il nome. Il Geloso. Avrebbe mai il glorioso maest
avventura come nel proprio elemento in questa favola del Bentivoglio
che
di proposito dipinge un geloso? Vediamolo. Ermino
to di Livia nipote del medico, lo consiglia a travestirsi colle vesti
che
gli ha lasciate Ermino, perchè senza difficoltà v
sto travestito sul punto di picchiare è trattenuto prima da una donna
che
toltolo pel medico vuole che vada a visitar suo m
icchiare è trattenuto prima da una donna che toltolo pel medico vuole
che
vada a visitar suo marito infermo, indi da due pa
visitar suo marito infermo, indi da due palafrenieri di un cardinale
che
il chiamano da parte del padrone, e finalmente da
arsi. Rimpatria intanto nello stesso giorno Folco fratello d’ Ermino,
che
di soldato divenuto mercatante, di povero schiavo
edere la sua famiglia. Picchia: ma il servo ubbriaco, dopo aver detto
che
Ermino è morto di peste e che Livia è fuggita via
: ma il servo ubbriaco, dopo aver detto che Ermino è morto di peste e
che
Livia è fuggita via, serra l’uscio, ed il lascia
’uscio di dietro della casa, e pensa per quella introdursi. Il medico
che
stà in osservazione vede entrare questo mercatant
rova il fratello, si disinganna, chiede perdono alla moglie del torto
che
le faceva col sospettar di lei, e si conchiude il
di Livia con Fausto. Sono questi gl’ intrighi pericolosi e le stragi
che
somministrano la gelosia e la vendetta Italiana?
ima data, ma del Principe geloso, di Sganarello e di Giorgio Dandino,
che
da circa un secolo e mezzo si rappresentano in Fr
eloso del Bentivoglio avrebbe dovuto essere da lui ignorato, per poco
che
avesse l’uso di fornirsi di dati certi prima di f
’argomento di questa favola è nuovo. L’autore stesso dice nel prologo
che
si è sforzato di comporre una commedia Nuova d
Tralle grazie comiche di questa favola son da notarsi gl’ impedimenti
che
sopravvengono a Fausto nell’atto III, ne’ quali s
gl’ Importuni (les Facheux) del Moliere, ma col maestrevole vantaggio
che
essi sono utili a fare avanzar con moto l’azione.
ed imitata da un frammento di Plauto è pure la disperazione di Fausto
che
nella scena quarta dell’atto V vuole andar via pe
congedando gli spettatori mostra lo scopo morale della favola: Voi
che
avete moglier giovane e bella, Da lui pigliate
vane e bella, Da lui pigliate esempio, e non ne siate Gelosi più,
che
certo fate peggio; Perchè il più delle volte è
rto fate peggio; Perchè il più delle volte è temeraria La gelosia
che
vi presenta cose Che ’n effetto non sono; e non
laria di Plauto si ammira in quest’altra favola del Bentivoglio. Egli
che
pur sapeva sì bene inventare e disporre senza alt
. Egli che pur sapeva sì bene inventare e disporre senza altra scorta
che
la natura, volle non per tanto dare un bell’ esem
innanzi. Lo stile è al solito felice ed elegante da per tutto, di
che
molti passi assai belli si potrebbero addurre in
contenteremo di un solo dell’atto III, cioè di una parte del racconto
che
fa il servo al vecchio Basilio intorno ai fantasi
del racconto che fa il servo al vecchio Basilio intorno ai fantasimi
che
gli dà a credere che appajono nella loro casa. Ac
il servo al vecchio Basilio intorno ai fantasimi che gli dà a credere
che
appajono nella loro casa. Accorro, egli dice, a i
Accorro, egli dice, a i gridi di Fulvio, e gli domando, Che avete?
che
vi duol, padron mio caro? Su su (disse ei trema
di buon passo a dormir con Flaminio suo amico; io resto con più sonno
che
paura, ridendo e compassionandolo. Così mentre
ridendo e compassionandolo. Così mentre di lui meco sol penso, E
che
mi chino a spegner la lucerna Col destro bracci
pito, il maggiore Che mai sentissi alla mia vita, e veggo L’uscio
che
s’apre da sua posta, ch’io Pur dianzi chiuso av
Basil. Miracolo! oh dio! ch’è quello ch’odo? Ne. Poi veggo un uom,
che
del sepolcro uscito Allor allor verso il mio le
rto allora. Ne. Negro (disse ei con spaventevol voce.) Or odi quel
che
ancora a Fulvio ho detto: Non mettete mai più q
ezza ai suoi Fantasimi. Cinque commedie compose allora Pietro Aretino
che
si discostano dalle commedie degli antichi, e dip
lle leggi teatrali del verisimile; e consiste nell’estrema avversione
che
ha un Marescalco al matrimonio posta alla tortura
o coi titoli del Cavallerizzo, del Finto e del Sofista; ma è ben noto
che
fu impostura scoperta poi dal Crescimbeni. La Cor
ongono alla berlina due personaggi ridicoli, cioè un Sanese scempiato
che
viene in Roma per farsi cardinale imparando prima
e in Roma per farsi cardinale imparando prima ad esser Cortigiano, da
che
nasce il titolo della commedia, ed un Signor Para
n furbo suo servidore. Francesco Buonafede altro impostore letterario
che
avea data alla luce la Talanta altra commedia del
aliane le maniere latine, e non pertanto mancano di ogni vivacità; il
che
pruova contro del Sig. Andres, che la lentezza ed
tanto mancano di ogni vivacità; il che pruova contro del Sig. Andres,
che
la lentezza ed il languore provengono da tutt’alt
Andres, che la lentezza ed il languore provengono da tutt’altra fonte
che
dallo studio di adattare le antiche frasi alle mo
ando entrò in Siena, e s’impresse nel 1559. La seconda è l’Alessandro
che
si stampò nel 1553. L’Ortenzio che fu la terza, s
el 1559. La seconda è l’Alessandro che si stampò nel 1553. L’Ortenzio
che
fu la terza, si rappresentò nel 1560 entrando in
’ poeti comici Italiani. Egli però seguì Plauto ed Aristofane nel far
che
gli attori s’indrizzino agli spettatori. Panzana
pio di voglia di ridere, e per rispetto de’ forestieri tengo la bocca
che
non rida. Un Napoletano che vi è introdotto, doma
er rispetto de’ forestieri tengo la bocca che non rida. Un Napoletano
che
vi è introdotto, domanda: E dove songo li forasti
Intronati comincia a vedersi alcun personaggio buffonesco subalterno
che
parla in qualche dialetto particolare, come il Li
fante, dice: crede farmi stare a qualche scudo; ma è male informata,
che
io sono allievo di Spagnuoli. Degni però di qualc
no gl’ Italiani d’allora come troppo vicini al funesto sacco di Roma,
che
sì gran parte ne ridusse in miseria; e la commedi
dia nominata degl’ Ingannati si recitò due giorni dopo del Sacrificio
che
fu come una introduzione agli spettacoli del carn
a figliuola di Virginio, questi risponde: Quando fu il sacco di Roma,
che
ella ed io fummo prigioni di que’ cani, finiva tr
verò mai le scene simili alla quinta del V atto di Cittina: Io non so
che
trispigio sia dentro a questa camera terrena; io
a camera terrena; io sento la lettiera fare un rimenio, un tentennare
che
pare che qualche spirito la dimeni ecc. Si lascin
terrena; io sento la lettiera fare un rimenio, un tentennare che pare
che
qualche spirito la dimeni ecc. Si lascino queste
lla sfacciataggine de’ repubblicani Ateniesi di venti secoli indietro
che
se ne compiacevano. Regolari e piene di sali e mo
contribuì all’avanzamento della scena comica. Due ne scrisse in versi
che
furono il Capitano uscita alla luce per le stampe
Marito nel 1560; le altre tre sono scritte in buona prosa, il Ragazzo
che
s’impresse nel 1541, il Ruffiano tratta dal Ruden
sta Gelli, Fiorentini. Scrisse anche il Gelli l’Errore altra commedia
che
non s’impresse che nel 1603. Tralle migliori comm
ni. Scrisse anche il Gelli l’Errore altra commedia che non s’impresse
che
nel 1603. Tralle migliori commedie in prosa di qu
gliori commedie in prosa di quel secolo si noverano queste del Gelli,
che
Moliere non isdegnò d’imitar nell’Avaro ed in alt
i fa nel prologo della Sporta, mostra l’intelligenza ed il buon gusto
che
possedeva in questo genere: In essa (egli dice) n
a (egli dice) non si vedranno riconoscimenti di giovani, o fanciulle,
che
oggidì non occorre, ma accidenti di una vita civi
na vita civile e privata sotto una immaginazione di verità, e di cose
che
tutto il giorno accaggiono al viver nostro. Con t
scritte fossero nell’idioma Tibetano. Questo piacevolissimo scrittore
che
morì d’anni sessantacinque nel 1563, fu calzolajo
fu una piacevole commedia di Antonio Mariconda cavaliere Napoletano,
che
sebbene s’impresse nell’anno 1548, era stata rapp
o compose in buona prosa la Pescara, la Cesarea Gonzaga e la Trinuzia
che
si pubblicarono con applauso nel 1550. Agnolo Fir
lo Firenzuola cittadino Fiorentino ed Abate Vallombrosano e letterato
che
si distinse in più di un genere, e visse sotto Cl
medie in prosa elegante e graziosa, tralle quali spiccano la Gelosia (
che
non è certamente quella de’ Fajeli) pubblicata in
ava, il Donzello, il Corredo, lo Spirito, e il Servigiale; e per quel
che
ne dice il Quadrio molte altre ne rimasero inedit
e la Floria commedia in prosa, secondo Apostolo Zeno, licenziosa anzi
che
no, che si pubblicò nel 1560. Il Capitano bizzarr
ria commedia in prosa, secondo Apostolo Zeno, licenziosa anzi che no,
che
si pubblicò nel 1560. Il Capitano bizzarro commed
ia nel 1551. Giordano Bruno di Nola compose la commedia del Candelajo
che
si pubblicò in Parigi nel 1582, vi si reimpresse
Massimo Cameli Aquilano si pubblicò nell’Aquila nel 1566. La Virginia
che
il secondo Bernardo Accolti fece sulla sua serva,
mmedie in prosa, ma è scritta per la maggior parte in ottava rima, il
che
osservò il Zeno. La Flora di Luigi Alamanni s’imp
Luigi Alamanni s’impresse in Firenze nel 1556 per cura di Andrea Lori
che
la fece recitare nella compagnia di San Bernardin
superstiziosamente il giambico greco e latino126. Ma tutti i vantaggi
che
essi speravano co’ nuovi metri poco o nulla grati
nto uno studio affettato di trasportare in essa l’espressioni latine,
che
altri ha creduto che nelle commedie Italiane sia
ato di trasportare in essa l’espressioni latine, che altri ha creduto
che
nelle commedie Italiane sia sorgente di lentezza)
havvi una descrizione lodevole della commedia, nella quale si afferma
che
tutti i vantaggi della pittura, della musica e de
linguaggio dell’innamorato Licinio, il quale così dice alla sua Delia
che
gli parla da dentro senza aprirgli la porta: Lici
Delia che gli parla da dentro senza aprirgli la porta: Licinio è quì
che
come smarrito augello cerca di ridursi nel vostro
e come smarrito augello cerca di ridursi nel vostro nido, come aquila
che
stà per fissar l’occhio in voi suo bel sole: deh
ricompensa ben mi colpì in tal commedia la saviezza della fanciulla,
che
tutto che innamorata dissuade Licinio dal rompere
a ben mi colpì in tal commedia la saviezza della fanciulla, che tutto
che
innamorata dissuade Licinio dal rompere le porte,
olerla sposare, ed ella l’impedisce dicendo: Non gittate, non gittate
che
io l’accetto, e come mio ve lo ridono, acciocchè
io l’accetto, e come mio ve lo ridono, acciocchè se a Dio piacerà mai
che
io possa, come vorrei, esser vostra, ne leghi ete
rrei, esser vostra, ne leghi eternamente ambedue; e tenete per certo,
che
ogni mio desiderio, ogni mio pensiero, ogni mia s
certo, che ogni mio desiderio, ogni mio pensiero, ogni mia speranza è
che
voi o per serva, o per altra che mi vogliate, abb
ni mio pensiero, ogni mia speranza è che voi o per serva, o per altra
che
mi vogliate, abbiate ad essere scudo dell’onor mi
di me. Non si possono mai abbastanza lodare questi tratti di saviezza
che
spandono per l’uditorio un piacere indicibile, sp
ta scena, senza affettazione e senza farne un sermone da pulpito anzi
che
da teatro. Le oscenità, gli equivoci impudenti ec
olario della Crusca. Le più stimate sono: i Bernardi in versi sciolti
che
si produsse in Firenze nel 1563 e 1564; la Cofana
n ogni altra cosa seguitato il loro uso. E se vi parrà (e’ soggiugne)
che
in qualche parte l’abbia alterato, considerate, c
rà (e’ soggiugne) che in qualche parte l’abbia alterato, considerate,
che
sono alterati ancora i tempi e i costumi, i quali
te, che sono alterati ancora i tempi e i costumi, i quali sono quelli
che
fanno variar l’ operazioni e le leggi dell’operar
dell’operare. Chi vestisse ora di toga e di pretesta, per begli abiti
che
fossero, ci offenderebbe non meno che se portasse
e di pretesta, per begli abiti che fossero, ci offenderebbe non meno
che
se portasse la beretta a taglieri o le calze a ca
e nel tempo stesso nella passione di Gisippo e Giulietta un interesse
che
avvicina questa bella commedia al genere dell’Eci
la salverà sempre dal cadere in dimenticanza. E’ una verità costante,
che
le dipinture delle maniere locali, benchè eccelle
a loro freschezza in ogni tempo. Anima mia (dice nell’atto II Gisippo
che
crede morta la sua bella Giulietta) tu sei pure i
andezza del mio dolore, e il desiderio di venir dove tu sei. Tu senti
che
il tuo nome m’è sempre in bocca. Tu vedi che la t
ir dove tu sei. Tu senti che il tuo nome m’è sempre in bocca. Tu vedi
che
la tua immagine mi stà continuamente nel cuore. T
a. Tu vedi che la tua immagine mi stà continuamente nel cuore. Tu sai
che
d’altri che tuo non posso essere quando bene ad a
he la tua immagine mi stà continuamente nel cuore. Tu sai che d’altri
che
tuo non posso essere quando bene ad altri sia dat
eni di calore e di verità il linguaggio della natura; quel linguaggio
che
sarà sempre ignoto a certuni che si hanno formato
uaggio della natura; quel linguaggio che sarà sempre ignoto a certuni
che
si hanno formato un picciolo frasario preteso fil
certuni che si hanno formato un picciolo frasario preteso filosofico
che
vogliono applicare in ogni incontro ed in ogni si
ogni incontro ed in ogni situazione. Gisippo poi intende nell’atto V
che
Giulietta è viva. Satiro servo gliene reca la nov
lietta, egli dice. Gisip. Che Giulietta, bestia? Sat. Oh padrone,
che
ho io veduto! Gisip. Che hai spiritato? Sat.
eduta la Giulietta, e l’ho veduta con questi occhi. Gisip. Qualcuna
che
le somiglia forse? Sat. Lei stessa. Gisip. La
ato, ella ha parlato a me, e mi ha data questa lettera e quest’anello
che
vi porto. Dem. Questo è il giorno delle maravig
è il giorno delle maraviglie. Gisip. Oh dio, questo è l’anello con
che
la sposai, e questa è sua lettera. Dem. Non m’a
naturalezza di questo dialogo, in cui non si dice o si risponde cosa
che
non sembri l’unica espressione richiesta nel caso
ira tutto il patetico della tenerezza sfortunata di un cuor sensibile
che
offeso si querela senza lasciar d’ amare. A’ legg
ra di tragedie cittadine e commedie piagnevoli oltramontane; a quelli
che
non hanno il sentimento irrugginito dalla pedante
ati nel XV secolo, fossero poi anche scempj e fanciulleschi; a quelli
che
sanno burlarsi di coloro che non vorrebbero che a
i anche scempj e fanciulleschi; a quelli che sanno burlarsi di coloro
che
non vorrebbero che altri rilevasse mai le bellezz
nciulleschi; a quelli che sanno burlarsi di coloro che non vorrebbero
che
altri rilevasse mai le bellezze de’ componimenti
asi obbliati, per poterli saccheggiare a loro posta; a quelli in fine
che
non pongono la perfezione delle moderne produzion
del pennello maestrevole del Caro. Gisippo in essa è chiamato Tindaro
che
è il suo nome primiero. Tindaro, padron mio (co
poichè mi trovo serva de’ servidori della vostra moglie), gli affanni
che
io ho sofferti finora grandissimi e infiniti, son
perando di ritrovarvi, e consolarmi d’avervi per mio consorte. Ma ora
che
finalmente vi ho ritrovato, poichè a me tolto vi
sconsolata e disperata per sempre desidero di morire. Gisip. Oimè!
che
parole son queste? seguitate. Dem. (leggendo) Ah
iete pur di fede, e mi dovete essere per obbligo. Non sono io quella,
che
per esser vostra moglie non mi sono curata di abb
dispersa dalla mia patria, nè divenir favola del mondo? Ricordatevi,
che
per voi sono state tante tempeste, per voi sono v
peste, per voi sono venuta in preda de’ corsari, per voi si può dire,
che
io sia morta, per voi son venduta, per voi carcer
. Gisip. E Giulietta scrive queste cose? Dem. (leggendo) Il dolore
che
io ne sento, è tale, che ne dovrò tosto morire; m
rive queste cose? Dem. (leggendo) Il dolore che io ne sento, è tale,
che
ne dovrò tosto morire; ma solo desidero di non mo
di condurmi, col testimonio della mia verginità, a mostrare a’ miei,
che
io per legittimo amore, e non per incontinenza, h
i prego (se più di momento alcuno sono i miei prieghi presso di voi),
che
procuriate per me, poichè non posso morir donna v
di voi), che procuriate per me, poichè non posso morir donna vostra,
che
io non mi muoja almeno schiava di altri; o ricupe
rate con la giustizia, o impetrate dalla vostra sposa la mia libertà:
che
, per esser ella così gentile, come intendo, ve la
e la dovrà facilmente concedere: e, bisognando, promettete il prezzo,
che
io sono stata comperata, che io prometto a voi di
re: e, bisognando, promettete il prezzo, che io sono stata comperata,
che
io prometto a voi di restituirlo. Gisip. Oh che
no stata comperata, che io prometto a voi di restituirlo. Gisip. Oh
che
dolore è questo! Dem. (leggendo) E quando questo
E quando questo non vogliate fare, mi basterà solamente di morire: il
che
desidero, così per finire la mia miseria, come pe
la mia miseria, come per non impedire la vostra ventura. E per segno
che
io non voglio pregiudicare alla libertà vostra, v
nello del nostro maritaggio. Nè per questo si scemerà punto dell’amor
che
io vi porto. State sano, e godete delle nuove noz
i sicuro di avere il cuore formato di assai diversa tempera da quella
che
costituisce un’ anima nobile. Ogni parola è una b
per chi l’analizza, nè l’ analizza chi non ha il cuore fatto per ciò
che
i Francesi chiamano sentimento. Non si vede nelle
e l’Emilia nel 1596, tutte scritte in versi e collo spirito d’arguzia
che
domina ne’ componimenti di questo famoso cieco d’
a si veste da uomo, e nell’accingersi a partir per Lione, dove sapeva
che
dimorava l’ amante bandito, lo trova in Bologna a
suo amante chiamato Aristide è conosciuto ed arrestato. Alla novella
che
ne ha Elfenice ripiglia le vesti di donna coll’ i
, (veramente con un poco d’inverisimiglianza) imbatte nella giustizia
che
mena a morire Milziade suo fratello convinto, per
confessione, di latrocinio. Sbigottiscono gli sbirri a vista di colei
che
il giorno avanti era stata sepolta, e presi da st
enza badare al delinquente, il quale si maraviglia della sorella viva
che
corre come forsennata, e giugne presso la casa di
tiluomo e ricco egli fosse. Disperata Teodolinda avea risoluto, allor
che
egli passerebbe per andare al patibolo, di gettar
uggono. Il Governadore intende i casi di Aristide e di Milziade, vede
che
un doppio parentado potrebbe riconciliare le due
e dall’omicido commesso da Aristide, proseguendosi per li sette anni
che
questi dimorò in Lione, mostrando la morte appare
la sua Donna costante dalla venuta di Aristide in Bologna nel giorno
che
è stata sepolta fintamente Elfenice e che è menat
stide in Bologna nel giorno che è stata sepolta fintamente Elfenice e
che
è menato a morir Milziade. Potrebbe dunque questa
ietà di stile; ma non son pago de i discorsi accademici e pedanteschi
che
vi si tengono, delle storie, degli esempi, de’ ve
no il servo Lucilio, il medico Erosistrato e ’l parassito Edace. Ed a
che
servono tutte quelle inezie all’usanza Spagnuola?
’autore l’accompagnò con sei intermedj. Il primo serve d’introduzione
che
va innanzi al prologo, in cui la scena rappresent
quattordici versi. Nel secondo in fine dell’atto I si vede un antro,
che
è la reggia del Sonno, in cui Iride ed il Sonno c
dal duca Borbone generale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta,
che
dice Quella che il mondo vinse, abbiamo vinto,
nerale di Carlo V, i quali cantano una canzonetta, che dice Quella
che
il mondo vinse, abbiamo vinto, alla quale succ
bbiamo vinto, alla quale succede il lamento di Roma in due ottave,
che
conchiudono, Già vinsi il mondo, or servo a ge
n ballo. Eccoti dunque una commedia in prosa con accompagnamenti tali
che
le danno diritto a chiamarsi opera in musica, sec
lmente al suo supplicio. Oddi vi aggiunse la venuta di una innamorata
che
al vedere l’amante esposto, per essere ostaggio d
e al vedere l’amante esposto, per essere ostaggio del di lei fratello
che
esattamente la rassomiglia, ed al sapere già vici
a l’amante. La pena ch’ella ne riceve, è un sonnifero creduto veleno,
che
apporta poco stante un lieto scioglimento. L’altr
presenza del cardinal Odoardo Farnese gl’ Intrichi d’ amore commedia
che
porta il nome di Torquato Tasso e che s’ impresse
gl’ Intrichi d’ amore commedia che porta il nome di Torquato Tasso e
che
s’ impresse in Viterbo presso Girolamo Discepolo
ri piacevoli ben rilevati. Il Baruffaldi e monsignor Bottari dubitano
che
sia componimento dell’autore della Gerusalemme; i
lla bellissima Vita di Torquato impressa in Roma l’anno 1785, giudica
che
sia opera di Giovanni Antonio Liberati che fece i
Roma l’anno 1785, giudica che sia opera di Giovanni Antonio Liberati
che
fece il prologo e gl’ intermedj a questa commedia
ece il prologo e gl’ intermedj a questa commedia, per la sola ragione
che
quest’ Accademico di Caprarola si dilettava di sc
to! Che sia poi piuttosto da riferirsi tal favola al Tasso Napoletano
che
al Liberati di Caprarola, cel persuade in certo m
Tasso nato ed allevato nel regno sino al decimo anno della sua età, e
che
poi vi tornò già grande e vi si trattenne diversi
ua età, e che poi vi tornò già grande e vi si trattenne diversi mesi,
che
il Liberati il quale nè nacque nè dimorò nel regn
rse l’ultimo scrittore comico del cinquecento fu il vecchio Loredano,
che
dal 1587 al 1608 pubblicò sette commedie in prosa
non pubblicato: della Pellegrina di Baltassarre di Palmia Parmigiano,
che
si rappresentò avanti al cardinal Grimani, e dell
e mai osò dire esser esse così sfornite d’arte, di spirito e di gusto
che
neppure di una sola possa sostenersi la lettura 1
ossa sostenersi la lettura 128? Che se egli seppe solo per tradizione
che
vi fossero commedie antiche in Italia, o stimò ch
olo per tradizione che vi fossero commedie antiche in Italia, o stimò
che
altra cosa non fossero che le farse d’Arlecchino
ossero commedie antiche in Italia, o stimò che altra cosa non fossero
che
le farse d’Arlecchino per avventura vedute sul te
te sul teatro Italiano di Parigi, egli stesso può avvedersi del torto
che
fa alla propria erudizione e filosofia, giudicand
zione e filosofia, giudicando così a traverso della commedia Italiana
che
non avea punto studiata. Veramente una nazione ch
commedia Italiana che non avea punto studiata. Veramente una nazione
che
fece risorgere in Europa tutte le belle arti e le
ertà stessa, meritava un poco più di diligenza da questo scrittore. E
che
direbbe egli se si volesse dare idea del teatro A
dare idea del teatro Ateniese sulle rappresentazioni de’ neurospasti?
che
, se per dare a conoscere il teatro Francese, dime
essione. Un secolo dotto fa risplendere di riverbero ancor quelli
che
non lo sono. Erano in tal tempo cresciuti gli att
Greco moderno, e coll’ idioma Schiavone italianizzato; ed è probabile
che
a simili farse istrioniche avesse la mira il prel
ce in Parigi per l’Angelier nel 1585 la commedia intitolata Angelica,
che
poi si ristampò in Venezia nel 1607 pel Bariletto
e Padovano Angelo Beolco chiamato il Ruzzante scrisse alcune commedie
che
s’impressero nel 1598, cioè la Fiorina, la Vaccar
se marito della celebre attrice Isabella Andreini, e attore anch’egli
che
rappresentava da innamorato, e dopo la morte dell
llantatore poltrone, Coviello un furbo e Pascariello un vecchio goffo
che
non concludeva i suoi discorsi, tutti e tre Napol
e compiacque per la novità e per quello spirito di satira scambievole
che
serpeggia tra’ varj popoli di una medesima nazion
ben m’appongo, fece M. Castilhon nelle sue Considerazioni, asserendo
che
in Ispagna e in Italia i poeti comici, toltone il
doni, non hanno ancor pensato a dare alle donne caratteri nobili. Noi
che
abbiamo studiata un poco più l’Italia e la Spagna
iamo studiata un poco più l’Italia e la Spagna, possiamo assicurargli
che
in tali paesi si sono infinite volte dipinte le d
e filosofare sulle nazioni, perchè da’ falsi dati non possono dedursi
che
conseguenze false, le quali non mai daranno princ
que par ce vis comica Cesar ne vouloit pas tant parler des passions (
che
era l’avviso del di lei padre), que de la vivacit
ro rapina rimanga spesso occulta a’ volgari. Essi ad altro non badano
che
a copiare stentatamente ciò che erasi già con gen
a’ volgari. Essi ad altro non badano che a copiare stentatamente ciò
che
erasi già con genio e franchezza dipinto sul teat
isce di colori le tele, alla maniera della scimia di Franco Sacchetti
che
voleva fare come faceva il Pittore. 113. Nelle D
commedia o traduzione accorciata e corretta del Trinummus di Plauto,
che
diede a recitare ai nobili giovani accademici del
recitare ai nobili giovani accademici del Collegio di quella città, e
che
si eseguì egregiamente alla presenza de’ Sovrani.
ni, il Fontanini, il Poccianti, il Mazzucchelli. 128. Fu strana cosa
che
l’ enciclopedista Francese Marmontel avesse ciò p
sse ciò pronunziato senza pensare e senza leggere. Ma stranissima poi
che
un Italiano avesse pappagallescamente copiate e r
in Roma nel 1771 e ristampata in Venezia nel 1773. L’autore anonimo (
che
si crede che fosse certo Don Francesco Milizia, d
1771 e ristampata in Venezia nel 1773. L’autore anonimo (che si crede
che
fosse certo Don Francesco Milizia, di cui in un g
Siciliano si è parlato con poco vantaggio) affermò sullo stesso tuono
che
nell’immensa collezione delle nostre commedie non
ntivoglio, del Caro, dell’Oddi, dell’Ambra ecc. egli non ne trova una
che
si possa leggere? Gran gusto fine! E chi nol comp
te, il più completo, il più celebre artista italiano del secolo xvii,
che
tenne per circa cinquant’anni sotto il nome di Sc
le rimostranze aggiungere il motteggio, tanto inasprì l’animo di lui,
che
, assalito con la spada alla mano, fu ucciso d’un
no, e vendere specifici. » Tiberio crebbe siffattamente ghiottone,
che
, non contento di quel che gli assegnava il padre,
Tiberio crebbe siffattamente ghiottone, che, non contento di quel
che
gli assegnava il padre, talvolta a soddisfar la s
una infinità di avventure in cui non sempre, stando al biografo, ebbe
che
vedere l’onestà, s’imbattè a Fano in una compagni
in cui doveva essere una cena squisita. Il successo fu enorme, tanto
che
alle uova sode della prima sera, egli potè reclam
arte sua e co’suoi inimitabili scherzi a conquistar l’animo del Duca,
che
lo colmò di donativi di ogni specie : e ciò gli a
ò gli accadde ancora quando si recò a Firenze, ove il Gran Duca, dopo
che
Tiberio gli ebbe cantate sulla chitarra due canzo
. Passò Scaramuccia da Firenze a Napoli. Quivi diè fondo a tutto quel
che
aveva messo in serbo, acquistando un superbo equi
questi licenziare : e, per campar la vita, aggregarsi a una compagnia
che
recitava allora in Napoli, nella quale ancora, e
le più festose accoglienze, e dove Marinetta si sgravò di un maschio
che
gli fu tenuto a battesimo dal cardinal Fabio Chig
ndro VII. Tanti furono i denari dal Fiorilli a quel tempo accumulati,
che
giunto a Firenze, comperò un magnifico possesso f
i XIV ; e si recò nella gran capitale, dove ebbe il più gran successo
che
artista comico potesse mai desiderare, e dove, in
ta comico potesse mai desiderare, e dove, in breve tempo, diventò più
che
famigliare della Corte. [http://obvil.github.
’atto di battesimo di un suo figliuolo, pubblicato dallo Jal, risulta
che
il ’44 egli e la moglie eran già in Parigi. Quest
6. Dal seguente aneddoto poi comunicato ai Parfait dal Gueullette, e
che
si trova nella loro Istoria del Teatro italiano,
lette, e che si trova nella loro Istoria del Teatro italiano, risulta
che
il Fiorilli andò in Francia verso il 1640. Un
(Brigida Bianchi) eran nella camera del Delfino, poi Luigi XIV. Egli,
che
aveva circa due anni, era di pessimo umore, e nul
grida e il suo pianto. Scaramuccia ebbe l’animo di dire alla Regina,
che
s’egli avesse preso il Delfino tra le braccia, lo
no prima si chetò come sorpreso, poi cominciò a ridere, e rider tanto
che
la sua smodata ilarità lasciò alcune traccie poco
anni ; e ogni qualvolta si recava a Corte, doveva entrar dal Delfino,
che
molto si divertiva e molto l’amava : e divenuto L
o ridendo alle boccaccie ch’ei soleva fargli, narrandola. Sappiamo
che
il 14 novembre del ’45, si recitò nella sala del
L. VII, Cap. VIII) : Nel 1653 era stato mandato al Re (di Francia),
che
lo aveva richiesto al Granduca (FerdinandoI I), T
o Fiorilli fiorentino (?) detto Scaramuccia, con una compagnia comica
che
molto piaceva a Sua Maestà e ai Francesi. Un figl
i Francesi. Un figlio di Scaramuccia era giunto a tal grido di favore
che
il Re lo aveva fatto cavaliere di San Michele e S
Toscana raccomanda vivamente al Duca di Modena il comico Scaramuccia
che
fa ritorno in Francia. Quando Molière tornò il ’5
giovedì e sabato. L’immediato cantatto delle due compagnie faceva sì
che
i comici di entrambe vivesser tra loro in istrett
principale Scaramuccia, e prese dall’incomparabile artista tutto quel
che
potè di naturale e di originale ; il che generò p
mparabile artista tutto quel che potè di naturale e di originale ; il
che
generò poi i famosi versi che si leggon sotto a u
he potè di naturale e di originale ; il che generò poi i famosi versi
che
si leggon sotto a uno dei ritratti di Bonnart, id
o del ’59 gl’ Italiani se ne tornarono in Italia ; e sparsasi la voce
che
Scaramuccia si fosse annegato traversando il Roda
altri del 18 ottobre dallo stesso autore pubblicati, quando si seppe
che
la notizia della morte di Scaramuccia era falsa :
la del Petit-Bourbon essendo stata demolita. I nuovi comici italiani,
che
venner ’sta volta a Parigi, furono : la Cortese,
momento non s’han più indizj della presenza di Marinetta a Parigi, il
che
fa credere ch’ ella fosse in quest’ ultimo viaggi
ntate con grande successo le Gelosie di Scaramuccia, Essa gli domandò
che
commedia era : « Sono le gelosie mic » – rispose
c » – rispose Scaramuccia. – « Dunque tu sei becco ! » – « È un pezzo
che
sono famoso in compagnia di tanti altri signori.
di R. 110). Da un diario inedito di Firenze, Ademollo riferisce (ivi)
che
il 17 luglio dello stesso anno venne in verso dal
rigi, vi ricomparve il ’70, ammirato e applaudito come sempre ; tanto
che
per alcuni mesi fu disertato ogni altro teatro, e
ncesco Fiorilli 1’ 8 novembre del ’73, avuto da una certa Anna Doffan
che
non lasciò alcuna traccia sulla vita di lui, ebbe
ol nome di Anna Elisabetta il 29 luglio dell’ ’81 da una certa Duval,
che
fu poi, come vedremo, la disperazione del povero
rè anni, visse i primi due anni in pace col vecchio amoroso : ma, sia
che
l’indole di lei la portasse col pensiero ad altri
ia che l’indole di lei la portasse col pensiero ad altri affetti, sia
che
Scaramuccia la tormentasse oltre il bisogno con l
en presto abbandonata, fe’ ritorno a Parigi e nella casa di Fiorilli,
che
preso di lei pazzamente le perdonò. Luigi XIV, ch
casa di Fiorilli, che preso di lei pazzamente le perdonò. Luigi XIV,
che
di quegli scandali ebbe sentore, s’adoperò con Ma
2_1897_img136.jpg] 27 agosto 1685. – Tiberio Fiorilli ha tanto fatto
che
gli è riuscito avere una lettera di chacet dal Re
in uno dei conventi di Chalot ; ma perchè è un poco lontana per lui,
che
li cominciano a pesare le gambe, è andato a trova
donna, e perchè lei medesima l’ aveva vista quando era al Refugio, e
che
la Superiora del luogo le aveva detto molto bene
rà essere importunato ogni tre giorni, e perchè dice per tutto Parigi
che
è il suo figlio che l’ ha fatta levare e rinserra
o ogni tre giorni, e perchè dice per tutto Parigi che è il suo figlio
che
l’ ha fatta levare e rinserrare, e che ha scritto
tto Parigi che è il suo figlio che l’ ha fatta levare e rinserrare, e
che
ha scritto al Granduca contro di lui, e va facend
gere la lettera di V. S. Ill.ª come fece pure a me iermattina ; vuole
che
esca di casa, e cosi sono dietro col detto vecchi
attina ; vuole che esca di casa, e cosi sono dietro col detto vecchio
che
dice per vivere per due soli mesi al suo figlio,
ol detto vecchio che dice per vivere per due soli mesi al suo figlio,
che
si ritirerà in una camera guarnita, e in questo t
a un soldo e mi bisogna accomodarli di tempo in tempo qualche denaro,
che
m’incomoda, e con questo va qua e là, per non ess
eme, a ragione, della sua vita. Questo volentieri lascerebbe il padre
che
facesse e disfacesse del suo tutto quello che vol
eri lascerebbe il padre che facesse e disfacesse del suo tutto quello
che
volesse, se li desse il denaro per ricondursi a F
l dar nulla, se non li fa un foglio nelle buone forme conforme questo
che
li mando qui segnato A ; il figlio ha fatta la ri
se la lettera segnata C ; li lessi il tutto, ma il vecchio è più duro
che
il cuore di Faraone, maledice chi gli ha fatto le
e il cuore di Faraone, maledice chi gli ha fatto levare la sua donna,
che
quello che diede al suo figlio fu un poltrone che
di Faraone, maledice chi gli ha fatto levare la sua donna, che quello
che
diede al suo figlio fu un poltrone che non lo sep
evare la sua donna, che quello che diede al suo figlio fu un poltrone
che
non lo seppe finire, che lo metterà a S. Lazzero
uello che diede al suo figlio fu un poltrone che non lo seppe finire,
che
lo metterà a S. Lazzero e datone l’ordine ; che n
non lo seppe finire, che lo metterà a S. Lazzero e datone l’ordine ;
che
non vuole venga a Firenze a mangiare il suo. A qu
che non vuole venga a Firenze a mangiare il suo. A questo li risposi
che
non ho mai creduto che a Firenze comandasse che i
Firenze a mangiare il suo. A questo li risposi che non ho mai creduto
che
a Firenze comandasse che il Granduca e non lui. M
. A questo li risposi che non ho mai creduto che a Firenze comandasse
che
il Granduca e non lui. Mi disse che vuole scriver
creduto che a Firenze comandasse che il Granduca e non lui. Mi disse
che
vuole scrivere una lettera a S. Altezza nella qua
re una lettera a S. Altezza nella quale li dirà tutte le pessime cose
che
fa suo figlio ; io li risposi che quello mi dicev
quale li dirà tutte le pessime cose che fa suo figlio ; io li risposi
che
quello mi diceva a me non riguardava che la sua c
a suo figlio ; io li risposi che quello mi diceva a me non riguardava
che
la sua coscienza, che a questa doveva rimediar lu
isposi che quello mi diceva a me non riguardava che la sua coscienza,
che
a questa doveva rimediar lui con il darli per tor
con il darli per tornare in Italia, ma è peggio di un ostinato Turco,
che
più è vecchio innamorato ! Il figlio scriverà una
più è vecchio innamorato ! Il figlio scriverà una lettera a sua madre
che
piglio la libertà di mandarli qui ; glie la facci
i in sicurtà il Valenti, et in breve mi troverò addosso tante sicurtà
che
se mi fanno banco rotto non mi servirà il letto p
mo Sig. padre Se io avessi avuta cattiva intenzione sarebbe un pezzo
che
l’avrei messa in opera, ma mai di mia vita ho pen
mia vita ho pensato a darli un minimo disgusto. Non è la prima volta
che
V. S. mi ha maltrattato per causa delle sue donne
con la moglie per causa di madama Gorle et al presente sono sei anni
che
sono eternamente perseguitato, ferito et cacciato
tato, e sono stato sempre figlio obbediente e rispettoso. Mi dispiace
che
V. S. mi facci queste ingiustizie, ma soprattutto
lle quali io sono innocentissimo ; et V. S. sa benissimo in coscienza
che
è impossibile che io sia stato quello che le pres
innocentissimo ; et V. S. sa benissimo in coscienza che è impossibile
che
io sia stato quello che le prese perchè non avevo
. sa benissimo in coscienza che è impossibile che io sia stato quello
che
le prese perchè non avevo mai visto il suo segret
evo mai visto il suo segreto ne dove fossero le chiavi ; et se è vero
che
V. S. se le sia scordate in camera, era impossibi
et se è vero che V. S. se le sia scordate in camera, era impossibile
che
io potessi sapere il momento e il tempo da potere
per dare satisfatione a V. S. Circa gli interessi gli ho sempre detto
che
non cerco quello che V. S. facci de’ suoi danari,
a V. S. Circa gli interessi gli ho sempre detto che non cerco quello
che
V. S. facci de’ suoi danari, ma che non posso far
sempre detto che non cerco quello che V. S. facci de’ suoi danari, ma
che
non posso farne contratto perchè mi farei un eter
osso farne contratto perchè mi farei un eterno pregiudizio, tanto più
che
conosco che V. S. ha concepito un odio senza pari
ontratto perchè mi farei un eterno pregiudizio, tanto più che conosco
che
V. S. ha concepito un odio senza pari contro di m
he conosco che V. S. ha concepito un odio senza pari contro di me, et
che
dice per tutto di volermi rovinare. La prego a co
dice per tutto di volermi rovinare. La prego a compatirmi et credere
che
non ho mai fatto ne farò cosa che sia indegna di
e. La prego a compatirmi et credere che non ho mai fatto ne farò cosa
che
sia indegna di un figlio obediente come sono semp
come sono sempre stato ; e pregandola a abolire le grandi maledizioni
che
mi ha mandato e a benedirmi come buon padre, rest
ttarne il vecchio Scaramuccia ; tutto quello si è potuto fare è stato
che
dia 60 scudi al figlio per fare il suo viaggio in
i interessi, li bisogna adesso trovare qualche avvocato o Procuratore
che
se ne incarichi e poi subito partirà per ritornar
di Villa2 e come costà muore la Marietta, volere sposare la sua donna
che
è a Scaliot, ma fra tre mesi sarà per mezzo della
nvento di Parigi. Io sto dietro al Conte di S. Mesmè3 acciò faccia si
che
la Granduchessa la faccia maritare quanto prima,
guadagnò la superiora, questa ne disse tanto bene alla Granduchessa,
che
al presente ne vuole avere il pensiero, ma solo d
e al presente ne vuole avere il pensiero, ma solo di farla maritare e
che
Scaramuccia non la tocchi. 24 settembre 1685. –
e e che Scaramuccia non la tocchi. 24 settembre 1685. – Non mi resta
che
pregarla a far sollecitare la moglie del vecchio
ua, e benchè la Serenissima Granduchessa si fussi fatto dare 60 scudi
che
mi fece mandare acciò glie li dessi, come segui,
e i suoi affari e per vivere 20 giorni fuori di casa di suo padre, si
che
anco a questo è bisognato farli dare 20 doppie ch
a di suo padre, si che anco a questo è bisognato farli dare 20 doppie
che
mi ha promesso, subito arrivato a Firenze, in cas
darli la sua benedizione ; questo non vuolse mai, e quando ha sentito
che
era partito, il che gli aveva significato con un
ione ; questo non vuolse mai, e quando ha sentito che era partito, il
che
gli aveva significato con un biglietto, salta e d
a e dice roba scomunicata contro di lui, perchè non l’ha visto e dice
che
vuol lasciare tutto il suo alla sua donna. Adesso
ha visto e dice che vuol lasciare tutto il suo alla sua donna. Adesso
che
la Granduchessa ha le mani in questo negozio e ch
sua donna. Adesso che la Granduchessa ha le mani in questo negozio e
che
lo protegge, non ci posso far altro che fare dare
a le mani in questo negozio e che lo protegge, non ci posso far altro
che
fare dare qualche bussata per la Cinzia5 e la più
ar altro che fare dare qualche bussata per la Cinzia5 e la più vera è
che
la faccia maritare, perchè il vecchio è capace di
caramuccia è sempre a Fonteneblò e. al ritorno del conte di S. Mesmè,
che
deve seguire fra otto giorni, farò battere appres
impietrito e ci vuole un miracolo. 5 novembre 1685. – Già vi scrissi
che
il Carlieri la signora Fiorilli gli aveva pagate
due volte gli ho discorso di volersi intendere col suo figlio adesso
che
è lontano, ma non c’ è stato possibile, e V. S. I
so che è lontano, ma non c’ è stato possibile, e V. S. Ill.ª mi creda
che
non c’ è che Iddio che ci possa rimediare, ma dub
ano, ma non c’ è stato possibile, e V. S. Ill.ª mi creda che non c’ è
che
Iddio che ci possa rimediare, ma dubito non sia d
n c’ è stato possibile, e V. S. Ill.ª mi creda che non c’ è che Iddio
che
ci possa rimediare, ma dubito non sia dal medesim
affatto, poichè in lui non si scorge un minimo pensiero di uomo, non
che
di buon cattolico. 30 settembre 1686. – Conforme
ua Altezza lo sgridò come un miserabile, ma, come è buccia vecchia, e
che
non ha nè onore, nè vergogna, nè, quel che è pegg
, come è buccia vecchia, e che non ha nè onore, nè vergogna, nè, quel
che
è peggio, timor di Dio, li rispose tutte solennis
Dio, li rispose tutte solennissime bugie. La Granduchessa li protestò
che
non ne voleva più sentir parlare, e lo fece uscir
non ne voleva più sentir parlare, e lo fece uscire dal Parlatorio, il
che
esegui con le lacrime agli occhi, ma giudichi V.
arlatorio, il che esegui con le lacrime agli occhi, ma giudichi V. S.
che
lacrime sono. La Granduchessa domandò del Princip
no avanti era stata a Versailles dove Mad. d’Arpajoux gli aveva detto
che
bisognava che lei mandasse via il detto vecchio o
stata a Versailles dove Mad. d’Arpajoux gli aveva detto che bisognava
che
lei mandasse via il detto vecchio ostinato, che S
a detto che bisognava che lei mandasse via il detto vecchio ostinato,
che
S. Altezza8 le replicò che toccava al Re far tale
ei mandasse via il detto vecchio ostinato, che S. Altezza8 le replicò
che
toccava al Re far tale parte. Madama suddetta le
tale parte. Madama suddetta le rispose : Sua Altezza ne parli al Re ;
che
lei rispose : Io non ne voglio parlare a Sua Maes
o vuole lo mandi via lui. Poi cominciò a battere contro la Maestà Sua
che
ogni giorno più strapazza tutti, che è odiato, ch
ò a battere contro la Maestà Sua che ogni giorno più strapazza tutti,
che
è odiato, che non è per anco morto. Che aveva dat
ntro la Maestà Sua che ogni giorno più strapazza tutti, che è odiato,
che
non è per anco morto. Che aveva data una fanciull
co morto. Che aveva data una fanciulla cantatrice a Madama di Guisa ;
che
questa per fargli dispetto l’aveva licenziata, ma
dama di Guisa ; che questa per fargli dispetto l’aveva licenziata, ma
che
lei l’ha obbligata a dargli 50 doppie che ha lei
etto l’aveva licenziata, ma che lei l’ha obbligata a dargli 50 doppie
che
ha lei in mano e rimandargliene in carrozza…. 5
ormo più di nulla e non lo voglio dintorno ; mi manda qualche lettera
che
piglio perchè le credo di servizio del suo sig.r
zio del suo sig.r figlio. Mi dissero a giorni passati in casa Valenti
che
la sua donna è gravida di due mesi ; è stata e sa
dell’ Archivio di Firenze non men di quelle importanti per le notizie
che
lo stesso Fiorilli dà del figliuolo, e per la dat
per le notizie che lo stesso Fiorilli dà del figliuolo, e per la data
che
vi troviamo del suo ritiro dalle scene. A ottanta
no scoperte e presenti è dato di distinguere l’ombre dal lume, la mia
che
dalle imposture fatele si conosce incontaminata s
ali ella m’esprime il core nei trati della penna, ma mi duole al somo
che
la malidicenza m’ abia dipinto in lontananza ( ?)
a malidicenza m’ abia dipinto in lontananza ( ?) più diforme di quelo
che
mi sia acorto de avere provato deboleza per quell
elo che mi sia acorto de avere provato deboleza per quella giovine di
che
ella mi accenna e vorei ridurele al non essere qu
e al non essere quello ch’ è fatto, ma non mi posso pentire di quello
che
io facio non esendo nè in ofesa di Dio, nè in sca
la trasportare in uno altro convento dove sia esente dalla penuria in
che
si trova, e Sua Maestà ch’è un Prencipe nelle rel
certa somma di denaro per maritarla. Tuto questo non è stato risposto
che
in ordine a i consigli del mio confesore e avrei
na misericordia, mi ha dato tanto lume per distinguermi da le bestie,
che
tali son quelli che anno in ricomandatione il sen
ha dato tanto lume per distinguermi da le bestie, che tali son quelli
che
anno in ricomandatione il senso et il capricio. D
sto, e mi a reso a l’idea di V. S. III.ma si sconcio e contrafatto, e
che
la pura verità che a dispeto de’ miei malevoli e
l’idea di V. S. III.ma si sconcio e contrafatto, e che la pura verità
che
a dispeto de’ miei malevoli e preseguitori sarà s
dispeto de’ miei malevoli e preseguitori sarà senpre la stesa. Non ò
che
agungere fori che non è in mio potere il far rito
malevoli e preseguitori sarà senpre la stesa. Non ò che agungere fori
che
non è in mio potere il far ritorno in Italia là d
idare questa mia letera per poterla fare recapitare a mio figlio cosa
che
asai mi preme ò preso ardire confidandomi nella i
a suplico a onorarmi di far ricapitare l’inclusa a mio figlio e spero
che
fenito ch’averò i miei interesi di fraca (Francia
icevere i suoi comandi ; non ma(n)cho di sovenirme le gratie e favori
che
o riceuto da V. S. Ill.ma in Pariggi. E qui rever
le sa[n]tissime feste di Pasqua e in esa dirle come sarebbe sei anni
che
io saria a Fire[n]ce, ma l’avere incontrato un se
saria a Fire[n]ce, ma l’avere incontrato un selerato figlio è cagione
che
io sono ancora in Pariggi. Io averei molto a dire
riggi. Io averei molto a dire de le sue disubete[n]ce e pocho rispeto
che
mi à senpre portato, basta a dirle che se lui non
disubete[n]ce e pocho rispeto che mi à senpre portato, basta a dirle
che
se lui non partiva sarebe morto in prigone per le
o in prigone per le sue infamità. Doppo averli dati nove mila franchi
che
aveva a l’[o]tel de villa per agiu[s]tare un suo
per agiu[s]tare un suo abicioso interese d’una carica conpra se[n]ca
che
io sapesse cosa alquna, e per agustare il vendito
lquna, e per agustare il venditore della sudeta carica conpra se[n]ca
che
io sapesse cosa alquna, e per agustare il vendito
e il venditore della sudeta carica non volendola indieto fu necesario
che
io la pigliase de la quale la vendei nove mila es
e sequestrare con false ragone e subito parti e questa lite è un anno
che
continova con (parola inimelligibile) del suo pro
spero osirne in bene de tutte due e a lascato avochati e prochoratori
che
mi molestano acciò non vadi a Firence per godere
ra al signor A[n]tonio Aveni avochato a ciò mi renda conto de 33 anni
che
mia moglie ha goduti i miei beni tanto delle graz
to de 33 anni che mia moglie ha goduti i miei beni tanto delle grazie
che
per magaminità e bontà di S. A. S. che per molti
i miei beni tanto delle grazie che per magaminità e bontà di S. A. S.
che
per molti anni mi a senpre continovato le sue gra
paleserò la vita disoluta e infame tanto de l’ anima come del corpo,
che
resterà maravigliato. Suplicho e pregho V. S. Ill
i interessi e se potesse aver l’onore da S. A. S. di farglo intendere
che
abia cura de miei interessi mi farà una gran grat
ata della mia partenca a ciò mi onori di suoi comandi. Averei a charo
che
il signor Antonio menegli da sè la risposta. Di V
Umeliss.mo e D.mo obligat.mo Servitore Recordatomi senpre i favori
che
o riceuto da V. S. Ill.ma in Pariggi e la suplico
della mia. Rendo infenite gratie a V. S. Ill.ma de’ boni avertimenti
che
sua bontà mi dà sopra l’anima e riposo della vech
che sua bontà mi dà sopra l’anima e riposo della vecheia. Sono 2 anni
che
mi sono levato e ritiratomi dalle sene comiche e
ono levato e ritiratomi dalle sene comiche e se non fose stato quello
che
camo mio figlio sarebe a casa sei anni sono ; ma
o figlio sarebe a casa sei anni sono ; ma perchè mi fece una infamità
che
fu costreto a partire di Pariggi e non solo io fu
e non solo io fui da lui disgostato, come ancho la S. G. D. a segnio
che
quando torno fosimo a reverirla non lo volse vede
he quando torno fosimo a reverirla non lo volse vedere e mi fece dire
che
non avenga mai più con lui, avendo quest’ homo qu
ca di comisario di guera senca lagrema de Mosiù Delove dove non volse
che
la esercitasse. E perchè per l’ amor grande che l
Delove dove non volse che la esercitasse. E perchè per l’ amor grande
che
li portavo li fece in el suo matrimonio donacione
rnare per agiustarsi con il venditore e per g[i]ustarlo à bisog[n]ato
che
io le dia 9mila fra[n]chi che avevo su l’otel de
nditore e per g[i]ustarlo à bisog[n]ato che io le dia 9mila fra[n]chi
che
avevo su l’otel de Villa e lui li diede una G[u]e
la fra[n]chi che avevo su l’otel de Villa e lui li diede una G[u]erra
che
ebe chon ingano dal fratello de la moglie per 10
rra che ebe chon ingano dal fratello de la moglie per 10 mila franchi
che
il fratello era erede della terra e perchè la ter
erra aveva molti debiti prestai dechontanti 9mila e sei cento franchi
che
ò apreso di me l’obligatione per notaro dicendo v
a a dove io la vedei, la vendei 8mila fra[n]chi e ne perse mile de’ 9
che
li diede e avendo il notaro in mano il denaro il
sso un’ altra lite al parlameto e poi mi fece dire : dite a mio padre
che
se viene a Firence che non comadi i suoi servitor
arlameto e poi mi fece dire : dite a mio padre che se viene a Firence
che
non comadi i suoi servitori ne meno il fatore mi
omadi i suoi servitori ne meno il fatore mi averebe dato una camera e
che
adasi a magiare e non pesase ad altro. Questa è l
agiare e non pesase ad altro. Questa è la riconpesa delle mie fatiche
che
con il mio sodore ò aquistato, come V. S. Ill.ma
aquistato, come V. S. Ill.ma n’è bene informata ; veda se un ingrato
che
non a mai portato un bichero di aqua in casa, e d
se un ingrato che non a mai portato un bichero di aqua in casa, e da
che
lui è in casa mi chosta più de 20 mila schudi. No
hosta più de 20 mila schudi. Non li scrivo le chave false e latrocini
che
mi à fato e goderli con le done, non scrivo le sv
oderli con le done, non scrivo le svirgenature fatte, ve n’ è 2 fatte
che
farebe rizare i capelli a chi le sentise, ma a bo
irle achora sarebe troppo lugo basta a diri ch’ è peggio d’uno faista
che
a bocha li dirò il tutto come i strapacci fatomi.
. Suplicho V. S. Ill.ma se con questa mia lo infastedisco e l’asicoro
che
quato li scrivo è l’evagelio – e qui resto. Di P
(Le parole seguenti, forse, vanno lette dopo : il dirle ackora….) :
che
corro ogni gorno per i Tribonali. Ill.mo Signor
parte a V. S. Ill.ma come sono risoluto di pasarmene a casa e subito
che
sua Maestà sarà de ritorno chiederò la mia licenc
che sua Maestà sarà de ritorno chiederò la mia licenca. Dui anni sono
che
sarebe partito e sarebbe ritornato col figlio a c
lascato 2 lite contro di me, una al casteleto, e l’atra al parlamento
che
sinora ò speso ni lite cento scudi e non ò anchor
votiss.mo servitore Pariggi li 9 Gunio 1692. Tiberio Fiorilli. Morta
che
fu Marinetta, Scaramuccia sposò finalmente la Duv
il dì 8 di maggio del 1688 nella chiesa di S. Salvatore ; matrimonio
che
fu come il colpo di grazia pel vecchio ottuagenar
(op. cit.) : …. per la forma è una imitazione dell’abito spagnuolo,
che
da tanto tempo era a Napoli l’abito di Palazzo, d
u costretti a toglier dalle Compagnie dei comici napolitani un attore
che
sostituisse il Capitano spagnuolo : Scaramuccia n
uolo : Scaramuccia ne prese il posto. In Italia egli non fu mai altro
che
capitano, mentre in Francia fu d’ ogni cosa un po
adro di Porbus (1572) rappresentante un ballo alla Corte di Carlo IX,
che
il Duca di Guisa (il Balafré) vi era in costume d
nite sono le testimonianze : comincio da quella di Evaristo Gherardi,
che
mi par s’abbia a ritener la migliore ; ed ecco pe
di somma prestata, e i quali egli negava di dover pagare, affermando
che
l’obbligazione gli era stata carpita in quei term
fermando che l’obbligazione gli era stata carpita in quei termini, ma
che
la somma era dal Fiorilli pretesa quale mediazion
zione all’ entrata del Gherardi nella Compagnia italiana. Il Gherardi
che
aveva perduto la causa, non doveva dunque avere i
lto tenero verso il suo glorioso avversario. Ma ecco la testimonianza
che
si trova nell’Atto II, Scena VII di Colombine avo
our le couvrir de calomnie. A questa del Gherardi fo seguire i versi
che
il Loret pubblicò nella Muse historique del 23 ma
i parole, unite a quelle del Gherardi, possiam trarre argomento certo
che
il Fiorilli fosse assai più gran mimo, che grande
iam trarre argomento certo che il Fiorilli fosse assai più gran mimo,
che
grande attore. Anche il 22 novembre del ’60 prese
nè punto nè poco ; Molière si prende giuoco di essi stessi…. ed è ciò
che
non posson patire. » 1. S. Lazzero era una casa
a una casa di correzione di Parigi. 2. Luoghi di monte erano quello
che
oggi si direbbe cartelle del debito pubblico, o a
scoperte di Ticone, di Keplero, del Galilei, del Cassini? Chi negherà
che
oggi dietro la scorta di tali insigni corifei si
lcoloa e telescopio. Con non meno invidiabil riuscita i grandi uomini
che
portarono i loro sguardi su tutta la natura, sepp
a, seppero anche discendere alle più minute osservazioni degli esseri
che
la compongono. Gli animali poco al l’apparenza im
i Templey, i Bonnet, allorchè spaziano per l’ampiezza del l’universo,
che
quando minutamente indagano la storia particolare
prio abisso sepolta la maggior parte delle maraviglie della natura. E
che
diverrebbe singolarmente delle belle arti? Raffae
o come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta
che
vegeti, o animale che senta. Dotato della ragione
figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti, o animale
che
senta. Dotato della ragione dono divino della, su
leggi del moto e del corso de’ pianeti, non ne meritano minori quelle
che
dirigono le azioni morali degli uomini divisi in
riguardi. Scuoprono talora le scienze esatte alcune verità ingegnose
che
pur non recano utilità verunaa: a somiglianglianz
i esistenza è per gli ultimi telescopii inglesi ugualmente assicurata
che
inutile a tramandare al nostro pianeta luce maggi
a tramandare al nostro pianeta luce maggiore. E se la geometria, più
che
per le utili verità che insegna, si rende commeda
pianeta luce maggiore. E se la geometria, più che per le utili verità
che
insegna, si rende commedabile per l’attitudine ch
er le utili verità che insegna, si rende commedabile per l’attitudine
che
somministra agl’ingegni tutti per bene e coerente
iustezza a formare grandi legislatori morali e politici tanto per ciò
che
l’una società debbe all’altra, quanto per quello
ci tanto per ciò che l’una società debbe all’altra, quanto per quello
che
debbonsi mutuamente gl’individui di ciascuna: ma
ranno mai nè più pregevoli nè più necessarie a conoscersi delle leggi
che
immediatamente gli uomini governano. V’ha dunque
llità di ogni stato bastar potesse il gastigare o prevenire i delitti
che
lo sconcertano, l’armata sapienza delle leggi è q
i delitti che lo sconcertano, l’armata sapienza delle leggi è quella
che
presta alle società l’opportuno soccorso per atte
quale antidoto forniscono le stesse leggi contro questo lento veleno
che
serpeggia per le nazioni e le infetta? Esse leggi
e le infetta? Esse leggi contente di recidere ad ogni bisogno i rami
che
lussureggiano, non cercano di correggere le radic
ssureggiano, non cercano di correggere le radici viziate e le cagioni
che
le viziano ed affrettano la morte della pianta. M
e, al dir di Orazio, colla forca giugne a sterminarsi; ed ossserviamo
che
da per tutto quasi sempre i costumi col tempo sog
ertono in costumi. Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza
che
sappia correggere i costumi; e non essendo essi a
la sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro
che
abiti contratti per opinioni vere o false, nostre
tumi bisogna raddrizzare le opinionia. La sapienza adunque precettiva
che
si occupa a far la guerra agli errori naturali ed
re scienze la pubblica gratitudine? E non ebbero ragione gli antichi,
che
a questa scienza che migliora l’intendimento e re
a gratitudine? E non ebbero ragione gli antichi, che a questa scienza
che
migliora l’intendimento e rettifica la stessa vol
scienza che migliora l’intendimento e rettifica la stessa volontà, e
che
Socrate trasse dal cielo, diedero per eccellenza
esi e simili insigni filosofi morali? Pure sono mai moltissimi quelli
che
svolgono i libri de’ filosofi morali? Tutto il po
fficienza e durevole per tutto il cammino della vita? Il mondo ideale
che
si contempla nelle proprie case e ne’ collegj, è
ideale che si contempla nelle proprie case e ne’ collegj, è lo stesso
che
ci si presenta quando da questi usciamo? Qual dis
unque principalmente in tal tempo abbisogniamo di un saggio educatore
che
alla giornata ci ammonisca e ci mostri passo pass
l governo. Vorrebbe sopratutto essere spoglio di ogni aria magistrale
che
riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo che
ogni aria magistrale che riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo
che
cerca ristoro dopo della fatiga. Ora se v’ha tra
rtamento dottrinale e mascherarsi di piacevolezza? Ben possiamo dire,
che
a somiglianza de’ numi della mitologia che cinti
olezza? Ben possiamo dire, che a somiglianza de’ numi della mitologia
che
cinti di umane spoglie viaggiarono e conversarono
li di sapienza, la poesia drammatica si trasforma negli uomini stessi
che
prende ad ammaestrare. Può aggiugnersi che essa a
sforma negli uomini stessi che prende ad ammaestrare. Può aggiugnersi
che
essa al pari dello scudo di Ubaldo ci dipigne e r
uesta si presenta alla vista: quella sa supporre un rigido precettore
che
gravemente ammonisce, questa affabile e popolare
uesta affabile e popolare in aria gaja e gioconda non mostra all’uomo
che
l’uomo stesso: quella parla nudamente al l’intend
questa una bevanda vitale insieme e grata al palato. La ragione umana
che
sugerì sì vaga ed utile morale rappresentativa, q
i sedicenti coltivatori de’ severi studii, i quali sdegnano tutto ciò
che
non è algebra, nè delle meschine rimostranze di q
tite fra i bicchieri delle tavole grandi da certi ridevoli pedantacci
che
ostentano per unico lor vanto l’essersi procaccia
asi più dall’esempio di tanti e tanti veri filosofi, e valent’ uomini
che
ne ragionano consommo vantaggioa che dagli schiam
veri filosofi, e valent’ uomini che ne ragionano consommo vantaggioa
che
dagli schiamazzi delle cicale letterarie che decl
nano consommo vantaggioa che dagli schiamazzi delle cicale letterarie
che
declamano contro di essa senza aver mai saputo ch
cicale letterarie che declamano contro di essa senza aver mai saputo
che
cosa è l’uomo, che società, e che coltura general
che declamano contro di essa senza aver mai saputo che cosa è l’uomo,
che
società, e che coltura generale delle nazioni. Ni
ontro di essa senza aver mai saputo che cosa è l’uomo, che società, e
che
coltura generale delle nazioni. Niuno screditerà
gli spettacoli teatrali o chi gli coltiva con felicità, se non colui
che
ne paventa la censura. Dà del bastone sullo specc
vi bisognerebbe quel lieto nido, quell’esca dolce, quelle aure soavi
che
bramano i cigni per elevarsi al Parnaso, ed a me
ed a me di ciò in vece sovrabbondarono lungo tempo solo cure mordaci
che
me ne respinsero, ed oggi è tempo che i ruscelli
o lungo tempo solo cure mordaci che me ne respinsero, ed oggi è tempo
che
i ruscelli io chiuda, Poichè di bere omai son sa
zii i prati. Mi contenterò intanto di narrare più pienamente di quel
che
altra volta non feci, gli sforzi fatti sino a que
e. E giacchè con non isperata benignità accolse il pubblico il saggio
che
ne diedi l’anno 1777 nella Storia critica de’ tea
uova impressione della mia storia teatrale, ma sì bene un nuovo libro
che
con nuova sospensione d’animo presento al pubblic
chi sa se egli accorderà a queste ultime cure il benigno accoglimento
che
concesse alle primiere? Contento di aver quì acce
ile per chi ha da leggere l’opera il prevenirlo delle moltissime cose
che
la rendono del tutto nuova. Dirò solo quanto allo
sime cose che la rendono del tutto nuova. Dirò solo quanto allo stile
che
dopo l’autorevole approvazione dell’elegantissimo
a, non avrei osato di partirmi da quella energica facile schiettezza
che
invita a leggere un libro istorico. Ho cercato an
purezza del linguaggio evitando ugualmente la studiata fiorentineria
che
la dispotica libertà di alterarne l’indole. Quind
ineria che la dispotica libertà di alterarne l’indole. Quindi vedendo
che
il Cotta, il Salvini, il Conti, il Maffei, l’Alga
o avuto ritegno di adottare le voci analizzare, interessare nel senso
che
le si dà in Francia, e personificare, benchè non
nza dar retta a’ rigidi puristi, colla sicurezza di svegliare le idee
che
io vò manifestare, e colla probabilità che simili
rezza di svegliare le idee che io vò manifestare, e colla probabilità
che
simili verbi transalpini non tarderanno a ricever
italiana da chi pensa di aver dritto a torla o a donarla. Egli è vero
che
io usai ancora nella prima edizione e ritengo in
empio, il termine tecnico della danza piroettare tratto del francese,
che
mi fu notato dal medesimo purissimo Bettinelli co
e (peccatore ostinato!) perchè quell’istantaneo girare su di un piede
che
sa il ballerino, è così detto in Francia qui tant
anza moderna, e s’intende in Italia, dove la cosa è trasportata senza
che
abbiavi sinora un vocabolo patrio equivalente. Nè
equivalente. Nè anche ho del tutto bandito il latinismo interloquire
che
tecnico può dirsi della drammatica, sembrandomi c
ce turbinando dandole di più un senso differente dal latino turbinare
che
equivale all’aguzzare de’ Toscani: nel poema dell
ccolte disse trica, eliconide sostantivo, prosatori ed altri vocaboli
che
gli furono vigorosamente notati dagli Amici del F
cc. La parola gergone mi su parimente dal medesimo letterato ripresa,
che
oggi ancora a me sembra pura italiana. Dessa è ma
ripresa, che oggi ancora a me sembra pura italiana. Dessa è mai altro
che
un aumentativo di gergo che in Toscana favella si
e sembra pura italiana. Dessa è mai altro che un aumentativo di gergo
che
in Toscana favella significa un parlare oscuro di
parole comuni a queste due belle lingue sorelle? Vi ha qualche regola
che
prescriva che debbono fuggirsi le parole domestic
a queste due belle lingue sorelle? Vi ha qualche regola che prescriva
che
debbono fuggirsi le parole domestiche quando rass
ne insieme e con libertà, ho procurato conservare quella imparzialità
che
non può dall’onesto scrittore andar disgiuntaa. I
vrà mai parte il cuore, imperocchè, non
che
farmi Cieco su’ miei stessi capricci, ardisco Con
battaglia, per valermi del concetto di Pope e delle parole del Gozzi
che
tradusse il di lui Saggio di Critica. Ecco quanto
o io ho fatto in quest’opera per diletto ed istruzione della gioventù
che
ama la poesia rappresentativa. Avrò colpito nel s
segno? Deciderà il pubblico illuminato e imparziale. A me basterebbe
che
le mie vigilie o almeno i principii additati in q
lenza della drammatica ottenessero il frutto d’insinuare la necessità
che
hanno le società colte di preparare agli stranier
he hanno le società colte di preparare agli stranieri un Buon Teatro,
che
, in vece di essere un seminario di schifezze e di
nt d’elles mêmes. a. Lib. IV, c. 4 a. Montesquieu non apprezzava
che
i drammatici, e gli chiamava (nella lettera 137 d
Giacomo Rousseau. a. L’edizione di cui quì parla l’Autore, è quella
che
incominciò nel 1787, e terminò col sesto volume u
iori e le traduzioni oltramontane compruovano la riuscita dell’opera,
che
ci determina a quest’ultima edizione. a. Vedi la
a. Usò nel senso francese pomper la voce italiana trombare. E’ vero
che
la parola tromba fra noi significa tromba da sona
lir l’acqua; ma il verbo trombare altro non ha espresso fra’ Toscani,
che
propriamente sonar la tromba e figuratamente pubb
amente pubblicare e dire a voce alta. b. Gli architetti hanno voluta
che
è un ornato spirale del capitello Jonico; ma non
pitello Jonico; ma non ho trovato fra’ Toscani usata questa nel senso
che
le diede Saverio Bettinelli di globo o vortice di
alia pizzicagnoi, ricciuolo, toletta, cordicetta, stiticoso, ed altre
che
usò il gesuita Bettinelli nel poema delle Raccolt
re che usò il gesuita Bettinelli nel poema delle Raccolte. Di maniera
che
se taluno in vece di ragionare volesse scarabboch
accordarmi questa lode l’abate Bettinelli nella citata prefazione. Al
che
stringendomi nelle spalle mi acqueterò col volgar
lo: nadie tiene mas opinion de la que le quieren dar . A quello però
che
egli aggiugne, cioè che ciò sia per non aver io
nion de la que le quieren dar . A quello però che egli aggiugne, cioè
che
ciò sia per non aver io letto gli autori , o per
per non aver io letto gli autori , o per non avergli intesi , dirò
che
la continuata approvazione del pubblico par che a
avergli intesi , dirò che la continuata approvazione del pubblico par
che
abbia deciso contro di questa sua magistrale se n
o poi troppe volte mostrato nelle Vicende della Coliure delle Sicilie
che
l’esgesuita Bettinelli nel Risorgimento ha dato
con un libro intero i Veneziani nel 1758. Dirò ancora con certa pena
che
gliel mostrò pure uno straniero, quando gli rimpr
rico terzo di Portogallo, e di non aver letto nè Tostado nè i Teologi
che
l’aveano citato. Ad un bisogno potrei allungare l
rid verso il settentrione in mezzo a un querceto una casa di campagna
che
denominò Zarzuela 29. Egli solea in essa trattene
recita nuda di tutta la favola il canto di certe canzonette frapposte
che
diremmo arie. Tali rappresentazioni dal luogo ove
le proprie zarzuelas, benchè in esse il canto riesca più inverisimile
che
nell’opera vera. Non ne hanno però un gran numero
itte da Don Miguèl Higueras sotto il nome di un Barbero de Foncarràl,
che
questa fu la prima e l’ultima opera seria spagnuo
li esteri l’imbattersi in tal fanfaluca, e ben difficile a’ nazionali
che
se ne curino, diamone qualche contezza. Essa cont
el mondo il sig. La Cruz di declamar tanti anni contro i compatriotti
che
inculcavano le moleste unità; e non ebbi io torto
ivo, nè sa con questo interromperne la frequenza ed evitar la sazietà
che
si produce anche coll’ armonia quando è perenne.
dato nella poesia greca e latina al solo Giove) lodando Achille dice
che
il di lui nome solo è definizione degna di lui: d
il di lui nome solo è definizione degna di lui: di Agamennone si dice
che
gli eroi della Grecia si gloriano d’essergli sogg
paramos los brazos de los cuellos de las esposas, volendosi dire
che
si sono distaccati dagli amplessi delle consorti,
i colli possa parer piuttosto un’ esecuzione di giustizia: di un reo
che
involge gl’ innocenti nella sua ruina, dicesi con
cia ad una pecora, dalle quali il lupo strappa gli agnelli: per dirsi
che
Agamennone nè vuol cedere Criseida nè permettere
nelli: per dirsi che Agamennone nè vuol cedere Criseida nè permettere
che
sia riscattata, si dice con tutta proprietà casti
ermettere che sia riscattata, si dice con tutta proprietà castigliana
che
ni cederla quiere ni redimirla, quasi che dovesse
tutta proprietà castigliana che ni cederla quiere ni redimirla, quasi
che
dovesse egli stesso riscattarla da altri. Or tocc
attarla da altri. Or tocca al La Cruz, al Sampere ed a tutta la turba
che
gli applaude, a conciliar tutto ciò colla loro li
ol senso comune. Si conchiude con un’ aria in cui Calcante profetizza
che
il sole irritato convertirà en temor nuestras ale
o dalla peste? Si aggiugne un’ altr’aria di paragone di un fresco rio
che
coll’ umor frio feconda le piante, ma se poi è tr
un pantano vil altivo, questo rio annega ogni cosa. Veramente un rio
che
sbocca in un pantano non può che impantanarsi anc
o annega ogni cosa. Veramente un rio che sbocca in un pantano non può
che
impantanarsi anch’ esso, e non sommerger tutto, m
a questa la sua libertà, ed ella grata gli augura una corona di lauro
che
Apollo idolatra; ma immediatamente poi nell’aria
i di lui capelli fiorire i rami di tal mirto; e nella seconda parte (
che
conviene alla prima come il basto al bue) si dice
igni contro una verità notoria dell’elezione di Agamennone, con dirsi
che
forse sia stato eletto per capo da pocos hombres.
o al mar tempestoso e medita vendette, e nella seconda parte di essa,
che
non ha che fare col primo pensiere, si dice, s
mpestoso e medita vendette, e nella seconda parte di essa, che non ha
che
fare col primo pensiere, si dice, sin tus perf
ede Briseida ed Achille in quel luogo; ed il servo disubbidiente dice
che
gli ha enunciati, ma non è passato oltre per comp
ma non è passato oltre per compassione, e canta un’ aria di un tronco
che
cede alla forza ma mostra colla resistenza il pro
ede alla forza ma mostra colla resistenza il proprio dolore, sentenza
che
quando non fosse falsa, impertinente ed inutile p
amanti un’ espressione per isdegno men misurata, come mai Agamennone
che
offende Achille col togliergli l’ amata, può per
on una circostanziata analisi dell’atto II? Contentiamci di accennare
che
pari meschinità di concetti, trivialità d’espress
à di termini si trova nel rimanente30. Aggiungiamo solo alla sfuggita
che
tutte le arie sono stentate, inarmoniche, difetto
se nella sintassi e contrarie o distanti dal pensiero del recitativo:
che
vi si trova uguale ignoranza delle favole Omerich
i trova uguale ignoranza delle favole Omeriche e de’ tragici antichi:
che
Briseida augura ipocritamente ad Achille che giun
e e de’ tragici antichi: che Briseida augura ipocritamente ad Achille
che
giunga à gozar del amor de su Ifigenia, ign
d Achille che giunga à gozar del amor de su Ifigenia, ignorando
che
la sacrificata Ifigenia per miracolo di Diana ign
miracolo di Diana ignoto a’ Greci dimorava nel tempio della Tauride:
che
la stessa Briseida lo prega ad intenerirsi, y
u Briseida aniquiles, abrases y consumas, colle quali parole par
che
attribuisca al ferro le proprietà del fuoco di an
al ferro le proprietà del fuoco di annichilare, bruciare, consumare:
che
Achille vuole che gli augelli loquaci siano muti
ietà del fuoco di annichilare, bruciare, consumare: che Achille vuole
che
gli augelli loquaci siano muti testimoni (los paj
uaci siano muti testimoni (los pajaros parleros sean mudos testigos):
che
il medesimo dice di avere appreso da Ulisse à
lle sirene se non dopo la morte di Achille e la distruzione di Troja:
che
anche profeticamente l’istesso Achille indovina c
ruzione di Troja: che anche profeticamente l’istesso Achille indovina
che
l’uccisore di Patroclo sia stato Ettore, perchè n
i Patroclo sia stato Ettore, perchè nel dramma niuno gliel’ ha detto:
che
Agamennone dice ad Achille che vedrà al campo il
rchè nel dramma niuno gliel’ ha detto: che Agamennone dice ad Achille
che
vedrà al campo il corpo di Patroclo pasto fata
o il corpo di Patroclo pasto fatal de las voraces fieras, bugia
che
contraddice al racconto di Omero che lo fa venire
de las voraces fieras, bugia che contraddice al racconto di Omero
che
lo fa venire in potere de’ Mirmidoni; nè poi Achi
o gentilmente differire di manicarselo sino al di lui arrivo: in fine
che
l’autore dovrebbe informarci perchè Briseida di L
e, cioè la tonadilla e la seguidilla, narrazioni fatte per la musica,
che
tal volta si distendono a più scene e si cantano
musica più seria, ai gorgheggi, alle più difficili volate; di maniera
che
con mala elezione ha cangiato il proprio caratter
ggio del Prado: in un’ altra si personificò la Cazuela e la Tertulia,
che
sono due palchettoni del teatro32. II. Opera
86. In Aranjuez, nell’Escurial, in San Ildefonso e nel Pardo in tempo
che
vi dimorava la Corte dal 1767 s’introdussero le o
veduti nella fine del 1777 erano più regolari e più grandi di quelli
che
oggi esistono in Madrid, ma sventuratamente in di
sventuratamente in diverso tempo entrambi soggiacquero ad un incendio
che
gli distrusse. Sussistono quelli di Lisbona e di
quelli detti Corràl del Principe e Corràl de la Crüz. Del real teatro
che
prende il nome dal Ritiro su l’architetto Giacomo
cene non sopra del palco ma sotto di esso nel comodo e spazioso piano
che
vi soggiace; quanto per agevolare l’apparenza del
il vantaggio singolare di poter far uso del gran giardino del Ritiro
che
le stà a livello, e dà spazio conveniente alle lo
campamenti e simili decorazioni. Vi si osservano tuttavia le macchine
che
servirono per la rappresentazione della Nitteti,
ono per la rappresentazione della Nitteti, cioè un gran sole, la nave
che
si sommergeva, le macchine che imitavano la grand
la Nitteti, cioè un gran sole, la nave che si sommergeva, le macchine
che
imitavano la grandine, un gran carro trionfale &a
n altra forma, l’architetto pensò a profondarne il pavimento in guisa
che
per andare alla platea dovea scendersi. Ciò si di
oni sceniche, quando ancora non eranvi teatri fissi. Era natural cosa
che
le famiglie che abitavano in simili case, avesser
ando ancora non eranvi teatri fissi. Era natural cosa che le famiglie
che
abitavano in simili case, avessero il diritto di
elle case e di quelle corti nella costruzione sì de’ palchi superiori
che
della platea e dello scenario inferiore, e ritenn
scenario inferiore, e ritennero il nome di corrales. Madrid ne ha due
che
appartengono al corpo politico che rappresenta la
nome di corrales. Madrid ne ha due che appartengono al corpo politico
che
rappresenta la Villa, come in Napoli la Città, e
icaronsi, nè l’autore del Viaggio di Spagna cel fa sapere. Si sa solo
che
quello de la Cruz più difettoso dell’altro, fu il
antico e di moderno per la scalinata anfiteatrale e per li palchetti
che
hanno. La figura di quello del Principe si scosta
altro è mistilinea, congiungendovisi ad un arco di cerchio due linee
che
pajono rette perchè s’incurvano ben poco, onde av
due linee che pajono rette perchè s’incurvano ben poco, onde avviene
che
da una buona parte de’ palchetti vi si gode poco
olamente entravano ed uscivano gli attori con tutti gl’ inconvenienti
che
nuocono al verisimile e guastano l’illusione. Per
a scena con cortinas un sonatore di chitarra per accompagnar le donne
che
cantavano, raddoppiandosene la sconvenevolezza, p
i scaglioni posti in giro l’uno sopra l’altro a foggia di anfiteatro,
che
si chiamano la grada. Circonda la fascia superior
Circonda la fascia superiore di questa scalinata un corridojo oscuro
che
anche si riempie di spettatori, ed a livello del
eggono unite in un gran palco dirimpetto alla scena, chiamato cazuela
che
congiunge i due archi della grada. L’uno e l’altr
la scena, girano di tal modo per non impedire la vista a i corridoj,
che
riguardano al punto opposto, cioè alla cazuela 33
tracciare la vera origine, tuttochè ne richiedessi varj eruditi amici
che
frequentavano i teatri. Alcuno mi disse che il no
edessi varj eruditi amici che frequentavano i teatri. Alcuno mi disse
che
il nome di Polacchi venne da un intermezzo, o da
or celeste. Qualche sconcerto nato tralle due fazioni, e l’ animosità
che
ne risultava, determinò la prudenza di chi govern
li partiti di Chorizos y Polacos appena una fredda serena parzialità,
che
ad altro non serve se non che a sostenere un mome
os appena una fredda serena parzialità, che ad altro non serve se non
che
a sostenere un momento di conversazione ne’ caffè
n dones, per dire di vincerlo con regali; chiamar argonautas marinari
che
non navigano sulla nave Argo nè si distinguono pe
ontano non osiamo arrischiare le nostre congetture, tuttochè sappiamo
che
il Teatro del sig. La-Cruz siasi impresso por sus
a verità di questa descrizione per suo natural costume di non credere
che
a se stesso ed a’ suoi corrispondenti che l’ingan
ural costume di non credere che a se stesso ed a’ suoi corrispondenti
che
l’ingannano con false notizie. Io appello dal suo
amila abitatori di Madrid, e ad un milione di altri Spagnuoli viventi
che
avranno veduti i descritti due teatri. Essi diran
di undici pagine ed otto versi del suo gran Prologo, cui nulla manca
che
un morrion. A penas hay (egli intona per antifon
gereza, equivocacion, o falta de instruccion del Signorelli. Aggiugne
che
anche i meno affezzionati alle commedie saben (sa
ggiugne che anche i meno affezzionati alle commedie saben (sanno) ciò
che
ignora il Signorelli, e questo saben si ripete be
ggio di risparmiar la spesa d’imprimerli. Vediamo dunque soltanto ciò
che
importino i suoi saben. Saben I: “che i partiti
i. Vediamo dunque soltanto ciò che importino i suoi saben. Saben I: “
che
i partiti de’ Chorizos e Polacos sussistono nel p
ore”. In buon’ ora sia. Se ciò in castigliano e in italiano significa
che
di questi partiti non si sono ancora aboliti i no
ca che di questi partiti non si sono ancora aboliti i nomi, io vorrei
che
mi si rinfacciasse dove abbia io detto il contrar
i si rinfacciasse dove abbia io detto il contrario. Avendo io scritto
che
ne rimane oggi appena una fredda e serena parzial
nte l’esistenza? E’ colpa mia s’egli ignorava l’italiano? Saben II: “
che
il nome di Chorizos venne da i chorizos che mangi
a l’italiano? Saben II: “che il nome di Chorizos venne da i chorizos
che
mangiava certo buffone in un tramezzo, e quello d
angiava certo buffone in un tramezzo, e quello di Polacos da un fatto
che
Huerta sa ma che non vuol dire”. Notizie pellegri
fone in un tramezzo, e quello di Polacos da un fatto che Huerta sa ma
che
non vuol dire”. Notizie pellegrine! Io per altro
Higueras, Robira, Morales &c., nè costoro più ne sapevano di quel
che
io dissi. Io non poteva informarmene dall’Huerta
sapevano di quel che io dissi. Io non poteva informarmene dall’Huerta
che
dimorava in Oran, altrimente avrei arricchita la
’ chorizos, ed avrei manifestata l’origine famosa de’ Polacos dicendo
che
consisteva in certa notizia che Huerta sapeva e c
l’origine famosa de’ Polacos dicendo che consisteva in certa notizia
che
Huerta sapeva e che non volea dire. Saben III: “
’ Polacos dicendo che consisteva in certa notizia che Huerta sapeva e
che
non volea dire. Saben III: “che è una crasitud a
in certa notizia che Huerta sapeva e che non volea dire. Saben III: “
che
è una crasitud affermare che questi partiti si di
apeva e che non volea dire. Saben III: “che è una crasitud affermare
che
questi partiti si distinguono per la loro passion
uertisti, in qual libro ciò suppone o dice il Signorelli? Saben IV: “
che
non vi sia stata mai altra insolenza di tali part
si los apasionados alternativamente alguna puñada”. Se Huerta credeva
che
colla parola insolenza io avessi preteso indicare
re qualche giornata campale simile a quella de’ Mori e del re Rodrigo
che
decise del dominio delle Spagne, ebbe tutta la ra
cidere a pugni del merito delle rappresentazioni? Era bagattella quel
che
aggiugne senza avvertire alle conseguenze delle s
alle conseguenze delle sue parole? Vediamolo passando al. Saben V: “
che
la disposizione data di unire i prodotti de’ due
rdini derivati da due partiti”. E qual ragione adduce di ciò? questa:
che
il regolamento di fare una sola cassa seguì due a
i dopo. Egli ha ragione: la medicina dovea precedere i mali. Nega poi
che
vi fossero state contese e sconcerti; ma il bello
ali. Nega poi che vi fossero state contese e sconcerti; ma il bello è
che
dell’unione delle casse reca questa ragione, cioè
; ma il bello è che dell’unione delle casse reca questa ragione, cioè
che
il Governo volle con ciò rimediare alla prepotenz
o volle con ciò rimediare alla prepotenza alternativa de’ due partiti
che
rendeva disuguale il guadagno, e cagionava intrig
a intrighi e maneggi nella formazione delle compagnie. Chi crederebbe
che
ciò si producesse a provare che tali partiti non
zione delle compagnie. Chi crederebbe che ciò si producesse a provare
che
tali partiti non apportarono contese e sconcerti?
ovare che tali partiti non apportarono contese e sconcerti? Alla fine
che
cosa sono quattro pugni dall’una parte e dall’alt
e dall’altra di tempo in tempo, ed un poco di vicendevole prepotenza
che
alimentava la discordia in un pubblico ed influiv
blico ed influiva nella formazione delle compagnie? Confessa in oltre
che
allora si unirono gl’ interessi delle due compagn
ressi delle due compagnie e si fece una cassa; ma non vuol per questo
che
componessero un corpo solo. Unico corpo secondo l
in due teatri le proprie commedie. Frattanto egli sopprime la notizia
che
il Governo intento a dissipare ogni motivo di par
che il Governo intento a dissipare ogni motivo di parzialità dispose
che
le due compagnie alternassero le proprie recite u
eatro del Principe ed un altro in quello della Cruz. Dissimula ancora
che
le due compagnie formano un solo corpo, avendo un
cora che le due compagnie formano un solo corpo, avendo un solo monte
che
alimenta gl’ individui di entrambe dopo aver serv
ombrero chambergo non è in Ispagna più antico della Guardia Chamberga
che
l’usava in tempo di Carlo II”. S’egli avesse parl
ga che l’usava in tempo di Carlo II”. S’egli avesse parlato nel tempo
che
io ancora dimorava in Madrid, gli avrei mostrato
tempo che io ancora dimorava in Madrid, gli avrei mostrato facilmente
che
s’ ingannava anche in questo, e che la voce chamb
id, gli avrei mostrato facilmente che s’ ingannava anche in questo, e
che
la voce chambergo potè nascere dalla detta Guardi
inos e de’ La Cruz) codesta profonda erudizione tutta chamberga, cioè
che
cade da tutti i lati, che cosa fa mai al caso nos
a profonda erudizione tutta chamberga, cioè che cade da tutti i lati,
che
cosa fa mai al caso nostro? Ha date forse il Sign
o gli sconcerti teatrali? Non l’ha egli noverato fralle altre cagioni
che
incoraggivano la male intesa libertà del volgo? Q
un tempo la poca sincerità del sig. Huerta, rammento agl’ imparziali,
che
tali furono le popolari insolenze, che prima il G
rta, rammento agl’ imparziali, che tali furono le popolari insolenze,
che
prima il Governo di Madrid, indi il celebre conte
ra, discacciandone la ridevole comparsa della chitarra; con decretare
che
all’alzarsi il sipario tutti dovessero togliersi
are che all’alzarsi il sipario tutti dovessero togliersi il cappello,
che
per la platea e per la scalinata più non vagasser
inata più non vagassero i venditori d’acqua, di aranci, di nocciuole,
che
più non si fumasse, non si fischiasse, non si sch
sse gridando fuera suera contro gli attori mal graditi: inconvenienti
che
e prima della Guardia Chamberga e fin dal passato
sizioni del vigilante e rispettato Presidente; e da allora la decenza
che
si loda e si pratica nelle nazioni polite regnò n
. Huerta ignorando l’idioma in cui sono scritti i miei libri teatrali
che
pur volea mordere, cadde ne’ riferiti errori su l
olea mordere, cadde ne’ riferiti errori su le parole e sul sentimento
che
ne attaccò. Egli (non senza il solito ricco corre
taccò. Egli (non senza il solito ricco corredo di villanie) conchiuse
che
nella mia Storia io dovea verificare le important
po come una sola cassa, se il nome di Chorizos venisse dalle salcicce
che
mangiava Francho) e non perdere il tempo nella pa
a se sempre uguale, tuonando nè caffè e ne’ passeggi e ne’ papelillos
che
produceva, e servendogli d’eloquenza l’arroganza.
ecille Racine, l’ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’ Italiani
che
non dicano che il teatro della sua nazione sia il
l’ignorante Voltaire e tutti i Francesi e gl’ Italiani che non dicano
che
il teatro della sua nazione sia il primo del mond
heroicas. E’ forse questa una scelta ragionata delle migliori? Non è
che
una semplice reimpressione di circa 35 favole buo
attive, le quali e nel male e nel bene si rassomigliano a molte altre
che
se ne tralasciano. Qual prò da simile reimpressio
essione infruttuosa non meno all’istruzione della gioventù Spagnuola,
che
al disinganno degli esteri mal istruiti? Manca an
di quella parte critica detestata dall’Huerta come satira maligna, ma
che
io però pur vorrei che sempre nelle mie opere ris
detestata dall’Huerta come satira maligna, ma che io però pur vorrei
che
sempre nelle mie opere risplendesse, a costo di e
] La buona composizion musica per altro, avutosi riguardo all’effetto
che
dee produrre, non è il tutto; questo dipende in g
urre, non è il tutto; questo dipende in gran parte anche dal modo con
che
ella viene eseguita da’ cantori. E potrebbe assai
a viene eseguita da’ cantori. E potrebbe assai facilmente intervenire
che
un buon compositore fosse un buon capitano alla t
un buon capitano alla testa di un cattivo esercito: con la differenza
che
il capitano buono può far buoni i soldati, ma il
caduto in pensiero quanto sarebbe prima di ogni altra cosa necessario
che
imparassero a ben pronunziare la propria lingua,
angiarsi le finali, e nel tenero lor palato dimezzar le parole. Tanto
che
se uno non ha dinanzi gli occhi il libretto dell’
e’ cinguettano. Diceva a tal proposito assai piacevolmente il Salvini
che
quella recitazione che per essere intesa ha bisog
a tal proposito assai piacevolmente il Salvini che quella recitazione
che
per essere intesa ha bisogno di esser letta, è si
esto è un cane, questo è un cavallo; e quadrerebbe a noi assai meglio
che
non fece ai Francesi una caricatura che fu fatta
uadrerebbe a noi assai meglio che non fece ai Francesi una caricatura
che
fu fatta in Parigi di un’opera senza parole, come
la vita, i moti della persona non discordano punto dalla poca grazia,
che
e’ mostrano nel pronunziare e nello esprimersi. C
goffi, qual maraviglia se non giungono dipoi a quelle finezze ultime
che
l’arrivarvi è tanto difficile, e senza le quali n
te, come nelle antiche tragedie. Egli ha segnate con ciò le vie tutte
che
ha da tenere; non può metter piede in fallo quant
enti inflessioni e durate delle voci sopra le parole della parte sua;
che
a lui esattamente le prescrive il compositore. Ma
ttamente le prescrive il compositore. Ma non resta, per tutto questo,
che
molto ancora egli non ci abbia a metter del suo.
sopra le note dell’aria? Pur nondimeno, non si può mettere in dubbio
che
il dare a quei passi il loro finimento sta al bal
o finimento sta al ballerino medesimo e il condirgli di quelle grazie
che
ne son l’anima. Così nel recitativo. Oltre il ges
uelle grazie che ne son l’anima. Così nel recitativo. Oltre il gesto,
che
è tutto proprio dell’attore, certe sospensioni, c
re, certe sospensioni, certe piccole pause, il calcar più in un luogo
che
in un altro già non si possono scrivere; dipendon
ua propria. E in ciò principalmente consiste quel fior di espressione
che
scolpisce le parole nella mente e nel cuore di ch
oria dei Francesi simili finezze usate dal Baron e dalla Le Couvreur,
che
tanto faceano risaltare i versi di Cornelio e di
gualmente studiato il recitare del Nicolini e della Tesi: allora cioè
che
andavano significando a quel modo che la natura d
olini e della Tesi: allora cioè che andavano significando a quel modo
che
la natura detta, e non quando divennero, per vole
gradire, smaniosi, e diedero nella caricatura. [3.4] Lo sceneggiare
che
chiamasi muto è altresì una parte della recitazio
sceneggiare che chiamasi muto è altresì una parte della recitazione,
che
dipende in tutto dalla propria intelligenza dell’
i inoperosa e senza effetto. Ora in tal parte ognuno può sapere senza
che
altri il dica, quanto sieno valenti, quanto studi
utt’altro han l’animo, attendono ad ogni altra cosa, fuorchè a quello
che
pur dovrebbono. Invece che uno badi a quanto gli
ndono ad ogni altra cosa, fuorchè a quello che pur dovrebbono. Invece
che
uno badi a quanto gli dice un altro attore, e per
e per via delle differenti modulazioni del gesto e del viso dia segno
che
sopra di lui ha fatto quella impressione che si c
sto e del viso dia segno che sopra di lui ha fatto quella impressione
che
si conviene, non altro che sorridere a’ palchetti
e sopra di lui ha fatto quella impressione che si conviene, non altro
che
sorridere a’ palchetti, far degl’inchini e simili
he sorridere a’ palchetti, far degl’inchini e simili gentilezze. Pare
che
e’ si sien fitti nell’animo di non mentire per co
ella per caso gli avesse mai presi in iscambio di Achille o di Ciro,
che
sono da essi rappresentati sulle scene, fanno ogn
ere di trarla d’inganno e di certificarla, come disse un bello umore,
che
essi pur sono in realtà il signor Petriccino, il
o. Ed ecco per avventura la principal sorgente di quella noia sovrana
che
signoreggia alla rappresentazione delle nostre op
rlottar continuo, del far visite, del cenare, e insino a quel rimedio
che
bene spesso è peggiore del male medesimo, il gioc
dio che bene spesso è peggiore del male medesimo, il gioco. Disordini
che
si verrebbono in gran parte a tor via, quando que
o. Disordini che si verrebbono in gran parte a tor via, quando quello
che
è il fondamento primo della musica non fosse l’ul
vendo unicamente al cantare rivolto ogni loro cura e pensiero. Se non
che
quivi ancora non osservano termine alcuno che con
cura e pensiero. Se non che quivi ancora non osservano termine alcuno
che
convenga, E libito fan licito in lor legge. [3
ato a cantare, e tu vuoi suonare», rimproverava Pistocco a Bernacchi,
che
si può tenere come il caposcuola, il Marini della
caposcuola, il Marini della moderna licenza. Egli è un trito assioma
che
colui che non sa fermar la voce, non sa cantare.
a, il Marini della moderna licenza. Egli è un trito assioma che colui
che
non sa fermar la voce, non sa cantare. Al quale p
, non sa cantare. Al quale pongono così poco mente i nostri virtuosi,
che
del sostenerla e portarla a dovere, che è il gran
poco mente i nostri virtuosi, che del sostenerla e portarla a dovere,
che
è il gran secreto di muovere gli affetti, non fan
overe gli affetti, non fanno quasi studio niuno. Pensano in contrario
che
tutta la scienza stia nello isquartar la voce, in
ce, in un saltellar continuo di nota in nota, non in isceglier quello
che
vi ha di migliore, ma in eseguire ciò che vi ha d
ta, non in isceglier quello che vi ha di migliore, ma in eseguire ciò
che
vi ha di più straordinario e difficile. Lo studio
divenga in ogni occasione ubbidiente, perché si dirompa a far quello
che
pare al di là di sua portata, che pare infattibil
nte, perché si dirompa a far quello che pare al di là di sua portata,
che
pare infattibile. In tal modo potendo eseguire il
iù atta a meglio esprimere il meno, e potrà farIo con quella facilità
che
aggiugne tanto di grazia alle cose ch’essa accomp
quello ch’essa adopera soltanto come un mezzo. La vera arte prescrive
che
uffizio del cantore sia cantare, non gorgheggiare
tare, non gorgheggiare ed arpeggiar le ariette. E per essi non rimane
che
, quando bene la musica fosse bella e costumata, n
asi una lor maschera sul viso della composizione, e arrivano a far sì
che
tutte le arie si rassomigliano, in quella guisa c
arrivano a far sì che tutte le arie si rassomigliano, in quella guisa
che
le donne in Francia, con quel loro rossetto e con
metterci quanto gli aggrada del suo. A considerare il bene e il male
che
da ciò ne risulta, sembra che sia da preferirsi i
el suo. A considerare il bene e il male che da ciò ne risulta, sembra
che
sia da preferirsi il costume dei Francesi, che no
ciò ne risulta, sembra che sia da preferirsi il costume dei Francesi,
che
non permettono a’ loro cantori quegli arbitri de’
licar sempre così appuntino la medesima cosa; ed egli par ragionevole
che
si abbia a lasciare un po’ di campo aperto alla s
verità. Per cento rapsodisti di luoghi comuni, o d’infarcitori di ciò
che
meno conviene, ne riesce a gran fatica un solo ch
infarcitori di ciò che meno conviene, ne riesce a gran fatica un solo
che
con la dottrina riunisca il gusto, con l’eleganza
a, e in cui la propria discrezione imbrigli la fantasia. A quei pochi
che
amò singolarmente Apollo sieno permessi i supplem
olarmente Apollo sieno permessi i supplementi del loro, come a quelli
che
possono entrare nella intenzione del compositore,
ale riesce per lo più di tutt’altro sentimento, di tutt’altro colore,
che
non è l’aria. Suole il musico racchiuder quivi in
quella, esserne quasi la perorazione e l’epilogo48. [3.8] Instruiti
che
fossero i nostri virtuosi nella propria lingua, e
ati nella musica, e sopra ogni cosa tenuti a freno da’ buoni maestri,
che
vieta il credere non rimettesse quella maniera di
aestri, che vieta il credere non rimettesse quella maniera di cantare
che
si sente nell’anima, non risorgessero i Sifaci, i
ai dì presenti rinnovare forse anche tra noi quegli medesimi effetti
che
cagionava anticamente, perché accompagnata appunt
avremmo, se mai credessimo di potere con un mezzo solo ottener quello
che
ha da esser il risultato di molti49. Certa cosa s
uello che ha da esser il risultato di molti49. Certa cosa si è almeno
che
, rimessa la musica nel primiero suo stato, con gr
osco o romoreggiare il mare irritato dal vento50; tanto è lo strepito
che
vi mena l’udienza. E i nostri più attenti spettat
i hanno preso oggimai il cuore delle persone51. Egli sembra in verità
che
i nostri teatri sieno fatti più per un’ accademia
erità che i nostri teatri sieno fatti più per un’ accademia di ballo,
che
per la rappresentazione dell’opera. E si direbbe
ademia di ballo, che per la rappresentazione dell’opera. E si direbbe
che
gl’Italiani hanno seguito il consiglio di quel Fr
nno seguito il consiglio di quel Francese il quale facetamente diceva
che
, per rimettere il teatro, conveniva slungar le da
del presente saggio avrebbe creduto tal proposizione erronea; se non
che
da parecchi de’ più valenti nostri maestri di mus
e del precedente, attrice di molto pregio per le parti di prima donna
che
sostenne col nome di Beatrice. Abbiam visto al no
o, sappiam ch’ella era con lui a Bologna. Da una lettera sua al Duca,
che
per gentile comunicazione del cav. Azzolini pubbl
a appare colà con propria compagnia. (Da quella del Gualengo sappiamo
che
Lelio Andreini vi recitò la parte di Pantalone).
dunque fuor di dubbio la Beatrice del Loret (V. Adami (?) Beatrice),
che
a fianco di Locatelli e di Fiorilli Tiberio incan
on Patrizia Adami, e probabilmente la Beatrice del Bartoli (V. Adami)
che
recitava a Verona la Pazzia intorno al’63 (V. Fid
utografa. Se.mo Pn.e mio Sig.e Io no ho mai hauto magiore ambitione
che
quando son stata comandata da V. A. e dalla Sua s
inio p poter fare una mediocre compagnia, ma la Regalai più di quello
che
il mio stato conportaua ; giunsi a Fiorenza e sa
o che il mio stato conportaua ; giunsi a Fiorenza e sa Dio i dispetti
che
ebbi si da Flaminio, come da Argentina, ne poteuo
tti che ebbi si da Flaminio, come da Argentina, ne poteuo replicare p
che
vi agiungeueno la parola e il comando di V. A. S.
verità, ch’io fossi una donna superba Tiranna di compagnia, et infine
che
sono pazzacci tutti, et io ero la strapazzata (e
trapazzata (e uergognia chio lo dicha) da simil gente. Ne creda V. A.
che
egli cessi la sua…… di Masaniello, p che continou
simil gente. Ne creda V. A. che egli cessi la sua…… di Masaniello, p
che
continouamente tiene in moto tutti, e questo lo s
che continouamente tiene in moto tutti, e questo lo sa cosi ben fare,
che
imposibile a dirlo. egli sie licenziato dalla Com
gnia fuori dogni ragione, e se dice p la uicenda, V. A. no lo creda p
che
no gl’importa poi che l’anno passato concesso più
ne, e se dice p la uicenda, V. A. no lo creda p che no gl’importa poi
che
l’anno passato concesso più che uicenda e lui med
. no lo creda p che no gl’importa poi che l’anno passato concesso più
che
uicenda e lui medesimo se ne dichiarato e dichiar
iù che uicenda e lui medesimo se ne dichiarato e dichiara al presente
che
no ha sentimento contrario e che quel che ha fatt
ne dichiarato e dichiara al presente che no ha sentimento contrario e
che
quel che ha fatto di quella sotto scritione, fu c
rato e dichiara al presente che no ha sentimento contrario e che quel
che
ha fatto di quella sotto scritione, fu consiglio
di quella sotto scritione, fu consiglio di un de compagni ; ma quello
che
p verita gli preme, è la parte per la moglie e qu
e p verita gli preme, è la parte per la moglie e questo me inporta, p
che
io che ma fadigo cò la mente più de tutti, a tira
ita gli preme, è la parte per la moglie e questo me inporta, p che io
che
ma fadigo cò la mente più de tutti, a tirar meno
digo cò la mente più de tutti, a tirar meno degli altri nò è ragione.
che
Flaminio sia in compagnia no solo mi contento ma
laminio sia in compagnia no solo mi contento ma son soddisfatiss.ma p
che
so che è gusto di V. A. e le mie pretensione no s
sia in compagnia no solo mi contento ma son soddisfatiss.ma p che so
che
è gusto di V. A. e le mie pretensione no son altr
ss.ma p che so che è gusto di V. A. e le mie pretensione no son altro
che
nessun tiri più di me, leuato la spagniola, e que
di me, leuato la spagniola, e quelli di 3 quarti stieno nel suo posto
che
se gli altri di Compagnia, toltone la mia casa, g
cargli faro in aparenza constare, enziandio in scritto, co i compagni
che
anchio son della medesima volonta di dargli le do
, hauto malatie altre prigionie de parenti, famiglia assai, e lite si
che
puole ognuno considerare come sto. Vorie che no f
amiglia assai, e lite si che puole ognuno considerare come sto. Vorie
che
no fusse uero quel che dico solo p poter dire A V
i che puole ognuno considerare come sto. Vorie che no fusse uero quel
che
dico solo p poter dire A V. S.ma chio uero a seru
solo p poter dire A V. S.ma chio uero a seruire p niente. resta solo
che
V. A. sappia ch’io subbito che si licentiò Flamin
io uero a seruire p niente. resta solo che V. A. sappia ch’io subbito
che
si licentiò Flaminio procurai doi inamorati, gl’o
co in ventioni Masanieleschi et un Cattiuo ne fa cento io no prometto
che
p la mia casa, e saremo a Dio piacendo quest’Autu
emo a Dio piacendo quest’Autunno umilmente a seruire V. A. come credo
che
faran glialtri se hauran giudicio e qui Vmil.te l
portato in Piemonte, et qua s’è stabilito merito tale appresso di me,
che
desideroso di fargliene rissentir gl’effetti non
ontà di V. Em.za a compiacersi di concorrere nelle mie sodisfattioni,
che
di già mi persuado, che questi incontrerà nè suoi
acersi di concorrere nelle mie sodisfattioni, che di già mi persuado,
che
questi incontrerà nè suoi occorrenti l’assistenza
i incontrerà nè suoi occorrenti l’assistenza delle gratie dell’ E. V.
che
uantaggiose senza dubbio le riusciranno. La liber
drammi di questo maraviglioso Inglese, ben persuasi della difficoltà
che
incontrano, non che altri, non pochi Inglesi mede
raviglioso Inglese, ben persuasi della difficoltà che incontrano, non
che
altri, non pochi Inglesi medesimi in bene afferra
e la tessitura e le principali bellezze, senza omettere qualche scena
che
ci sembri disdicevole alla gravità tragica. Atto
e ci sembri disdicevole alla gravità tragica. Atto I. Alcuni soldati
che
fanno la guardia avanti del real palazzo del re d
stato solo riflette fra se alla criminosa precipitazione di sua madre
che
apdena passato un mese dalla morte del re suo mar
di sua madre che apdena passato un mese dalla morte del re suo marito
che
tanto l’amava, si è congiunta in matrimonio col f
che tanto l’amava, si è congiunta in matrimonio col fratello del re,
che
ora ne occupa il trono. Sopravvengono Orazio e Ma
a ne occupa il trono. Sopravvengono Orazio e Marcello due de’ soldati
che
videro l’ombra del trapassato re. Dice Amlet che
ello due de’ soldati che videro l’ombra del trapassato re. Dice Amlet
che
sempre l’ha presente; Orazio che egli l’ha veduto
’ombra del trapassato re. Dice Amlet che sempre l’ha presente; Orazio
che
egli l’ha veduto effettivamente la scorsa notte,
ongedo da sua sorella Ofelia e da Polonio suo padre, vecchio cicalone
che
con molte parole scagliando massime ad ogni tratt
medesimo stile prosegue colla figlia in proposito del principe Amlet
che
l’ama, versando copiosamente regole e sentenze mo
ma infelice! “Mort. Non compatirmi: ascolta soltanto attentamente ciò
che
son per rivelarti. “Aml. Parla: ti prometto ogni
rivelarti. “Aml. Parla: ti prometto ogni attenzione. “Mort. Ascoltato
che
mi avrai, promettimi vendetta. “Aml. Perchè? “Mor
a al fuoco durante il giorno, affinchè le fiamme purifichino le colpe
che
commisi nel mondo . . . . . Se mai sentisti tener
nell’orecchio certo velenoso licore sì contrario al sangue dell’uomo,
che
a guisa di mercurio s’insinua, penetra tutte le v
à! orribile! Deh se ascolti la voce della natura, non voler soffrire,
che
il talamo reale di Danimarca sia il letto dell’in
macchiar l’anima con un delitto incrudelendo contro tua madre. Lascia
che
la punisca il cielo; lascia che quelle punte acut
incrudelendo contro tua madre. Lascia che la punisca il cielo; lascia
che
quelle punte acute che tiene fitte nel petto, la
madre. Lascia che la punisca il cielo; lascia che quelle punte acute
che
tiene fitte nel petto, la feriscano e la tormenti
, eccetto il tuo comando; sì, lo giuro.” Vengono i soldati, Amlet fa
che
giurino di non palesare a veruno l’apparenza di q
iglio in Parigi con tante ammonizioni mischiate d’inezie e minutezze,
che
dimostra la dipintura di un vecchio che cinguetta
schiate d’inezie e minutezze, che dimostra la dipintura di un vecchio
che
cinguetta in tuono famigliare, basso talvolta, e
lo chiamo perchè (a ben riflettere) altra cosa non è la follia se non
che
uno è interamente matto. E’ questa la ragione Pla
Amlet, perfettamente; tu sei il pescivendolo. E prosegue dicendo cose
che
sembrano totalmente fuori di ragione, benchè vi s
iscorso passa in seguito su i commedianti da esso incontrati per via,
che
compongono la compagnia tragica di Elsingor. Essi
ce la voce, e si compone ad esprimere la passione per commuovere. “Or
che
farebbe (soggiugne) se avesse i medesimi motivi d
re. “Or che farebbe (soggiugne) se avesse i medesimi motivi di dolore
che
io tengo? E pure io disgraziato rimango stupido e
pido e muto a mirare i miei torti? . . . Altro adunque io non so fare
che
piagnere? . . . Ma no: udii dire che assistendo t
. . Altro adunque io non so fare che piagnere? . . . Ma no: udii dire
che
assistendo talvolta alla rappresentazione di una
lpevoli, sono state così vivamente ferite per l’illusione del teatro,
che
alla presenza di tutti hanno manifestati i loro d
è priva di lingua, sempre si manifesta quando men si attende. Io farò
che
quegli attori rappresentino avanti di mio zio qua
farò che quegli attori rappresentino avanti di mio zio qualche scena
che
rassomigli alla morte di mio padre. Così lo trafi
osserverò i suoi sguardi, se cangia di calore, se palpita; so quello
che
dovrò far io. L’apparizione che mi si presentò, p
ngia di calore, se palpita; so quello che dovrò far io. L’apparizione
che
mi si presentò, potrebbe essere opera di spirito
eggere nell’interno del nipote si tiene in disparte per intendere ciò
che
dica Amlet ad Ofelia. Egli viene dicendo fra se:
l loro dialogo delude le speranze del re nascosto, il quale ne deduce
che
non è già amore che cagiona i di lui trascorsi e
e le speranze del re nascosto, il quale ne deduce che non è già amore
che
cagiona i di lui trascorsi e con chiude così: “Qu
lui trascorsi e con chiude così: “Qualche idea egli tiene nell’animo
che
fomenta la sua tristezza, la quale può produrre a
Inghilterra. Condiscendendo però alla proposta di Polonio, acconsente
che
prima Amlet parli con la regina dopo la rappresen
rappresentare; indi uscendo Orazio, di cui egli si fida, gl’ingiunge,
che
mentre si rappresenta la scena da lui aggiunta, t
ga egli l’occhio attento su di suo zio; l’esamini con ogni cura; dice
che
egli farà lo stesso; uniranno poi le loro osserva
i farà lo stesso; uniranno poi le loro osservazioni per giudicare ciò
che
indicherà il di lui esteriore. Viene il re, la re
principio alla rappresentazione muta a suono di trombette. Gli attori
che
sostengono le parti del re e della regina del dra
n poco, al fine ne ammette l’amore. Ciò vedendo Ofelia dice ad Amlet,
che
è questo? “Aml. Questo è un assassinamento. “Ofe
na muta contiene l’argomento del dramma”. Si finge nella prima scena
che
il re e la regina esprimano i loro affetti. Il re
che il re e la regina esprimano i loro affetti. Il re mostra timore,
che
se egli venisse a morire, ella ne prenderebbe un
i questo dramma? Tiene alcuna cosa di mal esempio? “Aml. Non signore,
che
mal esempio? tutto è una finzione, un veleno ma f
ore, che mal esempio? tutto è una finzione, un veleno ma finto; oibò!
che
mal esempio? “Re. Che titolo porta questa favola?
e la sua consorte Battista”. Viene un commediante ad avvelenare quel
che
dorme, ed Amlet dice: “Vedete? Ora l’avvelena nel
l’avvelena nel giardino, per usurpargli lo stato . . . Tosto vedrete
che
la sposa s’innamora dell’uccisore”. A ciò il re s
cendere dal trono. Arriva Amlet, l’osserva, va per ferirlo; pensa poi
che
se l’ammazza mentre stà orando, gli assicura la g
bbriaco, affinche l’anima sua rimanga nera e maladetta come l’inferno
che
dee accoglierlo. Va dalla madre. Appartamento del
mandate con troppa perversità. “Reg. Che vuol dir ciò, Amlet? “Aml. E
che
vuol dir ciò, Madre? “Reg. Ti dimentichi di chi s
dir ciò, Madre? “Reg. Ti dimentichi di chi son io? “Aml. No, per Dio,
che
non mi dimentico che siete la regina congiunta in
Ti dimentichi di chi son io? “Aml. No, per Dio, che non mi dimentico
che
siete la regina congiunta in matrimonio col frate
n matrimonio col fratello del vostro primo marito; e al ciel piacesse
che
così non fosse. Ah! sete mia Madre. “Reg. E bene,
no. “Aml. Venite, sedete; di quì non si parte, non vi moverete, prima
che
vi ponga innanzi uno specchio, in cui ravvisiate
to chiede! . . . oh! . . .” Amlet si accorge di essere inteso, pensa
che
sia il re che stia ascoltando, finge che sia un t
. oh! . . .” Amlet si accorge di essere inteso, pensa che sia il re
che
stia ascoltando, finge che sia un topo, e lo feri
orge di essere inteso, pensa che sia il re che stia ascoltando, finge
che
sia un topo, e lo ferisce; Polonio grida, son mor
or di se! “Aml. Vieni forse a riprendere la negligenza di tuo figlio,
che
indebolito dalla compassione e dalla tardanza obb
liarla: vengo a riaccendere il tuo ardore quasi estinto.” Ordina poi
che
parli alla madre piena di sp avento. “Aml. A che
tinto.” Ordina poi che parli alla madre piena di sp avento. “Aml. A
che
pensate, o Madre? “Reg. Oimè! A che pensi tu che
adre piena di sp avento. “Aml. A che pensate, o Madre? “Reg. Oimè! A
che
pensi tu che così dirigi i tuoi sguardi dove non
sp avento. “Aml. A che pensate, o Madre? “Reg. Oimè! A che pensi tu
che
così dirigi i tuoi sguardi dove non v’è cosa alcu
ggere i miei disegni crudeli, e far correr lagrime in vece del sangue
che
domandi. “Reg. A chi dici tu queste cose? “Aml. N
Aml. Nulla vedete in quel canto? “Reg. Nulla, e pur vedo tutto quello
che
vi è. “Aml. Nè anche ascoltaste nulla? “Reg. Null
che vi è. “Aml. Nè anche ascoltaste nulla? “Reg. Nulla fuor di quello
che
noi stiamo parlando. “Aml. Mirate lì, lì . . . lo
oco dal colpevole suo nuovo sposo . . . Di poi ripigliandosi le dice,
che
anzi nol faccia; ed ironicamente le insinua di to
rsi a lui, di porsi nel suo letto, e fralle sue braccia di scoprirgli
che
la pazzia di Amlet è finta, e che tutto è un arti
e fralle sue braccia di scoprirgli che la pazzia di Amlet è finta, e
che
tutto è un artificio. La regina l’assicura che di
ia di Amlet è finta, e che tutto è un artificio. La regina l’assicura
che
di ciò ella non è capace. Atto IV. Intende il re
icurezza comune. Il re fa venire Amlet alla sua presenza, e gl’impone
che
si accinga subito a partir per Inghilterra. Ordin
a, e gl’impone che si accinga subito a partir per Inghilterra. Ordina
che
si porti il cadavere di Polonio alla Cappella. Or
ti il cadavere di Polonio alla Cappella. Orazio fa sapere alla regina
che
Ofelia è divenuta pazza. Ella stessa viene cantan
che Ofelia è divenuta pazza. Ella stessa viene cantando, e dà indizii
che
la morte del padre ha cagionato lo sconcerto dell
re ha cagionato lo sconcerto della ragione di lei; ma ad ogni domanda
che
le si fa risponde con un’ arietta musicale, e poi
il re di timori e di sospetti per le mormorazioni del popolo, accenna
che
è venuto di Francia il fratello di Ofelia; si occ
i ode strepito grande. Un Cavaliero chiama la guardia, e avvisa al re
che
fugga, perchè il volgo va seguendo Laerte furibon
aerte pieno di furore con disegno di vendicare la morte di suo padre,
che
ha cagionata anche la follia di Ofelia. Il re gli
nella morte di Polonio. Lo prega ad ascoltarlo da parte, protestando
che
se lo trovasse colpevole, gli cederebbe di buon g
rinai presentano alcune lettere. Orazio legge; è una lettera di Amlet
che
dice: “Orazio, come avrai letta questa lettera,
dice: “Orazio, come avrai letta questa lettera, dirigerai gli uomini
che
te la recano, al re, pel quale ho dato loro un al
me ladri compassionevoli, ed io gli ho ben compensati. Tu fa in modo,
che
il re riceva le carte che gli mando, indi vieni a
ed io gli ho ben compensati. Tu fa in modo, che il re riceva le carte
che
gli mando, indi vieni a vedermi con tanta diligen
dermi con tanta diligenza come se fuggissi dalla morte. Saprai arcani
che
ti renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno c
ssi dalla morte. Saprai arcani che ti renderanno attonito. Gli stessi
che
ti hanno consegnata la lettera, ti condurranno da
ancora il sangue del di lui padre nell’uccisore Amlet, sì per l’amore
che
gli tiene la madre, come per l’affezione del popo
ca lettere del principe pel re e per la madre. Il re leggendo intende
che
Amlet è tornato nudo e solo, e che verrà domani.
r la madre. Il re leggendo intende che Amlet è tornato nudo e solo, e
che
verrà domani. Palesa poi a Laerte un espediente c
to nudo e solo, e che verrà domani. Palesa poi a Laerte un espediente
che
gli è sovvenuto per disfarsi di Amlet. Sul suppos
un espediente che gli è sovvenuto per disfarsi di Amlet. Sul supposto
che
verisimilmente egli ricuserebbe d’imprendere un n
ricuserebbe d’imprendere un nuovo viaggio, per farlo morire in guisa
che
la sua morte sembri casuale alla madre stessa, pr
e in guisa che la sua morte sembri casuale alla madre stessa, propone
che
godendo Laerte gran fama di destrezza nel maneggi
pensa di fargli susurrare all’udito di tal sorte il valore di Laerte,
che
si darà luogo ad una scommessa, altri tenendo la
Preventivamente si prepareranno alcuni fioretti colla punta scoperta,
che
sarà avvelenata, e Laerte destramente ne prenderà
rà ferirlo, e la sua morte si attribuirà al solo caso. Aggiugne il re
che
per assicurare il colpo, farà anche ammanire una
o chiedendo da bere resti per la tazza ucciso. La regina viene a dire
che
Ofelia tratta dalla sua follia si è affogata nel
te. Atto V. Cimiterio. Aprono l’atto due becchini parlando di Ofelia
che
si ha da sotterrare in terra sacra, dicendo l’uno
lando di Ofelia che si ha da sotterrare in terra sacra, dicendo l’uno
che
ciò stà ben disposto dal giudice, l’altro che stà
ra sacra, dicendo l’uno che ciò stà ben disposto dal giudice, l’altro
che
stà mal disposto, perchè ella si è ammazzata da s
i: scena comica bassa. Cade il loro discorso sulla nobilità di coloro
che
maneggiano la zappa, come becchini, zappatori &am
o. Un becchino zappa e canta. Amlet osserva l’insensibilità di colui,
che
nell’aprire una sepoltura stà cantando, Il becchi
ndo, Il becchino getta al suolo una testa di un morto; Amlet riflette
che
quella potrebbe appartenere a qualche uomo di sta
let riflette che quella potrebbe appartenere a qualche uomo di stato,
che
vivendo pretese ingannare il cielo stesso; ovvero
ovvero a qualche cortigiano infingevole; o anche a qualche cavaliero
che
es altar soleva il cavallo di un altro, perchè in
Amlet. Partono tutti, restando Amlet ed Orazio. Il principe racconta
che
mentre dormivano Rosencrantz e Guildenstern egli
arte, tornò nel suo camerino, aprì i dispacci, e scoprì il tradimento
che
gli faceva il re, dando ordine preciso di ammazza
Danimarca e dell’Inghilterra. Ne mostra l’ordine ad Orazio. Aggiugne
che
egli scrisse in nome del re di Danimarca a quel d
ediatamente i due messaggi; e suggellò la carta col sigillo del padre
che
seco avea, sul quale erasi formato quello che usa
a col sigillo del padre che seco avea, sul quale erasi formato quello
che
usa il presente re. Fatto ciò, chiuso di nuovo il
atto ciò, chiuso di nuovo il plico, lo ripose nel luogo stesso, senza
che
siasene osservato il cambio. Al dì seguente avven
ontro sei spade francesi co’ pugnali corrispondenti. Il re scommette,
che
in dodici assalti Laerte darà ad Amlet solo tre c
Laerte s’impegna a dargliene nove. Amlet accetta l’impegno, e ordina
che
si rechino in quella sala i fioretti. Altro messo
l sapere, se Amlet intenda assaltar subito con Laerte. Amlet risponde
che
se quell’ora è comoda al re, egli è pronto. Amlet
pronto. Amlet confessa ad Orazio di sentir qualche cosa nel suo cuore
che
l’affanna. Orazio vorrebbe dissuaderlo dall’impre
che l’affanna. Orazio vorrebbe dissuaderlo dall’impresa. Amlet dice,
che
egli si ride di tali presagj; pur nella “morte (a
allorchè giunga; se l’uomo al terminar di sua vita ignora sempre ciò
che
potrebbe avvenire dapoi, che importa che la perda
l terminar di sua vita ignora sempre ciò che potrebbe avvenire dapoi,
che
importa che la perda presto o tardi? sappia morir
i sua vita ignora sempre ciò che potrebbe avvenire dapoi, che importa
che
la perda presto o tardi? sappia morire.” Viene i
o ciascuno il suo fioretto, e si dispongono all’assalto. Il re ordina
che
si copra la mensa di bicchieri colmi di vino. Se
la seconda stoccata o nel terzo assalto colpisce l’avversario, ordina
che
si scarichi tutta l’artiglieria. Il re berà alla
lute di Amlet buttando nel bicchiere una onice più preziosa di quella
che
hanno usato i quattro ultimi sovrani Danesi. Inco
ia l’assalto. Amlet dà la prima stoccata a Laerte; il re bee, e vuole
che
egli beva ancora: Amlet vuol prima fare il second
ambi, e restano feriti. La regina va mancando. Il re vuol far credere
che
al vedere il sangue sia svenuta; ma ella grida: n
bevanda, la bevanda . . . Amlet, sono avvelenata . . . . Amlet ordina
che
si chiudano le porte, e che si trovi il traditore
let, sono avvelenata . . . . Amlet ordina che si chiudano le porte, e
che
si trovi il traditore: Laerte morendo dice che il
i chiudano le porte, e che si trovi il traditore: Laerte morendo dice
che
il traditore è presente. “Tu sei morto, Amlet, no
dice che il traditore è presente. “Tu sei morto, Amlet, non ti resta
che
mezz’ora di vita; la punta del ferro che tieni in
i morto, Amlet, non ti resta che mezz’ora di vita; la punta del ferro
che
tieni in mano è avvelenata, e . . ., mi ha morto;
et muore. Termina la tragedia coll’arrivo di Fortimbras il quale dice
che
paleserà tutto tosto che saranno esposti alla pub
edia coll’arrivo di Fortimbras il quale dice che paleserà tutto tosto
che
saranno esposti alla pubblica veduta que’ cadaver
a varietà degli accidenti, ed alcune interessanti situazioni tragiche
che
vi sono come la scena dell’ombra con Amlet nell’a
prezzo delle sagge regole del verisimile, Ma i dotti non meno Inglesi
che
stranieri convengono tutti del difettoso e del mi
difettoso e del mirabile del dramma, delle bassezze e de’ gran tratti
che
vi si notano. Basti per tutti il sentimento di Vo
carne. “Shakespear (egli disse) non ha presso gl’Inglesi altro titolo
che
quel di divino. Pure le sue tragedie sono altrett
ssero ammirare un autore così stravagante; ma in progresso mi accorsi
che
aveano ragione . . . . Essi al par di me vedevano
ano meglio di me le sue bellezze, tanto più singolari per esser lampi
che
brillavano in una oscurissima notte. Tale è il pr
ite strade; si smarrisce alle volte, ma lascia dietro di se tutto ciò
che
non è se non esattezza e ragione”. Abbiamo osser
mancanza di erudizione, di emuli, e di modelli supplita dall’ingegno
che
lo scorgeva a riflettere sull’uomo, e studiare i
o gran tragico studiando la natura mancò di giudizio nell’imitare ciò
che
nelle società si riprenderebbe. Non è inverisimil
teatrale, di compilarne anch’essi una particolare del proprio teatro,
che
prima non ebbero in verun conto, essi del Signore
dirsi delle otto la meno spropositata, ma essa in altro non consiste
che
in una languida filza di scene insipide e mal cuc
ma perchè il poeta ha stimato arbitrariamente di conchiudere, facendo
che
quel marchese, il quale senza ragione si opponeva
nza ragione si opponeva al matrimonio di Febea sua sorella con Imeneo
che
l’ama, senza ragione ancora poi vi consenta, tutt
inta per consenso pur de’ nazionali preoccupati è un dialogo insulso,
che
a Naarro piacque di chiamar commedia. Simili osse
role, onde le avesse tratte, si tolga l’ultima linea, e si scriva ciò
che
segue. *. Al medesimo Capo IV, pag. 39, lin. 19,
e la prima volta in Salamanca nel 1500, si aggiunga in parentesi ciò,
che
segue. **. Ai medesimo Capo IV, pag. 61, lin. 15
scoperte di Ticone, di Keplero, del Galilei, del Cassini? Chi negherà
che
oggi dietro la scorta di tali insigni corifei si
lcolo 1 e telescopio. Con non meno invidiabil riuscita i grand’uomini
che
portarono i loro sguardi su tutta la natura, sepp
a, seppero anche discendere alle più minute osservazioni degli esseri
che
la compongono. Gli animali poco all’apparenza imp
i, i Serai, i Buffon, allorchè spaziano per l’ampiezza dell’universo,
che
quando minutamente indagano la storia particolare
nel proprio abisso la maggior parte delle maraviglie della natura. E
che
diverrebbe singolarmente delle belle arti? Raffae
o come una delle parti figurate e distese nello spazio, o come pianta
che
vegeti o animale che senta. Dotato della ragione,
i figurate e distese nello spazio, o come pianta che vegeti o animale
che
senta. Dotato della ragione, dono divino della su
leggi del moto e del corso de’ pianeti, non ne meritano minori quelle
che
dirigono le azioni morali degli uomini divisi in
dirigono le azioni morali degli uomini divisi in tante gran famiglie
che
debbonsi reciprocamente molti riguardi. Scuoprono
riguardi. Scuoprono talora le scienze esatte alcune verità ingegnose
che
pur non recano utilità veruna 2: a somiglianza, c
i esistenza è per gli ultimi telescopii Inglesi ugualmente assicurata
che
inutile a tramandare al nostro pianeta luce maggi
a tramandare al nostro pianeta luce maggiore. E se la geometria, più
che
per le utili verità che insegna, si rende commend
pianeta luce maggiore. E se la geometria, più che per le utili verità
che
insegna, si rende commendabile per l’attitudine c
r le utili verità che insegna, si rende commendabile per l’attitudine
che
somministra agl’ ingegni tutti per bene e coerent
iustezza a formare i gran legislatori morali e politici tanto per ciò
che
l’una società debbe all’altra, quanto per quello
ci tanto per ciò che l’una società debbe all’altra, quanto per quello
che
debbonsi mutuamente gl’ individui di ciascuna: ma
ranno mai nè più pregevoli nè più necessarie a conoscersi delle leggi
che
immediatamente gli uomini governano. V’ha dunque
llità di ogni stato bastar potesse il castigare o prevenire i delitti
che
lo sconcertano, l’armata sapienza delle leggi è q
i delitti che lo sconcertano, l’armata sapienza delle leggi è quella
che
presta alle società l’opportuno soccorso per atte
quale antidoto forniscono le stesse leggi contro questo lento veleno
che
serpeggia per le nazioni e le infetta? Esse conte
azioni e le infetta? Esse contente di recidere ad ogni bisogno i rami
che
lussureggiano, non cercano di correggere le radic
ssureggiano, non cercano di correggere le radici viziate o le cagioni
che
le viziano ed affrettano la morte della pianta. M
he, al dir di Orazio, colla forca giugne a sterminarsi; ed osserviamo
che
da per tutto quasi sempre i costumi col tempo sog
ertono in costumi. Fa dunque mestieri di un altro ramo della sapienza
che
sappia correggere i costumi; e non essendo essi a
la sapienza che sappia correggere i costumi; e non essendo essi altro
che
abiti contratti per opinioni vere o false, nostre
umi bisogna raddrizzare le opinioni 3. La sapienza adunque precettiva
che
si occupa a far la guerra agli errori naturali ed
tre scienze la pubblica gratitudine? E non ebbero ragione gli antichi
che
a questa scienza che migliora l’intendimento e re
ca gratitudine? E non ebbero ragione gli antichi che a questa scienza
che
migliora l’intendimento e rettifica la stessa vol
a scienza che migliora l’intendimento e rettifica la stessa volontà e
che
Socrate trasse dal cielo, diedero per eccellenza
novesi e simili insigni filosofi morali? Pur sono moltissimi quelli
che
svolgono i libri de’ moralisti? Tutto il popolo a
ufficienza e durevole per tutto il camino della vita? Il mondo ideale
che
si contempla nelle proprie case e ne’ collegii, è
deale che si contempla nelle proprie case e ne’ collegii, è lo stesso
che
ci si presenta quando ne usciamo? Qual discordanz
bisogniamo adunque principalmente in tal tempo di un saggio educatore
che
alla giornata ci ammonisca, e ci mostri passo pas
overno. Vorrebbe soprattutto essere spogliato di ogni aria magistrale
che
riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo che
ogni aria magistrale che riesce sempre nojosa, ed allettare il popolo
che
cerca ristoro dopo della fatica. Or se v’ha tra’
rtamento dottrinale e mascherarsi di piacevolezza? Ben possiamo dire,
che
a somiglianza de’ numi della mitologia che cinti
olezza? Ben possiamo dire, che a somiglianza de’ numi della mitologia
che
cinti di umane spoglie viaggiarono fra gli uomini
li di sapienza, la poesia drammatica si trasforma negli uomini stessi
che
prende ad ammaestrare. Può aggiugnersi che essa a
sforma negli uomini stessi che prende ad ammaestrare. Può aggiugnersi
che
essa al pari dello scudo di Ubaldo ci dipigne qua
uesta si presenta alla vista: quella fa supporre un rigido precettore
che
gravemente ammonisce, questa affabile e popolare
uesta affabile e popolare in aria gaja e gioconda non mostra all’uomo
che
l’uomo stesso: quella parla nudamente all’ intend
questa una bevanda vitale insieme e grata al palato. La ragione umana
che
suggerì sì vaga ed utile morale rappresentativa,
i sedicenti coltivatori de’ severi studii, i quali sdegnano tutto ciò
che
non è algebra, nè delle meschine rimostranze di q
smaltite fra i bicchieri delle gran tavole da certi ridevoli pedanti
che
ostentano per unico lor vanto l’ essersi procacci
rsuasi più dall’esempio di tanti e tanti veri filosofi e grand’uomini
che
ne ragionano con sommo vantaggio 5 che dagli schi
i veri filosofi e grand’uomini che ne ragionano con sommo vantaggio 5
che
dagli schiamazzi delle cicale letterarie che decl
no con sommo vantaggio 5 che dagli schiamazzi delle cicale letterarie
che
declamano contro di essa senza aver mai saputo ch
cicale letterarie che declamano contro di essa senza aver mai saputo
che
cosa è l’ uomo, che società, e che coltura genera
he declamano contro di essa senza aver mai saputo che cosa è l’ uomo,
che
società, e che coltura generale delle nazioni. Ni
ntro di essa senza aver mai saputo che cosa è l’ uomo, che società, e
che
coltura generale delle nazioni. Niuno screditerà
gli spettacoli teatrali o chi gli coltiva con felicità, se non colui
che
non paventa la censura. Dà del bastone sullo spec
vi bisognerebbe quel lieto nido, quell’ esca dolce, quelle aure soavi
che
bramano i cigni per elevarsi al Parnaso, ed a me
rsi al Parnaso, ed a me di ciò invece sovrabbondano solo cure mordaci
che
me ne respingono. Mi contenterò intanto di narrar
e respingono. Mi contenterò intanto di narrare più pienamente di quel
che
altra volta non feci, gli sforzi fatti sino a que
e. E giacchè con non isperata benignità accolse il pubblico il saggio
che
ne diedi l’anno 1777 nella Storia critica de’ tea
onda impressi ne della mia storia teatrale, ma sì bene un nuovo libro
che
con nuova sospensione d’animo presento al pubblic
hi sa s’ egli accorderà a queste seconde cure il benigno compatimento
che
concesse alle primiere? Contento di aver quì ac
le per chi ha da leggere l’ opera il prevenirlo delle moltissime cose
che
la rendono del tutto nuova. Dirò solo quanto allo
ime cose che la rendono del tutto nuova. Dirò solo quanto allo stile,
che
dopo l’autorevole approvazione dell’ elegantissim
li 6 non avrei osato dipartirmi da quella energica facile schiettezza
che
invita a leggere un libro istorico. Ho cercato an
purezza del linguaggio evitando ugualmente la studiata fiorentineria
che
la dispotica libertà di alterarne l’indole. Quind
ineria che la dispotica libertà di alterarne l’indole. Quindi vedendo
che
il Cotta, il Salvini, il Conti, il Maffei, l’Alga
nza dar retta a’ rigidi puristi, colla sicurezza di svegliare le idee
che
io vo’ manifestare, e colla probabilità che simil
ezza di svegliare le idee che io vo’ manifestare, e colla probabilità
che
simili verbi transalpini non tarderanno a ricever
dinanza da chi pensa di aver diritto a torla o a donarla. Egli è vero
che
io usai ancora nella prima edizione e ritengo in
empio, il termine tecnico della danza piroettare tratto dal Francese,
che
mi fu notato dal medesimo chiar. Bettinelli come
feci senza pentirmene, perchè quell’istantaneo girare su di un piede
che
fa il ballerino, è così detto in Francia cui tant
anza moderna, e s’intende in Italia, dove la cosa è trasportata senza
che
abbiavi sinora un vocabolo patrio equivalente.
quivalente. Nè anche ho del tutto bandito il latinismo interloquire
che
tecnico può dirsi della drammatica, sembrandomi c
7. La parola gergone mi fu parimente dal medesimo letterato ripresa
che
pure oggi a me sembra pretta Italiana. Dessa è ma
ripresa che pure oggi a me sembra pretta Italiana. Dessa è mai altro
che
un aumentativo di gergo che in Toscano significa
sembra pretta Italiana. Dessa è mai altro che un aumentativo di gergo
che
in Toscano significa un parlare oscuro di convenz
parole comuni a queste due belle lingue sorelle? V’ha qualche regola
che
prescriva che si fuggano le parole domestiche qua
a queste due belle lingue sorelle? V’ha qualche regola che prescriva
che
si fuggano le parole domestiche quando rassomigli
ne insieme e con libertà, ho procurato conservare quella imparzialità
che
non può dall’onesto scrittore andar disgiunta 13.
e chi non s’inganna!), ma al mio inganno non avrà mai parte il cuore,
che
non che farmi Cieco su’ miei stessi capricci
nganna!), ma al mio inganno non avrà mai parte il cuore, che non
che
farmi Cieco su’ miei stessi capricci, ardisco Con
ttaglia, per valermi del concetto di Pope e delle parole del Gozzi
che
tradusse il di lui Saggio di Critica. Non ho poi
oso letterato si è compiaciuto di sostituire ad alcune sue prime note
che
rimanevano fuor di luogo nell’essersi la mia stor
tena delle idee del testo, come per evitar gli equivoci e per non far
che
a me talvolta si arroghi il merito di ciò che avr
equivoci e per non far che a me talvolta si arroghi il merito di ciò
che
avrà detto il mio dotto amico 14. Finalmente nel
rendere più copiosa la mia narrazione ho fatto resistenza alla piena
che
soprabbondava per non accedere i cinque volumi, t
o io ho fatto in quest’opera per diletto ed istruzione della gioventù
che
ama la poesia rappresentativa. Avrò colpito nel s
segno? Decidera il pubblico illuminato e imparziale. A me basterebbe
che
le mie vigilie o almeno i principi additati in qu
enza della drammatica ottenessero il frutto d’ insinuare la necessità
che
hanno le società culte di preparare agli stranier
he hanno le società culte di preparare agli stranieri un buon teatro,
che
, in vece di essere un seminario di schifezze e di
les mêmes. 4. (*) Libro IV, c. 4. 5. (*) Montesquieu non apprezzava
che
i drammatici, e gli chiamava (nella lettera 137 d
ce turbinando dandole di più un senso differente del latino turbinare
che
equivale all’aguzzare de’ Toscani: nel poema dell
ccolte disse trica, eliconide sostantivo, prefatori ed altri vocaboli
che
gli furono notati dagli Amici del Friuli e di Ven
usò nel senso del Francese pomper la voce Italiana trombare. E’ vero
che
la parola tromba fra noi significa tromba da sona
alir l’acqua; ma il verbo trombare altro non ha espresso fra’ Toscani
che
propriamente sonar la tromba e figuratamente pubb
lo Jonico, ma non ho trovato fra’ Toscani usata questa voce nel senso
che
le diede il Sig. Bettinelli di globo o vortice di
talia pizzicagnoi, ricciuolo, toletta, cordicetta, stiticoso ed altre
che
usò il Sig. Bettinelli nel poema delle Raccolte.
rdarmi questa lode il Sig. Ab. Bettinelli nella citata prefazione. Al
che
stringendomi nelle spalle mi acqueterò col volgar
inion de la que le quieren dar. A quello però ch’ egli aggiugne, cioè
che
ciò sia per non aver io letto gli autori, o per n
sia per non aver io letto gli autori, o per non avergli intesi, dirò
che
la continuata approvazione del pubblico par che a
avergli intesi, dirò che la continuata approvazione del pubblico par
che
abbia deciso contro di questa sua gentile asserzi
o poi troppe volte mostrato nelle Vicende della Coltura delle Sicilie
che
il Sig. Bettinelli nel Risorgimento ha spesso dat
a cosa con un libro intero i Veneziani nel 1758. Dirò ancora con pena
che
gliel mostrò pure uno straniero quando gli rimpro
co III di Portogallo, e di non aver letto nè il Tostado, nè i teologi
che
l’aveano citato. Ad un bisogno potrei allungare l
izione viene giustificata dall’equivoco preso dal Sig. Ab. Lampillas,
che
stimò mia una nota del Sig. Vespasiano (che il le
o dal Sig. Ab. Lampillas, che stimò mia una nota del Sig. Vespasiano (
che
il leggitore troverà nel III volume di quest’oper
el suo Saggio Apologetico. Anche il Sig. Bettinelli o confuse o volle
che
si consondesse la mia storia colla lettera premes
e la mia storia colla lettera premessavi dall’ erudito Ab. Soria; ciò
che
è un’ altra pruova o che non sempre si legga bene
tera premessavi dall’ erudito Ab. Soria; ciò che è un’ altra pruova o
che
non sempre si legga bene, o che si giudichi con i
. Soria; ciò che è un’ altra pruova o che non sempre si legga bene, o
che
si giudichi con ingiustizia e mala fede.
non se tragedie e commedie piene di mille assurdità, era ben naturale
che
s’appigliassero al melodramma, in cui trovano un
e alla poesia senza riflettere, come osserva un grandissimo ingegno,
che
quest’apparente ricchezza altro non era che pover
a un grandissimo ingegno, che quest’apparente ricchezza altro non era
che
povertà, nella medesima guisa che i fiori sparsi
t’apparente ricchezza altro non era che povertà, nella medesima guisa
che
i fiori sparsi innanzi al tempo sulle campagne in
sterilità del terreno. [2] Tuttavia non poteva a meno di non avvenire
che
fra le tante lascivie dell’arte, ond’erano ingomb
o non infelice dalla penna de’ poeti. La natura ha questo di proprio,
che
basta che ci si mostri nel suo vero aspetto, perc
lice dalla penna de’ poeti. La natura ha questo di proprio, che basta
che
ci si mostri nel suo vero aspetto, perché tosto f
é. Ecco il momento della rivoluzione. I poeticominciarono a conoscere
che
si potevano interessare gli animi a preferenza de
interessare gli animi a preferenza degli occhi, e s’avvidero i musici
che
la possanza dell’arte loro avvegnaché ne abbia pe
eno riposta principalmente nella melodia. [3] Essa in fatti è la sola
che
fa che la musica divenghi un’arte imitatrice dell
osta principalmente nella melodia. [3] Essa in fatti è la sola che fa
che
la musica divenghi un’arte imitatrice della natur
e’ tuoni e delle note i diversi accenti delle passioni. Essa è quella
che
adoperando i muovimenti or rapidi, or lenti, or c
ina alla speranza, al timore, al coraggio, ed alla maninconia. Essa è
che
riproducendo le sensazioni, che in noi risvegliar
coraggio, ed alla maninconia. Essa è che riproducendo le sensazioni,
che
in noi risvegliarono le immagini rappresentative
entative degli oggetti fisici, sa dipingere il mormorio d’un ruscello
che
scorre lentamente fra l’erbe, e lo strepito d’un
uscello che scorre lentamente fra l’erbe, e lo strepito d’un torrente
che
romoreggia precipitato dalle montagne, lo spavent
d’un meriggio rischiarato dal sole. Essa è l’unica parte della musica
che
cagioni degli effetti morali nel cuor dell’uomo,
l cuor dell’uomo, i quali oltrepassano la limitata sfera dei sensi, e
che
trasmette a’ suoni quella energia dominatrice che
sfera dei sensi, e che trasmette a’ suoni quella energia dominatrice
che
ne’ componimenti s’ammira de’ gran maestri. La qu
ome altrettanti segni delle nostre affezioni e delle nostre idee: dal
che
nasce che risovvenendoci degli oggetti, che vengo
tanti segni delle nostre affezioni e delle nostre idee: dal che nasce
che
risovvenendoci degli oggetti, che vengono per mez
e delle nostre idee: dal che nasce che risovvenendoci degli oggetti,
che
vengono per mezzo di esse rappresentate, ci senti
ppresentate, ci sentiamo parimenti agitare da que’ movimenti medesimi
che
avrebbe in noi eccitati la presenza loro. Essa è
he avrebbe in noi eccitati la presenza loro. Essa è finalmente quella
che
sottopone, a così dire, l’universo all’imperia de
ne, a così dire, l’universo all’imperia dell’orecchio, non altramente
che
il sottopongano la pittura e la poesia, quella al
mporanee dei suoni, è atta bensì a formare un accozzamento gradevole,
che
diletti l’udito; ma non può sollevarsi fino al pr
ne troppo lontana, né può avere una influenza notabile sugli affetti,
che
è il vero scopo della musica teatrale. Nella stes
etti, che è il vero scopo della musica teatrale. Nella stessa maniera
che
le sole regole della grammatica faranno bensì un
ebbene non possano ottenersi senza osservar la sintassi, non è perciò
che
dalla sintassi in tal modo dipendano, che basti l
r la sintassi, non è perciò che dalla sintassi in tal modo dipendano,
che
basti l’averla osservato perché altri divenga ora
’averla osservato perché altri divenga oratore. La rettorica è quella
che
disponendo a sua voglia delle regole e delle paro
di esse come di veicoli delle idee, comunica loro quella espressione,
che
da sé sole non avrebbero fra le mani di un gramma
fra le mani di un grammatico. Ora come la melodia è per la musica ciò
che
la rettorica per il linguaggio, così l’armonia è
che la rettorica per il linguaggio, così l’armonia è per i suoni ciò
che
la sintassi per il discorso. Può essa concorrere
generale dei suoni le inflessioni difettive e vaganti, non altrimenti
che
la grammatica tenta di accomodare ai precetti gen
perché è figlio dell’arte, non produrrà il menomo effetto sul cuore,
che
mai non vien mosso da proporzioni astratte o da s
n entrano nel sistema arbitrario dell’armonia, parte levando a quelli
che
restano il mezzo più possente della espressione,
levando a quelli che restano il mezzo più possente della espressione,
che
è quello di parlar all’anima nostra un qualche li
un oggetto determinato. Imperocché ove la musica non mi farà sentire
che
intervalli, consonanze, proporzioni, accordi, e r
i di Ricatti e d’Eulero, goderò tinche dello stesso materiale diletto
che
mi arrecano i gorgheggi d’una lecora o d’un canar
’un canario, ma rassembrerò altresì a que’ vecchi descritti da Omero,
che
formavano il consiglio di Priamo, i quali ammirav
commossi, perché non vi ravviserò punto quel principio d’imitazione,
che
di tutte le belle arti ne è il fondamento, non tr
ò ricercarmi l’anima e il cuore da quei movimenti improvvisi e forti,
che
dalle arti di genio ha ogni uomo sensibile diritt
colori accozzati su un quadro niun effetto cagionano senza il disegno
che
è lo spirito vivificante della pittura, così la c
re senza la melodia. L’immagine delle nostre passioni e degli oggetti
che
le mettono in esercizio, lo specchio delle nostre
a un valente pennello, non rimane altresì ozioso nel sentire una voce
che
canti in quella solitudine o in quel boschetto. L
nti, nulla dicono però allo spirito loro; laddove una voce solitaria,
che
risuoni dolcemente nel silenzio di solinga valle,
emente nel silenzio di solinga valle, annunzia tosto a chi l’ascosta,
che
colà soggiorna un essere socievole, compagno nell
[5] Talmente incominciarono a pensare i compositori italiani. O fosse
che
la riflession gli portasse a così interessante sc
, o si lasciassero essi condurre da quell’intimo sentimento del bello
che
genera il gusto e che vien generato dall’istinto,
i condurre da quell’intimo sentimento del bello che genera il gusto e
che
vien generato dall’istinto, o nascesse ciò dalla
dal mediocre all’ottimo per ricader di bel nuovo nel pessimo; certo è
che
il cuore riacquistò i suoi diritti, che dai sensi
el nuovo nel pessimo; certo è che il cuore riacquistò i suoi diritti,
che
dai sensi gli erano stati ritolti, e che la music
e riacquistò i suoi diritti, che dai sensi gli erano stati ritolti, e
che
la musica da un puro accozzamento di suoni divenn
esattezza le parti, a connetter fra loro i passaggi secondo il luogo,
che
debbono occupare nella modulazione, a scegliere e
modulazione, a scegliere e regolare gli accordi secondo la relazione
che
hanno essi col tutto. Ludovico Viadana, inventand
ra col canto, o non abbastanza distinto, divenne un genere di per sé,
che
acquistò peculiar forma e leggiadria. Giacopo Car
o ingegno onde avealo fornita la natura, il corifeo della Francia. Lo
che
egli fece imitando la musica sacra qualmente si t
, e trasferendola al proprio idioma ed al teatro con quelle mutazioni
che
esigeva il genio dell’uno e dell’altro. Chi ha se
e onde ricavò Lulli il suo recitativo, se non in quanto lo svantaggio
che
ebbero quelli lavorando su parole sconnesse e mez
no dal desiderio d’imparare e di conversare cogli uomini grandissimi,
che
allora fiorivano in Francia, che di far mostra de
conversare cogli uomini grandissimi, che allora fiorivano in Francia,
che
di far mostra de’ propri talenti alla corte d’un
d’ogni sorta di merito, e divenuto assai più celebre per questo mezzo
che
per l’incomparabile sua fortuna nella guerra, o p
ffari di Europa. Documento luminoso a’ sovrani per far loro conoscere
che
la sola maniera d’eternar il lor nome e di farsi
è quella di rendersi veramente utili alla umanità, promovendo le arti
che
soddisfanno a’ bisogni degli uomini, e favoreggia
i che soddisfanno a’ bisogni degli uomini, e favoreggiando le scienze
che
perfezionano il loro spirito. La gloria delle arm
e d’un turbine di cui non si conserva la memoria se non per le rovine
che
ci attestano della strage; laddove quella de’ pri
le rovine che ci attestano della strage; laddove quella de’ principi
che
proteggono le cognizioni proficue inseparabili da
separabili dal vero merito, dura come la quercia descritta da Lucano,
che
era la figliuola primogenita del bosco, riverita
i progressi delle lettere non solo in Francia, ov’egli è indubitabile
che
arrivarono al maggior loro splendore, ma nelle co
li è vero, siccome apparisce chiaramente dalla storia del cuor umano,
che
l’interesse, l’emulazione e la gloria siano le tr
ate a Parigi nell’epoca di cui parliamo. La munificenza d’un sovrano,
che
pagava con quattordici mila scudi un pessimo sone
re europeo. L’emulazione, quella figlia pericolosa dell’amor proprio,
che
alle volte partorisce l’invidia, alle volte gener
che alle volte partorisce l’invidia, alle volte genera l’eroismo, ma
che
divien necessaria in mancanza della virtù per far
appertutto gli ingegni, ed ecco sorgere a debellar il gusto fiamingo,
che
da lungo tempo vi dominava, il Cassati, e il Mela
a Ferrara, e lo Stradela a Genova celebre non meno per l’abilità sua
che
per i suoi amori e tragico fine. Dietro alle peda
o decoro la gloria del nome italiano in Inghilterra in mezzo al grido
che
aveano meritamente levato in quell’isola le compo
mente levato in quell’isola le composizioni dell’Hendel. Gli Inglesi,
che
ad un vivo interesse per la patria loro sanno acc
resse per la patria loro sanno accoppiare quella imparziale filosofia
che
generalizza i sentimenti e le idee, e presso ai q
dia, si prendevano talvolta il piacere di obbligar i tre professori a
che
suonassero in presenza del pubblico a gara in tre
ò l’espressione anima e spirito dell’arte, la quale è alla musica ciò
che
l’eloquenza al discorso: s’imparò a subordinare l
arò a subordinare l’una all’altre tutte le diverse e moltiplici parti
che
la compongono, e a dirigere il tutto verso il gra
di dipingere e di commuovere; si studiò con maggior cura l’analogia,
che
dee sempre passare tra il senso delle parole e i
e i suoni musicali, tra il ritmo poetico e la misura, tra gli affetti
che
esprimono i personaggi, e quelli che rende il com
ico e la misura, tra gli affetti che esprimono i personaggi, e quelli
che
rende il compositore; si sminuirono considerabilm
parte principale con quello di ciascuna in particolare, e nel far sì
che
l’armonia, il movimento, la misura, la modulazion
agnamenti s’acconsentano scambievolmente, e non parlino, a così dire,
che
un solo linguaggio. Codesto pregio, che non sembr
, e non parlino, a così dire, che un solo linguaggio. Codesto pregio,
che
non sembra a prima vista né straordinario, né dif
o, né difficile ad ottenersi, è nullameno uno degli sforzi più grandi
che
abbiano fatto i moderni italiani. La difficoltà c
ciascuna di esse ha il suo canto peculiare e distinto, come può darsi
che
suonando tutte insieme e contemporaneamente, a vi
no tutte un solo e medesimo canto, in qual guisa s’otterrà l’armonia,
che
è una combinazione equitemporanea di più modulazi
più copiosi e brillanti. Il loro andamento è più spiritoso e più vivo
che
non soleva essere per lo passato: donde spicca ma
e note però e gli ornamenti sono distribuiti con sobrietà, in maniera
che
senza toglier niente alla vaghezza dell’aria, non
volgarmente recitativo obbligato, la quale per la situazione tragica
che
esprime, pel vigore che riceve dalla orchestra, e
obbligato, la quale per la situazione tragica che esprime, pel vigore
che
riceve dalla orchestra, e pel patetico di cui abb
ne al recitativo strumentato quello pell’ammirabile facilità di canto
che
seppe dargli, questo pel maneggio degli strumenti
e il Virgilio della musica. Simile al primo egli non ebbe altra guida
che
la natura, né altro scopo che di rappresentarla a
mile al primo egli non ebbe altra guida che la natura, né altro scopo
che
di rappresentarla al vivo, «L’arte, che tutto fa
he la natura, né altro scopo che di rappresentarla al vivo, «L’arte,
che
tutto fa, nulla si scopre.» [10] Simile al secon
olato nella Serva padrona, la quale ebbe il merito singolare, sentita
che
fu la prima volta a Parigi, di cagionare una inas
della musica italiana. Niuno meglio di lui ha saputo ottenere i fini
che
dee proporsi un compositore; niuno ha fatto migli
a ai duetti, questa parte così interessante della musica teatrale. Di
che
possono far fede l’inimitabile addio di Megacle e
ere di alcuni difetti annessi al genio ci avrebbe forse fatto vedere,
che
se la musica moderna non produce i maravigliosi e
ella incapace di produrli, ma da mancanza delle nostre legislazioni,
che
non sanno convenevolmente applicarla. Scarlatti i
[11] Come al rattiepidirsi della stagione nella primavera, il calore,
che
penetra nel centro della terra, va dilatandosi a
omunicato sul principio ad un genere si propagò ben tosto agli altri,
che
concorrono alla perfezione del melodramma. La str
e avverata dalla esperienza e confessata dagli oltramontani eziandio,
che
il ridente cielo dell’Italia comunichi a gli stru
lo dell’Italia comunichi a gli strumenti una non so qual dilicatezza,
che
non si ritrova sotto gli altri climi di Europa. F
Forse ciò deriva dalla temperatura dolce e fervida insieme dell’aria,
che
domina generalmente in questo paese, la quale, re
più leggieri i legni, e più elastiche le corde, è la cagione altresì
che
pesino meno e che più acutamente risuonino. Al ch
gni, e più elastiche le corde, è la cagione altresì che pesino meno e
che
più acutamente risuonino. Al che aggiugnendosi l’
la cagione altresì che pesino meno e che più acutamente risuonino. Al
che
aggiugnendosi l’accento vivo ed appassionato degl
o. Al che aggiugnendosi l’accento vivo ed appassionato degl’Italiani,
che
gli dispone in particolar maniera alla melodia e
anto, non è da maravigliarsi se la musica strumentale, la quale non è
che
una imitazione più o meno vaga e generica della m
’indole dilicata e leggiera del suo modello. Così si vede per pruova,
che
posta la stessa fabbrica degli strumenti, lirici
va, che posta la stessa fabbrica degli strumenti, lirici o pneumatici
che
siano, e la stessa abilità ne’ maestri, si osserv
i la soavità del suono italiano a preferenza degli altri. [12] Se non
che
il miglioramento dell’arte del suono in Italia no
dee tutto ripetersi dalle accennate cagioni ma dalle scuole eziandio
che
incominciarono a fiorire dopo la metà del passato
no quella del Corelli, e non molto dopo quella del Tartini. La prima,
che
ebbe origine dal più grande armonista che mai ci
ella del Tartini. La prima, che ebbe origine dal più grande armonista
che
mai ci sia stato di qua dai monti, spiccava princ
attutto nelle suonate a solo, le quali sono la più pregievol raccolta
che
ci resta della scuola corelliana. Ma i suoi Capri
an Giuseppe Tartini si rese benemerito dell’arte per tutti que’ mezzi
che
contribuiscono all’avanzamento di essa. Fu pratic
eccellentissimo, maestro sensato e distinto scrittore. In ogni cosa,
che
prese a perfezionare, ha saputo imprimere lo spir
ngandone alquanto l’archetto, raddolcì l’asprezza di quello stromento
che
sarebbe stridente di sua natura, e studiando sull
rime per sollevarsi poscia bel bello fino a quel grado di espressione
che
caratterizza i suoi componimenti, e che altri ass
o a quel grado di espressione che caratterizza i suoi componimenti, e
che
altri assomiglierebbe alla musa del Petrarca, di
lle pure fiamme di quel platonico e sublime amatore88. V’ha di quegli
che
l’accusano di soverchia parsimonia negli accompag
ile, ma il difetto si dilegua ben tosto qualora si voglia riflettere,
che
lo stile tartiniano colorito di tinta finissima p
ia. Non più si collocarono alla rinfusa gli strumenti, né si credette
che
il numero e la scelta di essi nulla avesse che fa
umenti, né si credette che il numero e la scelta di essi nulla avesse
che
fare colla espressione, ma si pensò bensì che l’u
ta di essi nulla avesse che fare colla espressione, ma si pensò bensì
che
l’una e l’altra di queste cose contribuissero ass
Partendo dal principio della unità accennata di sopra, conobbero essi
che
essendo fatto non il canto per gli strumenti, ma
voce del cantore, ma regolarla soltanto, sostenerla, e rinvigorirla;
che
essendo ciascuno stromento necessario in parte al
signoreggiassero su quelli da corda, o questi all’incontro su quelli;
che
non convenendo mischiare fra loro suoni di divers
zie, acciò si accordassero meglio e con maggior esattezza suonassero;
che
i bassi però si dovessero interpolare or qua or l
iacché da essi dipende la movenza, e l’andamento d’ogni buon’armonia;
che
non essendo a proposito qualunque sgomento per pr
cuno per meglio combinarli fra loro, e farli muovere a luogo e tempo;
che
i subalterni dovevano esser intieramente subordin
ovevano esser intieramente subordinati al maestro, e posti in maniera
che
potessero esser tutti insieme veduti e veder anch
e veduti e veder anch’essi scambievolmente chi suona il clavicembalo;
che
bisognava avvezzar di buon ora i sonatori alla gi
, chiamato altrimenti il Buranello celebre non meno per questo merito
che
per lo studio posto nella espressione del costume
ropria spezie di canto, la natura e situazione attuale de’ personaggi
che
prendonsi a rappresentare. né minor gloria s’acqu
quale in siffatto pregio come nella felicità de’ suoi voli musicali,
che
lo rendono, a così dire, il Chiabrera e l’Orazio
lata da lui per molti anni, dove s’imparerà più con una occhiata sola
che
colla più minuta descrizione che da me potesse fa
s’imparerà più con una occhiata sola che colla più minuta descrizione
che
da me potesse farsi. [16] Ma niuna cosa contribuì
a italiana in quest’epoca quanto l’eccellenza e la copia de’ cantori,
che
fiorirono di qua dai monti. Infatti come sarebbe
he fiorirono di qua dai monti. Infatti come sarebbe possibile, anzi a
che
gioverebbe la perfezione delle altre parti costit
l pessimo gusto? L’arte del maestro e del sonatore altro non è infine
che
un linguaggio imperfetto, col quale non s’arriva
tto, col quale non s’arriva a esprimere se non troppo rimotamente ciò
che
si vuole, laddove il canto è la più compita e più
uole, laddove il canto è la più compita e più interessante imitazione
che
le belle arti possano proporsi per fine. La più c
mezzi a ben rappresentarlo. La più interessante, poiché egli è certo,
che
fra tutte le imitazioni possibili la più gradita
trae dal marmo la statua di Galatea, questo è simile al nume propizio
che
animò quella statua medesima e che ai sensi sotto
, questo è simile al nume propizio che animò quella statua medesima e
che
ai sensi sottopose dell’artefice innamorato i soa
nto naturale delle passioni, nell’acquistar una perfetta intonazione,
che
è il cardine d’ogni melodia, nell’imparar la mani
del dolore o della tristezza, scorrendo poi leggiermente sugli altri,
che
generati vengono da affetti contrari, nel preferi
ore a quello di bravura, nel far uso di quelli abbellimenti soltanto,
che
necessari sono alla vaghezza e brio della voce se
l’accomodar la prosodia della lingua coll’accento musicale in maniera
che
vi si distingua nettamente ogni parola, se ne com
il carattere de’ personaggi, in una parola nel portar il più lontano
che
sia possibile l’interesse, l’illusione, e il dile
gomento a provar la diligenza di questi eccellenti maestri il costume
che
avevano, siccome riferisce il Buontempi illustre
i delle mura di Roma colà dove si ritruova un sasso famoso per l’eco,
che
ripete più volte le stesse parole. Ivi ad imitazi
olte le stesse parole. Ivi ad imitazione di Demostene, di cui si dice
che
andasse ogni giorno al lido del mare affine di em
ebre maestro in Milano Francesco Brivio, e Francesco Redi in Firenze,
che
non dee confondersi coll’altro Redi parimenti Fra
Firenze, che non dee confondersi coll’altro Redi parimenti Francesco,
che
tanti vantaggi ha recato alla sua lingua, alla po
e’ fasti della moderna musica ebbe una folla di maestri, e di scuole,
che
lungo sarebbe il voler partitamente noverare. Le
, dai quali uomini valentissimi non meno nella pratica dell’arte loro
che
nel metodo d’insegnarla, sortirono poscia que’ ta
o che nel metodo d’insegnarla, sortirono poscia que’ tanti discepoli,
che
quali novelli prodigi di melodia si fecero ammira
. Non essendomi permesso il nominar tutti, mi restringerò a due soli,
che
successivamente riempirono di stupore e di meravi
i. [18] Il primo fu Baldassarre Ferri perugino, creato poi cavaliere,
che
imparò la musica in Napoli e in Roma verso la fin
nservano tuttora varie raccolte di poesie, produzioni dell’entusiasmo
che
ovunque eccitava quel sorprendente cantore. Se si
ei, Tamiri, Terpandro, e Tirteo dovevano contarsi per nulla. Le doti,
che
rendono ammirabile separatamente qualunque musico
inflessioni, muoveva invincibilmente tutti gli affetti. Il Rousseau,
che
fa menzione di lui nel suo Dizionario, dice in pr
enzione di lui nel suo Dizionario, dice in pruova della sua abilità: «
che
egli saliva e discendeva in un fiato solo due pie
i cromatici con tanta giustezza di voce, benché senz’accompagnamento,
che
se l’orchestra suonava all’improvviso quella nota
molle, o fosse diesis, si sentiva al momento una conformità d’accordo
che
faceva stupir gli uditori» 89. Non inferiore al s
’altra un cigno moribondo sulle rive del Meandro colla cetra d’Arione
che
discende dal cielo. [19] Il secondo è stato il ca
consentirono mirabilmente quelle dell’arte. Intuonazion perfettissima
che
poteva servir di canone di Policleto nella sua pr
ietà e vaghezza negli ornamenti, ugual eccellenza nello stil leggiero
che
nel patetico, sopra ogni cosa graduazione esattis
la voce secondo l’indole del sentimento: ecco le mirabili prerogative
che
gli vengono unanimemente accordate, e che poscia
cco le mirabili prerogative che gli vengono unanimemente accordate, e
che
poscia a quella sublime fortuna il condussero che
emente accordate, e che poscia a quella sublime fortuna il condussero
che
non può ignorarsi da chicchessia. [20] Pregevole
esse fievole voce e disadorna, tanto ei seppe fare a forza di studio,
che
attissima la rese pel canto, nel quale maraviglio
o Raff, Giovanni Tedeschi, Tommaso Guarducci, e Giambattista Mancini,
che
si è anche distinto fra i letterati pel suo bel l
nori eccellenti, Bartolino faentino, e il Minelli uno di que’ cantori
che
hanno a’ tempi nostri posseduto con eminenza l’ac
venir meco per ogni dove cercando tutti i famosi professori di canto,
che
dell’uno e dell’altro sesso ebbe allora l’Italia,
. Basterà non per tanto l’accennar brevemente il valore di due donne,
che
si fecero a quel tempo sentir sul teatro con glor
zione mirabile, espressione sorprendente de’ diversi caratteri: doti,
che
la resero la prima attrice del secolo. La seconda
i buon contrappuntista. Divenne egualmente insigne pel proprio merito
che
per la fortuna di esser la sposa del gran Sassone
di cui farò in particolar modo menzione meno pel merito del suo canto
che
per un altro più insigne e più rispettabile agli
miseramente campare, non solo si vide vicino a perir di fame, ma (ciò
che
fa.fremere ogni cuor sensibile) in Italia, in que
he fa.fremere ogni cuor sensibile) in Italia, in quella città stessa,
che
dovrebbe andar più superba d’averlo avuto per fig
ittà stessa, che dovrebbe andar più superba d’averlo avuto per figlio
che
de’ trionfi, che ne adornano il suo Campidoglio,
dovrebbe andar più superba d’averlo avuto per figlio che de’ trionfi,
che
ne adornano il suo Campidoglio, ebbe egli a soffr
motivi quello di tramandare alla posterità i sentimenti d’ammirazione
che
m’ispira la tua memoria. Sì, tu vivrai negli anna
gi e ben degni di esserlo, mentre quello di tanti vegetabili automati
che
si chiamano grandi per obbrobrio del titolo, si d
itolo, si dileguerà dalla memoria degli uomini, come gl’impuri vapori
che
s’innalzano sulla superficie delle paludi, i nomi
Bach, e il Gluck e tanti altri posero sotto le note i drammi italiani
che
si videro signoreggiare imperiosamente in tutte l
o oro colato in Italia per questa via. né minore si fu la riputazione
che
del buon gusto e del prospero stato delle arti it
di sonatori, di cantanti, di ballerini, e di macchinisti bravissimi,
che
sortivano dal loro paese per procacciar ad essi u
interessante scrittore91 abbia chiamata vana e inutile quella gloria
che
ritraggono gl’Italiani dal vedere che la loro lin
ta vana e inutile quella gloria che ritraggono gl’Italiani dal vedere
che
la loro lingua, musica, e poesia sono superiori a
ontani. L’Italia non dovrà mai al nostro avviso riputar vana una lode
che
suppone in suo favore una decisiva maggioranza ne
musica né la poesia possono arrivar a tanta eccellenza in un popolo,
che
dotato non sia di squisita sensibilità, e di bril
n sia di squisita sensibilità, e di brillante immaginazione; qualità,
che
trasferite alle belle arti non solo bastano ad im
seconde, perché la perfezione di quelle facoltà è un indizio sicuro,
che
si coltivano pur ora, o si sono per l’addietro co
o pur ora, o si sono per l’addietro coltivate felicemente molte altre
che
dipendono dalle prime, o s’inanellano con esse in
e altre che dipendono dalle prime, o s’inanellano con esse in maniera
che
non possono reggersi da per sé; così una lingua r
ra, e di cognizioni; una poesia ricca, e perfetta nei moltiplici rami
che
la compongono, suppone un uso quotidiano del teat
el gusto, e in tutte le arti del lusso. Imperocché è incontrastabile,
che
giammai un popolo baderebbe a perfezionar con tan
ssero da lungo tempo. né può tampoco chiamarsi inutile quella gloria,
che
al sostentamento serve di tanta gente, e contribu
colar maniera a tirar in Italia l’oro degli stranieri, essendo certo,
che
da niun ramo delle belle arti cava, se ben si con
va, se ben si considera, tanto lucro questa provincia, quanto da quei
che
servono al melodramma. principalmente dacché le a
ire colla sua venustà le rive della Senna e dello Scaldi. [24] Se non
che
non si dee credere che il buon gusto musicale qua
e rive della Senna e dello Scaldi. [24] Se non che non si dee credere
che
il buon gusto musicale quale è stato finora descr
, senza canto, senza leggiadria, qual altro pregio veramente aver può
che
quel di abbagliar gli eruditi, e di uccider per l
il famoso Benedetto Marcello patrizio veneto, genio fra i più grandi
che
abbia nel nostro secolo posseduti l’Italia, e che
io fra i più grandi che abbia nel nostro secolo posseduti l’Italia, e
che
nella sua immortale composizione de’ salmi garegg
gareggia col Palestina se non lo supera. Quest’uomo eccellentissimo,
che
alla gravità dell’antica musica ha saputo unir co
teatro alla moda, senza nome, senza data e senza luogo di stampa, ma
che
fu per altro mandata in luce poco dopo il mille e
ro mandata in luce poco dopo il mille e settecento, ove colla licenza
che
permette la maschera, schiera ad uno ad uno con f
la maschera, schiera ad uno ad uno con festiva ironia tutti i difetti
che
dominavano al suo tempo in sulle scene. Ad essa n
no al suo tempo in sulle scene. Ad essa noi pure rimettiamo i lettori
che
dello stato del teatro italiano volessero avere p
la melodia dell’immortal Farinelli fu la stessa nella età sua virile,
che
fosse stata nella sua giovinezza. Ma non ci dobbi
ovinezza. Ma non ci dobbiamo punto maravigliare di questo, ripensando
che
nelle vie che percorre l’umano spirito per istrui
on ci dobbiamo punto maravigliare di questo, ripensando che nelle vie
che
percorre l’umano spirito per istruirsi, l’errore
è quell’istimo fatale posto dalla natura tra la verità e l’ignoranza,
che
non lice ad alcun nocchiero schivare se annoverat
mi, cui propizio sorrise Giove dall’Olimpo. 86. [NdA] «Ragion vuole
che
si ricordi al lettore un pregio, che suole accomp
limpo. 86. [NdA] «Ragion vuole che si ricordi al lettore un pregio,
che
suole accompagnare il regno di quei monarchi, a’
il regno di quei monarchi, a’ quali si dà il titolo di grandi, cioè,
che
a suoi tempi mirabilmente fiorirono le lettere e
rabilmente fiorirono le lettere e i letterati non men fra i cristiani
che
fra i pagani». Muratori, Annali d’Italia ann. 395
’Italia ann. 395. II bibliotecario estense è quasi sempre più erudito
che
filosofo; ma questa volta è una eccezione della r
one della regola. 87. [NdA] Morì di trentatré anni. Alcuni affermano
che
di veleno preparatogli dai maestri di cappella su
ivali. Quantunque ciò non meriti ogni credenza, egli è tuttavia certo
che
Pergolesi fu il bersaglio della invidia, e che se
egli è tuttavia certo che Pergolesi fu il bersaglio della invidia, e
che
sembra essersi avverata nella sua persona quella
i avverata nella sua persona quella severa e incomprensibil sentenza,
che
la natura, in creando gli uomini singolari ha, co
vie più insopportabile la compagnia d’una moglie riottosa e caparbia,
che
gli toccò in sorte simile alla Santippe di Socrat
titolo il Ch. Tiraboschi, l’erudito Bettinelli, e tutti gl’Italiani,
che
anche col pensiero fossero indiziati di essere An
ero fossero indiziati di essere Anti-Spagnuoli, contuttociò spiacemi,
che
il Signor Lampillas vada alzando l’intonazione, p
i gli altri ad accordarvisi, e poi si querelerà della poca urbanità e
che
so io. Del resto egli con una evidenza propria de
Signorelli domanda perdono al Signor Lampillas di questo peccato, ora
che
si è avveduto, che per vivere con lui in pace bis
perdono al Signor Lampillas di questo peccato, ora che si è avveduto,
che
per vivere con lui in pace bisogna tessere un con
ontinuo panegirico delle Scene Spagnuole a dispetto del buon senso. E
che
ci vuol fare? Credeva il Signorelli troppo buonam
n senso. E che ci vuol fare? Credeva il Signorelli troppo buonamente,
che
un Teatro regolare, ritratto de’ costumi del temp
po buonamente, che un Teatro regolare, ritratto de’ costumi del tempo
che
correa, formato su i Greci e i Latini, scritto in
tro Teatro privo di quasi tutti questi pregi. Ma il Lampillas mi dice
che
questo è un pregiudizio, ed io vi rinunzio incont
disinganno, rinunzierò a un altro pregiudizio. Imperocchè io pensava
che
i Poemi Comici si dovessero esaminare dall’arte,
stasse accennarla, come ho fatto io, ad esempio del dottissimo Brumoy
che
così trattò nelle Commedie di Aristofane, e come
gliana, e quelle Commedie esalterò, ad onore della Drammatica Poesia,
che
tratte sieno da qualche Flos Sanctorum, senza att
pregiudizio già distrutto, mi spoglierò di un’ altra falsa opinione,
che
io covava in mente. Io credeva che, per quanto si
lierò di un’ altra falsa opinione, che io covava in mente. Io credeva
che
, per quanto si stimi un Autore, un ingegno libero
editino per loro fini, le Commedie Italiane del cinquecento. E’ vero,
che
il Signor Lampillas nota altri miei pregiudizj in
s, e a Nasarre; ma del primo ho già parlato, e circa i secondi stimo,
che
quella parte della Storia de’ Teatri, che di loro
o, e circa i secondi stimo, che quella parte della Storia de’ Teatri,
che
di loro favella, non sia stata punto crollata per
ancora soddisfare. Più di una fiata mi rinfaccia il Signor Lampillas,
che
io abbia più a disteso parlato del Teatro Greco,
io abbia più a disteso parlato del Teatro Greco, Latino, e Francese,
che
non dello Spagnuolo. Lasciamo che questa querela
l Teatro Greco, Latino, e Francese, che non dello Spagnuolo. Lasciamo
che
questa querela non avrà più luogo, pubblicata la
ù luogo, pubblicata la nuova edizione del mio Libro. Lasciamo ancora,
che
io per uno de’ miei soliti pregiudizj pensava, ch
. Lasciamo ancora, che io per uno de’ miei soliti pregiudizj pensava,
che
di quello più si dovesse parlare, che più conferi
miei soliti pregiudizj pensava, che di quello più si dovesse parlare,
che
più conferisse a migliorar l’arte, ed instruire l
go a dire il perchè nella prima edizione sì mi condussi: bene inteso,
che
se allora parlai poco dello Spagnuolo, meno assai
e, prima di ogni altra cosa, più famigliari i Drammi Greci, e Latini,
che
per la mollezza del tempo corrente, e per essersi
stre usanze, venivano negligentati. Adunque cercai parlarne in guisa,
che
non istancando con soverchia e rancida pedanteria
a giovanile curiosità, per quelle ricchezze riposte. Appresso stimai,
che
il Teatro Francese meritasse men succinto ragguag
ena da questi ultimi felici Drammatici. E molto più perchè osservava,
che
la gioventù Italiana per simili idee sparse fra n
rarle, e mi convenne alquanto particolareggiare. Stimai al contrario,
che
per tante Drammaturgie, Cataloghi, Biblioteche, e
per la superiorità del Francese, il vidi passato di moda, e giudicai,
che
nè i nostri, a’ quali era divenuto indifferente,
che nè i nostri, a’ quali era divenuto indifferente, nè i nazionali,
che
l’aveano sotto gli occhi, vi avrebbero preso inte
che l’aveano sotto gli occhi, vi avrebbero preso interesse, tanto più
che
sapeano che i migliori loro Letterati sospiravano
sotto gli occhi, vi avrebbero preso interesse, tanto più che sapeano
che
i migliori loro Letterati sospiravano per una rif
vano per una riforma. Ma qualche mio amorevole compatriota m’insinuò,
che
nel reimprimere il mio Libro parlassi pure del Te
riforma della mia Opera distesi la nostra Istoria teatrale in guisa,
che
appagasse gli amici della verità, e delle nostre
UDIZIO. Il Signorelli (Lamp. p. 176.) non vuole stimar verisimile,
che
le farse (triviali, fredde, smunte, snervate) del
o le Commedie del Macchiavelli, dell’Ariosto, del Bentivoglio: quando
che
si sa che Leone X. chiamava a Roma la Compagnia d
die del Macchiavelli, dell’Ariosto, del Bentivoglio: quando che si sa
che
Leone X. chiamava a Roma la Compagnia de’ Rozzi,
anti Commedie. RISPOSTA. Che semplicità del Signorelli! Egli credeva,
che
i Rozzi di Siena fossero Accademici eruditi addet
te a coltivare la Scenica Poesia scrivendo e rappresentando. Credeva,
che
se essi non recitavano l’eleganti Commedie surrif
omprese sotto il titolo di Commedie erudite 1. Ma il Signor Lampillas
che
stima pregiudizj la Storia e l’Evidenza, che sa c
. Ma il Signor Lampillas che stima pregiudizj la Storia e l’Evidenza,
che
sa convertire un Commediante Spagnuolo in un buon
ederà anch’egli una Congrega di Arlecchini; e crederà in conseguenza,
che
le Commedie del Naarro potessero essere allora as
rro potessero essere allora ascoltate in Italia, affermando non solo,
che
ciò fosse verisimile, ma vero ancora, s’egli così
III. PREGIUDIZIO. Nè anche crede il Signorelli (Lam. p. 177.),
che
fossero stampate a’ tempi intorno a Leone X. le C
composte in varj dialetti. RISPOSTA. Veramente pensava il Signorelli,
che
non vi fosse stato in Italia verun Ruzzante chiam
erun Ruzzante chiamato Belocci, ma sì bene un Angelo Beolco1. Pensava
che
questo Ruzzante avesse composte talora Commedie c
un dialetto (e non già con quanti ne usò l’Autore della Rodiana), ma
che
esse non erano punto fredde, e insulse come le Sp
nedetto Varchi giudice favorito dell’Apologista. Ultimamente pensava,
che
le Commedie del Beolco non furono mica stampate a
Ariosto, cosa disapprovata dall’Apologista, perchè potrebbe temersi,
che
in vece del purgato stile imparasse il corrotto c
a poi (sia ciò detto con pace del Signor Lampillas) non è punto vero,
che
nelle Commedie di Ariosto s’insegni il corrotto c
ercate col fuscellino vi noterà il Signor Lampillas da riprendere; ma
che
queste sieno pochissime in Ariosto, e poco degne
tre secoli continui. E a dir vero stupisco di voi, Signor Lampillas,
che
vi arrogate l’autorità di proscrivere ciò che la
voi, Signor Lampillas, che vi arrogate l’autorità di proscrivere ciò
che
la Chiesa non disapprova, e d’involare alla pubbl
pplicati profanamente, il Signor Lampillas farà stupire ogni lettore,
che
per qualcheduno, che potrà trovarsene in Ariosto,
, il Signor Lampillas farà stupire ogni lettore, che per qualcheduno,
che
potrà trovarsene in Ariosto, alzi così rigidament
Solis, se non m’inganno), e gli salterà agli occhi questa verità. Ciò
che
fa principalmente stordire nel Teatro Spagnuolo (
Spagnuolo (dice l’eruditissimo Ab. Arnaud) è l’applicazione ridicola,
che
si fa incessantemente delle cose più gravi. “Il n
ineros. Il per altro grazioso D. Agostin Moreto ne abbonda. Non credo
che
tanti esempj ne porgano tutte le Commedie di Ario
si di questa maggior profanazione? Infine era il Signorelli persuaso,
che
, quando anche nelle Commedie dell’impareggiabile
, quante se ne leggono nelle Commedie Latine, a cagione de’ caratteri
che
vi s’introducevano, e non pertanto da quasi dicio
ccomanda la lettura alla gioventù. E sarà poi delitto il consigliare,
che
si studiano quelle dell’Ariosto? Ma con tutto che
tto il consigliare, che si studiano quelle dell’Ariosto? Ma con tutto
che
la sonora voce della ragione parli in simil guisa
contro l’aspettazione dell’Apologista dà per cosa verisimile e vera,
che
un Cervantes, che con tanto senno ragionò contro
ione dell’Apologista dà per cosa verisimile e vera, che un Cervantes,
che
con tanto senno ragionò contro le cattive Commedi
Signorelli, e crederà più alle rare congetture del Signor Lampillas,
che
agli occhi proprj, co i quali ha vedute e lette q
Commedie di Cervantes. E ciò farà con alacrità tanto maggiore, quanto
che
l’Apologista l’incoraggia con quel bellissimo rit
l’Apologista l’incoraggia con quel bellissimo ritrovato apologetico (
che
pure non venne in mente all’istesso Nasarre), che
rovato apologetico (che pure non venne in mente all’istesso Nasarre),
che
la malizia degli Stampatori sotto il nome e prolo
rimendo le genuine, o trasformandole del tutto. Or chi non crederebbe
che
l’Apologista parlasse secondo che pensa, a quella
le del tutto. Or chi non crederebbe che l’Apologista parlasse secondo
che
pensa, a quella gravità e serietà con cui afferma
i afferma simil cosa? Io per me credo fermamente a quanto quì dice. E
che
importa che contro sì bella e felice pensata del
mil cosa? Io per me credo fermamente a quanto quì dice. E che importa
che
contro sì bella e felice pensata del Lampillas mo
e delle otto Commedie senta il sapore usato di Cervantes? Che importa
che
si dovrebbe supporre questo Scrittore assai stupi
ria senza ricercare novella delle sue Commedie soppresse? Che importa
che
sopravvivesse un anno a cotale oltraggio fatto al
a ne’ suoi scritti? Questi sono piccioli scrupoli per le anime grandi
che
compongono Apologie, e i discepoli de’ Lampillas
uperarli con un cuore di ferro. Lungi dunque dal Signorelli tutto ciò
che
non è instruzione Lampigliana. VI. PREGIUDIZIO
ZIO. Uno de’ gravi pregiudizj del Signorelli si è (Lamp. p. 183.),
che
vuole prestar fede a Lope de Vega intorno alla co
a corruzione del Teatro Spagnuolo prima di lui, e non all’Apologista,
che
pretende che prima di Lope vi fiorissero insigni
del Teatro Spagnuolo prima di lui, e non all’Apologista, che pretende
che
prima di Lope vi fiorissero insigni Poeti Comici
ti Comici senza difetti e irregolarità. RISPOSTA. Il Signorelli lesse
che
, citato Lope dall’Accademia a discolparsi delle s
giustificò in faccia a’ contemporanei coll’esempio degli altri Poeti
che
ne scriveano ugualmente spropositate, piene di ap
oro buoni Drammatici. Ora su tali fondamenti conchiuse il Signorelli,
che
Lope o dovea essere il più sfacciato de’ Viventi
Signorelli, che Lope o dovea essere il più sfacciato de’ Viventi (il
che
niuno ha detto mai), o dovea discolparsi colla ve
no ha detto mai), o dovea discolparsi colla verità alla mano. E’ vero
che
il Signor Lampillas si oppone a questa riflession
vero che il Signor Lampillas si oppone a questa riflessione con dire,
che
se quei zelanti conservatori della sanità del Tea
r veduto in migliore stato il loro Teatro, ma per sapere teoricamente
che
in migliore stato erano i Teatri Greci, e Latini,
teoricamente che in migliore stato erano i Teatri Greci, e Latini, e
che
le stranezze di Lope si opponevano alla ragione,
oscevano le forze dell’ingegno di Lope, a lui si rivolsero, sperando,
che
, incamminato questo Poeta per la diritta via, tra
sanità, il conferma il dotto Bibliografo Spagnuolo l’Antonio, dicendo
che
prima di Lope la Commedia Spagnuola reptabat, &am
pe ulterioris ad tolerabilem aliquem statum progressionis. Che quelli
che
seguirono questi primi Comici balbuzienti, introd
l medesimo Moreto. In questa guisa favellano gli Scrittori Spagnuoli,
che
amano di migliorar le arti nella nazione, e che n
Scrittori Spagnuoli, che amano di migliorar le arti nella nazione, e
che
non sono Apologisti. Or dove sono i decantati ins
ti. Or dove sono i decantati insigni Drammatici prima di Lope? Ma sì,
che
il Signor Lampillas mette fuori le tre Lettere de
re Lettere del Cueba, in cui si registra una filza di nomi, e si dice
che
furono Comici eccellenti. Comici vi furono al cer
he furono Comici eccellenti. Comici vi furono al certo moltissimi, ma
che
fossero eccellenti e regolari giusta i buoni prin
ccellenti e regolari giusta i buoni principj, quì è dove s’intoppa. E
che
fondamento possiamo fare sulle asserzioni del Cue
gusto teatrale siamo noi pienamente convinti? Chi ci assicura ancora,
che
le di lui lodi non rassomigliassero a quelle date
? la nazione le ha lasciate perire per conservare le stravaganti? Nò,
che
il Signor Lampillas le vede, le tocca, e nella p.
pologista tra tutti i nazionali e gli stranieri? Voi, Signor mio, par
che
me gli cacciate sotto il naso, e pur Voi non sape
presenza, o la prossimità della cosa; e Voi non mi date per nutrirmi,
che
belle parole su di ciò che voi stesso non sapete
ella cosa; e Voi non mi date per nutrirmi, che belle parole su di ciò
che
voi stesso non sapete che cosa si fosse. Riguardo
te per nutrirmi, che belle parole su di ciò che voi stesso non sapete
che
cosa si fosse. Riguardo al Cervantes, di cui dite
sso non sapete che cosa si fosse. Riguardo al Cervantes, di cui dite,
che
nel Prologo avesse smentito il discorso di Lope,
ssere stato il primo a togliere il Teatro Spagnuolo dall’infanzia (il
che
rassomiglia alle cose accennate dal Lope, e al re
ate dal Lope, e al reptabat, balbutiebat dell’Antonio). E poi afferma
che
distratto in altro sottentrò Lope, e si alzò coll
ran Letterati Spagnuoli? Di poi tanto fondate Voi in una Dedicatoria,
che
alla fine d’ordinario suole essere una tacita ins
te ricavare la Storia della Commedia Italiana del 500.? Io voglio poi
che
il Varchi a ragione riprendesse le oscenità e le
tre Commedie, come di quelle dell’Aretino, del Vignali, del Groto. Ma
che
egli potesse asserire altrettanto di quelle del S
rà l’anticipazione del tempo in cui fiori Luis de la Cruz. 1. Oggi
che
queste cose io scrivo, si rappresenta nel Teatro
l Teatro de la Cruz un Sainete, in cui un Villano semplice malizioso,
che
soffre in sua Casa un Militare, che corteggia la
ui un Villano semplice malizioso, che soffre in sua Casa un Militare,
che
corteggia la Moglie, a’ loro stretti espressivi c
Nel prender la penna per cominciar il presente capitolo io sento più
che
mai la difficoltà dell’impresa che mi sono forse
il presente capitolo io sento più che mai la difficoltà dell’impresa
che
mi sono forse imprudentemente addossato. Osar uno
ora nel celebrarlo; e dove così male è tornato a quei pochi meschini,
che
ardirono disturbare anche in menoma parte la sua
sco lodandolo o al pericoloso cimento di sfrondarne i venerati allori
che
maestosamente germogliano dintorno alla sua statu
on intraprenderne il corso sono oggi mai divenuti tardivi trappassata
che
abbiamo la metà dell’arringo. né minor vituperio
uovere la man dal lavoro dopo averlo una volta incominciato di quello
che
fosse saggio divisamento l’astenerci dal favellar
samento l’astenerci dal favellare di Metastasio. Però senza pretender
che
il mio giudizio faccia autorità, anzi lasciando i
riflessioni su questo punto colla stessa schiettezza e imparzialità,
che
finora ho procurato di fare sugli altri argomenti
tive di questo poeta, e di render ragione di quell’universale diletto
che
arrecano i suoi componimenti, non fa d’uopo ferma
uoi componimenti, non fa d’uopo fermarsi sulle proposizioni generali,
che
possono a chicchessia convenire, ma esaminar biso
e per musica sarebbe una ingiustizia il giudicarlo con altri principi
che
con quelli che esigono le composizioni di cotal g
rebbe una ingiustizia il giudicarlo con altri principi che con quelli
che
esigono le composizioni di cotal genere, come gra
la citasse inanzi al tribunale degli storici e degli oratori. Per il
che
supponendo che il lettore non si sia per anco dim
nzi al tribunale degli storici e degli oratori. Per il che supponendo
che
il lettore non si sia per anco dimenticato di qua
di quanto si è detto nel capitolo primo di quest’opera circa le leggi
che
distinguono il melodramma dalle altre produzioni
ratamente dello stile, della orditura, della filosofia e dell’affetto
che
spiccano a meraviglia negli scritti del celebre a
o del Gravina. Non farò discorso se non per incidenza di quella parte
che
spetta il costume de’ suoi personaggi, non già pe
sima anzi necessaria al sommo in un poeta drammatico, né perché stimi
che
siasi Metastasio mostrato in essa più trasandato
né perché stimi che siasi Metastasio mostrato in essa più trasandato
che
nelle altre, ma perché dovendo restringermi fra i
perché dovendo restringermi fra i limiti di quella discreta brevità,
che
richiede il mio metodo, non potrei trattare se no
ume bisogno di lungo esame e d’indagine più circostanziata. Tanto più
che
a cotal impegno si è soddisfatto egregiamente dal
o poeta, alla quale non può forse altro difetto apporsi se non quello
che
già fu apposto ad un greco pittore, il quale dove
un occhio il dipinse con ingegnosa adulazione da una sola banda acciò
che
guardandolo gli spettatori, ammirassero le maesto
etto dell’originale. [3] E incominciando dallo stile, il primo pregio
che
apparisce è quello d’una maniera d’esprimersi, do
col pittoresco. Tutto in lui è facile, tutto è spedito: vi par quasi
che
le parole siano state a bella posta inventate per
e a bella posta inventate per inserirsi dov’ei vuole, e della maniera
che
vuole. Niuno meglio di lui ha saputo piegar la li
endendo vibrati i periodi nel recitativo; ora scartando quelle parole
che
per esser troppo lunghe o di suono malagevole e s
ono acconcie per il canto; ora adoperando spesso la sincope e le voci
che
finiscono in vocale accentuata, come “ardì”, “pie
che finiscono in vocale accentuata, come “ardì”, “piegò”, “sarà”, lo
che
molto contribuisce a lisciar le dizioni; ora fram
metri alle varie passioni, facendo uso dei versi curti negli affetti
che
esprimono la languidezza, allorché l’anima, per c
la languidezza, allorché l’anima, per così dire, sfinita non ha forza
che
basti a terminar il sentimento. Come sono questi:
ha forza che basti a terminar il sentimento. Come sono questi: «Oh
che
felici pianti! Che amabile martir!
Di due bell’alme amanti Un’alma allor si fa, Un’alma,
che
non ha Che un sol desio.» [4] Dei pieni
costume né carattere greco, e soprattutto non cantabile, quando si sà
che
le greche non mai si scompagnavano dal canto e da
valor L’ombra de’ secoli Coprir non può.» non meno
che
l’indole del famoso cantore di Batillo in quest’a
core accendi, Che non pretendi Tiranno Amor? Vuoi,
che
al potere Delle tue frodi Ceda il
i viene Sempre in tormenti Si trova un cor. E vuoi,
che
baci Le sue catene, Che sia conte
Che non pretendi Tiranno Amor?» [5] Non vi par egli
che
la sua musa sia la colomba di Venere, che viene a
mor?» [5] Non vi par egli che la sua musa sia la colomba di Venere,
che
viene a dissetarsi nella coppa di Anacreonte? [6]
l dio degli eserciti con colori tanto grandiosi. «Lodi al gran Dio,
che
oppresse Gli empi nemici suoi: Che
Ad assalir le stelle, Fu donna sola, e imbelle Quella,
che
gli atterrì.» [7] Nel che è da osservarsi l’art
Fu donna sola, e imbelle Quella, che gli atterrì.» [7] Nel
che
è da osservarsi l’artifizio del poeta, il quale r
izio del poeta, il quale ritogliendo dalla orientale poesia tutto ciò
che
ha di magnifico, ha tralasciate quelle frasi, le
pera in musica accomodando lo stile lirico alla drammatica in maniera
che
né gli ornamenti dell’uno nuocono punto all’illus
immagine; Come siano esse per lo più connesse colla scena in maniera
che
prima di sentirle di già l’uditore ha prevenuto i
a colla quale ha egli saputo dare a’ suoi versi quel grado di armonia
che
è necessaria affinchè la melodia musicale vi si p
per tanto dello stile, una certa mollezza nelle espressioni non meno
che
nelle immagini, un ritmo facile senza che divenga
nelle espressioni non meno che nelle immagini, un ritmo facile senza
che
divenga soverchiamente numeroso, tutte queste cos
ice de’ suoni nell’ordine e combinazion delle sillabe sono le qualità
che
richieggonsi nelle poesie musicali, e sono appunt
ualità che richieggonsi nelle poesie musicali, e sono appunto le doti
che
caratterizzano lo stile di Metastasio. [13] Passa
ento introdotto da lui nel dramma musicale. Si pensava per l’addietro
che
questo fosse un poema consecrato alle favole e da
tutti il Metastasio hanno smentita la comune opinione facendo vedere
che
l’opera è capevole di tutta la regolarità, e che
nione facendo vedere che l’opera è capevole di tutta la regolarità, e
che
i soggetti storici senza sminuirle vaghezza le as
oggetti storici senza sminuirle vaghezza le assicurano una perpetuità
che
senza essi non avrebbe, cosicché non sono più i d
i deliri dell’antica mitologia, ma la verità, ma la sensatezza quelle
che
costituiscono la natura del dramma. Metastasio l’
per le future senza impaccio, né stiracchiatura, ma con un’agevolezza
che
fa restare. La prima scena del Temistocle e dell’
glimento fermandosi sulle varie circostanze quel tanto, e non di più,
che
conduce a tal fine. Notisi ancora la mirabile sua
a scena diventa più viva frammettendovisi molt’azione. Quella azione,
che
è l’anima del teatro, e la quale sola ha rendute
evantissima dell’illustre autore. Non già quella filosofia polverosa,
che
ristora tanti e tanti dalla perdita del senso com
e scuole, il quale invece di rischiarar l’intelletto altro non faceva
che
adormentarlo nel sogno della più sofistica stupid
lo nel sogno della più sofistica stupidezza, ma quella aurea e divina
che
internandosi agguisa dell’anima universale de’ pi
io? Se si riguarda la morale, ovvero sia quella parte della filosofia
che
disamina e fortifica i doveri dell’uomo, scienza
siderazione, la sola utile alla misera e travagliata umanità, la sola
che
meriti di occupar i riflessi di un essere pensant
ne? E Siroe, Timante, Svenvango, Ezio, Arbace, e Megacle non fanno sì
che
s’abbia in maggior pregio l’umana spezie? Non si
eso da meraviglia e da stupore ascoltando l’elevatezza de’ sentimenti
che
gli mette in bocca il poeta in una delle situazio
che gli mette in bocca il poeta in una delle situazioni più dilicate
che
possano presentarsi ad un eroe? Atene avealo igno
atria, viene anzi sollecitato a farlo non meno da i benefizi di Serse
che
da un ordine assoluto. Temistocle ricusa l’impegn
to per non divenir traditore di quella città, ove trasse i natali. «E
che
tant’ami in lei?» gli addimanda Serse sdegnato.
vi, Le sacre leggi, i tutelari numi: La favella, i costumi: Il sudor,
che
mi costa: Lo splendor, che ne trassi: L’aria, i t
ari numi: La favella, i costumi: Il sudor, che mi costa: Lo splendor,
che
ne trassi: L’aria, i tronchi, i terren, le mura,
le egli mi sembra così grande, l’eroismo giugne a segno così eminente
che
se fra noi si dasse un ostracismo poetico, come p
o di esser di nuovo scacciato dai confini della poesia non altrimenti
che
il Temistocle di Atene lo fu dai domini della rep
’ suoi componimenti si verifica non per tanto il concetto di Platone:
che
se potesse la virtù farsi vedere ignuda agli occh
e, stanca di vagar per un mondo dove altro non s’offre al suo sguardo
che
oppressori ed oppressi, sbigottita dagli urli del
ardo che oppressori ed oppressi, sbigottita dagli urli della calunnia
che
soffocano ad ogni tratto i timidi sospiri della i
i agli scritti di questo amabile poeta, come ad un mondo immaginario,
che
la ristora delle noie sofferte nel vero. Ivi gode
pestoso, ivi respira un’aria più degna di sé, ivi conversa con uomini
che
fanno onore alla divinità, onde si scorge balenar
ge balenare sugli occhi quella luce primitiva del grande e del bello,
che
attesta la sua origin celeste. [16] Riflettasi qu
naturale il suo sentenziare e non pedantesco, come quello di Seneca,
che
ti pare un ragazzo sortito or ora dal liceo, o co
ragazzo sortito or ora dal liceo, o come quello dei francesi moderni
che
t’intassano a torto e a traverso qualunque argome
omento con lunghi squarci d’insipida metafisica in ciascuna scena. Al
che
non poco ha contribuito l’esempio di Voltaire, se
pre dalle circostanze o dalla passione. Alle volte è una conchiusione
che
si ricava da tutto il dramma, come nel fine dell’
fra l’ombre il sentier.» [17] Alle volte è una serie di riflessioni
che
nascono spontaneamente in una persona incalzata d
na incalzata da quanto ha di più vivo il dolore. Così è naturalissimo
che
Timante disposto a morire prorompa: «Perché bram
guisa l’autore applichi ai casi individuali le massime generali, nel
che
consiste il vero filosofar del dolore, il qual ra
to la parola “sogliono” rende più adattata e più naturale la sentenza
che
profferita genericamente, come in Seneca, ha l’ar
ioriscano, avverandosi colla magia della sua musa la favola di Armida
che
cangiava in giardini i deserti. [20] È quistione
te trattarsi in poesia gli argomenti metafìsici, attesa la difficoltà
che
si ritrova nel combinare la precisione colla chia
enze del colorito poetico. né vi mancò un rinomato scrittor francese,
che
ha sentito molto avanti nella filosofia delle art
pra l’uomo una materia cotanto specolativa ed astratta, parendo a lui
che
più gran senno avrebbe fatto il poeta inglese e m
falce a coglier tal messe97. Nientedimeno Metastasio ha fatta vedere
che
niun oggetto è inferiore alla fecondità della imi
getto è inferiore alla fecondità della imitazione poetica. Si direbbe
che
il di lui genio fosse la dea Clori dei Greci, che
poetica. Si direbbe che il di lui genio fosse la dea Clori dei Greci,
che
volando per l’aria spargeva nembi di rose ovunque
di rose ovunque passava. Quale argomento più profondo e più rigoroso
che
le prove della esistenza d’Iddio. Qual altro più
’istesso Dio, Di cui tu predicasti I prodigi, il poter:
che
di sua bocca La palesò: che quando
icasti I prodigi, il poter: che di sua bocca La palesò:
che
quando Se medesmo descrisse, Disse:
sò: che quando Se medesmo descrisse, Disse: Io son quel
che
sono: e tutto disse. Ach. L’autorità de’ tuoi pro
vittoria. Ach. Io già t’ascolto. Oz. Or dimmi. Credi, Achior,
che
possa Cosa alcuna prodursi Senza la
’un l’altro include; Non si dà chi l’ignori. Oz. Ma l’essenze,
che
adori, Se son più son distinte, e se disti
cedo, Non di ragione. E abbandonar non voglio Gli Dei,
che
adoro e vedo, Per un Dio che non posso
ndonar non voglio Gli Dei, che adoro e vedo, Per un Dio
che
non posso Nè pure immaginar. Oz. S’egli ca
a Qual sia, non spiego, almen di lui non formo Un’idea,
che
l’oltraggi. Ach. È dunque vano Lo sperar d
, se puoi, Dimmi dov’ei non è.»98 [21] Io non so se vagliato
che
fosse e sceverato il grano che si ritrova nelle o
non è.»98 [21] Io non so se vagliato che fosse e sceverato il grano
che
si ritrova nelle opere di Samuele Clark e di Niew
il grano che si ritrova nelle opere di Samuele Clark e di Niewentit,
che
passano per le più profonde in questo argomento99
profonde in questo argomento99, si potesse ricavare di più di quello,
che
con tanta scioltezza e precisione dice qui il poe
zion teatrale. Questo pregio inosservato finora da quasi tutti coloro
che
leggono Metastasio meriterebbe un ragionamento a
i variare le situazioni locali, la dilicatezza nel distinguere quelle
che
possono dilettar l’immaginativa dello spettatore
elle che possono dilettar l’immaginativa dello spettatore dalle altre
che
potrebbero infastidirla, la finezza, il sempre gr
dirla, la finezza, il sempre gradevole e non mai repugnante contrasto
che
mette fra le scene che parlano agli occhi, la var
empre gradevole e non mai repugnante contrasto che mette fra le scene
che
parlano agli occhi, la varia e moltiplice erudizi
fra le scene che parlano agli occhi, la varia e moltiplice erudizion
che
si scorge nella geografia, nei riti, nei prodotti
lle foggie di vestire di ciascun paese, in tutte quelle cose insomma,
che
rendono magnifico insieme e brillante un teatrale
eatrale spettacolo. Il decoratore conoscerebbe con sicurezza il campo
che
liberamente può scorrere la fantasia nelle invenz
ano di ciascuno de’ suoi componimenti il segreto ma costante rapporto
che
dee metter l’arte fra la musica e la prospettiva,
istratigli ora nei cangiamenti di scena, or nelle pitture vaghissime,
che
scorgonsi ad ogni tratto ne’ suoi componimenti.
sprimono non meno il contento dell’allegro stato in cui si ritrovano,
che
la varietà delle dilettevoli occupazioni che le t
ato in cui si ritrovano, che la varietà delle dilettevoli occupazioni
che
le trattengono.» [24] Ecco un quadro dell’Albano
io di Metastasio nell’esporre agli occhi quei colpi di scena soltanto
che
possono dignitosamente, e con decoro eseguirsi da
ro eseguirsi dagli attori. Quinaut nell’Iside ci fa vedere una furia,
che
afferrando pei capegli una fanciulla, la cava fuo
anciulla, la cava fuori del mare cogli abiti bagnati. Non può negarsi
che
il poeta francese non possegga per eccellenza il
una situazione cotanto difficile per non dire cotanto ridicola; egli
che
ama meglio peccar di monotonia facendo andar a li
di monotonia facendo andar a lieto fine tutti i suoi drammi di quello
che
sia costrigner un protagonista a morir cantando s
gonista a morir cantando sulle scene a guisa di cigno. [25] Ma quello
che
forma il suo carattere dominante, quello che il r
di cigno. [25] Ma quello che forma il suo carattere dominante, quello
che
il rende la delizia delle anime sensibili, quello
minante, quello che il rende la delizia delle anime sensibili, quello
che
esige principalmente l’universale riconoscenza de
principalmente l’universale riconoscenza dei lettori per le lagrime,
che
ha cavate loro dagli occhi, si è l’arte di muover
razio applicato al cuore. Ed è appunto per questo pregio inarrivabile
che
l’autore ebbe ragione di dire parlando colla sua
genere. Il solo Racine può contrastargli la preferenza, né io dubito
che
non si trovino alcuni che la daranno più volentie
ò contrastargli la preferenza, né io dubito che non si trovino alcuni
che
la daranno più volentieri al francese, scorgendo
glio preparato. Ma senza negar cotai pregi a Racine, io non credo già
che
più facile divenghi per questo la decisione, ripe
collegamento ed unità dell’azione, e alla pompa del dialogo; qualità
che
apportano seco maggior unione nelle scene, più d’
dalla danza e da gran decorazione, ha per oggetto il piacere non meno
che
alla ragione all’orecchio e all’immaginazione. Qu
in un’altra, acciochè si renda più brillante e più viva l’azione. Lo
che
il poeta cesareo ha mirabilmente ottenuto; Onde l
ancesi il suo Metastasio senza temerne il paragone. [27] La felicità,
che
si manifesta in alcuni squarci delle sue poesie,
i manifesta in alcuni squarci delle sue poesie, farebbe quasi credere
che
questo incomparabil poeta spicasse soltanto nella
altissima stima non fa d’uopo concepire de’ suoi talenti in veggendo
che
egli è anche superiore a se stesso nella parte pa
inesauribili di tragica sensibilità abbia egli aperte ai compositori
che
le pongono in musica. Appena in cento si troverà
positori che le pongono in musica. Appena in cento si troverà un’aria
che
non rappresenti una situazione che non isviluppi
Appena in cento si troverà un’aria che non rappresenti una situazione
che
non isviluppi un carattere, che non esibisca una
ia che non rappresenti una situazione che non isviluppi un carattere,
che
non esibisca una varia modificazione di affetto.
ria modificazione di affetto. Là senti le disperazioni d’un genitore,
che
lacerato da più crudeli rimorsi crede di vedersi
i ad ogni passo l’ombra insanguinata del figlio morto per cagion sua,
che
l’inacerbisce e l’incalza; qua vedi le smanie di
a sollevando verso il cielo i non contaminati sguardi, chiede ai numi
che
accrescano al figlio ed allo sposo quegli anni di
de ai numi che accrescano al figlio ed allo sposo quegli anni di vita
che
a lei barbara sorte contende. Ora ascolti il terr
vendicatrice dell’onnipotente, a’ cui cenni la morte e la natura non
che
i turbini e le tempeste s’affrettano ad ubbidire;
senta uno spettacolo degno dei numi, cioè il dolore sublime d’un eroe
che
si vede accusato dal proprio padre in presenza de
esenza del re, in vista di tutta la corte, e sugli occhi dell’oggetto
che
adora, di un delitto, del quale il solo reo è lo
quella sgorga il virtuoso pianto d’un principe modello de’ regnanti,
che
obbligato a condannar un amico trovato deliquente
ualunque partito si debba prendere. Il riflesso sulle caducità umane,
che
riducono talvolta una gran principessa ad uno sta
l cantante? L’uomo di gusto può bensì conoscerle, ma non s’appartiene
che
al solo genio il trovarle. Lungo sarebbe anche il
ni e provenzali, e rapidamente promosso da quella epidemia di romanzi
che
facevano pressoché la sola letteratura di quei te
ma musa del Petrarca, indi reso comune pel mezzo dei Greci fuggiaschi
che
vi si annidarono, aveano nel regno d’amore introd
dell’universo. Ne’ pubblici costumi esso era una spezie di adorazione
che
si tributava alle donne considerate come oggetti
errori d’Ulisse e le dodici fatiche d’Ercole. Ne’ libri altro non era
che
una metafisica sottile assai comoda pei filosofi
ri altro non era che una metafisica sottile assai comoda pei filosofi
che
vi trovavano aperto un vastissimo campo alle loro
ai Mimnermi, ma egualmente incomoda per le persone troppo sensibili,
che
risentivano in se stesse principi contrari a filo
si compiacquero di farlo scendere, e di renderlo men filosofico. Dal
che
avvenne quello, che suole quando s’abbandona un s
farlo scendere, e di renderlo men filosofico. Dal che avvenne quello,
che
suole quando s’abbandona un sistema, cioè che per
Dal che avvenne quello, che suole quando s’abbandona un sistema, cioè
che
per lo più si prende il partito opposto. Allora l
per lo più si prende il partito opposto. Allora l’amore altro non fu
che
un commercio materiale di voluttà, nel quale i po
quale i poeti s’ingegnavano di ricompensare i sensi del lungo imperio
che
aveva sopra di loro esercitato l’astratta ragione
re, e facendo scender di nuovo tra gli uomini quella vergine celeste,
che
avea servito di modello al Petrarca, e che essern
ni quella vergine celeste, che avea servito di modello al Petrarca, e
che
esserne dovea l’archetipo delle donne nei versi d
e si conservan tuttora accanto al senno d’Orlando, insiem coi servigi
che
si rendono ai grandi, colle parole de’ politici,
dell’uomo, il quale composto da due sostanze diverse non ha affezione
che
non sia mista, né esigenza che non partecipi dell
due sostanze diverse non ha affezione che non sia mista, né esigenza
che
non partecipi della influenza di entrambi princip
ché troppo sconcio ed abietto; il Metastasio ha trovato il solo mezzo
che
conviene al teatro, che è quello di depurar la na
ietto; il Metastasio ha trovato il solo mezzo che conviene al teatro,
che
è quello di depurar la natura, e di combinar la r
sprimibile e seducente passione non meno nelle attrattive della virtù
che
in quelle della bellezza. Col quale avvitamento t
vitamento tanto più agevolmente è divenuto signore degli animi quanto
che
le persone gentili gli appone il loro spontaneame
rsone gentili gli appone il loro spontaneamente, nulla temendo da lui
che
allarmar possa il loro pudore, anzi trovandovi di
leggere. Gli uomini perché vi ritrovano la vera copia dell’originale
che
hanno dentro di sé. Le donne perché niun altro sc
le premure dei numi; osservar pendente dai cenni di Fulvia quell’Ezio
che
rassicurò il volo delle aquile romane sbigottite
enso, offrirsi volontariamente al servaggio, baciando inoltre la mano
che
l’incatena. Qual motivo non è mai questo d’inespl
ual motivo non è mai questo d’inesplicabile compiacenza per un sesso,
che
ritrova nelle proprie attrattive la ricompensa de
itrova nelle proprie attrattive la ricompensa della sua dipendenza, e
che
mai non si piega a servire se non per meglio sign
genere umano e perché appoggiata sul sentimento, è tale, nonostante,
che
da sommi poeti drammatici non è stata conosciuta
iù complicati, ora smascherando le più illusorie apparenze. Basta non
che
altro leggere l’Asilo d’Amore per ravvisarvi dent
tter l’uno a cimento coll’altro, rilevar distintamente le circostanze
che
concorrono in un’azione, radunarle poi tutte nell
titolo Consigli dati ad un giovine poeta, non ha dubitato di asserire
che
Metastasio fosse il maggior poeta che abbia mai v
ta, non ha dubitato di asserire che Metastasio fosse il maggior poeta
che
abbia mai veduto l’Italia dirimpetto ancora all’O
all’Omero ferrarese. Un colto veneziano rapito poc’anzi alle lettere
che
scrisse tre lettere in risposta contro di lui, mo
a dubbio in questa critica la penna dell’abate Zorzi. Non può negarsi
che
riflettendo a quella fecondità prodigiosa dell’Ar
ò negarsi che riflettendo a quella fecondità prodigiosa dell’Ariosto,
che
fila sì complicate e moltiplici per la lunga e di
i quarantasei canti continui è costretto a condurre: a quella varietà
che
maneggia tutti gli stili, che dipinge tutti i car
costretto a condurre: a quella varietà che maneggia tutti gli stili,
che
dipinge tutti i caratteri e che trascorrer fa il
varietà che maneggia tutti gli stili, che dipinge tutti i caratteri e
che
trascorrer fa il lettore dal sommo all’infimo con
mo all’infimo con fortunatissimo volo; a quella evidenza di pennello,
che
atteggia ogni movimento, che colorisce ogni musco
imo volo; a quella evidenza di pennello, che atteggia ogni movimento,
che
colorisce ogni muscolo e che ti fa quasi vedere e
i pennello, che atteggia ogni movimento, che colorisce ogni muscolo e
che
ti fa quasi vedere e toccare le cose rappresentat
he ti fa quasi vedere e toccare le cose rappresentate; a quella forza
che
pareggia in alcuni caratteri quella d’Omero, e ch
te; a quella forza che pareggia in alcuni caratteri quella d’Omero, e
che
supera in molti la forza di Virgilio; a quella br
la quale tante e sì maravigliose stranezze gli fa trovare per via, e
che
sì eccellente il rende in ogni genere di descrizi
plare si ricava d’imitazione. Riflettendo, io dico, a tutto ciò, pare
che
la bilancia del genio dovesse senza contrasto pie
o il gran cantore di Orlando. Ma dall’altra parte egli è vero altresì
che
quanto è più difficile a dipinger bene l’anima co
e quanto è più difficile a dipinger bene l’anima combattuta di Regolo
che
il corpo ignudo d’Olimpia, la clemenza sublime di
di Regolo che il corpo ignudo d’Olimpia, la clemenza sublime di Tito
che
i colpi di Mandricardo, la situazione di Temistoc
lpi di Mandricardo, la situazione di Temistocle nella reggia di Serse
che
le pazzie del Signor d’Anglante per le campagne;
r le campagne; quanto è più pregievole strappar dal cuore gli affetti
che
descrivere i palagi incantati, penetrare ne’ più
lagi incantati, penetrare ne’ più intimi nascondigli dell’animo umano
che
crearsi un mondo fantastico nel globo della luna,
mondo fantastico nel globo della luna, far parlare ed agir la natura
che
scioglier pazzescamente la briglia alla immaginaz
zzo d’una incantatrice eloquenza alla imitazione di Beroe e d’Aristea
che
il prostituire i più trillanti colori della tosca
eterni fiori della virtù il talamo coniugale di Zenobia, e di Dircea
che
l’avvilir la dignità d’un poema cogli infami racc
l rapir dal crine le sue rose alla voluttà per incoronare l’innocenza
che
il sacrificar questa ad ogni passo sull’altare de
so sull’altare della dissolutezza; quanto è più interessante un poeta
che
soddisfa nel medesimo tempo a più facoltà dell’uo
ante un poeta che soddisfa nel medesimo tempo a più facoltà dell’uomo
che
un altro che non soddisfa se non a poche, uno che
che soddisfa nel medesimo tempo a più facoltà dell’uomo che un altro
che
non soddisfa se non a poche, uno che rinforza e r
ù facoltà dell’uomo che un altro che non soddisfa se non a poche, uno
che
rinforza e riunisce i piaceri di tutte le belle a
a poche, uno che rinforza e riunisce i piaceri di tutte le belle arti
che
un altro che diletta col solo mezzo della poesia,
che rinforza e riunisce i piaceri di tutte le belle arti che un altro
che
diletta col solo mezzo della poesia, uno che alle
belle arti che un altro che diletta col solo mezzo della poesia, uno
che
alle difficoltà del genere drammatico accoppia qu
poesia, uno che alle difficoltà del genere drammatico accoppia quelle
che
nascono dalla influenza della musica e della pros
scono dalla influenza della musica e della prospettiva sulla tragedia
che
un altro il quale ne schernisce ogni poetica legg
iudizio intorno a siffatto confronto, essendo più agevole il dubitare
che
l’asserir qualche cosa, e mettendo la diversità d
il mio sentimento; se non mi fosse permessa la scelta fra la prudenza
che
ne schiva il cimento e il comando che rende indis
messa la scelta fra la prudenza che ne schiva il cimento e il comando
che
rende indispensabile l’ubbidienza; se dopo di ave
si pur costretto a decidere, illustre Metastasio! onor d’una nazione,
che
t’adorava nella tua vecchiaia dopo averti abbando
a nella tua vecchiaia dopo averti abbandonato nella tua giovinezza, e
che
vide con giubbilo premiati in un altro paese quei
pomo della bellezza. [33] E tanto gliel donerei più volentieri quanto
che
la sua influenza sul gusto italiano e su quello d
n qualche ragione chiamarsi gli allievi del Metastasio, essendo certo
che
a tanta maestria non sarebbero giammai pervenuti
esia e la musica sono come il testo d’un’orazione, e il commento; ciò
che
dice questo non è che un’amplificazione, uno svil
come il testo d’un’orazione, e il commento; ciò che dice questo non è
che
un’amplificazione, uno sviluppo di quanto accenna
o varietà e ricchezza d’inflessioni musicali. Siamo nel caso di colui
che
dovendo fabbricar un palazzo, si vede costretto a
Vignola, e i maestri sono gli esecutori. Quindi con non minor verità
che
eloquenza si espresse il filosofo di Ginevra parl
che eloquenza si espresse il filosofo di Ginevra parlando coi giovani
che
desiderano di conoscere se la benigna natura ha l
loro trasfusa nell’anima alcuna particella di quella fiamma celeste,
che
vien compresa sotto il nome di genio. «Voi tu sap
tali effetti fa d’uopo avere uno spirito analogo a quello dell’autore
che
si prende per guida; fa d’uopo esser invaso da qu
’uopo esser invaso da quella energica e rispetabile follia del bello,
che
caratterizza gli amabili favoriti della natura. B
ndo la sua Olimpiade, e rendersi capace di quell’astrazione imperiosa
che
rapiva il Parmigianino a se stesso, il quale nel
stava egli pacificamente dipingendo nel suo gabinetto. [34] Ecco ciò
che
può rapidamente dirsi circa il merito di Metastas
, mi metterà, cred’io, al coperto di siffatta accusa. Ma io non avrei
che
per metà eseguito il disegno di quest’opera se do
il disegno di quest’opera se dopo averne additate ai giovani le virtù
che
possono imitare nel nostro amabil poeta, non aves
ricerche venisse a disturbarci alcun senso di timidezza, ricordiamoci
che
mai non fu riputato sacrilegio per chi che fosse
di timidezza, ricordiamoci che mai non fu riputato sacrilegio per chi
che
fosse il riguardar con occhio di artefice i simol
che fosse il riguardar con occhio di artefice i simolacri dei numi, e
che
niuno s’avvisò di accusare di fellonia quel filos
dei numi, e che niuno s’avvisò di accusare di fellonia quel filosofo
che
osò il primo di tutti descriver la carta astronom
in Filippo di Quinaut un rivale degno di contrastargli la gloria. Io,
che
non voglio entrare in litigi di preferenza tra du
di preferenza tra due nazioni così rispettabili, mi contento di dire
che
sebbene il Quinaut sia un autore grandissimo vitu
venzione, avendo egli creato da pianta in Francia il dramma musicale,
che
Metastasio trovò di già molto avanzato e ripolito
rancese più ruvida dell’italiana; sebbene la prospettiva, e tutto ciò
che
appartiene alla decorazione, abbia, generalmente
te parlando, più luogo nei drammi dell’autore di Armida, e di Orlando
che
in quelli dell’allievo di Gravina, nonostante que
firo leggier.» [37] Così si vincono gli autori imitandoli. Una cosa
che
non dee tralasciarsi in favor suo, si è la prefer
i. Una cosa che non dee tralasciarsi in favor suo, si è la preferenza
che
ha egli sul poeta francese nella parte più intere
dubbio la composizione dell’aria. I drammi del Quinaut altro non sono
che
un continuato recitativo. In quanto alla spezie d
no un sentimento preciso su cui si forma poscia il motivo musicale, e
che
dee con ragione chiamarsi il capo d’opera del tea
ammatico, si può assicurare ch’egli appena lo conoscesse; circostanza
che
renderà a poco a poco pressoché inutili i suoi co
l’idea, Troncar il canape reo dei legni», e tali altri modi di dire,
che
da qualcuno si riputerebbero di gusto poco sicuro
te conforme alla maniera di scrivere osservata da buoni autori. A me,
che
sono oltramontano e conseguentemente non abbastan
erò senza ammettere cotali accuse, né rigettarle, mi contento di dire
che
sebbene a imparar, come va, la lingua toscana, e
nte e robusto fosse miglior pensiero l’appigliarsi ad altri scrittori
che
non a Metastasio; non per ciò lascia d’essere ped
ne deridono l’antica superstizione e s’appigliano al detto d’Orazio,
che
la fuga delle lingue è come quella delle stagioni
lle stagioni, le quali veggono sfrondarsi nell’autunno quegli alberi,
che
aveano osservato vestirsi di foglia nella primave
io dico, non può così di leggieri condannarsi un autore per ciò solo
che
non abbia scritto secondo la Crusca. Anche negli
crittori approvati da questa si ritrovano non pochi modi di favellare
che
sarebbero scorretti attendendo alle regole, ma ch
modi di favellare che sarebbero scorretti attendendo alle regole, ma
che
furono poscia autorizzati dal tempo e dalla fama
à volentieri qualche neo di stile e di lingua in grazia degli affetti
che
sentirà strapparsi dal cuore. E prenderà maggior
letto gustando la mollezza, la vivacità e la chiarezza di espressione
che
spiccano nei componimenti drammatici del poeta ce
pressione che spiccano nei componimenti drammatici del poeta cesareo,
che
nella insignificante purità del Dicta mundi di Fa
n’Accademia tutta la fecondità dell’umano spirito, e per cui non istà
che
le lingue e il sapere degli uomini non rimangono
a cognizione dell’Antichità le ricerche sulla struttura delle bracche
che
portava Marco Tullio, o le fatiche di quel buon m
che portava Marco Tullio, o le fatiche di quel buon monaco bolognese
che
scrisse una lunga dissertazione investigando qual
che scrisse una lunga dissertazione investigando qual fosse la costa
che
Iddio staccò dal fianco di Adamo per fabbricar il
degli stitici e freddi grammatici, ad onta di quei pedanti accigliati
che
vorrebbero arrestar il volo del tempo e imprigion
fra lacciuoli tessuti di tela di ragno, i progressi della filosofia,
che
annunziano una vicina rivoluzione nelle idee dell
recciar gli accidenti da Calderon, autore ch’aveva tra i suoi libri e
che
a ragione veniva da lui stimato moltissimo a conf
energia di queste è stata espressa da alcuni scrittori in guisa tale,
che
non possono ritoccarsi senza guastarle. Qual mera
senza biasimo alcuno anzi con molta laude lo stesso. Non può negarsi
che
Metastasio non abbia in alcuni luoghi portata l’i
cuni luoghi portata l’imitazione fino ad involar le parole stesse non
che
i sentimenti, ma generalmente parlando, egli ha l
enti, ma generalmente parlando, egli ha l’arte di adattare i pensieri
che
imita dall’altrui genere al proprio, la qual cosa
a qual cosa basta per dare agli oggetti imitati quell’aria di novità,
che
gli rende pregievoli. I miei lettori amerebbero f
di novità, che gli rende pregievoli. I miei lettori amerebbero forse
che
se ne facesse in questo luogo il confronto di alc
piegati nel far dei commenti a ciascuno dei drammi di questo poeta, e
che
verranno dati alla luce dalla Società tipografica
la rovina del buon gusto. Incominciamo dal più frequente e più ovvio,
che
è quello di aver ammollito, anzi effemminato il d
n vista né l’uno né l’altro. L’amore in molti suoi drammi altro non è
che
un affetto puramente episodico e subalterno, un r
e episodico e subalterno, un riempitivo, un cerimoniale di scena. Dal
che
avviene non di rado che non solamente illanguidis
, un riempitivo, un cerimoniale di scena. Dal che avviene non di rado
che
non solamente illanguidisca l’affetto, ma che rat
che avviene non di rado che non solamente illanguidisca l’affetto, ma
che
rattenghi eziandio la foga e rapidità dell’azione
ne, di Cleofile, di Selene, di Megabise, di Tamiri e di tanti e tante
che
s’amano puramente per formalità e per usanza teat
s’amano puramente per formalità e per usanza teatrale, non altrimenti
che
Don Chisciotte amava Dulcinea da lui non mai vedu
on contravenir alle leggi della errante cavalleria, le quali volevano
che
ogni cavaliere avesse la sua bella? Quali affetti
sie di Arbace in faccia all’indomito repubblicano Catone? Gli stessi,
che
risveglierebbono in un selvaggio del Canadà i lam
tutta la notte riposare pel disagio recatogli da una foglia di rosa,
che
gli si era sotto il fianco ripiegata. [42] Cotali
tali riflessioni si rinforzano maggiormente ripensando alla influenza
che
ha avuta l’accennato diffetto sui componimenti de
visar in loro non già un assirio, un tartaro, un africano, un chinese
che
parlino, ma bensì il poeta, il quale presta loro
attere, amoreggiar sul teatro la vedova del gran Pompeo; come Cesare,
che
tutt’altra cosa dovea rivolgere allor nel pensier
anch’egli a far il cascante, esprimendosi colla bella non altrimenti
che
far potesse un Celadone od un Aminta. «Chi un d
la tomba della romana libertà, né gli avanzi della più sublime virtù,
che
abbiano ammirata giammai il patriotismo e la filo
trofeo di un usurpatore fortunato. [44] Nè può piacere al buon senso
che
uomini nati fra gli scogli della Mauritania, o su
uomini nati fra gli scogli della Mauritania, o sulla riva del Gange,
che
Alessandro, Ciro, Semiramide, ed altri celebri co
, presso a’ quali l’amore fu piuttosto un bisogno materiale dei sensi
che
un raffinamento della immaginazione, si siano all
el nume, all’Idolo adorato» con mille siffatte lambiccate espressioni
che
sogliono udirsi frequentemente in bocca ad uno sc
ato sul sofà vicino a qualche ammorbidita fanciulla. Chi può soffrire
che
un feroce principe dei Parti venga fuori con ques
un feroce principe dei Parti venga fuori con questa scapata amorosa,
che
starebbe assai meglio negli stemperati endecasill
; E il cor, cbe palpita Fra mille affetti Par
che
non tolleri Di starmi in sen.» [45] Chi
45] Chi non istupirà nel sentire quel Romolo violente rozzo e feroce,
che
riponeva ogni sua ragion nella forza, che si sdeg
lo violente rozzo e feroce, che riponeva ogni sua ragion nella forza,
che
si sdegnava al menomo ostacolo, e che pell’ardenz
va ogni sua ragion nella forza, che si sdegnava al menomo ostacolo, e
che
pell’ardenza del suo temperamento si rendeva inso
rendeva insopportabile a tutti, parlare da sé solo intorno all’amore
che
ha per Ersilia nello stile del più alambiccato pl
bolezza! Ah sempre Debolezza non è. Cangia natura Allor
che
amor con la ragion congiura. Quel che ad E
ngia natura Allor che amor con la ragion congiura. Quel
che
ad Ersilia in fronte Io veggo scintillar d
Certo non è.» [46] E chi non riderebbe ascoltando quel Polifemo,
che
gli antichi chiamarono «mostro smisurato, orrendo
lare in guisa ben diversa: «O bianca Galatea, bianca all’aspetto Più
che
giuncata, e più che agnello tenera. Più d’un vite
versa: «O bianca Galatea, bianca all’aspetto Più che giuncata, e più
che
agnello tenera. Più d’un vitello superbetta, e ac
presenta un Polifemo del secolo dieciottesimo, un gigante ricciutello
che
ha imparato dal romanzo dell’Astrea o della Cleli
strea o della Clelia l’arte di comporre soliloqui amorosi. Mi si dirà
che
il protagonista di Teocrito sarebbe meno a propos
San Carlo, o di quello di Argentina? [49] Come una conseguenza di ciò
che
abbiamo indicato ne deriva un altro diffetto, dal
otto, alle volte per dieci e dodici versi. Chi ha la serenità d’animo
che
basta per descriverci così alla minuta gli oggett
ore Quell’ovil, quella greggia, e quel pastore» ovvero in quell’inno
che
Alceste e Cleonice nel Demetrio intuonano ad Appo
D’esser fido a i lauri ancor.» [50] È egli mai questa (
che
dio ci aiuti! ) l’occasione di trovar una serie d
serba fedeltà ad un lauro? Vorrebbe forse il poeta darci ad intendere
che
se per istrana metamorfosi Alceste fosse cangiato
delle trasformazioni d’Ovidio è assolutamente indegna della gravità,
che
esige un componimento drammatico. Peggio poi quan
Catone allorché Fulvio spiega intempestivamente ad Emilia la passione
che
ha per lei, e ch’essa gli risponde:
er redarguirla ad un contrapposto il più ricercato e meno a proposito
che
in simili circostanze poteva attendersi. «Piange
e; E pur conduce Sereno il dì.» [52] Nel
che
ognuno scorge subito la falsità del sentimento, p
pianto di cui parla Emilia è vero e reale, e quello dell’Aurora non è
che
metaforico. La risposta non per tanto di Fulvio è
risposta non per tanto di Fulvio è un bisticcio somigliante a quello
che
un drammatico francese mette in bocca ad un suo p
ngue esce dalla ferita fumante di collera, perché fu sparso per altri
che
per la Dama», o come quello di Ovidio, che, volen
perché fu sparso per altri che per la Dama», o come quello di Ovidio,
che
, volendo persuader alle donne non dover elleno re
n dover elleno render venali le grazie loro, adduce tra altre ragioni
che
nulla giova il rigalar con danari Cupido, poiché
’oggetto principale, e di prepararne lo scioglimento, altro non fanno
che
romper l’unità, diviar le fila che tendevano al c
e lo scioglimento, altro non fanno che romper l’unità, diviar le fila
che
tendevano al centro, e nuocer alla energia delle
energia delle situazioni più vive. Quindi i tanti personaggi posticci
che
solo servono a spandere il languore, e che manife
tanti personaggi posticci che solo servono a spandere il languore, e
che
manifestamente si veggono introdotti dal poeta pe
iglianze, alle quali dà luogo l’adottato sistema, come sarebbe a dire
che
i buoni genitori vadino via dalla presenza delle
presenza delle figlie per non distornarle dal carezzar i loro amanti;
che
i prigionieri destinati ai ceppi, o alla morte re
o soli lungo tempo in sulla scena per dir delle tenerezze alla bella;
che
i personaggi invece di badar agli avvenimenti che
nerezze alla bella; che i personaggi invece di badar agli avvenimenti
che
hanno sotto gli occhi, s’intertengano insieme a f
lla miseria degli amanti, o su altri oggetti estranei del tutto a ciò
che
si rappresenta. Del che fra i molti esempi che po
, o su altri oggetti estranei del tutto a ciò che si rappresenta. Del
che
fra i molti esempi che potrebbero addursi, basti
tranei del tutto a ciò che si rappresenta. Del che fra i molti esempi
che
potrebbero addursi, basti per breve saggio la sce
io la scena prima dell’atto secondo dell’Adriano in Siria. L’uditore,
che
sa lo scambievole amore tra Farnaspe ed Emirena p
re tra Farnaspe ed Emirena promessi sposi sotto gli auspizi del padre
che
sa gli ostacoli che frappone alla loro unione il
mirena promessi sposi sotto gli auspizi del padre che sa gli ostacoli
che
frappone alla loro unione il conquistatore Adrian
gli ostacoli che frappone alla loro unione il conquistatore Adriano;
che
ha veduta la disgrazia di Farnaspe caduto in mano
Osroa nel palazzo imperiale a fine di bruciarvi dentro l’imperatore,
che
si è trovato presente al tenerissimo rincontro de
l tenerissimo rincontro degli amanti in così lagrimevole occasione, e
che
legge nell’anima di Emirena lo smanioso dolore on
petterà, cred’io, di doverne ascoltare in mezzo ai sentimenti tragici
che
ispira una situazione cotanto feconda, delle lung
nne paragonata con quella dei cortigiani. Eppure tal ne è l’argomento
che
serve di materia a’ discorsi di Emirena e di Aqui
del monarca a pro di Farnaspe. Ella animata da quella nobile fierezza
che
siede così bene alla virtù combattuta, risponde:
sorpresso: un moto, un riso, Un silenzio, un rossor, quel
che
non dici Farà capir. Son facili gli am
arà capir. Son facili gli amanti A lusingarsi. Ei giurerà,
che
l’ami: E tu quando vorrai S
Non so dove s’apprenda Tal arte a porre in uso. Aquil. Eh
che
pur troppo Voi nascete maestre. Aver s
lio Lagrime ubbidienti: aver sul labbro Un riso
che
non passi A’ confini del sen: quando v
o a voi Gli ha dati il Cielo, e costan tanto a noi. Em. Tu
che
in corte invecchiasti Non dovresti inv
Piangerne la caduta. Offrirti a tutti E non esser
che
tuo: Di false lodi Vestir le accuse ed
Sotto un zelo apparente un empio fine: Nè fabricar
che
sull’altrui rovine. Aquil. Far volesti Emirena
ichezza nei giudicare, ma tradirei i propri sentimenti se non dicessi
che
tutta questa scena mi sembra una diceria bella be
a fuori di luogo. Invece di Emirena e di Aquilio io quivi non ravviso
che
Metastasio 105. [55] In questo luogo sento all’im
ogo sento all’improvviso interrompermi da un qualche lettore sdegnoso
che
vuol perorare a favore del poeta cesareo. Se non
ure le sue ragioni si ridurranno a un dipresso ai capi seguenti, cioè
che
l’illustre autore è stato costretto di servire al
che l’illustre autore è stato costretto di servire alle circostanze;
che
aspirando ad una rapida e sicura celebrità in una
maggior pensiero di piacere alle vaghe donne e ai giovani innamorati
che
non agli stitici letterati e ai filosofi inconten
rati che non agli stitici letterati e ai filosofi incontentabili106;
che
scrivendo i suoi drammi acciocché fossero rappres
lla, degl’impresari, dei macchinisti, dei cantori, e dei ballerini; e
che
per conseguenza a tali cagioni anziché all’autore
accennati difetti. Un Aristarco più severo di me risponderebbe forse
che
con siffatta logica potrebbono farsi passare per
er eccellenti le commedie del Chiari, e le tragedie del Ringhieri non
che
i componimenti di Metastasio, essendo certo che q
die del Ringhieri non che i componimenti di Metastasio, essendo certo
che
quei poeti altro non ebbero in vista che di riscu
di Metastasio, essendo certo che quei poeti altro non ebbero in vista
che
di riscuoter gli effimeri applausi di un volgo st
di riscuoter gli effimeri applausi di un volgo stolido di spettatori;
che
l’accomodarsi al gusto pervertito degli ignoranti
tito degli ignoranti non tornò mai in vantaggio di nessuno scrittore;
che
la superiorità di un uomo di talento si conosce a
al sollevarsi ch’ei fa sopra gli errori e i pregiudizi dell’arte sua;
che
l’irrevocabil giudizio della posterità non ha dat
osto la legge alla loro nazione e al loro secolo invece di riceverla;
che
infinitamente più laude ne avrebbe acquistata il
rebbe acquistata il poeta cesareo, se lottando contro alle difficoltà
che
opponevano una imperiosa truppa d’ignoranti e l’i
, invece di autorizzar maggiormente i vizi attuali coll’abbellirli; e
che
niuno poteva eseguir il proggetto meglio di lui n
eglio di lui non meno per l’ingegno mirabile concessogli dalla natura
che
pel favore dichiarato della nazione, per la prote
tezione d’una corte imperiale, e pel gran numero di musici eccellenti
che
avrebbero dal canto loro contribuito a rovesciar
l’antico edifizio per inalzarne un novello. Ma senza insistere su ciò
che
potrebbe rispondersi, io m’appiglio volentieri al
ciò che potrebbe rispondersi, io m’appiglio volentieri alle ragioni,
che
scolpano Metastasio. Compatisco quel grand’uomo o
o per l’altrui imbecillità, e me ne sdegno soltanto colle circostanze
che
lo costrinsero. [56] Sarà dunque colpa delle circ
ire le parole «furie d’Averno» in bocca d’una principessa di Cambaia,
che
rimprovera un re della Media, «il remo del pallid
face in flegetonte accesa» in bocca d’un antichissimo re della Persia
che
parla a’ suoi confidenti; Imeneo, che scuote la f
un antichissimo re della Persia che parla a’ suoi confidenti; Imeneo,
che
scuote la face invocato da un coro di babilonesi
o dei Greci ed eran nomi sconosciuti Imeneo e la sua fiaccola; il far
che
Astiage padre del famoso Ciro sagrifichi un tempi
trodurre una donzella nata nella reggia di Susa a’ tempi d’Artaserse,
che
fa menzione della Ifigenia in Tauride tragedia co
cca d’un eroe dei tempi favolosi, cioè d’Ercole al Bivio quando si sa
che
codesto raffinamento della donnesca vanità non fu
nome di Licori, e la terza contraffà il personaggio di un viaggiatore
che
ritorna al proprio paese avendo sempre in bocca l
rerebbe conforme ai costumi nazionali in Pecchino; quanto a me credo,
che
chiunque abbia fior di senno riporrà queste esimi
ze accanto al quadro di quel pittore, il quale dipignendo Gesù Cristo
che
predicava al popolo, lo fece accompagnar da paggi
] Sarà parimenti colpa del genere, il quale permette forse molte cose
che
la verosimiglianza non permetterebbe, l’incertezz
la verosimiglianza non permetterebbe, l’incertezza e la contraddizion
che
si scorge nel carattere di molti suoi personaggi
ai sempre quel componimento. Appena vi si ritrova un solo personaggio
che
conservi il carattere che gli vien dato dalla sto
o. Appena vi si ritrova un solo personaggio che conservi il carattere
che
gli vien dato dalla storia, o che sarebbe proprio
rsonaggio che conservi il carattere che gli vien dato dalla storia, o
che
sarebbe proprio della sua situazione. Ho già fatt
mata, e poco dicevole all’integrità d’un romano. La vedova di Pompeo,
che
ci viene dagli storici descritta come modello d’e
gliuola di Catone, la quale si dipinge sul principio cotanto virtuosa
che
non vuol nemmeno riconoscere come suo amante Cesa
n faccia a suo padre lo sposo datole da lei, e di vantarsi dell’amore
che
porta all’odiatissimo suo rivale, in circostanze
tarsi dell’amore che porta all’odiatissimo suo rivale, in circostanze
che
rotta ogni speranza d’amichevol pacificamento, Ce
nemico di Catone. Catone stesso, quel seguace così rigido del giusto
che
la parola di lui aveva presso ai Romani la forza
giusto che la parola di lui aveva presso ai Romani la forza medesima
che
il giuramento fatto in presenza dei numi, niega a
za dei numi, niega a Cesare sotto un pretesto leggierissimo l’udienza
che
gli aveva dianzi promessa, né si sdegna di mischi
osì decisiva il privato affare delle nozze di Marzia sua figlia; egli
che
scevro d’ogni domestico affetto non era padre, né
rito, ma cittadino. [59] Saranno altrettanti requisiti del melodramma
che
le principesse si travestano sì spesso in pastore
in la vita loro fra le selve senza contrasto alcuno e senza sospetto;
che
tanti personaggi vivano sconosciuti, come pare e
anti personaggi vivano sconosciuti, come pare e finché pare al poeta;
che
tutti si scoprano appunto nelle stesse circostanz
prano appunto nelle stesse circostanze, e quasi per gli stessi mezzi;
che
gl’intrecci siano ovunque e dappertutto i medesim
que drammi di Metastasio può quasi dire di averli scorsi tutti quanti
che
gli scioglimenti riescano non solo troppo uniform
il nodo gordiano colla spada di Alessandro. Il Signor de’ Calsabigi,
che
nella dissertazione altrove citata ha voluto dile
o di sposalizi (la qual cosa, benché più confaccente al genere comico
che
al tragico, potrebbe nondimeno perdonarsi alla ca
via discorrendo. Ove la ricognizione non ha luogo, voi siete sicuro,
che
lo scioglimento si prepara o perché il personaggi
o da un fellone, oppure in un popolare tumulto eccitatosi nella guisa
che
vuole il poeta il creduto reo si mette dalla band
il poeta il creduto reo si mette dalla banda del padre, o del sovrano
che
il condannava, col qual atto eroico disingannato
da si cedono scambievolmente al fortunato rivale. Ben di rado avviene
che
Metastasio ne faccia uso di altri mezzi. Se quest
viva forza dalla usanza; essi almeno sono, come i cavalli di vettura,
che
si pigliano a nolo dal poeta per trasportar i per
personaggi fino all’ultima scena. [60] Finalmente al genere non meno
che
alle circostanze attribuir si dovrà quella imperi
lusione a motivo di non trovarsi giammai la ragion sufficiente di ciò
che
si vede. Da essa proviene che i personaggi vadino
si giammai la ragion sufficiente di ciò che si vede. Da essa proviene
che
i personaggi vadino, venghino, si fuggano e s’inc
la situazione, ma come torna più in acconcio al poeta. Da essa deriva
che
gli attori parlino ad alta voce, se la intendano
lino ad alta voce, se la intendano e siano intesi dagli uditori senza
che
il terzo, che è presente, se ne accorga pure d’un
oce, se la intendano e siano intesi dagli uditori senza che il terzo,
che
è presente, se ne accorga pure d’un solo accento.
, che è presente, se ne accorga pure d’un solo accento. Da essa nasce
che
favellino alternativamente con troppo studio imit
ebee di Teocrito. E ciò per delle scene intiere, e senza vedersi. Del
che
basterà addurne in pruova un esempio, giacché a p
atto III. scena I. dell’Olimpiade. La scena rappresenta una bipartita
che
si forma dalle ruine di un antico ippodromo, già
veggono queste. Abbiamo sul principio una combinazione di circostanze
che
può sembrare non poco ricercata. Due persone, amb
può sembrare non poco ricercata. Due persone, ambedue amanti, ambedue
che
vanno disperate a morire nello stesso luogo, allo
a via, ambedue trattenute dal rispettivo amico. E notisi di passaggio
che
l’una di esse è la figlia del re, unica erede del
’ «Alternis dicetis, amant alterna Camaenae»? [62] Seguitiamo pure,
che
non finisce così tosto. «Am. Attendi. Arg. Ascol
Più conforto per me. Arist. Per me nel mondo Non v’è più
che
sperar. Megac. Serbarmi in vita… Arist. Impedirmi
no tu pretendi. Arist. Invan presumi. Am. Ferma. (Trattenendo Megacle
che
fugge. Per conseguenza Aristea dee fuggir parimen
tatamente se ciascuno avesse la parte in iscritto? [64] Nè mi si dica
che
l’uditore senza tener dietro a coteste maninconie
iano nella osservanza di tai precetti. Siffatti ragionamenti, ammessi
che
fossero una volta, farebbero crollare quel buon s
volta, farebbero crollare quel buon senso e quella illuminata ragione
che
dee pur tutti guidare i lavori dell’ingegno. E qu
occhio è in perpetua contraddizione col sentimento, dove la passione,
che
ne sarebbe l’effetto, manca di ragion sufficiente
ve la passione, che ne sarebbe l’effetto, manca di ragion sufficiente
che
la produca? Se, come dice Boeleau, in un verso ch
ragion sufficiente che la produca? Se, come dice Boeleau, in un verso
che
vale un tesoro, «Rien n’est Beau que le Vrai, le
nto bensì, ma la mancanza d’accordo fra le parti, l’inverosimiglianza
che
traspira nel tutto farà ben tosto rattiepidire qu
e traspira nel tutto farà ben tosto rattiepidire quel calore effimero
che
non trova materia onde alimentarsi. né l’esempio
i. né l’esempio altrui conchiude altro in favore di Metastasio se non
che
ei non è il solo compreso in siffatta accusa, e c
Metastasio se non che ei non è il solo compreso in siffatta accusa, e
che
invece di sciogliersi la quistione in suo favore
o favore, s’impiantano altrettante di nuovo quanti sono gli scrittori
che
s’addurranno in difesa108. [65] Ma tanto forse mi
8. [65] Ma tanto forse mi sono inoltrato nella critica del Metastasio
che
il lettore si sarà immaginato aver io preso princ
ego) se venuto in mente gli fosse cotal sospetto. Protesto ampiamente
che
la mia venerazione per l’illustre autore è grandi
iamente che la mia venerazione per l’illustre autore è grandissima, e
che
niuno il loda più sinceramente di me, né più volo
isognava premunire i giovani, (se pur di tanto fossero i miei giudizi
che
meritassero essere ascoltati da essi) affinchè sa
si) affinchè sappiano prendere il moltissimo di buono e di eccellente
che
si trova in Metastasio senz’imitare altre cose pe
si trova in Metastasio senz’imitare altre cose perdonabili in lui ma
che
in loro viziosissime diverrebbono. Soprattutto ch
donabili in lui ma che in loro viziosissime diverrebbono. Soprattutto
che
non lo prendano per modello di scriver tragedie,
a persuadere all’Italia. La sublime tristezza della tragedia ha tanto
che
fare col carattere del dramma in musica quanto av
, l’Alessandro, il Re pastore, e qualche altro con i suoi sonetti. Ma
che
tale distinzione non nuoca punto al merito del po
o nome, come già fece di quello di Lino e d’Orfeo. 94. [NdA] È fama
che
sotto gli auspizi della presente imperatrice dell
avva luogo assai noto nella storia del presente secolo pella vittoria
che
Pietro il Grande ottenne sopra il suo famoso riva
duodecimo re di Svezia. Bouginville racconta altresì ne’ suoi viaggi
che
in San Salvatore Capitale degli stabilimenti port
non pretendo giustificare il celebre Clarck dalle ragionevoli accuse,
che
fanno i teologi al suo libro sulla esistenza di D
i teologi al suo libro sulla esistenza di Dio; intendo solo di dire,
che
quanto v’ha in lui di sodo, e di vero tutto stato
ato di sopra in Metastasio la sua maniera di trattare l’amore, sembra
che
gli rubbi in seguito la stessa lode facendo veder
’amore, sembra che gli rubbi in seguito la stessa lode facendo vedere
che
l’ha maneggiato in guisa poco conveniente allo sc
o. Ma chi non misura, come suol dirsi, le parole collo spago troverà,
che
le due proposizioni si conciliari fra loro beniss
ns cela qu’auraient dit les Petits-Maîtres?» Ecco appunto la risposta
che
darebbe Metastasio. 107. [NdA] Gli antichi persi
pa del re Dario allorché venne a guerreggiare contro ai macedoni dice
che
i persiani portavano attorno il simolacro di Giov
unico abbaglio di quello storico romanziere; è bensì da maravigliarsi
che
Rollino abbia adottata una simil favola senz’altr
adottata una simil favola senz’altro esame, non dovendo egli ignorare
che
la religione de’ maghi contava fra suoi dogmi que
arse. Appena dicesi del re Edoardo VI grandemente esaltato da Cardano
che
avesse composta una commedia elegantissima che s’
te esaltato da Cardano che avesse composta una commedia elegantissima
che
s’intitolava la Puttana di Babilonia esaltata dag
istrare un nome assai sublime. La figliuola di Errico VIII Elisabetta
che
suole riporsi insieme coi più gran principi del s
ragedie di Sofocle16. Non ebbe però questa gran regina molti compagni
che
lavorassero a far risorgere la drammatica co’ mod
la drammatica co’ modelli dell’antichità. Non vi fu nel di lei regno
che
il lord Tommaso Sackville che compose Gordobuc co
l’antichità. Non vi fu nel di lei regno che il lord Tommaso Sackville
che
compose Gordobuc commedia in qualche maniera scri
ibertinaggio, e compose poi, per sostentarsi, pel teatro di un popolo
che
ancor non poteva gloriarsi di aver prodotto alle
orti, spiriti invisibili, un leone, un sorcio ed il chiaro della luna
che
favellano: egli non seppe nè astenersi dal miraco
incredibile, nè separare dal tragico il comico, restando per ciò, non
che
lungi dal pareggiare Euripide, inferiore allo ste
sso Tespi. Ebbe non per tanto un ingegno pieno di vigoroso entusiasmo
che
lo solleva talvolta presso a’ più insigni tragici
o entusiasmo che lo solleva talvolta presso a’ più insigni tragici, e
che
giustifica il giudizio datone da’ suoi compatriot
a mancanza di erudizione, di emuli e di modelli supplita dall’ingegno
che
lo menava a riflettere sull’uomo, à studiare i mo
tratti. Studiando egli la natura mancò di giudizio nell’ imitarne ciò
che
nelle società si riprenderebbe. Non è inverisimil
risimile (disse Voltaire per iscolpar se stesso nel Figliuol Prodigo)
che
mentre in una stanza si piange un morto, dicasi d
in una stanza si piange un morto, dicasi da un buffone qualche motto
che
muova a riso. Ma questo vero indiscreto non si de
secondo luogo il poeta giudizioso non lavora mai contro se stesso: or
che
altro fa colui, che, volendo intenerire e commuov
ta giudizioso non lavora mai contro se stesso: or che altro fa colui,
che
, volendo intenerire e commuovere, impedisce egli
oni non di rado la perde di vista. Non l’ebbe presente ne’ rimproveri
che
ne’ Due Gentiluomini di Verona fa il Duca di Mila
Nella sola orazione di Antonio nel Giulio Cesare, in quell’ orazione
che
il Sig. Martino Sherlock stima il capo d’opera de
di Omero, di Virgilio, di Demostene e di Cicerone, in quell’orazione
che
in ogni parola abbraccia mille bellezze ignote a’
lle lagrime è forse una grazia naturale? Oltre a ciò la falsa ragione
che
si adduce non distrugge l’accusa di ambizioso dat
l’ alteriggia, vizj composti di presunzione e di ferocia, sono quelli
che
rendono l’uomo disprezzante, duro, insensibile ag
ambizione non rare volte si copre di umanità e di dolcezza. Sherlock
che
ha studiato venti anni i drammi di Shakespear, ha
di Bruto) come sforzandosi di uscire, per sapere, se fosse possibile,
che
questo era Bruto. Longino, Orazio e Boelò, de’ qu
lock, avrebbero ravvisato del patetico e del sublime in questo sangue
che
si sforza di uscire per seguire il ferro e per sa
a? L’unica vera bellezza dell’orazione di Shakespear è appunto quella
che
è sfuggita alla diligenza del Sherlock che da ven
hakespear è appunto quella che è sfuggita alla diligenza del Sherlock
che
da venti anni la stà studiando. Il merito del Sha
feritaci dagli scrittori20, spiegandovi un patetico risentito e forte
che
accompagna lo spettacolo alle parole; e per quest
dagli oggetti e dalle circostanze? Non comprende l’enorme differenza
che
passa trallo spiegar la pompa oratoria nel Foro o
il Shellock non è l’uomo più felice in comparare21. Non è maraviglia
che
quel focoso viaggiatore preso dal farnetico di ra
chi de’ popoli colla più deplorabile superficialità. Non è maraviglia
che
abbia scarabocchiato un libercolo picciolissimo i
arabocchiato un libercolo picciolissimo in tutti i sensi, per provare
che
in Italia la poesia non è uscita ancora dalla fan
uscita ancora dalla fanciullezza; non consistendo la sua grand’opera
che
in pagine 104 in picciolo ottavo, delle quali (se
erate lodi della sua innamorata, cioè di Shakespear. Non è maraviglia
che
nella medesima brochure o scartabello che sia, ca
hakespear. Non è maraviglia che nella medesima brochure o scartabello
che
sia, cancelli con una mano quel che coll’ altra d
a medesima brochure o scartabello che sia, cancelli con una mano quel
che
coll’ altra dipigne; e nell’atto che dichiara gl’
sia, cancelli con una mano quel che coll’ altra dipigne; e nell’atto
che
dichiara gl’ Italiani fanciulli in poesia, afferm
e; e nell’atto che dichiara gl’ Italiani fanciulli in poesia, affermi
che
abbondino di eccellentissimi poeti lirici in ogni
cellentissimi poeti lirici in ogni genere, non avendo ancora imparato
che
l’entusiasmo, la mente più che divina, il sommo i
gni genere, non avendo ancora imparato che l’entusiasmo, la mente più
che
divina, il sommo ingegno, la grandezza dello stil
convengono singolarmente alla poesia lirica. Non è maraviglia ancora
che
mentre nega il nome di poeta grande ad Ariosto, c
cora che mentre nega il nome di poeta grande ad Ariosto, confessi poi
che
sia egli gran poeta descrittivo, con altra palpab
iovane, potrebbero recarci stupore, se fussero profferite da un altro
che
non ci avesse puerilmente ed à propos des bottes
a Japigia e parte della Sicilia, le quali altro linguaggio non aveano
che
il greco, e mandarono a spiegar la pompa del loro
re a Costantinopoli i Metodj, i Crisolai, i Barlaami: a quell’Italia,
che
dopo la distruzione del Greco Impero tutta si die
o) la lingua greca diventò sì comune dopo la presa di Costantinopoli,
che
, come dice Costantino Lascari nel proemio ad una
ava vergogna agl’ Italiani, e la lingua greca più fioriva nell’Italia
che
nella stessa Grecia 22: a quell’Italia in fine ch
ioriva nell’Italia che nella stessa Grecia 22: a quell’Italia in fine
che
oggi ancor vanta così gran copia di opere nelle q
Parma, in Padova, in Verona, in Venezia, in Mantova, in Modena ecc.,
che
essa vince di gran lunga il gregge numeroso de’ v
nsenso degl’ Inglesi d’indole per altro tanto, al suo dire, singolari
che
difficilmente se ne trovano due che si somiglino;
tro tanto, al suo dire, singolari che difficilmente se ne trovano due
che
si somiglino; ed afferma che in Inghilterra in qu
lari che difficilmente se ne trovano due che si somiglino; ed afferma
che
in Inghilterra in quasi duecento anni non v’è sta
ll’Isole Britanniche contro di Shakespear per instruirlo anche in ciò
che
ignora de’ suoi stessi compatriotti. Inglese era
dedicatoria della tragedia Troilus and Cressida afferma ingenuamente
che
nelle composizioni scritte da Shakespear nel seco
regolata la dicitura, oscura ed affettata l’ espressione; aggiugnendo
che
al principio del secolo susseguente quel padre de
pure nella prefazione dice di lui moltissimo bene e moltissimo male,
che
è quello appunto che fanno gli esteri imparziali.
e dice di lui moltissimo bene e moltissimo male, che è quello appunto
che
fanno gli esteri imparziali. Io tanto più di buon
akespear il troppo studio d’ imitar la natura universale. Hanno detto
che
i suoi Romani non erano vestiti del proprio costu
anno detto che i suoi Romani non erano vestiti del proprio costume; e
che
ai re da lui introdotti mancavano le dignità rich
a) perchè Menenio senator di Roma faccia il buffone; e Voltaire crede
che
sia un violar la decenza il dipingere che fa in H
l buffone; e Voltaire crede che sia un violar la decenza il dipingere
che
fa in Hamlet l’usurpator Danese ubbriaco. Ma Shak
a verità. Esigeva la sua favola de’ Romani e de’ re, ed egli non vide
che
gli uomini. Egli avea bisogno di un buffone, ed i
ispregevole e odioso, aggiunse a’ di lui vizj l’ubbriachezza, sapendo
che
il vino esercita la sua possanza su i re come su
ndotto senz’arte. Egli trascura le occasioni di piacere o interessare
che
presentagli naturalmente lo scioglimento. Perchè
rso pomposo . . . . . Quando vuole intenerire dipingendo la grandezza
che
ruina o l’innocenza che pericola, più sensibilmen
ando vuole intenerire dipingendo la grandezza che ruina o l’innocenza
che
pericola, più sensibilmente manifesta l’ineguagli
. . . . Il difetto più notabile del nostro poeta è il gusto singolare
che
avea pel giuoco puerile sulle parole; non v’ha co
sto singolare che avea pel giuoco puerile sulle parole; non v’ha cosa
che
non sacrifichi al piacere di dire un’ arguzia ecc
ato Come la chiamate Voi? Farsa Tragi-Comi-Pastorale, in cui non meno
che
nella prefazione viene finamente e con grazia com
de’ di lui versi piacevolissime parodie. Adunque non è punto vero ciò
che
afferma il Sherlock, che in Inghilterra non vi è
issime parodie. Adunque non è punto vero ciò che afferma il Sherlock,
che
in Inghilterra non vi è stata mai una sola voce c
non vi è stata mai una sola voce contro Shakespear; non è punto vero
che
sono quivi tutti ciechi adoratori non meno delle
o vero che sono quivi tutti ciechi adoratori non meno delle bruttezze
che
delle bellezze di lui. In compenso però può oggi
e contare di essere stato dichiarato l’innamorata del tenero Sherlock
che
consiglia con tanto gusto e giudizio la gioventù.
di costui, nella quale trovansi sparse senza citarsi moltissime cose
che
leggonsi altrove, ed altre non poche a lui da que
l rimanente del suo libretto. Io ne ho voluto accennare soltanto quel
che
riguarda la drammatica, non curandomi di mettere
Cavalier Fulck Grevil Lord Brooke chiaro nelle armi e nelle lettere,
che
fu l’intimo amico di Sidney favorito della regina
l teatro Britannico. Tralle di lui favole passa per eccellente quella
che
intitolò il Re non Re. Non si vuole però omettere
uella che intitolò il Re non Re. Non si vuole però omettere di notare
che
sin da allora sulle scene di quell’ isole cominci
quell’ isole cominciò ad allignare un gusto più attivo e più energico
che
altrove. Gl’ Inglesi amano sul teatro più a veder
e più energico che altrove. Gl’ Inglesi amano sul teatro più a vedere
che
a pensare. Da quel tempo spiegarono una propensio
one particolare al grande, al terribile, al tetro, al malinconico più
che
al tenero, ed una vivacità, una robustezza e un a
, ed una vivacità, una robustezza e un amor deciso pel complicato più
che
per la semplicità; e questo carattere di tragedia
cadere nella ridevole temerità di certi moderni pedanti superficiali
che
pur da se stessi si danno il titolo di profondi p
zzare i drammi del Shakespear, sanno essi per avventura la difficoltà
che
incontrano i medesimi Inglesi in comprenderli? Il
i debba andar mendicando notizie e traduzioni di Shakespear da taluno
che
forse ne sa quanto lui; ma è riserbato a colui, c
kespear da taluno che forse ne sa quanto lui; ma è riserbato a colui,
che
oltre di possederne l’idioma originale abbia most
tutta l’ arduità ed i misteri della poesia rappresentativa con altro
che
con favole sceniche senza stile e senza lingua, l
più dotti compatriotti, o i più istruiti stranieri. Ecco intanto ciò
che
ne scrisse M. De Voltaire il più degno di giudica
arne: “Shakespear (egli disse) non ha presso gl’ Inglesi altro titolo
che
quel di divino. Pure le sue tragedie sono altrett
ssero ammirare un autore così stravagante; ma in progresso mi accorsi
che
aveano ragione . . . . Essi al par di me vedevano
meglio di me le sue bellezze, tanto più singolari perchè erano lampi
che
brillavano in una oscurissima notte. Tale è il pr
ite strade; si smarrisce alle volte, ma lascia dietro di se tutto ciò
che
non è se non esattezza e ragione”. 19. Tis natu
pj di simili paragoni impossibili? E pure egli stesso riprende coloro
che
comparano Racine e Shakespear, perchè il primo (e
e a’ di lui sguardi è più stravagante il confronto di due drammatici,
che
di un romanziere con un drammatico? 22. Andres s
. I, cap. XII. 23. Si comprende particolarmente da quest’ultimo nome
che
noi non intendiamo quì di offendere i viaggiatori
pensare dal drammatico Inglese. 25. Piacemi quì soltanto aggiugnere
che
il Sherlock molto provvidamente indirizza il suo
il Sherlock molto provvidamente indirizza il suo Consiglio ai giovani
che
non hanno oltrepassati i ventidue anni; altriment
n so poi se possa esservi uomo dotato di ugual malignità e stupidezza
che
possa adottare i di lui sentimenti. Pur se alcuno
i in tanti aspetti differenti quante sono le classi degli spettatori,
che
vi concorrono. Diversamente il considerano l’uomo
del pregiudizi, que’ corpi senz’anima, quelle creature indifinibili,
che
si chiamano gente di mondo, le massime delle qual
cuore alla sola voluttà, ogni morale al personale interesse, nel far
che
un’apparente politezza tenga luogo di tutte le vi
e nel colorir con brillanti sofismi l’orrore del vizio non altrimenti
che
soglionsi coprire con vistosa vernice i putridi l
a vecchiezza o dal tarlo corrosi; fanno del teatro quell’uso appunto,
che
sogliono fare delle altre cose. Come la regola lo
ritrovata dall’ozio, e dall’avarizia per consolar tante anime vuote,
che
non sanno che farsi della propria esistenza) ecco
l’ozio, e dall’avarizia per consolar tante anime vuote, che non sanno
che
farsi della propria esistenza) ecco il fine, al q
uanto giudici infelici pel niun discernimento recherebbono danno anzi
che
vantaggio alla perfezione del gusto, se le spese
. [3] Il politico, osservando unicamente gli oggetti per la relazione
che
hanno colla civile economia e coi fini dello stat
o ramo di commercio, ove si dà più voga alle arti di lusso pella gara
che
accendesi scambievolmente di primeggiare negli ab
nire nocivi, impiegando contro di essa non meno i propri divertimenti
che
le proprie occupazioni; come un mezzo termine inf
spensierato per nasconder agli occhi suoi l’aspetto di quelle catene
che
la politica va lavorando in silenzio, per infiora
erlo più agevolmente in quella picciolezza e dissipazione di spirito,
che
tanto comoda riesce a chi vuol soggiogare. Così l
o, prese il partito d’addormentare col preparato boccone quel mostro,
che
le ne impediva l’ingresso. [4] Quei pesanti racco
impediva l’ingresso. [4] Quei pesanti raccoglitori chiamati eruditi,
che
hanno tutta l’anima riposta nella sola reminiscen
ati eruditi, che hanno tutta l’anima riposta nella sola reminiscenza,
che
valutano le ragioni secondo il numero delle citaz
soavità e freschezza di colorito, altro egli non potè sentire giammai
che
le spine. Il loro studio consiste nel verificar a
ssero la pubblica luce, quante edizioni siano state fatte finora. Ciò
che
più converrebbe gustare, vale a dire la dilicatez
ne, ma ti faranno bensì una lunga diceria sull’anacronismo del poeta,
che
fece viver ai medesimi tempi Enea e la regina di
ialogizzar insieme un coro d’agli e di cipolle per imitar Aristofane,
che
aveva parimenti fatto parlare sul teatro d’Atene
ettura de’ primi modelli antichi e moderni l’uomo di gusto è il solo,
che
prenda lo spettacolo per se stesso e non per gli
in grazia delle virtù, e misurar il pregio delle virtù per l’effetto,
che
ne producono. Ei paragonando insieme le diverse b
come la materia fisica si combina sotto mille forme diverse: conosce
che
tutti i gran geni hanno diritto alla stima pubbli
e: conosce che tutti i gran geni hanno diritto alla stima pubblica, e
che
un sol genere di bello non dee, e non può donar l
le cose a’ suoi primi principi e a considerarle secondo la relazione
che
hanno colle affezioni primitive dell’uomo, riguar
ntiero dell’umana vita, e di consolarci in parte de’ crudeli pensieri
che
amareggiano sovente in ogni condizione la nostra
rio cuore l’originale: ora come un sistema di morale messa in azione,
che
abbellisce la virtù per renderla più amabile, e c
messa in azione, che abbellisce la virtù per renderla più amabile, e
che
addimanda in prestito al cuore il suo linguaggio
er far meglio valere i precetti della ragione: ora come uno specchio,
che
rappresenta le inclinazioni, e il carattere d’una
rado di libertà politica in cui si trova, le opinioni, e i pregiudizi
che
la signoreggiano. [7] In quale degli accennati as
ro, e non del teatro, l’uomo di gusto esser dovrebbe l’unico giudice,
che
se ne scegliesse, siccome quello, che avendo megl
esser dovrebbe l’unico giudice, che se ne scegliesse, siccome quello,
che
avendo meglio d’ogni altro studiate le regole di
ubblico illuminato, meglio d’ogni altro saprebbe additare que’ mezzi,
che
a così fatto fine conducono. Le altre mire o non
fondato giudizio: non sol gli è d’uopo investigare il legame segreto,
che
corre tra il genio della nazione e la natura dell
a nazione e la natura dello spettacolo, tra il genere di letteratura,
che
è il principal argomento dell’opera, e gli altri
di letteratura, che è il principal argomento dell’opera, e gli altri
che
gli tengono mano, ma indispensabile diviene per l
anch’egli concorre con braccia poderose, e con incessante fatica: dal
che
avviene che se la gloria di quest’ultimo è meno l
ncorre con braccia poderose, e con incessante fatica: dal che avviene
che
se la gloria di quest’ultimo è meno luminosa e br
arla colla bilancia della ragione: quando apprezzar le particolarità,
che
servono ad illustrar l’argomento, quando troncarl
lla perfezione loro, o del loro decadimento. In una parola si ricerca
che
sia erudito, critico, uomo di gusto, e filosofo a
dea, ch’io non mi lusingo d’avere nemmen da lungo tratto adeguata, ma
che
bramerei pure di poter eseguire accingendomi a sc
luzioni del teatro musicale italiano. [8] Una fortunata combinazione,
che
con dolce compiacenza mi fo un dovere di palesar
, che con dolce compiacenza mi fo un dovere di palesar al pubblico, e
che
renderà tanto meno scusabili i falli miei quanto
poiché meglio di me lo fa l’Italia tutta e l’Europa, fu il primiero,
che
mi confortò alla intrapresa, che rimosse da me og
ia tutta e l’Europa, fu il primiero, che mi confortò alla intrapresa,
che
rimosse da me ogni dubbiezza, che m’indicò le sor
o, che mi confortò alla intrapresa, che rimosse da me ogni dubbiezza,
che
m’indicò le sorgenti, che mi fornì buon numero di
trapresa, che rimosse da me ogni dubbiezza, che m’indicò le sorgenti,
che
mi fornì buon numero di libri rari, e di manoscri
sorgenti, che mi fornì buon numero di libri rari, e di manoscritti, e
che
m’aprì ne’ suoi famigliari discorsi fonti d’erudi
suoi famigliari discorsi fonti d’erudizione vieppiù copiosi di quelli
che
ritrovassi negli autori. Tutto ciò con un candor
to ciò con un candor d’animo, e con una tal gentilezza inesprimibile,
che
avranno meco divisa quanti uomini di lettere hann
isa quanti uomini di lettere hanno la buona sorte d’avvicinarglisi, e
che
non suol vedersi troppo comunemente negli avari p
ze, i quali somiglianti al drago custode degli orti Esperidi, vietano
che
altri accosti la mano a quegli aurei frutti, ch’e
rdano da lontano senza mai toccarli1. Su questi materiali, e su altri
che
mi procacciai altronde colla diligenza, scortato
ue dal giudizio di persone intelligenti nei vari e moltiplici rami di
che
mi convien ragionare, giunsi a distendere la pres
ore sforzo delle belle arti congiunte, e il diletto più perfezionato,
che
da esse attender possa la politica società. [9] A
è appoggiato quanto qui si scrive. Leggendo i molti e celebri autori
che
mi hanno preceduto nello scriver della letteratur
tura, ho avuto ocularmente occasione di confermarmi in un sentimento,
che
avea da lungo tempo adottato, ed è che la storia
confermarmi in un sentimento, che avea da lungo tempo adottato, ed è
che
la storia non meno letteraria che politica delle
avea da lungo tempo adottato, ed è che la storia non meno letteraria
che
politica delle nazioni altro non sia che un vasto
a storia non meno letteraria che politica delle nazioni altro non sia
che
un vasto mare d’errori, ove a tratto a tratto gal
bbagli, e di ridurre al suo intrinseco valore l’autorità di cert’uni,
che
opprimono col nome loro i lettori creduli ed infi
no col nome loro i lettori creduli ed infingardi. Ma presto m’avvidi,
che
siffatto metodo cangierebbe la storia in una disc
Mi riserbai non per tanto a farlo in qualche occorrenza, ove mi parve
che
lo richiedesse il bisogno, e m’astenni sul medesi
eminiscenze, ma di ragionare sui fatti, di far conoscere le relazioni
che
gli legano insieme, e d’abbracciare gli oggetti a
gli altri rami della poesia, e su altri punti. Debbo avvertire bensì,
che
scrivendo io la storia dell’arte e non degli arte
uante le opere, ch’essi pubblicarono, delle varie edizioni e tai cose
che
sogliono essere le più care delizie degli eruditi
a nostri tempi. Mille altri libri appagheranno la curiosità di coloro
che
stimassero cotali ricerche di somma importanza. [
fare parte provenienti dalla ragione, parte dal pregiudizio di coloro
che
il proprio gusto vorrebbero a tutti far passare p
consolar il loro amor proprio dispregiandole essi stessi, e cercando
che
vengano dispregiate dagli altri: somiglianti appu
he vengano dispregiate dagli altri: somiglianti appunto a que’ satiri
che
ci descrive Claudiano, i quali esclusi per la lor
o dietro alle siepi sogghignando maliziosamente a quei felici mortali
che
venivano per man d’Amore introdotti ne’ dilettosi
nati e sinceri, altrettanto darà fastidio a certe persone pusillanimi
che
scambiano mai a proposito il rispetto colla debol
iderato, ch’io fossi stato più circospetto: cioè nella significazione
che
danno essi a tal parola, che non avessi osato, di
ù circospetto: cioè nella significazione che danno essi a tal parola,
che
non avessi osato, di profferir il mio sentimento
ferir il mio sentimento se non colla timidezza propria d’uno schiavo,
che
avessi incensato gli errori e i pregiudizi del se
schiavo, che avessi incensato gli errori e i pregiudizi del secolo, e
che
avessi fatto l’eco vituperevole di tanti giudizi
, e che avessi fatto l’eco vituperevole di tanti giudizi stoltissimi,
che
sentonsi ogni giorno ne’ privati discorsi e nelle
amente da spirito repubblicano in punto di lettere ho sempre stimato,
che
la verità e la libertà debbano essere l’unica ins
a di chi non vuol avvilire il rispettabile nome d’autore: ho creduto,
che
l’accondiscender ai pregiudizi divenga egualmente
izi divenga egualmente nuocevole agli avanzamenti del gusto di quella
che
lo sia ai’ progressi della morale il patteggiare
o sia ai’ progressi della morale il patteggiare coi vizi: ho pensato,
che
la verace stima verso una nazione non meno che ve
coi vizi: ho pensato, che la verace stima verso una nazione non meno
che
verso le persone private non si manifesti con cer
’interesse, o della paura, ma col renderle senza invidia la giustizia
che
merita, e col dirle senza timore le verità di cui
a, e col dirle senza timore le verità di cui abbisognai ho giudicato,
che
siccome l’amico, che riprende, palesa più sincera
timore le verità di cui abbisognai ho giudicato, che siccome l’amico,
che
riprende, palesa più sincera affezione che non il
cato, che siccome l’amico, che riprende, palesa più sincera affezione
che
non il cortigiano che adula, così più vantaggiosa
ico, che riprende, palesa più sincera affezione che non il cortigiano
che
adula, così più vantaggiosa opinione dimostra ad
tra ad altrui chi capace il crede d’ascoltar ragione in causa propria
che
non faccia quell’altro, il quale tanto acciecato
ia quell’altro, il quale tanto acciecato il suppone dall’amor proprio
che
non possa sostener a viso fermo l’aspetto della v
fermo l’aspetto della verità conosciuta: mi sono finalmente avvisato,
che
se il rispetto per un particolare mi sollecitava
sollecitava a usare di qualche parzialità, il rispetto vieppiù grande
che
deggio avere per il pubblico , mi vietava il farl
lia screditar la nazione, esso sarebbe tanto più insussistente quanto
che
la maggior parte di quest’opera depone in contrar
di tanti musici. Che se ciò nonostante alcun m’attribuisse intenzioni
che
non ho mai sognato d’avere: se dalla stessa mia i
passare per ateista: se altro mezzo non v’ha di far ricreder costoro,
che
quello d’avvilir la mia penna con adulazioni verg
artito ridicolo; in tal caso rimangano essi anticipatamente avvisati,
che
non ho scritto per loro, e che la mia divisa per
mangano essi anticipatamente avvisati, che non ho scritto per loro, e
che
la mia divisa per cotal genia di lettori sarà sem
ine, i progressi e lo stato attuale del melodramma in Italia, ove più
che
altrove si è coltivato, e si coltiva pur ora, mi
e si coltiva pur ora, mi s’affacciò in sul principio una difficolta,
che
quasi mi fece venir manco il coraggio. La tragedi
iudicarsi, cavate dall’esempio de’ grandi autori, dal consenso presso
che
unanime delle colte nazioni, e dagli scritti di t
stema, e dataci, a così dire, l’arte poetica. Attalchè quelli autori,
che
hanno sensatamente parlato d’ogni altro genere di
gio, convenendo, secondo l’osservazione del gran Bacone di Verulamio,
che
non si tosto s’affrettino i filosofi a fissare i
e combinazioni de’ tempi e delle circostanze; ma egli è vero altresì,
che
chiunque ne vorrà giudicare si troverà perplesso
alla mano principi, onde avvalorar il proprio giudizio, Gl’Italiani,
che
hanno scritto fin’ora, non sono stati in ciò più
ratori, del Crescimbeni, del Calsabigi, del Mattei, e di tanti altri,
che
toccarono questo punto alla sfuggita, tre sono st
che toccarono questo punto alla sfuggita, tre sono stati gli autori,
che
hanno parlato più di proposito. Il Quadrio uomo d
trattare dell’opera in musica, ove il lettore altro non sa rinvenire
che
titoli, che date e nomi d’autori ammucchiati senz
ll’opera in musica, ove il lettore altro non sa rinvenire che titoli,
che
date e nomi d’autori ammucchiati senz’ordine a sp
e della peregrina favella si trovano scritte riflessioni assai belle,
che
lo fanno vedere quell’uomo di gusto ch’egli era i
usciti fin’ora alla luce massimamente nella parte didascalica, parmi
che
i pensieri dell’autore intorno alla parte poetica
parte poetica del dramma non abbiano né la giustezza né la profondità
che
campeggiano in altri luoghi: mi sembra, che abbia
iustezza né la profondità che campeggiano in altri luoghi: mi sembra,
che
abbia poco felicemente indagati i distintivi fra
a poco felicemente indagati i distintivi fra l’opera e la tragedia, e
che
non venga dato gran luogo alla critica e molto me
on venga dato gran luogo alla critica e molto meno alla storia, ond’è
che
molto ei ci lascia a desiderare si nell’una che n
no alla storia, ond’è che molto ei ci lascia a desiderare si nell’una
che
nell’altra. [13] Sarebbe in me imperdonabile bald
bbe in me imperdonabile baldanza il presumere di poter supplire a ciò
che
non hanno fatto gli altri, e che probabilmente no
il presumere di poter supplire a ciò che non hanno fatto gli altri, e
che
probabilmente non si farà così presto. Un sistema
lche cosa di meglio non ci si appresenta, emmi paruto necessario, non
che
opportuno, il premettere due Ragionamenti sì per
altre produzioni teatrali. Nel secondo s’investigherò la proporzione
che
ha per la musica la lingua italiana, e ciò che ri
tigherò la proporzione che ha per la musica la lingua italiana, e ciò
che
rimane a farsi per perfezionarla. Se le riflessio
mane a farsi per perfezionarla. Se le riflessioni in gran parte nuove
che
ho procurato spargere su tali materie, come su pa
nute in questo libro, non bastassero a formar un sistema completo (lo
che
non è stato mai il mio oggetto) e se i maestri de
le codesto bell’argomento, non men degno delle ricerche d’un filosofo
che
delle premure d’un uomo di gusto. 1. [NdA] Un a
ilosofo che delle premure d’un uomo di gusto. 1. [NdA] Un anno dopo
che
furono stampate queste parole, il padre Martini p
di Lavinia, nacque in Venezia il 5 febbraio 1593. Secondo l’oroscopo
che
togliamo dalla stessa collezione della Biblioteca
di Cesare Spighi. Dai Balli di Sfessania di Iac. Callot. Donna,
che
oggi il Teatro adorni e fregi, con quanto hanno d
bell’alma odi e dispregi il vezzo lusinghier del tempo stolto, e fai,
che
gusti sol lo spirto sciolto dolce il licor de’ tu
irto sciolto dolce il licor de’ tuoi sudori egregi. Ma la voce gentil
che
or trista, or lieta, allettando l’udito, il core
cesso a Don Giovanni. Ahimè !… Come scriveva il Piazza nel suo Teatro
che
è più facile trovare il moto perpetuo, che la con
a il Piazza nel suo Teatro che è più facile trovare il moto perpetuo,
che
la concordia nelle comiche compagnie, così i succ
tista e Valeria Austoni (V.), invidiosi degli applausi di lei ; tanto
che
D. Giovanni, il quale da quel povero Impresario c
si di lei ; tanto che D. Giovanni, il quale da quel povero Impresario
che
era, doveva sorbirsi le uggiose rimostranze di tu
eva scacciare una certa Nespola, comica di cui non abbiam notizia, ma
che
sappiamo essere stata la moglie di uno della Comp
. » Intorno alla bellezza, vantata nel sonetto di Michiele, ecco quel
che
ne dice Gio. Francesco Maja Materdonna in altro s
rìa fallace. Perchè vanto al nemico e gloria fòra morir per bella man
che
alletta e piace, ed a par di begli occhi anco inn
nni. Ill.mo et Ecc.mo Signore, Poichè la benignità di V. E. permette
che
ogniuno possa spiegarle così le pretensioni come
ari, non mancherò anch’ io, sì come gli altri àn fatto, scriverli ciò
che
l’animo mio sente, sì per discolparmi di quanto m
olparmi di quanto mi viene aposto, come per godere di quel privilegio
che
agli altri miei compagni V. E. con tanta humanità
concede. Hauendo io dunque conosciuto a più d’un segno manifestamente
che
il sig.r Fulvio per qual si fosse sua ragion di s
in Venetia comandato, e sapendo quanto da lei sia amato, pregando lui
che
da mio cognato volesse separarmi, stimando nel ri
vio a compiacere le mie honeste dimande, ha fatto in mio servitio ciò
che
V. E. sa molto meglio di me, là dove maggiormente
giormente iritato il sig.r Fulvio tutto quest’anno mai ha fatto altro
che
dire non voler che io sia dove lui, e che non vol
l sig.r Fulvio tutto quest’anno mai ha fatto altro che dire non voler
che
io sia dove lui, e che non vol recitare dove mia
est’anno mai ha fatto altro che dire non voler che io sia dove lui, e
che
non vol recitare dove mia moglie faccia da prima
nna. Io, Sigre, intendendo con mio estremo disgusto questo, e sapendo
che
per essere io il minimo di compagnia, et egli il
anzi sopra le spalle, e tanto più ero necessitato a pensarci, quanto
che
mi riducevo a mente il periglio che passai di rim
ro necessitato a pensarci, quanto che mi riducevo a mente il periglio
che
passai di rimaner in asso quattr’anni sono, quand
imaner in asso quattr’anni sono, quando finimmo il carnevale a Lucca,
che
V. E. era a Firenze. Pensavo dunque andarmene a N
ragionamenti, tra quali si concluse parlar con il Sig.r Flavio, acciò
che
spiegatone l’intento di V. E. si potesse far cosa
rlato finalmente con il Sig.r Flavio, dalle prime sue parole s’intese
che
V. E. metteva ogn’uno in libertà : ma chi che fos
ime sue parole s’intese che V. E. metteva ogn’uno in libertà : ma chi
che
fosse, che hauesse alla sua protezione ricorso, s
ole s’intese che V. E. metteva ogn’uno in libertà : ma chi che fosse,
che
hauesse alla sua protezione ricorso, sarebbe beni
uorito ; là dove rincorati e rinvigoriti, si propose quella Compagnia
che
da detto Sig.r Flavio le sarà stato detto, con fe
ella sua gratia. Quando il Sig.r Fulvio senti questo disse e fece ciò
che
da altri haurà inteso, nè giovò humiltà di alcuna
Valeria mia sorella in Compagnia, con suo gusto particolare. Signore,
che
pensieri si devono fare nell’intendere di simil c
elici. Il Sig.r Flavio dunque, veduta questa perfidia, scrisse e fece
che
noi scrivessimo a Leandro ch’era a Napoli, dandol
tolo di servo humilissimo di V. E. assicurandoci di precipitarsi, non
che
correre dove il cenno di lei lo chiami. Cosi sono
e, Ecc.mo Sig.re, e quando trovi altrimente mi privi della sua gratia
che
sopra ogni cosa stimo, ed aprezzo. Della Nespola
lla Nespola poi non dico altro, perchè dal Sig.r Flavio haurà inteso,
che
ogni cosa si faceva con patto che ella non ci fos
rchè dal Sig.r Flavio haurà inteso, che ogni cosa si faceva con patto
che
ella non ci fosse, stimandola mente di V. E. per
e di V. E. per riconoscere Scapino tanto suo partiale e devoto servo,
che
tanto tempo si è stato, con tanto danno di mia mo
è stato, con tanto danno di mia moglie, senza ch’ella recitasse fuori
che
nel far della luna. Ma ridducendo tutte le mie pr
tutte le mie prettensioni, e tutti i miei disgusti a un punto, dico,
che
con tutta quella dovuta humiltà e riverenza ch’a
verenza ch’a me s’aspetta, et a V. E. si conviene, vengo a suplicarla
che
mia moglie riceva dall’ E. V. gratia d’essere pos
n con mia sorella ; direi anco senza il Sig.r Fulvio, ma volendo ella
che
ci sia, mi acheterò, racordandole solo che il pov
.r Fulvio, ma volendo ella che ci sia, mi acheterò, racordandole solo
che
il povero Leandro non ci ha colpa, nè dovrebbe ri
Leandro non ci ha colpa, nè dovrebbe rimanere schernito, e tanto più
che
il detto Sig.r Fulvio ha detto mille volte, che q
chernito, e tanto più che il detto Sig.r Fulvio ha detto mille volte,
che
quando sarà astretto da V. E. a stare in Compagni
a stare in Compagnia, darà disgusti segnalati, e farà alla peggio. Sì
che
veda ciò che da un animo preparato al male si può
mpagnia, darà disgusti segnalati, e farà alla peggio. Sì che veda ciò
che
da un animo preparato al male si può sperare. Mia
e protesti di non voler essere dove la Nespola, s’io l’ammazzassi, si
che
V. E. faccia che il Sig.r Flavio le scriva a nome
voler essere dove la Nespola, s’io l’ammazzassi, si che V. E. faccia
che
il Sig.r Flavio le scriva a nome suo e che venghi
zassi, si che V. E. faccia che il Sig.r Flavio le scriva a nome suo e
che
venghi da lei a contentarsene, perchè non vorrei
ità d’un riverente affetto, e dalla necessità de’ miei interessi, con
che
, humilmente inchinandomele, la riverisco colle gi
Antonazzoni detto Ortensio. Ill.mo et Ecc.mo Signore. Avendo inteso
che
V. E. vole che questa Compagnia stia insieme, e c
tto Ortensio. Ill.mo et Ecc.mo Signore. Avendo inteso che V. E. vole
che
questa Compagnia stia insieme, e che se vi è qual
e. Avendo inteso che V. E. vole che questa Compagnia stia insieme, e
che
se vi è qualcheduno che prettendi qualche cosa o
E. vole che questa Compagnia stia insieme, e che se vi è qualcheduno
che
prettendi qualche cosa o abi disgusto di che che
che se vi è qualcheduno che prettendi qualche cosa o abi disgusto di
che
che si voglia lo si faccia sapere a V. E. ond’io
se vi è qualcheduno che prettendi qualche cosa o abi disgusto di che
che
si voglia lo si faccia sapere a V. E. ond’io aven
avendo da questo preso ardire, e confidatomi nella benignità sua dico
che
mai ho auto bon stomaco con la Nespola per l’inte
o tra lei e mio marito, e sempre ho cercato di passarmela alla meglio
che
per me sia stato possibbille, sperando pure che i
assarmela alla meglio che per me sia stato possibbille, sperando pure
che
il tempo trovase rimedio per liberarmi. Hora son
. Hora son forsata a suplicare V. E. a concedermi questa prima gracia
che
io sua humile e divota serva li adimando, et è ch
uesta prima gracia che io sua humile e divota serva li adimando, et è
che
la Nespola non sia dove io sono, nè io dove la de
da giustissima causa, poichè quest’anno è nato tal disordine per lei,
che
è stato quasi la mia rovina, e della perdita dell
lla perdita dell’anima e del corpo, e se non fosse stata la riverenza
che
ò portato, porto e porterò a V. E. mentre che viv
osse stata la riverenza che ò portato, porto e porterò a V. E. mentre
che
viva, mi sarei partita subitto per non star dove
hora, con speranza di essere consolata dalla gracia sua. E tanto più
che
questa è cossa che non a porta disonore, anzi ono
di essere consolata dalla gracia sua. E tanto più che questa è cossa
che
non a porta disonore, anzi onore e riputacione, e
acione, e infino si sa chi ella è, e di qual vallore ; ma perchè vedo
che
mio marito fa (come si suol dire) orecchie di mer
ome si suol dire) orecchie di mercante in detta materia, torno a dire
che
quest’anno che viene io non uscirò fora a recitar
e) orecchie di mercante in detta materia, torno a dire che quest’anno
che
viene io non uscirò fora a recitare se questa don
angerò radice di erbe e mi contentarò di adimandar la elemosina tanto
che
viva, quando fosse morto per me il soccorso a alt
, quando fosse morto per me il soccorso a altra maniera. Bisognerebbe
che
io dicessi ancora molte cosse del Sig.r Fulvio, m
te cosse del Sig.r Fulvio, ma per non infastidilla dico questa solla,
che
per la sua partialità, ostinacione, non ha voluto
r la sua partialità, ostinacione, non ha voluto ingegnarsi, o lasciar
che
altri s’ingegnino per potter guadagnare. Ma mi di
o lasciar che altri s’ingegnino per potter guadagnare. Ma mi dispiace
che
non ò colpa e pure ò tutto di meno, avendo ogni c
esima e da far viaggio per Loretto, dal qual loco non uscirò sintanto
che
non sappi se mi vol far degna della gracia adiman
sappi se mi vol far degna della gracia adimandatali. V. E. consideri
che
abbiamo bisogno di gente che s’affaticha per far
lla gracia adimandatali. V. E. consideri che abbiamo bisogno di gente
che
s’affaticha per far guadagnare, ma non di gente c
bisogno di gente che s’affaticha per far guadagnare, ma non di gente
che
goda della nostra rovina ; ad ogni modo come serr
che goda della nostra rovina ; ad ogni modo come serrà quadragesima e
che
non si vedranno dinari, averano gracia di noi e b
esima e che non si vedranno dinari, averano gracia di noi e bisognerà
che
facino a nostro modo ; ma s’inganano di gran lung
ino a nostro modo ; ma s’inganano di gran lunga poichè non abiamo più
che
impegnare, e dinari noi non abbiamo, non n’aspett
sono risolutissima di non essere con loro. Ma perchè mio marito dice
che
farrà quello che V. E. li comanderà, da questo m’
ma di non essere con loro. Ma perchè mio marito dice che farrà quello
che
V. E. li comanderà, da questo m’acorgo che à gust
rito dice che farrà quello che V. E. li comanderà, da questo m’acorgo
che
à gusto e che desidera di essere con lei, cioè co
farrà quello che V. E. li comanderà, da questo m’acorgo che à gusto e
che
desidera di essere con lei, cioè con Nespola : ma
o che à gusto e che desidera di essere con lei, cioè con Nespola : ma
che
il Sig.r Flavio non tenga concerto di questo con
erchè ne succederà qualche gran rovina ; però torno a suplicare V. E.
che
voglia proveder lei a quettar questi tumulti, e i
no pensato a importunare l’Altezza Impresaria, o chi per essa, se non
che
per battere cassa, o narrar pettegolezzi di retro
protezione a figliuoli, od altro di simil genere : e mai una lettera
che
accenni all’arte loro, mai la notizia di un succe
recitare del tale attore o della tale attrice ; nulla in somma di ciò
che
avrebbe potuto gettare e con tanto interesse un p
o della nostra scena d’una volta. Come parte integrante dell’articolo
che
concerne l’Antonazzoni, metto qui sotto gli occhi
hi del lettore alcuni brani di una pastorale di lei tuttavia inedita,
che
verremo al proposito della recitazione esaminando
e artistico. Della favola sono interlocutori : Astrea Cupido
che
fanno il prologo. Il Fato Eolo Sacerdote
ce Teseo, o non più mio se tu da me ten fuggi, e vuoi ch’io pera. Ah,
che
troppo credei, troppo t’amai. Discortese Teseo, T
a senso, cor di duro macigno, anzi d’un aspro scoglio, cor più freddo
che
ghiaccio, crudel vie più che tigre, più che l’ors
anzi d’un aspro scoglio, cor più freddo che ghiaccio, crudel vie più
che
tigre, più che l’orsa rabbioso, sordo vie più che
o scoglio, cor più freddo che ghiaccio, crudel vie più che tigre, più
che
l’orsa rabbioso, sordo vie più che l’aspe, cieco
cio, crudel vie più che tigre, più che l’orsa rabbioso, sordo vie più
che
l’aspe, cieco vie più che talpa, più del lupo rap
gre, più che l’orsa rabbioso, sordo vie più che l’aspe, cieco vie più
che
talpa, più del lupo rapace, basilisco mortale, vi
e pien d’ira e tosco, più fugace del cervo, più veloce del vento, più
che
l’onda volubile, incostante, ingrato, crudo, e si
questo passo per 19 pagine ; e chiude l’atto terzo coi versi seguenti
che
sono l’espressione più chiara di questa strana pa
Dai Costumi di varie Nazioni di Pietro Bertelli. ecco il biasmo
che
scopre le bruttezze dell’alma ; la confusione è m
A la guerra, a la guerra !… A l’armi, a l’armi !! Pazza cosa non c’è
che
dire ; la qual, nondimeno, per quel che concerne
l’armi !! Pazza cosa non c’è che dire ; la qual, nondimeno, per quel
che
concerne la recitazione, fa pur sempre pensare al
ima cosa, portato naturale del tempo, bruttino anzichè no, sappiamo :
che
quelle commedie si reggessero e piacessero per la
i minor conto, buffoni, cantambanchi, zanni, ciarlatani (pag. 177). E
che
roba !… Non morta compiutamente a’giorni nostri,
me entrano questi dentro a una città, subito col tamburo si fa sapere
che
i Signori Comici tali sono arrivati, andando la S
me il mal’anno ; intermedij da mille forche ; un Magnifico (pag. 180)
che
non vale un bezzo ; un zanni, che pare un’oca ; u
le forche ; un Magnifico (pag. 180) che non vale un bezzo ; un zanni,
che
pare un’oca ; un Gratiano, che caca le parole, un
180) che non vale un bezzo ; un zanni, che pare un’oca ; un Gratiano,
che
caca le parole, una ruffiana insulsa e sciocchere
caca le parole, una ruffiana insulsa e scioccherella ; un innamorato
che
stroppia le braccia a tutti quando favella ; uno
morato che stroppia le braccia a tutti quando favella ; uno spagnolo,
che
non sa proferire se non mi vida, e mi corazon ; u
gnolo, che non sa proferire se non mi vida, e mi corazon ; un Pedante
che
scarta nelle parole toscane a ogni tratto ; un Bu
a nelle parole toscane a ogni tratto ; un Burattino (pagg. 181, 183),
che
non sa far altro gesto, che quello del berettino,
i tratto ; un Burattino (pagg. 181, 183), che non sa far altro gesto,
che
quello del berettino, che si mette in capo ; una
agg. 181, 183), che non sa far altro gesto, che quello del berettino,
che
si mette in capo ; una Signora sopra tutto orca n
micizia con le grazie, e tiene con la bellezza diferenza capitale. Si
che
il popolo tutto parte scandalizzato, e mal soddis
tutta la terra, con beffe d’ognuno divulgate e sparse. Di modo tale,
che
per l’abuso di costoro, anco i galantuomini vengo
, anco i galantuomini vengono disprezzati, e patiscono degli affronti
che
non sono convenienti a’meriti loro. Con tutto ci
rianna mi mette un gran dubbio nel cervello. Questo incalzarsi di più
che
sessanta frasi, compiute in un sol settenario, sa
oni sono frequenti e rapide ! Ogni frase ha un’idea diversa da quella
che
precede e che segue ! Come avrà recitato l’Antona
enti e rapide ! Ogni frase ha un’idea diversa da quella che precede e
che
segue ! Come avrà recitato l’Antonazzoni ? E se s
rte raccoglitore di cose teatrali, il quale con abnegazione più unica
che
rara volle mandarmela in esame, concedendomi di p
’Austoni, Marina Antonazzoni e Maria Malloni. Il volume non comprende
che
una prima parte di dialoghi, di cui ecco i titoli
aurore, di tramonti, con tutti gli dei e semidei dell’olimpo. Ma quel
che
dà importanza e valore a questi dialoghi è l’idea
arguzie, le nuove spiritosaggini, il patrimonio insomma dell’artista
che
dovea recitar la commedia all’improvviso ; poichè
ngo andare, avevan poi nelle repliche la parola stereotipata per modo
che
si poteva col solo soccorso della memoria, trascr
? (V. Beolco e Ruzzante). Trascelgo il dialogo della Donna servitore
che
è tra Fulvio e Celia in abito d’uomo. Fulvio. D
na servitore che è tra Fulvio e Celia in abito d’uomo. Fulvio. Dico
che
vi somigliate di maniera a questa Celia, che faci
o d’uomo. Fulvio. Dico che vi somigliate di maniera a questa Celia,
che
facil cosa sarebbe che se voi foste adornato da d
o che vi somigliate di maniera a questa Celia, che facil cosa sarebbe
che
se voi foste adornato da donna, si come sete vest
be che se voi foste adornato da donna, si come sete vestito da huomo,
che
fosti preso per quella. Celia. Queste sono delle
omo, che fosti preso per quella. Celia. Queste sono delle maraviglie
che
suole produrre la natura che ancor che paja dilig
la. Celia. Queste sono delle maraviglie che suole produrre la natura
che
ancor che paja diligentissima si dimostri nel dis
. Queste sono delle maraviglie che suole produrre la natura che ancor
che
paja diligentissima si dimostri nel distinguere l
le voci, et nella forma dei volti ; contuttociò molti si sono trovati
che
simigliantissimi tra di loro essendo, benchè nati
sendo, benchè nati in paesi diversi e lontani, hanno ingannati quelli
che
più famigliarmente con loro praticavano ; e la pr
liarmente con loro praticavano ; e la prova si vede nella mia persona
che
tanto dite assomigliarsi a questa Celia. Fulvio.
condotto in questo luogo, perchè io adempisca il decreto del Destino
che
mi fece nascere per servirvi. Mi comandi e mi ami
onfidando la mia salute nella vostra diligenza. Ho amato quella Celia
che
dissi, ma l’alterezza di questa balordella (bench
ore mi prometta e mi preghi) mi ha di maniera contro di lei alterato,
che
ad ogni mio potere mi sono disposto, aborrendo le
e mi sono disposto, aborrendo le sue nozze, di conseguire una giovine
che
alberga in quella casa il cui nome è Lauinia, fig
il sole, con tutto ciò, non per contradire, ma per non simulare, dirò
che
la vostra incostanza conosciuta per difetto dalla
conosciuta per difetto dalla Sig.ª Lauinia, si opponerà all’acquisto
che
bramate ; onde infine il tempo perduto seruirà di
; onde infine il tempo perduto seruirà di penitenza delle contentezze
che
Celia ui offerisce nel suo matrimonio : questa ri
e dal Cielo, e chi offende il Cielo, all’inferno è dannato ; guardate
che
il disprezzo di questa meschina non vi condanni a
vi condanni all’inferno della disgratia di quest’altra. Io ho inteso
che
i nomi hanno in loro un non so che di fortunato e
ratia di quest’altra. Io ho inteso che i nomi hanno in loro un non so
che
di fortunato e d’infelice ; per me questo di Laui
riginò incendio al Latio, la morte a Turno, e trauagli a Enea : oltre
che
se voi pigliate la seconda sillaba di questo nome
a Enea : oltre che se voi pigliate la seconda sillaba di questo nome
che
è Vi, e la fate prima, componete un nome che dice
a sillaba di questo nome che è Vi, e la fate prima, componete un nome
che
dice Vilania. Le vilanie dishonorano gli huomini,
e Vilania. Le vilanie dishonorano gli huomini, dove si può concludere
che
dall’acquisto di questa Donna, solamente dishonor
cio. Celia. Se V. S. mi conoscesse bene, farebbe altro giudicio : ma
che
risponde V. S. in questa materia ? Fulvio. Dico,
o giudicio : ma che risponde V. S. in questa materia ? Fulvio. Dico,
che
quando anco la scienza della nomandia nel nome di
della nomandia nel nome di Lauinia mi facesse prevedere la mia morte,
che
in ogni modo a confusione di Celia l’amerei, et s
di Celia per inversione di lettere dice Alice. Alice è quel pescetto
che
, salato, serve per aguzza appetito e non per viva
l pescetto che, salato, serve per aguzza appetito e non per vivanda ;
che
forse ha voluto significare che Celia, perch’io p
r aguzza appetito e non per vivanda ; che forse ha voluto significare
che
Celia, perch’io possa satiarmi di Lauinia, per ag
ostanza sua, per vostro gusto, credo, si conserverà vostra sino tanto
che
si conserverà il mondo. Fulvio. Vi scuso, o Luci
nserverà il mondo. Fulvio. Vi scuso, o Lucio, poichè hauendoui detto
che
tanto assomigliate a Celia ; è ben di dovere che
ichè hauendoui detto che tanto assomigliate a Celia ; è ben di dovere
che
difendiate la causa di chi tiene la vostra sembia
elia. E la volontà. Fulvio. Come ? Celia. E la volontà, poichè dite
che
lei vi desidera, et io solo bramo di compiacervi.
i vi desidera, et io solo bramo di compiacervi. Fulvio. Torno a dire
che
ragionevolmente fate della sua persona buon giudi
uon giudicio : mouendoui a ciò, potrebbe essere la forza delle stelle
che
forsi nel uostro natale, nello stesso modo all’un
il mio corpo per sostenere lo sforzo di tanta sventura ? Non si trova
che
il solo silenzio, che lo possa esprimere, poichè
nere lo sforzo di tanta sventura ? Non si trova che il solo silenzio,
che
lo possa esprimere, poichè per essere incomprensi
tuttociò le crudeltà di Fulvio sono per me di tanta dolcezza animate,
che
minacciandomi rovina, pare che mi promettino salu
sono per me di tanta dolcezza animate, che minacciandomi rovina, pare
che
mi promettino salute. Onde conviene che ringrati
he minacciandomi rovina, pare che mi promettino salute. Onde conviene
che
ringrati Amore che mi porge occasione di sopporta
vina, pare che mi promettino salute. Onde conviene che ringrati Amore
che
mi porge occasione di sopportare lo impossibile p
arliamo della vita del nostro artista. Dalle Fatiche comiche sappiamo
che
fu figlio di un artista della Compagnia de’Gelosi
che sappiamo che fu figlio di un artista della Compagnia de’Gelosi, e
che
nacque…. ma lasciamo che cel dica egli stesso. L
o di un artista della Compagnia de’Gelosi, e che nacque…. ma lasciamo
che
cel dica egli stesso. L’anno del mille cinquecen
e cel dica egli stesso. L’anno del mille cinquecento novantaquattro,
che
fu il quatordicesimo dell’età mia, dopo lo avere
o lo avere passato per tutte le angustie e patito tutte le necessità,
che
la carestia universale (gravissimo flagello di Di
gello di Dio) così vivamente gli anni inanti fece sentire, intendendo
che
mio Padre si ritrovava in Firenze, essendo di rit
Se volessi raccontare le sventure nelle quali incorsi, ed i pericoli
che
passai in quei tre giorni e mezzo che mettessimo
le quali incorsi, ed i pericoli che passai in quei tre giorni e mezzo
che
mettessimo da Bologna a Firenze, forsi parrebbe f
re entrare la sera perchè avevo troppo del giudoncello ; dove bisognò
che
due crazie che avevo servissero per albergare ed
era perchè avevo troppo del giudoncello ; dove bisognò che due crazie
che
avevo servissero per albergare ed iscaldarmi ; ch
gnò che due crazie che avevo servissero per albergare ed iscaldarmi ;
che
del magnare, se non era l’ostessa che mi donò un
o per albergare ed iscaldarmi ; che del magnare, se non era l’ostessa
che
mi donò un poco di pane, digiunavo la vigilia di
lo albergo dove mio padre alloggiava, trovatolo in fine, il desiderio
che
avevo d’abbracciare il padre, mi fece abbracciar
desiderio che avevo d’abbracciare il padre, mi fece abbracciar l’oste
che
anch’egli come mio Padre era convalescente ; e di
ole ogni voce) la pregò di tacere. Ottenutolo, ed inteso da me quello
che
dimandavo, con la scorta d’una serva mi mandò sop
e, col quale non occorsero molte parole, per dirgli ch’io fossi ; poi
che
in vedendomi, benchè non mi raffigurasse per figl
dreini marito della famosissima Isabella mi fece imparare un Prologo,
che
da me recitato fu il pronostico che sempre dovevo
ella mi fece imparare un Prologo, che da me recitato fu il pronostico
che
sempre dovevo perseverare in questo esercizio, po
do tra’ Commedianti, conobbi l’arte non essere così facile come molti
che
, non la praticando se non con gli occhi, la credo
e molti che, non la praticando se non con gli occhi, la credono ; poi
che
vi sono persone di così poca pratica, che giudica
gli occhi, la credono ; poi che vi sono persone di così poca pratica,
che
giudicano esse mestiero d’ogni ignorantello il fa
a i teatri, parlare in pubblico, e ad una infinità di popolo dare più
che
mediocre satisfazione. È vero che anche ogni cest
ad una infinità di popolo dare più che mediocre satisfazione. È vero
che
anche ogni cestaruolo può toccar denari per solda
he ogni cestaruolo può toccar denari per soldato, ma non seguirà però
che
l’uno sia Commediante, nè l’altro Capitano. Lo st
edia, ma nelle Accademie, poichè pure vi sono Accademie illustrissime
che
per testimonio che i comedianti, che fanno l’arte
demie, poichè pure vi sono Accademie illustrissime che per testimonio
che
i comedianti, che fanno l’arte loro come si convi
vi sono Accademie illustrissime che per testimonio che i comedianti,
che
fanno l’arte loro come si conviene, non sono inde
o accresciuto il numero degli accademici accettando e uomini e donne,
che
ordinariamente comparivano in iscena…. ecc. ecc.
bella, entrò nella formazione de’ Confidenti. Quanto all’indole, pare
che
egli non fosse uno stinco di santo, se ci diamo a
nuar la protezione a’comici con patto di fraterna concordia, il Bruni
che
a detta dell’Antonazzoni aveva più volte affermat
to voler fare d’ogni erba fascio, ove dovesse restare in compagnia, e
che
sembra fosse stato davvero la pietra dello scanda
ncedere l’obbligo a cui volontariamente mi sottoposi, et la riverenza
che
ragionevolmente devo all’E. V. di obligarmi ad al
rmi ad altrui persuasione o mio capriccio compagnia, mi ha trattenuto
che
in niuna rivolta fattasi tra di noi, habbi nè ade
una rivolta fattasi tra di noi, habbi nè aderito nè promesso, et hora
che
la volontà di V. E. mi viene notificata per la le
ta per la lettera scritta alla Compagnia, torno di nuovo a promettere
che
Sig.r Flavio per parte sua m’imporrà, che mi gove
torno di nuovo a promettere che Sig.r Flavio per parte sua m’imporrà,
che
mi governerò, non potendo interesse di odio o di
interesse di odio o di benevolenza farmi bramare nè ricusare più uno
che
altro compagno, nè ambire a preminenze o negare o
nche loro facendo riverenza, et ringraziando la E. V. della grazia in
che
li mantiene ; di nuovo si obbligano di non volere
de in modo irrefutabile ch’egli sia l’autore delle Difese delle Donne
che
a lui attribuiscono. L’opera di Messer Domenico B
h’io posseggo stampata in Milano da Giovanni Antonio degli Antonij, e
che
non è nè men la prima edizione, ha la data del 15
nacque nel 1580, cioè ventun’anni dopo. E la supposizione di alcuni,
che
il Bruni, pistoiese, fosse lasciato colla madre a
he il Bruni, pistoiese, fosse lasciato colla madre a Bologna, intanto
che
il padre scorrea colla compagnia il mezzogiorno d
il mezzogiorno d’Italia (e non saprei poi perchè più tosto a Bologna
che
nella città natale), cade dinanzi all’oroscopo ch
iù tosto a Bologna che nella città natale), cade dinanzi all’oroscopo
che
traggo, come gli altri, dalla Biblioteca Nazional
phe] Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor
che
muore Metastasio nel Temistocle. Storia de’ t
cingo a deporre la penna ed a prender commiato da’benevoli letterati,
che
hanno meco veduto il quarto anno del secondo dece
e nel suo recinto di simili merci oltramontane, fossero pur di quelle
che
la sana critica ed un gusto fine riprovano come i
ey e Volsan, la Pastorella delle Alpi ecc. Si è puerilmente affermato
che
la decadenza del credito di tali favole sia deriv
adenza del credito di tali favole sia derivata dall’essersi divulgato
che
i loro argomenti provvenivano dalle novelle franc
e francesi. Ciò bene avrebbe potuto involare all’autore quella gloria
che
deriva dall’invenzione ; ma potrebbe togliere a q
arcino, da Platina ecc., ed occupavano i primi onori del coturno. Ciò
che
suol nuocerè a’moderni scrittori di drammi lugubr
a Vanità dell’umana fermezza. Osservai nel Don Alonso molti requisiti
che
possono giustificare una tragedia cittadina : int
dell’ invenzione el’oggetto morale di distruggersi un reo pregiudizio
che
sovente si occulta sotto l’aspetto del dovere ; u
critto in prosa, ma l’autore vi adopra uno stile immaginoso e poetico
che
spesso riesce soverchio studiato. Inverisimili no
che spesso riesce soverchio studiato. Inverisimili non pertanto, anzi
che
no, pajonmi le angustie della terza, quarta e qui
angustie della terza, quarta e quinta scena dell’atto III. Un figlio
che
per una capricciosa debolezza di non abbandonare
dell’amata sacrifica la vita di un padre e la propria ; questo padre
che
per non dissimile capriccio di non partirsi dal l
suo amico da lui ucciso, espone a certa morte se stesso ed un figlio
che
ama ; questi personaggi, dico, che per soprappiù
certa morte se stesso ed un figlio che ama ; questi personaggi, dico,
che
per soprappiù espongono a mortal pericolo, non ch
personaggi, dico, che per soprappiù espongono a mortal pericolo, non
che
il virtuoso Sancio, la stessa benefattrice ed ama
ciano nell’anima certa idea d’inverisimiglianza, ed un rincrescimento
che
si oppone all’effetto della compassione che si vo
nza, ed un rincrescimento che si oppone all’effetto della compassione
che
si vorrebbe eccitare. Ma nel Gernand raffigurai u
Gernand raffigurai una commedia lagrimante piena di colpi scenici più
che
di situazioni, atroce per disegni scellerati che
di colpi scenici più che di situazioni, atroce per disegni scellerati
che
disonorono l’umanità, frammischiata di bassezze c
mischiata di bassezze comiche de’servi Merville e Ricauld, Aggiungasi
che
il dimostrare la forza del destino che trascina a
Merville e Ricauld, Aggiungasi che il dimostrare la forza del destino
che
trascina ad atrocità, non è l’oggetto più istrutt
lvagi, coll’ammettere, come egli fa, le favole cittadine e lagrimanti
che
ne sono piene a ricolmo, o per meglio dire che no
cittadine e lagrimanti che ne sono piene a ricolmo, o per meglio dire
che
non possono esserne prive ? Dirà, che intende esc
ne a ricolmo, o per meglio dire che non possono esserne prive ? Dirà,
che
intende escluderle dalle tragedie, non da’simili
Ed io dimanderò di nuovo, se più pericolosi gli stimi nelle tragedie
che
per la loro grandezza riverberano meno sulle pers
opolo di fortuna e di pensare più prossimi ? Tornando al Gernand dico
che
mi sembra più condannabile del Don Alonso, per la
le. É ciò in natura, si risponderà col Voltaire ; ma noi sostenghiamo
che
l’arte sceglier dee fra gli eventi naturali quell
i sostenghiamo che l’arte sceglier dee fra gli eventi naturali quelli
che
non distruggono il disegno dell’artista con un al
isegno dell’artista con un altro opposto. Nulla dico del dramma Nancy
che
non ho mai potuto vedere ; e solo da’ fogli perio
ancy che non ho mai potuto vedere ; e solo da’ fogli periodici ricavo
che
esser dee una vera tragedia cittadina che forse n
da’ fogli periodici ricavo che esser dee una vera tragedia cittadina
che
forse non degenera in commedia lagrimante. Evvi u
per le stampe nel 1796. Noi ne parliamo in questo capitolo dove pare
che
possa entrare per più ragioni. Ma l’autore gli di
ervarvisi da chi volesse seguirlo nel Ladislao. Affinchè il leggitore
che
non Pha mai avuto sotto gli occhi, possa giudicar
gli occhi, possa giudicarne, ne ripeterò qui succiutamente l’analisi
che
ne produssi nel 1798. L’azione di lieto fine pass
ac nello spazio di più di due mesi. V’intervengono due re, una regina
che
tratta l’armi, una principessa innamorata di un v
tratta l’armi, una principessa innamorata di un vassallo, un militare
che
ama la figlia del suo re, una pestorella che amor
un vassallo, un militare che ama la figlia del suo re, una pestorella
che
amoreggia e scherza e motteggia, un veterano bevi
ile da’medesimi personaggi. Varii colpi teatrali ed alcune situazioni
che
interessano, hanno contribuito a cattare applauso
o dramma in uno de’teatri di Venezia. Vi è qualche scena nell’atto I,
che
può lodarsene. Non così di ciò che si tratta nell
a. Vi è qualche scena nell’atto I, che può lodarsene. Non così di ciò
che
si tratta nell’atto II. Passi che Rodolfo tornato
che può lodarsene. Non così di ciò che si tratta nell’atto II. Passi
che
Rodolfo tornato dal Crapac in Buda, in trenta gio
a reggia l’opportunità di abboccarsi colla regina Adelarda, per dirle
che
Ladislao suo marito vive. Sorgono però varii dubb
he Ladislao suo marito vive. Sorgono però varii dubbii per gli eventi
che
in esso accaggiono. Sofia nella scena settima sen
te ardua e pericolosa per la necessità di salvarne due ? Perchè Sofia
che
non osservata è venuta ed hà in quel punto parlat
esce dalla reggia e lascia a Rodolfo la sola cura di salvar la madre
che
è piena di coraggio virile ? Perchè esporre una t
a venuta, dalla porta ? Ecco perchè ; l’autore salvata Adelarda, vuol
che
Sofia rimanga in potere di Otogare nel pericolo s
a rimanga in potere di Otogare nel pericolo stesso della madre. Parmi
che
il Pepoli per bizzarria si prefisse di congegnare
armi che il Pepoli per bizzarria si prefisse di congegnare una favola
che
da niun’ altra vinta fosse in istravaganze e spro
o titolo, e venderla come nuovo genere, ed alla perpetua irregolarità
che
vi semina, dà l’onore di regole per chi voglia es
in esso. Ma in sostanza questo nuovo genere detto fisedia altro non è
che
una delle favole più spropositate che uscite sien
enere detto fisedia altro non è che una delle favole più spropositate
che
uscite sieno dalla Spagna, dall’Alemagna e dall’
e che uscite sieno dalla Spagna, dall’Alemagna e dall’ Inghilterra, o
che
possano oggidì affastellare gl’inetti, drammi sem
ossano oggidì affastellare gl’inetti, drammi semiserii di ultima data
che
scorrono di stranezze in istranezze ora in versi
dislao occupa due mesi o poco più ; sia dunque la legge. Il fisedica,
che
non ecceda tale spazio di tempo. E che novità v’è
dunque la legge. Il fisedica, che non ecceda tale spazio di tempo. E
che
novità v’è in ciò, se un gran numero di commedie
uole vecchie almeno di due secoli ? Il Ladislao bandisce tutto quello
che
suol farsi avvenire per macchina, e di ciò si for
nversi ed in prosa ad un tempo ; sia dunque la VI legge delle fisedie
che
così si scrivano. Ma come può darsi per nuova una
fisedie che così si scrivano. Ma come può darsi per nuova una maniera
che
si trova praticata da due secoli continuati dal S
lo all’oscenità, e se ne stabilisce la legge X. Ed è forse nuova cosa
che
l’oscenità sia proscritta da’ teatri colti ? Il L
l’Endimione con ariette musicali, il cui piano ed alcuni versi dicesi
che
appartenessero alla regina Cristina di Svezia dim
i Svezia dimorante in Roma. Monsignore Ercolani compose la Sulamitide
che
è una vaga parafrasi della Cantica. Antonio Bravi
iambatista Roberti morto nel 1786. Capo II Commedie. TOsto
che
si studiò Moliere cadde in Italia la commedia rom
a spropositatamente ravviluppata venutaci d’oltramonti. Il Riccoboni (
che
avea tradotto anche Tito Manlio tragedia del La F
edia del La Fosse) mostrò tra’ primi in Parigi colle sue composizioni
che
la scena comica Italiana non si pasce di pure arl
1711 fe imprimere in Roma in tre atti il suo Don Pilone imitata anzi
che
tradotta dal Tartuffo di Moliere. A lui dobbiamo
e nelle dipinture felici de’caratteri, senza parlare della regolarità
che
si osserva in queste favole. Anche Pietro Trinche
ie nel dialetto napoletano, intitolate la Gnoccolara e Notà Pettolone
che
non iscarseggiano di grazia e di salsa dizione in
regolarità e di acconce dipinture de’ costumi volgari e de’ caratteri
che
imita. Il marchese Scipione Maffei con due commed
pimento del patrio idioma coll’uso delle formole francesi, caricatura
che
fornisce molti buffoni alle scene ; e l’importuni
pompe, i Poeti Comici, l’Ariosista ed il Tassista. In esse col gusto
che
richiede la commedia si dipingono e si motteggian
ese Girolamo Teodoli anche in prosa dipinge acconciamente i caratteri
che
motteggia, ma Pazione procede con non poca lentez
culto, è rilevato con grazia e maestria. L’imitazione de’ personaggi
che
parlano nel dialetto napoletano ha somma verità e
letano ha somma verità e piacevolezza ; là dove quella de’ personaggi
che
usano la lingua toscana, ha qualche stento sì per
trà seguirlo nell’imitare con indicibile verisimiglianza e col decoro
che
caratterizza la sua commedia ? Chi nell’esatta pr
a commedia ? Chi nell’esatta proprietà del magnifico apparato scenico
che
ne anima l’azione ? Un’adunanza grande di cavalie
tivo, come nel Solitario : una scena detta del padiglione nell’Errico
che
metteva sotto gli occhi una corte reale in attenz
iascun groppo senza veruna confusione, sin anco l’indistinto mormorio
che
nulla ha di volgare prodotto da un’adunanza polit
o congegnata per indicarvi a un tempo diverse azioni e più colloquii,
che
presentava l’immagine parlante di una parte della
dicolo miracolo poetico veggonsi sempre solo que’due o tre personaggi
che
piace allo scrittore d’introdurvi. I Greci non ca
le inverisimiglianza col presidio del coro fisso ; ma Domenico Barone
che
n’era privo, seppe introdurre i suoi personaggi a
ella scena. Il sagace Carlo Goldoni stimò di aver compreso dalla fama
che
ne correva, la maniera di sceneggiare del Barone,
tempo stesso ; ma non ne fu approvato, e ci avvertì, nell’imprimerlo
che
niuno gli aveva detto bravo per questo. Narrandoc
Goldoni tutto nella posizione esteriore mal motivata, e non si avvide
che
mancava alla propria imitazione l’essenza, l’anim
non si avvide che mancava alla propria imitazione l’essenza, l’anima
che
dovea renderla interessante. Quest’anima che tutt
zione l’essenza, l’anima che dovea renderla interessante. Quest’anima
che
tutto opera in simili posizioni, consiste in rend
in renderle verisimili e necessarie, e tutto ciò mancò all’imitazione
che
volle farne nel suo Filosofo. E che parte poteva
e tutto ciò mancò all’imitazione che volle farne nel suo Filosofo. E
che
parte poteva prendere lo spettatore all’insipido
re lo spettatore all’insipido giuoco di Lorino con Madama ? Alla cena
che
fa il di lei marito sul balcone ? Che verità si r
tto del Filosofo ? Quando codesta scempiata posizione di figure non è
che
semplice disposizione arbitraria, diviene una vio
è che semplice disposizione arbitraria, diviene una violenza inutile
che
si fa alla verità per addormentar lo spettatore i
nedita, la Marchesa Castracani eccellente pittura della vanità plebea
che
aspira a sollevarsi dal fango e vi ricade con acc
mano ; ma si è recitata molte volte con applauso grande per la grazia
che
vi regna e pe’contrasti de’ben dipinti caratteri.
he vi regna e pe’contrasti de’ben dipinti caratteri. L’altra commedia
che
neppure si curò l’autore di fare imprimere, è il
rappresentare in case particolari nella mia fanciullezza ; ma non so
che
siensi pubblicate per le stampe. Gioacchino Lando
compose Don Tiberio burlato, il Cassettino e la Contessa Sperciasepe
che
non mancano di buoni colori comici. Giuseppe Sigi
ice Fischetti ovvero i Figliastri impressa verso il 1770, il Fantasma
che
è una imitazione del Tamburro Notturno uscita nel
per procura stampata nel 1777. In queste regna un ridicolo di parole
che
spesso procede da idee di schifezze o di oscenità
tore della Storia Civile e Politica del Regno di Napoli Carlo Pecchia
che
coltivò pure l’amena letteratura felicemente, com
cui si rileva con mano maestra il mal costume e le massime perniciose
che
nascono dall’educazione ; ma le tinte tragiche me
genere. Francesco Grisellini veneziano nel 1754 pubblicò in Roveredo
che
nominò Libertapoli una commedia su i Francs-Maçon
icò in Venezia, e si reimpresse in Napoli nel 1740 una favola curiosa
che
mescola a molti tratti di farsa la piacevolezza c
ncipe de’letterati, e si millanta unico scrittore d’iscrizioni latine
che
trascrive all’impazzata, e pompeggia resupino d’u
egnare dove potrei trovare dodici bottiglie di vin vecchio di Cipro ?
che
ho finito il mio ! » « Torc. (Ho inteso) Vi sarà
glio venturo si darà notizia delle sue opere stampate e da stamparsi,
che
faranno grande onore alla letteratura Italiana .
. Torchio gli dice : Questo è troppo ; è un ignorante ; cosa volete
che
stampi ? Non importa , replica Falloppa, queste s
el 1754 pubblicare in Faenza in versi sdruccioli i Filosofi fanciulli
che
chiamò commedia filosofica. Vi adopera tutto il s
ece italiane tre, intitolandole il Testone, i Due Schiavi e i Gemelli
che
uscirono nella Biblioteca Teatrale in Lucca. Aure
Questa più d’altra leggiadra e più pudica, ad imitazione di quello
che
usarono gli Spagnuoli del XV secolo, che Antonio
ca, ad imitazione di quello che usarono gli Spagnuoli del XV secolo,
che
Antonio Minturno nel XVI propose agl’Italiani, al
agl’Italiani, allorchè i letterati a gara givano in cerca di un verso
che
equivalesse all’antico giambico. Una bella versio
ente da lui rimessa nel 1796(a). E notabile per una fedeltà signorile
che
talmente manifesta le grazie latine nelle maniere
norile che talmente manifesta le grazie latine nelle maniere italiane
che
pajono originali. Per darne un saggio trascrivere
il disegno de’vecchi Apecide e Perifane per la spina della sonatrice
che
punge il cuore di quest’ultimo ; e sul punto fabb
olorisce bellamente per ismungerne la borsa. S’introduce con avvisare
che
quelli che andarono alla guerra di Tebe, ritornan
llamente per ismungerne la borsa. S’introduce con avvisare che quelli
che
andarono alla guerra di Tebe, ritornano alle loro
(gli dice Apecide) aver tutte queste notizie ? Io (risponde Epidico)
che
ho vedute tutte le strade piene di soldati. Prose
azze ! Chi ne aveva due, chi tre, alcuni sino a cinque. Che concorso,
che
folla di gente ! I padri vanno ad incontrare i lo
so, che folla di gente ! I padri vanno ad incontrare i loro figliuoli
che
vengono dall’esercito. » « Per. L’impresa non pot
meglio. » « Epid. Non vi dico niente delle cortigiane : tutte quelle
che
sono in Atene, vedevansi uscite dalle loro case a
dar incontro a’loro amanti, nulla obbliando per accalappiarli ; e ciò
che
mi diede più nell’occhio si fu, che quasi fosser
bliando per accalappiarli ; e ciò che mi diede più nell’occhio si fu,
che
quasi fosser tante pescatrici, avean tutte delle
to le loro vesti. Arrivando al porto vedo tosto quella cara sonatrice
che
stavasene aspettando, e che avea seco altre quatt
al porto vedo tosto quella cara sonatrice che stavasene aspettando, e
che
avea seco altre quattro virtuose sue pari. » « Pe
re quattro virtuose sue pari. » « Per. Chi è costei ? » « Epi. Quella
che
da tanto tempo è amata da vostro figliuolo, per l
l molo. » « Per. Ah strega maledetta ! » « Epid. Se l’aveste veduta !
che
vestito ! che pompa ! come magnifica, galante, ed
r. Ah strega maledetta ! » « Epid. Se l’aveste veduta ! che vestito !
che
pompa ! come magnifica, galante, ed aggiustata al
« Epid. Sì, sì, ma il cortile addosso ? » « Per. Forse ti meravigli
che
agli abiti che esse portano, diano il nome di cor
, ma il cortile addosso ? » « Per. Forse ti meravigli che agli abiti
che
esse portano, diano il nome di cortile, quasiche
o, diano il nome di cortile, quasiche non ne veggiamo tutto il giorno
che
hanno addosso il prezzo di un podere intero ? Il
giorno che hanno addosso il prezzo di un podere intero ? Il male si è
che
i nostri zerbinotti che profondono a braccia quad
il prezzo di un podere intero ? Il male si è che i nostri zerbinotti
che
profondono a braccia quadre per le loro signorine
le loro signorine, quando si tratta poi di pagar le gravezze, dicono
che
non sono in istato di metter fuori un quattrino.
to in tal città il celebre avvocato Carlo Goldoni l’anno 1707, sembra
che
ben per tempo egli fosse tratto alla poesia, teat
tà di anni diciassette avuta nelle mani la Mandragola del Machiavelli
che
lesse dieci volte, non tardò molto a desiderare l
ccellente Arlecchino Antonio Sacchi, lasciarono intravvedere il genio
che
givasi per gradi disviluppando. Il Figlio d’Arlec
grazie di Arlecchino, i Cento e quattro Avvenimenti, altro non furono
che
farse piacevoli destinate a far valere l’Arlecchi
Persiana, e negli anni seguenti Ircana in Julfa, ed Ircana in Ispaan,
che
ne seguitano la storia romanzesca, tutte e tre in
circa cencinquanta commedie, cui tanto debbono le scene veneziane, e
che
tanto fe onore all’Italia, era già vicino a conse
eziane, e che tanto fe onore all’Italia, era già vicino a conseguire,
che
i commedianti deponessero per sempre le maschere.
’partigiani del mal gusto, e dagl’invidiosi calunniatori di mestiere,
che
annojato dell’ingiusta persecuzione cedè al tempo
re, e col Burbero benefico (le Bouru bienfaisant) scritto in francese
che
gli produsse oro ed onore, col Curioso accidente,
media colle sue rappresentazioni lugubri. Egli ebbe colà una pensione
che
gli fu tolta nella grande rivoluzione della Franc
ggiava meglio del Coldoni, ma non coloriva col pernello della natura,
che
l’altro maneggiava con franchezza. Egli scrisse i
Egli scrisse in versi martelliani la maggior parte delle sue commedie
che
s’impressero, se non m’inganno, in dieci tomi. Un
’impressero, se non m’inganno, in dieci tomi. Un gondoliere Veneziano
che
cambiò il remo per la penna, e la gondola pel tav
piativa ne’caffe di Venezia, comparve per terzo il conte Carlo Gozzi
che
finì di ristabilire tutte le passate stravaganze
e a combattere i due competitori ; e si contentò di provar col fatto,
che
il concorso del popolo non era argomento sicuro d
ttivissima su gli animi della moltitudine. Riusci dunque nell’intento
che
si prefisse, e si attenne poi da buon senno al si
rsero a formare i nominati mostri teatrali lusinghevoli a sufficienza
che
sedussero il popolo Veneziano, sostennero in que’
iano, sostennero in que’teatri il mal gusto, e distrussero l’edificio
che
aveva elevato il Goldoni. Il Gozzi ebbe un imitat
vato il Goldoni. Il Gozzi ebbe un imitatore in Giuseppe Foppa. Sembra
che
a toglier forza al falso argomento del Gozzi patr
dia. Il marchese Francesco Albergati Capacelli, oltre alle traduzioni
che
fece delle tragedie francesi, calcando il dritto
videro più volte sempre acclamate, e tanto frutto essi ne raccolsero
che
dovevano guarirli degl’invecchiati abusi che fra
rutto essi ne raccolsero che dovevano guarirli degl’invecchiati abusi
che
fra essi regnavano. I teatri degli amatori dell’
oprio in tre atti, i cui caratteri mi sembrano più studiati di quelli
che
la natura presenta, la Scommessa ossia la Giardin
spirito in tre atti, la quale supplisce colla scaltrezza all’effetto
che
producono Pamela e Nanina coll’amore, e con poco
ue atti con ipotesi alquanto sforzate e con disviluppo poco naturale,
che
è non pertanto una piacevole dipintura di que’van
ale, che è non pertanto una piacevole dipintura di que’vaneggiamenti,
che
se non conducono sempre gli uomini ai mattarelli,
li uomini ai mattarelli, ve gli appressano almeno. Trovasi nel tomo V
che
non vidi altre due commedie, il Bel Circolo ossia
ssia l’Amico di sua Moglie, ed il Progettista, nelle quali non dubito
che
vi si abbia ad ammirare la vivacita e l’arte all’
rilevare il ridicolo de’caratteri. Il programma della corte di Parma
che
produsse cinque tragedie coronate, e ridestò in a
i Italiani l’amore per la tragedia, non ha fornito al teatro italiano
che
sole tre commedie. È ciò forse avvenuto perchè no
ivi dal vastissimo campo della natura come far debbe il comico poeta,
che
in calcare le orme del picciol numero di scrittor
comico poeta, che in calcare le orme del picciol numero di scrittori
che
il tragico prende a modelli ? O perchè i grandi a
caratteri le maniere cangiano si spesso foggia e colore, onde avviene
che
gli scrittori comici passati possono di poco socc
lla prima corona del 1774 : la Marcia dell’ abate Francesco Marrucchi
che
nel 1775 ottenne la seconda corona : e la Faustin
i in versi intitolata la Critica della Faustina di un genere diverso,
che
pensava di produrre tra’suoi Opuscoli Varii, ma p
come potevasi satireggiare comicamente l’abuso de’ nobili e de’ricchi
che
gli contraffanno in tutto, i quali costringono le
ele i nomi di Carlos ed Isabel. originale Rachele Oh momento fatal
che
mi rischiara. Ma che il rigor del mio destin non
ed Isabel. originale Rachele Oh momento fatal che mi rischiara. Ma
che
il rigor del mio destin non cangia ! E come oddio
endo ! oh tirannia, Come ben mascherasti il tuo sembiante, Eugenio Or
che
risolvi ? Rachele Nulla a me rimane, Eugenio, più
Eugenio Pretendi dunque il mio morir ? Rachele Non mai. Anzi quei dì
che
la mia pena interna, Che nel sen chiuderò torre m
pena interna, Che nel sen chiuderò torre mi debbe, Implorerò dal ciel
che
a lui gli accresca, Che fu parte di me… che di mi
debbe, Implorerò dal ciel che a lui gli accresca, Che fu parte di me…
che
di mia vita Esser signor dovea… (sento morirmi !)
r dovea… (sento morirmi !)… Vivi, e di me ti risovvieni. Equando Pur (
che
il dovrai) altra, non già più fida, Ma più felice
già più fida, Ma più felice, occuperà quel loco… Eugenio Ah tu vuoi
che
a tuoi piedi io versi l’alma ! Rachele Di : Rach
’ Eugenio sopravviva Alla perdita tua. Rachele Saprà Rachele, S’è ver
che
nel tuo petto ancor comanda… Ma par che a questa
achele Saprà Rachele, S’è ver che nel tuo petto ancor comanda… Ma par
che
a questa parte i passi volga La Contessa col padr
essero in sei volumi, e si reimpressero nel 1794 in Firenze. Non pare
che
il maggior trionfo dell’autore provenga dalla pia
uazioni lugubri e tragiche ; 2 il Ciabattino consolatore de’disperati
che
prende il titolo da un personaggio episodico, ed
io episodico, ed ha caratteri comici uniti ad eccessi di disperazione
che
oltrepassano i confini della commedia, presentand
ella commedia, presentando in Carlo Sundler un ritratto di quel padre
che
nella favola francese l’Umanità si trasporta ad a
piano. Le favole ripiene di apparenze sono : 1 il Tempo e la Ragione,
che
si chiama allegoria comica, e v’intervengono esse
ilonia, in cui veggonsi Genii, Ninfe la Disperazione, una Principessa
che
prende le spoglie della Gratitudine. Vi apparisce
risce la selva de’Magi, ed in uno specchio grande veggonsi gli eventi
che
stanno accadendo altrove a’ personaggi lontani. L
V, in cui avviene l’abboccamento della donna con un suo antico amante
che
in arrivare la trova maritata con un altro, il qu
zia prova gli amici, in cui si trova la dipintura di un buon ministro
che
esperimenta tutte le umiliazioni da’malvagi che l
a di un buon ministro che esperimenta tutte le umiliazioni da’malvagi
che
lo credono disgraziato ; 4 l’Udienza ove si dimos
che lo credono disgraziato ; 4 l’Udienza ove si dimostra il vantaggio
che
reca al Sovrano ed a’popoli la benignità de’ prin
l vantaggio che reca al Sovrano ed a’popoli la benignità de’ principi
che
ascoltano di presenza le suppliche de’ vassalli,
che de’ vassalli, esponendosi alla vista un ministro tiranno ed empio
che
trattiene il giovane principe in dissipazioni e p
uote, risolve di udire di faccia a faccia i vassalli, e coll’ udienza
che
stabilisce scopre gli sconcerti dello stato e la
abilisce scopre gli sconcerti dello stato e la malvagità del ministro
che
vien punito ; 5 il Tempo fa giustizia a tutti fav
antichi abbandoni e di riconoscimenti, in cui è dipinto un libertino
che
si colma di delitti per le donne, e che in procin
in cui è dipinto un libertino che si colma di delitti per le donne, e
che
in procinto di eseguire un ratto riconosce l’abba
provinciali pieni di nuovi nobili divenuti tali per danaro di plebei
che
erano, e schivi ed orgogliosi ricusano di ammette
chivi ed orgogliosi ricusano di ammettere ne’loro casini un uffiziale
che
non è meno che l’Imperadore ; 2 i Falsi Galantuom
iosi ricusano di ammettere ne’loro casini un uffiziale che non è meno
che
l’Imperadore ; 2 i Falsi Galantuomini, nella qual
he va incognito un sovrano, e scopre le bricconerie di molti birbanti
che
prendono il nome di galantuomini, e le ingiustizi
ini, e le ingiustizie e le oppressioni onde tiranneggia un presidente
che
riduce all’ultimo esterminio un innocente colla s
to alle maritate dipintura di un giovane ingannato da un don Geronimo
che
lo aliena da una buona moglie, l’avvolge in dissi
assegnata e modesta negli abiti e nelle maniere da un ricco uffiziale
che
la sposa, l’allontana da tutto ciò che prima a le
maniere da un ricco uffiziale che la sposa, l’allontana da tutto ciò
che
prima a lei piaceva, e mostrando con forza un app
(allorchè ella diceva di avere anni ventidue di età.) e di sostenere
che
ne contava ben ventisette ; i parenti si adoprano
apparente del padre e per l’abbandono e l’alienazione di tutti quelli
che
la bramavano quando era ricca ; 8 il Matrimonio i
era ricca ; 8 il Matrimonio in maschera è un capriccio di una signora
che
s’intalenta di sperimentare se un cavaliere che e
riccio di una signora che s’intalenta di sperimentare se un cavaliere
che
ella ama, saprebbe ravvisarla e distinguerla a vi
ll’ intendere le ripugnanze della sposa per lui a cagione del giovane
che
ella ama benchè privo di beni, risolve di fornirg
ontinuò più anni a provvedere le compagnie comiche lombarde di favole
che
quando con tinte comiche e quando con apparenze e
ragedie del Gerbino e del Corradino volle scrivere anche una commedia
che
intitolò Emilia, in versi, ed in cinque atti reci
que atti recitata da’commedianti del Teatro de’ Fiorentini in Napoli,
che
fu solennemente fischiata. S’impresse indi nel 17
la caduta mortale. L’impressione giustificò il giudizio del pubblico
che
la derise. Il conte Alessandro Savioli produsse i
nno del conte Tommasino Soardi veneziano in prosa ed in versi. Allora
che
le riferite commedie videro la luce, ed alcuni an
la luce, ed alcuni anni dapoi, non mi permisero di vederle le vicende
che
mi agitarono ; e così non posso oggi quì rammemor
oggi quì rammemorarne altro, e mi attengo alla riputazione letteraria
che
godono meritamente i loro rispettabili autori. Pe
sommamentè espressivo. L’eccellente atto primo è seguito dal secondo,
che
io trovo importantissimo per l’azione condotta co
e e conveniente al carattere del marchese Giulio, è il colpo di scena
che
mena una situazione interessante. Il padre traspo
notizia del maritaggio del figlio è in procinto di maledirlo, e Gilda
che
stà ascoltando esce impetuosa, e l’impedisce di p
rata ? le dice il marchese atterrito, e siete madre ? E Gilda : E voi
che
fate ? e siete padre ? Questa risposta inaspettat
fanatico è una comica sferza contro la ridicola presunzione di taluni
che
presumono di tutto antivedere come uomini di mond
le seconda felicemente i caratteri delle persone imitate. La farsetta
che
accompagna le due commedie, rappresenta la combin
azione di sei persone in una stanza introdotte a trattenersi al bujo,
che
produce tre pajo di nozze. Nulla ha di nuovo, ma
sì comicamente dal Fagiuoli. Il Giraud tanti equivoci combinò insième
che
ad un comico intelligente parvero troppi per tre
d un comico intelligente parvero troppi per tre soli atti, e l’autore
che
nel 1799 così divisa l’avea, la prolongò sino a c
ina nella propria casa, cui fa sperare di sposarla. V’ha certo comico
che
piace, un colorito che interessa ; ma qualche dur
cui fa sperare di sposarla. V’ha certo comico che piace, un colorito
che
interessa ; ma qualche durezza nel corso dell’azi
orso dell’azione la soggetta a critiche talvolta ragionevoli. Certo è
che
il pericolo e l’inganno tessuto all’ Ingenua vici
all’ Ingenua vicina ad esser vittima della seduzione, l’indignazione
che
produce l’abbandono della virtuosa Teresa e la pe
versità di Don Bastiano, danno a questa favola un’ aria men piacevole
che
seriosa. L’autore stesso parmi che la diffinisca
esta favola un’ aria men piacevole che seriosa. L’autore stesso parmi
che
la diffinisca sagacemente : io la credo difettosa
sufficiente artificio e cognizione di teatro. La commedia in un atto
che
chiude questo tomo, l’Innamorato al tormento, rap
questo tomo, l’Innamorato al tormento, rappresenta una vedova accorta
che
lusinga uno spagnuolo vanaglorioso per mettere a
enchè se n’è per varii riguardi non infelicemente allontanato. Sembra
che
l’azione si acceleri troppo per farsene vedere lo
perfettamente innocente è in procinto di esser fucilato. Le critiche
che
se ne fecero non bene si distruggono per le difes
ischio. Questo proverbio indica la sostanza della farsetta in un atto
che
conchiude il tomo III. Un evento famigliare istor
’amore del genitore fa chiudere nell’intimo del suo cuore la passione
che
la divora per Filiberto. Nè chiama meno l’attenzi
ma meno l’attenzione di chi legge o ascolta la prudenza di Alessandro
che
sa rimettere l’ordine in sua casa colla prudenza
a seconda recitata in Roma pur nel medesimo anno è una favola lugubre
che
l’istesso autore esitava, se dovesse nominarla co
farse ben congegnate luogo distinto. Rilevasi dalle riferite commedie
che
l’Italia in questi ultimi tempi possiede nel cont
te Giraud uno scrittore comico non volgare e da collocarsi tra’ primi
che
brillarono fra noi in tal carriera. Non può negar
nel dialogo in tirate istrioniche. Sorpassa il Federici anche allora
che
costui calza acconciamente il comico borzacchino,
ις ἁνδρός ἑτθ ΕΝΟ, Città non è, se l’ ha in balia sol Uno. Si figura
che
debba darsi il sovrano alla Persia, e che i Grand
n balia sol Uno. Si figura che debba darsi il sovrano alla Persia, e
che
i Grandi discordino nella scelta del Governo, vol
a oligarchia, altri una democrazia. Dario è il personaggio principale
che
tira a se i voti discordi per mezzo di un respons
gio principale che tira a se i voti discordi per mezzo di un responso
che
destina per re colui tra’ Grandi che abbia un cav
iscordi per mezzo di un responso che destina per re colui tra’ Grandi
che
abbia un cavallo che saluti il sol che nasce prim
un responso che destina per re colui tra’ Grandi che abbia un cavallo
che
saluti il sol che nasce prima degli altri. Contan
stina per re colui tra’ Grandi che abbia un cavallo che saluti il sol
che
nasce prima degli altri. Contansi tra gli attori
ri un Indovino, un Gran Sacerdote, uno Stallone e Chesballèno cavallo
che
parla co’ nitriti. È scritta come le altre in tos
lcune bassezze e sudicerie. Può vedersene la versificazione nel passo
che
soggiungo, in cui Gabria parla agli altri Grandi
ajo Orcane ; E Gabria vuol (direte voi senz’altro) Regnar anch’ei. Da
che
? Da Liber-Uomo Sovra me stessò, e sotto niun di
venirlo. Al primo incontro Tiberio grande oratore è superato da Fabio
che
nella seconda contesa è dichiarato Console. Una d
figlia di un Equite con Cornelia madre de’ Gracchi figlia di Scipione
che
ad ogni parola scipioneggia. I Troppi. Intervengo
ltri otto Oratori Ateniesi. Questi si descrivono sudici, presuntuosi,
che
si pavoneggiano di esser liberi, e disprezzano gl
disuntar le loro barbacce, ed unguentare i loro capegli, per evitare
che
in Corte si rida di loro a scherno di Atene eccel
e eccelsa. Trattandosi di andare all’udienza Demostene fa loro sapere
che
volendo presentarsi ad Alessandro debbono proster
ì all’apparenza adempiranno alla cerimonia. A ciò aggiunge Alessandro
che
a Demostene si diano venti talenti Dorici, conchi
lessandro che a Demostene si diano venti talenti Dorici, conchiudendo
che
Noi frattanto Pomposamente ad onorar pensiamo L
Alessandro in vece di una Pallade si trova un Gufo coll’ali spiegate
che
volge la coda al volgo. Demostene aringa, ed Esch
pi, e spesso Tanta Sapienza termina in pazzie. Ma si mangi, sarà quel
che
sarà. Clito in mezzo all’ adulazione degli altr
e sarà. Clito in mezzo all’ adulazione degli altri lancia de’ motti
che
feriscono il Re, che lo richiama con dolcezza. Cl
zzo all’ adulazione degli altri lancia de’ motti che feriscono il Re,
che
lo richiama con dolcezza. Clito non cessa ; tutti
i Alessandro ; Clito sempreppiù imperversa con insolenze a tal segno,
che
Alessandro lo fa cacciare ; Clito l’insulta e lo
abbiam mestier diverso ; Banchetto filosofico-reale Mostro è risibil
che
finisce in pianto. Nell’ atto V contrastano Esch
ano Eschine e Demostene ; sono essi invitati alla cerimonia di Calamo
che
vuole bruciarsi ; s’incaminano, ma si annunzia ch
erimonia di Calamo che vuole bruciarsi ; s’incaminano, ma si annunzia
che
egli si è gittato nella pira tre ore prima. Si pr
annunzia che egli si è gittato nella pira tre ore prima. Si previene
che
il Re gli congeda, e che egli stesso si accinge a
ittato nella pira tre ore prima. Si previene che il Re gli congeda, e
che
egli stesso si accinge a partire. Demostene. Oim
imesta, avrai l’Antidoto. Vi precede un’ osservazione dell’ editore,
che
ci fa sapere che l’autore spiega la sua intenzion
ntidoto. Vi precede un’ osservazione dell’ editore, che ci fa sapere
che
l’autore spiega la sua intenzione, con questa com
meglio di ogni sistema governativo per creare l’ottimo. Nota altresi
che
l’Alfieri medesimo scrive nella sua Vita : che si
l’ottimo. Nota altresi che l’Alfieri medesimo scrive nella sua Vita :
che
sino dal 1800 egli ideò ad un parto le sue sei co
nicamente a dèridere e ad emendar l’uomo, ma non l’uomo d’ Italia più
che
di Francia o di Persia ; non quello del 1800 più
mo d’ Italia più che di Francia o di Persia ; non quello del 1800 più
che
quello del 1500 o del 2000. Soggiugne specialment
o del 1800 più che quello del 1500 o del 2000. Soggiugne specialmente
che
le quattro commedie prime sono adattabili ad ogni
re più maltrattata. I Pigliatutto sono gonfi del ritrovato della Rete
che
piglia i pesci a staja, e disprezzano i pescatori
non ignori egli quello delle Orcadi. Nell’ atto III viene quest’uomo
che
è il Mago Mischach, con Tarantella per vedere Pig
o Mischach, con Tarantella per vedere Pigliatutto. Dicegli Tarantella
che
per ora è nell’ imbarazzo del parto difficile del
fficile della moglie. Mischach se ne mestra inteso come di tutt’altro
che
passa nell’ isola. Si abbocca con Pigliatutto, cu
utt’altro che passa nell’ isola. Si abbocca con Pigliatutto, cui dice
che
egli è odiato a cagione del ritrovato della rete,
tto, cui dice che egli è odiato a cagione del ritrovato della rete, e
che
la fazione mal’ affetta ha tramato un incantesimo
Di poi l’esorta a sperare, dipendendo da lui stesso il rimedio : sol
che
tu scelga qual prole più desideri. Se sceglie un
lie un maschio, maschio sarà, ma in qualche parte mostruoso. Aggiugne
che
il padre può scegliere tre varie forme di mostri
anco di corpo, se non quanto gli mancheranno ambe le gambe ; 2 o uno
che
avrà le gambe, ma avrà tre teste senza le mani ;
o un mostro di gran forza di corpo ma senza testa. Gli previene però
che
il senza gambe farà tagliar le gambe a tutti per
di lui per ucciderlo ; il mostro senza mani di tre teste non soffrirà
che
altri abbia mani ; il senza testa infine appiccic
ti per prenderne consiglio. Ordina prima in forza della sua bacchetta
che
sorga primiera l’Ombra di Dario, e lo prega a dir
egliere il senza gambe. Finalmente si fa venire l’ Ombra di Demostene
che
dice : Scegli il Tre teste. Pigliatutto disprezza
ed ogni loro ragione. Al fine sparite le apparenze Mischach gli dice
che
delle tre opinioni semivere a semifalse è formata
ach minaccia di addoppiare lo scoppió de’ tuoni ec. La Neonata ordina
che
si acquetino. Voi tutti, lor dice, di mia mano mi
rete ; i Pigliapoco la cura di rattopparla e custodirla ; Pigliatutto
che
l’ ha inventata, ne sarà l’arbitro. E se i miei f
arti, e rendere a tutti nota la tua deità. Neonata ripiglia : In fin
che
saggi Sarete voi di possedermi soli Voi paghi app
ucio, Saturnisco, Lunatina, Ombre varie, fralle quali quella di Omero
che
solo parle, Coro di Ombre. Mercurio per comando
to su i fatti, non su i pensieri. Egli era Re su quel pianeta de’ 637
che
ve ne sono, ed avea sotto di se 138 milioni di va
tinajo di miglia. Ma perchè egli infierì acerbamente contro i sudditi
che
arganavano, essi si ribellarono e l’uccisero coi
o contro i maschi ; ma pure disertando dalla sua bandiera molte donne
che
si congiunsero co’maschi, ella fece lo stesso a c
donne che si congiunsero co’maschi, ella fece lo stesso a condizione
che
ella non dovesse cedere le armi, e lo sposo tratt
avviene Cadigia prima moglie di Maometto, e Confucio per essa intende
che
Maometto è un Capisetta Legislator Profeta Condot
i, il suo morbo epilettico cangiato in ispirazione divina, il colombo
che
viene a dar di becco al miglio nascosto ne’suoi o
colombo che viene a dar di becco al miglio nascosto ne’suoi orecchi,
che
egli diede ad intendere essere un paraninfo celes
e. Si fa la finestina nel petto di Cadigia sua fida moglie, e si vede
che
ella era adultera con Maometto vivendo il primo m
ziente brama di gloria e di luce, ma non del pubblico bene ; in oltre
che
gli argani onde servissi formati erano di budella
: Perchè quaggiù la pace si riabbia, Trionfi pur, se il debbe, quel
che
pare Sovra quel ch’è. e Mercurio : Che in mio vol
l dica per tutte una di esse, e segnatamente Omero, il quale assicura
che
si vuoterebbero gli Elisii, se rimarrebbe fisso l
sì conchiude : Ombre or dunque a me coro risonante Fate eccheggiando
che
mai più in eterno S’abbia a parlar di far le fine
far le finestrine, Fuorchè a finestra sua ben spalancata Venga colui
che
vorrà aprirle a noi. La VI commedia postuma dell
un Becchino medico, un Avvotato, Fabrizio Stomaconi, Notajo Radibene
che
non parla. Nell’atto I si vedono alcuni che frequ
tomaconi, Notajo Radibene che non parla. Nell’atto I si vedono alcuni
che
frequentano la casa del Cherdalosi per la Lucrezi
ucrezina sua figlia, e mentre se ne disviluppano i caratteri, si vede
che
Prosperino disposto a fare un viaggio, lo differi
un viaggio, lo differisce per essere invaghito di Lucrezina. Ciuffini
che
ama la giovanetta e n’è amato, va tastando l’acqu
te maestro di Lucrezina reca a Prosperino una di lei lettera amorosa,
che
egli mostra a suo padre Settimio. Ne parlano all’
io. Ne parlano all’Inglese loro amico, il quale senza approvare, dice
che
si rivedranno in casa Cherdalosi. Sempre più nell
e più nell’atto II si disviluppano i caratteri di Annetta ed Agostino
che
sempre taroccano tanto sull’educazione di Lucrezi
occano tanto sull’educazione di Lucrezina, quanto sul Medico Becchini
che
assiste la moglie senza vedersi migliorare. Agost
anche il prete Tramezzino preso per maestro, ed il poco buono esempio
che
dà alla figlia, stando sempre in conversazione e
conversazione e servendosi di lei per zimbello, ed il conte Ciuffini
che
disturba qualunque partito si presenti per la fig
Venendo poi Ciuffini e Piantaguai li saluta e parte. Viene Lucrezina
che
da questi due è accolta con adulazioni. Viene War
accolta con adulazioni. Viene Warton cui Annetta chiede di Prosperino
che
sopraggiunge col padre che domanda per suo figlio
ne Warton cui Annetta chiede di Prosperino che sopraggiunge col padre
che
domanda per suo figlio Lucrezina, ed Agostino che
raggiunge col padre che domanda per suo figlio Lucrezina, ed Agostino
che
arriva a tempo conchiude l’affare stabilendole 10
rattengono sul matrimonio stabilito Annetta e la figlia. L’avvertisce
che
Settimio non le lascerà fare, com’ella pensa, que
L’avvertisce che Settimio non le lascerà fare, com’ella pensa, quello
che
fan tutte. Le rimprovera la civetteria e parte, l
ttimio. All’arrivo di Ciuffini Lucrezina manda via Tramezzino dicendo
che
vada ad ordinare il cioccolatte pel conte. Ciuffi
attar lui. Ma Ciuffini prendendo il cioccolatte risolutamente le dice
che
non vuole che sposi Prosperino. Lucrezina lo prom
Ciuffini prendendo il cioccolatte risolutamente le dice che non vuole
che
sposi Prosperino. Lucrezina lo promette. Viene Pr
ami, sei salvo. I tre risolvono l’esecuzione del viaggio. Warton dice
che
gli accompagnerà. Sopraggiunge Annetta, cui Setti
Settimio, e minaccia un ritiro alla figlia. Torna Tramezzino, e dice
che
Settimio ed il figlio sono già lontani molte migl
rizio Stomaconi. Lucrezina acconsente, ed acconsente altresì Ciuffini
che
soprarriva. Viene Piantaguai con lo stesso vecchi
stesso vecchio Stomaconi. Si conchiudono le nozze anche con Agostino
che
le assegna seimila scudi in dote. Comincia l’atto
levandosi la spilorceria di Agostino, e la generosità dello Stomaconi
che
ha fatti alla Lucrezina 12 mila scudi di sopraddo
ha fatti alla Lucrezina 12 mila scudi di sopraddote. Viene Stomaconi
che
è assai bene accolto. Si firmano i capitoli, senz
iene Stomaconi che è assai bene accolto. Si firmano i capitoli, senza
che
Stomaconi ne sappia il contenuto. L’istromento è
Italicheschi Che giustamente fanci esser l’obrobrio D’Europa tutta, e
che
ci fan persino De’Galli stessi reputar piggiori.
e ci fan persino De’Galli stessi reputar piggiori. Oh qual Madre ! oh
che
scritto ! oh che marito ! Ed io qual padre ! Mera
De’Galli stessi reputar piggiori. Oh qual Madre ! oh che scritto ! oh
che
marito ! Ed io qual padre ! Meraviglia fia Che in
la direzione del marchese Scipione Maffei eresse il teatro di Verona
che
senza dubbio presenta diversi vantaggi sopra molt
dubbio presenta diversi vantaggi sopra molti teatri moderni. La curva
che
forma la periferia interiore della platea, si va
forma la periferia interiore della platea, si va allargando a misura
che
si avvicina alla scena : i cinque ordini di palch
icina alla scena : i cinque ordini di palchetti sono disposti in modo
che
i più lontani dalla scena sporgono più in fuori ;
ti in modo che i più lontani dalla scena sporgono più in fuori ; idea
che
il Galli Bibiena tuasse da Andrea Seghezzi scolar
da Andrea Seghezzi scolare del Brizio e del Dentone(a). Ora è chiaro
che
tanto la curva della platea quanto l’artificio de
enedetto, al cui interiore comodo e decente mal corrisponde la figura
che
si allontana dalla regolare degli antichi. Antoni
è costruito l’anno 1805 un altro teatro nella strada del Corso antica
che
si tornò a frequentare. Non avendone le misure di
o antica che si tornò a frequentare. Non avendone le misure dirò solo
che
l’edificio di figura ellittica è ben ampio con co
Cosimo Morelli, la cui figura ellittica contiene il palco e la platea
che
occupa uno spazio doppio del palco, ed ha quattro
rghezza. Sotto l’orchestra si fece un voto con due tubi all’estremità
che
sorgendo sino all’altezza del palco scenario serv
ggiore è di 51 piedi, ed il minore di 46. L’antico teatro di Marcello
che
in parte sussiste ancora, nulla, al dir degl’inte
uello detto de’Fiorentini per la chiesa di San Giovanni de’Fiorentini
che
gli è dappresso. Sconcia da prima n’era la figura
o congiunto a due lunghe rette laterali sproporzionatamente più lunga
che
larga ; e tutto il rimanente scale, ingressi, cor
oso partito di cangiare il sito della scena, collocandola sulla retta
che
faceva la larghezza della prima platea, là dove a
te scultore ed architetto Lorenzo. Chi avrebbe creduto possibile quel
che
pur si vede, che in una pianta di soli palmi 80 i
chitetto Lorenzo. Chi avrebbe creduto possibile quel che pur si vede,
che
in una pianta di soli palmi 80 in circa per ogni
con cinque ordini di palchetti di tal simetria e di forma sì propria
che
da per tutto vi si godesse acconciamente lo spett
tia del sito, e vi si accomodano agratamente mille spettatori. Dicesi
che
il romano architetto Antonio Canevari avendo vedu
Canevari avendo veduto quest’edificio al di fuori non voleva credere
che
fosse un teatro, e come vi fu entrato, disse che
i non voleva credere che fosse un teatro, e come vi fu entrato, disse
che
quell’opera sola bastava al credito del Vaccaro,
Vedere ed Udir bene, la qual cosa fu lanciata con sì poco fondamento,
che
gli fu detto : andate a vedere ed udire, e tacere
ccato ed atterrato con fabbriche Castello Nuovo nella strada spaziosa
che
mena al Molo, un teatro che prese il nome dal Fon
iche Castello Nuovo nella strada spaziosa che mena al Molo, un teatro
che
prese il nome dal Fondo di Separazione de’lucri,
ioni, con facoltà di spendere facendosi per la corte, formo un teatro
che
presenta una facciata pesante oltre modo, non amp
armonico ad udire malgrado l’eccellenti note de’Sarti e de’ Paiselli
che
vi perdono due terzi della propria squisitezza. G
che vi perdono due terzi della propria squisitezza. Gl’interpilastri
che
dividono i palchetti, gl’intagli, le centinature,
lo XVIII, e forse il migliore de’piccioli teatri napoletani, è quello
che
si costruì nel sito detto Ponte nuovo terminato n
è quello che si costruì nel sito detto Ponte nuovo terminato nel 1791
che
ebbe il nome di San-Ferdinando. Camillo Leonti in
rantatre e mezzo di altezza dal pavimento alla finta volta ; la scena
che
in faccia agli spettatori ha un orologio, di lung
cio. Nulla gli manca per essere in ogni stagione frequentato, eccetto
che
l’esser collocato men lontano dagli altri teatri,
di un semicircole, i cui estremi si prolungano in linee quasi rette,
che
si stringono avvicinandosi alla scena. Il diametr
rba fece per lungo tempo uno spettacolo anch’esso degno di ammirarsi,
che
il tempo negli ultimi anni ha obbligato a cambiar
te delle voci prima di spandersi pel teatro. Nè anche è da approvarsi
che
il palco scenario sporga in fuori nella platea pe
rga in fuori nella platea per molti piedi, convenendo allo spettacolo
che
gli attori, come pur riflettè Algarotti, si riman
ui il tutto è ordinato. In oltre con mal consiglio sono alquanti anni
che
si aggiunse un altro splendido ornamento che piac
iglio sono alquanti anni che si aggiunse un altro splendido ornamento
che
piace al vedere e nuoce all’udire. Un voto di tan
ampiezza, arricchito di spaziosi corridoi, compartito in tanti palchi
che
equivalgono ad altrettanti comodi stanzini, per s
anti comodi stanzini, per se stesso è poco favorevole alle voci umane
che
non sieno tramandate per mezzo di qualche tromba
etti riverberati e in mille modi raddoppiati dalle scintillanti gemme
che
adornano tante dame, cangiano la notte nel più be
n incontrano in que’ festoni la necessaria elasticità e la resistenza
che
la rimandi e diffonda ; e la prodigiosa quantità
’ torchi del palco e della platea consuma tant’aria e tanta ne rarefà
che
si minora e s’indebolisce la causa del suono e de
rte dell’ampiezza e l’antico allineamento della strada San-Ferdinando
che
mena al Largo del Castello Nuovo. L’architetto è
ni mostrano la difficoltà della soluzione del problema, far un teatro
che
compiutamente soddisfaccia a i due sostanziali og
ccio di quell’ Italiano del secolo XVII mentovato nella Drammaturgia,
che
con un solo personaggio condusse una favola inter
personaggio condusse una favola intera di tre atti. Io non ho vedutò
che
uno scherzo del grazioso Gabriele Cinita in Madri
ele Cinita in Madrid, il quale solo in tre picciole scene buffonesche
che
chiamava atti, rappresentava un’azione mimica. Ma
non ebbero verun presidio musicale. Il celebre Gian Giacomo Rousseau
che
volle dare a’ moderni l’idea della greca melopea,
e con proprietà di rappresentazione darsi luogo alle battùte musicali
che
debbono precedere. Si provò il fu infelice France
produrre in Napoli una scena simile prendendo per oggetto Agamennone
che
intitolò monodramma, benchè in esso intervengano
ria natura essa sarebbe una commedia musicale, cui al più si permette
che
si avvicini alla farsa, ma non già a’ vaneggiamen
di pazzie d’infermi, come sono i tanti malcuciti e sconnessi centoni
che
corrono per l’Italia e più oltre ancora. Nacque i
hiaro maestro Francesco Mancini, fece pur fra noi diverse opere buffe
che
non eccedono l’indole della commedia. Ne fecero a
ritratti comici ? Il suo Finto Fratello in cui si dipinge un affetto
che
non eccede la commedia e dà motivo alla musica, f
ro Leonardo Leo ; l’Alessandro del 1742 del medesimo Leo ; la Lionora
che
si rappresentò nel medesimo anno colla musica del
Collarone quivi parimente cantata colla musica di Domenico Fischetti,
che
si ripetè poi nel teatro de’ Fiorentini nel 1754
di Antonio Palomba, da cui poscia cominciò la stravaganza illimitata
che
bandì la commedia dalle scene musicali napoletane
lielmi. Il Palomba fini i suoi giorni con varie mostruosità sceniche,
che
servirono di esempio e di guida ad un folto sciam
pio e di guida ad un folto sciamo di nojosissime cicale, fino a tanto
che
piacque al sagace Giambatista Lorenzi noto poeta
nella Corsala del 1771, il Lorenzi si attenne totalmente alla farsa,
che
per altro ad una specie dell’opera buffa non disc
une altre l’abuso delle tinte troppo tragiche per la scena comica. Ma
che
mai può increscer nella piacevole farsa del Socra
a che mai può increscer nella piacevole farsa del Socrate Immaginario
che
vivamente e con la più ridente satira comica rapp
n la più ridente satira comica rappresenta l’immagine di un Calabrese
che
sona l’arpa tra’suoi discepoli, loda la musica gr
un Calabrese che sona l’arpa tra’suoi discepoli, loda la musica greca
che
non conosce, ha una moglie da cui è bastonato, ch
è bastonato, ch’ei chiama Santippe, e un Mastro Antonio suo barbiere
che
egli ha istallato a Platone, e che beve la cicuta
, e un Mastro Antonio suo barbiere che egli ha istallato a Platone, e
che
beve la cicuta per rassomigliare in tutto l’antic
maginario oh quanto invidierebbe a Napoli quest’ Immaginario Socrate,
che
al pari del di lui Tartuffo, fu alla prima proibi
e sere di recite, per aver servito di limpido specchio ad un avvocato
che
vi si raffigurò e se ne dolse. Onde ciò avvenne ?
liante, come esisteva per nostro vanto un Aristofane Napoletano ? Che
che
sia di ciò il Socrate tornò poi sulle scene e rit
amente il riso, e se ne cercò sempre con gli occhi l’originale sino a
che
il figurato non cessò di vivere. Dopo molti anni
e vulcanici. Comicamente si rilevano in essa le ridicolezze di coloro
che
vogliono dare ad intendere di studiare le dozzine
e de’gatti. Vi si provverbia la filosofica eredulità di chi sostiene
che
nuvoloni gravidi di sassi vulcanici cadono poi gi
dicolo suo discepolo, il quale è preso a sassate, e gli si fa credere
che
sieno cadute dal cielo. Per farne comprendere lo
piacevolezza, ne adduco qualche squarcio. Una finta dama oltramontana
che
si millanta studiosa de’vulcani, si presenta al n
o sposo della nipote di Don Macario suo maestro. I letterati stimando
che
tali pietre siano cadute dalle nuvole, vogliono i
Soss. Io porlando con creanza L’ho per pietre piritose… Corrad. Oh
che
porco ! Soss. Mi perdoni : Piritose concrezioni S
ttivi, i carboni ecc. vengono dul giardino i servi dicendo epaventati
che
non solo tutti i gatti sono fuggiti pel giardino,
o epaventati che non solo tutti i gatti sono fuggiti pel giardino, ma
che
i serpenti rotta la rete che gli chiudea, sono sc
ti i gatti sono fuggiti pel giardino, ma che i serpenti rotta la rete
che
gli chiudea, sono scappati ; e tutti fuggono atte
ariati pubblicarono insieme il Don Chisciotte ed altri drammi giocosi
che
meritano conoscersi. Carlo Goldoni compose il Mon
sti di Montefiascone. Capo V Opera eroica. L’Opera eroica
che
può chiamarsi istorica che incominciò nel secolo
apo V Opera eroica. L’Opera eroica che può chiamarsi istorica
che
incominciò nel secolo XVII, in cui ebbe una lunga
no meno musicali di quelle dell’epoca seguente ; ma da alcuna si vede
che
sapeva farne, come si vede in questa del melodram
a se non quel calore, quella precisione, quell’armonia, quella scelta
che
costituiscono il merito del gran poeta che gli su
ell’armonia, quella scelta che costituiscono il merito del gran poeta
che
gli succedette. Notabili sono i melodrammi di Apo
rtù, tutti n’espose, n’ingrandì e illustrò gli esempii in teatro. Ciò
che
ne dinota bene il carattere è l’aver saputo in ci
atto delle favole preparare una scena vistosa, popolare, interessante
che
tiene svegliata l’attenzione dello spettatore. I
tture e co’sentimenti de’ Padri e de’ Dottori della Chiesa ; stimando
che
quanto meno fossevi frapposto del mio, tanto più
ndonsi in dieci volumi in ottavo, ma gli ultimi due contengone quelle
che
compose in compagnia di Pietro Pariati. Ed eccoci
Trapasso, il cui cognome dal celebre calabrese Gian Vincenzo Gravina
che
l’educò nelle lettere per lo spazio di dieci anni
del Sapere e della Poesia. Che diremo noi di si raro e felice ingegno
che
corrisponda alla sua grandezza ? Che egli era si
gegno che corrisponda alla sua grandezza ? Che egli era si eccellente
che
ha ispirato ne’contemporanei la disperazione di a
si musici anzichè a lui, il rendono rispettabile anco agli orgogliosi
che
volgono altrove il capo per non mirarne l’odiata
orgogliosi che volgono altrove il capo per non mirarne l’odiata luce
che
gli umilia ? Le Grazie sole potrebbero convenevol
potrebbero convenevolmente encomiarlo, le Grazie amiche di Anacreonte
che
mercè del Metasiasio ridenti a’nostri giorni pass
Metasiasio ridenti a’nostri giorni passeggiarono le musiche scene, e
che
tacquero com’egli tacque. E quando ripiglieranno
te di tali doti e forse tutti il famoso Saverio Bettinelli, e pretese
che
Metastasio sia prosaico, inelegante, privo di lin
dello stile de’drammi ne’cori del Gionata ed in una Cantata : di più
che
l’armonico Frugoni colle sue Cantate potrebbe ser
lle sue Cantate potrebbe servir di modello al vero stile drammatico :
che
Zeno è più di Metastasio elegante ne’suoi drammi
leganza e di stile poetico fin’anche la Gerusalemme ; ma non vorremmo
che
prendesse per eleganza anche lo stile contorto ed
o, in cui egli stesso talvolta è caduto ne’suoi Sciolti. Vorremmo poi
che
il mondo che si trasporta e si riempie di dolcezz
i stesso talvolta è caduto ne’suoi Sciolti. Vorremmo poi che il mondo
che
si trasporta e si riempie di dolcezza all’udire o
le obbliate sì presto. Vorremmo per sottoscriverci alla sua decisione
che
questo mondo culto e sensibile si commovesse più
iù spesso ai drammi sì bene scritti di Zeno, e non già soltanto allor
che
egli canta alla maniera Metastasiana così : Guar
tu mi sei madre, Nè colui mi generò. A chi cede mai Metastasio, sia
che
alla maniera di Sofocle migliori i grandi uomini
ocle migliori i grandi uomini dell’antichità nel ritrarli, ovvero sia
che
gareggi di sublimità col gran Corneille dipingend
omani, e di delicatenza coll’armonioso Racine, facendo nelle passioni
che
maneggia riconoscere a ciascuno i movimenti del p
uanti anzi egli non sovrasta per la particolar magia del sno pennello
che
anima quanto tocca, e l’ingentilisce colla grazia
ramma di Metastasio le ragioni per le quali lo stile ha quell’incanto
che
tutte le anime delicate vi trovano ; altro non pu
re di commentario le tragedie di Racine, diceva non doversi far altro
che
scriver sotto ad ogni pagina, bello, patetico, ar
ravvisare nel Metastasio il gran maestro, allorchè (nel tempo stesso
che
prestasi al duro impero dell’uso e del canto intr
Troja non si vede quasi nasorante nella finta Pirra ? Ezio arroganté
che
parla di se e delle sue gesta, ma nobile, prode,
erudizione di ogni maniera egli imita gli antichi ma con tal maestria
che
par nato or ora quel che dissero venti secoli ind
a egli imita gli antichi ma con tal maestria che par nato or ora quel
che
dissero venti secoli indietro. E chi saprà più da
ndietro. E chi saprà più dare agli altrui pensieri quella naturalezza
che
si ammira in Metastasio allorchè imita ? Tito si
a ? Tito si vale delle parole del Gran Teodosio quando abolì la legge
che
dichiarava rei di morte quelli che profferivano p
ran Teodosio quando abolì la legge che dichiarava rei di morte quelli
che
profferivano parole ingiuriose contro del princip
pe(a). V’è, gli dice Publio, chi lacera anche il tuo nome, e Tito, E
che
perciò ? Se il mosse Leggerezza, nol curo, Se fol
e l’invidia sotto la maschera di gran poeta ; ma il più meschino nomo
che
professa lettere, non cercherà gran poesia nel te
re, non cercherà gran poesia nel teatro, dove non si richiede, a meno
che
comprenda poco la differenza de’ generi. Di prosa
Metastasio di un gran numero di sentenze di Seneca, ma con tale arte
che
le spoglia di ogni affettazione nativa. Quel Dubi
a quale acquista semplicità e naturalezza in Metastasio : E poi quel
che
si vuol, presto si crede. Dal Petrarca, dal Zeno
o. Aretade presso i Greci fece un volume de’ pensieri degli scrittori
che
s’incontrano senza seguirsi (a). Il calore della
crittori che s’incontrano senza seguirsi (a). Il calore della contesa
che
ebbe in Londra col Martinelli trasportò son già m
Badini esgesuita ad affermare nella Bilancia di Pandolfo Scornabecco,
che
Metastasio tolse varie favole da’ Francesi, senza
ente Semiramide del Manfredi, in cui le occulte nozze di Nino e Dirce
che
si scoprono fratelli, rassomigliano meglio alle a
lo XVI ? Metastasio non sapeva leggere la divina Eneide ? Gran ritico
che
fu quell’esgesuita ! Anche l’Attilio Regolo (affe
Boileau e nell’ epigramma di Giovanni Racine ? Ma l’esgesuita sapeva
che
il Regolo del Pradon è un petit-maitre colla sua
romano Attilio Regolo Metastasiano ? E Badini ed altri ancora dissero
che
dal Cinna formò il Poeta Cesareo la sua Clemenza
a formò il Poeta Cesareo la sua Clemenza di Tito. Il lettore soffrirà
che
ci trattenghiamo alquanto su questa critica. Chi
alla più rigorosa precisione per disporre colpi di scena e situazioni
che
rendano lo spettacolo accetto all’udito ed alla v
mancato se il primo serviva più ai colpi di scena ed alle situazioni
che
al dialogo, ed il secondo più a questo che a quel
i scena ed alle situazioni che al dialogo, ed il secondo più a questo
che
a quelli, ed avrebbe fatto il Francese un’ azione
se perciò Metastasio nel suo argomento maggior ricchezza d’invenzione
che
si scorge ne’ nuovi colpi teatrali e ne’ bei quad
ali e ne’ bei quadri prodotti da’ contrasti di situazione ; ricchezza
che
non potè trovare nella tragedia francese che non
i situazione ; ricchezza che non potè trovare nella tragedia francese
che
non ne abbisognava. Trasse dunque tutte dal propr
prio fondo le fila necessarie per la sua tela. Non basta a Metastasio
che
Sesto ami Vitellia che lo seduce e lo precipita n
ssarie per la sua tela. Non basta a Metastasio che Sesto ami Vitellia
che
lo seduce e lo precipita nella congiura ; ma ha b
Vitellia che lo seduce e lo precipita nella congiura ; ma ha bisogno
che
questa aspiri a una vendetta non di un padre, qua
di un’ attiva ambizione delusa nella speranza di regnare. Ha bisogno
che
Tito faccia uno sforzo e rimandi Berenice per ris
e rimandi Berenice per risvegliare la spenta speranza di Vitellia ; e
che
poscia egli elegga per consorte Servilia sorella
lia ; e che poscia egli elegga per consorte Servilia sorella di Sesto
che
ama Aunio nobile virtuoso e degno della di lei te
ama Aunio nobile virtuoso e degno della di lei tenerezza. Ha bisogno
che
Sesto strascinato dalla passione alla congiura e
un resto di virtù e dalla gratitudine a salvar Tito, nel tempo stesso
che
contro di lui cospira, corra a difenderlo : che c
ito, nel tempo stesso che contro di lui cospira, corra a difenderlo :
che
chiamato da Tito non ardisca presentarglisi col m
to da Tito non ardisca presentarglisi col manto macchiato di sangue :
che
Annio gli dia il suo : che quest’ amico col manto
entarglisi col manto macchiato di sangue : che Annio gli dia il suo :
che
quest’ amico col manto di Sesto segnato colla div
divisa de’ congiurati arrivi alla presenza dell’ imperadore in tempo,
che
la virtuosa Servilia ha scoperto il segreto del n
n tempo, che la virtuosa Servilia ha scoperto il segreto del nastro e
che
il suo amante all’apparenza risulti colpevole, e
aratteristica della vita di Tito delizia del genere umano ; caratteri
che
esigono un colorito differente. Emilia innamorata
tato contro del suo benefattore, per vendicar la morte del padre, nel
che
si scorge cert’aria di romanzo, perchè l’affetto
e da cui deriva. Perchè dunque questo verissimo attivissimo carattere
che
la natura presenta e l’arte ha introdotto con fel
sulla scena tragica e musicale ; perchè mai quest’ambiziosa Vitellia
che
ondeggia tralla vendetta e l’amore, increbbe a Gi
a che ondeggia tralla vendetta e l’amore, increbbe a Giovanni Andres,
che
vorrebbe cacciarlo via dalla scena, non che dall’
crebbe a Giovanni Andres, che vorrebbe cacciarlo via dalla scena, non
che
dall’opera di Metastasio ? La critica ha principi
tener l’ambizione Vitellia per teatrale. Ella è una Romana ambiziosa
che
più non isperando di conseguire colla mano di Tit
edia non potrà andare avanti, perchè a Sesto non converrebbe la parte
che
vi sostiene Cinna d’ipocrita e di traditore deter
con grandezza ; ma nulla è straordinario. Nel nostro melodramma però
che
cosa produce lo scoprimento della congiura ? Due
contri originali inimitabili. Nella scena quarta dell’atto II Tito sa
che
si congiura contro la sua vita, ma ignora che Ses
ta dell’atto II Tito sa che si congiura contro la sua vita, ma ignora
che
Sesto sia il reo principale ; perciò vedendolo ve
imembranza !) Tito Il crederesti amico ? Tito è l’odio di Roma. Ah tu
che
sai Tutti i pensieri miei : che senza velo Hai ve
amico ? Tito è l’odio di Roma. Ah tu che sai Tutti i pensieri miei :
che
senza velo Hai veduto il mio cor : che fosti semp
he sai Tutti i pensieri miei : che senza velo Hai veduto il mio cor :
che
fosti sempre L’oggetto del mio amor, dimmi se que
ena sesta del III non si conosce meno il maestro. Tito più non ignora
che
Sesto è un traditore e che il Senato l’ha convint
nosce meno il maestro. Tito più non ignora che Sesto è un traditore e
che
il Senato l’ha convinto e condannato alla morte ;
imento di Tito nel soscrivere la sentenza nella scena settimà del III
che
meritò l’ammirazione di Voltaire. Deggio, dice Ti
rezzata…. Vendetta ! Ah Tito, e du sarai capace D’un sì basso desio,
che
rende uguale L’offeso all’offensor ? Merita in ve
tto D’amicizia e pietà taccia per ora. Sesto è reo, Sesto mora ec… Or
che
diranno I posteri di noi ? Diran’ che in Tito Si
Sesto è reo, Sesto mora ec… Or che diranno I posteri di noi ? Diran’
che
in Tito Si stancò la clemenza, Come in Silla e in
n Silla e in Augusto La crudeltà ec… Che Tito al fine Era l’offeso, e
che
le proprie offese, Senza ingiuria del giusto Ben
Grecia scrissero molte volte su di un medesimo argomento componimenti
che
non si rassomigliano. Chi sa imitat migliorando,
tat migliorando, nasce per essere successia vamente imitato. Quindi è
che
il nostro poeta imperiale ha prodotta un folta sc
tro poeta imperiale ha prodotta un folta schiera d’imitatori Italiani
che
lo seguono senza raggiungerlo ; ed è stato tradot
se le Franc de Pompignan, Collè, Belloy, Le Miere, Dorat. Egli è vero
che
ne’suoi drammi possono notarsi alcuni difetti, ne
ossono notarsi alcuni difetti, ne’quali incorse a cagione del sistema
che
trovò introdotto, del genere stesso, degli esempi
ellenti, e certi amori subalterni, e qualche espressione studiata più
che
alla scenica non si conviene. Ma che perciò ? Met
qualche espressione studiata più che alla scenica non si conviene. Ma
che
perciò ? Metastasio è pur tutto insieme l’Euripid
l’Euripide, il Cornelio ed il Racine italiano. Metastasio è pur tale
che
se di mezzo il togli, senti che si forma nella me
acine italiano. Metastasio è pur tale che se di mezzo il togli, senti
che
si forma nella melica poesia un orrido voto che n
mezzo il togli, senti che si forma nella melica poesia un orrido voto
che
niuno più riempie ; là dove se altro moderno poet
i mancare all’Italico Parnasso. Sel soffrano dunque tanto que’critici
che
non mai corsero la carriera di Metastasio e che p
que tanto que’critici che non mai corsero la carriera di Metastasio e
che
perciò non ne compresero l’arduità ; quanto quegl
stasio e che perciò non ne compresero l’arduità ; quanto quegli altri
che
nel provarvisi rimasero indietro spossati e senza
ri che nel provarvisi rimasero indietro spossati e senza moto a segno
che
si perderono di vista nelle loro cantate e cori e
scrittore sulla Musica il sig. Eximeno) ha accordati insieme estremi
che
niun filosofo avrebbe mai pensato di potersi comb
degli autori del conciossiacchè, egli sarà non per tanto l’originale
che
si proporranno ad imitare i poeti filosofi. La su
erò facili ad adattarsi alla musica. Se Anacreonte rinascesse, dubito
che
scrivesse in italiano un’ode nè più armoniosa, nè
e in italiano un’ode nè più armoniosa, nè più dolce di questa : « Oh
che
felici pianti, Che amabili martir, Pur che si pos
iù dolce di questa : « Oh che felici pianti, Che amabili martir, Pur
che
si possa dir, Quel core è mio. Di due bell’alme a
l core è mio. Di due bell’alme amanti Un’ alma allor si fa ; Un’ alma
che
non ha, Che un sol desio. Voltaire parlando del
ndo non è declamatore, e di Racine quando non è debole », Lascio quel
che
si è altrove citato di Gian Giacomo Rousseau quan
oce Genie favella di Metastasio e Durante. L’istesso Giovanni Andres,
che
forse per far ecco al suo confratello Bettinelli
tellia e di Sesto, parlò con somma lode del poeta romano, assicurando
che
Metastasio non ha di che temere il confronto di a
con somma lode del poeta romano, assicurando che Metastasio non ha di
che
temere il confronto di alcuno. La sublime anima (
iù bello e grande del teatro francese ec.. Dopo ciò, studiosi giovani
che
amate la poesia scenica e Metastasio, ben vi potr
io, ben vi potrete consolare del molesto ronzio delle critiche cicale
che
mostrano rincrescimento e ribrezzo di approvare i
di approvare i vocaboli usati da Metastasio. Ridetevi pure di coloro
che
chiamano svenevoli le tenerezze metastasiane, de’
iena contezza : sprezzate le vendute tirate di certi automi periodici
che
respirano coll’altrui fiato velenoso, e l’affetta
bbe nell’opera istorica quest’ingegno raro Marco Cortellini livornese
che
scrisse l’Almeria e l’Antigone pel teatro imperia
di San-Carlo per le decorazioni e per la musica dell’esimio Jommelli
che
si ammira come un capo d’opera. Luigi Serio impro
scrisse una Ifigenia in Aulide collo scioglimento naturale del Racine
che
si cantò nel teatro di San-Carlo colla musica del
ro di San-Carlo colla musica del valenziano Vincenzo Martin, l’Oreste
che
si rappresentò colla musica del napoletano Domeni
il Creso del cav. Pagliuca ed il Socrate del esgesuita Antonio Galfo,
che
suppongo ançor vivente in Modica sua patria. Il p
ria. Il primo si cantò nel teatro reale in Napoli, e piacque ; intesi
che
il secondo non ebbe il medesimo destino ; il terz
el tomo IV del Saggio Poetico del Galfo. Il Metastasio in una lettera
che
gli scrisse, n’encomia lo stile come robusto e lu
le di comparazioni, fralle quali una ve n’ ha fin del cavallo trojano
che
entra in Troja col manto della pietà. L’economia
i di Giosaba madre falsa del bambino conteso e di Bersabea madre vera
che
co’ palpiti materni chiama l’attenzione. Rilevo d
’attenzione. Rilevo da una lettera a me scritta nell’ottobre del 1796
che
egliha scritte molte altre produzioni sceniche, c
a e capaci di armonia musicale. Nel volume terzo dell’edizione nitida
che
se ne fece nel 1796 trovansi varie cantante, ed u
ge ancora la Primavera critta pel solito omaggio di fiori e di frutta
che
si presentò a’ sovrani nel primo di maggio del 17
antata, e l’Amor vendicato, delle quali s’ignora l’epoca. É però noto
che
la prima si scrisse e si pose in musica a privato
a privato trastenimento di una brillante compagnia di dame napoletane
che
dettavano allora leggi al gusto e alle maniere. V
adombrano il vero col velo misterioso della poesia. L’Isola incantata
che
seduce le ninfe, e la pianta che al cadere rompe
ioso della poesia. L’Isola incantata che seduce le ninfe, e la pianta
che
al cadere rompe l’incanto, discendono dall’isola
ino le istantanee mutazioni cagionate dal troncarsi la pianta fatale,
che
servirà per saggio dello stile : Ma che… s’oscur
troncarsi la pianta fatale, che servirà per saggio dello stile : Ma
che
… s’oscura il giorno !… S’addensano nel ciel nubi
sa La grandine si scaglia… il suol si scuote… Dalle radici immote Par
che
l’orbe vacilli ! e par che avvampi L’isola tutta
il suol si scuote… Dalle radici immote Par che l’orbe vacilli ! e par
che
avvampi L’isola tutta allo strisciur de’ lampi !
r del secolo XVIII di molto erano cresciuti gl’inconvenienti teatrali
che
incepparono tal volta il genio stesso di Metastas
ia parte accessoria o principale dello spettacolo. L’umana incostanza
che
mena sovente il rincrescimento dello stato attual
la Francia, ricoverò in Vienna, e portò su quelle scene lo spettacolo
che
corse oltre l’Olimpo e travalicò le rive d’ Acher
i Tenorio tutto in un fascio. L’anno 1782 (ed è questo un altro fatto
che
smentì il non mai Verdce gazzettiere Colpo d’occh
le furie danzatrici e della descrizione del Tartaro nelle sue Danaidi
che
fe porre in musica dal nostro valoroso Millico. Q
che fe porre in musica dal nostro valoroso Millico. Questo spettacolo
che
abbisognava, si disse, di quindicimila scudi per
a scudi per rappresentarsi, non comparve sulle scene. Il conte Pepoli
che
lo seguiva a quel tempo e ne adorava i dettati, p
quasi tutti i di lei partigiani e si rivolsero di bel nuovo all’opera
che
fa parlar gli uomini giusta le insinuazioni di Gi
ia la Morte di Ercole spiegandovi la pompa delle decorazioni naturali
che
abbelliscono sempre variamente lo spettacolo. Egl
sformazioni a vista, si rivolse all’istorica e scrisse due melodrammi
che
chiamò tragedie in musica, Elfrida ed Elvira che
risse due melodrammi che chiamò tragedie in musica, Elfrida ed Elvira
che
potè far rappresentare nel real teatro di Napoli
resentare nel real teatro di Napoli nel 1793 e 1794. Questo letterato
che
in Vienna ed in Napoli non fu quello che era stat
793 e 1794. Questo letterato che in Vienna ed in Napoli non fu quello
che
era stato in Parigi rapporto al gran Metastasio,
ente combattendo l’ Arteaga. La gioventù vedrà volentieri i progressi
che
egli fece nel seguire il sistema istorico di colu
thryth) figlia del ricco conte di Devon, e pensò di sposarla nel caso
che
sì bella fosse qual si decantava ; e per esserne
n dal di lei padre. Preso il messo dalla bellezza di lei riferì al re
che
il di lei volto era di fattezze comunali e poco d
vorito di ottenerla per se stesso. Ebbe poi notizie diverse da quelle
che
Adelvolto gli avea recate, e portatosi in provinc
avea recate, e portatosi in provincia trovò Elfrida più bella ancora
che
non si diceva, ed uccise di propria mano il favor
namorata del marito, e quello di Edgar dandogli spiriti di generosità
che
contrastano colla sua passione. Eccone la traccia
le va incontro : Org.Nobil donna… Elfr. Straniero (Oh importuno !)
che
vuoi ? Org. Dì, non è quello Il romito castello
Forse Evelina parte per ispiare se giunga Adelvolto, e torna per dire
che
giugne, la qual cosa non è punto vera, nè appare
er dire che giugne, la qual cosa non è punto vera, nè appare altronde
che
cosa ella voglia ricavarne in vantaggio di Elfrid
ine il padre e la figlia e si abbracciano, e co’rispettivi confidenti
che
hanno alla mano cantano un quartetto poco veramen
me ? ed Orgando Nella mia figlia io trovo Un non so qual timore, dal
che
pare che nascer non potessero le tetre espression
rgando Nella mia figlia io trovo Un non so qual timore, dal che pare
che
nascer non potessero le tetre espressioni de’ con
rbato, S’ammanta a nero il giorno, Mormora il tuono intorno. Si vede
che
il poeta vorrebbe, in grazia della musica, elevar
oeta vorrebbe, in grazia della musica, elevare il tuono del quartetto
che
non può essere che parlante. Questo pezzo concert
razia della musica, elevare il tuono del quartetto che non può essere
che
parlante. Questo pezzo concertato abbraccia 34 ve
Torni nel nostro core… Osm. Torni d’un padre al core… a 4 La calma
che
perdè. Quattro personaggi che interrompono il p
rni d’un padre al core… a 4 La calma che perdè. Quattro personaggi
che
interrompono il proprio sentimento o per volontà,
mpono il proprio sentimento o per volontà, o per inciviltà reciproca,
che
attendono ciascuno alla sua volta il parlar dell’
a, che attendono ciascuno alla sua volta il parlar dell’altro a metà,
che
conchiudono in coro con un sol verso comune venut
n sol verso comune venuto in mente a tanti ; rassembra quello appunto
che
si riprende in certe scene finali degli Spagnuoli
prende in certe scene finali degli Spagnuoli del secolo XVII. Si dirà
che
altri ancora l’ha fatto ; ma si domanda, se con r
atto ; ma si domanda, se con ragione e proprietà drammatica ? Si dirà
che
la musica anche oggi astringa la poesia a tradir
censori severi di Zeno e Metastasio ? Cessino dunque codesti censori
che
non sanno far meglio, e piggiorano ad occhio, ces
Viene Atelvolto nella scena quarta e s’incontra con Elfrida, e prima
che
nel recitativo si snervi la passione dopo cinque
e Atelvolto. Ed ella : Come ! minacci me con tal funesto presagio più
che
te stesso. Le dice al fine Non ti smarrir, son t
Atelvolto di voler passar seco alquanti di, e veder la sposa. Orgando
che
ito era, al dir di Evelina, sin dalla scena setti
allontana per prevenire Elfrida ; ma dopo otto versi recitati dal re
che
parte, egli ritorna senza perchè nel medesimo luo
rovare insieme. La loro scena è appassionata, malgrado di un terzetto
che
vi si trova alla prima, il quale colle sentenze e
car Elfrida, e lo spettatore per le troppe esitazioni del marito. Ciò
che
rende la scena importante è il segreto che a lei
esitazioni del marito. Ciò che rende la scena importante è il segreto
che
a lei palesa dell’inganno fatto al re. L’uditorio
ell’inganno fatto al re. L’uditorio resta sospeso sulla deliberazione
che
prenderà Elfrida. Segue altra mutazione di scena
me ha pur fatto nella prima, a far riflessioni di antiquario dicendo,
che
probabilmente le regine colà vissero un tempo rem
eroso al certo !) contro del padre Evelina e le compagne, nella guisa
che
fanno le ninfe fuggendo da’satiri. La bellezza di
endo da’satiri. La bellezza di Elfrida incanta il re, il quale ordina
che
si chiami Adelvolto, cui rimprovera il tradimento
un tremendo Della giustizia sua celebre esempio. Adelvolto risponde
che
si difenderà sol per onore di Orgando. Il re dice
sio nella Semiramide, Olà, si dia della battaglia il segno. È vero
che
le parole che lo compongono appartengono a tutti
ramide, Olà, si dia della battaglia il segno. È vero che le parole
che
lo compongono appartengono a tutti ; ma così infi
l’ingiustizia della pugna. Edgardo dice, questa è la legge, ed ordina
che
le s’impedisca il passo. Elfrida che finora ha mo
ce, questa è la legge, ed ordina che le s’impedisca il passo. Elfrida
che
finora ha mostrato affetto e virtù, ma non già pr
on già prodezza guerriera, divenuta un’amazzone impone al suo seguito
che
spezzi la barriera, e si avanza sino alla loggia
da’ vassalli del marito. Ma questi vassalli essere altri non possono
che
villani del ritiro campestre di Adelvolto. Or par
ono che villani del ritiro campestre di Adelvolto. Or pare verisimile
che
dovessero osar tanto in faccia al re circondato d
sistere all’attentato della barriera, di circondare i combattenti. Ma
che
pro ? Elfrida è già sulla carriera delle Camille
o per cantare un’aria di diciotto versi, la quale arresta la rapidità
che
quì l’azione richiedeva, e fa rimanere il re e tu
otesse rimanere ozioso in tal punto. L’azione naturalmente richiedeva
che
Elfrida dopo il suo attentato avesse atteso senza
tato avesse atteso senza indugio a ritirarsi altrove con lui, non già
che
si fermasse nelle sue stanze. Ciò che non ha fatt
irarsi altrove con lui, non già che si fermasse nelle sue stanze. Ciò
che
non ha fatto per iscelta, è obbligata a proporlo,
Morremo insieme. Ciò parmi patetico e nobile. In vece però di dirsi
che
un marmo istesso in un eterno amplesso gli chiude
sso in un eterno amplesso gli chiuderà, ed in vece di quell’urna sola
che
confonderà le loro ceneri, espressioni fredde, co
più utile alla musica. Poteva p. e. esprimersi con calore il pensiero
che
dee angustiare Adelvolto per aver egli formata l’
essioni, in cambio di quell’eterno amplesso nel marmo e di quell’urna
che
vale la stessa cosa esangue ed alla musica infrut
alla musica infruttuosa. Resta Elfrida, e viene il re, cui ella dice
che
seguirà lo sposo. Edgardo risponde che nol permet
, e viene il re, cui ella dice che seguirà lo sposo. Edgardo risponde
che
nol permetterà Orgando ; e le offre il trono e la
si da un re, il quale ha sempre in bocca, questa è la legge, proporre
che
ella diventi sposa di due mariti. Viene il padre,
ifestato il suo disegno al marito nella scena quinta ; è venuto il re
che
è presente, ed ella col re se n’è spiegato nella
l re se n’è spiegato nella scena sesta ; or chi l’ha detto ad Orgando
che
arriva nella settima ? Il poeta che il sapeva. Il
ta ; or chi l’ha detto ad Orgando che arriva nella settima ? Il poeta
che
il sapeva. Il re contristato rimprovera Elfrida,
ida, e dopo un’aria di diciotto versi verbosa certo e con ripetizioni
che
potevano risparmiarsi, parte. Nella scena 8 la st
cena 8 la stessa premura di Orgando, la stessa resistenza di Elfrida,
che
produce un duetto. Ma il padre ? dice Orgando, E
il Calsabigi l’ha piggiorato, o reso meno armonico. Que’ critici poi
che
riprendono lo stil metastasiano come prosaico ed
se prosa simile trovisi in Metastasio : Soltanto mi sgomenta, padre,
che
un giorno avrai del barbaro mio stato pietà rimor
o pietà rimorso e orror . Mentre Elfrida vuol partire, arriva Edgardo
che
ne impedisce la fuga, ed Orgando che torna per ri
ida vuol partire, arriva Edgardo che ne impedisce la fuga, ed Orgando
che
torna per rimproverare alla figlia il poco amore
fuga, ed Orgando che torna per rimproverare alla figlia il poco amore
che
ha per lui, e vuol separarla dal marito, la cui n
pezzo di musica concertato, in cui Adelvolto risnonde appena da parte
che
è smarrito l’imbelle suo cor, ed Ormondo e Siveno
e suo cor, ed Ormondo e Siveno altri due personaggi egualmente nulli (
che
nol dicendo il poeta è da credere che sien venuti
ue personaggi egualmente nulli (che nol dicendo il poeta è da credere
che
sien venuti fuori col seguito di Edgardo) articol
articolano la sola parola tremo. Edgardo in grazia dì Elfrida accorda
che
Adelvolto resti, ma lo sottomette al giudizio de’
da accorda che Adelvolto resti, ma lo sottomette al giudizio de’ Pari
che
ben sa Elfrida che sia giudizio di sangue. Ma che
volto resti, ma lo sottomette al giudizio de’ Pari che ben sa Elfrida
che
sia giudizio di sangue. Ma che grazia è questa ch
l giudizio de’ Pari che ben sa Elfrida che sia giudizio di sangue. Ma
che
grazia è questa che l’esenta dall’esiglio e gli f
che ben sa Elfrida che sia giudizio di sangue. Ma che grazia è questa
che
l’esenta dall’esiglio e gli fa correre un pericol
sse a chiudersi alla Trappa) addio mondo, addio consorte, non respiro
che
morte. Con ciò il poeta vuol che s’intraveda il d
o mondo, addio consorte, non respiro che morte. Con ciò il poeta vuol
che
s’intraveda il disegno che egli ha di morire. Or
n respiro che morte. Con ciò il poeta vuol che s’intraveda il disegno
che
egli ha di morire. Or non era bene di prepararsi
rio al primo suo scandaloso pensiere di sposare la moglie di un altro
che
ancor vive, aggiugne, Superbo Son io di averti a
ltro che ancor vive, aggiugne, Superbo Son io di averti amato, e più
che
t’amo, Più apprezzo me : di te non sono indegno ;
or, morì Adelvolto. Ed in una breve strofetta da cantarsi si accenna
che
Adelvolto avea un pugnale ascoso, che gridò, Elfr
trofetta da cantarsi si accenna che Adelvolto avea un pugnale ascoso,
che
gridò, Elfrida, se l’immerse nel seno, e spirò. E
Orgando la trattiene ; ella tramortisce. Lodevole in tale dramma si è
che
non vi sono freddi episodici amori subalterni, no
balterni, non arie di concetti e comparazioni liriche, non scelleratí
che
precipitano gli eroi nell’infelicità. L’azione va
to di Elfrida. Il disviluppo segue acconciamente con que’ pochi versi
che
dal canto possono ricevere espressione e calore.
gnor Herbert, cui è dedicato. Costui lo loda, e trova in esso (parole
che
gli presta l’autore) più estro, più calore che in
trova in esso (parole che gli presta l’autore) più estro, più calore
che
in qualunque altro scritto all’età dell’autore da
ll’Andromaca, dalla Merope, dalla Nitocri ec. Ec. Non vi sarà un solo
che
ponga accanto, non dico alle nominate, ma all’ult
dotta non si può meglio. Io vò fargli grazia del preparata e condotta
che
non si può meglio, a dispetto di quanto se n’è os
può meglio, a dispetto di quanto se n’è osservato. Ma come passargli
che
sia nuova la catastrofe ? Calsabigi finse ignorar
come passargli che sia nuova la catastrofe ? Calsabigi finse ignorare
che
il far trovar morto il reo dopo la grazia ottenut
ottenuta appartiene all’autore della Inès de Castro ? Finse ignorare
che
fu ripetuta nell’Agnese dal Colomès ? Finse ignor
nse ignorare che fu ripetuta nell’Agnese dal Colomès ? Finse ignorare
che
il Pagano la trascrisso ancora nel Gerbino ? Or c
3 nell’Elfrida ? L’altra tragedia in musica del Calsabigi è l’Elvira
che
si recitò nel carnevale del 1794. Il pubblico dis
chiarò malcontento nell’ edizione fattane a proprie spese. Egli disse
che
la sua opera fu pregiudicata nella condotta e nel
arne la solenne caduta con asserzioni non vere. Si vedrà dal parlarne
che
faremo sulla stessa edizione dell’autore, e recan
mo sulla stessa edizione dell’autore, e recando in note le variazioni
che
vi si fecero nel rappresentarsi. Si aggira su gli
; or si concederanno le additate figure e tinte liriche al Calsabigi
che
ci promette per là musica tragedie vere ? Nella
usica tragedie vere ? Nella scena 2 viene Osmida secondo confidente,
che
dopo questa scena sparisce, e solo interviene nel
Valeva ciò la pena di moltiplicare i personaggi con un Osmida inutile
che
parla in una sola scena ? Tratto tragico. Egli è
coll’ esploratore Osmida tira a se poco l’attenzione dello spettatore
che
brama l’incontro degli amanti. Verte poi siffatta
. Verte poi siffatta scena su fatti tutti noti a i due confidenti ; a
che
dunque rivangarli ? Per informarne l’uditorio con
machevoli ! Gli amanti tornano a farsi vedere, e benedicono il giorno
che
si videro. Elvira dice, ne’ fati è scritto il nos
Che roba, caro Calsabigi ! dirò valendomi della gentile esclamazione
che
usaste in disprezzo dell’ altissimo poeta Metasta
saste in disprezzo dell’ altissimo poeta Metastasio. Lasciam da parte
che
ciò dee parer prosa a chi la trova ne’ drammi del
parer prosa a chi la trova ne’ drammi del Romano poeta : lasciam pure
che
lo stile tragico schiva simili leziosaggini ; com
re i genii benefici del cielo in compagnia de’ confidenti. Di maniera
che
queste prime scene possono acconciamente chiamars
imanendo in iscena. Aggiorna e si muta la scena, e l’istesso Ricimero
che
parlava nel giardino, si trova in discorso inoltr
oi appartamenti. Se non vogliano contarsi tra’ personaggi i falegnami
che
eseguiscono le mutazioni, la scena è rimasta vota
due luoghi di Apollonio Tianeo(a). Mentre parlano Ricimero e Odorico,
che
l’ esorta a non disgustar la figlia, e quegli rip
da soffrir, viene Almonte a presentare ad Odorico un foglio sospetto
che
dice di aver trovato in terra. È un foglio amoros
tto. Elvira innocente nega di esser suo colla franchezza della verità
che
basterebbe a dissipare ogni dubbio nel padre, put
erti drammi suppongono gli autori un patto tacito, per cui si accorda
che
un innocente accusato dee tenersi per colpevole,
n dato, e poi con impeto li discaccia inseguendoli ; e ciò vorrà dire
che
se essi non son presti a farsi indietro, ella tra
aputo trasformarè il dramma in musica in vera tragedia. Buon per essi
che
Odorico, senza saper perchè, torna in tempo, ed E
r perchè, torna in tempo, ed Elvira si ritira con modestia. Tutto ciò
che
canta Odorico ed Elvira si vuol leggere nel dramm
ne Calsabigiana. Partito il padre ella dice piangendo, vedete mirate (
che
debbono essere due azioni distinte) godete… esult
nte di fuggire, di passare alla sala delle udienze, di veder Adallano
che
viene a parlar solennemente a Odorico, e di recar
Elvira. Odorico risponde di aver di lei già disposto. Adallano chiede
che
Elvira disponga di se stessa : sfida Ricimero, e
lce dice nella Semiramide, Se in campo armato Vuoi cimentarmi, Vieni
che
il fato Fra l’ire e l’armi La gran contesa Decide
a adorarle nel tempo stesso nel calcarle, in vece di mordere il piede
che
le stampa. Calsabigi però nella seconda parte per
ico volendo leggere nel cuore di Elvira le dice con maniere di padre,
che
vorrebbe che ella si determinasse a scegliere lo
eggere nel cuore di Elvira le dice con maniere di padre, che vorrebbe
che
ella si determinasse a scegliere lo sposo tra Ric
a, dubita, indi si tien ferma in celare il suo cuore. Odorico prende,
che
più ? il carattere di falso e finto e mostra di c
o prende, che più ? il carattere di falso e finto e mostra di credere
che
ella a Ricimero s’inclini. Elvira al fine cede e
o effetto ! Elvira ricusa. Duettino fra i due di espressioni generali
che
ben remoto attaccamento hanno col soggetto della
scena. Veggasi poi quanto naturali sieno gli avvolgimenti di concetti
che
non possono raccapezzarsi che all’ultimo verso co
rali sieno gli avvolgimenti di concetti che non possono raccapezzarsi
che
all’ultimo verso comune a due. Veggasi se verisim
tà, Non odio, non furor… Ma ella non può conchiudere, perchè convien
che
attenda il parlar di Adallano pronto già ad inter
udirsi questi due versi, non si saprà se reggano o sone retti. Lascio
che
questi nienti di pura galanteria riempiono tutta
ette la custodia delle mura a Ricimero ; ma prima, senza nuovo motivo
che
affretti la sua deliberazione, vuol che si congiu
ma prima, senza nuovo motivo che affretti la sua deliberazione, vuol
che
si congiunga con Elvira di cui non ignora le ripu
Elvira il comando. Odorico non mostra nè saviezza nè costanza in ciò
che
delibera ; e queste nozzecosi a buon tempo affret
ace nel Catone. Ma qual distanza infinita trall’importanza del motivo
che
spinge Catone a richiederle, ed il puro capriccio
nza del motivo che spinge Catone a richiederle, ed il puro capriccio,
che
muove Odorico ! Uno scimione differiscemeno dall’
! Uno scimione differiscemeno dall’uomo. Ricimero ne parla ad Elvira
che
lo discaccia co’ soliti rimproveri. Talvolta l’az
ccia co’ soliti rimproveri. Talvolta l’azione in questo dramma sembra
che
retroceda in vece digire innanzi, o che avanzi a
zione in questo dramma sembra che retroceda in vece digire innanzi, o
che
avanzi a passi di testudine(a). Scena 7. Sera. O
le sue squadre. Or come di sera, in quel luogo co’ suoi domestici ? A
che
vi è ito egli ? Più. Quando lo spettatore attende
nde e grandemente condotta ! Vengono Almonte e Ricimero ad annunziare
che
non si trova Elvira, aggiungendo colle loro solit
che non si trova Elvira, aggiungendo colle loro solite note critiche,
che
forse è fuggita con Adallano. Correte… andate… ve
fatto dramma cosa alcuna importante. Prima di passar oltre si osservi
che
nella scena quarta facendo Adallano premura perch
erchè Elvira fuggisse seco, ella ricusò di assentire, e solo profferì
che
Elvira sarebbe di Adallano, se il padre si facess
itto dire, non è seguito, perché Odorico ha soltanto detto a Ricimero
che
la voleva sposa di lui, e che gliene recasse il c
hé Odorico ha soltanto detto a Ricimero che la voleva sposa di lui, e
che
gliene recasse il comando. Ricimero ciò disse ad
e recasse il comando. Ricimero ciò disse ad Elvira, e di suo aggiunse
che
il padre minacciava, e compiangendola dice di più
dell’occorso ? Vedrà il lettore se pertali operazioni basti il tempo
che
s’impiega in profferir quaranta parole. Ma già si
ono di guerra del bosco viene un guerriero sconosciuto tutto coperto,
che
dice ad Almonte e Ricimero, fermate. Chi sei ? gl
voi due malvagi discorda in numero con accusasti e offendesti. E vero
che
con idiotismo fiorentino si dice volgarmente a un
are. Ricimero vuol ferirlo ; ma eccoti un altro gnerriero sconosciuto
che
ne ribatte il colpo, gli fa cader la spada, e gli
cavatina in tre, e la discaccia. Almonte con fretta viene a riferire
che
morì Adallano. Ma Almonte è un noto impostore ; s
a. Altro quartetto, in cui per riempitivo entrano Ricimero ed Almonte
che
dicono Quale di nere tenebre Sole offuscato e to
Le blanche chiome avvolgere Mi sento in fronte ; maniera veramente
che
non plenamente esprime il diriguere comae Virgili
i intorno al letto, altri neri panni (forse più leggieri) svolazzanti
che
pendono a festoni dalla volta, lampada unica che
eggieri) svolazzanti che pendono a festoni dalla volta, lampada unica
che
dà debol lume lugubre sinfonia. Tutto questo appa
pettro sanguinoso, scena nuova ; ma passi ancora. Ella dice, Spettro
che
pallido E sanguinoso, Prendi l’effigie Del caro s
a aspira, Per esser simile Morendo a te. Se ad altro ella non aspira
che
ad imbrattarsi di sangue, non è la cosa più polit
non è nè la più difficile nè la più funesta del mondo. Ella vuol dire
che
si accinge a versare il proprio sangue ed a segui
scena ; e non finirebbe mai se non passasse ad un pensiero eterogeneo
che
la fa discendere dall’ immaginazione alla realità
la dice allo spettro : Tu non ci sei (nel mondo) e va bene ciò ; ma
che
luogo può avere in tali suoi pensieri quel che si
do) e va bene ciò ; ma che luogo può avere in tali suoi pensieri quel
che
si legge ne’ seguenti sette versi ? Io non somig
li, perfidi, altieri Mortali abbominevoli. Non sono Fra quell’ iniqui
che
una dolce calma Godono fra’delitti : ed han saput
isimiglianza sopravvenire ad Elvira occupata d’uno spettro sanguinoso
che
rappresenta l’ucciso marito ? Hanno esse nulla ch
spettro sanguinoso che rappresenta l’ucciso marito ? Hanno esse nulla
che
si affà colla morte di Adallano, col dolore di El
di Elvira ?(a). Viene Ricimero a gettarsi a’ suoi piedi, e le avvisa
che
il padre è ferito, ma lievemente da uno strale, c
iedi, e le avvisa che il padre è ferito, ma lievemente da uno strale,
che
tutto a lui perdona, tutto obblia, e la vuole con
lia, e la vuole con se negli estremi suoi giorni. Incresce ad Elvira,
che
sia egli di ciò il messaggiero. Ricimero affetta
per determinarla a sopravvivere alla perdita di Adallano ; quindi fa
che
comparisca bisognoso di appoggio, tutto intento a
ne’ tre primi versi, e quell’infelice vegliante in sen ben può dirsi
che
stiavi a pigione, benchè comprendo che l’autore a
vegliante in sen ben può dirsi che stiavi a pigione, benchè comprendo
che
l’autore avrebbe voluto dire che quel contrasto s
e stiavi a pigione, benchè comprendo che l’autore avrebbe voluto dire
che
quel contrasto sarà perlormentarla incessantement
nar di nuovo tumultuoso clamore, ed ecco Adallano bello e sano e vivo
che
conduce Almonte legato. Tutti stupiscono ; egli r
fatale, e di avere ad arte forse annunziata la di lui morte. Aggiugne
che
Ricimero è morto e che forse Almonte lo svenò per
rte forse annunziata la di lui morte. Aggiugne che Ricimero è morto e
che
forse Almonte lo svenò per occultare le sue frodi
vira diventi sua moglie. Ed il buon vecchio mentendo un poco gli dice
che
del primo suo rifiuto fu causa un cieco errore ;
che del primo suo rifiuto fu causa un cieco errore ; e dice ad Elvira
che
Adallano sia suo consorte e di lui figlio, illust
te, degli avi miei. Adallano in verità avrebbe potuto dire ad Odorico
che
a lui stesso (sc. Io ut. I) egli avea negato il s
gnazione e disprezzo. Ed Elvira altresi poteva dir sottovoce al padre
che
si ricordasse di averlo chiamato barbaro e che la
dir sottovoce al padre che si ricordasse di averlo chiamato barbaro e
che
la scelta di lei offendeva l’onoré degli avi (sc.
partorito un grazioso effetto. A quanto ne abbiamo divisato, e al più
che
per fuggir noja omettiamo, si scorge che l’Elvira
e abbiamo divisato, e al più che per fuggir noja omettiamo, si scorge
che
l’Elvira non rivedrà mai più le scene. Il piano è
ale, poco convenienti per una tragedia, non animati da veruno eroismo
che
gli elevi. Ripetizioni di pensieri, di situazioni
eseguita e premiata con tutto il buon successo. Tutto ciò è l’Elvira
che
morì nascendo ad onta delle note eccellenti del c
nta delle note eccellenti del cav. Paisiello. Chi avrebbe mai creduto
che
nel cader del secolo XVIII le scene di Napoli dov
re sacro e poeta esimio Bernardo Maria Valera cappuccino di Lanciano,
che
si legge nel I tomo delle di lui Poesie impresse
. Nel Vasto l’anno 1760 si cantò l’azione sacra intitolata Abigaille,
che
fu nel medesimo anno impressa in Chieti. Otto ann
Chieti. Otto anni dopo nella stessa città s’impresse Mosè pargoletto
che
si recitò colla musica dell’esimio di lui compatr
inato per le orme paterne. Nel nostro Gran Teatro reale di San-Carlo,
che
sventuratamente è ben lontano dal più rivedere i
ino maestro napoletano. Passiamo alla Danza, ed alla Musica. La Danza
che
oggi forma una parte non indifferente dell’Opera,
nza che oggi forma una parte non indifferente dell’Opera, e la Musica
che
la costituisce tale insieme colla Poesia, nel XVI
contrade uscirono i primi musici legislatori, e i più celebri maestri
che
insegnarono a congiungere con verità sulle scene
no a congiungere con verità sulle scene la Poesia e la Musica. Vero è
che
i Tedeschi vantansi meritamente di Hayden, Huber,
Gluck e dell’armonioso Back, del fecondo e vivace Mayer, e del Vogler
che
si distinse nel Demofoonte. Ma gli spagnuoli che
Mayer, e del Vogler che si distinse nel Demofoonte. Ma gli spagnuoli
che
ebbero già un Ramos e un Salinas e un Morales, no
pagnuoli che ebbero già un Ramos e un Salinas e un Morales, non parmi
che
contarono altri riputati maestri dopo che Rodrigu
nas e un Morales, non parmi che contarono altri riputati maestri dopo
che
Rodriguez de Hita pose in musica la meschina Bris
ety e Mehul, de’ quali non sono sconosciuti i pregi. Non è però certo
che
essi abbiano potuto gareggiare co’ maestri Italia
o, e se ne attendono sempre più eccellenti. Ma ci si permetta di dire
che
la copia de’ maestri musici che dalle nostre regi
eccellenti. Ma ci si permetta di dire che la copia de’ maestri musici
che
dalle nostre regioni inviaronsi oltramonti, è sta
lla, l’armonico Logroscino, l’immortale Jommelli, il celebre Piccinni
che
produsse la felice rivoluzione nella musica in Pa
e almeno una gran parte de’ figli di Partenope ? Contentiamoci di ciò
che
confessò l’Inglese autore del Parallelo della con
e autore del Parallelo della condizione e della facoltà degli uomini,
che
la perfezione di sì bell’arte è confinata nella p
saprai creare ; e gli occhi altrui ti renderanno ben tosto il pianto
che
ti avranno fatto versare i tuoi maestri. Ma se le
e ti lasciano in calma, se non hai nè delirio nè trasporto, se in ciò
che
dee rapirti tu non trovi che del bello ; osi tu d
n hai nè delirio nè trasporto, se in ciò che dee rapirti tu non trovi
che
del bello ; osi tu domandare che cosa è Genio ? U
in ciò che dee rapirti tu non trovi che del bello ; osi tu domandare
che
cosa è Genio ? Uomo volgare, non profanar questo
che cosa è Genio ? Uomo volgare, non profanar questo nome sublime ; e
che
t’importerebbe il conoscerlo ? Tu nol sentiresti
li teatrali. Il nostro secolo filosofico calcolatore non permette
che
s’ignorino in angolo veruno dell’ Europa le princ
in angolo veruno dell’ Europa le principali regole del verisimile, nè
che
si sprezzino se non da’ mentecatti. Chi in tanta
filosofico semplicemente predomini e tutta riempia la mente per modo
che
paga del metodo e dell’ analisi non attenda ad ar
isi non attenda ad arricchir la fantasia e a fomentar l’ardor poetico
che
d’immagini si nutre, questo spirito compassato ag
il gusto. Non so se quindi solo derivi quella rincrescevole decadenza
che
non può negarsi che si osservi nelle belle arti ;
quindi solo derivi quella rincrescevole decadenza che non può negarsi
che
si osservi nelle belle arti ; certo agli occhi og
ti ; certo agli occhi oggi salta meno l’abbondanza de’ grandi artisti
che
de’ calcolatori, degl’invidi sofisti, de’ falsi-l
i drammi regolari, e si rifiuta in generale la buffoneria grossolana
che
una volta viregnava. Ma Weiss, Klopstoch, Lessing
na volta viregnava. Ma Weiss, Klopstoch, Lessing, Iffland hanno emoli
che
gli superino, che gli rettifichino, che gli si ap
. Ma Weiss, Klopstoch, Lessing, Iffland hanno emoli che gli superino,
che
gli rettifichino, che gli si appressino ? Una man
Lessing, Iffland hanno emoli che gli superino, che gli rettifichino,
che
gli si appressino ? Una manifesta decadenza osser
o di Londra il dotto abate Arnaud. » Non vi si rappresentano (diceva)
che
le antiche favole, alcune insipide imitazioni del
o il ministero sotto Giorgio II fu denunziata alla Camera de’ Comuni,
che
propose un bill per soggettare gli scenici compon
Conte di Chesterfield pronunziò un eccellente discorso contro il bill
che
però passò in legge. Contuttociò sul teatro di Fo
sche notizie de’teatri della Gran Brettagna. Nella Spagna ecco quello
che
si è osservato sinora in ciascun anno ne’téatri d
mpigliani contro del Napoli-Signorelli) chi avrebbe potuto immaginare
che
vi si rappresentasse senza interruzione di sainet
inetti e tonadiglie la Faustina ? E rappresentata chi avrebbe sperato
che
si ripetesse seguitamente sette volte nel teatro
ntinaja di anni, e l’Origine dell’ Ordine Carmelitano di Antonio Bazo
che
contiene un titolo che non finisce mai, e un’azio
igine dell’ Ordine Carmelitano di Antonio Bazo che contiene un titolo
che
non finisce mai, e un’azione di 1300 anni, cioè d
colo, havvi più un solo comico ? Monache disperate, gelosi arrabbiati
che
danno a mangiare alle spose i cuori de’loro amant
he danno a mangiare alle spose i cuori de’loro amanti, uomini dabbene
che
vanno a rubare in istrada e son destinati al pati
Laudantur et algent. Cedono ad una lugubre prosa soporifera ; ond’ è
che
Voltaire scriveva all’ Imperadore della Cina, che
soporifera ; ond’ è che Voltaire scriveva all’ Imperadore della Cina,
che
oggi in Francia Le tragique ètonnè de sa metamor
te della smania di mostrar de l’esprit a costo del buon senso, e quel
che
è peggio, una certa chiamata filosofia armata com
agliati con intrepidezza per insultare o coprir di ridicolo tutto ciò
che
non sa d’empietà dichiarata. Or come rompersi que
questa folla impenetrabile da Chenier, da Arnaud, da Carion de Nisas,
che
apparve e sì ascose, e da Collin d’Harleville e P
i per involarglieli ; non manca nè di tragedie nè di commedie. E vero
che
la gallica peste lagrimante spazia ed infetta i c
la gallica peste lagrimante spazia ed infetta i commedianti Lombardi
che
la portano intorno, ed illude qualche elegante sc
de qualche elegante scrittore innocente e qualche lavorator periodico
che
in essa giurano alla cieca. Ma invano si affannan
altro militano gloriosamente sotto il vessillo di Talia. Egli è vero
che
ci manca un degno seguace di Metastasio ; ma il t
ai i Giraldi Cintii i Torquati i Manfredi e un Aminta e un Pastorfido
che
furono senza esempio e i Macchiavelli gli Ariosti
degli Huerta e de’ Sherlock : Weiss Lessing Klopstock nella Germania
che
dopo un lungo spazio si risveglia al fine e mira
gna invidia, o gli apologisti con occhiali colorati ? o i gazzettieri
che
militano alla Svizzera de’ passati tempi ? o i pl
militano alla Svizzera de’ passati tempi ? o i plagiarii di mestiere
che
aspirano a un nome vivendo di ritagli mal rubati,
esta sola storia, dico, appartiene il giudicar di tanti grand’ingegni
che
vi hanno lavorato da tanti secoli ; ed il suo giu
zio schietto ed imparziale additerà agli artisti nascenti il sentiero
che
mena senza tortuosi giri alla perfezione drammati
n questa schietta storia e questa serena filosofia sa discernere quel
che
può esser bello per un popolo solo e quello che l
ia sa discernere quel che può esser bello per un popolo solo e quello
che
lo sarà per molti ? È questa che non ignora che c
er bello per un popolo solo e quello che lo sarà per molti ? È questa
che
non ignora che ciò che si chiama buon gusto dipen
popolo solo e quello che lo sarà per molti ? È questa che non ignora
che
ciò che si chiama buon gusto dipende unicamente d
solo e quello che lo sarà per molti ? È questa che non ignora che ciò
che
si chiama buon gusto dipende unicamente dalla con
ni culte, non temono gl’insulti degli anni, e posseggono una bellezza
che
si avvicina all’ assoluta. Or non son questi gli
llezza che si avvicina all’ assoluta. Or non son questi gli esemplari
che
dee raccomandare il gusto ? Visono poi certe fars
che dee raccomandare il gusto ? Visono poi certe farsacce buffonesche
che
costano poco e giungono talvolta a far romor gran
spettatori. Ma la Storia pronta a diradar ogni nebbia, gli avvertisce
che
le facili farse romanzesche e i mostri scenici se
bbisso dell’obbio ; là dove il Misantropo e l’Atalia e i componimenti
che
a questi si appressano, non solo sforzano alla pe
giudizio ; ma ricreano la parte più pura e illuminata della società,
che
sono i dotti ben costumati, e possano indi a’ pos
o i dotti ben costumati, e possano indi a’ posteri insieme con quelli
che
scritti furono nella Caverna di Salamina. Ora si
l manoscritto di questo volumetto, si è stimato collocare in una Nota
che
si aggiugne alla pagina 129, linea 15 ciò che ess
o collocare in una Nota che si aggiugne alla pagina 129, linea 15 ciò
che
esso foglio conteneva registrandone la sostanza t
re gli andati pregi delle comiche bellezze musicali i celebri maestri
che
tuttavia ci rimangono, Paisiello, Palma, Fioravan
Pietra Simpatica arricchì delle armoniche sue bellezze qualche farsa
che
niuna speranza per se stessa prometteva nè per di
arrivo in Napoli della giovani esimia cantatrice Margherita Chabrand,
che
ha continuato più anni ad essere la delizia di qu
a rarità della voce e per la felicità e delicatezza dell’ espressione
che
le presta l’intelligenza che possiede de’ prodigi
felicità e delicatezza dell’ espressione che le presta l’intelligenza
che
possiede de’ prodigi della melodia. (a). Vedi
o, nel 1799. (a). Ad altro io non aspiravo (dice nelle sue Memorie)
che
à riformar gli abusi del teatro del mio paèse.
eatro del mio paèse. (a). L’indiscretezza dell’ oscuro folliculario
che
prese il nome di Verace per antifrasi autore del
a italiana ch’egli vede a suo modo, ci obbligò nel 1790 a narrare ciò
che
abbiam taciuto tanti anni, ed oggi non istimiamo
e distribuisce di tal commedia alcune copie fra cavalieri e letterati
che
adornavano quella città. Peccato ! gli fu detto ;
o. Erano gli stessi rispettabili giudici della Deputazione Accademica
che
ciò dicevano concordi ma separatamente. Come, sig
certati di utlicio dal sig. Angelo Mazza segretario della Deputazione
che
in effetto era stata mandata al concorso prima di
parsi. Il riputato conte San-Vitale primo tra’pari nel consesso vuole
che
non sia pregiudicato l’autore ; il rispettabile P
regiudicato l’autore ; il rispettabile Prospero marchese Manara stima
che
se ne informi il Reale Infante : l’erudito conte
incarica d’istruirnelo. L’autore parte da Parma colla speranza almeno
che
sia la sua commedia per esser letta e giudicata c
nte lettera : « Illustrissimo Signore « Accertata la Real Deputazione
che
la commedia di V. S. Illustrissima intitolata la
ri comemnat Olympia ? fu spedita al concorso dell’ anno passato prima
che
uscisse alle stampe, quantunque per una strana co
devole folliculario Verace osa entrare nelle intenzioni di un Sovrano
che
lo smentisce co’fatti ? oltraggiare persone che e
enzioni di un Sovrano che lo smentisce co’fatti ? oltraggiare persone
che
egli non dovrebbe se non rispettare per tutte le
li-Signorelli ? Sapesse almeno codesto pitocco della valle di Elicona
che
cosa sono le favole di Mercier e di Villi, e che
lla valle di Elicona che cosa sono le favole di Mercier e di Villi, e
che
cosa è la Faustina ! Egli è il più deplorabile de
pubblicato in Venezia nel secolo XIX. Ma non mai l’autore ha permesso
che
si pubblicassero per le stampe le sue commedie in
III. (a). V. Eusebio de Praepar. Evan.. lib. X, c. 3. (a). Vedi ciò
che
ne disse m. Dorat, il quale sul Regolo del Metast
aver io sempre giudicato del Cinna e del Tito colla giusta differenza
che
esige la tragedia ed il melodramma, e di non aver
i Andres simprese l’inutil pena di farmene un carico. Chi leggerà ciò
che
egli volle notare, e ciò che io dico, rileverà l’
na di farmene un carico. Chi leggerà ciò che egli volle notare, e ciò
che
io dico, rileverà l’inutile sua pena. Col mio con
io confronto altro io non pretesi se non rilevare l’artifizio diverso
che
richiedono l’opera in musica e la tragedia, per d
a, per distruggere l’imputazione de’ critici ed indicare la necessità
che
ebbe Metastasio di allontanarsi dalla pesta di Co
Italiano sul tragico Francese ? Non ho io senza ambiguità dichiarato
che
all’oggetto di P. Cornelio più non faceva d’uopo
, ma a non imputarmi ciò ch’ egli immagina erroneamente. (a). Mol si
che
ci hanno preceduto (e l’accennai sin dal 1777) in
l’accennai sin dal 1777) in parlar dell’ opera, volende additarci in
che
essa differisca dalla tragedia, reposero tal diff
ieto della favola, nel numero de gli atti e nel verso. Dissi ê ripeto
che
niuna di tali cose mette una differenza essenzial
ll’ opera e la tragedia. Ciò si osservava nel’ Sistema Melodrammatico
che
ho avuto cura di rescrivere e che spero di produr
servava nel’ Sistema Melodrammatico che ho avuto cura di rescrivere e
che
spero di produrre. (a). E perchè anche questo de
terrore, e la compassione. Di qual tempera sarà il cuore dell’Andres
che
pure ha si elegante la penna ? Ma nel giudicar di
al poeta nella propria ristampa dell’ Elvira. (a). Questa cavatina (
che
fu il secondo cambiamento fatto dall’autore nell’
ntazione. E forse fu avviso dello stesso maestro di musica, cui parve
che
dopo un duetto di passione poco gioverebbe una ca
x. (a). Terzo cambiamento de l’autore. Vide forse con rincrescimento
che
nel rappresentarsi si tralasciò nella scena 6 un
el rappresentarsi si tralasciò nella scena 6 un altro pezzo di musica
che
dovea cantarsi da Elvira e Ricimero, e l’autore l
ante, di una Bandi, Bilington, Mingotti p. e. , con una seconda parte
che
soleva disimpegnarsi da qualche musichetto di pri
eva disimpegnarsi da qualche musichetto di prima uscita o da qualche,
che
cantatrice novizia ? Ricimero nell’Elvira si sost
far buono effetto unite. (a). E pure questo è il quarto cambiamento
che
l’autore rimise nella edizione fatta a proprie sp
non v’ ê più mondo, troncandone i sette versi inutili sopraccennati,
che
nocevano alla proprietà ed alla condotta del dram
zione a sue spese. Egli stesso dunque all’errore di pensar tali versi
che
contengono pensieri inutili ed alieni dalle circo
pandoli tutti nella scéna quarta. In prima Odorico chiede alla figlia
che
indugi a morire, per la ragione che egli è vicino
prima Odorico chiede alla figlia che indugi a morire, per la ragione
che
egli è vicino a morire, nell’ originale seguiva u
indicata Ah qual contrasto avrò. Ma nel recitativo si diceva bene ciò
che
nell’aria si ripete e si piggiora : Eterna guerra
e e di vita agiterà l’anima mia : si diceva nel recitativo ; si stimò
che
bastasse, e si tolse l’aria male espressa. L’orgo
antico. Tre pezzi di musica recitati dalle medesime persone nel punto
che
l’azione è vicina a risolversi colla venuta di Ad
ricevuto ad onta di un accidente ridicolo di un vestito dell’actrice
che
rappresentava la Faustina, e conchiude così : Se
Commedia Antica. Frattanto la parte ridicola e satiresca de’ cori
che
precedettero la poesia Tespiana, appartata dalla
errava per li villaggi sotto nome di commedia preso dal vocabolo κομη
che
nel Peloponneso significava la villa, o da κομαζε
nneso significava la villa, o da κομαζειν, banchettare. Ma il diletto
che
quantunque grossolano recava a tutti questo spett
rarne la forma togliendo per esemplare la tragedia. Ed osservando poi
che
questa si arricchiva ne’ poemi eroici di Omero, v
na, salsa e graziosa del di lui Margite. Vennero allora in tanta fama
che
furono chiamati e ammessi a rappresentare in citt
azioni necessarie pel Coro (Nota XVII). Così quelle notturne querele,
che
secondo lo scoliaste d’Aristofane i villani oppre
i avvocati de’ loro diritti offesi, ed il magistrato Ateniese permise
che
si pubblicassero i loro oltraggi in teatro, ed an
ritania citata da Ateneo nel quarto libro, saremmo forse meno di quel
che
siamo incerti in molte cose necessarie per illust
ntanto limiteremo le nostre cure a rilevare quelle notizie più sicure
che
appaghino la curiosità e rischiarino sobriamente
da Rullo o Nullo e da Magnete. Aristotile però nella Poetica ci dice,
che
i Megaresi di Sicilia pretesero che Epicarmo foss
otile però nella Poetica ci dice, che i Megaresi di Sicilia pretesero
che
Epicarmo fosse stato l’inventore della commedia r
tesero che Epicarmo fosse stato l’inventore della commedia regolare e
che
di non poco spazio preceduto fosse a Connida e a
fosse a Connida e a Magnete. Fiorì Epicarmo insigne filosofo non meno
che
comico illustre in Siracusa a’ tempi di Gerone il
raccolse quaranta titoli, anzi dal racconto del medesimo Suida deduce
che
ne avesse prodotte intorno a cinquantadue. A cagi
di Niobe, Busiri, Filottete, Prometeo, Pirra, Atalanta, i Persi ecc.
che
si registrano tralle favole di Epicarmo, volle Ma
u più antico di Omero. A’ giorni di Sannirione e di Filillio si vuole
che
scrivesse Diocle Ateniese o Fliasio. I titoli che
i Filillio si vuole che scrivesse Diocle Ateniese o Fliasio. I titoli
che
ci rimangono delle di lui favole sono: Talatta no
qualche picciolo frammento della commedia intitolata Antiope, Efippo
che
scrisse una commedia intitolata Saffo, e Frinico
tolata Saffo, e Frinico comico più volte motteggiato da Aristofane, e
che
fiorì verso l’olimpiade LXXXVI. Alceo comico figl
icone, nella quale si satireggiavano Omero e i poeti tragici. Cratino
che
visse novantasette anni, fu seguito e imitato da
mmedia antica però ricevè tutta la perfezione dall’Attico Aristofane,
che
sempre colla grazia e colle facezie temperava l’a
zie temperava l’amarezza della satira. Osserviamo intanto in generale
che
l’emulazione de’ poeti, la natura del governo e l
ubblica Ateniese diedero a questo genere di commedia i pregi e i vizj
che
la caratterizzano. Ebbero appena i comici imitand
a i comici imitando i tragici data forma e disposizione al lor poema,
che
gonfj della riuscita presero a gareggiare co’ lor
ell’ uguaglianza ambirono di sovrastare, e per iscemare l’ammirazione
che
sino a quel punto aveano riscossa i loro emoli, v
i alcuni leggieri maliziosi cangiamenti. In ciò consisteva la parodia
che
fu l’anima della commedia antica. La vittoria si
tica. La vittoria si dichiarò per gli comici, se ad altro non si miri
che
al pregio dell’ invenzione e al piacere prodotto
ndogli del timore, potentissimo freno delle passioni eccessive. Atene
che
trovavasi in sì alto punto di prosperità, e per c
tà, e per conseguenza di moral corruzione, mirò senza orrore il fiele
che
sgorgava da questo fonte, si compiacque della ind
il fiele che sgorgava da questo fonte, si compiacque della indecenza
che
vi regnava, vedendovi il ritratto fedele de’ suoi
vi il ritratto fedele de’ suoi costumi, e applaudì a quella malignità
che
mortificava i potenti che essa abborriva, e i vir
suoi costumi, e applaudì a quella malignità che mortificava i potenti
che
essa abborriva, e i virtuosi che la facevano arro
malignità che mortificava i potenti che essa abborriva, e i virtuosi
che
la facevano arrossire. Qual maraviglia adunque ch
riva, e i virtuosi che la facevano arrossire. Qual maraviglia adunque
che
i comici insolentissero a segno non che d’insulta
sire. Qual maraviglia adunque che i comici insolentissero a segno non
che
d’insultare i Cleoni poderosi, ma di offender Per
re empiamente la religione, e di rimproverare a tutti i cittadini ciò
che
leggesi nel dialogo tenuto nelle Nuvole dal Ragio
elle Nuvole dal Ragionar Dritto e dal Torto93? Risulta da queste cose
che
ciò che ora chiamiamo commedia, non rassomiglia p
ole dal Ragionar Dritto e dal Torto93? Risulta da queste cose che ciò
che
ora chiamiamo commedia, non rassomiglia punto all
per baldanza si allontana da ogni favola comica moderna. I frammenti
che
ci rimangono de’ primi comici, non basterebbero a
tica necessaria delle Vite di Plutarco e della guerra del Peloponneso
che
durò ventisette anni, e che fu così stringatament
i Plutarco e della guerra del Peloponneso che durò ventisette anni, e
che
fu così stringatamente e con tanto politico saper
ca, il presentare ad essa qualche estratto un poco più circostanziato
che
non feci nella Storia impressa nel 1777, delle fa
che vedute, e tal conosenza de’ costumi e dello stato degli Ateniesi,
che
, mal grado delle bassezze e delle oscenità, piace
e, impressavi con caratteri indelebili. Ma la commedia principalmente
che
dipinge per gli spettatori presenti e non per gli
fficoltà diletta nelle scene nazionali senza notabili cangiamenti. Or
che
diverrà di una Greca di ventidue secoli indietro,
censori di tutta l’antichità. Mai abbastanza a costoro non si ripete
che
il tuono decisivo e inconsiderato è quello della
ipete che il tuono decisivo e inconsiderato è quello della fatuità, e
che
debbono apprendere e ritenere, per sovvenirsene n
debbono apprendere e ritenere, per sovvenirsene nelle loro decisioni,
che
questo Aristofane era un Ateniese, e che fioriva
irsene nelle loro decisioni, che questo Aristofane era un Ateniese, e
che
fioriva sul principio del quarto secolo di Roma n
olo frammento, come dell’Anfiarao e del Cocalo; e delle undici intere
che
ne rimangono, son questi i nomi: la Pace, i Caval
Vespe, il Pluto. La Pace (Ειρηνης). Nulla pruova con maggior evidenza
che
nel comico teatro de’ Greci agitavansi le quistio
Del sale comico di questa favola il lettore prenderà diletto a misura
che
si avvezzerà all’artificio dell’allegoria. Trigeo
questo Greco Don-Chisciotte cercano rimoverlo dal proposito, temendo
che
si abbia a rompere il collo, o che ne divenga mat
o rimoverlo dal proposito, temendo che si abbia a rompere il collo, o
che
ne divenga matto del tutto. Tu cascherai nel mare
urio gli domanda chi sia. Sono, dice, Trigeo Atmoneo buon vignajuolo,
che
non sono nè spione nè ladro. Mercurio gli dice ch
o buon vignajuolo, che non sono nè spione nè ladro. Mercurio gli dice
che
se vuol parlare a Giove, è venuto a mal tempo, es
sponde Mercurio) per non veder combattere i Greci, nè ascoltar quelli
che
gli porgono suppliche. Aggiugne che per la loro o
ttere i Greci, nè ascoltar quelli che gli porgono suppliche. Aggiugne
che
per la loro ostinazione essi non vedranno più la
. Aggiugne che per la loro ostinazione essi non vedranno più la Pace,
che
dalla Guerra è stata gettata in una profonda spel
r. O Megara, Megara, tu sarai tosto schiacciata. Trig. Oimè, oimè,
che
la Guerra annunzia grandissimi guai a’ Megaresi!
finge di non trovarne nè presso gli Ateniesi, nè presso i Lacedemoni,
che
l’hanno prestato a’ Traci. Entratasene la Guerra,
on tutto ciò la più vaga allegoria di questa favola consiste nel Coro
che
fa sforzi grandi, tirando alcune corde per ismuov
e fa sforzi grandi, tirando alcune corde per ismuovere le gran pietre
che
chiudono la bocca della caverna, senza punto avan
tirano da un lato, altri dall’ opposto, e si ritarda l’esecuzione; il
che
allude alle discordie delle città Greche, per le
politica e di commercio. Tutti ne gongolano, e Mercurio fa osservare
che
le città prima miseramente saccheggiate durando l
utar la dea. Dopo il canto egli vuol sapere da Mercurio, onde avvenne
che
la Pace abbandonò la Grecia? Mercurio ne dà la pr
entimento di Megara, e in questa guisa destò un incendio così grande,
che
tutti i Greci per lo fummo ne lagrimavano, tutte
gloria. Rammenta come egli sia stato il primo ad acchetare gli uomini
che
contendevano, si calunniavano e combattevano per
lici, poltroni, ingannatori, come altresì que’ servi sempre piangenti
che
mostrano le piaghe ricevute e le lividure del bas
trano le piaghe ricevute e le lividure del bastone. Da ciò si ricava,
che
quanto i comici Latini dicevano di se e de’ poeti
tifizio, e comincia a predicare e mostrare di esser volontà degli dei
che
non si cessasse dal guerreggiare avanti che il lu
i esser volontà degli dei che non si cessasse dal guerreggiare avanti
che
il lupo menasse in moglie una pecora. Altercando
il lupo menasse in moglie una pecora. Altercando con Trigeo asserisce
che
non potrà mai farsi che un gambero cammini dritto
e una pecora. Altercando con Trigeo asserisce che non potrà mai farsi
che
un gambero cammini dritto, che un guscio di casta
igeo asserisce che non potrà mai farsi che un gambero cammini dritto,
che
un guscio di castagna non sia irsuto, e nega di p
Ognuno vede quanto graziosamente quì si ridicolizzi l’aria di oracolo
che
prendono gl’ impostori, profferendo con affettata
entenze enimmatiche e concetti oscuri. Ognuno vi apprende con diletto
che
il linguaggio dell’ impostura è sempre misterioso
ponde lepidamente: Trig. No amico, non possiamo fartene parte prima
che
il lupo meni moglie. Jer. Vi supplico. Trig.
Il ribattere le altrui parole è un artificio scenico pieno di sale
che
sempre riesce vivace e dilettevole e ne’ gravi e
, di corsaletti, di lance e di trombe guerriere, vengono a lamentarsi
che
muojono di fame nella pace, e i contadini gli der
effetti partoriti dalla pace non possono vedersi eseguiti nel giorno
che
si pubblica. In oltre Trigeo dice appena di voler
che si pubblica. In oltre Trigeo dice appena di voler andare in cielo
che
vi si trova: appena vuol tornar fra’ suoi, che pa
voler andare in cielo che vi si trova: appena vuol tornar fra’ suoi,
che
parla alla sua famiglia. Nè anche l’unità del luo
poscia in certe balze. Vi si trovano ancora varie immagini schifose,
che
svegliano idee di sporcizie puzzolenti da fuggirs
svegliano idee di sporcizie puzzolenti da fuggirsi da ogni scrittore
che
sa rispettare il pubblico. Il lettore sagace lasc
lettore sagace lascerà tali difetti e bassezze al popolaccio Ateniese
che
le tollerava, e si appiglierà solo alle molte fin
solo alle molte finezze comiche, delle quali abbonda la Pace non meno
che
al buon senno e all’amor patriotico che vi campeg
uali abbonda la Pace non meno che al buon senno e all’amor patriotico
che
vi campeggia. Ma che censura è quella dell’erudit
non meno che al buon senno e all’amor patriotico che vi campeggia. Ma
che
censura è quella dell’erudito Nisieli94? La pace,
la. Non dice mai una parola, ed è pure il fondamento della favola; or
che
perciò? qual convenienza, qual regola in questo s
ò a casa senza farmi toccare: mi metterò la vesta del più vago colore
che
mi abbia, mi raffazzonerò, mi farò trovare gaja e
catechismo, come può dedursi dalla sola esposizione dall’argomento. E
che
laido catechismo non sarebbe la sfacciata e sozza
ace. Di passaggio in questa commedia è motteggiato Pisandro (Nota XX)
che
per avere occasione di rubare il pubblico danajo,
io. Espone poscia la loro imperizia nel concionare. Prassagora stessa
che
se ne fa capo e sembra la meno sciocca, aringa st
ringa stranamente valendosi de’ più ridicoli argomenti nel dimostrare
che
per migliorar la città debba concedersene alle do
ostretto a venir fuori da un bisogno naturale, per fare in piazza ciò
che
la decenza prescrive di farsi nel più segreto del
espressamente in istrada per siffatte cose? Di più se è di notte, sì
che
non possa esser veduto, ond’è che sopravviene un
atte cose? Di più se è di notte, sì che non possa esser veduto, ond’è
che
sopravviene un altro che lo ravvisa? e che vede i
notte, sì che non possa esser veduto, ond’è che sopravviene un altro
che
lo ravvisa? e che vede il colore della veste che
possa esser veduto, ond’è che sopravviene un altro che lo ravvisa? e
che
vede il colore della veste che ha indosso? Non pa
sopravviene un altro che lo ravvisa? e che vede il colore della veste
che
ha indosso? Non parlando ora dell’indecenza di ta
lta coloro, cui incresce il nostro rispetto verso la dotta antichità,
che
noi in quest’opera collo spirito d’imparzialità c
dotta antichità, che noi in quest’opera collo spirito d’imparzialità
che
ne governa e con giusto sforzo (non so se felice)
bel fiore per ispirare il buon gusto, e di osservarne anche i difetti
che
potrebbero guastarlo: differenti in ciò totalment
bero guastarlo: differenti in ciò totalmente da certi moderni pedanti
che
si fanno gloria di esagerare tutti i difetti degl
bellezze. Blepiro adunque con naturale ma schifosa dipintura, e quel
che
è peggio, inutile per l’azione, si dispera per no
lui saputa. Ella si discolpa col pretesto di avere assistito un’amica
che
volea partorire. Intende poi dal medesimo marito
minio della città. Ecco l’oggetto del poeta, far vedere gli sconcerti
che
ne seguirebbero. Prassagora che se ne rallegra, a
o del poeta, far vedere gli sconcerti che ne seguirebbero. Prassagora
che
se ne rallegra, afferma che in tal guisa se ne co
sconcerti che ne seguirebbero. Prassagora che se ne rallegra, afferma
che
in tal guisa se ne correggeranno gli errori, e ne
nazione prendere il sostentamento di ciascuno; perocchè non mi piace
che
uno straricchisca, mentre un altro manca del biso
i piace che uno straricchisca, mentre un altro manca del bisognevole:
che
uno possegga moltissima terra, intanto che un alt
tro manca del bisognevole: che uno possegga moltissima terra, intanto
che
un altro non ne abbia pure una spanna per esservi
ntanto che un altro non ne abbia pure una spanna per esservi sepolto:
che
uno sia circondato da una folla di schiavi e un a
Ella non eccettua da questa comunità nè anche le donne. Se le oppone
che
tutti vorranno attaccarsi alle più belle. Ma a qu
i avrà prima trattenute le più sparute e le vecchie. Si oppone ancora
che
non si conosceranno i figliuoli di ciascuno. Ma q
: Questo progetto suole in ogni paese trovarsi nella bocca de’ poveri
che
non posseggono, per invidia de’ ricchi e per rinc
nella bocca le quistioni politiche, e per distruggere i pregiudizj sì
che
i volgari vi si ammaestrino senza tediarsi della
strino senza tediarsi della lezione! Uno de’ principali inconvenienti
che
il poeta mette in vista, è che molti avvezzi a po
ione! Uno de’ principali inconvenienti che il poeta mette in vista, è
che
molti avvezzi a possedere non vorranno spogliarsi
liarsi del proprio e defrauderanno il pubblico. L’altro inconveniente
che
subito manifesta la stranezza del progetto, nasce
della precedente, e secondo gl’ intelligenti lo stile è più sollevato
che
nelle altre, e si avvicina al tragico. Vi sono no
a vivente contro le accuse delle donne satireggiate da questo tragico
che
quì vien motteggiato a tutto potere. Atto I. Mnes
mitazione del padrone: Osservate, o popoli, un silenzio religioso ora
che
il coro delle muse disceso nel gabinetto del mio
ato della di lui attillatura e mollezza, Donde sei (gli domanda) o tu
che
non sembri uomo del tutto? quale è la tua patria?
i domanda) o tu che non sembri uomo del tutto? quale è la tua patria?
che
foggia di vestire adopri tu? che vivere ambiguo?
mo del tutto? quale è la tua patria? che foggia di vestire adopri tu?
che
vivere ambiguo? come accoppi tu lo specchio e la
ri tu? che vivere ambiguo? come accoppi tu lo specchio e la spada? di
che
spezie sei tu? parla: hai tutto quello che sta be
lo specchio e la spada? di che spezie sei tu? parla: hai tutto quello
che
sta bene ad uomo? Tu sembri allevato come una don
a donna; ma dove sono le poppe? Questo tragico assettatuzzo risponde,
che
un poeta aver debbe i costumi convenienti alle fa
o risponde, che un poeta aver debbe i costumi convenienti alle favole
che
maneggia; e chi ne fa delle effemminate, uopo è c
ienti alle favole che maneggia; e chi ne fa delle effemminate, uopo è
che
accomodi se stesso a quei costumi . . . . Ibico,
musica portavano creste femminili e ballavano alla Jonica; e Frinocoo
che
appariscente e vago era, vestiva leggiadramente;
estiva leggiadramente; la natura fruttifica secondo i semi. Mnesiloco
che
è alquanto buffone risponde: Perciò dunque Filocl
ide accusato come nemico delle donne. Agatone se ne scusa, ed è forza
che
il solo Mnesiloco tolga sopra di se l’ impresa. E
mposto di donne insieme col banditore invoca le deità tutte, pregando
che
muoja di mala morte colui che tende insidie al po
nditore invoca le deità tutte, pregando che muoja di mala morte colui
che
tende insidie al popolo, o che maltratta le donne
pregando che muoja di mala morte colui che tende insidie al popolo, o
che
maltratta le donne, o che fa tregua o amicizia co
morte colui che tende insidie al popolo, o che maltratta le donne, o
che
fa tregua o amicizia con Euripide, o che pensa di
o che maltratta le donne, o che fa tregua o amicizia con Euripide, o
che
pensa di farsi tiranno della patria, o che manife
o amicizia con Euripide, o che pensa di farsi tiranno della patria, o
che
manifesta qualche donna che espone un fanciullo,
he pensa di farsi tiranno della patria, o che manifesta qualche donna
che
espone un fanciullo, o la serva ruffiana che sver
manifesta qualche donna che espone un fanciullo, o la serva ruffiana
che
svergogna il padrone, o la messaggiera bugiarda c
la serva ruffiana che svergogna il padrone, o la messaggiera bugiarda
che
porta notizie e speranze false, o quell’indegno c
saggiera bugiarda che porta notizie e speranze false, o quell’indegno
che
inganna e non paga le donne, o la meretrice che t
alse, o quell’indegno che inganna e non paga le donne, o la meretrice
che
tradisce il drudo, o le vecchiarde che regalano i
paga le donne, o la meretrice che tradisce il drudo, o le vecchiarde
che
regalano i loro mercenarj amanti. Atto II. Il ban
icj donneschi da lui propalati. Un’ altra donna l’accusa di ateismo e
che
coll’aver negato l’esistenza degli dei, ella che
’accusa di ateismo e che coll’aver negato l’esistenza degli dei, ella
che
vender solea ghirlande per gli sacrifizj, dopo le
li sacrifizj, dopo le di lui tragedie, non vende la metà delle corone
che
prima vendeva. Appresso levasi Mnesiloco, e contr
e. Tale aringa solleva l’assemblea femminile contro la finta oratrice
che
vien minacciata di esser pelata col fuoco. Contin
everaggi apprestati ai mariti per farli impazzire ed altro. Il romore
che
eccita questa maligna orazione, è sospeso dall’ a
di lui costumi) il quale fa sapere alle donne di aver udito nel foro
che
Euripide ha inviato nel tempio di Cerere il vecch
dovea risultare dal movimento di tutta l’adunanza, e dalle diligenze
che
faceva il coro per accertarsi, se altri vi fusse
suocero di Euripide non so come si sviluppa e si distriga dalle donne
che
lo custodiscono, e strappata dalle braccia di una
facendo forie una parodia di qualche scena tragica, No, dice, non sia
che
mai più tu allatti questa fanciulla, se non sono
sono lasciato in libertà; con questo ferro le taglierò le vene, farò
che
ne sgorghi tutto il sangue e ne rosseggi quest’ar
rgomento per inveire contro l’ebrezza e intemperanza donnesca. Quello
che
rende più satirico e piacevole questo colpo teatr
a. Quello che rende più satirico e piacevole questo colpo teatrale, è
che
l’ azione si rappresenta nel terzo giorno delle T
ipide in forma di Menelao, e la scena è tragica e graziosa. Tutto ciò
che
vedesi sul teatro, viene da essi adattato alla st
ravvisarsi e riconoscersi. Ecco un dialogo ed un’ agnizione tragica,
che
accompagnata dalla parodia e caricata con azione
produrre sì piacevole effetto sulle scene Ateniesi. La donna intanto
che
custodisce il colpevole, annunzia la venuta di un
to V. Euripide non comparisce più, ed il suocero freme. Si avvede poi
che
di lontano gli fa qualche cenno, dal quale intend
ualche cenno, dal quale intende (per altro con poca verisimilitudine)
che
vuole che si finga Andromeda. Euripide torna vest
no, dal quale intende (per altro con poca verisimilitudine) che vuole
che
si finga Andromeda. Euripide torna vestito da Ecc
ci. Euripide la consola. Chi sei tu? gli dice Andromeda. Io sono Ecco
che
ripete i suoni e le parole; e seguita la scena de
uesto nuovo travestimento nasce un nuovo passaggio tragico. E’ chiaro
che
tutte queste trasformazioni tendevano a contraffa
ie più rinomate. Il coro invoca Pallade, ed Euripide dice alle donne,
che
se vogliono venir seco a patti, e liberar Mnesilo
di non dir mai più male di loro. Le donne sono di accordo, ma temono
che
il custode abbia ad opporsi; al che Euripide si t
donne sono di accordo, ma temono che il custode abbia ad opporsi; al
che
Euripide si traveste per l’ultima volta da una ve
elle trasformazioni degli zanni scemano di pregio in ragion del tempo
che
va tramezzandosi fra essa ed il comico. Anche in
ta Cesareo (nel capitolo V dell’Estratto della Poetica di Aristotile)
che
l’ azione incomincia in istrada, poi passa, conti
figuri, come agevolmente poteva eseguirsi nel vasto teatro Ateniese,
che
comprendesse due membri, de’ quali l’uno rapprese
, e si finge molto poltrone, per deridere probabilmente qualche poeta
che
era mal riuscito a vestire e a caratterizzare il
zzare il figliuolo di Alcmena. Bacco in compagnia di Santia suo servo
che
porta alcuni vasi, il letto ed altro, batte alla
lcuni vasi, il letto ed altro, batte alla porta di Ercole, e gli dice
che
in leggendo l’Antromeda di Euripide erasi invogli
si invogliato di trarre questo tragico dall’inferno ed averlo seco. E
che
vuoi tu farne? gli dice Ercole: Bac. Vò che rit
ferno ed averlo seco. E che vuoi tu farne? gli dice Ercole: Bac. Vò
che
ritorni al mondo, perchè i tragici che vi sono ri
ne? gli dice Ercole: Bac. Vò che ritorni al mondo, perchè i tragici
che
vi sono rimasti, sono ignoranti. Erc. Tutti ign
. Erc. Tutti ignoranti? Ma non vive Jofone? Bac. Questo è l’unico
che
sia passabile; ma non so dire ove ei sia. Erc.
glio portar què Sofocle anteriore ad Euripide? Bac. Io non vò altri
che
Euripide, perchè un furbo, com’ egli è, saprà con
chè un furbo, com’ egli è, saprà contribuire dalla sua banda a far sì
che
io possa agevolmente condurlo meco. Erc. Ed Aga
Mi ha lasciato questo poetino tanto desiderato dagli amici. Erc. In
che
parte sarà andato? Bac. Nel convito de’ beati.
ragedie e sono più loquaci di Euripide? Bac. Sono tutti cianciatori
che
fanno vergogna al mestiere. Questo squarcio ne
o vergogna al mestiere. Questo squarcio ne dà la storia de’ tragici
che
sopravvissero a Sofocle, fra’ quali, al dir di Ar
li, al dir di Aristofane, il meno cattivo era Jofone. Bacco poi vuole
che
Ercole gl’ insegni la via da calare speditamente
rcole gl’ insegni la via da calare speditamente all’inferno; ma vuole
che
gliene additi una che non sia nè troppo calda nè
ia da calare speditamente all’inferno; ma vuole che gliene additi una
che
non sia nè troppo calda nè troppo fredda: Erc.
andarti giuso, vi andrai. Bac. Dove? Erc. Abbasso. Bac. Tu vuoi
che
ti rompa la testa. Io non vò miga andar per siffa
r per siffatte vie. Erc. E perchè? Bac. Perchè vò gire per quella
che
tu facesti. Erc. Oh! per quella avrai molto tra
oboli. Bac. Oh oh! anche nell’inferno hanno forza le monete? Ma in
che
modo vi andasti tu? Erc. Mi guidò Teseo ecc.
idò Teseo ecc. Ercole gli dice poi tutto il cammino e le difficoltà
che
incontrerà e parte. Bacco rimane fermo nel propos
ppellirsi, e gli domandano, se voglia portar que’ vasi; il morto dice
che
gli porterà per due dramme. Due dramme a Bacco se
nvengono, e s’incamminano soli senza cercar di altri. Trovano Caronte
che
ammette solo Bacco nella sua barca, e Santia è co
uto tutte le cose accennate da Ercole. Santia risponde di no, e stima
che
le abbia dette per ispaventarlo; ma egli è bravo,
sa in questo luogo la descrizione dell’Empusa, o sia della Fantasima,
che
per ventura possiamo far conoscere colla versione
la versione dell’eruditissimo Signor Abate Cesarotti95: San. Zitto,
che
non so che d’intorno rombami. Bac. Dove? San.
dell’eruditissimo Signor Abate Cesarotti95: San. Zitto, che non so
che
d’intorno rombami. Bac. Dove? San. Dietro le
Bac. Oimè! questa è l’Empusa! San. Affè ch’io credolo. Ve’ ve’
che
il viso come bragia avvampale, E una gamba ha d
lodi di Bacco, e dice quali sono i perversi, i furfanti, i traditori,
che
debbono star lontani da i cori sacerdotali. Qui c
e, e si annunzia per Ercole. Ercole? (risponde Eaco furibondo), colui
che
rubò il nostro cane Cerbero? Bacco s’impaurisce e
o? Bacco s’impaurisce e prende il partito di cangiar vesti con Santia
che
mostra più coraggio di lui. Ma viene una fantesca
erne, riprende la clava e la pelle di leone. Vengono però altri servi
che
lo prendono per un rubatore, ed egli dice a Santi
rò altri servi che lo prendono per un rubatore, ed egli dice a Santia
che
torni ad esser Ercole. Torna Eaco, e per sapere q
essi due è il ladro e quale Ercole, immagina questo espediente: colui
che
soffrirà le bastonate senza dar segno di dolore,
lli e degli arlecchini, ma è vivace e ridicola. Un pianto, uno sdegno
che
convenga occultare, un riso o dissimulato o sforz
ga occultare, un riso o dissimulato o sforzato, ogni affetto in somma
che
sia conosciuto dallo spettatore, ma che si debba
orzato, ogni affetto in somma che sia conosciuto dallo spettatore, ma
che
si debba reprimere, produce in teatro un effetto
a quale havvi tra’ morti un gran contrasto. E’ una legge dell’inferno
che
il più eccellente in un’ arte occupi la sede di P
ccupi la sede di Plutone, pronto a cederla a un altro di maggior nome
che
sopravvenga: E perchè dunque (dice Santia) Esch
è stato ancora discacciato? Eac. No, ma il popolo grida, e pretende
che
si esamini qual de’ due sia il più insigne. San.
ende che si esamini qual de’ due sia il più insigne. San. E Plutone
che
cosa ha deliberato? Eac. Farne l’esame. San.
mano ad Eschilo, lo baciò, e non volle aspirare al trono . . . . Ora
che
sa che si contende pel primato, ha risoluto di co
d Eschilo, lo baciò, e non volle aspirare al trono . . . . Ora che sa
che
si contende pel primato, ha risoluto di confermar
pel primato, ha risoluto di confermare ad Eschilo la cessione in caso
che
rimanga vincitore; se poi egli perda, fa conto di
ingiuriandosi. Bacco cerca di farli acchetare. Non è dovere, ei dice,
che
poeti, uomini di lettere, si vituperino, e dicans
ni di lettere, si vituperino, e dicansi villanie come due donnicciule
che
vendono del pane. Eschilo protesta di aver pena d
isputa. Euripide in prima taccia l’emulo come superbo: gli rimprovera
che
in lui il coro solea guastar l’ordine del canto,
ole strane ignote agli spettatori. A quest’ultima cosa Bacco aggiugne
che
in fatti egli avea un’ intera notte vegliato, per
aggiugne che in fatti egli avea un’ intera notte vegliato, per sapere
che
mai fosse un Equigallo. Ma a ciò Eschilo risponde
sse un Equigallo. Ma a ciò Eschilo risponde: O ignorantissimo, impara
che
questa era una dipintura capricciosa fatta sulle
a capricciosa fatta sulle navi. Segue Euripide: Non ho fatto io così,
che
avendo ricevuta l’arte da te che eri gonfio e pie
egue Euripide: Non ho fatto io così, che avendo ricevuta l’arte da te
che
eri gonfio e pieno di jattanza, e che adopravi pa
he avendo ricevuta l’arte da te che eri gonfio e pieno di jattanza, e
che
adopravi parole inintelligibili, primieramente l’
n linguaggio più umano, più naturale, più adattato alle varie persone
che
imitai. Son io (soggiugne) che ho insegnato a par
urale, più adattato alle varie persone che imitai. Son io (soggiugne)
che
ho insegnato a parlare agli Ateniesi: son io che
. Son io (soggiugne) che ho insegnato a parlare agli Ateniesi: son io
che
ho fatto discepoli migliori de’ tuoi; perochè tu
: son io che ho fatto discepoli migliori de’ tuoi; perochè tu non hai
che
Formisio, Menegeto, e Sarcasmo, ed io ho Clitofon
all’incontro di buoni gli hai fatti divenire scellerati. Non così io
che
in vece di renderli sofisti, ciarloni, astuti com
, astuti come tu, gli ho fatti generosi e inclinati all’armi, di modo
che
chiunque ha veduti i Tebani, ha desiderato esser
o ancora vestiti di abiti tragici, gravi e assai più nobili di quelli
che
comunemente usiamo; dovechè tu distruggendo quest
censura de’ canti o sia della musica apposta alla loro poesia. Sembra
che
Euripide ripetendo uno squarcio di qualche dramma
la cantilena di Euripide Ei ei ei ei. Tali critiche benchè esagerate
che
Aristofane mette in bocca ai due tragici, ci cons
pportate. In fine Bacco pone questi emuli a un nuovo cimento, volendo
che
profferiscano a vicenda un verso, per esaminare q
ito, prendendo la parola peso materialmente, e dando la palma a colui
che
nomina in esso cose più gravi. Giudice siffatto d
hilo, il quale si accinge a tornar tra’ vivi; ma prima dice a Plutone
che
conceda la sede tragica a Sofocle, affinchè gliel
conceda la sede tragica a Sofocle, affinchè gliela conservi, in caso
che
dovesse egli ritornare all’inferno, non istimando
sorio, ed il fondamento della sentenza pronunziata da Bacco manifesta
che
Aristofane volle burlarsi di ambedue, benchè con
ritica s’impara il sito dell’inferno de’ Greci. Sarebbe a desiderarsi
che
i critici in ogni censura domandassero a se stess
censura domandassero a se stessi, a qual genere appartiene la favola
che
io esamino? La maggior parte delle osservazioni d
rvazioni di questo erudito contro Aristofane svanisce al considerarsi
che
egli volle misurare le di lui favole colla squadr
diede agli Ateniesi oziosi materia di ragionare anche due mesi prima
che
l’autore ottenesse la licenza di porla in teatro.
e grazie e l’artifizio senza detestarla, altro far non bisogna se non
che
al nome del virtuoso Socrate che astiosamente vi
starla, altro far non bisogna se non che al nome del virtuoso Socrate
che
astiosamente vi è malmenato, sostituirne un altro
che impostore malvagio corruttore della gioventù. Non fu già vero ciò
che
s’imputò al poeta, cioè di essere stato subornato
iscemò punto per la rappresentazione delle Nuvole. Può ben dirsi però
che
in essa il comico temerario osò attaccare la stes
ecento. Sappiamo dall’altra parte da Eliano accusatore di Aristofane,
che
Socrate non frequentava i teatri ed il Pireo, se
ico più abborrito da Aristofane. Sappiamo ancora dal medesimo Eliano,
che
Socrate affatto non apprezzava i comici poeti, od
ν της κωμωδιας ην αυτῶ τα ἀσπὲρματα, e queste cose (cioè il disprezzo
che
facea Socrate de’ comici maledici) furono ancora
) furono ancora l’origine della commedia di Aristofane. Tutto l’altro
che
aggiugne della subornazione, non ha fondamento is
eri da piacere in tutti i tempi nelle più colte città: una donna vana
che
dameggia, un figliuolo di un villano che fa da ca
colte città: una donna vana che dameggia, un figliuolo di un villano
che
fa da cavaliere e si occupa di carrette (ed ora d
rozze) a due, a quattro ed a sei cavalli, e un contadino mal accasato
che
a suo dispetto si tratta da gentiluomo e si caric
rimonio disuguale cominciarono a buon’ ora le discordie de’ consorti,
che
Strepsiade va rivangando nella prima scena. Il pr
rivangando nella prima scena. Il primo contrasto avvenne per lo nome
che
portar dovea il figliuolo. Io voleva chiamarlo Fi
lo. Io voleva chiamarlo Fidonnide dal nome dell’avolo, ed ella voleva
che
il nome terminasse in ippo, che dinota nobiltà e
e dal nome dell’avolo, ed ella voleva che il nome terminasse in ippo,
che
dinota nobiltà e generosità 96, e si chiamasse o
to figliuolo e accarezzandolo diceva: E quando, o caro, verrà quel dì
che
tu fatto grande condurrai il cocchio in città com
iù veri nè di più vaghi. Con questi principj materni non è maraviglia
che
il figliuolo sia cresciuto con inclinazione al lu
ciò ne darà motivo in appresso di ammirare l’arte del poeta. Gli dice
che
bisogna mutar vita e costumi, mettere da banda la
e egli stesso a studiare. Batte alla porta di Socrate, e un discepolo
che
viene a veder chi picchia, lo sgrida perchè ha in
Questo solo colpo di pennello manifesta subito lo spirito della casa;
che
se il servo o discepolo affetta tanto l’uomo d’in
il servo o discepolo affetta tanto l’uomo d’ingegno e di conseguenza,
che
sarà il padrone o maestro? Strepsiade vuol sapere
conseguenza, che sarà il padrone o maestro? Strepsiade vuol sapere in
che
trovisi attualmente occupato il maestro. Ed il di
stro. Ed il discepolo lo prega a conservare il segreto, e gli confida
che
sta misurando quanti de’ proprj piedi una pulce h
ha misurato lo spazio corso nel salto. Strepsiade esclama: O Giove!
che
prodigiosa acutezza! Disc. E che dirai di quest
to. Strepsiade esclama: O Giove! che prodigiosa acutezza! Disc. E
che
dirai di quest’altra? . . . . . Domandato da Cher
se esperienze è giunto a sciorre sì gran problema, e si è assicurato,
che
il canto venga per la parte deretana. Strep. Il
za: ma dove sono gli Aristofani? Il discepolo apre la porta, e sembra
che
Strepsiade sia introdotto nella scuola senza part
al suolo, altri stralunato si affisa al cielo. Osserva indi le statue
che
rappresentano la geometria, e l’astronomia, e i m
Eubea, la Laconia. Vede in fine il maestro Socrate assiso in un cesto
che
sta sospeso, e gli domanda in prima che cosa facc
ro Socrate assiso in un cesto che sta sospeso, e gli domanda in prima
che
cosa faccia in quel cesto. Socrate risponde che e
gli domanda in prima che cosa faccia in quel cesto. Socrate risponde
che
egli va colla mente spaziando per l’aere e medita
e egli va colla mente spaziando per l’aere e meditando sul sole, cosa
che
far non potrebbe se co’ piedi toccasse la terra,
orza di elevarsi alla contemplazione delle cose superiori. Non sembra
che
favelli un cerretano che vada affastellando gran
templazione delle cose superiori. Non sembra che favelli un cerretano
che
vada affastellando gran paroloni ch’egli stesso n
gli studj severi è bene antica, e si perpetuerà massime in que’ paesi
che
sono privi di teatro perfetto, ove possano senza
r gli dei. Che sorte di dei giuri tu? ripiglia Socrate. Tu dei sapere
che
la prima cosa che quì s’insegna, si è che non vi
te di dei giuri tu? ripiglia Socrate. Tu dei sapere che la prima cosa
che
quì s’insegna, si è che non vi sono dei. Ecco le
glia Socrate. Tu dei sapere che la prima cosa che quì s’insegna, si è
che
non vi sono dei. Ecco le conseguenze della falsa
ai Newton a provare l’esistenza di Dio dalle cose fatte97; e la falsa
che
tutto ignora il mirabile magistero dell’universo,
ristofane introdotto con malignità col nome del buon Socrate, insegna
che
non vi sia altro nume fuor delle Nuvole, alle qua
ro delle Nuvole accompagnato o preceduto dallo scoppio del tuono; nel
che
si noti come i comici. Greci si approfittavano di
vorato con forza e arricchito d’immagini poetiche. Strepsiade domanda
che
cosa sono queste Nuvole, e se son regine? No, dic
e se son regine? No, dice Socrate, sono Nuvole celesti, dee sublimi,
che
agli uomini pacifici e studiosi come noi siamo da
ivoci, e contraddire. Vuole indi veder le Nuvole, e Socrate gli dice,
che
si volga verso il monte Parnaso, donde potrà vede
tupisce il candidato, perchè queste Nuvole non rassomigliano a quelle
che
ei suol vedere in aria, avendo queste l’aspetto d
he ei suol vedere in aria, avendo queste l’aspetto donnesco, e quelle
che
volano per l’aria sembrando tanti volumi di lana
nnesco, e quelle che volano per l’aria sembrando tanti volumi di lana
che
ondeggia. O sciocco, gli dice Socrate, non hai tu
auro, a un pardo, a un lupo, a un toro? Esse si trasformano in quello
che
vogliono. Se vedono uno zotico come Senofonte, pr
mone, diventano lupi: se il poltrone Cleonimo, si fanno cervi: ed ora
che
hanno aocchiato l’ effemminato Clistene, si sono
e e nominavano i viventi. Sparge indi il poeta varie empietà, facendo
che
Socrate neghi Giove, per renderlo odioso, giusta
acendo che Socrate neghi Giove, per renderlo odioso, giusta l’oggetto
che
si ha prefisso. Ma Giove, dice Strepsiade, non fu
hè questo? le quercie forse giurano sul falso? Socr. Abbi per certo
che
non vi sono se non se queste tre cose, il caos, l
giudici e deludere i creditori. Le Nuvole gliel promettono ordinando
che
si dia in potere delle loro fantesche e si adatti
a avanti a favellar di se. E’ questo l’equivalente di un vero prologo
che
i Latini premisero alla favola. I Greci però sono
ri chiunque per farlo ragionare, e tra tanti non sarà sembrato strano
che
venisse fuori lo stesso autore come un individuo
ro delle Nuvole si suppone composto di esseri immaginarj, ed il poeta
che
si presenta alla scoperta, pare che ne distrugga
di esseri immaginarj, ed il poeta che si presenta alla scoperta, pare
che
ne distrugga ogni illusione. Che che sia di ciò,
si presenta alla scoperta, pare che ne distrugga ogni illusione. Che
che
sia di ciò, egli parla di se stesso, loda le prop
tepassati; dice di esser questa la migliore delle sue favole, e spera
che
l’uditorio l’accolga benignamente, tanto più che
sue favole, e spera che l’uditorio l’accolga benignamente, tanto più
che
egli è in possesso della sua cortesia, da che non
benignamente, tanto più che egli è in possesso della sua cortesia, da
che
non avendo l’età propria da presentar commedie (r
n avendo l’età propria da presentar commedie (richiedendosi per legge
che
il poeta contasse almeno trent’anni, e, secondo a
produsse una anonima la quale fu ottimamente ricevuta. Spera adunque
che
la presente sia ugualmente accetta, perchè niuna
alvi, non a far dipinture e balli osceni, non a introdurre un vecchio
che
va col bastone percotendo quanto incontra, non a
Io m’ingegno di comporne sempre delle nuove e spiritose con tal cura
che
l’una all’altra non rassomigli. E se una volta ho
se una volta ho battuto Cleone, non torno a saltargli addosso mentre
che
giace in terra. All’incontro gli altri avondo pre
e’ calci. Eupoli nella sua commedia intitolata Marica, altro non fece
che
trasformare la mia che nominai i Cavalieri, e sol
sua commedia intitolata Marica, altro non fece che trasformare la mia
che
nominai i Cavalieri, e solo vi aggiunse una vecch
mia che nominai i Cavalieri, e solo vi aggiunse una vecchia ubbriaca
che
faceva un ballo lascivo, e questa ancora egli tol
lungo coro termina l’atto. Atto II. Socrate adirato contro Strepsiade
che
poco comprende, e nulla ritiene, lo chiama per da
dargli una lezione. La scena è molto salsa e piacevole: Socr. Orsù
che
cosa vuoi tu prima imparare di tante che ne ignor
sa e piacevole: Socr. Orsù che cosa vuoi tu prima imparare di tante
che
ne ignori? Vuoi tu studiare di misure, di parole,
ep. O non è egli tetrametro il semisestario? Socr. Va alle forche,
che
tu sei troppo tondo e grosso. Queste cose non son
no pe’ denti tuoi. Potresti pià tosto imparar di canto. Strep. O o,
che
giovano i canti alla farina? In fine egli si di
solo apparare il modo di persuadere l’ ingiustizia. Socrate replica,
che
prima bisogna apprendere molte altre cose; ma si
tte le fantastiche dettegli dal maestro. Finalmente conoscendo questi
che
per lo capo del vecchio altro non si aggira che i
nte conoscendo questi che per lo capo del vecchio altro non si aggira
che
il non rendere le usure, il persuade a raccorsi i
notte la luna e chiusala in un vaso rotondo me la serbassi? Socr. E
che
ti gioverebbe? Strep. Se non nascesse più la lu
questione: Socr. Se ti fosse scritta una pena di cinque talenti, a
che
modo la scancelleresti tu? Strep. A che modo .
a pena di cinque talenti, a che modo la scancelleresti tu? Strep. A
che
modo . . . a che modo . . .! E’ cosa da cercare .
talenti, a che modo la scancelleresti tu? Strep. A che modo . . . a
che
modo . . .! E’ cosa da cercare . . . Oh! l’ho tro
più in età di apprendere. Strepsiade dice di aver bene un figlio, ma
che
non vuole imparare. Il coro replica che lo costri
ce di aver bene un figlio, ma che non vuole imparare. Il coro replica
che
lo costringa, ed il vecchio va a chiamarlo. Atto
Strepsiade parlando al figlio impiastriccia alla rinfusa tutto quello
che
ha udito da Socrate di gallo, di gallina, di Giov
a tutto quello che ha udito da Socrate di gallo, di gallina, di Giove
che
non esiste, del turbine che regna in sua vece ecc
da Socrate di gallo, di gallina, di Giove che non esiste, del turbine
che
regna in sua vece ecc.; di sorte che il giovane c
iove che non esiste, del turbine che regna in sua vece ecc.; di sorte
che
il giovane crede che il padre sia diventato matto
del turbine che regna in sua vece ecc.; di sorte che il giovane crede
che
il padre sia diventato matto, e sta pensando, se
rza. Strepsiade al fine l’obbliga ad andar da Socrate per imparar ciò
che
è giusto e ingiusto, o almeno solo l’ingiusto. So
ò che è giusto e ingiusto, o almeno solo l’ingiusto. Socrate per fare
che
il giovane impari più facilmente, vuole che ascol
ngiusto. Socrate per fare che il giovane impari più facilmente, vuole
che
ascolti il favellare del Dritto e del Torto. Veng
ascolti il favellare del Dritto e del Torto. Vengono fuori due attori
che
rappresentano questi esseri allegorici, e diconsi
lte ingiurie aspramente altercando. Non v’è giustizia, dice il Torto;
che
se vi fosse, Giove che ha legato il padre, sarebb
altercando. Non v’è giustizia, dice il Torto; che se vi fosse, Giove
che
ha legato il padre, sarebbe stato punito. Il coro
a legato il padre, sarebbe stato punito. Il coro si frappone, e vuole
che
tanto il Dritto che ha insegnato a’ tempi antichi
arebbe stato punito. Il coro si frappone, e vuole che tanto il Dritto
che
ha insegnato a’ tempi antichi, quanto il Torto ch
he tanto il Dritto che ha insegnato a’ tempi antichi, quanto il Torto
che
insegna a’ giorni nostri, dicano pacatamente le l
omo si priva di ogni piacere e delizia della vita. Risponde il Dritto
che
se i giovani prestassero orecchio a ciò che dice
vita. Risponde il Dritto che se i giovani prestassero orecchio a ciò
che
dice il suo nemico, diventerebbero tanti infami c
nterebbero tanti infami cinedi. E se ciò avvenisse, replica il Torto,
che
mal sarebbe? E quì il poeta lancia i più amari e
o a dito nell’uditorio, e dimostra di esser essi in così gran numero,
che
il Dritto stesso si confessa vinto, e passa dalla
tano il popolo a pregiarle e tenerle per dee, mostrandogli i beneficj
che
da loro può ricevere, dispensando a tempo la piov
, dispensando a tempo la piova e la serenità, e i danni all’ incontro
che
gli arrecheranno non essendo da esso onorate. Att
dolo venire) io scorgo nella tuà fronte cert’aria novella d’impudenza
che
non avevi: tu hai un aspetto franco ed un colore
aldanza e sfacciataggine totalmente contraria a quel modesto rossore,
che
, secondo Catone presso Plutarco, è il colore dell
escendo a dismisura all’udire le cavillazioni e le risposte furbesche
che
dà il figliuolo. Si noti che questo Fidippide bal
le cavillazioni e le risposte furbesche che dà il figliuolo. Si noti
che
questo Fidippide baldo, trincato, calunniatore, è
ippide baldo, trincato, calunniatore, è diverso dal Fidippide modesto
che
il poeta maestrevolmente ci presentò nella prima
della corrotta scuola di un falso filosofo. Egli fa trapelare ancora,
che
per l’avvenire questo sfacciato andrà più oltre.
siade, in vece di rispondere congruamente, gli domanda, se pensi egli
che
Giove faccia piovere ognora acqua fresca, o se il
ole attragga a se di bel nuovo l’acqua piovuta? Il creditore risponde
che
nulla sa di ciò, nè cura saperlo. Come dunque (ri
riprende Strepsiade); Or dimmi un poco: il mare è più pieno di quello
che
è stato prima? Io credo (il creditore) che sia se
mare è più pieno di quello che è stato prima? Io credo (il creditore)
che
sia sempre lo stesso. Come? (conchiude il mal pag
gatore) il mare non cresce col concorso di tanti fiumi, e pretendi tu
che
il tuo danajo si aumenti colle usure? E’ adunque
ivenuto sommamente destro a guadagnare i litigj; ma chi sa (aggiugne)
che
il padre non abbia un giorno a piagnere e a desid
piagnere e a desiderare ch’ei fosse mutolo! Atto V. Questo è quello
che
il poeta insegna nell’ultimo atto. Un giovane cos
ini. Egli batte il padre, e colla solita sfrontatezza vuol dimostrare
che
sia ben fatto. Con mille ridicoli sofismi va punt
ia proposizione, e aggiugne, prendendo ad ogni parola nuova baldanza,
che
sia lecito battere la madre ancora. Va scellerato
sti mali. O perchè (replica il vecchio) non mi dicevate allora quello
che
mi dite adesso, in cambio di aggirare e ingannare
i (quelle ripigliano) facciamo sempre così, qualora conosciamo alcuno
che
è inclinato al male, fino a tanto che non lo gett
così, qualora conosciamo alcuno che è inclinato al male, fino a tanto
che
non lo gettiamo in qualche disgrazia per insegnar
i fate del male, ma non senza una spezie di giustizia! Ora mi accorgo
che
bisognava rendere i danari altrui ed esser giusto
i servi, si fa dare una fiaccola e attacca fuoco alla casa di Socrate
che
insegna i delitti, e ingiuria gli dei. Così termi
tofane, e vuolsi perciò detestare come maligno accusatore: il secondo
che
lo renderebbe un nemico del popolo, un distruttor
o avidissimamente ascoltate. E tali e tanti applausi egli ne riportò,
che
fu a pieni voti dichiarato vincitore, e s’impose
rtò, che fu a pieni voti dichiarato vincitore, e s’impose a’ giudici,
che
niun altro nome a quello dell’autore delle Nuvole
osceva in questa favola e si rideva della semplicità di Madama Dacier
che
l’ avea letta quaranta volte 101, si sarebbe egli
che l’ avea letta quaranta volte 101, si sarebbe egli mai immaginato
che
contenesse tante bellezze, e tant’ arte, mal grad
nesse tante bellezze, e tant’ arte, mal grado di alcuni pochi difetti
che
vi si notano, e dell’empia calunnia che la deturp
grado di alcuni pochi difetti che vi si notano, e dell’empia calunnia
che
la deturpa? Ma i Cartaud vogliono aver il piacer
più gli applausi della Grecia, l’arditezza di un comico calunniatore
che
insolentiva contro la probità, o la tranquillità
ore che insolentiva contro la probità, o la tranquillità di un saggio
che
assisteva in piedi alla rappresentazione per fars
riosi? Essi domandavano, chi fosse quel Socrate? Io sono Socrate (par
che
egli dicesse serenamente): vi pare che io sia que
Socrate? Io sono Socrate (par che egli dicesse serenamente): vi pare
che
io sia quel malvagio corruttore che quì si morde?
gli dicesse serenamente): vi pare che io sia quel malvagio corruttore
che
quì si morde? La virtù trionfa della malignità: m
e di fatti particolari, piacevoli senza dubbio per gli contemporanei
che
ne comprendevano l’allusione, ma perduti per gli
nicia dimorante nelle paludi chiamato Fenicottero? Chi l’uccello Medo
che
vaga alteramente per lo monte? Chi quell’uccello
nte? Chi quell’uccello divoratore variamente dipinto? Chi quel Nibbio
che
signoreggiava la Grecia? Chi quel Cucco che domin
dipinto? Chi quel Nibbio che signoreggiava la Grecia? Chi quel Cucco
che
dominava in Egitto e nella Fenicia? Tutte queste
e commedie antiche e dal sapere qual religione professassero i popoli
che
le applaudivano, risulta una delle contradizioni
miscredenti; ma intanto facevano la delizia di Atene certe commedie,
che
inspiravano l’ateismo e l’irreligione. Pistetero
rtato nel regno degli uccelli è una copia de’ viaggiatori progettisti
che
vanno disseminando novità negli altrui paesi per
tili come essi sieno stati i primi regnatori delle regioni abitate, e
che
sieno più degli dei meritevoli di venerazione. Pe
e, e che sieno più degli dei meritevoli di venerazione. Persuade loro
che
imprendano a edificarsi una gran muraglia, ad inn
Esercizj Spirituali al popolo Ateniese. Nel coro si ragiona del caos
che
precedette la creazione. Era prima di ogni altra
l’aere, non il cielo, ma ne’ golfi interminabili dell’erebo la notte,
che
ha le penne negre, partorì un uovo pieno di vento
uccelli di varie spezie, imitava al possibile la fisonomia di coloro
che
si volevano additare e mordere; ed oltre a fare u
carlo cava dalle mani di Pistetero qualche vestito; indi un impostore
che
si spaccia per interprete degli oracoli; appresso
ore che si spaccia per interprete degli oracoli; appresso un geometra
che
pretende misurar l’aria, compartir le strade, mis
Tutti questi oziosi vengono discacciati, come anche uno spione ed uno
che
si spaccia per giureconsulto e venditore di giudi
osi così presto e mostrandosene le conseguenze. Ma si vuo! riflettere
che
non è già una commedia di Menandro o di Moliere o
spedizione minacciata da Giove e dagli altri dei. Viene Iride a dire
che
bisogna sacrificare agli dei. Pist. A quali? I
e bisogna sacrificare agli dei. Pist. A quali? Ir. A quali! A noi
che
siamo dei del cielo. Pist. Voi dei? Ir. Ve ne
ad abitare fra gli Uccelli fortunati, ma ne sono esclusi, un malvagio
che
pensa di poter secoloro percuotere impunemente il
idicolo verseggiatore ditirambico chiamato Cinesia, e un calunniatore
che
vorrebbe le ali per far del male e guadagnare ill
vegga! . . . Dov’è Pistetero? Pist. Che cosa è questa? Chi è costui
che
viene così coperto? Prom. Vedi tu alcuno degli
Chi è costui che viene così coperto? Prom. Vedi tu alcuno degli dei
che
mi seguiti? Pist. Non veggio alcuno io. Ma tu c
zzodì. Ma dico chi sei tu? Prom. Boleto, o Peretero . . . Pist. O
che
mai dì tu! (conoscendolo per Prometeo) Prom. Ch
uomini? Pist. Povero il mio Prometeo! . . . Prom. Taci di grazia,
che
mi scopriranno! Pist. Caro Prometeo, io . . .
possa tutto narrarti, prendi questo parasole, e tienlo sopra di me sì
che
non sia veduto daglì dei. Pist. Ottima invenzio
nza timore. Prom. Odi adunque. Pist. Ti ascolto. Prom. Fa conto
che
Giove sia morto. Pist. Morto! Prom. Morto. P
sacrifica agli dei. ecc. Prometeo prosegue il discorso narrandogli
che
fra poco verranno a lui ambasciatori di pace da p
re l’imperio agli Uccelli e di dare a lui per consorte certa donzella
che
sta presso Giove e dispone di tutto; col quale av
e bravando e minacciando di volere strangolare quell’ ardito ribelle
che
con un muro ha chiuso fuori gli dei. Nettuno gli
ribelle che con un muro ha chiuso fuori gli dei. Nettuno gli ricorda
che
essi vengono per trattar di pace. Si propone in p
di pace. Si propone in prima una tregua, e poi la pace, a condizione
che
Giove e gli Uccelli godano unitamente il dominio
che Giove e gli Uccelli godano unitamente il dominio dell’universo, e
che
Pistetero abbia a congiungersi colla donzella acc
o, e terminano gli esercizj spirituali dell’empietà. In questa favola
che
parmi la più strana e bizzarra e la più irregolar
tterizzati come vespe. Vi si dipinge la follia di Filocleone giudice,
che
mal grado della debolezza della mente pretende tu
enza di Cleone da noi motteggiata. Pur non vo’ lasciare di dirvi cosa
che
forse non vi piacerà, cioè che la commedia satiri
ta. Pur non vo’ lasciare di dirvi cosa che forse non vi piacerà, cioè
che
la commedia satirica è la più giudiziosa e la più
gli riprende il carattere sospettoso degli Ateniesi e il loro costume
che
si andava disusando ed ora torna a venire alla mo
Tutte congiura son, tutte tirannide. Eran già forse cinquant’anni,
che
io Non udiva un tal nome, ora si dà Più a buo
l giudice stravagante s’industria di provare l’autorità e superiorità
che
hanno i giudici nella città esercitando la loro c
nella città esercitando la loro carica, ed il figliuolo vuol provare
che
essi sono meri schiavi. Quest’ultimo riesce più f
estiche occorrenze. E per mantenere in certo modo appagato il vecchio
che
pargoleggia, gli prepara il ridicolo giudizio di
vecchio che pargoleggia, gli prepara il ridicolo giudizio di un cane
che
ha rubato un formaggio di Sicilia. Tutto è ordina
dice mentecatto. Al giudizio precede l’usato sacrifizio agli dei; nel
che
si noti che quasi sempre sul teatro soleva introd
tto. Al giudizio precede l’usato sacrifizio agli dei; nel che si noti
che
quasi sempre sul teatro soleva introdursi la pomp
ato dal padrone del cane. Il giudice per procedere con ordine comanda
che
si prenda la dichiarazione e deposizione del cane
a che si prenda la dichiarazione e deposizione del cane; indi decreta
che
al cane reo sia ficcato dove meglio stia uno stop
i decreta che al cane reo sia ficcato dove meglio stia uno stoppino e
che
si accenda e si consumi l’ oglio a beneficio dell
e minute formalità de’ tribunali, nè anche valersi della piacevolezza
che
nella Greca farsa risulta dal processo allegorico
sa risulta dal processo allegorico, nè introdurvi il cane accusatore,
che
appartiene unicamente alla commedia antica. Oltre
n Racine il reo è veramente un cane, ed il cappone rubato non è altro
che
quel che si dice; là dove in Aristofane il cane r
il reo è veramente un cane, ed il cappone rubato non è altro che quel
che
si dice; là dove in Aristofane il cane rubatore d
ondanna co’principj della commedia nuova ed io sempre dovrei ripetere
che
questa differisce di molto dalla farsa allegorica
el poeta in questa favola denominata da un coro di Equiti o Cavalieri
che
vi s’introduce, fu di fare sul teatro una denunzi
e di lui estorsioni e ruberie. Quale ardire! accusare ridendo un uomo
che
disponea del popolo, come suol dirsi a bacchetta!
riuscì così bene nella favola a svelarne i ladronecci e gli artifizj,
che
il popolo condannò Cleone a pagar cinque talenti,
condannò Cleone a pagar cinque talenti, cioè intorno a tremila scudi
che
furono regalati al poeta. Si finge in questa comm
emila scudi che furono regalati al poeta. Si finge in questa commedia
che
Demostene e Nicia capitani mentovati insieme con
colle quali davasi il sì ed il no nelle deliberazioni) e debole anzi
che
no per la vecchiaja e quasi sordo. Con quale ardi
ltro rispetto, e per lo più con manifesta adulazione anche de’ popoli
che
servono nelle monarchie o nelle aristocrazie. Que
ore di pelli, di nazione Paflagone, calunniatore e ribaldo105. Costui
che
ha ben conosciuto il carattere e la maniera di vi
tutti gli altri schiavi dalla di lui presenza, si fa bello di quello
che
gli altri fanno di buono, accusa e calunnia i com
pazione del carattere di Cleone è giudiziosa e piena d’arte. Un poeta
che
cerchi dirigere l’attenzione di chi ascolta al pr
l loro nemico pensano gli schiavi congiurati di valersi di un oracolo
che
annunzia la rovina di Cleone per mezzo di un vend
i un venditore di salcicce. Agoracrito è tale, ed essi gli persuadono
che
si addossi l’impresa di far fronte a Cleone, e di
n qual modo avverrà tutto questo (domanda Agoracrito), se io non sono
che
un venditor di salcicce? Giusto per questo tu div
il tuo vero merito l’essere odioso, vile, ignorante: anzi è sventura
che
tu conosca, benchè a stento, l’abicì. Ma (il salc
tu conosca, benchè a stento, l’abicì. Ma (il salcicciajo) come volete
che
io sappia il modo di regolarmi nel governare il p
governare il popolo? E Demostene: Non v’ha cosa più agevole. Fa quel
che
fai ora delle tue salcicce; scomponi e rattoppa a
e parolette, a somiglianza de’ cuochi. Animo; nulla a te manca di ciò
che
può rendertelo benevolo; hai la voce chioccia e s
eri non si fa caso. Demostene: Havvi un migliajo di cavalieri dabbene
che
odiano Cleone, e ti ajuteranno; havvi un buon num
no; havvi un buon numero di ottimi discreti cittadini e di spettatori
che
ti proteggeranno, ed io con tutti questi ti spall
proteggeranno, ed io con tutti questi ti spalleggerò. Non temere no;
che
sebbene per la paura che si ha della di lui poten
tutti questi ti spalleggerò. Non temere no; che sebbene per la paura
che
si ha della di lui potenza, niuno degli artefici
inora ha osato di farne la maschera, pure sarà siffattamente imitato,
che
verrà tosto conosciuto, essendo questo teatro pie
tro pieno di spettatori savj e sagaci. Or in queste parole non sembra
che
la finzione tutta svanisca, e si converta in veri
Al comparir di Cleone si sgomenta Agoracrito e vacilla; ma al vedere
che
una parte del coro l’insulta ed oltraggia, ripigl
rte del coro l’insulta ed oltraggia, ripiglia l’ardire non altrimenti
che
Pulcinella divenuto principe a forza e Sganarello
ostro al pari de’ poeti antichi, perchè egli abborrisce que’ medesimi
che
noi detestiamo, e perchè non teme di dire confran
esimi che noi detestiamo, e perchè non teme di dire confranchezza ciò
che
è giusto . . . Egli è vero, che da alcuni di voi,
hè non teme di dire confranchezza ciò che è giusto . . . Egli è vero,
che
da alcuni di voi, o spettatori, gli è stato amich
ò a sostenersi fino alla vecchiaja, perchè cessò di dir male. Cratino
che
meritò sì gran lode, stette in fiore finchè fu mo
n lode, stette in fiore finchè fu mordace; ma perchè ora altro non fa
che
cianciare, si vede andar con una corona secca e m
Pritaneo. E quanto non sofferse dal vostro sdegno il comico Cratete,
che
pure profferiva tante e sì belle e urbane sentenz
perdonate al nostro poeta, e animandolo con applauso strepitoso fate
che
parta lieto dal teatro. Torna Agoracrito vittorio
l popolo, e Agoracrito baldanzoso non ricusa il nuovo cimento. Cleone
che
conosce l’indole del popolo che ama di esser lusi
o non ricusa il nuovo cimento. Cleone che conosce l’indole del popolo
che
ama di esser lusingato con parolette melate, si s
ccio. Pop. E chi mi chiama? Cle. Son io, son desso, il tuo Cleon,
che
a torto Da costui son battuto. Pop. E perchè
moti Da lungo tempo, e di giovarti struggomi. Ecco poi le offerte
che
essi gli fanno a gara: Salc. Oimè, tu siedi in
questo al certo Fu un atto generoso e democratico. Cle. Vedi con
che
moine ei lo si ha compero! Ma 107 non mi vincer
essere stato lungo tempo aggirato da Cleone, e gli ritoglie l’anello
che
aveagli dato, discacciandolo dal suo servizio. L’
onimo, Clistene, Stratone, Cratino comico, Morsimo tragico, e Lisicle
che
succedette a Pericle da mercatante di montoni che
tragico, e Lisicle che succedette a Pericle da mercatante di montoni
che
egli era, e sì buono che il poeta lo nomina per t
uccedette a Pericle da mercatante di montoni che egli era, e sì buono
che
il poeta lo nomina per terzo dopo Cinna e Salabac
ilissimo pizzicagnolo per governatore del popolo Ateniese. Atene però
che
dovea intendersi meglio del Nisieli delle qualità
ntaggi confrontati coi disastri della guerra. Diceopoli, il quale par
che
rappresenti il personaggio del poeta, gode di ave
ticolare per se e per la sua famiglia. Questo Amfiteo tornando avvisa
che
gli Acarnesi lo perseguitano co’ sassi per aver p
o, il di lui ritorno col trattato di pace conchiuso, e le conseguenze
che
ne risultano, sono cose dal poeta aggruppate con
sono cose dal poeta aggruppate con poca verisimiglianza per lo tempo
che
dovrebbe corrervi in una commedia regolare; ma gl
nza per aver procurato di ottenere per se solo la pace. Havvi un coro
che
parla a favore del poeta ed accenna il pericolo c
detto la verità agli Ateniesi accusando Cleone. Vi si trova un colpo
che
caratterizza l’indole di que’ repubblicani amici
puerilità Ateniese. Disbrigatosi Diceopoli felicemente della molestia
che
gli dava il coro per la pace fatta, ne va godendo
questi un povero Megarese, il quale trasforma due sue donne in guisa
che
sembrino porci per farne mercato, e l’esorta a co
ompera. Questa è una scena episodica del comico più basso e triviale,
che
forse per qualche allusione potè allora piacere a
che forse per qualche allusione potè allora piacere agli Ateniesi, e
che
ha dato al Nisieli motivo di declamar fortemente,
cifico fortunato Diceopoli arricchito dal commercio. Il coro riflette
che
a lui tutto va a seconda ed ogni bene corre dietr
ro riflette che a lui tutto va a seconda ed ogni bene corre dietro, e
che
accade il contrario a chi ama la guerra. Diceopol
la copia e la squisitezza de’ cibi, la diligenza e lo zelo di coloro
che
servono, e i preziosi regali che da ogni banda gl
bi, la diligenza e lo zelo di coloro che servono, e i preziosi regali
che
da ogni banda gli vengono tributati. Intanto sopr
na piacevole e artificiosa, nella quale si mostrano le ore tranquille
che
si passano nella pace, e gli agitati momenti dell
itati momenti della vita di chi si trova in guerra. Si avvisa Lamaco,
che
tenga pronte le schiere, perchè i ladroni Beoti m
di volerli assaltare. Si avvisa Diceopoli da parte del sacrificatore
che
venga a cena, tutto essendo pronto, tavole, letti
. Dammi del sale e delle cipolle. Dice. Dammi i miei manicheretti,
che
le cipolle m’increscono, ecc. Così l’inevitabil
evitabile frugalità del soldato contrasta colla dovizia del cittadino
che
gode la pace. Lamaco va a combattere, Diceopoli a
li a cenare e a dormire. Un nuovo nunzio avvisa la famiglia di Lamaco
che
prepari lenzuola, balsami, empiastri, e bende da
Giugne egli stesso lamentandosi e considerando per cordoglio maggiore
che
se Diceopoli il vede così piagato, si riderà di l
eduto, per fare vie più manifesto il suo trionfo si rallegra a misura
che
Lamaco si lamenta. Forse il Nisieli non si avvide
Forse il Nisieli non si avvide di questo artifizio, allorchè asserì,
che
in questa favola era una confusione di cose parte
tutte le favole di Aristofane. Il Pluto (Πλουτος). Quarant’anni dopo
che
Aristofane produsse sotto l’Arconte Diotimo la pr
l modo di migliorare la propria condizione, e al genere di educazione
che
dovrà dare all’unico suo figliuolo. Vuol sapere,
nchè abbia miglior fortuna e più ricchezza del padre. Apollo risponde
che
all’uscir del tempio si ponga a seguitare il prim
pollo risponde che all’uscir del tempio si ponga a seguitare il primo
che
incontri sulla strada non mai abbandonandolo, fin
timore di Giove e Cremilo riprende la di lui pusillanimità: Credi tu
che
i fulmini di Giove saranno più rispettati riacqui
: Credi tu che i fulmini di Giove saranno più rispettati riacquistata
che
avrai la vista? . . . A Giove si sacrifica unicam
a che avrai la vista? . . . A Giove si sacrifica unicamente per l’oro
che
se ne attende. Per te solo, o Pluto, tutte s’inve
arirlo. Per mezzo poi di Carione invita i suoi compagni, uomini probi
che
mancano di pane, a venire a partecipare de’ favor
ssa arricchirli. Anzi Blessidemo nettamente dice allo stesso Cremilo,
che
a lui non piace di vederlo tutto a un tratto dive
la la cagione di ogni bene, e non potersi commettere maggiore eccesso
che
procurare di arricchire i giusti . . . Se Pluto t
cchi cisposi di molti scioli oltramontani ed Italiani! Il coro oppone
che
la povertà riempie anzi il mondo di miserie. Part
a di pulci, e d’insetti molesti e schifosi, il colmarla di miserabili
che
non hanno pane da satollarsi nè letti da dormire?
non hanno pane da satollarsi nè letti da dormire? Questi sono i beni
che
tu fai all’uomo . . . O semplicioni (ripiglia la
’uomo . . . O semplicioni (ripiglia la Povertà) voi non sapete quello
che
vi pescate. Voi me confondete colla miseria; ma d
llo che vi pescate. Voi me confondete colla miseria; ma dovete sapere
che
noi siamo due cose ben distinte. La povertà nulla
noi siamo due cose ben distinte. La povertà nulla patisce de i disagi
che
voi dite, nè mai gli patirà. La vita del mendico
isce de i disagi che voi dite, nè mai gli patirà. La vita del mendico
che
dipingete, consiste in mancare delle cose più nec
bondar di beni ma in non mancar di nulla. Io, vi dico, io sono quella
che
rendo gli uomini saggi e prudenti e di buono aspe
gli uomini saggi e prudenti e di buono aspetto, a differenza di Pluto
che
gli fa diventare gottosi, panciuti, grossi di gam
di Cremilo si converte in una reggia dell’abbondanza per le ricchezze
che
vi versa Pluto guarito. Ne vola intorno la fama:
o giusto per ringraziarlo della mutata sua fortuna; e nella dipintura
che
ne fa Aristofane maestrevolmente, possiamo ravvis
nvertiti e ravveduti nella miseria per l’ingratitudine degli scrocchi
che
gli adulavano nell’abbondanza. Viene un Sicofanta
quale per tali comodi mal grado delle grinze la corteggiava; ma oggi
che
col favore di Pluto è egli uscito di miseria, l’h
Mercurio, non importa un frullo di tutti gli dei, ma mi dolgo per me
che
muojo di fame. Questo Mercurio pezzente fa una sc
lo un Sacerdote di Giove, il quale non ha più modo di sostentarsi ora
che
Pluto cogli occhi sani vede e distingue i buoni e
e gli arricchisce. Osserva giustamente l’erudito Benedetto Fioretti,
che
in questa favola l’azione abbraccia lo spazio di
d’invenzioni stranissime. Con tutto ciò il Pluto per mio giudizio par
che
tenga il principato di tutte quelle favole; peroc
copiando la censura di Plutarco o di Rapin, volle aggiugnere del suo
che
Aristofane non era nè comico nè poeta; il che cer
olle aggiugnere del suo che Aristofane non era nè comico nè poeta; il
che
certamente avventurò con tutta la leggerezza di u
ontel volle ancora dar su di ciò il suo parere e derise Madama Dacier
che
avea tanto encomiato Aristofane. Ma questa famosa
intendeva pienamente il Greco, ed ha voto autorevole allorchè afferma
che
Aristofane è fino, puro, armonioso, ed empie di p
ma che Aristofane è fino, puro, armonioso, ed empie di piacere coloro
che
hanno la fortuna di leggerlo originale, fortuna c
di piacere coloro che hanno la fortuna di leggerlo originale, fortuna
che
auguriamo al traduttore di Lucano e all’ autore d
pi, e per la fecondità, la pienezza, il sale Attico di cui abbonda, e
che
oggi a’ nostri orecchi non può tutto penetrare. D
egli studiosi additando l’arte e le bellezze dello stile. Questi, sì,
che
possono farsene giudici; ma sono pur troppo rari
alle opere degli antichi. Avea egli tutti questi pregi M. de Chamfort
che
nell’Elogio di Moliere volle malmenare Aristofane
i occhi di tutti nelle sue favole la segreta ambizione de’ magistrati
che
governavano la repubblica e de’ generali che coma
ambizione de’ magistrati che governavano la repubblica e de’ generali
che
comandavano gli eserciti. Era nelle di lui mani l
oni; anzi con pubblico decreto gli diedero la corona del sacro olivo,
che
era il maggior onore che far si potesse a un citt
creto gli diedero la corona del sacro olivo, che era il maggior onore
che
far si potesse a un cittadino. Il gran re (cioè i
tori Spartani, e de’ soggetti ordinarj delle sue satire, ebbe a dire,
che
i di lui consigli erano diretti al pubblico bene,
ebbe a dire, che i di lui consigli erano diretti al pubblico bene, e
che
se gli Ateniesi gli seguivano, si sarebbero impad
n tanti inutili forzi di parer simili, scriveva a Dionigi il tiranno,
che
per ben conoscere gli Ateniesi e lo stato della l
o, dolce, e armonioso di questo poeta, e se n’era talmente invaghito,
che
onorò un sì eccellente comico con un distico del
di Aristofane, e mai più non l’abbandonarono (Nota XXII). Ecco quello
che
agli occhi de i dotti era Aristofane. Dopo di ciò
I). Ecco quello che agli occhi de i dotti era Aristofane. Dopo di ciò
che
pensereste di un giovane Gaulese, il quale più di
i due mila anni dopo la morte di tal valoroso scrittore viene a dirci
che
egli altro non era che un satirico sfrontato, un
morte di tal valoroso scrittore viene a dirci che egli altro non era
che
un satirico sfrontato, un parodista, un superstiz
o, un bestemmiatore, un buffone da piazza, un Rabelais sulla scena, e
che
le di lui commedie sono un ammasso di assurdità,
ristofane. Fin quì M. Freron critico dotto, sagace, pregevole. Quello
che
è più notabile si è che le scempiaggini profferit
eron critico dotto, sagace, pregevole. Quello che è più notabile si è
che
le scempiaggini profferite da M. de Chamfort furo
no di essere impunitamente sulla scena nominati e motteggiati. Eupoli
che
fiorì nell’olimpiade LXXXVIII fu la vittima della
la vittima della loro potenza, essendo stato gettato in mare, secondo
che
ci attesta Platone, per ordine di Alcibiade allor
prefetto della flotta Ateniese114. E quantunque si pretenda da alcuni
che
dopo quel tempo altre favole avesse composto, e c
retenda da alcuni che dopo quel tempo altre favole avesse composto, e
che
egli non morisse in mare ma in Egina, pure è semp
osto, e che egli non morisse in mare ma in Egina, pure è sempre certo
che
per un editto de’ Quattrocento sotto Alcibiade115
satira. Cercando adunque di conseguir coll’industria l’effetto stesso
che
produceva il nominare i cittadini, gli dipinsero
minare i cittadini, gli dipinsero sotto finti nomi con tale artificio
che
il popolo non s’ ingannava nell’indovinarli, e co
egge divenuta più ingegnosa e più dilettevole, il coro, nel quale più
che
in altra parte soleva senza ritegni spaziare l’ac
eta comico contemporaneo di Aristofane, è tenuto pel primo tra quelli
che
si distinsero nella commedia mezzana. Egli compos
ompose intorno a trenta commedie, delle quali a noi non son pervenuti
che
pochi frammenti. Assai di lui più chiaro in tal c
fautore degli Spartani. Appartiene a questa commedia ancora Antifane,
che
fiorì al tempo di Filippo il Macedone, e tralle s
o introdusse Betalo sonatore di flauto inesperto nel suo mestiere, di
che
vedasi Plutarco nella Vita di Demostene. Fioriron
governo, gli Ateniesi lo condannarono a morir di fame. Suida ci dice
che
questo comico portò la prima volta sulle scene le
atura, amico di vestire pomposamente e di cavalcare, fu così altiero,
che
soffriva con impazienza che le sue favole rimanes
osamente e di cavalcare, fu così altiero, che soffriva con impazienza
che
le sue favole rimanessero superate nel certame, e
favole rimanessero superate nel certame, e tal dispetto ne concepiva
che
incontinente le lacerava. Dal conoscersene però p
al conoscersene però più delle dieci coronate, sembra verisimile quel
che
coll’ autorità di Camaleone asserisce Ateneo nel
l che coll’ autorità di Camaleone asserisce Ateneo nel libro IX, cioè
che
non prima che pervenisse alla vecchiaja, avesse c
torità di Camaleone asserisce Ateneo nel libro IX, cioè che non prima
che
pervenisse alla vecchiaja, avesse cominciato ad a
into. IV. Commedia Nuova. Niuna cosa pruova più pienamente ciò
che
sul bel principio ragionammo ne’ fatti generali d
l’attività. La necessità di schivarlo suggeri l’idea di una commedia
che
fu chiamata Nuova, senza dubbio più delicata e di
o più delicata e discreta, e meno acre delle precedenti. Di essa pare
che
avesse gettati i fondamenti il medesimo Aristofan
edia nuova; ed uno di essi spiccò singolarmente più nel rappresentare
che
nel comporre119. Fiorì la nuova commedia nel seco
o agli affari de’ Greci, avea richiamato in Atene quell’utile timore,
che
rintuzza l’orgoglio, rende men feroci i costumi,
e. Rifiutò ogni dipintura particolare, perchè apprese dalla filosofia
che
i difetti di un solo privato sotto una potenza ch
se dalla filosofia che i difetti di un solo privato sotto una potenza
che
tutto adegua, non chiamano la pubblica attenzione
se stessi nella dipintura immaginaria. Ciascuno da se può discernere
che
queste idee della nuova commedia Greca passate da
idio, Difilo, i Filemoni e Menandro. Tanti sono stati gli Apollodori,
che
l’erudito Scipione Tetti (infelice letterato Napo
Apollodoro tradotta in latino da Benedetto Egio120. Degli Apollodori
che
coltivarono la poesia teatrale, se ne trovano tre
ς εστιν αὐτό νοσημα, la stessa vecchiaja è un morbo. Del poeta Difilo
che
meritò il soprannome di κωμικωτατος, comicissimo,
aggiore nacque e visse in Siracusa secondo Suida; ma Strabone afferma
che
nascesse in Soli o Pompejopoli della Cicilia. Egl
a nominata commedia Plozium recata in latino da Cecilio. Tutto quello
che
Menandro espresse con giudizio, nitidezza e piace
o della favola. Una figliuola di un cittadino povero, deflorata senza
che
nulla ne sappia il padre, e rimasta incinta, benc
uoli caricarsi brama! Quanto mal si consiglia! Egli non pensa Ciò
che
conviensi, pien del suo disegno Che tristi gior
ende mal dall’aspro inverno Reso di povertà fido compagno. Da ciò
che
ad un rinfaccio, ogni altro impari. A questa b
nandro parmi quello recato da Plutarco De Consolatione ad Apollonium,
che
noi in tal guisa recheremo in Italiano, consultat
pizio un nume A te promise, a gran ragion ti sdegni, Poichè la fe
che
ti giurò, non serba. Ma se alla stessa legge, a
u poi nè di tant’alto al fin cadesti, Nè de’ mali è il maggior quel
che
ti avvenne. Or come saggio, se a’ capricci espo
asi in simili bellissime reliquie di Menandro una locuzione nobile sì
che
non eccede la mediocrità comica, e vi si sente qu
che non eccede la mediocrità comica, e vi si sente quel grazioso sale
che
stuzzica il gusto e non amareggia il palato (Nota
ivansi a gara nelle migliori opere de’ sacri scrittori Cristiani, non
che
de’ più illustri filosofi gentili, se ne sono con
l merito di questo comico filosofo, si è il verso di una sua commedia
che
leggesi nella I Epistola dell’ Apostolo San Paolo
commedia nobile, cerchi di approfittarsi delle incomparabili reliquie
che
ne abbiamo, e vi apprenderà l’arte di persuadere
della gioventù rapita di ordinario dal proprio fuoco prima a scrivere
che
a pensare, si vuol ripetere quello che di sì gran
proprio fuoco prima a scrivere che a pensare, si vuol ripetere quello
che
di sì gran comico riferisce il Giraldi125 coll’ a
il piano e ordinate le parti. E sì gran caso faceva di simil pratica,
che
quando avea ordita la traccia dell’azione, tutto
i simil pratica, che quando avea ordita la traccia dell’azione, tutto
che
non ne avesse composto un solo verso, diceva di a
sse composto un solo verso, diceva di aver terminata la commedia. Ora
che
si dirà di que’ commediografi, i quali sogliono a
di aver distesi due atti de’ tre di una loro commedia, non sapendo di
che
trattare nel terzo? Questo terzo dovea pensarsi i
a le parti di una pianta, ma tutte in picciolo le racchiude nel germe
che
prende posciaa disviluppare e nutrire. Bisogna im
più volte lodato Signor Mattei intitolata la Filosofia della Musica,
che
i Greci andavano al teatro, come noi andiamo agli
reci andavano al teatro, come noi andiamo agli Esercizj Spirituali, e
che
la commedia era il loro Catechismo, e la tragedia
a tragedia la loro Predica grande. Ma le cose sin quì accennate e ciò
che
in appresso rapporteremo, sono tutt’altro che pre
sin quì accennate e ciò che in appresso rapporteremo, sono tutt’altro
che
prediche, catechismi ed esercizj spirituali. Tali
ria, e debbono tenersi per semplici esagerazioni di uno zelo virtuoso
che
aspira al miglioramento de’ teatri moderni, i qua
e spettatori erano ugualmente animati in teatro dallo spirito geloso
che
dettava sì spesso l’ostracismo contro il merito e
e Vargas Maciucca nel tomo II delle Antiche Colonie venute in Napoli,
che
terminando i nomi in ἵππος, per esprimere nobiltà
entali הפ’ ed ’פ’, le quali dinotano esser bello e pieno di decoro, e
che
sarebbe sconcezza il prenderli dalla greca voce ἵ
voce ἵππος, cavallo. Pure nel presente passo di Aristofane non parmi
che
sconvenga nè l’una nè l’altra derivazione. Ἵππος
. Ἵππος senza dubbio ha prodotto Ἵππεῖς, cavalieri, per lo nobile uso
che
essi fanno del cavallo. E se questa madre vuol ch
questa madre vuol chiamare il figliuolo Callippide, per esempio, par
che
desideri nominarlo bel cavaliere, nulla in lui so
nulla in lui sofferendo di plebeo o di comune, nè anche il nome; nel
che
da quanti moderni plebei non viene ella imitata,
Principj proposiz. VIII, coroll. 3. 4. 98. Fabbricatore di lanterne
che
giunse a governare Atene, e fu punito coll’ ostra
68. 104. V. il tomo III del Teatro Greco del P. Brumoy. 105. Cleone
che
divenne sì potente in Atene era un plebeo che ese
P. Brumoy. 105. Cleone che divenne sì potente in Atene era un plebeo
che
esercitava il mestiere di cuojajo. 106. Cesarott
l mestiere di cuojajo. 106. Cesarotti t. II pag. 330. 331. 107. Ciò
che
segue è detto nell’originale dopo varie altre cos
colle quali ricava danaro dalle città vendendo la patria, e l’ardire
che
ha di uguagliarsi a Temistocle ecc. E questa fu l
l’ardire che ha di uguagliarsi a Temistocle ecc. E questa fu l’accusa
che
fe condannar Cleone. 108. Quì allude, come osser
cerne chiaramente l’origine. Eravi in Atene una razza di umane arpie,
che
sulle accuse e le denunzie si era fatta una rendi
a ciò e della politica conveniente alla repubblica Ateniese, e di ciò
che
poteva in que’ tempi e su quelle scene dilettare.
116. Vossio Institut. Poet. lib. II. 117. Ciò rilevasi dai frammenti
che
se ne sono conservati, de’ quali alcuni ne traduc
a da quanto si è finora narrato da tanti autori antichi e moderni; di
che
conviene prevenire la gioventù vaga di erudirsi.
e prevenire la gioventù vaga di erudirsi. Dell’antica egli dice: Quel
che
abbiam detto della tragedia antica (da noi esamin
a antica (da noi esaminato di sopra) affermiamo dell’antica commedia,
che
altro non era che una festa di ballo grottesco an
saminato di sopra) affermiamo dell’antica commedia, che altro non era
che
una festa di ballo grottesco animato da una poèsi
orazioni. Per convincersene; oltre alle cose dette, si può riflettere
che
nel paragone di Eschilo ed Euripide fatto nelle R
ntorno alla poesia e alla musica, ma niun motto si fece del ballo; il
che
non si sarebbe omesso, se il ballo fosse stato il
etto de’ Greci drammi. Parlando poi della commedia nuova egli afferma
che
cessate in Grecia le commedie di Aristofane si ce
ovo sarà errore di stampa, altrimente introdurre di nuovo fa supporre
che
un’ altra, volta vi fosse stata in Grecia la comm
he un’ altra, volta vi fosse stata in Grecia la commedia moderata, il
che
non appare dalla storia, s’io ben m’ appongo. In
uogo quel patto apposto di scegliersi argomenti finti dà ad intendere
che
nelle commedie di Aristofane gli argomenti fosser
ndere che nelle commedie di Aristofane gli argomenti fossero veri, il
che
a parlar propriamente nè anche è vero; perchè in
i, fantastici, capricciosi, e bizzarri oltre misura. Si dice in oltre
che
la commedia nuova sulla prima fu piuttosto un pri
he la commedia nuova sulla prima fu piuttosto un privato divertimento
che
un pubblico spettacolo. Forse sarà così; ma gli a
Castagnola…….. Nobile padovano
che
recitava nella Compagnia del famosissimo Ruzzante
rove, non mi fu possibile rintracciar altre notizie su questa comica,
che
le due lettere, che metto qui ; di cui una comuni
ibile rintracciar altre notizie su questa comica, che le due lettere,
che
metto qui ; di cui una comunicatami dal cav. Azzo
ell’Archivio di Modena. Ill.mo Sig.re et Pad.e Coll.mo L’allegrezza
che
mi ha apportato la sua cara lettera, per vedere c
rtato la sua cara lettera, per vedere ch’ella tien di me memoria, ben
che
sua minima nell’operatione, ma nell’affetto riuer
quasi accertarmi ch’ella non ritorni in Ferrara p. q.º Carnev.e e ben
che
alle cose impossibili vi sia maggior rimedio il n
rimedio il non più pensarci, io non potrò non pensare a quegli onori
che
la sua presenza mi concedeua, et al mio sommo des
occorrenze, et me li chiamo sempre più obligata, mi duole grandem.te
che
le comedie di costì non li piaccino, nè possa qui
te che le comedie di costì non li piaccino, nè possa qui goder le sue
che
p. la dio gratia a tutti q.i Sig.ri danno il soli
Ill.ma quasi smarriti, et io più di loro trauagliata. li scrissi jeri
che
sabbato prossimo faremo i 7 infanti dell’ara con
Duca Conti, et mi portarono versi p. doi altre machine, cioè il sole
che
p. non ueder il tradim.º che corse nell’opera si
versi p. doi altre machine, cioè il sole che p. non ueder il tradim.º
che
corse nell’opera si asconde, et il terzo, Nemesi
rse nell’opera si asconde, et il terzo, Nemesi Dea del Gastigo palesa
che
i traditori saranno puniti, come si uede nel fine
traditori saranno puniti, come si uede nel fine di detta opera. Fatte
che
saranno, hauiserò V. S. Ill.ma come riescirà il t
già molti giorni sono, promesse per le nostre due parti, sono quelli
che
il Sig.r Cinzio nella sua li descrive ; che giudi
re due parti, sono quelli che il Sig.r Cinzio nella sua li descrive ;
che
giudicati buoni, e per esserui il detto Cinzio, p
ltezza Ser.ma a non rendermi per questo indegna della sua gratia, poi
che
il tutto scrissi con puro affetto di riuerentemen
rla, e farle saper il uero del passato perche mi scrisse V. S. Ill.ma
che
si sapeua ch’io non ero in parola con nissuno. Ho
iuogli suo nepote a mio marito, mi persuade a non rifiutare il fauore
che
mi uien fatto da cossi gran principe di mettermi
mettermi nella sua Compagnia con mio marito, rispondo a V. S. Ill.ma
che
la maggior brama ch’io mi habbi, e di seruir Sua
accomodarmi con il Sig.r leandro, e Brighella, e quell’estremo dolore
che
mi fa, con hogni humiltà, suplicare il Ser.mo Sig
hogni humiltà, suplicare il Ser.mo Sig.r Duca a comandarmi più tosto
che
io mi rimanghi di recitare, che il riunirmi con l
.mo Sig.r Duca a comandarmi più tosto che io mi rimanghi di recitare,
che
il riunirmi con loro. le cagioni sono tante, e ta
di recitare, che il riunirmi con loro. le cagioni sono tante, e tali,
che
mi uergogno di fargliene riassunto, non che minut
gioni sono tante, e tali, che mi uergogno di fargliene riassunto, non
che
minuto. e mi creda per quella riuerenza che si de
fargliene riassunto, non che minuto. e mi creda per quella riuerenza
che
si deue, e ch’io osseruo al Serenissimo padrone :
uella riuerenza che si deue, e ch’io osseruo al Serenissimo padrone :
che
se mio marito non fosse in’atto all’armi per la i
mio marito non fosse in’atto all’armi per la infermità della podagra,
che
sarebbe stato necessitato a perderci la uita, o f
stato necessitato a perderci la uita, o farla perder ad’altrui ; poi
che
il loro fine, e stato d’oltraggiarmi nella riputa
cessano di prouocare l’altrui incredibile pacienza : e massime doppo
che
hanno riceute le lettere di V. S. Ill.ma per part
ig.r Duca. di quanto scriuo gliene potrà far fede il nostro Beltramme
che
sempre a procurato l’unione di questa compagnia,
a, et ora ne confesso l’impossibilità. si come mi rimetto allo stesso
che
dica s’io mai diedi occasione a niuno dei sudetti
a s’io mai diedi occasione a niuno dei sudetti di maltrattarmi. spero
che
le mie potenti ragioni appresso la natural Clemen
ral Clemenza di Sua Altezza Serenissima mi faranno degna della grazia
che
humilmente suplicando le chiedo di non esser non
ompassionarmi, e uietar ch’io sia con li sudetti leandro e brighella,
che
sarà tanto, quanto il conseruar la uita, e la sal
ruar la uita, e la salute dell’Anima, ad una sua riuerente serua. Con
che
fine offerendomi a pregare iddio per l’intera fel
i nel seguirli sempre senza raggiungergli ne ripetevano i difetti più
che
le bellezze negli ultimi lustri del secolo XVII,
i lustri del secolo XVII, e ne’ primi del XVIII. Racine singolarmente
che
avea scoperto il miglior camino, e prodotto l’Ata
de, prendono il tuono effemminato de’ romanzi di madamigella Scudery,
che
dipingeva i borghiggiani di Parigi sotto il nome
i Campistron nato nel 1656, e morto nel 1723 scrisse diverse tragedie
che
non cedono per regolarità a quelle di Racine. Ess
ragici suoi talenti, e svegliò nel pubblico, e ne’ posteri viva brama
che
egli avesse potuto o calzar più per tempo il cotu
compose Ipermestra tragedia regolare senza trarre tutto il vantaggio
che
presenta tale argomento. La Grange Chancel nato n
itò nel 1701. Il Voltaire riconosce nell’Amasi più arte ed interesse,
che
nella Merope di Jean la Chapelle recitata nel 168
ivacità; ma l’azione sembra difettosa. In fatti l’eccidio de’ Macabei
che
avviene nell’atto I, eccita tanta commozione che
’eccidio de’ Macabei che avviene nell’atto I, eccita tanta commozione
che
fa comparir languido il rimanente. Salmonea model
zione con quello degli evenimenti. Lo stile nel Romolo si risente più
che
nella precedente del difetto generale delle trage
usarsi da’ Francesi, e più lontane dalla natura. Non può riprendersi
che
Romolo venga dipinto come innammorato a differenz
e Romolo venga dipinto come innammorato a differenza de’ suoi soldati
che
altro non cercano se non che una donna; ma al Con
nnammorato a differenza de’ suoi soldati che altro non cercano se non
che
una donna; ma al Conte di Calepio sembra incredib
te angosce sembrano convenire più ad un innamorato francese del tempo
che
si scriveva l’Artamene, che ad un Romolo eroe gue
e più ad un innamorato francese del tempo che si scriveva l’Artamene,
che
ad un Romolo eroe guerriero fervido feroce. Non è
che ad un Romolo eroe guerriero fervido feroce. Non è poi verisimile
che
Tazio vegga di lontano scintillare i pugnali nel
azio dovendo correre trallo sfoderarsi i ferri e trafiggerlo. Ersilia
che
nell’atto III dice da parte di avere scritto il b
le produrre un Edipo a, per avventura non contento di quelle tragedie
che
su di questo personaggio scrissero Corneille e Vo
e, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete
che
con rincrescimento si legge nell’Edipo del Voltai
ce contro l’idea lasciatane dagli antichi. Qual pro da un cangiamento
che
mena il poeta a lottare colle opinioni radicate n
re Achille dandogli i costumi di Tersite, ovvero Ascanio o Astianatte
che
combattesse con Diomede o Ajace? La più applaudit
e accolta dal pubblico; nè è da dubitarsi dell’asserzione dell’autore
che
niuna tragedia dopo il Cid siesi rappresentata in
felice successo, avendosene un testimonio glorioso nell’approvazione
che
ne diede m. de Fontenelle nel 1732 quando si voll
orla avesse avuto presente qualche modello in tale argomento. So però
che
oltre al poema di Camoens si maneggiò in Lisbona
santi ben prese e ben collocate di sì patetico argomento. Oltre a ciò
che
sugeri all’autore la nota sventura d’Inès, egli n
tura d’Inès, egli ne ha renduta vie più lagrimevole la morte, facendo
che
ottenuta da Alfonso compunto la sospirata grazia
plagiarii di professione copieranno questo colpo teatrale del veleno
che
impedisce il frutto dell’impetrato perdono; ma se
non sanno preventivamente commuovere con situazioni e quadri vivaci,
che
cosa in fine essi si troveranno fralle mani? L’ar
n fine essi si troveranno fralle mani? L’arida spoglia di un serpente
che
rinnovandosi la depone e si allontana, Riconosce
e il Calepio in questa favola pregi assai superiori alle imperfezioni
che
vi si notano; ma non lascia di osservarvi certa m
ano; ma non lascia di osservarvi certa mancanza di unità d’interesse,
che
La Motte nelle sue prose ostentava. Contra il tra
itico) le belle doti di Costanza distraggono alquanto dall’attenzione
che
debbesi a quelle d’Inès, Pure potrebbe ciò mirars
esi a quelle d’Inès, Pure potrebbe ciò mirarsi con più equità, e dire
che
una donna come Costanza rende più compassionevole
tà, e dire che una donna come Costanza rende più compassionevole Inès
che
non ha neppure ragione di lagnarsi di lei per la
evole Inès che non ha neppure ragione di lagnarsi di lei per la virtù
che
possiede. Riprende altresì di sconvenevolezza ciò
ei per la virtù che possiede. Riprende altresì di sconvenevolezza ciò
che
dice la reina nella scena quarta dell’atto I, cio
enevolezza ciò che dice la reina nella scena quarta dell’atto I, cioè
che
all’arrivo di don Pietro in corte gli occhi di lu
don Pietro in corte gli occhi di lui distratti altro non vi cercavano
che
Inès; sembrandogli ciò poco verisimile in un mari
’oggetto amato. Ma questa censura avrà ben poco peso per chi rifletta
che
don Pietro è un marito per ipotesi del poeta tutt
quale gode fra mille pericoli e sospetti il possesso dell’amata, ciò
che
dee mantenere sempre viva la sua fiamma. Il signo
e l’anno 1674 e morto in Parigi nel 1762, è il primo tragico francese
che
in questo secolo possa degnamente nominarsi dopo
forte colorito tutto suo. Lontano dalla grandezza del primo non meno
che
dalla delicatezza ed eleganza armoniosa del secon
tto è mirabile e veramente tragico quello di Radamisto nella tragedia
che
ne porta il nome: il suo Pirro è più grande ancor
Atreo, Tieste, Farasmane, Palamede sono dipinti con molto vigore. Ciò
che
nell’Elettra riguarda la vendetta di Agamennone è
ia tragedie de toute beautè al pari del Radamisto. A noi, oltre a ciò
che
dell’Elettra abbiamo detto, non sembra la Semiram
vista della manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi così inetta
che
non sa prendere verun partito per la propria salv
desidera ancora più decoro e più uguaglianza ne’ caratteri. Serse par
che
avvilisca il padre ed il monarca nell’adoperarsi
contro l’intenzione dell’autore) sembra lo stesso Consiglio di Persia
che
condanna Dario alla morte senza punto sospettar d
itata riputazione di ottimo tragico acquistata dal robusto Crebillon,
che
pure, come accenna il Voltaire, si vide tal volta
fezione nella tragica poesia. L’ultima sua tragedia fu il Triumvirato
che
ha varii pregi, ma che si rende singolarmente deg
oesia. L’ultima sua tragedia fu il Triumvirato che ha varii pregi, ma
che
si rende singolarmente degna di ammirazione per e
la cui gloria niuno de’ suoi contemporanei sinora ha pareggiata, non
che
adombrata. Debbe a lui il coturno non solo varie
sue favole stesse, sparsa nelle sue opere moltiplici e nell’edizione
che
fece del teatro del Corneille. La prima direzione
lla letteratura greca e romana; le opere del Crebillon e gli applausi
che
ne riscoteva, gli diedero i primi impulsi ad entr
i seguito, rappresentando il personaggio di Edipo il giovane Du Frene
che
poi divenne assai celebre attore, e quello di Gio
iticando l’Edipo di Sofocle, quello del Cornelio ed il proprio, o ciò
che
in una edizione del suo Edipo del 1729 scrisse co
dizione del suo Edipo del 1729 scrisse contro La Motte. Ci basti dire
che
Voltaire conservò molte bellezze della greca trag
basti dire che Voltaire conservò molte bellezze della greca tragedia,
che
non seppe scansarne alcune durezze nella condotta
che non seppe scansarne alcune durezze nella condotta della favola, e
che
l’amoroso episodio di Teseo e Dirce da lui stesso
la prima un successo poco felice. Il famoso Michele Baron già vecchio
che
sostenne il carattere di Erode, Adriana Le Couvre
e sostenne il carattere di Erode, Adriana Le Couvreur insigne attrice
che
rappresentò quello di Marianna, le due persone ch
ur insigne attrice che rappresentò quello di Marianna, le due persone
che
compresero tutta l’energia di una vivace rapprese
compresero tutta l’energia di una vivace rappresentazione naturale, e
che
insegnarono la prima volta in Francia l’arte di d
offrire sino alla fine la rappresentazione. L’uditorio ravvisò non so
che
di ridicolo nel veleno presentato a Marianna in u
ranta volte. Giambatista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna,
che
fu l’origine della lunga contesa che ebbe con lui
e allora anch’egli una Marianna, che fu l’origine della lunga contesa
che
ebbe con lui il Voltaire. La Marianna Volteriana
crudeltà, ma sensibilissimo ed innamorato, e di una consorte virtuosa
che
non si smentisce mai. La nobile patetica preghier
sorte virtuosa che non si smentisce mai. La nobile patetica preghiera
che
gli fa Marianna, prenez soin de mes fils ec, è
i ella posta nel maggior rischio della sua vita sdegna di seguir Varo
che
vuol salvarla. Giunio Bruto rappresentata la pri
è uccisa, Bruto è stato dichiarato giudice del figliuolo. L’incontro
che
ne segue sommamente tragico del colpevole Tito co
di Bruto combattuta dalla paterna tenerezza. Tito confessa l’istante
che
l’ha perduto seguito da’ rimorsi vendicatori, e c
odìa; basterà questa parola a rendermi la gloria e la virtù; si dirà
che
Tito morendo ebbe un vostro sguardo per mezzo de’
à che Tito morendo ebbe un vostro sguardo per mezzo de’ suoi rimorsi,
che
voi l’amate ancora, che alla tomba egli portò la
un vostro sguardo per mezzo de’ suoi rimorsi, che voi l’amate ancora,
che
alla tomba egli portò la vostra stima. Questa pr
anna e l’abbraccia. Ne traduco per saggio gli ultimi versi: Procolo,
che
a morir menisi il figlio. Sorgi, misero oggetto D
ei ti condanna, Ma se Bruto non era, ei ti salvava. Oimè! del pianto
che
in sì larga vena, Sgorga dagli occhi miei, ti bag
volto. Va, non t’indebolir: porta al supplizio Tu quel maschio valor
che
in me non trovo. Più Romano di me mostrati a Roma
Ma egli si fa distinguere per l’umanità, pel patetico, per la libertà
che
regna nelle sue tragedie. Quel tetro e forte che
ico, per la libertà che regna nelle sue tragedie. Quel tetro e forte
che
hanno saputo dare alle tragiche passioni il Crebi
aimez cet esprit d’humanitè, de justice, de libertè qui y regne. Ma
che
mancherebbe all’opera eccellente sopra ogni lette
izii ne fossero sempre sicuri? Tornando al Voltaire si osserva ancora
che
egli colla dipintura de’ costumi e de’ riti relig
vità l’ha preservato quasi sempre (sia ciò detto con pace de’ pedanti
che
asseriscono il contrario) dalla taccia imputata a
tonio, facendo portare per ultimo colpo il corpo di Cesare in iscena,
che
il Shakespear con arte minore fa dimorare sempre
ligione e colla patria in Zaira, e ne costituisce una persona tragica
che
lacera i cuori sensibili. Per l’oggetto morale ch
na persona tragica che lacera i cuori sensibili. Per l’oggetto morale
che
si cerca in ogni favola, sarebbe in questa la cor
esta la correzione delle passioni eccessive per mezzo dell’infelicità
che
le accompagna. Ma il Conte di Calepio critico non
di Calepio critico non volgare oppone non senza apparenza di ragione,
che
essendo Zaira uccisa appunto quando abbracciando
la religione de’ suoi maggiori è disposta a rinunziare alla felicità
che
attendeva dalle sue nozze, sembra che la di lei m
osta a rinunziare alla felicità che attendeva dalle sue nozze, sembra
che
la di lei morte non possa concepirsi come castìgo
nto questo quadro felice interessa, commuove, ottiene tutto l’effetto
che
si prefige la tragedia. Non basterebbe adunque ri
la tragedia. Non basterebbe adunque rispondere alla proposta censura
che
non sarebbe questa la prima volta che si facciano
ispondere alla proposta censura che non sarebbe questa la prima volta
che
si facciano giuste opposizioni a’ componimenti gi
j’aime Se montrent dans mon ame entre le ciel et moi. Ella non cerca
che
Orosmane. La medesima passione si manifesta in tu
brûlè pour toi. Ella (dice Fatima insultando Orosmane) si lusingava
che
Iddio forse vi avrebbe riuniti! Oimè! a questo pu
atte a sì bella tragedia in Francia, meritano indulgenza per li pregi
che
vi si ammirano, pel magnanimo carattere di Orosma
altro di Nerestano generoso e nobile, per la dolce ed umana filosofia
che
vi serpeggia. Io non conosco altro dramma frances
mana filosofia che vi serpeggia. Io non conosco altro dramma francese
che
più felicemente ne’ tre ultimi atti vada al suo f
nza bisogno di veruno episodio e ricco delle sole tragiche situazioni
che
presenta l’argomento. Essa vantar può eziandio il
espear ha preparata la materia della Zaira colla tragedia di Othello,
che
l’Inglese ricavò dagli Ecatomiti del Giraldi Cint
tto nomi differenti si trattava il medesimo soggetto, o per attendere
che
si rallentasse il trasporto che si aveva per la M
il medesimo soggetto, o per attendere che si rallentasse il trasporto
che
si aveva per la Merope del Maffei. Comunque ciò s
l gusto francese togliendole l’aria di greca semplicità e naturalezza
che
vi serbò l’autore italiano. Senza dubbio Voltaire
in maggior commozione gli affetti, dipingendo Merope in angustia tale
che
è costretta dal timore a scoprire al tiranno ella
ncora. Nell’interessante scena quarta del medesimo atto III di Merope
che
crede vendicare in Egisto la morte del proprio fi
meritamente ripiglia: Comment? que dis-tu? Ed Egisto coll’ingenuità
che
lo caratterizza, je vous jure , le dice, Par vo
el trouble il me jette! Son nom? parle, rêpons. Se egli avesse detto
che
suo padre si chiamava Narba, siccome ella sperava
a di sentire, avrebbe in lui riconosciuto il suo Egisto. Ma egli dice
che
suo padre si chiama Policlete, e la reina torna a
gli si avventa per ferirlo. Ciò è senza ragione. La di lui candidezza
che
tutto confessa, dee almeno toglierle la sicurezza
lui candidezza che tutto confessa, dee almeno toglierle la sicurezza
che
esige la vendetta; tanto più che non si tratta so
a, dee almeno toglierle la sicurezza che esige la vendetta; tanto più
che
non si tratta solo di trucidare un innocente in v
pe a se stessa): se all’uccisore, io trovo in lui mio figlio. Il nome
che
non combina, non basta a metterla nello stato di
possibili pe’ quali l’armatura può essere, come è di Egisto, e colui
che
si chiama di lui padre, aver preso un nome ignoto
a Merope del Maffei per affrettar col desiderio la venuta del vecchio
che
impedisca l’esecrando sacrificio di un figlio per
disca l’esecrando sacrificio di un figlio per mano della stessa madre
che
pensa a vendicarlo. In tal tragedia non è solo qu
madre che pensa a vendicarlo. In tal tragedia non è solo questa madre
che
ragiona male, ragionando assai peggio Polifonte.
ragiona male, ragionando assai peggio Polifonte. Usurpatore scaltrito
che
col matrimonio di Merope procura di mettere un ve
sé libero, Polifonte non dovea temere di un giovane sì intraprendente
che
senza armi ancora l’ha insultato? Incatenato poi
l’ha insultato? Incatenato poi o libero non dovea egli temere ancora
che
la di lui presenza commovesse un popolo così affe
di lui parzialità per la Merope Volteriana, non potè lasciar di dire
che
nel miglior punto della passione rimane una fant
io i Parigini allorchè si rappresentò, giacchè sappiamo dalla critica
che
ne usci subito, che l’atto V punto non piacque. S
hè si rappresentò, giacchè sappiamo dalla critica che ne usci subito,
che
l’atto V punto non piacque. Se queste riflessioni
ria l’abate Melchiorre Cesarotti ed altri eruditi esteri ed italiani;
che
certi sedicenti profondi pensatori (i quali non p
quando non vogliano ripetere al loro solito senza citare, non saprei
che
cosa potranno dir su di essa, come millantano, in
dell’arte drammatica. Noi seguendo il nostro costume quello ne diremo
che
possa darne la più adeguata idea, non pensando se
ostri quando ci sembrino giusti. Il Maometto tralle tragedie è quello
che
fu tralle commedie il Tartuffo, cioè un capo d’op
losia di mestiere e per naturale malignità de’ follicularii. Voltaire
che
in simili opere spendeva talora pochi giorni, si
ni nobili e tratte sempre dal soggetto, colle situazioni meravigliose
che
portano il terrore tragico al più alto punto, col
ortano il terrore tragico al più alto punto, coll’interesse sostenuto
che
aumenta di scena in iscena, coll’unione in un qua
nello di Polidoro e colla copia spiritosa del Tintoretto. Egli è vero
che
nella condotta dell’azione si desidera qualche vo
a condotta dell’azione si desidera qualche volta più verisimiglianza:
che
non sempre apparisce dove passino alcune scene: c
verisimiglianza: che non sempre apparisce dove passino alcune scene:
che
l’unità del luogo non vi si osserva: che l’azione
e dove passino alcune scene: che l’unità del luogo non vi si osserva:
che
l’azione procede con certa lentezza nell’atto II:
vi si osserva: che l’azione procede con certa lentezza nell’atto II:
che
i personaggi talora entrano in iscena non per nec
ole onde riceve le ultime fine pennellate il di lui ritratto, facendo
che
egli abboccandosi col suo gran nemico deponga la
oi disegni, e lo chiami a parte dell’impero mostrandogli la necessità
che
non gli permette altro partito; quelle dell’atto
ica e non usitata; e finalmente l’interessante terribile scioglimento
che
rende sempre più detestabile il carattere del ben
sempre più detestabile il carattere del ben dipinto impostore. Coloro
che
hanno veduto nel Maometto mille difetti mentre i
ofeta impostore. Essi non hanno discordato dall’abate Giovanni Andres
che
per suo particolare avviso vorrebbe banditi dal t
l teatro moderno i traditori, gli empii, i furbi solenni ec. La scena
che
richiede somma varietà, correrebbe rischio di rim
gomenti atti a maneggiarsi senza bisogno di frammischiarvi scellerati
che
contribuiscono ad esercitar l’eroismo e la virtù
all’energia delle passioni ed in conseguenza a mantenervi la vivacità
che
ne sostiene l’interesse. L’esempio dell’antichità
e de’ Francesi ne’ loro giorni più belli, e del rimanente dell’Europa
che
se ne vale, risparmia alla gioventù quest’altra i
vale, risparmia alla gioventù quest’altra inutile catena dell’ingegno
che
produrrebbe una nuova sorgente di sterilità. E qu
E quanto all’Arabo impostore essendo accreditato dalla storia stessa
che
tale l’ha a noi tramandato, e migliorato dall’art
le l’ha a noi tramandato, e migliorato dall’arte del pittore, non può
che
inspirare per lui tutto l’orrore agli occhi dello
ata. Lo stesso autore pensò di soddisfare a questa censura, mostrando
che
la passione amorosa gareggia in Maometto colla su
o che la passione amorosa gareggia in Maometto colla sua ambizione, e
che
la perdita di Palmira ed i rimorsi che in lui si
aometto colla sua ambizione, e che la perdita di Palmira ed i rimorsi
che
in lui si svegliano alla vista del di lei sangue,
iungere qualche cosa alla stessa difesa del Voltaire. Perchè si cerca
che
lo scelerato rimanga punito sulla scena? Certamen
, cioè mostrare quanto la forza della virtù della religione Cristiana
che
consiste nel perdonare ed amare l’inimico, sovras
le virtù del gentilesimo. Quest’eroismo Cristiano trionfa nel perdono
che
dà il moribondo Gusmano all’idolatra che l’ha fer
ristiano trionfa nel perdono che dà il moribondo Gusmano all’idolatra
che
l’ha ferito a morte. Questo disegno non può abbas
esto disegno non può abbastanza lodarsi; ma il Conte di Calepio stima
che
Voltaire non ebbe questo disegno prima di comporl
rese il titolo da Alzira e non da Gusmano. A me però punto non sembra
che
il titolo di Alzira cangi la veduta segnalata dal
Alzira dunque porta giustamente il titolo di questa favola, e mostra
che
il disegno dell’autore fu bene di rilevare al pos
lo spettatore. Sempre ne’ piani delle favole del Voltaire si desidera
che
ne sieno le circostanze più verisimilmente accred
eno le circostanze più verisimilmente accreditate; sempre si vorrebbe
che
l’autore si occultasse meglio ne’ sentimenti de’
’amore della virtù. Alzira, Zamoro, Gusmano ed Alvaro sono personaggi
che
non si rassomigliano ne’ costumi, nelle debolezze
ce colorito di Tiziano. Quella meravigliosa opposizione di sentimenti
che
anima le più semplici favole, spicca soprattutto
li affetti di Zamoro e di Alzira. Quel contrasto di gioja e di dolore
che
passa nell’animo di Alzira al ritorno di Zamoro c
m. Giuseppe Maria Pagnini. Ravvisa, dice Gusmano a Zamoro, De’ Numi
che
adoriam la differenza; I tuoi han comandata a te
qual nuovo Sorprendente linguaggio! Zam. Sorprendente linguaggio! E
che
vorresti Forzar me stesso al pentimento? Gus. F
no intento a vendicarsi di Semiramide per mano di Ninia suo figliuolo
che
ignoto a se stesso vive sotto il nome di Arsace.
occa dello stesso suo nemico. Ma l’ombra di Nino non ha altro oggetto
che
la vendetta di un delitto occulto, utile oggetto
poi l’ombra di Nino molte e rilevanti opposizioni. In prima un’ ombra
che
apparisce nel più chiaro giorno alla presenza de’
guerrieri della nazione, riesce così poco credibile al nostro tempo,
che
lascia un gran voto nell’animo dello spettatore e
l’effetto tragico. In secondo luogo manca di certa nota di terribile
che
simili apparizioni ricevono dalla solitudine e da
bile che simili apparizioni ricevono dalla solitudine e dalle tenebre
che
l’accreditano presso il volgo, e contribuiscono a
ti, vale a dire di quasi tutti gli uomini; perchè una vendetta atroce
che
si avvera dopo tanti pentimenti, scoraggia senza
i avvera dopo tanti pentimenti, scoraggia senza riscatto tutti coloro
che
hanno perduta l’innocenza; e nell’Olimpia dice ac
nce. Dieu fit du repentir la vertu des mortels. Osserviamo parimente
che
simil piano si propone una solenne atrocità. Gli
mo parimente che simil piano si propone una solenne atrocità. Gli dei
che
vogliono vendicar la morte di Nino, ne ordinano l
, è vero, Au sacrificateur on cache la victime, Ma intanto Ninia sa
che
la madre è la rea. Nino l’accusa e vuol vendetta
lenare un marito, o condurre un figlio a trucidare sua madre? Si dirà
che
si vuole impedire un incesto; ma Semiramide non c
a madre? La lettera di Nino moribondo a Fradate non dice altro se non
che
: io muojo avvelenato, e soggiugne ma criminelle
ma criminelle èpouse senza addurne nè indizio nè prova. Lascio poi
che
manca nelle circostanze dell’azione cert’arte che
è prova. Lascio poi che manca nelle circostanze dell’azione cert’arte
che
l’accrediti. Meglio combinata col mausoleo si vor
mblea nazionale. Soprattutto dovrebbe mostrarsi evidente la necessità
che
obbliga Semiramide ad entrare nel mausoleo. Non h
più efficaci per liberare il figlio e punire Assur? L’evento tragico
che
ne segue, per non essere ben fondato, non persuad
essere ben fondato, non persuade, e non produce pienamente l’effetto
che
si cerca. Lo sforzo dell’ingegno consiste nel ben
ll’ingegno consiste nel ben concatenare i pensieri co’ fatti in guisa
che
gli eventi sembrino fatali e facciano pensare all
sa che gli eventi sembrino fatali e facciano pensare allo spettatore,
che
posto egli in quella situazione si appiglierebbe
ito, e soggiacerebbe a quel medesimo infortunio. E per ultimo si noti
che
Assur dice a Ninia al comparire Semiramide spiran
garde ce tombeau, contemple ton ouvrage. Ma come ha colui saputo ciò
che
si è passato dentro del mausoleo? come sa egli ch
a colui saputo ciò che si è passato dentro del mausoleo? come sa egli
che
la reina muore per mano di Ninia? Voltaire che a
ausoleo? come sa egli che la reina muore per mano di Ninia? Voltaire
che
avea ricavate le precedenti favole dal Dolce, dal
rato di Quinault, o per la Semiramide del Metastasio o del Crebillon,
che
egli in una epistola a mad. di Pompadur chiamò s
a spagnuola la sua Zulime, i cui due ultimi atti deludono le speranze
che
sorgono da i precedenti. L’Orfano della China rap
ustia. Poteva in questa essere una cautela, benchè inutile, il tacere
che
fa Amenaide il nome di Tancredi nel biglietto che
inutile, il tacere che fa Amenaide il nome di Tancredi nel biglietto
che
la rende colpevole; ma la dichiarazione interrott
la dichiarazione interrotta dallo svenimento, indi dal ringraziamento
che
Tancredi non vuole ascoltare, lascia il lettore p
rapacità degli Arabi, de’ Greci, de’ Francesi e de’ Germani, ha certo
che
di grande: Grecs, Arabes, Français, Germains, to
orte dell’eroe. Sabatier des Castres nel libro de’ Tre secoli decide
che
Alzira, Maometto, Merope e Zaira non sono compara
na. Questa decisione magistrale punto non ci trattiene dall’affermare
che
tralle migliori del Corneille e del Racine posson
ro; ma tralasciamo di spaziarci sulle altre più abbondanti di difetti
che
di bellezze. Il sagace osservatore manifesta con
da chi non conosce l’arte. «Tutti coloro (diceva l’istesso Voltaire)
che
si vogliono far giudici degli autori, sogliono su
liono su di essi scrivere volumi; io vorrei piuttosto due pagine sole
che
ce ne additassero le bellezze.» Poche altre trag
i a sparger menzogne e tratti maligni sulle opere acclamate di coloro
che
non sono nel numero de’ loro benefattori. Una fol
truosità, di orrori, di ombre, di sepoleri e di claustrali disperati,
che
in vece di toccare il cuore spaventano e fanno in
aventano e fanno inorridire. Non mancarono negli anni seguenti alcuni
che
cercarono di battere alla meglio il dritto sentie
stata l’arte di pulir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è
che
nella lettura che se ne fece, gli si notò la dure
lir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è che nella lettura
che
se ne fece, gli si notò la durezza della versific
o d’Ifigenia. Ma il signor Collè dotato di gusto migliore gli avvertì
che
tali amori raffreddavano argomento sì tragico. Se
ot, non tutti ravvisarono in lui la mancanza di gusto, e que’ difetti
che
gli furono poscia rimproverati, e singolarmente l
ere parigino, il quale secondo il citato Palissot, è a Marmontel quel
che
Campistron è a Racine, ha prodotto: Idomeneo, Ter
rse, Ipermestra e Barnevel, tragedie non meno dure e secche di quello
che
fu la Pucelle di Chapelain. Vedasene un saggio ne
ici col Warwick tirando la sua favola dalla storia di questo generale
che
collocò sul trono britannico Edoardo donde il vol
renti ed amici a’ quali si profusero tutti gli onori e le dignità, di
che
cercando egli di vendicarsi perì nella battaglia
rivale, ma penetrato di dolore dal di lui pericolo pentito dimentica
che
Eduardo è suo rivale, e si sovviene che è suo re.
ui pericolo pentito dimentica che Eduardo è suo rivale, e si sovviene
che
è suo re. Quest’eroismo si applaudì in teatro, ma
’eroismo si applaudì in teatro, ma si criticò dagli eruditi cui parve
che
un carattere dipinto per quattro atti come amante
ttro atti come amante vendicativo e geloso e come guerriero furibondo
che
non respira che vendetta, si cangia repentinament
mante vendicativo e geloso e come guerriero furibondo che non respira
che
vendetta, si cangia repentinamente nel V e divent
io tragico volle ergersi a legislatore del teatro e dare ad intendere
che
la sua tragedia dovesse tenersi per modello d’art
ci, e quanta fosse la sua arroganza prematura, e la smania magistrale
che
enunciava da lontano l’autore di tanti volumi pre
ran Torquato. Voltaire molto finamente in una risposta di poche linee
che
gli scrisse, accennò con acutezza alcune indiscre
, fingendo di approvarle; e senza avventurare qualche inutile lezione
che
avrebbe senza correggerlo irritato il giovane bal
diedero a’ fautori di La Harpe grandi speranze. Ma l’istesso Palissot
che
mostrò all’apparenza di esserne uno, convenne che
l’istesso Palissot che mostrò all’apparenza di esserne uno, convenne
che
il rimanente delle sue produzioni drammatiche non
fu preceduto dalle sue tragedie. Savigny compose la Morte di Socrate
che
è piuttosto un panegirico di quell’Ateniese che u
e la Morte di Socrate che è piuttosto un panegirico di quell’Ateniese
che
una tragedia. Scrisse anche Irza superiore alle t
, Poinsinet de Sivry, Pompignan e Piron. Du Bocage scrisse le Amazoni
che
si trova nelle di lei opere impresse in Parigi ne
al teatro. Il commediante Ma Noue morto nel 1761 scrisse Maometto II
che
rimase al teatro. Voltaire gl’indrizzò un madriga
cialmente Aristofane senza averne conservato il calore ed il sale, di
che
convengono anche i giornalisti francesi. Questo s
se Sur la Didon qui fut de Metastase. Scrisse parimente una Zoraide
che
l’istesso Voltaire non lasciò di mettere in ridic
e diede al teatro il Callistene nel 1730 tragedia di semplice viluppo
che
punto non riuscì sulle scene, e non vi tornò a co
a comparire. Più complicato fu il suo Gustavo Wasa composto nel 1733
che
ebbe venti rappresentazioni successive e rimasto
ando Cortes si rappresentò nel 1744 senza applauso. Il credito dunque
che
godè Piron di uno de’ tragici francesi degno di r
o e difeso dal proprio autore con forza e con buon evento. Tra’ pregi
che
in esso si notano, è la nobiltà e la virtù che re
uon evento. Tra’ pregi che in esso si notano, è la nobiltà e la virtù
che
regna in quasi tutti i personaggi, non eccettuand
ura de’ constumi selvaggi e spagnuoli in contrasto. La rassomiglianza
che
per questa parte ha con l’Alzira, non ha nociuto
zira, non ha nociuto al buon succsso di Zuma. Le situazioni patetiche
che
vi regnano, l’interesse che produce, la pompa del
succsso di Zuma. Le situazioni patetiche che vi regnano, l’interesse
che
produce, la pompa dello spettacolo e dello stile
in detto anno con molta energia da Madamigella Raucourt, tutto ciò fa
che
questa tragedia seguiti a ripetersi. Prima di far
Belloy morto nel 1775. Benchè privo egli si dimostri di certe qualità
che
enunciano l’uomo di gusto e d’ingegno, come altre
nazionali? E perchè i suoi compatriotti glie l’accordarono? Di grazia
che
altro rappresentano i Cinesi da tanti secoli? Che
ltro, quanti non abbaccina? Belloy talmente si appropriò questo vanto
che
nella prefazione al suo Gastone e Bajardo se ne p
al suo Gastone e Bajardo se ne pavoneggia sino all’estrema noja. Ma
che
diremo di quest’altra tragedia parimente di argom
rilità? Che Belloy aveva nelle prime favole esauriti i suoi tesori, e
che
non seppe idear quest’altra senza ripetersi? Sare
o? Chi leggerà senza ridere la tagliacantonata del Bajardo del Belloy
che
vuole spaventar Gastone, Si vous sçaviez le sort
viez le sort de mon prèmier rival! o la graziosa antitesi di Gastone
che
abbraccia il rivale e sfodera la spada, Embrasse
ropria umiliazione? Bajardo dà a se stesso il titolo di eroe? Si vede
che
l’anima di Belloy era ben poco eroica, se prestav
i Belloy era ben poco eroica, se prestava tali bassezze a’ personaggi
che
voleva dipingere come eroi. Non è meno inconsider
delineato il carattere del Duca di Urbino enunciato come virtuoso, ma
che
intanto fin dall’atto I non ignora i tradimenti o
sdegnato di comprenderne i segreti. È virtù questa falsità? L’autore
che
aspirava alla gloria di tragico, avea ben false i
perchè non attenderne l’evento sicuro? perchè disporre senza bisogno
che
uno di essi truciderà Bajardo e l’altro Gastone?
prendergli dal fondo de’ suoi ghiribizzi e dallo spirito di menzogna
che
lo predomina. Un disertore Francese poi che piove
dallo spirito di menzogna che lo predomina. Un disertore Francese poi
che
piove dal cielo nell’atto V, scopre la congiura;
unto di senso comune? Che si dirà poi di quella specie di contradanza
che
fanno nell’atto IV Gastone, Avogadro ed Eufemia?
se, gigantesche e puerili. È piacevole p. e. questa di Bajardo ferito
che
vuol tornare alla pugna, e dice a’ soldati: Mort
que su gli altri di lui difetti nè piccioli nè pochi come poeta a ciò
che
ne dissero i Francesi stessi, e diamo qualche sgu
ntefice Giulio II e di tutta la nazione Italiana. Il tragico storico (
che
nè storico nè tragico si manifesta) denigra la fa
tore, ed un mezzano della propria figliuola, e con documenti istorici
che
alla storia contraddicono, pretende avvalorare le
Brescia sin dal 1426 si era data alla Repubblica, per le oppressioni
che
soffriva sotto Filippo Visconti, a cui sempre ric
a e insolenza massimamente verso le donne , e quasi tutti i cittadini
che
non potevano più soffrire, al dir del cardinal Be
la città, non è ascoltato, i mali pubblici, e le private offese fanno
che
si rivolga alla Repubblica, e promette di aprire
non si potrebbe con qualche fondamento ribattere la taccia di ribelle
che
gli s’imputa? Furono ribelli gli Spagnuoli che pe
e la taccia di ribelle che gli s’imputa? Furono ribelli gli Spagnuoli
che
per sette secoli combatterono contro de’ Mori per
e il giogo? Ma sia pure Avogadro un ribelle, cioè un suddito oppresso
che
non ha la virtù della tolleranza, e che disperand
lle, cioè un suddito oppresso che non ha la virtù della tolleranza, e
che
disperando di ottener giustizia dal nuovo signore
ne dell’antico. È però la stessa cosa essere in questa forma ribelle,
che
scellerato, ruffiano della figliuola, traditore
seudotragico come Minerva da quello di Giove. Nè Avogadro fu un lâche
che
fuggì quando dovea morir combattendo. I Francesi
storia, ma semplicemente un nemico de’ Francesi. Adunque la crudeltà
che
usò con lui Gaston de Foix, sembra inescusabile.
y calunniandolo attribuisce ad un immaginario suo tradimento la morte
che
gli fu data, se non per natural crudeltà, almeno
A questo spettacolo (dicesi in fine della lettera) il duca di Nemours
che
sentiva commuoversi, e credeva necessario il rigo
, fe un segno, e le due teste caddero a’ piedi suoi. Fu ciò un’ ombra
che
si mischiò al lustro del trionfo; ma i Francesi n
ombra che si mischiò al lustro del trionfo; ma i Francesi non videro
che
il trionfo.» Se il Belloy per natura, e per istud
cutere il fatto con esattezza ; e l’esattezza consiste in osservare,
che
l’ esposto non si dica dallo storico della vita
di una pruova istorica ad un’ asserzione negativa. Osserva in seguito
che
Du-Bos varia dal primo racconto in qualche circos
o che Du-Bos varia dal primo racconto in qualche circostanza dicendo,
che
i due figli di Avogadro furono giustiziati alcun
opo ; ed anche di ciò vuol dubitare il Belloy per questa gran ragione
che
non sa d’où il emprunte ce recit . Ma se egli du
’où il emprunte ce recit . Ma se egli dubitava di quanto ignorava, di
che
non dovè egli dubitar vivendo? Du-Bos che ignorav
tava di quanto ignorava, di che non dovè egli dubitar vivendo? Du-Bos
che
ignorava molto meno di lui della storia, narrò ci
ivendo? Du-Bos che ignorava molto meno di lui della storia, narrò ciò
che
si trova dagli storici riferito. Fu nel secondo g
finto fuggia di città, riconosciuto, fermato e presentato a Gastone,
che
nella pubblica piazza il fe decapitare.. volendo
er denigrarlo, e per vestirne un figlio infame del capo del Belloy! E
che
direbbero i suoi compatriotti se si mettesse sull
carnefice? Essendo amico della Francia avea quel pontefice desiderato
che
il famoso Bajardo accettasse, come era costume a
pa in quella guerra? Il proteggere la libertà Italiana. Temè in prima
che
le potesse nuocere la potenza e l’ambizione de’ V
agl’Italiani generalmente «un raffinamento di perfidia e di crudeltà,
che
ci fa credere (aggiugne) oggi ancora che la vende
o di perfidia e di crudeltà, che ci fa credere (aggiugne) oggi ancora
che
la vendetta sia più ingegnosa e più implacabile i
ancora che la vendetta sia più ingegnosa e più implacabile in Italia
che
altrove»? Quale impudenza! E chi più del Belloy i
suo Fajele ed il più implacabile, il più vendicativo, il più inumano,
che
vince i Selvaggi e i Cannibali più accaniti e dà
sità naturale; ma la stomachevole vanità del Belloy ci obbliga a dire
che
i Francesi di que’ tempi non diedero molte pruove
izzotti. Poco candidamente si condussero nell’isola di Sicilia, ond’è
che
diedero motivo a quel famoso Vespro conseguenza d
liana? Gli tolsero le armi e gli diedero agli Spagnuoli, a condizione
che
gli rimandassero al campo francese. Ma lasciamo l
sciamo le istorie, le note e le prefazioni del Belloy, e conchiudiamo
che
delle sue tragedie l’Assedio di Calais, Gastone e
ira, Don Pietro il crudele e Gabriela di Vergy, già più non rimangono
che
i nomi, mancando loro la nota del genio, l’armoni
ali si risentivano delle passioni esaltate e de’ sentimenti del tempo
che
correva. Quanto alla tragedia si coltivò da Cheni
age di San-Bartolommeo con gli orrori e l’esecuzioni della repubblica
che
sorgeva in mezzo al sangue. L’orribil suono delle
che sorgeva in mezzo al sangue. L’orribil suono delle campane ad armi
che
accendeva i feroci petti nella mentovata esecrand
ben descritta nell’Erriade, rinnovava la memoria dell’orrendo effetto
che
in quel tempo sovvertimento universale mise in fi
rtà, e l’autore sin dalla prima ripetizione vi fece varii cangiamenti
che
accrescono la rapidità dell’azione e l’energia de
el Voltaire, si trovano fuor di dubbio più forti e più vere di quelle
che
Chenier mette in azione. La morte di Coligni nell
Coligni nell’Erriade assai più patetica eccita la compassione tragica
che
si desidera nella tragedia. L’incertezza per altr
a. L’incertezza per altro di Carlo IX sempre irrisoluto sino al punto
che
si avvicina il gran momento della strage delibera
serva dalla languidezza un soggetto per se stesso pieno di terrore ma
che
nella tragedia accenna ogni istante di cader nel
i esser applaudito per la purezza, per l’eleganza, e per varii tratti
che
mostrano lo studio da lui fatto ne’ buoni modelli
no Pontefice si accolsero con trasporto dall’uditorio. Tra gli attori
che
lo rappresentarono, si distinse Talma nella parte
ni squarci del Cancelliere, Battista nella parte diColigny, e La Fond
che
giva sorgendo, rappresentò con arte il carattere
di felice riuscita, mal grado di alcuni difetti. Contiene il dominio
che
ebbe Medea in Atene sposando il re Egeo, e l’arri
dea in Atene sposando il re Egeo, e l’arrivo di Teseo erede del regno
che
Medea cerca di far morire. Il piano è ideato con
Teseo è dipinto con nobiltà, quello di Medea con molto vigore, se non
che
ostenta soverchio gli eccessi da lei commessi. I
nidi. Ma il V atto cui non rimane materia sufficiente, non contenendo
che
un lungo monologo di Medea, e Teseo che viene fuo
a sufficiente, non contenendo che un lungo monologo di Medea, e Teseo
che
viene fuori a dire che ha vinto, mancò poco che n
enendo che un lungo monologo di Medea, e Teseo che viene fuori a dire
che
ha vinto, mancò poco che non tirasse seco a terra
ogo di Medea, e Teseo che viene fuori a dire che ha vinto, mancò poco
che
non tirasse seco a terra tutta la tragedia. Lo st
tano nondimeno alcune scene degne di lode. Tali sono: quella di Medea
che
propone di avvelenar Teseo ad Egeo che ignora di
de. Tali sono: quella di Medea che propone di avvelenar Teseo ad Egeo
che
ignora di esser suo figlio; l’artificio di Medea
Carion de Nizas compose a que’ dì una tragedia intitolata Montmorenci
che
si recitò nel mese Pratile nel Teatro della Repub
tile convenevole. I Francesi osservarono dalla prima rappresentazione
che
sin da’ primi atti essa manca d’interesse e di az
o aveva prima sull’istesso teatro della Repubblica Eteocle e Polinice
che
non si avvicina punto al Racine che lo precedette
lla Repubblica Eteocle e Polinice che non si avvicina punto al Racine
che
lo precedette in trattar lo stesso argomento, ed
te sul teatro della Repubblica. Oscar figlio di Ossian di cinque atti
che
si rappresentò l’anno quarto della repubblica, e
1800; Cajo Mario a Minturno di tre atti recitata nel maggio del 1791,
che
più non si rivide; e Bianca e Montcassin di cinqu
cuperemo un poco più di Bianca e Montcassin. Atto I. L’autore suppone
che
Montcassin francese due volte abbia salvata la Re
che Montcassin francese due volte abbia salvata la Repubblica, ond’è
che
il Senato si raduna per premiarlo dichiarandolo p
dolo patrizio e senator veneto. Si propone nel tempo stesso una legge
che
stabilisce che qualunque senatore per imprudenza
senator veneto. Si propone nel tempo stesso una legge che stabilisce
che
qualunque senatore per imprudenza o per malizia a
lia, Contarini e Capello, per por fine alla loro nimistà, conchiudono
che
Capello prenderà in isposa Bianca unica prole di
ato chiamato al Consiglio. Ella ne mostra piacere col padre, credendo
che
le abbia destinato Montcassin, niun altro al suo
vicino. Viene Capello pieno di contento per avere inteso da Contarini
che
ella ha dato il consenso di prenderlo in isposo.
sta ugualmente i due amanti. Ella ricusa di dare una risposta precisa
che
si riserba di dare fra pochi istanti. Capello si
dare fra pochi istanti. Capello si ritira dicendo, pieno di rispetto,
che
l’attenderà. Montcassin con risposte pungenti tra
o, che l’attenderà. Montcassin con risposte pungenti trafigge Bianca,
che
gli dice che a torto egli di lei si lagna. Distru
nderà. Montcassin con risposte pungenti trafigge Bianca, che gli dice
che
a torto egli di lei si lagna. Distruggi dunque (l
! Si dispera, si chiama imprudente, insensata; ed assicura Montcassin
che
si lagna della sua fortuna, che ella non sarà mai
te, insensata; ed assicura Montcassin che si lagna della sua fortuna,
che
ella non sarà mai d’altri che di lui. Atto III. C
tcassin che si lagna della sua fortuna, che ella non sarà mai d’altri
che
di lui. Atto III. Contarini viene a far premure a
za, potendosene a ragione offendere lo sposo. Bianca nettamente dice,
che
questa obedienza la fa tremare, e rivela di aver
la fa tremare, e rivela di aver fatta un’ altra scelta. E chi è colui
che
hai tu scelto (dice Contarini)? Quello che arriva
ltra scelta. E chi è colui che hai tu scelto (dice Contarini)? Quello
che
arriva, dice Bianca, additando Montcassin che giu
dice Contarini)? Quello che arriva, dice Bianca, additando Montcassin
che
giugne. Contarini a lui rivolto gli dice: siete v
bitro del destino di mia figlia. La scena lunghissima alfine contiene
che
Contarini decisivamente gli fa sapere, che nulla
unghissima alfine contiene che Contarini decisivamente gli fa sapere,
che
nulla sarà bastante a piegarlo, e Montcassin risp
figlia ad obedirvi finchè io esisterò? Vedo bene, ripiglia Contarini,
che
la vostra presenza può offendere l’autorità pater
torità paterna; giurate di rispettar l’ingresso della mia casa fino a
che
Bianca non passi ad abitare in quella dello sposo
d abitare in quella dello sposo. Montcassin ricusa. Contarini comanda
che
esca di sua casa. Montcassin minaccevole gli dice
t le comble à ma rage; ho finito di supplicare; io tenterò tutto ciò
che
mi sugerirà un amor disperato, e parte. Capello v
in cui una porta aperta nel mezzo lascia vedere una sala con finestre
che
danno sul palazzo dell’ambasciadore di Spagna. In
anca glie l’accorda nel luogo indicato, stimandolo opportuno (in caso
che
il padre soparavvenisse) per l’evasione al palazz
in l’affretta a fuggirà. In questo punto (dice Bianca)? Montcassin, e
che
aspetti tu ad abbandonare una dimora indegna, dov
e di sposa in faccia al Crocifisso eh e è nella Cappella, aggiungendo
che
domani anderà a trovarlo. E: demain? mais aujour
a casa è impossibile, vi sono troppi testimoni; ma non vi è altra via
che
il palazzo di Spagna. Bianca: ah in esso ti segue
i copre bisogna dunque incontrarla, e parte. Contarini dice a Bianca,
che
viene lo sposo col sacerdote. Io non diverrò mai
dote. Io non diverrò mai spergiura, dice Bianca. E Contarini le dice,
che
se persiste a disubbidire, la maledirà. Nel punto
a maledirà. Nel punto in cui Bianca è astretta a profferire le parole
che
l’uniscono a Capello, ella sviene nelle braccia d
a sviene nelle braccia del Prete, e di Capello. Arriva Pisani a dire,
che
un evento disgraziato chiama i tre Inquisitori al
tori al tribunale; Montcassin ha violata la legge terribile ai nobili
che
la trasgrediscono; egli passava le mura del palaz
o; egli passava le mura del palazzo di Bedmar. Tutti lasciano Bianca,
che
ritornando in se domanda del suo destino, ed inte
iano Bianca, che ritornando in se domanda del suo destino, ed intende
che
Montcassin è ne’ ferri, e portato al tribunale co
quegli compiange l’accusato, e lo spera innocente. Montcassin domanda
che
voglia dire quell’apparato funesto? Quello del Co
i e Capello. Questi dice al Collega, perchè mi riveli in questo punto
che
Montcassin è mio rivale? per cangiar forse il suo
udice imparziale, e di amante sventurato. Contarini gli fa riflettere
che
l’accusato è condannato dalla legge, e che non di
ontarini gli fa riflettere che l’accusato è condannato dalla legge, e
che
non dipende dall’arbitrio de’ giudici. Arriva il
nunzia il suo voto di morte. Capello prima di giudicarlo reo vorrebbe
che
su i suoi progetti egli avesse somministrate pruo
ove, vorrebbe una convizione piena del delitto. Loredano profferisce,
che
quando anche potesse discolparsi de’ suoi progett
o a votare. Contarini lo chiama a parte, e gli dice: io ben comprendo
che
se non foste suo rivale, punto non esitereste a p
ello si risolve a votar di morte. Si ordina l’esecuzione. Si annunzia
che
un testimone arriva; e questo testimone è Bianca
jet ; Sa complice c’est moi. Contarini la rimprovera. Capello vuole
che
prosegua. Bianca riferisce che Montcassin è venut
Contarini la rimprovera. Capello vuole che prosegua. Bianca riferisce
che
Montcassin è venuto la notte nel palazzo da lei i
sce che Montcassin è venuto la notte nel palazzo da lei introdotto, e
che
ella giurò innanzi all’altare paterno di essere s
per ciò non si rimuovono dalla sentenza data. Capello solo proibisce
che
si esegua. Si alza però il volo del fondo, e si v
levarla. Quest’argomento appartiene alla storia veneta. Si ha da essa
che
una gentil donna per nome Teresa nata nel 1601 fu
n Venezia trovò il caso degno del coturno, e ne formò la sua tragedia
che
dedicò a Napoleone Bonaparte membro dell’Istituto
igliarlo a suo modo. Diede da prima all’azione un lieto fine, facendo
che
la donna da lui chiamata Bianca disperata offeriv
eriva la mano a Cappello a cui era stata destinata sposa a condizione
che
salvasse la vita all’amante, e che Capello salvan
stata destinata sposa a condizione che salvasse la vita all’amante, e
che
Capello salvandolo ne ricusasse generosamente la
ragico, e così comparve sulle scene e per le stampe. Ecco intanto ciò
che
rende la storia differente dalla tragedia. In pri
In prima il Foscarini veneto è trasformato in un Montcassin francese
che
si dice di aver salvata due volte Venezia. Ma è p
ece del veneto Foscarini nobil veneto avvocato insigne, e l’illusione
che
si sforza di occuparlo, ad ogni passo si allontan
asse; e forse in Francia ancora non si riceverebbe con pieno applauso
che
un francese si credesse estremamente onorato per
naparte tutte si saranno versate per Bianca. In secondo luogo osservo
che
l’azione nella tragedia ragionevolmente scema il
l’azione nella tragedia ragionevolmente scema il pericolo dell’amante
che
in quella storia è inevitabile. In questa Foscari
un bivio tragico, ed eccolo ridotto per di lei decoro ad un silenzio
che
lo fa soggiacere alla pena di morte dovuta ad un
un delitto. Contarini padre di Bianca ha saputo da lui stesso l’amore
che
nutre per la figliuola, e Capello promesso a lei
oro dell’amata, se per giustificarsi del delitto di stato confessasse
che
ama Bianca che vorrebbe sposare. Ciò niuna infami
se per giustificarsi del delitto di stato confessasse che ama Bianca
che
vorrebbe sposare. Ciò niuna infamia a lei apporte
iuna infamia a lei apporterebbe ed il pubblico saprebbe quello stesso
che
il padre non ignora. Il bivio dunque che rende gl
blico saprebbe quello stesso che il padre non ignora. Il bivio dunque
che
rende glorioso e necessario il silenzio del Fosca
ontcassin di Arnault. Quanto poi allo stile, i leggitori ben vedranno
che
l’autore sovrasta di gran lunga al Lemiere, al Be
re sovrasta di gran lunga al Lemiere, al Belloy ed a’ loro simili, ma
che
non si avvicina punto ai Cornelii, ai Racini a i
frammischia le proprie idee, cade in assurdi. Lo stile nulla presenta
che
tiri l’attenzione. L’autore ha composti varii alt
afferma ch’egli nel medesimo anno ne mandò fuori due, l’uno in versi
che
si rappresentò e l’altro in prosa non mai recitat
ato. a. Vedi un frammento di una di lui lettera sulla considerazione
che
si dee à Letterati. a. Si legga il discorso ch’
i legga la sua epistola a S. A. la Duchessa du Maine. b. Oltre a ciò
che
si dice in varie collezioni delle sue opere, si v
morie di m. di Palissot. a. Trovo nelle opere postume di Federigo II
che
a lui sembrava affatto ridicola . a. Tralascio
ta dal Milanese per 83 anni. Non è dunque vero quelche dice il Belloy
che
era stata sotto il dominio Veneto per dieci anni.
zotti vol. II de’ Fatti Veneti dall’anno 1504 al 1570. a. Vedasi ciò
che
l’Avogadro scrisse al Senato Veneziano secondochè
amina, in cui mal volentieri mi occupo per quella breve famigliarità,
che
contraemmo, e che io bramo di conservare. Non cre
volentieri mi occupo per quella breve famigliarità, che contraemmo, e
che
io bramo di conservare. Non credo però, che per l
iarità, che contraemmo, e che io bramo di conservare. Non credo però,
che
per le mie risposte venga nell’animo vostro alter
e abbia a soffrire. E poi, caro D. Saverio, voi già non pretenderete,
che
io pieghi le spalle, e qual servo antico, mi rice
ella p. 276. una quistione non nuova. “Il Signorelli (dite) vorrebbe,
che
il Poeta teatrale si studiasse di piacere alla pa
studiasse di piacere alla parte più sana e illuminata della Società,
che
sono i Dotti”. Aggiugnete (p. 278.): “I Poeti, i
sono i Dotti”. Aggiugnete (p. 278.): “I Poeti, i quali nulla curando
che
le loro Commedie, o Tragedie occupino con plauso
“si studieranno di lavorare i suoi Drammi sull’esempio di quelli,
che
furono scritti nella caverna di Salamina”. Quindi
i nella caverna di Salamina”. Quindi prendete argomento d’insegnarmi,
che
i Drammi “non furono inventati per dilettare i Sa
azio; ed a tal fine si danno varie instruzioni intorno al buon gusto,
che
dee regolarli, se ne compongono tanti, come per s
el punto di perfezione necessario, e se ne tessono Istorie ragionate,
che
con un colpo d’occhio espongano gli sforzi fatti
fatti dagli antepassati per conseguire fine sì bello. Non credo però,
che
la Storia de’ Teatri vi abbia dato motivo di pens
credo però, che la Storia de’ Teatri vi abbia dato motivo di pensare,
che
io pretenda destinare i Drammi solo alla lettura
io pretenda destinare i Drammi solo alla lettura de’ Savj, come pare
che
vogliate insinuare, scappando fuori con quel lect
coli scorsi si agitò in Italia con qualche calore: altri pretendendo,
che
dovesse piacersi a’ Dotti, altri, come il Castelv
etendendo, che dovesse piacersi a’ Dotti, altri, come il Castelvetro,
che
la Poesia dovesse essere popolare. Dalla mia prim
Castelvetro; ma compreso poi meglio lo stato della quistione, pensai,
che
si vuol piacere a’ Dotti, senza punto rigettare l
za punto rigettare la sentenza del Castelvetro. E felicemente trovai,
che
il dottissimo Gravina l’intendeva a mio modo: “De
eva a mio modo: “Dee il Poeta (ei dice1) tener del Popolo quel conto,
che
ne tiene il Principe, il quale sebbene non dee lo
le idee per ispiegare le parole. Chi credete voi, Signor Apologista,
che
io intenda per Dotti? Forse certi solinghi, colti
ando quasi una razza inaccessibile separata dal rimanente? Così pare,
che
l’intendiate voi con dire i Savj solitarj ne’ lor
esi coltivano con successo e le belle Lettere, e le severe Scienze, e
che
al punto, che s’inteneriscono con Racine e Metast
con successo e le belle Lettere, e le severe Scienze, e che al punto,
che
s’inteneriscono con Racine e Metastasio, che si d
Scienze, e che al punto, che s’inteneriscono con Racine e Metastasio,
che
si deliziano in Tibullo e Catullo, che si compiac
scono con Racine e Metastasio, che si deliziano in Tibullo e Catullo,
che
si compiacciono di Garcilasso de la Vega e di Err
itz, e di Newton, da fare arrossire non pochi di certi Savj Solitarj,
che
si credono i soli custodi della Scienza. Intendo
&c. non meritano di segregarsi dal volgo ignobile e idiota, senza
che
si ascrivano a quel rigido malinconico branco di
ù pura delle Società? Non formano in ciascuna nazione un Popolo, anzi
che
una ristretta brigata? Intanto questo Popolo non
o questa Plebe, e questo Popolo polito e colto sono più uniti di quel
che
taluno crede. Quando alla Gente onesta da me nomi
de. Quando alla Gente onesta da me nominata piace un Dramma, vedrete,
che
sarà piaciuta ugualmente alla minuta plebe. L’Ata
giorni con prodigioso concorso, silenzio, e diletto da quella Plebe,
che
Lope e voi credete incapace di compiacersi de’ bu
he Lope e voi credete incapace di compiacersi de’ buoni Drammi. Non è
che
la Gente colta non goda di un doppio diletto. Ess
del lavoro superata felicemente dal Poeta, e le vaghezze dello stile,
che
è il sale che mantiene incorruttibili i componime
erata felicemente dal Poeta, e le vaghezze dello stile, che è il sale
che
mantiene incorruttibili i componimenti. E questo
i i componimenti. E questo sale, quest’arte, queste bellezze faranno,
che
gli uomini di buon gusto, dopo che hanno col Pubb
est’arte, queste bellezze faranno, che gli uomini di buon gusto, dopo
che
hanno col Pubblico intero goduto di tali Drammi n
e’ Teatri, si pregeranno di conservarli con gl’immortali componimenti
che
si scrissero nella Caverna di Salamina. Or non è
non è questo il vero scopo, a cui dee aspirare il Poeta Drammatico? E
che
dunque va fantasticando l’Apologista? Dopo avere
onesta e rischiarata, sulla Poesia Scenica? Ma dunque, egli dirà, in
che
mai si distinguono i Dotti da’ Volgari? In ciò, S
à, in che mai si distinguono i Dotti da’ Volgari? In ciò, Signor mio,
che
i Volgari pensano come i Dotti, ad una buona Favo
ari sul Paolino, sul Koulicán, sulla Conquista del Perù; cioè a dire,
che
i Dotti accoppiano il gusto al discernimento, e i
e dunque un Apologista conoscere i Drammi degni di riprovarsi, sappia
che
sono quelli, che nella rappresentazione divertiro
gista conoscere i Drammi degni di riprovarsi, sappia che sono quelli,
che
nella rappresentazione divertirono solo i Plebei;
Plebei; se volesse discernere gli eccellenti, gli ravvisi in quelli,
che
i Dotti conservano ne’ loro Gabinetti, dopo che s
li ravvisi in quelli, che i Dotti conservano ne’ loro Gabinetti, dopo
che
se ne dilettarono insieme con i Plebei nella rapp
che se ne dilettarono insieme con i Plebei nella rappresentazione. E
che
? Il divino Euripide, che tirava al Teatro anche u
sieme con i Plebei nella rappresentazione. E che? Il divino Euripide,
che
tirava al Teatro anche un Socrate, che da Quintil
ne. E che? Il divino Euripide, che tirava al Teatro anche un Socrate,
che
da Quintiliano vien detto il Filosofo coturnato,
nche un Socrate, che da Quintiliano vien detto il Filosofo coturnato,
che
fa uno de’ più stimabili ornamenti delle più famo
rrevano i suoi Drammi di bocca in bocca, e i Soldati recitavangli più
che
non si ripetono oggi gli aurei squarci delle Poes
iane. I Traci stessi, gli stupidi Abderiti se ne dilettavano a segno,
che
in un contagio d’altro non furono capaci, che di
ne dilettavano a segno, che in un contagio d’altro non furono capaci,
che
di declamare i versi dell’Andromeda. E voi, Sig.
i Tavernaj, los Tunos, y los Pillos? E qual maggior gloria di quella,
che
godè lo Scrittore della Caverna di Salamina, di a
azione così sicura, e universale? E chi non vi compiangerà! Menandro,
che
incantò tutti i Filosofi, che è l’idolo del sobri
le? E chi non vi compiangerà! Menandro, che incantò tutti i Filosofi,
che
è l’idolo del sobrio Plutarco, che fu citato da’
dro, che incantò tutti i Filosofi, che è l’idolo del sobrio Plutarco,
che
fu citato da’ SS. Padri della nostra Chiesa, fors
le idee de’ dotti, e quelle de’ volgari? Ma lasciando le anticaglie,
che
forse vi daranno malinconia, come la Caverna di S
amina, venghiamo a’ tempi a noi vicini. Forse l’elegantissimo Racine,
che
può dirsi l’Euripide Francese, non ebbe ne’ suoi
conviverà ne’ Gabinetti più dotti in compagnia di Euripide, di colui
che
scrisse nella Caverna di Salamina? Le Poesie dell
Metastasio da circa sessant’anni non si ripetono incessantemente, non
che
per l’Italia, per l’Europa tutta? Non si rapprese
enza di dar luogo a nuove Opere? Non se ne citano universalmente, non
che
le Arie, le scene intere? E intanto non fanno in
a de’ dotti? non sono prezioso ornamento de’ loro Gabinetti, non meno
che
delle più scelte Biblioteche? Non forma Metastasi
gno di sommo rispetto: ma (perdonatemi) l’amena Letteratura non parmi
che
sia stata da voi coltivata per tempo, e con pazie
e non so quanti nazionali, e stranieri oggi leggono le impresse1. Or
che
vi pare, Sig. Lampillas? il destino degli scritti
e vi pare, Sig. Lampillas? il destino degli scritti scenici del Vega,
che
disprezzò i clamori de’ dotti coetanei, è più inv
è più invidiabile di quello delle Tragedie scritte in quella Caverna,
che
forma il vostro spavento? La barbarie, e uno zelo
tempo della maggior parte delle Favole di Euripide; ma le diciannove,
che
ce ne rimangono, ed i più piccioli frammenti dell
che ce ne rimangono, ed i più piccioli frammenti delle altre perdute,
che
con tanta diligenza si raccolsero negli antichi S
e delle Tragedie di quel famoso Ateniese, e di chi le ammira. Si vede
che
i gusti non sono uguali: “A chi piaccion le fave
sando a solo fine di far danaro, e contentare il Volgo! Immaginatevi,
che
, secondando i voti della parte illuminata della N
n. Lampillas è dichiarato protettore del Lope qual fu, e non del Lope
che
poteva essere. E se n’è così innamorato, che con
qual fu, e non del Lope che poteva essere. E se n’è così innamorato,
che
con ogni sforzo apologetico si adopera, perchè i
adopera, perchè i Lopi continuino nella propria nazione, e più tardi
che
si possa sorgavi (che al fine dee sorgervi) qualc
i continuino nella propria nazione, e più tardi che si possa sorgavi (
che
al fine dee sorgervi) qualche riformatore simile
ntendere a’ suoi compatrioti una cosa contraddetta dalla Storia, cioè
che
in tutte le Nazioni i Poeti scenici, al pari di L
, al pari di Lope, hanno secondato il gusto del popolaccio. Ecco quel
che
dice (p. 282.) degli antichi Italiani: “I Poeti s
nam plebecula gaudet. Secondo me Orazio altro quì non dice, se non
che
la plebaglia nel meglio di recitarsi de’ versi s’
atur ebur, captiva Corinthus. Anche queste cose credè l’Apologista,
che
fossero rappresentazioni teatrali strepitose desi
rappresentazioni teatrali strepitose desiderate non meno dalla Plebe,
che
da’ Cavalieri Romani in vece de’ buoni Drammi; ne
o dalla Plebe, che da’ Cavalieri Romani in vece de’ buoni Drammi; nel
che
prende ancora un bel granchio. Quì si parla di sp
l granchio. Quì si parla di spettacoli dell’occhio, e non del piacere
che
danno i versi all’udito: si parla delle corse, ch
e non del piacere che danno i versi all’udito: si parla delle corse,
che
si facevano nel Circo a piedi, e a cavallo: si pa
nel Circo a piedi, e a cavallo: si parla dello spettacolo trionfale (
che
pur nel Circo solea condursi1), de’ Re prigionier
e (che pur nel Circo solea condursi1), de’ Re prigionieri incatenati,
che
seguivano il Carro di colui che trionfava, delle
rsi1), de’ Re prigionieri incatenati, che seguivano il Carro di colui
che
trionfava, delle ricchezze de’ paesi soggiogati,
e ricchezze de’ paesi soggiogati, e delle Navi, e delle Città dipinte
che
accrescevano quella pompa. Si parla appresso dal
. Si parla appresso dal medesimo Orazio delle fiere rare o mostruose,
che
i Capitani soleano mostrare al Popolo per diletta
egli si sarà ingannato con quel media inter carmina, e avrà creduto,
che
mentre si rappresentava qualche bel Dramma, ne ce
o. In prima quei versi accennati da Orazio potevano essere tutt’altro
che
Drammatici, sapendo che nel Circo soleano darsi v
ccennati da Orazio potevano essere tutt’altro che Drammatici, sapendo
che
nel Circo soleano darsi varj Giuochi, come gli Ap
a si cantavano, e si ballavano altri poemi ancora; ed Ovidio ci dice,
che
se ne ballarono alcuni suoi2: Et mea sunt popul
oi, quando anche que’ versi recitati nel Circo fossero stati scenici (
che
ben poteva ciò avvenire, perchè ne’ Giuochi Roman
e Megalesi3 aveano luogo gli spettacoli scenici), questo proverebbe,
che
il Popolo Romano talora s’infastidiva degli spett
ora s’infastidiva degli spettacoli teatrali, e desiderava i Circensi,
che
formavano la di lui passione principale, ma non g
i Circensi, che formavano la di lui passione principale, ma non già,
che
per avere il gusto corrotto, come fantastica il S
più gli spettacoli Circensi, e Anfiteatrali vivaci, attivi, gloriosi,
che
non una riposata rappresentazione teatrale, e l’a
olo Romano? Ad nostrum tempus (dice Orazio, la cui Epistola bisognava
che
leggeste tutta, e col soccorso di qualche comenta
rare, e ascoltare i suoi migliori Poeti scenici. Nè anche lo strepito
che
questo Popolo faceva in Teatro, è argomento di ma
sto Popolo faceva in Teatro, è argomento di mal gusto. Pensate forse,
che
i Teatri Romani fossero quelli della Cruz, o del
forse, che i Teatri Romani fossero quelli della Cruz, o del Principe,
che
può dirsi che contengano un branco di spettatori
eatri Romani fossero quelli della Cruz, o del Principe, che può dirsi
che
contengano un branco di spettatori in confronto d
ntengano un branco di spettatori in confronto de’ Latini? Sovvenitevi
che
il minor numero, che in questi si radunava, era d
spettatori in confronto de’ Latini? Sovvenitevi che il minor numero,
che
in questi si radunava, era di ventidue a trenta m
alora ascendeva a quaranta mila, ed anche ad ottanta mila persone. Or
che
maraviglia, che ne nascesse un mormorio strepitos
a quaranta mila, ed anche ad ottanta mila persone. Or che maraviglia,
che
ne nascesse un mormorio strepitoso? Da queste cos
lebe, e de’ Cavalieri di Roma, fondata sulla vostra erronea credenza,
che
gli spettacoli dell’Anfiteatro, e del Circo, i Pu
si lasciarono tanto trasportare dalla brama di dilettare il Pubblico,
che
nulla curarono di osservare le più importanti reg
lle Donne”. Qual maraviglia non cagionerà a’ suoi Leggitori, per poco
che
sieno instruiti, questo amabile delirio dell’Apol
, e scrissero più di mezzo migliajo di Drammi con tale superstizione,
che
rare volte posero il piede fuori delle Greche ves
l popolaccio, e alle Donne? A mostrare questa sua astiosa ugualmente,
che
falsissima accusa egli si vale di un passo del Gr
accusa egli si vale di un passo del Gravina, nel quale si trova quel
che
il Sig. Lampillas asserisce della stessa maniera,
e si trova quel che il Sig. Lampillas asserisce della stessa maniera,
che
nel passo di Orazio si è trovato, che il Popolo R
asserisce della stessa maniera, che nel passo di Orazio si è trovato,
che
il Popolo Romano lasciava i buoni Drammi per le r
a nel Numero XVII. del Trattato della Tragedia altro non dice, se non
che
il Guarino, e il Tasso adescati da’ Romanzieri si
o dalla semplicità naturale nelle loro Pastorali. E questo vuol dire,
che
nulla curarono di osservare le più importanti reg
uol dire, che nulla curarono di osservare le più importanti regole, e
che
vollero piacere al popolaccio, e alle Donne? Ma q
Lope, Cervantes, Virues, Castro, Calderòn &c. questo proverebbe,
che
nel secolo XVI. gl’Italiani trasgredirono le più
o di far dire agli Autori quelche non dissero mai? Il più bello si è,
che
la riprensione del Gravina cade sulle due celebri
etti ricercati, per l’armonia della versificazione, in somma per cose
che
mirano più a cattar la maraviglia de’ conoscitori
somma per cose che mirano più a cattar la maraviglia de’ conoscitori,
che
a divertire il volgo, e le Donne. A somiglianti a
o il suo Saggio. Egli è costretto a mettere a profitto qualche passo,
che
abbia alcuna apparente somiglianza con quel che e
ofitto qualche passo, che abbia alcuna apparente somiglianza con quel
che
egli vorrebbe provare, sebbene in sostanza dica t
utt’altra cosa. Con un altro colpo di penna (p. 286.) afferma ancora,
che
nello scorso secolo, e nel presente gl’Italiani a
i Drammatici, i quali, aspirando ad avvicinarsi agli Antichi non meno
che
a’ Francesi, diedero alle Scene Italiche un gran
edie di Carattere ben degne di un buon secolo. Fu seguito dal Chiari,
che
sebbene non in tutto il secondò, pure produsse al
n tutto il secondò, pure produsse almeno intorno a sessanta Commedie,
che
se mancano al quanto per ciò, che concerne il gus
almeno intorno a sessanta Commedie, che se mancano al quanto per ciò,
che
concerne il gusto, non sono però nè sregolate, nè
se. Oggi con gusto, e giudizio fiorisce il Signor Marchese Albergati,
che
appresta alle Italiche Scene non una, nè due Comm
co’ Liveri e i Cirilli: per nulla dire di quello spirito Drammatico,
che
dal XVI. fino al nostro tempo ha dominato nelle d
ino ad oggi non hanno in Parma conseguita la Corona Drammatica se non
che
otto Drammi. Ma la speranza di ottenerla, quante
ssi Strioni sono forse oggidì così dediti a’ loro Soggetti dell’Arte,
che
gli vadano seminando per l’Italia? Essi hanno un
ecchinata per divertire que’ paesi men colti, sarà questa una pruova,
che
la Nazione Italiana si delizia nelle buffonate de
le rappresentazioni soprammodo sciocche, tronche, mostruose, insulse,
che
oggi vanno portando di paese in paese in Ispagna
qual fondamento asserisce il Signor Eximeno, citato dall’Apologista,
che
i personaggi mascherati fanno il diletto e il pia
nella, e la Popa? Roma oggi Metropoli del Cristianesimo ha lo spirito
che
avea essendo dominatrice di gran parte della Terr
andonano gli spettacoli scenici nelle mani di particolari Impressarj,
che
cercano di tirare il volgo e la folla per uscire
Ma del Signor Eximeno accennammo alcuna cosa nella Storia de’ Teatri,
che
non ci fa camminar sicuri ed a chiusi occhi su qu
atro Italiano ne vengono delle volte delle Legioni: non è gran tempo,
che
vidi in un Teatro di Roma dar principio ad una Co
i consultavano sull’ajuto da darsi a una Maga”. Io dunque ben diceva,
che
le di lui osservazioni si rinchiudevano negli spe
rnevale Romano. Ma la dimora in Italia gli avrà fatto dimenticare ciò
che
si fa in Ispagna. Non si vede nelle Commedie Spag
icare ciò che si fa in Ispagna. Non si vede nelle Commedie Spagnuole,
che
un solo Diavolo? E quante Legioni potrebbero cont
per favorire l’Idolatria personificata? Nel Dramma di S. Ermenegildo,
che
ho veduto rappresentare due anni sono in Madrid,
uattro, se non m’inganna la memoria. Dice appresso il Signor Eximeno,
che
in Italia si rappresenta con gran concorso il Con
na. Egli debbe averne delle notizie bene attrassate. Io gli assicuro,
che
da qualche tempo annualmente l’ho io veduta rappr
e d’inverisimiglianze. Ma una tal mostruosità e qualche altra ancora,
che
ve ne fosse, può fare giustamente affermare esser
l gusto Scenico nazionale in Italia? Io assicuro al Signor Lampillas,
che
tal Colombo non potrà mai eccedere in istravaganz
e dopo il mio ritorno dall’Italia nel Teatro de la Cruz. Ora un uomo,
che
non abbia perduto il senno per qualche impegno in
sto generale si prende dalla maggior parte della nazione e da’ Drammi
che
vi si compongono, e non già da uno, e due, e diec
vi si compongono, e non già da uno, e due, e dieci individui ancora,
che
fossero sciocchie stravaganti. Si prende dal modo
ali formano Scuola, e non da qualche meschino dozzinal Commediografo,
che
accozzi un numero di scene malcucite. Quando gl’I
e del Polilla, del Dinero, del Calabaza, ed altri Graziosi Spagnuoli,
che
volano e sprofondano: i Virues e i Castri co’ Man
el Signor Lampillas contro il Signorelli, soggiugnerò quì quel non so
che
da lui notato sull’amore delle Tragedie di M. Rac
otato sull’amore delle Tragedie di M. Racine. “Si pretende (p. 312.),
che
abbia Racine purgato l’amore di quanto contiene d
lecito, presentando sulle Scene il solo amore onesto e gentile”. Quel
che
veramente avea detto il Signorelli, e che non ben
ore onesto e gentile”. Quel che veramente avea detto il Signorelli, e
che
non ben ispiegano queste parole dell’Apologista,
Signorelli, e che non ben ispiegano queste parole dell’Apologista, è
che
Racine, a differenza de’ Greci, fu il primo a int
rmi troppo vero; perchè prima sul Teatro Francese non si vedeva altro
che
ratti, deflorazioni, ad ulterj, indecenze, che fo
se non si vedeva altro che ratti, deflorazioni, ad ulterj, indecenze,
che
formano la materia delle favole di Hardy. Racine
non offendere il pudore della nazione. Aggiunse a ciò il Signorelli,
che
questo sarebbe bastato a Racine per essere applau
con qual connessione d’idee vi si oppone con dire: “Non è possibile,
che
in quella Corte l’amore fosse tutto Platonico”. E
bile, che in quella Corte l’amore fosse tutto Platonico”. E questo ha
che
fare nulla con quel che io dico? E quando son io
e l’amore fosse tutto Platonico”. E questo ha che fare nulla con quel
che
io dico? E quando son io entrato a discutere, se
azione dell’amore senza ritegno, e senza farne risentire la modestia,
che
è bella, come dicesi, infin ne’ chiassi, dovea te
cine. Basta dunque, perchè si sostenga l’osservazione del Signorelli,
che
l’amore delicato, passione inusitata sulle scene
le disposizioni degli animi ad ascoltarlo; nè perciò vi era bisogno,
che
fosse ugualmente purificato in quella Corte. Si p
erò tutti virtuosi gli ascoltatori? Piacesse al Cielo. Basta intanto,
che
essi abbiano giuste nozioni della virtù per ben r
cevere gl’insegnamenti seminati dal Poeta. Si vede, Signor Lampillas,
che
voi scriveste questi volumetti con troppa precipi
lumetti con troppa precipitazione. Posso però farvi osservare ancora,
che
non tutti gli amori in quella Città furono a quel
rava una galanteria piena di decenza. Fu questa medesima Principessa,
che
indi fe travagliare, senza che l’uno sapesse dell
cenza. Fu questa medesima Principessa, che indi fe travagliare, senza
che
l’uno sapesse dell’altro, e Racine e Corneille a
a un medesimo argomento, cioè alla Tragedia di Berenice. Veda dunque,
che
eravi non poca conformità tralle dipinture amoros
d’Inghilterra venne la passione più seria e continuata per due anni,
che
il Monarca ebbe per Madamigelle de la Valiere, co
ore, finchè si determinò a non dargli altro successore nel suo animo,
che
l’istesso Creatore, e si fe Carmelitana a Parigi
rò sino alla morte avvenuta nel 1710. Queste delicatezze di passione,
che
i Francesi esprimono con la voce sentiment, non f
emi ne’ cuori degli spettatori (fossero poi, o non fossero Platonici,
che
ciò nulla monta), facevano accogliere le sue Trag
da un partito potentissimo a fronte di quelle del gran Corneille. Or
che
andate voi fantasticando sull’amore Platonico, o
le oltrepassa già i venti Tomi. Ma delle 1200. Favole sceniche parmi,
che
appena in essa se ne trovino finora inserite cinq
sione all’Apologista di lagnarsi, come ha fatto degli altri Italiani,
che
abbia dissimulate le di lui ragioni. Pare ch’egli
il secolo trascorso, e forse anche un altro ne destinerà al XVIII. Io
che
ho replicato presentemente, per quanto prevedo me
er l’avvenire, sicuro della mia retta intenzione, e de’ fatti scenici
che
riferisco, contro de’ quali, per la conoscenza ch
de’ fatti scenici che riferisco, contro de’ quali, per la conoscenza
che
tengo del vostro modo di disputare, son certo che
, per la conoscenza che tengo del vostro modo di disputare, son certo
che
voi non opporreste, che congetture cavillose, e p
tengo del vostro modo di disputare, son certo che voi non opporreste,
che
congetture cavillose, e passi particolari rubacch
ne commediole, e l’avere collocato nel secolo XV. Luis de la Cruz, io
che
mi pregio di esser grato, non potendo in altra gu
. Il superbo Serse non gradì pure un poco di acqua, non in altro vaso
che
nelle mani presentatagli da un Villanello? E quan
i di uso veruno, potranno essi per avventura giovare a qualche altro,
che
si sentisse inclinato a scrivere Apologie. Felice
ntisse inclinato a scrivere Apologie. Felice se potrò far con essi, o
che
voi sempre con più vigore assaltiate, ed estermin
traviato, sendo questo uno de’ benefizj chiamati innoxiæ utilitatis,
che
la Natura c’insinua di praticare, Ἐις ὀδὸν ἀλὐοντ
ι χωρις οὐδὲν ἐυτυκεῖ, Niuna cosa succede felicemente senza fatica. E
che
possono mai giovare a un Apologista certe sottigl
ovare a un Apologista certe sottigliezze, certe illazioni arbitrarie,
che
sogliono sostituirsi alla verità istorica, sogget
qualche Apologista) quando scarseggiano i fatti istorici favorevoli,
che
mi farò io? Abbandonar l’impresa non parrebbe vil
resto fate voi, consigliandovi colla vostra onestà. Vi so dire però,
che
la mina sventata produce strepito senza far danno
orioso dallo steccato? Non entrate mai a cimentarvi su certe materie,
che
forse non vi sarete curato di coltivare per tempo
rte materie, che forse non vi sarete curato di coltivare per tempo, e
che
oggi vi riescono straniere: Scribendi recte sape
fons, diceva Orazio. Perdonatemi questa insinuazione; ma siate certo,
che
il Mondo è persuaso della verità del motto Virgil
reduta mancanza d’invenzione nella Sofonisba del Trissino: sul negare
che
fossero Traduzioni le Tragedie del Perez: sulla i
e che fossero Traduzioni le Tragedie del Perez: sulla infelice difesa
che
imprendeste della Isabella dell’Argensola: sulla
Isabella dell’Argensola: sulla vostra novella foggia di conteggiare,
che
io ho chiamata apologetica, a cagione delle Mille
le Tragedie del Malara, delle azioni dell’Ecuba &c.: sul giudizio
che
portaste di Rapin: sugl’inventori della Pastorale
’inventori della Pastorale: su i Pregiudizj attribuiti al Signorelli,
che
in fatti sono vostri errori di Storia di Critica:
’Anfiteatro. Meglio adunque riuscirete, attenendovi a quelle materie,
che
conosceste di buon’ ora, e coltivaste per lungo t
rtuni, di cui o non ben conoscete il fianco debole, o conoscete bene,
che
non meritano tanto. Questa condotta vi pone fra d
“Un sot trouve toujours un plus sot qui l’admire.” IV. Volete,
che
i vostri scritti acquistino autorità e rispetto?
a verità, non all’astuzia. Agesilao famoso Re degli Spartani, secondo
che
scrive Senofonte nell’Orazione in di lui lode, “g
Senofonte nell’Orazione in di lui lode, “giudicava cosa conveniente,
che
l’autorità de’ Re dovesse essere notabile per bon
o più ciò conviene a’ privati, i quali altro capitale non posseggono,
che
l’onestà? E lasciando a parte i rimproveri della
oramento della riputazione presso il pubblico, si dee poi riflettere,
che
parlando in tempo, che gli avversarj vivono, e ma
one presso il pubblico, si dee poi riflettere, che parlando in tempo,
che
gli avversarj vivono, e mangiano, e beono, e agis
freddarne l’ardore col difendere gli spropositi degli altri secoli? E
che
importa a voi che si dica, che i vostri paesani a
col difendere gli spropositi degli altri secoli? E che importa a voi
che
si dica, che i vostri paesani abbiano cominciato
e gli spropositi degli altri secoli? E che importa a voi che si dica,
che
i vostri paesani abbiano cominciato tardi a risor
assato secolo solamente cominciarono i Francesi, ma con tal felicità,
che
sono diventati i modelli, e la misura de’ voti de
oli. Dal 1730. e non prima, hanno cominciato gli Alemanni, e sì bene,
che
già se ne ammirano molti felici frutti teatrali.
teatrali. E per qual crudeltà, per qual capriccio voi solo vorreste,
che
il Teatro patrìo continuasse nell’antico stato? U
alimentarne i volgari pregiudizj, perpetuarne il letargo, è lo stesso
che
volerne essere a bello studio piaggiatore, cioè n
di minorarli, è prestarle uffizio di vero Amico. In tutte le Nazioni,
che
si sono rendute illustri, si sono in tal guisa co
ri amatori della Patria. Se non si manifestano le piaghe, come volete
che
si curino? Così hanno fatto i gran Letterati, i b
l’avesse aperta sin dal 1764. con i pachebotti, o vascelli corrieri,
che
si spediscono ogni primo giorno del mese colle le
stupore, e tanti motivi d’immortali applausi per il glorioso MONARCA
che
oggi la felicita? Vi fiorirebbero tante Società d
otto il dolce nome de los Amigos del Pais, come altresì le Accademie,
che
riguardano al medesimo oggetto, cioè quella di Si
ie di Valenza, Galizia, e Catalogna: opere degne della Umanità, opere
che
assicurano, non che i beni, le vite de’ Popoli pe
ia, e Catalogna: opere degne della Umanità, opere che assicurano, non
che
i beni, le vite de’ Popoli per tanti anni distrut
Villaggi, e cinque Casali, di cui la Capitale è la dilettosa Carolina
che
rallegra i Viaggiatori con tante verdi ricchezze
ina che rallegra i Viaggiatori con tante verdi ricchezze della terra,
che
ora vi abbondano; vi si vedrebbero popolati ancor
ra, che ora vi abbondano; vi si vedrebbero popolati ancora i terreni,
che
dividono i Regni di Cordova, e Siviglia, co’ quat
Regni di Cordova, e Siviglia, co’ quattro Villaggi e quindici Casali,
che
prendono il nome di Popolazioni di Andalusia, de’
za di giuste idee non isveglierà nella Nazione? Un Giardino Botanico,
che
da Migascalientes mezza lega distante da Madrid,
rà alle Mediche ricerche? L’entusiasmo per le belle Arti del Disegno,
che
oggi serpeggia per la Nazione, e l’accende di amo
do, e a’ generosi clamori del di lei Segretario? E senza le ostilità,
che
incessantemente essa pratica contro gli ornati sp
rdie del Corpo di Madrid, figlie della matta fantasia di Churriguera,
che
fu il Lope de Vega dell’Architettura? Sopratutto
e Arabe Scuole? Ecco aperta la scientifica strada con una Università,
che
sino a questi dì era stata infruttuosa sin dalla
nfruttuosa sin dalla sua fondazione avvenuta nel secolo passato. Ecco
che
già se ne veggono nobili frutti in tanti ragionat
imi vedute di sì benefico Monarca, e de’ patriotici zelanti Ministri,
che
con tanta alacrità e prontezza le mandano ad esec
crità e prontezza le mandano ad esecuzione, e de’ Filosofi nazionali,
che
non cessano dall’indagare sempre più utili sorgen
. Ma quando pure la vostra vocazione è dichiarata per le Apologie,
che
ad altri sembrano per ogni banda infruttuose, stu
ogni banda infruttuose, studiatevi almeno di comporne delle migliori,
che
dar si possano. E come ciò si conseguisce? Prende
buona Causa in ciascuna parte di esse. Per esempio, volendo asserire,
che
vennero i Greci nelle Spagne, non vi curate di me
rali; bensì volle scansare la doppia cavillosa eloquenza di Carneade,
che
, aringando ora a favore, ora contro della Giustiz
da Catone pernicioso pel Popolo Romano. La Sapienza è posta nel Vero
che
rischiara, non nel falso, e nelle sofisticherie c
è posta nel Vero che rischiara, non nel falso, e nelle sofisticherie
che
gettano gl’incauti nelle tenebre. Adunque Roma di
Popolo feroce co’ riti religiosi, coll’ordine, e colle Leggi. Coloro
che
rilevano la primera rozzezza de’ Romani non rifle
i. Coloro che rilevano la primera rozzezza de’ Romani non riflettono,
che
essa non l’impedi di gettare stabili fondamenti p
ola Città di Roma. Con questo giusto metodo calcolando voi troverete,
che
mentre i Greci passavano ad alcune Provincie di q
non immaginariamente, Greca. E tante furono e sì illustri le Colonie,
che
dalla Grecia vennero ad abitare i nostri paesi, c
ustri le Colonie, che dalla Grecia vennero ad abitare i nostri paesi,
che
Strabone mentova moltissime Città Greche Italiane
ibri. Or se, come dice l’Apologista, la Spagna divenne Greca, e crede
che
potesse dirsi Nuova Grecia, come poi non si sono
gli stessi monumenti della Sapienza Greca? Quali Libri si ha notizia,
che
componessero i Greco-Ispani? Convengo, che allora
Quali Libri si ha notizia, che componessero i Greco-Ispani? Convengo,
che
allora fioriva nelle Spagne l’Agricoltura, e l’In
lle quali ora discorriamo. E benchè non parmi da rivocarsi in dubbio,
che
avessero gli Spagnuoli dato in essi alcun passo,
prima del dominio Romano nella Penisola, non perciò si può mostrare,
che
questo vantaggio ricevuto avessero dal commercio
, mancandone i documenti. Da questo esempio in somma si vuol dedurre,
che
il buono Apologista dee favoreggiar la Patria nel
e effettive da lei acquistate, e non mai quelle incerte ed equivoche,
che
voi le attribuite. Ne darò qualche esempio. Il Si
e”. Riflettiamo alquanto su di ciò. Primieramente conviene osservare,
che
chi va a mercatare, non è sicuro, che vada ugualm
imieramente conviene osservare, che chi va a mercatare, non è sicuro,
che
vada ugualmente a comunicare le proprie cognizion
è sicuro, che vada ugualmente a comunicare le proprie cognizioni; il
che
si potrebbe provare con moltissimi esempj. Udite
si; imperciocchè l’oggetto di tal travaglio altro non essendo, se non
che
il mostrare le Scienze acquistate dagli Spagnuoli
cquistate dagli Spagnuoli per mezzo di quelle nazioni, non provandosi
che
ce le comunicarono, si dura una fatica inutile. E
non provandosi che ce le comunicarono, si dura una fatica inutile. E
che
mai sappiamo noi, che esse c’insegnarono? Nulla i
le comunicarono, si dura una fatica inutile. E che mai sappiamo noi,
che
esse c’insegnarono? Nulla in sostanza. De’ Celti
lla in sostanza. De’ Celti dicono gli Autori della Storia Letteraria,
che
, lungi dall’averci insegnato, è verisimile, che d
la Storia Letteraria, che, lungi dall’averci insegnato, è verisimile,
che
da noi avessero imparato. I Cartaginesi dominaron
ben poco tempo, e sempre con inquietudini e turbolenze; nè poi costa,
che
c’insegnassero cosa veruna. L’istesso è da dirsi
ca della istruzione Spagnuola, se non possiamo determinatamente dire,
che
ci avessero eruditi? Pruove e fatti positivi si c
llazioni volontarie. Vennero, poterono ammaestrarci; ne siegue perciò
che
in fatti c’instruirono nelle Scienze, e nella Rel
li, sulla fede de’ compilatori Cordovesi della Storia Letteraria, par
che
affermi esser certo, incontrastabile il commercio
io Fenicio in Ispagna anteriore all’epoca di Salomone. Non si dubita,
che
i Fenici vi trafficassero: ma non è certa, non è
traduzioni, e perciò si attribuisce a questo Scrittore l’aver detto,
che
i Fenici vennero in Ispagna sin da’ primi tempi;
della Lettera citata mucho tiempo ha. Dice poi l’Apologista (p. 7.),
che
nel Libro del Marchese di Mondejar intitolato Gad
e’ Fenici nella Spagna, verso l’anno 1500. prima dell’Era Cristiana”;
che
così pensano ancora gli Autori della Storia Lette
eraria, indi ne dimostra la debolezza, e le contraddizioni. Si vuole,
che
Cadice nel tempo sopraccennato fosse stata fondat
praccennato fosse stata fondata da’ Fenici Commercianti; si dice poi,
che
i Fenici venuti in Ispagna furono alcuni Cananei
a Colonna trovata in Tanger. Ma se tale Iscrizione è genuina, ci dice
che
si fermarono in Africa, e non Ispagna; nè quindi
na; nè quindi si ricava la fondazione di Cadice. Si dubita parimente,
che
Cadice sia fondazione Fenicia, per quel che dice
ice. Si dubita parimente, che Cadice sia fondazione Fenicia, per quel
che
dice Sallustio ne’ Frammenti, cioè che non la fon
a fondazione Fenicia, per quel che dice Sallustio ne’ Frammenti, cioè
che
non la fondarono, ma le mutarono il nome di Tarte
o Professore di Poetica) la chiama ancora Erodoto, il quale asserisce
che
i Samj furono i primi ad approfittarsi delle Fier
rovinare. Di più, oltre a Cicerone, e Valerio Massimo, dice Appiano,
che
regnava in Cadice Argantonio in tempo, che tal Ci
rio Massimo, dice Appiano, che regnava in Cadice Argantonio in tempo,
che
tal Città si chiamava Tarteso, e non Gadir come p
nava Argantonio, e secondo Erodoto questi vi ammise i Focesi, forza è
che
la venuta de’ Fenici in Ispagna, e il possedere n
usia alcuni paesi, come dice Appiano, siano cose assai più moderne, e
che
quel numero d’anni 1500. prima di Cristo diminuis
i almeno 550. Giustino poi non ammette tal dominio Fenicio, e scrive,
che
i Cartaginesi furono i primi, che dopo i Re natur
ette tal dominio Fenicio, e scrive, che i Cartaginesi furono i primi,
che
dopo i Re naturali ottennero l’imperio di quella
vo di soccorrere i Gaditani oppressi da’ loro vicini. Da ciò risulta,
che
più recente ancora fu lo stabilimento de’ Fenici
III. secolo, prima dell’Era Cristiana. Poste tali cose, e riflettendo
che
nella stessa Storia Letteraria si confessi, che g
i cose, e riflettendo che nella stessa Storia Letteraria si confessi,
che
gli Autori profani non determinano il tempo, in c
te i loro primi viaggi, come mai dice il Signor D. Saverio Lampillas,
che
è certo, è incontrastabile, che essi vi vennero 1
dice il Signor D. Saverio Lampillas, che è certo, è incontrastabile,
che
essi vi vennero 1500. anni prima di Cristo1? Di p
? Di poi da qual fatto, da qual monumento, da quale Autore si deduce,
che
verisimilmente le Colonie Fenicie stabilite in Is
s’impegna, contentandosi di declamare: quanto a’ Cordovesi ci dicono,
che
gli Spagnuoli appresero da’ Fenici il sistema deg
Atomi. Ma ecco su di ciò come ragiona l’erudito Autore della Lettera,
che
ci risparmia il travaglio di far quì delle rifles
, che ci risparmia il travaglio di far quì delle riflessioni: “Quello
che
più mi fa stordire è l’ammasso di supposizioni ae
formati del sistema degli Atomin, sol perchè vi fu un Filosofo Tirio,
che
insegnò essere gli Atomi principj delle cose? imp
oventù” (ciò riferito esclama l’ingenuo Autore della Lettera lodata) “
che
impari Critica da tale Storia capace di corromper
inganno e precipitazione. Qual rozzo principiante Summolista ignora,
che
da condizioni non verificate non possono dedursi
dotti Spagnuoli, i veri amatori della propria Nazione. Vogliono lodi
che
provengano da’ fatti non dubbj, non falsi, non fo
dubbj, non falsi, non fondati nell’arena, e nelle aeree congetture. E
che
bisogno ha la Spagna di lodi false, mendicate da’
per tanto tempo contro le forze più poderose della Romana Repubblica,
che
tante pruove di eroico invincibile valore diede n
le sue membra, sotto il dominio Romano? Valorosa non meno nelle armi,
che
nelle Lettere, allorchè divenne Romana, come dimo
mana, come dimostrano i Magistrati, i Capitani, gli Scrittori insigni
che
vi fiorirono? Una Nazione Madre, non che di Adria
itani, gli Scrittori insigni che vi fiorirono? Una Nazione Madre, non
che
di Adriano, che pur fu un dotto Imperadore, di un
tori insigni che vi fiorirono? Una Nazione Madre, non che di Adriano,
che
pur fu un dotto Imperadore, di un Trajano eccelle
a Opa, e Giuliano venduta, non rimase preda de’ Barbari? Una Nazione,
che
annichilita sotto gli Arabi seppe nelle montagne
ane conservare i semi della Libertà, donde sursero i Regni Cristiani,
che
al fine spezzarono il giogo Saracino? Divenuta so
fisici, di celebri Teologi, di sommi Filosofi, di gran Giureconsulti?
che
può a ragione pregiarsi di contare tra’ suoi figl
areggiò sotto il IV. Filippo colla più potente Monarchia Cristiana, e
che
, si può dire, “ . . . . Nelle avverse “Fortune f
na, e che, si può dire, “ . . . . Nelle avverse “Fortune fu maggior,
che
quando vinse?” Che seppe per amore e zelo della
uasi Spagnuolo l’Africano Annibale, e di pregiarsi della Lingua Greca
che
costui sapeva, per averla appresa in queste terre
sapeva, per averla appresa in queste terre da Sosilo Spartano, quasi
che
gli Spagnuoli fossero mai stati Spartani o Cartag
oli fossero mai stati Spartani o Cartaginesi? Ha bisogno tal Nazione,
che
per onorarla si ricorra ad ostentare la Gramatica
no tal Nazione, che per onorarla si ricorra ad ostentare la Gramatica
che
sapeasi nella Betica, e il verseggiare accennato
l verseggiare accennato da Strabone nel III. Libro della Geografia? e
che
per giunta si conchiuda, che intanto che gli Spag
rabone nel III. Libro della Geografia? e che per giunta si conchiuda,
che
intanto che gli Spagnuoli erano Gramatici e Verse
II. Libro della Geografia? e che per giunta si conchiuda, che intanto
che
gli Spagnuoli erano Gramatici e Verseggiatori, i
e Verseggiatori, i Romani rozzi duravano nella loro ignoranza, quando
che
ciò è contrario al vero, mentre i Romani ben per
aro da’ Versi Saliari, e nel terzo secolo furono gran Legislatori, di
che
sono prova evidente le nominate famose xii. Tavol
a di parere essere a tutte le Biblioteche de’ Filosofi da preferirsi,
che
che del suo giudizio potesse fremere il Mondo int
parere essere a tutte le Biblioteche de’ Filosofi da preferirsi, che
che
del suo giudizio potesse fremere il Mondo intero?
rovenzali, per participare dell’efimera anticipazione nel verseggiare
che
ebbe quella Provincia Francese? Ha bisogno, Dio b
cese? Ha bisogno, Dio buono! di pregiarsi di un Atto della Celestina,
che
ne ha più di venti, e su questa ventesima parte d
Cantinella, celebre comico,
che
fu carissimo a Silvestro da Prato, e di cui fa me
agnifico. Il Capitolo dello stesso Lasca a M. Giovambatista Altoviti,
che
il Verzone pubblica per la prima volta (Firenze,
e. Vedeasi spesso misero ed afflitto Zanni dal Cantinella sopraffare,
che
gli correva addosso a naso ritto ; poi si sentiva
o ed or soldato rider faceva e spasimar la gente ; tanto ch’ io credo
che
Zanni sia nato per passatempo, burla, giuoco e fe
nte al nome della Biancolelli. Il Bartoli, al nome di Colombina, dice
che
maritandosi con Buffetto commediante diè motivo a
e lodi senza fine. Il principe Farnese l’onorava di tal dimestichezza
che
, venuto a formar la compagnia per le solite recit
al Palazzo Reale, la Regina, finita la commedia gli disse in pubblico
che
s’ era diportato bene. E levatasi Buffetto la mas
li Cavalieri del recitare l’applaudirono. E come poi la Regina seppe
che
la Colombina era sua moglie, non solamente ne fe’
parabili fattigli pel gran merito e per le amplissime raccomandazioni
che
da Parma recava a Parigi. Col mezzo delle quali a
ettersi in viaggio per la gran Capitale, il più ampio dei passaporti,
che
qui trascrivo letteralmente : (Archivio di Stato
passaporto per le loro persone e per quelle di quattro o cinque altre
che
conduranno seco con sue robbe non ostante qualhun
erra, Datiari, Gabellieri et portinari et ad ogn’ altro á chi spetta,
che
non solo non gli diano molestia ne frapongano imp
Farnese Mio Signore e Patrone singularissimo. La cortese protezione,
che
V. A. Serenissima tiene di me e mia povera casa ;
ze ad altri Principi ; mi sforzano (e con ragione) far noto al mondo,
che
ogni mio affare dipende tutto dal patrocinio dell
i mio affare dipende tutto dal patrocinio dell’Alt. Vostra. Quindi è,
che
sendomi congiunto in matrimonio con Colombina Com
del Mondo sotto il patrocinio di V. A. sperando non sia per spiacerli
che
questa mia piccola fatica porti in fronte il glor
uale tien dietro, dopo una prefazioncella ai benigni lettori, una ode
che
, per le cose ivi dette e per la molta rarità del
lude á gli Amori dell’ Autore ; Loda le di lui virtù, Tocca l’ordine,
che
da un Grande ebbe di portarsi in Parigi. Gli ap
i. Gli applausi, i regali, & i l ritorno in Italia ODE Questi
che
su le scene altrui deride, Ingegnoso inventor di
r flebili amori, Veri successi, in su le carte incide. E quella man,
che
Cetere festose, Con arguta armonia tocca e percuo
e alla salute il porto, E ritrovossi entro le braccia a i baci. E poi
che
le fu pronuba Talia Altra musa a cantar l’alma le
de’ propri casi altrui palese Nel consueto stil l’arte natia. Stile,
che
fra le valli, ove ristagna Di più ricchi Lombardi
il Mar vi bagna. E già tutta allentata al Mar cruccioso L’ira credea,
che
le sue calme infetta, Mentre che in grembo accolt
ntata al Mar cruccioso L’ira credea, che le sue calme infetta, Mentre
che
in grembo accolto alla diletta Sua Colomba, prend
lla, uno dei due Zanni della Commedia dell’arte, di cui non ha mutato
che
il nome. Un’ idea del suo idioma abbiamo chiara i
lettera ch’ei scrive alla sua Lampeggiante Stella È tanto l’ardore,
che
per amor vostro intorno alla pignatta del mio cuo
, che per amor vostro intorno alla pignatta del mio cuore s’è acceso,
che
dando negli eccessi, il borbottamento d’ogni mio
e dando negli eccessi, il borbottamento d’ogni mio sentimento, dubito
che
non crepi : mi sforzo però di dimenar il mescolo
mescolo del mio affetto per disaccenderlo, ma non faccio nulla, dove
che
dubito che Buffetto biscottato in amore non vi co
l mio affetto per disaccenderlo, ma non faccio nulla, dove che dubito
che
Buffetto biscottato in amore non vi comparisca av
bito che Buffetto biscottato in amore non vi comparisca avanti. Prima
che
facci questo strabalzo il trottolante mio cuore,
o fissare gli occhi con attenzione sviscerata, senza batter palpebra,
che
ciò facendo (come ne son certo) precipiterà dalle
quale rinfrescherà alquanto il mio ardore. Fatemene dunque la grazia,
che
ciò facendo vi resterò obbligato tanto di là, com
ua dal sempre obbligatissimo anco con mio scomodo Buffetto. È strano
che
di questo artista, il quale oltre i monti incontr
isione qui riprodotta rappresenta il Brighella accanto al Trivellino,
che
a lui fa tanto di cappello, come se l’uno e l’alt
isposta, bisognava far le ricerche opportune sul Trivellino, sperando
che
le notizie che lo concernono, potesser dare alcun
ava far le ricerche opportune sul Trivellino, sperando che le notizie
che
lo concernono, potesser dare alcun lume sulla qui
ei Parfait, convalidato da un brevetto del Re in data 21 gennaio 1647
che
gli accorda di poter confiscare i beni di certo L
assaporto amplissimo per passarsene a Parigi. Ma chi era questa Diana
che
ha fatto almanaccare tanto gli studiosi di cose t
nte oggi alla Biblioteca dell’Opera di Parigi) e leggeremo a pagina 6
che
Flora sarà rappresentata dalla gentile e vezzosa
ile e vezzosa Luisa Gabbrielli-Locatelli detta Lucilla ; e a pagina 7
che
Teti sarà rappresentata dalla signora Giulla Gabb
’Espérance) Inconsolabil piange Spinetta sua consorte, E ’l dolor,
che
ne sente è più che morte. E la bella Diana, E la
solabil piange Spinetta sua consorte, E ’l dolor, che ne sente è più
che
morte. E la bella Diana, E la bella Diana, per do
heredi vi fo di tutto il mio, Di tutto il mio. Il solo fatto adunque
che
può lasciar dubbio sulla identificazione del Brig
Re Carlo nono, non mi par cosa fuor del probabile. Ad altro Brighella
che
sostituì il Locatelli, morto, accenna il Robinet
age ? Ma il suo nome non giunse fino a noi. Forse egli era lo stesso
che
troviamo al servizio di Ranuccio Farnese, ceduto
Duca con le parole : concorrono in Brighella comico così buone parti,
che
le medesime saranno valeuoli da renderlo accetto
risoluo di raccomandarlo ? Forse questi due Brighella non eran altro
che
lo stesso Cantù, il quale morì probabilmente nel
andato a recitare nel altro mondo…. ? A queste domande io non saprei
che
rispondere. Basti per curiosità che io metta qui
? A queste domande io non saprei che rispondere. Basti per curiosità
che
io metta qui alcune lettere inedite del Cantù, di
o et pregarlo à non darne parte a S. A. per non fastidirla, tanto più
che
non erano cose se non apartenente alla Comedia, i
le non piaque troppo la Compagnia me preghò per repezare l’ auditorio
che
inuitassi per il giorno seguente Colom.na zacag.n
endo a inuitare, io dissi perche non l’haueua inuitato lui me rispose
che
non hà uoluto inuitare quella fredura ne la quale
uoluto inuitare quella fredura ne la quale sua moglie non ui à troppo
che
fare, io sogionsi che lo doueua dire che non me n
fredura ne la quale sua moglie non ui à troppo che fare, io sogionsi
che
lo doueua dire che non me n’ incuraua tanto più p
e sua moglie non ui à troppo che fare, io sogionsi che lo doueua dire
che
non me n’ incuraua tanto più per essere di Giobia
doueua dire che non me n’ incuraua tanto più per essere di Giobia et
che
lo faceua per seruire la Compagnia, et si come lu
che lo faceua per seruire la Compagnia, et si come lui e stato causa
che
mai ho fato quest’anno la mia scola per non agius
are la prima parte com’era di douero a l’inpolita non me marauigliaua
che
lui auesse disgusto anco di questa Comedia de mia
o anco di questa Comedia de mia moglie, lui alborosato per la Comedia
che
bramaua el popolo ò per la mia andata da donna ol
a olimpia me disse, ch’ io era un uis de cazzo un Comediante da nulla
che
non me cognosceua per nulla et che non li rompess
is de cazzo un Comediante da nulla che non me cognosceua per nulla et
che
non li rompesse il cullo, io sogionsi che haueua
me cognosceua per nulla et che non li rompesse il cullo, io sogionsi
che
haueua ragione di strapazarme alla presenza non s
alla presenza non solo del popolo ma di comedianti perche à più mani
che
me à questa parola me uene alla uolta per darme,
la mia pouera moglie piangendo di rabbia disse marito abiate pacienza
che
tutti siamo conosiuti l’Angela li uene alla uolta
e tutti siamo conosiuti l’Angela li uene alla uolta per darli dicendo
che
era più honorata di lei il portinaro l’abbraciò e
del S.r Cardinale Sforza, et me dissero affermandomi sotto una porta
che
io facessi la pace che me aurebeno fatto dare dal
za, et me dissero affermandomi sotto una porta che io facessi la pace
che
me aurebeno fatto dare dal dottore ogni satisfati
a pace che me aurebeno fatto dare dal dottore ogni satisfatione se nò
che
saria andato prigione io risposi ch’el S.r Cardin
iente infame come, me haueua imputato me et mia moglie il dottore, et
che
non bramo da lui nisuna satisfatione : in questo
o da lui nisuna satisfatione : in questo ariuò ordine del Gouernatore
che
me agiustassi ò che me conducesero in tor di nona
sfatione : in questo ariuò ordine del Gouernatore che me agiustassi ò
che
me conducesero in tor di nona io ero pronto per l
onducesero in tor di nona io ero pronto per lasarme condure tanto più
che
questa tramma de farme far pace era per broio de
o dal Gouernatore ma presente me pregauano el S.r Cupis et sig.ri mei
che
me facessero far la pace il qual S.r Cupis me dis
ere.mo patrone. Per le ingiurie riceuute inocentemente da un mal homo
che
non stima ne dio ne la Gente del mondo, io, ne mi
e dala S.ra Donna olimpia di recitare in gracia sua, e questo e broio
che
ha fato fare l’Angela perche la detta S.ra Donna
S.ra Donna olimpia non uene alla Comedia di più sono ancora hauisato
che
ha fato parlare l’Angela da cavaglieri Grandi al
i et S.r Cupis acciò scriueno dolcemente a S. A. del tutto faccia dio
che
in tutto e per tutto me remeto al Comando de S. A
remeto al Comando de S. A. mi metta con chi uole e facci di me quello
che
li pare che sempre sarò pronto a seruirla ma l’es
mando de S. A. mi metta con chi uole e facci di me quello che li pare
che
sempre sarò pronto a seruirla ma l’esser poi stra
a l’esser poi strapazato con quella pouerazza de mia moglie sono cose
che
fano catiuo, tanto più che il dottore per essere
n quella pouerazza de mia moglie sono cose che fano catiuo, tanto più
che
il dottore per essere a l’ombra del patrone me a
più che il dottore per essere a l’ombra del patrone me a fatto questo
che
se non fusse me farebbe li ponti d’oro per riunir
ompagnia si ò nò acciò poseno fare el lor uiagio per le lor case caso
che
fuseno esclusi ; di questo io ne suplico con ogni
to. Molto III.e et molto Reue.do Sig.r mio patrone Col.mo 1er sera
che
fu il Giorno di Carneuale riceuei la lettera scri
a a ogni ragione et senza riguardo del Patrocinio di S. A. Argumentai
che
ancora le lettere di tal hauiso non fuseno al ric
re di tal hauiso non fuseno al riceuere di detta letera capitate doue
che
non solo in tutto e per tutto io et mia pouera ca
utta Roma, come ho detto, perche il negocio fu troppo publico ; e ben
che
li broi fatti da l’Angela et il dottore siano sta
oi fatti da l’Angela et il dottore siano stati grandi non dubito pero
che
la uerità non si sapia quando S. A. la uora saper
za dar credito a broio nisuno : Sig.r Don Cornelio siamo tanti offesi
che
me ne creppa il Core uedendoci non solo questa in
mia publica in faccia ma adolarata la mia cara moglie in maniera tale
che
siamo piu che disperati, tanto piu che il Dottore
faccia ma adolarata la mia cara moglie in maniera tale che siamo piu
che
disperati, tanto piu che il Dottore di gia dice,
ia cara moglie in maniera tale che siamo piu che disperati, tanto piu
che
il Dottore di gia dice, auendo uisto la letera di
tera di Flaminio, io sono in Compagnia al dispetto di Buffetto : doue
che
aspetiamo magior desposti, se sua altezza non ci
paserò a bologna con mia moglie per farlo la figlio de quel monastero
che
cosi e il gusto di sua madre. — Per mio socero su
acciò entri in una bona Compagnia giache la mente et gusto di S. A. è
che
non sia con le sue Creature detta Resolutione bra
non sia con le sue Creature detta Resolutione brama la celerità prima
che
li personaggi si obligano a d’altre persone per l
r Don Cornelio la me ne sia protetore acio io non receua questo danno
che
li prometto da uero seruitore che mio socero non
ore acio io non receua questo danno che li prometto da uero seruitore
che
mio socero non si deporta male, et in fiorenza e
letera a V. S. acciò la ne fauorisca di protetione apresso al patrone
che
di tutto core gli ne pregiamo — ed io come serua
io io non resti mortificata da questo mal omo contra ala mia inocenza
che
piu tosto con bona licenza del patrone morirei di
bona licenza del patrone morirei di fame perche mi figuro dale parole
che
lui dice di essere in compagnia al nostro dispett
compagnia al nostro dispetto di riceuere magiori mortifichazioni cosa
che
non ho mai riceuto perche o sempre auto protezion
non ho mai riceuto perche o sempre auto protezioni ora mi par strano
che
ciò mi sia intreuenuto soto ala protetione di S.
come mio marito ha scrito e umilmente gli bacio le mani dandoli auiso
che
spero fra dieci o dodici giorni di dar frate il m
to della licenza per recitare in Roma ogni nostro patrone ci fà animo
che
l’ haueremo oggi che il primo sabato di quatrages
recitare in Roma ogni nostro patrone ci fà animo che l’ haueremo oggi
che
il primo sabato di quatragesima sono stato dal S.
r noi me ha promesso di fare apresso a Donna Olimpia ogni posibile ma
che
lassi passare un giorno o dua, cossi hò promesso
euere la Gratia ma domandato come sarà la Compagnia io li hò risposto
che
sarà meglio de quello è adesso, e cossi lui e res
figlio del monestero in bologna come se lo uestisse là non sò però a
che
me resoluerò perche uoglio el gusto del figliolo
che uoglio el gusto del figliolo el quale più aderisse a essere prete
che
frate. — Suplichiamo S. A., mia moglie et io per
per il mio povero uechio acciò abbi in bologua una bona Compagnia già
che
noi non lo potiamo sostentare in nostra Compagnia
stentare in nostra Compagnia per non offendere il gusto de S. A. dove
che
suplichiamo, dico, per una lettera di fauore in b
erlo in una bona Compagnia : prometto però a V. S. Sig.r Don Cornelio
che
non si deporta malle mio Socero nella parte di pa
te di pantalone, et per dio come ho scritto in Fiorenza piague, prima
che
si serasse le Compagnie saria bene detta lettera
a che si serasse le Compagnie saria bene detta lettera di resolutione
che
poi obligate più inpegno ci saria del tutto però
iù inpegno ci saria del tutto però me remetto alla benignità de S. A.
che
sò che non uorà comportare questo danno alla mia
gno ci saria del tutto però me remetto alla benignità de S. A. che sò
che
non uorà comportare questo danno alla mia povera
ndo restando per sempre obligatissimi a V. S. : mando la notta de ciò
che
auemo fatto acciò S. A. la ueda et lo fatta copia
i siamo seruitori obbligatissimi et suiserati a S. A. (come ho fatto)
che
tra Comici non ha il piu suiscerato seruitore di
non ha il piu suiscerato seruitore di me : Strano mi pare in estremo
che
S. A. comporti ch’io sia infamato insieme con mia
ebbi di ordine di S. A. minaccie di uita per homo a posta, alhora ben
che
fureno false le imputationi si trataua di marito
comporta pacienza il tempo è padre de la uerità, antiuedo li disgusti
che
receuera la prima donna che uera da questo bon ho
padre de la uerità, antiuedo li disgusti che receuera la prima donna
che
uera da questo bon homo di già sento a buccinare
sto bon homo di già sento a buccinare molte cosse li quali (Dio facci
che
me ne menti per la gola) tutte saranno in danno d
r guadegnarse un pezzo di pane e ciò lo suplico con ragione tanto più
che
non tirera ne quarto ne nulla, e pure tanti altri
ionte et sono soli, et io con Colombina non li posso far seruicio ben
che
sia mio socero : del tutto pero me contento per s
ente l’ama, riuerisce et di tutto core lo serve — di bologna o letere
che
un pezzo fa ano inuiate li miei libri a V. S. del
gnani in milano la ne faccia diligenza dal S.r Tassi ouero alla porta
che
sarano capitati sicuro per che cossi me scriuano,
ligenza dal S.r Tassi ouero alla porta che sarano capitati sicuro per
che
cossi me scriuano, (come ho detto) da bologna, e
ardevole per sapere, probità, e gentilezza, pochi giorni fa m’informò
che
un Congiunto di V.S., dimorante in questa Real Vi
pondere. Colla mia solita sincerità replicai al prelodato valentuomo,
che
io sin dal 1779. essendo stato in Genova di lei c
ommensale, e dovendole il dono di alcuni libriccini, nel tempo stesso
che
mi lusingava di essere in certo modo in possesso
no essere così sicure, come le mie, intorno a’ miei disegni, le dico,
che
ho scarabocchiato, può dirsi, in sul ginocchio e
Ragionamento, in cui ribatto le obiezioni del precitato suo Volume, e
che
già è nelle mani dell’Impressore. Posso però assi
potrà sì bene stimare insufficienti le mie risposte, ma non già dire,
che
io abbia o dissimulate le sue ragioni, o risposto
gliene farò presentare un esemplare, considerandola più come Giudice,
che
come Parte. Da ciò può inferire, se mai io abbia
Da ciò può inferire, se mai io abbia voluto formare un mistero di ciò
che
sono ‘per pubblicare, e sottoporre al medesimo su
o io forse qualche sorpresa? Ella già non mi scrisse privatamente ciò
che
le dispiaceva nella mia Storia de’ Teatri. Anzi i
e le dispiaceva nella mia Storia de’ Teatri. Anzi in Genova mi avvidi
che
con istudio (per altro inutile) sfuggì di spiegar
lce sogno si figurò di avervi più altri avvinti. Or non era naturale,
che
a pubbliche rampogne pubblicamente io replicassi?
n Volume di un Letterato di tal polso impiegata contro di me meritava
che
si disprezzasse come indegna di risposta? Il di l
ezzasse come indegna di risposta? Il di lei Congiunto avrà immaginato
che
io meditassi un controbando, o una irruzione repe
aginato che io meditassi un controbando, o una irruzione repentina, e
che
suo dover fosse il vegliare come buona sentinella
mo insieme del nostro contrasto. Parmi di averle altra volta scritto,
che
io prendo per quello che sono le scaramuccie lett
trasto. Parmi di averle altra volta scritto, che io prendo per quello
che
sono le scaramuccie letterarie, e segnatamente qu
llo che sono le scaramuccie letterarie, e segnatamente queste nostre,
che
(confessiamcelo a quattr’occhi) sono veri litigj
eri litigj di lana caprina: sono semplici scherzi non ad altro buoni,
che
a farci passare gajamente que’ momenti che spendi
cherzi non ad altro buoni, che a farci passare gajamente que’ momenti
che
spendiamo a respingere, come ci diamo a credere,
na ben lontana dallo sconcertarsi per lo riscaldamento dell’atrabile,
che
altra volta trasportava gli argomentanti ne’ circ
ta trasportava gli argomentanti ne’ circoli delle Scuole. Già saprete
che
i miei primi passi io spesi nel Foro Napoletano;
a, ma dopo di essa certa nobile serena giovialità verso l’avversario,
che
fa quivi distinguere la persona costumata da chi
Castigliani: quello di alterarsi, e l’altro di rimettersi in calma. E
che
? Non si può insinuare una verità senza acrimonia?
a verità senza acrimonia? Dall’altra parte le contese di tal natura a
che
finalmente si riducono? Giri il Sole o la Terra,
ale del Sapere? Che il Sig. Lampillas, o il Signorelli abbia ragione,
che
importa all’Italia, o alla Spagna? e quanto meno
no importerà al resto dell’Europa, per non dire a tutta la Terra, non
che
all’Universo? O curas hominum! quantum est in re
oni stanno come monti sublimi, per lungo corso di secoli, e per altro
che
per Saggi, e Lettere apologetiche, e Discorsi ren
i così piaccia, per anni (dalla quale smania però mi scampi il cielo!
che
io sempre a tal proposito dirò, tanti pœnitentiam
è io mi diverta nel mio ozio, ed Ella possa approfittarsi del diletto
che
porge ad alcuni suoi paesani. Ma non presumiamo v
iletto che porge ad alcuni suoi paesani. Ma non presumiamo vanamente,
che
la gloria delle nostre Nazioni dipenda dall’esist
. Ella il sa: la reazione è sempre uguale all’azione. Riflettiamo poi
che
non è l’istesso p. e. chiamare, com’Ella fa, Dram
chiamare, com’Ella fa, Dramma un’ Ecloga per capriccio tutto nuovo*,
che
combattere pro aris, & focis (che io non cred
oga per capriccio tutto nuovo*, che combattere pro aris, & focis (
che
io non credo punto il Sig. Ab. Lampillas della ma
n credo punto il Sig. Ab. Lampillas della magnifica razza di certuni,
che
danno alle loro frivole questioncelle l’aria spec
di Patria). La nostra pugna è per una Dulcinea, cioè per una divinità
che
noi stessi ci formammo dandole il nome di Lettera
almeno in parte dissimili. Io non so com’Ella ne pensi. Per me stimo,
che
questa nostra innamorata nè si abbigli sempre ad
ente Spagna, scherza lungo il Tamigi, volteggia sul Baltico; e chi sa
che
un dì non s’innamori di un Turbante? Ed Ella come
Letteratura in ogni luogo sotto qualunque divisa. Ella potrebbe dire
che
la nostra contesa è particolare sulla Letteratura
a pensa, o vuol dare ad intendere, di esser solo ad amar la Spagna, e
che
ogni altro che non vi nacque, la miri con indiffe
dare ad intendere, di esser solo ad amar la Spagna, e che ogni altro
che
non vi nacque, la miri con indifferenza, o peggio
a trovi, ma di amare la Spagna per scelta e per dimora al pari di lei
che
l’ama per obbligo naturale. “L’amate (mi pare di
aginese Annibale studioso del Greco, e per Lacedemone quel Lacedemone
che
gliel’ insegnò in Ispagna?” L’amate, e scoprite i
ponete a me, quando credo alle mille Tragedie del Malara? quando nego
che
in uno stesso Dramma nostrale i personaggi vanno
come feci p. e. in un passo di Lilio Giraldi, riguardo al Trissino? E
che
specie di amore è il vostro?” Oh quì stà il punto
è il vostro?” Oh quì stà il punto! Io amo la Spagna colla Letteratura
che
l’adorna, ma non credo necessario, per bene amarl
Ella l’ama, e pensa diversamente. Siamo dunque due innamorati rivali,
che
spieghiamo in differenti maniere i nostri affetti
scorso. A lei, nel diffondersi nelle sue lodi, piacciono le iperboli,
che
le suggerisce l’innamorata fantasia: a me piace q
l’Istoria è scorta e compagna. A lei essa par bella ancor nella guisa
che
si raffazzonò con affettazione in tempo de’ pedan
ffettazione in tempo de’ pedanti: a me l’amore dà luogo a riflettere,
che
quanto più essa sarà naturale nell’abbellirsi, co
tutti gli sguardi. A lei forse piace nell’abito tenebroso e bizzarro,
che
tolse nelle Solitudini di Gongora: a me colle nob
elle Solitudini di Gongora: a me colle nobili e care e ricche spoglie
che
usava al tempo di Garcilasso de la Vega; e quel c
e ricche spoglie che usava al tempo di Garcilasso de la Vega; e quel
che
mi rallegra si è che in ciò meco convengono tutti
usava al tempo di Garcilasso de la Vega; e quel che mi rallegra si è
che
in ciò meco convengono tutti gli Spagnuoli illumi
tiano, Luzan, Moratin, e pensano molti illustri valentuomini viventi,
che
si affannano per renderla sempre più limpida. Ell
enti, che si affannano per renderla sempre più limpida. Ella vorrebbe
che
il Poeta Drammatico Spagnuolo inalberasse anche o
o inalberasse anche oggi la bandiera Lopense e Calderonica: io vorrei
che
piuttosto militasse sotto colui che compose dentr
Lopense e Calderonica: io vorrei che piuttosto militasse sotto colui
che
compose dentro la Caverna di Salamina (che a lei
osto militasse sotto colui che compose dentro la Caverna di Salamina (
che
a lei fa tanto orrore), e che egli osasse penetra
compose dentro la Caverna di Salamina (che a lei fa tanto orrore), e
che
egli osasse penetrarvi ancora seguendo le orme di
i Racine colla fiaccola di Luzàn. Ecco la sostanza della nostra gara,
che
che Ella ne voglia insinuare in contrario. Ora to
cine colla fiaccola di Luzàn. Ecco la sostanza della nostra gara, che
che
Ella ne voglia insinuare in contrario. Ora tocca
ne voglia insinuare in contrario. Ora tocca alla Spagna rischiarata,
che
io scelgo per Giudice, il decidere, dopo aver let
uno si è avvisato di denominare le di lui Poesie altramente di quello
che
l’Autore le lasciò intitolate manoscritte; ed in
e; ed in cento Edizioni non mai le di lui Ecloghe si chiamarono altro
che
Ecloghe. Non posso del pari assicurare, che in ap
loghe si chiamarono altro che Ecloghe. Non posso del pari assicurare,
che
in appresso niuno vi sarà ancora, Spagnuolo o Ita
sicurare, che in appresso niuno vi sarà ancora, Spagnuolo o Italiano,
che
le chiami spettacolo teatrale; perchè chi può ind
Calderoni Francesco. Comico eccellente
che
fiorì nella seconda metà del secolo xvii. Luigi R
e del Riccoboni. (V. Balletti)]. E qui aggiunge con molti particolari
che
il lettore vedrà trascritti al nome di Pietro Cot
con lui rialzasse a poco a poco il teatro, espurgandolo da tutto ciò
che
vi era allora di equivoco, di osceno, di immorale
Mi forza incomodar V. E. con mie mal composte rige, le gran disunioni
che
nascono in q.ta Comp.ª, sopra della scena, che si
ige, le gran disunioni che nascono in q.ta Comp.ª, sopra della scena,
che
si auerebbe da esser fratelli, sono come nemici c
ig.r Marchese Sua Ecc.za Mandarà gl’ordini. chio in quanto a me stimo
che
al detto di q.ti Sig.ri V. E. non facci altro che
n quanto a me stimo che al detto di q.ti Sig.ri V. E. non facci altro
che
leggier lettere di Comedianti ; il Fiala, come sc
Comedianti ; il Fiala, come scrissi a V. E. non uol saper niente, si
che
non si pol far un opera che sia bona, ma non solo
scrissi a V. E. non uol saper niente, si che non si pol far un opera
che
sia bona, ma non solo le opere anche le comedie ;
ra appunto si fece ti tre finti turchi e recito il secondo Zanni nouo
che
andò così bene che tutti si partirno inanzi forni
ti tre finti turchi e recito il secondo Zanni nouo che andò così bene
che
tutti si partirno inanzi fornita ; dicendo che se
ouo che andò così bene che tutti si partirno inanzi fornita ; dicendo
che
se si fariano di quelle ci daranno delle Pomate.
a ; dicendo che se si fariano di quelle ci daranno delle Pomate. dove
che
ardisco suplicarla il dar ordine à qualcheduno ch
delle Pomate. dove che ardisco suplicarla il dar ordine à qualcheduno
che
regoli la compag.ª pchè ò bisogno di studiare è t
p. i capricci d’altri ; la Sig.ª Flaminia à dato una delle sue parte
che
ne faceva due à mia sorella addesso pare che la S
dato una delle sue parte che ne faceva due à mia sorella addesso pare
che
la Sig.ª Ippolita con la colega fatta tra di loro
dificultà si sono contentati ma però di nouo lo suplico il scriverli
che
la facciano recitare è la lettera onorarssi d’inu
à me però diretta alla Comp.ª non dirò più per non incomodarla, solo
che
se segue così non occorre uenir a Ferara p. che s
non incomodarla, solo che se segue così non occorre uenir a Ferara p.
che
so che se non fosse in riguardo alla protetione d
omodarla, solo che se segue così non occorre uenir a Ferara p. che so
che
se non fosse in riguardo alla protetione di V. E.
pariano. È qui con farli umiliss.ma riuerenza p. parte di mia sorella
che
se li dedica serua, mi notifico Di V. S. Ill.ma e
a attrice, era sua moglie. Di loro sappiamo dal Bertolotti (op. cit.)
che
Ranucino Farnese per compiacere alla Corte di Man
o visitatore di Venezia, il gran centro europeo della vita di piacere
che
contendeva il primato a Parigi. Nel 1687 vi trovò
come a titolo di sovvenzione fosser pagati 500 fiorini alla Compagnia
che
constava di undici persone. Entrarono in paga dal
solo 600. Lo stipendio era pagato a quartali anticipati. Pare davvero
che
il Riccoboni non andasse errato nel tributar lodi
ca ; a cui raccomanda nel lor ritorno la coppia D’Orsi, e da una nota
che
ci fa sapere come « i loro abiti da commedianti f
S.re e P.ne Oss.mo Dalla compitissima Sua sento le glorie fracesi,
che
già comincio a vedere che la fortuna, a cura ma q
a compitissima Sua sento le glorie fracesi, che già comincio a vedere
che
la fortuna, a cura ma questo poco m’importa, sono
tuna, a cura ma questo poco m’importa, sono gl’otto scudi delle botte
che
mi danno fastidio, La pregho andare dal Signor Gi
pregho andare dal Signor Giuseppe Priori, cassiero del Monte, e dirli
che
mi fauorisca auuisarmi per qual causa non ha paga
de miei, e farsi dare una notarella del nostro, conto, perche mi pare
che
tenghi assai più nelle mani, se pure a riscosso l
gnor Priori acettato di riceuer lui il mio credito e darmene credito,
che
in tal caso corre la somma per conto suo, che per
dito e darmene credito, che in tal caso corre la somma per conto suo,
che
per altro, io non avrei dato il Vino, oltre di ch
mma per conto suo, che per altro, io non avrei dato il Vino, oltre di
che
di Conto Vecchio ui è qualche bagatella senza que
no, oltre di che di Conto Vecchio ui è qualche bagatella senza questi
che
lo pregho prenderne Nota distinta accio possa reg
oltre lo pregho uedere l’Ill.mo Sig.r Cast.no e Sig.r Seg.rio e dirli
che
Non mi scordo receuer li suoi fauori per l’allogg
fauori per l’alloggio in sua Casa come per sua Gentilezza mi esebi e
che
tra poco potria seguire mi ualessi delle sue graz
razie, e qui con riuerenza per parte di tutti di casa resto dicendoli
che
le faccende Nostre per l’Estate, Vanno assai supe
le faccende Nostre per l’Estate, Vanno assai superiori alli guadagni
che
si fanno in Italia e mi sottoscriuo Di V. S. M.to
sua Cortesia in auer gusto de miei caratteri et io sospiro li suoi si
che
ogni ordinario li scriverò sino à tanto che lei s
et io sospiro li suoi si che ogni ordinario li scriverò sino à tanto
che
lei sij in stato di farmi auer sue ogni ordinario
auuisarmi, e questo suppongo saralli permesso dalla ricuperata salute
che
gl’auguro perfettissima quanto a me stesso. Se po
somma, e così anco se non li fosse incomodo quello di pasqua prossima
che
gl’auguro felicissima e così pregare in Mio Nome
cissima e così pregare in Mio Nome l’Ill.mo S.r Castellano, e seguito
che
sij auuisarmi accio possa ualermene. Godo che ten
r Castellano, e seguito che sij auuisarmi accio possa ualermene. Godo
che
tenghi V. S. la casa e per li morari la pregho au
antaggiarmi s’e possibile non se ne seruendo lei, intendendomi sempre
che
per lei non intendo crescerli cosa alcuna e lo fo
le botte e Tinazzi, acciò non patiscano, e non uadino da male, e già
che
la S.ra Leonora à pagato al S.r Albini per la S.r
er la S.ra Anna, ne scrivo al S.r Pantalone acciò c’ intendiamo. Godo
che
detta S.ra Leonora sij acettata nella Compagnia d
Castellano, caro s.r Gerolimo non manchi auendo gran necessità prima
che
parta il S.r Pantalone, per riscuotere alcuni peg
uni pegni, noi godiamo ottima salute l’istesso, spero nell’Altissimo,
che
sij di V. S. che mi sarà car.mo sentirlo con sua,
diamo ottima salute l’istesso, spero nell’Altissimo, che sij di V. S.
che
mi sarà car.mo sentirlo con sua, è se potessi ser
Feste di Ress.ne per parte di tutti di casa, a misura del suo merito,
che
ual a dire, colme di ogni bene, la nostra Quadrag
o, l’armata di marc già si prepara per andarsene, ne altro si attende
che
alcuni uascelli Inglesi per far un buon numero, e
tarsi uerso Genoua è quest’anno si uol sentir belle cose, altro non ò
che
dirle solo che non mi lasci infrotuoso, accertand
oua è quest’anno si uol sentir belle cose, altro non ò che dirle solo
che
non mi lasci infrotuoso, accertandola che sempre
altro non ò che dirle solo che non mi lasci infrotuoso, accertandola
che
sempre sarò. Di V. S. M.t Ill.re Napoli 17 Marz
Molt. Ill.re S.re e P.ne Oss.mo Replico questa mia per non parere
che
stij sul grande, ma so dirli che non mi lusinga a
Replico questa mia per non parere che stij sul grande, ma so dirli
che
non mi lusinga altra speme ch’ella si sij scordat
Francesco Calderoni d.º Siluio. Sempre seguendo il Trautmann, vediam
che
il Calderoni più tardi fu chiamato anche una vola
ancora a Vienna, assistito dalla liberalità del Principe Elettorale,
che
si occupava con ogni larghezza delle spese di cos
zzia la goffa tragedia del Paolino alla moda francese uscita nel 1740
che
Montiano stesso nomina coll’ultimo disprezzo. La
ia il Decemviro con umili espressioni proprie delle moderne cerimonie
che
nulla hanno di Romano del tempo di Appio Claudio.
reverente consiga el alto honor de iros sirviendo. È poi da notarsi
che
ne’ primi tre atti Appio non dà indizio veruno di
na una volta ha parlato a Virginia senza trasporto e senza minacce. A
che
dunque tanto furore d’Icilio e tante declamazioni
lio e tante declamazioni degli altri? L’azione e la violenza di Appio
che
occasiona la morte di Virginia, comincia nell’att
i Virginia, comincia nell’atto IV, ed i tre primi atti altro non sono
che
una lenta protasi. Pari lentezza si scorge ne’ pr
a. Forse vengono indebolite in qualche modo dalle arti cortigianesche
che
in esse campeggiano aliene dalla ferocità de’ Got
liene dalla ferocità de’ Goti non da molto tempo avvezzi alla coltura
che
raffina gli artificii. La favola sino all’atto V
costui, de’ quali egli si querela più perchè offendono il suo amore,
che
perchè tema che possano nuocere allo stato. Quest
li egli si querela più perchè offendono il suo amore, che perchè tema
che
possano nuocere allo stato. Queste diffidenze art
ardano la pace ed insieme l’azione ne’ primi quattro atti. Sembra poi
che
ad un tratto nel V tutta svapori la ferocità e la
di Ataulfo. Manca adunque questa favola di quella saggia graduazione
che
progressivamente crescendo conduca le passioni al
o preso nella scena ottava da Rosmunda. Ella entra dicendo a Sigerico
che
l’attenda, nè torna se non dopo due lunghe scene,
ra presenta ragionevolmente l’equivoco del Montiano in una narrazione
che
non si faccia con gli occhi chiusi? Nè anche può
faccia con gli occhi chiusi? Nè anche può piacere nel medesimo atto V
che
un Goto sovrano impetuoso soffra che un temerario
può piacere nel medesimo atto V che un Goto sovrano impetuoso soffra
che
un temerario vassallo alterchi con lui insolentem
fo, nelle insolenze di Rosmunda e nella di lei volontaria morte, cose
che
doveano soltanto accennarsi in pochissimi versi p
simi versi per non iscemare o distrarre l’attenzione ad altri oggetti
che
al gran misfatto dell’uccisione di Ataulfo. Lasci
ri oggetti che al gran misfatto dell’uccisione di Ataulfo. Lascio poi
che
l’istruzione morale che dee prefigersi un buon tr
isfatto dell’uccisione di Ataulfo. Lascio poi che l’istruzione morale
che
dee prefigersi un buon tragico non si scorge qual
scente nella nazione non raccomandata dal gusto e dalla forza tragica
che
la rendano amabile. Tenne dietro al Montiano il d
el 1763 pubblicò la sua prima tragedia la Lucrezia. La versificazione
che
vi adoprò è una specie di selva (come chiamasi in
di un foglio periodico spagnuolo intitolato Aduana critica, ignorando
che
l’indole della poesia tragica è di abbellire util
utilmente e non già di ripetere scrupolosamente la storia, pretendeva
che
il Moratin avesse introdotto nella sua favola Bru
incatenata e sciolta. Ma essa presenta una eroina violata da un Moro
che
incresce oggi che si esige una rigorosa decenza n
lta. Ma essa presenta una eroina violata da un Moro che incresce oggi
che
si esige una rigorosa decenza negli argomenti tea
ntiene diversi squarci d’imitazioni virgiliane. In ogni modo l’autore
che
fra’ suoi correva una via sì poco battuta, non me
a’ suoi correva una via sì poco battuta, non meritava la persecuzione
che
sofferse degl’inetti efimeri libelli e de’ motteg
te da quell’eroe. L’effetto primario di questa favola è l’ammirazione
che
risulta dall’eroismo di Gusmano, il quale preferi
’azione per rendere in tanta distanza quanta esser dovea tra un campo
che
assedia ed una piazza assediata, verisimili tali
la scena dell’atto II, in cui Gusmano esamina il valore del figliuolo
che
ha conseguito un momento di libertà sotto la paro
e Tarifa. In fatti la mancanza di coraggio non potrebbe confessarsi
che
ad un padre. Di poi non senza bellezza ripete que
enza bellezza ripete questa tinta con artificiosa variazione, e vuole
che
a lui fidi il di lui amore considerandolo solo co
e del giovane Gusmano, formano una situazione tragica assai teatrale,
che
si risolve colla magnanimità di Gusmano che getta
e tragica assai teatrale, che si risolve colla magnanimità di Gusmano
che
getta la propria spada al nemico. Intanto questa
Gusmano che getta la propria spada al nemico. Intanto questa tragedia
che
compensa i nei con situazioni teatrali, e con un
edia che compensa i nei con situazioni teatrali, e con un patriotismo
che
rileva un atto eroico della storia nazionale, non
pregiata nè premiata nè rappresentata in Madrid. La seconda tragedia
che
quivi comparve fu don Sancho Garcia di Giuseppe C
a tenerezza materna, sono bene espressi. Solo vi ho sempre desiderato
che
la richiesta del Moro fosse preparata con più art
more egli esige da una madre la morte dell’unico di lei figlio; ed in
che
fonda la speranza di conseguirlo? nella sfrenata
; ed in che fonda la speranza di conseguirlo? nella sfrenata passione
che
ha per lui la Contessa. Ma non dovea il poeta rif
passione che ha per lui la Contessa. Ma non dovea il poeta riflettere
che
, perchè il Moro potesse fondare sulla di lei pass
olla tenerezza di madre. L’atto termina con quest’ottima riflessione,
che
fa la combattuta Elvira : Que lexos de la culpa
y que cerca del crimen el castigo! Siffatta tragedia in una nazione
che
ne ha sì poche, dovea accogliersi, ripetersi, acc
sposta mia critica moderata, imparziale, lodativa ed amichevole, anzi
che
no, punto non dispiacque allo stesso autore, che
ed amichevole, anzi che no, punto non dispiacque allo stesso autore,
che
accoppiava gusto e buon senno alla domestica e st
Approvò il mio giudizio parimente Giovanni Sampere, o dottor Guarinos
che
siasi, il quale dopo la mia partenza da Madrid co
re. Ma senza pregiudicare alla sua erudizione, mi permetta di dirgli
che
egli ha indebolito codesto suo argomento, per ave
he egli ha indebolito codesto suo argomento, per avere ignorato forse
che
non solo i tre nominati poeti, ma tutti i Frances
sono altrimenti scrivere in versi se non rimati. Si contenti in oltre
che
gli faccia sovvenire di poche altre cose se non l
accia sovvenire di poche altre cose se non le ignora; e primieramente
che
il Sancho è scritto in castigliano e non in franc
ieramente che il Sancho è scritto in castigliano e non in francese, e
che
i Francesi rimano sempre per necessità, e non per
re per necessità, e non per elezione, perchè mancano del verso bianco
che
noi chiamiamo sciolto; di più che la poesia casti
ne, perchè mancano del verso bianco che noi chiamiamo sciolto; di più
che
la poesia castigliana al pari dell’italiana, e de
queste cose avvertiva il bibliografo, mi avrebbe conceduto parimente
che
i versi rimati per coppia nella scena non sono i
i castigliani, e non si sarebbe appoggiato sull’esempio di chi non ha
che
un solo vestito, per togliere l’arbitrio della bu
cerone chiamato superbissimum. Io compiango i dottori e i bibliografi
che
non sentissero la monotonia dell’endecasillabo pa
del miglioramento del teatro nazionale merita ogni lode. Ma il mezzo
che
scelse di ripetere le antiche favole del teatro p
na a’ nostri dì poco interessante, come ancora quel radicale ostacolo
che
oggi secoloro portano in teatro le deflorazioni,
e basterebbe ad apprestar materia per un poema epico; ma nella guisa
che
si vede maneggiata dall’Ayala, divide per tal mod
one di un popolo intero per mezzo della fame e del ferro e del fuoco,
che
, in vece di commuovere, esaurisce il fondo della
squarci di poeti antichi. Vi si nota un dialogo elegiaco uniforme più
che
un’ azione tragica, e non poca durezza nello stil
ia partenza da Madrid. Il dottor Guarinos punto non risentissi di ciò
che
accennai del dialogo uniforme ed elegiaco , e
me ed elegiaco , e della durezza dello stile . Gl’increbbe sì bene
che
avessi reputato tale argomento più proprio per un
ene che avessi reputato tale argomento più proprio per un poema epico
che
drammatico, come anche l’osservazione sulle frequ
r l’epopea, come io dissi? Chi ha poi insegnato a codesto bibliografo
che
il poema epico aver debba sempre un esito felice?
ma epico aver debba sempre un esito felice? Se ciò è vero, errò Omero
che
nell’Iliade si prefisse di cantar solo l’ira per
refisse di cantar solo l’ira perniciosa (μηνιν ουλομενεν) di Achille
che
tanti dolori cagionò agli Achivi ? Errò Stazio ca
ati ? Errò Lucano nella Farsalia cantando le funestissime guerre più
che
civili, la scelleratezza divenuta diritto, ed un
ù che civili, la scelleratezza divenuta diritto, ed un popolo potente
che
converte la destra vincitrice contro le proprie v
enghiamo a più stretta pugna. Perchè mai affermò il Napoli-Signorelli
che
tale argomento nella guisa che l’ha trattato l’Ay
erchè mai affermò il Napoli-Signorelli che tale argomento nella guisa
che
l’ha trattato l’Ayala, mal conviene ad un’ azione
o. Lo spirito umano nella mescolanza delle tinte e de’ suoni non meno
che
nella moltiplicità mal graduata delle stragi rima
ubri epicedii. Circa poi le declamazioni dice il protettor dell’Ayala
che
il Napoli-Signorelli doveva farsi bien cargo de
azione de’ Numantini. Ma egli stesso no se ha hecho bien cargo di ciò
che
io dissi e ripeto, cioè che esse converrebbero a’
i stesso no se ha hecho bien cargo di ciò che io dissi e ripeto, cioè
che
esse converrebbero a’ Numantini, usate a tempo e
ate a tempo e parcamente , la qual cosa tradotta in volgare significa
che
esse sono proprie di un popolo irritato contro Ro
ostrato subito e pienamente tutto ciò con pubblicare l’analisi intera
che
scrissi sulla Numancia; ma me ne distolse lo spia
che scrissi sulla Numancia; ma me ne distolse lo spiacevole annunzio
che
ricevei della morte dell’erudito autore. Ci sarem
utore. Ci saremmo contentati poi del semplice primo giudizio moderato
che
già ne demmo senza gli stimoli del cattivo avvoca
costanze un oracolo di Ercole Gaditano dato quattordici anni innanzi,
che
però in niun modo si appressa alle bellezze del g
nte nè necessaria all’azione. Terma sacerdotessa dipinge a lungo quel
che
tutti sanno, cioè la strage che fa la fame ne’ Nu
rma sacerdotessa dipinge a lungo quel che tutti sanno, cioè la strage
che
fa la fame ne’ Numantini ridotti, mancate l’erbe
lugubre scena una ne segue amorosa di sette pagine di Olvia ed Aluro
che
conchiude l’atto. Giudichi il leggitore se in tal
argomento siesi convenevolmente inserito un languido amore subalterno
che
contrasta coll’immagine di un popolo che stà more
un languido amore subalterno che contrasta coll’immagine di un popolo
che
stà morendo di fame. E pur non è il peggior male
innamorata vicina a morir di fame insieme coll’amante e con tutti, di
che
si occupa singolarmente in questa scena? forse de
nsa a vendicare certo suo fratello già morto col sangue dell’uccisore
che
non sa chi sia. Dopo ciò mostrasi sorpresa da un
l saperne la cagione, ed ella dopo di aver posto in contrasto l’amore
che
Aluro ha per lei con quello della patria, dopo di
iene Megara frettoloso, te lo dirò poi ; e finisce l’atto così, senza
che
niuno nè frettolosò nè a bell’agio venga fuori. E
. Essi partono. Non dubiti però chi ascolta; essi nulla diranno senza
che
vi sia chi ascolti. Ma (si dirà) se ne anderanno
no uniti o disgiunti? se uniti non diranno più una parola sola di ciò
che
hanno incominciato a dire? Non dubiti punto lo sp
di ciò che hanno incominciato a dire? Non dubiti punto lo spettatore
che
Olvia non paleserà ad Aluro l’arcano fino a che i
i punto lo spettatore che Olvia non paleserà ad Aluro l’arcano fino a
che
il poeta non riconduca l’uno e l’altra nel medesi
mo luogo e nel medesimo punto del loro discorso; ma bisogna attendere
che
passi tutto intero l’atto II. Notisi intanto che
ma bisogna attendere che passi tutto intero l’atto II. Notisi intanto
che
è questa una delle scene patetiche in cui Olvia
essi nulla detto o in quella scena o nell’intervallo dell’atto di ciò
che
voleva Olvia nell’atto I narrare all’amante? Non
i l’autore venir Giugurta come ambasciadore de’ Romani per la ragione
che
egli è imparziale. Ma questo principe affricano c
ni per la ragione che egli è imparziale. Ma questo principe affricano
che
dicesi imparziale, e milita a favor de’ Romani co
zzata una serie di minuti fatti spogliati della necessaria dipendenza
che
risveglia e sostiene l’attenzione, guidandola ad
debba morire e servire d’alimento de’ superstiti. Si propone altresì
che
si ammazzino i vecchi per prolongare la vita de’
azione de’ Numantini (di cui se ha da hacer bien cargo il Signorelli)
che
eccita Dulcidio a motteggiare e a declamare contr
a declamare contro i Romani, ovvero è questa una scorreria del poeta
che
vuol comparire tra’ personaggi? Eccoci all’atto I
in tre soli versi sulla picciola bagattella del tirarsi a sorte colui
che
dee morir prima; e si occupano per cinque pagine
e di un più grave affare. Olvia dunque palesa al suo idolatrado Aluro
che
Giugurta preso di lei promette di passare a Numan
fratello capo della repubblica? In secondo luogo Olvia ha considerato
che
diecimila persone vogliono mangiare, e che Numanz
luogo Olvia ha considerato che diecimila persone vogliono mangiare, e
che
Numanzia manca pur di cadaveri da ripartire co’ n
ur di cadaveri da ripartire co’ nuovi alleati? Per terzo Olvia ignora
che
oggi la salute della patria non dipende dal minor
le forze nemiche, ma dal provvedere di nutrimento i Numantini? Ignora
che
le utili conseguenze dello scemare il numero degl
de’ funesti rapidi progressi della fame? Appresso Olvia è sicura poi
che
la diserzione di Giugurta sia sincera, e che non
resso Olvia è sicura poi che la diserzione di Giugurta sia sincera, e
che
non possa essere uno stratagemma? È sicura in olt
ia sincera, e che non possa essere uno stratagemma? È sicura in oltre
che
la salute della patria dipenda da Giugurta ancorc
che la salute della patria dipenda da Giugurta ancorchè fosse solo? E
che
altro spererebbe Olvia se avesse pattuito collo s
isposte della savia e tenera Olvia? Dulcidio annunzia al figlio Aluro
che
dee morire essendo il di lui nome uscito dall’urn
ge con lui per due pagine intere, dopo delle quali si ricorda di dire
che
vuol morire in di lui vece. Gareggiano su di ciò;
e del Numantino, e questi insolentisce quasi altro oggetto non avesse
che
d’irritar gli assalitori. E questa scena inutile
di sentinella; e Giugurta vedendola sola viene a parlarle; di maniera
che
i nemici colla facilità di un attore che esce al
viene a parlarle; di maniera che i nemici colla facilità di un attore
che
esce al proscenio, potevano penetrar fra’ Numanti
roscenio, potevano penetrar fra’ Numantini. Or chi non ne conchiuderà
che
erano due inettissimi generali Megara che sì male
. Or chi non ne conchiuderà che erano due inettissimi generali Megara
che
sì male guardavasi dalle sorprese, e Scipione che
imi generali Megara che sì male guardavasi dalle sorprese, e Scipione
che
non sapeva approfittarsi delle negligenze? Incogr
? Incogruo è pure l’abboccamento di Giugurta con Olvia. Ella gli dice
che
passi co’ suoi a Numanzia, perchè ella l’attender
si co’ suoi a Numanzia, perchè ella l’attenderà presso di un sepolcro
che
si eleva più degli altri, e gliele addita. Si, si
altri, e gliele addita. Si, si (ripiglia lo stupido Giugurta) colui
che
vi giace fu da me ucciso, e perchè spirando ti ch
un insipido innamoramento, e la balordaggine di vantarsi di un fatto
che
poteva averla offesa. Olvia sdegnatá lo discaccia
tto che poteva averla offesa. Olvia sdegnatá lo discaccia, indi vuole
che
impugni la spada disfidandolo; Giugurta pensa a f
ggi senza perchè empie le scene 6, 7 ed 8. Terma dà avviso a Dulcidio
che
Olvia se disfraza (si traveste; e quanto opportun
erla venire la ravvisa. Olvia viene (dice il poeta) con algun disfraz
che
si lascia immaginare al discreto lettore, o alla
tas! (o ceneri infauste) colla stessa grazia della Tomiri di Quinault
che
cercava per terra ses tablettes. Dulcidio l’esort
corrispondere a un tempo A amante, à patria, al padre i al hermano,
che
verso eccellente per numero e per regolarità, com
rmano, che verso eccellente per numero e per regolarità, come ognuno
che
ha orecchio, ben sente! Olvia dopo un contrasto i
i lei talento politico) chi comanda ama di vedere eseguite certe cose
che
sapute prima egli non permetterebbe che si tentas
di vedere eseguite certe cose che sapute prima egli non permetterebbe
che
si tentassero . Da tale potente ragione rimane pe
al solito va e viene liberamente dal campo Romano al Numantino senza
che
Megara abbia mai saputo prevedere simili visite n
via viene parlando sola a voce alta, e l’ode lo spettatore e Giugurta
che
dice, Olvia es, i su espada me asegura. Viene a
ta, e senza udirne la voce, raffigura Olvia e la rimprovera. Giugurta
che
avea udito Olvia che parlava sola, ora non ode pi
voce, raffigura Olvia e la rimprovera. Giugurta che avea udito Olvia
che
parlava sola, ora non ode più ciò che esse dicono
. Giugurta che avea udito Olvia che parlava sola, ora non ode più ciò
che
esse dicono. Terma vuol sapere in ogni conto i di
o. Terma vuol sapere in ogni conto i disegni della sorella; ma questa
che
gli ha comunicati a Dulcidio e ad Aluro, ed ha pu
Olvia tutto l’agio di dire a Terma una inutile bugia. Le dice dunque
che
si è travestita per uccidere Giugurta; ma è quest
er cui gli ha mandata la spada? Stando altercando esce Aluro in tempo
che
Terma dice, refrena tu furor , ed egli ciò udend
o che Terma dice, refrena tu furor , ed egli ciò udendo dice; questa
che
parla è Olvia; certamente questo è inganno di Giu
te? Di più due voci femminili possono svegliargli l’idea di un nemico
che
a quell’ora è verisimile che si trovi nel campo R
possono svegliargli l’idea di un nemico che a quell’ora è verisimile
che
si trovi nel campo Romano? Viene per quarto Dulci
Torna Dulcidio con fiaccola accesa, ed Olvia spira mentendo con dire
che
ella amava Giugurta , quando Io spettatore non i
o con dire che ella amava Giugurta , quando Io spettatore non ignora
che
ella amava Aluro. L’autore dunque ne ha sì destra
autore dunque ne ha sì destramente condotto il carattere e l’affetto,
che
il sangue di lei non muove veruna compassione tra
ia, ne giudichi il leggitore. Durando apparentemente la notte, Megara
che
ha saputa, la disfatta de’ Luziani ausiliarii, e
saputa, la disfatta de’ Luziani ausiliarii, e la debolezza de’ Vasei
che
si sono dati a’ Romani, chiama al campo di Scipio
lmente nè la notte nè le trincee gliene impedivano la veduta) ditegli
che
vò parlargli. Che pretendi, Numantino? Risponde
hanno saputo distinguere le voci delle sue sorelle. Megara domanda o
che
Scipione gli dia l’assalto, o che mandi le legion
delle sue sorelle. Megara domanda o che Scipione gli dia l’assalto, o
che
mandi le legioni a trucidarli. A questa richiesta
ie della Spagna, ed esita nel voler dar la morte ad un suo figliuolo,
che
non prima di allora comparisce, e va a precipitar
nti. Vedrà l’istesso giudice se alla Numanzia dell’Ayala convenga ciò
che
ne disse il sig. Andres, cui piacque di collocarl
l grado col Sancho del Cadahalso così fuor di ragione, e di affermare
che
essa non sia priva di calore e di spirito trag
sa non sia priva di calore e di spirito tragico . Dobbiamo credere
che
avesse egli mai letta la Numanzia? Non è possibil
nte de mi cargo, Y aùn tal vez accreedor à gracias tuyas. Lascio poi
che
tal favola non ha verun carattere, non eccitando
ndo uscirono la Lucrecia, la Hormesinda, e le altre già riferite; dal
che
si deduce che l’autore tardò a produrla quindici
a Lucrecia, la Hormesinda, e le altre già riferite; dal che si deduce
che
l’autore tardò a produrla quindici anni in circa.
ore tardò a produrla quindici anni in circa. Rileva di più l’editore,
che
se i Francesi dividendo le favole in cinque atti
asi dal poeta, dà un singular merito à su obra . Conchiude l’editore
che
il piano della Rachele è pur sistema particolare
l piano della Rachele è pur sistema particolare del poeta, persuaso
che
ammaestra più e corregge meglio i costumi, e dil
diletta maggiormente il gastigo del vizio, ed il premio della virtù,
che
la compassione . Sappiamo in oltre per mezzo del
he la compassione . Sappiamo in oltre per mezzo del medesimo editore,
che
si rappresentò repetidas veces , e che ne corser
r mezzo del medesimo editore, che si rappresentò repetidas veces , e
che
ne corsero manoscritte più di duemila copie per A
uemila copie per America, Spagna, Francia, Italia, e Portogalloa. Che
che
sia di ciò in Madrid si rappresentò quindici anni
alloa. Che che sia di ciò in Madrid si rappresentò quindici anni dopo
che
fu scritta, e vi sostenne la parte di Rachele la
iore proibita. A chi non ne avesse veduta qualche copia delle duemila
che
se ne sparsero per li due mondi, non increscerà d
per li due mondi, non increscerà di vederne quì il più breve estratto
che
si possa. L’argomento e la condotta a un di press
resi con un dialogo di Garceran Manrique, ed Hernan Garcia, dicendosi
che
Toledo è in festa, perchè compie quel dì il decen
dicendosi che Toledo è in festa, perchè compie quel dì il decennio da
che
Alfonso VIII tornò da Palestina dopo aver dalle f
Lusignano. Non so se ciò dica l’autore come storico o come poeta. So
che
nella terza crociata Riccardo re d’Inghilterra de
lemme tolta da questo saracino nel 1187 a’ Guido Lusignano. So di più
che
nella difesa di Tiro si segnalò l’italiano Corrad
, e co’ nominati re fece meraviglie nell’assedio di Acra o Tolemaide,
che
venne in lor poterea; e che poi si accordarono co
aviglie nell’assedio di Acra o Tolemaide, che venne in lor poterea; e
che
poi si accordarono col Soldano, restando a Lusign
ncia, ed il marchese di Monferrato fu assassinato in Tirob. So ancora
che
il Saladino seguitò a possedere Gerusalemme col S
i per cessione di Giovanni di Brenna padre di Jolanda da lui sposata,
che
era figlia ed erede di Maria primogenita d’Isabel
re di Gerusalemmea. Fu questo imperadore e re di Napoli e di Sicilia
che
nel 1228 passò in Terra Santa, guerreggiò, conqui
e’ Saracini colà avvezzi ad orare senza escludersene i Cristiania. So
che
a tale spedizione accorsero molte migliaja di fed
se, ne vennero ben sessantamila. Ma niuno de’ citati cronisti ci dice
che
Alfonso VIII vi fosse andato con gli altri. Era e
hè il sig. de la Huerta individuo dell’Accademia dell’Istoria afferma
che
Alfonso guerreggiò in Palestina, e conquistò Geru
rafal? Ciò verifica vie più il dettato di prudenza e di critica, cioè
che
non sempre le ricerche istoriche debbono attender
toria sa Dio come conseguiti! Direbbe de la Huerta, se ancor vivesse,
che
in una tragedia egli è poeta e non istorico. Ma n
sse, che in una tragedia egli è poeta e non istorico. Ma niuno ignora
che
nelle circostanze istoriche delle persone introdo
poeta Diamante sua fida scorta vi era caduto prima. Manrique aggiugne
che
Alfonso sette anni prima vinse i Saracini nella b
Manrique conta false vittorie del re, e Garcia gliele mena buone, sol
che
questi si lagna che sia il re divenuto schiavo di
vittorie del re, e Garcia gliele mena buone, sol che questi si lagna
che
sia il re divenuto schiavo di Rachele, ed il popo
manifesta avversione per Garcia. Egli ne sprezza le minacce, dicendo
che
i suoi pari Aquellos que en sangrientos caracter
echos sobre el noble papel del pecho escrita. In prima i Castigliani
che
anche nella prosa schivano con senno la vicinanza
attivo suono di un verso sciolto rimato nel mezzo, come è il secondo,
che
con heridas recibidas diventa verso leonino. Di
lo XVIII, ed assai più nel genere drammatico. Ed ecco una delle prove
che
dimostrano che il Signorelli non ebbe torto in as
sai più nel genere drammatico. Ed ecco una delle prove che dimostrano
che
il Signorelli non ebbe torto in asserire nelle Vi
non ebbe torto in asserire nelle Vicende della Coltura delle Sicilie
che
de la Huerta gongoreggia . Rachele resta con Rub
Castilla, España, Europa, el Orbe, e parte senza dar retta a Rachele
che
resta con Ruben in una seconda sessione. Si vanno
esta con Ruben in una seconda sessione. Si vanno distinguendo le voci
che
chiedono la morte di Rachele, la quale fugge all’
o la morte di Rachele, la quale fugge all’avviso di Manrique. Alfonso
che
va e viene in quella sala senza sapersi perchè, t
viene in quella sala senza sapersi perchè, torna frettoloso, intende
che
Garcia conduce i sollevati, e si sdegna, e dice,
amarsi fulmine per esagerarne i rapidi funesti effetti; ma aggiugnere
che
questo fulmine figurato siasi spiccato dalle nub
sità di sentenza gongoresca. Garcia si presenta al re, e gli dimostra
che
coloro che chiedono la morte di Rachele, sono i p
tenza gongoresca. Garcia si presenta al re, e gli dimostra che coloro
che
chiedono la morte di Rachele, sono i più leali va
hiedono la morte di Rachele, sono i più leali vassalli, quelli stessi
che
l’accompagnarono in Palestina, che lo coronarono
più leali vassalli, quelli stessi che l’accompagnarono in Palestina,
che
lo coronarono re di Gerusalemme (Alfonso ben pote
no re di Gerusalemme (Alfonso ben poteva dargli una sollenne mentita)
che
insieme con lui in Alarcos furono terrore degl’im
temente anche le battaglie date in Alarcos, perchè Alfonso non ignora
che
quivi appunto egli superiore di truppe, d’esperie
rmi in potere de’ sollevati? Lagnasi il re di tali parole, e le dice
che
egli l’esilia per salvarle la vita. Ella vuole ri
I. Esce Rachele piangendo con Ruben. Ma frall’intervallo de’ due atti
che
cosa è avvenuta? nulla? l’azione si è riposata? C
e contro la verità e la savia pratica de’ nostri tempi. Oggi si esige
che
l’azione inevitabilmente si avanzi al suo fine o
si avanzi al suo fine o sulla scena o fuori di essa. Diceva l’editore
che
l’azione della Rachele è tutta alla vista. Ma si
iscono? Che hanno essi fatto sinora (può dire lo spettatore)? Rachele
che
esce di nuovo con Ruben, fa supporre che la di le
dire lo spettatore)? Rachele che esce di nuovo con Ruben, fa supporre
che
la di lei disperazione, il suo pianto, l’accinger
Altra volta , ella dice, avrebbe per esse dichiarata la guerra a chi
che
sia , e ciò non è fuor di proposito; ma soggiunge
a guerra a chi che sia , e ciò non è fuor di proposito; ma soggiunge
che
avrebbe fatto retrocedere il Tago verso la sorgen
er cautela ba ordinato a un campo di duemila cavalli e cento bandiere
che
maroiavano verso Cuenca, a tornare a Toledo per f
rdini quando si sono dati? queste marce quando si sono eseguite? Dopo
che
il re ha disposto il bando di Rachele verso la fi
l’avesse mai veduta piangere, si meraviglia dell’ardore straordinario
che
in lui produce; quando se ha visto si
si capisce come possa dirsi fenomeno rarissimo e pellegrino l’ardore
che
in lui cagiona il pianto di Rachele. Huerta che i
e pellegrino l’ardore che in lui cagiona il pianto di Rachele. Huerta
che
in altro non si è occupato in tutto il tempo dell
uerta che in altro non si è occupato in tutto il tempo della sua vita
che
in verseggiare, non si accorgeva de’ versi leonin
della sua vita che in verseggiare, non si accorgeva de’ versi leonini
che
gli scappavano dalla penna di tempo in tempo, qua
le di lei lagrime le rinnova l’ordine di partire; ma tosto ripiglia;
che
ho io profferito? posso pensarlo? posso permetter
tesso il mio esiglio? È vero, dice Alfonso, ma ne fu cagione la paura
che
io ebbi, temor lo hizo . Questa ingenua confessi
e, ed il re si ostina a farla rimanere, perdona agli Ebrei, vuol pure
che
ella governi per lui, e colla maggior gravità di
verni per lui, e colla maggior gravità di sovrano impone alla guardia
che
a lei obedisca e la colloca sul trono. Rachele am
rare, dunque nell’intervallo degli atti si è fatta qualche altra cosa
che
non si vede in iscena a dispetto della jattanzia
cosa che non si vede in iscena a dispetto della jattanzia dell’autore
che
si arrogava un merito esclusivo. Se poi nulla si
de Huerta ancora nel ridevole difetto di lasciar l’azione interrotta,
che
abbiamo notata in Ayala patrocinato dal Sampere o
ercare, schiamazzare, sguainar le spade e gridar muera muera , senza
che
vi sia almeno un domestico del partito del re o d
senza che vi sia almeno un domestico del partito del re o di Rachele
che
gli ascolti o gli osservi. Essi partono ad istanz
hele che gli ascolti o gli osservi. Essi partono ad istanza di Garcia
che
ne ottiene che si differisca l’eccidio di Rachele
colti o gli osservi. Essi partono ad istanza di Garcia che ne ottiene
che
si differisca l’eccidio di Rachele sino a che il
i Garcia che ne ottiene che si differisca l’eccidio di Rachele sino a
che
il re vada alla caccia. Maurique fa sapere a Garc
achele sino a che il re vada alla caccia. Maurique fa sapere a Garcia
che
Rachele l’esilia da Toledo, al che egli risponde
accia. Maurique fa sapere a Garcia che Rachele l’esilia da Toledo, al
che
egli risponde magnanimamente. Quì l’autore fa nas
re; e ciò unito alla menzione della predilezione del re per la caccia
che
svegliava l’idea di qualche allusione temeraria,
la caccia che svegliava l’idea di qualche allusione temeraria, sembra
che
avesse dato motivo alla sospensione della rappres
guire anche quì la traccia di Diamante. Ma nel componimento di costui
che
non si limita alla durata di un giorno, ma abbrac
erta il re s’invoglia risolutamente di andare a caccia poche ore dopo
che
il popolo ha chiesta la morte di Rachele, quel po
borrita favorita sul trono e con rivocare il bando degli Ebrei. Ed in
che
egli si fida? Ne’ soldati che ha chiamati in Tole
on rivocare il bando degli Ebrei. Ed in che egli si fida? Ne’ soldati
che
ha chiamati in Toledo? Ma la sua passione dovea s
oldati che ha chiamati in Toledo? Ma la sua passione dovea sugerirgli
che
que’ nobili vantati da Garcia potevano aver fra e
otta da nuovi schiamazzi de’ Castigliani. Chiama impaurita la guardia
che
l’ha abbandonata; si volge a Manrique che si riti
Chiama impaurita la guardia che l’ha abbandonata; si volge a Manrique
che
si ritira per avvertirne il re; s’indrizza a Rube
lge a Manrique che si ritira per avvertirne il re; s’indrizza a Ruben
che
le dà un freddo consiglio e parte. Queste circost
ueste circostanze esigerebbero un discorso rapido, cocente, e non ciò
che
ella dice in ventiquattro versi freddi anziche nò
entiquattro versi freddi anziche nò, per li quali si spende più tempo
che
non dovrebbero darle i Castigliani irritati, e no
e per una porta secreta. Questo punto dell’azione richiedeva più moto
che
parole. Rachele non accetta l’esibizione di Garci
l tempo? L’azione corre, vola, e non permette indugio veruno. Osservo
che
la favola di Diamante in questo passo è più rapid
hè male, dal poema Raquel inserito nel Parnaso Español. Luis de Ulloa
che
n’è l’autore, dice così : Traidores, fue decirle
ijo, caballeros, asi infamais los inclitos aceros? Ognuno si accorge
che
tal pensiero si è peggiorato dal copiatore Huerta
ta, e la correzione giugne fuor di tempo. Nel poema Rachele vuol dire
che
ferendola essi macchiano i loro acciari col sangu
utile la preghiera. Inclitos aceros nel poema contiene una lusinga,
che
nobilita la condizione de’ congiurati, il che non
a contiene una lusinga, che nobilita la condizione de’ congiurati, il
che
non esprime la diestra detto nudamente nella trag
si ritirano. Si domandi al poeta, perchè mai Ruben non seguita coloro
che
gli hanno promessa la vita? perchè rimane colà st
col pugnale insanguinato alla mano? Rachele spirando chiama Alfonso,
che
giugne, ed ella ha tanto di fiato che può dirgli
achele spirando chiama Alfonso, che giugne, ed ella ha tanto di fiato
che
può dirgli che la plebe sollevata l’ha destinata
chiama Alfonso, che giugne, ed ella ha tanto di fiato che può dirgli
che
la plebe sollevata l’ha destinata alla morte, e c
to che può dirgli che la plebe sollevata l’ha destinata alla morte, e
che
Ruben l’ha ferita. Alfonso recita un lamento di v
uben si sente accusare da Rachele, vede il furore del re, ascolta ciò
che
egli dice, e non fugge. Chi vide rappresentar la
gli dice, e non fugge. Chi vide rappresentar la tragedia, mi assicurò
che
il pubblico si stomacò di vedere quell’insipida f
del carnefice nella persona di Ruben; ma benchè prima alla sola idea
che
Rachele dovea allontanarsi avea chiesto ad un vas
sola idea che Rachele dovea allontanarsi avea chiesto ad un vassallo
che
gli togliesse la vita, ora alla vista del sangue
ante gli uccisori alla sua presenza e gli perdona, contentandosi dire
che
serva loro di pena, Contemplar lo horroroso de l
altri fatti l’abbia senza necessità falsificata) perchè era persuaso
che
corregge meglio i costumi il gastigo del vizio e
morte; nè può eccitare veruna compassione tragica, ma quella soltanto
che
detta l’umanità per gli rei che vanno al patibolo
mpassione tragica, ma quella soltanto che detta l’umanità per gli rei
che
vanno al patibolo. Per convenire alla tragedia do
rendersi meno odiosa senza lasciarla impunita. Questa è la differenza
che
passa tra una vera esecuzione di giustizia ed un
l’accommoda al fine della tragedia. Il poeta dee maneggiarlo in guisa
che
il personaggio destinato a commuovere si renda de
metter l’anima in agitazione per disporlo a ricevere l’ammaestramento
che
è l’oggetto morale della poesia. Rachele (eccetto
ia. Rachele (eccetto la gioventù e la bellezza) non ha qualità veruna
che
faccia sospirare per la sua morte. Il poeta Diama
o, dicendo esser tal piano un suo sistema particolare . Si noti però
che
la Rachele del Diamante desta più acconciamente l
lse la traccia tutta da Diamante. Ed il sig. Andres errò anche in ciò
che
la stimò originale e propria di Huerta, non sap
nche in ciò che la stimò originale e propria di Huerta, non sapendo
che
egli altro non fece che versificare in nuova form
originale e propria di Huerta, non sapendo che egli altro non fece
che
versificare in nuova forma la Judia de Toledo. In
a Judia de Toledo. In questa guisa il sig. Sebastian y Latre non fece
che
verseggiar diversamente la Procne y Filomena di F
ancesco Roxas; nè altra differenza vi è tra questi due autori, se non
che
l’Aragonese ingenuamente ne prevenne il pubblico,
Diamante, stimò bene di escludere la Judia de Toledo dalla collezione
che
eseguì al fine del Teatro Spagnuolo. Questa abbra
cui bentosto parleremo. Ma qual pro reca alla nazione una collezione
che
non è nè ragionata, nè completa, nè scelta? Non è
eggere Eco y Narciso nojosa favola mitologica di Calderòn de la Barca
che
più non si recita? La Raquel moderna per altro su
moderna per altro supera la Judia del Diamante per la versificazione
che
non è senza dolcezza, e per lo stile, eccetto ne’
e coll’incisione di Rachele moribonda, e dell’oziosa figura di Ruben,
che
col pugnale alla destra stà aspettando colla sini
, che col pugnale alla destra stà aspettando colla sinistra nel mento
che
venga Alfonso e l’uccida. Questo rame è animato d
roneamente un doppio significato. Carnicero in castigliano dinota ciò
che
i Latini dicono lanio, e gl’Italiani macellajo. H
ciò che i Latini dicono lanio, e gl’Italiani macellajo. Huerta voleva
che
carnifex destasse l’idea di boja insieme, e di ma
ifex in latino significa soltanto il verdugo dell’idioma castigliano,
che
è il manigoldo dell’italiano; nè mai nella lingua
ig. Huerta rifare la Venganza de Agamemnon del maestro Perez de Oliva
che
la compose in prosa, e la scrisse sul gusto strav
rimati, ed anche con assonanti. Egli nell’azione si attiene al Perez,
che
seguita le orme di Sofocle, facendo anche riconos
a nota coll’usata sua modestia si vanta di correggere Sofocle per far
che
quedase con menos impropriedades , cioè rimaness
lla maggior parte de’ suoi errori. Per conseguirlo bisognava in prima
che
egli sapesse quali errori ed improprietà apparten
artenessero a Sofocle, e quali a’ suoi traduttori ed indovini; di poi
che
egli avesse giuste idee delle proprietà convenien
a’ greci costumi, volendo rimpastare quella tragedia. Osservo intanto
che
egli ha preso un cammino che lo conduce al contra
pastare quella tragedia. Osservo intanto che egli ha preso un cammino
che
lo conduce al contrario della sua promessa. In pr
de’ Greci alla guisa de’ facchini, in vece di lasciarvi l’urna antica
che
conteneva le ceneri di un estinto, e che poteva p
e di lasciarvi l’urna antica che conteneva le ceneri di un estinto, e
che
poteva portarsi in mano, come rilevasi da Aulo Ge
no portando nelle mani χεροιν) una picciola urna di bronzo, fingendo
che
contenga il mio corpo bruciato, e ridotto in cene
lla scena della riconoscenza Elettra indirizzando la parola ad Oreste
che
crede morto, dice come io traduco, Vieni pondo b
morto, dice come io traduco, Vieni pondo ben lieve in picciol vaso,
che
picciol vaso significa quell’εν σμικρῷ κυτειν, e
rmato dal miglioratore Huerta. Che miglioramento è quest’altro di far
che
nasca in iscena, e si proponga da Cillenio il pen
ca in iscena, e si proponga da Cillenio il pensiere di singere l’arca
che
ha da contenere un peso proporzionato ad un corpo
ando Sofocle provvidamente suppone questi preparativi già fatti prima
che
Oreste capiti coll’ajo in Micene? E perchè in olt
tahud, per mettere in bocca di Oreste l’indovinello, io sono un uomo
che
nel mio sepolcro solco i mari della fortuna . Sof
più di cento poeti, non si sanno combinar nuove situazioni patetiche
che
formino quadri terribili alla maniera di Michelan
uerta ha pur tradotta (dicesi) la Zaira da me non veduta; e mi auguro
che
ne abbia tolte le improprietà meglio che non ha f
a me non veduta; e mi auguro che ne abbia tolte le improprietà meglio
che
non ha fatto nell’Agamennone di Sofocle. Il suo c
uo compatriotto Andres disse di tal fatica di Huerta sull’Agamennone,
che
egli volle far gustare a’ suoi le bellezze del g
volle far gustare a’ suoi le bellezze del greco teatro . Si è veduto
che
diverso fu l’intento dell’orgoglioso traduttore.
che diverso fu l’intento dell’orgoglioso traduttore. Dovea però dire
che
volle rendere in castigliano tale argomento; perc
. Tanti giudizii mal fondati, e tanti fatti erroneamente esposti, non
che
sulla letteratura straniera, sulla spagnuola, mos
come conciliare i lumi e i talenti di questo letterato colle sentenze
che
pronunzia? Altre tragedie si composero in Madrid
due Gusmani. Il sig. Andres rigido investigatore del perfetto a segno
che
in Italia non trova altra buona tragedia che la M
ore del perfetto a segno che in Italia non trova altra buona tragedia
che
la Merope, non ha poi trascurato d’inserire nella
là rimasti, Filottete, Gionata, Giuseppe, Sancio de Abarca, ma quelli
che
pubblicarono Bazo, Quadrado, Guerrero, Sedano, Ib
sertazione, in cui additò le bellezze di quell’originale capo d’opera
che
il sig. Huerta ingannando gl’innocenti suoi ammir
deròn de la Barca, e languidamente da altri. Non è tanto la sterilità
che
lo renda scabroso a maneggiarsi, quanto l’impossi
ma assediata da’ Volsci, e quella di Marzio combattuto dalla vendetta
che
vuol prendere de’ suoi nemici nazionali e dall’am
desiderio di vendicarsi nel cuor di Marzio, colla vittoria del primo
che
ne cagiona la morte. Il Colomès ha unito lo stato
Patetico è il discorso del sacerdote nell’atto III; felice l’immagine
che
Volunnia rappresenta a Marzio di se stesso possed
nnia rappresenta a Marzio di se stesso posseduto da’ rimorsi nel caso
che
trionfasse di Roma; grave la seconda scena dell’a
apo ancor più nell’Edipo di Sofocle, e nella Semiramide del Manfredi,
che
nella Inès. Il sig. Colomès ha seguita l’Inès del
ell’Agnese del Colomès eseguito dal siniscalco del regno; ma i motivi
che
agitano la regina sono assai più attivi, perchè c
il carattere di Alfonso nella favola francese è di un padre sensibile
che
ama il valore del figliuolo, benchè sia disposto
tra il principe e la consorte, e bisogna dire a gloria di Metastasio
che
è maggiore ancora nel Demofoonte, perchè la sola
o, nè gli fu sugerito dalla storia della Castro. Era dunque più bello
che
il Colomès, ingenuo per altro, e probo uomo, dopo
bo uomo, dopo di averlo trascritto, lo riconoscesse da quel Francese,
che
dire con poca gratitudine, che per necessità dell
tto, lo riconoscesse da quel Francese, che dire con poca gratitudine,
che
per necessità dell’azione ha dovuto incontrarsi c
colpo con nuove acconce espressioni. La stessa istorica imparzialità
che
ci obbliga a tal confronto, ci fa dire, che il Co
ssa istorica imparzialità che ci obbliga a tal confronto, ci fa dire,
che
il Colomès ha prestate a questo argomento nuove b
morte del re, per leggere nell’animo del principe, e per assicurarsi
che
Agnese sia da lui amata. Per lo stile lascia rare
sostenuto, e con passi armoniosi e robusti compensa certe espressioni
che
parranno intralciate, più prosaiche, e meno preci
, più prosaiche, e meno precise e vibrate. Debbo pur anche far notare
che
la ricchezza, l’energia, e la maestà della lingua
e le maniere usate da’ nostri poeti grandi, danno all’Agnese un certo
che
più grande che manca al cattivo verseggiatore La-
ate da’ nostri poeti grandi, danno all’Agnese un certo che più grande
che
manca al cattivo verseggiatore La-Motte. Pieno di
la più regolare ed appassionata uscita da un suo figlio, e desiderare
che
fosse stata composta in castigliano. Si rileva da
ano. Si rileva da una lettera dell’autore scritta al sig. Pignatelli,
che
egli avrebbe accompagnata l’Agnese con altre due
o . Uscì nel 1779 in Bologna l’Ifigenia in Aulide dell’abate Lassala,
che
nel dedicarla alla contessa Caprara descrive l’in
ere Agamennone col volto coperto. Timante però posteriore a Polignoto
che
fioriva verso l’olimpiade XC, non fu l’inventore
o che fioriva verso l’olimpiade XC, non fu l’inventore di tal ripiego
che
appartiene all’istesso Euripide nato l’anno primo
e nato l’anno primo dell’olimpiade LXXV. Euripide disse di Agamennone
che
volse il capo indietro, pianse dirottamente, e s
glimento e le situazioni principali dell’azione. Sarebbe a desiderare
che
vi si fosse anche attenuto in certi passi. Il car
e vi si fosse anche attenuto in certi passi. Il carattere di Menelao,
che
pure nella tragedia greca sembra in certo modo in
, si esprime con bassezza, e villania col fratello, e nel cangiamento
che
fa si dimostra arrogante, incongruente, ed oppost
l’atto II, in cui Achille con gli occhi bassi dice alle principesse
che
gode del loro arrivo , e che non può tratteners
gli occhi bassi dice alle principesse che gode del loro arrivo , e
che
non può trattenersi , e parte. Sconcio, intempes
ra del verso ne toglie ogni armonia. La locuzione è prosaica talmente
che
scrivendosi seguitamente come si fa in prosa, non
ero de’ versi. Circa la lingua tutto si dee perdonare a uno straniero
che
si studia di coltivar quella del paese ove abita.
si studia di coltivar quella del paese ove abita. Osservo nonpertanto
che
vi si trova espresso con passione e felicità ciò
ervo nonpertanto che vi si trova espresso con passione e felicità ciò
che
nell’atto IV dice Ifigenia al padre, tratto dal g
ciò che nell’atto IV dice Ifigenia al padre, tratto dal greco, e ciò
che
ella dice ancora nella conchiusione della settima
portato sulla versione della Rachele non è stato punto alterato dopo
che
seppi che Don Pedro de la Huerta, in non so quale
ulla versione della Rachele non è stato punto alterato dopo che seppi
che
Don Pedro de la Huerta, in non so quale sua opere
po che seppi che Don Pedro de la Huerta, in non so quale sua operetta
che
avea trasmessa per istamparsi a Madrid, abbia tra
i dalle inette sofistiche cicalate de’ piccioli entusiasti apologisti
che
sacrificano all’amor di partito le arti e la veri
punto alterare l’antica nostra famigliarità. Meritava tanta saviezza
che
si rilevasse con giusta lode, ed io lo tributo vo
de’ meschini apologisti, i quali interpretano per ingiuria tutto ciò
che
non è panegirico e adulazione : Gozando de la p
agedia del Bermudez (scrisse il Colomès) è per gli Spagnuoli quello
che
è in Italia la Sofonisba, ed ha le virtù di ques
le virtù di questa ed i suoi difetti. Con pace di questo letterato
che
io pregio molto ed ho conosciuto di persona nella
lla musica, e la poesia nel melodramma. [1] Tra i fenomeni letterari
che
si presentano avanti a chi vuol osservare le rivo
aliano non è il minore a mio avviso quel maraviglioso strabocchevole,
che
accoppiandosi col melodramma fin dalla sua origin
r nell’occhio agli scrittori italiani: così alcun non v’ha tra coloro
che
la storia delle lettere hanno preso a scrivere, c
n v’ha tra coloro che la storia delle lettere hanno preso a scrivere,
che
non parli delle macchine, delle decorazioni, dell
ento di gusto una nazione sì colta sene sia compiacciuta a tal segno,
che
abbia nel teatro antiposta la mostruosità alla de
ica, o se tutto debba ripetersi dalle circostanze de’ tempi, ecco ciò
che
niun autore italiano ha finora preso ad investiga
ciò che niun autore italiano ha finora preso ad investigare, e quello
che
mi veggo in necessità di dover eseguire a continu
r illustrazione del mio argomento. [2] Sebbene sia fuor d’ogni dubbio
che
fra le potenze interne dell’uomo alcuna vene ha p
nterne dell’uomo alcuna vene ha portata naturalmente verso il vero, e
che
in esso unicamente riposi non potendo abbracciar
ar il falso quando è conosciuto per tale; è fuor di dubbio parimenti,
che
fra esse potenze medesime alcun’altra si ritrova,
eali da lei creati, e si compiace de’ suoi errori più forse di quello
che
farebbe della verità stessa. La prima di esse fac
li occhi la più leggiadra esperienza di fisica, egli non istarà molto
che
s’annoierà, e palesaravvi colla sua inattenzione
ell’ippogrifo d’Astolfo, della rete di Caligorante o tali altre cose,
che
per folle e menzogne si tengono da tutti, e da lu
no l’uman commercio mesti in apparenza e pensosi: e’ vi risponderanno
che
ciò si fa da loro per poter liberamente badare ag
nazione, a quei soavi e cari prestigi, a quelle illusioni dolcissime,
che
gli ricompensano dalle torture della verità trist
tà trista spesse fiate e dolorosa. Se si consulta la storia, vedrasi,
che
le bizzarre invenzioni della poesia hanno dall’In
umano delirio, piacquero più assai alla immaginazione attiva e vivace
che
non le severe dimostrazioni cavate da quelle faco
iva e vivace che non le severe dimostrazioni cavate da quelle facoltà
che
hanno per oggetto la ricerca del vero. E la natur
dell’universo fatte da immaginarie intelligenze le furono più a grado
che
non il costante e regolar tenore delle cose creat
, e nemmeno del mio debole ingegno il diffondermi circa un argomento,
che
richiederebbe più tempo, e penna più maestrevole.
E non potendo rinvenire per mancanza di quella intellettuale attività
che
fa vedere la concatenazione delle cause coi loro
oncatenazione delle cause coi loro effetti, le occulte fisiche forze,
che
facevano scorrere quel fiume, vegetar quella pian
ersasse le acque, e una Napea ascosa dentro alla scorza degli alberi,
che
il nutritivo umor sospingendo verso l’estremità,
rgomento di superstizione a’ creduli mortali, e larga messe a’ poeti,
che
s’approfittarono, affine di soggiogare l’immagina
finzioni medesime e a compiacersene. Le credette, perché un sistema,
che
spiegava materialmente i fenomeni della natura, e
ll’uman cuore, vi trovava per entro il suo conto. Siccome supponevasi
che
quella folla di deità si mischiasse negli affari
destrezza, ma bensì il maligno talento di quello invisibile spirito,
che
perseguitavalo occultamente. Non erano, secondo i
lcuni Iddi contro la famiglia di Laomedonte. Non erano i Greci coloro
che
nell’orribil notte dell’incendio portavano scorre
ndio portavano scorrendo per ogni dove la strage: era la dea Giunone,
che
minacciosa e terribile appiccava con una fiaccola
fiaccola in mano il fuoco alle porte Scee; era l’implacabil Nettuno,
che
scuotendo col tridente le mura, le faceva dai fon
ogno al celebre conquistatore offerendogli le chiavi della città. Dal
che
si vede che gli uomini si dilettano del maravigli
bre conquistatore offerendogli le chiavi della città. Dal che si vede
che
gli uomini si dilettano del maraviglioso mossi da
li uomini si dilettano del maraviglioso mossi dal medesimo principio,
che
gli spinge a crearsi in mente quegl’idoli imagina
è, maggiormente illusione a se stessi. [6] Un altro fonte del piacere
che
recan le favole si è l’istinto che ci porta a cer
si. [6] Un altro fonte del piacere che recan le favole si è l’istinto
che
ci porta a cercar la nostra felicità. Dotati da u
nostra felicità. Dotati da una parte di facoltà moltiplici sì interne
che
esterne, e dall’altra collocati in circostanze, o
rotti piaceri della loro vita, gli uomini non hanno altro supplemento
che
il desiderio vivo d’esser felici, e l’imaginazion
ro supplemento che il desiderio vivo d’esser felici, e l’imaginazione
che
si finge i mezzi di divenirlo. Però, accumulando
nge i mezzi di divenirlo. Però, accumulando col pensiero tutti i beni
che
a ciascun senso appartengono, e il numero loro e
alberi dell’Esperidi, onde poma d’oro pendevano, e gli eterni zeffiri
che
leggiermente scherzavano tra le fiondi dei mirti
e fiondi dei mirti nelle campagne di Cipro, e i rivi di latte e miele
che
scorrevano nelle Isole fortunate, e i dilettosi b
ini d’Armida, e il voluttuoso cinto di Venere, e l’immortali donzelle
che
il sagace Maometto destinò ai piaceri de’ suoi fe
, essendo di capacità indefinita, non trova alcun oggetto individuale
che
a pieno il soddisfaccia, onde nasce il desiderio
nge a variare le sue modificazioni per discoprire tutte le relazioni,
che
hanno le cose con esso lui, o per qualche altra c
se con esso lui, o per qualche altra causa a noi sconosciuta, certo è
che
l’uomo è naturalmente curioso. La quale facoltà d
naturalmente curioso. La quale facoltà diviene in lui così dominante
che
qualora gli manchino oggetti reali su cui esercit
orno a cui non osiamo pensare se non se pieni di quel terrore sublime
che
ispira la divinità, ciò sorprende gli animi consa
Quando l’immaginazione a scioglier il nodo altre vie non sa rinvenire
che
le ordinarie, l’invenzione non può a meno di non
co dalle perigliose dolcezze dell’isola di Calipso, vi voleva Minerva
che
dall’alto d’uno scoglio sospingendolo in mare cav
ia alla poesia quanto l’anima al corpo, all’opposito d’alcuni moderni
che
, volendo tutte le belle arti al preteso vero d’un
i molto né dell’una né dell’altra65. [8] Indicati i fonti del diletto
che
nasce dal maraviglioso, avviciniamci al nostro ar
igine storica in quanto ha relazione col melodramma. Il meraviglioso,
che
in questo s’introdusse nel secolo scorso, fu di d
unto fermarsi intorno all’origine della prima, essendo noto ad ognuno
che
nacque dalla mal intesa imitazione de’ poeti grec
della natura ne’ paesi più vicini al polo per lo più coperti di neve,
che
ora si solleva in montagne altissime, ora s’apre
issime, ora s’apre in abissi profondi; i frequenti impetuosi volcani,
che
fra perpetui ghiacci veggonsi con mirabil contras
’alberi folti e grandissimi credute dagli abitanti antiche egualmente
che
il mondo; venti fierissimi venuti da mari sempre
i cardini della terra; lunghe e profonde caverne e laghi vastissimi,
che
tagliano inegualmente la superficie dei campi; i
hissime, e quasi perpetue; tutte insomma le circostanze per un non so
che
di straordinario e di terribile che nell’animo im
omma le circostanze per un non so che di straordinario e di terribile
che
nell’animo imprimono, e per la maggior ottusità d
rribile che nell’animo imprimono, e per la maggior ottusità d’ingegno
che
suppongono negli abitanti a motivo di non potervi
aggi di quella gente chiamati nella loro lingua “Runers”, o “Rimers”,
che
riunivano i titoli di posti, d’indovini, di sacer
presto inventarono, o almea promossero, quella sorte di maraviglioso
che
parve loro più conducente ad eccitare in proprio
le battaglie, di struggitore e d’incendiario. I sagrifizi più graditi
che
gli si offerivano erano l’anime degli uomini ucci
rivano erano l’anime degli uomini uccisi in battaglia, come il premio
che
si riserbava nell’altra vita ai più prodi campion
ue una religione falsa e brutale consulta piuttosto i sensi dell’uomo
che
la ragione. Così nemmeno fra le delizie sapevano
meno fra le delizie sapevano dimenticarsi della loro fierezza. Sembra
che
Oddino altro divisamento non avesse fuorché quell
navi era uno spirito, il quale si compiaceva di strangolar le persone
che
per disgrazia cadevano nell’acqua. Mara era un al
r le persone che per disgrazia cadevano nell’acqua. Mara era un altro
che
gettavasi sopra coloro che riposavano tranquillam
zia cadevano nell’acqua. Mara era un altro che gettavasi sopra coloro
che
riposavano tranquillamente sul letto, e levava lo
avano tanto necessario istillar negli animi teneri siffatte opinioni,
che
fra gl’impieghi che cercavano i Septi, ovvero sia
io istillar negli animi teneri siffatte opinioni, che fra gl’impieghi
che
cercavano i Septi, ovvero sia i principiali tra l
opoli aveano bisogno di mediatori per placarli. Egli è ben credibile,
che
i mentovati indovini o sacerdoti non lascierebber
ri agli altri nella scienza e nella possanza, ritrovando una tal arte
che
supponesse una segreta comunicazione tra il mondo
guarir ogni sosta di malattie e render gli uomini invulnerabili, del
che
non pochi fra loro vantavansi d’aver fatto in se
andinavia i deliri della idolatria, e con essi la potenza dei Rymers,
che
ne erano il principale sostegno. Ma siccome tropp
tro d’assassini e di furti, di scorrerie e di saccheggi. Tra le prede
che
più avidamente cercavansi, eran le donne, come og
ercavansi, eran le donne, come oggetti fatti dal cielo per piacere, e
che
in tutti i secoli e dappertutto furono la cagion
Quindi per la ragion de’ contrari non men valevole nelle cose morali
che
nelle fisiche, nacque la custodia più gelosa di l
d’onore cavalleresco nel diffenderle, sì per quell’intimo sentimento
che
ci porta a proteggere la debole ed oppressa innoc
starsi maggiormente grazia nel cuor delle belle riconquistate: grazia
che
tanto più dovea esser cara quanto più ritrosa e d
tempi ricevuta dalle leggi l’appellazione per via di duello, le dame,
che
non potevano venir a personale tenzone, combattev
quando niun campione prendeva la loro difesa. Era perciò ben naturale
che
queste consapevoli a se medesime della propria fi
ortissime, l’eroismo d’affetti e di pensieri, d’immaginare e d’agire,
che
noi per disonor nostro mettiamo al presente in ri
gire, che noi per disonor nostro mettiamo al presente in ridicolo, ma
che
pur vedevasi allora accoppiato colla bellezza nel
alieri. [14] Dalla osservazione di siffatti avvenimenti, e dalla voga
che
avea preso nel popolo quel maraviglioso tramandat
enerale dell’uomo, e a disingannarsi della vana e ridicola preferenza
che
gli interessati scrittori danno ai costumi delle
gli interessati scrittori danno ai costumi delle nazioni e de’ secoli
che
essi chiamano illuminati, sopra quei delle nazion
i che essi chiamano illuminati, sopra quei delle nazioni e de’ secoli
che
chiamano barbari66, [15] Alle accennate cause del
nutil cosa fu sempre ogni filosofica speculazione, così altro non era
che
un ammasso di bizzarre cavillazioni e di fantasìe
del Boiardo, del Berni, dell’Ariosto, e dietro a loro anche il Tasso,
che
non piccola parte introdusse negli episodi, e il
il Marini, e il Fortiguerra con altri. Particolari cagioni fecero sì
che
tanto questa spezie di maraviglioso quanto quello
anno potuto intieramente sanare. Questo vizio consiste nella distanza
che
passa tra la favella ordinaria e la poesia, e tra
per questa parte commendata moltissimo: ma il lettore avrà riflettuto
che
l’esame fatto è puramente relativo allo stato att
puramente relativo allo stato attuale delle altre lingue d’Europa, e
che
molto calerebbero di pregio la poesia e la lingua
e colle viventi si paragonasse colla poesia e la lingua de’ Greci. So
che
alcuni eruditi non si sgomentano del confronto ad
onta dell’ignoranza in cui si trovano di quella favella divina, e so
che
fra gli altri il Varchi 67 e il Quadrio 68 si son
e dalla farraginosa erudizione addormentar l’animo a segno d’asserire
che
l’esametro degli antichi era privo d’armonia para
abe. Altri disputerà quanto vuole per contrastar la loro opinione; io
che
l’attribuisco più che a mancanza d’ingegno al non
uanto vuole per contrastar la loro opinione; io che l’attribuisco più
che
a mancanza d’ingegno al non aver gli organi ben d
ben disposti a ricever le impressioni del bello, mi contento di dire
che
siffatto giudizio non si sconverrebbe alle orecch
ie di Mida, il quale trovava più grati i suoni della sampogna di Pane
che
della lira d’Apollo. [18] Chechessia di ciò, la l
lita, e col lungo uso di parlar in prosa fortificata. I poeti adunque
che
vennero dippoi, non trovando se non sintassi unif
e di dire, certi turni d’espressione e figure e inversioni inusitate,
che
allontanassero il linguaggio prosaico dal poetico
saiche, così la musica non ammetteva se non poche forme di dire poeti
che
, onde nacque un linguaggio musicale separato e di
re poeti che, onde nacque un linguaggio musicale separato e distinto,
che
non potea trasferirsi a’ comuni parlari. Fu non p
ordace debbono sminuire il pregio d’aver veduto chiaro in molte cose,
che
di quarantaquattromila e più voci radicali che fo
chiaro in molte cose, che di quarantaquattromila e più voci radicali
che
formano la lingua italiana, solo sei o settemila
l’altra parte questa rinata come la lingua più per caso o per usanza,
che
per meditato disegno d’unirsi alla poesia, crebbe
alla melodia. Il qual imbarazzo tanto dovette esser più grande quanto
che
la natura di esso accoppiamento esigeva, che. la
esser più grande quanto che la natura di esso accoppiamento esigeva,
che
. la musica e la poesia si prendessero per un unic
sero per un unico e spio linguaggio. [19] Cotali difficoltà fecero sì
che
il popolo, non vedendo alcuna relazione tra la fa
edendo alcuna relazione tra la favella ordinaria e la musicale, stimò
che
quest’ultima fosse un linguaggio illusorio, che p
e la musicale, stimò che quest’ultima fosse un linguaggio illusorio,
che
poco avesse del naturale, destinato unicamente a
mente a piacere ai sensi. Però di nulla altro ebber pensiero i musici
che
di dilettarli, ora accumulando suoni a suoni e st
i altri sensi affinchè riempissero colla loro illusione quel divario,
che
pur durava tra le due facoltà sorelle. Ed ecco il
tro continuò a comparire unita alle farse, agl’intermezzi ed ai cori,
che
con grande apparato esponevansi agli occhi. Noi a
i, che con grande apparato esponevansi agli occhi. Noi abbiamo veduto
che
non fu se non assai tardi che s’incominciarono a
onevansi agli occhi. Noi abbiamo veduto che non fu se non assai tardi
che
s’incominciarono a intavolar le melodie ad una vo
e s’incominciarono a intavolar le melodie ad una voce sola, le uniche
che
potevano contribuire a dirozzare la musica e a fa
poesia. E basta esaminar i pezzi di musica corica, ovvero a più voci,
che
ne rimangono de’ cinquecentisti per veder quanto
ze, non valsero a sradicare in ogni sua parte i difetti della musica,
che
troppo alte aveano gettate le radici, né poterono
e di essa colla poesia quell’aria di verosimiglianza e di naturalezza
che
avea presso a’ Greci acquistata, dove la relazion
roi e l’eroine. Perciò gl’inventori s’avvisarono di slontanare il più
che
si potesse l’azione dalle circostanze dello spett
maraviglioso nel melodramma. [21] In appresso la musica, per le cause
che
si esporranno nel capitolo ottavo, rimase nella s
a filosofia: «È insorta (dic’egli) fra noi una setta di persone dure,
che
si chiamano solide, di spiriti malinconici dicent
ono privi d’imaginazione, d’uomini letterati, e nemici delle Lettere,
che
vorrebbero mandar in esiglio la bell’antichità, e
rogresso della morale pubblica in que’ tempi, e ne’ nostri basta, non
che
altro, gettar uno sguardo sui romanzi morali dei
folla di romanzi francesi, frutto della dissolutezza e dell’empietà,
che
fanno egualmente il vituperio di chi gli legge, e
i gli legge, e di chi gli scrive: parlo soltanto dei due più celebri,
che
abbia l’Europa moderna, cioè la Clarice, e la Nov
cognizione del cuore umano, ma rispetto ai costumi qual è il frutto,
che
se ne ricava? Volendo Richardson far il vero ritr
l’Amante di Clarice un mostro di perfìdia tanto più pericoloso quanto
che
si suppone fornito di gran penetrazione di spirit
rnito di gran penetrazione di spirito, e d’altre qualità abbaglianti,
che
fanno quasi obbliare le sue detestabili scellerag
e, e lo sfortunio dalla banda della innocente. Tutto il romanzo non è
che
una scuola, dove gli uomini di mondo possono impa
ar le fanciulle ben educate. Così ho trovati non pochi fra i lettori,
che
invidino il talento e la sagacità di Lovelace: po
a i lettori, che invidino il talento e la sagacità di Lovelace: pochi
che
si prendano un vivo interesse per la virtù di Cla
l ne è la cagione? Che in oggi lo spirito si preferisce all’onestà, e
che
la virtù delle donne vien riputata scioccaggine o
a introdotto nella Novella Eloisa alcun carattere malvagio. Ma da ciò
che
ne è provenuto? Che i suoi personaggi altrettanto
do il suo romanzo, abbia avuto in vista piuttosto il mondo di Platone
che
il nostro. 67. [NdA] Lezione 3. della poesia. 6
presentare all’Italia un nuovo suo teatro tragico meglio congegnato,
che
esige nuove e più vantaggiose osservazioni. Nel d
e osservazioni. Nel darne conto non abbiamo stimato di supprimere ciò
che
già si è di sopra riferito sulle prime sue tragic
i scorgonsi certamente varj lampi d’ingegno. Ora dunque esporremo ciò
che
egli non ben contento de’ primi saggi e conscio d
r mano l’Adelinda, e adattandola al nuovo suo sistema ebbe il piacere
che
si rappresentasse con molto applauso nell’agosto
ltare il contrasto de’ caratteri, e corrisponde a i passi dell’azione
che
con calore si accelera verso lo scioglimento, in
adre e di sposo, non a torto vorrebbesi nella prima scena del II atto
che
si vedesser meglio le interne battaglie de’ suoi
i teneri affetti coll’amore della libertà e della patria. L’autore fa
che
Romeo sia in un dubbio politico, non parendogli G
ezze di Romeo dovrebbero prender l’origine nelle sue private passioni
che
urtano co’ doveri di cittadino. Non per tanto l’a
rdono in prò della sua rivale. Imperocchè l’energia del suo carattere
che
non mai si smentisce, le sue furie gelose sommame
tere che non mai si smentisce, le sue furie gelose sommamente attive,
che
cagionano il mortal pericolo del marito, la forte
tragedia inglese in mezzo ad alcune nojosità presenta varie bellezze
che
avrebbero potuto entrare nella scena di Uberto e
trovarsi Uberto così malconcio da’ tormenti, e del moto della favola
che
corre al fine; ora una scena diffusa calcata su q
se ne disbriga, e come Uberto mostra la sua indignazione avendo udito
che
Romeo ha palesati i congiurati: Uber. Lascia
ltri; Ne arrossirei: lieto a’ miei ferri io torno. Rom. Ah Romeo,
che
ti resta? . . Infamia e amore. I passi poi che
no. Rom. Ah Romeo, che ti resta? . . Infamia e amore. I passi poi
che
a me pajono più notabili in tal componimento, son
tra Gualtieri e Romeo si rende pregevole sì per la parlata di Romeo,
che
candidamente esprime i sentimenti del suo cuore a
rmenti, Agonie della morte . . . Rom. Agonie della morte . . . Ah
che
di quelli E’ più barbaro assai l’amor di padre,
La quarta del IV tra Adelinda e Romeo si ammira per la rivoluzione
che
cagiona nell’animo di Adelinda senza veruno sforz
che cagiona nell’animo di Adelinda senza veruno sforzo l’assicurarsi
che
Romeo non ama Gismonda. Adelinda tuttochè piena d
da. Adelinda tuttochè piena di gelosia e di amore estremo pel marito,
che
forma la tinta imperiosa del suo carattere, vuol
a imperiosa del suo carattere, vuol salvarlo ad ogni modo; e credendo
che
non la salvezza della moltitudine de’ ribelli, ma
iù, vieni al mio seno. Adelinda disingannata e piena di gioja crede
che
Romeo voglia palesare i congiurati a prezzo della
za di lui la fa cadere nel più profondo abbattimento, al considerare,
che
ella, lui fedele, non se ne può disgiungere, e ch
o, al considerare, che ella, lui fedele, non se ne può disgiungere, e
che
egli fermo nel proposito di tacere rimane esposto
rir con costanza la loro divisione, e i fervidi scongiuri di Adelinda
che
gli si prostra per ottener che ceda, danno a ques
one, e i fervidi scongiuri di Adelinda che gli si prostra per ottener
che
ceda, danno a questa scena molta vivacità; la qua
vivacità; la quale all’arrivo di Erardo loro figlio aumenta a segno,
che
Romeo intenerito più non resiste, e palesa quanto
Gualtieri di appigliarsi alla clemenza, coll’incertezza del tiranno,
che
per non perder la figlia quasi è disposto a conce
da altri anche in Francia1, spinse il conte Pepoli a ritoccare la sua
che
avea prodotta in Napoli e in Venezia. I miglioram
i Carlo e Isabella vi sono ottimamente espressi. Per lo scioglimento,
che
che ne abbia detto il Cesarotti, non tutti sono d
rlo e Isabella vi sono ottimamente espressi. Per lo scioglimento, che
che
ne abbia detto il Cesarotti, non tutti sono del s
non solo pel genere di morte, ma perchè non dee parer bene in teatro
che
la punizione de’ due amanti resti giustificata in
i resti giustificata insieme colla gelosia del re dalla loro colpa, e
che
muojano abbracciati Isabella moglie di Filippo e
agico del Pepoli è l’Agamennone, la quale per compiacenza dell’autore
che
me la rimise, lessi inedita nel 1791, e si è poi
ripeterò quanto allora osservai su questa del conte Pepoli. Dirò solo
che
(oltre dell’azione ben congegnata conforme al nuo
orta il genere, e nulla stentato, duro, o contorto) merita di notarsi
che
di tutte le Clitennestre da me lette, questa del
sull’ammazzamento di Agamennone. Non son molto contento, a dir vero,
che
alcun moderno abbia voluto rendere interessante e
in certo modo partecipe della pubblica compassione un’ empia adultera
che
di propria mano trucida un gran re suo marito ed
sì malvagia donna. La compassione dee tutta eccitarsi pel gran marito
che
pieno di sincera tenerezza per la moglie arriva n
si prefisse il Pepoli. Agamennone è un personaggio veramente tragico
che
chiama l’attenzione e la pietà verso di se, e Cli
perfida, la quale avendo nutrito un odio inveterato contro di lui da
che
Ifigenia fu sacrificata in Aulide, l’accoglie, e
i questo secolo, indi altre italiane rimaste inedite, ed alcune altre
che
i proprj autori hanno voluto imprimere. Di fatti
iorentino Sebastiano Lorenzini e da Orsola Maria Neri bolognese. Egli
che
insegnò col suo esempio l’arte di congiungere fel
cora in latino i melodrammi del cardinale Ottoboni. Il chiar. Fabroni
che
ne scrisse la vita, di tali componimenti afferma,
iovani a rappresentar in latino le commedie di Plauto, e di Terenzio,
che
si ascoltarono con indicibile applauso, e con un
perchè que’ giovani attori erano stati da lui così bene ammaestrati,
che
anche coloro che non aveano famigliarità con quel
ani attori erano stati da lui così bene ammaestrati, che anche coloro
che
non aveano famigliarità con quell’idioma, intende
i dal cavaliere Gaspare Mollo fecondo improvvisatore. Sappiamo ancora
che
su gli ultimi mesi del 1796 si stava occupando de
e Sicilie nel Regno di Ferdinando IV. Sopra tutte le tragedie inedite
che
io conosco, è desiderabile che vengano alla luce
do IV. Sopra tutte le tragedie inedite che io conosco, è desiderabile
che
vengano alla luce quelle che è andato componendo
e inedite che io conosco, è desiderabile che vengano alla luce quelle
che
è andato componendo il molte volte meritamente ap
dito ab. Placido Bordoni veneziano. La sua nota erudizione, lo studio
che
ha fatto del cuore umano, la sua sensibilità, il
nna tanto esercitata, le raccomandano al pubblico, e fanno desiderare
che
si producano. Il breve viaggio fatto in Napoli da
ie, e di ottenerne copia. Il pubblico italiano mi saprà qualche grado
che
io gliene avanzi alcuna notizia. L’autor filosofo
li ha suggerito per la prima tragedia intitolata Ormesinda un’ azione
che
risale all’anno 1244. Dallo storico Mariana si sa
inda un’ azione che risale all’anno 1244. Dallo storico Mariana si sa
che
Martos castello in Andalusia fu difeso verso il 1
itare, dal Barbosa, dal Caramuele, dall’Heliot, dal Wion si sa ancora
che
i Cavalieri ad esso ascritti non solo si destinav
on potessero altrimenti eseguir l’opera del redimerne. Si sa eziandio
che
i professi facevano pure voti di povertà, castità
nditrice della fortezza di Martos prigioniera in Fez dal re Albumasar
che
le salvò la vita e ne restò innamorato e ne ambis
, e le offre il suo scettro. Osta al suo amore la fede e la tenerezza
che
Ormesinda serba a Consalvo già destinatole sposo
Fez per riscattare gli schiavi. Alfonso vi trova Ormesinda viva, teme
che
veduta da Consalvo possa egli vacillare ad onta d
e con Ormesinda, e solo chiede in compenso di sapere il nome di colui
che
le fu destinato sposo. Alfonso l’assicura che è p
sapere il nome di colui che le fu destinato sposo. Alfonso l’assicura
che
è per lei perduto, e morto, ma Albumasar lo trova
etiche situazioni, ed esercitano singolarmente la virtù di Ormesinda,
che
implora per essi la pietà del Sovrano. Intanto al
rano. Intanto alcuni nemici Affricani assalgono la sede di Albumasar,
che
va a combattergli; in procinto di restare ucciso
e ucciso è salvato da un guerriero ignoto; ne cerca contezza, e trova
che
dee la propria vita alla grata e virtuosa Ormesin
sa Ormesinda, la quale gli è condotta innanzi mortalmente ferita. Ciò
che
vuolsi principalmente notare in tal componimento,
e ferita. Ciò che vuolsi principalmente notare in tal componimento, è
che
non vi è personaggio alcuno che non sia buono, o
almente notare in tal componimento, è che non vi è personaggio alcuno
che
non sia buono, o non adempia i proprj doveri, e l
uno che non sia buono, o non adempia i proprj doveri, e la differenza
che
vi si scorge è la graduazione della virtù, la qua
enti scene mi sembrano le più teatrali. I la quarta del II di Alfonso
che
trova viva la figlia, e le fa sapere che più non
la quarta del II di Alfonso che trova viva la figlia, e le fa sapere
che
più non può esser suo Consalvo, perchè tra essi
rtù di lei, e l’amor di Consalvo; e sopravvenendo nella sesta Alfonso
che
gli riprende, e vuole che Consalvo si allontani,
nsalvo; e sopravvenendo nella sesta Alfonso che gli riprende, e vuole
che
Consalvo si allontani, alternando rimproveri, pre
Alfonso, si presenta ad Albumasar, il quale si maraviglia di Alfonso,
che
vuol lasciare in Affrica Ormesinda per un arcano
glia di Alfonso, che vuol lasciare in Affrica Ormesinda per un arcano
che
non vuol rivelare, e di Consalvo, che vuol rimane
Affrica Ormesinda per un arcano che non vuol rivelare, e di Consalvo,
che
vuol rimaner prigione, finchè l’altro non abbia c
ro non abbia condotti via gli schiavi. Egli stanco di soffrire ordina
che
s’incatenino. Arriva Ormesinda che prega perchè s
vi. Egli stanco di soffrire ordina che s’incatenino. Arriva Ormesinda
che
prega perchè sieno liberati, e vuole ella stessa
e ella stessa rimaner prigioniera: Albumasar minaccia tutti, e impone
che
si chiudano in carcere. Ormesinda altro non poten
impone che si chiudano in carcere. Ormesinda altro non potendo palesa
che
Alfonso è suo pae che l’altro è il suo sfortunato
in carcere. Ormesinda altro non potendo palesa che Alfonso è suo pae
che
l’altro è il suo sfortunato amante. Albumasar irr
reghiere, rimane sospeso. IV la terza del V, in cui Albumasar intende
che
chi gli ha salvata la vita è Ormesinda, ed ammira
ende che chi gli ha salvata la vita è Ormesinda, ed ammira i prodigii
che
opera in petto de’ Cristiani la Religione. V l’ul
e ne vegga lo squarcio seguente per saggio dello stile e del patetico
che
serpeggia in questa favola: Orm. Padre amato, t
serpeggia in questa favola: Orm. Padre amato, ti lascio . . . ed or
che
il cielo Pietoso a’ miei lunghi sospir concesse
rtù coroni La sorte amica, e i giorni tuoi men foschi Risplendano
che
i miei . . . . Tu poi, Consalvo, Che il ciel m’
la fe, de la gloria . . . ama in mio padre La figlia estinta, e più
che
i nostri amori Miseri e sfortunati, un dì le no
innocenti e sterminati solo per la rapacità del nomato re di Francia
che
aspirava alle loro immense ricchezze, dai Concili
quadri tragici e di patetiche situazioni alzata su di grandi passioni
che
urtansi con doveri grandi. Anagilda figlia di Ram
. Anagilda figlia di Ramiro maestro de’ Templarj ama Enrico di Abarca
che
d’ordine sovrano dovè allontanarsi per guerreggia
soccorsi da Fernando di Ricla, lo destina sposo della figlia; ed ella
che
vede in Fernando un grande appoggio del suo parti
ta. Enrico come ambasciadore viene a far le sue proposte di concordia
che
sono rigettate; indi terminata l’ambasciata in se
terminata l’ambasciata in sensi amichevoli manifesta a Ramiro l’amore
che
ha per sua figlia, ed egli mostra rincrescimento
on esser più in tempo di gradire i suoi sentimenti. Ode in quel punto
che
Fernando è prigioniero, si agita, si volge ad Enr
quel punto che Fernando è prigioniero, si agita, si volge ad Enrico,
che
promette di salvarlo, e parte. Fernando è liberat
lda già sposa di un altro? Qual colpo! qual fulmine per lei! Fernando
che
sorviene, racconta in qual guisa fu liberato, e c
a maraviglia trova Anagilda immersa nel più gran dolore. Torna Enrico
che
ha saputo esser Ramiro il padre di Anagilda, e tr
icolo imminente, e si getta a’ suoi piedi. Arriva il generale Rodrigo
che
di ciò lo rimprovera; e la sua venuta mostra l’es
ndicheremo alquanti. Notabile nell’atto II è la scena terza di Enrico
che
come ambasciadore rileva i delitti apposti a i Te
come ambasciadore rileva i delitti apposti a i Templarj, e di Ramiro
che
mostra la falsità delle imputazioni, e la loro in
oni, e la loro innocenza e virtù con un’ aringa degna della sublimità
che
si scorge nelle scene politiche di P. Cornelio. N
I rendonsi pregevoli la seconda e terza, nella quale Anagilda intende
che
Enrico è in Morviedro, ed ha liberato Fernando: l
, dove Anagilda palesa al suo amante di essere già sposa di un altro,
che
non isdegnerebbe riconoscer per sua l’istesso Rac
a? Io figlia di Ramiro, e di Fernando Sposa con te venir, con te,
che
sei L’amante d’Anagilda, ed il nemico Di Rami
cena ultima, in cui spira Anagilda e Fernando: Ana. Già sento . . .
che
la vista, oh Dio . . . mi manca. Ahi che pena .
do: Ana. Già sento . . . che la vista, oh Dio . . . mi manca. Ahi
che
pena . . . che orror . . . vedermi al fine Dent
sento . . . che la vista, oh Dio . . . mi manca. Ahi che pena . . .
che
orror . . . vedermi al fine Dentro il campo nem
. . . Anagilda la mano . . . ecco la mia . . . Tragedie impresse
che
io non ho veduto ancora, sono le seguenti: il Cer
e impresse che io non ho veduto ancora, sono le seguenti: il Cerauno,
che
, secondo il conte Pepoli, imita un po troppo la c
ppo la celebre Olimpia col semplice cambiamento de’ nomi; l’Agrippina
che
l’istesso illustre letterato chiama lirica e fero
na che l’istesso illustre letterato chiama lirica e feroce: Don Carlo
che
sento essere stato impresso in questi ultimi anni
critto in affettata prosa mista a frequenti involontarj versi; dramma
che
rassembra una musicale opera informe per la molti
combattimenti decisivi seguiti in mare e in terra, e di altre azioni
che
passano in luoghi differenti &c. &c. Coll
dino tragedia senza nome di autore. Se si attenda ai tratti pungenti,
che
vi si spargono insipidamente contro di Roma e del
velenosi suoi disegni. Beatrice moglie di Carlo, carattere insipido,
che
sedendo sul trono napoletano, al sentire che la m
rlo, carattere insipido, che sedendo sul trono napoletano, al sentire
che
la misera madre di Corradino armata di lagrime e
, ingombra di sospetti mal fondati paventa di perdere il regno, quasi
che
l’infelice si appressasse alla testa di un eserci
prigioniero. Ella dice (scena 3 del II atto): Dunque indarno sperai
che
alle superbe Germane un dì pari sedessi anch’io
invano? non è ella già regina? Ah pera Tutto con me, prima
che
a tal ridotta Di novo io sia condizion privata.
ltri stati di Francia con Carlo fratello del santo re Luigi? Ignorava
che
nata com’ era di real sangue e dominando nella Pr
nella Provenza, la sua condizione era pur di sovrana, e tutto quello
che
conseguì col regno di Napoli fu un dominio assai
nza e nobiltà, ma soltanto avido usurpatore infingevole con bassezza,
che
scende alla viltà delle insidie. Vestito delle pi
li esigono cambiamenti o moderazioni, altro non è permesso al buon re
che
ciecamente eseguirle, dovesse anche soffrirne lo
oco si confà col suo valor maschile e coll’aspetto della vicina morte
che
l’attende. E che produce quel sogno? qual nuovo m
suo valor maschile e coll’aspetto della vicina morte che l’attende. E
che
produce quel sogno? qual nuovo movimento ne risul
nizzata, più tendente al fine, meno carica di freddi riposi episodici
che
la rallentano. Si vede talvolta il teatro lasciat
nella quarta Beatrice. Mancano nello stile quei tratti vivi e potenti
che
chiamansi colori dell’opera; il dialogo non ha na
anno del prosaico, la locuzione manca di purezza e di proprietà1. Ciò
che
unicamente può lodarvisi è l’esservi introdotta l
ed il colpo di scena dell’incontro inaspettato di lei col figliuolo,
che
potrebbe far qualche effetto in teatro, se questa
meriterebbe lode l’autore per essere sinora stato il primo e l’ultimo
che
abbia schivato l’avvilire e imporcare il fine lag
rlare delle tre tragedie stampate di un regnicolo di Brienza, sapendo
che
l’autore si occupava in ammonticare alcune sue ri
e tre sue tragedie, e sebbene ne tesseremo analisi non saranno quelle
che
distesi nel 1795, ma più succinte, così consiglia
nza data verso il 1780 (insieme con una sua orazione latina ad Orlow)
che
non comparve sulle scene. Facciasi ragione al ver
idata sul cassaro della nave, e l’appiccò al fatto della sua Tunisina
che
precede la rappresentazione. Il di più è un roman
di Granata, e la confidente va tratto tratto interrompendola dicendo,
che
seguì d’appresso? (e dir voleva che seguì di poi)
o tratto interrompendola dicendo, che seguì d’appresso? (e dir voleva
che
seguì di poi). Gerbino suo amante venne a combatt
leva che seguì di poi). Gerbino suo amante venne a combattere i legni
che
la conducevano, e gli distrusse; ma i Granatini t
; ma i Granatini trasserla a forza sul palischermo a Granata, intanto
che
altri di loro trucidano una donna coperta del suo
rucidano una donna coperta del suo manto reale sugli occhi di Gerbino
che
lei credendola lanciossi in mare. Ma Erbele che c
ugli occhi di Gerbino che lei credendola lanciossi in mare. Ma Erbele
che
ciò riferisce, come il seppe? come il vide? un ud
ardie reali, e di tutto egli favella alla loro presenza, sicuro forse
che
essi o non sentiranno, o non parleranno di ciò ch
enza, sicuro forse che essi o non sentiranno, o non parleranno di ciò
che
si dice. Egli per farsi conoscere agli spettatori
nomina se stesso, appunto come si fa ne’ drammi cinesi. Si lagna indi
che
vedrà Erbele nelle braccia del rivale; ma come ci
come ciò teme, se la vide uccidere sulla nave? e se in seguito seppe
che
era viva, perchè non farne motto? A che poi Filin
a nave? e se in seguito seppe che era viva, perchè non farne motto? A
che
poi Filinto dice che essi furono presi da un cors
to seppe che era viva, perchè non farne motto? A che poi Filinto dice
che
essi furono presi da un corsaro? Non è ciò noto a
tutto l’agio accoglie fralle sue braccia un amante ad onta del padre
che
l’ha destinata ad un altro. Viene Osmida e dice (
ltro. Viene Osmida e dice (forse alla guardia) conduci i prigionieri,
che
pur gli stanno innanzi. Sapendo che son di Sicili
a guardia) conduci i prigionieri, che pur gli stanno innanzi. Sapendo
che
son di Sicilia, domanda se son del perfido Gerbin
a se son del perfido Gerbin compagni; e perchè il chiama perfido egli
che
ignora il congresso notturno de’ due amanti in Tu
isi? Oziosa domanda, perchè essi non si direbbero mai compagni di uno
che
egli abborrisce. Non è meno oziosa l’altra domand
o che egli abborrisce. Non è meno oziosa l’altra domanda, se sia vero
che
Gerbino morì in mare, perchè o nulla ne sa chi no
a ne dirà chi fosse compagno di Gerbino. Passa ad asserire il soldano
che
egli renderà schiavi quanti Siciliani potrà; mina
egli, secondo il costume saracinesco, i suoi legni in corso, è chiaro
che
ami di far delle prede su i Siciliani, e su altri
di Erbele ed Osmida ancor più lunga. Osmida le rimprovera la memoria
che
ancor serba di Gerbino estioto. Non ci volea altr
estioto. Non ci volea altro per isnodarle la lingua. Ella gli ricorda
che
fu costretta dal padre alle nozze di lui, ma che
ua. Ella gli ricorda che fu costretta dal padre alle nozze di lui, ma
che
ella conserverà sempre il suo ardore, perchè. N
e in nobil cor la face Che amore accese, e la virtù nutrio. Passi
che
una face di amore non mal si estingue; ma ostenta
sce un certo Germondo, personaggio affatto estrinseco alla favola, ma
che
sebbene si enuncii come eroe, Normanno, e Cristia
to in guerra il re moro, nel cui regno dimora ritirato in campagna. A
che
viene? Ad implorare che i due prigionieri si teng
nel cui regno dimora ritirato in campagna. A che viene? Ad implorare
che
i due prigionieri si tengano senza catene sulla l
dursi nella reggia. Il re condiscende, e di più a scelta di Germondo,
che
ciò non richiede, concede ad uno di essi la liber
partito il re con Germondo, ma per non lasciar vota la scena, attende
che
esca Erbele, e poi parte. Ella è venuta fuori per
esca Erbele, e poi parte. Ella è venuta fuori per attendere Zelinda,
che
pur sarebbe andata nel di lei appartamento. Viene
fidente a darle notizia de’ due prigionieri, ed Erbele al sentire ciò
che
narra di Gerbino, dice Questa è l’età di che fi
Erbele al sentire ciò che narra di Gerbino, dice Questa è l’età di
che
fiorìa Gerbino. Entra Gerbino, erbele sviene, Ze
veglierò frattanto Per darle in tempo, se verrà l’avviso, Mentre
che
il freno a’ dolci affetti scioglie. Darle a chi
a avrebbe detto darti, non a Gerbino, perchè non è femmina. Verrà par
che
si rapporti al re, scioglie a Gerbino. Ecco la pr
Gerbino non domanda, come ella fosse scampata dalle mani de’ barbari
che
sotto i suoi occhi l’aveano ferita? Direi ahe il
quali le nozze sono meri contratti civili? Erra poi Gerbino nel dire
che
il suo ferro si tinse nel sangue Del Tunesin su
nesin sugli occhi tuoi trafitto, giacchè dicesi nella scena I del I
che
Gerbino assaltò de’ Granatin la flotta, e non già
irtù? Al contrario il loro amore è illecito e colpevole. Questa virtù
che
ella ostenta è l’amore; è la virtù degli eroi de’
degli eroi de’ romanzi, i quali virtuosamente rapiscono le donzelle,
che
diconsi eroine mentre si lasciano rapire. Così in
nsi eroine mentre si lasciano rapire. Così in fatti l’intende Erbele,
che
dopo i riferiti abboccamenti notturni, in cui sac
attacca tra lui e Gerbino una gara di generosità, perchè Filinto vuol
che
l’amico parta libero per la grazia ottenuta da Ge
ritorna libero alla reggia Siciliana? Atto III. Erbele ha già inteso
che
Gerbino è partito ed è in salvo, ma vuol che Zeli
II. Erbele ha già inteso che Gerbino è partito ed è in salvo, ma vuol
che
Zelinda le ridica gli ultimi suoi detti, gli ulti
detti, gli ultimi sguardi. Dimmi Zelinda, Il caro amico nel partir
che
disse? Che mai t’impose? profferì il mio nome?
via; là dove Erbele ha recenti pruove della fede di Gerbino; quindi è
che
le premure di Ermione svegliano l’attenzione, e q
svegliano l’attenzione, e quelle d’Erbele fanno svenire; e tanto più
che
Ermione domanda per la prima volta, ed Erbele ha
a prima volta, ed Erbele ha sentito più volte il racconto di Zelinda,
che
dice, Più fiate il labro mio gli estremi detti
di vederne gli sguardi, ed udirne i sospiri e le parole dette da lui
che
si volgeva alle alte mura. Nella scena 2 Osmida f
vo, e ne dà un altro. Ma perchè tanto scompiglio? Perchè certo nunzio
che
esce in campo quasi al tocco di verga magica, ha
verga magica, ha scoperta la falsa morte di Gerbino, ed il re dubita
che
possa essere il prigioniero che è partito. Ipotes
lsa morte di Gerbino, ed il re dubita che possa essere il prigioniero
che
è partito. Ipotesi e supposizioni senza risparmio
di non aver saputo i nomi de’ prigionieri, e giura Per questo crine
che
imbiancò sull’elmo; espressione che letta e udita
onieri, e giura Per questo crine che imbiancò sull’elmo; espressione
che
letta e udita in teatro produsse varj motteggi pe
ne che letta e udita in teatro produsse varj motteggi per quel crine,
che
imbiancò sopra dell’elmo, e che obbligò l’autore
rodusse varj motteggi per quel crine, che imbiancò sopra dell’elmo, e
che
obbligò l’autore a rimediare l’inavvertenza con u
ne di un soldato fuggito alla strage, racconta ad Erbele la battaglia
che
egsi ha avuta con due schiere di soldati a piedi,
i s’inseriscono l’un dopo l’altro tre paragoni, uno di leone famelico
che
rabbioso infierisce nel gregge (ch’è l’impastus c
a leo per ovilia turbans dell’epico latino) il secondo di uno scoglio
che
sostiene l’onde, Quando de’ venti un fiero turb
grande epi o, Cento colpi ribatte in un momento, Nè colpo schiva,
che
non dia percossa, Nè dà risposta, che non dia f
n momento, Nè colpo schiva, che non dia percossa, Nè dà risposta,
che
non dia ferita, Nè porta altrui ferita senza mo
re a sua posta. Erbele lo chiama Gerbino senza curarsi delle guardie,
che
per ipotesi del poeta non debbono udir nulla, ed
rzetto si nomina Gerbino senza riserba, e senza dissimulare il dolore
che
può farlo palese. Nè in questa scena il virtuoso
ò farlo palese. Nè in questa scena il virtuoso Gerbino lascia di dire
che
l’estremo suo Fiato accorrà quella leggiadra b
Federigo del Caraccio volle passar per Corradino. Ma Filinto sa forse
che
il re ignora tuttavia qual d’essi due sia Gerbino
to sa forse che il re ignora tuttavia qual d’essi due sia Gerbino? sa
che
quando Gerbino fosse un altro, il re lascerebbe i
piano senza destrezza le altrui invenzioni. Nella scena 5 esce Osmida
che
dice a Gerbino Il fuggitivo piè non ti sottrass
hè Ormusse confessa lo stesso? perchè Gerbino non si difende con dire
che
partendo ha usato del real dono? Osmida poi non p
da poi non potendo sapere chi de’ due sia Gerbino, dice Voglio
che
il vero Dall’uno e l’altro il fier tormento esp
rimere. Tralle violenze del carattere di Osmida è da porsi il comando
che
dà, che Gerbino condotto al patibolo Sugli occh
Tralle violenze del carattere di Osmida è da porsi il comando che dà,
che
Gerbino condotto al patibolo Sugli occhi dell’i
cuzione della sentenza del colpevole: Atto V. Ormusse narra ad Osmida
che
Gerbino è stato tratto al luogo del supplizio, e
narra ad Osmida che Gerbino è stato tratto al luogo del supplizio, e
che
Erbele De le sue dame in mezzo al folto cerchio
zo al folto cerchio Seguia di morte la funesta pompa; benchè paja
che
le sultane de’ Musulmani non dovessero alla manie
che. Sul punto dell’esecuzione della sentenza ecco il solito Germondo
che
giugne per domandar grazia per lui al re. Gli esp
l momento, si ferma in una osservazione intempestiva, Felice è quel
che
alla Sicilia impera, Se ben conosce la soggetta
Inutili non meno delle proposte ragioni politiche sembrano le altre
che
egli ricava dall’amore de’ due amanti, che debbon
olitiche sembrano le altre che egli ricava dall’amore de’ due amanti,
che
debbono sempre più irritare il furor geloso di Os
e debbono sempre più irritare il furor geloso di Osmida. A noi sembra
che
più acconciamente si sarebbe egli appigliato al p
re uno spirito di generosità spingendolo a concedere un nobil perdono
che
lo farebbe amare ed ammirare; ma questo colore ap
to al pari di Seleuco del Varano e di Tito del Metastasio, nel dubbio
che
non arrivi in tempo il divieto dell’esecuzione: l
d in esso conviene trattenerci alquanto. Vi si dice alla bella prima,
che
la tragedia è un’ azione pubblica, grande, intere
l’esser nazionale, s’intende, e si è mille volte detto e ripetuto; ma
che
per essenza debba esser tale per chiamarsi traged
si accorda. Ad esserne questo un requisito essenziale, ne seguirebbe,
che
per noi moderni non sieno tragedie quelle che ci
enziale, ne seguirebbe, che per noi moderni non sieno tragedie quelle
che
ci rimangono del teatro greco, non potendosi aver
ntrionali. Con simil norma non riconosceremmo per tragedie le moderne
che
vertono su’ fatti orientali o americani o affrica
anno poi tragedie pe’ Francesi, Inglesi, Spagnuoli, e Alemanni quelle
che
parlassero di Ugolino, di Giovanna I, del Piccini
o figlio di Filippo II di Spagna &c. Dicesi anche in tal discorso
che
i Greci ciò dimostrarono con esempi e con precett
recetti, e nè anche questo a me sembra vero. Trovasi forse prescritto
che
la tragedia debba essenzialmente esser nazionale
ntengano argomenti greci, e perciò ad essi nazionali, chi sosterrebbe
che
tali sempre fussero tutte le altre che a noi non
ssi nazionali, chi sosterrebbe che tali sempre fussero tutte le altre
che
a noi non giunsero? Certo è che alcune delle rima
he tali sempre fussero tutte le altre che a noi non giunsero? Certo è
che
alcune delle rimasteci esprimono fatti di popoli
Lascio poi la memoria e qualche titolo restatoci di antiche tragedie,
che
indicano azioni straniere, come i Persi e gli Egi
er non fermarci ad ogni motto di tal discorso, omettiamo diverse cose
che
vi si affermano discordi dalla verità, cioè che i
mettiamo diverse cose che vi si affermano discordi dalla verità, cioè
che
il Gerbino si accolse benignamente in teatro, e c
alla verità, cioè che il Gerbino si accolse benignamente in teatro, e
che
essa sia la prima tragedia dell’autore; altre ne
re ne omettiamo avventurate contro la storia e la buona critica, cioè
che
il Racine ed il Metastasio non hanno introdotto n
che il Racine ed il Metastasio non hanno introdotto nelle loro favole
che
amori freddi ed episodici; e che lo stile delle a
n hanno introdotto nelle loro favole che amori freddi ed episodici; e
che
lo stile delle antiche tragedie italiane, cioè di
cioè di quelle del XVI secolo, manchi di armonia. Ci fermeremo in ciò
che
si dice dell’argomento del Corradino. I si maravi
ò che si dice dell’argomento del Corradino. I si maraviglia l’autore,
che
i Francesi non l’abbiano trattato, e si applaudis
non l’abbiano trattato, e si applaudisce della propria scelta, quasi
che
fosse stato il primo a recarlo in iscena, quando
ta, quasi che fosse stato il primo a recarlo in iscena, quando è noto
che
il Caraccio se ne valse sin dal cader del passato
è noto che il Caraccio se ne valse sin dal cader del passato secolo,
che
il sig. Mollo son quindici anni in circa che ne s
ader del passato secolo, che il sig. Mollo son quindici anni in circa
che
ne scrisse un’ altra tragedia, e che l’anonimo su
Mollo son quindici anni in circa che ne scrisse un’ altra tragedia, e
che
l’anonimo surriferito ne ha pubblicata una terza.
re Carlo, la tragedia ripiena di lunghi soliloquii e di scene inutili
che
non addita, e di espressioni che si risentono del
lunghi soliloquii e di scene inutili che non addita, e di espressioni
che
si risentono dell’infelicità del secolo XVII, che
a, e di espressioni che si risentono dell’infelicità del secolo XVII,
che
abbiam veduto di non esser punto vero. III Preved
che abbiam veduto di non esser punto vero. III Prevede l’opposizione
che
gli si farà per avere deturpato il fatto di Corra
il fatto di Corradino con amori nulla interessanti. Confessa in prima
che
senza amori sarebbe stato più tragico; e perchè d
al pubblico lo spettacolo di due ore? Se così è, perchè si maraviglia
che
i Francesi non abbiano trattato un argomento inca
senza frammischiarvi episodii estrinseci e amori impertinenti? Piace
che
egli confessi di non aver saputo trattare quest’a
lfieri, dal Maffei, dal Granelli, dal Pindemonte? IV Sostiene in fine
che
l’amore che egli ha introdotto nel suo Corradino,
Maffei, dal Granelli, dal Pindemonte? IV Sostiene in fine che l’amore
che
egli ha introdotto nel suo Corradino, non è quel
mmesso da’ gran maestri nella scena. Ma questo è recare in pruova ciò
che
è in questione. Intanto egli poco innanzi ha conf
ruova ciò che è in questione. Intanto egli poco innanzi ha confessato
che
questo amore (che ora vuol chiamare dominante) è
questione. Intanto egli poco innanzi ha confessato che questo amore (
che
ora vuol chiamare dominante) è episodico, che ren
ssato che questo amore (che ora vuol chiamare dominante) è episodico,
che
rende men tragico il suo argomento, e che l’ha in
are dominante) è episodico, che rende men tragico il suo argomento, e
che
l’ha introdotto per riempiere il vuoto de’ cinque
cidere se gli amori introdotti nella sua favola abbiano le condizioni
che
gli costituiscano dominanti e degni della tragedi
orne una breve analisi, ne accenneremo il piano. L’atto I rappresenta
che
Corradino col Duca di Austria prigionieri di Carl
messi nella reggia e lasciati liberi senza esser conosciuti per altri
che
per due guerrieri, e che il re dà loro interament
iati liberi senza esser conosciuti per altri che per due guerrieri, e
che
il re dà loro interamente la libertà sulla speran
sulla speranza di allettar Corradino a fidarsi di lui. Il II dimostra
che
Corradino amante favorito di Geldippe figlia di C
e Corradino amante favorito di Geldippe figlia di Carlo viene a dirle
che
egli dee partire; che ella chiede dilazione di un
orito di Geldippe figlia di Carlo viene a dirle che egli dee partire;
che
ella chiede dilazione di un giorno; che Carlo non
a dirle che egli dee partire; che ella chiede dilazione di un giorno;
che
Carlo non vedendolo partire si maraviglia dell’in
iglia dell’indugio, e ne sospetta. Nel III si vede Corradino di notte
che
viene a prendere congedo dall’innamorata e si sco
i due viene nella medesima stanza, vede non veduto, ma non sente quel
che
dicono, e facendosi avanti, Corradino parte. Carl
avanti, Corradino parte. Carlo sospetta, minaccia, ordina alla figlia
che
chiami il guerriere, e gli parli mentre egli asco
l guerriere, e gli parli mentre egli ascolta da parte, ma le previene
che
se l’avverte di ciò, lo farà uccidere. Con tale a
scopre il loro secreto, comanda la morte di lui, e Geldippe manifesta
che
è Corradioo. L’atto IV presenta un ambasciadore d
rradioo. L’atto IV presenta un ambasciadore della madre di Corradino,
che
per la di lui libertà fa proposte di pace che son
lla madre di Corradino, che per la di lui libertà fa proposte di pace
che
son rigettate: un legato del papa che insinua a C
lui libertà fa proposte di pace che son rigettate: un legato del papa
che
insinua a Carlo di non lasciar vivo il suo nemico
papa che insinua a Carlo di non lasciar vivo il suo nemico: Corradino
che
va alla morte: il popolo che si solleva. Nel V Co
on lasciar vivo il suo nemico: Corradino che va alla morte: il popolo
che
si solleva. Nel V Corradino è decapitato, Carlo f
, Carlo fa venire il cadavere nella reggia per mostrarlo alla figlia,
che
si uccide. Questa sola esposizione succinta manif
lla figlia, che si uccide. Questa sola esposizione succinta manifesta
che
Carlo fa uccidere Corradino per assicurarsi il re
manifesta che Carlo fa uccidere Corradino per assicurarsi il regno, e
che
gli amori della figlia con lui non sono essenzial
iglia con lui non sono essenziali alla morte a cui egli è condannato:
che
lungi di aumentarsi il tragico naturale del fatto
ene offuscato, e la favola diventa un’ azione comunale di un principe
che
si occulta per amore, e che scoperto è ucciso dal
iventa un’ azione comunale di un principe che si occulta per amore, e
che
scoperto è ucciso dal padre dell’amata: che i pri
e si occulta per amore, e che scoperto è ucciso dal padre dell’amata:
che
i primi tre atti nulla o ben poco contengono che
al padre dell’amata: che i primi tre atti nulla o ben poco contengono
che
convenga allo svevo Corradino erede del reame di
engono che convenga allo svevo Corradino erede del reame di Napoli, e
che
sotto altri nomi niuno indizio darebbe di quella
ituazione tragica; or come chiamar questo un amor dominante nel senso
che
riceve dagl’intelligenti? Vediamone le particolar
ra a Corradino la dimenticanza della vendetta e del regno, e gli dice
che
miri l’ombre di Federigo II e di Manfredi che van
e del regno, e gli dice che miri l’ombre di Federigo II e di Manfredi
che
vanno per quella reggia invendicate. Aggiugne,
riglio nè pensier di regno Più ti siede sul cor ligio d’amore, il
che
vorrebbe dire che più non gli siede sul core nè p
di regno Più ti siede sul cor ligio d’amore, il che vorrebbe dire
che
più non gli siede sul core nè pensiero del suo pe
cordarsi del regno, eludendo però il fine dell’esortazione del cugino
che
era di rimuoverlo dall’amore di Geldippe. Vi è il
tuo valor negò l’iniqua sorte, complimento poco delicato; tanto più
che
ella non l’ha veduto da due giorni, e nel dirgli
o più che ella non l’ha veduto da due giorni, e nel dirgli alla prima
che
è un privato, può indicar certa esitanza o dispos
dere l’amato sole de’ tuoi begli occhi. Geldippe si discolpa con dire
che
ha dovuto schivar di vederlo, perchè vi era bacia
colpa annunziano un amor dominante lontano dal freddo episodico amore
che
questo meschino autore osa riprendere insolenteme
Geldippe con amorosi accenti non meno tragici narra in ventisei versi
che
a lui pensava, e che si ricordava quando il padre
accenti non meno tragici narra in ventisei versi che a lui pensava, e
che
si ricordava quando il padre la condusse con la c
ve poeticamente la cadente luce del sole tra verdi allori, e i colori
che
lucean negli opposti dilettosi monti. Allora, sog
dia si richiede, è almeno espresso col linguaggio della poesia lirica
che
sì poco conviene a un tragico dramma. Quindi Corr
er ben anche1; indi a Tancredi, Vieni Tancredi. Cor. Signor
che
brami? Car. Signor che brami? Vanne e quì ritor
credi, Vieni Tancredi. Cor. Signor che brami? Car. Signor
che
brami? Vanne e quì ritorna. Vieni, vanne, ritor
Vieni, vanne, ritorna, scena importante e niente inutile, come quelle
che
l’autore rimprovera al Caraccio. Nella scena 4 im
a scena 4 impazienti sono Carlo ed Ermini per parte di papa Clemente,
che
Corradino tuttavia si celi alle loro diligenze. E
e, che Corradino tuttavia si celi alle loro diligenze. Ermini afferma
che
finchè egli sia libero, la Romana Sede ognor vaci
lerà per la libertà di Corradino vinto, ramingo, privo di forze? ella
che
crollò il gran potere di Federigo II, che a tanti
mingo, privo di forze? ella che crollò il gran potere di Federigo II,
che
a tanti stati aviti accoppiava le forze dell’impe
Ermini mal sostiene la dignità della sua corte. Dice egli poi a Carlo
che
Corradino sicuramente anderà errando O nel tuo
li simili inezie, e l’idra del ribelle ardire, osserviamo seriamente,
che
se conviene talvolta a un ministro di altra corte
ne’ principi i sentimenti del proprio sovrano, non mai si permetterà
che
se ne mostri alcuno in teatro, il quale insinui d
o per la religione. Nerone, Ezzelino, un corsaro nè anche soffrirebbe
che
gli si dicesse sul viso ciò che l’empio Ermini di
lino, un corsaro nè anche soffrirebbe che gli si dicesse sul viso ciò
che
l’empio Ermini dice a Carlo: Versa il sangue ch
cesse sul viso ciò che l’empio Ermini dice a Carlo: Versa il sangue
che
vuoi. Pietà nasconda L’insidioso ferro, e al tu
taggio Servendo, fingi di servire al Cielo. Santamente crudel fia
che
rassemhri Divota ognora l’omicida destra. Cod
lo non guarda il decoro conveniente a un monarca, ma degrada la corte
che
rappresenta, esortando a una spietata ipocrisia,
dioso esempio conchiude, L’arti son queste di fondar gl’imperi. E
che
direbbe di peggio un Bulenger, o l’autore del Sis
scena 5: Per me non voglio il crine Cinger del serto altrui,
che
son del mio Stato contento. E cederei del regno
a impudente contraria al fatto, e l’ipocrita finzione, e notiamo solo
che
la gramatica vuol che si dica, cederò il regno, s
al fatto, e l’ipocrita finzione, e notiamo solo che la gramatica vuol
che
si dica, cederò il regno, se l’omaggio ei prester
ppe con la confidente Amelia, Corradino viene mesto e confuso per dir
che
dee partire, e Geldippe l’incoraggisce a parlare
pressioni onde l’amante può animarsi a tutto intraprendere. Dico solo
che
tanto cicaleccio precedente il congedo che Corrad
o intraprendere. Dico solo che tanto cicaleccio precedente il congedo
che
Corradino viene a prendere, è superfluo, famiglia
che Corradino viene a prendere, è superfluo, famigliare e comico anzi
che
tragico. Egli le dice che il re gl’impone di part
dere, è superfluo, famigliare e comico anzi che tragico. Egli le dice
che
il re gl’impone di partire dandogli la libertà. P
à. Perfido (ripiglia Geldippe) mi hai sedotta, mi hai fatto confessar
che
ti amo, per lasciarmi e per vantarti del tuo trio
arti del tuo trionfo infame e dello schernito amore di real donzilla,
che
si è donata tutta in tuo potere; tali querele pos
ono offuscare il carattere di Geldippe, e parer triviali e tutt’altre
che
di passione tragica e dominante, qual si è p. e.
i &c. Al rimprovero di lei Corradino le ripete in dieci versi ciò
che
avea detto in uno e mezzo, e Geldippe rimane pers
o fatto; ed il re gli dice, Andate pur, ci rivedrem domani. Un re
che
ha trattenuti lungo tempo i finti Ubaldo e Tancre
dotti nella reggia stessa gli ha ammessi alla sua tavola, ha permesso
che
Tancredi cavalcasse accanto alla principessa, com
che Tancredi cavalcasse accanto alla principessa, come maravigliarsi
che
si trattengano altre poche ore dove son trattati
ano altre poche ore dove son trattati amichevolmente? come sospettare
che
possano essere traditori e ministri infami della
e spregevole leggere ne’ pensieri di lui. Un legato fuori della scena
che
fosse così grossolano e puerile ne’ suoi raggiri,
ano e puerile ne’ suoi raggiri, si manifesterebbe più atto alla zappa
che
a’ maneggi di stato. Atto III. Scena I di notte.
e circostanza indispensabile egli si trova per dire all’amante quello
che
non ha stimato di dirle prima, che egli è Corradi
i trova per dire all’amante quello che non ha stimato di dirle prima,
che
egli è Corradino? Per disporla a questa lontananz
prima, che egli è Corradino? Per disporla a questa lontananza, e far
che
attenda con fiducia, non bastava palesarsi per pr
a donde nata sia tal dimestichezza di Tancredi con lei. Ella risponde
che
quel guerriere la vide in corte, e prese in costu
ostume di salutarla. Ella anzi dovea rispondere al Padre: ricordatevi
che
sinora gli avete permesso di parlarmi, di cavalca
ponde, e Carlo le dice, vanne e torna, dovendoti parlare. Ermini dice
che
senza dubbio si amano, e Carlo che egli laverà la
na, dovendoti parlare. Ermini dice che senza dubbio si amano, e Carlo
che
egli laverà la macchia coll’indegno sangue, e fa
me sospesa, per attendere Geldippe, si trattiene seco stesso pensando
che
non è bastante vendetta la morte di quel vile, e
desidera, imitando i raffinamenti de’ pensieri dell’Edipo di Seneca,
che
torni l’estinto in vita, per dargli novella morte
dargli novella morte. Viene Geldippe nella scena 4, cui Carlo impone
che
venendo Tancredi gli parli senza avvertirlo di nu
servato, e se ella mai con parole o con cenni lo rende accorto di lui
che
ascolta, lo sarà subito uccidere. Il pubblico è o
n prepararlo. Arriva Corradino, e sì chiaramente parla del suo amore,
che
Geldippe riesce infelicemente nel tentare di scam
sentimento. Carlo non potendola più soffrire si fa avanti, ed ordina
che
si ammazzi il reo. Un grandinar di colpi, dice,
ino in iscoprirsi a lei senza necessità, più inconsiderata è Geldippe
che
ne raddoppia il rischio con informarne il padre.
, Scendi dal trono, e al suo signor lo rendi. Il pubblico forza è
che
veda nel Corradino di questa tragedia minorato l’
la figlia del re, e perchè insulta con alterigia il padre, onde nasce
che
la compassione è per lui men viva. Ed ecco il bel
i men viva. Ed ecco il bell’effetto dell’imporcare con amori un fatto
che
nudamente narrato tira le lagrime della posterità
una scena inutile del duca con Geldippe, perchè nulla vi si accenna,
che
non debba ripetersi, come avviene, nella seguente
lla seconda adunque Iroldo ambasciadore della madre di Corradino dice
che
viene a trattar di pace e del riscatto di Corradi
del riscatto di Corradino. Ma Geldippe per dar motivo ad un racconto
che
arresta l’azione in vece di farla progredire, vuo
tà di un’ amante in procinto di vedere a Corradino troncato il capo!)
che
cosa gli disse la madre nel partire ch’egli fece;
delle parole di Andromaca nelle Trojane di Euripide, non riflettendo
che
se ne scemava il pregio per la diversità delle ci
è ella stessa sotto gli occhi dello spettatore ed in faccia al figlio
che
timido ed imbelle si accoglie nelle braccia di le
Euripide squarcia di pietà i cuori, perchè lo spettatore stà vedendo
che
il figliuolino le viene da’ Greci strappato dal s
no le viene da’ Greci strappato dal seno, stà ascoltando questa madre
che
dice (ci si permetta di accennarlo colla nostra t
copiando fa dire ad Elisabetta, se non un’ altra bugia, un sentimento
che
soffre eccezioni, O dolce oggetto de’ materni a
ha voluto incastrarlo nel suo racconto ozioso, tuttochè vero non sia
che
Corradino sia fuggito in braccio alla madre, Co
sia che Corradino sia fuggito in braccio alla madre, Come augellin
che
il cacciator crudele Da sotto l’ali della madre
il più curioso di questa scena episodica rubata senza vantaggio si è
che
Iroldo studiasi di muovere la pietà, quando al co
anze della vicina pace, e forse delle sue nozze. E’ poi da osservarsi
che
il duca d’Austria sino alla scena 3 è tuttavia in
ri di Elisabetta per riscatto del figlio, e Carlo gli rifiuta dicendo
che
il destino di Corradino dipende dalla decisione d
estino di Corradino dipende dalla decisione del suo Consiglio. Iroldo
che
non può ignorare che il diritto di Carlo sul regn
ipende dalla decisione del suo Consiglio. Iroldo che non può ignorare
che
il diritto di Carlo sul regno nasce tutto dall’in
Ma un ambasciadore più saggio e più sedele alle premure di una madre
che
teme per la vita del figlio, avrebbe schivato di
o di suscitar le gelosie di Carlo, restrignendosi a trattar l’ammenda
che
offre Elisabetta di cedere, per la libertà del fi
rudel spingi, e Carlo costantemente imbecille subito cangia e risolve
che
mora. Geldippe che intende la risoluzione del pad
lo costantemente imbecille subito cangia e risolve che mora. Geldippe
che
intende la risoluzione del padre, e che Corradino
e risolve che mora. Geldippe che intende la risoluzione del padre, e
che
Corradino è condotto al palco, freme, minaccia, i
dotto al palco, freme, minaccia, inveisce contro del padre. Sente poi
che
la città sollevata è in armi, e spinge Amelia a r
rmi, e spinge Amelia a recarsi sulla piazza del Mercato per saper ciò
che
accade; e forse a que’ tempi era questo l’uffizio
io delle dame di corte. Atto V. Si apre con un soliloquio di Geldippe
che
si figura di vedere uno spettro. Iroldo viene a d
di Geldippe che si figura di vedere uno spettro. Iroldo viene a dire
che
le guardie reali sono state disperse dal popolo,
o viene a dire che le guardie reali sono state disperse dal popolo, e
che
Corradino è vicino ad esser liberato. Vicino? e n
st’ambasciadore opera in tutto con saviezza uguale. Ma la dama Amelia
che
è stata nella piazza presente al tumulto, narra c
Ma la dama Amelia che è stata nella piazza presente al tumulto, narra
che
Corradino è stato decapitato. Ella al pari di Zel
he narra l’esecuzione della sentenza. Geldippe apostrofa al carnefice
che
non disarmi il fero braccio che sostenga in alto
enza. Geldippe apostrofa al carnefice che non disarmi il fero braccio
che
sostenga in alto il ferro, che lo faccia cadere s
nefice che non disarmi il fero braccio che sostenga in alto il ferro,
che
lo faccia cadere sul capo di lei. Vuol poi sapere
i. Vuol poi sapere da Amelia l’estreme parole del suo diletto. Amelia
che
malgrado della zuffa de’ cavalieri col popolo e d
è stata presso al palco, le ha tutte raccolte, e le ripete prima quel
che
Corradino disse al duca, che si chiude in nove ve
a tutte raccolte, e le ripete prima quel che Corradino disse al duca,
che
si chiude in nove versi appresso in altri sette q
sse al duca, che si chiude in nove versi appresso in altri sette quel
che
profferì sulla sua Geldippe, e termina ripetendo
he profferì sulla sua Geldippe, e termina ripetendo in sei versi quel
che
disse apostrofando i principi Aragonesi e gettand
a. Carlo poi viene a riprendere la figlia, e le mostra i due cadaveri
che
ha fatto trasportare nelle regie stanze con istra
sta tragedia, troppo manifesti essendone gli amori freddi e svenevoli
che
offendono il tragico di tale argomento, i concett
quest’argomento, ed a renderli il patetico naturale senza lo scambio
che
vi fa entrare il Caraccio, senza la malignità e l
ccio, senza la malignità e la debolezza dell’anonimo, senza gli amori
che
lo sconciano enormemente nella tragedia dell’auto
lla tragedia dell’autore del Gerbino. Per riescirvi altro non occorre
che
cercar di obbliare tutte queste tessiture fantast
ure fantastiche, e rileggere la semplice storia. Il patetico naturale
che
ne ritrarrà, render dovrallo superiore a tutte qu
o, pe’ monologhi men frequenti, pel numero de’ personaggi accresciuto
che
rende l’azione più verisimile senza la nojosità d
lerati, e nulla quasi i personaggi principali. Arrigo principe inetto
che
non sa distinguere nè la verità in bocca della re
ico. Il ministro protestante Lamorre ha i distintivi de’ falsi divoti
che
insinuano guerre e stragi predicando pace e tolle
si di Maria, come ciò avviene senza una superna ispirazione? Quindi è
che
lo stesso sagace autore ha pronunziato su questa
è che lo stesso sagace autore ha pronunziato su questa sua tragedia,
che
i personaggi principali son deboli e nulli, che i
questa sua tragedia, che i personaggi principali son deboli e nulli,
che
il tutto riesca languido e freddo, e che per ciò
incipali son deboli e nulli, che il tutto riesca languido e freddo, e
che
per ciò la reputa la più cattiva di quante ne ha
ta la più cattiva di quante ne ha fatte, o fosse per farne, e la sola
che
egli non vorrebbe forse aver fatta. La Congiura d
, il quale ama lei, ama i figli, ma congiura contro i fratelli di lei
che
tiranneggiano la patria. L’avversione contro di R
aimondo impaziente di trovarsi al tempio, ed agitato per la tenerezza
che
ha per lei, e pe’ figli. La sua venuta col pugnal
lume, elocuzione scelta senza durezze ed ornamenti superflui, azione
che
corre rapida al fine senza riposi oziosi. In Cosi
uccilore, per la perfidia di lui, dell’innocente Diego, ed è il solo
che
rimane nella tragedia impunito, la quale perciò p
secrando misfatto. Nel leggerla preso non fui da quel tragico terrore
che
vuolsi eccitare nella tragedia, ma si bene da orr
hio, talmente, dico, tengon viva e sveglia l’attenzione del pubblico,
che
parmi potersi contar questa tralle buone tragedie
i segue l’abboccamento d’Agide con Leonida. La sua franchezza eroica,
che
tutti palesa i proprj nobili sensi patriotici, e
l suo collega nel regno, disviluppano a maraviglia l’eroismo spartano
che
lo riempie. In seggio, ei dice, Riponi or tu, n
lla sicurezza di morire torna al suo carcere. IV nell’atto V la prima
che
è un monologo di Agide, in cui si vede a un tempo
uarta di lui con Agiziade, in cui si disviluppano i suoi teneri sensi
che
non iscemano l’amor dominante della patria. Bella
. . Age. Oh gioja . . or dammi . . . Scegli, Due ferri son, quel
che
tu lasci é il mio. Ag. Oh cielo! . . . E vuoi .
, ad onta del comando di Leonida, rimangono immobili. Agide gli dice,
che
egli stesso lo trarrà d’impaccio; raccomanda a lu
accio; raccomanda a lui la figlia, e si ferisce. Ansare si maraviglia
che
avesse un ferro; Agesistrata ripiglia, due ne rec
carattere di Sofonisba. Siface non è men generoso per amore di quello
che
si dimostra la consorte per fuggir la propria ver
poco misurato. Scipione però grande per se stesso, quì non fa vedere
che
la sua amicizia per Massinissa in salvarlo, scusa
dell’azione. Ben sel vide il valoroso autore, e candidamente affermò,
che
egli la raffredda ogni volta che se ne impaccia.
roso autore, e candidamente affermò, che egli la raffredda ogni volta
che
se ne impaccia. Bruto primo è dedicata al genera
Washington, e v’intervengono sei personaggi, oltre del Popolo Romano
che
anche parla. Dopo varie buone tragedie italiane e
ta del corpo trafitto di Lucrezia infiamma l’indignazione del Popolo,
che
decreta l’espulsione de’ tiranni, e nomina i prim
ei in mezzo a’ littori, disviluppa egregiamente il carattere di Bruto
che
obblia d’esser padre, e si rammenta sol della pat
rammenta sol della patria. Il pentimento de’ figli più inconsiderati
che
colpevoli di tradimento, lacera il cuore di si gr
to Dir più omai non mi lascia...Addio, miei figli. Tutto l’atto V
che
consiste in due non brevi scene contiene l’esposi
altri. Ma Bruto con eminente costanza aringa mostrando l’ingiustizia
che
si commetterebbe salvando solo que’ due; e i suoi
Di Roma è Bruto. E’ il dio di Roma ... Io sono L’uom più infelice
che
sia nato mai. Mirra dedicata alla contessa Lui
contessa Luisa Stolberg d’Albania con un sonetto. Non avverrà mai più
che
si vegga un amor più criminoso maneggiato con mag
i tutta la compassione, e pure è macchiata del più abominevole ardore
che
trovisi dall’antichità favoleggiato. Il più rigid
Il più rigido filosofo non prescriverebbe rimedj più attivi di quelli
che
a se Mirra stessa impone per seppellire nel fondo
A costo di morir languendo ella tace, ella sceglie uno sposo amabile
che
l’adora, ella impetra di abbandonare i suoi come
per astringerla a parlare; dolcezza, minacce, insinuazioni; intravede
che
ella ama, ed ella lo confessa col più angoscioso
lla ama, ed ella lo confessa col più angoscioso stento. Dubita Ciniro
che
sia oscura ed ignobile la sua fiamma, ed ella neg
r l’ultima volta, Lasciami il piè ritrarre. Ciniro al fin le dice
che
i suoi modi le hanno tolto l’amor del padre. Mir
Oh dura, Fera, orribil minaccia! . . Or al mio estremo Sospir
che
già s’appressa ... alle tante altre Furie mie l
a nè appressarsi a lei per le ree sue fiamme, nè abbandonar la figlia
che
spira. Arriva Cecri, ode che Mirra giace svenata
ree sue fiamme, nè abbandonar la figlia che spira. Arriva Cecri, ode
che
Mirra giace svenata di propria mano, vuole appres
patetico, tragico, ed in ottimo e puro stile espresso1. Non ci voleva
che
l’Alfieri sagace investigatore del cuore umano a
più dilicata decenza. Questa è forse, o ch’io m’inganno, la tragedia
che
meglio scopre i rari suoi talenti tragici. Bruto
to libero cittadino Romano con Bruto figliuolo di Cesare; ma oso dire
che
in alcun tratto se ne prevale con qualche superio
e ti fa nullo a’ tuoi stessi occhi, e avvinte Ti tiene schiavo, più
che
altrui non tieni. A esser Cesare impara oggi da
più che altrui non tieni. A esser Cesare impara oggi da Bruto. Ma
che
lasciare e che scerre de’ forti tratti della masc
non tieni. A esser Cesare impara oggi da Bruto. Ma che lasciare e
che
scerre de’ forti tratti della maschia eloquenza d
embra degno della gravità del coturno. Cesare indi gli svela l’arcano
che
egli è suo figlio, e la scena nel nuovo oggetto p
a scena nel nuovo oggetto prende vigor nuovo per la natural tenerezza
che
in entrambi traluce, nulla togliendo al carattere
Roma la libertà. Bruto nell’atto V prende la parola in Senato, e dice
che
Cesare vi è venuto per mostrare che sa trionfar d
rende la parola in Senato, e dice che Cesare vi è venuto per mostrare
che
sa trionfar di se stesso, e per far certo il Sena
per mostrare che sa trionfar di se stesso, e per far certo il Senato
che
saranno ristabilite le leggi. Cesare col dar ordi
propria libertà. L’Alfieri termina la tragedia colla parlata di Bruto
che
persuade il Popolo; nè a lui era lecito di far co
lo spinge a perseguitarne gli uccisori. Ciò ben convenne al Voltaire
che
volle rappresentare la Morte di Cesare, e sarebbe
rappresentare la Morte di Cesare, e sarebbe disconvenuto all’Alfieri
che
si prefisse di dipignere l’eroismo di Bruto che f
convenuto all’Alfieri che si prefisse di dipignere l’eroismo di Bruto
che
fa rinascere la repubblica. L’illustre autore nel
e parigina chiude la collezione de’ suoi tragici lavori colla licenza
che
prende dal pubblico con una terzi na: Senno m’i
vviso qualunque siesi sul merito di ciascuna sua tragedia nella guisa
che
si presenta a’ nostri sguardi. Esse possono conta
time del Pepoli, coll’Aristodemo del Monti (mal grado delle eccezioni
che
vi s’incontrano) formano il più ricco corredo tra
e eccezioni che vi s’incontrano) formano il più ricco corredo tragico
che
possano gl’Italiani additare agli stranieri. Che
ranieri. Che se a chi legge piacesse ancora d’intendere la differenza
che
in quelle dell’Alfieri a me par di vedere, saprà
re la differenza che in quelle dell’Alfieri a me par di vedere, saprà
che
io tengo per eccellenti coll’ordine seguente Mirr
, Polinice, Virginia, Oreste, Saul, Sofonisba: per buone con varj nei
che
io credo di osservarvi, Filippo, Antigone, la Con
n ultimo luogo per tollerabili soltanto, in grazia di alcune bellezze
che
pur vi si notano, Don Garzia, Rosmunda, Maria Stu
all’autore nel 1796. Si rende essa notabile per una fedeltà signorile
che
fa conoscere talmente le grazie latine di Plauto
conoscere talmente le grazie latine di Plauto nelle maniere italiane,
che
pajono originali. Si farebbe torto al rimanente c
il disegno de’ vecchi Apecide e Perifane, e la spina della sonatrice
che
punge il cuore di quest’ultimo, perchè amata dal
amente la colorisce per ismungerne la borsa. S’introduce con avvisare
che
quelli che andarono alla guerra di Tebe, ritornan
olorisce per ismungerne la borsa. S’introduce con avvisare che quelli
che
andarono alla guerra di Tebe, ritornano alle loro
. Chi può (gli dice Apecide) aver tutte queste notizie? Io (risponde)
che
ho vedute tutte le strade piene di soldati; ed ag
agazze! Chi ne avea due, chi tre, alcuni fino a cinque. Che concorso,
che
folla di gente! I padri vanno ad incontrare i lor
rso, che folla di gente! I padri vanno ad incontrare i loro figliuoli
che
vengono dall’esercito. “Peri. L’impresa non potea
ndar meglio. “Epid. Non vi dico niente delle cortigiane: tutte quelle
che
vi sono in Atene, vedevansi uscite dalle loro cas
andar incontro a’ loro amanti, nulla obbliando per accappiarli; e ciò
che
mi diè più nell’occhio si fu, che quasi fosser ta
la obbliando per accappiarli; e ciò che mi diè più nell’occhio si fu,
che
quasi fosser tante pescatrici, avean tutte delle
le loro vesti. Arrivando al porto, vedo tosto quella cara sonatrice,
che
stavasene aspettando, e che avea seco altre quatt
porto, vedo tosto quella cara sonatrice, che stavasene aspettando, e
che
avea seco altre quattro virtuose sue pari. “Peri.
o altre quattro virtuose sue pari. “Peri. Chi è costei? “Epid. Quella
che
da tanto tempo è amata da vostro figliuolo, per l
tando al molo. “Peri. Ah strega maledetta! “Epid. Se l’aveste veduta!
che
vestito! che pompa! come magnifica, galante, ed a
. “Peri. Ah strega maledetta! “Epid. Se l’aveste veduta! che vestito!
che
pompa! come magnifica, galante, ed aggiustata all
anti? “Epid. Sì, sì; ma il cortile addosso? “Peri. Forse ti maravigli
che
all’abito che esse portano, diano il nome di cort
ì, sì; ma il cortile addosso? “Peri. Forse ti maravigli che all’abito
che
esse portano, diano il nome di cortile, quasichè
o, diano il nome di cortile, quasichè non ne veggiamo tutto il giorno
che
hanno indosso il prezzo di un podere intero? Il m
giorno che hanno indosso il prezzo di un podere intero? Il male si è,
che
i nostri Zerbinotti, che profondono a braccia qua
il prezzo di un podere intero? Il male si è, che i nostri Zerbinotti,
che
profondono a braccia quadre per le loro signorine
le loro signorine, quando si tratta poi di pagar le gravezze, dicono
che
non sono in istato di metter fuori un quattrino.
NE V* Epoca della morte del Goldoni. Egli godeva di una pensione
che
gli fu tolta nella grande rivoluzione della Franc
ella Faustina di un genere diverso da quello della commedia premiata,
che
pensava a produrre fra’ suoi Opuscoli Varj; ma no
ome potevasi satireggiare comicamente l’abuso de’ nobili e de’ ricchi
che
gli emulano, i quali costringono le loro donzelle
ione (dicesi) della sua figura, volendo riparar coll’ingegno ai torti
che
da questa gli venivano, prese a scrivere commedie
l 1793 e 1794, e si sono impresse anche in Firenze nel 1794. Non pare
che
il maggior trionfo dell’autore provenga dalla pia
dico, ed ha caratteri comici insieme con varj eccessi di disperazione
che
oltrepassano i confini della commedia, e presenta
della commedia, e presenta in Carlo Sundler un ritratto di quel padre
che
nella favola francese dell’Umanità si trasporta a
arie ripiene di apparenze alla spagnuola, come il Tempo e la Ragione,
che
si dice allegoria comica, e v’intervengono esseri
onia, ove si presentano Genj, Ninfe, la Disperazione, una Principessa
che
prende le spoglie della Gratitudine, e si vede la
de la selva de’ Magi, e in un grande specchio compariscono gli eventi
che
accadono altrove a’ personaggi lontani. Non ne ma
lla scena sesta dell’atto quarto tralla donna e un suo antico amante,
che
giugne e la trova maritata con un altro, il quale
attere del Brigadiere Senval colla sua beneficenza e col ravvedimento
che
consola gli spettatori: 3 la Disgrazia prova gli
a prova gli amici, in cui si trova la dipintura di un ottimo Ministro
che
esperimenta tutte le umiliazioni da’ malvagi che
i un ottimo Ministro che esperimenta tutte le umiliazioni da’ malvagi
che
lo credono disgraziato: 4 l’Udienza, ove si dimos
che lo credono disgraziato: 4 l’Udienza, ove si dimostra il vantaggio
che
reca al Sovrano ed a’ popoli la benignità de’ Pri
vantaggio che reca al Sovrano ed a’ popoli la benignità de’ Principi
che
ascoltano di presenza le suppliche de’ vassalli;
le suppliche de’ vassalli; mostrandovisi un Ministro tiranno ed empio
che
occupa la gioventù del Principe in dissipazioni e
lita scopre gli sconcerti dello stato e le malvagità del suo Ministro
che
vien punito: 5 il Tempo fa giustizia a tutti, com
antichi abbandoni, e di riconoscimenti, e vi si dipinge un libertino
che
si colma di delitti per le donne, e che in procin
e vi si dipinge un libertino che si colma di delitti per le donne, e
che
in procinto di eseguire un ratto riconosce l’abba
provinciali pieni di nuovi nobili divenuti tali per danaro di plebei
che
erano, i quali ricusano di ammettere ne’ loro cas
che erano, i quali ricusano di ammettere ne’ loro casini un Uffiziale
che
non è meno che l’Imperadore: 2 i Falsi Galantuomi
ali ricusano di ammettere ne’ loro casini un Uffiziale che non è meno
che
l’Imperadore: 2 i Falsi Galantuomini, in cui anch
e un sovrano va incognito, e scuopre le bricconerie di molti birbanti
che
prendono il nome di galantuomini, e le ingiustizi
ome di galantuomini, e le ingiustizie ed oppressioni di un Presidente
che
riduce all’ultimo esterminio un innocente colla s
o alle Maritate, dipintura di un giovane ingannato da un Don Geronimo
che
lo aliena da una buona Moglie, l’avvolge in dissi
segnata, e modesta negli abiti, e nelle maniere da un ricco Uffiziale
che
la sposa, l’allontana da tutto ciò che prima a le
maniere da un ricco Uffiziale che la sposa, l’allontana da tutto ciò
che
prima a lei piaceva, e mostrando con forza un app
o in tal favola si mira come ozioso il personaggio del conte Ippolito
che
si enuncia come suo marito, e si fa credere morto
contraddirla allorchè ella si faceva di anni ventidue, e di sostenere
che
ne contava ben ventisette; i parenti si adoprano
e presa da matta vanità e da superbia intollerabile, disprezza quelli
che
aspirano alle nozze di lei, dice a tutti sul viso
arente del padre e con un abbandono e un’ alienazione di tutti quelli
che
la bramavano quando era ricca: 7 il Matrimonio in
era ricca: 7 il Matrimonio in maschera è un capriccio di una Signora
che
s’intalenta di sperimentare, se un Cavaliere che
iccio di una Signora che s’intalenta di sperimentare, se un Cavaliere
che
ella ama, saprebbe ravvisarla e distinguerla a vi
condotte con certe non molto verisimili circostanze ella si assicura
che
l’ama, si smaschera, e lo sposa: 8 la Cambiale di
aschera, e lo sposa: 8 la Cambiale di matrimonio, ossia la Semplicità
che
non è delle più vivaci e graziose, rappresenta l’
to colle proprie ricchezze i mezzi di soddisfare l’avarizia del Padre
che
ricusava di dargliela per non esser ricco; ma uno
ecitata da’ commedianti Lombardi nel teatro de’ Fiorentini di Napoli,
che
fu sollennemente fischiata. S’impresse indi nel 1
la caduta mortale. L’impressione giustificò il giudizio del pubblico
che
la derise. Essa è in fatti una prosa mal misurata
ac nello spazio di più di due mesi. V’intervengono due re, una regina
che
tratta l’armi, una principessa innamorata di un v
tratta l’armi, una principessa innamorata di un vassallo, un militare
che
ama la figlia del suo re, una pastorella che amor
un vassallo, un militare che ama la figlia del suo re, una pastorella
che
amoreggia e scherza e motteggia, un veterano bevi
ile da’ medesimi personaggi. Varj colpi teatrali ed alcune situazioni
che
interessano, hanno contribuito a cattare applauso
ione del IV. Non sono così persuaso bene di alcune cose del II. Passi
che
Rodolfo tornato dal Crapac in Buda, in trenta gio
a reggia l’opportunità di abboccarsi colla regina Adelarda, per dirle
che
Ladislao suo marito vive. Sorge però in me singol
to vive. Sorge però in me singolarmente qualche dubbio per gli eventi
che
in esso accaggiono. Sofia nella scena settima sen
nte ardua e pericolosa per la necessità di salvarne due? Perchè Sofia
che
non osservata è venuta ed ha in quel punto parlat
sce dalla reggia, lasciando a Rodolfo la sola cura di salvar la madre
che
è piena di coraggio virile? Perchè esporre una te
uoghi differenti. Il Ladislao giusta la legge V bandisce tutto quello
che
suol farsi avvenire per macchina: ed in più migli
fine, e per questa parte ancora sono fisedie. Ciò m’induce a credere
che
una fisedia è un nome nuovo, e non un nuovo gener
o in Napoli. Il migliore dei descritti teatri napoletani è quello
che
si costrusse nel sito detto Pontenuovo terminato
arantatrè e mezzo di altezza dal pavimento alla finta volta; la scena
che
in faccia agli spettatori ha un orologio, di lung
e comodi corridoi. Se l’oggetto d’un teatro, musicale specialmente, è
che
ben si vegga da ogni parte, e che le voci e l’arm
un teatro, musicale specialmente, è che ben si vegga da ogni parte, e
che
le voci e l’armonia si diffondano nettamente, que
l’armonia si diffondano nettamente, questo teatro è uno de’ pregevoli
che
se ne sono costruiti. Ad ottenere un continuato c
ontinuato concorso altro non manca al teatro di san Ferdinando se non
che
fosse collocato men lontano dagli altri teatri e
arone cantata nel medesimo teatro colla musica di Domenico Fischetti,
che
poi dal medesimo autore si rifece per cantarsi in
isti e vulcanici. Vi si rilevano comicamente le ridicolezze di coloro
che
vogliono dare ad intendere di studiare per dieci
e de’ gatti. Vi si proverbia la filosofica credulità di chi sostiene
che
nuvoloni gravidi di sassi vulcanici cadono poi gi
e destinata ad un ridicolo suo discepolo, il quale è preso a sassate,
che
gli si fanno credere cadute dal cielo. Per farne
piacevolezza, ne adduco qualche squarcio. Una finta dama oltramontana
che
si millanta studiosa de’ vulcani, si presenta al
o sposo della nipote di Don Macario suo maestro. I letterati stimando
che
tali pietre sieno cadute dalle nuvole, vogliono s
Io parlando con creanza L’ho per pietre piritose . . . Corrad. Oh
che
porco! Soss. Oh che porco! Mi perdoni: Pirito
a L’ho per pietre piritose . . . Corrad. Oh che porco! Soss. Oh
che
porco! Mi perdoni: Piritose concrezioni Son .
ttivi, i carboni ec., vengono dal giardino i servi dicendo spaventati
che
non solo tutti i gatti sono fuggiti pel giardino,
o spaventati che non solo tutti i gatti sono fuggiti pel giardino, ma
che
i serpenti ancora rotta la rete che gli chiu. dea
tti sono fuggiti pel giardino, ma che i serpenti ancora rotta la rete
che
gli chiu. dea sono scappati, e tutti fuggono atte
ò nel real teatro di san Carlo in Napoli, e piacque; il secondo sento
che
non ebbe simil destino; il terzo non si è mai rap
sto per andar sulle scene; ed in fatti egli si allontana da tutto ciò
che
determina gl’impresarj alla scelta dei drammi. Il
ina gl’impresarj alla scelta dei drammi. Il Metastasio in una lettera
che
gli scrisse, n’encomia lo stile come robusto e lu
ici di comparazioni, fralle quali una ve n’ha fin del Cavallo Trojano
che
entra in Troja col manto della pietà. Che che sia
fin del Cavallo Trojano che entra in Troja col manto della pietà. Che
che
sia di ciò si ravvisa in lui uno de’ migliori imi
si ravvisa in lui uno de’ migliori imitatori dello stil Metastasiano,
che
però si preserva dalla languidezza e trivialità d
rmente la 12 dell’atto II. Compose ancora l’autore non poche cantate,
che
ora introducono a parlare Alcina e Ruggiero, ora
di Giosaba madre falsa del bambino conteso e di Bersabea madre vera,
che
chiama l’attenzione in ogni occorrenza co’ palpit
n prima nel volume terzo dell’edizione nitida, in cui non si desidera
che
un poco più di correzione, fattasene nel 1796, un
a, Religione e Partenope, e vi si mentovano acconciamente le calamità
che
afflissero la nostra città e buona parte del regn
naturali del sito e del clima di Partenope e delle ubertose campagne
che
soggiacciono al Vesuvio cagione della squisitezza
ntata, e l’Amor vendicato, delle quali s’ignora l’epoca. E’ però noto
che
la prima si scrisse e si pose in musica a privato
a privato trattenimento di una brillante compagnia di dame napoletane
che
dettavano allora leggi al gusto e alle maniere. V
adombrano il vero col velo misterioso della poesia. L’Isola incantata
che
seduce le ninfe, e la pianta che al cadere rompe
ioso della poesia. L’Isola incantata che seduce le ninfe, e la pianta
che
al cadere rompe l’incanto, discendono dall’isola
ino le istantanee mutazioni cagionate dal troncarsi la pianta fatale,
che
servirà anche per saggio dello stile: Ma che! .
arsi la pianta fatale, che servirà anche per saggio dello stile: Ma
che
! . . . s’oscura il giorno! . . . S’addensano ne
ne si scaglia . . . il suol si scuote . . Dalle radici immote Par
che
l’orbe vacilli! e par che avvampi L’isola tutta
l si scuote . . Dalle radici immote Par che l’orbe vacilli! e par
che
avvampi L’isola tutta allo strisciar de’ lampi!
e sol contento di cingersi la fronte e la cetra dell’immortale alloro
che
svelse dall’amata pianta. Lo stil drammatico del
a. Lo stil drammatico del Gennaro è quello, a mio credere, signorile,
che
nè serve al metastasiano nè si eleva oltre la nat
astasiano nè si eleva oltre la naturalezza e la proprietà del genere,
che
nulla ha di snervato e prosaico, e nulla acquista
trasformazioni a vista, si spiega la pompa delle decorazioni naturali
che
abbelliscono lo spettacolo. Havvi balli analoghi
i dell’azione, un’ entrata trionfale di Ercole, un ecclissi repentino
che
cangia in palpiti la festa e l’allegria, e accres
subalterni delle tragedie francesi e de’ melodrammi eroici italiani,
che
noi non perdoniamo nè anche al Metastasio. Ranie
lia del ricco conte di Devon, e pensando di averla in moglie nel caso
che
tal fosse quale si decantava, spedì Athelwold suo
Preso però il messo dalla bellezza singolare di Elfrida, riferì al re
che
era di un volto comunale e poco degna per le mani
sposo, si presentò al re con tutta la pompa de’ proprj vezzi, a segno
che
rimastone il re sorpreso venne in tal furore per
rimastone il re sorpreso venne in tal furore per l’inganno scoperto,
che
in una partita di caccia pugnalò di sua mano il f
toci dagli storici Inglesi. Il sagace autore, come conviensi a’ poeti
che
non ignorano il proprio uffizio, ha migliorato e
a innamorata di suo marito, e di Edgar dandogli spiriti di generosità
che
contrastano colla sua passione. Vediamo la tracci
traccia, e qualche particolarità di questo dramma colla imparzialità
che
ci guida. Atto I. Elfrida impaziente per l’assenz
anto dello stile del Calsabigi, e si potrebbero addurre molti squarci
che
scrivendosi senza dividerne i versi, parrebbero p
tro: Org. Nobil donna . . . Elfr. Straniero . . . (Oh importuno)
che
vuoi? Org. Di, non è quello Il romito castell
rse Evelina parte per ispiare, se giunga Adelvolto, e torna per dire,
che
giugne, la qual cosa con pace d’Evelina non è pun
iugne, la qual cosa con pace d’Evelina non è punto vera, nè poi si sa
che
cosa voglia da ciò ricavare in vantaggio di Elfri
d Orgando, Nella mia figlia io trovo Un non so qual timore. dal
che
pare che nascer non potessero le tetre espression
, Nella mia figlia io trovo Un non so qual timore. dal che pare
che
nascer non potessero le tetre espressioni de’ con
, S’ammanta a nero il giorno, Mormora il tuono intorno. Si vede
che
il poeta vorrebbe in grazia della musica elevare
poeta vorrebbe in grazia della musica elevare il tuono del quartetto
che
non può esser se non parlante. Questo pezzo conce
ostro core . . . Osm. Torni d’un Padre al core . . . a 4 La calma
che
perdè. Quattro personaggi che interrompono il p
un Padre al core . . . a 4 La calma che perdè. Quattro personaggi
che
interrompono il proprio sentimento o per volontà
ompono il proprio sentimento o per volontà o per inciviltà reciproca,
che
attendono ciascuno alla sua volta il parlar dell’
a, che attendono ciascuno alla sua volta il parlar dell’altro a metà,
che
conchiudono in coro con un sol verso comune venut
un sol verso comune venuto in mente a tutti, rassembra quello appunto
che
si riprende in certe scene finali degli spagnuoli
nde in certe scene finali degli spagnuoli del passato secolo. Si dirà
che
altri ancora l’ha fatto: ma si domanda, se con ra
ancora l’ha fatto: ma si domanda, se con ragione e proprietà? Si dirà
che
la musica anche oggi astringa la poesia a tradir
ori severi del Zeno, e del Metastasio? Lascino dunque codesti censori
che
non sanno far meglio, di riprendere chi tanto e t
Viene Adelvolto nella scena quarta e s’incontra con Elfrida, e prima
che
nel recitativo si snervi la passione, dopo cinque
delvolto; ed ella: Come! minacci me con quel funesto presagio tuo più
che
te stesso . . . Non ti smarrire, son tua, voglio
eco nel delizioso suo giardino alquanti dì, e veder la sposa. Orgando
che
sin dalla scena 7 del I, al dir di Evelina, ito e
r andare a prevenire Elfrida; ma dopo soli otto versi recitati dal re
che
poi parte, egli ritorna senza perchè nel medesimo
tore senza mutar la scena. Essi dunque si veggono nella scena quarta,
che
interessa ed è appassionata, malgrado di un terze
cena quarta, che interessa ed è appassionata, malgrado di un terzetto
che
vi si legge alla prima, il quale colle sentenze e
ncar Elfrida e lo spettatore per le troppe esitazioni del marito. Ciò
che
la rende importante è il segreto che a lei palesa
roppe esitazioni del marito. Ciò che la rende importante è il segreto
che
a lei palesa dell’inganno fatto al re, il quale p
pone l’uditorio in attenzione sospeso per intendere la deliberazione
che
prenderà Elfrida. Segue altra mutazione di scena
e ha pur fatto nella prima, a far riflessioni di antiquario, dicendo,
che
quivi probabilmente le regine vissero un tempo re
oderoso al certo!) contro del padre Evelina e le compagne nella guisa
che
fan no le ninfe fuggendo da’ satiri. La bellezza
endo da’ satiri. La bellezza d’Elfrida incanta il re, il quale ordina
che
si chiami Adelvolto, che già veniva da se, e gli
zza d’Elfrida incanta il re, il quale ordina che si chiami Adelvolto,
che
già veniva da se, e gli rimprovera il tradimento;
rovera il tradimento; egli chiede la morte. Orgando lo sfida a duello
che
viene accettato da Adelvolto con disegno di morir
ella giustizia sua celebre esempio; dove quel celebre è pura borra,
che
riempie il verso, è ozioso, e minore del tremendo
riempie il verso, è ozioso, e minore del tremendo. Adelvolto risponde
che
si difenderà sol per onore di Orgando. Il re dice
tasio, nella Semiramide, Olà si dia della battaglia il segno. E’ vero
che
le parole che lo compongono appartengono a tutti;
emiramide, Olà si dia della battaglia il segno. E’ vero che le parole
che
lo compongono appartengono a tutti; ma così infil
l’ingiustizia della pugna. Eggardo dice, questa è la legge, ed ordina
che
le s’impedisca il passo. Elfrida che finora ha mo
ce, questa è la legge, ed ordina che le s’impedisca il passo. Elfrida
che
finora ha mostrato affetto e virtù, ma non già pr
à prodezza di guerriera, divenuta un’ amazzone, impone al suo seguito
che
spezzi la barriera, e si avanza sino alla loggia
vassalli forse del marito; ma questi vassalli esser altri non possono
che
villani del ritiro campestre di Adelvolto; Or par
ono che villani del ritiro campestre di Adelvolto; Or pare verisimile
che
dovessero osar tanto in faccia al re circondato d
sistere all’attentato della barriera, di circondare i combattenti. Ma
che
pro? Elfrida è già sulla carriera delle Camille;
a quale, benchè troppo verbosa e lontana dalla vibratezza e dal nerbo
che
Metastasio con tanta gloria ha usato, non ha sent
timenti sconvenevoli ad Elfrida, ad eccezione di arrestar la rapidità
che
qui si richiedeva, e di far rimanere il re e tutt
oso al punto, in cui stanno le cose. L’azione naturalmente richiedeva
che
Elfrida dopo il suo attentato avesse atteso senza
ntato avesse atteso senza dimora a ritirarsi altrove con lui, non già
che
si trattenesse nelle sue stanze. Ciò che non ha f
rsi altrove con lui, non già che si trattenesse nelle sue stanze. Ciò
che
non ha fatto per iscelta, è obbligata a proporlo
e non ha fatto per iscelta, è obbligata a proporlo pel comando del re
che
esilia il marito. Ella vuol seguirlo. E se, dice
remo insieme. Ciò mi pare patetico e nobile. In vece però di dirsi,
che
un marmo istesso in un eterno amplesso gli chiude
sso in un eterno amplesso gli chiuderà, ed in vece di quell’urna sola
che
confonderà le loro ceneri, espressioni fredde, co
più utile alla musica. Poteva p. e. esprimersi con calore il pensiero
che
dee occupare Adelvolto di aver egli formata l’inf
essioni, in cambio di quell’eterno amplesso nel marmo e di quell’urna
che
vale la stessa cosa esangue. Resta Elfrida, e vie
e la stessa cosa esangue. Resta Elfrida, e viene il re, cui ella dice
che
seguirà lo sposo. Eggardo risponde che nol permet
, e viene il re, cui ella dice che seguirà lo sposo. Eggardo risponde
che
nol permetterà Orgando e le offre il trono e la m
si proposto da un re, il quale sempre ha in bocca, questa è la legge,
che
ella diventi sposa di due mariti. Viene il padre
ha manifestato il suo disegno al marito nella scena 5; è venuto il re
che
è presente, ed ella se n’è con lui spiegato nella
a se n’è con lui spiegato nella scena 6: or chi l’ha detto ad Orgando
che
arriva nella 7 scena? Il poeta che ’l sapeva. Il
na 6: or chi l’ha detto ad Orgando che arriva nella 7 scena? Il poeta
che
’l sapeva. Il re contristato rimprovera Elfrida,
cena 8 la stessa premura di Orgando, la stessa resistenza di Elfrida,
che
produce un duetto. Ma il Padre? dice Orgando: El
Metastasiano nel dramma come prosaico e inelegante, nel tempo stesso
che
si dichiara ammiratore del Calsabigi, osservi il
a se prosa simile trovisi in Metastasio: Soltanto mi sgomento, Padre,
che
un giorno avrai del barbaro mio stato pietà, rimo
delvolto sono giuste e appassionate. Nel voler partire arriva Eggardo
che
ne impedisce la fuga, indi Orgando che torna a ri
l voler partire arriva Eggardo che ne impedisce la fuga, indi Orgando
che
torna a rimproverare alla figlia il poco amore ch
fuga, indi Orgando che torna a rimproverare alla figlia il poco amore
che
ha per lui, e vuol separarla dal marito, la cui n
pezzo di musica concertato, in cui Adelvolto risponde appena da parte
che
è smarrito l’imbelle suo cor, e qualche altra cos
altra cosa simile, ed Osmondo, e Siveno personaggi ugualmente nulli (
che
nol dicendo il poeta possiam credere di esser ven
articolano la sola parola tremo. Eggardo in grazia di Elfrida accorda
che
resti Adelvolto, ma lo sottomette al giudizio de’
a accorda che resti Adelvolto, ma lo sottomette al giudizio de’ Pari,
che
ben sa Elfrida che sia giudizio di sangue. Adelvo
Adelvolto, ma lo sottomette al giudizio de’ Pari, che ben sa Elfrida
che
sia giudizio di sangue. Adelvolto condotto via di
sse a chiudersi alla Trappa) addio mondo, addio consorte, non respiro
che
morte. Con ciò il poeta vuol fare intravedere il
rio al primo suo scandaloso pensiere di sposare la moglie di un altro
che
ancor vive, aggiugne: Superbo Son io d’a
e ancor vive, aggiugne: Superbo Son io d’averti amato, e più
che
t’amo, Più apprezzo me: di te non ero indegno;
Quel crudele... Siven. Ah signor, morì Adelvolto. Non mi spiace
che
in una breve strofetta da cantarsi si accenni che
to. Non mi spiace che in una breve strofetta da cantarsi si accenni
che
Adelvolto avea un pugnale ascoso, che gridò, Elfr
trofetta da cantarsi si accenni che Adelvolto avea un pugnale ascoso,
che
gridò, Elfrida, se l’immerse nel seno, e spirò; i
ò; imperocchè colla musica si fugge la noja di una narrazione finale;
che
ne’ moderni teatri musicali non suole ascoltarsi.
si. Elfrida vuol ferirsi, Orgando la trattiene, ella tramortisce. Ciò
che
in tale dramma trovo di più lodevole, si è che no
ella tramortisce. Ciò che in tale dramma trovo di più lodevole, si è
che
non vi sono freddi episodici amori di personaggi
n arie di concetti, e di comparazioni liriche, non persone scellerate
che
precipitano gli eroi nell’infelicità. L’azione va
re esige morendo qualche compassione, d’altro in fine non essendo reo
che
di superchiería fatta al re per troppo amore. Il
troppo amore. Il disviluppo segue acconciamente con que’ pochi versi
che
dal canto possono ricevere espressione e calore.
lore. Si vede impresso nel fine del dramma un estratto di una lettera
che
l’autore attribuisce al signore d’Herbert, cui è
e al signore d’Herbert, cui è dedicato. Egli lo loda, e vi trova (par
che
parli l’autore stesso) più estro, più calore che
oda, e vi trova (par che parli l’autore stesso) più estro, più calore
che
in qualunque altro scritto all’età dell’autore da
del signor d’Herbert non vi sarà neppure un Bettinelli nè un Vannetti
che
applaudirono al vivente Calsabigi 1 disprezzator
e d’Herbert, naturale, preparata, e condotta non si può meglio. Passi
che
la stimi preparata e condotta acconciamente, sebb
la stimi preparata e condotta acconciamente, sebbene sia troppo dire
che
non si può meglio. Ma come passargli che questa c
nte, sebbene sia troppo dire che non si può meglio. Ma come passargli
che
questa catastrofe sia nova? L’invenzione di troav
vecchiata per l’uso fattone più volte. Nè il Calsabigi dovea ignorare
che
tal catastrofe fu introdotta in teatro colla Inès
ofe fu introdotta in teatro colla Inès de Castro del signor La Mothe;
che
fu ripetuta nell’Agnese del sig. Colomes; che più
ro del signor La Mothe; che fu ripetuta nell’Agnese del sig. Colomes;
che
più? che fin anco il Pagano l’ha impiastricciata
gnor La Mothe; che fu ripetuta nell’Agnese del sig. Colomes; che più?
che
fin anco il Pagano l’ha impiastricciata pochi ann
co disapprovò questo dramma per ragioni diverse da quelle dell’autore
che
se ne dichiara malcontento, ed afferma nell’edizi
chiara malcontento, ed afferma nell’edizione fattane a proprie spese,
che
la sua opera fu pregiudicata nella condotta e nel
one convenevole alla scena. Convien dunque a tale edizione attenersi,
che
, al dir dell’autore, la presenta qual si compose;
re, la presenta qual si compose; ma osserveremo in note le variazioni
che
vi si fecero nel rappresentarsi. Si aggira su gli
mida secondo confidente, il quale è sì necessario in tutta la favola,
che
dopo di questa scena sparisce, e solo interviene
he dopo di questa scena sparisce, e solo interviene muto nella decima
che
è seguita dal finale, ed in esso altro non dice,
uto nella decima che è seguita dal finale, ed in esso altro non dice,
che
, vuoi guerra, e guerra avrai; nel secondo non si
on si vede affatto; nel terzo segue Adallano, e non parla mai, se non
che
al finir del dramma profferisce in compagnia di S
valeva ciò la pena di moltiplicar i personaggi con un Osmida inutile
che
parla in una sola scena? Egli è stato mandato ava
Di più verte siffatta scena su fatti tutti noti ai due confidenti; a
che
dunque rivangarli? per informar l’uditorio del pa
ote preghiere. Tutte tinte tragiche! chi nol vede? Lo spettatore però
che
delle volte suole esser curioso investigatore di
rnano gli amanti a lasciarsi vedere e ascoltare. Benedicono il giorno
che
si videro. Elvira dice, ne’ fati è scritto il nos
del medesimo Calsabigi in disprezzo del Metastasio. Lasciam da parte
che
ciò dee parer prosa a chi la riconosce a simili s
rosa a chi la riconosce a simili segni nel poeta Romano; lasciam pure
che
lo stil tragico schiva simili leziosaggini: come
are i genj benefici del cielo in compagnia de’ confidenti; di maniera
che
queste prime scene potrebbero appellarsi preghier
el sogna, vaneggia, è un poco forte, ma può passarsi a una guerriera,
che
lui non ama; certo è però che nulla di ciò è trag
forte, ma può passarsi a una guerriera, che lui non ama; certo è però
che
nulla di ciò è tragico e grave. Ricimero resta la
iscena. Ma aggiorna e segue mutazione di scena, e l’istesso Ricimero
che
parlava nel giardino, si trova in discorso inoltr
artamenti. Se non vogliano contarsi tra’ personaggi anche i falegnami
che
eseguiscono la mutazione, bisognerà dire che quì
onaggi anche i falegnami che eseguiscono la mutazione, bisognerà dire
che
quì la scena rimanga impropriamente vota, ovvero
, bisognerà dire che quì la scena rimanga impropriamente vota, ovvero
che
Ricimero nel tempo stesso si trovi nel giardino,
senza fisica in due luoghi di Apollonio Tianeo 1. Essi parlano di ciò
che
è accaduto a Ricimero nel giardino. Un suono d’ar
d allettar Elvira in vece di disgustarla; e questo dilicato amante, o
che
tale vuol mostrarsi, risponde a guisa di creditor
cato amante, o che tale vuol mostrarsi, risponde a guisa di creditore
che
ripeta il suo, ma quanto ho da soffrir? Viene Alm
da soffrir? Viene Almonte a presentare a Odorico un foglio sospetto,
che
dice di aver trovato in terra. E’ un foglio amoro
tto. Elvira innocente nega di esser suo colla franchezza della verità
che
basterebbe a dissipare ogni dubbio nel padre, pur
incolpato, e di non sospettarsi de’ veri furbi, mal grado degl’indizj
che
veggonsi contro di essi da ogni banda. Senza di s
o licenza poetica quanti drammi caderebbero come mal tessuti? Ed ecco
che
con tal diploma Odorico rimprovera la figlia qual
n dato, e poi con impeto li discaccia inseguendoli; e ciò vorrà dire,
che
se essi non son presti a farsi indietro, ella tra
egli un suo vassallo seguitandolo a calci per la scena. Buon per essi
che
Odorico senza perchè torna in tempo, ed Elvira si
za perchè torna in tempo, ed Elvira si ritira con modestia. Tutto ciò
che
canta Odorico ed Elvira si vuol leggere nel dramm
sabigiana. Partito il padre ella dice piangendo, vedete . . . mirate (
che
debbono essere due azioni distinte) godete . . .
nte di fuggire, di passare alla sala delle udienze, di veder Adallano
che
viene a parlar solennemente a Odorico, e di recar
Elvira. Odorico risponde di aver di lei già disposto. Adallano chiede
che
Elvira disponga di se stessa. Sfida Ricimero, e c
ce nella Semiramide, “Se in campo armato “Vuoi cimentarmi, “Vieni,
che
il fato “Fra l’ire e l’armi “La gran contesa “
a adorarle nel tempo stesso nel calcarle, in vece di mordere il piede
che
le stampa. Calsabigi però nella seconda parte del
orico volendo leggere nel cuor di Elvira con maniere di padre le dice
che
vorrebbe che ella prendesse marito senza obbligar
leggere nel cuor di Elvira con maniere di padre le dice che vorrebbe
che
ella prendesse marito senza obbligarla a scerre o
lla prendesse marito senza obbligarla a scerre o Ricimero o Adallano,
che
pur la domanda: . . . . Or con te stessa T’av
cidi . . . a qual tu vuoi, t’appliglia. Elvira si maraviglia di ciò
che
ascolta, entra in qualche dubbio, e pur dovrebbe
rico dunque prende il carattere di falso e di finto nel largo partito
che
le propone. Quando poi egli dice, Così comp
di Elvira1. Viene Selinda, con cui Elvira si lagna del passato senza
che
si faccia un picciol passo per l’azione. Ciarla d
iego eroico! Elvira ricusa. Segue un duettino di espressioni generali
che
lor convengono, ma che non hanno se non remoto at
usa. Segue un duettino di espressioni generali che lor convengono, ma
che
non hanno se non remoto attaccamento col soggetto
scena. Veggasi poi quanto naturali sieno gli avvolgimenti di concetti
che
si capiscono solo all’ultimo verso; veggasi se ve
n odio, non furor . . . ma ella non può conchiudere, perchè convien
che
attenda il parlar di Adallano pronto ad interromp
mette la custodia delle mura a Ricimero; ma prima, senza nuovo motivo
che
affretti la sua deliberazione, vuol che si congiu
ma prima, senza nuovo motivo che affretti la sua deliberazione, vuol
che
si congiunga con Elvira, di cui non ignora le rip
egli in quelle circostanze perde il tempo ad incaricare a Ricimero (e
che
importa che gli abbia prescritta la custodia dell
le circostanze perde il tempo ad incaricare a Ricimero (e che importa
che
gli abbia prescritta la custodia delle mura?) di
ace nel Catone. Ma qual distanza infinita trall’importanza del motivo
che
spinge Catone a richiederle, ed il puro capriccio
anza del motivo che spinge Catone a richiederle, ed il puro capriccio
che
muove Odorico! Ricimero mostrasi assai contento d
sai contento della deliberazione di lui, e se ne dichiara con Elvira,
che
lo discaccia co’ soliti rimproveri. Sembra talvol
a con Elvira, che lo discaccia co’ soliti rimproveri. Sembra talvolta
che
l’azione in questo dramma retroceda in vece di gi
ta che l’azione in questo dramma retroceda in vece di gire innanzi, o
che
avanzi a passi di testudine1. Scena 7 Sera. Odori
ra d’un generale; or come di sera in quel luogo co’ suoi domestici? A
che
vi è ito egli? Più; quando lo spettatore aspetta
a figlia? E nol prevedeva? Vengono Almonte e Ricimero ad annunziare
che
non si trova Elvira, aggiugnendo giusta le solite
non si trova Elvira, aggiugnendo giusta le solite loro note critiche,
che
forse è fuggita con Adallano. Correte . . . andat
nno indicata cosa alcuna importante. Prima di passar oltre si osservi
che
nella scena 4 facendo Adallano premura perchè fug
emura perchè fuggisse seco, ella ricusò di assentire, e solo profferì
che
Elvira sarebbe di Adallano, se il padre si facess
perchè Odorico altro a Ricimero non disse nella quinta scena, se non
che
la voleva sposa di lui, e che gliene recasse il c
ro non disse nella quinta scena, se non che la voleva sposa di lui, e
che
gliene recasse il comando. Ricimero nella scena s
o. Ricimero nella scena sesta ciò disse ad Elvira, aggiugnendo di suo
che
il padre minacciava, ed egli come compiangendola
l proprio decoro, sino a quel punto innocente o non d’altro colpevole
che
di una inclinazione tenera così comune alle donze
istruirlo dell’occorso. Non so se per tali operazioni basti il tempo
che
s’impiega in profferir quaranta parole. Dopo il s
agi plurale non accorda con accusasti e offendesti singolare. E’ vero
che
è un idiotismo fiorentino il dire a una persona s
are. Ricimero vuol ferirlo; ma eccoti un altro Guerriero sconosciuto,
che
ne ribatte il colpo, e gli fa cader la spada, e g
o la trattiene e la riconosce. Rimproveri di lui, difcolpe di Elvira,
che
si dichiara moglie di Adallano. Torna dunque a lu
tre, e la discaccia. Viene Almonte nella scena 12 con fretta, e dice
che
morì Adallano. Ma Almonte è un noto impostore; sa
rtetto, Le bianche chiome avvolgere Mi sento in fronte, maniera
che
non bene esprime il diriguere comae di Virgilio.
ad Elvira, neri panni intorno al letto, altri neri panni svolazzanti
che
pendono a festoni dalla volta, lampada unica che
ri panni svolazzanti che pendono a festoni dalla volta, lampada unica
che
dà debol lume, lugubre sinfonia. Tutto questo app
pettro sanguinoso, scena nuova, ma passi ancora. Ella dice, Spettro
che
pallido E sanguinoso, Prendi l’effigie D
ira, Per esser simile Morendo a te. Se ad altro ella non aspira
che
ad imbrattarsi di sangue, non è la cosa più polit
più polita, ma in fine non è la più funesta del mondo. Ella vuol dire
che
si accinge a versare il proprio sangue, e a segui
scena; e non finirebbe mai, se non passasse ad un pensiero eterogeneo
che
la fa discendere dall’immaginazione alla realità
basso mondo. Ella dice: Tu non ci sei (nel mondo), e va bene ciò; ma
che
luogo può avere in tali suoi pensieri quel che si
do), e va bene ciò; ma che luogo può avere in tali suoi pensieri quel
che
si legge ne’ seguenti sette versi? Io non som
perfidi, altieri Mortali abominevoli. Non sono Fra quell’iniqui,
che
una dolce calma Godono fra’ delitti; ed han sap
verisimiglianza sopravvenire ad Elvira tutta occupata di uno spettro
che
rappresenta l’ucciso marito? Hanno esse nulla che
pata di uno spettro che rappresenta l’ucciso marito? Hanno esse nulla
che
si affà colla morte di Adallano, col dolore di El
di Elvira?1. Ricimero lasciandosi cadere a’ suoi piedi, le dà avviso
che
il padre ferito, ma lievemente, da uno strale tut
bblia, e la vuol con se negli estremi suoi giorni. Incresce ad Elvira
che
di ciò sia egli il messaggero. Ricimero affettand
o sostenuto da due domestici con un braccio involto di fascia. Sembra
che
il poeta sia in dubbio del suo disegno. Da una pa
rla a sopravvivere a suo riguardo alla perdita di Adallano; quindi fa
che
comparisca ferito sostenuto da due, tutto intento
i dice, Elvira è morta, vivrà per te ec. In questa scena dice Odorico
che
in rammentare il caro nome di Elvira il suo sangu
tre modo colla figlia; ora un ribrezzo o riprezzo del sangue crederei
che
possa indicare piuttosto orrore che tenerezza. O
zo o riprezzo del sangue crederei che possa indicare piuttosto orrore
che
tenerezza. O dunque il ribrezzarsi del Calsabigi
vegliante in sen ci stà, come suol dirsi, a pigione; benchè comprendo
che
l’autore avrebbe voluto aggiugnero che quel contr
i, a pigione; benchè comprendo che l’autore avrebbe voluto aggiugnero
che
quel contrasto sarà per affliggerla continuamente
o tumultuoso e strano clamore, ed eccoti Adallano bello e sano e vivo
che
seco conduce Almonte incatenato. Tutti stupiscono
dell’avere ad arte forse annunziata la di lui morte. Aggiugne ancora
che
Ricimero è morto, e che forse anche Almonte lo sv
e annunziata la di lui morte. Aggiugne ancora che Ricimero è morto, e
che
forse anche Almonte lo svenò per occultare le sue
ira gli diventi moglie. Ed il buon vecchio mentendo un poco gli dice,
che
del primo suo rifiuto fu causa un cieco errore, e
rifiuto fu causa un cieco errore, e ne chiede scusa, e dice ad Elvira
che
sia Adallano suo consorte, e di lui figlio, illus
miei. Ma in verità Adallano a ciò sorridendo un tal poco poteva dire,
che
Odorico a lui stesso (sc. 10 del I) avea negato i
, poteva facendo ecco al sogghigno del marito, dir sottovoce al padre
che
si ricordasse d’averlo chiamato barbaro, e che pe
dir sottovoce al padre che si ricordasse d’averlo chiamato barbaro, e
che
per tale scelta a lei disse (sc. 2 del II) Degl
ò dipigner gli uomini quali sono ineguali, incoerenti ne’ principj, e
che
ravvisano una stessa cosa in aspetti differenti s
ma non quali, per salvarne il decoro e l’uguaglianza, si prescrive
che
fingansi in teatro. Il dramma termina con questi
à partorito un grazioso effetto. A quanto ne abbiam divisato e al più
che
per fuggir noja omettiamo, si scorge che all’Elfr
ne abbiam divisato e al più che per fuggir noja omettiamo, si scorge
che
all’Elfrida cede di gran lunga l’Elvira, la quale
ano innamorati da commedia o al più da pastorale, presi di un affetto
che
nulla ha di convenevole per una tragedia, non ani
lla ha di convenevole per una tragedia, non animati da veruno eroismo
che
gli elevi. Ripetizioni di pensieri, di situazioni
seguita e premiata con tutto il buon successo: tutto ciò non mai farà
che
l’Elvira si rivegga sulle scene, mal grado della
pubblico per certa continuata uniformità di tinte e di tuono lugubre,
che
dall’andamento di tutto il dramma si trafuse nell
i tutto il dramma si trafuse nelle note di quel valoroso maestro. Ciò
che
maggiormente sottomette l’autore all’occhiuta cri
tastasio e perciò magistralmente applaudito dal fu cavalier Vannetti,
che
è da credere di non aver conosciuto veruno dei dr
nosciuto veruno dei drammi mitologici e istorici di lui. Bisogna dire
che
dopo del Zeno e del Metastasio onore delle scene
io onore delle scene armoniche dell’Italia i cui luminosi difetti non
che
le sovrane virtù, nel corso presso che di un seco
lia i cui luminosi difetti non che le sovrane virtù, nel corso presso
che
di un secolo si hanno attirata l’attenzione e la
se, ai Piron, e talora lasciangli indietro, e l’Alfieri singolarmente
che
coltivò la tragedia con maggiore intensità di stu
os enunciata al numero 100 del Mercurio del 1793. Vi si aggiugne però
che
la corte di Madrid non avrebbe voluto che si rapp
l 1793. Vi si aggiugne però che la corte di Madrid non avrebbe voluto
che
si rappresentasse, la qual cosa a me sembra una p
a qual cosa a me sembra una pura ciarla da gazzettiere. E’ verisimile
che
quella corte fosse sollecita di far supprimere un
sime volte, vivendo il commediante Caldèron, rappresentar Filippo II,
che
appunto si aggira sulla rivolta della Fiandra e s
1. Se ne vegga alcun esempio. Nella sc. 5 del 1 si dice: Io temo sol
che
con tuoi dubbj offendi, in vece di effenda; ed ap
oi dubbj offendi, in vece di effenda; ed appresso, Poi sai tu ancor
che
ad una ricca gemma Fur costoro traditi, in cui
el IV: Cavossi il guanto, e lo si trasse in alto, volendo forse dire
che
lo gettò dal palco in mezzo al popolo ec. 1. Al
-a-te l’uomo ingombra. 1. Il Tasso dice, Non cala il ferro mai
che
appien non colga, Nè coglie appien che piaga an
ice, Non cala il ferro mai che appien non colga, Nè coglie appien
che
piaga anco non faccia, Nè piaga fa che l’alma a
on colga, Nè coglie appien che piaga anco non faccia, Nè piaga fa
che
l’alma altrui non tolga. Questa ricercata manie
, come soffrirsi in bocca di una femminuccia faracina ciarliera? Ella
che
si spiega trivialmente in tutto il resto, ha quì
le soavi amabili tiranne! Che roba! direbbe Calsabigi. *. Si avverta
che
per tutto ciò che qui si è aggiunto, convien togl
iranne! Che roba! direbbe Calsabigi. *. Si avverta che per tutto ciò
che
qui si è aggiunto, convien togliersi la nota (1)
lla pag. 218 continuata nelle due seguenti. *. Si prosegua tutto ciò
che
si trova dalla pag. 199 alla 206, lin. 20 dove do
n. 20 dove dopo le parole, colla usata nostra debolezza, si cangi ciò
che
segue nella guisa qui notata. **. Di poi nella p
nella pag. 209 si cancelli la nota (1) oltre agli storici nazionali,
che
stimiamo superflua. ***. In fine dell’artic. I d
ultimi versi, oh chi congiungesse &c., e si aggiunga da capo ciò
che
segue. 1. Appena nella scena prima del 1 taluno
nulla sappiamo, e della seconda leggiamo in qualche foglio periodico
che
l’autore l’ha comunicata al celebre bolognese Fra
234, lin. 14, dopo le parole, all’antico verso giambico si scriva ciò
che
siegue. *. Al medesimo Capo II ed art. 1, pag. 2
el 1761, si tolgano le parole, ove tuttavia mena in tranquillità i dì
che
gli rimangono di vita, e si soggiunga subito, e q
o Capo II ed art. 1, dopo le parole; concessa al comico, si cangi ciò
che
è impresso nella linea 2 di tal pagina, e nelle c
so nella linea 2 di tal pagina, e nelle cinque della pag. 243 in quel
che
segue. 1. Leandro de Moratin trattenendosi in
veder come si corrispondano l’orginale e la versione in uno squarcio
che
quí soggiugniamo della nona scena dell’atto quart
e Rachele i nomi di Carlos ed Isabel. ORIG. Rach. Oh momento fatal
che
mi rischiara, Ma che il rigor del mio destin no
rlos ed Isabel. ORIG. Rach. Oh momento fatal che mi rischiara, Ma
che
il rigor del mio destin non cangia! E come, odd
rendo! oh tirannia Come ben mascherasti il tuo sembiante! Eug. Or
che
risolvi? Rach. Or che risolvi? Nulla a me riman
e ben mascherasti il tuo sembiante! Eug. Or che risolvi? Rach. Or
che
risolvi? Nulla a me rimane, Eugenio, più a riso
morir? Rach. Pretendi dunque il mio morir? Non mai. Anzi quoi dì
che
la mia pena interna, Che nel sen chiuderò, torr
interna, Che nel sen chiuderò, torre mi debbe, Implorerò dal ciel
che
a lui gli accresca, Che fu parte di me . . . ch
Implorerò dal ciel che a lui gli accresca, Che fu parte di me . . .
che
di mia vita Esser signor dovea . . . (sento mor
più fida, Ma più felice, occuperà quel loco . . . Eug. Ah tu vuoi
che
a’ tuoi piedi io versi l’alma! Rach. Dì: Rachel
Alla perdita tua. Rach. Alla perdita tua. Saprà Rachele, S’è ver
che
nel tuo petto ancor comanda. Ma par che a quest
a. Saprà Rachele, S’è ver che nel tuo petto ancor comanda. Ma par
che
a questa parte i passi volga La Contessa col Pa
o hay esperanza, no!Yo la he perdido! 1. Ne supprimiamo l’estratto
che
ne facemmo, per le circostanze cambiate dell’auto
dopo le parole, una compagna nel regno dell’armonia, si aggiunga ciò
che
segue. 1. Queste Addizioni erano preparate da pi
ese dell’autore, si evitò in parte nel rappresentarsi. Neli’ edizione
che
ne fece l’impresario, trovo che Ricimero partiva
te nel rappresentarsi. Neli’ edizione che ne fece l’impresario, trovo
che
Ricimero partiva prima, e restava per un poco Alm
se nella rappresentazione. Parve forse allo stesso maestro di musica,
che
dopo un duetto di passione, poteva giovar poco la
Ecco il terzo cambiamento dell’autore. Vide forse con rincrescimento
che
nel rappresentarsi si tralasciò nella scena sesta
appresentarsi si tralasciò nella scena sesta un altro pezzo di musica
che
dovea cantarsi da Elvira e Ricimero, e lo restitu
Elvira e Ricimero, e lo restituì al suo luogo. E pur qui è manifesto
che
ciò nuocere non poteva alla condotta del dramma.
sto che ciò nuocere non poteva alla condotta del dramma. Il Calsabigi
che
dovea intendere la pratica del teatro, poteva rif
el suo dramma, in cui la parte di Ricimero si sostenne da una giovane
che
non avea ancor dato saggio alcuno di eccellenza.
v’è più mondo. Ora tal correzione fatta all’originale giovava anzi
che
noceva alla condotta del dramma; là dove l’aver l
anze di Elvira. 1. Per compiere il numero d’sette peccati mortali,
che
stima il Calsabigi di aver pregiudicato il dramma
lla scena quarta: in prima dopo alcuni acconci sentimenti di Odorico,
che
conchiude così, A quel che chiedo Troppo br
alcuni acconci sentimenti di Odorico, che conchiude così, A quel
che
chiedo Troppo breve ritardo, il sentimento Pi
. . . morirò fra poco, nell’originale seguiva un’ aria di Odorico,
che
il leggitore ben può vedere nel libro quanto foss
rimessa. II dopo 18 versi di recitativo di Elvira di giusti concetti,
che
però pur si doveano restrignere attendendo allo s
ostinato, come volle mostrarsi rimettendo nel dramma tali superfluità
che
annojano sempre in ogni luogo, e più sul finire.
opera mitologica intitolata il Giudizio di Paride, della quale è fama
che
il Poeta Cesareo chiesto del suo avviso, affermò
esareo chiesto del suo avviso, affermò con acconcio ed urbano scherzo
che
vi si rappresentavano tutti i novissimi eccetto i
298, lin. 7, dopo le parole, e passeggia onorato, si tolgano le linee
che
seguono, e si dica.
un intelligente funzionario dell’amministrazione del Regno di Napoli
che
conosceva e amava il teatro da appassionato dilet
nosceva e amava il teatro da appassionato dilettante2. Il trattatello
che
ora si ripubblica annotato — per un terzo è stori
itante — si raccomanda soprattutto come manifesto di quei riformatori
che
volevano veder rinnovata l’opera al momento del d
unto qualche riserva sulla cultura letteraria di Planelli: «mi sembra
che
abbia poco felicemente indagati i distintivi fra
a poco felicemente indagati i distintivi fra l’Opera e la tragedia, e
che
non venga dato gran luogo alla critica e molto me
olto meno alla storia, ond’è ch’ei ci lascia a desiderare sì nell’una
che
nell’altra» 3. Di letteratura Planelli s’era in r
(per esempio, qualche bello spunto sull’entusiasmo, o furore, poetico
che
anticipa idee espresse in Italia da Bettinelli e
icipa idee espresse in Italia da Bettinelli e da altri)5. Ma Arteaga (
che
per altro aveva idee sul teatro molto diverse da
rapporto con l’esperienza teatrale del passato prossimo o remoto. Ciò
che
a Planelli non difettava era la chiarezza analiti
e del cronista e del critico. Non usava la brillante maniera satirica
che
era stata, a inizio Settecento, di Benedetto Marc
i mettere ordine, di proporre razionali correttivi a una forma d’arte
che
come nessun’altra obbligava — e obbliga — alla co
lvolta un po’ pedantesco del libro, il tratto didascalico del maestro
che
argomenta e ripete i propri argomenti, quasi nel
essere stato ben inteso. C’è del resto un intento civile in Planelli,
che
pochi anni dopo, da buon massone (per altro ascri
edini del governo: secondo gli ideali di quell’assolutismo illuminato
che
proprio a Napoli avrebbe poi clamorosamente tradi
ione ricorrono spesso sotto la penna di Planelli, fermamente convinto
che
«il poeta, non meno che l’oratore e ‘l cristiano
tto la penna di Planelli, fermamente convinto che «il poeta, non meno
che
l’oratore e ‘l cristiano filosofo, debbono essere
mi sentii inondar l’animo da un maraviglioso piacere, in considerando
che
mentre in questa estrema parte d’Europa io stende
La sinfonia d’apertura? « Per quanto diversi tra loro sieno i drammi,
che
voi prendete a mettere sotto le note, tutte le si
drammi, che voi prendete a mettere sotto le note, tutte le sinfonie,
che
a quelli servono d’apertura, sono sempre battute
al noia non procede dalla natura di questo stile, ma dal poco studio,
che
fanno sopra di esso i moderni maestri di cappella
ro rapporto con la musica in realtà s’ignorava quasi tutto), è logico
che
Planelli guardasse al recitar-cantando di Jacopo
er musica primo-secentesche, raccomandando al compositore d’osservare
che
«nel ragionare non solamente ad ogni parola noi a
a, in definitiva alla naturalezza del linguaggio: «la poca attenzione
che
i compositori danno al metro delle sillabe, non s
ttenzione che i compositori danno al metro delle sillabe, non solo fa
che
la lor musica distrugga ogni poetica armonia, ma
n solo fa che la lor musica distrugga ogni poetica armonia, ma ancora
che
trasformi i termini; obbligando talvolta a dire a
unziare sì fattamente le parole, ch’egli ha più bisogno d’interprete,
che
se cantasse un’ aria tartara o moresca» (III.III.
cato alcuno, e tal altra prende un significato tutto opposto a quello
che
hanno le medesime parole nell’ordine, che ad esse
cato tutto opposto a quello che hanno le medesime parole nell’ordine,
che
ad esse assegnò il poeta» (III.III.18); di nuovo,
ttatore sdegna in sentire il maestro di cappella far del poeta. Senza
che
, tali aggiunzioni distruggono la misura de’ versi
aveva avuto qualche torto in quella sorta di degenerazione edonistica
che
era diventato, a giudizio di Planelli, lo spettac
VII.13). Troppo innaturale pareva a D’Alembert, e a Planelli con lui,
che
l’appassionato Arbace, accusato ingiustamente e c
Planelli con lui, che l’appassionato Arbace, accusato ingiustamente e
che
si crede vicino a morte, si mettesse a notomizzar
pollose circollocuzioni, chi potrebbe contener le risa, e non direbbe
che
quel linguaggio tradisce chi l’adopera, dimostran
pera, dimostrando ch’egli non ha il cuore occupato da quella passione
che
vuol fingere con noi?» (II.VII.22). L’inverosimig
vuol fingere con noi?» (II.VII.22). L’inverosimiglianza rimaneva più
che
mai il peccato originale da combattere a teatro:
re la guida della Ragione e della Natura, queste due inseparabili dèe
che
vegliano sul buon gusto settecentesco. Si capisce
o cimbalo. In quel luogo una imparaticcia cantilena piacerà più assai
che
un capolavoro di musica teatrale: siccome a chi n
un capolavoro di musica teatrale: siccome a chi ne’ colori non cerca
che
l’armonia, darà più diletto una ben colorita buss
ri non cerca che l’armonia, darà più diletto una ben colorita bussola
che
un quadro di Raffaello. I colori di Raffaello e l
ne. Solo allora si può giudicare se più diletti una bussola ben tinta
che
una tela animata dal pennello d’Urbino» (III.III.
tto portavoce di un clima culturale, di un diffuso mutamento di gusto
che
non era soltanto napoletano (Calzabigi visse del
imostrò grato, nella verbosa Risposta all’Arteaga, a Planelli). Si sa
che
il nuovo secolo, l’Ottocento del belcanto, avrebb
rodigiosamente melodica affabilità di Rossini e dei suoi seguaci: ciò
che
appartiene evidentemente a un’altra storia. Il li
l gusto e favorire la scostumatezza, ch’è la più deplorabile sventura
che
possa avvenire a uno stato» (Prefazione, 6). A so
moni, come l’Addisson compose il suo Catone per occasione de’ torbidi
che
allora agitavano l’Inghilterra», VII.III.15), tra
ni (singolarmente si tace invece dell’Orfeo di Monteverdi e Striggio,
che
è il primo riconosciuto capolavoro del genere). T
Striggio, che è il primo riconosciuto capolavoro del genere). Tipico
che
Planelli ritenga che il melodramma appena inventa
rimo riconosciuto capolavoro del genere). Tipico che Planelli ritenga
che
il melodramma appena inventato rischiasse subito
on potea però l’opera in musica conservar lungo tempo quella bellezza
che
sortita avea nelle mani del Rinuccini e del Peri:
ettacolo non contribuì solo l’infelicità di quel secolo, ma in oltre (
che
è più sorprendente) il progresso fatto, come dice
o per modo colla loro vaghezza il gusto dagl’incauti nostri maggiori,
che
si cominciò a poco a poco a non esigere dall’oper
ori, che si cominciò a poco a poco a non esigere dall’opera in musica
che
comparse, decorazioni e macchine; poca attenzione
I.5): «il nostro spettacolo sarà perfetto, quando tutte le discipline
che
lo compongono concorreranno al fine del melodramm
na volta guidato dagli aristotelici «compassione» e «terrore», «posto
che
quella poesia al genere tragico appartenga» (il c
«terrore», «posto che quella poesia al genere tragico appartenga» (il
che
non sempre a Planelli pare vero)9. Come per le al
avrebbe presentata l’opportunità di provare quel dilicato sentimento
che
ha l’uomo nel prender parte alla disavventura d’u
anatomopatologo inglese di scuola cartesiana Thomas Willis. Supposto
che
esista una specifica sede nervosa delle passioni,
o destinate a risuonare come altrettante corde di uno strumento (quel
che
ai bruti, in ragione della differente ‘macchina’,
china. Dunque i nostri nervi hanno anch’essi un tuono determinato, o,
che
vale il medesimo, sono disposti a un determinato
a un determinato suono» (III.I.9). In ogni modo, Planelli è convinto
che
la musica moderna abbia portato l’espressione art
i strumenti incapaci di superare le tre ottave): «È chiaro — glossa —
che
una musica, la quale di tali invenzioni faccia bu
zioni faccia buon uso, arricchirà il suo estetico ben più agevolmente
che
un’altra, la quale non abbia potuto trarne profit
rni e della loro grande sapienza formale. Planelli è infatti convinto
che
gli antichi sapessero interpretare il patetico mu
nda medesima farebbe oggi contorcere il più valente maestro di musica
che
s’abbia l’Italia: vedendo noi spesse volte un’ari
te un’aria, per esempio composta nel modo minore d’effaut [fa minore]
che
prima ci era stata cantata nel maggiore d’ellamì
rima ci era stata cantata nel maggiore d’ellamì [mi maggiore], e una,
che
fu parlante, divenire aria di gorgheggio, e quell
iore], e una, che fu parlante, divenire aria di gorgheggio, e quella,
che
altra volta tardamente procedea guidata dalla fle
te voi un potentissimo specifico per togliere ogni forza a qual canto
che
sperimentate più energico? Disseminatevi una comp
ica vocale. Poiché uffizio di questa è di dare tal forza alla parola,
che
l’idea a questa unita sia vivamente riprodotta ne
più ansiosamente cerca di penetrare lo stato dell’animo di personaggi
che
l’interessano, sente cominciare quel lungo sbadig
moti del corpo e colla modificazione della voce, i diversi sentimenti
che
si vogliono comunicare ad altrui» (il termine equ
a evidentemente di precetti rivolti al cantante in quanto attore; ciò
che
può sorprenderci oggi è l’additata prossimità all
sione, proprio come al Cicerone amico del mimus Roscio o al Demostene
che
chiedeva consigli all’istrione Satiro. Ma cosa ha
a cosa ha in comune un’arringa con un’aria o con un recitativo? Forse
che
l’arte deve convincere, prima di illudere e commu
ragione sì notabili abusi. Ora io ardisco di pronunziar francamente,
che
per qualunque forza sovrana tali abusi non cesser
l caso del gesto «affettivo», «ch’è il più nobile, il più eloquente e
che
fa il trionfo d’un discorso, imprimendolo con for
muto», cioè senza parole: «il saper ben tacere è più difficile assai
che
il parlar bene; e però non è maraviglia, che meno
re è più difficile assai che il parlar bene; e però non è maraviglia,
che
meno persone il sappiano fare» (IV.II.10). Da qui
mpresari poco pensiero si danno delle ultime parti. Onde poi avviene,
che
quando la scena non è occupata da’ primi attori,
far sentire il numero della poesia, e non dar nel farnetico d’alcuni,
che
si affannano a credenza, per estinguere ogni sent
aveva detto d’aver intonato «un pezzo della gazzetta corrente, senza
che
persona se ne avvedesse»…). Qui il critico cita a
i andassero contro il trionfo del fasto vocale, irrelato dall’azione,
che
era ancora proprio dell’età metastasiana; e natur
o comandare, adirarsi o ripigliare, mandano fuori una voce femminile,
che
in quell’incontro muove non a timore, ma a riso.
ari delle nostre scene dispongono del destin della terra con una voce
che
muove invidia nelle italiane fanciulle (IV.II.17)
i (ne La musica, 1769): «Aborro in su la scena / un canoro elefante /
che
si strascina a pena / su le adipose piante, / e m
/ e manda per gran foce / di bocca un fil di voce». Ma è una censura
che
troverà ancora a lungo nel pubblico un’ostinata r
secondo i canoni di Planelli, non doveva invece contraddire la realtà
che
il pubblico avrebbe ritrovato, una volta uscito d
sa le solite raccomandazioni: «una galleria va caratterizzata in modo
che
non sia presa per un tempio, né una carcere senta
n Egitto, l’architettura non sia gotica, gli arredi non paiano quelli
che
ci vengono d’Inghilterra, i ritratti e le statue
nelli vien bene citare l’aneddoto sul pittore secentesco Andrea Pozzo
che
«nel dipingere una cupola avea […] sostenute con
e «nel dipingere una cupola avea […] sostenute con mensole le colonne
che
figuravano di reggere questa cupola. Alcuni archi
I.8). Un po’ meno stretto Planelli si mostra in fatto di decorazioni,
che
considera anzi necessarie nel dettagliare l’ambie
etria de’ loro giardini, negli adobbi delle loro abitazioni, hanno di
che
adornare con novità le nostre scene» (V.II.10). A
: «il patetico della danza consiste nell’imitazione di que’ movimenti
che
noi facciamo, qualora da alcuna passione siam pos
una volta al poeta spettava la funzione di guida: Planelli chiedeva «
che
la composizione del ballo teatrale fosse addossat
, ma al poeta, assistito bensì dal primo» (VI.II.5). A chi sospettava
che
una troppo stretta connessione tra ballo e azione
pondeva a sua volta con una domanda: «chi è preso da sì fatto dubbio,
che
mai direbbe, se vedesse in un medesimo quadro da
into Alessandro inteso a militari imprese, e dall’altra un Arlecchino
che
sia tutto in sul trastullare, senza che il pittor
e, e dall’altra un Arlecchino che sia tutto in sul trastullare, senza
che
il pittore abbia messa veruna connessione tra que
a veruna connessione tra questi due personaggi?» (VI.II.7: si ricordi
che
Planelli condanna senza esitazione l’uso delle ma
queste pagine, insieme a quello del poeta e storico Louis de Cahusac,
che
aveva tra l’altro riscoperto e fatto tradurre il
troppo?» (VI.III.1) si chiedeva fintamente stupito Planelli. Iperbole
che
sconfina nell’utopia, non però mai scompagnata da
dò ad alta voce quando Ettore fosse per uscire, giacché colui non era
che
Astianatte» (VI.III.5). Potrà stupire che questa
cire, giacché colui non era che Astianatte» (VI.III.5). Potrà stupire
che
questa fitta messe di osservazioni teoriche e pra
lanelli veste i panni di un censore, naturalmente benevolo e accorto,
che
in primo luogo raccomanda una lettura preventiva
ttura preventiva del «libricciuolo» (il libretto): «procurerà in esso
che
i personaggi non parlino troppo della divinità, n
al direttore e all’impresario di allontanare dal teatro ogni persona
che
possa pregiudicare la moralità degli spettacoli.
persona che possa pregiudicare la moralità degli spettacoli. È tipico
che
a questo punto del libro Planelli stenda lunghe n
richiamare passi di padri della Chiesa e di moderni prelati e vescovi
che
avevano assolto, o almeno non condannato, il teat
a metà Settecento il partito dei rigoristi, ispirato a un giansenismo
che
s’era rafforzato anche grazie alla crisi dei gesu
autorevole esponente di tale partito, il domenicano Daniele Concina,
che
per il suo De spectaculis theatralibus (1752) s’e
o di Concina). Erano ormai passati vent’anni, eppure Planelli credeva
che
a Napoli quei discorsi in difesa degli attori e d
va (ha ipotizzato Degrada)12 a una carica di sovrintendente teatrale,
che
non gli fu invece mai assegnata. Sia come sia, l’
e teatrale, che non gli fu invece mai assegnata. Sia come sia, l’idea
che
la letteratura e la musica dovessero riformare i
i del trattatello, per esempio quando si cita il Maometto di Voltaire
che
«rilevò tutte le funeste conseguenze» dell’ipocri
derni, Molière e La Bruyère) e persino, con più prudenza, dei romanzi
che
«contengono delicatissime analisi del cuore umano
un teatro si rivolge ancor più paternalisticamente: occorre, osserva,
che
«il popolo non si accorga che si cerchi anzi d’is
paternalisticamente: occorre, osserva, che «il popolo non si accorga
che
si cerchi anzi d’istruirlo che di dargli solazzo»
osserva, che «il popolo non si accorga che si cerchi anzi d’istruirlo
che
di dargli solazzo» (VII.III.19). Medicina antica,
(VII.III.19). Medicina antica, strategia accorta di controllo sociale
che
piacque e piacerà a molti, prima, durante e dopo
[Pref.1] Sono gli spettacoli oggetti tenuissimi agli occhi del volgo,
che
non discerne in essi che il divertimento e ‘l sol
oli oggetti tenuissimi agli occhi del volgo, che non discerne in essi
che
il divertimento e ‘l solazzo: sono agli occhi d’u
ché queste piacevoli facultà occupano il mezzo di quell’aurea catena,
che
connette le arti meccaniche colle più sublimi sci
meccaniche colle più sublimi scienze; dalla qual connessione procede
che
dove ben s’intenda la pittura, la scultura, l’arc
trovino eccellenti fabbri e tessitori, e là fiorisca pure un Viviani
che
ardisca indovinare i massimi e minimi d’Apollonio
i che ardisca indovinare i massimi e minimi d’Apollonio, e un Galilei
che
ci riveli i secreti degli astri. [Pref.3] Molto
ede la suprema ispezione de’ teatri di questa mia patria, come quegli
che
veglia diligentemente sulla direzion del costume,
to della sovranità, e allontana da’ teatri qualunque rappresentazione
che
contaminar possa l’animo de’ cittadini, siccome r
lle cognizioni e sul costume delle nazioni, egli sarebbe desiderabile
che
quegli scrittori, i quali prendono a dichiarar le
ori, i quali prendono a dichiarar le leggi di quelle rappresentazioni
che
più hanno voga ne’ lor paesi, avessero in mira qu
voga ne’ lor paesi, avessero in mira questi due grandi oggetti. E da
che
oggi in Europa, e particolarmente in Italia, l’op
ttacolo dominante, perciò io spesse volte ho meco medesimo desiderato
che
gl’Italiani scrittori, rifinando oggimai di ripet
rato che gl’Italiani scrittori, rifinando oggimai di ripeterci quello
che
tante volte e da tanti secoli ci è stato insegnat
a antica, della commedia, del dramma rusticale, e d’altrettali drammi
che
oggi l’Italia così non gusta come altra volta fac
dichiararci nel modo indicato le leggi di questo dominante spettacolo
che
quasi solo occupa da lungo tempo i nostri teatri
l soccorso delle belle arti, perciò riesce più malagevole ad eseguire
che
qualunque de’ mentovati, e più di qualunque altro
ro del nome dell’autor suo) del quale avendo io fatto tutto quell’uso
che
mi è convenuto, qui anticipatamente lo attesto. [
musica propriamente detta cioè alla tragedia musicale, essendo tali,
che
si possono di leggieri adattare alla commedia in
l gusto e favorire la scostumatezza, ch’è la più deplorabile sventura
che
possa avvenire a uno stato. [Pref.7] So nondimen
ura che possa avvenire a uno stato. [Pref.7] So nondimeno per pruova
che
a dirigere a un tale scopo le leggi dell’opera in
i fa di mestieri una varietà tale e una tal profondità di cognizioni,
che
invano si cercherebbero in uno che, come io, abbi
una tal profondità di cognizioni, che invano si cercherebbero in uno
che
, come io, abbia sperimentate nel suo nascere avve
d’aver dato nel segno propostomi, io non destino il presente trattato
che
a risvegliare i sovrani ingegni d’Italia e a indi
put. Cap. Maj. S. R. M. [Imprim.2] Non so se universalmente sia noto
che
i Greci voleano che coloro i quali amavano scrive
M. [Imprim.2] Non so se universalmente sia noto che i Greci voleano
che
coloro i quali amavano scrivere non fossero ἀγεωμ
fossero ἀγεωμέτρητοι, ἄμουσοι, ἀθεώρητοι; queste tre sì sublimi doti (
che
in ispiegarsi in altra lingua languiscono), io co
μετρητάτη, μουσικωτάτη, θεωρητοτάτη ed in una voce originale. E piace
che
in tutto l’egregio trattato de per maestri i Grec
che in tutto l’egregio trattato de per maestri i Greci. Si desiderava
che
in nostra stagione una n’uscisse di sì gran pregi
in nostra stagione una n’uscisse di sì gran pregio, dolendosi ognuno
che
colle stampe vedeansi libri da altri autori infel
erudizione tutta scelta e la scolpita onestà. Il pubblico, son certo,
che
a tutte queste sì belle doti farà plauso. V. M. c
i abusi, e l’ignoranze correnti ne’ modi, ed esercizi di quelle arti,
che
, a fornir con magnificenza e decoro, e con qualch
ilosofico aspetto di novità, formato come una instituzione universale
che
sola bastar potrebbe ad informar con diritto lume
intero purgamento da ogni disordine in tali pericolosi uffizi e’ pare
che
si convenga aspettarlo dal solo Iddio. Io sono Al
ndò a noi monumenti bastevoli a determinare sì fatta epoca. Quel solo
che
con maggior franchezza possa asserirsi, è che il
fatta epoca. Quel solo che con maggior franchezza possa asserirsi, è
che
il suo uso è antichissimo. [Sez.I.1.0.2] In effe
di molta antichità) descrivendo l’antico teatro de’ milanesi, attesta
che
in quello erano da istrioni cantate avventure di
quello erano da istrioni cantate avventure di principi e di grandi; e
che
terminato il canto, si dava principio alla danza,
me dicemmo, di decentemente rappresentare questa sacra tragedia, pare
che
tali rappresentazioni fossero nate anche prima di
tali rappresentazioni fossero nate anche prima di sua fondazione. Il
che
tanto è più probabile, quanto che tra coloro, che
e anche prima di sua fondazione. Il che tanto è più probabile, quanto
che
tra coloro, che dell’istituto di tal confraternit
sua fondazione. Il che tanto è più probabile, quanto che tra coloro,
che
dell’istituto di tal confraternita fecero menzion
ascrisse alla medesima l’invenzione di quelle sacre rappresentazioni
che
in breve si diffusero per tutto il mondo cristian
ntate da Buonamico Buffalmacco20. E il Villani espressamente attesta,
che
per antico aveano in costume quelli di Borgo San
1304 nol lasciarono scritto i mentovati storici. Il Cionacci21 crede
che
fosse stato il Teofilo, o piuttosto il Lazzero ri
i l’uno e l’altro. [Sez.I.1.0.6] Il Crescimbeni22 al contrario stima
che
, quale che fosse stato quel dramma, dovette esser
’altro. [Sez.I.1.0.6] Il Crescimbeni22 al contrario stima che, quale
che
fosse stato quel dramma, dovette essere di profan
a, dovette essere di profano argomento. [Sez.I.1.0.7] È dunque chiaro
che
fino da’ più rimoti tempi furono usate in Italia
i furono usate in Italia le opere in musica. Forse anzi esse non sono
che
una continuazione dell’antica tragedia; continuaz
te cantati, siccome il Cionacci apertamente dimostra24. Ciò nondimeno
che
principalmente vi si distinguea, erano le suntuos
, e i più abili artefici venivano a tal effetto impiegati25: per modo
che
a questi spettacoli dobbiamo soprattutto ascriver
questi spettacoli dobbiamo soprattutto ascrivere i mirabili progressi
che
la musica, la pittura, l’architettura, la meccani
ra noi, come osserva il prenominato Cionacci. [Sez.I.1.0.9] Quindi è
che
a misura che queste facultà andavano racquistando
osserva il prenominato Cionacci. [Sez.I.1.0.9] Quindi è che a misura
che
queste facultà andavano racquistando in Italia l’
eva in quel secolo l’opera in musica, vien somministrata dalla festa,
che
nel 1489 fu celebrata da Bergonzo Botta, gentiluo
gl’illustri sposi, diede in quel genere uno spettacolo sì magnifico,
che
la descrizione, che ne fu publicata, sorprese l’E
diede in quel genere uno spettacolo sì magnifico, che la descrizione,
che
ne fu publicata, sorprese l’Europa28. La poesia,
a meccanica, la danza, fecero di sé tanta mostra in quella occasione,
che
gli autori dell’Encyclopédie 29 in questo spettac
abilissimi letterati, non ben si apponessero, chiaro apparisce da ciò
che
sulla storia di questo spettacolo si è da noi fin
presentato dal Botta, potea fargli accorti non esser quello il primo
che
l’Italia vedesse. Niuna opera dell’arte comparisc
ando al XVI secolo, troviamo il nome di parecchi maestri di cappella,
che
si segnalarono nella musica de’ melodrammi. Tra’
cappella, che si segnalarono nella musica de’ melodrammi. Tra’ primi
che
in quel secolo si distinguessero, fu Alfonso dall
e in quel secolo si distinguessero, fu Alfonso dalla Viola Ferrarese,
che
verso il 1555 fece la musica al Sacrifizio, dramm
Ma io non ho saputo chiarirmi se egli ponesse mai sotto le note altro
che
intermedi, de’ quali parecchi ne compose. Tra que
e’ quali parecchi ne compose. Tra questi, uno più all’opera in musica
che
a qualunque altro genere di drammatica azione fu
divisione in cinque parti, o vogliam dire atti, e per gli personaggi,
che
tutti erano o deità o semidei, e finalmente per l
pagnamento di splendidissime decorazioni31. A questo intermedio però (
che
fu frapposto nell’Amico Fido, commedia di Giovann
ell’intermedio compose. [Sez.I.1.0.14] Un altro maestro di cappella,
che
in quel secolo fiorisse nella musica teatrale, fu
be in quel secolo Orazio Vecchi, poeta insieme e maestro di cappella,
che
si distinse nella musica teatrale. Nel 1597 uscì
e il Vecchi stato il primo ad unir la musica a’ drammi33. Ognun vede,
che
quel primo è uno di quegli esagerati elogi onde i
i viventi sogliono esser prodighi co’ morti. [Sez.I.1.0.16] Ma colui
che
sopra ciascun altro si rendé celebre in quel seco
parte di sua coltura) attendere quest’ultimo dramma quella regolarità
che
tuttor gli mancava. Sul cadere adunque del sedice
ominato Giovanni de’ Bardi, Pietro Strozzi e Jacopo Corsi, conoscendo
che
i melodrammi allora usati molto si allontanavano
ini alle istanze de’ suoi amici, compose il primo melodramma regolare
che
l’Italia vedesse, intitolato la Dafne. Ciò fatto,
estro di cappella fiorentino, a mettere quel dramma sotto le note; il
che
questi fece nel 1597 nel qual anno medesimo fu la
anto applauso dagl’Italiani, competenti giudici delle opere di gusto,
che
di somigliante conio molti altri se ne videro in
on pochi uomini di lettere celebrano il Rinuccini come inventore, non
che
perfezionatore de’ melodrammi: chiamandosi anche
o avuto per inventore del sistema copernicano; perciocché, nonostante
che
un tal sistema fosse venuto in mente a’ più antic
più antichi filosofi, quell’astronomo fu il primo a provarlo in modo
che
soddisfacesse. In questo senso ancora l’Harvey è
on potea però l’opera in musica conservar lungo tempo quella bellezza
che
sortita avea nelle mani del Rinuccini e del Peri:
ettacolo non contribuì solo l’infelicità di quel secolo, ma in oltre (
che
è più sorprendente) il progresso fatto, come dice
o per modo colla loro vaghezza il gusto dagl’incauti nostri maggiori,
che
si cominciò a poco a poco a non esigere dall’oper
ori, che si cominciò a poco a poco a non esigere dall’opera in musica
che
comparse, decorazioni e macchine; poca attenzione
o il corso del secolo decimosettimo, durante il quale ella non fu più
che
uno spettacolo de’ sensi. In tale stato brillò pr
reontiche stanze. [Sez.I.1.0.22] Ma dell’aurora del corrente secolo,
che
secondo un valentuomo può chiamarsi quello del bu
i quello del buon gusto, cominciarono a distinguersi i grandi ingegni
che
doveano restituire quella poesia alla sua antica
i valenti poeti, seguirono le vestigia medesime. Ma quegli, a cui più
che
a qualunque altro è debitrice l’opera in musica,
stro ma moderato uso delle decorazioni, ha ristorata la poesia di ciò
che
nello scorso secolo perduto avea ed ha recata l’o
’anzi, uno spettacolo de’ sensi, essa ritenne oltremonti que’ difetti
che
contratti avea nel suo paese natio. Cap. II. D
storia esposta nel capo antecedente si è potuto agevolmente ritrarre
che
il secolo presente è uno de’ più felici per l’ope
e medesimo. Così perfetta diciamo una macchina, se ciascuno de’ pezzi
che
la compongono tenda a quella funzione a cui la ma
nza. Perché dunque l’opera in musica possa dirsi perfetta e bella (da
che
bellezza non è dove non è perfezione) conviene ch
rfetta e bella (da che bellezza non è dove non è perfezione) conviene
che
tutte queste facultà talmente concorrano a un fin
ncorrano a un fine medesimo, ch’esse compongano un solo tutto: atteso
che
, siccome il Casa con eleganza e da filosofo scris
Per soddisfare adeguatamente a così fatta dimanda, si vuol riflettere
che
la parte predominante di questo spettacolo è quel
la parte predominante di questo spettacolo è quella della poesia. Il
che
è sì vero, che tra tutte le altre facultà da noi
minante di questo spettacolo è quella della poesia. Il che è sì vero,
che
tra tutte le altre facultà da noi annoverate non
ro, che tra tutte le altre facultà da noi annoverate non ce ne ha una
che
non sia stata ammessa, a solo oggetto di dar mano
a a questa aggiugnendo, sono destinate a soccorrerla e sostenerla. Il
che
essendo assai aperto si vede che tutte le altre d
inate a soccorrerla e sostenerla. Il che essendo assai aperto si vede
che
tutte le altre debbono seguire il cammino di quel
to si vede che tutte le altre debbono seguire il cammino di quella, e
che
il fine a tutte comune è quello stesso a cui tend
dunque il nostro spettacolo sarà perfetto, quando tutte le discipline
che
lo compongono concorreranno al fine del melodramm
no al fine del melodramma. Né io parlo solamente del fine principale,
che
sarebbe il muovere a compassione e a terrore, pos
e principale, che sarebbe il muovere a compassione e a terrore, posto
che
quella poesia al genere tragico appartenga; ma be
al terrore, tendendo alcune alla mozione di tale o tal altro affetto,
che
dal poeta sia stato subordinato al principale. E
o spettacolo, e a questo paragone vanno esaminate tutte le discipline
che
concorrono a formarlo. Ora appartenendo esse tutt
rle in modo ch’esse facciano in questo spettacolo il più bell’effetto
che
attenderne si possa, è necessario il dar prima un
nerale, e discender poi a considerare partitamente ciascuna di quelle
che
nell’opera in musica vengono impiegate. Cap. I
e la danza, colle loro spezie. Si faccia attenzione a qualunque opera
che
a queste facultà s’appartenga; né si durerà fatic
ra che a queste facultà s’appartenga; né si durerà fatica a penetrare
che
esse tutte sono intese a svegliare alcuna delle n
tutte sono intese a svegliare alcuna delle nostre passioni; e quelle
che
ad altro mirano impropriamente il nome di queste
lla poesia didascalica si da il nome di poesia: poiché non contenendo
che
la storia o i dommi di qualche scienza o mestiere
stiere, non al cuore, ma all’intendimento ragiona, e di poesia non ha
che
la bellezza esteriore che ne usurpa: come un ritr
ll’intendimento ragiona, e di poesia non ha che la bellezza esteriore
che
ne usurpa: come un ritratto, a cui si attribuisce
de imita l’esteriori fattezze. Così ancora quella parte d’un’orazione
che
comprende le pruove, non è propriamente un pezzo
dire, ma da quelli di ben ragionare è regolata; e d’eloquenza non ha
che
le materiali sembianze. Il nome d’eloquente è pro
embianze. Il nome d’eloquente è propriamente riserbato a quella parte
che
tende a muovere i nostri affetti: e quando noi ce
agione ch’esse procurano d’insinuarsi col mezzo del piacere sensibile
che
a noi viene da quelle bellezze, di cui è giudice
zi concepite dallo spirito umano nel tumulto delle passioni. Un uomo,
che
la perdita d’una persona cara rende infelice, men
oggetto, per arrestarlo come può e resistere a suo potere al destino
che
da lui lo divide, si pone a ritrarne i lineamenti
ttura e alla scultura. Spaventato un altro dall’inclemenza del cielo,
che
in mezzo allo strepito de’ tuoni rovescia una fur
maggior risalto a queste voci, vi aggiungono il suono di certi corpi,
che
l’accidente ha fatto conoscere per sonori. Altri
e ha fatto conoscere per sonori. Altri spiega la sua gioia con parole
che
il suo trasporto rende enfatiche e sublimi, e che
ua gioia con parole che il suo trasporto rende enfatiche e sublimi, e
che
la cadenza di que’ suoni induce a suggettare alla
passioni, ma né pure possono essere esercitate se non da uno spirito
che
da questa attualmente sia posseduto. Infatti il f
tusiasmo, di cui ciascuna opera di tali arti ha bisogno, non consiste
che
in un movimento di passione35. [Sez.I.3.1.3] Le p
ler l’uomo quando voglia propagare in altrui la propria passione. Dal
che
si può comprendere quanto importante sia la cogni
comprendere quanto importante sia la cognizione di queste facultà, e
che
essa costituisce una delle più utili e insieme pi
ere, mercecché tutti i vantaggi e i piaceri (e sono pure grandissimi)
che
reca egli uomini la società dipendono dall’arte d
’arte di propagare in altrui i propri sentimenti. § II. Differenza
che
passa tra esse [Sez.I.3.2.1] Uno adunque è il
, per comunicar l’un l’altro i propri pensieri. E queste due facultà,
che
sotto il nome comune di belle lettere van d’ordin
omune di belle lettere van d’ordinario, in ciò differiscono tra esse,
che
la poesia parla uno straordinario linguaggio e lo
ima i sensi, esse a questi diriggono i loro primi attacchi. Quindi è,
che
qualora io ascolto una poetica composizione, il p
diverso, ed è un movimento di compassione, di riso, o d’altro affetto
che
sento sollevarmi nell’animo. Parimente un’opera d
animo. Parimente un’opera d’architettura cogli ornati e colle misure,
che
osserva nelle parti e nell’insieme, desta nell’oc
tenerezza, a riverenza o ad altra passione corrispondente alla figura
che
imita. Ciò nondimeno che in ciascuna di queste di
ad altra passione corrispondente alla figura che imita. Ciò nondimeno
che
in ciascuna di queste discipline è destinato al p
in ciascuna di queste discipline è destinato al piacere de’ sensi, e
che
da noi sarà per brevità chiamato l’estetico di ta
r brevità chiamato l’estetico di tali discipline, è tutt’altro da ciò
che
si adopera al movimento degli affetti, e che noi
ine, è tutt’altro da ciò che si adopera al movimento degli affetti, e
che
noi il patetico diremo di quelle. Non era la sono
oi il patetico diremo di quelle. Non era la sonorità del verso quella
che
facea piangere S. Agostino nella lettura del quar
e adoperano per muovere i nostri affetti. Entriam ora ad esaminare in
che
l’uno e l’altro consista. § IV. In che consist
Entriam ora ad esaminare in che l’uno e l’altro consista. § IV. In
che
consista l’estetico delle belle arti [Sez.I.3.
Abbiamo già definito l’estetico delle belle arti per quello artifizio
che
adoperano a fine di piacere a’ nostri sensi. Or c
questo artifizio nella simmetria ch’esse mettono nelle opere loro: il
che
esser vero, chiaro apparirà quando della simmetri
formata una distinta nozione. Simmetria dunque è la ragione evidente
che
le parti hanno alle altre parti o al tutto. E rag
ppo minute. Chi ha infatti un occhio acuto abbastanza, per discernere
che
un piccolo grano di sabbia sia il doppio d’un alt
e, come fa se paragoni la statura d’un uomo con quella d’un fanciullo
che
sia alla metà del primo? O chi ha sì fino orecchi
di quanto il suo pino sia più alto d’un basto arbusto, come distingue
che
un giovane pino è già al terzo del pino antico. E
scema per conseguenza la bellezza della loro simmetria. Onde avviene
che
la simmetria più aggradevole allo spirito è quell
. Onde avviene che la simmetria più aggradevole allo spirito è quella
che
si trova tra grandezze eguali, o vogliam dire tra
uella che si trova tra grandezze eguali, o vogliam dire tra grandezze
che
in ragione d’uguaglianza sieno tra loro. Dopo di
guaglianza sieno tra loro. Dopo di questa la più aggradevole è quella
che
hanno due grandezze, l’una delle quali sia una o
ore dell’altra, come il doppio, il triplo, il quadruplo ecc., ragione
che
i matematici chiamano multiplice, e in ispezie ra
zie ragione doppia, tripla, quadrupla ecc. Quella simmetria nondimeno
che
nascerà dalla ragione doppia, sarà più piacevole
dimeno che nascerà dalla ragione doppia, sarà più piacevole di quella
che
dalla tripla, e questa più della seguente, e così
ò tanto più anch’essa s’allontana dalla seconda regola, la qual vuole
che
si adoperino grandezze non troppo ineguali. Vien
si adoperino grandezze non troppo ineguali. Vien poi quella simmetria
che
si trova fra due grandezze, l’una delle quali sup
medesima seconda regola la simmetria riuscirà più dolce tra 1 ½, e 1
che
tra 1 ⅓ e 1, e più tra queste, che tra 1 ¼ e 1, e
ia riuscirà più dolce tra 1 ½, e 1 che tra 1 ⅓ e 1, e più tra queste,
che
tra 1 ¼ e 1, e così via via. La qual ragione è ch
iono essere della medesima acutezza in un uomo, perciò spesso avviene
che
una ragione, la quale è discernevole a un senso,
nso, può essere indiscernevole a un altro senso d’un uomo medesimo, e
che
, esempigrazia, una persona esercitata nell’archit
one d’esercizio, o di natural disposizione; e però avvien non di rado
che
il senso d’un uomo discerne una ragione, che il m
però avvien non di rado che il senso d’un uomo discerne una ragione,
che
il medesimo senso in altro uomo non discerne, e c
erne una ragione, che il medesimo senso in altro uomo non discerne, e
che
da un concerto, per esempio, di musica, l’uno sia
ico delle belle arti consiste appunto, come dicemmo, nella simmetria,
che
danno queste evidenti ragioni. Infatti allora pia
simmetria; né questa facultà insegna altro artifizio egli architetti
che
vogliono render belle le opere loro, se non il do
utte sieno eguali tra loro. Se eguali tra loro sieno ancora lo spazio
che
un occhio divide dall’altro, la larghezza del nas
io, e così discorrendo per gli altri membri, siccome insegnano coloro
che
scrissero della simmetria del corpo umano. Da’ qu
crissero della simmetria del corpo umano. Da’ quali si può apprendere
che
la ragion dominante in questo è quella d’uguaglia
d imitare l’umana bellezza. Perciò non senza ragione insegnò Vitruvio
che
un edificio deve offerire all’occhio quella medes
io che un edificio deve offerire all’occhio quella medesima simmetria
che
si osserva nel corpo d’una bella persona: da che
a medesima simmetria che si osserva nel corpo d’una bella persona: da
che
in effetti le più dolci simmetrie sono quelle che
a bella persona: da che in effetti le più dolci simmetrie sono quelle
che
si osservano nelle membra d’un bel corpo. § V.
ono quelle che si osservano nelle membra d’un bel corpo. § V. E in
che
il piacere estetico [Sez.I.3.5.1] Veduto che l
l corpo. § V. E in che il piacere estetico [Sez.I.3.5.1] Veduto
che
la simmetria è l’origine dell’estetico, sì natura
rtifiziale, è ora da dichiarare quanto è in noi l’essenza del piacere
che
da esso ne viene, sembrando, a dir vero, alquanto
piacere che da esso ne viene, sembrando, a dir vero, alquanto strano,
che
dall’accorgimento delle ragioni che passano tra v
ndo, a dir vero, alquanto strano, che dall’accorgimento delle ragioni
che
passano tra varie grandezze, n’abbia l’uomo a ril
isse di definire il piacere in generale, io direi ch’egli altro non è
che
l’appercezione d’un’ idea feconda, cioè d’un’ ide
’un’ idea dalla quale può lo spirito dedurne molte altre; e sì direi,
che
non i soli piaceri intellettuali, ma i sensibili
ofi hanno insegnato, a un tal essere qual altro piacere può convenire
che
l’appercezione, l’accorgimento d’un’ idea che gli
o piacere può convenire che l’appercezione, l’accorgimento d’un’ idea
che
gliene prometta una serie d’altre, e così l’aiuti
ti a secondare la propria natura? E qual altro dolore dar gli si può,
che
quello d’occuparlo d’un’idea sterile, la quale, n
mettere in chiaro questa teoria del piacere in generale, come quella
che
troppo mi distrarrebbe dal mio suggetto. Messala
cere estetico. [Sez.I.3.5.3] Questo piacere consiste nella deduzione
che
fa lo spirito d’una grandezza da quella d’un’ alt
Nell’ascoltare per esempio un poetico verso il mio spirito s’accorge
che
della totalità di quello egli può, se vuole, veni
se vuole, venire in cognizione della grandezza di ciascuno de’ piedi
che
lo compone: perciocché in questo il verso differi
della misura del primo e di tutti i suoi piedi. Al contrario un verso
che
mal suoni gli dispiace, poiché quel mal suono vie
verso che mal suoni gli dispiace, poiché quel mal suono viene da ciò,
che
in quel verso non si sente il numero delle parti,
n quel verso non si sente il numero delle parti, come fa la sonorità,
che
però ne’ versi fu detta anche numero. Quindi lo s
erso il germe, diciam così, d’altre idee, si disgusta d’una sterilità
che
lo condanna all’inazione. Così ancora in un ordin
zione. Così ancora in un ordine d’architettura egli gode in avvedersi
che
ciascuna della parti contiene come in compendio l
a idea come più feconda, più diletterà della prima. Non mi si opponga
che
niuno nel mirare la bellezza sensibile d’un ogget
estetici sono tra loro come la fecondità delle idee. Non vorrei però
che
quindi deducesse taluno, che un’opera tanto più p
la fecondità delle idee. Non vorrei però che quindi deducesse taluno,
che
un’opera tanto più piacerà, quanto più in essa si
anto più piacerà, quanto più in essa si moltiplicherà la simmetria; e
che
però, per non dipartirne dall’arrecato esempio, i
rebbe questa una falsa deduzione; poiché noi già dicemmo sin da prima
che
un’ idea piace ove contenga ragioni evidenti. Or
lasciano d’essere evidenti: perciocché le ragioni evidenti son quelle
che
si discernono agevolmente. Senza che sì fatte ide
é le ragioni evidenti son quelle che si discernono agevolmente. Senza
che
sì fatte idee troppo cariche di simmetrie cagione
ppo cariche di simmetrie cagionerebbero allo spirito della fatica, o,
che
vale il medesimo, del dolore; onde non possono pi
a non sarebbe più grata. [Sez.I.3.5.5] Da sì fatta connessione d’idee
che
l’anima trova nella simmetria avviene che gli ogg
sì fatta connessione d’idee che l’anima trova nella simmetria avviene
che
gli oggetti, in cui la simmetria è osservata, s’i
i, in cui la simmetria è osservata, s’imprimano più facilmente in lei
che
gli altri che ne son senza. Si faccia a un cantan
immetria è osservata, s’imprimano più facilmente in lei che gli altri
che
ne son senza. Si faccia a un cantante sentire una
poi sentire un canto eguale nel numero e nella durata delle note, ma
che
queste note niuna affinità abbiano tra loro, onde
cosa sia disordinata e confusa. Perciò ancora i versi più agevolmente
che
la prosa nella memoria si arrestano. [Sez.I.3.5.6
memoria si arrestano. [Sez.I.3.5.6] Dalla medesima connessione d’idee
che
si trova in qualunque de’ nostri piaceri, si può
ova in qualunque de’ nostri piaceri, si può intendere il senso di ciò
che
comunemente si dice, che il piacere moltiplica la
ri piaceri, si può intendere il senso di ciò che comunemente si dice,
che
il piacere moltiplica la nostra esistenza. Avvegn
campo all’anima nostra di sviluppar senza noia tutta l’attività sua,
che
le idee indifferenti o dolorose tengono ristretta
ello, lungamente ci siamo trattenuti. Dal lor patetico, e dal piacere
che
gli è proprio, più speditamente usciremo. § VI
dal piacere che gli è proprio, più speditamente usciremo. § VI. In
che
consista il patetico delle belle arti e ‘l piacer
li, presentandogli al nostro spirito in quello aspetto, nei quale più
che
in altro lo moverebbero se realmente gli fossero
o se realmente gli fossero presenti. E il piacer patetico altro non è
che
la speranza, che quella vivace imitazione produce
i fossero presenti. E il piacer patetico altro non è che la speranza,
che
quella vivace imitazione produce nel nostro animo
avrebbe presentata l’opportunità di provare quel dilicato sentimento
che
ha l’uomo nel prender parte alla disavventura d’u
ra sì fatto piacere, ch’esso non può nell’animo nostro esser prodotto
che
da un oggetto reale. E però i suggetti delle bell
da un oggetto reale. E però i suggetti delle belle arti, come quelli
che
presentano oggetti non reali, ma finti, sono inca
tal grado nell’animo nostro, ch’egli occupato da questa non pensi più
che
quell’oggetto sia ideale, ma creda, come in sogno
sogno gli avviene, d’aver presenti veri e reali oggetti. In pruova di
che
, consideriamo qualunque opera che più ci ha commo
veri e reali oggetti. In pruova di che, consideriamo qualunque opera
che
più ci ha commossi altra volta; ma procurando di
ommossi altra volta; ma procurando di tener sempre l’animo ricordato,
che
quegli oggetti sien tutti finti, tutti privi di r
quegli oggetti sien tutti finti, tutti privi di realtà. Questa opera,
che
senza così fatta attenzione sarebbe riuscita pate
ricordo non sarà più capace di muoverci. Adunque il piacer patetico,
che
viene dalle belle arti, è necessariamente congiun
arti, è necessariamente congiunto coll’illusione, cioè colla credenza
che
gli oggetti presentati sieno veri e non già finti
colla sua forza sarà capace d’ingerir questa credenza nell’animo: il
che
si ottiene coll’osservare attentamente il verisim
ti nascono da queste improprietà, le quali non convenendo al suggetto
che
si vuol presentare, fanno che lo spirito si avveg
tà, le quali non convenendo al suggetto che si vuol presentare, fanno
che
lo spirito si avvegga della finzione. Insomma il
Da quanto intorno alle belle arti abbiamo osservato, si fa manifesto
che
la loro perfezione e bellezza dipende dal ben reg
di ciascheduna. Veggiam ora come vadano questi regolati nelle facultà
che
concorrono nel nostro spettacolo. Sezione II
nerale, entrando ora a considerare particolarmente ciascuna di quelle
che
concorrono nell’opera in musica, ci facciamo dall
arà più agevole a diriggere il cammino ch’esse debbono tenere, dappoi
che
si sarà veduto quello della poesia. Cap. I. Del
tria ed a metterla dovunque possiamo, e tra tutte le simmetria quella
che
nasce dalla ragione d’uguaglianza è sovra ogni al
la favorita del nostro spirito; talmenteché anche una goccia d’acqua,
che
cada in tempi eguali, è piacevole a sentire, come
rale istinto a tutt’altra preferiamo, questa sopra ogni altra vogliam
che
campeggi nelle opere nostre. [Sez.II.1.1.2] Di qu
ltra vogliam che campeggi nelle opere nostre. [Sez.II.1.1.2] Di qui è
che
i padri della poesia, nel dispone le loro locuzio
i della poesia, nel dispone le loro locuzioni, altro prima non fecero
che
frammettervi a quando a quando delle cadenze, o v
uando a quando delle cadenze, o vogliam dire delle pause, de’ riposi,
che
dividessero il tempo in parti eguali, onde nacque
nendo versi più lunghi a’ più corti. Perciocché egli è ben verisimile
che
i primi versi nati in bocca d’uomini fossero cort
e che i primi versi nati in bocca d’uomini fossero corti, come quelli
che
sono più facili e più giocondi, e che i lunghi fo
mini fossero corti, come quelli che sono più facili e più giocondi, e
che
i lunghi fossero stati inventati per un cotal raf
mpor versi era già divenuta un’ arte. Infatti noi tutto dì osserviamo
che
i versi, che i fanciulli senz’arte compongono nel
a già divenuta un’ arte. Infatti noi tutto dì osserviamo che i versi,
che
i fanciulli senz’arte compongono nelle loro alleg
omana. La poesia, in quanto è metrica, è spezie della musica metrica,
che
considera le durate de’ suoni (qual è quella de’
cembali, delle nacchere, de’ tamburi), la quale altra bellezza non ha
che
quella che nasce della ragione, che passa fra i t
lle nacchere, de’ tamburi), la quale altra bellezza non ha che quella
che
nasce della ragione, che passa fra i tempi delle
), la quale altra bellezza non ha che quella che nasce della ragione,
che
passa fra i tempi delle percosse di così fatti st
latina ed armonica quella delle moderne nazioni, per questo non niego
che
in quella non siesi avuto alcun riguardo all’acut
ella aver non se ne debba alla loro brevità e lunghezza. Intendo solo
che
la bellezza della prima più dipendea dal tempo ch
ezza. Intendo solo che la bellezza della prima più dipendea dal tempo
che
dal tuono delle sillabe, e di questa più dal tuon
ndea dal tempo che dal tuono delle sillabe, e di questa più dal tuono
che
dal tempo. [Sez.II.1.1.6] Or di quanto la musica
di tanto la poesia armonica è più pregevole della metrica. Tanto più
che
gl’inventori della poesia armonica introdussero i
ro in questa una nuova simmetria (ed è quella delle rime), procurando
che
l’ultimo tuono acuto de’ loro versi o fosse solo,
to delle medesime lettere in più versi. [Sez.II.1.1.7] Non più dunque
che
cinque possono essere i fonti dell’estetico di qu
iana, i nostri maestri di poetica il dimostrano, sebbene quella parte
che
riguarda la lunghezza e la brevità delle sillabe
introdurre nelle poesia nostra i metri della latina, non accorgendosi
che
la diversa indole dell’italiano e del latino idio
on possa permettere una medesima combinazione di lunghe e di brevi, e
che
la nostra poesia d’armonica, qual è per natura, n
è per natura, non possa metrica divenire. Qualora dunque io desidero
che
i maestri dell’italiana poetica più attenzione av
ro, ad esprimere la mestizia, l’allegrezza, o qualunque altro affetto
che
dominasse nel componimento, come cogli esempi di
be. Ma non essendo questo luogo da ciò, noi non altro qui esamineremo
che
quanto singolarmente riguarda il melodramma, espo
l uso far vi si debba del tuono, del tempo e della rima nelle sillabe
che
quei versi compongono. E poiché l’estetico delle
hé l’estetico delle arie in questo dramma ha più bisogno d’attenzione
che
non quello de’ recitativi, dalle arie cominceremo
i degli altri, sì perché non mancano d’armonia e perché meglio ancora
che
la maggior parte degli annoverati possono servire
arie, si vegga in questo esempio del Conte Magalotti In quel bacile,
che
chiamasi l’aia, Cómene un moggio, dolcissima Agla
rdi. [Sez.II.1.2.4] Veggiamo ora qual mescolanza ammettano que’ versi
che
più spesso nelle arie vengono adoperati. Ma prima
za. [Sez.II.1.2.5] In qualunque verso italiano più sillabe acute, o,
che
è il medesimo, più accenti acuti si possono incon
o l’accento acuto della penultima sillaba de’ versi piani, e un altro
che
ogni verso aver dee presso alla metà sua, il qual
o che ogni verso aver dee presso alla metà sua, il quale ha tal forza
che
il verso par che ne venga diviso in due. Nel reci
aver dee presso alla metà sua, il quale ha tal forza che il verso par
che
ne venga diviso in due. Nel recitare per esempio
so in due. Nel recitare per esempio il verso seguente: Era il giorno
che
al sol si scoloraro noi spicchiamo sì sensibilme
l sol si scoloraro noi spicchiamo sì sensibilmente la sesta sillaba,
che
il verso par diviso in due parti così: Era il gi
ta sillaba, che il verso par diviso in due parti così: Era il giorno
che
al sol Si scoloraro [Sez.II.1.2.6] Delle quali
go, e tutto il mondo abbraccio; ciascun verso del quale dall’acuto,
che
ha, qual sulla quarta sillaba e qual sulla sesta,
ibertà s’attribuirono, unendo insieme versi così tra loro ripugnanti,
che
la gonna d’Arlotto men disparate toppe accoppiava
elle arie loro unirono versi ineguali, privando queste della bellezza
che
quella ineguaglianza, ove sia ben collocata, reca
e così cercando d’evitare un difetto incorsero in un altro. Il poeta
che
voglia tenere un giusto mezzo in questo cammino a
se noi ben ci avvisiamo, sceglier potrà per sua guida. Il primo si è
che
un verso qualunque ben si accoppia a quello ch’è
io; perciocché, siccome si è osservato poc’anzi, non meno il quinario
che
il settenario possono costituire la prima parte d
i, canzonetta incidere. [Sez.II.1.2.11] Il decasillabo, per l’acuto
che
ha di necessità sulla terza sillaba, potendo veni
l Gigli: Per giurar sopra l’onde d’inferno Giurerei Sopra il pianto,
che
versa il mio cor. Ma vedrei, Questo ancor da pren
n puro cor Voti innocenti. [Sez.II.1.2.15] Il secondo principio si è
che
un verso ben si unisce a un altro che lo stesso n
2.15] Il secondo principio si è che un verso ben si unisce a un altro
che
lo stesso numero d’accenti acuti abbia con questo
il decasillabo al senario in questo esempio del Guidi: Quella vite,
che
in alto s’estolle Là sovra quel colle, Lieta e va
ché tanto «Quella vite», quanto «Lieta, e vaga» e «Perché in moglie»,
che
costituiscono le prime parti di quei tre decasill
ovra quel colle». E da questo egual numero d’accenti deriva l’armonia
che
produce l’unione di quelle due spezie di versi. I
rsi. Infatti, se in luogo d’un senario si metta qualunque altro verso
che
abbia due acuti, come un quinario e un quadrisill
genere d’armonia. Se ne faccia un saggio leggendo così: Quella vite,
che
in alto s’estolle Sovra quel colle, Lieta e vaga
ie al bell’olmo si lega. [Sez.II.1.2.21] Ovvero così : Quella vite,
che
in alto s’estolle Su quel colle ecc. [Sez.II.1.
uinario, come son questi del Zeno: In sì gravi angosce e pene Quella
che
viene Più lenta e tarda, È la più barbara. La peg
. Avvertiremo però, non aver noi recati in mezzo se non quegli esempi
che
la memoria ne ha suggeriti. Altri se ne potranno
guardarsi di soprusarla a dispetto dell’orecchio, essendo certissimo
che
tal verso ineguale sarà armoniosissimo in un sito
ndo certissimo che tal verso ineguale sarà armoniosissimo in un sito,
che
in un altro dispiacerà fieramente. Di che, senza
armoniosissimo in un sito, che in un altro dispiacerà fieramente. Di
che
, senza assegnar precetti, basta rimettersene al g
sieguono le medesime regole de’ piani a cui appartengono. Solo dirò,
che
il verso tronco ha particolar forza nel fine di c
ticolar forza nel fine di ciascuna parte delle arie: poiché l’accento
che
ha sull’ultima sillaba sostiene quella parte, che
e: poiché l’accento che ha sull’ultima sillaba sostiene quella parte,
che
terminata con verso piano languidissimamente cadr
primo la disposizione delle sillabe lunghe e delle brevi è tutt’altra
che
nel secondo. Or la velocità d’un verso nasce, sec
ccento acuto: giacché, almeno in nostra lingua, niuna sillaba è acuta
che
non sia lunga al tempo stesso. Se ne vegga la pra
di te peggiore, Mostro peggior non v’è. [Sez.II.1.2.25] La rapidità
che
ognun sente in questi versi, nasce da ciò che ess
.II.1.2.25] La rapidità che ognun sente in questi versi, nasce da ciò
che
essi non hanno acuto né sulla seconda, né sulla t
sulla seconda, né sulla terza sillaba, ma solamente sulla quarta: il
che
fa che quelle due precedenti sillabe contigue sie
seconda, né sulla terza sillaba, ma solamente sulla quarta: il che fa
che
quelle due precedenti sillabe contigue sieno brev
a: il che fa che quelle due precedenti sillabe contigue sieno brevi e
che
il verso riesca veloce. Laonde se più volte quell
Va fra l’orror dell’ircane foreste, per la contiguità di due brevi,
che
nel primo una sola volta s’incontra, due volte ne
el secondo e tre nel terzo. Conciosiaché nel secondo verso l’accento,
che
preme la quarta sillaba e la settima, fa, che tan
econdo verso l’accento, che preme la quarta sillaba e la settima, fa,
che
tanto la seconda e la terza, quanto la quinta e l
so: Di fior deh a me raccogli, Aglaia, un moggio nel quale l’acuto,
che
sovrasta a tutte le sillabe pari, fa che le brevi
n moggio nel quale l’acuto, che sovrasta a tutte le sillabe pari, fa
che
le brevi, cioè quelle che van senza di detto acce
o, che sovrasta a tutte le sillabe pari, fa che le brevi, cioè quelle
che
van senza di detto accento, sieno l’una dall’altr
27] E questa ragion di quinari: Manca sollecita Più del usato, Face,
che
palpita Presso a morir36. [Sez.II.1.2.28] E come
le [Sez.II.1.2.29] Per altra parte all’espressione di quegli affetti
che
deprimono ed abbassano l’animo, qual è la mestizi
.II.1.2.30] E questa spezie di senari del Metastasio: È falso il dir
che
uccida. Se dura un gran dolore, E che, so non si
del Metastasio: È falso il dir che uccida. Se dura un gran dolore, E
che
, so non si muore Sia facile a soffrir. [Sez.II.1
binazione. E però questo saggio basti sulle arie. [Sez.II.1.2.33] Ciò
che
abbiamo insino a qui osservato, vale in qualche m
quello dell’antica tragedia. [Sez.II.2.0.1] Già altrove si disse
che
per patetico delle belle arti voleasi intendere l
re l’artifizio da esse adoperato per isvegliare le nostre passioni, e
che
un tale artifizio consiste nello scegliere per su
odramma e in tragedia antica, alla quale si riferiscono quelle ancora
che
oggi sull’antico modello si formano. Di qui è che
scono quelle ancora che oggi sull’antico modello si formano. Di qui è
che
le regole che riguardano il patetico del melodram
ncora che oggi sull’antico modello si formano. Di qui è che le regole
che
riguardano il patetico del melodramma sono quelle
odramma sono quelle medesime della tragedia; né di proprio esso ne ha
che
pochissime, le quali formano la sua differenza da
hissime, le quali formano la sua differenza dalla tragedia antica. Il
che
essendo, niuno in questo luogo da me si aspetti u
iuno in questo luogo da me si aspetti un’esposizione di quelle regole
che
appartengono alla tragedia in generale, tanto più
i quelle regole che appartengono alla tragedia in generale, tanto più
che
a me altro presso a poco non toccherebbe che ripe
a in generale, tanto più che a me altro presso a poco non toccherebbe
che
ripetere ciò che su questa materia è stato scritt
nto più che a me altro presso a poco non toccherebbe che ripetere ciò
che
su questa materia è stato scritto del tempo d’Ari
del tempo d’Aristotile insino a noi, per gli tanti scienziati uomini
che
le leggi della tragedia insegnarono. La qual ripe
le sue osservazioni. [Sez.II.2.0.2] A noi dunque non altro appartiene
che
il divisare in che il melodramma differisca dall’
. [Sez.II.2.0.2] A noi dunque non altro appartiene che il divisare in
che
il melodramma differisca dall’antica tragedia. Or
che mutazioni fatte alle leggi di questa, per ragione della diversità
che
passa tra’ nostri costumi e quelli che regnavano
a, per ragione della diversità che passa tra’ nostri costumi e quelli
che
regnavano nella nazione e nel tempo che furono de
tra’ nostri costumi e quelli che regnavano nella nazione e nel tempo
che
furono dettate le leggi dell’antica tragedia, e p
izzicore di passare per eruditi nell’arte drammatica, non riflettendo
che
ciò che in un luogo e in un tempo è un difetto, s
di passare per eruditi nell’arte drammatica, non riflettendo che ciò
che
in un luogo e in un tempo è un difetto, sotto alt
a del melodramma dall’antica tragedia, faremo primieramente osservare
che
le mutazioni in essi ragionevolmente, e non per i
io, furono introdotte, e di poi, dove uopo il richieda, le avvertenze
che
intorno a’ medesimi punti usar debbono i melodram
aremo obbligati ad entrare in brevi discussioni forse non men curiose
che
interessanti; giacché ci converrà investigar la r
ca tragedia attenenti a que’ particolari capi, e le contrarie ragioni
che
indussero i nostri poeti a modificarle. Le quali
i nostri poeti a modificarle. Le quali discussioni, nel tempo stesso
che
saranno per avventura non inutili a’ nostri poeti
lte, la scena. [Sez.II.3.0.2] Ma la rigidezza de’ primi spesso, anzi
che
rendere verisimile la favola, adoperava il contra
va il contrario, costringendo gli attori a fare o dire in publico ciò
che
un uom di senno appena fa o dice ne’ più segreti
mpre sopra i medesimi o simili suggetti, perché poche erano le favole
che
quella rigida unità potessero tollerare. La quale
povertà ed uniformità dell’antica tragedia non sole apparisce da ciò
che
di essa ne rimane, ma ancora (perché altri non di
arisce da ciò che di essa ne rimane, ma ancora (perché altri non dica
che
da pochi avanzi di quella mal si argomenta ciò ch
lo conferma Aristotile, il quale nel Capo XIII della Poetica confessa
che
le migliori tragedie si aggiravano intorno a poch
rre mutazioni di scene nella tragedia: perciocché loro mancava l’arte
che
oggi si ammira su’ teatri d’Europa, di cambiare s
teatri d’Europa, di cambiare sì prontamente e con tal garbo la scena,
che
lo spettatore non se ne accorga. Si mutavano le l
tore non se ne accorga. Si mutavano le loro scena con tanta lentezza,
che
i poeti drammatici non osarono mai di valersi di
n osarono mai di valersi di tal mutazione in mezzo al dramma, sicuri,
che
una tanta lentezza avrebbe annoiato sommamente gl
atica illusione41. Ma se avessero avuta cognizione di quelle macchine
che
fanno con tal prontezza variare le nostre scene,
nti poeti la troppo rigorosa unità di luogo. [Sez.II.3.0.4] Vero si è
che
la mutazione della scena tende ad estinguere l’il
aggiore, poiché l’interrompimento della drammatica illusione non dura
che
un momento. Ma la rigorosa unità offende, talora
ume e la condotta della favola, vale a dire le più essenziali qualità
che
si richieggono in un dramma, e restringe le tragi
renderebbero. [Sez.II.3.0.5] Ma qualora noi approviamo quella licenza
che
il melodramma si attribuisce sull’unità del luogo
ssò finalmente il gusto de’ melodrammatici dell’infelice secolo XVII,
che
stillavansi il cervello per introdurre ne’ melodr
ulla mutazione delle scene: l’una di non mutar la scena se non allora
che
il verisimile più non la soffre, sicché egli mant
imile più non la soffre, sicché egli manterrà questa sul teatro tanto
che
può, anzi non la cangerà mai, se la favola il con
rà mai, se la favola il consenta. La seconda di non fingere la scena,
che
sparisce, sì lontana da quella che le succede, ch
a seconda di non fingere la scena, che sparisce, sì lontana da quella
che
le succede, che il popolo dia il buon pro a’ pers
fingere la scena, che sparisce, sì lontana da quella che le succede,
che
il popolo dia il buon pro a’ personaggi che in po
da quella che le succede, che il popolo dia il buon pro a’ personaggi
che
in poco d’ora fecero quel lungo trotto. Cap. I
eto [Sez.II.4.0.1] L’antica tragedia sì amava il finimento tristo,
che
quelle poche che di lieto finimento si videro com
0.1] L’antica tragedia sì amava il finimento tristo, che quelle poche
che
di lieto finimento si videro composte, furono dag
tto dal genere umano nella placidezza, nella urbanità, nella demenza,
che
che si dicano i nostri misantropi. Nella nascita
dal genere umano nella placidezza, nella urbanità, nella demenza, che
che
si dicano i nostri misantropi. Nella nascita dell
’antica tragedia era la Grecia abitata da nazioni bellicose e feroci,
che
conservavano ancora in mezzo alle più colte città
e più colte città un resto di loro antica selvatichezza. Le tragedie,
che
di essa rimangono, spirano da per tutto questo ca
i, ma a un tempo stesso impetuosi e inumani. La svantaggiosa opinione
che
i Greci aveano del commercio, come d’un mestiere
un mestiere infame e indegno d’un cittadino, e le frequenti discordie
che
la gelosia e ‘l desiderio di primeggiare accendev
eologia aumentavano la loro ferocia, avendo quella de’ barbari riti e
che
disonorano l’umanità, e presentando questa nella
ebbe mestieri l’antica tragedia d’adoperar favole di somma atrocità,
che
terminassero con esili, miserie, morti di persona
o, amico del commercio e degli stranieri, e professante una religione
che
ispira la carità, la mansuetudine, la pace, la co
, la compassione, la beneficenza, dovette scemare d’atrocità, se anzi
che
muovere non volesse disgustare, come fa in oggi l
disgustare, come fa in oggi la sola lettura delle tragedie greche. Il
che
è sì vero, che quelle medesime tragedie che sul m
e fa in oggi la sola lettura delle tragedie greche. Il che è sì vero,
che
quelle medesime tragedie che sul modello delle an
delle tragedie greche. Il che è sì vero, che quelle medesime tragedie
che
sul modello delle antiche e di tristo fine si com
ingegnosissimo autore del Rutzvanscad il giovine, deride que’ moderni
che
, non badando alla diversità de’ tempi, posero nel
terminare con queste funeste catastrofi. Non fu dunque senza ragione
che
essa cambiò il tragico finimento di tristo in lie
amente vizioso, questa rovina non avrebbe fatta tentazione alcuna; da
che
noi non sentiamo troppa compassione e terrore del
reco; e se virtuoso, avrebbe dato da mormorare contro la provvidenza,
che
in vece di proteggere l’innocenza, la sacrificava
scelleratezza. [Sez.II.5.0.2] Ma la moderna tragedia, siccome quella
che
non è a finimento tristo obbligata, può (può, dic
rsona del protagonista esporre l’esempio delle virtù più eminenti; il
che
, per la soprallegata ragione non era permesso all
l passaggio da quell’agitazione al contento di vedere il personaggio,
che
noi amiamo, passar di misero in prospero stato. [
o, passar di misero in prospero stato. [Sez.II.5.0.3] Si dirà, forse,
che
la mancanza di questo dolce sentimento è abbastan
timento è abbastanza compensata nelle tragedie greche dall’istruzione
che
dà al popolo la rovina del protagonista, mostrand
i di gran lunga più dolorosi. Ma vale almeno altrettanto l’istruzione
che
noi caviamo dalle vicende del protagonista del me
quali efficacemente ci persuadono ad entrare nel cammino della virtù,
che
veggiamo dalla provvidenza sì dichiaratamente dif
sata. [Sez.II.5.0.4] Un’altra opposizione far mi si potrebbe, e si è
che
gli uomini non s’interessano tanto per le persone
una spezie d’esseri distinta dalla loro, e colla sua perfezione, anzi
che
interessare, gl’indispettisce, ricevendo eglino d
debolezze è quasi un altro noi stessi, e noi desideriamo ardentemente
che
tali debolezze non attraggano sopra di lui le dis
iato, facendo così il nostro cuore occultamente la propria causa. Dal
che
pare che il protagonista d’un carattere mediocre
endo così il nostro cuore occultamente la propria causa. Dal che pare
che
il protagonista d’un carattere mediocre possa int
he il protagonista d’un carattere mediocre possa interessar più assai
che
un altro di carattere sublime. Ma basterebbe l’es
uoso non può mancar mai d’interessarci, e questo interesse, piuttosto
che
diminuire, tanto più cresce, quanto più quello è
ente quando in esso si veggano lumeggiate sopra le altre quelle virtù
che
appartengono a’ doveri verso altrui; il che avvie
pra le altre quelle virtù che appartengono a’ doveri verso altrui; il
che
avviene quando il personaggio virtuoso comparisca
tal carattere interesserà sommamente, e in esso qualunque vizio, anzi
che
piacere, rincrescerebbe oltremodo, come quello ch
lunque vizio, anzi che piacere, rincrescerebbe oltremodo, come quello
che
o direttamente o indirettamente impedirebbe l’eff
, o dalle regole del verisimile. Egli fu solo dell’uso: e una favola,
che
più o meno avesse di cinque atti, può essere egua
la, che più o meno avesse di cinque atti, può essere egualmente bella
che
una che seguisse quell’antica divisione. [Sez.II
più o meno avesse di cinque atti, può essere egualmente bella che una
che
seguisse quell’antica divisione. [Sez.II.6.0.3]
ocle finisce propriamente al quarto atto: il quinto è tutto borra. Il
che
è sì manifesto, che il Dacier si è creduto in dov
mente al quarto atto: il quinto è tutto borra. Il che è sì manifesto,
che
il Dacier si è creduto in dovere d’avvertire in q
il Dacier si è creduto in dovere d’avvertire in quel luogo il lettore
che
vi rimaneva ancora un altro atto. Se l’antica tra
ente potuto la moderna tragedia ridurre a tre il numero degli atti, e
che
questa nuova distribuzione val forse meglio dell’
orse meglio dell’antica. «Io non so (dice uno de’ maggiori letterati,
che
oggi s’abbia l’Italia44) perché la tragedia doves
r men bella se fosse divisa in tre atti soli, o anche in due; parendo
che
la favola possa essere egualmente verisimile e ma
ragedia non ama mescolanza di versi, e biasimati vennero que’ tragici
che
in essa varie ragioni di versi insieme accoppiaro
coppiarono. Per questo medesimo fu da taluni biasimato il melodramma,
che
nel recitativo frammette il settenario all’endeca
ma è la lettura d’alcuno de’ suoi recitativi, i quali ad ogni persona
che
sappia gustare anche ciò che non sa d’antico, par
suoi recitativi, i quali ad ogni persona che sappia gustare anche ciò
che
non sa d’antico, parrà nobile e grave, quanto qua
iò che non sa d’antico, parrà nobile e grave, quanto qual altro pezzo
che
si scelga di tragedia fatta al conio greco, ma pi
, e di trattare melodiosamente i più grandi affari. Io non vo’ negare
che
più dignitoso riuscirebbe il melodramma, se tutto
mi fino a’ primi anni del diciassettesimo secolo. Certo è tuttavolta,
che
quando alle arie si dia una musica propria e conf
ria delle arie teatrali, si vedrà nella seguente sezione. Per ciò poi
che
riguarda appunto il canto adoperato nella rappres
come è stato vittoriosamente provato da molti eruditi contro a coloro
che
stimarono i soli cori essere stati cantati nella
no i soli cori essere stati cantati nella tragedia antica. Laonde io,
che
ho preso a trattar solo di ciò che rende il melod
nella tragedia antica. Laonde io, che ho preso a trattar solo di ciò
che
rende il melodramma diverso dall’antica tragedia,
non esser quello un diletto del melodramma, ma sì di que’ compositori
che
non sanno dargli quella musica che gli conviene.
odramma, ma sì di que’ compositori che non sanno dargli quella musica
che
gli conviene. Che se eglino degneranno d’un’ occh
musica che gli conviene. Che se eglino degneranno d’un’ occhiata ciò
che
nella citata sezione diremo della musica teatrale
a ciò che nella citata sezione diremo della musica teatrale, io spero
che
in avvenire non odieranno più il melodramma, come
nato sotto il cielo d’Atene. [Sez.II.7.1.4] Ma prima di passare a ciò
che
il nostro spettacolo esige dal maestro di cappell
delle arie [Sez.II.7.2.1] Tutta l’orditura del dramma, tutto ciò,
che
ne forma il nodo e lo scioglimento, appartiene al
Sez.II.7.2.2] Queste per l’altra parte debbono contenere i sentimenti
che
nascono da quelle narrazioni, conferenze, deliber
scono da quelle narrazioni, conferenze, deliberazioni, da ciò insomma
che
fu trattato nell’antecedente recitativo, o che da
azioni, da ciò insomma che fu trattato nell’antecedente recitativo, o
che
dal poeta si suppone d’essere stato trattato diet
uro, il più semplice linguaggio degli affetti, e null’altro contenere
che
le formole, diciam così, del dolore, dello sdegno
tica in generale è poco amica di queste dommatiche merci, come quella
che
intende a mettere la morale in azione, non in pre
se il poeta non voglia estinguere nell’animo nostro tutta l’emozione
che
aveavi eccitata: perciocché il linguaggio dommati
o: e per la medesima ragione né pure si vuol dommatizzare nelle arie,
che
debbono contenere il linguaggio degli appassionat
li appassionati. [Sez.II.7.2.4] Il celebre Metastasio in quelle arie
che
chiamansi duetti, terzetti, quartetti ecc. ha rel
così mi dici, Anima mia perché? ecc. le parole sono quelle medesime
che
vengono in bocca delle più semplici persone, quan
i quello stato, ch’egli ha cavato dal suo cuore quel medesimo parlare
che
questo gli suggerirebbe in tali circostanze. Perc
uore, e ‘l buon Omero alcuna volta sonneggia. Vaglia d’esempio l’aria
che
chiude la terza scena nel terzo atto del suo Demo
to del suo Demofoonte. Quella maravigliosa scena esprime il passaggio
che
fa il protagonista da un estremo contento a una t
estrema, cagionata in lui da una novella recatagli da Matusio. L’aria
che
termina queste scena avrebbe dovuta essere il lin
rna sua lode praticato il valorose poeta. Ma in questo egli ha voluto
che
Matusio, non già il protagonista terminasse la sc
otagonista terminasse la scena, e sì la terminasse colla massima: Ah
che
né mal verace, Nè vero ben si dà: Prendono qualit
qualità Da’ nostri affetti. [Sez.II.7.2.5] E così quell’agitazione,
che
nata nell’attimo dello spettatore dalla novella d
pacciar troppe massime. Il suo dovere è di comporre in modo l’azione,
che
lo spettatore ne deduca da sé medesimo quella ist
poeta, il quale non sapendo dare all’azione quel colore, quella forza
che
basta per far nascere una data massima in mente a
la sentenza. Infatti i drammatici più sentenziosi sono appunto quelli
che
meno intesero la loro arte. [Sez.II.7.2.6] Le mas
tesero la loro arte. [Sez.II.7.2.6] Le massime adunque, o le sentenza
che
si useranno nel melodramma, sieno rare e brevissi
E il poeta non si lasci sorprendere al Quadrio il quale asserisce46,
che
«nelle ariette quanto più le proposizioni sono ge
ne tratta da Virgilio: quanto più degni di tal censura son que’ poeti
che
questa figura adoperano nelle arie? Anche in ques
.8] Dopo un sì bello e sì tenero recitativo, io mi aspettava un’ aria
che
racchiudesse gli ultimi, i più vivaci, i più affe
cena, si diverte in assomigliar sé medesimo all’«Onda dal mar divisa»
che
«Bagna la valle, e ‘l monte. | Va passaggiera in
iera in fiume, | Va prigioniera in fonte» ecc. E sarà mai verisimile,
che
un uomo agitato da un tumulto di tanti e sì diver
simmetrizzare spensieratamente una lunga similitudine? Si dirà forse
che
essendosi detto quanto si potea di più patetico n
ione. Questa vuol nascere e sollevarsi nel recitativo, ma non altrove
che
nell’aria vuol pervenire alla sua maggiore altezz
n altrove che nell’aria vuol pervenire alla sua maggiore altezza. Ciò
che
si è detto delle similitudini s’intenda ancora de
.2.9] Io non intendo con ciò di derogare in menoma parte al gran nome
che
l’immortal Metastasio si è sì degnamente acquista
rciocché non essendo esse ricevute con quella favorevole prevenzione,
che
i gran nomi trovano in noi, i loro falli non poss
ccioli difetti de’ grandi uomini sono contagiosi. E se niuno si trovi
che
a publico vantaggio modestamente gli rilevi, essi
e gli rilevi, essi vengono ciecamente imitati come tante bellezze: da
che
l’imitazione de’ difetti è ben più agevole che no
ome tante bellezze: da che l’imitazione de’ difetti è ben più agevole
che
non è quella delle virtù. [Sez.II.7.2.10] Per me
sentenze, di similitudini, d’allegorie cagionino al dramma, facciamo
che
Megacle, anzi che terminare colla bell’aria Se ce
litudini, d’allegorie cagionino al dramma, facciamo che Megacle, anzi
che
terminare colla bell’aria Se cerca, se dice il su
suo trattenimento con Aristea, lo terminasse con una massima, o pure
che
gli stessi personaggi, invece di quell’espressivo
tuoi felici, spiegassero ciascuno con una similitudine il loro stato:
che
perdita per lo teatro! Quante volte que’ capolavo
gliata la compassione nel più intimo degli animi nostri! Come sperare
che
una lambiccata sentenza, una ricercata similitudi
rigidezza condannate le arie contenenti le nominate figure; tanto più
che
alcune arie di questo genere sono così belle, che
e figure; tanto più che alcune arie di questo genere sono così belle,
che
esse furono sempre universalmente applaudite. Que
a, ancorché impropria a quel luogo dove fosse veduta. Dicasi pure ciò
che
si vuole in favore delle similitudini, delle sent
tica, e queste rare volte solo in bocca di personaggi disappassionati
che
narrino, deliberino, e consiglino a mente serena.
te grave sarebbe inserirle nelle arie, le quali non debbono contenere
che
il linguaggio dagli appassionati. [Sez.II.7.2.13]
una tal aria non ha mai sui nostri teatri cagionata quella commozione
che
altre arie del medesimo dramma, perché esenti da
vuole avere il poeta intorno alla materia propria delle arie, e si è
che
questa abbia stretta connessione con quella del r
questa abbia stretta connessione con quella del recitativo, per modo
che
l’aria nasca dal recitativo come germoglio della
ecitativo come germoglio della radice. Crede per avventura il lettore
che
io avrei potuto trasandare questo precetto senza
più utili ricordi, al quale, se accordassero sempre quell’attenzione
che
merita, le arie più di rado che per ordinario non
accordassero sempre quell’attenzione che merita, le arie più di rado
che
per ordinario non fanno, uscirebbero di tema. [Se
o, uscirebbero di tema. [Sez.II.7.2.16] Finalmente si vuole avvertire
che
l’intercalare, o sia la prima parte dell’aria, co
e avvertenza il senso rimarrebbe imperfetto e sospeso. Conosciam bene
che
questo assoggetta contr’ogni dritto la poesia all
m bene che questo assoggetta contr’ogni dritto la poesia alla musica,
che
non rare volte snerva e insipidisce le arie, e ch
oesia alla musica, che non rare volte snerva e insipidisce le arie, e
che
tende ad estinguere il fuoco della poetica fantas
d estinguere il fuoco della poetica fantasia, là dove più converrebbe
che
fosse acceso. Ma fino a che i cantanti non si ris
poetica fantasia, là dove più converrebbe che fosse acceso. Ma fino a
che
i cantanti non si risolvano ad abbandonare la mal
e non piuttosto, come sarìa di ragione, alla seconda parte, bisognerà
che
il poeta soffra in pace un tal sopruso, e speri i
bisognerà che il poeta soffra in pace un tal sopruso, e speri intanto
che
il buon gusto rimetta gli occhi della mente alla
cché il linguaggio del cuore non soffre verun ricercato artifizio. Il
che
non si potrà mai ripeter troppo a’ poeti, i quali
pollose circollocuzioni, chi potrebbe contener le risa, e non direbbe
che
quel linguaggio tradisce chi l’adopera, dimostran
pera, dimostrando ch’egli non ha il cuore occupato da quella passione
che
vuol fingere con noi? [Sez.II.7.3.2] Ma i recitat
i publici e importantissimi affari, poste in bocca di que’ personaggi
che
regolano sulla terra il destino degli uomini, esi
la drammatica passione, lo stile non sarà più così alto; ed a misura
che
quello crescerà, questo vuole andar decrescendo,
h’io chiamerò musica teatrale. Per dichiarare a mio potere la materia
che
qui propongo, non gravi al mio lettore che sulla
re a mio potere la materia che qui propongo, non gravi al mio lettore
che
sulla generazione del suono e sulla natura della
allo stile della musica teatrale, e in altre sezioni ancora a quelle
che
riguarderanno la decorazione e la danza teatrale.
[Sez.III.1.1.1] L’oscillazione d’un corpo sonoro produce nell’aria
che
lo circonda un ondeggiamento, simile a quello che
o produce nell’aria che lo circonda un ondeggiamento, simile a quello
che
produce nell’acqua d’un lago l’urto d’un sassolin
imile a quello che produce nell’acqua d’un lago l’urto d’un sassolino
che
vi sia lanciato, o d’un uccello che vi s’immerga.
a d’un lago l’urto d’un sassolino che vi sia lanciato, o d’un uccello
che
vi s’immerga. I quali ondeggiamenti in ciò differ
che vi s’immerga. I quali ondeggiamenti in ciò differiscono tra loro,
che
questo dell’acqua circolarmente, quello dell’aria
e sfera occupato dal corpo sonante, la superficie è formata dall’onda
che
sia da sì fatto centro la più lontana, e coloro c
formata dall’onda che sia da sì fatto centro la più lontana, e coloro
che
si trovano dentro quest’ampia sfera, ascoltano il
e coloro che si trovano dentro quest’ampia sfera, ascoltano il suono
che
parte da quel centro. Questo suono uno o un altro
, secondoché diverso grado avrà d’acutezza, giacché tuono altro non è
che
il grado d’acutezza d’un suono. [Sez.III.1.1.2] N
] Nasce questa diversità d’acutezza dal diverso numero d’oscillazioni
che
in un determinato tempo può eseguire un corpo son
’unisono, ciò è, danno lo stessto tuono ambedue. II. Che se nel tempo
che
la prima farà un’ oscillazione l’altra ne farà du
e, questa produrrà la quinta del tuono di quella. IV. Che se in tempo
che
l’una farà quattro oscillazioni, l’altra ne farà
altra ne farà cinque, si avrà de quest’ultima la terza maggiore. V. E
che
in fine se mentre la prima eseguirà cinque oscill
uirà sei, questa darà la terza minore. [Sez.III.1.1.3] Da ciò si vede
che
la simmetria è l’origine della consonanza de’ tuo
rigine della consonanza de’ tuoni. E se i maestri di musica insegnano
che
la più perfetta consonanza è l’unisono, indi l’ot
quinta, la terza ecc., la cagione di questi vari gradi di perfezione,
che
si osservano nelle consonanze, è facilissima a ri
che si osservano nelle consonanze, è facilissima a rinvenire dopo ciò
che
sulla simmetria fu da noi ragionato. L’unisono, a
ero di percosse all’organo dell’udito, tal consonanza è una simmetria
che
nasce dalla ragion d’uguaglianza, che a’ sensi è
tal consonanza è una simmetria che nasce dalla ragion d’uguaglianza,
che
a’ sensi è la più dolce di tutte le simmetrie. E
ciò avviene perché è una simmetria fondata sulla ragione multiplice,
che
dopo la prima è la più grata di tutte le simmetri
si potrebbe ancora spiegar la cagione delle dissonanze. Tanto è vero,
che
unico, semplicissimo, costante è il principio del
musica antica e la moderna. [Sez.III.1.2.1] È la moderna musica (
che
dagl’Italiani riconosce la sua perfezione, come l
’antica, avendo un estetico ben più ricco, più vario, più artifizioso
che
l’antica non ebbe, l’estetico della quale fu semp
mpositore. L’ultima è l’invenzione di stromenti contenenti più ottave
che
quelli adoperati da’ Greci, niuno stromento de’ q
i sorpassò mai le tre ottave, per quanto da quelle notizie si ritrae,
che
fino a noi pervennero della loro musica stromenta
ae, che fino a noi pervennero della loro musica stromentale. È chiaro
che
una musica, la quale di tali invenzioni faccia bu
zioni faccia buon uso, arricchirà il suo estetico ben più agevolmente
che
un’altra, la quale non abbia potuto trarne profit
e’ sentimenti di compassione da me allora provati per quel complesso,
che
si trova necessariamente nelle idee che già furon
a provati per quel complesso, che si trova necessariamente nelle idee
che
già furono a un tempo medesimo presenti allo spir
’una persona temuta, amata, odiata, ci sveglia que’ medesimi alletti,
che
già ne svegliò la persona che è l’archetipo di qu
iata, ci sveglia que’ medesimi alletti, che già ne svegliò la persona
che
è l’archetipo di quella imitazione o ritratto. Ta
dirò così, echeggia nella nostra macchina una mozione simile a quella
che
allora accompagnò le mentovate agitazioni dell’an
ò le mentovate agitazioni dell’animo. [Sez.III.1.3.3] Di qui si vede
che
il patetico, non solo della musica, ma di tutte l
mediate, come fa sugli organi de’ sensi. Io nondimeno porto opinione (
che
che se ne debba parere a’ profondi fisici, quello
ate, come fa sugli organi de’ sensi. Io nondimeno porto opinione (che
che
se ne debba parere a’ profondi fisici, quello che
porto opinione (che che se ne debba parere a’ profondi fisici, quello
che
non son io) che la musica abbia un’azione anche i
che che se ne debba parere a’ profondi fisici, quello che non son io)
che
la musica abbia un’azione anche immediata sulla m
meccanica è appoggiata. E primieramente egli mi par fuori di dubbio,
che
tra’ nervi del corpo umano alcuni sieno particola
mano alcuni sieno particolarmente’ destinati a servire alle passioni (
che
io nervi diatetici chiamerò per innanzi) e questi
ni (che io nervi diatetici chiamerò per innanzi) e questi sono quelli
che
serpono per le regioni del petto e del ventre i q
l quinto paio51. Una giornaliera esperienza può fare accorgere ognuno
che
a qualunque movimento d’affetto corrisponda infal
elle anzidette regioni della nostra macchina. E da queste agitazioni,
che
ivi sperimentiamo ogni volta che da passione siam
ra macchina. E da queste agitazioni, che ivi sperimentiamo ogni volta
che
da passione siam posseduti, furono indotti gli an
le, del riso nella milza, e così degli altri. Dall’intima connessione
che
il movimento di tai nervi ha colle passioni, avvi
sione che il movimento di tai nervi ha colle passioni, avviene ancora
che
qualora il particolar sistema di quelli da morbos
’ trasporti di mestizia, di sdegno, d’allegrezza senza motivo e senza
che
l’animo suo sia occupato da alcun obbietto di que
l’animo suo sia occupato da alcun obbietto di quelle passioni. Ond’è,
che
nel tempo che quelle cagionevoli persone soffrono
a occupato da alcun obbietto di quelle passioni. Ond’è, che nel tempo
che
quelle cagionevoli persone soffrono tai ciechi mo
ar contrazione de’ nervi del petto e delle parti vicine. Dall’uffizio
che
i nominati nervi prestano alle passioni, avviene
uffizio che i nominati nervi prestano alle passioni, avviene in oltre
che
ogni passione ha la sua fisonomia particolare; pe
se parti del volto, le quali ramificazioni vengono irritate dal moto,
che
negli affetti concepiscono quelle che scendono ve
ioni vengono irritate dal moto, che negli affetti concepiscono quelle
che
scendono verso il petto, e che noi tra’ nervi dia
che negli affetti concepiscono quelle che scendono verso il petto, e
che
noi tra’ nervi diatetici annoverammo. Di qui vien
che noi tra’ nervi diatetici annoverammo. Di qui vien pure il pianto,
che
accompagna la mestizia, l’allegrezza, la compassi
la mestizia, l’allegrezza, la compassione ed altri affetti, il riso,
che
altri ne accompagna, e la voce tremola e quali sa
riso, che altri ne accompagna, e la voce tremola e quali saltellante,
che
gli accompagna tutti, essendo questi effetti dell
ento de’ medesimi nervi diatetici, e in particolare delle diramazioni
che
essi mandano alle glandole lagrimali, a’ muscoli
asverso, e alla laringe. Da ciò finalmente avviene secondo il Willis,
che
una delle maggiori differenze che passa tra la st
nalmente avviene secondo il Willis, che una delle maggiori differenze
che
passa tra la struttura del nostro corpo e quella
o e quella del corpo de’ bruti, consista nella moltitudine de’ nervi,
che
noi abbiamo verso il petto e le viscere, là dove
ecché non essendo essi capaci d’affetti, non hanno mestieri de’ nervi
che
in quelle regioni di nostra macchina al ministero
macchina al ministero degli affetti son destinati, ma solo di quelli
che
vengono impiegati alle funzioni vitali52. Tutto c
detti all’uffizio delle passioni, e questi essere propriamente quelli
che
diatetici noi abbiam nominati. [Sez.III.1.3.4] Se
etici noi abbiam nominati. [Sez.III.1.3.4] Sembra in oltre manifesto,
che
i nostri nervi, come altrettante corde d’uno stro
bbiano un tuono determinato. È nell’acustica un indubitato principio,
che
un suono qualunque metta necessariamente in moto
he un suono qualunque metta necessariamente in moto tutti que’ corpi,
che
si trovano dentro la sfera dell’ondeggiamento ch’
to tuono, e propriamente l’unisono o altro consonante a quel suono, e
che
per lo contrario non dia movimento alcuno a quegl
e che per lo contrario non dia movimento alcuno a quegli altri corpi
che
non hanno un tuono determinato. Ond’è che da un s
alcuno a quegli altri corpi che non hanno un tuono determinato. Ond’è
che
da un suono stromentale o vocale, osserviam non d
re, e qualunque altro corpo in cui s’incontri per casualità un tuono,
che
faccia consonanza con quello che risuona attualme
i s’incontri per casualità un tuono, che faccia consonanza con quello
che
risuona attualmente. Ma noi sperimentiamo tai sco
china. Dunque i nostri nervi hanno anch’essi un tuono determinato, o,
che
vale il medesimo, sono disposti a un determinato
il medesimo, sono disposti a un determinato suono. Di qui siegue: i.
che
essi dovranno essere immediate e necessariamente
essi dovranno essere immediate e necessariamente mossi da una musica,
che
adoperi suoni consonanti a quelli a cui essi trov
ni consonanti a quelli a cui essi trovansi dalla natura disposti; II.
che
un modo musicale fondato sopra suoni consonanti a
cessariamente e immediatamente tai nervi, e per quella corrispondenza
che
passa tra il movimento di questi e le passioni de
passioni dell’animo, il loro oscillamento ne desterà quella passione
che
corrisponde a quel dato moto prodotto in essi. [
in essi. [Sez.III.1.3.5] Tante sono le riflessioni natemi in mente,
che
mi rendono assai verisimile l’azione immediata de
ica sul meccanismo de’ nostri affetti. La quale immediata azione pare
che
venga confermata dal dominio che gode la musica s
etti. La quale immediata azione pare che venga confermata dal dominio
che
gode la musica sull’animo umano, maggiore di quel
a dal dominio che gode la musica sull’animo umano, maggiore di quello
che
altra qual si voglia facultà ne fa sperimentare,
ne fa sperimentare, ma soprattutto dagli effetti puramente meccanici
che
non di rado produce, e dalla sua efficacia nella
gi in più occasioni, e segnatamente nella guarigione di quegl’infermi
che
la Puglia chiama tarantolati. I quali effetti né
nimo loro e in altrui, e come la storia medesima il conferma54. Senza
che
, se il modo lidio esempigrazia non avesse ordinar
riamente mossi gli ascoltatori ad allegrezza, per pochi e rari esempi
che
di un tal effetto si fossero osservati, non si sa
si fossero osservati, non si sarebbe potuto assoluta mente affermare
che
quel modo svegliasse l’allegrezza, e molto meno a
nvenire ognuno (come pur convenne) nel pensiero d’adoperare non altro
che
quel modo, quando volesse disporre gli animi a qu
] Gli antichi adunque da una musica povera traevano maggior vantaggio
che
non facciam noi da una ch’è doviziosissima. Se si
nda medesima farebbe oggi contorcere il più valente maestro di musica
che
s’abbia l’Italia: vedendo noi spesse volte un’ ar
spesse volte un’ aria, per esempio composta nel modo minore d’effaut,
che
prima ci era stata cantata nel maggiore d’ellamì,
’effaut, che prima ci era stata cantata nel maggiore d’ellamì, e una,
che
fu parlante, divenire aria di gorgheggio, e quell
llamì, e una, che fu parlante, divenire aria di gorgheggio, e quella,
che
altra volta tardamente procedea guidata dalla fle
oppo, sotto il frettoloso tempo a cappella. [Sez.III.1.4.3] Non è già
che
i moderni compositori non riescano talvolta nel p
co, ma costa loro un continuo sforzo d’ingegno, e spesso inutile, ciò
che
i Greci otteneano con una semplice osservanza del
e della musica. Tra’ nostri componitori e i Greci quel divario passa,
che
passar suole tra chi ignori le regole dell’aritme
ar suole tra chi ignori le regole dell’aritmetica pratica, e un altro
che
francamente sappia eseguirle. Può avvenire che l’
ca pratica, e un altro che francamente sappia eseguirle. Può avvenire
che
l’uno, così esattamente come l’altro, giunga a ri
’operazione, [Sez.III.1.4.4] Tre sono, s’io ben m’appongo, le cagioni
che
renderono il patetico dell’antica musica così reg
la differenza dell’estetico dell’una da quello dell’altra. Una musica
che
faccia pompa d’un estetico troppo ricco, troppo v
co, troppo vario e ricercato, impedisce necessariamente l’impressione
che
i suoni da essa posti in opera potrebbero fare su
gruppi, di sbalzi, appena un suono giugne a toccare i nervi uditori,
che
già la sua azione è totalmente cancellata da quel
già la sua azione è totalmente cancellata da quella d’un altro suono
che
sopraggiugne all’istante, e ch’e incalzato da una
o meno può averla su’ nervi diatetici: perciocché quell’oscillazione,
che
un tuono avea sopra di essi cagionata, cominciata
tta da un’altra tutta diversa dalla precedente. L’esperienza dimostra
che
eseguendo una tal musica vicino a stromenti che s
L’esperienza dimostra che eseguendo una tal musica vicino a stromenti
che
stiano in riposo, niuno di essi ne sarà scosso, n
o, né obbligato a risonare, come sicuramente il sarebbe da un’ altra,
che
tuoni più chiari e più fermi ponesse in uso. Perc
il patetico della musica. [Sez.III.1.4.6] La seconda ragione è l’idea
che
hanno della musica i moderni maestri, diversa da
è l’idea che hanno della musica i moderni maestri, diversa da quella
che
ne ebbero gli antichi. Oggi è questa trattata com
e un’arte destinata principalmente al piacer dell’udito: tutti coloro
che
la professano, ad altro quasi non mirano che a re
dell’udito: tutti coloro che la professano, ad altro quasi non mirano
che
a renderla commendabile all’orecchio. Quindi è ch
ed invariabili leggi della melodia e dell’armonia, ma niuna di quelle
che
appartengono al patetico dell’arte. [Sez.III.1.4
ata, la più efficace ministra delle virtù. Quindi Ateneo ci assicura,
che
colla musica insegnavano i Greci i doveri della r
e e della morale, e le azioni e gli esempi degli uomini illustri. Dal
che
si può comprendere ciò che scrive Polibio55 di du
ni e gli esempi degli uomini illustri. Dal che si può comprendere ciò
che
scrive Polibio55 di due popoli d’Arcadia, l’un de
ione, da’ quali erano stati invitati ad abbandonare una vita brutale,
che
in compagnia delle fiere aveano fin allora menata
, quegli animi ferini. Perciò fu di essi allegoricamente favoleggiato
che
al suono della lira fossero pervenuti ad ammansir
ssi stessi a edificar le città. Per mezzo della musica quegli uomini,
che
fino allora poco degni erano stati di queste nome
egli uomini, che fino allora poco degni erano stati di queste nome, e
che
forse né pur pensato aveano d’esser tali, cominci
ro simili, il coraggio militare56. [Sez.III.1.4.10] I Greci adunque,
che
aveano in loro stessi sperimentata l’efficacia de
come la sorgente di tutta la morale; e però esigea da’ suoi discepoli
che
colla musica principiassero e terminassero la gio
sopra tutti, [per] il quale non v’ha virtù intellettuale, né morale,
che
dalla musica non derivi. In effetti che non dovea
rtù intellettuale, né morale, che dalla musica non derivi. In effetti
che
non doveano essi attendere da un’arte destinata a
essi attendere da un’arte destinata a sì nobil uso ? Non è egli vero,
che
il mezzo più spedito di giugnere all’acquisto del
do come della nostra, di stravagante e di ridicola tassarono la stima
che
gli antichi ne aveano concepita. [Sez.III.1.4.12
hi ne aveano concepita. [Sez.III.1.4.12] Questo vantaggioso concetto
che
i Greci formarono della musica, gli portò a colti
a, gli portò a coltivarla con sommo studio, non tanto in quella parte
che
la rende grata all’udito, quanto in quella che mu
tanto in quella parte che la rende grata all’udito, quanto in quella
che
muove l’animo. Ed essi ne fecero un articolo sì e
l’animo. Ed essi ne fecero un articolo sì essenziale dell’educazione,
che
Temistocle fu avuto per incolto e per incivile, p
toccar la lira in un convito, rispose ch’«egli non sapea trattarla, e
che
spendea la sua applicazione a render florida e fo
dere, la terza ragione del maggior grado di regolarità e di certezza,
che
godeva il patetico dell’antica musica in paragon
ico, e presso la quale un tal gusto degenerava in una spezie di mania
che
volea suggettare a sistema qualunque più ritrosa
e a sistema qualunque più ritrosa disciplina; d’una nazione, in fine,
che
formicava di sublimi ingegni, i quali portavano a
a un talento educato tra le scienze e le belle arti. Qual maraviglia,
che
la musica patetica, coltivata con tanto impegno d
? [Sez.III.1.4.13] Ma tra noi l’opera sta tutta altrimenti. E’ vero,
che
, la buona mercé di Dio, il nostro secolo non cede
cultura a qualunque più florida età della Grecia. Ma coloro tra noi,
che
professano la musica, non sono quegli stessi che
. Ma coloro tra noi, che professano la musica, non sono quegli stessi
che
ampliano tutto dì i confini delle umane cognizion
tutto dì i confini delle umane cognizioni, come avveniva tra’ Greci:
che
anzi i nostri filosofi si recano per lo più a una
cercare dilicatamente uno strumento. Ed oggi la cosa è giunta a tale,
che
quelli tra loro che hanno il farnetico d’ostentar
e uno strumento. Ed oggi la cosa è giunta a tale, che quelli tra loro
che
hanno il farnetico d’ostentarsi impassibili, e ch
he quelli tra loro che hanno il farnetico d’ostentarsi impassibili, e
che
affettano uno stoico contegno, fanno pompa d’inse
di tedio per qual si voglia spezie di concento: letteraria ipocrisia,
che
nuderebbe saporitamente i denti al festevole Menc
stri filosofi, non potè il suo patetico profittar molto, come quello,
che
non può senza la scorta della filosofia andare in
ueste considerazioni sulla musica antica e moderna, perciocché quello
che
abbiamo su tal suggetto osservato, gioverà a megl
che abbiamo su tal suggetto osservato, gioverà a meglio intendere ciò
che
costituirà la materia del capo seguente. Al che c
meglio intendere ciò che costituirà la materia del capo seguente. Al
che
conduce ancora l’aver notato quanto il patetico d
atetico, siccome nel capitolo antecedente fu dimostrato. Si aggiunga,
che
quel frastagliamento, che una continuazione di br
olo antecedente fu dimostrato. Si aggiunga, che quel frastagliamento,
che
una continuazione di brevissime note cagiona alla
erma l’esposta legge dello stil teatrale. Si esamini qualunque musica
che
sul teatro sia riuscita patetica: vi si troverann
che sul teatro sia riuscita patetica: vi si troveranno sì poche note,
che
in un solo di que’ mortali gorgheggi, ch’hanno og
dì tanta voga, se ne potrebbero contare assai più. Né si troverà mai,
che
un canto composto d’una moltitudine di note sia r
ole. Potrà bene un tal canto riuscir piacevole all’orecchio. Ma oltre
che
questo piacere è ben insipido, in confronto di qu
o. Ma oltre che questo piacere è ben insipido, in confronto di quello
che
ne verrebbe dal movimento del cuore, egli è un fa
a solo fine d’aggiugner polso e sostegno alla passione drammatica, di
che
è incapace l’estetico di quelle. Un effetto anche
ono a ballonzare a lor modo: niuno però di tai segni danno a un’altra
che
sia troppo carica di note. Ma d’un’esperienza anc
te. Ma d’un’esperienza anche più manifesta ne fornisce quella sonata,
che
dall’essere adoperata alla guarigione de’ taranto
antolati, Tarantella è detta volgarmente. Questa sonata maravigliosa,
che
sì straordinari effetti cagiona sullo spirito e s
ustri teatri d’Europa una valente cantatrice dotata di voce sì acuta,
che
non avea forse avuta mai la pari in questo genere
calderino si tirò la maraviglia di tutti, ma non altro poté ottenere
che
maraviglia. Quella sua voce non solamente era inc
elle voci troppo basse. La sperienza è ben facile: scegliete un canto
che
vi muova; trasportatelo ne’ tuoni più acuti, o ne
essero potuto riuscir sì bene in questo genere di musica, non ostante
che
, come dicemmo, niuno strumento avessero mai conos
on ostante che, come dicemmo, niuno strumento avessero mai conosciuto
che
più di tre ottave abbracciasse. [Sez.III.2.2.3] È
e non eccede in tuoni troppo acuti o troppo gravi. E quelle rare voci
che
danno in uno di questi eccessi, sentendo assai de
te voi un potentissimo specifico per togliere ogni forza a qual canto
che
sperimentate più energico? Disseminatevi una comp
ica vocale. Poiché uffizio di questa è di dare tal forza alla parola,
che
l’idea a questa unita sia vivamente riprodotta ne
più ansiosamente cerca di penetrare lo stato dell’animo di personaggi
che
l’interessano, sente cominciare quel lungo sbadig
e’ mordenti, que’ trilli, quelle volate, que’ gruppi, quegli arpeggi,
che
fanno sì ben sentire su d’alcuni stromenti. Ma no
eggi, che fanno sì ben sentire su d’alcuni stromenti. Ma non badarono
che
la musica, non meno di qualunque altra delle arti
ca, non meno di qualunque altra delle arti belle, ha i diversi stili,
che
solo per imperizia possono essere insieme confusi
versi stili, che solo per imperizia possono essere insieme confusi, e
che
lo stile della musica vocale vuol essere più sobr
o stile della musica vocale vuol essere più sobrio e più severo assai
che
non quello della stromentale. [Sez.III.2.3.3] Ma
assai che non quello della stromentale. [Sez.III.2.3.3] Mai però più
che
oggi non ebbe questa impropria maniera di canto t
uesto particolare uno spirito di vertigine ne’ nostri compositori. Da
che
essa cominciò a comparire su’ teatri d’Europa, e
occhio d’orgogliosa compassione gli Scarlatti, i Pergolesi, i Vinci,
che
dal mondo di là non poteano essere a parte di que
i da un popolo d’entusiasti. Onde quelle poche persone di buon gusto,
che
si erano mantenute salde contro le lusinghe della
ano mantenute salde contro le lusinghe della nuova sirena, conoscendo
che
non erano più i tempi di Timoteo e di Terpandro63
protestare contro quella novità; quantunque chiaramente conoscessero,
che
lo stile di quella cantatrice potesse per avventu
esse per avventura fare onore a un sonator di salterio o di liuto, ma
che
il canto di ben altra musica avesse mestieri. [S
ra musica avesse mestieri. [Sez.III.2.3.4] Tempo però sarebbe ormai,
che
i Cafari, i Jommelli, i Piccinni, i Traetti, i Sa
ficaci ad eccitare una data passione. Perciocché non di rado avviene,
che
nell’ascoltare, o nell’eseguire un suono, un cant
improvvisamente muovono in noi uno o un altro affetto, e talora senza
che
il compositore gli abbia diretti a questo fine. O
rsonaggi, perciocché una data musica starà bene a una dilicata donna,
che
disdirebbe a un uomo eminente nella virtù o nella
le tenerezze medesime, in bocca loro debbono avere ben altro contegno
che
in bocca femminile. § V. Libertà che si attrib
bono avere ben altro contegno che in bocca femminile. § V. Libertà
che
si attribuiscono i cantanti sullo stil teatrale.
r tutto, e nella abbandonare all’arbitrio del cantante, né permettere
che
costui vi aggiunga di suo capo la menoma appoggia
no. E siccome ognun d’essi ha il proprio stile, avviene costantemente
che
un canto medesimo, eseguito da dieci virtuosi in
eci virtuosi in dieci diverse sembianze apparisca, né più sia, quello
che
uscì della penna dell’autor suo. Ma il freno magg
adenze, per allontanar le quali del teatro basta, s’io non fallo, ciò
che
si è detto intorno al gorgheggio, e ciò che in qu
asta, s’io non fallo, ciò che si è detto intorno al gorgheggio, e ciò
che
in questo paragrafo abbiamo osservato. Io non so
, e ciò che in questo paragrafo abbiamo osservato. Io non so ad altri
che
ne paia; ma quanto è a me, le cadenze son pure la
io mi possa udire. Nulla dicasi degli scorci di bocca e del brandire,
che
i cantanti fanno il capo, le braccia e ‘l resto d
anti fanno il capo, le braccia e ‘l resto della persona, nello stento
che
pruovano a cavar di gozzo que’ difficili passi, o
perché nella fondazione di quella città la porta del primo edifìzio,
che
fuvvi eretto, parve sì bella, e sì garbeggiò a qu
che fuvvi eretto, parve sì bella, e sì garbeggiò a que’ buoni uomini,
che
ciascuno a furore prese ad imitarla. Il maestro d
ini, che ciascuno a furore prese ad imitarla. Il maestro di cappella,
che
attualmente legge queste nostre osservazioni sull
arratur. [Sez.III.3.1.3] Per quanto diversi tra loro sieno i drammi,
che
voi prendete a mettere sotto le note, tutte le si
drammi, che voi prendete a mettere sotto le note, tutte le sinfonie,
che
a quelli servono d’apertura, sono sempre battute
e le leggi del buon gusto, appreso avrebbero in quel codice prezioso,
che
la sinfonia aver dee connessione col dramma, e se
uga del disfatto esercito di Poro, la sinfonia non dovrebbe contenere
che
un presto bellicoso: un allegro sul modello di qu
ion vi starebbe un largo o un balletto. Che direbbe quel largo? Forse
che
que’ meschini prendessero un po’ di respiro? E il
scena dell’Achille in Sciro presentando festive schiere di baccanti,
che
con allegre danze celebrano le feste del loro Dio
re danze celebrano le feste del loro Dio, non richiede altra apertura
che
un balletto. [Sez.III.3.1.5] Vuol dunque l’apert
re intima connessione colla prima scena del dramma. Altri ha voluto64
che
fosse un compendio del dramma. Io non intendo com
ne si vogliono sostituire sì fatti compendi, essendo sempre l’affetto
che
regna nella prima scena, diverso da quello che re
sendo sempre l’affetto che regna nella prima scena, diverso da quello
che
regna nell’ultima. Rechiamo in mezzo un esempio i
asserzione. L’Antigono è un dramma di lieto fine. L’apertura dunque,
che
compendiar dovrebbe quel dramma, lietamente anch’
rminerebbe. E questo allegro come connetterebbe mai colla prima scena
che
gli succede, e che principia co’ pianti e co’ lam
o allegro come connetterebbe mai colla prima scena che gli succede, e
che
principia co’ pianti e co’ lamenti di Berenice?
avvien nell’Antigono, l’apertura non vuol essere malinconica a segno
che
dia sospetto di tristo fine nella favola. §. I
al noia non procede dalla natura di questo stile, ma dal poco studio,
che
fanno sopra di esso i moderni maestri di cappella
pra di esso i moderni maestri di cappella. Deh non si abbiano a male,
che
uno ch’è sommamente affezionato alla loro profess
a male, che uno ch’è sommamente affezionato alla loro professione, e
che
prenda un sincero interesse nella lor gloria, sì
loria, sì francamente per loro vantaggio ragioni. Se essi sullo stile
che
fa la materia di questo paragrafo, facessero quel
e che fa la materia di questo paragrafo, facessero quelle riflessioni
che
soleano fare i nostri antichi compositori, dalle
esempi65, essi vi discernerebbero una certa grazia nativa e dilicata,
che
ha talvolta renduto un recitativo superiore a qua
melodioso insieme e spiegante, il compositore osserverà primieramente
che
nel ragionare non solamente ad ogni parola noi as
sospeso, e ne avvisa altro esservi ancora ad ascoltare. Né ogni punto
che
termina il periodo ha una cadenza medesima. Altra
to finale, dopo il quale nulla ci resti da aggiugnere, altramente uno
che
sol divida l’un periodo dall’altro, altramente un
. [Sez.III.3.2.3] Baderà in oltre a distinguere nel verso le sillabe,
che
hanno l’accento acuto, da quelle che lo hanno gra
istinguere nel verso le sillabe, che hanno l’accento acuto, da quelle
che
lo hanno grave, per dare all’une non solamente no
, per dare all’une non solamente note più acute, ma ancora più lunghe
che
a queste: giacché nella poesia italiana ogni sill
ente lunga, ed ogni grave necessariamente breve66. La poca attenzione
che
i compositori danno al metro delle sillabe, non s
ttenzione che i compositori danno al metro delle sillabe, non solo fa
che
la lor musica distrugga ogni poetica armonia, ma
n solo fa che la lor musica distrugga ogni poetica armonia, ma ancora
che
trasformi i termini; obbligando talvolta a dire a
re, ámico, in luogo di dolóre, amíco. [Sez.III.3.2.4] Osserverà poi,
che
non tutto in un discorso è proferito colla posate
desima: quel passo ha bisogno di movimento, questo d’una lentezza più
che
ordinaria. Darà alle pause il valore che ad esse
o, questo d’una lentezza più che ordinaria. Darà alle pause il valore
che
ad esse conviene, non facendole tutte d’una durat
nte la scorta de’ punti, delle virgole e degli altri segni di riposo,
che
noi adoperiamo nella scrittura; attesoché non di
o, che noi adoperiamo nella scrittura; attesoché non di rado avviene,
che
un passo non ammetta interrompimento di stromenti
e, che un passo non ammetta interrompimento di stromenti, non ostante
che
vi si trovi alcuno di que’ segni. Componeva un ma
un motivo di stromenti. Invano fu a lui amichevolmente rappresentato,
che
il senso non amettea sì fatta interruzione, e ch’
e sospeso. Ma si ebbe un bel dire: il maestro stette saldo, allegando
che
la virgola gli permettea quell’interrompimento. V
a gli permettea quell’interrompimento. V’ha per contrario de’ luoghi,
che
hanno bisogno di qualche pausa, sebbene non abbia
nella musica il numero e la cadenza del verso. Avvi de’ compositori,
che
distruggono sì fattamente ogni traccia di verso n
Sez.III.3.2.6] Baderà finalmente a dare tal musica a ciascuna parola,
che
questa si possa pronunziar netto e chiaramente, e
tando il fallo di taluni, i quali sì scomoda musica adoprar sogliono,
che
il povero cantante è obbligato suo malgrado a pro
unziare sì fattamente le parole, ch’egli ha più bisogno d’interprete,
che
se cantasse un’ aria tartara o moresca. [Sez.III.
vari e interessanti; ed unita alla naturalezza avranno quell’energia,
che
il fuoco d’una passione suol comunicare a un disc
vvegnaché troppo inverisimil sarebbe, e contro l’intenzion del poeta,
che
un personaggio pronunziasse così fil filo un soli
ivo obbligato convenga a un dialogo e disconvenga a un soliloquio. Di
che
colla scorta degli stabiliti princìpi potrà un ac
le quali possono essere utili alla composizione delle arie, non meno
che
de’ recitativi, alcune altre fa mestieri che qui
one delle arie, non meno che de’ recitativi, alcune altre fa mestieri
che
qui se ne aggiungano, che le arie singolarmente r
he de’ recitativi, alcune altre fa mestieri che qui se ne aggiungano,
che
le arie singolarmente riguardano. [Sez.III.3.3.2
cato alcuno, e tal altra prende un significato tutto opposto a quello
che
hanno le medesime parole nell’ordine, che ad esse
cato tutto opposto a quello che hanno le medesime parole nell’ordine,
che
ad esse assegnò il poeta. Pensa oramai per te s’
ta. Pensa oramai per te s’hai fior d’ingegno se queste ripetizioni,
che
tanto vanno a verso a’ nostri compositori, posson
’aria, e le introduzioni e ritornelli delle medesime; e sì vorrebbero
che
dal recitativo si passasse immediatamente alla pr
que’ ritornelli, oltre al peccare contro al verisirimile, non possono
che
rattiepidire ogni movimento dell’animo nostro. [S
ttatore sdegna in sentire il maestro di cappella far del poeta. Senza
che
, tali aggiunzioni distruggono la misura de’ versi
un’aria s’incontrino parole appartenenti a passione diversa da quella
che
regna nell’aria stessa, queste parole vanno messe
ello stile medesimo in cui è composta tutta l’aria, non già in quello
che
converrebbe alla passione a cui esse appartengono
lla passione a cui esse appartengono. Per esempio, accade non di rado
che
in un’aria di furore si trovino le voci Caro, Fig
ore? Qualora s’avviene in tali parole sospende quello stile concitato
che
l’aria esigea, cangia tempo, minora la terza, e f
ad esprimere la dolcezza di quelle parole. L’animo dello spettatore,
che
già coll’aria correva in furore, sentendoti arres
ato sì d’improvviso, biasima non a torto il mal gusto del compositore
che
gli dà così intempestivamente questa sbrigliata.
a essi nel venire all’opera in musica qual piacere vi cercano: quello
che
nasce dalla mozion degli affetti o quel dell’udit
l dell’udito, ancorché a costo del primo? Se si dichiarano per quello
che
ne deriva dalla commozione del cuore, l’unico sen
r quello che ne deriva dalla commozione del cuore, l’unico sentimento
che
le più colte nazioni attesero in ogni tempo da’ t
in ogni tempo da’ teatri, questo esige quello stile energico e breve,
che
noi abbiamo finora insinuato: testimonio non la s
ico si potrebbe dispensar d’ora innanzi d’aprire i teatri. Basterebbe
che
a questi sostituisse publiche accademie di musica
quali risparmierebbero a lui una gran parte delle considerabili spese
che
richiede il mantenimento d’un teatro. A che profo
delle considerabili spese che richiede il mantenimento d’un teatro. A
che
profondere tant’oro all’edifizio d’un teatro, agl
non adoperi una musica espressiva; ch’ella s’annoia di quegli attori
che
non accompagnano il canto con una convenevole azi
mi sentii inondar l’animo da un maraviglioso piacere, in considerando
che
mentre in questa estrema parte d’Europa io stende
me credito con una sì valevole testimonianza. Il passo è così bello,
che
l’essere un tal pocolino lunghetto non rincrescer
usica dell’Alceste, mi proposi di spogliarla affatto di quegli abusi,
che
introdotti o dalla mal intesa vanità de’ cantanti
n degl’inutili superflui ornamenti, e credei ch’ella far dovesse quel
che
, sopra un ben corretto e ben disposto disegno, la
acità de’ colori e il contrasto bene assortito de’ lumi e dell’ombre,
che
servono ad animar le figure senza alterarne i con
a in un lungo passaggio dell’agilità di sua bella voce, o ad aspettar
che
l’orchestra li dia tempo di raccorre il fiato per
forse non finisce il senso, per dar comodo al cantante di far vedere,
che
può variare in tante guise capricciosamente un pa
o invano il buon senso e la ragione. [Sez.III.3.3.10] Ho immaginato
che
la sinfonia debba prevenir gli spettatori dell’az
immaginato che la sinfonia debba prevenir gli spettatori dell’azione
che
ha da rappresentarsi, e formarne per dir così l’a
azione che ha da rappresentarsi, e formarne per dir così l’argomento;
che
il concerto degl’istrumenti abbia a regolarsi a p
sciare quel tagliente divario nel dialogo fra l’aria e ‘l recitativo,
che
non tronchi a contrasenso il periodo, né interrom
o la forza e il caldo dell’azione. [Sez.III.3.3.11] Ho creduto poi,
che
la mia maggior fatica dovesse ridursi a cercare u
o cimbalo. In quel luogo una imparaticcia cantilena piacerà più assai
che
un capolavoro di musica teatrale: siccome a chi n
un capolavoro di musica teatrale: siccome a chi ne’ colori non cerca
che
l’armonia, darà più diletto una ben colorita buss
ri non cerca che l’armonia, darà più diletto una ben colorita bussola
che
un quadro di Raffaello. I colori di Raffaello e l
ne. Solo allora si può giudicare se più diletti una bussola ben tinta
che
una tela animata dal pennello d’Urbino. Sezi
moti del corpo e colla modificazione della voce, i diversi sentimenti
che
si vogliono comunicare ad altrui67. Ella fa una p
dino d’idee, capaci di formare nell’animo altrui quelle disposizioni,
che
noi vi desideriamo, così l’eloquenza del corpo co
[Sez.IV.1.0.2] La pronunziazione adunque mette sotto i sensi quello
che
la parola presenta all’intendimento. E poiché ciò
i sensi quello che la parola presenta all’intendimento. E poiché ciò
che
fa impressione su’ nostri sensi, più ci muove che
mento. E poiché ciò che fa impressione su’ nostri sensi, più ci muove
che
quello che va dirittamente allo spirito, perciò i
iché ciò che fa impressione su’ nostri sensi, più ci muove che quello
che
va dirittamente allo spirito, perciò in questa co
solo in essa far consistere tal arte. Infatti noi proviamo tutto dì,
che
un eloquentissimo discorso, ma insipidamente pron
discorso, ma insipidamente pronunziato, ci costringe a sbadigliare, e
che
al contrario un discorso mediocre, pronunziato ma
uali in publicandosi caddero di riputazione, e non più parvero quelle
che
aveano tante volte trionfato nella capitale del m
re essere egli il primo a non credere sì fatte cose. E gli uomini non
che
s’annoino, ma si sdegnano anzi contro chi voglia
cizio. Bruto né pure nel campo di Farsalia l’omise72. Né altri creda,
che
si riservasse tal arte pe’ rostri o pe’ teatri; e
i; essi la stimavano sì necessaria anche ne’ familiari trattenimenti,
che
Platone la mise tra le civili virtù e Clistene ti
civili virtù e Clistene tiranno di Sicione rifiutò Ipoclide ateniese,
che
aspirava alle nozze della figliuola, per essersi
one. Sulle stesse cattedre delle scienze, ove parrebbe men necessaria
che
altrove, essi richiedevano quest’arte; e di Teofr
ofrasto particolarmente è fama, non essere e’ gli mai venuto in Liceo
che
non si fosse prima preparato ad accompagnare con
se prima preparato ad accompagnare con espressiva pronunziazione, ciò
che
dovea far l’argomento di sue lezioni73. [Sez.IV.
to poi fosse studiata dagli attori è chiaro non solo pe’ dotti volumi
che
in tal materia scrissero Glauco di Teo, Quinto Ro
ssero Glauco di Teo, Quinto Roscio ed altri di essi, ma da ciò ancora
che
i due fulmini d’eloquenza, Demostene e Cicerone,
loro trionfatrice persuasione. Il romano oratore, certo dell’utilità
che
un dicitore avrebbe potuto trarre dall’azione di
egli era debitore di sì felici successi a un altro attore. Ogni volta
che
si espose in Atene a parlare in publico non ripor
e. Ogni volta che si espose in Atene a parlare in publico non riportò
che
fischiate da quel popolo di squisito gusto ed ins
lo dilicato, nella sola pronunziazione stimò (come fu detto poc’anzi)
che
consistesse tutta l’arte dell’oratore. [Sez.IV.1
zione, e i chironi della gioventù nostra non ebbero mai pur sospetto,
che
un’arte sì fatta dovesse impiegare una parte del
va fallito; e il suo inganno non pregiudica meno alla sua riputazione
che
allo spettacolo. Perciocché il publico riserba a
é il publico riserba a gran dritto i suoi più vivi applausi a coloro,
che
accoppiano al canto una energica pronunziazione;
teatri non gli obbligheranno a deporlo, l’opera in musica non recherà
che
noia, per evitar la quale lo spettatore si dà a c
ragione sì notabili abusi. Ora io ardisco di pronunziar francamente,
che
per qualunque forza sovrana tali abusi non cesser
teatri d’opere in musica, e non in quelli di drammi recitati? Ognuno,
che
sia capace della menoma riflessione, converrà con
ti? Ognuno, che sia capace della menoma riflessione, converrà con noi
che
ciò sia proceduto dalla pronunziazione più neglet
noi che ciò sia proceduto dalla pronunziazione più negletta in quelli
che
in questi. Cap. II. Della pronunziazione propr
opera in musica, la considereremo relativamente al gesto e alla voce,
che
sono i due oggetti di quest’arte. [Sez.IV.2.1.2]
gesto in imitativo, indicativo ed affettivo. Gesto imitativo è quello
che
contraffà il moto o la figura d’una cosa; come qu
se ne volesse avventare una allora allora. Gesto indicativo è quello
che
dimostra dov’è la cosa di cui si ragiona, o dove
tti gli occhi e le mani del gesteggiante. Il gesto affettivo è quello
che
dimostra la passione, che in quel punto possiede
l gesteggiante. Il gesto affettivo è quello che dimostra la passione,
che
in quel punto possiede chi l’adopera. Così un adi
ezie di gesto fu dato il nome d’affettivo, non perciò si dee credere,
che
le due antecedenti spezie non servano alle passio
caratterizza le passioni. [Sez.IV.2.1.4] Or a quale di queste spezie
che
si appartenga un gesto, egli dev’essere nell’oper
ssere nell’opera in musica sempre congiunto alla gravità e al decoro,
che
conviene alla sublime qualità de’ personaggi del
ne alla sublime qualità de’ personaggi del dramma; e quel sentimento,
che
non può esser rilevato con gesto nobile e grave,
to alcuno, anziché avvilirlo con uno svenevole o mimico.77 Tanto più,
che
talvolta è un espressivissimo gesto il non far ge
ivissimo gesto il non far gesto alcuno e rimanere immobile. Di qui è,
che
il gesto imitativo vi vuol essere parchissimament
che il gesto imitativo vi vuol essere parchissimamente adoperato, da
che
, pizzicando molto del giocolare, più proprio è de
da che, pizzicando molto del giocolare, più proprio è della commedia
che
della tragedia. Né a torto Aristotile si ride di
e si ride di que’ coristi de’ suoi dì, i quali se cantavano di Scilla
che
traea le navi, afferravano il corifeo, e lo stras
a tragica gravità, male a lor converrebbe. Quindi la provvida natura,
che
adatta i talenti dell’animo a quelli del corpo, d
d’Atene, incorse sì fattamente nello scherno di quel popolo dilicato,
che
il suo nome, passando in proverbio, cominciò a di
overbio, cominciò a dinotare un affannone, un faccendiere; proverbio,
che
, passando di Grecia a Roma, asperse di sua salsez
stesse Tiberio, chiamato Callipide, pe’ gran preparativi di viaggio,
che
ogni anno facea, senza mai partir da Roma78. [Sez
sto affettivo, siccome quello, ch’è il più nobile, il più eloquente e
che
fa il trionfo d’un discorso, imprimendolo con for
ivo va data norma a tutto il corpo; avvertendo però nel tempo stesso,
che
per voglia di troppo esprimere, non si dia in ism
ez.IV.2.1.8] Il gesto affettivo è più facile nelle gagliarde passioni
che
nelle moderate; e però i primi e i secondi attori
ò i primi e i secondi attori riescono in questo gesto più agevolmente
che
i terzi e i quarti, perché tutto il patetico del
ime parti e sulle seconde. Le altre non hanno se non quella passione,
che
nasce dalla consapevolezza dell’altrui buona o re
’essere apportatore dì felice o di trista novella: passione limitata,
che
con termine dell’arte si chiama mezza passione. I
mbrecciar giusto. Per lo più l’attore o si affanna e si arrabatta più
che
non richiede la sua parte, e dà da ridere a sue s
a sua parte, e dà da ridere a sue spese, o si comporta men caldamente
che
non converrebbe, e gli spettatori si annoiano di
converrebbe, e gli spettatori si annoiano di quella melensaggine. Dal
che
si vede, che quanto meno interessanti sono gli at
e gli spettatori si annoiano di quella melensaggine. Dal che si vede,
che
quanto meno interessanti sono gli attori, tanto p
mpresari poco pensiero si danno delle ultime parti. Onde poi avviene,
che
quando la scena non è occupata da’ primi attori,
agrafo con qualche riflessione sul gesto muto. Il gesto muto è quello
che
non è accompagnato dalla parola. Esso appartiene
ticolarmente all’attore qualora lasci di parlare per ascoltar l’altro
che
prende la parola. Deve egli allora badare attenta
ro che prende la parola. Deve egli allora badare attentamente a colui
che
di presente tiene discorso, e mostrare col gesto
ui che di presente tiene discorso, e mostrare col gesto l’impressione
che
fanno nell’animo suo le parole di lui. La quale o
tore a cui è diretta la parola, ma è obbligazione di tutti gli attori
che
sono in iscena. Tutti ne’ loro gesti muti debbono
sono in iscena. Tutti ne’ loro gesti muti debbono mostrar la ragione,
che
gli costringe a facete, e le diverse emozioni che
mostrar la ragione, che gli costringe a facete, e le diverse emozioni
che
fa sperimentare a ciascun di loco colui che parla
te, e le diverse emozioni che fa sperimentare a ciascun di loco colui
che
parla. [Sez.IV.2.1.10] Il saper ben tacere è più
che parla. [Sez.IV.2.1.10] Il saper ben tacere è più difficile assai
che
il parlar bene; e però non è maraviglia, che meno
re è più difficile assai che il parlar bene; e però non è maraviglia,
che
meno persone il sappiano fare. Un attore quando h
soffiarsi il naso e di sputare. Deh quando giugneranno essi a sapere,
che
tutte queste libertà ch’è si danno sono tutti fal
te poi se un attore. Egli quando tace debbe aver gli occhi o a quello
che
parla, o dove gli esige la passione e ‘l discorso
flessione dovrebbe determinare gli attori ad accordare più attenzione
che
non fanno al gestir muto, col quale essi possono
quale essi possono talvolta toccarci il cuore assai più profondamente
che
con gesto sostenuto dal valore della poesia e del
lla voce, è quest’arte più necessaria agli attori di drammi recitati,
che
a quelli d’opere in musica: il maestro di cappell
uesti ultimi da sì fatte sollecitudini. Non per questo però si creda,
che
nulla resti da badare al cantante. Ciò che sono l
per questo però si creda, che nulla resti da badare al cantante. Ciò
che
sono le note per essi, è la coregrafia pe’ baller
la ostante tocca al ballerino a dare a’ passi e a’ giri quelle grazie
che
sono come l’anima d’una danza. Veggiamo adunque c
quelle grazie che sono come l’anima d’una danza. Veggiamo adunque ciò
che
in questa parte della pronunziazione esiga il pop
arole, e non cavarle scodate e languide, com’è pur vezzo di molti. Il
che
facea dire a uno della loro professione, che si f
è pur vezzo di molti. Il che facea dire a uno della loro professione,
che
si fidava di cantar sulla scena un pezzo della ga
fidava di cantar sulla scena un pezzo della gazzetta corrente, senza
che
persona se ne avvedesse. Sarebbe desiderabile che
tta corrente, senza che persona se ne avvedesse. Sarebbe desiderabile
che
questi virtuosi avessero una volta fitto in capo,
be desiderabile che questi virtuosi avessero una volta fitto in capo,
che
ciò che essi cantano debb’essere inteso senza il
erabile che questi virtuosi avessero una volta fitto in capo, che ciò
che
essi cantano debb’essere inteso senza il menomo s
l menomo stento e senza mestieri di libricciuolo. Quella recitazione,
che
per essere intesa ha bisogno d’esser letta, è dal
far sentire il numero della poesia, e non dar nel farnetico d’alcuni,
che
si affannano a credenza, per estinguere ogni sent
o comandare, adirarsi o ripigliare, mandano fuori una voce femminile,
che
in quell’incontro muove non a timore, ma a riso.
ari delle nostre scene dispongono del destin della terra con una voce
che
muove invidia nelle italiane fanciulle. E non sar
putata una grave improprietà, una intollerabile inverisimiglianza? So
che
molti non saran per entrare in queste avviso, e c
risimiglianza? So che molti non saran per entrare in queste avviso, e
che
avranno per rovinato lo spettacolo, se se ne allo
o spettacolo, se se ne allontanino gli eunuchi. Ma se costoro credono
che
si possa trovar piacere dov’è inverisimiglianza,
piacere dov’è inverisimiglianza, io, ciò nulla ostante, ho per fermo
che
l’Italia non ha sì presto dimenticato un Buzzolen
ri eccellenti tenori, i quali riscossero sulle scene quegli applausi,
che
forse non ebbe mai alcuno de’ nostri soprani, e c
quegli applausi, che forse non ebbe mai alcuno de’ nostri soprani, e
che
certamente furono più ragionevoli, e più meritati
stri soprani, e che certamente furono più ragionevoli, e più meritati
che
non quelli dati a costoro. Non vo’ mettere in con
non quelli dati a costoro. Non vo’ mettere in considerazione il danno
che
l’evirazione cagiona allo stato, l’oltraggio ch’e
giona allo stato, l’oltraggio ch’ella reca all’umanità, l’ingiustizia
che
commette verso tanti infelici, de’ quali, riuscen
tali considerazioni da questo luogo. Altro qui non si vuol rilevare,
che
l’inverisimile, che nasce dall’addossare ad eunuc
da questo luogo. Altro qui non si vuol rilevare, che l’inverisimile,
che
nasce dall’addossare ad eunuchi parti da uomo: es
a in musica. Possono ancora gli attori trarre del vantaggio da’ libri
che
quest’arte particolarmente insegnarono84. È però
rmente insegnarono84. È però la pronunziazione una di quelle facultà,
che
non si può appieno insegnare in iscritto85. Perci
arte, entriamo nel capo seguente ad additare agli attori altri mezzi,
che
menar possono all’acquisto di questa pronunziazio
altri mezzi, che menar possono all’acquisto di questa pronunziazione
che
al nostro spettacolo conviene. Cap. III. De’
uomini, quanto il contraffare quelle maniere di parlare e di gestire,
che
osservano in altrui. Così Eroe a’ tempi di Cicero
istreranno a un attore intelligente un altro secondo mezzo. I modelli
che
offrono agli occhi di lui queste due belle arti,
lui queste due belle arti, sono per lo più perfettissimi, come quelli
che
presentano i gesti più energici e più nobili. Mer
esti più energici e più nobili. Mercecché, non potendo l’artista dare
che
un solo gesto alla sua figura, egli fa consistere
, egli fa consistere la sua principale attenzione in isceglier quello
che
meglio esprima la passione dell’eroe della sua op
er quello che meglio esprima la passione dell’eroe della sua opera, e
che
, secondo il precetto dell’Albani87, spieghi non s
opera, e che, secondo il precetto dell’Albani87, spieghi non solo ciò
che
il personaggio allora fa, ma quello ancora che ha
, spieghi non solo ciò che il personaggio allora fa, ma quello ancora
che
ha fatto, e quello ch’è per fare. E quest’unico g
ch’è per fare. E quest’unico gesto è talora sì felicemente assortito,
che
la sua impressione scende fino al più profondo e
l più profondo e al più sereno dell’animo. Chassé, il migliore attore
che
oggi fiorisca in Francia, deve la sua bella pronu
rà dunque un attore intelligente da que’ miracoli del greco scalpello
che
giunsero fino a noi, e dalle sculture di Michelag
tesori serbano ancora per lui le opere di quelli tra’ nostri pittori,
che
più nell’espression si distinsero, come son quell
Raffaello vanno tant’oltre in questo genere, ch’io non so chi vi sia
che
gliene possa contendere il primato. Ma per oppost
nte prese per modelli d’una nobile pronunziazione. [Sez.IV.3.0.5] Ciò
che
la scultura, e la pittura offerisce agli occhi no
iccome pochi tra questi convengono alla tragica dignità, è necessario
che
l’attore prenda di mira particolarmente i persona
colarmente i personaggi d’alto affare. Il mentovato Baron solea dire,
che
un attore dovrebbe essere stato allevato sulle gi
re stato allevato sulle ginocchia delle regine. [Sez.IV.3.0.7] Dappoi
che
l’attore avrà procurato di derivare da questi fon
dovrà esaminare se vi sia ben riuscito, e in queste esame non fidarsi
che
de’ propri occhi e nel consiglio d’un ampio specc
osì fatta, due condizioni si richieggono in un attore. La prima si è,
che
la sua immaginazione vesta bene il personaggio, c
e. La prima si è, che la sua immaginazione vesta bene il personaggio,
che
rappresenta. Qualora un attore abbia presente la
mma, egli darà alla sua pronunziazione quella proprietà, quel decoro,
che
non si può in conto alcuno apprendere da’ precett
sare gli spettatori. Entrando l’attore nella passione del personaggio
che
rappresenta, egli darà a questa il gesto e la voc
el personaggio che rappresenta, egli darà a questa il gesto e la voce
che
l’è dovuta; e mettendo sotto gli occhi nostri i s
ordati in consonanza tra loro: non può uno mandar fuora il suo tuono,
che
tutti gli altri non si mettano in movimento. [Se
n si mettano in movimento. [Sez.IV.3.0.9] La seconda condiziona si è
che
l’attore abbia bene impressa in mente la parte su
urdaloue a quale de’ suoi sermoni egli desse la preferenza – A quello
che
ho meglio a memoria - rispose il grande oratore93
V. Della decorazione dell’opera in musica [Sez.V.0.0.1] Esercitati
che
sieno gli attori a pronunziare con dignità il mel
i attori a pronunziare con dignità il melodramma, si vuole par ultimo
che
il luogo dell’azione sia convenientemente decorat
[Sez.V.1.0.1] All’inventore degli abiti è conceduta maggior libertà,
che
non agli altri artisti dell’opera in musica. Nel
sentano gli scrittori delle costumanze greche o romane, e i monumenti
che
ne rimangono delle medesime: da che que’ buon uom
ze greche o romane, e i monumenti che ne rimangono delle medesime: da
che
que’ buon uomini vestivano sì positivo, che le’ l
angono delle medesime: da che que’ buon uomini vestivano sì positivo,
che
le’ loro fogge non potrebbero ammettere la vaghez
sì positivo, che le’ loro fogge non potrebbero ammettere la vaghezza,
che
si richiede negli abbigliamenti delle opere music
stimento, e sì sembrano due signorini sbarcati pure allora di Parigi,
che
gli spettatori non si possono contenere di dar lo
li. L’abito del suo personaggio conservi sempre qualche aria, qualche
che
traccia del vestire adoperato dalla costui nazion
sano allora le nostre dame: anacronismo in vestitura, simile a quello
che
in pittura commise il Tintoretto, armando di fuci
.4] Insomma l’inventore degli abiti imiterà lo stile de’ ritrattisti,
che
conservando i principali lineamenti della persona
e’ ritrattisti, che conservando i principali lineamenti della persona
che
ritraggono, gli abbelliscono con altri non appart
che ritraggono, gli abbelliscono con altri non appartenenti a persona
che
viva, ma nati nella lor fantasia; e sì ne compong
che viva, ma nati nella lor fantasia; e sì ne compongono il ritratto,
che
chi lo vede riconosca l’originale, ma si maravigl
l colore degli abiti vuol essere diverso da quello della scena, ma sì
che
facciano insieme armonia. Se la scena è d’un colo
nsità, languirà l’uno e l’altra, e cadranno in quel genere di pittura
che
i maestri chiamano chiaroscuro, genere monotono e
ere monotono e freddo. L’occhio perderà di vista i personaggi, subito
che
questi cesseranno di muoversi. Quanto è poi all’a
, subito che questi cesseranno di muoversi. Quanto è poi all’armonia,
che
dee risultare da’ colori degli abiti e delle scen
dee risultare da’ colori degli abiti e delle scene, è già troppo noto
che
i colori hanno tra loro quel medesimo rapporto ch
è già troppo noto che i colori hanno tra loro quel medesimo rapporto
che
passa fra’ tuoni d’uno stromento. Se nella compos
pregiudicheranno scambievolmente, e l’occhio ne rileverà quel dolore
che
pruova l’orecchio in una dissonanza. [Sez.V.1.0.
va l’orecchio in una dissonanza. [Sez.V.1.0.6] Talvolta né pur basta
che
l’artefice abbia felicemente scelto il colore deg
5. Una legge della visione, osservata esattamente dalla pittura, si è
che
quanto più un oggetto s’allontana, tanto più il s
ddosso a un personaggio lontano colori d’una vivacità eguale a quella
che
si vede addosso a’ vicini, que’ personaggi compar
iche, o, se moderne, di straniere persone, e nate in paesi o in tempi
che
non erano adottate le nostre fogge. Cap. II. D
lente pittore e architetto senese, narra l’Ugurgieri96 e ‘l Vasari97,
che
nel far le scene alla Calandria del Bibbiena fece
rra e stravagante invenzione, e sì nel tempo stesso comparivano vere,
che
con dolce inganno dilettavano gli occhi di tutti.
di tutti. Da questo elogio del Peruzzi si possono dedurre le qualità
che
si hanno a trovare in una scena, le quali a tre s
.2.1.3] Per principiare adunque dalla sua vastità, il dramma richiede
che
la scena ora presenti l’interno d’una reggia, ora
una reggia, ora un giardino, una piazza, una foresta ecc., tutte cose
che
esigono ben altro spazio che quello d’un prosceni
una piazza, una foresta ecc., tutte cose che esigono ben altro spazio
che
quello d’un proscenio, per grande che sia. Dovrà
se che esigono ben altro spazio che quello d’un proscenio, per grande
che
sia. Dovrà perciò il pittore posseder bene li seg
à perciò il pittore posseder bene li segreto di far apparir vasto ciò
che
in realtà non è tale. La prospettiva è la maestra
erpetuo dominio del paese natio, siccome il dimostrarono gl’Italiani,
che
in ogni tempo l’ebbero in pregio, e che non solo
il dimostrarono gl’Italiani, che in ogni tempo l’ebbero in pregio, e
che
non solo la renderon nota a tutte le più colte na
e scene vedute in angolo, di cui egli fu inventore99. Le quali scene (
che
vanno discretamente adoperate) danno ben altra va
en altra vastità al luogo dell’azione, e ben altro diletto a vederle,
che
quegli stradoni o quelle gallerie che vanno sempr
e ben altro diletto a vederle, che quegli stradoni o quelle gallerie
che
vanno sempre diritte al punto di mezzo, e che nul
adoni o quelle gallerie che vanno sempre diritte al punto di mezzo, e
che
nulla lasciano a immaginare a chi guarda. [Sez.V.
ordi colla grandezza, e colla lontananza ch’egli assegna agli oggetti
che
compongono la scena; e sappia esser cosa quasi or
talvolta uscire un personaggio da un luogo, dove le statue colossali
che
vi sono dipinte non gli arrivano al ginocchio, o
i montagna sopra montagna davano la scalata all’Olimpo: noto essendo,
che
l’occhio giudica della grandezza dell’oggetto dal
ll’oggetto dalla grandezza delle cose circostanti, e dalla lontananza
che
mostra la serie delle cose poste tra sé e ‘l suo
, per non degenerare in rilassatezza, come fu quella d’alcuni pittori
che
nella prospettiva delle scene praticarono due pun
a: sconcezza intollerabile e indegna d’un pennello italiano. Quindi è
che
nella prospettiva non v’ha cosa più malagevole ch
italiano. Quindi è che nella prospettiva non v’ha cosa più malagevole
che
quella delle scene, ad eseguir la quale non basta
conoscere dove, e quanto è necessario di declinare dalle medesime. Il
che
non si può senza una lunga pratica, o senza una d
.2.2.1] La verisimiglianza della scena induce lo spettatore a credere
che
il luogo ch’essa rappresenta è appunto il luogo d
i trova in una scena quando il disegno del luogo, e di tutte le parti
che
lo compongono o l’adornano, sono propri all’uffiz
lle costumanze moderne. Quindi una galleria va caratterizzata in modo
che
non sia presa per un tempio, né una carcere senta
n Egitto, l’architettura non sia gotica, gli arredi non paiano quelli
che
ci vengono d’Inghilterra, i ritratti e le statue
’arte sua, dee contrassegnare quella campagna con tali particolarità,
che
indichi appartener essa all’Egitto e non ad altro
rchitettura, se la sue leggi non sono elettamente osservate, i falli,
che
si commettono contro di esse, tendono ogni moment
volte senza appoggio, quelle arcate senza fondamento, quelle colonne
che
in vece d’andare a incontrare il capitello, si pe
vece d’andare a incontrare il capitello, si perdono tra le nuvole, o
che
in vece di sedere sul zoccolo si contentano dell’
e sul zoccolo si contentano dell’immaginario sostegno di una mensola,
che
sembra non un’opera di valoroso architetto, ma un
Nel dipingere una cupola avea costui sostenute con mensole le colonne
che
figuravano di reggere questa cupola. Alcuni archi
chi nel salirla si fiaccasse la nuca. Non sepea messer lo professore
che
è un precetto universale e comune a tutte le arti
a tutte le arti d’imitazione, il rispettare il verisimile; precetto,
che
non ammette veruna licenza, se non nel caso ch’es
ella novità negli ornamenti della scena [Sez.V.2.3.1] Ma non basta
che
la scena sia verisimile, ciò architettata regolar
mma. Questo fondo ha bisogno di tutto l’ingegno d’un sagace artefice,
che
gli dia risalto e bellezza. Ma questi, nell’adorn
narlo, convien ch’abbia l’occhio a non adoperare gli usi e le maniere
che
attualmente sono in voga in quella città a cui ap
etria de’ loro giardini, negli adobbi delle loro abitazioni, hanno di
che
adornare con novità le nostre scene. I Francesi m
e quali abbiamo più familiarità e commercio, tengono pure alcuni usi,
che
non hanno ancora ottenuta la nostra cittadinanza,
e alcuni usi, che non hanno ancora ottenuta la nostra cittadinanza, e
che
però, scelti con accorgimento, farebbero di sé be
ccorgimento, farebbero di sé bella mostra sul teatro. § IV. Di ciò
che
può soccorrere l’inventiva del pittor delle scene
i. [Sez.V.2.4.2] Possono in oltre giovar molto al pittore que’ libri
che
insegnano il modo di dipinger le scene, com’è que
so Palladio. Non meno utili per lui saranno le opere di que’ pittori,
che
nell’architettura si distinsero sopra gli altri,
viglioso costrutto caverà egli da’ preziosi avanzi d’antichi edifìzi,
che
si ammirano tuttavia in Italia, nella Grecia, in
i. Quindi, per conchiudere colle parole d’un poeta pittore, Bisogna,
che
i pittor sieno eruditi, Nelle scienze introdotti
.V.3.0.1] Quanto al movimento delle macchine e delle scene, io non ho
che
a raccomandarne la prontezza non solo perché è no
tezza non solo perché è noiosissima a vedere una macchina o una scena
che
stenti a giugnere al suo sito, ma molto più ancor
del macchinista è l’illuminazione delle scene, ma bisogna confessare
che
un tale uffizio è per ordinario con somma goffagg
i dilavati, i lumi e l’ombre. Viene il macchinista, e senza badar più
che
tanto all’idea del pittore, distribuisce le fiacc
e della degradazion de’ colori. [Sez.V.3.0.3] Convien dunque sapere,
che
i lumi non si vogliono distribuire egualmente da
i fa, ma bensì a masse e a gruppi ineguali, per afforzare que’ luoghi
che
ne abbisognano; Altri di poi, cui ‘l chiaro lume
mentre altre erano lasciate fra l’ombre. Un macchinista intelligente,
che
coll’economia medesima distribuisse i lumi tra le
rgione, il Tiziano del teatro; e tanto più l’opere sue diletterebbero
che
quelle de’ duumviri di quel genere, quanto il lum
e illuminato, è oltre modo soggetto. Per la medesima ragione è d’uopo
che
sia per ogni parte isolato, a fin d’impedire il p
V.4.1.2] Col rendere isolato il teatro s’acquista un altro vantaggio,
che
se gli possono dare molte porte esteriori e corri
z.V.4.1.3] L’interno del teatro non va edificato delle stesse materie
che
per l’esteriore edifizio del medesimo abbiam comm
te: e per interno del teatro io intendo i suoi palchetti, e tutto ciò
che
sporge sopra quel vano, di cui è base la platea.
mo un leuto, un violino: essi non renderebbero verun suono102. È vero
che
gli antichi di pietre o di marmi soleano costruir
leano costruire l’interno de’ loro teatri, ma per rimediare al danno,
che
da tai materie soffriva la voce degli autori, ess
voce degli autori, essi davano a costoro delle maschere fatte in modo
che
servissero come di tromba. E oltre a ciò i Greci
nte forza per giugnere alle più rimote parti del teatro. Ma in quelli
che
non di pietra, ma di legno erano costruiti, essi
ano costruiti, essi non poneano si fatto ordigno, avendo sperimentato
che
il legno dava tal risalto alla voce, che rendea d
ordigno, avendo sperimentato che il legno dava tal risalto alla voce,
che
rendea del tutto inutile l’uso di que’ vasi. [Sez
V.4.1.4] Questa pratica degli antichi, unita a una giornaliera pruova
che
noi ne facciamo, ha dato a conoscere che il legno
ita a una giornaliera pruova che noi ne facciamo, ha dato a conoscere
che
il legno è il materiale più convenevole all’inter
mirabilmente, e con somma grazia e dolcezza. Conviene però avvertire,
che
il legno sia tutto egualmente stagionato, affinch
voce. [Sez.V.4.1.5] Anche l’interno de’ teatri vuol avere più porte,
che
mettano nella platea, affinché in caso di disastr
cite per cui sgombrare e mettersi in salvo. Non una volta è avvenuto,
che
in un improvviso movimento, per la scarsezza dell
miseramente calpestati o divorati dalle fiamme. Non è però necessario
che
tai porte sieno sempre aperte; conviene anzi per
ai porte sieno sempre aperte; conviene anzi per la voce degli attori,
che
alcune restino ordinariamente chiuse, purché negl
piego, avvicinando per quanto si può l’attore agli opposti palchi, fa
che
la costui voce là giunga, dove senza questo artif
inutile tutta la scenica decorazione, la quale a ciò solo si adopera,
che
l’attore sia circondato da oggetti a noi stranier
ma il luogo dell’azione sia verisimile. Ma quando si vede un’Arianna,
che
, in vece d’aggirarsi fra ‘l solitario lido di Nas
consiste in dare al medesimo una figura di campana, disposta in modo
che
l’orlo, o il labbro di quella, corrisponda a’ pal
to dirittamente al proscenio. È però la più leggiadra cosa a sentire,
che
si voglia dare la figura di campana a un edifizio
l proscenio. Un inconveniente si può trovare in questa figura, e si è
che
allarga troppo il vano, o sia la luce della scena
la quale ha per poco tutti i vantaggi dell’altra ed ha di più questo,
che
accresce il numero de’ palchetti essendo la perif
render visibile il teatro a que’ luoghi della platea e a que’ palchi,
che
più avvicinano a’ lati del proscenio. [Sez.V.4.3
ighizzi, e imitata più volte da i Bibbiena. Questa consiste in far sì
che
i palchetti secondoché dalla scena, o sia dal dia
disce all’altro il vedere. [Sez.V.4.3.5] Convien nondimeno avvertire,
che
i due lati di ciascun palchetto, essendo di neces
etti quegli angoli, o pure (e sarà ancor meglio) a spuntargli, e fare
che
i lati del palchetto vadano a terminare in un con
n mandasse chiaramente da per tutto la voce de’ cantanti, io crederei
che
si potrebbe utilmente imitare il ripiego de’ Grec
te la voce degli attori. Dodici di questi (tanti essendo i semituoni,
che
compongono la scala musicale, e altrettanti i mod
con esattissima economia. Un principio generale su questo punto si è,
che
nell’interno del teatro solo quegli ornati si amm
to si è, che nell’interno del teatro solo quegli ornati si ammettono,
che
non impediscono l’occhio dello spettatore, che no
i ornati si ammettono, che non impediscono l’occhio dello spettatore,
che
non offendono la voce del cantante e che non impi
o l’occhio dello spettatore, che non offendono la voce del cantante e
che
non impiccioliscono verun sito. Ecco il paragone,
n sito. Ecco il paragone, sul quale si devono esaminare gli ornamenti
che
si vogliono dare all’interno de’ teatri. [Sez.V.
i, si sarebbero assolutamente astenuti da certi mal intesi ornamenti,
che
divengono eterni monumenti della poca abilità di
’ teatri quegli abbellimenti di carta pesta, a di panno lino, o lano,
che
si mangiano la voce da’ cantanti: perocché l’espe
, che si mangiano la voce da’ cantanti: perocché l’esperienza insegna
che
tanto indebolisce la voce una stanza apparata di
i carta, o di lino, di seta, di lana, quanto le dà risalto un’ altra,
che
foderata sia d’asse. Gli specchi ancora, quando s
cano non poco, non essendo lo specchio capace di quegli ondeggiamenti
che
l’aere sonoro comunica al legno. E condannati avr
nnati avrebbero per la stessa ragione que’ fregi sinuosi e centinati,
che
rompono e sparpagliano il prefato ondeggiamento d
4. [Sez.V.4.4.3] Per rispetto poi alla vista e al sito, è necessario,
che
que’ sostegni, che dividono un palco dall’altro,
r rispetto poi alla vista e al sito, è necessario, che que’ sostegni,
che
dividono un palco dall’altro, e quella fascia, ch
che que’ sostegni, che dividono un palco dall’altro, e quella fascia,
che
separa i diversi ordini o file di palchetti, sien
i e gracili quanto si possa il più: né so quanto ben facciano coloro,
che
per un’ architettonica pedanteria gli destinano a
e sproporzionati, per rendergli sottili quanto poc’anzi abbiamo detto
che
vogliono essere, o per dare ad essi qualche propo
à perdere molto luogo e impedire ancora la vista dello spettatore. Il
che
sarebbe biasimevole anche più, perché nel teatro
ella pronunziazione e della decorazione proprie dell’opera in musica,
che
sono le quattro essenziali parti di questo spetta
na delle belle arti, e si divide in alta e bassa. Danza alta è quella
che
fa il ballerino, elevandosi da terra quanto più p
a ed inferiore spezie di danza appartiene alla classe di quelle arti,
che
sono definiate a far mostra d’agilità, e di forza
lcuna. [Sez.VI.1.1.3] L’estetico della danza consiste nella simmetria
che
passa tra’ tempi de’ suoi movimenti e i tempi del
metria che passa tra’ tempi de’ suoi movimenti e i tempi della musica
che
l’accompagna. In effetti il rincrescimento che si
e i tempi della musica che l’accompagna. In effetti il rincrescimento
che
si pruova in vedere uno che balli fuor di cadenza
’accompagna. In effetti il rincrescimento che si pruova in vedere uno
che
balli fuor di cadenza, nasce appunto perché egli
a disposizione ch’ella dà alle membra. La qual disposizione non è già
che
presenti una novella simmetria, ma solo rende più
ella simmetria, ma solo rende più discernevole e più manifesta quella
che
dalla natura ebbe il nostro corpo. Perciocché gli
ni tengono per l’ordinario in negligente positura, le loro membra, sì
che
essi, quanto è in loro, estinguono quelle belle d
essi, quanto è in loro, estinguono quelle belle disposizioni e misere
che
sono osservabili nella lor macchina. La danza rim
anza rimedia a questa negligenza, assegnando a ciascun membro il sito
che
più gli è vantaggioso (cioè quello che rende più
nando a ciascun membro il sito che più gli è vantaggioso (cioè quello
che
rende più agevole il discernimento delle ragioni
oso (cioè quello che rende più agevole il discernimento delle ragioni
che
le membra hanno tra loro) ed alla macchina intera
1] Il patetico della danza consiste nell’imitazione di que’ movimenti
che
noi facciamo, qualora da alcuna passione siam pos
el secondo capo della prima sezione fu da noi stabilita la necessità,
che
hanno tutte le arti adoperate nell’opera in music
d’essere intimamente connesse all’azione drammatica. Quello adunque,
che
nel citato luogo fu osservato, basta a stabilire
esta bella disciplina una parte del nostro spettacolo, non altrimenti
che
strettamente connessa all’azione drammatica può f
ezza. [Sez.VI.2.1.2] Pure, se v’è parte nell’opera in musica italiana
che
più si allontani da tale unità, i balli son dessi
rgomento, quando ecco salta fuori una truppa di Persiani o di Cinesi,
che
ti comincia un ballo di strana foggia in una scen
ena passeggiata poc’anzi dal greco o dal romano coturno. Chi non vede
che
sì fatto ballo sta in quel luogo, per così dire,
ede che sì fatto ballo sta in quel luogo, per così dire, a pigione, e
che
non alla sola unità d’azione, ma ripugna a un tem
eniente: il dramma è tragico, e l’ballo è le più volte buffonesco; il
che
arresta quel movimento, che la favola ne avea des
, e l’ballo è le più volte buffonesco; il che arresta quel movimento,
che
la favola ne avea desto nell’animo, e per consegu
i attedia del dramma, quando quel moto, nel quale consiste il piacere
che
a noi reca l’azione drammatica, si estingue nel s
zione drammatica, si estingue nel suo cuore da un contrario movimento
che
vi cagiona la danza? È questa una delle principal
la danza? È questa una delle principali cagioni della poca attenzione
che
si dà per ordinario alla favola tragica. Tanto pi
ca attenzione che si dà per ordinario alla favola tragica. Tanto più,
che
l’uomo è formato in modo ch’egli, da una seria ap
no stato intermedio. Dalla quale proprietà dell’animo nostro avviene,
che
solazzato egli, e come infralito da un ballo por
rare la maestà de’ tragici suggetti. Io me ne richiamo all’esperienza
che
può farne ciascuno. Esamini sé medesimo lo spetta
e può farne ciascuno. Esamini sé medesimo lo spettatore, e s’avvedrà,
che
non pruova egli mai tanta ripugnanza di dare orec
a ripugnanza di dare orecchio alle parole degli attori, quanta allora
che
sia terminato un ballo fatto come sogliano essere
.2.1.3] Tal sorta dunque di ballo contamina l’intero spettacolo, e fa
che
il popolo incontri del tedio, là dove egli fu tra
ve egli fu tratto dalla speranza del piacere. Per l’opposto, un ballo
che
abbia unione colla favola, alimenta ed accresce l
a unione? Il suggetto della danza vuol esser tratto da quelle azioni,
che
il poeta drammatico suppone che accadano negl’int
a vuol esser tratto da quelle azioni, che il poeta drammatico suppone
che
accadano negl’intervalli degli atti, o che si può
l poeta drammatico suppone che accadano negl’intervalli degli atti, o
che
si può supporre che avvengano in quel tempo. Per
uppone che accadano negl’intervalli degli atti, o che si può supporre
che
avvengano in quel tempo. Per esempio, nell’interv
uò supporre che avvengano in quel tempo. Per esempio, nell’intervallo
che
passa tra l’primo e l’secondo atto dell’Achille i
sa tra l’primo e l’secondo atto dell’Achille in Sciro, finge il poeta
che
Arcade seguace d’UIisse faccia dalle navi traspor
Arcade seguace d’UIisse faccia dalle navi trasportar sul lido i doni,
che
questo eroe destinava a Licomede re dell’isola, e
ul lido i doni, che questo eroe destinava a Licomede re dell’isola, e
che
poi istruisca i soldati d’Ulisse a fingere un gue
ola continuata non più con parole, ma a forza della sola danza? Posto
che
il ballerino abbia i talenti necessari per discer
ssi dal pantomimo. [Sez.VI.2.1.5] A tal effetto sarebbe desiderabile,
che
la composizione del ballo teatrale fosse addossat
ensì dal primo. Niuno meglio dell’autore del dramma può conoscere ciò
che
più unisca un atto all’altro, e ciò, ch’egli fing
più unisca un atto all’altro, e ciò, ch’egli finge, o si può fingere,
che
tra l’uno e l’altro intervenga. E dall’altra part
tervenga. E dall’altra parte il ballerino additerebbe al poeta quello
che
non si può graziosamente esprimere colla danza. C
ata l’unità tra la danza e la musica, sì ancora perché quella musica,
che
ha una medesima espressione colla danza, fa mirac
si effetti sul ballerino ; gli reca una forza, un coraggio, un fuoco,
che
onninamente gli mancherebbero, se la musica non f
pirito e sulla macchina dell’uomo, non dubiterà d’esagerazione in ciò
che
asseriamo. Queste forza della musica si speriment
iaccia infermo e destiuto d’ogni vigore, si faccia sentire una sonata
che
gli vada a verso, egli si leverà sì prontamente,
periodo più florido di sua vita, e danzerà in modo, e sì lungamente,
che
qualunque robusto uomo si sgomenterà di fare altr
fulmine, in un abbattimento peggior del primo. [Sez.VI.2.1.6] Da ciò
che
abbiam osservato intorno a’ suggetti de’ balli te
che abbiam osservato intorno a’ suggetti de’ balli teatrali, si vede
che
il melodramma ha mestieri d’esser diviso in manie
ali, si vede che il melodramma ha mestieri d’esser diviso in maniera,
che
ciascun atto termini in luogo che offerisca un ve
mestieri d’esser diviso in maniera, che ciascun atto termini in luogo
che
offerisca un verisimile attacco alla danza; la qu
uando la favola ne porgesse l’occasione in mezzo a un atto, io vorrei
che
non fosse creduto un reato, se, invece di riserba
ichiesti dall’azione medesima. [Sez.VI.2.1.7] Taluno forse dubiterà,
che
tanta connessione tra l’ballo e l’dramma non prod
l’ballo e l’dramma non produca una rincrescevole monotonia, e crederà
che
i danzatori scelgano espressamente suggetti che n
monotonia, e crederà che i danzatori scelgano espressamente suggetti
che
niuno attacco abbiano colla favola drammatica, pe
ir l’opera col sale della varietà. Ma chi è preso da sì fatto dubbio,
che
mai direbbe, se vedesse in un medesimo quadro da
into Alessandro inteso a militari imprese, e dall’altra un Arlecchino
che
sia tutto in sul trastullare, senza che il pittor
e, e dall’altra un Arlecchino che sia tutto in sul trastullare, senza
che
il pittore abbia messa veruna connessione tra que
bbia messa veruna connessione tra questi due personaggi? O se vedesse
che
in un edifizio le finestre non posassero, com’è s
altra, e quella dieci, e una quadra, e una rotonda, e va discorrendo,
che
direbbe egli al pittore, o all’architetto, che cr
nda, e va discorrendo, che direbbe egli al pittore, o all’architetto,
che
credessero avere in tal guisa allontanata dalle l
della perfezione e della bellezza, risponderà all’inesperto artista,
che
la bella varietà non consiste in un ammasso di co
consiste in un ammasso di cose, le quali niuna lega abbian tra loro (
che
ciò costituisce l’imperfezione e la bruttezza), m
la pronunziazione, la decorazione e la danza, essendo le cinque parti
che
concorrono a formare l’opera in musica, se si vuo
cinque parti che concorrono a formare l’opera in musica, se si vuole
che
piacciano, vanno marcate della medesima unità. I
della medesima unità. I Greci infatti aveano per vizioso quel ballo,
che
col dramma non connettesse, ed Aristotile il disa
so d’ognuno, i maestri delle belle arti; e noi, ad onta de’ gran lumi
che
vantiamo, siamo a’ medesimi molto addietro finora
.8] Quanto poi a’ nostri ballerini, se essi per lo più scelgono danze
che
niuna convenienza hanno col dramma, nol fanno mic
ché non sanno, o non si vogliono dar pensiero d’inventar quelle danze
che
farebbero al proposito. Ma que’ danzatori, che no
’inventar quelle danze che farebbero al proposito. Ma que’ danzatori,
che
non trascurarono le cognizioni necessarie al loro
arie al loro mestiere, entrano pienamente nel nostro avviso. Ecco ciò
che
scrive uno di essi, che più si è distinto a’ nost
ntrano pienamente nel nostro avviso. Ecco ciò che scrive uno di essi,
che
più si è distinto a’ nostri giorni ne’ balli teat
di e spiacevoli. Ogni ballo dovrebbe a mio parere offerire una scena,
che
incatenasse e legasse intimamente il primo atto a
rovare insieme nel ballo teatrale, come si costuma in oggi, mal grado
che
il buon gusto ne abbia. Gli antichi, non ostante
oggi, mal grado che il buon gusto ne abbia. Gli antichi, non ostante
che
del pantomimo facessero le loro delizie, non inco
venevolezza. Essi ne’ loro spettacoli quel solo pantomimo ammetteano,
che
fosse del medesimo genere col dramma a cui si fra
che fosse del medesimo genere col dramma a cui si frammettea, di modo
che
alle tragedie non accoppiavano mai una danza grot
o nelle opere comiche musicali. [Sez.VI.2.2.3] Un’altra conseguenza,
che
deriva da ciò che abbiam ragionato nel paragrafo
che musicali. [Sez.VI.2.2.3] Un’altra conseguenza, che deriva da ciò
che
abbiam ragionato nel paragrafo antecedente, si è
he deriva da ciò che abbiam ragionato nel paragrafo antecedente, si è
che
nel ballo teatrale non deve entrar mai il ballo a
ch’è incapace di servire all’imitazion degli affetti. Quel ballerino,
che
ha creduto fin qui che a divenire famoso bastasse
e all’imitazion degli affetti. Quel ballerino, che ha creduto fin qui
che
a divenire famoso bastasse distinguersi in una ca
tà volea persuadere a’ danzatori francesi. Nondimeno, quelli tra loro
che
con occhio filosofico penetrarono l’indole della
o, pure, posto giù questo, tutti si diedero al pantomimo, confessando
che
la danza non sarebbe mai giunta alla sua perfezio
re le impressioni della natura, e dare alla danza l’anima e l’azione,
che
deve avere per interessare». Pilade, Batillo, Ila
r interessare». Pilade, Batillo, Ila, e quegli altri famosi danzatori
che
furono sì cari alla colta e dilicata corte d’Augu
endosi maravigliosi nell’esprimere colla danza le umane passioni: del
che
ne dà Macrobio una palpabil pruova. Rapporta ques
che ne dà Macrobio una palpabil pruova. Rapporta questo scrittore107,
che
Pilade, saltando l’Ercole furioso si accese per m
e Pilade, saltando l’Ercole furioso si accese per modo della passione
che
voleva imitare, che giunse tra le sue smanie ad a
’Ercole furioso si accese per modo della passione che voleva imitare,
che
giunse tra le sue smanie ad avventar saette contr
, che giunse tra le sue smanie ad avventar saette contro al popolo; e
che
ripetendo la stessa danza in casa d’Augusto, inva
l furore medesimo scoccò de’ dardi contra lo stesso imperatore, senza
che
la maestà del popolo romano, né quella d’Augusto,
Luciano nel dialogo intitolato la Danza definisce questa per un’«arte
che
fa professione d’esprimere il costumi e le passio
li affetti, non già nel ballo alto. Questa inferiore spezie di ballo,
che
non va né anche messa al novero delle belle arti,
delle belle arti, si rinunzi pure’ a quelli tra’ nostri bagattellieri
che
fanno spettacolo dell’agilità di lor gambe, i qua
lo dell’agilità di lor gambe, i quali, a dirla, riescono essai meglio
che
essi nel ballo alto. §. III. Avvertenze intorn
are a distribuire in modo la favola pantomimica fra tutti i ballanti,
che
niuno paia venuto là per far numero. Nondimeno qu
per far numero. Nondimeno questa distribuzione va eseguita in maniera
che
il pantomimo sia tanto men forte e men carico, qu
il pantomimo sia tanto men forte e men carico, quanto è meno la parte
che
ha il ballante nella favola. Il che fa, che più a
en carico, quanto è meno la parte che ha il ballante nella favola. Il
che
fa, che più attenzione meriti l’ultimo de’ figura
o, quanto è meno la parte che ha il ballante nella favola. Il che fa,
che
più attenzione meriti l’ultimo de’ figuranti, che
favola. Il che fa, che più attenzione meriti l’ultimo de’ figuranti,
che
i primi ballerini, per la stessa ragione per cui,
nunziazione, si disse quella delle ultime parti essere più malagevole
che
la pronunziazione delle prime. Quindi è che poca
rti essere più malagevole che la pronunziazione delle prime. Quindi è
che
poca pratichezza mostrano nella loro professione
ca pratichezza mostrano nella loro professione que’ maestri di balli,
che
tutta la loro attenzione consumando attorno a’ pr
ltre d’osservar tra’ ballanti la degradazione della statura, per modo
che
quanto più le figure si allontanano dallo spettat
nano dallo spettatore, tanto più la loro statura vada decrescendo. So
che
ciò non può sempre riuscire, ma quando il maestro
a quando il maestro de’ balli abbia accorgimento, riuscirà più spesso
che
non si crede, massimamente quando il ballo nella
più bassi di quella; la terza più bassa della seconda, e via via; sì
che
l’ultima era formata da ragazzi e ragazze. Tutte
a, la quarta, la quinta facevano il medesimo. I fanciulli finalmente,
che
formavano la festa, comparvero dal fondo del pros
ente la musica, talché quella dell’ultima comparsa era così sommessa,
che
pareva un suono di stromenti da caccia che veniss
omparsa era così sommessa, che pareva un suono di stromenti da caccia
che
venisse di gran lontananza. Ora questa degradazio
i figuranti tanto più impicciolire, quanto più andavano in là, credea
che
fossero sempre que’ medesimi ch’erano comparsi da
sopra un lontanissimo ponte, il quale era più picciolo della persona
che
su vi passava; disproporzione, che offese l’occhi
ale era più picciolo della persona che su vi passava; disproporzione,
che
offese l’occhio de’ meno intendenti. O il passagg
] Che se quella comparsa lontana dovesse essere eseguita da ballerini
che
fanno le prime parti nella danza, allora la compa
ra la comparsa si farà da un fanciullo, e a questo, quando sarà tempo
che
il personaggio s’avvicini per dar principio alla
di scene di pianto e di riso, di sdegni e di riconciliazioni, procuri
che
le scene di pianto, di disperazione, di dolore, s
uesto fornisce i più espressivi mezzi all’imitazion degli affetti. Il
che
fa abbastanza comprendere quanto l’uso delle masc
i elementi, e lo riduce a quella inabilità, a cui sarebbe ridotto uno
che
fosse costretto a parlare con quattro sole letter
qualunque eccellente pennello, e poi sia chiamato il più sagace uomo
che
ci viva, a spiegare, una per una, cose vogliono e
a poi via la maschera. Quante novità! Che bel contrasto di sentimenti
che
la maschera oscurava! Che non dice quel sembiante
dice quel sembiante sdegnato, quell’altro timoroso? Qui l’allegrezza
che
anima quelle guance, là lo squallore che ottenebr
o timoroso? Qui l’allegrezza che anima quelle guance, là lo squallore
che
ottenebra quella fronte, e d un’altra parte la te
quallore che ottenebra quella fronte, e d un’altra parte la tenerezza
che
illanguidisce due begli occhi? Ecco quante perdit
guidisce due begli occhi? Ecco quante perdite cagiona la maschera. Di
che
convinti da lunga esperienza, i comici di Francia
lore, o di contrassegnare il loro capo e le membra di tali attributi,
che
caratterizzino que’ personaggi. [Sez.VI.2.3.7] No
ino que’ personaggi. [Sez.VI.2.3.7] Non mi si opponga il costante uso
che
della maschera fecero gli antichi. Questa invenzi
o, divenne necessaria su’ teatri delle più polite nazioni. La ragione
che
rendette allora necessario sì fatto arnese, fu l’
sa da una spezie di tromba, qual era l’antica maschera, fatta in modo
che
servisse a dar corpo e rimbombo alla voce. Ma ogg
fatta in modo che servisse a dar corpo e rimbombo alla voce. Ma oggi,
che
i teatri sono di gran lunga più angusti, perché l
gran lunga più angusti, perché la loro porta è tenuta a tutti coloro
che
non intendono di divertirsi a proprie spese, cess
divertirsi a proprie spese, cessa ogni necessità di maschere. Da ciò
che
si è detto della maschera, s’intende ancora quant
è detto della maschera, s’intende ancora quanto sarebbe desiderabile
che
si abolisse sul teatro l’uso del belletto, il qua
del belletto, il quale impedisce di vedere il cambiamento del colore,
che
ha tanta forza di muoverci. Cap. III. Qualità
della poesia, della geometria, della musica e della filosofia. Vuole
che
possegga il segreto di muovere le passioni insegn
possegga il segreto di muovere le passioni insegnato dalla rettorica;
che
accatti dalla pittura e dalla scultura i diversi
; che accatti dalla pittura e dalla scultura i diversi atteggiamenti;
che
abbia (ciò che Tucidide attribuisce a Pericle) il
alla pittura e dalla scultura i diversi atteggiamenti; che abbia (ciò
che
Tucidide attribuisce a Pericle) il segreto di dis
icle) il segreto di discernere ogni dove il convenevole, il decoroso;
che
sia acuto, inventivo, giudizioso e di fino orecch
he sia acuto, inventivo, giudizioso e di fino orecchio; e finalmente,
che
sappia la favola e la storia. È forse un pretende
ender troppo? E non sarebbe anzi troppa la pretendono d’un ballerino,
che
sfornito delle cognizioni necessarie a ben eserci
; e per contentar noi non ci vorrà egli per lo meno altrettanto? Noi,
che
ci crediamo i depositari del gusto, e capaci di m
spesso in mezzo i sentimenti di questo degno figliuol di Terpsicore,
che
è giunto a formarsi la vera idea dell’arte sua, t
la vera idea dell’arte sua, traversando i pregiudizi comuni a coloro
che
esercitano la sua medesima professione. [Sez.VI.
citano la sua medesima professione. [Sez.VI.3.1.3] Oltre al profitto
che
possano trarre dallo studio delle facultà pur or
o chiama il nostro primo poeta) e un copioso vocabolario di tutto ciò
che
vien loro in talento d’esprimere. Lionardo da Vin
di tutto ciò che vien loro in talento d’esprimere. Lionardo da Vinci,
che
sapea bene ciò ch’egli si dicea, assicurava che i
e. Lionardo da Vinci, che sapea bene ciò ch’egli si dicea, assicurava
che
i mutoli erano i migliori maestri de’ pittore: de
so esser loro la lettura di que’ libri e la cognizione di quelle cose
che
di sopra raccomandammo agli attori per l’acquisto
alta né troppo bassa né pingue né magra, perché con gli accada quello
che
ad alcuni del suo mestiere intervenne sul teatro
dò ad alta voce quando Ettore fosse per uscire, giacché colui non era
che
Astianatte. E un’altra volta, mentre uno spilungo
o finora veduto qual sia il dovere di ciascuno de’ principali artisti
che
vengono impiegati nell’opera in musica. Dipendend
, come il seguente capitolo dichiarerà: è d’uopo vedere in ultimo ciò
che
in particolare lo spettacolo nostro esiga dal suo
e, e mettere così sotto un altro punto di veduta quelle medesime arti
che
abbiamo, ciascuna di per sé, insino a qui conside
mo, ciascuna di per sé, insino a qui considerate. Cap. I. Necessità
che
ha l’opera in musica d’un abile direttore [Se
irettore [Sez.VII.1.0.1] Tutti i pubblici spettacoli, come quelli
che
sono destinati a trattenere un intero popolo, sog
e’ maggiori monarchi del mondo, abolendo con quattro versi il costume
che
aveano i re di Francia, di danzare su’ publici te
tacoli al progresso delle arti: e noi già osservammo fin da prima111,
che
la perfezione, a cui queste sì per tempo vennero
ggio di que’ due grandi oggetti la gagliarda e universale impressione
che
gli spettacoli fanno. Il perché non si potrà mai
in musica ha bisogno d’un direttore savio insieme e intelligente. Da
che
, se la poesia, la musica, la pittura, l’architett
ancora un’altra ragione, per la quale la direzione dello spettacolo,
che
fa la materia di questo trattato, ha mestieri di
rsi dell’architetto, come si guarderà egli di non obbligarlo a lavori
che
ripugnano alle regole dell’arte? Dal che avviene,
i di non obbligarlo a lavori che ripugnano alle regole dell’arte? Dal
che
avviene, che quando i teatri sortiscono per disgr
igarlo a lavori che ripugnano alle regole dell’arte? Dal che avviene,
che
quando i teatri sortiscono per disgrazia simili d
rettore, e sono: la buona esecuzione dello spettacolo, il buon ordine
che
si richiede nel luogo della rappresentazione e, q
il direttore dee principalmente occuparsi della scelta degli artisti
che
vi s’impiegano, ed aver poi l’occhio sopra di ess
lia delle persone di teatro, come oggi comunemente si fa sotto colore
che
a queste più che a qualunque altro stringano i ci
di teatro, come oggi comunemente si fa sotto colore che a queste più
che
a qualunque altro stringano i cintolini e stia a
assa punto punto sopra questi due principali doveri; tenga per fermo,
che
lo spettacolo riuscirà sazievole ed oltraggioso a
ievole ed oltraggioso alla nazione a cui si ardisce di presentarlo, e
che
ciascuno degli artisti lo sfigurerà a capriccio.
ti lo sfigurerà a capriccio. Se il cantante ha nel suo studio un’aria
che
gli va a verso, egli la caccerà nel libretto in b
tore se ha un ballo prediletto, lo menerà in iscena, abbia pure tanto
che
fare col dramma, quanto la luna co’ granchi. La c
a protezione il poeta, se nelle arie di lei avrà messi tai sentimenti
che
non dieno gran presa a quella sorta di canto a cu
l’eco, l’usignuolo, la tempesta, la navicella. Ma questo, e il di più
che
volentieri si tace, tutto è nulla appetto allo sc
l di più che volentieri si tace, tutto è nulla appetto allo sconcerto
che
vi porta l’impresario. L’interesse di costui, qua
te. [Sez.VII.2.0.2] L’unico mezzo d’evitare sì fatti disordini, si è
che
il direttore non riposi sulla pretesa diligenza d
ettore non riposi sulla pretesa diligenza delle persone di teatro, ma
che
con occhio illuminato osservi da sé medesimo cias
alla testa d’uno spettacolo scenico; essendo fuor di dubbio tutto ciò
che
il teatro ha di contrario al buon costume, alle b
ll’esca dell’impudicizia e di bizzarre novità. E la principal cagione
che
rendette gli antichi spettacoli sì superiori a’ m
one che rendette gli antichi spettacoli sì superiori a’ moderni, si è
che
quelli non erano affidati a tal genia di mercenar
mentata probità, dalle quali può sperare il publico più soddisfazione
che
da uno stremo e tenace impresario, e le quali in
mpresa del teatro, allora egli si terrà sempre guardingo, e procurerà
che
il suo zelo non sia soppiantato dall’avidità, che
rdingo, e procurerà che il suo zelo non sia soppiantato dall’avidità,
che
per ordinario regna nell’animo d’un impresario:
talo113. [Sez.VII.2.0.3] Quanto al buon ordine, il direttore baderà
che
non nasca veruno sconcerto nell’occupar le piazze
erà che non nasca veruno sconcerto nell’occupar le piazze o i sedili,
che
niuno impedisca la vista, il passo o l’udire al c
sedili, che niuno impedisca la vista, il passo o l’udire al compagno,
che
tacciano i rumori, le grida, il batter delle mani
acciano i rumori, le grida, il batter delle mani, il cicalìo, i viva;
che
giovanotti presuntuoselli non vengano ad insolent
il naso al terzo e al quarto. Particolar vigilanza richiede il tempo,
che
, finita l’opera, s’esce di teatro. Fu da noi già
o, che, finita l’opera, s’esce di teatro. Fu da noi già dianzi notato
che
un edificio di questa natura ha bisogno di molte
corrispondenti a siti diversi per evitare i gravissimi inconvenienti
che
la scarsezza delle porte esteriori suol cagionare
una di esse ad uscieri di capacità e di coraggio, i quali facciano sì
che
tutto passi con tranquillità e con buon ordine, e
risse, proverbiandosi scambievolmente, e percotendosi per ogni minimo
che
. Presso un popolo incivilito dovrebbe essere igno
insolentisca contro di lui, messer lo spadaccino sarà punito in modo
che
gli putisca. L’usciere è colà come un giudice sta
e è colà come un giudice stabilito dal principe a diffinir le contese
che
insorgono alla porta del teatro, e del suo proced
bisogno d’esser munito d’un’autorità sufficiente. Convien soprattutto
che
mentre egli è in teatro questa sua autorità si es
li è in teatro questa sua autorità si estenda sopra qualunque ceto, e
che
tutti, per condizione o grado che vantar possano,
si estenda sopra qualunque ceto, e che tutti, per condizione o grado
che
vantar possano, sien tenuti a rispettare gli ordi
usica sia il costume della nazione. La cosa parla sì vivamente da sé,
che
a volersi arrestare a darne pruove egli sarebbe u
re colla più accurata esquisitezza il libricciuolo. Procurerà in esso
che
i personaggi non parlino troppo della divinità, n
le trasferiva a’ suoi dei le più umilianti debolezze degli uomini, ma
che
dieno a conoscere ne’ loro ragionamenti qual idea
linguaggio non sarà punto inverisimile in bocca loro, ben si sapendo
che
dalla teologia del volgo pagano era tutt’altra qu
le quali rigettando la moltiplicità degli dei, e le ingiuriose favole
che
si spacciavano di essi, un solo Dio e perfettissi
lo Dio e perfettissimo ammetteano114. Questo linguaggio adunque, anzi
che
sembrare inverisimile, arroge dignità e decoro a’
nverisimile, arroge dignità e decoro a’ tragici personaggi. Così pure
che
non parlino tanto di sorte, di stelle, di destino
ggi. Così pure che non parlino tanto di sorte, di stelle, di destino,
che
non insinuino insomma la fatalità dagli avvenimen
vvenimenti, come affettano alcuni tragici; ma piuttosto la dipendenza
che
essi hanno dal sovrano arbitrio dell’autore della
mmo in un libro, in un sermone. Procureremmo anzi di sopprimer quelli
che
ne fossero infetti; e non abbiamo il torto. Ma le
Ma le stesse massime, gli stessi esempi si sentono sulle scene senza
che
se ne tenga conto veruno; ed abbiamo il maggior t
incìpi fanno più gran’ progresso e più rapido, spacciati in un dramma
che
in un sermone o in un libro. Tra’ popoli anche pi
in un libro. Tra’ popoli anche più illuminati, pochissimi son coloro
che
s’impacciano di legger libri, ma molti quelli che
chissimi son coloro che s’impacciano di legger libri, ma molti quelli
che
frequentano i teatri; e raro, o non mai, un orato
uanta un attore. Più: non dico tra’ sermoni, ma tra que’ libri stessi
che
hanno avuta più fortuna e più voga, qual è quello
e’ libri stessi che hanno avuta più fortuna e più voga, qual è quello
che
si sappia per lo senno a mente, come avviene d’un
ibro o ascoltiamo un sermone, il nostro spirito è tutto intento a ciò
che
gli si vuole insegnare, onde il proporgli un prin
incipio erroneo, di cui egli non conosca la falsità, è più malagevole
che
all’opera musicale, dove si è in uno stato di dis
ll’opera musicale, dove si è in uno stato di distrazione. L’illusione
che
cagiona in noi questo artifiziosissimo spettacolo
n noi questo artifiziosissimo spettacolo, ci rende poco attenti a ciò
che
passa dentro di noi, sì che, uscendo poi di teatr
o spettacolo, ci rende poco attenti a ciò che passa dentro di noi, sì
che
, uscendo poi di teatro, troviamo alcuna volta in
rtamente resistito, se altronde non fossimo stati distratti. Aggiugni
che
quando anche alcuna volta accada che ci arrestiam
ossimo stati distratti. Aggiugni che quando anche alcuna volta accada
che
ci arrestiamo ad esaminare alcun sentimento che l
e alcuna volta accada che ci arrestiamo ad esaminare alcun sentimento
che
le scene c’ispirano, pure quel sentimento medesim
un sentimento che le scene c’ispirano, pure quel sentimento medesimo,
che
in altro luogo e tempo sarebbe stato da noi riget
evuto, ci comparisce nobile ed innocente. Perciocché rari sono coloro
che
giudicano delle cose secondo il loro intrinseco v
izione nell’imo della mente e del cuore. Perciò è più volte avvenuto,
che
il vero medesimo, presentato nella sua semplicità
Troia. Finché costoro esaminano freddamente tra sé medesimi i motivi
che
ha Paride di negar Elena a Menelao, questi motivi
enuta coll’estremo sangue de’ cittadini. Ecco per appunto l’illusione
che
l’opera in musica produce in noi. La poesia, la m
do i suoi spettatori, tanto è più degna d’attenzione, quanto meno par
che
ne meriti. Essa delle volte sembra che adempia es
d’attenzione, quanto meno par che ne meriti. Essa delle volte sembra
che
adempia esattamente i suoi doveri. Comparisce tut
’esempio, il poeta espone come cosa indifferente l’illecito commercio
che
il giovane Panfilo mantiene con Gliceria, e i suo
o indifferenti, ma belle e desiderabili; e molesta, ed odiosa la cura
che
prende il saggio vecchio per distogliere il figli
le soggettò Ercole. E di questa Taide si fa un carattere sì lodevole,
che
basta per togliere dall’animo della fanciulle ogn
ogni ripugnanza d’abbandonarsi all’infame mestiere di colei, vedendo
che
anche una cantoniera può comparir virtuosa e degn
rsone. Simili riflessioni si potrieno proseguire sulle altre commedie
che
ci rimangono del teatro greco e del romano, e sop
ano del vizio medesimo; ma volentieri le omettiamo, tenendo per fermo
che
le poche or ora esposte bastino per ricordare al
olo degno d’una costumata nazione. [Sez.VII.3.0.7] Ma per esser certo
che
l’opera in musica non offenda la publica costumat
che l’opera in musica non offenda la publica costumatezza, non basta
che
tutte le arti che la compongono sieno state alla
sica non offenda la publica costumatezza, non basta che tutte le arti
che
la compongono sieno state alla ripruova. Questo a
e virtù più necessarie alla loro professione. [Sez.VII.3.0.8] Per ciò
che
concerne le cantatrici, ben si sa qual predominio
ne abusino le donne di questa professione. Nella favola delle sirene,
che
col canto faceano naufragare gl’incauti naviganti
edominio, e quello abuso. [Sez.VII.3.0.9] In ordine poi alle persone
che
si destinano alla danza, non è men noto quanto la
atamente travagliate, le quali ci vengono di Francia o d’Inghilterra,
che
persona non può vedere senza solletico di possede
i disordini delle antiche. Nondimeno rare sono anche in oggi quelle,
che
abbiano il coraggio di sacrificare all’onestà un
ma seducente, di rinunziare a un movimento eloquente, espressivo, ma
che
contristar potrebbe la pudicizia. Particolarmente
che gran libertà s’arrogano su queste punto, sicché il loro ballo par
che
voglia talvolta gareggiare colla protervia dell’a
lla protervia dell’antico cordace. [Sez.VII.3.0.11] L’abuso adunque,
che
le cantatrici e le ballerine non rare volte fanno
n comparvero sul teatro prima della metà del secolo sedicesimo. Senza
che
ogni altra ragione dee cedere a quella della publ
uella della publica costumatezza. [Sez.VII.3.0.12] Per lodevole però
che
sia un tal ripiego, non si creda ch’esso liberi i
tore, o un Arione d’ambiguo sesso, cagionare non men gravi disordini,
che
una scapigliata cantatrice o ballerina. [Sez.VII
le di cavarne buon viso. Conciosiaché (se oserem dire apertamente ciò
che
ne va per l’animo su tal proposito) finattantoché
rà sospetto d’infamia sulla professione delle persone di teatro115, e
che
si dubiterà se gli spettacoli drammatici di qualu
stissima ripugnanza, si possono recare ad eleggere un genere di vita,
che
a ragione o a torto vien riputato infame: non v’h
enere di vita, che a ragione o a torto vien riputato infame: non v’ha
che
i trasandati sulla loro riputazione e su’ loro co
non v’ha che i trasandati sulla loro riputazione e su’ loro costumi,
che
possono entrar di buon animo in tal carriera. Fac
a e coll’ecclesiastica approvazione; e intanto crediamo infami coloro
che
gli menano sulle scene. Si erigono ogni giorno de
alla professione di cristiano. Questa contraddizione è più importante
che
altri a prima giunta non crede: essa illaccia le
e e dabbene, le quali sole per publico vantaggio sarebbe desiderabile
che
la professassero. Donde apparisce quanto giovereb
i a questa professione, e a non permettere l’esercizio della medesima
che
a persone di sperimentata integrità. Questo è il
azione in cui, dopo aver rinnovate le pene ordinarie contro i comici,
che
useranno parole equivoche o lascive, si dice che
rie contro i comici, che useranno parole equivoche o lascive, si dice
che
qualora osservino tali condizioni, essi non saran
vare gli spettacoli teatrali. Non appartiene a noi l’indicare i mezzi
che
tener dovrebbe lo stato, per terminare queste dis
tener dovrebbe lo stato, per terminare queste dissenzioni tra persone
che
rendono dubbiosa e incerta la cristiana morale, i
ia di tutte le scienze. Si torni dunque in via. [Sez.VII.3.0.14] Ciò
che
finora osservammo, appartiene alle precauzioni da
Ma la politica altro ancora, e non immeritamente, richiede, ordinando
che
l’opera in musica non solo non nuoca al costume d
che l’opera in musica non solo non nuoca al costume de’ cittadini, ma
che
lo migliori e lo emendi. Ricordiamo adunque al sa
, esempigrazia, onde ha d’uopo la monarchia, sono ben altre da quelle
che
a una repubblica convengono. In oltre ogni nazion
vive, e le virtù e i vizi dominanti della sua nazione, per procurare
che
l’opera in musica insinui le prime e discrediti i
consisterà nella scelta nel dramma. Sarebbe sommamente commendabile,
che
ciascuna nazione avesse de’ drammi composti espre
moni, come l’Addisson compose il suo Catone per occasione de’ torbidi
che
allora agitavano l’Inghilterra. Un dramma compost
destinato a istruire una straniera nazione, è spesse anzi pernizioso
che
utile. Così i drammi greci, che contengono sì fre
era nazione, è spesse anzi pernizioso che utile. Così i drammi greci,
che
contengono sì frequenti pitture delle tirannie us
Ma questi medesimi drammi riuscir potrebbero pericolosi a una nazione
che
sotto altro governo vivesse. Così ancora un dramm
II.3.0.16] Quanto a rendere amabile la virtù, e in particolare quelle
che
più son necessarie alla nazione, l’impresa non è
zio tragico e ‘l comico, alla qual distinzione tanto è più necessario
che
badi il direttore, quanto che spesse volte è dime
qual distinzione tanto è più necessario che badi il direttore, quanto
che
spesse volte è dimenticata dal poeta drammatico.
e è dimenticata dal poeta drammatico. In generale que’ vizi enormi, e
che
metter sogliono profonde radici nell’animo di chi
à loro mai luogo. Al contrario i leggieri difetti, quelli soprattutto
che
offendono l’urbanità e l’esterior compostezza, de
ermerebbe nell’animo di chi n’è infetto. Perciocché, coloro ben sanno
che
i loro vizi son degni della publica esecrazione,
no che i loro vizi son degni della publica esecrazione, onde, vedendo
che
non riscuotono che derisione, sembra ad essi di l
son degni della publica esecrazione, onde, vedendo che non riscuotono
che
derisione, sembra ad essi di levarla del pari e l
hé eglino sien lasciati proseguire in pace il fatto loro. Credete voi
che
mai l’Aulularia di Plauto abbia guarito alcuno av
o Il Tartuffe del Molière alcuno ipocrita? Pensò meglio il Voltaire,
che
sparse di tutto l’orrore che merita l’ipocrisia,
cuno ipocrita? Pensò meglio il Voltaire, che sparse di tutto l’orrore
che
merita l’ipocrisia, e ne rilevò tutte le funeste
ò tutte le funeste conseguenze nella tragedia intitolata il Maometto,
che
che biasimo ella meriti per altri conti. Da che i
tte le funeste conseguenze nella tragedia intitolata il Maometto, che
che
biasimo ella meriti per altri conti. Da che il ve
titolata il Maometto, che che biasimo ella meriti per altri conti. Da
che
il vedere tutto un publico dichiarato contro quel
dere per punirlo dovunque s’incontri, questi motivi sono più efficaci
che
la derisione a mettere il cervello d’un ipocrita
dritto sentiere chi si senta tentato a deviare. Il bersaglio adunque,
che
l’opera comica musicale prenderà di mira, sono qu
l’opera comica musicale prenderà di mira, sono que’ leggieri difetti
che
si oppongono, come sogliam dire, al galateo: una
li il riso è l’antidoto più possente e più efficace, i vizi comici, e
che
non possano essere esposti che in commedia. Chi n
sente e più efficace, i vizi comici, e che non possano essere esposti
che
in commedia. Chi nella tragedia gl’introducesse c
gico, porgerebbe materia non di spavento, ma di riso agli ascoltanti,
che
vedrebbero il poeta intimorito da que’ leggieri d
da que’ leggieri difetti, ed affannato a caricargli di tutto l’orrore
che
sol meritano le maggiori scelleratezze. Che se eg
cano nella Semiramide del Metastasio, personaggio più degno del socco
che
del maestoso coturno, solo che se gli desse una m
tasio, personaggio più degno del socco che del maestoso coturno, solo
che
se gli desse una meno illustre condizione. [Sez.V
a meno illustre condizione. [Sez.VII.3.0.17] Avvi però alcuni difetti
che
in veruna spezie di drammi debbono aver luogo, e
matica, scopo della quale è la nostra emendazione. Quindi, que’ poeti
che
soggettano al publico riso il sordo, il balbo, il
redica, come noi abbiam veduto in alcuni drammi, i quali, non ostante
che
si sarebbero degnamente potuti intitolare il trio
azioni, ti regalavano a luogo a luogo di sì mortali tratti di morale,
che
cavato avrebbono Aristotile del seminato. Egli è
di morale, che cavato avrebbono Aristotile del seminato. Egli è vero
che
il poeta, non meno che l’oratore e ‘l cristiano f
avrebbono Aristotile del seminato. Egli è vero che il poeta, non meno
che
l’oratore e ‘l cristiano filosofo, debbono essere
on è lecito d’allontanarsi. E quanto biasimevole sarebbe un filosofo,
che
prendesse il tuono d’oratore, altrettanto il sarà
sofo, che prendesse il tuono d’oratore, altrettanto il sarà un poeta,
che
cambi in pergamo il teatro, o che, entrato in lic
tore, altrettanto il sarà un poeta, che cambi in pergamo il teatro, o
che
, entrato in liceo, … d’acuti sillogismi Empia la
ere la virtù a fronte scoperta, ma bensì come non fosse suo fatto, sì
che
il popolo non si accorga che si cerchi anzi d’ist
a, ma bensì come non fosse suo fatto, sì che il popolo non si accorga
che
si cerchi anzi d’istruirlo che di dargli solazzo.
fatto, sì che il popolo non si accorga che si cerchi anzi d’istruirlo
che
di dargli solazzo. Breve, il poeta drammatico non
tendano ad ispirare le medesime virtù, e a screditare i medesimi vizi
che
il dramma vuol mettere in veduta, lusingandomi ch
re i medesimi vizi che il dramma vuol mettere in veduta, lusingandomi
che
al lettore non sembri strano, che la musica, la p
uol mettere in veduta, lusingandomi che al lettore non sembri strano,
che
la musica, la pittura, la danza, il vestimento, d
i negli animi nostri, e ad impedirne alcune altre. E tali avvertenze,
che
non pretendiamo avere insegnate, ma ricordate sol
ominum crumenis argentum exprimunt» (coll. 849-850: ‘Certamente credo
che
in nessun tempo l’Italia fosse scarsa di questi n
cui l’animo dei cittadini trae diletto, in particolare gli spettacoli
che
spillano denaro dalle borse’). • i massimi e i mi
poi recuperata), è abbastanza sorprendente, secondo il nostro metro,
che
Planelli accostasse Viviani a sommi quali Palladi
motivo dell’abolizione [nel 1769] si addusse l’oscenità delle recite
che
, facendosi all’improvviso, sfuggivano alla censur
fine (e di ciò veramente ci si avvedeva un po’ tardi) la sconvenienza
che
spettacoli cotanto profani avessero luogo così pr
in musica di Francesco Algarotti (1755, ristampa aumentata nel 1763),
che
comprende anche due abbozzi di libretti in prosa,
e al cómpito del critico di fronte al poeta: è citazione comunissima,
che
si ritrova per esempio in testa alla Dissertazion
a del padre minimo Gherardo degli Angioli (Ebola 1705 – Napoli 1783),
che
era stato in giovinezza poeta di qualche fama pre
grafico degli italiani, vol. 77, 2012, pp. 520-524 (di Marino Zabbia:
che
ringrazio per le indicazioni che mi ha gentilment
2012, pp. 520-524 (di Marino Zabbia: che ringrazio per le indicazioni
che
mi ha gentilmente fornito). È evidente che gli es
ngrazio per le indicazioni che mi ha gentilmente fornito). È evidente
che
gli esempi addotti da Mussato poco o nulla hanno
o). È evidente che gli esempi addotti da Mussato poco o nulla hanno a
che
vedere con l’opera in musica modernamente intesa.
a anastatica, Frankfurt, Minerva 1969, t. II, pp. 88-89 (da precisare
che
si tratta di Borgo san Friano, non Priano):«In qu
si tratta di Borgo san Friano, non Priano):«In questo medesimo tempo
che
‘l cardinale da Prato [il domenicano fra Niccolò
era in Firenze, ed era in amore del popolo e de’ cittadini, sperando
che
mettesse buona pace tra loro [è il tempo della co
an Friano di fare più nuovi e diversi giuochi, sì mandarono un bando,
che
chiunque volesse sapere novelle dell’altro mondo,
onia orribili a vedere, e altri i quali aveano figure d’anime ignude,
che
pareano persone, e mettevangli in quegli diversi
il quale era allora di legname da pila a pila, si caricò sì di gente
che
rovinò in più parti, e cadde colla gente che v’er
a, si caricò sì di gente che rovinò in più parti, e cadde colla gente
che
v’era suso, onde se ne guastarono le persone, sic
il «miserabile accidente», propiziato da «quelli di Borgo San Friano [
che
] con pazza invenzione promettono per il lor bandi
ino accalcatosi e le dimensioni dell’incidente («pochi furono quegli,
che
scamparono la morte, che guasti d’alcun membro o
nsioni dell’incidente («pochi furono quegli, che scamparono la morte,
che
guasti d’alcun membro o storpiati non rimanessero
i d’alcun membro o storpiati non rimanessero»); colpisce Ammirato più
che
la verosimiglianza dello spettacolo il «cattivo a
• Buonamico Buffalmacco: questo il passo di Vasari: «Scrivono alcuni
che
essendo Buonamico in Firenze, e trovandosi spesso
i Maso del Saggio, egli si truovò con molti altri a ordinare la festa
che
in dì di calen di maggio feciono gl’uomini di bor
io feciono gl’uomini di borgo S. Friano in Arno sopra certe barche, e
che
quando il ponte alla Carraia, che allora era di l
riano in Arno sopra certe barche, e che quando il ponte alla Carraia,
che
allora era di legno, rovinò per essere troppo car
, che allora era di legno, rovinò per essere troppo carico di persone
che
erano corse a quello spettacolo, egli non vi morì
altri feciono, perché quando appunto rovinò il ponte in sulla machina
che
in Arno sopra le barche rappresentava l’inferno,
barche rappresentava l’inferno, era andato a procacciare alcune cose
che
per la festa mancavano» (G. Vasari, Le vite dei p
0-301: «dal luogo, dove ella fu fatta, cioè sopra fiume, e dal tempo,
che
fu per le Calen di Maggio, le quali sempre è stat
, p. XI, dove è menzionata anche la rubrica del Biagio: «Volendo voi,
che
qui si rappresenti / il bel Mister di Biagio cont
ne di San Giovanni e Paolo di Lorenzo il Magnifico: «Silenzio, o voi,
che
ragunati siete: / voi vedrete una istoria nuova e
impiegati: per Buffalmacco vedi retro; per Brunelleschi: «Dicesi […]
che
gl’ingegni del Paradiso di S. Felice in piazza […
er fare la rappresentazione o vero festa della Nunziata, in quel modo
che
anticamente a Firenze in quel luogo si costumava
, e dimostrava l’ingegno e l’industria di chi ne fu inventore: perciò
che
si vedeva in alto un cielo pieno di figure vive m
. cit., I, p. 627); per Francesco di Giovanni detto il Cecca: «Dicesi
che
le nuvole che andavano in Fiorenza per la festa d
627); per Francesco di Giovanni detto il Cecca: «Dicesi che le nuvole
che
andavano in Fiorenza per la festa di S. Giovanni
o ingegnosissima e bella furono invenzione del Cecca, il quale allora
che
la città usava di fare assai feste era molto in s
e Feste alla Città; perché se riguardiamo alla plebe ed agli Artisti,
che
vivono del sudore delle loro braccia, a pro loro
no del sudore delle loro braccia, a pro loro cadevano le grandi spese
che
portavan seco questi spettacoli: se riflettiamo a
che, per ridurre la professione a quella perfezione in questo genere,
che
adesso la gode il mondo tutto: e se vogliamo parl
cose rappresentate, ne miglioravano gli spettatori, perché erano tali
che
si potevano rappresentare in Chiesa; né mai per c
entare in Chiesa; né mai per conto di ciò vi fu bisogno, come oggidì,
che
i dotti e prudenti chiedessero la moderazione del
sione della poesia «drammatica musicale» nella città del papa: «Roma,
che
aveva la medesima Musica Drammatica come smarrita
smarrita e perduta, per aver dato alla declamazione degli Attori ciò
che
i Greci davano al Canto, e all’Armonia; la fece p
da Sulpizio nella Lettera Dedicatoria delle sue Note sopra Vitruvio,
che
presentò al Cardinale Riari Camerlengo di S. Chie
he presentò al Cardinale Riari Camerlengo di S. Chiesa; dove si dice,
che
questo Prelato fu il primo, che cantar facesse un
amerlengo di S. Chiesa; dove si dice, che questo Prelato fu il primo,
che
cantar facesse una Tragedia in pubblica piazza» (
ecoli in qua veduta’. Ora come avrebbe egli potuto Sulpizio scrivere,
che
il primo aveva insegnato in quell’età a rappresen
ppresentare, e a cantar la Tragedia, se del canto avesse egli inteso,
che
nel recitare le cose poetiche si usava in que’ te
cato già nelle Rappresentazioni, nelle Farse, e in altri simili cose,
che
prima assai di quel tempo erano nell’Italia intro
ma assai di quel tempo erano nell’Italia introdotte? Ma il fatto sta,
che
Sulpizio uomo era nelle antiche dottrine e cose a
antiche dottrine e cose assai ben versato: e ponendo però egli mente,
che
le Rappresentazioni Drammatiche erano dagli Antic
– 1576) presenziò, insieme al duca Alfonso II, anche Torquato Tasso,
che
divenne poi amico sia di Argenti sia di Dalla Vio
ebre esperimento musicale, non melodramma ma madrigale drammatizzato,
che
mescola satiricamente nel testo, alla maniera del
ella Camerata: «Ma, poiché si tratta di gloria, siami lecito il dire,
che
una tale invenzione, almen per quello che s’aspet
oria, siami lecito il dire, che una tale invenzione, almen per quello
che
s’aspetta alla musica de gli strumenti, si dee pi
ia, come nella musica, ed io nelle Memorie de gli Scrittori Modenesi,
che
ho raccolte, tengo il catalogo di tutte le opere
34). L’incipit dell’epigrafe commemorativa (menzionata da Muratori),
che
si può leggere ancora oggi nel chiostro dell’anti
Planelli alla nota seguente. • la musica a’ drammi: ‘[Vecchi], colui
che
primo la musica unì al genere comico e destò l’am
cimentandosi anche nel genere comico della palliata; della sua opera,
che
doveva essere cospicua, restano solo frammenti. •
cua, restano solo frammenti. • Tespi: Tespi è, secondo una tradizione
che
sfuma nel mito, l’inventore della tragedia in Gre
voca brevemente in queste pagine la storia della Camerata fiorentina,
che
costituisce il vero e proprio atto di nascita del
Peri, oltreché di testi per Monteverdi (Il ballo delle ingrate, 1608)
che
visse a Firenze, Mantova, Parigi e Roma. Il prodo
ntegralmente le musiche (vi collaborò per alcune arie Giulio Caccini,
che
a sua volta, nel 1602, diede una diversa intonazi
tivi, mentre il resto della partitura è da attribuirsi a Monteverdi, «
che
il Planelli ignora del tutto» (Degrada). • Chiabr
. [commento_Sez.I.1.0.19] • circolazione del sangue: vuole suggerire
che
nessuna scoperta è davvero nuova: Galileo stesso
l’impiego di macchine funzionali alla trama mitologica del libretto,
che
era dedicato alla nobiltà veneziana (l’opera è st
a (dove si era trasferito nel 1729), nel 1782: il notissimo letterato
che
portò a compimento la riforma del melodramma intr
(1598-1653) perché componesse un’opera: e fu la tragicommedia Orfeo,
che
debuttò a Palais Royal il 3 marzo 1647 (il libret
Battista Balbi realizzò le scenografie, mentre le macchine teatrali,
che
destarono stupore, furono opera di Giacomo Torell
); ma a lungo prevalse là il modello francese della tragédie lyrique,
che
ancora influenzò a fine secolo Purcell: solo con
ico: «non v’à perfetto poema senza precedente furor poetico, per modo
che
ne abbisognan anche i più umili, l’egloga e.g., l
cuni restringono l’entusiasmo al fuoco della lirica. Non niego io già
che
l’entusiasmo di questa sia per lo più maggiore di
sia per lo più maggiore di quello degli altri generi di poesia, cioè
che
la commozion degli affetti sia in esso proporzion
ca, Riccomini, 1762, p. 246. [commento_Sez.II.1.2.5] • era il giorno
che
al sol si scoloraro: Petrarca, Canzoniere, 3. [c
Metastasio (atto II, scena XIII: pronunciati da Leonice); si avverta
che
nelle migliori edizioni settecentesche si legge n
le migliori edizioni settecentesche si legge non «ancorchè» ma «ancor
che
», quel che rende pleonastico parte del ragionamen
edizioni settecentesche si legge non «ancorchè» ma «ancor che», quel
che
rende pleonastico parte del ragionamento espresso
, di maravigliosi accidenti, di maneggio singolar di passioni, e tali
che
per sé sole, senz’altro artificio che nell’animo
io singolar di passioni, e tali che per sé sole, senz’altro artificio
che
nell’animo meglio le insinui e penetrare destrame
sinui e penetrare destramente le faccia, risvegliano a seconda di ciò
che
esprimono il terrore, la compassione, l’amore, la
pomene accompagnata dalla musica, dal ballo, e da tutta quella pompa,
che
a’ tempi di Sofocle e di Euripide le soleva fare
inverosimili sono insinuati nella Tragedia, e tanto più gravi, quanto
che
o il costume, o la condotta del poema, o la digni
he o il costume, o la condotta del poema, o la dignità de’ personaggi
che
vi si introducono notabilissimi svantaggi ne rice
die numerosi rilevarne gli esempî, ma mi contenterò di addurne alcuni
che
basteranno al mio disimpegno […]. Confida la Fedr
, Poetica XIII, 1453a, dove è indicata la ‘misura’ dell’eroe tragico,
che
«non distinguendosi per virtù e per giustizia, no
ez.II.6.0.1] • il precetto d’Orazio: versi dell’Ars poetica (189-190)
che
sovente impacciarono i tragediografi in età moder
che sovente impacciarono i tragediografi in età moderna: «l’intreccio
che
vuol essere rappresentato e replicato / non deve
, Barbin, 1692) non ritrovo questa pointe. [commento_Sez.II.6.0.4] •
che
oggi s’abbia l’Italia: cfr. F.M. Zanotti, Dell’ar
arie si rimangono oppresse e quasi sfigurate sotto gli ornamenti, con
che
studia di sempre più abbellirle la foia della nov
della novità. Soverchiamente lunghi sogliono essere quei ritornelli,
che
le precedono, e ci sono assai volte di soprappiù.
. Nelle arie di collera per esempio; ché troppo ha dell’inverisimile,
che
un uomo in collera se ne stia ad aspettare con le
che un uomo in collera se ne stia ad aspettare con le mani a cintola,
che
sia finito il ritornello dell’aria per dare sfogo
che sia finito il ritornello dell’aria per dare sfogo alla passione,
che
bolle dentro il cuor suo». Osservazioni del gener
o alla moda di Benedetto Marcello (1720): «Avverta poi [il musicista]
che
l’arie fino alla fine dell’opera siano a vicenda
nel quale esponesi un fatto o una verità, ajutandosi degli ornamenti
che
porge l’arte rettorica»), ma non nei moderni dizi
gacle: Taci bell’idol mio. Aristea: Parla mio dolce amor. Megacle: Ah
che
parlando, oh dio! / tu mi trafiggi il cor! Ariste
egacle: Ah che parlando, oh dio! / tu mi trafiggi il cor! Aristea: Ah
che
tacendo, oh dio! / tu mi trafiggi il cor!». • nel
fra lor! Lo stesso evento / a chi reca diletto, a chi tormento. / Ah
che
né mal verace, / né vero ben si dà; / prendono qu
adrio, Della storia e della ragione cit., III/II, p. 447: il gesuita (
che
, ci confessa altrove, era stato in gioventù anche
, di violetta, di augelletto, e simili, perché queste son tutte cose,
che
guidano l’idea in non so che di gradevole, che la
e simili, perché queste son tutte cose, che guidano l’idea in non so
che
di gradevole, che la ricrea» (ivi). [commento_Se
queste son tutte cose, che guidano l’idea in non so che di gradevole,
che
la ricrea» (ivi). [commento_Sez.II.7.2.7] • nell
o a forza, egli, a due mani / la clava alzando, mi prepara un colpo /
che
, se giunto m’avesse, le mie sparse / cervella for
unt horrea messes»). L’osservazione era stata di Girolamo Tartarotti,
che
in un opuscolo indirizzato a Fontanini (1743) ave
ra in fiume, / va prigioniera in fonte. / Mormora sempre e geme / fin
che
non torna al mar. / Al mar dov’ella nacque, / dov
questo stato / son da tutti abbandonato; / meco sola è l’innocenza /
che
mi porta a naufragar». [commento_Sez.II.7.2.10]
nza / che mi porta a naufragar». [commento_Sez.II.7.2.10] • facciamo
che
Megacle: si riferisce rispettivamente a due celeb
a: atto II, scena X ( «Se cerca, se dice: / ‘l’amico dov’è», con quel
che
segue); atto I, scena X (duetto di Megacle e Aris
ibile all’italiano), una sorta di manifesto della nuova drammaturgia,
che
prevedeva tra l’altro una drastica limitazione de
i attribuiti tradizionalmente ai cantanti castrati (nei due paragrafi
che
seguono Planelli non fa che parafrasare le idee d
e ai cantanti castrati (nei due paragrafi che seguono Planelli non fa
che
parafrasare le idee di Calzabigi). Calzabigi regi
sissima autodifesa del 1789 contro l’Arteaga (e Metastasio), Risposta
che
ritrovò casualmente nella gran città di Napoli il
rotti, Saggio sopra l’opera cit., p. 29: «Una qualche commozione pare
che
cagioni presentemente il recitativo, quando esso
lion dire, e accompagnato con istrumenti. E forse non disconverrebbe,
che
una tale usanza si facesse più comune ancora ch’e
ipresa d’interesse per la poesia biblica (in particolare per i Salmi,
che
vennero a più riprese volgarizzati) e l’accostame
, potresti farti raccontare dal tuo cliente Licinio, uomo di lettere,
che
fu uno schiavo di Gracco e svolse per lui il comp
che fu uno schiavo di Gracco e svolse per lui il compito di scrivano,
che
, quando pronunciava un discorso, Gracco era solit
corso, Gracco era solito tenere con sé, nascosto, un aiutante esperto
che
, con una piccola zampogna d’avorio, suonava rapid
ivolte a Willis nella nota) [commento_Sez.III.1.3.5] • quegl’infermi
che
la Puglia chiama tarantolati: le notizie sui cosi
moderna musica. Dissertazione del Signor Burette in cui si dimostra,
che
i maravigliosi effetti attribuiti alla musica deg
iretta da L. Canfora, vol. I, Roma, Salerno, 2001, pp. 433-451. • ciò
che
scrive Polibio: nel quarto libro delle Storie, ca
, Polibio loda il costume della maggior parte dei popoli dell’Arcadia
che
insegnavano ai bambini la musica, a partire dalle
Bacco; abitudine ignota ai Cinetesi, considerati per questo poco meno
che
barbari. [commento_Sez.III.1.4.8] • il cantore l
selvaggi dalle stragi e da nutrimenti atroci, / e si disse per questo
che
ammansiva le tigri e i leoni feroci; / anche di A
e i leoni feroci; / anche di Anfione, fondatore di Tebe, narrarono /
che
muoveva le pietre al suono della lira, / spostand
rielli (‘la signora Gabrielli’), celebre cantante romana (1730-1796),
che
recitò nei teatri di mezza Europa e fece parlare
o incidente diplomatico tra gli ambasciatori di Francia e Portogallo,
che
se la contendevano): alla «coghetta» o «cochetta»
ono molte parti di prima donna. Il giudizio non benevolo di Planelli,
che
insiste sulla convenzionalità e il manierismo dei
manierismo dei suoi eccezionali gorgheggi, è contraddetto dalle lodi
che
molti le riservarono; tuttavia non la ammirò Moza
diede giudizi severi sulle qualità artistiche della Gabrielli (è vero
che
Mozart poté ascoltarla solo alla fine della carri
ures quam septem haberet, in Timothei fidibus incidi» (‘se è pur vero
che
la severità di Sparta fece strappare dalla cetra
la severità di Sparta fece strappare dalla cetra di Timoteo le corde
che
superavano le sette’); per Plutarco, vedi Institu
co, vedi Instituta laconica, XVII: «[Terpandro] fu punito dagli Efori
che
gli appesero la cetra al muro perché vi aveva agg
grada). • ausus idem: dall’Ars poetica oraziana, vv. 240-242: « tanto
che
ognuno / credesse di poterlo rifare e, tentando c
io, Satire, I,I,69-70 («Perché ridi? Sotto altro nome è proprio di te
che
si parla»). [commento_Sez.III.3.1.4] • Alessandr
ione, di preparar l’uditore a ricevere quelle impressioni di affetto,
che
risultano dal totale del Dramma; E però da esso h
n tutto e diversa dal Dramma, come una strombazzata, diciam così, con
che
si abbiano a riempiere d’avanzo, e ad intronare g
ell’udienza. Che se pure taluni la pongono come esordio, convien dire
che
sia di una medesima stampa cogli esordj di quegli
dire che sia di una medesima stampa cogli esordj di quegli scrittori,
che
con di bei paroloni si rigiran sempre sull’altezz
re sull’altezza dell’argomento, e sulla bassezza del proprio ingegno,
che
calzano a ogni materia, e potriano stare egualmen
ei costumi dopo il Mille, Bassano, Remondini 17862: «[…] Jacopo Peri,
che
nel Proemio dell’Euridice dà precetti e ragioni s
a in forma di recitativo accompagnato il tema del dramma (stratagemma
che
troverà molti imitatori nel corso del Seicento).
no mediocre, ma abile in quella, può battere i sommi oratori. Si dice
che
Demostene richiesto cosa maggiormente importasse
IV.1.0.5] • Roscio: cfr. Cicerone, De oratore, I, 59: «chi può negare
che
l’oratore abbia bisogno nei suoi movimenti del ge
esprimea: in Saturnali, III, 14, 12, si parla d’un manuale (perduto)
che
Roscio stesso avrebbe scritto accostando tecnica
orino, Utet 19772 , p. 426). • dell’attore satiro: riferisce Plutarco
che
l’istrione Satiro, amico dell’oratore esordiente,
iera sì acconcia al costume e al sentimento della persona introdotta,
che
parvero totalmente diversi a Demostene stesso: il
ltà, quando si trascuri la pronuncia e l’azione corrispondente a quel
che
si dice» (trad. G. Pompei: Plutarco, Le vite cit.
el ‘49) nella Didone di Jommelli. Più difficile identificare Acquino,
che
secondo Degrada potrebbe essere un Onofrio D’Acqu
on uno svenevole o mimico: Orazio, Ars poetica, 149-150 («tutto ciò /
che
credi non possa brillare nella narrazione»). • Né
ca o quella tragica. Se è superiore quella meno volgare […], è chiaro
che
quella che imita tutto è volgare: come se non si
tragica. Se è superiore quella meno volgare […], è chiaro che quella
che
imita tutto è volgare: come se non si capisse se
e quella che imita tutto è volgare: come se non si capisse se non ciò
che
viene posto direttamente davanti, si agitano con
nte davanti, si agitano con molti movimenti, come gli auleti scadenti
che
si attorcigliano se devono imitare un disco o tir
progredi proverbio Graeco notatum est» (‘[Tiberio] annunciava spesso
che
avrebbe visitato le province e le truppe. Ogni an
eva nei municipi e nelle colonie le poste e le provvigioni, accettava
che
si facessero voti solenni per il viaggio e per il
a che si facessero voti solenni per il viaggio e per il ritorno, così
che
per scherzo era comunemente chiamato Callipide, d
zo era comunemente chiamato Callipide, dal nome di quell’attore greco
che
si muoveva di qua e di là senza in realtà spostar
mimo con questo nome è menzionato anche da Aristotele, ma non è certo
che
sia lo stesso cui si riferisce l’aneddoto. [comm
ddoto. [commento_Sez.IV.2.1.10] • dar segni di disprezzo: ‘[si dice]
che
[Costanzo] mai fu visto soffiarsi il naso in pubb
e, come nelle antiche tragedie. Egli ha segnate con ciò le vie tutte,
che
ha da tenere; non può mettere piede in fallo quan
enti inflessioni e durate delle voci sopra le parole dalla parte sua,
che
a lui esattamente le prescrive il compositore. Ma
sattamente le prescrive il compositore. Ma non resta per tutto questo
che
molto ancora egli non ci abbia a metter del suo.
sopra le note dell’aria? Pur nondimeno non si può mettere in dubbio,
che
il dare a quei passi il loro finimento sta al bal
finimento sta al ballerino medesimo e il condirgli di quelle grazie,
che
ne son l’anima». [commento_Sez.IV.2.2.2] • cucul
riano sulla recitazione antica: «qui mi verrebbe in acconcio di dire,
che
siccome rozza e imperfetta era quella pittura neg
un cane, questo un cavallo: così imperfetta fosse quella recitazione,
che
per essere intesa, avesse bisogno d’essere letta»
genera dell’actio (le parole ciceroniane sono intervallate da esempi
che
Planelli omette) «un tipo di voce richiede la com
l miele della Dea della persuasione, / ma anche piace la voce gonfia,
che
quasi imita il suono rauco del corno’). [comment
l’ode di Parini La musica (già intitolata L’evirazione, 1769); si sa
che
nello Stato della Chiesa la pratica continuò sino
anonimo) delle «Efemeridi letterarie di Roma», n. V, 30 gennaio 1773,
che
pur approvando le idee di Planelli sugli evirati
orico del teatro; Charles Le Brun (Parigi 1619-1690), pittore barocco
che
lasciò anche originali riflessioni teoriche, in g
x qui parlent en public, et surtout des predicateurs (1696). È tipico
che
Planelli mescoli esempi di eloquenza dal pulpito
’Albani del 29 luglio 1637: «bisognarebbe formare le figure operanti,
che
si conoscesse in fare quello che fa, quello che a
gnarebbe formare le figure operanti, che si conoscesse in fare quello
che
fa, quello che anco ha fatto, e che sono per fare
e le figure operanti, che si conoscesse in fare quello che fa, quello
che
anco ha fatto, e che sono per fare» (a proposito
che si conoscesse in fare quello che fa, quello che anco ha fatto, e
che
sono per fare» (a proposito della pala d’altare d
ommento_Sez.IV.3.0.8] • dell’arte: Cicerone, De oratore, I, 29 ‘sento
che
Roscio spesso dice che il decoro è il fondamento
dell’arte: Cicerone, De oratore, I, 29 ‘sento che Roscio spesso dice
che
il decoro è il fondamento di ogni arte, e tuttavi
che il decoro è il fondamento di ogni arte, e tuttavia è l’unica cosa
che
non si può insegnare con alcuna arte’ d’attristar
In Psalmos 80) • d’accendere a sdegno: è un broccardo molto diffuso,
che
però non sembra ritrovarsi (almeno in questa form
del Signore, Svizzeri, levantini e altri bizzarri personaggi; a segno
che
alle sue composizioni fu dato il nome da non so c
degl’intermedi [della commedia Il Commodo di A. Landi e G.B. Gelli],
che
furono opera di Giovan Battista Strozzi (il quale
vestimenti e calzari, d’acconciature di capo e d’altri abbigliamenti,
che
sia possibile immaginarsi. Le quali cose furono c
liamenti, che sia possibile immaginarsi. Le quali cose furono cagione
che
il duca si servì poi in molte capricciose mascher
Parigi 1717-1814) è l’importante decoratore, scenografo e costumista
che
nella sua lunghissima vita lavorò con tre generaz
ò con tre generazioni di autori e attori francesi (anche con Noverre,
che
aiutò nel ridisegnare in senso naturalistico i co
Garrick come lo Shakespeare della danza) il nostro Gasparo Angiolini,
che
a Vienna aveva collaborato con Gluck. Le Lettres
di Bibbiena, fece Baldassarre [Peruzzi] l’apparato e la prospettiva,
che
non fu manco bella, anzi più assai che quella che
] l’apparato e la prospettiva, che non fu manco bella, anzi più assai
che
quella che aveva altra volta fatto [...]; ed in q
o e la prospettiva, che non fu manco bella, anzi più assai che quella
che
aveva altra volta fatto [...]; ed in queste sì fa
, facendosi in quella vece feste e rappresentazioni; ed o prima o poi
che
si recitasse la detta Calandra, la quale fu delle
recitasse la detta Calandra, la quale fu delle prime commedie volgari
che
si vedesse o recitasse, basta che Baldassarre fec
ale fu delle prime commedie volgari che si vedesse o recitasse, basta
che
Baldassarre fece al tempo di Leone X due scene ch
o recitasse, basta che Baldassarre fece al tempo di Leone X due scene
che
furono meravigliose, ed apersono la via a coloro
eone X due scene che furono meravigliose, ed apersono la via a coloro
che
ne hanno poi fatto a’ tempi nostri» (G. Vasari, L
e ad imitazione della natura tutte le linee verso un punto stabilito,
che
ne è il centro; e come con cose non vere si possa
n vere si possano rappresentare sulla scena immagini di veri edifici,
che
sembrino, benché dipinti sopra superfici dritte e
tata per la prima volta la «visione per angolo» della scena teatrale,
che
dà l’illusione allo spettatore di uno spazio infi
te: poiché aveva dipinto una battaglia navale tra Egiziani e Persiani
che
voleva fosse immaginata svolgersi nel Nilo, che è
a Egiziani e Persiani che voleva fosse immaginata svolgersi nel Nilo,
che
è simile al mare, lo dimostrò con un argomento es
trò con un argomento estraneo all’arte. E infatti dipinse un asinello
che
si abbeverava sulla riva con un coccodrillo che l
i dipinse un asinello che si abbeverava sulla riva con un coccodrillo
che
lo insidiava’. [commento_Sez.V.2.2.3] • il più v
ch’essi per conto niuno non l’avrebbono fatto in una fabbrica. Se non
che
tolse loro ogni pensiero, secondo che riferisce e
o fatto in una fabbrica. Se non che tolse loro ogni pensiero, secondo
che
riferisce egli stesso, un professore amico suo, i
si le mensole, le colonne fossero venute a cadere. Magra scusa, quasi
che
l’architetura non si avesse a dipingere secondo l
’architetura non si avesse a dipingere secondo le buone regole, e ciò
che
offende nel vero non offendesse ancora nelle imma
nografia de L’Ortensio di Alessandro Piccolomini (1560), allestimento
che
a Siena fu ripreso per vari decenni sino al nuovo
). Della schiera di notissimi pittori menzionati, basterà specificare
che
il Ricci è il bellunese Sebastiano Ricci (1659-17
me offende: parafrasi da Petrarca, Canzoniere, 19, v. 3 («altri, però
che
‘l gran lume gli offende»): fuori contesto, perch
e scelte spaziali e prospettiche di Andrea Palladio e dell’architetto
che
completò e realizzò il suo progetto, Vincenzo Sca
ame adatti alla grandezza del teatro e si dovranno realizzare in modo
che
una volta toccati essi rendano i suoni del diates
«Non ogni movimento [kínesis] è da criticare [nella tragedia], visto
che
non lo è la danza [òrkesis] ma solo quello degli
non lo è la danza [òrkesis] ma solo quello degli attori scadenti, il
che
appunto si rimproverava a Callipide e ora ad altr
i scadenti, il che appunto si rimproverava a Callipide e ora ad altri
che
non sanno imitare le donne per bene» (Poetica 146
acrobio: «Quando [Pilade] impersonò l’Ercole pazzo ad alcuni sembrava
che
non mantenesse il portamento adatto a un attore;
uesti caratteri con moderazione. In realtà il fatto più paradossale è
che
nello stesso giorno vengano rappresentati Atamant
ni, 1779 (con dedica al ballerino Antonio Muzzarelli di un traduttore
che
si cela sotto lo pseudonimo di «Crittodunamio»).
tolga poi via la maschera: questa avversione all’uso della maschera,
che
semplicisticamente Planelli ritiene solo uno stru
1.1] • il filosofo Demetrio: l’aneddoto sul filosofo cinico Demetrio,
che
scopre il valore conoscitivo della danza di front
), è letto da Planelli ancora nel De saltatione di Luciano: «Demetrio
che
aveva apprezzato moltissimo lo spettacolo attribu
ompendo in un’esclamazione a gran voce: ‘Non solo vedo ma odo le cose
che
fa e mi sembra che siano le sue stesse mani a par
mazione a gran voce: ‘Non solo vedo ma odo le cose che fa e mi sembra
che
siano le sue stesse mani a parlare’» (§ 63: tr. c
igure degli uomini abbiano atto proprio alla loro operazione, in modo
che
vedendoli tu intenda quello che per loro si pensa
proprio alla loro operazione, in modo che vedendoli tu intenda quello
che
per loro si pensa o dice, li quali saran bene imp
commento_Sez.VII.0.0.1] • Quest’ultima sezione del libro di Planelli,
che
tocca questioni d’ordine moral-religioso, è stata
re: Planelli si riferisce al seguente passo del marchese di Mirabeau,
che
prende di mira sia George Dandin di Molière (1668
ap. II [commento_Sez.VII.2.0.1] • il direttore: forse nelle righe
che
seguono c’è una lontana eco delle vecchie pagine
pittura» (e così via: Il teatro alla moda cit., p. 40); si noti però
che
Planelli cerca di distinguere tra le responsabili
à del direttore (noi diremmo: direttore artistico) e dell’impresario,
che
immagina mosso solo dalla molla economica. Ma è c
mpresario, che immagina mosso solo dalla molla economica. Ma è chiaro
che
, con l’eccezione dei casi di mecenatismo da parte
e Minerva si oppone, niente dirai, / per il giudizio e l’intelligenza
che
possiedi. E se qualche volta / scriverai, lo fara
rodurre invocazioni agli dèi in bocca agli eroi dei melodrammi (si sa
che
gli stampatori dei libri se la cavavano con formu
n formule di comodo, suggerite dallo stesso censore, in cui si negava
che
parole cone numi, fato, dèi, eccetera, potessero
teatrali furono regolati a Roma in senso rigoristico: prima vietando
che
le donne apprendessero la musica da maestri uomin
ni, poi proibendone del tutto la presenza sul palcoscenico. S’intende
che
per l’opera in musica il ricorso agli evirati (em
Arione di Metimna, presunto inventore del ditirambo) al tipo di efebo
che
compariva sulle scene settecentesche nel ruolo di
giocolieri, i quali coi lor giochi dilettano, rallegrano la brigata,
che
perciò non mai nominò, né commedie, né scene, né
elli testimonia la persistente attualità in Italia di tale dibattito,
che
era ormai fuori corso in Francia o in Inghilterra
erra di sucessione spagnola. [commento_Sez.VII.3.0.16] • credete voi
che
mai l’Aulularia: accosta, un po’ avventurosamente
Metastasio (1729, per la musica di Leonardo Vinci): a Planelli sembra
che
quel ruolo di contralto si adatti più a un person
he quel ruolo di contralto si adatti più a un personaggio da commedia
che
da tragedia. [commento_Sez.VII.3.0.18] • empia l
ttica faretra: cfr. Petrarca, Trionfo della Fama, III, 61-63: «E quel
che
‘nver di noi divenne petra, / Porfirio, che d’acu
Fama, III, 61-63: «E quel che ‘nver di noi divenne petra, / Porfirio,
che
d’acuti sillogismi / empiè la dialettica faretra»
tendano ad ispirare le medesime virtù, e a screditare i medesimi vizi
che
il dramma vuol mettere in veduta, lusingandomi ch
re i medesimi vizi che il dramma vuol mettere in veduta, lusingandomi
che
al lettore non sembri strano, che la musica, la p
uol mettere in veduta, lusingandomi che al lettore non sembri strano,
che
la musica, la pittura, la danza, il vestimento, d
i negli animi nostri, e ad impedirne alcune altre. E tali avvertenze,
che
non pretendiamo avere insegnate, ma ricordate sol
-397 (stabilisce tra l’altro finalmente con certezza le date estreme,
che
erano controverse: Bitonto 1737 – Napoli 1803): f
al Museo Mineralogico di Napoli. Di famiglia aristocratica, Planelli (
che
dal 1767 risulta ascritto al Sacro Militare Ordin
5. «Non v’à perfetto poema senza precedente furor poetico, per modo
che
ne abbisognan anche i più umili, l’egloga e.g., l
cuni restringono l’entusiasmo al fuoco della lirica. Non niego io già
che
l’entusiasmo di questa sia per lo più maggiore di
sia per lo più maggiore di quello degli altri generi di poesia, cioè
che
la commozion degli affetti sia in esso proporzion
, 1987. 8. Si vedranno nel commento le fonti utilizzate da Planelli,
che
sono quelle tipiche della storiografia settecente
mentre altre erano lasciate fra l’ombre. Un macchinista intelligente,
che
coll’economia medesima distribuisse i lumi tra le
rgione, il Tiziano del teatro; e tanto più l’opere sue diletterebbero
che
quelle de’ duumviri di quel genere, quanto il lum
i elementi, e lo riduce a quella inabilità, a cui sarebbe ridotto uno
che
fosse costretto a parlare con quattro sole letter
lla poesia. 23. Il titolo di Misteri era dato non solo a que’ drammi
che
conteneano qualche mistero di nostra santa fede,
nel Biagio Contadino, dramma di questo genere, si legge: «Volendo voi
che
qui si rappresenti / Il bel Mister di Biagio Cont
ere del Sannazaro in Padova nel 1723 pel Comino. Ecco per esempio ciò
che
si legge dopo la seconda scena: «Finito ch’ebbe l
lla sala. Da poi venne la Letizia vestita ornamente, con tre compagne
che
suonavano la viola, cornamusa, flauto e una ribec
r sempre meglio il mio proposito; e ‘l fo tanto più volentieri quanto
che
con la sua naturalezza e leggiadria non può manca
può il più, e la bruttezza per lo contrario è molti, sì come tu vedi
che
sono i visi delle belle e delle leggiadre giovani
attezze di ciascuna di loro paion create pure per uno stesso viso, il
che
nelle brutte non addiviene; perciocché avendo ell
ffute, e la bocca piatta, e ‘l mento in fuori, e la pelle bruna, pare
che
quel viso non sia d’una sola donna, ma sia compos
er sé, ma tutti insieme sono spiacevoli e tozzi, non per altro se non
che
sono fattezze di più belle donne e non di quest’u
ecita / più dell’usato, / ancorchè s’agiti / con lieve fiato, / face,
che
palpita / presso a morir». Ma il terzo e ‘l quart
no lo stesso metro degli altri, perché la seconda e la terza sillaba,
che
gli altri han breve, in quelli non son brevi ambe
reve, in quelli non son brevi ambedue, per ragione dell’accento acuto
che
preme la seconda sillaba. Ond’è che la lingua spe
e, per ragione dell’accento acuto che preme la seconda sillaba. Ond’è
che
la lingua sperimenta un certo intoppo nel proferi
affinché quell’«ancorchè» non metta alcun dubbio, si vuole avvertire
che
tal parola in prosa va proferita coll’accento acu
oesia è impossibile la contiguità di due lunghe. Ma perché si è detto
che
i notati versi non ritengono lo stesso metro degl
si non ritengono lo stesso metro degli altri, non perciò creda alcuno
che
quel cambiamento di metro sia un errore. Esso è u
v. 24: «Vel scena ut versis discedat frontibus».La mutazione di scena
che
qui indica il poeta era dagli antichi eseguita ne
i antichi di far succedere a un tragico un comico o mimico dramma, sì
che
non era difficile il vedere in un giorno tre e qu
ido, / vedermi astretto a comparire ingrato, / ed a re sì clemente, /
che
oltraggiato e potente / l’offese oblia, mi string
48. Il signor d’Alembert, De la liberté de la musique, dissertazione
che
va nelle sue Mescolanze. 49. La musica ebrea dov
sta republica, e nulla contribuirono alla perfezione di quella musica
che
si propagò per tutte le colte nazioni dell’antich
l’antichità. 50. Cic. De orat., lib. III. 51. Qualora però si vuole
che
a questi nervi appartenga il ministero delle pass
il ministero delle passioni, con ciò non s’intende altrimenti negare
che
essi nelle funzioni vitali vengano ancora impiega
se i fisici sien contenti di questa ragione del Willis, a me parendo
che
senza ricorrere alle passioni la ragione di tal d
alle passioni la ragione di tal differenza si trovi nella differenza
che
passa tra il sito della macchina umana e ‘l sito
ì degli altri. 54. È su tal proposito assai noto il fatto di Timoteo
che
col modo frigio mise in furore Alessandro e ‘l fe
modo frigio mise in furore Alessandro e ‘l fece correre all’armi, ma
che
cangiando a un tratto il frigio in dorico rassere
o monarca. Del canto d’Olimpio, famoso musico, sappiamo da Aristotile
che
ispirava maraviglioso estro negli animi. E Plutar
irava maraviglioso estro negli animi. E Plutarco (De musica) rapporta
che
Terpandro, altro musico eccellente, col mezzo del
arte sua sedò in Isparta un tumulto. Degli Spartani medesimi si narra
che
in guerra adoperavano canti dolci per raffrenare
che in guerra adoperavano canti dolci per raffrenare la temerità, ma
che
, combattendo un giorno contro i Messeni, il music
, combattendo un giorno contro i Messeni, il musico Tirteo, accortosi
che
piegavano, cambiando il lidio in frigio ottenne l
oro la vittoria col riaccendere per mezzo del modo frigio il coraggio
che
il lidio aveva ammorzato. Narrasi inoltre che una
modo frigio il coraggio che il lidio aveva ammorzato. Narrasi inoltre
che
una musica di precipitato e celere movimento acce
ovani ch’essi corsero ad incendiare l’abitazione d’una cortigiana, ma
che
il musico, per consiglio di Pitagora cangiando mo
d’un giovane delirante per amorosa passione. Lo stesso mezzo leggesi
che
spesse volte adoperasse Teofrasto a calmar l’anim
minavano la giornata. Scrissero poi di quest’arte i più grandi uomini
che
la Grecia vantasse, e fra questi Simmia, Aristoti
Le caractère des passions. Il Dinouart compose ancora un dotto libro
che
ha per titolo L’eloquence du corps et l’action du
s gestes, par le P. Sanlècque, chanoine regulier de Sainte Geneviève,
che
non senza discapito delle lettere fu dall’autore
raz., lib. I, Epist. XIX. 87. In una sua lettera inserita nella vita
che
di lui scrisse il Malvasia, nella p. 4 della Fels
truito di mattoni, di marmo o d’altre somiglianti materie. 103. Ciò
che
intendiamo per interno del teatro fu già definito
o di quelle passioni a cui particolarmente mirano le arti piacevoli e
che
noi ci aspettiamo nell’osservar l’opere di queste
dia di Racine, d’allora rinunziò per sempre a’ publici balli. I versi
che
riformarono il gran Lodovico sono i seguenti: «Po
Epist., I, lib. II 114. Non vi fu nell’antichità setta di filosofi
che
non conoscesse la falsità del politeismo e non de
con esattezza i propri sentimenti, quindi derivò la taccia d’ateismo
che
sì spesso fu loro apposta. Questi medesimi sentim
lcano, di Castore e Polluce ecc. Non è questo il luogo di provare ciò
che
avanziamo. Cudworth (Syst. Intell., cap. IV, § 18
orale et de la politique tirées d’un ouvrage de M. Warburton hanno di
che
soddisfar pienamente il lettore. Che poi gli adit
osofia fossero comunemente frequentati dalle colte persone è un fatto
che
non ha bisogno di pruove. Molto più comune era l’
erentemente spiegato. Ve n’erano alcuni pochi riserbati solo a coloro
che
per lunga sperienza s’erano fatti conoscere prude
lunga sperienza s’erano fatti conoscere prudenti e fedeli a’ segreti
che
loro erano commessi. 115. Io non so con quanta
ri drammatici le leggi romane emanate contro gl’istrioni. Egli mi par
che
sotto tal nome quelle leggi non comprendeano in g
in generale qualunque classe d’attori drammatici, ma soltanto coloro
che
buffoneschi lazzi rappresentavano, quali particol
li particolarmente erano i mimi, i pantomimi e quegli altri giocolari
che
su’ teatri colla licenza de’ loro diverbi e colla
voleano solo co’ buffoni, co’ mattaccini. Alcuna forse se ne troverà
che
non così espressamente individui costoro, ma essa
toro, ma essa, chi ben l’esamini, terrà sempre un sì fatto linguaggio
che
dichiari abbastanza non avere altri in mira che t
n sì fatto linguaggio che dichiari abbastanza non avere altri in mira
che
tal sorta di scostumate e licenziose persone. Il
a’ lenoni (De spectaculis et scenicis et lenonibus) mostra abbastanza
che
di quelle s’intenda di ragionare, non già de’ tra
i matematici si voglia intendere. Che poi l’arte ludrica o buffonesca
che
le leggi esprimono quando parlano d’istrioni nota
ca che le leggi esprimono quando parlano d’istrioni notati d’infamia,
che
una tal arte, dissi, non sia quella degli attori
notati dalle leggi perché non esercitavano l’arte ludicra, nonostante
che
questa spezie di commedie non fosse delle più cas
onostante che questa spezie di commedie non fosse delle più castigate
che
avessero i Romani, che anzi oltre all’essere fest
ezie di commedie non fosse delle più castigate che avessero i Romani,
che
anzi oltre all’essere festivissima e motteggiosa
i dall’infamia esser dovettero gli attori d’altre maniere di commedie
che
in Roma si usavano e che avevano riputazione di p
ttero gli attori d’altre maniere di commedie che in Roma si usavano e
che
avevano riputazione di più costumate. Quindi si v
si usavano e che avevano riputazione di più costumate. Quindi si vede
che
qualora le leggi romane parlano d’istrioni questa
patrum coercendum sit. Pulsi tunc histriones Italia». Dove ognun vede
che
l’eccessiva licenza de’ buffoni diede occasione a
vede che l’eccessiva licenza de’ buffoni diede occasione all’editto e
che
questo riguardò essi soli, non già gli attori tra
proseguirono senza interruzione le loro teatrali rappresentazioni; il
che
è sì vero che quell’anno medesimo fu decretato ch
enza interruzione le loro teatrali rappresentazioni; il che è sì vero
che
quell’anno medesimo fu decretato che Augusta nel
ppresentazioni; il che è sì vero che quell’anno medesimo fu decretato
che
Augusta nel teatro prendesse luogo tra le Vestali
o dunque fu anch’esso occasionato dalla buffonesca licenza e non ferì
che
i soli mattaccini senza recare impedimento alcuno
ori tragici e i comici, si sarebbero chiusi i teatri. 116. ltre di
che
gli effetti medesimi palesemente dimostrano che i
atri. 116. ltre di che gli effetti medesimi palesemente dimostrano
che
il rigore delle leggi romane non si estendea sino
compossibili colla nota d’infamia. E di Roscio segnatamente sappiamo,
che
non solo godè di tutti i diritti di Cittadino, e
ttamente d’ammettere nella loro familiarità persone infami; ma ancora
che
da Silla fu ascritto all’Ordine Equestre, come at
lib. 4 cap. 4). Tutto dunque, s’io dritto estimo, tende a confermare
che
non erano gli Attori di Drammi regolari quelle sc
che non erano gli Attori di Drammi regolari quelle sceniche persone,
che
le leggi romane notavano d’infamia, e che non sen
ri quelle sceniche persone, che le leggi romane notavano d’infamia, e
che
non senza ragione scrisse il famoso Giureconsulto
tutem excitant tam Dicentes, quam Audientes, admittendae sunt. Dubito
che
quella stessa ragione, ch’ebbero coloro, che appl
admittendae sunt. Dubito che quella stessa ragione, ch’ebbero coloro,
che
applicarono a’ nostri Attori le leggi romane sugl
’ nostri Attori le leggi romane sugl’Istrioni s’abbiano quegli altri,
che
applicano a’ nostri Teatri le invettive de’ Padri
ontro i Teatri de’ loro dì. A tre capi riducono gli Eruditi tutto ciò
che
contro a’ Teatri si cava da’ Padri della Chiesa.
pagana superstizione, costituendo una parte del culto degl’Idoli. 2.
che
proponeano gli stessi Iddii in esempio delle magg
e maggiori scelleratezze. 3. ch’erano crudeli, ed osceni. Ben è vero,
che
talvolta essi parlavano in modo, ch’egli pare, ch
sceni. Ben è vero, che talvolta essi parlavano in modo, ch’egli pare,
che
condannassero indistintamente, e in generale gli
risse: cuius finis est humanos mores nosse, atque descrivere. Oltre a
che
, se essi avessero riputati i Teatri intrinsecamen
recetti della loro morale con sentenze di Tragici e di Comici. Ma non
che
i Padri, lo stesso S. Paolo nella prima a’ Corint
no ad essere occupate da’ Cristiani, cessati quegli accidentali vizi,
che
rendeano esecrabile il Teatro, cessarono anche i
per opposito ad annoverarlo infra i leciti divertimenti. Tra’ primi,
che
ciò insegnassero, fu S. Tommaso (II, quaest. 368
insegnassero, fu S. Tommaso (II, quaest. 368 art. 3). Non ignoriamo,
che
l’illustre Bossuet, per sostenere il suo rigido i
che l’illustre Bossuet, per sostenere il suo rigido impegno, pretenda
che
la voce Histrio, onde si vale il Santo Dottore, n
quel luogo gli Attori Drammatici, ma bensì que’ sollazzevoli uomini,
che
col loro buon umore porgono festa, e riso alle br
à ben dimostrato il Padre Bianchi nel quarto ragionamento del libro,
che
à per titolo: De’ vizi, e de’ difetti de’ moderni
’egli medesimo correggeva, ed approvava di proprio pugno le Commedie,
che
si menavano sul Teatro di Milano. Il Padre Concin
Il Padre Concina (De Spectac. Theatral) nega questo fatto e dice anzi
che
i commedianti andaron via da Milano per non soggi
regole prescritte dal Santo Cardinale. Nondimeno questo medesimo anzi
che
autorizzare la sua sentenza (attinta in Porto Rea
ivescovo vole soggettare que’ Comici a certe regole; dunque conoscea,
che
gli Spettacoli Drammatici fossero permessi, ove s
per fine l’allontanare sempre maggiormente gli Ebrei dall’idolatria,
che
regnava in Egitto, donde quel popolo allora usciv
, e alle di cui superstizioni era soprammodo inclinato: noto essendo,
che
gli Egiziani nella pompa d’Iside si vestivano d’a
inili. Un altro fine di quel divieto era l’impedire il libertinaggio,
che
dall’accomunamento degli abiti sarebbe sommamente
la sua parte, senza uscir mai dal luogo della rappresentazione? Senza
che
, quel travestimento non è necessario allo Spettac
i improvvisi: non si dovrebbe mai rappresentare al publico un Dramma,
che
non fosse prima stato interamente scritto, ed esa
n fosse prima stato interamente scritto, ed esaminato dal Magistrato,
che
presiede a’ Teatri. Finalmente quegl’istrioni err
agistrato, che presiede a’ Teatri. Finalmente quegl’istrioni erranti,
che
vanno di luogo in luogo ergendo Teatro dovunque l
ale è da città grande, e da eseguirsi sotto gli occhi del Magistrato,
che
n’à la direzione: perciocché non basta rappresent
non basta rappresentar drammi da lui approvati; se poi non è sicuro,
che
i recitanti nulla vi aggiungano di bocca, o che a
se poi non è sicuro, che i recitanti nulla vi aggiungano di bocca, o
che
accompagnino le lor parole con gesti dettati dall
ati dalla modestia, e dalla decenza. Sarebbe oltre modo a desiderare,
che
i Principi e i Magistrati avessero sempre present
uello del Cavaliere Riccardo Steele, il quale nel suo Tatler insegna,
che
«si dee scegliere per suggetto delle Opere Teatra
Introduzione […] concediamo pure
che
ci sia (che esista primariamente e assolutamente;
Introduzione […] concediamo pure che ci sia (
che
esista primariamente e assolutamente; si vuol dir
iamente e assolutamente; si vuol dire: indipendentemente dallo studio
che
se ne effettua) un oggetto degli studi teatrali.
di teatrali. Quale sarebbe? Lo spettacolo, certo. Ma l’oggetto, oltre
che
significante, deve essere dato, presente: il che
Ma l’oggetto, oltre che significante, deve essere dato, presente: il
che
non avviene per nessuna, o quasi, componente dell
l’era pre-digitale) deve far fronte all’assenza di una fonte diretta,
che
non sia il testo drammatico. Se l’intenzione è qu
culturale) generale (TG)2», ossia di testi teatrali ed extra teatrali
che
, agendo sul contesto artistico, filosofico, lette
verti. Nonostante la difficoltà nello stabilire il grado di vicinanza
che
intercorre tra un documento figurativo illustrati
illustrativo di una messa in scena e lo spettacolo reale, o l’apporto
che
un’immagine non strettamente teatrale può offrire
tico di tali fonti è in primo luogo lo statuto incerto di tali testi,
che
non hanno natura né descrittiva, né prescrittiva.
n cui sono composti, né può essere definita la reale forza di impatto
che
ebbero sulla recitazione degli attori a venire. T
sulla recitazione degli attori a venire. Tuttavia a partire dai testi
che
riflettono su come la recitazione di un attore do
itazione di un attore dovrebbe essere, è possibile ricostruire quello
che
la recitazione non era. Le critiche mosse a certe
del personaggio) ci aiutano a formulare un modello virtuale di quello
che
doveva essere lo spettacolo nel periodo preso in
izzeremo il trattato è quella di specchio di un’epoca di transizione,
che
aveva fatto tesoro della nuova estetica della sen
ll’esperienza teatrale parigina risulti nell’opera Della declamazione
che
egli avrebbe letto al Talma, quanto derivi dalla
studi teatrali, ci si trova spesso davanti ad una certa settorialità,
che
oppone il testo drammaturgico al testo spettacola
à, che oppone il testo drammaturgico al testo spettacolare, a seconda
che
si tratti di ricerche inerenti alla letteratura t
le attenzione all’aspetto performativo del proprio testo, consapevole
che
l’incontro con il pubblico costituiva la fase det
dicare il valore e l’efficacia della propria opera. Una delle ragioni
che
ha sottratto il trattato a uno studio puntuale ha
delle ragioni che ha sottratto il trattato a uno studio puntuale ha a
che
fare proprio con il poco interesse che, in sede d
ato a uno studio puntuale ha a che fare proprio con il poco interesse
che
, in sede di studi letterari, viene prestato alla
della recitazione degli attori e, in ugual misura, allo scarso spazio
che
, nelle discipline dello spettacolo, viene riserva
Ottocento. In questa sede abbiamo deciso di adottare una prospettiva
che
tenesse conto della natura fluida dell’orizzonte
teraria è stata spesso analizzata con un atteggiamento deterministico
che
la vorrebbe unicamente frutto di istanze politich
nnio giacobino, in linea con la costituzione di un Teatro Patriottico
che
divenisse canale di diffusione delle nuove idee r
o e tremuoto. Gli anni napoletani di Francesco Saverio Salfi (1994)9,
che
indaga la sua produzione tragica e librettistica
eroce tirannide». Studi sul teatro di Francesco Saverio Salfi (2016),
che
si è occupato della produzione tragica e per il t
orale e politica nel teatro per musica di Francesco Saverio Salfi 11,
che
sottolinea il valore politico che Salfi affidava
sica di Francesco Saverio Salfi 11, che sottolinea il valore politico
che
Salfi affidava alla produzione librettistica, tra
ettistica, tramite l’adozione di soggetti anticuriali e rivoluzionari
che
sottraessero il genere alla funzione di puro svag
rivoluzionari che sottraessero il genere alla funzione di puro svago
che
aveva finito per assumere. Studi su aspetti speci
is in Francesco Saverio Salfi. Patriota, critico, drammaturgo (1970),
che
ne fornisce un giudizio decisamente negativo16, s
lume di Luciano Bottoni, Il teatro, il pantomimo e la rivoluzione 17,
che
cerca di tracciare, a partire dagli anni del trie
dagli anni del triennio giacobino, le fasi di una storia non scritta
che
legherebbe Salfi e la sua attenzione per una gest
attore e individua il precedente engeliano, sottolineando l’interesse
che
il Della declamazione può assumere nell’ambito di
Norme per un teatro nazionale. I capitoli in questione sono il primo,
che
affronta genericamente lo statuto della declamazi
che affronta genericamente lo statuto della declamazione, e il XXIII,
che
tratta del progetto di costituzione di una Scuola
ndrea Fabiano. L’Introduzione mira in primo luogo a stabilire il peso
che
le riflessioni svolte sul Termometro politico del
no della prassi scenica, di quello sviluppo progressivo del carattere
che
i romantici sostenevano di poter ottenere tramite
azione. Nella Guida alla lettura viene fornito un piano del trattato,
che
individua i nuclei principali affrontati in ogni
obini era quello dell’Istruzione pubblica20, ed è in questo orizzonte
che
si situava il teatro. I rischi derivanti da una r
ome quella dei Gracchi o quella francese, affermando: «Dunque bisogna
che
le rivoluzioni si facciano placidamente e con l’o
di una società drammatica all’interno della sala del collegio Longoni
che
il teatro repubblicano viene esportato in Italia2
ilano si istituirà un concorso per la riforma dell’impianto teatrale,
che
darà luogo a tre bandi, il primo dei quali il 29
re del patriottismo24». Dall’analisi di tali testi emerge l’interesse
che
Salfi nutriva per gli aspetti performativi del te
i il luogo comune plurisecolare dell’assenza di moralità dell’attore,
che
aveva assunto particolare rilievo nei progetti di
ticolare rilievo nei progetti di riforma arcadica del teatro, fattore
che
condiziona l’opinione pubblica sull’evento teatra
ziona l’opinione pubblica sull’evento teatrale, relegato a puro svago
che
induce al vizio e alla perdizione. Per questa rag
[…] da persone ignoranti, presuntuose, ridicole ec. quali sono coloro
che
compongono le ordinarie truppe o greggie comiche3
arie truppe o greggie comiche31». Loda dunque il calore e la passione
che
un gruppo di non professionisti ha saputo trasmet
ecnici agli attori per la rappresentazione delle tragedie alfieriane,
che
alludono in germe a quanto Salfi teorizzerà nel t
i retribuire degnamente gli attori per ovviare all’alone di disprezzo
che
avvolge i mestieranti di questo settore (si veda
ogni dieci giorni uno spettacolo gratuito. In generale, l’intenzione
che
guida le proposte è quella di sottrarre il teatro
per ridonarlo al pubblico, e dunque di ottenere finanziamenti statali
che
concedessero una maggiore autonomia economica: E
a alla componente gestuale della declamazione degli interpreti: Pare
che
gli attori si sieno tutti chi più, chi meno impos
far rispondere a ciascuna parola un movimento di braccia e di gambe,
che
fa degli attori altrettanti energumeni o paraliti
io, lamenta l’assenza di gradualità nel manifestare la passione, tema
che
acquisterà notevole importanza nelle pagine del t
del Termometro politico della Lombardia. In questo senso, la sezione
che
maggiormente risente di tali recensioni coincide
oni sul gesto come sostituto della parola e sulla capacità di impatto
che
uno spettacolo esclusivamente visivo può avere su
re posto l’accento sui silenzi significativi, sottolineando il valore
che
la pausa è chiamata ad assumere, come avviene nel
qualche tempo quasi considerando gli occulti moti del suo cuore 40»,
che
indica il momento in cui Idomeneo è assalito dal
ossia le scene corali in cui ogni individuo in scena assume una posa
che
riflette la sua reazione personale all’evento str
posa che riflette la sua reazione personale all’evento straordinario
che
si sta svolgendo. Si veda a questo proposito la d
svolgendo. Si veda a questo proposito la didascalia: « Intanto molti,
che
erano accorsi a soffermarlo, restan sorpresi in d
Della declamazione: Dal concorso armonico di questa muta attitudine
che
debbono prendere tutti gli astanti si viene via v
astanti si viene via via sviluppando una serie di gruppi e di quadri,
che
in certi momenti straordinari, se siano bene asso
ntomimo consiste in una descrizione interamente didascalica di quello
che
avviene sulla scena, con particolare attenzione a
e spaziale di oggetti e personaggi. Si legga ad esempio la didascalia
che
apre il primo atto: Sala del concistoro; nel fon
pressi, accrescono la bellezza dello spettacolo44». Questo fa pensare
che
non solo da quanto si evince dalle indicazioni di
Scala nel 1797, riceviamo inoltre una testimonianza scritta del fatto
che
l’autore lavorasse a stretto contatto con gli int
ilio parigino, in cui è possibile rintracciare alcuni nuclei tematici
che
troveranno successivamente spazio nel trattato, è
zione felice; ma tutti questi pregi mancano di quella specie di vita,
che
sola animando l’azione, i caratteri, lo stile, i
e non pur di chi legge, ma di chi ascolta46. Ritroviamo poi un passo
che
trova perfetta corrispondenza nel Della declamazi
nel Della declamazione 47, nel quale si fa menzione di certe battute
che
, nella storia del teatro, hanno dimostrato come l
la differenza: Spesso una parola di meno, o di più, o qua piuttosto
che
là collocata, è capace di produrre un effetto pro
eclamarsi a suscitare più impressione nello spettatore, mentre quelli
che
concedono all’interprete una maggior fluidità «[…
cono lo stesso effetto, per non potersi evitare quella troppa armonia
che
spesso svela il troppo artificio del versificator
passione […]49».In tale affermazione sono già in nuce le riflessioni
che
troveranno spazio nel capitolo quarto del trattat
e riflessioni che troveranno spazio nel capitolo quarto del trattato,
che
tratta la questione della pronunciazione metrica,
a di attenzione nei confronti dell’arte della declamazione in Italia,
che
non può vantare in quest’ambito talenti degni di
el trattato (Intro.18), nell’elenco di quei pochi interpreti italiani
che
si segnalassero in un orizzonte complessivamente
nalassero in un orizzonte complessivamente povero. Altro punto chiave
che
emerge dal Discorso, è la proposta di aprire un g
di aprire un giornale internamente dedicato alla censura drammatica,
che
troverà riscontro nel capitolo XXIV del trattato:
e mie idee sul metodo della censura drammatica, e forse all’occasione
che
verrà da voi destinato un giornale per questo ogg
ziosamente biasimati, o tollerati, offrono la miglior guida a coloro,
che
volessero e sapessero profittarne51. Recensioni
sero e sapessero profittarne51. Recensioni scritte degli spettacoli,
che
focalizzassero l’attenzione sull’orizzonte perfor
dri, potevano costituire infatti un importante bagaglio per l’attore,
che
, a differenza di altri artisti, non può attingere
, non può attingere ad una storia scritta della sua arte, dal momento
che
essa è effimera e non dura che il tempo della rap
ia scritta della sua arte, dal momento che essa è effimera e non dura
che
il tempo della rappresentazione. In seguito all’o
ndosi soprattutto della recensione di opere italiane, sia letterarie,
che
tecniche e scientifiche52, e si dedicherà alla co
Nota. Il trattato Della declamazione si situa lungo un arco temporale
che
va dal 1797 fino alla morte del Salfi, avvenuta n
del Salfi, avvenuta nel 1832. Entra dunque in medias res in un’epoca
che
vedeva svolgersi un acceso dibattito attorno al g
va svolgersi un acceso dibattito attorno al genere tragico. Dibattito
che
, come fa notare Bernard Franco53, apertosi sulla
romantici. Viene rimproverato in primo luogo a questi ultimi il vanto
che
essi fanno della propria estraneità da ogni regol
soggiogare dalle loro regole. Il rifiuto aprioristico di restrizioni
che
tanto ostentano è per Salfi un controsenso, allor
i ad essere lettori e conoscitori dei classici. Questo significa «[…]
che
il genio de’ romantici può conciliarsi con quello
i, sebbene si credano gli uni e gli altri più opposti e più discordi,
che
non lo sono realmente55». Salfi contesta poi ai r
a poesia e storia. In quanto al non rispetto delle unità drammatiche,
che
era divenuto il baluardo della nuova scuola roman
zione56». Il soggetto si estende a tal punto nello spazio e nel tempo
che
si potrebbe scegliere di rappresentare «[…] la st
tavia favorevole a una prospettiva di conciliazione tra i due partiti
che
stavano dividendo l’Italia come l’Europa, perché
come l’Europa, perché a suo parere il progresso delle Lettere non può
che
essere ostacolato dalle frontiere interne e perch
nzione tra le due scuole sembrano delle prese di posizione, piuttosto
che
dei veri e propri terreni di scontro. Sul finale
eni di scontro. Sul finale afferma infatti: Noi crediamo finalmente,
che
queste specie di contraddizioni letterarie, che s
crediamo finalmente, che queste specie di contraddizioni letterarie,
che
spesso nutriscono l’ignoranza e la vanità, posson
anità, possono nuocere ai progressi della letteratura italiana, e ciò
che
è peggio ancora, confermare quello spirito di div
he è peggio ancora, confermare quello spirito di divisione municipale
che
può essere utile a tutt’altri fuorché agl’Italian
re utile a tutt’altri fuorché agl’Italiani58. C’è tuttavia un merito
che
egli concede come proprio della scuola romantica,
caratteri meglio di quanto non facciano i classici. Egli ammette così
che
[…] i romantici ad esempio di Shakespeare, si mo
mostrano spesso eccellenti in questo genere di tratti caratteristici
che
si riferiscono al più profondo della natura umana
ratteristici che si riferiscono al più profondo della natura umana; e
che
i classici farebbero anche meglio, se si facesser
se si facessero davantaggio distinguere in questa specie di bellezze,
che
essi hanno troppo di sovente neglette59. Lo svil
si avversavano tanto le unità drammatiche risiedeva proprio nel fatto
che
esse circoscrivevano la vita scenica di un person
questa mancata evoluzione, diveniva sede di uno scontro tra passioni
che
tendevano ad astrarlo dalla contingenza e a non d
deva invece di seguire per un periodo disteso la vita del personaggio
che
, messo a confronto con situazioni più variegate,
re la complessità del proprio io più recondito. Manzoni fu tra coloro
che
, nella teoria come nella prassi, avversarono il r
enjamin Constant avrebbe avviato la costruzione di un sistema tragico
che
conciliasse quello francese con quello tedesco62.
di Voltaire. La scelta di questa passione non è casuale, dal momento
che
essa è generalmente considerata come quella più m
a gelosia dell’amore, allora si troverà dinanzi a un autentico Proteo
che
non ha mai una forma sua propria e che ad ogni is
dinanzi a un autentico Proteo che non ha mai una forma sua propria e
che
ad ogni istante ne assume una diversa. Otello inf
ssione dalla quale procede, come accade nella gelosia, la quale non è
che
un complesso di più affetti cospiranti insieme, c
a, la quale non è che un complesso di più affetti cospiranti insieme,
che
non pur si succedono rapidamente, ma simultaneame
perverse69». Non c’è un passaggio graduale dal sospetto alla certezza
che
conduce al fatale crimine. Il rispetto delle unit
dedicato al Walstein e la Maria Stuarda di Schiller, sulle differenze
che
intercorrono tra il sistema tragico francese e qu
n ne peut renfermer dans aucune règle73. La Staël lamentava il fatto
che
, mostrando al pubblico una natura frutto di conve
morale perché impossibilitato a costruire quell’effetto di illusione
che
permette l’immedesimazione. I personaggi della tr
maestro Paesiello. L’estensore, ossia Ermes Visconti, scrive in nota
che
il suo pensiero è da identificarsi con quello del
t’ultimo, le unità non sono da applicarsi ad alcun genere drammatico,
che
si tratti di un ballo pantomimico o di una traged
una tragedia. Lo spettacolo si fonda su una “illusione imperfetta”75
che
implica una collaborazione dello spettatore a imm
fetta”75 che implica una collaborazione dello spettatore a immaginare
che
quanto non avviene sulla scena si verifichi negli
tti. La pratica della scena inglese, come di quella tedesca, dimostra
che
l’immaginazione è in grado di coprire spazi tempo
a, dimostra che l’immaginazione è in grado di coprire spazi temporali
che
superino l’arco di qualche ora, fino ad arrivare
ito del personaggio di Nerone egli afferma: ROMAGNOSI. […] Supponete
che
un tragico rappresentasse Nerone che diventa tira
ferma: ROMAGNOSI. […] Supponete che un tragico rappresentasse Nerone
che
diventa tiranno, che si abitua a poco a poco a sp
] Supponete che un tragico rappresentasse Nerone che diventa tiranno,
che
si abitua a poco a poco a sprezzare la probità e
tragedia bellissima? Ma se la fate durare ventiquattr’ore, bisognerà
che
lasciate fuori il più essenziale, la pittura dell
che lasciate fuori il più essenziale, la pittura dell’animo di Nerone
che
si pervertisce per gradi, o bisognerà che storpia
ittura dell’animo di Nerone che si pervertisce per gradi, o bisognerà
che
storpiate la pittura, come ha fatto Racine76. La
rappresentata la Marie Stuart di Lebrun. Nella recensione si afferma
che
i critici, per sminuire il valore dell’opera, ave
lle conferita ai personaggi è ottenuta tramite l’inserimento di scene
che
, pur non sancendo progressi nell’azione, inspessi
sieri e ricordi. Nella parte di Don Sanche recitava infatti il Talma,
che
riesce a conferire un “accent sublime” alla battu
logia della protagonista attraverso tratti chiaroscurali, dal momento
che
gli è lecito abbracciarne l’intera esistenza, que
istema drammaturgico tedesco e con l’incredibile successo di pubblico
che
esso scaturiva, spingeva gli autori francesi a tr
no di Salfi, la datazione post quem non ci è pervenuta. Sappiamo però
che
nel periodo parigino l’autore si dedicò, come avv
o e accennando al momento della revisione parigina: «Aggiungerò solo,
che
questo lavoro venne molto applaudito dal Botta e
rtire da una lettera del 1816 rivolta dal Guinguené a Salfi, sappiamo
che
il trattato era già in cantiere: Et vous, mon ch
di ciò […]86. La lettura del testo fatta al Talma ci porta a credere
che
prima del 1826, data di decesso dell’attore franc
versione integrale. L’edizione del 1878 sarà curata da Alfonso Salfi,
che
premise al trattato degli accenni biografici sull
Salfi, che premise al trattato degli accenni biografici sull’autore e
che
corredò il testo di note. Vi è inoltre premessa u
posizione del trattato, è tuttavia possibile formulare alcune ipotesi
che
tendono a situarne il momento di massima scrittur
mpulso al progetto e avrebbe permesso l’elaborazione di alcuni nuclei
che
nell’architettura del trattato assumono un peso m
a punto di riferimento primario per la sua trattazione. Se è pur vero
che
Salfi avrebbe potuto accedere al testo già in pre
one francese, non si può tuttavia trascurare l’incredibile visibilità
che
la versione italiana aveva fatto acquistare al tr
se trovavano terreno fertile nel clima delle scene parigine del tempo
che
abbiamo precedentemente analizzato, in cui si con
tativo simile: quello di imprimere un afflato “romantico” a un teatro
che
voleva restasse ancora legato ai vincoli della cl
eva restasse ancora legato ai vincoli della classicità. Non è un caso
che
gli impulsi all’innovazione vengano concessi prop
ito performativo della messa in scena, l’aspetto del testo drammatico
che
, per eccellenza, crea un canale di comunicazione
bilmente sollecitò Salfi a un’ulteriore formulazione di quelle teorie
che
, proprio nella circostanza del teatro giacobino,
Avendo intuito, sulla scorta delle trattazioni e delle messe in scena
che
venivano d’Oltralpe, il potere della spettacolari
anche Salfi tenta la sua rivoluzione, seppur legata a dei compromessi
che
restano di stampo classicista. Possiamo dunque os
tra quella alfieriana e quella romantica, un percorso simile a quello
che
Melai tratteggia per la tragedia classicista fran
verrebbe parzialmente ridimensionata l’osservazione fatta da Bottoni,
che
lega la trattazione del Salfi all’attenzione pres
gestualità dei personaggi all’interno dei Promessi Sposi, affermando
che
«[…] il patto con le generazioni di lettori roman
teatro come testo drammaturgico e il teatro inteso come performance,
che
classicisti e romantici avevano saputo trovare un
ma va inquadrata nel contesto di una pedagogia del mestiere di attore
che
andava sempre più assumendo carattere istituziona
atale a partire da un’idea di Salvatore Fabbrichesi, attore veneziano
che
, dal 1807 al 1814, sarà capocomico della Compagni
rda, fondata da Gaetano Bazzi e sovvenzionata da Vittorio Emanuele I,
che
calcherà le scene fino al 1855. L’auspicio era qu
senta come funzionale all’organicità dell’esposizione, caratteristica
che
sancisce la distanza tra il testo salfiano e le o
sia»)93. La cifra giocosa della sua scrittura è in realtà uno schermo
che
vela una critica ben mirata nei confronti dei com
e vela una critica ben mirata nei confronti dei comici professionisti
che
avevano degradato le scene, e che conferisce una
confronti dei comici professionisti che avevano degradato le scene, e
che
conferisce una veste accattivante alla sua missio
ttivante alla sua missione pedagogica, rivolta verso quei commedianti
che
si trovavano agli esordi, ancora non corrotti e d
Come affermerà egli stesso, Mio pensiero non è di convertire / quei
che
sono indurati nell’abuso, / né cerco il vanto di
abuso, / né cerco il vanto di farli pentire. / A’ giovani inesperti e
che
buon uso / debbon far de’ talenti di Natura / mi
si. L’opera teorica di Lelio trovava un valido successore in François
che
, nell’Arte del teatro, aveva optato per una strut
o era un’anonima dama coinvolta dallo spirito di generica teatromania
che
dominava la società francese di allora: Signora,
omania che dominava la società francese di allora: Signora, il gusto
che
avete per la commedia è divenuto in voi una passi
ntesto in cui fioriva la pratica del dilettantismo, sembra essere più
che
altro uno schermo per rivolgersi invece ai comici
egge: Le ragioni con cui lei intendeva farmi desistere dal proposito
che
le avevo di recente annunciato di scrivere di mim
to99. C’è una continua insistenza sull’impianto dialogico del testo,
che
sembra prendere forma passo passo a partire dal c
Lettera V: A quanto pare la situazione si è ribaltata e proprio lei
che
non voleva neanche sentir parlare di mimica adess
ra di Poesia drammatica, e enfatizzava il ruolo di Pubblico Educatore
che
il teatro era chiamato a svolgere. Il trattato è
one, è l’estromissione di ogni riferimento alle scene attuali. Tratto
che
lo separa, ad esempio, dal testo di Engel, in cui
a fase della Drammaturgia d’Amburgo 101, le performances degli attori
che
calcavano le scene tedesche di allora, seppur l’u
necessaria alla critica delle interpretazioni degli attori. Il fatto
che
non vi abbia dedicato spazio in questa sede sta n
e sta nuovamente a sottolineare la vocazione didattica di un trattato
che
mirava a creare un paradigma universalmente valid
a. Si pensi alla significativa abolizione di ogni menzione del Talma,
che
certo aveva costituito un paradigma fondamentale
a preferibile a un attore mosso dal fuoco della passione. Dal momento
che
le passioni si manifestano a livello somatico, l’
ra, l’attore può sottrarsi a ogni condanna di immoralità, dal momento
che
non c’è identificazione tra i suoi sentimenti e q
i razionali, fondati sulla corrispondenza perfetta tra corpo e anima,
che
avrebbero conferito un ruolo prioritario allo stu
conferito un ruolo prioritario allo studio e all’esercizio, piuttosto
che
a un’emozione destinata a perire. La chiave di in
fiano faceva riferimento, e di individuazione del destinatario ideale
che
questo implicitamente auspicava, ci viene fornita
Le nostre private considerazioni, e quelle eziando di qualunque altro
che
le corregga o confermi, di pochissimo o niun giov
la storia, all’eloquenza, alla moralità, fino a giungere alla poesia,
che
fungono da propedeutica all’arte della declamazio
pitolo egli auspica inoltre alla creazione di un’Accademia direttrice
che
, mediante critiche scritte o materiale figurativo
ollaborazione di esponenti delle arti imitative (pittura e scultura),
che
lasciassero traccia delle messe in scena e delle
a e delle pose degli attori, seguendo il modello dell’ateniese Cabria
che
, secondo il racconto di Cornelio Nepote, aveva de
dedicati alla critica delle recite, in cui fare menzione degli attori
che
si fossero maggiormente segnalati e dei quadri e
ori che si fossero maggiormente segnalati e dei quadri e delle figure
che
avessero suscitato più effetto sul pubblico. La p
ico. La preoccupazione di Salfi di dare vita a una tradizione scritta
che
testimoniasse l’evoluzione dell’arte dell’attore,
che testimoniasse l’evoluzione dell’arte dell’attore, sarà la stessa
che
animerà l’incipit delle Réflexions sur Lekain et
ione di attori presa in esame e delle loro messe in scena non restano
che
tracce sbiadite, l’affermazione di Talma assume a
allora il valore di un monito ad indagare le poche ma preziose fonti
che
il passato ci ha trasmesso. Guida alla lettura
nde stagione della tragedia classica e espone brevemente l’evoluzione
che
la declamazione ebbe nella Roma antica, dove si p
no viene individuata come periodo buio per lo sviluppo di quest’arte,
che
mostra dei primi cenni di rinascita solo nei seco
lo vede l’ascesa di attori come Lekain, la Clairon, Garrick e Eckoff,
che
riceveranno il plauso delle platee di Francia, In
la Francia, l’arte della declamazione versa in uno stato deplorevole,
che
sarà lamentato anche dallo stesso Alfieri. L’Intr
epoca contemporanea. Capitolo I: Salfi si sofferma sulla risonanza
che
l’attività dell’anima ha sull’esterno dell’indivi
uaggio universale. Salfi traccia le origini del linguaggio di azione,
che
si presentava all’inizio come meccanico, senza al
inizio come meccanico, senza alcuna forma di consapevolezza. È da qui
che
bisogna partire per risalire agli albori delle ar
qui che bisogna partire per risalire agli albori delle arti imitative
che
, differenziandosi nella scelta dei mezzi, gradual
dicato alla pronunciazione vocale. Salfi precisa le differenti nature
che
questa può assumere: — Nazionale, che coincide co
fi precisa le differenti nature che questa può assumere: — Nazionale,
che
coincide con il dialetto eletto come rappresentat
l dialetto eletto come rappresentativo dalla nazione; — Grammaticale,
che
prende in considerazione la posizione dell’accent
della parola e la sua qualità (acuto, grave, circonflesso); — Logica,
che
segue l’andamento dei periodi e della punteggiatu
che segue l’andamento dei periodi e della punteggiatura; — Oratoria,
che
si modifica con lo scopo di orientare l’attenzion
ncentra sulla pronunciazione visibile, ossia sul linguaggio corporeo,
che
può essere sottoposto alle medesime prospettive d
ucono analogicamente uno stato interiore. Sono invece impropri quelli
che
operano in maniera figurata, come fa la metafora
no invece formati in base a qualche nesso con l’oggetto rappresentato
che
si è andato poi perdendo, e riescono dunque di di
. Capitolo IV: Salfi passa in rassegna le posizioni di alcuni autori
che
avevano sostenuto la superiorità della prosa risp
eristiche della pronunciazione metrica e a sottolineare le difficoltà
che
l’attore potrebbe incontrare nel rendere i versi
, ossia interi passi della Commedia dantesca o di tragedie alfieriane
che
permettono di affrontare casi specifici. Capitol
capitolo quinto si concentra sull’espressione patetica, ossia quella
che
si modifica in funzione della passione, coinvolge
si modifica in funzione della passione, coinvolgendo sia la vocalità
che
la gestualità. Rintracciando le origini del lingu
, la prima legata alla mente, la seconda al cuore. È dalle sensazioni
che
si generano le espressioni, tra le quali Salfi di
pressioni, tra le quali Salfi distingue quelle di natura cooperativa,
che
contribuiscono al sollievo dell’anima che vuole u
elle di natura cooperativa, che contribuiscono al sollievo dell’anima
che
vuole unirsi ad un oggetto amato o allontanarsi /
l’esterno. In questo caso assumono valore paradigmatico la tristezza,
che
prevede un ripiegamento su sé stessi, e la gioia,
o la tristezza, che prevede un ripiegamento su sé stessi, e la gioia,
che
invece si apre alla comunicazione con gli altri.
presenta poi i casi di transizioni rapide da una passione all’altra,
che
prevedano il passaggio da un’espressione imitativ
in segmenti autonomi: essa trattiene sempre qualcosa dell’espressione
che
precede e di quella che segue. Per quanto concern
sa trattiene sempre qualcosa dell’espressione che precede e di quella
che
segue. Per quanto concerne la coesistenza di coop
. Salfi fa l’esempio della gelosia, frutto di sentimenti contrastanti
che
si alternano rapidamente e coesistono. Un’altra d
istono. Un’altra distinzione fondamentale è quella tra gli imitativi,
che
mimano uno stato d’animo, e i pittorici, che imit
uella tra gli imitativi, che mimano uno stato d’animo, e i pittorici,
che
imitano qualcuno o qualcosa di esterno al soggett
ica il settimo capitolo alla ripartizione degli affetti, specificando
che
il suo interesse per l’elemento passionale è orie
steriori delle varie passioni. La prima presa in esame è la pigrizia,
che
si caratterizza per uno stato di immobilità del c
pigrizia, che si caratterizza per uno stato di immobilità del corpo e
che
induce le membra a gravitare verso il basso. Segu
a gravitare verso il basso. Seguono poi l’attenzione e l’ammirazione,
che
si esprime in pose di immobilità giustificate dal
anti. Se il sentimento suscitato è l’amore, può avere luogo la pietà,
che
vede il corpo inclinarsi in direzione dell’oggett
rpo inclinarsi in direzione dell’oggetto amato. Segue la venerazione,
che
prevede l’abbassamento della postura, in segno di
ito. Se al contrario l’unione è ostacolata, si verifica la tristezza,
che
ha come caratteristiche membra cadenti, tendenza
rivolgersi contro sé stessi, come avviene nel caso del Conte Ugolino,
che
si morde le mani a seguito dell’orrore commesso.
a seguito dell’orrore commesso. Seguono il pentimento e la vergogna,
che
portano la persona a raccogliersi su sé stessa. I
: Nel capitolo ottavo Salfi sottolinea la necessità di rifarsi, oltre
che
alla teoria sulle passioni, all’osservazione dire
stazione dell’elemento passionale viene ostacolata dalle istituzioni,
che
vanno a creare quasi una seconda natura. Salfi co
e vanno a creare quasi una seconda natura. Salfi contrasta poi l’idea
che
le passioni siano statiche, immutabili in ogni te
tre offerta la possibilità di attingere ai modelli offerti dall’arte,
che
si tratti di arti figurative, opere storiografich
si. Capitolo IX: Salfi, rifacendosi all’estetica di Batteux, afferma
che
oggetto delle belle arti è la bella natura. Nonos
e oggetto delle belle arti è la bella natura. Nonostante tutto quello
che
si trova in natura è da giudicarsi bello, alcune
Salfi polemizzerà allora contro François Riccoboni e William Hogarth,
che
avevano prescritto agli attori di modulare i prop
modulare i propri movimenti secondo le leggi della grazia, piuttosto
che
orientarli in funzione di una resa espressiva del
più alto grado di perfezione. Occorre dunque formarsi un mondo ideale
che
, pur essendo modellato sul reale, trasformi il ve
lla classificazione delle arti in spaziali, ossia le arti figurative,
che
rappresentano i corpi nello spazio, e temporali,
che rappresentano i corpi nello spazio, e temporali, ossia la poesia,
che
rappresenta azioni nel tempo. La declamazione si
spazio e tempo, attingendo al massimo grado di illusione, dal momento
che
fa coincidere i mezzi con i fini. Si sottolinea t
to. Capitolo XI: Nel capitolo undicesimo Salfi si interroga sul peso
che
l’arte e la natura abbiano nella creazione di un
zione di un grande attore. Viene allora posta la questione del genio,
che
infonderebbe nell’attore la capacità proteiforme
lsiasi personaggio. Il genio viene descritto come un fuoco elettrico,
che
si propaga in tutto il corpo. Le doti naturali ha
ne allora richiamato come esemplare il caso dell’attore Michel Baron,
che
conquistò uno stile declamatorio naturale solo do
o dopo anni di studio lontano dalle scene. Salfi consiglia all’attore
che
voglia essere penetrato da questo fuoco travolgen
ssione del fuoco, sia necessario per l’attore l’intervento dell’arte,
che
possa domarlo e indirizzarlo. Capitolo XII: Salf
l’espressione tragica, sottolineando la sublimità del genere tragico,
che
mette in scena azioni e personaggi nobili. Egli r
mpagnato da qualità morali. Si prende gioco tuttavia di quegli attori
che
, infrangendo il muro della finzione, assumevano g
ro della finzione, assumevano gli atteggiamenti dei re e delle regine
che
interpretavano anche fuori dalla scena. Capitolo
Capitolo XIII: Salfi tocca la questione del tono dell’attore tragico,
che
deve essere distinto da quello della conversazion
l rischio dell’inverosimiglianza utilizzando toni elevati e enfatici,
che
, utilizzati nella declamazione degli antichi, tro
co deve allora declamare come se pensasse estemporaneamente le parole
che
sta pronunciando. Il suo tono, come d’altronde la
estualità, deve tuttavia adeguarsi al grado di nobiltà dei personaggi
che
porta sulla scena. Se è giusto allontanarsi dall’
ne del sistema delle parti. Dopo aver polemizzato contro quei sistemi
che
favoriscono l’insinuarsi di una gerarchia in seno
inoltre sottolineato come ciascuna parte abbia un carattere speciale,
che
deve trovare corrispondenza nella fisionomia dell
tti di disorientamento. Viene poi toccata la questione dei confidenti
che
molti, tra cui Alfieri, volevano bandire dalle sc
i che molti, tra cui Alfieri, volevano bandire dalle scene. Piuttosto
che
eliminarli, per Salfi la soluzione risiede nel co
rli, per Salfi la soluzione risiede nel conferire loro quella dignità
che
merita chi viene chiamato a custodire i segreti e
prediligere sono tuttavia quelli dotati di una maggiore complessità,
che
diventano sede di scontro di passioni differenti.
scontro di passioni differenti. Da qui la critica mossa all’Alfieri,
che
spesso ha portato in scena caratteri piuttosto mo
ssivo dei caratteri. La passione è soggetta a continue modificazioni,
che
possono essere di qualità e di quantità. Le prime
attere contrastante. Le seconde invece sono frutto della progressione
che
subisce una singola passione. L’attore, per resti
altro tramite l’espressione. Nell’ambito della vocalità, è importante
che
tali progressioni non si tramutino nella scelta d
sivamente vengono distinte tre epoche del carattere, ossia ordinaria,
che
corrisponde all’incirca al primo atto, media, e s
a, che corrisponde all’incirca al primo atto, media, e straordinaria,
che
coincide con la catastrofe finale. Per Salfi è im
inaria, che coincide con la catastrofe finale. Per Salfi è importante
che
l’attore sappia individuare i momenti di massima
’attore sappia individuare i momenti di massima intensità del dramma,
che
si annidano spesso anche in singole frasi. Condan
lasciato spazio al ruolo delle transizioni da una passione all’altra,
che
devono saper farsi espressione di un terzo sentim
’attore deve allora modificare l’espressione a seconda dell’individuo
che
ha davanti. Chi recita deve inoltre prestare tutt
tenzione all’interlocutore, e deve atteggiarsi a seconda dell’effetto
che
le sue parole gli provocano. Non deve perciò prec
ico, oppure di parlare da seduto. Salfi presenta anche la possibilità
che
il gesto diventi oratorio, nel caso il personaggi
III: Il capitolo tratta la questione dei silenzi in scena, sia quelli
che
si verificano nei momenti di ascolto dell’interlo
in scena, durante il quale il personaggio deve manifestare la ragione
che
lo fa comparire sul palco; — Gli intervalli, dura
dalle parole dell’interlocutore; — Il momento precedente la battuta,
che
deve annunciare il sentimento da cui il personagg
arse. A questo proposito, Salfi si sofferma sulla tecnica dei quadri,
che
mostrano i personaggi in scena inquadrati in una
che mostrano i personaggi in scena inquadrati in una posa individuale
che
corrisponde alla loro reazione all’evento che si
in una posa individuale che corrisponde alla loro reazione all’evento
che
si sta verificando sulla scena. Capitolo XIX: Sa
monologhi risiede soprattutto nei passaggi da una passione all’altra,
che
sono frequenti, dal momento che l’anima si dibatt
i passaggi da una passione all’altra, che sono frequenti, dal momento
che
l’anima si dibatte contro sé stessa e cambia di c
a di continuo di avviso. La passione, non incontrando nulla e nessuno
che
ostacoli il suo manifestarsi, lascia il personagg
sploda nell’ira. Tra gli esempi proposti, il monologo di Lady Macbeth
che
si pulisce le mani insanguinate come per cancella
iano. Salfi individua inoltre la possibilità di tratti monologistici,
che
hanno luogo quando il personaggio è talmente pres
questo proposito, esemplari sono le figure della Clairon e di Lekain,
che
hanno dato avvio alla riforma dei costumi. Salfi
propria degli attori italiani di comparire in scena in abiti lussuosi
che
non rispecchiano in alcun modo il carattere da ra
ntare. Altro punto affrontato nel capitolo, quello della scenografia,
che
deve anch’essa rispecchiare in maniera verosimile
e sarebbe quello di limitare le aperture laterali, ossia i palchetti,
che
tendono a disperdere il suono. Capitolo XXI: Sal
il suono. Capitolo XXI: Salfi si sofferma sullo studio della parte,
che
si dovrebbe svolgere in tre fasi: lettura comune,
prova generale. Nella prima fase avviene l’assegnazione delle parti,
che
dunque non vengono fissate aprioristicamente in f
i primi attori e prime attrici. Nello studio particolare è importante
che
l’attore impari a memoria non solo le proprie bat
cui voce in sottofondo crea un effetto di raddoppiamento della parte
che
rompe ogni illusione. Le difficoltà degli attori
ne sistematica, si pronuncia a favore dell’utilizzo di tratti grafici
che
segnalino i passaggi più difficoltosi per l’attor
izzo viene approvato da Salfi solo per la prova di pose straordinarie
che
si inseriscono all’interno dei quadri. Per finire
i e i decori di scena. Capitolo XXII: Il capitolo tratta dei segnali
che
lasciano intuire un perfezionamento dell’arte del
e tuttavia essersi commosso egli stesso durante le prove. La reazione
che
si deve ricercare nel pubblico non è quella degli
tecniche di versificazione. Le cognizioni proprie invece sono quelle
che
concernono la pratica dell’arte dell’attore e coi
ltimo capitolo, Salfi propone la creazione di un’Accademia direttrice
che
possa monitorare i miglioramenti fatti nell’ambit
uzione potrebbe essere rappresentata dalla creazione di illustrazioni
che
riproducano le scene e i gesti più significativi
u comédien. Principes géneraux di Aristippe Félix Bernier de Maligny,
che
risale al 1819. Il Ms. XX. 43 (II) contiene un Pr
a cui quelle relative alle Lettere stelliniane (1811) di Luigi Mabil,
che
occupano le carte 143-150. Lo Sbozzo rende esplic
fare ciascuna però si limita all’uso di quei mezzi acconci e propri,
che
intendono ad uno scopo particolare. Per lo che un
ezzi acconci e propri, che intendono ad uno scopo particolare. Per lo
che
un medesimo oggetto viene ora imitato da una col
oti e con gli atteggiamenti. La facilità, l’occasione e l’attitudine,
che
l’uomo ha dovuto esperimentare nelle diverse e su
ssive circostanze, per le quali è passato, per non usare anzi gli uni
che
gli altri, debbon determinare l’origine, l’anzian
d il progresso d’un’ arte rispetto alle altre. Or se di tutti i mezzi
che
le arti maneggiano, i più pronti, i più facili ed
o, i più pronti, i più facili ed i più propri e spontanei sono quelli
che
impiega la declamazione, la quale del linguaggio,
uaggio, della voce e del gesto propriamente si vale, noi dobbiam dire
che
la declamazione fosse stata la prima a nascere ed
re. La stessa natura lo aveva a questo fine consacrato siffattamente,
che
anche, senza altra utilità, egli avrebbe ancora p
uanto ascolta e di quanto vede; egli non può ristarsi dal rifare quel
che
altri fa. Noi ne abbiamo una pruova continua nell
i ne abbiamo una pruova continua nella storia naturale de’ fanciulli,
che
quella esprime più o meno del selvaggio o de’ pri
ullo punto diverso. Quindi è l’efficacia dell’esempio. Ed Aristotele,
che
più di tutti avea de’ suoi tempi compreso la forz
e, o di esprimere con la voce, con la figura e col gesto tutto quello
che
, col mezzo de’ sensi, nella sua immaginativa prim
esprimere con una forza particolare quegli obbietti e quei fenomeni,
che
una particolare impressione e sensazione facevano
ario si pose ad imitarli tutti ad un tempo. In questo senso può dirsi
che
la danza, la pantomima, il canto nacquero quasicc
e non erano se non indistinte, confuse, identificate, e la sola prima
che
si distinse e spiegò fu l’arte speciale della dec
prima che si distinse e spiegò fu l’arte speciale della declamazione,
che
, tutte comprendendole da principîo, si venne, lim
nalate, quelle azioni più importanti, quegli avvenimenti più celebri,
che
più meritassero di essere per comune istruzione o
ro di essere per comune istruzione o diletto rammemorati. Pare dunque
che
i fasti degli Dei e degli Eroi, e le virtù ed i v
egli Dei e degli Eroi, e le virtù ed i vizi più insigni degli uomini,
che
si volevano volgarmente commendare o vituperare,
pur si conservano alcuni tratti nelle moderne liturgie. Il sacerdote
che
rendeva gli oracoli del suo nume, contraffacendon
mandato la descrizione e la origine di tali feste, le quali non erano
che
la solenne rappresentazione di simili avvenimenti
zione di simili avvenimenti religiosi o civili. La danza o pantomima,
che
eseguivano gli abitanti di Delo, detta Gru, e che
danza o pantomima, che eseguivano gli abitanti di Delo, detta Gru, e
che
i villani anco ripetevano a’ tempi di Luciano, es
tto rappresentazioni più o meno esatte di quegli avvenimenti solenni,
che
massimamente interessano quelle genti, che ne con
uegli avvenimenti solenni, che massimamente interessano quelle genti,
che
ne conservano la ricordanza. La storia antica e m
ne di più in più complicata e dialogistica, e migliorata a tal segno,
che
formò la delizia ed il pregio delle genti più inc
tta la sua pompa e la sua maestà. [Intro.8] Gli effetti maravigliosi
che
quest’arte produsse nei più bei tempi della Greci
più bei tempi della Grecia e di Roma, e il gusto e l’interessamento,
che
i greci ed i romani costantemente mostrarono per
ani costantemente mostrarono per gli spettacoli teatrali, debbono più
che
altronde farci arguire, quanta fosse quest’arte,
d esercitarla. Nella Grecia furono per l’ordinario gli stessi autori,
che
declamavano al pubblico i propri drammi: li decla
ente da prendere a gabbo in materia di finezza di gusto per tutto ciò
che
alla bella imitazione si apparteneva. La verità e
a bella imitazione si apparteneva. La verità e la bellezza originale,
che
i monumenti superstiti delle arti loro tuttavia c
he i monumenti superstiti delle arti loro tuttavia ci conservano, più
che
altro ci debbon render certi di quanto pregio ess
quanto pregio esser dovesse la teatrale imitazione presso un popolo,
che
in altri generi l’aveva a tal segno perfezionata.
oratori più insigni, sì come l’apprese Demostene dal vecchio Triasio,
che
lo dispose e lo confortò a diventare un prodigio
tamente nell’animo di molte femmine da farle andar sconcie e germe di
che
eran gravi. Merope facea palpitare gli spettatori
eci prigionieri in Siracusa talmente commosse declamando i vincitori,
che
ne ottennero la libertà se gli Abderiti nel loro
’Andromeda di Euripide, era in gran parte dovuta a l’arte di Archelao
che
l’avea declamata prima con foga straordinaria. [
la quale si era innalzata quest’arte presso i romani. Il solo Roscio,
che
meritò l’ammirazione di tutta Roma e l’amicizia d
lo stesso silenzio, sicché potevano servire d’interpreti a’ barbari,
che
non intendevano la loro lingua. E perciò non dee
e emolumenti straordinari, e ad essere stimati nel pubblico assai più
che
i senatori, e talvolta divisero Roma in più parti
lico assai più che i senatori, e talvolta divisero Roma in più parti,
che
sostenevano il merito d’Ila o di Pilade suo maest
sa si perde ogni comunicazione fra il tempo ch’era preceduto e quello
che
sieguì. E perciò riesce ancora difficilissimo, an
, il conoscere quali fossero certe maniere e pratiche di queste arti,
che
dagli antichi si esercitavano, siccome riguardo a
dramma. Non potendo tali cose scriversi e tramandarsi alla posterità
che
col mezzo della tradizione, e questa, trovandosi
e di modelli comunicarsi ed apprendersi. Ed i pochi tratti allusivi,
che
di qualche scrittore di quei tempi ci rimangono,
di qualche scrittore di quei tempi ci rimangono, non servono ad altro
che
al perditempo de gli eruditi, i quali senza pruov
’ignoranza, di barbarie e di distruzione non rimase altro dell’antico
che
qualche vestigio delle farse atellane e l’uso di
he qualche vestigio delle farse atellane e l’uso di qualche maschera,
che
la plebe pur sempre ritenne, che diede l’origine
tellane e l’uso di qualche maschera, che la plebe pur sempre ritenne,
che
diede l’origine all’arlecchino e ad altrettali ca
arse, e queste diedero luogo ad un genere di maschere e d’improvviso,
che
i soli italiani conobbero e praticarono, a differ
iani conobbero e praticarono, a differenza di tutte le altre nazioni,
che
assai tardi cominciarono ad imitarli. E sino ai n
molti commedianti si distinsero in questa pratica, la quale nell’atto
che
richiedeva talento e distrezza non ordinaria, non
distrezza non ordinaria, non poteva pur mai toccare quella perfezione
che
presuppone la perfezione del dramma, e lo studio
one del dramma, e lo studio e l’apparecchio conveniente degli attori,
che
debbono rappresentarlo. [Intro.11] Siccome dunqu
vo né attori né spettatori per apprezzarla. Il XV secolo non ci offre
che
sacre rappresentazioni della passione di Cristo,
e chiese, convertite in teatri ed uomini e demoni ed angeli e bestie,
che
dialogizzavano fra loro con quella edificazione,
angeli e bestie, che dialogizzavano fra loro con quella edificazione,
che
tali spettacoli dovevano partorire. Or quale dove
efalco commediante avea recitato l’Orbecche di Giraldi Cintio, avanti
che
fosse pubblicata con le stampe nel 1541. Ma quest
lche regolarità teatrale al commediante Flaminio Scala, detto Flavio,
che
, trovandosi a capo di una compagnia comica, fece
ne introdotte le donne, le quali aveano preso il luogo di giovanetti,
che
prima ne sostenevano, o piuttosto ne usurpavano l
piuttosto ne usurpavano le parti, con uno scandalo maggiore di quello
che
si voleva evitare. E, malgrado l’ordinario improv
lio, uomo di rara probità, e perciò nemico di quel genere di licenza,
che
dominava i teatri di quei tempi. Per opera di que
o, la buona tragedia italiana, e l’Aristodemo del Dottori fu la prima
che
fosse rappresentata. Si rappresentarono pure le m
agedia ci farebbe conjetturare quanta dovesse esser l’arte di quelli,
che
la declamavano per ottenere l’approvazione e l’in
sto, anzi degenerato e guasto da un gusto del tutto falso e ridicolo,
che
lo aveva fino allora predominato. Lo stesso Ricco
che lo aveva fino allora predominato. Lo stesso Riccoboni ci assicura
che
in dieci anni di lavoro la buona tragedia parve s
é chiamare dal re di Francia a Parigi, dove co’ migliori commedianti,
che
seco menò, fé gustare ed applaudire la bella decl
e seco menò, fé gustare ed applaudire la bella declamazione italiana,
che
d’allora si venne ognor più degradando fra noi, a
taliana, che d’allora si venne ognor più degradando fra noi, a misura
che
si venne nella Francia avanzando. [Intro.13] Non
i sull’arte del commediante; ma la sua opera giovò più agli stranieri
che
ai suoi nazionali, i quali o neglessero o disprez
nieri che ai suoi nazionali, i quali o neglessero o disprezzarono ciò
che
gli altri ne appresero e ne emularono. E noi vegg
ll’Italia mostrarsi retrograda o stazionaria. Tutte le altre nazioni,
che
l’hanno conosciuta assai più tardi di noi, si son
. Il genio di P. Corneille e di Moliere quello svilupparono di Baron,
che
col cominciare del secolo XVIII imprese a riforma
, triviale, plebea. D’allora può dirsi fondata in Francia una scuola,
che
, malgrado le sue vicende, a forza di tradizioni e
va di Racine, e qualche volta sua consigliera, la Couvreur e le Kain,
che
pur tanto concorsero a fare ammirare le tragedie
i Voltaire, e così pure la Clairon, la Dumenils, e tutti quegli altri
che
si mostrano tuttavia capaci e solleciti di emular
Seguendo la storia dell’arte drammatica in Francia, noi possiam dire
che
gli attori hanno fatto a gara con gli autori per
ubblico, sono qui apprezzati e distinti come tutti gli altri artisti,
che
per la loro eccellenza hanno meritato la comune a
cellenza hanno meritato la comune ammirazione. Io non parlo di quelli
che
a’ nostri dì si distinguono; e, senza qui esamina
qui esaminare se abbiano raggiunta o alterata la perfezione di quelli
che
gli hanno preceduti, mi contento soltanto di dire
zione di quelli che gli hanno preceduti, mi contento soltanto di dire
che
con la propria esperienza ho più volte provato gl
rienza ho più volte provato gli effetti reali dell’arte loro, e quali
che
siano i difetti delle persone, o della scuola, o
del tempo, tutti più o meno annunziano lo studio teoretico e pratico,
che
i migliori ne hanno fatto, e quello che dovrebber
o studio teoretico e pratico, che i migliori ne hanno fatto, e quello
che
dovrebbero e potrebbero fare tutti quegli altri,
fatto, e quello che dovrebbero e potrebbero fare tutti quegli altri,
che
volessero nobilmente emularli. [Intro.14] Ed han
tire la forza e il terrore delle tragedie di Shakespeare; e gli onori
che
l’Inghilterra gli rendette alla sua morte, mostra
ostran quanto quella nazione avesse in pregio e l’arte e gli artisti,
che
, come Garrik, seppero esercitarla. [Intro.15] Ce
elds, Quins, Davesport, Marshall, Bowtel, Betteron, Ley ecc.; di modo
che
possiam dire che la declamazione inglese, malgrad
sport, Marshall, Bowtel, Betteron, Ley ecc.; di modo che possiam dire
che
la declamazione inglese, malgrado le vicende dei
ado le vicende dei tempi e dell’arte, non ha avuto in certe epoche di
che
invidiar la francese. [Intro.16] Lo stesso gusto
nché più tardi, si è pure introdotto nell’Alemagna. Le buone tragedie
che
vi sono state prodotte, e specialmente la energia
.17] L’Alemagna, l’Inghilterra e la Francia sono oggi le tre nazioni,
che
si disputano in questo aringo il primato e la pal
ghi alla propria indole, ed ha per conseguenza la sua propria scuola,
che
gli stessi poeti hanno in certo modo fondata e de
libero e qualche volta licenzioso nell’Inghilterra, la declamazione,
che
gli tien dietro, spazia anch’essa liberamente pei
re chi di loro meriti in questa parte la preferenza. Io noto soltanto
che
ciascuna vanta la sua scuola particolare, e si st
ia di esaltarne e promuoverne la pratica, i principî e gli effetti, e
che
questa gara nazionale suppone ad un tempo ed accr
tro e nella scuola degli italiani l’avesse appresa e provato Moliere,
che
fu il maestro di Baron, e quindi il fondatore del
, ella è rimasta al disotto del livello delle altre. Non è per questo
che
su’ teatri d’Italia non sieno comparsi a quando a
sieno comparsi a quando a quando degli attori capaci di provare quel
che
può la natura, priva dell’arte che la sviluppi e
egli attori capaci di provare quel che può la natura, priva dell’arte
che
la sviluppi e la governi. I nomi di Patella, di Z
doni trascurassero della natura. [Intro.19] È già pur qualche tempo
che
tali idee si sono svegliate in più parti d’Italia
mente all’animo degli attori e degli spettatori quella forza tragica,
che
sola può farci sentire e conoscere il pregio dell
de’ principî, da cui tutti dipendono, e per quella forza di armonia,
che
tutti i rami esprime e comprende. Per tali impuls
omprende. Per tali impulsi non solo degli attori, ma ancora di quelli
che
si dilettano di quest’arte per solo gusto d’eserc
bile, di promuoverla e di migliorarla, secondo i principî ed il fine,
che
l’arte si dee proporre. E questi sforzi e tentati
ed il fine, che l’arte si dee proporre. E questi sforzi e tentativi,
che
si sono fatti e ripetuti negli ultimi tempi, hann
fatti e ripetuti negli ultimi tempi, hanno sempre più mostrato quello
che
potrebbe diventar l’arte in mano degli italiani,
quello che potrebbe diventar l’arte in mano degli italiani, e quello
che
tutta volta le manca, per porsi al livello delle
ati, e si formi in questo modo e si sviluppi quel gusto e quel tatto,
che
il bello dell’arte sicuramente distingua, e ne gi
sempre più sviluppandoli ed applicandoli, progredire per quella linea
che
mena alla perfezione. E tutte le nazioni che si s
gredire per quella linea che mena alla perfezione. E tutte le nazioni
che
si sono avvicinate più o meno a questo termine, n
ome la scrittura, la pittura, la musica; e i più grandi filosofi, non
che
gli artisti più celebri, teoreticamente ne ragion
se ampiamente non ne trattarono, ne parlarono sempre come di un’arte
che
meritava di essere insegnata ed appresa secondo i
zi per apprendere e perfezionare quest’arte. Esistono ancora i titoli
che
si davano a’ maestri che specialmente la professa
zionare quest’arte. Esistono ancora i titoli che si davano a’ maestri
che
specialmente la professavano. Secondo Aristotele,
io dell’arte sua. Roscio presso i latini, dagli esperimenti familiari
che
ne faceva con Cicerone si era indotto a trattarne
iliano della sola pronunciazione oratoria intesero ragionare; di modo
che
per quanto al loro subbietto particolare importav
le favole sceniche, ma il discorso non corrispose al titolo. Il primo
che
abbia trattata veramente questa materia si è Luig
imo che abbia trattata veramente questa materia si è Luigi Riccoboni,
che
alla pratica cercò pure di unir la teorica, e scr
ti in Londra sul 1728, e l’Arte del teatro. [Intro.23] Dopo lui, più
che
gli italiani, le altre nazioni seriamente se ne o
, e sopratutto la teoria del gesto di Engel. In generale si può dire,
che
oramai non vi ha scrittore insigne di belle arti
ale si può dire, che oramai non vi ha scrittore insigne di belle arti
che
della declamazione più o meno non ragioni. Di fat
to, e l’altro non con la debita estensione; di modoché potrebbe dirsi
che
dopo il Riccoboni, che da tutti gli stranieri fu
a debita estensione; di modoché potrebbe dirsi che dopo il Riccoboni,
che
da tutti gli stranieri fu commendato e seguito, n
e ne ha scritto. La lettura e il confronto di tutti quelli scrittori,
che
ne hanno più o meno trattato finora, e le osserva
iù o meno trattato finora, e le osservazioni e la pratica de’ teatri,
che
ho potuto esaminare e raccogliere, mi hanno anima
e della declamazione tragica propriamente intendo ragionare, e spero
che
i miei compatrioti accolgano di buon grado le mie
o che i miei compatrioti accolgano di buon grado le mie intenzioni, e
che
altri, migliorandone l’esecuzione, possano influi
zione, possano influire più efficacemente alla perfezione di un’arte,
che
, rinata fra noi, è pur rimasta stazionaria, a fro
ata fra noi, è pur rimasta stazionaria, a fronte delle altre nazioni,
che
l’hanno imparata da noi, e più di noi migliorata.
oi raccogliamo ed argomentiamo ordinariamente quella forza e facoltà,
che
la natura interna ed invisibile, propria di qualu
. Or questi effetti presi come indizi della forza, o cagione interna,
che
li produce, costituiscono nel senso più ampio la
ganizzate, dal più semplice vegetabile sino all’animale più perfetto,
che
noi conosciamo, od all’uomo. Sia la forza superio
e dell’una e dell’altra, esso genera ed esprime al di fuori assai più
che
gli altri non fanno. E tali effetti, che noi osse
sprime al di fuori assai più che gli altri non fanno. E tali effetti,
che
noi osserviamo nelle sue esterne modificazioni, c
. E tali effetti, che noi osserviamo nelle sue esterne modificazioni,
che
sono pur segni visibili della occulta forza che l
sterne modificazioni, che sono pur segni visibili della occulta forza
che
l’anima, costituiscono la sua espressione partico
ulta forza che l’anima, costituiscono la sua espressione particolare,
che
a differenza della universale o naturale, morale
In questo senso parlano e si esprimono tutte le cose non pure animate
che
inanimate, in quanto i diversi accidenti che al l
le cose non pure animate che inanimate, in quanto i diversi accidenti
che
al loro stato esteriore successivamente si spiega
no, ne annunziano ad un tempo lo stato interno, o l’interno principîo
che
li produce. Il perché non è tutto metaforico quel
terno principîo che li produce. Il perché non è tutto metaforico quel
che
i poeti fan dire alle piante ed ai bruti. [1.4]
necessaria e meccanica, siccome è necessaria e meccanica la relaziona
che
lega gli effetti con le cagioni. L’uomo, secondo
effetti con le cagioni. L’uomo, secondo gli obbietti e le circostanze
che
operavano sopra di lui, vivendo e sentendo al di
fare a meno di manifestare al di fuori quella interna modificazione,
che
pur si comunicava e si propagava sino a tutti gli
che pur si comunicava e si propagava sino a tutti gli organi esterni,
che
più o meno ne dipendevano. E questa esterna modif
evano. E questa esterna modificazione generale, simultanea e confusa,
che
in tutte le parti del corpo si dispiegava, fu da
tte le parti del corpo si dispiegava, fu da principîo la prima lingua
che
parlassero gli uomini, secondoché erano dalla nat
tati, e fu perciò detta naturale da Platone, ed istintiva da altri, e
che
primitiva ed elementare potrebbe dirsi; ed essa f
dirsi; ed essa fu a un tempo e vocale e pittorica e mimica, in quanto
che
la persona esclamava e si colorava e si muoveva a
lla natura significante. Nel senso più generale, l’arte altro non fa,
che
raccogliere ed imitare l’espressioni più vive e p
arse o inesatte, moltiplicarne e migliorarne delle altre artificiali,
che
rendono quasi la natura più bella e più perfetta,
tura; e ciascuna arte si distingue per l’indole de’ mezzi particolari
che
adopera. In modo che in ogni imitazione bisogna p
si distingue per l’indole de’ mezzi particolari che adopera. In modo
che
in ogni imitazione bisogna primamente distinguere
mitativa consiste. Questo è tante volte simile, e dello stesso genere
che
l’imitato, come interviene allorché l’uomo imita
iù o meno il suo simile, parlando e operando alla maniera del modello
che
si propone. Le prime arti imitative furono quelle
ra del modello che si propone. Le prime arti imitative furono quelle,
che
adoprano tali oggetti imitanti, che mezzi e strom
ime arti imitative furono quelle, che adoprano tali oggetti imitanti,
che
mezzi e stromenti dell’arte rispettiva soglion di
to discorde dall’oggetto imitato. Tali sono la scultura e la pittura,
che
adoprano l’una il marmo e l’altra i colori per im
l marmo e l’altra i colori per imitare alcuni oggetti ed espressioni,
che
ai colori ed al marmo propriamente non si apparte
itando il suo simile, atteso la varietà di mezzi più o meno distinti,
che
contemporaneamente poneva in opera siffatta imita
or dell’una or dell’altra specie di tali mezzi, escludendo gli altri,
che
d’ordinario naturalmente solevano cooperare ad un
tire, e col solo canto o col solo gesto gli facciamo esprimere quello
che
egli esprime gestendo e parlando insieme. E così
quello che egli esprime gestendo e parlando insieme. E così a ragione
che
si moltiplicavano le osservazioni, gli effetti, g
una osò mostrarsi accompagnata dalle altre germane, e tentar sola ciò
che
, senza la cooperazione delle altre, non osava pri
mina dal carattere dell’oggetto imitante, o dei mezzi e de’ strumenti
che
ciascuna arte adopera, per imitare la espressione
ti che ciascuna arte adopera, per imitare la espressione della natura
che
si prefìgge. [1.10] Malgrado tutte queste divisi
divisioni e suddivisioni, in cui l’arte medesima si vide smembrata, e
che
pur servirono a perfezionare ciascuna sua parte,
drammatica o comica si comprende. Il commediante o l’attore è quello
che
imita il suo simile con tutti gli estesi mezzi, c
aduto. La sua imitazione è una pretta ripetizione della cosa medesima
che
s’imita. [1.11] Tale imitazione drammatica si di
ncipalmente la comica e la tragica, non escludendo i gradi intermedi,
che
l’uno e l’altro termine, o per eccesso o per dife
ca vien detta comunemente declamazione per quella forza non ordinaria
che
l’attore tragico debbe adoperare parlando. Declam
ici, recitando al pubblico le cose loro; ma l’impressione particolare
che
fecero pur declamando gli attori tragici, riuscen
entare adeguatamente la parte degli attori tragici. E qui si osservi,
che
se declama l’oratore e il poeta, sia che legga o
i tragici. E qui si osservi, che se declama l’oratore e il poeta, sia
che
legga o che reciti le cose, delle quali sia pure
qui si osservi, che se declama l’oratore e il poeta, sia che legga o
che
reciti le cose, delle quali sia pure egli od altr
fattamente, come se sentisse o parlasse estemporaneamente nel momento
che
la pronunzia e l’esprime, e come se fosse egli st
articolati, o le parole ch’ella pro nunzia, e tutti i segni sensibili
che
la fisonomia, il portamento ed il gesto secondo i
quale il declamatore deve esercitare l’arte sua, dandole quella forma
che
più le conviene per renderla quale debbe essere.
quali giacciono non hanno ancora ricevuto quella vita e quell’azione
che
attendono dalla declamazione. E per conseguenza q
ono dalla declamazione. E per conseguenza quest’azione e questa vita,
che
la declamazione dee loro comunicare, è il vero su
ta vita, che la declamazione dee loro comunicare, è il vero subbietto
che
noi prendiamo a considerare. Bisogna dunque disti
ortamento ed il gesto, ossia tutta l’azione conveniente della persona
che
parla e declama. Capitolo II. Della pronunc
te cose di comune con questa, e non può prescindere da certi principî
che
questa principalmente riguardano. Per lo che, vol
indere da certi principî che questa principalmente riguardano. Per lo
che
, volendo ben trattare della declamazione in parti
rattare della declamazione in particolare, non possiamo negligere ciò
che
alla pronunciazione in generale appartiene. Noi d
onunciazione in generale appartiene. Noi diremo adunque di questa ciò
che
reputeremo al nostro intento più necessario. [2.
[2.2] Di tutte le maniere o parti della espressione generale quella
che
domina fra le altre, si è la lingua parlata, come
e quella che domina fra le altre, si è la lingua parlata, come quella
che
, per facilità, per prontezza e per varietà, si pr
quella che, per facilità, per prontezza e per varietà, si presta, più
che
le altre, ad esprimere quanto il bisogno, l’utili
la voce più o meno cospirano ad esprimere la stessa cosa. Quest’arte
che
alla nuda parola o a’ meri segni vocali delle ide
egando il tuono della voce, la figura del viso, ed il moto del corpo,
che
più si convengono alle parole nelle quali si eser
rti, cioè vocale ed acustica, in quanto riguarda le parole ed i segni
che
l’organo della voce pronuncia, e che l’udito racc
to riguarda le parole ed i segni che l’organo della voce pronuncia, e
che
l’udito raccoglie; e mobile e ottica in quanto ri
e; e mobile e ottica in quanto riguarda la figura e i moti del corpo,
che
gesti in generale si appellano. [2.4] Scorrendo
po, che gesti in generale si appellano. [2.4] Scorrendo gli elementi
che
alla pronunciazione vocale appartengono, essi tut
a pronunciazione vocale appartengono, essi tutti si riducono al suono
che
accento o quasi canto volgarmente può dirsi. Ques
ò soffrire diversi accidenti: ed il primo consiste nel suono migliore
che
la nazione dà alla propria lingua che parla, e ch
imo consiste nel suono migliore che la nazione dà alla propria lingua
che
parla, e che accento nazionale può dirsi. [2.5] O
nel suono migliore che la nazione dà alla propria lingua che parla, e
che
accento nazionale può dirsi. [2.5] Ogni dialetto,
me oggi degl’italiani è il toscano. Ora tutti gli ordini e le persone
che
intendono parlare nel modo che posson migliore, d
ano. Ora tutti gli ordini e le persone che intendono parlare nel modo
che
posson migliore, debbono approssimarsi a quell’ac
della voce si compongono e diversificano le parole. Ogni parola non è
che
un tratto di voce più o meno lungo e variamente m
ungo e variamente modificato. Quindi nascono gli accidenti ed i modi,
che
ne determinano la quantità e la qualità, e quindi
alità, e quindi si distinguono le vocali, le consonanti e le sillabe,
che
le parole costituiscono. Una o più sillabe posson
a una vocale, può essere variamente temperata da una o più consonanti
che
la precedono e la seguano. Ogni vocale ha il suo
il suo suono proprio ch’è la prima modificazione o forma elementare,
che
la voce assume in parlando, ed ogni consonante mo
obbligando chi la pronunzia ad articolarla secondo quel temperamento,
che
le hanno comunicato le consonanti. Or nessuno di
e più mute, più oscure, più rapide e come destinate a servir quella,
che
sopra di esse si appoggia e signoreggia. Or quest
e signoreggia. Or questa forza o spinta, per cui la voce più in una,
che
in altra sillaba si raccoglie e si posa e si elev
, fu detta propriamente accento della parola, ed accentata la sillaba
che
n’era animata. [2.8] Non è perciò che le altre s
arola, ed accentata la sillaba che n’era animata. [2.8] Non è perciò
che
le altre sillabe non abbiano anche esse qualche a
llabe non abbiano anche esse qualche accidente particolare e proprio,
che
oltre la differenza della vocale, ne modifichi e
. Ma siffatti accidenti sono per l’ordinario così tenui e sfuggevoli,
che
richiedono un organo vocale ed acustico molto ese
pronunciarli. E quantunque ogni sillaba abbia il suo accento proprio,
che
pur concorre a formare l’indole e la bellezza del
a formare l’indole e la bellezza delle parole e della lingua, il solo
che
usurpa per eccellenza un tal nome è quello che dà
della lingua, il solo che usurpa per eccellenza un tal nome è quello
che
dà alle parole la esistenza e la vita. Senza di e
i tratti o parole non si potrebbero altrimenti distinguere e divisare
che
per via d’intervalli e riposi, a ciascuna di esse
tato, nojevole. Questo accento è dunque come la scintilla animatrice,
che
trae le parole dal caos, e le avviva, le ordina e
cazione di questo acccento si raccoglie eziandio una specie di tempo,
che
l’arte di ben pronunziare dee pur calcolare e dis
nto più sono dall’accento lontane, o dall’accento piuttosto precedute
che
susseguite. Quindi una parola riesce, a proporzio
sillabe disaccentate e continue, e più ancora se queste anzi seguano
che
precedan l’accentata. Così amo è più rapida di am
allogate e distinte rendono la pronunciazione sì varia ed armoniosa,
che
non v’ha udito, per rozzo che sia, il quale non l
a pronunciazione sì varia ed armoniosa, che non v’ha udito, per rozzo
che
sia, il quale non l’avvertisca e ne goda in ogni
chiamato volgarmente questo accento acuto per distinguerlo da quello
che
alle altre sillabe sussidiarie pur si concede, e
guerlo da quello che alle altre sillabe sussidiarie pur si concede, e
che
grave per distinzione han chiamato. Ed alcuni alt
la loro natura assoluta e primitiva, sia per la differenza della sede
che
tiene l’accento nelle parole. [2.11] Alcune dell
moderne, come la francese, hanno pure ammesso l’accento circonflesso,
che
pare un accento dell’ordinario più sostenuto e pr
i, o non l’usano affatto o di rado, e poco sensibilmente; sembra però
che
l’adoprino, anzi ne abusino alcune province d’Ita
nti i latini; e Quintiliano e Cicerone, fra gli altri, ci assicurano,
che
con le sillabe lunghe e brevi si temperavano. Ma
e vicende, questa pretesa analogia dee rimanere così sparuta e tenue,
che
niuna sensibile relazione di somiglianza può farc
omiglianza può farci ragionevolmente arguire. Per la qual cosa quello
che
possiam dire di certo su tal proposito, si è che
la qual cosa quello che possiam dire di certo su tal proposito, si è
che
la quantità lunga viene costituita nel volgar nos
antità lunga viene costituita nel volgar nostro dall’accento acuto, e
che
ogni parola italiana non ne avendo che un solo, n
r nostro dall’accento acuto, e che ogni parola italiana non ne avendo
che
un solo, non può né pure avere che una sola silla
ogni parola italiana non ne avendo che un solo, non può né pure avere
che
una sola sillaba lunga; e che per quanto dall’aut
endo che un solo, non può né pure avere che una sola sillaba lunga; e
che
per quanto dall’autorità degli antichi raccogliam
quantità ed accenti distintissimi ed indipendenti l’uno dall’altro, e
che
l’accento si combinava e con la lunga e con le br
n le brevi egualmente, rimanendo la quantità pure sempre la stessa, e
che
più sillabe o tutte lunghe o tutti brevi potevano
camente dipendere. E siccome tali dati ci mancano affatto, o da’ lumi
che
possiamo raccogliere, tali risultano, che nulla o
mancano affatto, o da’ lumi che possiamo raccogliere, tali risultano,
che
nulla o ben poco possiamo immaginare e sostituire
nunciazione e l’armonia della nostra lingua propria, e lasciar quelle
che
potrebbero anzi tornare a pregiudizio di essa. [
quelle che potrebbero anzi tornare a pregiudizio di essa. [2.14] Ciò
che
della pronunciazione abbiamo discorso finora quel
Ciò che della pronunciazione abbiamo discorso finora quella riguarda
che
grammaticale suole appellarsi, e che propriamente
discorso finora quella riguarda che grammaticale suole appellarsi, e
che
propriamente consiste nell’assegnare i suoni prop
le loro parti o frasi, ecc. Di tali periodi vien formato il discorso,
che
pure in parti più o meno lunghe si suole dividere
onde risultano capitoli, articoli, paragrafi ed altrettali divisioni,
che
tutte di più o meno periodi successivamente compo
una proposizione più o meno complessa o composta di altre subalterne,
che
dalla principale dipendono. Ora queste, che sono
osta di altre subalterne, che dalla principale dipendono. Ora queste,
che
sono più o meno dipendenti, si pronunciano l’una
ltre più o men distaccate, a misura della maggiore o minor relazione,
che
hanno con la principale e fra loro. E, non si pot
do da capo, ecc. Così pure si sono introdotti de’ tratti orizzontali,
che
uniti al punto, notano un maggior distacco, e qui
enza reciproca delle idee, de’ pensieri, de’ giudizi e de’ raziocini,
che
l’intero discorso compongono. [2.16] Dalla combin
. [2.16] Dalla combinazione di tali accidenti vocali e di tali pause,
che
alla pronunciazione grammaticale e logica si appa
i procedono quei suoni più o meno gagliardi, sostenuti e significanti
che
confermano ed accrescono il senso delle parole, e
dalla varietà e combinazione di tali suoni risulta una certa armonia,
che
pur conspira allo stesso fine, si diedero ai peri
i ed a’ loro membri tali incominciamenti, tali cadenze, tali riprese,
che
, notandone ancor più la consonanza e la correlazi
te altre modificazioni e modulazioni si immaginarono e si eseguirono,
che
accrescendo l’importanza delle parole e delle sen
eguirono, che accrescendo l’importanza delle parole e delle sentenze,
che
si enunciavano, accrescevano a un tempo l’interes
avano, accrescevano a un tempo l’interesse e l’intelligenza di quelli
che
l’ascoltavano e ricevevano. [2.17] Tre dunque son
tavano e ricevevano. [2.17] Tre dunque sono i principî e gli elementi
che
la pronunciazione oratoria costituiscono: 1.o La
che la pronunciazione oratoria costituiscono: 1.o La natura dell’idea
che
si enuncia, o il vero senso della parola ci detta
e esser questa pronunciata; 2.o Chi parla spera piuttosto da un tuono
che
dall’altro eccitare e determinare l’attenzione e
e e l’interessamento di chi lo ascolta; 3.o E finalmente egli prevede
che
da un certo accozzamento ordinato, progressivo ed
essivo ed armonico di tali suoni ed accenti un certo effetto risulta,
che
diletta e persuade ancor più, e quindi rende anco
alli dal grave all’acuto, e collocandosi gli accenti più tosto in uno
che
in altro luogo; e quelli adoperandosi più o meno
formò una specie di modulazione aggradevole, significante, metodica,
che
maravigliosamente concorse al vero fine ed alla p
avigliosamente concorse al vero fine ed alla perfezione della lingua,
che
consiste nell’esprimere e farsi intendere il più
ne della lingua, che consiste nell’esprimere e farsi intendere il più
che
si può. [2.18] L’accento oratorio, secondo i tre
enerale i differenti gradi di elevazione, di consonanza e di accordo,
che
la voce prende progressivamente nel pronunciare.
ma, alla quale dovresti rispondere. — Ma qual è questa norma generale
che
può determinare sicuramente il tuono che la voce
qual è questa norma generale che può determinare sicuramente il tuono
che
la voce ne’ vari incontri dee prendere? [2.19] Pr
odi, il cui tuono particolare si va anch’esso modulando siffattamente
che
non pur ciascuno corrisponda a quello che precede
sso modulando siffattamente che non pur ciascuno corrisponda a quello
che
precede e che segue, ma sempre al primo si riferi
siffattamente che non pur ciascuno corrisponda a quello che precede e
che
segue, ma sempre al primo si riferisca. Così pari
Quindi risulta dall’accordo di tali tre tuoni una cosifatta armonia,
che
la pronunciazione vocale rende efficace e perfett
ra ridicola; imperocché quanto si è detto e tentato non mira ad altro
che
a distinguere il tuono grave dall’acuto, il basso
ad accennarne piuttosto quelle più generali ed importanti relazioni,
che
l’armonia della pronunziazione oratoria costituis
co intorno al significato ed all’uso degli accenti e de’ tuoni, su di
che
hanno pur sempre discordato i retori ed i grammat
ici, noi, riepilogando quanto abbiamo osservato, possiamo conchiudere
che
l’accento non è che quella specie di canti lena,
do quanto abbiamo osservato, possiamo conchiudere che l’accento non è
che
quella specie di canti lena, che prende la voce p
iamo conchiudere che l’accento non è che quella specie di canti lena,
che
prende la voce parlando, la quale, variamente mod
ancor proprio e corrispondente al discorso, ai periodi ed alle parole
che
lo compongono. Ora dalla distinzione e dall’uso d
o esercitare i fanciulli nell’arte di leggere e di pronunciare. Arte,
che
, parendo pur facilissima e di poca importanza, si
ra del tutto, o, ch’è peggio, si pratica sì viziosa e scorrettamente,
che
riesce poi quasi impossibile il correggerne le co
eggiamo degli adulti e de’ vecchi leggere e pronunciare sì malamente,
che
lungi d’interessare, annojano e ributtano chi paz
nte. [3.1] Con la pronunciazione vocale si unisce pur la visibile,
che
nel moto del corpo propriamente consiste. Il corp
riamente consiste. Il corpo si atteggia e compone acconciamente a ciò
che
la lingua pronuncia, quindi varia la figura, il c
ia, quindi varia la figura, il colore, l’attitudine e l’andamento, sì
che
tutti gli organi del corpo col vocale pur si acco
o e si armonizzano. Non tutti però vi concorrono egualmente, e quelli
che
fra gli altri primeggiano sono il viso, gli occhi
da siffattamente con l’indole degli accenti, delle pause e de’ tuoni,
che
anch’essa ne distingue, conferma ed accresce non
tingue, conferma ed accresce non pur il significato e l’intelligenza,
che
l’armonia e l’importanza. Ed è pur questa spezie
ur questa spezie di lingua muta e visibile sì naturale e significante
che
non solo fu la prima lingua, di cui le genti si v
e che non solo fu la prima lingua, di cui le genti si valsero innanzi
che
la vocale si fosse abbastanza sviluppata, e che p
ti si valsero innanzi che la vocale si fosse abbastanza sviluppata, e
che
pur sempre con questa l’adoprano e la congiungono
lvolta anche sola con la vocale gareggia, e tenta di esprimere quello
che
pare alla vocale solamente concesso. [3.2] La ne
no concorsi egualmenle a sviluppare questa parte della pronunziazione
che
col nome generale di gesto viene volgarmente dise
nazioni, e serve anche essa a distinguere e notare non pure il senso
che
l’andamento del discorso. Quindi, secondo questa
fine come le parole, ch’è quello d’esprimere e farsi intendere il più
che
si può, noi crediamo di poterli tutti ridurre all
e indirizzandosi verso di esso. È questa la prima lingua del bambino,
che
comincia a conoscere. [3.4] 2.º I secondi posson
nto. [3.5] 3.º Altri sono accompagnatorii, e non hanno altro ufficio
che
di semplicemente distinguere le parti del discors
ostenendo acconciamente l’andamento, le cadenze e i riposi della voce
che
lo pronuncia. Essi possono considerarsi come l’or
lio significanti, ancorché i più frequenti e comuni, e sì capricciosi
che
sarebbe quasi impossibile il particoleggiarli e d
erenti. [3.6] 4.º Altri gesti assai più parlanti sono i descrittivi,
che
dimostrativi possono dirsi secondo Cicerone e Qui
ivi, che dimostrativi possono dirsi secondo Cicerone e Quintiliano, e
che
pittorici o mimici comunemente si appellano. Essi
, disegnando i contorni, i tratti e movimenti principali dell’oggetto
che
si vuole annunciare. In questa maniera si può sig
a la lingua ordinaria de’ muti, e ne ritengono più o meno quei popoli
che
hanno parole ed espressioni vocali sufficienti pe
più volte questo fenomeno, avendo osservato in più province d’Italia
che
là dove la lingua è assai povera ed imperfetta, s
nti, quantunque più semplici, sono i propriamente detti espressivi, e
che
significativi dicea Cicerone. Essi mostrano, anzi
dicea Cicerone. Essi mostrano, anziché l’oggetto esterno o la cosa di
che
si parla, lo stato interno o la passione di chi n
passione di chi ne parla. Sotto questa classe cadono tutti quei gesti
che
appartengono all’odio e all’amore, alla gioja ed
cuni de’ gesti espressivi sono necessari, ed altri spontanei. I primi
che
pur meccanici od istintivi si appellano sono quel
anei. I primi che pur meccanici od istintivi si appellano sono quelli
che
sotto l’azione di certe idee e delle parole corri
il tremore di certi membri, il rabbrividire, il palpitare del cuore,
che
a certi incontri soffriamo nostro malgrado. [3.9
rti incontri soffriamo nostro malgrado. [3.9] 7.º Gli spontanei poi,
che
altri dicono motivati, sono quelli, in cui l’anim
o, il sogguardar bieco, gli slanci della collera ecc., e quelli tutti
che
tendono o ad interessare l’oggetto esterno, o ad
sti riescono più o meno analoghi all’interna attitudine della persona
che
gli adopera, quasi imitando più o meno al di fuor
adopera, quasi imitando più o meno al di fuori i moti e i sentimenti
che
prova al di dentro. Così l’estendere ed allargare
molti di questi diventano impropri e figurati come le stesse parole,
che
per metafora impropriamente si adoperano. I pitto
ivere gli oggetti ideali, descrivono invece quegli oggetti sensibili,
che
più sono a quelli rassomiglianti; ed essi riescon
ndi rimasero in uso cenni leggerissimi e quasi insignificanti per sé,
che
il volgo ha religiosamente conservati, e che adop
i insignificanti per sé, che il volgo ha religiosamente conservati, e
che
adopera tuttavolta per abitudine, e quasi natural
iliazione e il primitivo significato. Era di questa natura quel gesto
che
Vanni Fucci fece per dispregiare Iddio: Alfine d
.13] Tali erano per l’ordinario molte delle cifre e segni pittagorici
che
hanno perduto per noi l’antica relazione al loro
stata più o meno sottoposta a questa vicenda; ed il filosofo curioso,
che
sapesse sottometterli ad analisi, potrebbe raccog
ché non si scorge la loro prima ragione, sia perché non abbiano altro
che
il capriccio e la convenzione di chi gli adoprò,
ia, Col capo nudo, e col ginocchio chino. [3.17] E gli Ottaiti, non
che
il capo, si denudano tutto il corpo ecc. Così pur
liturgica o rituale diventa propria di quella gente o di quell’ordine
che
l’ha particolarmente adottata. [3.18] Sono quest
erale ed unico scopo tutte si riferiscono le osservazioni e le regole
che
hanno date e possono dare coloro che della pronun
cono le osservazioni e le regole che hanno date e possono dare coloro
che
della pronunciazione in genere od in ispecie si s
sare convenientemente della voce e del gesto. Ora è facile immaginare
che
, accomodandosi la pronunciazione a’ differenti st
subbietto, al quale era destinata, e secondo il grado della passione
che
le comunicavano le circostanze. Per la qual cosa
i e del ritmo. — Del suono imitativo. [4.1] La prima modificazione
che
prende la pronunciazione tragica procede dal ling
de la pronunciazione tragica procede dal linguaggio metrico e poetico
che
essa adopera. Io non disamino se la versificazion
se la versificazione sia così propria e indispensabile alla tragedia,
che
questa non si possa assolutamente scrivere in pro
astico la preferenza. E malgrado le ingegnose riflessioni di Diderot,
che
avrebbe voluto comporre i due estremi con una spe
rebbe voluto comporre i due estremi con una specie di prosa armonica,
che
il Ceruti volle pur tentare in Italia nella sua t
gue sì differenti, e pronunciar l’una come l’altra, sarebbe lo stesso
che
rendere vano ed inutile lo studio e l’intendiment
ebbe lo stesso che rendere vano ed inutile lo studio e l’intendimento
che
ha avuto l’autore nel trascegliere quella che ha
studio e l’intendimento che ha avuto l’autore nel trascegliere quella
che
ha preferito. Ma se questi si è proposto e si è p
lamatore di render nullo questo artificio e distruggere quell’effetto
che
il poeta ha voluto produrre, e che gli ascoltator
ificio e distruggere quell’effetto che il poeta ha voluto produrre, e
che
gli ascoltatori hanno il diritto di attendere. Io
he gli ascoltatori hanno il diritto di attendere. Io dico anzi di più
che
il metro per la sua natura particolare ad una pro
lo contrario si sforzi di violentare la versificazione siffattamente
che
una prosa più o meno rassembri, ne verrebbe ad em
rassembri, ne verrebbe ad emergere una prosa tristissima, come quella
che
non essendo lavorata sopra le sue proprie forme,
l declamatore vilipesa e straziata desolantemente. È dunque evidente,
che
se il poeta vuol dilettare con questo mezzo, e se
tmo, a cui sono dal poeta principalmente destinati. [4.3] Supponendo
che
il poeta abbia dato alla tragedia quel metro e qu
ponendo che il poeta abbia dato alla tragedia quel metro e quel ritmo
che
più le convengono, e che sono più adattati alle q
a dato alla tragedia quel metro e quel ritmo che più le convengono, e
che
sono più adattati alle qualità delle persone che
più le convengono, e che sono più adattati alle qualità delle persone
che
debbono recitarla, e quindi al genere di declamaz
Perlocché egli non dee trascurare gli accenti, le pause e le cadenze
che
ne costituiscono il magistero. E perciò bisogna p
primamente distinguere quegli accenti, quelle pause e quelle cadenze
che
appartengono al verso, da quelle che al periodo a
i, quelle pause e quelle cadenze che appartengono al verso, da quelle
che
al periodo appartengono. Il verso all’armonia è d
une e le altre talmente s’intrecciano, ed a vicenda si corrispondono,
che
il ritmo del verso rilevi quello del periodo, e q
E l’eccellente versificatore dispone e congiunge i suoi versi in modo
che
servano unicamente al periodo, che pur sembra ind
e e congiunge i suoi versi in modo che servano unicamente al periodo,
che
pur sembra indipendente da quelli. Virgilio fra g
raviglioso. Il Cesarotti, il Frugoni e il Parini hanno dopo Dante più
che
altri imitato quest’artificio nella versificazion
aliana; ma niuno più dell’Alfieri nelle sue tragedie. Egli è il primo
che
abbia concepito e tentato quel tipo di versificaz
è il primo che abbia concepito e tentato quel tipo di versificazione
che
alla tragica si conviene. Il declamatore dee dunq
o artificio, e può seguire ed esprimere l’andamento del verso in modo
che
, anziché nuocere, giovi al periodo a cui serve.
e e del senso dee pronunciarsi, i versi debbono declamarsi in maniera
che
il senso non si alteri, non s’interrompa o soffoc
versa il ritmo del periodo a quello del verso. Dànno nel primo quelli
che
della versificazione non s’intendono punto; e dàn
ella versificazione non s’intendono punto; e dànno nel secondo quelli
che
dalla forza del verso si lasciano, per dir così,
verso, rimanga tuttavia quella specie di cadenza e di suono pendente,
che
si appoggia su le parole seguenti secondo la natu
e, che si appoggia su le parole seguenti secondo la natura del senso,
che
lega ad un tempo le parole ed i versi. E perciò i
d un tempo le parole ed i versi. E perciò il riposo debbe esser tale,
che
annunzi che l’ultima frase del verso sia completa
e parole ed i versi. E perciò il riposo debbe esser tale, che annunzi
che
l’ultima frase del verso sia completa o incomplet
e del verso sia completa o incompleta, richiami l’appoggio dell’altra
che
siegue, e la cadenza dell’uno si combaci col prin
hé dalla natura del senso, dal bisogno della respirazione derivano, e
che
servono ancora a sostenere e variare l’armonia de
o e dobbiamo più o meno notarle nelle cadenze finali de’ versi, senza
che
alcun pregiudizio ne risenta l’andamento generale
d essere più o meno sensibili secondo la relazione maggiore o minore,
che
abbia la frase finale o la parte di essa con la f
he abbia la frase finale o la parte di essa con la frase o col tutto,
che
il principîo comprende del verso seguente. Ed il
e’ versi viene via via così ad essere modificato da quello del senso,
che
sempre più nuova, varia e grata armonia ne acquis
. Poi cominciò: tu vuo’ ch’io rinnovelli Disperato dolor,
che
il cor mi preme Già pur pensando pria
ià pur pensando pria ch’io ne favelli, ecc. [4.8] Il senso vorrebbe
che
quel peccator non si distacchi dal fiero pasto, e
maticale e logica non dee distruggere la relazione metrica e armonica
che
ogni verso dee conservare. E sarà questa relazion
eme. [4.9] Di questi tre versi la pausa è maggiore delle precedenti
che
abbiamo osservato, ma la prima è ancor minore del
vato, ma la prima è ancor minore della seconda, e questa della terza,
che
per ragion del senso è di tutti maggiore, ed obbl
el senso è di tutti maggiore, ed obbliga a cangiar il tuono del verso
che
siegue: Io non so chi tu sie, né per qual modo e
enso. Prendiamo alcun tratto della sua versificazione, e sia il primo
che
ci offre, giacché da per tutto lo stesso artifìci
glie Bellissim’alma; ah! perché tal ti fero Natura e il cielo?… Oimè!
che
dico? imprendo Così a strapparmi la sua dolce imm
cui senso e le cui parole non si attengano e si raggruppino a quelle
che
seguono, e la cui continuazione non faccia che l’
i raggruppino a quelle che seguono, e la cui continuazione non faccia
che
l’espressione finale del precedente non s’innesti
. Ma quanta finezza non richiedono siffatte cadenze e congiungimenti,
che
pur l’autore fa maravigliosamente servire al gene
nciazione, a cui ha destinati i suoi versi! Infelice quel declamatore
che
non avverte in qual modo il verso che precede, se
ersi! Infelice quel declamatore che non avverte in qual modo il verso
che
precede, serva e debba servire a quello che siegu
rte in qual modo il verso che precede, serva e debba servire a quello
che
siegue, e come si debba spontaneamente comporre i
ci siamo circoscritti a parlare finora del suono generale del verso,
che
alla cadenza raccogliesi; ma questo suono medesim
to suono medesimo, comune a tutti, soffre tali e tante modificazioni,
che
spesso l’un verso varia più o meno sensibilmente
rio o dallo scontro artificiale delle parole, per cui il suono comune
che
ne risulta, ne imita ed esprime, e quindi ne accr
e quindi ne accresce, e conferma il significato. E questo artifìcio,
che
alla prosa ancor si presta non poco, si porta a t
ancor si presta non poco, si porta a tal grado nella versificazione,
che
spesso dalla forza e qualità del suono, piucché d
del suono, piucché dal significato delle parole, si esprime l’oggetto
che
si vuol significare. E tali parole, sillabe, cons
tali parole, sillabe, consonanti, vocali ed accenti ti si presentano,
che
ora ti espongono a correre rapidamente, e quasi a
nguore; e così il ritmo del verso col significato delle parole ti par
che
gareggi. Io credo oppor tuno qui notare uno de’ t
sempre i suoni ed i ritmi alla varietà ed all’indole delle sentenze,
che
esprimeva, di modo che con l’evidenza pittoresca
tmi alla varietà ed all’indole delle sentenze, che esprimeva, di modo
che
con l’evidenza pittoresca dei suoi concetti, cont
ndeva l’evidenza imitativa dell’armonia de’ suoi versi. Il Tasso, più
che
altri, si era allontanato da questo modello per a
a sembrano alcuna volta monotoni. Ma dopo quei moderni versificatori,
che
hanno vie meglio imitato la varietà poetica, niun
, e per più ore continuata, farebbe alla lunga sentirne la monotonia,
che
annoja puranche nelle sensazioni piacevoli, se la
un temperamento siffatto tale forma di versificazione n’è risultata,
che
, oltre il suono imitativo della sentenza, si pres
ta in un modo speciale alla declamazione medesima. [4.13] Pare dunque
che
il declamatore non deggia ancor trascurare questa
amatore non deggia ancor trascurare questa parte della pronunciazione
che
serve a rilevare non pur l’armonia, che il signif
ta parte della pronunciazione che serve a rilevare non pur l’armonia,
che
il significato de’ versi. Che se l’orecchio eserc
si notino gli accenti e le pause conforme l’artificiosa disposizione,
che
l’autore ne ha fatta. Fra tanti io trascelgo un e
dono con una certa tranquilla regolarità, quale si conviene a persona
che
va richiamando i suoi pensieri, secondo le circos
a persona che va richiamando i suoi pensieri, secondo le circostanze
che
più l’interessano. Ma ben tosto si turbano, e si
ben tosto si turbano, e si vengono acconciamente modificando a misura
che
dipingono le circostanze più rilevanti dell’assas
mi portava, ove pietoso in braccio Prendeami Strofio, assai men tuo,
che
mio Padre in appresso. Ed ei mi trafugava Per que
é non sapea. [4.16] Nel verso: Era la orribil notte sanguinosa par
che
il suono tutto si raccolga in quel punto, in cui
o prolungamento; e nel terzo la confusione e le qualità degli affetti
che
producevano. E tanto più comparisce un tal magist
o immantinente ne succede un altro diverso, e ripieno di quella forza
che
equivale alla forza de’ sentimenti, onde Oreste è
ertanto al declamatore di sapervi accomodare la pronunciazione, senza
che
ne ostenti l’imitazione e lo sforzo; e ciò potrà
tante regole minutissimamente accumulate, e quasi più per confondere
che
per istruire, faceva ed armonizzava i suoi versi
armonizzava i suoi versi sull’impronta originale delle sue passioni,
che
li modificava e torniva; e per dir meglio, se, in
sti, pronunciarli, e dar loro quell’accento, quel tempo e quel ritmo,
che
la stessa passione richiede. Se le parole, le fra
aloghi al loro significato, cioè alla natura dell’oggetto o dell’idea
che
esprimono, le passioni medesime ch’essi svegliano
svegliano somministreranno agevolmente il tuono della pronunciazione
che
a loro conviene. E questa risulterà da quanto sar
le applicata a ciascun organo. [5.1] La modificazione più distinta
che
riceve la pronunciazione del declamatore è quella
ne più distinta che riceve la pronunciazione del declamatore è quella
che
viene dalla passione, e che per eccellenza prende
a pronunciazione del declamatore è quella che viene dalla passione, e
che
per eccellenza prende il nome di espressione, la
riguardo per ora la passione in generale, per quel grado d’interesse,
che
qualunque idea della mente o affezione del cuore
alunque idea della mente o affezione del cuore comunica alla persona,
che
la concepisce e l’esprime nel modo più convenient
vocale e visibile, così può dirsi propriamente espressione patetica,
che
dall’una e dall’altra risulta ad un tempo. [5.2]
negli organi esterni per la unione e dipendenza immediata o mediata,
che
hanno reciprocamente gli uni con gli altri. Laond
nno reciprocamente gli uni con gli altri. Laonde, la voce ed il moto,
che
da tali principî e per tali mezzi trapassano, anc
i e naturalmente significanti, cioè esprimono la passione particolare
che
gli anima e li modifica; quindi la pronunciazione
sinuante, umana, simpatica. Ed ove tal non riesca dobbiamo concludere
che
o gli organi interni mancano della forza sufficie
e e più semplici modificazioni ch’essa ricevette dalle varie passioni
che
la domavano, emersero i primitivi e rozzi element
vano, emersero i primitivi e rozzi elementi d’ogni linguaggio vocale,
che
altro non fu, né poteva essere, fuorché una serie
essere, fuorché una serie e un complesso di naturali interrogazioni,
che
le affezioni degli uomini più vive e pressanti si
ù vive e pressanti significavano. Questi informi elementi della voce,
che
l’impeto della passione e lo stimolo del bisogno
imolo del bisogno estemporaneamente creavano, esistettero assai prima
che
la parola fosse bella e formata, e somministraron
ata, e somministrarono anzi la prima materia alle parole susseguenti,
che
di quelli via via si spiegarono e si composero. C
a lingua del dolore, come quella di ogni altra passione, non altro fu
che
un sospiro, il quale, alterandosi e sviluppandosi
iluppandosi ognor più secondo la specie e lo sviluppo delle passioni,
che
lo spingeva, prese di mano in mano la forma ora d
, che lo spingeva, prese di mano in mano la forma ora del singhiozzo,
che
del sospiro è assai più rapido e ripetuto, ora de
gandosi e articolandosi, ritenne sempre il primo suono della passione
che
l’aveva creata, e per quanto siasi in progresso m
ssa non perde mai il carattere essenziale e primitivo della passione,
che
lasciò da prima come effetto, ed a cui ora come s
dare il vero tuono al discorso, al periodo, alla frase ed alla parola
che
si dee pronunciare, si può ritrarlo dalla interje
può ritrarlo dalla interjezione speciale della passione predominante
che
gli anima. Così pronunciando la semplice esclamaz
così dire fondamentale e normale di tutte le espressioni particolari,
che
a quella passione si riferiscono. In questo modo
llabo opportunamente aspirato diventerebbe come una specie di corista
che
il buon declamatore dovrebbe pur sempre consultar
pre consultare ed applicare al bisogno, come la sola norma esemplare,
che
gli fornirebbe il tuono proprio alla pronunciazio
la, ma l’andamento successivo delle parole, delle frasi, del periodo,
che
più o meno rapidamente, o lentamente, o interrott
migliore e più certa possiamo trovare su tal proposito fuorché quella
che
ci offre il moto che notiamo nella successione de
possiamo trovare su tal proposito fuorché quella che ci offre il moto
che
notiamo nella successione delle idee e de’ sentim
fre il moto che notiamo nella successione delle idee e de’ sentimenti
che
la passione sviluppa e promuove. Quindi si accele
ma gli accenti ed i tuoni della passione furono lasciati alla natura
che
gli detta da per tutto e sempre gli stessi. Chi s
uono della passione risulta sempre e da per tutto lo stesso. Quindi è
che
secondo certi caratteri più distintivi delle pass
eri più distintivi delle passioni, si può ancora determinare la voce,
che
a quelle risponde. E questo è pur quanto hanno fi
nno finora trattato gli antichi ed i moderni. Quintiliano ne avea più
che
gli altri diffusamente parlato; ed egli non ne di
re tranquillo è eguale e grave senza riuscir disaggradevole; e quegli
che
declama con vigore impiega molte modulazioni, var
e impiega molte modulazioni, variandole conforme a’ diversi movimenti
che
animano il suo discorso”. [5.7] E qui pur deesi
ovimenti che animano il suo discorso”. [5.7] E qui pur deesi notare
che
lo stesso ragionatore per quanto si supponga tran
delle sue idee, quel grado d’interesse, e per conseguenza di passione
che
lor corrisponde. Per la qual cosa non può anch’eg
ù o meno patetica, ch’è proporzionata all’impressione ed al movimento
che
riceve dalle sue idee. Sotto questo rapporto l’or
nto, l’istruttore più riflessivo e più semplice, il narratore di cose
che
men lo riguardano, non può fare a meno di essere
co, ed un’attitudine dignitosa”. [5.8] Da tali osservazioni risulta,
che
la passione determina la voce nel suono e nel tem
i risulta, che la passione determina la voce nel suono e nel tempo, e
che
tali modificazioni delle quali abbiamo accennate
tutti i tempi e di tutti i luoghi, non sono state notate come quelle
che
vengono dettate dalla natura a chiunque senta, e
engono dettate dalla natura a chiunque senta, e sappia conoscere quel
che
sente. [5.9] Quello che abbiamo osservato intorn
ra a chiunque senta, e sappia conoscere quel che sente. [5.9] Quello
che
abbiamo osservato intorno all’organo vocale si os
to intorno all’organo vocale si osserva egualmente intorno agli altri
che
pur come quello alla passione predominante più o
e, diventano anch’essi effetti ed indizi delle idee e dei sentimenti,
che
ne sono cagione od occasione; e così l’espression
nte, loqui. [5.10] Ed è pure questa lingua meccanica come la vocale,
che
abbiamo di sopra considerata, essendo dalla sua n
l dolore e nell’orrore ecc. Meravigliosa è, fra le altre, la positura
che
ci presenta Dante di Farinata: Ed ei s’ergea col
. Dante, ove occorre, non cessa mai di determininarli. Questi parea,
che
contro me venesse Con la testa alta.
nda di questi la sua figura si altera e si colora; né v’ha sentimento
che
ivi non lasci il suo tratto e la sua tinta corris
nibus verbis. Quindi veggiamo in esso ora la dolce fiamma dell’amore
che
lo consuma, ora il freddo pallore della paura o d
tuante dell’ira, ed ora un alternare di varie forme ed opposte tinte,
che
rapidamente si succedono, si compongono e si dist
mente si succedono, si compongono e si distruggono. È questa la parte
che
hanno i pittori e i poeti principalmente descritt
ro. Divenni smorto Come fa l’uom
che
spaventato agghiaccia. S’egli ama bene, e ben
za e si contrae, o si abbandona e si appoggia sul petto. Ma assai più
che
il naso ed il mento hanno le labbra una gran part
le labbra per furor si morse. [5.17] V. Occhi. Sono queste le parti
che
nell’espressione del volto fra le altre primeggia
volto fra le altre primeggiano. L’occhio per la sua mobilità è quello
che
a’ moti dell’anima più prontamente obbedisce, e p
stesso nel di lui fondo. E quest’effetto è si meccanico e necessario,
che
l’uomo il più esperto non può nasconderlo, ond’è
co e necessario, che l’uomo il più esperto non può nasconderlo, ond’è
che
l’occhio sempre verace smentisce pur sempre il la
rgogna: Allor con gli occhi vergognosi e bassi, Temendo
che
‘1 mio dir gli fosse grave, Infino a
parve fuore, Ch’innamorò di sue bellezze il cielo. [5.22] Ma quello
che
rende gli occhi massimamente espressivi e signifi
e gli occhi massimamente espressivi e significanti, si è quel vapore,
che
raccolto ne’ vasi lagrimali per dolore o per ira,
ente gli annebbia e gl’irrora, e talvolta addensato cade in gocciole,
che
interrottamente succedonsi, e sovente è tanta la
gocciole, che interrottamente succedonsi, e sovente è tanta la piena,
che
sgorga e trabocca in torrenti; e qualche volta an
ncora: Lo pianto stesso di pianger non lascia E il duol
che
trova in su gli occhi rintoppo, Si v
eggendo a Corinto una mimica rappresentazione di Paride in Ida, trovò
che
Venere danzava talvolta con gli occhi soltanto,
a con gli occhi soltanto, nonnunquam saltare solis oculis . Si crede
che
i Siciliani abbiano, più che ogni altro popolo, i
nnunquam saltare solis oculis . Si crede che i Siciliani abbiano, più
che
ogni altro popolo, il talento e l’abitudine di pa
, ora si avvicinano ed ora si scostano, e prendono tali e tante forme
che
leggi facilmente in ciascuno il carattere dell’id
leggi facilmente in ciascuno il carattere dell’idea e del sentimento
che
vi si raccoglie e predomina: Gli occhi alla terr
sti La regal fronte. [5.26] Spesso è la sede dei più gravi pensieri,
che
in essa principalmente si raccolgono e si concent
am retroagere, ut sit orror ille terribilis. E S. Agostino certifica
che
una persona dei tempi suoi comunicava spontaneame
cendoli rizzare e abbassare a suo talento. [5.29] IX. Mano. L’organo
che
dopo il vocale è più in azione nella pronuncia si
o e significante. Infiniti sono i moti ed i gesti dei quali è capace,
che
gli antichi ne formarono un’arte particolare per
che gli antichi ne formarono un’arte particolare per regolarne l’uso,
che
Chironomia secondo Quintiliano appellavasi, e pal
secondo Quintiliano appellavasi, e palestrici si denominavano coloro
che
la insegnavano. Quindi per tal ragione furono alc
ssime e linguacciute le dita. Ma qui dovendo considerare i soli gesti
che
alla passione si riferiscono, possiamo sicurament
esti che alla passione si riferiscono, possiamo sicuramente asserire,
che
il braccio le dita e la mano tali movimenti posso
e, che il braccio le dita e la mano tali movimenti possono concepire,
che
bastano soli ad esprimere tutta la passione che l
ti possono concepire, che bastano soli ad esprimere tutta la passione
che
li produce. Il protendere o l’incurvare del bracc
rsi, minacciare ed offendere in diversi altri modi non pur gli altri,
che
sé, possono riuscire di una significazione viviss
dea ciascuna il petto Batteansi a palma e gridavan sì alto. Ossia
che
il cor tremando come foglia Faccia insieme tremar
la vendetta: Mostrarti o minacciar forte col dito. [5.31] Si narra
che
la signora Dumesnil si è valuta di cotal gesto, d
ersona, e tremare e lagrimare gli spettatori. [5.32] I pochi tratti,
che
abbiamo dato di ciascuno organo della pronunciazi
ecnico. E certo l’opera potrebbe riuscir profittevole, ed al filosofo
che
troverebbe de’ materiali da discutere e combinare
che troverebbe de’ materiali da discutere e combinare, ed all’artista
che
vi troverebbe l’espressioni convenienti al bisogn
ogno per imitarle. Sulzer proponeva questa classificazione, e sperava
che
quanto si è fatto nella Botanica si potesse ancor
esto si appropriasse il suo nome. Tutto è bene tentare. Io dico solo,
che
gli oggetti della Botanica sono permanenti, e si
e si possono facilmente indicare e determinare. Non così le passioni,
che
, per le loro infinite modificazioni, e per la rap
, per le loro infinite modificazioni, e per la rapidità dei passaggi,
che
si succedono e si distruggono, non ci offrono deg
gli oggetti stabili e definibili come quella. E può anche intervenire
che
un lavoro siffatto non frutti quel vantaggio sing
tervenire che un lavoro siffatto non frutti quel vantaggio singolare,
che
altri ne speri. Le troppo minute osservazioni rie
o minute osservazioni riescono per l’ordinario piuttosto a confondere
che
a schiarire; e l’ingegno creatore dietro certi mo
eatore dietro certi modelli generali ed archetipi, ama più di creare,
che
di ripetere in qualunque arte. [5.33] E qui dobb
are, che di ripetere in qualunque arte. [5.33] E qui dobbiamo notare
che
l’azione di tali organi, che noi abbiamo partitam
nque arte. [5.33] E qui dobbiamo notare che l’azione di tali organi,
che
noi abbiamo partitamente considerata rispetto a c
osano affatto, mentre gli altri parlano ed operano invece loro. Ond’é
che
alcune parti rimangono immobili e inanimate, ment
e preoccupano l’espressione del momento. Lo stesso organo della voce,
che
ha la parte principale nella pronunciazione, spes
pronunciazione, spesso dà luogo ad altri organi, o loro affida quello
che
esso o non potrebbe affatto, o non così bene eseg
M’era nel viso e il dimandar con esso, Più caldo assai,
che
per parlar distinto. [5.35] E altrove: Volger
nto. [5.35] E altrove: Volger Virgilio a me queste parole Con viso
che
tacendo, dicea taci. [5.36] Con quanta felicità
I languidi occhi al ciel tenea levati, Quasi accusando il gran motor
che
gli abbia Tutti conversi nel suo danno i fati.
danno i fati. [5.37] Quale doveva essere l’espressione del silenzio
che
doveano spiegare i senatori romani alla presenza
patiuntur, decernunt, cum tacent, clamant. Ed è questo quel silenzio
che
clamoroso dicea Cassiodoro: Silentium clamorosum
esposto altrove le differenti specie di accenti, di tuoni e di gesti,
che
sono state finora distinte, e servono generalment
iazione oratoria. Or tale è la forza della passione o dell’interesse,
che
domina colui che declama, che non può non influir
Or tale è la forza della passione o dell’interesse, che domina colui
che
declama, che non può non influire su quei tuoni e
forza della passione o dell’interesse, che domina colui che declama,
che
non può non influire su quei tuoni e quei gesti c
olui che declama, che non può non influire su quei tuoni e quei gesti
che
propriamente non sono detti patetici. Tutti quind
nto, al quale si riferiscono; come effetti delle cagioni od occasioni
che
li producono e li promuovono. Or riguardando tali
nsazione si circoscrive al piacere o dispiacere, ossia all’interesse,
che
la percezione dell’oggetto reale o ideale in noi
i alterano siffattamente la voce, il viso, gli occhi, la fronte ecc.,
che
acquistano anch’essi le loro espressioni particol
le tante figure, e tutte riflessive e tranquille, non ve n’ha alcuna
che
non abbia la sua fisonomia espressiva e significa
che non abbia la sua fisonomia espressiva e significante. Archimede,
che
entrando nel bagno trova la soluzione del problem
è ripiena di siffatti fenomeni, sicché possiamo sicuramente asserire
che
le più astratte verità e le idee più sincere hann
e quindi la loro espressione conveniente. [6.4] Egli è poi verissimo
che
tali espressioni sono men calde e sensibili di qu
i verissimo che tali espressioni sono men calde e sensibili di quelle
che
alla sensazione ed al cuore appartengono, e che p
e sensibili di quelle che alla sensazione ed al cuore appartengono, e
che
propriamente alla passione si attribuiscono, ed a
garmente suol darsi. Ora a queste limitandoci particolarmente, quelle
che
fra tutte prevalgono, sono le così dette fisiolog
si rizzano i capelli ed i peli, e tali altri fenomeni si sviluppano,
che
quali effetti puramente meccanici seguono necessa
cessariamente ed immediatamente l’influenza delle loro cagioni, senza
che
la nostra volontà vi cooperi o possa impedirli. E
grado di passione conveniente a tal effetto, ossia la cagione fìsica,
che
sola può generarli. Per la qualcosa l’attore che
a la cagione fìsica, che sola può generarli. Per la qualcosa l’attore
che
facilmente pianga e cangi di colore e rabbuffi i
risvegliare la passione richiesta, e conforme attitudine negli organi
che
prontamente obbediscono. [6.5] Dietro questi seg
i quali prende più o meno parte la volontà, ed i primi a spiegarsi, e
che
a quelli più o meno si approssimano, sono gl’imit
he a quelli più o meno si approssimano, sono gl’imitativi od analoghi
che
l’oggetto della percezione o l’effetto della sens
in certo modo dipingono. Alla vista degli esseri non pur ragionevoli,
che
bruti ed inanimati noi ci sentiamo più o meno inc
grado sospinti a comporci alla loro maniera per una specie d’istinto,
che
ci obbliga a più o meno imitarli. Per questa legg
ca l’uomo pronuncia, si muove e si atteggia analogamente agli oggetti
che
più lo feriscono per l’imperio di quell’azione, c
ente agli oggetti che più lo feriscono per l’imperio di quell’azione,
che
gli obbietti esercitano su l’animo nostro, e l’an
ioni più delicate e sentimentali. Per lo qual magistero lo stesso uso
che
delle parole fu fatto convertendole di proprie in
iplicate, e se ne possano tuttavolta moltiplicare. Ma queste a misura
che
si vanno allontanando dall’origine loro e che si
are. Ma queste a misura che si vanno allontanando dall’origine loro e
che
si alterano, la loro forma primitiva, la loro ana
possiamo stabilire come principîo fondamentale e regolatore di essa,
che
la relazione più generale di causa e di effetto n
ificata, possiamo determinare il sudetto principîo nel modo seguente:
che
l’espressione riuscirà tanto più vera, più viva,
evidente e diretta la relazione tra l’idea o l’affetto e l’immagine,
che
a tale idea od affetto si sostituisce, e tra ques
iazione vocale e visibile. [6.8] V’ha un altro genere di espressioni
che
pur sono spontanee come le precedenti, e che non
ro genere di espressioni che pur sono spontanee come le precedenti, e
che
non già all’imitazione, ma servono bensì quali me
e ed operare al di fuori, e per conseguente tutti gli atti ed i moti,
che
a tal uopo s’impiegano, diventano tanto più espre
cagione della percezione o sensazione, od il soggetto, sia la persona
che
li riceve, sia noi medesimi. Per la qual cosa i n
alimentandone la compiacenza. Ed ecco perché nella tristezza profonda
che
ci abbatte, molti atti tendono a sollevarci ed a
assare o chiudere gli occhi per evitare, soffogare od allegerire quel
che
ci attrista ecc. sono atti adoperati a procacciar
ievo. E per lo contrario nella gioja si vuole vivere e sentire il più
che
si possa, e più atti festivi si ripetono e si com
renti si temono, si fuggono e si abboniscono come cagioni o stromenti
che
possono accrescere la nostra propria tristezza. T
sto e l’ingrato. [6.11] Noi possiam chiamare tali gesti o segni, sia
che
ad altri od a noi si rapportano, cooperativi, per
altri od a noi si rapportano, cooperativi, per distinguerli da quelli
che
abbiamo chiamati imitativi ed analoghi. Ed a ques
o, s’io mal non veggio, tutti ridursi i tuoni, i gesti ed i movimenti
che
si riguardano come più o meno naturalmente espres
o la pronunciazione tutta si restringe ad eseguire, il più fedelmente
che
può, l’intenzione dell’animo nostro, che si propo
eseguire, il più fedelmente che può, l’intenzione dell’animo nostro,
che
si propone di fare in tutto o in parte quello che
dell’animo nostro, che si propone di fare in tutto o in parte quello
che
la passione richiede. Ed essendo sua intenzione o
fuggirlo o minacciarlo o assalirlo. In caso di collisione par dunque
che
la progressione da osservarsi sia la seguente, ch
lisione par dunque che la progressione da osservarsi sia la seguente,
che
cioè l’animo appassionato cerchi prima di attende
dell’uno o dell’altro. Ove dunque dobbiamo occuparci a far quell’uso,
che
la passione ci detta, dell’oggetto esterno che l’
parci a far quell’uso, che la passione ci detta, dell’oggetto esterno
che
l’eccita, poco o nulla curiamo di noi; e quando a
nello stesso incontro si succedono e si alternano con tanta rapidità,
che
tu credi che la pronunciazione sia non solo imita
incontro si succedono e si alternano con tanta rapidità, che tu credi
che
la pronunciazione sia non solo imitativa, ma coop
a e relativa all’oggetto e soggetto ad un tempo, esigendo la passione
che
all’uno ed all’altro fine si serva ad un tempo. Q
ne che all’uno ed all’altro fine si serva ad un tempo. Quindi diviene
che
, servendo tutti gli organi alla stessa passione,
passioni veementi rapidamente sviluppansi, per cui i gradi differenti
che
si succedono, diversificando a proporzione lo int
si così facilmente ricomporsi ed atteggiarsi opportunamente. Quindi è
che
in generale l’espressione che precede, ritiene se
ed atteggiarsi opportunamente. Quindi è che in generale l’espressione
che
precede, ritiene sempre alcuna parte o resto di q
spressione che precede, ritiene sempre alcuna parte o resto di quella
che
l’ha preceduta. Gli occhi, le ciglia ed il volto
be, la persona non possono corrispondere con la stessa faciltà. Ond’è
che
mentre gli uni eseguono un’espressione, possono g
sione, dalla quale procede, come accade nella gelosia, la quale non è
che
un complesso di più affetti conspiranti insieme,
, la quale non è che un complesso di più affetti conspiranti insieme,
che
non pur si succedono rapidamente, ma simultaneame
si succedono rapidamente, ma simultaneamente cooperano. [6.16] Ond’è
che
distinguiamo ad un tempo l’espressione dell’amore
re o dell’odio alla presenza dell’oggetto amato o abborrito nell’atto
che
la persona tende verso quello, o ne declina, o lo
lla sua fisonomia a’ suoi atteggiamenti un tuono, una forma siffatta,
che
con alcuni tratti l’indole imita e dipinge dell’o
e con altri tende a diminuire il dispiacere, od accrescere il piacere
che
la passione gli fa provare. [6.17] In tale comple
mplesso di espressioni diverse e contemporanee si osserva in generale
che
all’espressioni analoghe servono principalmente g
o al loro fine generale e comune. Il perché se l’interesse principale
che
domina esige di mostrare la cosa che si narra o s
perché se l’interesse principale che domina esige di mostrare la cosa
che
si narra o si vuol persuadere, tutta l’intenzione
ta l’intenzione di chi parla si raccoglie a presentarla siffattamente
che
non possa non tutta vedersi da chi l’ascolta. Eme
e la necessità dell’ipotiposi, non pur nelle sentenze e nelle parole,
che
nella voce, nella fisonomia e nell’azione. La pit
lle parole, che nella voce, nella fisonomia e nell’azione. La pittura
che
allor se ne fa è significante, espressiva, necess
versiva ed assurda, se l’interesse principale richiedesse degli atti,
che
al godimento o alla distruzione dell’oggetto este
ferissero; ed a questa tendenza pur si sacrificano tutti quegli altri
che
al soggetto rapportansi, il quale più a sé non ba
lo tutto si occupi. [6.19] Ma se taluno ancor narrando parli di cosa
che
fortemente interessi non pur lui che la persona,
uno ancor narrando parli di cosa che fortemente interessi non pur lui
che
la persona, che intento l’ascolta, non può fare a
do parli di cosa che fortemente interessi non pur lui che la persona,
che
intento l’ascolta, non può fare a meno di sentire
a, non può fare a meno di sentire e di esprimere a un tempo, nel modo
che
sa migliore, l’interesse della cosa, della person
sentire e d’imitare in parte alcuni di quegli accidenti più funesti,
che
lo hanno principalmente colpito. Egli è contento,
rincipalmente colpito. Egli è contento, egli tutta prova la tenerezza
che
l’inspira la vista dei genitori, della sposa, del
lo scendere negli abissi, e sempre in mezzo al contrasto dei flutti,
che
romorosi si affrontano e si minacciano. In tali c
’incontrano, si uniscono, si combinano con tanta celerità ed accordo,
che
sebbene la passione dominante, e l’espressione co
comune costantemente si riconcentrano. [6.20] Dietro questa teoria,
che
la ragione e l’esperienza pur sempre comprovano,
ngel con troppa oscurità, o meglio con troppa generalità censura quel
che
Dorat dicea dell’espressione, che Baron dava ai s
con troppa generalità censura quel che Dorat dicea dell’espressione,
che
Baron dava ai seguenti versi, che Cinna dice ad E
l che Dorat dicea dell’espressione, che Baron dava ai seguenti versi,
che
Cinna dice ad Emilia: Au seul nom de Cesar, d’Au
u veduto declamandoli impallidire e successivamente infiammarsi, cosa
che
secondo Engel né si poteva sì rapidamente eseguir
l punto essere in sé pienamente satisfatto e lietissimo dell’effetto,
che
avea prodotto ed osservato nei cospiratori, e che
ssimo dell’effetto, che avea prodotto ed osservato nei cospiratori, e
che
racconta ed espone ad Emilia. Ma ancorché sia que
rché sia questo il sentimento dominante di Cinna, lo stesso interesse
che
prende in quello spettacolo, e la premura di farn
ssono dispensarlo dall’esprimere l’orrore e il furore de’ congiurati,
che
era l’effetto che a lui più importava di verifica
dall’esprimere l’orrore e il furore de’ congiurati, che era l’effetto
che
a lui più importava di verificare, e ad Emilia di
n dobbiamo confondere quei gesti semplicemente imitativi ed analoghi,
che
quai cenni più o meno rapidi, indicano l’oggetto
a cui si rapportano; da quegli altri più particolareggiati e minuti,
che
per la loro lenta e successiva descrizione propri
e prendono quella di descrizione materiale, e sono riserbati a coloro
che
o non potessero altrimenti farsi intendere, come
on potessero altrimenti farsi intendere, come accade ai sordi muti, o
che
volessero coi soli segni visibili farsi intendere
antomini. E veramente è questa ultima quella specie di dimostrazione,
che
Cicerone diceva mimica, e che distingue dalla sig
ultima quella specie di dimostrazione, che Cicerone diceva mimica, e
che
distingue dalla significazione, che sola concedev
ne, che Cicerone diceva mimica, e che distingue dalla significazione,
che
sola concedeva all’oratore, e che si limita per l
che distingue dalla significazione, che sola concedeva all’oratore, e
che
si limita per l’ordinario ad esprimere la sentenz
ole singolarmente, e più le affezioni ed i sentimenti di chi ragiona,
che
l’indole e le qualità di che si ragiona. Ed ecco
ffezioni ed i sentimenti di chi ragiona, che l’indole e le qualità di
che
si ragiona. Ed ecco perché Quintiliano, commentan
battere, i contorcimenti e le grida di Gavio, l’attitudine di Verre,
che
tenendo sotto il braccio una donzella godeva fero
egiudicato alla dignità dell’oratore ed alla verità dell’espressione,
che
dovea primeggiare all’immagine di quell’ingiusta
] Io ho creduto dovermi trattenere alquanto su l’analisi di una parte
che
è certo la più importante nella declamazione, ed
ti ragionato ampliamente, non hanno applicato tutta quella precisione
che
richiedeva. Il perché non è da credersi una tale
gomento di pura speculazione, se si riguarda la realità del fenomeno,
che
abbiamo sottoposto ad analisi, e più lo sviluppam
iamo sottoposto ad analisi, e più lo sviluppamento delle conseguenze,
che
la teorica e la pratica dell’arte riguardano.
veduto come ciascuno in particolare si presti a servire alla passione
che
lo predomina, e quindi secondo quale norma più gi
la persona convenientemente si atteggia, e tutta esprime la passione
che
la governa. [7.2] Ancorché ciascun organo operi
ufficio particolare, tutti però per l’unità e identità del principîo
che
gli anima, conspirano allo stesso fine, e danno a
nno alla passione una forma determinata ed una sua propria fisonomia,
che
dal concorso e dalla cooperazione di tutti gli or
basti a bene esporre e commentar l’altra, specialmente se si rifletta
che
all’indole intrinseca della passione medesima, un
si raccoglie e determina dell’estrinseca espressione, la quale non è
che
uno sviluppamento di quella. Ed essendo ancora in
ora infinite ed infinitamente varie le passioni, io quelle tralascerò
che
sono più acconce al nostro intento e più forti e
allo stesso modo si osservino e si ritraggano, secondo l’uso migliore
che
all’arte conviene. Noi così ci faremo una serie d
gliore che all’arte conviene. Noi così ci faremo una serie di quadri,
che
ci servono di modelli obbiettivi per meglio defin
e relazioni, e riferire a ciascun genere le modificazioni e le specie
che
ne dipendono. [7.4] L’uomo, com’essere sensibile,
essitato ad abbonire e fuggire a desiderare e seguire quegli obbietti
che
possono, o ch’egli crede recargli dolore o piacer
oto ed alterazione dell’animo suol dirsi passione, ma quella soltanto
che
per l’importanza sia reale, sia immaginaria dell’
oltanto che per l’importanza sia reale, sia immaginaria dell’obbietto
che
l’eccita, o per forza dell’abitudine che l’alimen
ia immaginaria dell’obbietto che l’eccita, o per forza dell’abitudine
che
l’alimenta e risveglia, obbliga la persona ad uno
risveglia, obbliga la persona ad uno stato violento e straordinario,
che
propriamente dicesi appassionato. Ond’è che l’uom
violento e straordinario, che propriamente dicesi appassionato. Ond’è
che
l’uomo essendo indifferente in certe circostanze
questi ad interessarlo, si apprende in lui un sentimento od affezione
che
vogliam dire, che cresce, si invigorisce, si svil
arlo, si apprende in lui un sentimento od affezione che vogliam dire,
che
cresce, si invigorisce, si sviluppa a misura che
ne che vogliam dire, che cresce, si invigorisce, si sviluppa a misura
che
più l’interessa, sino a tanto che diventa e si de
i invigorisce, si sviluppa a misura che più l’interessa, sino a tanto
che
diventa e si denomina passione. Allora conforme a
anto che diventa e si denomina passione. Allora conforme all’opinione
che
si ha concepita dell’obbietto, l’uomo appassionat
nta la passione a questo grado diventa ancor trasporto ed entusiasmo,
che
suole pur degenerare in furore ed in fanatismo. E
anza in cui si ritrovano gli uni dagli altri, sia per altre relazioni
che
hanno questi fra loro, che varie specie di passio
i uni dagli altri, sia per altre relazioni che hanno questi fra loro,
che
varie specie di passioni n’emergono. In questo mo
l furore. E ciascuna di queste ha pure il suo sviluppo e i suoi gradi
che
ad altre divisioni diedero luogo; e le une e le a
te alternate e rimescolate, prendono tali e tante forme e gradazioni,
che
si rende quasi impossibile il tutto discernerle e
rnerle e notarle accuratamente. Quindi procede la varietà di sistemi,
che
hanno seguito i filosofi nell’ordinarne ed esporn
i nell’ordinarne ed esporne le classi; e noi a quello ci appiglieremo
che
parendoci il più conforme alla ragione, ed il più
il più semplice ed efficace per l’uso nostro, noteremo le principali
che
più convengono al nostro fine ed al nostro disegn
’uomo come una macchina sottoposta all’azione degli obbietti esterni,
che
più o meno l’agitano e la commovono, e notiamo qu
no l’agitano e la commovono, e notiamo quelle agitazioni e commozioni
che
sono gli effetti e gl’indizi delle sue passioni.
sue passioni. Il suo primo stato è quello della quiete e del riposo,
che
inerzia morale possiamo chiamare. Tale stato, com
venendo più o men volontario, prende l’indole e la forma di passione,
che
ha pure i suoi gradi e i suoi eccessi, e quindi l
re dell’inazione, e la difficoltà e la noja dell’operare. Il pigro, o
che
si giaccia o si stia, si mostra pur sempre stanco
e ginocchia. Egli o non mai si risente e si sdegna, od appena di ciò,
che
lo costringe a sospendere il suo riposo, o ad alt
anguidi: e in tutti i suoi conati si arresta appena incomincia, e par
che
tosto dimentichi di avere incominciato. Le Brun c
oso; ed io credo opportuno il qui soggiungere i pochi, ma veri tratti
che
ne ha dati Dante, descrivendo lo stato di Belacqu
so, Come l’uom per negghienza a star si pone. Ed un di lor
che
mi sembrava lasso, Sedeva ed abbraccia
Movendo il viso pur su per la coscia E disse: or va tu su,
che
se’ valente. [7.8] Indi alzò la testa appena, e
ungersi a succedere per qualche istante all’eccesso di certe passioni
che
abbattono le forze fisiche e morali dell’uomo, e
forze fisiche e morali dell’uomo, e lo determinano a tale attitudine,
che
suppone l’eccesso dell’abbattimento e della stanc
hezza. [7.10] L’inerzia morale viene scossa o vinta dalle impressioni
che
la sorprendono e la travolgono; e siccome sono qu
queste più o meno interessanti a proporzione del dolore o del piacere
che
recano, la prima facoltà o tendenza, che alla pre
one del dolore o del piacere che recano, la prima facoltà o tendenza,
che
alla presenza degli obbietti si sveglia, è l’atte
sa si rivolge improvvisamente, e tutta si affisa immobile all’oggetto
che
l’eccita. La persona, che n’è sorpresa, rimane co
nte, e tutta si affisa immobile all’oggetto che l’eccita. La persona,
che
n’è sorpresa, rimane come tocca dal fulmine. Appe
e incompleta, ed un movimento indietro ed estemporaneo l’annunciano,
che
la testa e le braccia si elevano alquanto, s’inar
atano alcuni muscoli, come per dar luogo alle nuove idee ed affezioni
che
si ricevono; la respirazione si arresta o si alle
, se prima non esperimentiamo e riconosciamo l’indole degli obbietti,
che
ne circondano e ne commovono. Ma prima di determi
ha dipinto con la solita evidenza lo stato interno: E quale è quei,
che
disvuol ciò che volle, E per nuovi pe
la solita evidenza lo stato interno: E quale è quei, che disvuol ciò
che
volle, E per nuovi pensier cangia pro
olle, E per nuovi pensier cangia proposta, Sì
che
dal cominciar tutto si tolle. [7.13] A tale sta
il passo, le mani seguono or dall’una or dall’altra parte il pensiero
che
varia, e mostrano ora di scuoterlo, or di lasciar
e eziandio; tutto è quindi irresoluzione ed inquietezza, sino a tanto
che
a ferma determinazione non si risolva. Gli organi
tale passione sono la testa, le mani e le gambe. [7.14] Gli obbietti
che
più c’interessano sono quegli esseri che più fra
gambe. [7.14] Gli obbietti che più c’interessano sono quegli esseri
che
più fra gli altri ci rassomigliano e che noi rigu
teressano sono quegli esseri che più fra gli altri ci rassomigliano e
che
noi riguardiamo come utili o nocevoli, e quindi b
i. Al cospetto di una persona, dalla quale non temiamo alcun danno, e
che
soffre, si sveglia in noi la pietà, ch’è un senso
soffre, si sveglia in noi la pietà, ch’è un senso dell’altrui male, e
che
dovrebbe essere la passione caratteristica del ge
rebbe essere la passione caratteristica del genere umano. La persona,
che
n’è compresa, riguarda da un lato l’obbietto che
e umano. La persona, che n’è compresa, riguarda da un lato l’obbietto
che
l’affligge con la testa alquanto inchinata e con
lquanto s’avanza su l’inferiore. Si abbassano i muscoli del viso, più
che
tutti languisce l’occhio, e una dolce lagrima ne
e scorrono come un balsamo suave a temperare l’amarezza dell’infelice
che
soffre. Tutto mostra il consenso dell’altrui male
questa comunissima passione. Frequenti e maravigliosi sono i tratti,
che
ne ha dato Dante in tutto il corso del suo poema,
ì del cammino, e sì della pietate, Che ritrarrà la mente,
che
non erra. [7.15] Spesso la persona, la quale c’
interessa per le sue doti, ci appare di tanto superiore e meritevole,
che
c’ispira il sentimento della venerazione, che ci
superiore e meritevole, che c’ispira il sentimento della venerazione,
che
ci contrae, ci rimpicciolisce, ci atterra. Quindi
odesti gli accenti, e non mai l’andare a paro dell’altro. [7.16] Pare
che
nella postura domini principalmente l’espressione
era in tutto e corrompe la condizione dell’uomo. [7.17] La passione,
che
tra le altre si mostra più frequente e primeggia,
primeggia, è l’amore, il quale è desiderio ardentissimo dell’obbietto
che
si ama, e per cui l’amante verso l’amato tutto pr
ante e l’amato, tutto il sangue si raccoglie al cuore, e la fiammella
che
vi si accende riflette nella pupilla, che oltremo
ie al cuore, e la fiammella che vi si accende riflette nella pupilla,
che
oltremodo splende nell’occhio aperto e sul viso p
ma; e perciò si studia d’imitarne non pure i sensi e le inclinazioni,
che
gli accenti, l’attitudine, i modi, e si conforma
inazioni, che gli accenti, l’attitudine, i modi, e si conforma il più
che
si può al mo dello che ammira e idolatra per rend
ti, l’attitudine, i modi, e si conforma il più che si può al mo dello
che
ammira e idolatra per rendersene ognora più degno
rvono a questa passione predominante. [7.18] Se il bene o l’obbietto
che
ardentemente desiderasi viene a conseguirsi alla
guito e posseduto. Essa dunque o si solleva dall’oppressione del male
che
si soffriva, o si raccoglie da qualunque distrazi
, o si raccoglie da qualunque distrazione nel solo godimento del bene
che
si possiede. E perciò la sua attitudine permanent
ggiero, ed ogni atto asperso di agilità e di piacevolezza. La ilarità
che
trabocca, par che voglia inondar tutto all’intorn
to asperso di agilità e di piacevolezza. La ilarità che trabocca, par
che
voglia inondar tutto all’intorno, e quindi esilar
costanti. [7.19] Brilla il sorriso nella bocca e nella pupilla, e par
che
tutta la natura sorrida anch’essa con noi. Il tuo
a gioia la malinconia o tristezza, la quale nasce e ci opprime allora
che
il bene, che si desidera, non può per alcuna via
linconia o tristezza, la quale nasce e ci opprime allora che il bene,
che
si desidera, non può per alcuna via conseguirsi.
che il bene, che si desidera, non può per alcuna via conseguirsi. Par
che
per essa la vita si diminuisca e dilegui; e perci
a vita si diminuisca e dilegui; e perciò non pur le forze dell’animo,
che
tutta quella del corpo atterra e quasi che spegne
n pur le forze dell’animo, che tutta quella del corpo atterra e quasi
che
spegne. Cadono le membra disciolte, le giunture d
olorate, gli occhi disposti a lagrimare o indirizzati verso l’oggetto
che
ci rattrista, o col guardo affiso alla terra, e c
affiso alla terra, e con la mente da quello tutta occupata. Tutto ciò
che
vede ed incontra, e che tenta distrarla, l’accres
la mente da quello tutta occupata. Tutto ciò che vede ed incontra, e
che
tenta distrarla, l’accresce e l’esaspera; quindi
l’azione di quello; ma ha l’odio fra tutti i tratti più note voli, di
che
pur le altre più o meno partecipano. In generale
llante la pupilla si nasconde in parte tra le palpebre, quasi temendo
che
si manifesti il secreto disegno dell’animo, e se
er le labbra illividite le parole escono masticate, aride, rotte. Più
che
altrove l’odio si dipinge nella guancia e negli o
ulla temerne, si accompagna pur con l’odio il disprezzo o l’orgoglio,
che
nascono e si rinforzano dalla certezza od opinion
isprezza, e un fiero e rapido sguardo gli si slancia appena di sopra,
che
tosto ripentito altrove il rivolge, e lo riguarda
eva siffattamente il petto, le spalle, il collo, la testa, le ciglia,
che
mostra quasi di non capire in se stesso, e di ess
na sfera superiore; perlocché ragiona ed incede con tal fidanza di sé
che
par nulla temer di quaggiù. Il Tasso lo ha tratte
situra, e massime dalla testa e dagli occhi. [7.25] Che se l’oggetto
che
si odia offre alcuno ostacolo all’acquisto del be
se l’oggetto che si odia offre alcuno ostacolo all’acquisto del bene
che
si desidera, o all’evasione del male che si teme,
tacolo all’acquisto del bene che si desidera, o all’evasione del male
che
si teme, e la sua forza è tale da potergli probab
e, allora sorge l’ira a nostra difesa ed a sua ruina, e cresce a tale
che
breve furore diventa. In breve essa pone l’uomo n
nda facies, depravantium se alque intumescentium. — Per tali modi par
che
l’ira sviluppi, accresca e metta a soqquadro tutt
a soqquadro tutte le forze interne e le parti esterne della persona,
che
ne è compresa ed agitata. Bolle il sangue ed erra
compresa ed agitata. Bolle il sangue ed erra precipitoso per le vene,
che
, gonfie, par che più non bastino a contenerlo; i
ta. Bolle il sangue ed erra precipitoso per le vene, che, gonfie, par
che
più non bastino a contenerlo; i nervi e le ossa s
la sua collera, si getta e si sfoga non pur su gli oggetti innocenti,
che
non hanno alcuna relazione con quello, ma ancora
le, e Sofocle nella persona di Oreste. Non si conosce altra passione,
che
nella sua espressione impieghi più di questa tutt
dell’ira quando del Cerbero rapidamente accennava: Non avea membro,
che
tenesse fermo. [7.26] Ma se le forze dell’obbie
li da non potersi superare probabilmente, allora si spiega il timore,
che
cresce a proporzione della grandezza e della vici
, che cresce a proporzione della grandezza e della vicinanza del male
che
si teme, e diventa terrore se il male è grave ed
i suoi modi, la sua lingua, i suoi gesti, e sì risentiti e sì propri,
che
si può l’una dall’altra agevolmente distinguere.
timore toglie ad imprestito molti tratti dalla tristezza. La persona,
che
ne è colpita, rimane abbattuta, e tutta come per
ede o si arresta immobile, od erra incerto e vacillante, come di uomo
che
tutto vorrebbe imprendere, e gli manchi la forza
a forza necessaria per eseguirlo. Saffo ne avea fatta la descrizione,
che
forse imitò Lucrezio in questa maniera: Ubi veem
rita, od in parte si cela; gonfia ed abbassa i muscoli verso il naso,
che
si contrae; scolora ed illividisce il viso, le la
colora ed illividisce il viso, le labbra, le orecchie; apre la bocca,
che
o immobile nulla articola, o manda interrottament
rinza ed abbassa molto le ciglia, spalanca le palpebre siffattamente,
che
la pupilla attonita non ne rimane coperta di sopr
on ne rimane coperta di sopra, ed apre la bocca più verso gli angoli,
che
nel mezzo, per cui compariscono i denti, ed al pa
e, Cangiar colore, e dibattero i denti, Ratto
che
‘nteser le parole crude. Bestemmiavano Iddio, e i
Di lor semenza e di lor nascimenti ecc. [7.29] Ma, più
che
altrove, egli ha descritto lo sviluppo di questa
role, i suoi moti, tutto in lui annunzia ed esprime: Disperato dolor
che
il cor gli preme. [7.30] Mentre ode i suoi figl
imprigionati, e li guarda in viso senza far motto, e tanto impietra,
che
mentre quelli piangono, egli immobile punto non p
bile punto non piange; né perché gli chiegga il suo amato Anselmuccio
che
si abbia, gli risponde tutto quel giorno, né la n
cieco a brancolar sovra ciascuno, E tre dì li chiamò poi
che
fur morti: Poscia più che ‘1 dolor po
E tre dì li chiamò poi che fur morti: Poscia più
che
‘1 dolor poté il digiuno. Quando ebbe detto ciò c
iguarda appena di traverso e di furto, e rimanendo immobile non sa in
che
modo tenersi. Le guance intanto si arrossano, e c
ie crudeli e da luride larve inseguita, spaventata da voce terribile,
che
grida da per tutto vendetta, incede atterrita sop
estra, Semiramide e Zopiro. [7.34] Forse di tutte le passioni quella
che
soffre e dispiega più forme varie, diverse e cont
ie è la gelosia. Essa cangia e si altera ad ogni istante, sicché pare
che
non abbia un abito proprio, ond’essere costanteme
una copia nel suo Orosmane. [7.35] Tutte queste specie di passioni,
che
abbiamo finora tratteggiato, ci mostrano chiarame
nte come nel loro sviluppo e ne’ loro eccessi non ad altro intendono,
che
ad esprimere i loro effetti necessari, o a diping
un tempo secondo l’indole e la destinazione rispettiva degli organi,
che
dalla stessa passione variamente si adoprano. Noi
’occhio? La differenza è per l’ordinario sì picciola e sì sfuggevole,
che
o non si potrebbe distinguere, od anche distinta
allo stesso modo e con la stessa legge si esprimono; e quell’analisi,
che
delle precedenti abbiam fatta, e l’applicazione d
iamo e dobbiam fare a tutte quelle altre loro specie o modificazioni,
che
abbiamo omesse. Egli è perciò necessario il conti
iò necessario il continuare questo genere di osservazione e di studio
che
solo può fornirci la cognizione più estesa ed esa
stintivo e sensibile di ciascuna passione, e dell’espressione propria
che
le conviene. Ed a quest’uopo riserberemo le segue
tti i loro fenomeni. In tale studio noi troviamo assai più la ragione
che
le osservazioni di fatti, ancorché l’una dall’alt
vi ricerca principalmente que’ modelli caratteristici delle passioni
che
non sono se non i fatti particolari ed universali
. Ma questo non basta all’esercizio dell’arte sua. Egli debbe, il più
che
può, particolareggiare e individualizzare gli ogg
rvazioni particolari per trascegliere e dipingere quelle fra le altre
che
meglio al fine dell’arte sua corrispondono. [8.2]
ura, o togliere da questo quei tratti particolari nuovi ed originali,
che
qualunque altro studio non potrebbe in verun cont
riusciti eccellenti nell’arte loro. [8.3] Leonardo da Vinci, secondo
che
ne certifica G. P. Lomasco, “non faceva moto in f
, secondo che ne certifica G. P. Lomasco, “non faceva moto in figura,
che
prima non lo volesse vedere nel vivo. Egli si dil
i e della vita. Ad imitazion del quale stimerei cosa espedientissima,
che
il pittore si dilettasse di vedere fare alle pugn
emmine di mondo, per farsi istrutto di tutti i particolari”. Si narra
che
il marchese di Siveri napoletano, il quale intend
napoletano, il quale intendeva assai meglio l’arte di rappresentare,
che
quella di comporre le sue commedie, e che per l’o
io l’arte di rappresentare, che quella di comporre le sue commedie, e
che
per l’ordinario sacrificava all’interesse delle r
n metodo. Perché riesca efficace e profittevole è necessario in prima
che
si trascelgano quegli originali, che più fra gli
ofittevole è necessario in prima che si trascelgano quegli originali,
che
più fra gli altri si prestano alle mire e al dise
la voce, per la forza e le belle proporzioni del corpo. [8.5] Quello
che
più Socrate diceva degli Ateniesi fra gli antichi
oghi le sue teoriche. Fra gli europei è certamente il francese quello
che
più si accosta all’italiano; ma spesso l’arte e l
e la forza esente di sforzo, dell’altro. I viaggiatori ci assicurano,
che
nel viso degli Ottaiti le affezioni si esprimono
nel viso degli Ottaiti le affezioni si esprimono assai più vivamente
che
su le nostre fisonomie europee. [8.6] Ma non bast
e qual’è. Lo stato ordinario dell’uomo non presenta di tali fenomeni,
che
sono gli effetti d’impressioni e di bisogni non o
ogni non ordinarî. Ove questi per avventura lo assalgono, la passione
che
giaceva come addormentata o poco sensibile, tutta
a in certe persone alcuni organi difettosi o non abbastanza perfetti,
che
perciò non possono interamente prestarsi a tutta
perciò non possono interamente prestarsi a tutta servire la passione
che
li comanda. Allora l’espressione o per difetto o
nuocere egualmente all’espressione e la poca e la troppo sensibilità,
che
la renderebbe o fredda o convulsiva. Tante altre
ed anche contrarie, sono così vicine e facili a scambiarsi fra loro,
che
spesso nostro malgrado, o per vizio dell’organo,
e alcuna volta su la tastiera del piano forte alla mano del sonatore,
che
non è abbastanza esercitata e sicura. Descartes a
del pianto è vicino a quello del riso, e si è detto di Michelangelo,
che
con un semplice tratto di pennello trasformasse u
il quale chiedendo l’elemosina componeva siffattamente la fìsonomia,
che
, volendo eccitare la compassione, eccitava il ris
anizzata e disposta, viene alterata e guasta dall’instituzione. Ond’è
che
l’influenza di certe opinioni e di certi costumi
contrasta e stempera siffattamente l’espressione di alcune passioni,
che
queste o non si manifestano affatto, od appena si
più debile e incerta, o mascherata e fallace. Quindi certe passioni,
che
nella prima erano tutte spiegate, vivaci e sincer
elare e mentire l’odio, il timore e qualunque altra simile affezione,
che
sarebbe imprudente o poco dicevole il far trapela
o poco dicevole il far trapelare, e di non dar luogo a quelle altre,
che
alla pietà ed alla benevolenza appartengono. Allo
he alla pietà ed alla benevolenza appartengono. Allora l’espressione,
che
a tali passioni si riferisce, è fredda per se ste
ch’è peggio, mentita e falsa per arte. E perciò si è detto più volte,
che
, anziché i grandi, i cortigiani e le persone form
i selvaggi, i popoli, ch’è quanto dire le persone semplici e incolte,
che
sono i modelli più sinceri, in cui può e dee stud
e delle passioni. [8.9] E perché non si abusi di tale considerazione,
che
, presa troppo assolutamente, potrebbe riuscire in
olutamente, potrebbe riuscire inesatta e male applicata, è da notarsi
che
certe passioni si modificano secondo le circostan
in un paese, in certe persone domina piuttosto una maniera di sentire
che
un’altra. Per la qualcosa una certa specie di pas
certo grado si riguarda come più propria di una certa epoca o stato,
che
più propinguo alla natura si reputa; e così altre
così altre specie e gradi, ad altre epoche o stati si attribuiscono,
che
da questa prima vieppiù si allontanano. Quando ad
alterata e corrotta noi intendiamo di riferire l’una epoca all’altra,
che
tutte egualmente alla natura più o meno spiegata
ervare eziandio e paragonare tutte l’epoche, e dare a ciascuna quello
che
le conviene di proprio. [8.10] Risulta quindi ch
a ciascuna quello che le conviene di proprio. [8.10] Risulta quindi
che
le passioni e l’espressione de’ nostri grandi non
consiste adunque nel ricercare e supporre negli uni quella passione,
che
o non conoscono, o non esprimono intera, e che gl
i uni quella passione, che o non conoscono, o non esprimono intera, e
che
gli altri fortemente sentivano ed apertamente spi
e tutta nell’espressione si manifesta. Con tali massime noi crediamo
che
si debbano studiare utilmente i modelli originali
l’individuo conveniente, per raccoglierne quelle utili osservazioni,
che
all’intera espressione delle grandi passioni appa
quali modelli di espressione non ci presentano a contemplare? Quello
che
io dico della pittura dee dirsi egualmente della
numenti ci fosser mancati, noi possediamo oramai le opere del Canova,
che
hanno tutto dell’antico, fuorché l’età. [8.13] Q
ché l’età. [8.13] Quanto più tale statue vagheggi e contempli, credi
che
si movano e parlino, e ti sembrano quasi animate.
movano e parlino, e ti sembrano quasi animate. Esse ti mostrano quel
che
sentono, o piuttosto quel che sentiva l’artefice
no quasi animate. Esse ti mostrano quel che sentono, o piuttosto quel
che
sentiva l’artefice allorché vi trasfuse per anima
l’anima sua. La favola di Pigmalione simboleggia l’effetto verissimo
che
dee produrre la contemplazione di sì maravigliosi
l Tasso, fra i moderni, infiniti modelli ci somministrano di passioni
che
hanno veramente esistito, o che sono state artifi
modelli ci somministrano di passioni che hanno veramente esistito, o
che
sono state artificialmente ideate. Noi ne abbiamo
ligente non dee cessare dal raccogliere e meditare tali osservazioni,
che
sono tanto più interessanti quanto più sono rare
gilio su la morte di Didone, quale esempio efficacissimo agli attori,
che
si trovassero in simile situazione. Ma quanti non
descrizione di alcune parti dell’espressione, conforme i mezzi propri
che
adopera ciascuna arte. Lo scultore col mezzo di c
la tinta, l’accento e il corredo di quelle altre circostanze esterne,
che
concorrono a renderle più verisimili. [8.16] Non
n può neppure egli adoprar tutti i contorni e i rilievi delle figure,
che
adopera lo statuario. Quindi l’uno e l’altro con
uario. Quindi l’uno e l’altro con le forme reali e più o meno simili,
che
possono mettere in opera, ci obbligano ad immagin
ossono mettere in opera, ci obbligano ad immaginare e supporre quelli
che
realmente vi mancano. Oltre che per quanto perfet
igano ad immaginare e supporre quelli che realmente vi mancano. Oltre
che
per quanto perfetta riesca la loro espressione, e
; sostituendo però i segni vocali ed arbitrari a tutti i mezzi reali,
che
gli altri artisti adoprano in parte, e di cui ess
ti adoprano in parte, e di cui essi mancano affatto. Ma la sola arte,
che
tutti tali mezzi simultaneamente e successivament
i per apprenderne l’azione più eloquente e più propria. Io non dubito
che
gli antichi artisti si giovassero gli uni degli a
il viso di Agamennone nel quadro del sacrificio di Ifigenia; ma quel
che
è certo si è che i poeti e gli attori hanno ripet
nnone nel quadro del sacrificio di Ifigenia; ma quel che è certo si è
che
i poeti e gli attori hanno ripetuto più volte la
medesima espressione. [8.19] Possiamo dunque sicuramente conchiudere
che
non solo dai modelli della natura, ma eziandio da
ti dell’arte possiamo e dobbiamo raccogliere moltissime osservazioni,
che
l’indole, lo sviluppo e gli effetti delle passion
orta un paragone, ed una ragione da preferire l’uno o l’altro oggetto
che
voglia imitarsi; e si è detto e si dice comunemen
altro oggetto che voglia imitarsi; e si è detto e si dice comunemente
che
l’artista non isceglie ed imita, che la bella nat
si è detto e si dice comunemente che l’artista non isceglie ed imita,
che
la bella natura. Or qual è questo bello? ed in ch
isceglie ed imita, che la bella natura. Or qual è questo bello? ed in
che
veramente consiste? [9.2] In generale, niuna cosa
è quale debb’essere; e sarebbe sconcia ed impropria quella sola cosa
che
s’immaginasse tutt’altra ch’essa non è nella mede
ggi particolari, e prescindendo dal concorso delle altre circostanze,
che
ordinariamente impediscono l’intero adempimento d
ossia l’intero sviluppamento delle forze e facoltà di questi esseri,
che
a tali generi o specie appartengono, noi distingu
onflitto degli altri esseri cooperanti risultano quindi certi difetti
che
si notano in alcune opere della natura; ed ancorc
te l’uno più bello e perfetto dell’altro. [9.4] Fra tutti gli esseri
che
più o meno corrispondono ai loro fini, e che sono
.4] Fra tutti gli esseri che più o meno corrispondono ai loro fini, e
che
sono più o meno belli e perfetti dei loro simili,
i presentano una percezione od immagine, sia semplice, sia complessa,
che
non mai si presenta scompagnata dalla sensazione
salmente piacciono ed interessano. E questo genere di esseri è quello
che
suol dirsi la bella natura, che gli artisti ordin
o. E questo genere di esseri è quello che suol dirsi la bella natura,
che
gli artisti ordinariamente vagheggiano e imitano,
a bella natura, che gli artisti ordinariamente vagheggiano e imitano,
che
in tutti i tempi ed in tutti i luoghi apparisce c
gli oggetti della natura più o meno complessi, quelli interessano più
che
hanno più elementi atti a produrre insieme lo ste
re insieme lo stesso piacere. E limitandoci all’espressione patetica,
che
è l’oggetto delle arti imitative, e prescindendo
i l’espressione si aggiunge, ed a quella particolarmente attenendoci,
che
dall’espressione unicamente dipende, io dico che
armente attenendoci, che dall’espressione unicamente dipende, io dico
che
a renderla bella possono, anzi debbono concorrere
ncezza dell’espressione. Noi veggiamo sovente delle donne vaghissime,
che
appena si movano o par lino perdono tosto l’incan
, rendono gratissima la loro espressione per l’armonia degli elementi
che
la compongono. Tale era l’espressione di Laura se
un andar grave, Un parlar sì benigno e sì modesto, Che parea Gabriel
che
dicesse: ave. [9.7] Allorché Garrick diceva di
cesse: ave. [9.7] Allorché Garrick diceva di quell’attore francese,
che
rappresentando la parte di un ubbriaco, che non a
di quell’attore francese, che rappresentando la parte di un ubbriaco,
che
non aveva ubbriache le gambe come tutto il resto
ache le gambe come tutto il resto della persona, intendeva di notare,
che
l’azione di lui non era del tutto eguale, conform
o debbono corrispondere alla stessa azione, talché anche quella parte
che
si riposa, o si tace rispetto alle altre, non ces
i e ciascuno impiegano tutte le loro facoltà per manifestarci quello,
che
altrimenti rimarrebbe oscuro ed incerto. Quindi d
videnza del suo significato, e la facilità della nostra intelligenza,
che
accrescono il nostro diletto, quanto più chiarame
ed agevolmente ci si presenta l’oggetto, a cui serve l’espressione. A
che
gioverebbe l’accordo più armonico, se poco o null
accordo più armonico, se poco o nulla significasse? La stessa armonia
che
pur ci diletta, e comprende molto apparecchio e m
ù c’interessa e diletta, quanto più c’interessa l’obbietto invisibile
che
ci presenta. Alcune affezioni dell’animo sono più
mo sono più belle, perché più nobili e generose. Quindi l’espressioni
che
vi corrispondono diventano belle del pari, perché
la differenza del loro significato, ch’è più interessante nelle prime
che
nelle seconde. L’ira di Achille ci piace dunque a
e prime che nelle seconde. L’ira di Achille ci piace dunque assai più
che
l’ira di Tersite; e perciò le attitudini ch’espri
e attitudini ch’esprimono quella specie d’ira, ci piacciono ancor più
che
le altre. Così un’espressione di dolore, di timor
espressione di dolore, di timore, di gioja ecc., diletta più nell’uno
che
nell’altro, e più in questo che in quel momento,
, di gioja ecc., diletta più nell’uno che nell’altro, e più in questo
che
in quel momento, e più a questo che a quell’uso,
o che nell’altro, e più in questo che in quel momento, e più a questo
che
a quell’uso, perché l’effetto, il fine e il signi
ne e il significato dell’uno è più generoso, magnanimo e interessante
che
quello dell’altro. [9.9] Io reputo questa, se no
teressavano tanto negli spettacoli dei gladiatori, applaudendo quelli
che
dignitosamente soccombessero, e diridendo quegli
do quelli che dignitosamente soccombessero, e diridendo quegli altri,
che
non soccombesser del pari. Essi deridevano non gi
re spirando a pié della statua di Pompeo, quel prendere un’attitudine
che
indicasse il contegno forse superiore di chi socc
contegno forse superiore di chi soccombe, ci offrirebbe un carattere
che
meriti l’ammirazione e gli applausi degli spettat
erché il dolore di Ajace, di Filottete e di Ercole ci piace assai più
che
quello di qualunque altro, che non esprimesse una
lottete e di Ercole ci piace assai più che quello di qualunque altro,
che
non esprimesse una forza di carattere equivalente
ui serve, hanno raccolto e notato certi accidenti e modi particolari,
che
in certi casi riuscivano belli e dilettevoli, e c
modi particolari, che in certi casi riuscivano belli e dilettevoli, e
che
originalmente appartengono alla figura della pers
artengono alla figura della persona, o a qualche passione particolare
che
li determina. Quindi il bello dell’espressione fu
limitato all’effetto di certe linee e di certi moti piuttosto curvi,
che
retti, piuttosto orizzontali e dolcemente ondolan
tosto curvi, che retti, piuttosto orizzontali e dolcemente ondolanti,
che
perpendicolari e bruscamente interrotti. [9.11]
ano e sformavano l’espressione, condannandola a prendere certe forme,
che
se sono vere, convenevoli e belle in certi incont
non può prendere se non sempre quella direzione, attitudine o forma,
che
sono le più efficaci ed acconce a conseguire il s
mente la persona, ed incurvare lievemente le braccia verso l’obbietto
che
si desidera, perché intendiamo di assimilarci ed
menti ed attitudini sarebbero riprovevoli nel terrore e nell’ira, sia
che
fuggiamo od assalghiamo l’obbietto abborrito e te
iù brevi, ed anche i retti o curvi, gli orizzontali o perpendicolari,
che
sono più adatti e necessari a conseguire l’intent
naccia o ascolta, si trasforma in quelle attitudini aspre e violenti,
che
sono dall’impeto suggerite. [9.14] Parimente l’es
re della passione, alla quale si riferisce. Quindi errano pur coloro,
che
il carattere del bello da certe forme e movimenti
ziosi, morbidi ed eleganti fanno dipendere, i quali sono allor belli,
che
convengono alla passione a cui si rapportano. Ond
allor belli, che convengono alla passione a cui si rapportano. Ond’è
che
ove questa li richiedesse aspri, crudi, veementi
mente od impropriamente non esprimere più o meno la natura di quella,
che
li produce. Che se ancora in tali passioni forti
cora in tali passioni forti e violenti noi amiamo quelle espressioni,
che
ritengono pure dell’elegante, del grazioso, del m
ogo al carattere della persona, ci richiama tali affezioni pregevoli,
che
malgrado la passione dominante e diversa, che non
li affezioni pregevoli, che malgrado la passione dominante e diversa,
che
non può del tutto distruggere, ci rendono l’espre
ssione ripete di nuovo il suo interesse e il suo bello dalla passione
che
imita. [9.15] Dalle considerazioni già fatte noi
he imita. [9.15] Dalle considerazioni già fatte noi possiamo dedurre,
che
il bello naturale dell’espressione consiste nella
tti, s’ella è vera, e perciò corrispondente veracemente alla passione
che
annunzia, tutti gli organi debbono corrispondere
tro, e formare uno stesso disegno. E ciò riguarda non pure la qualità
che
la quantità dell’espressione; per cui essa nelle
; per cui essa nelle parti e nel tutto debba essere non pure analoga,
che
proporzionata alla sua cagione; e perciò esclude
dire, ch’ella debb’essere tale e tanta, quale e quanta è la passione
che
la produce e determina. Bello e vero sono in tal
i; e questo bello prende forza e vigore dall’importanza dell’obbietto
che
espone ed imita. Quindi l’espressione sarà più be
i l’espressione sarà più bella quando è più importante il significato
che
imita, e più veraci i mezzi che adopera a questi
uando è più importante il significato che imita, e più veraci i mezzi
che
adopera a questi fini. Capitolo X. Bello de
ne artificiale. — Spontaneità. [10.1] Questa espressione naturale,
che
c’interessa e diletta in tanti modelli della natu
e diletta in tanti modelli della natura e dell’arte, è appunto quella
che
l’artista si studia di trascegliere, o di ripeter
ssai più belli ed interessanti. [10.2] Sia il confronto delle parti,
che
il bello naturale costituiscono, e per cui a quel
to delle parti, che il bello naturale costituiscono, e per cui a quel
che
meno diletta nel complesso di alcune, si sostitui
quel che meno diletta nel complesso di alcune, si sostituisce quello
che
diletta più nel complesso di altre; sia la virtù
plesso di altre; sia la virtù di certe facoltà o ferme intellettuali,
che
la producono e la determinano; sia piuttosto e pi
il meglio, e dal meglio l’ottimo, o quella sorte di meglio possibile,
che
dietro ogni bene attuale s’immagina e si desidera
dietro ogni bene attuale s’immagina e si desidera; egli è certissimo
che
l’uomo, osservando e raccogliendo il bello della
della natura le paragona. In questa maniera dalle tante osservazioni
che
fa l’artista sul vero si forma un mondo ideale, c
ante osservazioni che fa l’artista sul vero si forma un mondo ideale,
che
mentre è verisimile, perché sul reale formato, è
ideale dee pur cercare l’espressione, il suo tipo. [10.3] Pare dunque
che
un tal tipo altro non sia che un estratto del ver
ssione, il suo tipo. [10.3] Pare dunque che un tal tipo altro non sia
che
un estratto del vero della natura combinato col p
tratto del vero della natura combinato col probabile e col possibile,
che
meglio servono al fine dell’arte. Il migliorar la
al fine dell’arte. Il migliorar la natura non può in altro consistere
che
in accrescerne e disvilupparne le forze ordinarie
i più risentiti, maravigliosi ed interessanti non pur nell’intensità,
che
nella durata. In questo modo si sono formati i ca
un livello superiore, e purificandoli da quegli elementi eterogenei,
che
con quelli per l’ordinario si mescono e si confon
e di perfezione immaginata e artificiale tanto più ci diletta, quanto
che
rappresentando il vero sotto la forma del verisim
ero sotto la forma del verisimile ci rappresenta ad un tempo il nuovo
che
diletta pur sempre, ed il nostro miglioramento, c
un tempo il nuovo che diletta pur sempre, ed il nostro miglioramento,
che
pur tanto lusinga il nostro amor proprio. Pare du
lioramento, che pur tanto lusinga il nostro amor proprio. Pare dunque
che
il tipo del bello artificiale altro non sia che u
proprio. Pare dunque che il tipo del bello artificiale altro non sia
che
un estratto del vero della natura combinato col p
tratto del vero della natura combinato col probabile e col possibile,
che
più interessi e diletti. Ma perché questo tipo ab
l tipo reale, se non quanto il comporti il possibile ed il probabile,
che
più giovi all’indole ed al fine dell’arte. Il per
sia l’obbietto, il carattere e il grado dell’espressione complessiva,
che
ciascuna arte vuole imitare, e specialmente la de
sta convenevolezza del tipo concepito e della sua esecuzione col fine
che
si propongono risulterà la convenevolezza, la pro
onvenevolezza, la proprietà ed il bello artificiale dell’espressione,
che
la declamazione richiede. [10.5] La pittura, la
dosi di segni successivi ed arbitrari, imita principalmente le azioni
che
nel tempo via via si succedono; e se tenta descri
po via via si succedono; e se tenta descrivere la bellezza dei corpi,
che
nel simultaneo complesso di più elementi consiste
rocura di ottenere il suo intento, più dagli effetti ch’essa produce,
che
dalla rappresentazione o piuttosto descrizione su
ppresentazione o piuttosto descrizione successiva di quegli elementi,
che
complessivamente la costituiscono. Quindi è la di
vamente la costituiscono. Quindi è la differenza dei tipi obbiettivi,
che
questa e quelle si formano, idealizzando, per ser
forza maggiore della poesia essa non giunge a presentare gli oggetti
che
descrive, ma ne risveglia le immagini. [10.7] Co
meno imitando, non tutte egualmente possono esprimere quel verosimile
che
si propongono, sì che al tipo originale adeguatam
te egualmente possono esprimere quel verosimile che si propongono, sì
che
al tipo originale adeguatamente rispondano. [10.
e e la persona imitata. Di là nasce quella sorta o grado d’illusione,
che
ci fa prendere il verisimile e l’ideale pel vero
cché per mezzo di questa ne richiamino pure qualche altra invisibile,
che
con quella più o meno probabilmente si associi; e
ndi si valgono di segni o naturali o arbitrari per avvicinarsi il più
che
possono al tipo loro. Il tipo adunque della decla
onfonde ed immedesima nell’esecuzione; e di essa può, anzi dee dirsi,
che
cerca o verifica il tipo medesimo che preconcepis
e di essa può, anzi dee dirsi, che cerca o verifica il tipo medesimo
che
preconcepisce. [10.9] In questa intrinseca diffe
ferenza delle arti imitative sta la ragion vera, perché talvolta quel
che
può imitarsi e piace imitato dall’una, o non può
sorta di illusione esclude ogni ombra d’impossibile e d’improbabile,
che
immantinente l’annienterebbe. Se tutto il magiste
ressione sarebbe allora in contrasto con l’oggetto e con se medesima,
che
è quanto dire, assurda e ridicola. E qui non inte
rda e ridicola. E qui non intendo solo di quel probabile e possibile,
che
tutte le belle arti richiedono, ma bensì di quel
ibile, che tutte le belle arti richiedono, ma bensì di quel relativo,
che
propriamente alla declamazione appartiene in part
artiene in particolare. V’ha di certi incontri e di certe attitudini,
che
possono convenevolmente descriversi dalla poesia,
ualmente esprimersi dalla declamazione senza distruggere l’illusione,
che
vuol produrre. Essi non sono per sé improbabili e
ma riescono quasi tali per la differenza di eseguirli con quei mezzi,
che
dalla declamazione si adoperano. Tali obbietti no
o di Laocoonte? Come alcuni scorci, o morti, o accidenti stranissimi,
che
fanno il merito di alcuni quadri di Michelangelo,
gelo, di Raffaello, del Vinci? Secondariamente v’ha di certi obbietti
che
, riguardati nel vero o troppo da presso, sia per
di queste, diminuiscono più o meno tale impressione ingrata a misura
che
l’imitazione o la copia si va allontanando dal ti
a scultura e dalla statuaria, le quali per certi riguardi possono più
che
la pittura imitare il reale ed il vero. Or massim
rci e quasi verificare l’oggetto imitato. E perciò certe espressioni,
che
più o meno ci dilettano ed interessano descritti,
usione medesima riprodurrebbe l’effetto di quella sensazione ingrata,
che
il vero in tal caso produce, e che le arti debbon
etto di quella sensazione ingrata, che il vero in tal caso produce, e
che
le arti debbono prudentemente sfuggire. [10.10]
le arti debbono prudentemente sfuggire. [10.10] Par dunque manifesto
che
la declamazione non debba imitar tutti quegli obb
nte pel loro significato, e quindi respingere quel grado d’illusione,
che
il fine e il bello dell’arte costituisce. Promete
e. Prometeo, a cui un avoltoio rode tranquillamente le viscere, Medea
che
trucida i suoi figli, Oreste che assassina la mad
de tranquillamente le viscere, Medea che trucida i suoi figli, Oreste
che
assassina la madre, Edipo che si strappa gli occh
Medea che trucida i suoi figli, Oreste che assassina la madre, Edipo
che
si strappa gli occhi ecc., ci urterebbero di sove
utto dal dispiacere della verità. Parimente queste stesse attitudini,
che
possono facilmente imitarsi, non debbono essere s
esentano passioni per sé ignobili, disgustevoli. Le Furie di Eschilo,
che
fecero sconciare più donne incinte, dovettero un
, dovettero un tale sconcio alla troppo viva espressione degli attori
che
le rappresentavano. Siffatte espressioni, ancorch
erdono il loro effetto imitato dall’attore, perocché il senso ingrato
che
in noi risvegliano tende a respingerci e distorna
tornarci da quella vista, o ci scuote e ci fa combattere l’illusione,
che
lo produce per riconfortarci con l’idea del falso
e ostendis mihi sic, incredulus odi ecc.. [10.11] E qui pur si noti,
che
per gli stessi principî, quell’espressione, ch’es
la declamazione, dove diventi passaggiera e si confonda con le altre,
che
successivamente la temperano e l’addolciscono. Es
iacevoli e alla lunga insoffribili, accomunati e temperati con quelli
che
precedono e seguono, servono anzi ad accrescerne
no anzi ad accrescerne la varietà e l’armonia, e fanno anch’essi quel
che
nella musica vocale e strumentale, le dissonanze.
e. Il perché se l’attore non può, né dee tutte imitare l’espressioni,
che
descrive il poeta, può, e dee felicemente imitare
che descrive il poeta, può, e dee felicemente imitare molte di quelle
che
sfuggono lo scultore ed il pittore. [10.12] Diff
on dilettare ed anche spiacere; siccome ciò dipende dalle impressioni
che
ordinariamente fanno negli uomini, e queste impre
ione e l’istituzione. E spesso questi elementi esercitano tanta forza
che
sensibilmente si cangia fra le nazioni ed i secol
d i secoli il senso e l’idea del gusto, del bello e delle arti; ond’è
che
alla prima una seconda natura viene quasi a sosti
la prima una seconda natura viene quasi a sostituirsi. Io dico dunque
che
ogni artista, e l’attore principalmente, dee risp
nione e l’uso predominante della nazione del secolo, ma in guisa però
che
la prima natura venga abbellita e migliorata, e n
ma. Ed in caso di conflitto giova sempre piegar piuttosto dalla prima
che
dalla seconda. Dalle precedenti considerazioni io
iderazioni io raccolgo l’idea più propria del bello dell’espressione,
che
alla declamazione appartiene. Ella comprende la b
a. Il suo carattere distintivo sarebbe dunque la sua verisimiglianza,
che
non potrebbe verificarsi senza la coesistenza deg
, ei non può altronde ritrarre il vero modello della sua espressione,
che
dalla mente del poeta che lo ha concepito. Il per
arre il vero modello della sua espressione, che dalla mente del poeta
che
lo ha concepito. Il perché tutto il carattere e l
ricavarsi; e l’attore per tal rispetto non è, né debb’essere, se non
che
l’interprete fedele, ed il cieco esecutore del ti
eco esecutore del tipo di quello, sicché la sua imitazione non ne sia
che
una pretta ripetizione. E perciò sarebbe sconcio
are all’espressione sia totale, sia parziale una qualità ed una forza
che
all’idea dell’autore ed al senso della parola non
corrispondessero, o tradissero il senso e la correlazione di quella,
che
precedessero o susseguissero. Ma è la natura o l’
sero. Ma è la natura o l’arte, o l’una e l’altra insieme, o più l’una
che
l’altra che produce un tal magistero? Io passerò
a natura o l’arte, o l’una e l’altra insieme, o più l’una che l’altra
che
produce un tal magistero? Io passerò a questa dis
ero? Io passerò a questa disamina donde tali idee potrem raccogliere,
che
gioveranno ancor più a determinare praticamente i
rcizio di questi due doveri tutta sta la perfezione pratica dell’arte
che
si vuol professare. È perciò necessaria la conven
e ove questi la obbediscono ciecamente non fanno sempre quell’effetto
che
far dovrebbero. Cicerone, fra gli altri, avea not
ra gli altri, avea notato nell’ordine degl’oratori questa distinzione
che
i confini o l’impero dell’arte e della natura vol
zione, e con lo studio e con l’artifìcio più squisito, manca un certo
che
, che dà l’anima e la vita all’espressione. Tale e
, e con lo studio e con l’artifìcio più squisito, manca un certo che,
che
dà l’anima e la vita all’espressione. Tale era l’
che, che dà l’anima e la vita all’espressione. Tale era l’espressione
che
Socrate trovava nelle statue di Clitone prive di
te il moto successivo e la voce; esse avrebbero sempre mancato di ciò
che
nelle sue desiderava Pigmalione, ch’è quanto dire
tare co’ loro movimenti, ma non mai di sentire, e di far sentire quel
che
sentono. Or quanti attori ci appariscono tali? Se
uanti attori ci appariscono tali? Se la Clairon non ha esagerato quel
che
ella notava delle sue scolare [11.4] Dubois e Ra
ent de la nature, je n’en ai jamais pu faire que mes singes. Quindi è
che
le più belle espressioni originali nell’uno, ripe
, infeconde, prive di effetto. [11.5] Questo carattere di originalità
che
si vuol dare all’espressione, par che consiste ne
Questo carattere di originalità che si vuol dare all’espressione, par
che
consiste nell’identificarsi della persona nel tip
ne, par che consiste nell’identificarsi della persona nel tipo ideale
che
vuole verificare, sicché non paia di semplicement
ogno e le circostanze, prendeva i costumi, le attitudini e le maniere
che
più gli tornassero in acconcio. [11.6] Quel che
itudini e le maniere che più gli tornassero in acconcio. [11.6] Quel
che
si è detto di Vertunno e di Proteo dovrebbe verif
to di Vertunno e di Proteo dovrebbe verificarsi da ogni abile attore,
che
dovesse prender le forme di tutti quei caratteri,
i abile attore, che dovesse prender le forme di tutti quei caratteri,
che
volesse o dovesse imitare. E perciò si attribuiva
sse o dovesse imitare. E perciò si attribuivano più anime a quel mimo
che
solo rappresentava una favola di cinque persone.
pone tale disposizione nel cervello, nel cuore e negli organi esterni
che
ne dipendono, che appena il cervello concepisce l
ione nel cervello, nel cuore e negli organi esterni che ne dipendono,
che
appena il cervello concepisce l’evidenza del tipo
o concepisce l’evidenza del tipo, il cuore lo dimostra siffattamente,
che
tutto, quale e quanto è, dagli organi esterni si
to è, dagli organi esterni si esprime. Io chiamo questa disposizione,
che
nell’organizzazione interna ed esterna consiste,
eità tutta la persona s’investe di quelle forme, e diventa tutt’altra
che
prima non era, e un nuovo spirito in sé speriment
ta tutt’altra che prima non era, e un nuovo spirito in sé sperimenta,
che
al di dentro vivamente agitandola si diffonde pur
uanti gli stanno presenti pur si comunica. Ed è questo quello spirito
che
per gli effetti straordinari che esso produce in
comunica. Ed è questo quello spirito che per gli effetti straordinari
che
esso produce in chi lo possiede, suole chiamarsi
e in chi lo possiede, suole chiamarsi genio, entusiasmo, trasporto, e
che
sotto forme diverse ora ammonisce Socrate sotto n
immagine di fuoco o di tal altro specioso fenomeno; ed era pur quello
che
ha sempre animato i grandi artisti, e che animava
fenomeno; ed era pur quello che ha sempre animato i grandi artisti, e
che
animava i Baron, i Le Kain ed i Garrick. [11.8]
in ed i Garrick. [11.8] Esso ha tutti i segni di un fuoco elettrico,
che
subitamente si sveglia nell’animo dell’artista, e
umano, e si annunzia per mezzo di un certo palpito e fremito interno,
che
pur conturba e diletta, e quindi si trasporta ne’
li, a modificarsi con lui secondo quella forma archetipa ed esemplare
che
ha preso nella sua origine. Quindi sono quei trat
preso nella sua origine. Quindi sono quei tratti di luce e di fuoco,
che
per la loro evidenza ed efficacità sorprendono, a
à sorprendono, atterriscono e violentemente travolgono chi li riceve,
che
è l’effetto ordinario del bello congiunto al subl
ogno, e si rinnovano i fenomeni degli Abderiti, e di quell’illusione,
che
è l’effetto prodigioso dell’arte. [11.10] Gli ef
el cielo. Ed essa certamente suppone in chi la possiede tali facoltà,
che
per non esser comuni a’ più, né facili ad apprend
a’ più, né facili ad apprendersi da molti, sembrano piuttosto innate
che
acquisite. E questa opinione, che confermavano og
da molti, sembrano piuttosto innate che acquisite. E questa opinione,
che
confermavano ognor più le difficoltà dell’arte e
o modo si trascurò e degradò l’arte, la quale non era né dovea essere
che
la natura medesima, quantunque si voglia ben disp
iamo dunque di esaminare, se l’arte o la natura soltanto, o più l’una
che
l’altra sia utile e necessaria all’artista, quist
o più l’una che l’altra sia utile e necessaria all’artista, quistione
che
si offre soltanto a chi non sa definirne lo stato
i offre soltanto a chi non sa definirne lo stato; e supponondo invece
che
la natura non avesse negato all’attore quelle qua
ndo invece che la natura non avesse negato all’attore quelle qualità,
che
l’arte preliminarmente richiede, mostriamo con pi
à, che l’arte preliminarmente richiede, mostriamo con più profitto in
che
modo l’arte medesima possa e deggia svilupparle,
ggia svilupparle, adoperarle e perfezionarle. [11.11] Io dico dunque
che
l’arte, presa nel suo vero senso, concorre anch’e
o vero senso, concorre anch’essa a sviluppare e dirigere quella virtù
che
sembra dipender meno da lei. Essa la desta e l’al
sopita e debole, e, fortificandola, le fa vincere gli stessi ostacoli
che
le si opponevano o l’ingombravano: pur la signore
l’ingombravano: pur la signoreggia e governa, poiché è svegliata; sì
che
l’arte medesima par tante volte che trionfi della
e governa, poiché è svegliata; sì che l’arte medesima par tante volte
che
trionfi della natura. Così colui che parea fatto
l’arte medesima par tante volte che trionfi della natura. Così colui
che
parea fatto tutt’altro dalla natura, tutte ne sup
si a concepire, a sentire ed esprimere quelle idee e quei sentimenti,
che
sono il soggetto dell’arte sua. Il perché bisogna
quelle, in cui vengono tratteggiate le grandi passioni siffattamente,
che
non puoi non restarne fortemente commosso leggend
temente commosso leggendole, e sì t’interessano come se gli accidenti
che
ti presentano fossero veri, ed anzi più o meno ti
riguardarli per semplicemente notare e raccogliere quell’espressioni,
che
hanno date alle passioni da loro descritte, ma be
assioni da loro descritte, ma bensì per esperimentare tutto l’effetto
che
esse producono, e così per appassionarsi ed inter
moltiplicare gli stessi effetti su gli altri. [11.13] Guai per colui
che
nulla sentisse alla prova di questi efficacissimi
egli non potrebbe acquistare né comunicare quel calore e quell’anima
che
non ha. Noi possiamo ripetere al giovane attore q
quell’anima che non ha. Noi possiamo ripetere al giovane attore quel
che
al musico diceva G. G. Rosseau: Veux-tu donc sav
viluppare questo genio, non ha più bisogno di arte quanto nel momento
che
n’è dominato. Imperocché in ogni altro genere di
mitazione può l’artista avere il tempo di esaminare e correggere quel
che
ha fatto, ma l’attore non può ciò fare, se non si
preso al momento ch’egli declama. Se la passione si spiegasse a tale,
che
divenisse trasporto cieco, o furore, ogni effetto
effetto sarebbe perduto, e ciò accade per l’ordinario a tutti quelli
che
si abbandonano a tutto l’impeto del sentimento, s
ò il celebre Eckoff non mai si muniva di tanta prudenza quanta allora
che
doveva esprimere le passioni più forti. Dee in ta
abbellita, migliorata e perfezionata, tutta natura apparisca, ed essa
che
tutto fa nulla si scopra. Capitolo XII. Car
ttore tragico. Sotto questo rapporto ella soffre nuove modificazioni,
che
la rendono propria di lui, e costituiscono la nat
ione tragica. [12.2] Il genere tragico viene determinato da un certo
che
di grande, di sublime e straordinario, che comuni
ne determinato da un certo che di grande, di sublime e straordinario,
che
comunicandosi a tutte le parti della tragedia, ci
i della tragedia, ci dipinge e presenta come tali non pur le persone,
che
l’azione e gli accidenti, che ne dipendono. Quind
presenta come tali non pur le persone, che l’azione e gli accidenti,
che
ne dipendono. Quindi risulta quel carattere eroic
li accidenti, che ne dipendono. Quindi risulta quel carattere eroico,
che
qualifica tutto ciò che alla tragedia appartiene.
endono. Quindi risulta quel carattere eroico, che qualifica tutto ciò
che
alla tragedia appartiene. Lo stesso delitto, non
lifica tutto ciò che alla tragedia appartiene. Lo stesso delitto, non
che
la virtù vi prendono un’aria di magnanimo e di ma
non che la virtù vi prendono un’aria di magnanimo e di maraviglioso,
che
li toglie in parte quell’aspetto ributtante, ch’è
della sua natura. La tragedia insomma si eleva ad un ordine di cose,
che
certamente non è comune, e fa dell’uomo che rappr
eva ad un ordine di cose, che certamente non è comune, e fa dell’uomo
che
rappresenta, un eroe, cioè un essere medio fra i
caratteri, le passioni, le sentenze, lo stile, e quindi la pronunzia
che
anch’essa dee darle la sua espressione convenient
gonandoli, ed a chi più grandi dell’ordinario, per l’idea vantaggiosa
che
da quel divino poema ne avevano attinta. [12.3]
che da quel divino poema ne avevano attinta. [12.3] Egli è ben vero
che
questo carattere tragico, che più a quei tempi si
vevano attinta. [12.3] Egli è ben vero che questo carattere tragico,
che
più a quei tempi si conveniva, si è venuto sempre
alterando, e quasi addimesticando con l’incivilimento delle nazioni,
che
perdono di grandezza e di forza, quanto più acqui
a e di forza, quanto più acquistano di eleganza e di incivilimento, e
che
a misura che per tal verso si degradano e si ammo
quanto più acquistano di eleganza e di incivilimento, e che a misura
che
per tal verso si degradano e si ammolliscono, non
si degradano e si ammolliscono, non possono credere ed apprezzar ciò
che
sembra dalla loro presente condizione diverso aff
a familiarizzarsi con persone, passioni, caratteri, stile e sentenze,
che
nell’antico non sarebbero state sofferte, e spess
ntenze, che nell’antico non sarebbero state sofferte, e spesso non fu
che
una commedia nobile, ossia di persone volgarmente
dute grandi, e ch’erano in sostanza vilissime. Io non pretendo perciò
che
la tragedia debba assolutamente circoscriversi a
rciò che la tragedia debba assolutamente circoscriversi a quella età,
che
più a quella natura eroica si adattava o si avvic
la età, che più a quella natura eroica si adattava o si avvicinava, e
che
perciò non debbe trattar quelle cose e quegli acc
inava, e che perciò non debbe trattar quelle cose e quegli accidenti,
che
ai popoli posteriori appartengono, od all’età nos
a bensì ch’essa debbe più o men conservare la sua original dignità, e
che
per quanto i costumi, le passioni o i caratteri s
be loro improntar quella forma, di cui sono essi più o meno capaci, e
che
al suo tipo più o meno gli assimili. Non fu il ca
mili. Non fu il caso o il capriccio, ma l’esperienza e la riflessione
che
determinò questo genere presso gli antichi. Più c
e la riflessione che determinò questo genere presso gli antichi. Più
che
altra cosa la poetica di Aristotele, ben intesa,
a di Aristotele, ben intesa, prova abbastanza quanto io qui non posso
che
semplicemente accennare. [12.4] Quel carattere e
che era per essi necessario a produrre quel terribile e quel sublime,
che
era lo scopo indispensabile della loro tragedia.
l sublime, che era lo scopo indispensabile della loro tragedia. Ond’è
che
tutti i poeti che si sono distinti in questo gene
lo scopo indispensabile della loro tragedia. Ond’è che tutti i poeti
che
si sono distinti in questo genere, anziché abbass
tere al livello dell’antica tragedia, e darle quella maggior dignità,
che
più potea combinarsi con le circostanze del vero,
a combinarsi con le circostanze del vero, onde ottenere quell’intento
che
la tragedia si dee proporre. [12.5] Da questo pr
so criterio avevano gli antichi Germani, secondo Tacito. Non è perciò
che
dentro un picciolo corpo non annida un’anima gran
rano e si argomentano la grandezza invisibile dalla visibile. E si sa
che
la stessa regina Telestri, allorché vide Alessand
ile. E si sa che la stessa regina Telestri, allorché vide Alessandro,
che
non era di statura sì vantaggiosa, ne rimase alqu
lo migliora della natura, niuno eroe ci hanno presentato gli artisti,
che
non fosse di una forma autorevole. Urget present
mezzo dell’istoria un Bruto ed un Cassio come fieri cospiratori,
che
la fama mi mostra nella distanza dei tempi, quali
fama mi mostra nella distanza dei tempi, quali eroi di una taglia più
che
umana; ed io veggio all’incontro sotto i loro nom
e contro ogni attore, la cui persona non corrisponde a quel carattere
che
rappresenta; e contrastando la figura e la taglia
i quando Ettore sopravvenisse, non essendo quegli da quanto appariva,
che
il fanciullo Astianatte. E per lo contrario di un
nciullo Astianatte. E per lo contrario di un attore stranamente alto,
che
rappresentava Capaneo sotto le mura di Tebe, fu d
mente alto, che rappresentava Capaneo sotto le mura di Tebe, fu detto
che
non avea bisogno di scala per espugnar la città.
avea bisogno di scala per espugnar la città. Così ad un troppo grasso
che
si sforzava di saltare: Bada di non rompere il p
initi accidenti simili potrebbe darci la storia dei moderni teatri, e
che
tutti ci provano quanto sia necessario all’attore
no quanto sia necessario all’attore tragico l’aver la figura siffatta
che
non solo non abbia difetti notabili, ma si concil
concilii un conveniente rispetto da chi la riguardi. Né giova il dire
che
i personaggi veri che s’imitano o rappresentano a
e rispetto da chi la riguardi. Né giova il dire che i personaggi veri
che
s’imitano o rappresentano avessero di tali imperf
i veri che s’imitano o rappresentano avessero di tali imperfezioni; e
che
tali quali erano gli avesse rappresentati Shaskep
esempio di Shaskepeare, ed il merito e la necessità di quell’attore,
che
ha osato farne lo sperimento, non sono stati suff
erimento, non sono stati sufficienti ad impedire il cattivo successo,
che
siffatte imitazioni storiche hanno riportato su l
atura, ma queste qualità corporali punto non giovano, se dalle morali
che
annunziano, non sieno veramente animate e sostenu
nte animate e sostenute. Si richiede perciò quel contegno e quel modo
che
annunzii nella persona un’anima non comune, e di
a specie di decoro, di cui parlava Cicerone nel lib. I. De Oratore, e
che
era per Roscio il fondamento dell’arte, e la sola
Oratore, e che era per Roscio il fondamento dell’arte, e la sola cosa
che
per l’arte, secondo lui, non si poteva insegnare.
no comparire gli accompagna sempre questo decoro. Omero, anche allora
che
più gli assoggetta all’imperio delle passioni più
rdar le greggi di Admeto; e questo al certo sarebbe il dono migliore,
che
i numi far potessero ad un attore. Or questa dote
Or questa dote non esiste per certo in quelle anime basse e servili,
che
sembrano destinate a tutt’altro mestiere, che all
anime basse e servili, che sembrano destinate a tutt’altro mestiere,
che
all’arte nobile che professano. A quanti di loro
li, che sembrano destinate a tutt’altro mestiere, che all’arte nobile
che
professano. A quanti di loro potrebbe farsi la st
ile che professano. A quanti di loro potrebbe farsi la stessa dimanda
che
fece a non so chi quel tal danzatore di cui parla
ualche elettore. Ma come dare o sviluppare quella forza di carattere,
che
tutta nobilita la persona, che la possiede, e che
sviluppare quella forza di carattere, che tutta nobilita la persona,
che
la possiede, e che dovrebbe essere quella di ogni
forza di carattere, che tutta nobilita la persona, che la possiede, e
che
dovrebbe essere quella di ogni uomo vero, se le o
algrado, il dissimulare e il fìngere? La Clairon non avea torto allor
che
diceva: Si l’on ne trouve en moi qu’une bourgeois
non è perciò necessario, e talvolta potrebbe riuscir anche ridicolo,
che
la persona si tenga sempre violentemente montata,
ccesso, per cui era detta comunemente la regina di Cartagine. Si dice
che
Le Kain avesse risposto in tuono tragico all’inch
e. Si dice che Le Kain avesse risposto in tuono tragico all’inchiesta
che
gli si fece su la salute di non so chi. [12.10]
e di non so chi. [12.10] Dhannataire parla pure di un cotale attore,
che
, assumendo in tempo il tuono della declamazione,
uto un uomo di corte, e si fece liberamente passare da una sentinella
che
guardava il passo. Ma queste ed altre tali bizzar
queste ed altre tali bizzarrie possono anzi pregiudicare all’effetto
che
l’arte vuole produrre. Imperocché non dee l’attor
dee solamente apparire, se non vuol diminuire quel grado d’illusione,
che
dee su la scena produrre. Lungi da siffatte caric
e di fargli tutta sentire l’importanza e la dignità di quei caratteri
che
debbe rappresentare. E perciò Baron solea dire, c
di quei caratteri che debbe rappresentare. E perciò Baron solea dire,
che
un attore dovrebbe essere educato su le ginocchia
II. Del tuono proprio della declamazione tragica. [13.1] Quello
che
abbiamo di sopra osservato intorno all’importanza
tragico si dee più particolarmente al tuono della voce applicare, nel
che
la declamazione principalmente consiste. E perché
E perché su tal particolare o variano più, o s’intendono meno coloro
che
ne han ragionato, io mi studierò di meglio determ
di meglio determinare i principî onde essi abusano, e l’applicazione
che
se ne dee fare. Supponendo alcuni che la declamaz
essi abusano, e l’applicazione che se ne dee fare. Supponendo alcuni
che
la declamazione rappresenti il colloquio di perso
nendo alcuni che la declamazione rappresenti il colloquio di persone,
che
tra loro conversano, hanno concluso che il tuono
enti il colloquio di persone, che tra loro conversano, hanno concluso
che
il tuono di essa non deggia scostarsi dal tuono o
rio della conversazione. Ma essi non si avvedevano, così concludendo,
che
la conseguenza era troppo generale e maggiore del
rsi alle persone, alla circostanza, all’argomento della conversazione
che
si vuole imitare. Il perché tanta distanza dee pa
nza dee passare fra il tuono ordinario ed il tragico, quanta è quella
che
passa fra le persone volgari, che alla commedia,
ario ed il tragico, quanta è quella che passa fra le persone volgari,
che
alla commedia, e i personaggi e gli eroi, che all
fra le persone volgari, che alla commedia, e i personaggi e gli eroi,
che
alla tragedia appartengono. E questa differenza r
Platone, Aristotele, Cicerone e Quintiliano, e con essi tutti quelli,
che
di tale argomento trattarono, e che alla tragedia
tiliano, e con essi tutti quelli, che di tale argomento trattarono, e
che
alla tragedia diedero un tuono proprio e dall’ord
interloquenti si conveniva. E sino a’ tempi posteriori, anche allora,
che
di un tal metodo si abusò per eccesso, fu comunem
Né questa specie di declamazione dee unicamente attribuirsi, secondo
che
Diderot opinava, alla vastità dei teatri antichi
declamar fortemente per farsi loro malgrado sentire. Non v’ha dubbio
che
la vastità dei teatri e lo strepito degli spettat
Ed ancorché tali e sempre e da per tutto fossero stati, la commedia,
che
si rappresentava agli stessi ascoltatori, e negli
agedia a declamare e vociferare. Oltreché lo stesso Orazio osservando
che
il tragico prende alcuna volta il parlar pedestr
de alcuna volta il parlar pedestre , dovea nel tempo stesso supporre
che
l’ordinario era sempre il nobile e il dignitoso:
Né ciò si applichi allo stile soltanto, e non già alla declamazione,
che
in ogni caso dee prendere anche il carattere e la
a forma di quello. E come altrimenti si potrebbe verificare il dovere
che
Orazio al tragico attribuiva? Pectus
ché l’attore tragico è sempre un interlocutore, siccome tutti quelli
che
qualunque conversazione sostengono; e perciò dee
alunque conversazione sostengono; e perciò dee sempre tener presente,
che
egli non legge, non insegna, non predica, non arr
viso, ma semplicemente interloquisce e ragiona, mostrando di dir quel
che
sente, e di sentir quel che dice. Per la qual cos
loquisce e ragiona, mostrando di dir quel che sente, e di sentir quel
che
dice. Per la qual cosa dee egli operare ad un tem
e le relazioni di quelle inflessioni, passaggi, consonanze e cadenze,
che
il tuono più significante della conversazione ci
mente diverso. E siccome il dialogo tragico non è di persone volgari,
che
gentilmente novellino o che si intertengano piace
dialogo tragico non è di persone volgari, che gentilmente novellino o
che
si intertengano piacevolmente, ma di tali che per
gentilmente novellino o che si intertengano piacevolmente, ma di tali
che
per la condizione e carattere, e per eccesso di p
de’ sentimenti più generosi e delle passioni più forti; dee l’attore,
che
di queste si suppone altamente invasato, elevarsi
ione ordinaria, e collocarsi nello stato e nelle condizioni di quelli
che
debbe rappresentare. Le nostre conversazioni non
il tuono di quelli dee comparir volgare e plebeo: esso dee esser tale
che
corrisponda alla forza e alla dignità del caratte
gnità del carattere eroico, ed all’indole e grado di quelle passioni,
che
debbon rendere i personaggi tragici straordinaria
lare, siccome si sente e si parla comunemente. Si fa quindi manifesto
che
la declamazione tragica, modellandosi originalmen
utorevole; e quindi dee prendere un grado di estensione ed intensità,
che
non è certamente ordinario. E, più che nell’esecu
do di estensione ed intensità, che non è certamente ordinario. E, più
che
nell’esecuzione e nell’acutezza, dee nella gravit
to di forza e di gravità risulta, secondo me, quel tuono fondamentale
che
la tragica declamazione più propriamente determin
veniente. Essa debbe assumere quell’impronta d’importanza e di forza,
che
sia al tuono della voce proporzionato; e perciò d
onseguenza preciso e semplice. Ciò esclude i molti movimenti ed atti,
che
pel loro numero e rapidità offenderebbero a un te
tà della persona e la forza della passione a cui servono. La persona,
che
molto gestisce, mostra in generale incertezza e l
menti e di effetti, e quindi debolezza di carattere e di passione; il
che
si oppone all’indole propria dell’attore tragico.
indole propria dell’attore tragico. Le parole sono i principali mezzi
che
debbono esprimere il sentimento col più d’interes
i che debbono esprimere il sentimento col più d’interesse e di forza,
che
all’indole di questo si addice, e di ordinario pr
.9] Non si confonda però con quella specie di dignità e di grandezza,
che
da noi si richiede quell’enfasi ed ampollosità ch
tà e di grandezza, che da noi si richiede quell’enfasi ed ampollosità
che
annunzia piuttosto la debolezza e lo sforzo della
losità che annunzia piuttosto la debolezza e lo sforzo della persona,
che
crede di supplire con tale artificio a quella for
ona, che crede di supplire con tale artificio a quella forza di animo
che
gli manca. L’attore tragico vuole esser grande, d
suo carattere, non debbe punto affermarsi di apparir tale, come colui
che
ad ogni istante ne dubitasse. La natura umana, pe
il carattere del maraviglioso lo distinse da quello dello stravagante
che
costituisce il mentecatto. E così appella insensa
vagante che costituisce il mentecatto. E così appella insensato colui
che
si credesse tanto grande, che passando di sotto a
tecatto. E così appella insensato colui che si credesse tanto grande,
che
passando di sotto alla porta di una città si chin
to grande, che passando di sotto alla porta di una città si chinasse,
che
presumesse tanto nella sua forza da atterrare del
inasse, che presumesse tanto nella sua forza da atterrare delle case,
che
insomma intraprendesse cose che tutti riconoscono
la sua forza da atterrare delle case, che insomma intraprendesse cose
che
tutti riconoscono per impossibili. Omero, Eschilo
o perciò furiosi, stravolti, ridicoli. Ed è questo il giusto contegno
che
dee prendere e conservare l’attore tragico. [13.
o che dee prendere e conservare l’attore tragico. [13.10] Io so bene
che
in questo argomento sì dilicato e difficile è mol
sì dilicato e difficile è molto facile l’abusarne per la propinguità,
che
è fra l’uso e l’abuso. Per poco che si ecceda, si
le l’abusarne per la propinguità, che è fra l’uso e l’abuso. Per poco
che
si ecceda, si tocca subito lo snaturato, l’ampoll
no, dal sublime e dignitoso si ruina nel basso e ridicolo. E si crede
che
a questo eccesso dia per l’ordinario la declamazi
eccesso dia per l’ordinario la declamazione francese, siccome quella
che
prima e più delle altre ha conosciuta e sentita l
sservar nei francesi piuttosto un poeta il quale recita le sue poesie
che
un attore…; dimodoché par che non solo essi vogli
un poeta il quale recita le sue poesie che un attore…; dimodoché par
che
non solo essi vogliono rilevare la verità dell’af
o ed esagerato la stessa imputazione, e spesso con quella caricatura,
che
mostra assai più lo spirito di parte, che l’amor
esso con quella caricatura, che mostra assai più lo spirito di parte,
che
l’amor dell’arte. Il signor Eximano dice pure ape
che l’amor dell’arte. Il signor Eximano dice pure apertamente di loro
che
pajono energumeni, che ad ogni atteggiamento vog
signor Eximano dice pure apertamente di loro che pajono energumeni,
che
ad ogni atteggiamento vogliono staccar le braccia
sioni con cui potrebbe un ammalalo esprimere un dolor colico. Ma quel
che
più importa si è che gli stessi francesi hanno pu
e un ammalalo esprimere un dolor colico. Ma quel che più importa si è
che
gli stessi francesi hanno pur riconosciuto appo l
i antichi, siccome l’abbiamo altrove notato in persona di quel comico
che
rappresentò i furori di Ajace. E per ragion de’ m
uale co’ suoi robusti polmoni lacera una passione a forza di grida, e
che
vomita alle orecchie di un uditorio ignorante e b
rio ignorante e brontolatore, la cui maggior parte non altro desidera
che
del fracasso. Engel nota e riprova anch’esso ques
iamo egualmente attestarla dell’italiana. Dacché questa si trova, più
che
altrove, decaduta miseramente, i commedianti ital
ianti italiani, ch’erano una volta imitati dagli altri, ora non fanno
che
imitare il peggio di questi, e si può dire ch’ess
zione o di cantilena monotona, esagerata, nojosa. [13.13] Pare dunque
che
in tale sconcio sieno incorsi più o meno tutte le
sconcio sieno incorsi più o meno tutte le nazioni, e tutti gli attori
che
non sanno guardarsene. Ed io non convengo con que
gli attori che non sanno guardarsene. Ed io non convengo con quelli,
che
pur sono molti, i quali, non avendo ben concepito
ragedia, né al genio della nazione, non hanno abbastanza considerato,
che
se i francesi danno più che gli altri in quell’ec
azione, non hanno abbastanza considerato, che se i francesi danno più
che
gli altri in quell’eccesso, ciò loro interviene,
sentirla più facilmente alcuna volta ne abusano. E di fatti sono essi
che
hanno elevato la declamazione tragica a quel grad
tti sono essi che hanno elevato la declamazione tragica a quel grado,
che
alla sua natura si conveniva. Dopo il Baron la Fr
ui ha dato alcuna volta, prova l’esistenza del vero metodo e dell’uso
che
riconosce e professa. E tendono a quest’eccesso g
no tanto la natura ordinaria nei caratteri, nel contegno e nel tuono,
che
hanno quasi proscritto la straordinaria e l’eroic
e nel tuono, che hanno quasi proscritto la straordinaria e l’eroica,
che
è la scelta e migliorata dall’arte. Per la qual c
Quindi il dramma è divenuto per loro una mera storia rappresentativa,
che
in altro dalla vera non differisce, se non che qu
toria rappresentativa, che in altro dalla vera non differisce, se non
che
questa narra, e quella rappresenta ciò che è ordi
era non differisce, se non che questa narra, e quella rappresenta ciò
che
è ordinariamente accaduto. In questa maniera si è
i per imitar la natura in tutte le sue parti l’hanno guasta in quella
che
era più interessante e perfetta. Engel fra gli al
erciò la versificazione, Egli vuole il vero schietto, senza osservare
che
il vero della storia e della filosofia non è quel
filosofia non è quello della poesia e di ogni bella arte; egli vuole
che
si imiti esattamente la natura quale è, senza avv
gli vuole che si imiti esattamente la natura quale è, senza avvedersi
che
questa severa esattezza ci toglierebbe l’effetto
, le quali sono state introdotte fra il genere tragico e il comico, e
che
si dicono commedie lagrimanti o tragedie cittadin
l comico, e che si dicono commedie lagrimanti o tragedie cittadine, e
che
altri riguardano quali aborti dell’uno e dell’alt
aborti dell’uno e dell’altro genere. Siamo pure indulgenti con coloro
che
di tali aborti pur si dilettano; ma ci lascino an
he di tali aborti pur si dilettano; ma ci lascino anch’essi un genere
che
per la sua antichità, per l’effetto che produce,
i lascino anch’essi un genere che per la sua antichità, per l’effetto
che
produce, e per la perfezione a cui si è elevato,
er la perfezione a cui si è elevato, può ben meritare quei sacrifici,
che
la sua pratica ne prescrive. Un certo genere di p
ue estremi dell’ampolloso e del languido. L’attore dee quindi, il più
che
sa, avvicinarsi alle proporzioni della statura er
d a questa norma debbe accomodare non pure il contegno della persona,
che
il tuono ed il gesto della espressione. E per qua
ere generale dell’attore tragico ne abbraccia più specie particolari,
che
più o meno lo diversificano secondo certe relazio
a condizione, al sesso, all’età ed altrettali accidenti delle persone
che
debbono rappresentare. La forma, l’attitudine, il
i speciali. Dalla natura e differenza di questi emergono tali doveri,
che
l’attore non può dispensarsi dal conoscere ed ese
vere ed alimentare certi privilegi personali, o piuttosto pregiudizi,
che
lusingando l’amor proprio e la vanità de’ commedi
arte. [14.3] La migliore classificazione, secondo me, sarebbe quella
che
fosse a un tempo più semplice, e che meglio servi
ione, secondo me, sarebbe quella che fosse a un tempo più semplice, e
che
meglio servisse al fine, a cui è destinata, e che
mpo più semplice, e che meglio servisse al fine, a cui è destinata, e
che
perciò comprendesse il numero di commedianti suff
aratteri principali possono essere più o meno modificati, io crederei
che
due modificazioni più generali e più distinte pot
te potessero bastare a caratterizzare e comprendere tutte le altre, e
che
io direi di carattere fiero o tenero. Quindi risu
arti e l’attitudine degli attori. Ma qualunque sia la classificazione
che
si voglia adottare, niuna dovrebbe prescindere da
cui si destina il commediante, debbe ammettere certi tratti personali
che
lo distinguano, e che provengono unicamente dalla
ediante, debbe ammettere certi tratti personali che lo distinguano, e
che
provengono unicamente dalla natura, e poco o null
vrebbe dominare quel carattere di rigore, di fermezza e di ardimento,
che
la fierezza ordinariamente costituiscono. La figu
ntili anuunziano il carattere tenero. Modificate queste forme, e fate
che
domini nella figura, nelle maniere e nel contegno
stà, la gravità, l’impero, ed avrete il carattere principesco; e fate
che
nel contegno, nella maniera e nella figura dell’a
el contegno, nella maniera e nella figura dell’altra spicchi un certo
che
di venerabile, di riflessivo e di assennato, ed a
tà nelle figlie, e l’amorevolezza nelle madri dee primeggiare, sempre
che
dalla fierezza non debba essere il loro carattere
rato ecc. [14.6] Questi ed altri simili tratti generali e pittorici,
che
debbono in generale caratterizzare gli attori di
tori di ciascuna specie, procedono dalla natura, e non già dall’arte,
che
però può e dee svilupparli e perfezionarli. Come
roporzioni. Ma noi non possiamo egualmente giovarci di tali artifici,
che
altronde per molto nuocevano all’effetto teatrale
ù mobili e facili ad alterarsi, possono prendere quelle modificazioni
che
loro vogliamo imprimere. Ma se queste modificazio
rimere. Ma se queste modificazioni per ridurle al carattere dominante
che
debbono esprimere, ci costassero moltissimo sforz
bbero ingrate, dure, violente, e distruggerebbero quella spontaneità,
che
è tanto necessaria al bello artificiale dell’espr
artificio e la simulazione sì studiate; darebbero in un’affettazione,
che
spesso si tradirebbe perla difficoltà di sostener
o le naturali disposizioni dell’attore, ma sono sempre queste le sole
che
debbono comparire, e non mai lo studio e l’arte c
re queste le sole che debbono comparire, e non mai lo studio e l’arte
che
le sviluppano. [14.9] Determinata nel miglior mo
e ben si osservi, non riescivano egualmente ne’ differenti caratteri,
che
o per necessità o per uso dovean sostenere; altro
natura e dell’arte non potrebbero ridursi a regole generali e comuni,
che
condannerebbero al mediocre molti di quelli che p
le generali e comuni, che condannerebbero al mediocre molti di quelli
che
potrebbero l’ottimo conseguire. E supposta tale a
on può cancellare nell’altro la memoria delle impressioni precedenti,
che
la presente più o meno indebolirebbero o per dist
vato ed ampliato cotesto abuso, non dovrebbe in verun conto soffrirsi
che
l’attore, che reciti nella commedia specialmente
to cotesto abuso, non dovrebbe in verun conto soffrirsi che l’attore,
che
reciti nella commedia specialmente in certe parti
4.11] Stabilite tutte queste specie, ed assegnate a ciascuna le parti
che
le convengono, il dovere dell’attore si è di espr
ificazioni e degradazioni il suo carattere primordiale. I confidenti,
che
sembrano i più remoti della sfera dei personaggi
difformità offenderebbe la stessa dignità dei personaggi principali,
che
non potrebbero non degradarsi alla presenza ed al
i altri. Così per evitare un difetto estrinseco di pura declamazione,
che
si poteva più facilmente correggere, espose le su
correggere, espose le sue tragedie a difetti intrinseci e più gravi,
che
senza l’uso opportuno dei confidenti non possono
o del tutto evitarsi. Egli dovea soltanto condannare quei confidenti
che
nulla serbano di comune coi principali, e sono pi
lla serbano di comune coi principali, e sono più degni della commedia
che
della tragedia, ma questa colpa dee solo imputars
edia che della tragedia, ma questa colpa dee solo imputarsi ai poeti,
che
gli hanno sconvenevolmente adoprati. Ma i confide
rvar questa legge, si vide pur suo malgrado necessitato a violarla. E
che
altro sono essi se non confidenti Perez, Gomez, P
reggere le imperfezioni ordinarie dei confidenti, e tanto più, quanto
che
non sono mancati né mancano attori, i quali, anch
too nell’Arianna. La signora Clairon è stata forse la prima, e quella
che
più facesse sentire l’interesse e l’importanza ne
conde parti ed i confidenti hanno riacquistata quella considerazione,
che
per inettezza degli attori aveano da lungo tempo
resentare il loro genere, ma del pari la loro specie, e ciò vuol dire
che
il carattere tragico e fondamentale non dee soffo
re tragico e fondamentale non dee soffocare e confondere lo speciale,
che
nelle modificazioni di quello consiste. Quindi è
ere lo speciale, che nelle modificazioni di quello consiste. Quindi è
che
nelle loro degradazioni dee ciascuno conservare i
econde parti amano di far sentire piuttosto l’eccellenza dell’attore,
che
quella della parte che rappresentano. Esse ambisc
ar sentire piuttosto l’eccellenza dell’attore, che quella della parte
che
rappresentano. Esse ambiscono di emulare l’import
e la dignità delle prime parti; e quindi si appropriano un carattere
che
a lor non conviene. Tu le vedi dolersi, piangere
a lor non conviene. Tu le vedi dolersi, piangere e disperarsi a tale,
che
più non potrebbe la principale a cui la sventura
Dhannetaire, la quale nella Merope affettava un tuono di prima parte
che
affatto non conveniva al carattere semplice di Is
Ifigenia o di Clitennestra, non avrebbe meritata tutta l’approvazione
che
meritò nella parte di Isifile. Insomma dalle prim
a dalle prime parti insino alle ultime, v’ha una gradazione relativa,
che
debbono tutti religiosamente osservare. Da Agamen
passioni in ispecie; ma ciascuna di esse ha certe forme particolari,
che
propriamente caratterizzano e distinguono gli ind
ticolari, che propriamente caratterizzano e distinguono gli individui
che
ne sono predominati. [15.2] Sotto questo rapport
ome la sua propria fisonomia; perocché sono tali e tanti gli elementi
che
li costituiscono, e sì differenti nella loro qual
iscono, e sì differenti nella loro qualità, intensità e combinazione,
che
niun temperamento sì fisico che morale ne risulta
ro qualità, intensità e combinazione, che niun temperamento sì fisico
che
morale ne risulta, il quale si possa con altro sc
uale non risulta dall’uno all’altro? Quindi sono i caratteri storici,
che
il poeta e l’attore imprendono ad imitare. [15.3]
oni accidentali, secondo il con corso e l’influenza delle circostanze
che
lo modificano. La forza e l’azione di queste, spe
e di queste, specialmente, ove sieno straordinarie, l’obbligano quasi
che
ad apparire tutt’altro. In tali incontri il carat
ffattamente combattuto dall’interesse e dalla passione straordinaria,
che
lo sorprende, che ne rimane soffocato e quasi che
tuto dall’interesse e dalla passione straordinaria, che lo sorprende,
che
ne rimane soffocato e quasi che spento. Quindi è
ione straordinaria, che lo sorprende, che ne rimane soffocato e quasi
che
spento. Quindi è che Agamennone, nel momento che
he lo sorprende, che ne rimane soffocato e quasi che spento. Quindi è
che
Agamennone, nel momento che destina la sua figliu
ne soffocato e quasi che spento. Quindi è che Agamennone, nel momento
che
destina la sua figliuola all’altare, non appar qu
nel momento che destina la sua figliuola all’altare, non appar quello
che
in altro momento contrasta con Achille od Ajace,
quello che in altro momento contrasta con Achille od Ajace, ed allora
che
è sacrificato da Clitennestra; così pure Clitenne
ed allora che è sacrificato da Clitennestra; così pure Clitennestra,
che
assassina il marito, non è quella che vuol salvar
nestra; così pure Clitennestra, che assassina il marito, non è quella
che
vuol salvare l’amante e il figliuolo; né Oreste,
to, non è quella che vuol salvare l’amante e il figliuolo; né Oreste,
che
assassina la madre ad Argo, si mostra lo stesso a
oni, le circostanze, gli interessi, le passioni sono così differenti,
che
il carattere dominante delle persone non può non
non sorgano a combatterlo e raffrenarlo. Per queste ragioni il Nerone
che
ci presenta Racine non è, né debbe esser quello,
agioni il Nerone che ci presenta Racine non è, né debbe esser quello,
che
ci ha poi presentato l’Alfieri. L’uno è nella pri
a ripudiare e sacrificare Ottavia per amor di Poppea. Così l’Oreste,
che
vendica il padre con la morte di Egisto, non è l’
l’Oreste, che vendica il padre con la morte di Egisto, non è l’Oreste
che
uccide Pirro per compiacere Ermione. Queste diffe
er compiacere Ermione. Queste differenze procedono dai diversi gradi,
che
acquistano i caratteri e le passioni permanenti,
o l’età e lo sviluppo regolare a cui vanno soggetti. [15.5] Le forme,
che
abbiamo distinto finora, ci si offrono dalla stor
finora, ci si offrono dalla storia medesima, pure ve ne hanno alcune,
che
dobbiamo unicamente al poeta, che modifica e temp
medesima, pure ve ne hanno alcune, che dobbiamo unicamente al poeta,
che
modifica e tempera anch’esso il carattere primord
al poeta, che modifica e tempera anch’esso il carattere primordiale,
che
ha tolto in origine dalla storia. Egli prende, a
a. Egli prende, a cagion di esempio, dalla storia o dalla tradizione,
che
ne supplisce il difetto, certi caratteri comuneme
re un grado più o meno elevato a questa specie di reazione e risalto,
che
altera sensibilmente il carattere predominante, c
azione e risalto, che altera sensibilmente il carattere predominante,
che
assume ed acquista una forma particolare e tutta
interessante, meravigliosa sotto l’immaginazione e la penna dell’uno,
che
sotto quella d’un altro, in quanto l’uno più che
e la penna dell’uno, che sotto quella d’un altro, in quanto l’uno più
che
l’altro ha saputo sviluppare e lumeggiare quella
no più che l’altro ha saputo sviluppare e lumeggiare quella passione,
che
dovea corrispondere alla combinazione delle circo
ionare i modelli originali del vero, secondo il tipo dell’arte. Ond’è
che
i Bruti ed i Cesari del Voltaire e del Crebillon
ppresentare ed esprimere con la debita precisione il verace carattere
che
ha ideato il poeta. [15.7] I caratteri migliori,
tragedia sono quelli in cui due passioni differenti, e per l’obbietta
che
le eccita e le alimenta, e per l’effetto che mina
erenti, e per l’obbietta che le eccita e le alimenta, e per l’effetto
che
minacciano e preparano, e pressoché equivalenti p
e contrasto, si resistono e si combattono ferocemente. Sembra allora
che
d’uno stesso individuo si facciano due persone di
r del figliastro, e Neottolemo nel Filottete ed Ajace ec. Né si creda
che
un temperamento siffatto indebolirebbe il caratte
anto più questa risalta, quanto è maggiore la reazione e il contrasto
che
dee superare, e che giunge a superare di fatti. L
lta, quanto è maggiore la reazione e il contrasto che dee superare, e
che
giunge a superare di fatti. L’Alfieri o non conob
o animati dal più vivo contrasto di due passioni diverse o contrarie,
che
, rilevando la loro forza a vicenda, conspirano ma
levando la loro forza a vicenda, conspirano maravigliosamente al fine
che
si vuole produrre. E nel notare e distinguere tal
ere tali differenze e contrasti dee principalmente occuparsi l’attore
che
voglia osservare ed esprimere il vero tipo de’ ca
l’attore che voglia osservare ed esprimere il vero tipo de’ caratteri
che
imprende a rappresentare. [15.9] Giovi l’applica
e precedenti distinzioni al solo carattere di Catilina. Eccone quello
che
ci somministra storicamente Sallustio: “ Lucio Ca
’altrui, prodigo del suo; ne’ desiderii bollente; più eloquente assai
che
assennato. Sempre nella vasta sua mente smoderate
e nello stesso momento in cui sta per eseguire la vasta conspirazione
che
avea meditata. Ed in questo momento il suo caratt
riguardano e lo dipingono, quale differenza non troviamo nella forma
che
l’uno e l’altro gli danno? Malgrado l’animo suo d
eliberato ad ogni eccesso a fronte di qualunque contrasto e pericolo,
che
costituisce il suo carattere permanente, il Catil
bisogna non solo conoscere l’originale e lo storico, ma quello bensì
che
le circostanze ed il poeta gli hanno sul primo id
lo bensì che le circostanze ed il poeta gli hanno sul primo ideato, e
che
poetico possiamo denominare. Ed in questo modo si
’espressione conveniente a quelle parole, sentenze, frasi e discorsi,
che
dee l’attore pronunciare. [15.11] Per l’ordinari
essere differenti ed accomodati alla qualità del carattere dominante
che
debbe determinarle. E perciò fu censurata a ragio
arole, e quindi con troppa e sconvenevole tenerezza i seguenti versi,
che
Corneille ha messi in bocca di Rodoguna: Il est
ro fu commendata la Clairon per averli espressi con quella sicurezza,
che
non dovea mai separarsi affatto dal carattere di
ono neppur soffocarsi tutti quegli altri elementi più o men notevoli,
che
si trovassero nello stesso carattere associati; p
vassero nello stesso carattere associati; perocché tutti i sentimenti
che
ne emergono debbono avere la loro analoga espress
emergono debbono avere la loro analoga espressione. [15.13] Si narra
che
Le Kain nel rappresentare Orosmane esprimeva a un
e ed imitarne lo sviluppamento e il progresso. Quantunque la passione
che
lo costituisce, sia sempre la stessa dal punto, i
oni ella soffre, secondo le varie circostanze, occasioni ed ostacoli,
che
incontra, e con le quali o combatte o coopera. Qu
l’uno e l’altro infiniti gradi più o meno importanti s’interpongono,
che
debbonsi tutti notare e paragonare, perché l’espr
à e nella quantità. La qualità risulta da quegli accidenti eterogenei
che
tra via vi si innestano, e che la rendono più o m
risulta da quegli accidenti eterogenei che tra via vi si innestano, e
che
la rendono più o meno mista e complessa. La quant
ui la passione medesima cresce o decresce via via. Ed essendo i modi,
che
la qualità ne costituiscono, l’effetto necessario
o del contrasto o concorso di quegli accidenti, o contrari o propizi,
che
la combattono o favoriscono, possono anch’essi ri
le sia l’interesse principale, quale il vero obbietto e l’unico fine,
che
genera, alimenta e disviluppa la passione predomi
uppa la passione predominante, e quali le circostanze e gli accidenti
che
più le si oppongono, o la secondano. Allora facil
esso può riguardarsi come una serie di momenti o diversi o distinti,
che
immediatamente o mediatamente succedonsi e si avv
sia crescente, sia decrescente. E qui giova particolarmente osservare
che
nella progressione immediata di alcun sentimento
ce fino alla sua ottava acuta o superiore; e se il progresso esigesse
che
si elevi, o, per dir meglio, si rinforzi ancor pi
ando ad un tempo la voce, le si può dare quel grado maggiore di forza
che
le conviene. Imperocché siccome le ottave sono eq
ed acconciamente l’ottava bassa. Per non conoscere questo artificio,
che
, accrescendo ad un tempo la varietà e l’armonia d
dono la forza necessaria là dove più ne han di bisogno. [16.6] Quello
che
più importa di considerare nella progressione gen
te o dello stesso carattere, si è di notare ed esprimere quei momenti
che
sieno fra gli altri più risentiti e caratteristic
uei momenti che sieno fra gli altri più risentiti e caratteristici, e
che
perciò richiedono più degli altri, che mediatamen
risentiti e caratteristici, e che perciò richiedono più degli altri,
che
mediatamente o immediatamente li seguono o li pre
utti gli altri debbono ordinariamente riferirsi e proporzionarsi. Non
che
tutta una parte, ogni atto, ogni scena, ogni disc
, ogni atto, ogni scena, ogni discorso o periodo ha di tali elementi,
che
richiedono la massima attenzione, ed a’ quali dee
hé duri l’espressione della favola, de’ caratteri, delle circostanze,
che
ne determinano lo stato e ne preparano l’andament
preparano l’andamento. La straordinaria si riserverà alla catastrofe,
che
, terribile nel quinto atto, ne minaccia ed esegui
nel quinto atto, ne minaccia ed eseguisce lo scioglimento. La media,
che
dell’ordinaria e straordinaria più o meno parteci
ria e straordinaria più o meno partecipa, si applicherà al rimanente,
che
fra l’uno e l’altro intercede. Egli è manifesto c
erà al rimanente, che fra l’uno e l’altro intercede. Egli è manifesto
che
tali epoche distintissime e più o meno continuate
uata e corrispondente. [16.8] Parimenti ha ciascuna scena il momento
che
più fra gli altri primeggia. Dunque richiede anch
e richiede anch’essa un punto massimo o straordinario di espressione,
che
con l’ordinario e col medio non dee confondersi.
opportunamente i lumi e le ombre con quella proporzione ed economia,
che
la verità e l’armonia delle parti e del tutto ric
one, perché i subalterni e minori siano a quello subordinati, in modo
che
tutti più o meno cospirino a farlo primeggiare e
iù sorprendenti; e l’espressione dee contenersi ed ordinarsi in guisa
che
là tutta spiega l’arte e la forza. Tali sono per
, distinguitur. [16.11] Parimenti Racine aveva insegnato all’attrice
che
declamava la parte di Monima nel Mitridate ad abb
nel Mitridate ad abbassar la voce, allorché pronunziava, ed anche più
che
il senso non richiedeva, ne’ seguenti versi:
tutte primeggia, ove ch’ella si trovi, e quella primeggia fra tutte,
che
più, fra le altre, determina il sentimento a cui
spressione di tutto il periodo; e le altre debbono in modo procedere,
che
da questa prendano il tuono ed il movimento, ed a
forza di espressione di ogni parola si differiscono dalla principale
che
domina nel periodo. Per la qual cosa non già la b
ono a un sentimento diverso, appoggiandosi a certe parole subalterne,
che
non possono dominare senza alterare ed offendere
e, che non possono dominare senza alterare ed offendere il sentimento
che
veramente domina nel periodo. E ciò riuscirebbe t
mente domina nel periodo. E ciò riuscirebbe tanto più assurdo, quanto
che
certe parole si prendono in senso negativo o cont
be ridicolo il dare a queste maggiore espressione o diversa da quella
che
richiede la parola, che indica il soggetto o l’az
este maggiore espressione o diversa da quella che richiede la parola,
che
indica il soggetto o l’azione principale, a cui i
riferire. [16.14] A due difetti contrari possono tutti ridursi quelli
che
l’accennata progresssione ordinariamente sovverto
cominciamento del dramma, della scena, della parlata o periodo. Ond’è
che
l’espressione assai pur troppo sforzata, e troppo
sta maniera si nuoce ad un tempo ed alla varietà successiva di tuoni,
che
non può sostenersi dietro quel tuono, ed all’effe
ni, che non può sostenersi dietro quel tuono, ed all’effetto speciale
che
da’ momenti più rilevanti si debbe attendere. Deb
orzarsi secondo il bisogno. [16.15] Altrimenti accadrà di loro, quel
che
Orazio diceva di quei poeti che con troppo strepi
.15] Altrimenti accadrà di loro, quel che Orazio diceva di quei poeti
che
con troppo strepito ed arroganza cominciavano i l
non sempre nel fine l’interesse del momento lo richiede. Egli è vero
che
in generale tutto nelle belle arti debbe proceder
vero che in generale tutto nelle belle arti debbe procedere in guisa,
che
progredendo nulla si raffreddi ed annoi; ma quest
principîo non dee recar pregiudizio a quei momenti più interessanti,
che
si trovassero altrove nel corso della scena, del
e si sono adottati nel portamento della voce e del gesto certi metodi
che
sacrificano questo interesse della passione e del
e può dirsi per lo più delle nuove arie melodrammatiche; e supponendo
che
l’interesse maggiore sia sempre nel fine, come in
do che l’interesse maggiore sia sempre nel fine, come in quei sonetti
che
lo facevano consistere unicamente nella loro chiu
tona, perché sempre a un di presso la stessa. [16.17] L’altro oggetto
che
la progressione della passione e dell’espressione
essione della passione e dell’espressione riguarda, si è il passaggio
che
dall’uno all’altro modo o grado suol farsi. Spess
le, e minima la distanza dall’uno all’altro, perché l’impressione par
che
dall’uno all’altro passi rapidamente, e senza alc
intervallo. In tali incontri i sentimenti più diversi ed opposti par
che
immediatamente si tocchino, si succedano, si avvi
tutto a un tempo obbedisce all’impressione, alla divisione ed al moto
che
l’espressione come l’onda del mare riceve e ripet
sione come l’onda del mare riceve e ripete. Or qual sarà quella legge
che
dee governare la rapidità di questi passaggi in u
legge che dee governare la rapidità di questi passaggi in un momento
che
sembrano meno disposti ad ubbidire? [16.18] Per
anto si voglia rapido un tal passaggio, e la passione e l’espressione
che
le conviene, non possono dispensarsi da quella le
ombinazione diversa, per quanto si supponga operosa e celere, e quasi
che
improvvisa la combinazione susseguente, essa rich
a la combinazione susseguente, essa richiede sempre una preparazione,
che
arrivi ad unire il termine della prima col princi
a non può operare per salti, ma dee sempremai proceder per gradi, sia
che
progredisca, sia che degradi. Con questa legge si
salti, ma dee sempremai proceder per gradi, sia che progredisca, sia
che
degradi. Con questa legge si disviluppa e progred
e ad un altro diverso, non può fare a meno di non indicarne un terzo,
che
nel contatto, e contemporaneamente, dell’uno e de
di eseguirli e calmarli, debitamente esprimendoli. Il poeta non vi dà
che
il passaggio brusco delle idee e de’ sentimenti,
poeta non vi dà che il passaggio brusco delle idee e de’ sentimenti,
che
, malgrado l’indole contraria che li separa, immed
brusco delle idee e de’ sentimenti, che, malgrado l’indole contraria
che
li separa, immediatamente si toccano e si succedo
lla dell’altro? O per dir meglio quale sarà l’espressione intermedia,
che
l’una nell’altra acconciamente rifonda e trasform
istica. [17.1] L’attore tragico, qualunque ei sia, è uno di quelli
che
la favola rappresentano, e co’quali dee nel corso
, dee pur dare alla sua espressione alcune modificazioni particolari,
che
dalla natura del dialogo propriamente derivano. L
ello ch’ei lascia; epperò debbe conformarsi a tutte quelle relazioni,
che
risultano dall’indole e dalle circostanze di ques
’azione od il fatto in cui prende parte. Questo fatto e quest’azione,
che
in tutto il dramma si espone e si circoscrive, si
quali sono per l’ordinario altrettanti dialoghi di due o più persone,
che
animate dallo stesso o diversi interessi, sia che
due o più persone, che animate dallo stesso o diversi interessi, sia
che
più o meno, o pur conspirino, o pur discordino, s
reciproca, la quale pur varia al variare degli interlocutori, importa
che
l’espressione conveniente all’indole ed allo svil
o della passione dominante si modifichi eziandio secondo la relazione
che
passa fra l’uno e l’altro. L’espressione, che Isa
io secondo la relazione che passa fra l’uno e l’altro. L’espressione,
che
Isabella adopera con Filippo, non è certamente qu
spressione, che Isabella adopera con Filippo, non è certamente quella
che
adopera con D. Carlo; né Antigone parla e si espr
proprio, originario e permanente, ma bensì dalla diversa impressione,
che
producono sopra di essa la presenza e l’azione ri
rispettato [17.3] Filippo passa ad apertamente aborrirlo; e G. Bruto,
che
ama teneramente i suoi figliuoli allorché difendo
ria, si trasporta quasi ad odiarli allorché la tradiscono. Così Fedra
che
amava Ippolito con trasporto giunge ad odiarlo a
Così Fedra che amava Ippolito con trasporto giunge ad odiarlo a tale,
che
lo calunnia e lo uccide. E così l’espressione può
necessarie distinzioni, e quindi il tuono ed il contegno conveniente,
che
l’attore dee tenere co’ rispettivi interlocutori,
della tenerezza, ed a Farnace con quelli della diffidenza. Si narra,
che
Baron sostenendo la parte di Cesare nella morte d
samente, e secondo i rapporti rispettivi di amicizia o di conoscenza,
che
aveva con essi; e che Beaubourg con l’alterigia d
apporti rispettivi di amicizia o di conoscenza, che aveva con essi; e
che
Beaubourg con l’alterigia di un padrone, il quale
rg con l’alterigia di un padrone, il quale non vede all’intorno di sé
che
degli schiavi. [17.5] Se ciò è vero Baron esprim
che degli schiavi. [17.5] Se ciò è vero Baron esprimeva assai meglio
che
Beaubourg il carattere di Cesare a vista de’ suoi
tantemente questa relazione in ogni scena d’altro non debbe occuparsi
che
degli interlocutori coi quali ei tratta, ed a’ qu
dine, la persona. E siccome tutto il dramma si espone agli spettatori
che
debbono principalmente goderne, gli attori debbon
principalmente goderne, gli attori debbono scegliere quella posizione
che
non nuoccia, né all’attenzione degli spettatori,
ttatori, né a quella degli interlocutori. Quindi si collocano in modo
che
parlando tengano la parte anteriore della persona
movimenti successivi, secondo quei rapporti subalterni ed accidentali
che
via via si spiegassero dal corso dell’azione e de
ne. È necessario dunque il variare questo quadro secondo il movimento
che
lo sviluppo della passione dee comunicare alla fi
o e degli interlocutori dee pure determinare la positura particolare,
che
gli attori debbono tenere fra loro in qualunque s
che gli attori debbono tenere fra loro in qualunque scena. Finora par
che
si sia adottata la pratica di tenersi per l’ordin
trano, o pur convengono per ragionare insieme. Occupato un cotal sito
che
il caso o la scelta abbia, loro fornito, essi non
discorso, o dal sopravvenire di alcuno non emerga qualche accidente,
che
gli obblighi o gli abiliti a tal cangiamento. Sin
Sino a questo momento essi debbono guardare il loro posto, ma non sì
che
ciascuno nel suo non prenda quelle attitudini e n
cuno nel suo non prenda quelle attitudini e non segua quei movimenti,
che
circoscritti allo stesso luogo, servono ad animar
scena, o almeno in qualche parte di essa. Il sedersi ove non sia più
che
necessario, ed espressamente prescritto dal poeta
amente prescritto dal poeta, sembra come illecito ed indecente, quasi
che
fosse una creanza comune a tutti gli attori; ed i
osse una creanza comune a tutti gli attori; ed io credo al contrario,
che
sovente se ne potrebbe cavare un gran partito, da
o le persone autorevoli per quella ragione analoga al loro carattere,
che
o non amano di troppo trattenersi e sfogarsi con
idenza un gestire non abbastanza contenuto e moderato. [17.11] I soli
che
si abbandonano a tutta la libertà dell’espression
tutta la libertà dell’espressione sono i pari di condizione, o quelli
che
tali renda la forza della passione. Ovidio diceva
zione, o quelli che tali renda la forza della passione. Ovidio diceva
che
l’amore s’incontra di rado con la maestà. [17.12
ua le condizioni; e lo stesso può dirsi di tutte le passioni violente
che
più non conoscono modi e riguardi. [17.13] Ancor
e dell’oratore secondo il genere di eloquenza e della pronunciazione,
che
dee spiegare. Tali sono le scene, in cui Semirami
o della scena è drammatico e dialogístico; ritenuta quella relazione,
che
tra superiori ed inferiori interviene, il gesto c
ressione in generale dee seguire la natura e la forza della passione,
che
ove sia straordinaria, obbliga la persona a non a
a, obbliga la persona a non aver rispetti ad alcuno, e a non obbedire
che
a movimento di lei, purché non si abbia l’interes
est’ultimo caso la passione è complessa e tutt’altra, e tale insomma,
che
non ama dispiegarsi, e che piuttosto dee mostrars
è complessa e tutt’altra, e tale insomma, che non ama dispiegarsi, e
che
piuttosto dee mostrarsi ed esprimersi a quella ma
amento e la corrispondenza de’ tuoni fra gl’interlocutori. Ogni senso
che
sia di troppo, o del tutto staccato da’ precedent
ne ne’ frequenti e inopinati passaggi dall’una all’altra sentenza, il
che
ci obbliga continuamente a cangiar di tuono e di
tuono e di tempo. Riesce però felice ed eccellentissimo quell’attore,
che
alla flessibilità dell’organo vocale abbia aggiun
gano vocale abbia aggiunto la cognizione di tutte quelle digradazioni
che
a tutte le modificazioni e gradi della passione d
alogo. Essi debbono ancor, variando, conservare una certa consonanza,
che
forma una specie di accor do e di armonia fra il
on quello dell’altro, o questo ripete esattamente il tuono di quello,
che
è quanto dire, se l’uno con l’altro non si modifi
azioni dell’uno, l’altro risponde e ripiglia sempre in consonanza, sì
che
non risulti lo stesso tuono fra chi termini e chi
non risulti lo stesso tuono fra chi termini e chi ricominci; ma bensì
che
l’uno all’altro per quanto varii la sentenza, cor
nvita e non ti obbliga a modulare e rincalzare l’intonazione a misura
che
all’una succede l’altra? Tale è il principîo dell
ne della scena seconda dell’atto terzo: Egisto. Tu pur mi scacci? E
che
mi apponi? Agamennone. Il padre. Egisto. E bast
anti altri simili tratti non vi offrono le tragedie di questo autore,
che
più di tutti ha fatto servire l’artificio del dia
II. Dei silenzii o riposi. [18.1] Noi abbiamo altrove osservato
che
non sempre gli organi dell’espressione possono e
iluppamento del dialogo dee determinare questa specie di espressione,
che
muta o taciturna potrebbe dirsi. Imperocché l’int
cia, o cessi di parlare, non cessa però di sentire e di esprimere ciò
che
sente con tutti quegli organi che non sono sospes
però di sentire e di esprimere ciò che sente con tutti quegli organi
che
non sono sospesi o preoccupati. Cerchiamo intanto
a presentarsi senza una ragione o disegno, ed è questa quella ragione
che
lega e giustifica tutte le scene, appena essa si
ssa si presenti debbe annunciarsi animata di quel sentimento o motivo
che
ivi direttamente e pensatamente la meni. Perlocch
ente la meni. Perlocché venendo o per comunicare o per intendere quel
che
attualmente vie più l’interessa, nella fisonomia,
entarsi? Che fare? Come disporsi a parlare? È questo il primo momento
che
dee fermare l’attenzione degli spettatori, e che
sto il primo momento che dee fermare l’attenzione degli spettatori, e
che
per l’ordinario decide di tutto il seguito. Allor
8.4] Clitennestra consapevole della sua infedeltà incontra Agamennone
che
ritorna trionfante da Troja; allorché questi rive
l padre, e i figliuoli di G. Bruto al padre, e Cinna ad Augusto ecc.,
che
e quanto non possono e debbono esprimer tacendo?
tra passione più o meno lenta sorprende ed agita la persona. Si narra
che
il commediante Le Kain impiegava più momenti di s
ra che il commediante Le Kain impiegava più momenti di silenzio prima
che
cominciasse a parlare. Se certi cantanti melodram
venientemente alterate, si dee leggere tutto l’effetto o la reazione,
che
le nuove impressioni dell’interlocutore vi destan
questo, egli dee sempre indicarle con l’attitudine conveniente a ciò
che
si propone di dire o di fare; e per la stessa leg
he si propone di dire o di fare; e per la stessa legge di continuità,
che
modifica ed altera lo stato precedente, prepara e
edente, prepara ed annunzia il susseguente. E perciò l’interlocutore,
che
ascolta prima che ripigli il suo discorso, ha già
annunzia il susseguente. E perciò l’interlocutore, che ascolta prima
che
ripigli il suo discorso, ha già fatto intravedere
o unicamente al suo disegno, abbandona la scena, e fa presentire quel
che
tacendo si è fìtto nell’animo. Parte Medea per as
sservazioni già fatte io credo poter ritrarre questa regola generale,
che
cioè la persona che tace dee rimanere nell’attitu
e io credo poter ritrarre questa regola generale, che cioè la persona
che
tace dee rimanere nell’attitudine di quel sentime
ccessivamente riceve ascoltando, dee passare insensibilmente a quella
che
annunzi il suo proponimento e la sua risposta. L’
la sua risposta. L’attore adunque dacché entra in iscena sino a tanto
che
ne parte dee sempre mostrarsi qual egli è, o qual
ostrarsi qual egli è, o quale debb’essere, e perciò sia ch’ei parli o
che
taccia, dee sempre mostrarsi animato di quell’int
taccia, dee sempre mostrarsi animato di quell’interesse predominante
che
lo fa attualmente e parlare e tacere, e venire ed
bandonato la scena, ritenendo tuttavia quel contegno e quel movimento
che
avea dal dialogo concepito. Quintiliano ci assicu
el trovava ancora in Ekard, terminata la scena, lo stesso personaggio
che
aveva rappresentato. [18.8] Il silenzio più espre
a rappresentato. [18.8] Il silenzio più espressivo si verifica allora
che
, a vista di chi ascolta od attende la risposta, l
sa, o perché non dee dire, e pur suo malgrado egli dice alla fine ciò
che
non vorrebbe, o pur non dovrebbe. Questi momenti
Quindi nascono quelle incertezze, quei sentimenti, quegli imbarazzi,
che
gli antichi dicevano morae, e che manifestavano n
quei sentimenti, quegli imbarazzi, che gli antichi dicevano morae, e
che
manifestavano nel silenzio la più grande agitazio
la più grande agitazione di un animo contrastato. Ti par tante volte
che
l’anima affannata si affacci appena con le parole
uesta violentissima posizione, allorché, celando la fiamma incestuosa
che
la divora e che pur vorrebbe manifestare ad Emone
ima posizione, allorché, celando la fiamma incestuosa che la divora e
che
pur vorrebbe manifestare ad Emone e ad Ippolito,
ntemente diversa o contraria al vero proponimento, o stato dell’animo
che
si vuole o si cerca nascondere. [18.9] Tali si m
zientemente ascoltato: Sortez; ed Agamennone quando dice ad Ifigenia
che
gli domanda del sacrificio che si prepara: Vous
ed Agamennone quando dice ad Ifigenia che gli domanda del sacrificio
che
si prepara: Vous y serez ma fille; ed Otello, al
o che si prepara: Vous y serez ma fille; ed Otello, allorché a Iago,
che
gli diceva: Io mi accorgo che le mie riflessioni
ma fille; ed Otello, allorché a Iago, che gli diceva: Io mi accorgo
che
le mie riflessioni hanno alquanto agitato il vost
uore; gli risponde solamente: No, niente affatto. Garrik ci assicura
che
in questo momento sentendosi tutto rabbrividire a
parole insignificanti ch’egli pronunciava, ma dalla muta espressione
che
lo tradiva, e tutta manifestava l’agitazione dell
imo suo. E di questa specie sono altresì quelle comunicazioni segrete
che
si danno ad alcuno sommessamente nell’atto della
egrete che si danno ad alcuno sommessamente nell’atto della scena, sì
che
né gli interlocutori, né gli spettatori l’intendo
quell’infelice. [18.10] Finalmente v’ha pure un silenzio di stupore,
che
non solo la voce, ma tutti gli altri organi lasci
eccesso può dirsi: Ingentes stupent. La violenza e la piena è tale,
che
o non si può più articolar parola, o si prorompe
ritiene più tempo in iscena senza nulla esprimere. I migliori poeti,
che
non sacrificano tali momenti ad insignificante ed
sprimerli e rilevarli. [18.12] Son pure di queste specie quei silenzi
che
annunciano l’odio o il disprezzo; chi odia o disp
li ch’ei sieno, essi non sono né possono essere persone indifferenti,
che
di tali non ammette la vera tragedia, e non è il
ra tragedia, e non è il favellare senza necessità ed indiscretamente,
che
possa renderla interessante. Sofocle non fa mai p
che possa renderla interessante. Sofocle non fa mai parlare a Pilade,
che
pur sempre accompagna, conforta e seconda Oreste
rta e seconda Oreste nel vendicarsi di Egisto. E chi potrebbe credere
che
Pilade si rimanesse affatto inutile e senza effet
i gli altri. [18.15] Dal concorso armonico di questa muta attitudine
che
debbono prendere tutti gli astanti si viene via v
astanti si viene via via sviluppando una serie di gruppi e di quadri,
che
in certi momenti straordinari, se siano bene asso
é si formi un bel tutto, tutto dee parere naturalmente avvenuto senza
che
l’affettato apparecchio ne tolga l’incanto. Essi
s’incontrano quelle sorprese inopinate, o improvvisi riconoscimenti,
che
danno luogo a mutazioni stranissime di fortuna, s
conoscimenti, che danno luogo a mutazioni stranissime di fortuna, sia
che
si passi da tristo a lieto stato, o da lieto o tr
e dalle funzioni delle persone, anziché dall’accidente straordinario
che
le sorprende e conturba. Ma che sarà se l’una e l
anziché dall’accidente straordinario che le sorprende e conturba. Ma
che
sarà se l’una e l’altra circostanza si combinano
vere il monologo dalla tragedia, come se fosse strano ed inverosimile
che
una persona fortemente preoccupata dal suo disegn
glio, e trattenersi a parlamentar con se stesso. Ma qual’è quell’uomo
che
sia capace di vivamente sentire e di meditare pro
mo che sia capace di vivamente sentire e di meditare profondamente, e
che
non abbia più volte sperimentato in se stesso cot
i di grandi passioni, e per le strade più frequenti e di pieno giorno
che
, occupate da cura non ordinaria, si sentono andar
a non ordinaria, si sentono andar brontolando e ragionando fra sé? Or
che
non sarebbero sotto il pungolo di passione veemen
e gli uomini se ben si osservi delirano e sognano assai più di giorno
che
di notte. Diciamo dunque che il monologo è il lin
i delirano e sognano assai più di giorno che di notte. Diciamo dunque
che
il monologo è il linguaggio d’ogni passione viole
he il monologo è il linguaggio d’ogni passione violenta e profonda, e
che
allora diventa sconcio ed anche ridicolo quando g
nta sconcio ed anche ridicolo quando gli manca quel grado di passione
che
sia sufficiente a produrlo e giustificarlo. Nel p
durlo e giustificarlo. Nel primo caso è l’uomo veramente appassionato
che
c’interessa, e nel secondo è l’uomo freddo ed imp
c’interessa, e nel secondo è l’uomo freddo ed importunamente loquace,
che
ci annoja e disgusta. [19.2] Supponendo dunque i
tici cantiche, e l’attore e lo spettatore li riguardavano come quelli
che
comprendessero maggiore importanza e difficoltà.
del dialogo, oltre le sue proprie; perocché trovandosi la persona più
che
mai perturbata, sola e in balìa della passione ch
osi la persona più che mai perturbata, sola e in balìa della passione
che
l’agita, non può essere né richiamata, né tempera
ù difficili e pericolosi, quanto è minore l’intervallo e la relazione
che
li separa, e sembrano quasi che impossibili a com
è minore l’intervallo e la relazione che li separa, e sembrano quasi
che
impossibili a combinarsi insieme. Ed inoltre, ess
one, è l’abbandono d’ogni riguardo, il non sentire, né spiegare altro
che
la propria passione; quindi lo sfogarsi liberamen
garsi liberamente, il vagare a seconda della passione estuante, senza
che
incontri al difuori ostacoli o limiti, che la raf
a passione estuante, senza che incontri al difuori ostacoli o limiti,
che
la raffrenino e la contengano. In tale stato viol
uelle attitudini analoghe ai diversi dubbj, o giudizi, o proponimenti
che
in lei successivamente si affacciano e si dilegua
asso, il quale sovente ragionava o credeva di ragionar col suo genio,
che
non era che la sua immaginazione personificata; e
le sovente ragionava o credeva di ragionar col suo genio, che non era
che
la sua immaginazione personificata; e così divide
zioni, di movimenti, di pause, di silenzi, di vaniloqui; e spesso più
che
sentenze non si odono che parole tronche e scompo
use, di silenzi, di vaniloqui; e spesso più che sentenze non si odono
che
parole tronche e scomposte, le quali accennano ap
odono che parole tronche e scomposte, le quali accennano appena quel
che
dir si vorrebbe, o piuttosto il subito pentimento
na quel che dir si vorrebbe, o piuttosto il subito pentimento di quel
che
appena si è concepito od immaginato. In questi mo
hinazioni, i più disperati disegni, i delitti più atroci, e tutto ciò
che
di più geloso si teneva egli celato. Allora Medea
l’assassinamento dei propri figli; Isabella scopre la fiamma occulta
che
l’arde; Agamennone piange senza riguardi il desti
utti i monologhi si possono ridurre a due generi, siccome le passioni
che
gli animano. [19.6] Imperocché queste obbligano l
, la celerità. Fra tutti sono quelli i più interessanti e drammatici,
che
ammettono più varietà di passaggi, più delirio e
ne ordinaria della persona con l’accesso straordinario della passione
che
l’investe, lady Macbet, naturalmente sonnambula e
fra vani suoi tentativi tutto esprime e manifesta nel suo orrore quel
che
tace e vorrebbe celare. Alquanto simile è la situ
fatto? Ah no; m’odio piuttosto Per mille abbominevoli, odiosi Delitti
che
ho commesso… Un scellerato Io son… Mento… Nol son
la 1a scena del IV atto, e le sue parole per la rapidità de’ pensieri
che
si succedono e si avvicendano, sono l’una dall’al
a parola era per lui come un semplice e rapido cenno dell’espressione
che
doveva compierne e determinarne il significato. C
uilli e riposati, e sono dettati dalla più profonda fissazione; e più
che
i sentimenti e i trasporti sono le idee e le rifl
e; e più che i sentimenti e i trasporti sono le idee e le riflessioni
che
si succedono e si contrastano. Tale è quello di A
a scena del IIIo atto, il quale è legato più nell’animo di chi parla,
che
nelle parole che interrottamente pronuncia. Io ce
atto, il quale è legato più nell’animo di chi parla, che nelle parole
che
interrottamente pronuncia. Io cerco di tradurlo n
e parole che interrottamente pronuncia. Io cerco di tradurlo nel modo
che
so migliore: Essere, o no,… questo è il gran pun
. [19.11] Io non finirei più se tutte volessi esporre quelle bellezze
che
tali situazioni tragiche sogliono racchiudere. L’
ono tutti per l’ordinario animati di quel calore e di quell’interesse
che
li rende naturali ed efficacissimi. Si possono di
nguere quali esempi e mezzi ad un tempo di espressione per gli attori
che
vogliono perfezionarsi in quest’arte, la scena 1a
12] Finalmente si possono considerare come monologistici quei tratti,
che
sogliono occorrere nello stesso dialogo, allorché
ori è siffattamente occupato della sua idea o affezione predominante,
che
ne parla e delira come se fosse pur solo, ed anco
hi ne ha fatto un uso mirabile nella Fedra e nell’Ifigenia in Aulide,
che
Racine ha nelle sue giudiziosamente imitate. Fedr
atissimi, e procedono da concentramento, ma sono più risentiti quelli
che
procedono da trasporto. Tali sono quelli di Gioca
quelle narrazioni di cose e di memorie sì interessanti per chi li fa,
che
non può a meno di comparire tutto compreso e preo
Di questo genere è il momento di Atalia, allorché manifesta il sogno
che
ha fatto. Ella è talmente inorridita, che pare di
allorché manifesta il sogno che ha fatto. Ella è talmente inorridita,
che
pare di rivedere quel ch’espone parlando. A quest
to modo dee pur Clitennestra narrare ad Elettra l’ombra di Agamennone
che
la perseguita. I sogni e le visioni di questa sor
Della decorazione della persona e della scena. [20.1] Tutto ciò
che
riguarda la decorazione tanto dell’attore quanto
tutti gli sforzi per convertirsi e quasi identificarsi con la persona
che
rappresenta, tutti i suoi sforzi riuscirebbero va
, se la decorazione tendesse ad indebolirne od annientarne l’effetto,
che
nell’illusione unicamente consiste. E l’attore sa
o è più facile l’adempì mento di questa parte, e sommo il pregiudizio
che
non adempiuta apporterebbe a tutte le altre. La d
condizioni, a cui la persona si riferisce. Sarebbe assurdo e ridicolo
che
Clitennestra ed Agamennone, che Andromaca ed Etto
riferisce. Sarebbe assurdo e ridicolo che Clitennestra ed Agamennone,
che
Andromaca ed Ettore, che Orazio e Virginia ecc. v
o e ridicolo che Clitennestra ed Agamennone, che Andromaca ed Ettore,
che
Orazio e Virginia ecc. vestissero le fogge di Fra
roverebbe il più delle volte in aperta contraddizione con le sentenze
che
dovrebbe esprimere; e lo spettatore ne riderebbe
re ne riderebbe fra sé, come noi rideremmo di un francese od italiano
che
si abbigliasse fra noi alla romana o alla greca.
he si abbigliasse fra noi alla romana o alla greca. Tutti gli artisti
che
all’espressione muta e visibile si sono soltanto
E perché de’ pittori e degli scultori, il cui fine è meno d’illudere
che
di dilettare con la bella imitazione, sarebbero g
la scena francese ha portato il costume a quella verità ed esattezza
che
annunzia i progressi dell’arte e del gusto di que
più restiva e più tarda a farne uso ne’ suoi teatri. I nostri artisti
che
pur tanto valevano ad imitare la natura ch’essi v
la natura ch’essi vedevano, poco o nulla curavano di apprender quella
che
non esisteva fuorché ne’ libri. Ond’è che i nostr
uravano di apprender quella che non esisteva fuorché ne’ libri. Ond’è
che
i nostri commedianti per l’ignoranza e l’inopia,
ovavano, non comparivano insieme a rappresentare qualunque carattere,
che
non fossero vestiti, o piuttosto immascherati di
ona, cagionando la distrazione ed il riso degli ascoltatori. Io credo
che
basti ad abborrir tale scandalo il semplicemente
20.6] Se questa specie di verità è pur tanto necessaria all’illusione
che
è il fine dell’arte, questa medesima illusione es
one che è il fine dell’arte, questa medesima illusione esige talvolta
che
non tutta si mostri quanto è, se troppo si trovas
ualche riguardo là dove è giunta ad associare a tali segni tali idee,
che
risvegliate produrrebbero per abitudine incontras
ontrastabile certe impressioni ed effetti del tutto contrari a quelli
che
l’imitazione si propone di cagionare. In tali inc
’imitazione si propone di cagionare. In tali incontri bisogna, il più
che
è possibile, conciliare prudentemente la verità c
linguaggio della galanteria e della corte francese, soffrirono ancora
che
ne fossero francesi le fogge. Ma la verità dee se
gliori direttamente non contrastassero. Noi abbiamo altrove osservato
che
la verità non produrrebbe l’effetto che si propon
Noi abbiamo altrove osservato che la verità non produrrebbe l’effetto
che
si propone l’imitazione di essa. [20.8] Questo pr
cché si dovrebbero tra le fogge vere o verisimili quelle trascegliere
che
più si accordassero fra di loro con quella conven
he più si accordassero fra di loro con quella conveniente proporzione
che
le principali figure fa risaltare. I pittori hann
cercano in tutto la progressione e l’accordo. E noi proviamo tuttodì
che
se la menoma dissonanza ci spiace e raffredda, la
mamente. Or qual effetto non produrrebbero quelle scene e quei gruppi
che
ci presentassero siffattamente armonizzate le lor
sono più o meno supporsi ed immaginarsi, ma non debbono mancar quelle
che
si vogliono indicare o mettere in opera su le sce
re o mettere in opera su le scene. E peggio ancora sarebbe se le cose
che
si veggon sott’occhi sieno diverse od affatto con
che si veggon sott’occhi sieno diverse od affatto contrarie a quelle
che
si accennano o che si adoprano. La contraddizione
’occhi sieno diverse od affatto contrarie a quelle che si accennano o
che
si adoprano. La contraddizione riuscirebbe tanto
più fosse sensibile e facile ad evitarsi. E perciò in generale quello
che
richiede la scena dell’Edipo tebano, o del Promet
la scena delle Trojane o del Filottete o di Ione. [20.11] Egli è vero
che
alcune volte il carattere della scena è alquanto
ialmente presso gli antichi, nei quali, per la latitudine della scena
che
comprendeva più membri, e per l’uniformità delle
il popolo, essa era permanente e quasi sempre la stessa, come quella
che
doveva e poteva rappresentare ad un tempo la citt
in tutto o in parte si doveva eseguire. Per la qual cosa ogni scena,
che
in sé presentasse tali aspetti, poteva servire co
asi esagerata, sia per farsi meglio sentire. [20.13] Non v’ha dubbio
che
la voce dee pervenire sino all’estrema circonfere
renza del teatro, e perciò la capacità di questo non debbe esser tale
che
sforzi troppo la declamazione degli attori, e l’a
uenti sconci: 1.o Non adoprando i nostri attori la maschera a tromba,
che
appo gli antichi rinforzava ed ingrandiva la voce
della fisonomia, del ciglio, e dell’occhio principalmente, vantaggio
che
per le maschere mancava agli antichi, e che per l
principalmente, vantaggio che per le maschere mancava agli antichi, e
che
per la troppa distanza non si potrebbe godere dal
i spettatori. [20.14] Si dovrebbe ancora provvedere allo stesso fine
che
la parte superiore della scena, ove gli attori de
rtunamente coperta, sicché la voce non si dissipi in gran parte prima
che
arrivi agli ultimi spettatori. Le soverchie apert
parte prima che arrivi agli ultimi spettatori. Le soverchie aperture
che
circondano la scena, specialmente se si presentin
circondano la scena, specialmente se si presentino alla voce in modo
che
una gran parte ne assorbiscano e ne distruggano,
er le parti di mezzo e per l’estreme di tutto il teatro. E basti quel
che
abbiamo avvertito finora, per ciò che riguarda l’
i tutto il teatro. E basti quel che abbiamo avvertito finora, per ciò
che
riguarda l’espression degli attori. Capitolo X
Studio della parte [21.1] Le considerazioni generali e particolari
che
abbiam fatto finora debbono regolare lo studio ch
rali e particolari che abbiam fatto finora debbono regolare lo studio
che
ogni attore dee fare della sua parte. E perché mo
a parte. E perché molte cose si trascurano, e molte altre se ne fanno
che
non dovrebbero farsi, io credo giovevole lo stabi
non dovrebbero farsi, io credo giovevole lo stabilire alcune massime
che
possono servire a meglio determinarne la pratica.
ime che possono servire a meglio determinarne la pratica. Dico dunque
che
la parte dee studiarsi, perché se ne comprenda tu
tudio particolare; 3o Prova generale. [21.3] Primamente è necessario,
che
avanti ogni altra cosa si legga la tragedia a tut
ualmente si comprenda la natura del subbietto e delle persone, e quel
che
risulta di più considerevole intorno alle loro re
rarre il vero da imitarsi; e perciò dovrebbe farsi dal proprio autore
che
l’ha composta, ed in assenza di lui da persona in
di rilevarne le bellezze originali, ed interpretare all’uopo tuttociò
che
paresse dubbio intorno agli oggetti più interessa
po tuttociò che paresse dubbio intorno agli oggetti più interessanti,
che
i doveri di ciascuno attore riguardano. In questa
to ed il relativo; e quindi risulterebbe quell’unità e quell’armonia,
che
è pur tanto rara a verificarsi, ove ciascuno si a
erificarsi, ove ciascuno si abbandoni al suo capriccio particolare, e
che
è pur tanto necessaria ove ciascuno voglia conseg
verrebbe a definirsi la vera idea del tutto e delle sue parti, e quel
che
gli attori hanno di comune e di proprio, perché p
erebbe eziandio non pur la foggia del vestire generale e particolare,
che
il carattere e la disposizione della scena, e tut
la disposizione della scena, e tutte quelle più importanti relazioni
che
con la scena deggiono avere gli attori. Per tal m
ciascheduno; e tutto riuscirà armonizzato negli abiti e nei movimenti
che
avessero alcuna relazione locale con la scena. [
uando tace ed ascolta, il suo studio debbe abbracciare non pur quello
che
dee sentire ed esprimere quando ei parla, ma quel
quello che dee sentire ed esprimere quando ei parla, ma quello ancora
che
dee sentire ed esprimere quando tace. Ed in che m
rla, ma quello ancora che dee sentire ed esprimere quando tace. Ed in
che
modo si potrebbe eseguire tutto quello che l’espr
primere quando tace. Ed in che modo si potrebbe eseguire tutto quello
che
l’espressione dialogística assolutamente richiede
olutamente richiede, se l’attore non tenga presente e prontissimo ciò
che
dee dire ove parli, e ciò che dee fare ove taccia
re non tenga presente e prontissimo ciò che dee dire ove parli, e ciò
che
dee fare ove taccia? Oltrecché la variazione oppo
, or meno elevato od accelerato, e sempre concorde e consono a quello
che
precede e che siegue, non possono essere accurata
ato od accelerato, e sempre concorde e consono a quello che precede e
che
siegue, non possono essere accuratamente determin
atamente determinate, se non dalla natura delle idee e dei sentimenti
che
debbono svilupparsi e succedersi. Ora se questi n
secondo le circostanze e il bisogno? Io ritengo come cosa certissima,
che
non si può ben declamare qualunque scena, se cias
primer bene, cioè con franchezza, con sentimento e spontaneità quello
che
non si sa o si dubita d’indovinare. L’attore in t
oltà di mendicare ed aspettar le parole da un importuno rammentatore,
che
la forza degli affetti, di cui dovrebbe apparire
lamente animato. E senza dire altro noi possiamo francamente asserire
che
senza l’apparecchio e l’uso conveniente della mem
perduto. [21.7] E pure una cosa evidentemente sì necessaria è quella
che
nei teatri d’Italia si trascura del tutto. [21.8
ntemente lo soffre, a sentirsi recitare da cotali rammentatori quello
che
gli attori vengono via via ascoltando e ripetendo
o via via ascoltando e ripetendo comodamente. Si è creduto da alcuni,
che
presso i Romani due attori distinti sostenessero
ggior destrezza e riuscita in ciascuno. Ma noi al contrario soffriamo
che
si raddoppi la stessa persona, e che la stessa pa
o. Ma noi al contrario soffriamo che si raddoppi la stessa persona, e
che
la stessa parte si reciti a un tempo dal suggerit
ll’attore pel solo effetto della più annojevole monotonia. E supposto
che
il rammentatore non venga dagli spettatori avvert
molto grandi) non potrà l’attore celare quella specie di attenzione,
che
è costretto a prestargli e che l’obbliga a contin
re celare quella specie di attenzione, che è costretto a prestargli e
che
l’obbliga a continue distrazioni, trovandosi mai
negligere la vera espressione della sua parte, o di smarrir le parole
che
dee il suggeritore imboccargli. [21.9] Io so che
i smarrir le parole che dee il suggeritore imboccargli. [21.9] Io so
che
i commedianti italiani non possono in brevissimo
brevissimo tempo imparare tutti quei drammi e di genere diversissimo,
che
sono obbligati a rappresentare, sì perché sono es
oncorso del pubblico, e così a progredir sempre di male in peggio. Il
che
non accadrebbe se gli attori e le rappresentazion
ncese, non annojano, né invecchiano mai, ancorché volgarmente si dica
che
i francesi sien fatti per annojarsi e variare più
armente si dica che i francesi sien fatti per annojarsi e variare più
che
altri; e lasciando da parte queste differenze com
tri; e lasciando da parte queste differenze comparative, e le ragioni
che
le producono e le giustificano, diciamo invece ch
tive, e le ragioni che le producono e le giustificano, diciamo invece
che
i migliori teatri delle altre nazioni non soffron
itori. Non si dovrebbe dunque ammettere sulle scene alcun commediante
che
avesse bisogno di rammentatore, il quale dovrebbe
.10] Dovendo l’attore mandarsi a memoria non pur le parole ed i versi
che
dee recitare, ma tutti i modi e gli accidenti che
e parole ed i versi che dee recitare, ma tutti i modi e gli accidenti
che
all’espressione appartengono, si potrebbe, anzi d
o, si potrebbe, anzi dovrebbe, potendosi, notare i tratti principali,
che
più meritassero la sua attenzione. Si è disputato
eruditi tali ricerche e congetture, noi ci contentiamo di osservare,
che
per quanto gli elementi della pronunciazione ordi
e seguitamente. Dietro gli esempi ed i tentativi di costoro, io penso
che
se è difficilissimo e di niun uso, e forse ancora
uò giovare non poco, ove si notino prudentemente quei tratti soltanto
che
meritassero alcuna avvertenza particolare. Né man
uti a quest’uopo, come i tratti orizzontali continuati o punteggiati,
che
indicano un sensibile cangiamento di voce dopo al
di voce dopo alcuna pausa od interrompimento di senso principîato, o
che
si voleva principîare. Si potrebbe su lo stesso e
anti, senza imbarazzar troppo il libero andamento della declamazione,
che
potrebbe essere offeso dall’eccesso di regolarità
offeso dall’eccesso di regolarità e di analisi. [21.11] Ogni artista
che
intende ad imitar la natura ne’ suoi modelli ha q
rne la giustezza e correggerne i difetti e dar loro quella perfezione
che
non avessero ne’ primi esperimenti sortita. Il so
lauto ch’ella suonava. Il buon Plutarco sperava dallo stesso ripiego,
che
l’iracondo potesse correggersi, ricorrendo allo s
ome se al collerico spiacesse di apparire quale vuole essere, secondo
che
Seneca rifletteva. Può dunque lo specchio avverti
otrebbe essere sino a certi termini il commediante. E da temersi però
che
stando rivolto ed inteso ad osservare la sua imma
giamento della persona, e col guardo la miglior parte della fisonomia
che
da quello dipende, non possono simultaneamente ac
rata con l’osservazione, e spontanea con l’esercizio quell’attitudine
che
altrimenti riuscirebbe pericolosa e difficile a c
alla dignità ed espressione del portamento, del gesto e della figura,
che
in certi momenti raccomandano al maneggio dell’ab
Timante presentò Agamennone col volto coperto dal suo manto sul punto
che
s’immolava sull’altare la sua figliuola. Così pur
berata si esprime assai più con l’artificiosa disposizione del manto,
che
con le parole. [21.14] E qui conviene particolarm
, che con le parole. [21.14] E qui conviene particolarmente avvertire
che
più dello specchio sarebbe acconcio ed efficace u
eva con Cicerone, perché non possono e debbono farlo i nostri attori,
che
certo non superiori a quello per merito? Si sa ch
o i nostri attori, che certo non superiori a quello per merito? Si sa
che
Le Kain consultava sovente un suo amico particola
ch’era dall’altro giudicato il migliore. In questa maniera tutto ciò
che
non potremmo osservare e giudicare da noi, ne ver
nsigliarci e correggerne. [21.15] Dopo lo studio particolare conviene
che
tutto si ricomponga nella prova generale. Questa
e conviene che tutto si ricomponga nella prova generale. Questa esige
che
ciascuno attore sappia già la sua parte, e franca
si faranno gli altri su la scena per combinare ed eseguire tutto ciò
che
riguarda l’accordo, l’armonia delle parti e dell’
o del dialogo, e massime ne’ gruppi o nella disposizione delle figure
che
possono occorrere. [21.16] E perciò qualche prova
si conoscono, si tentano, si correggono e si migliorano, sino a tanto
che
la rappresentazione giunga a quel grado di perfez
no a tanto che la rappresentazione giunga a quel grado di perfezione,
che
la renda degna di esporsi al pubblico. [21.17] I
rammentatore, e potrebbero ancor dieci non esser bastanti. Credo però
che
il loro numero dovrebbe determinarsi secondo l’es
una o due prove non possono esser mai sufficienti a quella perfezione
che
si richiede; e chi credesse altrimenti, mostrereb
o l’ignoranza dell’arte sua. Che se l’arte non si conosce affatto, e,
che
è peggio, sia corrotta e viziosa, quale l’Alfieri
sublime dell’uomo, la quale è la sorgente di tutte le virtù civili, e
che
la società corrotta ha per lo più soffogata e qua
iacere nel suo spontaneo compatimento. Ma questa vera e divina virtù,
che
è la cagione ad un tempo e l’effetto dell’unione,
l’effetto dell’unione, della forza e della perfezione degli uomini, e
che
ci rende tollerabili, e, quasi non dissi, aggrade
ci rende tollerabili, e, quasi non dissi, aggradevoli gli stessi mali
che
la generano e l’alimentano, è massimamente e prop
mandata al ministero della tragedia, la quale fra le eroiche passioni
che
adopera, del terrore e della compassione si dilet
Dunque la tragedia non può conseguire l’intero suo fine, se il fatto
che
rappresenta non ha da prima commosso fortemente l
gli attori uscir dalla scena ancor piangendo a cagione della calamità
che
aveano veramente imitato: Vidi ego saepe histrion
a sperimentar l’arte sua, ed a compiacersene nel suo segreto, avanti
che
agli altri l’esponga; e per quanto l’amor proprio
amor proprio lo insidi, è desso il primo giudice dell’opera sua. E in
che
modo e con qual dritto potrebbe sperare e pretend
l dritto potrebbe sperare e pretendere d’interessar gli altri, s’egli
che
debb’essere interessato più d’altri, si trovi ind
’altri, si trovi indifferente e freddissimo? A me sembra non pur fina
che
giusta ed applicabile al caso nostro l’osservazio
non pur fina che giusta ed applicabile al caso nostro l’osservazione
che
faceva il poeta e filosofo Euripide nella tragedi
perfetto stato. [22.3] Ma l’effetto più grande e mirabile è quello
che
si raccoglie dall’animo degli spettatori, e che p
e e mirabile è quello che si raccoglie dall’animo degli spettatori, e
che
pienamente ottenuto diventa il segno più certo de
ome possono esser varie le impressioni e le occasioni negli accidenti
che
le producono, cerchiamo di caratterizzare la prop
zare la propria e la genuina, e distinguerla dalle false ed estranee,
che
prendono spesso il luogo di quella. Sovente l’int
estranee, che prendono spesso il luogo di quella. Sovente l’interesse
che
il pubblico spiega per qualche rappresentazione d
merito dell’attore, ma quello bensì del decoratore e del macchinista
che
si sperimenta e si approva, ancorché il pubblico
si rispetta. Allora si cerca nella persona quella specie d’interesse
che
non può trovarsi nell’arte; e la scena degenera i
nell’arte; e la scena degenera in uno spettacolo di tutt’altra natura
che
non è quello cui è destinata. Quindi si formano e
ata. Quindi si formano e si dispiegan quelle preoccupazioni e favori,
che
in parti e fazioni sovente degenerano, che pur di
e preoccupazioni e favori, che in parti e fazioni sovente degenerano,
che
pur divisero una volta l’antica Roma, e che turba
zioni sovente degenerano, che pur divisero una volta l’antica Roma, e
che
turbano la pace di tutti i paesi che le alimentan
isero una volta l’antica Roma, e che turbano la pace di tutti i paesi
che
le alimentano. Io vorrei lusingarmi che non esist
bano la pace di tutti i paesi che le alimentano. Io vorrei lusingarmi
che
non esistano di tali teatri fatti per l’obbrobrio
che non esistano di tali teatri fatti per l’obbrobrio degli artisti,
che
vi si espongono, e delle nazioni che li mantengon
i per l’obbrobrio degli artisti, che vi si espongono, e delle nazioni
che
li mantengono. [22.5] V’ha pure un altro genere
oni che li mantengono. [22.5] V’ha pure un altro genere di applausi,
che
suppone nell’artista una certa destrezza, che sor
tro genere di applausi, che suppone nell’artista una certa destrezza,
che
sorprende e seduce gli spettatori non esperti, e
gli spettatori non esperti, e destano in quelli tutt’altra affezione
che
quella che unicamente dovrebbero. V’ha de’ ciarla
tori non esperti, e destano in quelli tutt’altra affezione che quella
che
unicamente dovrebbero. V’ha de’ ciarlatani e degl
altri. Hanno questi tali artifici e maniere, tutti falsi e speciosi,
che
tendono a lusingare, ammaliare e sorprendere i se
e tendono a lusingare, ammaliare e sorprendere i semplici spettatori,
che
pur si dilettano e si compiacciono di quello effe
ciono di quello effetto, non conoscendo, non trovando altro di meglio
che
più li soddisfi. Quindi si sono inventate e conse
di tuoni speciosi, certe fughe precipitate, certe cadenze affettate,
che
provano l’arte ciarlatanesca dell’attore che l’es
certe cadenze affettate, che provano l’arte ciarlatanesca dell’attore
che
l’eseguisce, e il niun gusto del pubblico che le
arlatanesca dell’attore che l’eseguisce, e il niun gusto del pubblico
che
le ammira. Egli è vero che spesso tali artifici c
l’eseguisce, e il niun gusto del pubblico che le ammira. Egli è vero
che
spesso tali artifici costano molto studio e fatic
i. Ed a chi si mostrasse superbo di tal fortuna si potrebbe dire quel
che
disse Ippomaco, sonatore di flauto, ad un de’ suo
o, mentre simili uditori ti applaudiscono? Finalmente il solo effetto
che
si vuole produrre, e che può assicurarci del meri
ti applaudiscono? Finalmente il solo effetto che si vuole produrre, e
che
può assicurarci del merito dell’attore e della pe
dell’attore e della perfezione dell’arte, si è il terrore e la pietà,
che
sempre si manifestano nel più profondo silenzio,
ere preoccupato in contrario. [22.7] Cicerone ci narra di C. Gracco,
che
declamando su la morte di suo fratello Tiberio le
e videam, et abjectam? era tale e tanta l’espressione del suo dolore,
che
traeva le lagrime dal cuore de’ suoi nemici. E pe
essa Clairon ci confessa pur suo malgrado la sorprendente impressione
che
fece su l’animo suo la sig.a Desenne; e si sa che
endente impressione che fece su l’animo suo la sig.a Desenne; e si sa
che
l’attrici non sogliono essere favorevolmente preo
sto nel Cinna: “O siecles! o memoires! ecc.” — Condé non aveva allora
che
venti anni, e le sue lagrime annunciavano o l’int
ffetti, di cui questi sogliono pur tanto abusare. Plutarco ci attesta
che
Alessandro tiranno di Fera, assistendo alle Troad
po la forza dell’espressione tragica e la impotenza di quel principe,
che
non osava resistere all’azione di lei. E noi potr
sava resistere all’azione di lei. E noi potremmo aggiungere in ultimo
che
talvolta la vera tragedia è stata proscritta, per
mo che talvolta la vera tragedia è stata proscritta, perché si temeva
che
gli spettatori, fortemente commossi su’ pubblici
i, fortemente commossi su’ pubblici mali, non sentissero quella pietà
che
suole precedere le più grandi catastrofi degli st
le più grandi catastrofi degli stati. [22.9] Può dunque conchiudersi
che
il segno più certo della perfezione dell’arte e d
e del merito degli artisti non consiste in veruno di quegli applausi,
che
profonde la sorpresa, o il favore, o la meravigli
la sorpresa, o il favore, o la meraviglia, o qualunque altro affetto,
che
non sia quello del terrore e della pietà, e che p
lunque altro affetto, che non sia quello del terrore e della pietà, e
che
per conseguente non già l’evviva, i battimenti di
iti, le lagrime, i fremiti ed i singhiozzi sono l’elogio più sincero,
che
i buoni attori possano e deggiano riportare. Tu a
rtare. Tu allora non osservi fra gli spettatori immobili ed attoniti,
che
un freddo e profondo silenzio, interrotto da qual
e nostre private considerazioni, e quelle eziandio di qualunque altro
che
le corregga o confermi, di pochissimo o niun giov
ritrovarsi mai più, fuorché incominciando da capo. Che s’egli diceva
che
non vi è arte in Italia finora, perché non vi son
Italia finora, perché non vi son tragedie eccellenti e commedie, ora
che
vi sono le sue, non dovrebbe mancar chi la insegn
sue, non dovrebbe mancar chi la insegni, e per conseguenza una scuola
che
ne offra l’insegnamento, secondo i veri principî
ne. E perché se tutte le arti imitatrici hanno delle pubbliche scuole
che
le professano e degli alunni che le apprendono e
tatrici hanno delle pubbliche scuole che le professano e degli alunni
che
le apprendono e l’esercitano, non debbe accordars
l’esercitano, non debbe accordarsi lo stesso dritto alla declamazione
che
di tutte le altre si giova, e che ben eseguita pu
lo stesso dritto alla declamazione che di tutte le altre si giova, e
che
ben eseguita può a vicenda a tutte le altre giova
ella scuola si tiene conto? Perché sprezzare la perfezione di un’arte
che
anche rozza, difettosa ed imperfetta qual’è, atti
zza, difettosa ed imperfetta qual’è, attira e diletta il pubblico più
che
ogni altra? E perché trascurarla se oltre il dile
, e rendere più civile e più colta la nazione? [23.2] Ma io non credo
che
vi abbia alcuno che dubiti della necessità ed uti
le e più colta la nazione? [23.2] Ma io non credo che vi abbia alcuno
che
dubiti della necessità ed utilità di tale istituz
ssario al compimento del mio disegno il dar qui alcune considerazioni
che
possono pienamente realizzarlo. E primamente dist
insegnamento in cognizioni preliminari ed in proprie, cioè in quelle
che
debbono precedere l’arte della declamazione, ed i
quelle che debbono precedere l’arte della declamazione, ed in quelle
che
propriamente la costituiscono. E supponendo che c
mazione, ed in quelle che propriamente la costituiscono. E supponendo
che
chi voglia imparare quest’arte non abbia alcuno d
chi voglia imparare quest’arte non abbia alcuno di quei vizi naturali
che
sono incapaci di correggersi o tollerarsi; e che
i quei vizi naturali che sono incapaci di correggersi o tollerarsi; e
che
anzi abbia tutte le naturali disposizioni che si
eggersi o tollerarsi; e che anzi abbia tutte le naturali disposizioni
che
si richiedono per l’esercizio di quest’arte, pare
ni che si richiedono per l’esercizio di quest’arte, pare, secondo me,
che
volendo esercitarla decentemente, si trovi obblig
i condizioni. [23.4] 1o Cognizione della propria lingua. Egli è vero
che
l’attore non è destinato a scriverla, ma soltanto
e l’attore non è destinato a scriverla, ma soltanto a pronunciare ciò
che
l’autore ha composto; ma non è possibile ch’egli
ale o sintassi. Or come si pretenderebbe esprimere esattamente quello
che
esattamente non si conosce? E conosciuta che sia
imere esattamente quello che esattamente non si conosce? E conosciuta
che
sia perfettamente egli è pur necessario il pronun
e sia perfettamente egli è pur necessario il pronunciarla come quelli
che
più propriamente la parlano. In Parigi non si sof
e più propriamente la parlano. In Parigi non si soffrirebbe un attore
che
pronunciasse con l’accento dei Provenzali. E perc
iale nei migliori teatri d’Italia? L’Alfieri richiedeva assolutamente
che
essendo il toscano il miglior dialetto d’Italia,
quella principalmente attenersi, e senza disprezzar gli altri, far sì
che
l’uno primeggi, degli altri pur giovandosi a un t
giovarsene per apprezzare, distinguere ed imitare quelle attitudini,
che
sono a un tempo più espressive e più aggradevoli
ncesso, nel contegno e nel gesto quella solidità, dignità ed eleganza
che
ne rendono l’azione più interessante, io non cred
tà ed eleganza che ne rendono l’azione più interessante, io non credo
che
un buono attore ne possa del tutto prescindere. I
ciolo movimento del corpo. Questa sarebbe un’ostentazione ed un abuso
che
farebbe dell’attore un semplice ballerino. Il bal
ttore un semplice ballerino. Il ballo non dee servirgli ad altro uso,
che
a rendergli il corpo più sicuro ad eseguire quell
li il corpo più sicuro ad eseguire quelle attitudini e quei movimenti
che
la passione esiga e comandi. E secondo questo dis
ndi. E secondo questo disegno era raccomandata quest’arte da Socrate,
che
certo non era né galante, né ballerino. [23.7] M
e, che certo non era né galante, né ballerino. [23.7] Musica. Quello
che
il ballo ottiene dall’esercitazione dei moti del
costumi ed i riti di quelle persone, di quelle genti e di quei tempi
che
debbe imitare. Per quanto sieno questi accennati
imitare. Per quanto sieno questi accennati o tratteggiati dal poeta,
che
ne circoscrive la descrizione pressoché al solo s
one della tragedia, l’attore non ne avrà mai quella prima cognizione,
che
può solamente ottener dalla storia. Che razza di
uò solamente ottener dalla storia. Che razza di attore sarebbe colui,
che
dovendo rappresentare il Nerone di Racine o dell’
dei greci dalle storie loro? I riti diversi e una parte di quei gesti
che
abbiamo denominato convenzionali, non potrebbero
imitarsi, senza averli prima conosciuti nella loro storia rispettiva,
che
è come dire senza prima aver qualche tempo dimora
qualche tempo dimorato e vissuto con esso loro? [23.10] Morale. Pare
che
questa non solamente sia necessaria per praticarl
r praticarla onde conservare all’attore quella dignità e quella forza
che
la pratica dei vizi gli toglierebbe o diminuirebb
a prima essere pienamente istruito e convinto di certe grandi verità,
che
i doveri ed i diritti più importanti riguardano d
più generosi, e non potrà mai sperimentarli, né quindi imitarli colui
che
non conosca i principî, ond’esse derivano e si sv
ne ignora la vera forza? [23.12] Eloquenza. Se l’eloquenza è quella
che
fa conoscere la forza e la bellezza del dire, e q
e i propri sentimenti ed affetti, ossia a far sentire agli altri quel
che
si sente in se stesso; io non so come un buono at
siffatta cognizione. Per questa ignoranza si osserva per l’ordinario
che
l’attore non anima e lumeggia quei tratti che egl
osserva per l’ordinario che l’attore non anima e lumeggia quei tratti
che
egli dovrebbe a paragone o a preferenza di certi
ei tratti che egli dovrebbe a paragone o a preferenza di certi altri,
che
senza alcuna ragione, gli vanno più a verso. Tant
rti altri, che senza alcuna ragione, gli vanno più a verso. Tanto più
che
sovente la tragedia ammette delle aringhe deliber
verso affatto da quel della prosa. Cotesta differenza è tale fra noi,
che
spesso t’incontri in persone colte, che parlano e
ta differenza è tale fra noi, che spesso t’incontri in persone colte,
che
parlano e scrivono la prosa correttamente, e che
ri in persone colte, che parlano e scrivono la prosa correttamente, e
che
non sono atte egualmente ad intendere, non che sc
prosa correttamente, e che non sono atte egualmente ad intendere, non
che
scrivere la lingua poetica. Ed è questa la prima
esta parte fa sovente trascurare e perdere quelle bellezze dell’arte,
che
dovrebbero essere specialmente sentite ed assapor
ell’arte, che dovrebbero essere specialmente sentite ed assaporate, e
che
, per questo difetto, o non si avvertiscono, o, ch
il più delle volte, affatto diversa, per non dir contraria, da quella
che
professano gli autori. Il genere di bellezze che
contraria, da quella che professano gli autori. Il genere di bellezze
che
cercano gli uni non è quello che procurano gli al
no gli autori. Il genere di bellezze che cercano gli uni non è quello
che
procurano gli altri. Amano quelli per l’ordinario
utore non l’avesse peggiorato introducendovi un genere di galanteria,
che
è il difetto più intollerabile di quella tragedia
n pasticciere per far ricevere la Zaira. Tralascio altri simili fatti
che
formano, secondo l’ingegnosa espressione di non s
espressione di non so chi, il martirologio degli attori drammatici, e
che
formano la storia più vergognosa dell’ignoranza d
degli ordinari commedianti. [23.15] Più barbaro è poi il trattamento
che
sogliono fare di un dramma poi ch’è ricevuto, tro
roncandone e sopprimendone alcune parti, credute da loro superflue, e
che
spesso sono importantissime alla perfezione del t
e principale per l’ignoranza e la temerità degli ordinari commedianti
che
non intendono il proprio mestiere?I caratteri più
oro poco interessanti, per non saperne gustare le finezze e le grazie
che
sfuggono i tatti grossolani e poco esercitati. Pe
a quello della Fedra di Racine; e si cercano piuttosto delle passioni
che
strepitano e che svaporano, che di quelle le qual
dra di Racine; e si cercano piuttosto delle passioni che strepitano e
che
svaporano, che di quelle le quali, ancorché veeme
e si cercano piuttosto delle passioni che strepitano e che svaporano,
che
di quelle le quali, ancorché veementissime, si co
ancorché veementissime, si comprimono e si soffogano. Si è pur notato
che
la stessa Clairon nell’Ifigenia di Racine sopprim
a. E per non più dilungarmi noi possiamo asseverantemente concludere,
che
la buona declamazione non può assolutamente presc
re dalla cognizione dell’arte poetica. [23.16] Forse parrà ad alcuno
che
io pretenda troppo dalla istituzione di un attore
che io pretenda troppo dalla istituzione di un attore, come se quello
che
ho proposto fosse d’assai superiore alla sua cond
si erano spesso gli ammiratori e gli amici di Ortenzio e di Cicerone,
che
tutta volta si compiacevano di comunicarsi a vice
iori gl’Italiani? perch’essi soli non debbono conoscere e sentire ciò
che
declamano, essi che potrebbero pe’ vantaggi sorti
rch’essi soli non debbono conoscere e sentire ciò che declamano, essi
che
potrebbero pe’ vantaggi sortiti dalla natura emul
dalla natura emulare e superare l’arte e i talenti di tutti? Io spero
che
si riconosca e si proscriva un tale errore, che d
ti di tutti? Io spero che si riconosca e si proscriva un tale errore,
che
disonora non solo l’arte, ma gli attori che la pr
proscriva un tale errore, che disonora non solo l’arte, ma gli attori
che
la professano, e la nazione a cui essi appartengo
a nazione a cui essi appartengono. [23.17] Si potrebbe ancora oppormi
che
troppo dispendio costerebbe un’istituzione siffat
cuola della poetica e della declamazione teoretica e pratica e far sì
che
niuno almeno vi sia ammesso, che non abbia freque
mazione teoretica e pratica e far sì che niuno almeno vi sia ammesso,
che
non abbia frequentato le altre, o non esperimenta
ato le altre, o non esperimentato prima la sua abilità in quelle arti
che
ha precedentemente imparate. Del resto io non deb
emente imparate. Del resto io non debbo occuparmi a minorare le spese
che
a ciò si richiedessero: il mio istituto esige, ch
minorare le spese che a ciò si richiedessero: il mio istituto esige,
che
io mostri quali siano i veri mezzi che possono st
essero: il mio istituto esige, che io mostri quali siano i veri mezzi
che
possono stabilire, correggere e perfezionare l’ar
ieno tali io lascio la cura a chi può di verificarli. [23.18] Fornita
che
sia la persona delle precedenti cognizioni, più o
enti cognizioni, più o meno necessarie a sentire o far sentire quello
che
si voglia declamare, potrà allora esercitarsi col
are di mano in mano le sue opportune avvertenze intorno a quei tratti
che
le meritano, e di applicare in questo modo le mas
a maniera ecciterebbe ancora l’emulazione, assegnando sempre a quello
che
legge meglio, la parte migliore che sia del suo g
zione, assegnando sempre a quello che legge meglio, la parte migliore
che
sia del suo genere. [23.19] Dopo questo primo esp
e se attualmente la declamassero, tanto se la leggono a bassa, quanto
che
ad alta voce. [23.20] Se non si usasse questa pre
on si usasse questa precauzione si darebbe luogo ad abitudini viziose
che
poi sarebbe difficilissimo di correggere. Leggend
uò avvertirsi rispetto alle varie intonazioni ed inflessioni di voce,
che
, smarrite o confuse nella lettura rapidamente fat
a, non si potrebbero facilmente imitare nel corso della declamazione,
che
per contratte abitudini si troverebbe esposta ad
tte abitudini si troverebbe esposta ad omettere, o ad eseguire quello
che
non dovrebbe. [23.21] Imparata la parte si passa
richiamando sempre ed applicando all’uopo i veri principî dell’arte,
che
non debbono mai scostarsi da quelli della natura.
ontanee e commoventi, ed a quel decoro tanto diffìcile ad insegnarsi,
che
annunciano il progresso dell’arte, che dovranno p
tanto diffìcile ad insegnarsi, che annunciano il progresso dell’arte,
che
dovranno professare. Io non entro in altre partic
l’arte, che dovranno professare. Io non entro in altre particolarità,
che
si possono raccogliere agevolmente da quanto abbi
a professare l’arte loro su le scene; ma non per questo è da credersi
che
l’arte non possa ancor migliorarsi. E ad ottenere
igliorarsi. E ad ottenere questo massimo miglioramento possibile, nel
che
la perfezione consiste, debbono attender coloro,
lumi possono emergere sotto una censura fina, imparziale e metodica,
che
, assegnando la debita lode agli artisti, promova
i artisti, promova costantemente il vantaggio dell’arte. E supponendo
che
esistano e debbano esistere, almeno nelle grandi
capitali delle nazioni, un ordine delle persone più colte ed esperte,
che
sotto nome o di Accademia, o di Università, o d’I
rti, si potrebbero unire alla classe delle belle arti anche di quelli
che
s’intendessero della declamazione, e si occupasse
età, di pronunciazione, di carattere ecc. Salzer anch’esso desiderava
che
si fossero analizzate e commentate a quest’uopo l
indre, l’idée s’en perd avec mes contemporains. E di fatti, tutto ciò
che
riguarda l’espressione vocale non può notarsi com
à; e perciò se si notava l’antica declamazione essa non poteva essere
che
una specie di canto o di recitativo. Può notarsi
visibili e pittoreschi. Tutto il resto si abbandona alle tradizioni,
che
, alterandosi o smarrendosi affatto, dà luogo a st
rrendosi affatto, dà luogo a stranezze, a indovinelli e caricature, e
che
, mancando per l’ordinario di vita, non può eccita
n può eccitare quel grado di passione e quello spirito di emulazione,
che
pur tanto si richiedono a perfezionar l’arte. Il
ar l’arte. Il solo mezzo più sicuro e più efficace di conservare quel
che
più si può di quest’arte, si è il disegnare tutti
uel che più si può di quest’arte, si è il disegnare tutti quei tratti
che
ne fossero meritevoli. E se di alcuno è stato per
[24.3] Cornelio Nepote (in Chabrias) dice sul proposito della statua
che
Cabria si fece innalzare nel foro in quell’attitu
ento e per arte quelle posizioni, quegli atteggiamenti più rilevanti,
che
hanno meritato di essere nel teatro distinti ed a
e? [24.5] Ed a questo potrebbero intendere quegli stessi disegnatori,
che
debbono concorrere al teatro con quello stesso co
rebbero conformarsi alle massime ed al criterio di quegli accademici,
che
hanno la cura di tutto ciò che alla perfezione de
e ed al criterio di quegli accademici, che hanno la cura di tutto ciò
che
alla perfezione delle arti teatrali appartiene. [
a ai buoni attori, ed una serie ordinata di esemplari a quegli alunni
che
volessero imitarli o piuttosto emularli. [24.7]
alunni che volessero imitarli o piuttosto emularli. [24.7] Ma quello
che
potrebbe ancor più estendere e perpetuare il meri
i principî allegati di sopra. Esso potrebbe indirizzarsi a tutto ciò
che
all’arte drammatica ed alla declamazione appartie
della loro rappresentazione, del merito degli attori, e degli attori
che
più si sono distinti, promovendo sempre i gran pr
an principî dell’arte e del gusto. In esso si depositerebbe tutto ciò
che
nelle memorie accademiche è stato osservato, giud
ntazioni del dramma, dell’eccellenza degli attori e delle impressioni
che
hanno più o meno fatte negli spettatori, co’ risp
pettivi disegni o dell’attore particolare, o de’ gruppi o de’ quadri,
che
si sono più segnalati alla vista del pubblico. In
gole della teorica e della pratica, perfezionerebbero non pur l’arte,
che
la sua lingua tecnica, il cui difetto suppone sem
ro allo stesso segno, e la declamazione potrebbe fare quei progressi,
che
, a paragone delle altre arti sorelle, non ha fatt
141. » 2. osservazione di fatti osservazione de’ fatti » 153. » 16.
che
non aveva non avea » 192. » 27. parti da sé par
mmento Introduzione [commento_Intro.1] Ripresa di una teoria
che
, a partire da Batteux con il suo testo Les Beaux-
di nutrirsi si assuefanno alla vista della balia o della madre prima
che
si avveggano di ogni altra cosa». (Pietro Napoli
phrase française comparée avec la phrase latine. Diderot vi sostiene
che
, risalendo alle origini del linguaggio, è possibi
is, Gallimard, 2010, p. 203). L’ordine naturale sarebbe dunque quello
che
parte dalle qualità sensibili, per giungere poi f
Alla maggior parte delle nazioni. Essa s’ingegna di copiar gli uomini
che
parlano ed operano; è adunque di tutte le invenzi
omini che parlano ed operano; è adunque di tutte le invenzioni quella
che
più naturalmente deriva dalla natura imitatrice d
almente deriva dalla natura imitatrice dell’uomo, e non è maraviglia,
che
essa germogli e alligni in tante regioni come pro
gia mascherati, e con sì orribili modi e grida entrarono nella scena,
che
tutto il popolo si riempì di terrore, ed è fama c
rono nella scena, che tutto il popolo si riempì di terrore, ed è fama
che
vi morisse qualche fanciullo, e più di una donna
somiglianza delle femmine ch’egli amava, cantando rappresentò Carace
che
partoriva». (Pietro Napoli Signorelli, Storia cri
, 1787, p. 235-236). Per quanto riguarda Ila e Pilade, i due istrioni
che
dilettavano il pubblico romano con le loro pantom
ro di Ila (ivi, vol. II, p. 239). Anche a proposito delle due fazioni
che
dividevano Roma nell’esprimere la preferenza per
a modalità di recitazione richiedesse una prontezza nell’improvvisare
che
solo gli italiani a quel tempo dimostrarono di av
lo gli italiani a quel tempo dimostrarono di avere. Aggiunge tuttavia
che
tali messe in scena non poterono attingere alla p
ttavia che tali messe in scena non poterono attingere alla perfezione
che
solo un attento studio della declamazione può con
Il parere espresso è dunque in linea con l’impostazione del trattato,
che
vuole fare della declamazione un’arte scandita da
al Duca Ercole II nel 1541, Salfi fa menzione del talento dell’attore
che
la portò in scena, Sebastiano Clarignano da Monte
ll’attore che la portò in scena, Sebastiano Clarignano da Montefalco,
che
Cinzio citava all’interno della Dedica: «Composta
’interno della Dedica: «Composta adunque ch’io hebbi questa tragedia,
che
fu in meno di due mesi, havendole già parata in c
ppresso Gabriel Giolito De Ferrari e Fratelli, MDLI, p. 3. La notizia
che
vorrebbe l’introduzione delle donne sulle scene c
ini e dell’Aminta di Tasso, nonché dell’Aristodemo del Dottori, opera
che
riscosse un travolgente successo. Si veda Xavier
sidera la fertilità del sodalizio di Riccoboni con Maffei e Martello,
che
consentiva una mediazione tra utopia riformatrice
erope di Maffei a Modena nel 1713 da parte della compagnia Riccoboni,
che
rivelava la possibilità insita al genere tragico
lità insita al genere tragico di conquistare il plauso di un pubblico
che
si credeva sedotto solo da risa e lazzi (si veda
agione per la quale aveva scelto di includere alcuni testi, piuttosto
che
altri, egli sottolineava come il criterio non fos
se stato quello «[…] di accogliere tutte le tragedie nostre lodevoli,
che
troppo ci vorrebbe, né tutte quelle, che possono
le tragedie nostre lodevoli, che troppo ci vorrebbe, né tutte quelle,
che
possono esser lette con approvazione in una camer
ra, o in una scuola: l’intenzione è di porre insieme opere da Teatro,
che
possano in oggi rappresentarsi con piacer dell’ud
enico se non per apparire compenetrata. I suoi occhi annunciavano ciò
che
avrebbe detto, la paura e i gemiti erano dipinti
778), interprete di rifacimenti di pièces di Racine e Coneille, oltre
che
di diverse tragedie di Voltaire, tra cui Zaïre, S
di alcuni spettatori di assistere allo spettacolo sul palco, fattore
che
infrangeva l’effetto di illusione che il teatro d
o spettacolo sul palco, fattore che infrangeva l’effetto di illusione
che
il teatro dovrebbe suscitare. All’attore si deve
scitare. All’attore si deve inoltre una riforma dei costumi di scena,
che
lo porterà ad abbandonare gli abiti da petit maît
e sarà François-Joseph Talma (1763-1826), l’attore della rivoluzione,
che
nel 1825 pubblicherà le Réflexions sur Lekain et
, attore tedesco, fondatore della Theatralische Akademie di Schwerin,
che
promuoveva lo studio della recitazione secondo un
iformato. Come sottolinea Paolo Chiarini, Ekhof segnalò «la necessità
che
l’attore studiasse non solo la propria parte, com
p. XXII). Ekhof rappresenta per Engel il modello dell’attore ideale,
che
sa esprimere il sentimento senza esserne penetrat
a esserne penetrato: «Io so di un solo attore, il migliore tra quelli
che
conosco — mi riferisco al nostro Ekhof — che non
, il migliore tra quelli che conosco — mi riferisco al nostro Ekhof —
che
non si affidava mai, né nella declamazione né nel
a con cura di abbandonarsi più del dovuto al sentimento perché temeva
che
la mancanza di autocontrollo potesse nuocere alla
popolo d’Oltremanica, per natura incline a pensare incessantemente, e
che
, senza la presenza di sangue sulla scena e di tra
o del Monti. La sua recitazione segnò in particolar modo Salfi, tanto
che
l’attore viene ricordato anche all’interno della
attore originario di Bologna, si segnalò particolarmente per la cura
che
metteva nella scelta degli abiti di scena. Si leg
’arte comica in Italia (1785), dove sottolinea il legame inscindibile
che
tiene insieme autori, attori e spettatori, afferm
nscindibile che tiene insieme autori, attori e spettatori, affermando
che
solo a partire dalla collaborazione tra i tre ver
di contorcersi e sfigurarsi se avevano ad esprimere qualche passione
che
non sentivano»), in Vittorio Alfieri, Parere sull
rno della Retorica a proposito dell’azione oratoria: «È dunque chiaro
che
anche nella retorica vi è questo elemento come gi
invece fa riferimento alla scrittura, da parte di Roscio, di un testo
che
metteva a paragone l’eloquenza dell’oratore con q
rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche, testo
che
lascia poco spazio alla riflessione sull’arte del
che dallo stesso Lelio nell’esordio al suo Dell’arte rappresentativa,
che
rimarcava la presenza di indicazioni solo «per ci
ppresentativa, che rimarcava la presenza di indicazioni solo «per ciò
che
spetta alle Scene, alle Machine, al modo di illum
a del poemetto in ottave, il testo si compone di sei capitoli. Quello
che
Lelio si propone è di istruire i giovani in un’ar
hampion, 2009. Salfi cita inoltre l’Arte del teatro, non specificando
che
l’autore non è Luigi, ma suo figlio, François Ric
tore de Le Comédien (1747). Il trattato porrà le basi per la polemica
che
vedrà lo scontro tra i fautori dell’emozionalismo
ma dote potrebbe essere intesa come una sorta di intelligenza scenica
che
rende l’attore atto ad assegnare convenientemente
ale si costituirà il dibattito futuro, specie sull’impulso di Diderot
che
recensirà l’opera di Sainte-Albine. Mediante il s
dote giudicata necessaria da Sainte-Albine è il feu, ossia il calore
che
imprime naturalezza al sentimento, che distingue
bine è il feu, ossia il calore che imprime naturalezza al sentimento,
che
distingue una declamazione verosimile da una ampo
80), è invece autore delle Observations sur l’art du comédien (1776),
che
si presentano nella forma di lettere indirizzate
ella forma di lettere indirizzate a dei giovani attori. D’Hannetaire,
che
è legittimato a istruire chi vuole affacciarsi al
partigiano dell’emozionalismo, facendo del palco la scena dell’anima,
che
aggiusta anche i difetti della fisionomia. La Nat
ll’antichità e dove l’autore offre un quadro dettagliato degli attori
che
hanno segnato la vita teatrale francese nel Dicio
, agli amatori di teatro, ma è lontano dall’elaborare una trattazione
che
miri a rendere insegnabile il mestiere dell’attor
eurs anglais. Johann Friedrich Löwen (1727-1771), è autore dell’opera
che
Salfi cita in traduzione francese, ossia l’Abrégé
es de l’éloquence du geste, pubblicata ad Amburgo nel 1755. Il testo,
che
si presentava come un breve trattato sulla mimica
tava come un breve trattato sulla mimica, veniva menzionato da Engel,
che
lo giudicava di scarso valore. A questo proposito
lore. A questo proposito, veniva contestata l’incoerenza dell’autore,
che
: prima si scagliava contro le teorie di François
to a Milano presso l’editore Pirotta. È nelle pagine del Conciliatore
che
l’opera in traduzione italiana verrà recensita da
era quella di un’eccessiva composizione e staticità dell’espressione,
che
sarebbe risultata inadatta alle transizioni da un
ni da una passione all’altra. Engel, al contrario, propone una teoria
che
segua le passioni nella loro dimensione dinamica,
ro dimensione dinamica, e auspica all’elaborazione di una trattazione
che
sia scientifica. Nelle Lettere sulla mimica, comp
ogo delle passioni, rivelando in questo una sensibilità pre-romantica
che
guarda all’individuo come a un’entità emozionale
declamazione, seguito dalla Lecouvreur. Dopo aver elencato le qualità
che
un buon attore dovrebbe possedere, passa poi a pa
— Spectateurs, cit., p. 93). Di particolare rilievo anche l’articolo
che
Marmontel scrive a proposito della distinzione tr
hraim Lessing, autore della Drammaturgia d’Amburgo (1767-1768), testo
che
si caratterizza per un’impostazione empirica. Gli
le mosse, per poi arrivare a toccare temi di carattere più generale,
che
tuttavia sono lontani dal costituire una riflessi
A questo proposito, egli riconosceva il merito degli attori italiani,
che
«[…] jouent avec plus de liberté que les comédien
(1737-1803), autore del testo Dell’opera in musica (1772). La sezione
che
mostra un’affinità con le riflessioni portate ava
particolare, a proposito del gesto, egli abbozza una categorizzazione
che
si presenta come una versione semplificata di que
esto in Imitativo, Indicativo ed Affettivo. Gesto Imitativo è quello,
che
contraffà il moto, o la figura di una cosa; […] G
affà il moto, o la figura di una cosa; […] Gesto Indicativo è quello,
che
dimostra dov’è la cosa, di cui si ragiona, o dove
a, o dove se l’immagina chi gestisce […] Il Gesto Affettivo è quello,
che
dimostra la passione, che in quel punto possiede
i gestisce […] Il Gesto Affettivo è quello, che dimostra la passione,
che
in quel punto possiede chi l’adopra». Antonio Pla
Storia critica de’ teatri antichi e moderni (1777), opera magistrale
che
ripercorre la storia del teatro dall’antichità fi
ece riservato all’interno degli Elementi di poesia drammatica (1801),
che
approntano un tentativo di suddivisione dei gesti
o una riflessione sul ruolo del silenzio, si soffermano sulla postura
che
l’attore deve tenere in scena, il tutto in una pr
a propriamente fisica e analizzando sistematicamente le modificazioni
che
queste apportavano nei tratti somatici. Il suo Le
el cervello, passano attraverso i nervi, per arrivare fino ai muscoli
che
producono il movimento. La dottrina elaborata da
zione Antropologia, scritta da Antonio Genovesi (1713-1769), filosofo
che
ebbe un ruolo di spicco nella Napoli del Diciotte
o stesso linguaggio dell’uomo è retaggio vichiano, il quale sosteneva
che
, ai primordi dell’umanità, la natura fosse concep
nte figurale, e il linguaggio muto dei primi uomini. Grazie ai tropi,
che
donano natura corporale a entità astratte prive d
r mediato attraverso le parole. Il primato spetta così alla metafora,
che
conferisce tratti sensibili a cose spirituali: «Q
tratti sensibili a cose spirituali: «Quello è degno di osservazione,
che
‘n tutte le Lingue la maggior parte dell’espressi
e porta con sé la formazione della memoria. Era la casualità infatti
che
inizialmente determinava il ripresentarsi degli s
tti che inizialmente determinava il ripresentarsi degli stessi segni,
che
fossero essi accidentali o naturali, perché per e
la necessità della comunicazione. Inizialmente l’imitazione di gesti
che
un altro individuo aveva compiuto in una determin
passate. Il filosofo poneva l’esempio di due bambini di sesso opposto
che
, in seguito al Diluvio, dopo aver vissuto da soli
a stessa passione, come il terrore, e poi la memoria agiva facendo sì
che
rimanesse impresso nella mente anche al venir men
p. 214. [commento_1.7] Più tarde risultano la pittura e la scultura,
che
utilizzano strumenti lontani dall’oggetto imitato
tura. Uno schema simile aveva guidato anche le riflessioni di Pagano,
che
attribuiva il primato cronologico alla pantomima,
a dall’istinto imitativo proprio dell’uomo. «Questo animale imitativo
che
forse non per altra cagione che per tal proprietà
dell’uomo. «Questo animale imitativo che forse non per altra cagione
che
per tal proprietà su gli altri animali s’innalza,
ma bella gran catena degli esseri sensibili ed animali, quella bestia
che
tra tutti i brutti è di più forza imitativa dotat
mili, e creò la pantomimica, la quale non andò scompagnata dal ballo,
che
divenne una parte dì quella» (Francesco Mario Pag
iques sur la poésie et sur la peinture, si sofferma sulla spartizione
che
gli attori dell’antichità facevano del gesto e de
gli attori dell’antichità facevano del gesto e della voce, affermando
che
fossero due gli attori ad andare in scena, uno de
ica era stata raccontata da Tito Livio a proposito di Livio Andronico
che
, stanco dei continui bis domandati dal pubblico,
clamazione attinge al sommo grado di illusione, sarà anche la ragione
che
porterà i moralisti a condannare il teatro, nell’
la ragione che porterà i moralisti a condannare il teatro, nell’idea
che
si determini un contagio di passioni nocive tra l
e trovavano una spiegazione filosofica nella dottrina di Malebranche,
che
, nel 1674, pubblica De la recherche de la vérité.
li dedica un ampio spazio alla questione del contagio delle passioni,
che
si verifica attraverso canali prettamente sensibi
inclinazione all’imitazione dei simili, attraverso dei liens naturels
che
lo uniscono agli altri: «Ces liens naturels, qui
ndividui dotati di una «imagination forte et vigureuse». Gli elementi
che
questi utilizzano per contagiare gli altri agisco
per contagiare gli altri agiscono sul piano dell’emotività piuttosto
che
della razionalità, e vanno individuati ne «l’air
ch. I, p. 80). In questo possiamo trovare una vicinanza con l’attore,
che
fa partecipare lo spettatore delle stesse passion
rado di far leva sul pathos della platea. Un contagio implica infatti
che
colui che contagia sia il primo a essere contagia
r leva sul pathos della platea. Un contagio implica infatti che colui
che
contagia sia il primo a essere contagiato. Come a
ta come sia la natura fisica delle passioni a permettere il contagio,
che
avviene attraverso la contemplazione dei segni ch
ttere il contagio, che avviene attraverso la contemplazione dei segni
che
la passione manifesta al livello del corpo. A pro
corpo. A proposito dell’individuo preso dalla passione, dice infatti
che
gli spiriti che si muovono nel corpo «[…] répande
ito dell’individuo preso dalla passione, dice infatti che gli spiriti
che
si muovono nel corpo «[…] répandent sur son visag
. Luigi Riccoboni si era scagliato contro questa maniera di declamare
che
, invece di attingere all’illusione, produceva nel
francesi, a suo dire, avevano infatti abituato il pubblico a credere
che
i personaggi tragici dovessero esprimere le passi
éclamation, cit., p. 267). [commento_1.13] Salfi precisa la distanza
che
intercorre tra attore e oratore, in linea con qua
quanto avevano già fatto i suoi predecessori, a partire da Riccoboni
che
nel Dell’arte rappresentativa (1728) aveva scelto
fessionisti del teatro. In questa sede riprende in particolare Engel,
che
aveva sottolineato come il dramma, a differenza d
se sull’idea di presenza: «I personaggi del dramma espongono pensieri
che
stanno nascendo proprio in quel momento; il predi
che stanno nascendo proprio in quel momento; il predicatore pensieri
che
ha già meditato in precedenza; i primi si trovano
solo oggetto, come pure da un solo sentimento principale, permanente,
che
può sviluppare a proprio piacimento» (Johann Jako
b Engel, Lettere sulla mimica, cit., p. 541). [commento_1.14] L’idea
che
il testo drammatico prenda vita unicamente una vo
o la vedessi ottimamente recitata più volte, per ben giudicarne. Quel
che
mi pare a lettura, e che sul totale mi pare d’ogn
recitata più volte, per ben giudicarne. Quel che mi pare a lettura, e
che
sul totale mi pare d’ogni mio quint’atto, si è, c
pare a lettura, e che sul totale mi pare d’ogni mio quint’atto, si è,
che
le catastrofi, nel solo stampato non ajutate dall
er metà pure, il loro effetto; essendo fatte assai più per gli occhi,
che
per gli orecchi» (Vittorio Alfieri, Parere sulle
i a proposito delle varie tragedie, è proprio il momento performativo
che
consente la verifica dell’impatto sullo spettator
Opera in Musica, la considereremo relativamente al Gesto e alla Voce,
che
sono i due oggetti di quest’Arte» (Antonio Planel
gesti meccanici», complici di rendere gli attori simili a marionette,
che
degradavano la scena coeva: «Poco sappiamo della
lla cosiddetta chiromania degli antichi, cioè del complesso di regole
che
essi avevano proscritto per il movimento delle ma
avevano proscritto per il movimento delle mani; ma sappiamo di certo
che
avevano portato il linguaggio delle mani a un gra
o, 1990, p. 260). [commento_3.2] Salfi passa qui a definire le forme
che
il gesto può assumere, concependo la triade «natu
straneo rispetto al dibattito è solo il binomio naturale / nazionale,
che
va a formare un’unica categoria. Questa aggiunta
ella persona in questione e costituiscono, sul piano gestuale, quello
che
gli ideogrammi sono nel linguaggio verbale. Nel c
l caso di questi gesti si verifica dunque un’esclusione del soggetto,
che
sacrifica la rappresentazione di sé per lasciare
istitutore gratuito dei sordo-muti di nascita. Al pari di Condillac,
che
fa partire le sue riflessioni sull’origine del li
ono da un’impellenza comunicativa: quella tra due gemelle sordo-mute,
che
egli incontrò attorno al 1760. Morto il loro prec
laborando un nuovo metodo per l’istruzione dei sordo-muti di nascita,
che
approdò nella pubblicazione di scritti al riguard
ogie, ossia dell’alfabeto a due mani, in quanto questi segni non sono
che
lettere, incapaci di comunicare l’idea della cosa
re l’idea della cosa. Egli propone allora di partire da un linguaggio
che
i sordo-muti già possiedono naturalmente, quello
gio che i sordo-muti già possiedono naturalmente, quello dei segni, e
che
essi utilizzano in relazione a bisogni istintuali
turali, egli intende affiancare dei «signes méthodiques», dal momento
che
non sempre ciò di cui parliamo è sotto ai nostri
a della pura rappresentazione: «La montagna da imitare il corpo umano
che
la imita sono due entità tra loro troppo dissimil
l corpo umano che la imita sono due entità tra loro troppo dissimili,
che
a stento hanno dei punti in contatto» (Johann Jak
signo] ogni raffigurazione sensibile del contegno, della disposizione
che
l’anima assume in quanto compenetrata dal pensier
piacere. In Engel tali gesti erano stati classificati come movimenti «
che
traggono origine dal meccanismo del corpo», in op
ngel, Lettere sulla mimica, cit. p. 367). [commento_3.9] Sono quelli
che
Engel chiama gesti intenzionali, indici di una vo
parte del soggetto, «ad esempio il piegarsi in direzione dell’oggetto
che
desta il nostro interesse, la postura rigida e pr
questo caso non ha come oggetto un corpo sensibile, ma un sentimento,
che
sia esso con o privo di interlocutore. [commento
nza primo a partire da quello di azione, risiede nelle tracce residue
che
ne testimoniano la continuità: le forme di scritt
, la novità dell’oggetto di studio e la prospettiva pseudoscientifica
che
Salfi si propone di adottare implicano la necessi
uzione da lui prospettata presenta un’evidente somiglianza con quella
che
Condillac individuava per la scrittura. Nell’Essa
egli sottolineava come le prime forme di scrittura non fossero altro
che
il disegno dell’oggetto che si voleva esprimere,
rime forme di scrittura non fossero altro che il disegno dell’oggetto
che
si voleva esprimere, ossia «une simple peinture»
caratteri della scrittura come lo sono quei gesti, pittorici appunto,
che
Engel giudica come i più elementari e che tende a
i gesti, pittorici appunto, che Engel giudica come i più elementari e
che
tende a scartare dal bagaglio cinestetico attoria
tende a scartare dal bagaglio cinestetico attoriale. Furono gli Egizi
che
, per primi, elaborarono un sistema di scrittura c
Furono gli Egizi che, per primi, elaborarono un sistema di scrittura
che
fosse più sintetico e permettesse di accorpare i
perfezionando. La prima potrebbe essere definita di tipo metonimico (
che
Engel fa rientrare nei gesti pittorici) e viene c
ssonica, nella sua capacità di infrangere i vincoli di spazio e tempo
che
dividono l’uomo dall’uomo: «La lingua mimica fu l
da chi non abbia altro mezzo da farsi intendere; ed è perciò la sola,
che
i massoni abbiano adottata, come quella ch’è meno
.14] Il testo di riferimento è ancora una volta l’Essai di Condillac,
che
prospettava una gradazione dagli albori del lingu
commento_3.18] Salfi esplicita la natura individualizzante del gesto,
che
muta al mutare delle passioni, della contingenza,
particolare, nel Discours sur la tragédie à l’occasion d’Œdipe, opera
che
pubblica sia in prosa che in versi, egli sottolin
sur la tragédie à l’occasion d’Œdipe, opera che pubblica sia in prosa
che
in versi, egli sottolinea la superiorità della pr
. DCC. LIV, p. 392.) La Motte raccomandava così di impiegare il tempo
che
normalmente il poeta utilizza per la versificazio
a prosa quella nobiltà ed eleganza delle quali ingiustamente si crede
che
essa sia priva. Su tale querelle, si veda Georges
tiva natura del genere drammatico, possiamo riconoscere a prima vista
che
in questo caso l’anima non deve essere compresa d
questo caso l’anima non deve essere compresa da un unico sentimento,
che
deve essere percorsa da una molteplicità di senti
timento, che deve essere percorsa da una molteplicità di sentimenti e
che
tutta la bellezza e tutto l’effetto dei lavori dr
essere vantaggioso per il poeta legarsi totalmente a uno stesso metro
che
resta fisso e immutato?» (Johann Jakob Engel, Let
ione del metro giambico, avevano dimostrato la necessità di variatio,
che
un metro uniforme, quale quello epico, non avrebb
e quello epico, non avrebbe potuto concedere. La declamazione cantata
che
l’uso del verso porta con sé, e che conferisce un
oncedere. La declamazione cantata che l’uso del verso porta con sé, e
che
conferisce un effetto di languore generale, viene
anza tra la pagina e la vita. Le situazioni, le passioni, i caratteri
che
si incontrano nei suoi romanzi sono gli stessi co
ermetteva così di dare un linguaggio verosimile ai nuovi protagonisti
che
andavano popolando le scene, e che difficilmente
o verosimile ai nuovi protagonisti che andavano popolando le scene, e
che
difficilmente avrebbero goduto di credibilità pre
96, p. 273). Salfi fa inoltre menzione di Giacinto Ceruti (1735-1792)
che
, ne Le disgrazie di Ecuba, aveva adattato la pros
sero recitando e adattarvi la propria declamazione, per non rischiare
che
i versi restassero oscuri al pubblico. Un esempio
e avrebbe portato con sé l’allontanamento dalla declamazione cantata,
che
sottraeva vigore all’espressione dei sentimenti.
tto e il discorso familiare troverà una via di mezzo, per cui l’amata
che
in palco lo ascolta non rida delle sue espression
delle sue espressioni, come fuori di natura il dialogo; né la platea
che
lo sta a sentire rida del suo parlare, come trivi
gici alfieriani, caratterizzati da un uso insistito dell’enjembement,
che
nega la coincidenza tra la fine del verso e la fi
grandi pesi, procede con mille vani sforzi, rimanendo attardato. Ecco
che
nasce un altro stupendo verso dall’aspetto solenn
rsificazione o troppo molli o troppo lirici, e più o meno effemminati
che
sfigurarono le precedenti tragedie. Quantunque am
le precedenti tragedie. Quantunque ammiratore del Petrarca, credeva,
che
egli avesse alquanto spogliata la sua propria lin
che egli avesse alquanto spogliata la sua propria lingua della forza
che
Dante le aveva impressa. Intraprese a formare il
. Intraprese a formare il suo stile sopra quello di questo gran poeta
che
gli sembrava il più drammatico di tutti, e che ci
o di questo gran poeta che gli sembrava il più drammatico di tutti, e
che
ci fa ancor versare delle lacrime sopra le sventu
aratterizzano per l’assegnazione di una funzione espressiva al gesto,
che
viene visto come riflesso diretto della passione,
della passione, al contrario di quanto avverrà in epoche più recenti,
che
vedranno l’ascesa del «geste comme production» (P
99-1770), Professore di Etica e Morale presso l’Università di Padova,
che
, originariamente in latino, venne divulgata trami
di Napoli, troviamo delle annotazioni di Salfi tratte da questa opera
che
vanno a confluire nella Selva per la declamazione
possibilità dei primi uomini di articolare parole complesse faceva sì
che
le forme embrionali di linguaggio che essi erano
lare parole complesse faceva sì che le forme embrionali di linguaggio
che
essi erano in grado di pronunciare assumessero va
ssumessero valore polisemico. Condillac poneva il caso del suono Ah!,
che
, a seconda dell’intonazione che gli si assegnava,
ndillac poneva il caso del suono Ah!, che, a seconda dell’intonazione
che
gli si assegnava, era in grado di coprire da solo
rà quello dello scoraggiamento, un po’ solenne senza commiserazione e
che
proceda in modo uniforme e monotono» (Marco Tulli
3-4, p. 108. [commento_5.11] Le citazioni tratte da testi letterari
che
Salfi utilizza in questa sezione, come altrove, a
ompito di «didascalie implicite», funzionali a illustrare i movimenti
che
l’espressione di una determinata passione chiama
Letteratura Italiana: «I quadri di Dante non sono mai tanto notabili,
che
quando caratterizza i suoi personaggi e le loro p
e quando caratterizza i suoi personaggi e le loro passioni. Direbbesi
che
le sue frasi hanno qualche cosa di magico. In poc
ado di comporre scene dalla forte vocazione drammatica. Sulla visione
che
Salfi aveva della Commedia dantesca, si veda Giul
reschezza, non è meno costantemente adattato ai quadri ed ai ritratti
che
gli delinea» (Francesco Saverio Salfi, Ristretto
attaccasse / la gomena formata? Solo al viso, / né altrove pensar già
che
terminasse» (Luigi Riccoboni, Dell’arte rappresen
mosse da parte degli attori del Settecento al pigmento della biacca,
che
cristallizzava i movimenti del volto: l’uso di un
iosa mobilità dei muscoli e mette continuamente in contraddizione ciò
che
si sente con quanto si vede» (Hippolyte Clairon,
inaccia, adulazione, tristezza, allegria, fierezza, umiltà: è il viso
che
gli uomini fissano, guardano; è questo che viene
ierezza, umiltà: è il viso che gli uomini fissano, guardano; è questo
che
viene osservato anche prima che si inizi a parlar
li uomini fissano, guardano; è questo che viene osservato anche prima
che
si inizi a parlare; con questo esprimiamo amore e
sprimiamo amore e odio nei confronti di determinate persone; è questo
che
ci fa comprendere moltissime cose; questo fa spes
a da Descartes all’interno de Les passions de l’âme, in cui specifica
che
i vapori presenti negli occhi sono presenti anche
i sembra di toccare l’anima stessa; da loro scendono i rivi di pianto
che
bagnano il viso» (Plinio, Storia naturale. II. An
ive una rappresentazione pantomimica a cui aveva assistito a Corinto,
che
aveva per oggetto Paride sul monte Ida, e riferen
oggetto Paride sul monte Ida, e riferendosi alla dea dell’amore dice
che
ella spesse volte danzava con gli occhi» (Johann
lla corrispondenza tra passione e azione, egli amplifica l’importanza
che
Descartes aveva assegnato al volto, facendo risie
t fa tuttavia notare come Le Brun traduca in termini prescrittivi ciò
che
in Descartes era espresso in termini descrittivi,
costruisce tutta la sua argomentazione ci sarebbe così tanto da dire
che
preferisco non parlarne affatto. Del resto lei mi
simultanee, consente di esprimere la coesistenza delle passioni, cosa
che
la linearità alla base della successione dei segn
ti. Facendosi strumento privilegiato delle emozioni, il gesto non può
che
soggiacere ai limiti che investono la tassonomia
rivilegiato delle emozioni, il gesto non può che soggiacere ai limiti
che
investono la tassonomia del fenomeno passionale.
sce nella consapevolezza di un fallimento. [commento_5.33] «Un volto
che
tace spesso ha voce e parole» (Publio Ovidio Naso
o, Orlando Furioso, cit., canto VIII, 39, p. 284. [commento_5.37] «A
che
scopo attendi un ordine esplicito, quando la loro
ente a livello empirico. Da esse dipendono il concetto di bene o male
che
attribuiamo a un oggetto. Piacere e dolore si riv
bro II, cap. XX, p. 409). A risentire dell’influsso di Locke fu Hume,
che
pubblicò il suo Trattato sulla natura umana nel 1
ena, e mostrava la sua diffidenza nell’evocazione mentale di immagini
che
possano riprodurre quegli stessi indizi somatici.
e e così facendo finiscono con l’inibire o falsare quelle espressioni
che
, nelle intenzioni dell’attore, avrebbero dovuto r
: «I gesti analoghi traggono origine in parte dall’istinto dell’anima
che
tende a ricondurre, ad assimilare alle idee sensi
nima che tende a ricondurre, ad assimilare alle idee sensibili quelle
che
tali non sono e quindi a riprodurre figuratamente
imica, cit., p. 384) Tra gli esempi, viene posto quello dell’andatura
che
segue il succedersi rapido dei pensieri, e che du
o quello dell’andatura che segue il succedersi rapido dei pensieri, e
che
dunque rende visibile, attualizza un movimento as
nsieri, e che dunque rende visibile, attualizza un movimento astratto
che
si sta svolgendo nella mente. [commento_6.6] L’a
à tramite il ricorso alle figure retoriche era già presente in Engel,
che
allargava il circolo anche alla metonimia, alla s
di uso metonimico del gesto veniva fornito dalla figura del servitore
che
, mentre allude alle potenziali percosse che ricev
alla figura del servitore che, mentre allude alle potenziali percosse
che
riceverà dal padrone per le malefatte compiute, s
i possederlo, e questo si traduce, visivamente, in una serie di linee
che
, dal soggetto, conducono all’oggetto del sentimen
ovono in direzione opposta rispetto all’oggetto della passione, quasi
che
all’allontanamento fisico corrispondesse anche l’
i, la tristezza non vuole avere alcun impatto sull’orizzonte esterno,
che
viene rifiutato per paura di aggravare lo stato i
to_6.11] Salfi, sulla scorta di Engel, si allontana da una tassonomia
che
, impostata da Descartes, era arrivata fino a Hume
fetti contemplativi (affetti dell’intelletto) e affetti desiderativi,
che
si ripercuote nel binomio imitazione / cooperazio
arci. Definisco desiderio quest’ultima specie di attività dell’anima,
che
sola ci rende effettivamente consapevoli delle no
apevoli delle nostre forze, laddove nel primo caso non facciamo altro
che
subire, accogliere passivamente impressioni» (Joh
provato dal soggetto, e allora si renderà necessaria la cooperazione,
che
dà l’impulso all’azione. La preoccupazione risied
a presente anche in Engel: «È dunque sbagliato il disegno di Lairesse
che
rappresenta un uomo che non è ben chiaro se sia g
l: «È dunque sbagliato il disegno di Lairesse che rappresenta un uomo
che
non è ben chiaro se sia già stato morso o stia pe
rso o stia per essere morso da un serpente; l’individuo in questione,
che
è in procinto di darsi alla fuga, tiene ancora il
ione e imitazione, inserendosi nel solco delle riflessioni engeliane,
che
contemplavano la coesistenza di espressione e rap
sto si verifica perché il succedersi delle passioni è talmente rapido
che
alcuni organi reagiscono più lentamente degli alt
erazione, l’altra è già passata all’imitazione. È il caso di passioni
che
investono le braccia, le gambe, la persona, organ
so di passioni che investono le braccia, le gambe, la persona, organi
che
, rispetto ad esempio al viso, impiegano più tempo
a gelosia dell’amore, allora si troverà dinanzi a un autentico Proteo
che
non ha mai una forma sua propria e che ad ogni is
dinanzi a un autentico Proteo che non ha mai una forma sua propria e
che
ad ogni istante ne assume una diversa. Otello inf
kin» (Henry Home, Elements of Criticism, cit., p. 178). Non è un caso
che
anche Manzoni, per sottolineare come le unità ari
1). [commento_6.19] Salfi fa propria la visione prospettata ha Hume,
che
affronta il tema delle passioni nel Trattato sull
osofo scozzese ha saputo cogliere il fenomeno nel suo dinamismo, cosa
che
Descartes non erano riuscito a fare. Tale mobilit
concretizza nell’individuazione della natura mista di ogni passione,
che
risente sempre della persistenza della passione p
istenza della passione precedente o delle prime tracce della passione
che
le succederà [commento_6.20] Pierre Corneille, C
71. [commento_6.21] Salfi riporta le critiche mosse da Engel a Dorat
che
, all’interno de La déclamation théâtrale, aveva i
Sébastien Jorry, 1767, chant I, p. 71). Egli, parlando dei congiurati
che
muovevano contro Augusto, aveva saputo far succed
di speranza e di coraggio? Come potevano permettere questi sentimenti
che
nella sua anima quelli opposti della collera e de
zamento nei confronti della performance di Baron, affermando tuttavia
che
il problema si sarebbe facilmente risolto attrave
ti cooperativi, volti a comunicare a Emilia il sentimento di speranza
che
lo animava. [commento_6.22] «Infatti nel seguent
tava in piedi calzato di sandali — non bisogna mimare Verre inclinato
che
si appoggia alla donnina, o nel seguente: — Veniv
di Messina — non bisogna imitare il movimento di torsione dei fianchi
che
è usuale quando si è esposti alle percosse […]» (
o XI, 3, 90, p. 1895). Si veda quanto affermato da Engel: «Dunque ciò
che
Quintiliano vuole vedere rappresentati sul pulpit
tro sentimento attuale, o per dirla altrimenti: Quintiliano non vuole
che
si rappresentino sensibilmente gli oggetti a cui
esentino sensibilmente gli oggetti a cui pensiamo, bensì i sentimenti
che
proviamo mentre pensiamo a questi oggetti» (Johan
lfi di conferire un ruolo visibilmente prioritario al gesto piuttosto
che
alla pronunciazione vocale risiede nella volontà
rre significava non affidare la messa in scena a sentimenti effimeri,
che
potevano fare il successo di una recita, ma conda
l successo di una recita, ma condannare al fallimento la successiva e
che
, soprattutto, dipendevano dal genio dell’attore.
en Künste nel 1758. La rivista era frutto della collaborazione, oltre
che
di Mendelssohn, anche di Nicolai e Lessing. Nella
dell’opera, Burke evidenzia in particolare la stretta interdipendenza
che
lega corpo e anima. Da questo ne consegue che il
stretta interdipendenza che lega corpo e anima. Da questo ne consegue
che
il corpo, spinto per qualche ragione a un certo m
e le corde della lira, producono un suono corrispondente all’emozione
che
li tocca» (Marco Tullio Cicerone, De oratore, cit
va preso le distanze dalla figura del filosofo: «L’analista di mimica
che
ha a che fare esclusivamente con le manifestazion
le distanze dalla figura del filosofo: «L’analista di mimica che ha a
che
fare esclusivamente con le manifestazioni esterio
gli affetti proposta dai filosofi. È impossibile noverarli tutti, non
che
ridurli a certe classi, varii tanto, quanto sono
he ridurli a certe classi, varii tanto, quanto sono varii gli oggetti
che
li destano, la costituzione dell’animo che vi è c
nto sono varii gli oggetti che li destano, la costituzione dell’animo
che
vi è commosso, varie e pressoché infinite le mani
. [commento_7.5] Salfi individua una scala ascendente della passione
che
, a seconda dell’intensità, si muta in trasporto e
commento_7.6] Salfi si attiene alla tassonomia del sistema passionale
che
si era imposta a partire da Descartes, fondata su
e rispetto alla tassonomia elaborata a partire da Descartes. Il fatto
che
Salfi la inserisca tra le passioni potrebbe sembr
inserisca tra le passioni potrebbe sembrare una contraddizione, visto
che
precedentemente aveva sottolineato come lo stato
caratteristiche del pigro, individuando come emblematici: «una testa
che
non si tiene retta sulla cervice, ma ricade avant
retta sulla cervice, ma ricade avanti sul petto; le labbra dischiuse
che
lasciano cadere il mento; gli occhi con la pupill
o l’interno; le mani conficcate nelle tasche o addirittura le braccia
che
ricadono penzoloni» (Johann Jakob Engel, Lettere
irazione si accomuna con la pigrizia per l’atteggiamento di staticità
che
caratterizza il corpo. Tuttavia se nel caso prece
mobilità («[…] le corps demeure immobile comme une statue») dal fatto
che
gli spiriti, tutti rivolti verso il luogo che con
une statue») dal fatto che gli spiriti, tutti rivolti verso il luogo
che
conserva l’impressione dell’oggetto, non riescono
serva l’impressione dell’oggetto, non riescono ad arrivare ai muscoli
che
danno l’impulso al movimento. Si veda René Descar
12] La sollecitazione di impulsi diversi provoca in noi l’incertezza,
che
si connota come uno stato di irrequietezza provoc
cinetici, essa si traduce in un procedere inquieto avanti e indietro,
che
segue la transitorietà dei pensieri e la provviso
una frase transitoria necessaria perché si possa deliberare se quello
che
si prova per l’oggetto in questione è odio o amor
me afferma Engel, «Così come l’intelletto, quando in luogo di un’idea
che
considera alla stregua di una verità e in cui si
le Lettere sulla mimica forniva come esempio la condizione di Amleto,
che
«medita sui pro e i contro del suicidio» (ivi, p.
tende all’abbassamento, in analogia con la sensazione di inferiorità
che
si percepisce rispetto a un oggetto o a un indivi
faceva risalire questa attitudine fisica al movimento degli spiriti,
che
incitano l’anima «à se joindre de volonté aux obj
nobile esempio! Si figuri Giulietta — nell’opera di Gotter e Benda —
che
mentre aspetta Romeo esclama: “Ascolta! Un passo!
e aspetta Romeo esclama: “Ascolta! Un passo!” Che atteggiamento crede
che
assumerà Giulietta in questo momento? Sicuramente
to crede che assumerà Giulietta in questo momento? Sicuramente quello
che
mi accingo a descriverle: tenderà l’orecchio insi
accingo a descriverle: tenderà l’orecchio insieme a tutto il corpo —
che
non osa muovere di un passo per timore di non riu
volto veniva individuato come tratto caratteristico già in Descartes,
che
lo attribuiva al fatto che il sangue, scorrendo l
me tratto caratteristico già in Descartes, che lo attribuiva al fatto
che
il sangue, scorrendo lentamente, si facesse fredd
n dal primo atto le forme della malinconia si manifestano nei termini
che
abbiamo osservato. Riportiamo qui le parole pronu
. / E invan l’abbraccio; e le chieggio, e richieggio, / invano ognor,
che
il suo dolor mi sveli: / niega ella il duol; ment
un passo in cui la sposa di Teseo descrive il suo stato e la passione
che
la opprime: «PHÈDRE. Je ne me soutiens plus, ma f
giamento di rifiuto per un oggetto o un individuo, presente o assente
che
sia, sono in posizione di allontanamento. Descart
pirazione alla separazione fosse dettata dal movimento degli spiriti,
che
incita l’anima a allontanarsi dagli oggetti visti
à, non dimenticava mai quando interpretava personaggi orgogliosi, ciò
che
il carattere del personaggio esigeva; ancora diet
quindi tornava improvvisamente ad essere l’ometto gobbo e raggrinzito
che
era e che tutto si sarebbe pensato potesse essere
nava improvvisamente ad essere l’ometto gobbo e raggrinzito che era e
che
tutto si sarebbe pensato potesse essere fuorché u
li occhi accesi e fiammeggianti, il viso arrossato per via del sangue
che
sale e ribolle fin dai precordi, le labbra treman
inglese di Joshua Reynolds: «[…] se osserviamo la nota stampa inglese
che
ritrae Ugolino, emaciato e mezzo morto dalla fame
trae Ugolino, emaciato e mezzo morto dalla fame, nessuno potrà negare
che
quella è l’espressione della disperazione, ma lo
., canto XXXIII, vv. 73-78, pp. 991-992. [commento_7.34] La passione
che
più delle altre assume forme di gradazione differ
lo. Nella scena prima, atto IV, in seguito alla dichiarazione di Iago
che
Desdemona e Cassio hanno giaciuto insieme, la did
di Iago che Desdemona e Cassio hanno giaciuto insieme, la didascalia
che
riguarda Otello indica il seguente movimento: «Sv
. Le transazioni dalla venerazione amorosa all’odio sono rapide tanto
che
al bacio farà presto seguito il soffocamento. [c
sempio, in risposta alle possibili rimostranze del suo interlocutore,
che
probabilmente auspicherebbe da parte sua a una tr
erminare le differenze proprie della maniera di procedere delle idee,
che
io ho indicato solo in generale, come pure le dif
le idee, che io ho indicato solo in generale, come pure le differenze
che
occorrono nelle modificazioni esteriori prodotte
essere formulato nel segno dell’approssimazione, nella consapevolezza
che
è in tale impermeabilità alla razionalizzazione c
la consapevolezza che è in tale impermeabilità alla razionalizzazione
che
risiede la sua forza espressiva sul luogo della s
pratiche; ed a lui fu attribuito da taluni una parte di quella gloria
che
al Liveri era principalmente dovuta» (Francesco S
estata alla gestualità degli attori e alla concertazione delle scene,
che
si sviluppavano su più piani simultanei. Questo f
Barone un precursore delle tecniche utilizzate da Goldoni e Diderot,
che
infatti ne fanno menzione, l’uno nella prefazione
acqua edizioni, pp. 9-19. [commento_8.4] L’insistenza sull’influenza
che
il carattere nazionale aveva sulle opere letterar
gestualità dell’italiano nella lettera VIII, descrivendo la pantomima
che
mette in atto per mettere in guardia qualcuno, op
ma che mette in atto per mettere in guardia qualcuno, oppure il gesto
che
indica non curanza rispetto a una minaccia o un a
italiano, l’attore tedesco finirebbe con l’imbattersi in espressioni
che
sono frutto della maggiore irruenza delle passion
espressioni che sono frutto della maggiore irruenza delle passioni e
che
pertanto possono darsi solo in quei paesi situati
si situati più a Mezzogiorno, dove il sangue è più caldo; espressioni
che
però anche noi, proprio in virtù di tale loro ecc
già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli
che
dalle stelle l’hanno, trovo una regola universali
rsalissima, la quale mi par valer circa questo in tutte le cose umane
che
si facciano o dicano più che alcuna altra, e ciò
aler circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più
che
alcuna altra, e ciò è fuggir quanto più si po, e
r dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura,
che
nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice v
n ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò
che
si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi sen
p. 70-75. [commento_8.10] Impossibile non relazionare la riflessione
che
Salfi fa a proposito della nascita di passioni nu
bblicato nel Conciliatore, non era giusto prendere per assunto quello
che
in tanti affermavano, cioè «[…] che dopo Alfieri
iusto prendere per assunto quello che in tanti affermavano, cioè «[…]
che
dopo Alfieri non sia più lecito compor tragedie i
il giudizio formulato da Salfi su Antonio Canova, autore di sculture
che
«hanno tutto dell’antico, fuorchè l’età». Le sue
, e deve perciò scegliere il più pregnante, sulla base del quale quel
che
lo precede e quel che lo segue si rende più compr
ere il più pregnante, sulla base del quale quel che lo precede e quel
che
lo segue si rende più comprensibile. Allo stesso
ive solo un’unica qualità dei corpi, e deve pertanto scegliere quella
che
suscita la più sensibile immagine del corpo dal p
timenti umani. Così si esprimeva a proposito di Timante: «Egli sapeva
che
lo strazio che si addiceva ad Agamennone in quali
Così si esprimeva a proposito di Timante: «Egli sapeva che lo strazio
che
si addiceva ad Agamennone in qualità di padre si
mennone in qualità di padre si manifesta con stravolgimenti del volto
che
sono comunque brutti. […] Ciò che non poteva dipi
ifesta con stravolgimenti del volto che sono comunque brutti. […] Ciò
che
non poteva dipingere, lo lasciò indovinare. In br
lo lasciò indovinare. In breve, questo nascondimento è un sacrificio
che
l’artista fece alla bellezza». Gotthold Ephraim L
ura ricopriva un ruolo fondante all’interno dell’estetica di Batteux,
che
la distingueva dalla natura realisticamente intes
68. [commento_9.7] L’aneddoto viene riportato da Engel: ««Lei», pare
che
Garrick abbia detto una volta ad un attore france
««Lei», pare che Garrick abbia detto una volta ad un attore francese
che
terminato lo spettacolo gli aveva chiesto cosa ne
«lei ha interpretato il ruolo dell’ubriaco con molta verità e — cosa
che
in simili casi è difficile da conciliare con la v
ifficile da conciliare con la verità — anche con molto decoro; è solo
che
— se mi è consentito farle questo piccolo appunto
ti da Lessing la menzione dei gladiatori e della loro morte dignitosa
che
suscitava interesse nel pubblico ma, nel paragona
che suscitava interesse nel pubblico ma, nel paragonarli alla dignità
che
mantengono Aiace, Filottete e Ercole pur in preda
o. Se per Lessing nella bella morte dei gladiatori ad agire è l’arte,
che
«[…] doveva insegnare a nascondere ogni sensazion
ogni sensazione», negli eroi tragici ad agire è la «semplice natura»,
che
gli permetta di esprimere umanamente le loro sens
ura di Michele Cometa, Palermo, Aesthetica, 2007, p. 36). I due piani
che
qui divergono trovano invece convergenza in Salfi
). I due piani che qui divergono trovano invece convergenza in Salfi,
che
probabilmente sarebbe stato poco favorevole a tra
o_9.11] Le linee non devono essere scelte per la grazia del movimento
che
esprimono, ma per la loro capacità di resa veriti
capacità di resa veritiera dell’espressione. Da qui deriva la critica
che
Salfi muove a François Riccoboni, che ha fissato
sione. Da qui deriva la critica che Salfi muove a François Riccoboni,
che
ha fissato delle regole per i gesti che sono gene
i muove a François Riccoboni, che ha fissato delle regole per i gesti
che
sono generalmente valide per l’acquisizione di un
generalmente valide per l’acquisizione di un movimento aggraziato, ma
che
si rivelano inadeguate ad esprimere una specifica
guate ad esprimere una specifica passione. In questo caso i movimenti
che
egli descrive non appaiono tanto diversi da quell
n ballerino, più incline a far risaltare la propria figura, piuttosto
che
a votarsi alla creazione della verosimiglianza sc
io afferma: «Perché il movimento del braccio sia dolce ecco la regola
che
si deve osservare. Quando se ne vuole alzare uno,
regola che si deve osservare. Quando se ne vuole alzare uno, bisogna
che
la parte superiore, cioè quella compresa tra la s
ompresa tra la spalla e il gomito, si distacchi per prima dal corpo e
che
conduca con sé le altre due, che devono prendere
, si distacchi per prima dal corpo e che conduca con sé le altre due,
che
devono prendere forza per muoversi solo successiv
in cui egli aveva delineato il maggior o minor concorso alla bellezza
che
i vari tipi di linee potevano apportare. Si va da
uelle composte, le ondeggianti fino a giungere alla linea serpentina,
che
è la linea della bellezza (William Hogarth, L’ana
tica, 1999, p. 67). Dal pittore inglese il Salfi poteva trarre l’idea
che
«[…] tutti i movimenti sono linee» (ivi, p. 126),
enti sono linee» (ivi, p. 126), ma non poteva sottostare ai paradigmi
che
lo stesso Hogarth sosteneva applicabili anche all
e attoriale (ivi, p. 132). [commento_9.12] «Una seconda osservazione
che
troverà conferma in tutti i casi di desiderio viv
servazione che troverà conferma in tutti i casi di desiderio vivace è
che
il corpo sia che voglia approssimarsi all’oggetto
overà conferma in tutti i casi di desiderio vivace è che il corpo sia
che
voglia approssimarsi all’oggetto del suo desideri
corpo sia che voglia approssimarsi all’oggetto del suo desiderio, sia
che
voglia allontanarsi da esso si muove sempre segue
agione è evidente; perché il desiderio vuole congiungersi all’oggetto
che
brama o allontanarsi da quello che aborrisce il p
rio vuole congiungersi all’oggetto che brama o allontanarsi da quello
che
aborrisce il più velocemente possibile; e tra tut
ello che aborrisce il più velocemente possibile; e tra tutte le linee
che
congiungono due punti, la linea retta è quella ch
tra tutte le linee che congiungono due punti, la linea retta è quella
che
segue il percorso più breve» (Johann Jakob Engel,
i Hogarth fondata sulle linee, ma alla linea curva predilige le linee
che
contribuiscano maggiormente al soffisfacimento de
ell’arte rappresentativa infatti vi si affermava: «Oh, mi dirà talun,
che
su la scena / deve immitarsi il natural vivente /
in picca e chi rotondo in palla. / […] Immitabil non è certo colui /
che
sia gibboso, se vuol farsi il bello, / e non pur
rto colui / che sia gibboso, se vuol farsi il bello, / e non pur quei
che
guarda a un tempo dui» (Luigi Riccoboni, Dell’art
coonte. Le arti figurative erano da lui designate come arti spaziali,
che
fanno uso di segni naturali, laddove le arti temp
no arbitrari. La teoria dei segni aveva la sua radice in Mendelssohn,
che
la esponeva all’interno de I principî fondamental
movimenti, usa segni naturali. Si dicono invece arbitrari quei segni
che
per loro natura non hanno nulla a che fare con la
ono invece arbitrari quei segni che per loro natura non hanno nulla a
che
fare con la cosa designata, ma che tuttavia sono
per loro natura non hanno nulla a che fare con la cosa designata, ma
che
tuttavia sono stati adottati in modo arbitrario.
eti, i segni geroglifici degli antichi, e alcune immagini allegoriche
che
si possono a ragione assimilare ai geroglifici» (
le Arti, Palermo, Aesthetica, 1989, p. 35). [commento_10.6] «Oggetti
che
esistono l’uno accanto all’altro, o le cui parti
, con le loro qualità visibili, i veri oggetti della pittura. Oggetti
che
si susseguono l’un l’altro, o le cui parti si sus
., p. 63). [commento_10.7] Engel giudicava la musica, nell’accezione
che
ad essa davano gli antichi, come arte all’incroci
po e lo spazio, e per questa ragione la poneva a modello per l’attore
che
dovesse imparare a passare da un tono all’altro:
ne a confronto le summenzionate belle arti, allora riconoscerà subito
che
nell’antico concetto di musica si trovavano riuni
l Laocoonte lo statuto della declamazione appare incerto: «Il dramma,
che
è destinato alla pittura vivente dell’attore, for
lento individuale dell’interprete: «Io non oso né affermare né negare
che
l’attore possa portare le grida e le convulsioni
a e le convulsioni del dolore fino a creare un’illusione. Se trovassi
che
i nostri attori non ci riescono, dovrei prima sap
capace uno come Garrick» (ivi, p. 37). È nella Drammaturgia d’Amburgo
che
la declamazione viene invece posta all’incrocio t
], essa non ha sempre bisogno di dare alle sue posizioni quella calma
che
rende così imponenti le antiche opere d’arte. Ess
attraverso i susseguenti […]. Poiché essa è, sì, poesia muta, ma tale
che
si deve rendere comprensibile immediatamente ai n
oria estetica lessinghiana aveva messo in crisi l’estetica di Batteux
che
, all’interno dell’opera Le Belle Arti ricondotte
Laocoonte. Se solo il destino ce l’avesse concesso. Dai brevi accenni
che
ne fanno i grammatici non si riesce a dedurre com
re come il poeta abbia trattato questo argomento. Tuttavia sono certo
che
egli non avrà rappresentato Laocoonte più stoico
eatrale; e la nostra compassione è sempre commisurata alla sofferenza
che
l’oggetto del nostro interesse esprime» (Gotthold
ativa, fondata sul rispetto delle bienséances. [commento_10.10] «ciò
che
mi mostri, incredulo respingo» (Quinto Orazio Fla
to_10.12] Fu per compiacere il gusto del popolo inglese contemporaneo
che
i drammaturghi inglesi, come osserva Luigi Riccob
pp. 314-315). Capitolo XI [commento_11.2] «Ma ci sono persone
che
hanno una lingua così impacciata, una voce così s
le, un modo di atteggiare il viso e di muoversi così rozzo e inurbano
che
, anche se sono intellettualmente dotate e conosco
inserite nel novero dei veri oratori. Al contrario, ve ne sono altre
che
sono così dotate di quelle stesse qualità, così b
alità, così benevolente fornite dalla natura di doni da sembrare, più
che
comuni mortali, esseri plasmati da una qualche en
oiselle Dubois e mademoiselle Raucourt; faccio appello a tutti quelli
che
le hanno viste. Le mie deliziose scolare sono sta
e mie cure e quanto avevano di doni naturali, non ho mai potuto farne
che
le mie scimmie. Il loro debutto prometteva le più
o si entusiasmava sempre per la gioventù e la bellezza, ma si è visto
che
, cessando le mie lezioni, i loro talenti erano sc
i erano scomparsi» (ivi, n. 271, p. 156). [commento_11.6] «[…] credo
che
l’egizio Proteo di cui l’antico mito narrava, alt
edo che l’egizio Proteo di cui l’antico mito narrava, altro non fosse
che
un pantomimo, un imitatore capace di assumere le
uciano: «A questo proposito voglio ora parlarti di un altro straniero
che
, avendo visto cinque maschere già predisposte — a
un solo pantomimo, si domandava chi fossero gli attori e i danzatori
che
avrebbero interpretato gli altri personaggi. Quan
nzatori che avrebbero interpretato gli altri personaggi. Quando seppe
che
un solo pantomimo avrebbe recitato indossando tut
to indossando tutte le maschere disse: «Caro amico, avevo dimenticato
che
tu hai un solo corpo ma molte anime» (ivi, 93) [
le non rintracciare l’eco delle riflessioni esposte da Sainte-Albine,
che
faceva leva sul feu dell’attore, mosso dal calore
rospettive assunte da Lessing e Engel, partigiani di un attore freddo
che
riproducesse le passioni imitando la gestualità c
lo fondamentale all’interno della performance sia svolto da «un certo
che
», ossia da un elemento irrazionale che tuttavia c
rmance sia svolto da «un certo che», ossia da un elemento irrazionale
che
tuttavia conferisce vita e anima alla parte da po
n et l’art théâtral, cit., p. 28). L’approccio paradossale del Salfi,
che
propugna l’apertura di scuole che insegnino il me
L’approccio paradossale del Salfi, che propugna l’apertura di scuole
che
insegnino il mestiere d’attore e poi si lascia an
rsi contraddittoria. Ne è un emblema Antonio Morrocchesi (1768-1838),
che
nel 1794, con il «ferimento accidentale in scena»
e del Saul di Alfieri, rivelava un’anima «romantica». Ma l’interprete
che
, per il troppo furore, genera confusione tra real
l troppo furore, genera confusione tra realtà e scena, sarà lo stesso
che
, a partire dal 1811, si troverà, dall’alto di una
ompendio una sorta di antologia dei testi di maggior valore di autori
che
vanno da Dante a Shakespeare, da Ariosto a Alfier
3. [commento_11.14] «Mi ricordo di aver visto una volta un pantomimo
che
aveva una buona fama, intelligente e veramente de
ssegnazione delle armi di Achille, oltrepassò il limite fino al punto
che
qualcuno avrebbe potuto pensare che non stesse re
ltrepassò il limite fino al punto che qualcuno avrebbe potuto pensare
che
non stesse recitando la follia, ma che fosse egli
ualcuno avrebbe potuto pensare che non stesse recitando la follia, ma
che
fosse egli stesso folle» (Luciano, La danza, cit.
Luigi Serio, censore dei teatri di Napoli: «Maledetto questo coturno,
che
sono entrato in impegno di volermi calzare. Non v
to in impegno di volermi calzare. Non vi è tempo, non vi è destrezza,
che
basti. Sacrifico i giorni, le veglie, la mia salu
e, la mia salute, me stesso ad un’opera tanto difficile; ed il frutto
che
finalmente ne colgo, si riduce ad una ragionata d
a Benevento longobarda. Dalle sue parole emerge la forza totalizzante
che
lo spinge al lavoro sul tragico, dettata dalla vo
i portare sulla scena quella «ferocia» nei caratteri e nelle passioni
che
il genere richiede, nell’idea che «[…] ogni tempo
cia» nei caratteri e nelle passioni che il genere richiede, nell’idea
che
«[…] ogni tempo ed ogni paese possa aver degli uo
ndi virtù» (ivi, p. 110). Un elemento da non sottovalutare è il fatto
che
il trattato di Salfi si rivolga all’attore tragic
affermarsi una generazione di attori, nati in seno al dilettantismo,
che
aveva acquisito una particolare vocazione al trag
gedie alfieriane. Tra questi Antonio Morrocchesi e Paolo Belli Blanes
che
, una volta penetrati nelle compagnie dei professi
e i propri soggetti unicamente dall’antichità, come dimostra il fatto
che
egli stesso abbia attinto alla storia moderna. Al
, più è possibile ottenere l’effetto auspicato. È necessario tuttavia
che
le virtù messe in luce sulla scena abbiano la gra
tuttavia che le virtù messe in luce sulla scena abbiano la grandezza
che
era propria di quelle antiche. Si legga quanto sc
domestici debbono esser sempre mai prescelti a cagione dell’effetto,
che
possono pro durre grandissimo nell’animo d’un udi
’effetto, che possono pro durre grandissimo nell’animo d’un uditorio,
che
a preferenza degli altri mette sempre maggiore in
e a preferenza degli altri mette sempre maggiore interesse in quelli,
che
più gli appartengono. Quantunque sia l’oscurità e
e la stranezza d’un fatto, la memoria n’è sempre cara a quel popolo,
che
in essa richiama la dolce memoria de’ suoi maggio
he da Luigi Riccoboni e dalla sua consorte, Elena Balletti Riccoboni,
che
avevano mosso le loro critiche contro lo stile re
entifici e filologici: «Nel resto poi (sia detto però con quel rispetto
che
merita la riputazione di un sì grand’uomo) trovai
la maniera di Monsieur Baron sempre vera e naturale al certo; ma come
che
la natura non è sempre bella, né ogni verità conv
che volta non in tutto confacente al soggetto. È senza contraddizione
che
l’eroe della tragedia, essendo uomo, non deve sco
a, essendo uomo, non deve scostarsi dalla natura; ma è ben anche vero
che
la grandezza delle azioni e l’altezza della nasci
statua imponente e non ritengono capaci di grandi opere se non quelli
che
la natura s’è degnata di dotare di uno straordina
p. 212-213. [commento_12.6] «Gli abitanti di Antiochia, nobile città
che
onora la pantomima in modo particolare, osservano
antomima in modo particolare, osservano con tale attenzione tutto ciò
che
viene detto e fatto sulla scena, che non si lasci
no con tale attenzione tutto ciò che viene detto e fatto sulla scena,
che
non si lasciano sfuggire nulla. Una volta salì su
è Ettore?”» (Luciano, La danza, cit., p. 101.) Capaneo, uno dei sette
che
assediarono Tebe, compariva nel canto XIV dell’In
rselle di Michaud, riguardava il maestro di ballo francese W. Marcel,
che
si vantava di saper riconoscere la nazionalità di
orno mi comporto come una borghese, per quanti sforzi faccia non sarò
che
una borghese in Agrippina. Toni, gesti familiari
del carattere di nobiltà e di austerità. Non ignoro le ridicolaggini
che
questo modo d’essere ha suscitato nei miei compag
o d’essere ha suscitato nei miei compagni e nel gran numero di quelli
che
non si rendono conto di nulla: pretendevano che a
gran numero di quelli che non si rendono conto di nulla: pretendevano
che
avessi sempre l’aria della regina di Cartagine» (
orse voci in grado di superare il fracasso dei nostri teatri? Diresti
che
sta muggendo il bosco Gargano […]» (Quinto Orazio
istole. L’arte poetica, cit., v. 280, pp. 942-943). [commento_13.4] «
che
invade di fantasmi il mio cuore, lo punge e lo ac
a Engel come fondatrice del dramma. In esso compaiono «[…] personaggi
che
comunicano i loro sentimenti nel momento stesso i
impressione; le loro idee nel momento stesso in cui le concepiscono;
che
non sono mai occupati esclusivamente dallo svilup
lla loro condizione interiore o esteriore, cambiamenti e rivolgimenti
che
ora producono personalmente ora sono indotti da a
tto e il discorso familiare troverà una via di mezzo, per cui l’amata
che
in palco lo ascolta non rida delle sue espression
delle sue espressioni, come fuori di natura il dialogo; né la platea
che
lo sta a sentire rida del suo parlare, come trivi
da Shakespeare testimonia la fluidità delle categorie di classicisti,
che
condannano l’infrazione delle unità aristoteliche
tragico e comico propria delle opere del tragediografo, e romantici,
che
si proclamavano discendenti del genio proveniente
aumarchais, di Kotzebue e simili si uniscono le più strane imitazioni
che
ne fecero il veneziano Avelloni, il Gualzetti nap
amerra, nomi tutti universalmente sprezzati da quegli stessi Italiani
che
loro usavano qualche indulgenza nel teatro» (Fran
nto_14.1] Salfi si inoltra qui in riflessioni di ordine più concreto,
che
coinvolgono la gerarchia stessa delle compagnie e
tessa delle compagnie e la divisione delle parti. Non dimentichiamoci
che
il trattato Della declamazione si inserisce in un
he il trattato Della declamazione si inserisce in un piano di riforma
che
non coinvolge solo l’orizzonte della recitazione,
o di 68 voci, Firenze, Le Lettere, 2002. [commento_14.3] Ecco allora
che
il trattato si presenta come una serie di rifless
tiche dell’attore e quelle del personaggio da interpretare, piuttosto
che
promuovere aprioristicamente alcuni attori, i pri
orte, / né il manto aver di gemme asperso e d’oro. / Sguardo irritato
che
minacci morte, / portamento cortese in uno e alte
itato che minacci morte, / portamento cortese in uno e altero, / voce
che
ti spaventi e ti conforte!» (Luigi Riccoboni, Del
la corrente e il minuetto, / non sarebbe una cosa da vedere / per far
che
si scompisci una brigata, / non potendo le risa c
Parere sull’arte comica: «Quando ci saranno autori sommi, o supposto
che
ci siano, gli attori, ove non debbano contrastare
e Clairon: «I direttori dello spettacolo e persino gli attori credono
che
il primo arrivato sia all’altezza delle parti di
onatissima, un soliloquio rotto, pieno, breve, e accennante piuttosto
che
narrante le cose, non debba riuscire più caldo, m
tazione da D’Hannetaire a proposito dell’inadeguatezza dei confidenti
che
si atteggiano a primi attori è la seguente: «C’es
itolo XV [commento_15.2] Sulla natura individuale delle passioni,
che
prendono forme differenti a seconda del carattere
infuso troppo del suo io ai personaggi messi in scena: «La sola cosa
che
si può con ragione rimproverare all’Alfieri si è
n po’ troppo della sua tempra nella rifusione fatta di questi esseri,
che
ha voluto rappresentarci. Sembra qualche volta is
rci. Sembra qualche volta ispirar loro il proprio pensiero, piuttosto
che
esprimere il loro: ciò che viene a gettare una ti
spirar loro il proprio pensiero, piuttosto che esprimere il loro: ciò
che
viene a gettare una tinta un poco uniforme, sopra
tti a uno sviluppo progressivo, era la parola d’ordine dei romantici,
che
vedevano nel rispetto delle unità un appiattiment
Gaussin nella parte di Rodogune: «Rodogune ama e l’attrice, dimentica
che
l’espressione del sentimento si modifica secondo
concepita: «Declamai quei versi con l’irritazione di una donna fiera
che
si vede obbligata a confessare di essere sensibil
uclos, dell’Académie française, dire, col suo tono di voce assertivo,
che
la tragedia era stata ben recitata, che avevo avu
l suo tono di voce assertivo, che la tragedia era stata ben recitata,
che
avevo avuto degli ottimi momenti, ma che non dove
edia era stata ben recitata, che avevo avuto degli ottimi momenti, ma
che
non dovevo pensare a recitare le parti tenere dop
sin. Stupita da un giudizio così poco misurato, temendo l’impressione
che
avrebbe potuto produrre su tutti coloro i quali l
gli dissi: Rodogune, una parte tenera, signore? Una Parta, una furia
che
chiede ai suoi amanti la testa della loro madre e
di un’opera di teoria estetica chiamata Elements of Criticism (1762),
che
risente delle riflessioni humiane risente. Salfi
siderare le passioni unicamente nella loro individualità, dal momento
che
si contaminano continuamente l’una con l’altra: «
i grado forte erano state indagate da Hume. Hume definisce i principi
che
regolano la coesistenza di più passioni insieme o
linea come il sovrapporsi di una passione all’altra spesso non faccia
che
accrescere la passione dominante, anche se tra di
o; o come la paura e il terrore in un soldato coraggioso non facciano
che
aumentarne il coraggio (ivi, p. 831, par. 420). Q
ano a scontrarsi passioni di segno opposto: «Si può infatti osservare
che
un’opposizione fra passioni di solito provoca una
oca una nuova emozione negli spiriti animali, e produce più disordini
che
al convergere di due affezioni di uguale forza. Q
a opposizione» (ivi, p. 833, par. 421). Riassumendo, si può affermare
che
: «le passioni contrarie si susseguono quando sono
stri Teatri d’Europa una valente Cantatrice, dotata di voce sì acuta,
che
non avea forse avuta mai la pari in questo genere
calderino si tirò la maraviglia di tutti; ma non altro poté ottenere
che
maraviglia. Quella sua voce non solamente era inc
, non il guadagno, anzi recede con la voce, cosicché al successivo:Ma
che
vedo? La sacra sede quello occupa cinto d’armi po
attori non se ne accorsero certo prima dei poeti stessi, né di coloro
che
composero la musica; entrambi infatti assumono un
oro che composero la musica; entrambi infatti assumono un tono basso,
che
dopo aumentano, attenuano, gonfiano, variano e sf
o tra una passione e l’altra deve così dare vita a una terza passione
che
indica la coesistenza tra le due, finché la domin
nelle mani dell’attore, perché si tratta di gradazioni impercettibili
che
il poeta non riuscirebbe a tratteggiare con le pa
n riuscirebbe a tratteggiare con le parole. È dunque alla performance
che
viene destinato il compito di colmare lo spazio b
il naturale sviluppo del carattere. La dilatazione della temporalità
che
i romantici ottenevano infrangendo le unità, pote
ndo manifesti quei nessi passionali, quella coesistenza di sentimenti
che
l’autore aveva elaborato nella mente e che lì ave
coesistenza di sentimenti che l’autore aveva elaborato nella mente e
che
lì aveva serbati. Capitolo XVII [commento_
sede di una serie ininterrotta di monologhi. Non bisogna dimenticare
che
il primo motore del teatro è il dialogo tra perso
ene un luogo di incontro o di scontro tra gli interessi e le passioni
che
guidano la condotta dei singoli. L’attitudine ind
ece il suo debutto alla Comédie nel 1691, prendendo il posto di Baron
che
aveva abbandonato le scene. A proposito dell’ecce
aveva mostrato la sua preferenza per pittori quali Greuze e Van Loo,
che
raffiguravano i loro soggetti assorbiti dalle lor
ti dalle loro attività, inconsci di essere osservati. Questa tecnica,
che
Michael Fried identifica con il nome di absorbeme
absorbement, si traduce sulla scena in un’attitudine di indifferenza
che
, secondo Diderot, l’attore deve mostrare nei rigu
rre, mostrandosi completamente assorto da un’attività o da un dialogo
che
richiede tutta la sua attenzione. Michael Fried,
[commento_17.7] La recitazione in posizione non frontale era un punto
che
aveva generato scontri in sede di dibattito teatr
édiens, a mostrare la sua predilezione per una recitazione spontanea,
che
concedesse all’attore di dare le spalle al pubbli
ico in una modalità di declamazione del tutto innovativa, dal momento
che
i due personaggi sulla scena, Orazio e Eugenio, c
personaggi sulla scena, Orazio e Eugenio, cominciano a parlare prima
che
le tende del sipario siano state del tutto tirate
del tutto tirate su (la didascalia recita: «S’alza la tenda, e prima
che
interiamente sia alzata, esce»). Inoltre, essi mo
a didascalia verso la scena. Queste annotazioni sottolineano il fatto
che
, dialogando sul palco, i due attori fanno conto c
olineano il fatto che, dialogando sul palco, i due attori fanno conto
che
il pubblico non sia lì. (Carlo Goldoni, Il teatro
1996, tome IV, I, 1, p. 1198). [commento_17.12] Non è un caso allora
che
il soggetto della sua ultima opera tragica, la Fr
si faceva portavoce, sarebbero apparsi più condivisibili, dal momento
che
ad esprimerli non era un eroe, ma un uomo con le
omento che ad esprimerli non era un eroe, ma un uomo con le debolezze
che
l’umanità porta con sé. L’individuazione nel bino
pubblico più vasto va inquadrata nei rivolgimenti politici del tempo,
che
lasciano intuire il ruolo determinante che il pop
imenti politici del tempo, che lasciano intuire il ruolo determinante
che
il popolo avrebbe potuto svolgere all’interno del
ri. La tragedia mostra dunque un volto inedito dell’autore cosentino,
che
, senza abbandonare la vena anticuriale della prod
ci mostra un’incredibile capacità di introspezione del tragediografo,
che
può essere letta in parallelo all’attenzione mani
iflesso, e la distinzione tra l’attore, chiamato a esprimere passioni
che
il personaggio vive in quell’istante, e l’oratore
l’interno del testo Dell’arte rappresentativa: «Tu credi, comediante,
che
sia un gioco / quando hai parlato il doverti tace
pagno dal gracchiar vien roco. / Or io pretendo, e tel farò vedere, /
che
mai non fosti in più grande imbarazzo / d’alora c
el farò vedere, / che mai non fosti in più grande imbarazzo / d’alora
che
uditor déi comparere» (Luigi Riccoboni, Dell’arte
it., cap. VI, vv. 16-21, p. 77). [commento_18.3] «La seconda regola,
che
gl’inglesi scrittori osservano poco più della pri
regola, che gl’inglesi scrittori osservano poco più della prima si è
che
niuna persona debba mai comparir sulla scena o pa
agione. Non vi ha cosa più goffa, e più contraria all’arte, di quello
che
un attore si presenti senza altro motivo, se non
’arte, di quello che un attore si presenti senza altro motivo, se non
che
importava al poeta ch’ei comparisse precisamente
produzioni teatrali a rivolgere attenzione unicamente a quei fattori
che
destino diletto (canto e decorazione), piuttosto
e a quei fattori che destino diletto (canto e decorazione), piuttosto
che
al testo e al messaggio da trasmettere al pubblic
ois Riccoboni ne L’arte del teatro: «Quando dovete rispondere a colui
che
ha appena parlato, esaminate se ciò che dovete di
ndo dovete rispondere a colui che ha appena parlato, esaminate se ciò
che
dovete dirgli è di una natura tale che non possa
pena parlato, esaminate se ciò che dovete dirgli è di una natura tale
che
non possa provenire che da un moto che il suo dis
se ciò che dovete dirgli è di una natura tale che non possa provenire
che
da un moto che il suo discorso ha appena prodotto
te dirgli è di una natura tale che non possa provenire che da un moto
che
il suo discorso ha appena prodotto nel vostro ani
arazione. Più questo moto deve sembrare improvviso e più è necessario
che
la vostra risposta sia preceduta da una pausa. Po
resta per qualche momento impacciato di fronte alla scelta dell’idea
che
deve determinarlo; infine l’idea che prende maggi
di fronte alla scelta dell’idea che deve determinarlo; infine l’idea
che
prende maggiormente dominio su di noi è quella ch
rlo; infine l’idea che prende maggiormente dominio su di noi è quella
che
ci trasporta; allora tutte le altre svaniscono e
à, non dimenticava mai quando interpretava personaggi orgogliosi, ciò
che
il carattere del personaggio esigeva; ancora diet
quindi tornava improvvisamente ad essere l’ometto gobbo e raggrinzito
che
era e che tutto si sarebbe pensato potesse essere
nava improvvisamente ad essere l’ometto gobbo e raggrinzito che era e
che
tutto si sarebbe pensato potesse essere fuorché u
nere portato alla ribalta da Salvatore Viganò, coreografo e pantomimo
che
compariva tra gli interlocutori nel Dialogo sulle
drammatiche di Visconti nelle pagine del Conciliatore. Non è un caso
che
il suo genio venga caldamente lodato nella dedica
Scala nel 1804: «Dopo lunghi anni, pieni di tante e sì gravi vicende,
che
nell’abbondanza e nel tumulto loro mi si confondo
ora dinanzi agli occhi vegeto e fresco il Coriolano, e tutti dipinti,
che
gli esprimerei colla matita, i bei gruppi e le at
nell’Amleto di Shakespeare e nella Semiramide di Voltaire, sosteneva
che
l’autore francese non avesse considerato che il t
e di Voltaire, sosteneva che l’autore francese non avesse considerato
che
il terrore nello spettatore non nasce dalla visio
dalla visione del meraviglioso, ma dalla contemplazione dell’effetto
che
il meraviglioso ha sui personaggi: «Se Voltaire a
so in cui lo scorgono, e tutti in maniera differente, se non si vuole
che
la scena abbia la gelida simmetria di un balletto
anche il pubblico sta assistendo, e si fanno portatori delle reazioni
che
l’autore auspicava dalla sala. La comparsa spetta
icava anche all’interno di un’altra tragedia, della quale è possibile
che
il Salfi avesse avuto lettura: il Saulle (1788) d
ri, ecclesiastico dedito al teatro originario di Imola. La didascalia
che
apre la scena settima del secondo atto recita inf
che apre la scena settima del secondo atto recita infatti: «Samuele,
che
sorge improvvisamente dalla terra vestito di un l
sorge improvvisamente dalla terra vestito di un lungo purpureo Manto,
che
mirasi diviso in due parti. All’apparir di Samuel
: ed io senza esser persona tragica, parlo spessissimo solo: ed anche
che
io non parli con bocca, parlo con la mente, ed al
logizzo con altri. Ma lasciamo andar questo; chi crederà per esempio,
che
un uomo che medita di ucciderne un altro, non pos
altri. Ma lasciamo andar questo; chi crederà per esempio, che un uomo
che
medita di ucciderne un altro, non possa parlar da
a di ucciderne un altro, non possa parlar da sé: e chi non vede anzi,
che
ogni uomo, che medita una terribile impresa, dev’
un altro, non possa parlar da sé: e chi non vede anzi, che ogni uomo,
che
medita una terribile impresa, dev’essere solo, e
endete di parlar? LELIO. — Non vedete ch’io recito? ORAZIO. — Capisco
che
recitate; ma recitando con chi parlate? LELIO. —
o da me stesso. Questa è un’uscita, un soliloquio. ORAZIO. — […] Pare
che
venghiate in iscena a raccontare a qualche person
O. — Ebbene, parlo col popolo. ORAZIO. — Qui vi voleva. E non vedete,
che
col popolo non si parla? Che il comico deve immag
l popolo non si parla? Che il comico deve immaginarsi, quando è solo,
che
nessuno lo senta e che nessuno lo veda? Quello di
Che il comico deve immaginarsi, quando è solo, che nessuno lo senta e
che
nessuno lo veda? Quello di parlare è un vizio int
“giace” anche di chi è immobile per sempre. Giacere con lei! Cristo,
che
schifo! Il fazzoletto — confessione — il fazzolet
essione — il fazzoletto! Farlo confessare e poi impiccarlo per quello
che
ha fatto», William Shakespeare, Otello, in Id., T
o_19.14] «GIOCASTA: […] Ma, chi altronde mi appella? Un fragor odo, /
che
inorridir fa Dite: ecco di brandi / Suonar guerri
il fianco, è questo, / Che incestuoso a tai mostri diè vita. / Furia,
che
tardi?… Io mi t’avvento… […]» (Vittorio Alfieri,
ei preghi; e m’incalza?… Apriti, o terra, / Vivo m’inghiotti… Ah! pur
che
il truce sguardo / Non mi saetti della orribil om
iti da petit maître con la veste da antico romano era qualcosa di più
che
una semplice riforma estetica dettata dalla volon
«Se mai si volesse rappresentare sul teatro questa Tragedia, bisogna
che
gli attori sieno vestiti alla foggia Romana. Nel
quanto l’attrice scrive nelle sue Memorie: «Desidero, innanzi tutto,
che
con grande rigore si evitino tutti gli abiti e tu
minante per la resa scenica, era viva anche in un autore come Foscolo
che
, sul Giornale del Lario, il 28 agosto 1813 pubbli
esprimeva alcune critiche al riguardo. Tra queste, la preoccupazione
che
l’apertura della scena fosse troppo vasta e risch
rario, veniva apprezzata la scelta di posizionare i palchetti in modo
che
da ognuno fosse visibile la scena, e di eliminare
uno fosse visibile la scena, e di eliminare i palchetti in proscenio,
che
«[…] rammettendosi come una nuova fabbrica tra la
rompono l’illusione, e lasciano sovente vedere una finta principessa
che
recita da innamorata accanto una dama che nel pal
edere una finta principessa che recita da innamorata accanto una dama
che
nel palchetto del proscenio fa veramente all’amor
guidati da criteri di funzionalità: in primo luogo devono far in modo
che
l’acustica sia tale da far pervenire la voce dell
ettagli materiali si cela un’idea estremamente democratica di teatro,
che
riecheggia delle proposte fatte in epoca giacobin
iacobina, le quali auspicavano a un teatro specchio della rivoluzione
che
si voleva attuare in società. Tra i punti cardine
ostituiva un requisito indispensabile per l’attore, complice il fatto
che
, per fini commerciali, il repertorio subiva un co
er fini commerciali, il repertorio subiva un continuo aggiornamento e
che
gli spettacoli non venivano allestiti che in poch
un continuo aggiornamento e che gli spettacoli non venivano allestiti
che
in pochi giorni. Per questo le proposte da lui fo
Per questo le proposte da lui formulate a proposito di tale soggetto,
che
ai nostri occhi potrebbero apparire scontate, van
te spettacolare ancora dominato dal suggeritore, figura professionale
che
si era resa quanto mai necessaria con la fine del
niche (certo incoraggiato dalla presenza del suggeritore), non durava
che
poco tempo e si limitava alle proprie battute. Sa
promosse da Ekhof in seno alla Theatralische Akademie: «la necessità
che
l’attore studiasse non solo la propria parte, com
ento della parte, infrange ogni illusione, ricordando allo spettatore
che
si trova in una sala di teatro e che lo spettacol
ione, ricordando allo spettatore che si trova in una sala di teatro e
che
lo spettacolo non è altro se non artificio. Per q
essa in scena al Teatro Re di Milano nel 1815, mette in luce il fatto
che
l’attrice avesse rigettato l’uso del suggeritore
uzione dello spettacolo nell’antichità, si sofferma sulla spartizione
che
gli attori facevano del gesto e della voce, affer
partizione che gli attori facevano del gesto e della voce, affermando
che
fossero due gli attori ad andare in scena, uno de
ica era stata raccontata da Tito Livio a proposito di Livio Andronico
che
, stanco dei continui bis domandati dal pubblico,
gli antichi. Nonostante i pregiudizi legati alla presunta meccanicità
che
ne deriverebbe, egli sottolinea come tale pratica
con precisione; né questo provocherebbe la freddezza dell’interprete,
che
avrebbe comunque la possibilità di emozionarsi e
di Estetica, p. 85). D’Hannetaire, nelle sue Observations, sosteneva
che
la dizione dovesse essere fissata per ogni parte,
ma, gli chiede se, nella vita quotidiana, ci fosse forse uno specchio
che
lo indirizzasse nei suoi movimenti: «chi ti consi
89-90). L’invito è allora a affidarsi alla Natura maestra, piuttosto
che
a uno studio troppo sistematico che sottrarrebbe
si alla Natura maestra, piuttosto che a uno studio troppo sistematico
che
sottrarrebbe di verosimiglianza alla recita. Ricc
richiede una preparazione particolare. In queste circostanza, è bene
che
la prova sia fatta in costume, perché l’interazio
ché avean fatto due o tre sole prove, e male, in vece di dieci esatte
che
bisognavano» (Vittorio Alfieri, Parere sull’arte
34, 156, pp. 62-63). Capitolo XXII [commento_22.1] La fiducia
che
Salfi riponeva nelle potenzialità educatrici del
al tremuoto, trattato composto attorno al 1783, relativo agli effetti
che
un cataclisma naturale, come il terremoto che ave
, relativo agli effetti che un cataclisma naturale, come il terremoto
che
aveva investito le Calabrie quello stesso anno, p
la sua patria» (ivi, p. 150). Significativo appare allora il paragone
che
egli instaura all’interno della memoria Dell’util
tra catarsi tragica e ritualità massonica: «Quando Aristotele diceva,
che
lo spettacolo drammatico servisse a purgare le pa
olo drammatico servisse a purgare le passioni, egli non diceva altro,
che
lo spettacolo delle passioni altrui servisse pote
ndo avvio a un cammino di perfezionamento e purgazione. Non è un caso
che
tra gli emblemi della simbologia massonica compar
li emblemi della simbologia massonica comparisse la fenice, l’uccello
che
, dopo la morte risorge dalle sue ceneri. [commen
l Saggio di fenomeni antropologici relativi al tremuoto: «Io non fui,
che
ammaliato alla prima dalle più superbe decorazion
a tutto quel mostruoso rendevous di vedute incantatrici ma isolate, e
che
sembrano non aver veruno attacco fra loro» (Franc
rre. Egli sottolineava allora come fosse del tutto inadeguata la lode
che
, nella cornice di finzione del suo testo, faceva
ava il suo giudizio contaminando il parere critico con l’invaghimento
che
provava nei confronti della donna: «[…] la conver
i Normanni, invaghito di una delle nostre attrici, volle a ogni costo
che
tutti fossero d’accordo nel giudicare ammirevole
ciate in questa sede da Salfi mostrano una certa vicinanza con quelle
che
egli rivolgeva, dalle colonne del Termometro poli
clini maggiormente a mettere in risalto le proprie capacità piuttosto
che
a concentrarsi sull’espressione del sentimento. A
zioni sul castrato Crescentini: «Di fatto il pubblico non applaudiva,
che
là dove Crescentini giuocava del gorguzzolo, come
sulla corda. Una volata, un gorgheggio, uno sforzo di arte non fanno
che
sorprenderci per un momento, e tosto ci lascian f
di applausi fragorosi, vorremmo bisbigliare all’orecchio dell’attore
che
esce di scena le parole che una volta il suonator
emmo bisbigliare all’orecchio dell’attore che esce di scena le parole
che
una volta il suonatore di flauto Ippomaco disse a
iacere. Balzato dunque in piedi, si allontanò dal teatro più di corsa
che
a passo normale, dicendo che era intollerabile ve
di, si allontanò dal teatro più di corsa che a passo normale, dicendo
che
era intollerabile veder piangere sulle sventure d
ntollerabile veder piangere sulle sventure di Ecuba e Polissena colui
che
faceva uccidere tanti cittadini» (Plutarco, La fo
rla con cognizione della proscrizione del genere tragico, dal momento
che
aveva potuto sperimantala sulla sua stessa pelle
mmanuele De Deo, membro della neonata Società Patriottica Napoletana,
che
venne repressa nel sangue. A questo proposito Bea
etti nota, a partire dall’analisi di uno schizzo di Francesco Lapegna
che
ritrae Salfi mentre declama il Timoleone di Alfie
Della declamazione ne fa un documento del processo di stabilizzazione
che
stava vivendo il teatro dell’epoca, con la costit
mpagnie privilegiate. Il progetto di apertura di una scuola pubblica,
che
insegnasse all’attore non solo i rudimenti del me
l’esperienza del Teatro Patriottico aveva rivelato la funzione civile
che
le scene erano chiamate a svolgere, finiti i fuoc
ovvisazione, ma di uno studio approfondito. La condanna plurisecolare
che
aveva gravato sugli attori, considerati alla stre
, prescindendo da ogni disputa di primato d’idioma in Italia, è certo
che
le cose teatrali sono scritte, per quanto sa l’au
ore delle rappresentazioni, questo non avveniva nel caso del tragico,
che
richiedeva l’uso dell’italiano letterario, ossia
si facesse attenzione al modo in cui un uomo è costruito, si vedrebbe
che
non è mai più comodamente posizionato, e con più
è mai più comodamente posizionato, e con più certezza ben disegnato,
che
quando, poggiandosi in egual misura su entrambi i
e le braccia e le mani dove il loro peso le porta naturalmente; è ciò
che
si chiama, in termini di danza, essere alla secon
impossibile interpretare bene Corneille: è così grande o così comune
che
, in mancanza di una notevole sicurezza delle prop
., p. 141). [commento_23.12] Con il termine Morale Salfi intende qui
che
l’attore deve padroneggiare nozioni di filosofia
’eloquenza come materia di studio separata testimonia l’affrancamento
che
la declamazione aveva ormai compiuto dalla retori
istema di versificazione, poteva certo assolvere a guida per l’attore
che
si inoltrasse nello studio di tale materia. [com
e, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete
che
con rincrescimento si legge nell’Edipo del Voltai
25, pp. 185-186). La proposta di Sulzer è nota a Salfi tramite Engel,
che
l’aveva estratta dalla voce «Pantomime» contenuta
l testo Allgemeine Theorie der schönen Künste: «Sulzer avrebbe voluto
che
qualcuno si dedicasse all’analisi critica di un c
icuo numero di singole scene, con particolare riguardo alla pantomima
che
si conviene alle differenti situazioni» (Johann J
Lettere sulla mimica, cit., p. 367). [commento_24.2] «Non nasconderò
che
univo un’illimitata vanità al desiderio giusto e
da parte di Cabria: «Il fatto ottenne tanta fama in tutta la Grecia,
che
Cabria volle essere ritratto in quell’atteggiamen
che Cabria volle essere ritratto in quell’atteggiamento nella statua
che
gli Ateniesi gli eressero nella piazza a spese pu
[commento_24.4] Promuovendo la creazione di un’Accademia direttrice
che
, mediante critiche scritte o materiale figurativo
i Salfi contenuti all’interno del Termometro politico della Lombardia
che
, più che soffermarsi su aspetti legati al testo,
ontenuti all’interno del Termometro politico della Lombardia che, più
che
soffermarsi su aspetti legati al testo, si concen
utto di un progetto di ricerca dell’Università di Napoli L’Orientale,
che
offre contributi scientifici sull’argomento, alla
sare non soltanto attraverso la scuola, ma anche e soprattutto — dato
che
lenta e difficile si presentava la riorganizzazio
ulle prime rimpiazzar questo vuoto, ed aprir la strada alla compagnia
che
si desidera». Ivi, p. 163. 29. Sull’argomento si
vole divertimento, il filodrammatico repubblicano è un borghese colto
che
identifica il teatro con la funzione educatrice c
un borghese colto che identifica il teatro con la funzione educatrice
che
può assumere e ritiene che sia compito dello stat
ifica il teatro con la funzione educatrice che può assumere e ritiene
che
sia compito dello stato regolarlo e correggerlo».
odo, volte più alla riflessione sugli aspetti performativi, piuttosto
che
su quelli testuali, Mariagabriella Cambiaghi affe
i, piuttosto che su quelli testuali, Mariagabriella Cambiaghi afferma
che
«[…] non è errato sostenere che con queste recens
ali, Mariagabriella Cambiaghi afferma che «[…] non è errato sostenere
che
con queste recensioni milanesi si inauguri la ver
si alla linea adottata da critici quali Jacques Joly e Pierre Frantz,
che
assegnano alla didascalia una natura performante.
iù sorprendenti; e l’espressione dee contenersi ed ordinarsi in guisa
che
là tutta spiega l’arte e la forza. Tali sono per
le romantisme français, cit., p. 404. Sul Talma, si veda anche quello
che
scrive Maurizio Melai, il quale fa notare come at
cena fiorentina del Saul di Alfieri alla presenza dell’autore stesso,
che
ne apprezzò l’interpretazione. Quella performance
te rappresentativa, cit, cap. I, vv. 169-175, p. 57. 96. «M’avveggo
che
ti annoio e che ti stanco, / ma soffri per non fa
va, cit, cap. I, vv. 169-175, p. 57. 96. «M’avveggo che ti annoio e
che
ti stanco, / ma soffri per non far soffrire altri
me sottolinea Chiarini, «per le reazioni di un’attrice — la Hensel —,
che
si era sentita offesa per le critiche rivoltele (
icitar la fantasia pronta e vivace degl’Italiani a rinovare tutto ciò
che
aveano fatto gli antichi. E siccome credevasi com
astanza di quel talento, né di quella cognizione della musica antica,
che
abbisognavasi per così gran novità, e ignorando l
’arte d’accomodar la musicabile parole nel recitativo, altro non fece
che
trasferir alle sue composizioni gli echi, i roves
e ripetizioni, i passaggi lunghissimi, e mille altri pesanti artifizi
che
allora nella musica madrigalesca italiana fioriva
è stato annoverato fra gl’inventori del melodramma da quegli eruditi
che
non avendo mai vedute le opere sue, hanno creduto
quegli eruditi che non avendo mai vedute le opere sue, hanno creduto
che
bastasse a dargli questo titolo l’aver in qualunq
le scienze gli errori stessi conducono talvolta alla verità. Il grido
che
questo musico avea levato fece parlar molto di lu
letterati, a’ quali ogni aiuto e favore somministrava: qualità tutte
che
per la difficoltà di trovarsi riunite in una sola
ersona rendono egualmente stimabili ma forse più rari i veri mecenati
che
i veri geni. Da lui perciò concorrevano i primi u
Boezio e da Sant’Agostino fino a que’ tempi non ebbe alcuno scrittore
che
presa l’avesse ad illustrare; e di toccar princip
dei modi. A cotal impegno s’accinse prima il Mei componendo un libro
che
diè poscia alla luce intitolato Della musica anti
i quantunque abbondino di errori rispetto alla musica antica a motivo
che
gli autori greci appartenenti a siffatte materie
ressanti, e nonostante gli abbagli a cui dava luogo l’imperfetta idea
che
allora s’avea del vero sistema musicale, delle mi
etta idea che allora s’avea del vero sistema musicale, delle migliori
che
ci rimangono di quel secolo fortunato. Avanti a l
i generi e modi, ma con evento poco felice, imperocché non compresero
che
la nostra musica appoggiata su fondamenti troppo
ci. Ma di ciò a me non s’appartiene il parlare; basterà dire soltanto
che
la disputa su tali oggetti fra il Vicentini e Vin
fra il Vicentini e Vincenzo Lusitanio scrittore di musica anch’egli,
che
fioriva verso la metà del secolo decimosesto, div
oriva verso la metà del secolo decimosesto, divenne così interessante
che
divise la maggior parte dei letterati italiani, e
inale di Ferrara, e di tutti gli intelligenti nelle scienze armoniche
che
allora si trovavano in Roma. Il Vicentini, che di
elle scienze armoniche che allora si trovavano in Roma. Il Vicentini,
che
difendeva altro non essere stata la musica greca
co ed enarmonico fu riputato aver il torto in paragone del Lusitanio,
che
sosteneva non comprendere l’antica musica fuorché
ché il solo e schietto diatonico55. [5] Il secondo mezzo più utile, e
che
bisognava di maggior talento era quello di simpli
e per conseguenza le fatiche e i meriti di que’ valentuomini italiani
che
intrapresero di correggerla, fa di mestieri ripig
ale i due toni grave ed acuto s’uniscono senza confondersi in maniera
che
l’orecchio percepisce facilmente la differenza e
nostri sensi corporei le qualità necessarie per dilettarli, ha voluto
che
ogni suono principale venga accompagnato da altri
stitutive dell’armonia. Questo è quanto può dirsi rispetto al piacere
che
arreca l’accordo perfetto nelle consonanze, e il
do perfetto nelle consonanze, e il voler sapere più oltre è lo stesso
che
perdersi in un labirinto di metafisica più oscuro
tre è lo stesso che perdersi in un labirinto di metafisica più oscuro
che
non è il caos dipinto dal Milton nel Paradiso per
atura limitate le consonanze ad un numero scarso, s’avvidero i musici
che
il ritorno frequente de’ medesimi tuoni quantunqu
ove l’accordo di due suoni si trova così differente e sproporzionato
che
l’orecchio non può determinare se non difficilmen
recchio non può determinare se non difficilmente il rapporto loro, lo
che
essendo cagione all’anima di qualche pena, a moti
orto loro, lo che essendo cagione all’anima di qualche pena, a motivo
che
essa appetisce l’ordine fin nella varietà stessa5
di esse come di passaggio d’un accordo all’altro, preparandole prima
che
arrivino con suoni dilettevoli che cuoprano l’asp
ordo all’altro, preparandole prima che arrivino con suoni dilettevoli
che
cuoprano l’asprezza loro, facendo dopo succedere
l’asprezza loro, facendo dopo succedere modulazioni vive e brillanti,
che
cancellino l’impressione sgradevole, giugne per f
poco d’amaro arrivano più gradite all’orecchio: nella maniera appunto
che
i nostri Apici sogliono pizzicar più vivamente il
iovamento alla musica, quelle per la varietà e vaghezza degli accordi
che
introdussero, queste pel campo che aprirono al ta
a varietà e vaghezza degli accordi che introdussero, queste pel campo
che
aprirono al talento dei musici onde ritrovar nuov
la cosa degenerò in abusi grandissimi. La dolcezza delle consonanze,
che
dovea riferirsi alia espressione de’ concetti del
o meccanico de’ suoni senza cercar oggetto più nobile. Le dissonanze,
che
doveano soltanto usarsi con sobrietà a tempo e lu
arono mille sorta di fioretti e d’ornamenti posticci senz’altra legge
che
il desiderio strabocchevole di novità, e il capri
el rivolgere verso ciò ch’era stravagante e artifizioso l’attenzione,
che
dovea unicamente prestarsi a ciò che è semplice e
ante e artifizioso l’attenzione, che dovea unicamente prestarsi a ciò
che
è semplice e naturale. [8] Da che crebbe e si per
he dovea unicamente prestarsi a ciò che è semplice e naturale. [8] Da
che
crebbe e si perfezionò il contrappunto formando u
formando un’arte di per se, i contrappuntisti presero ferma opinione
che
le parole e la grazia nel profferirle non entrass
nto, onde si vede ch’essi non curavano punto le parole, si è l’usanza
che
aveano di lavorar un canto, e sopra esso accomoda
n canto, e sopra esso accomodar poscia l’argomento prosaico o poetico
che
ne sceglievano, facendo in guisa di quei meschini
costume introdotto in que’ tempi assai frequente nelle carte musicali
che
ne rimangono, di nominar solamente il musico senz
lestrina”, “il Trionfo d’amore del medesimo modulato dall’Asola”. Dal
che
ne veniva in conseguenza che i cantori, nel pronu
e del medesimo modulato dall’Asola”. Dal che ne veniva in conseguenza
che
i cantori, nel pronunziar le parole, le storpiass
cantori, nel pronunziar le parole, le storpiassero in così fatto modo
che
né il significato loro si capiva dagli ascoltanti
elle vocali in lunghe, e brevi. [9] Nulla meno crudele era il governo
che
si faceva con quel sistema armonico della espress
onico della espressione, ovvero sia dell’arte di muovere gli affetti,
che
scopo è della musica fondamentale e primario. Il
geva necessariamente varietà di voci, e varietà di suoni. Il concento
che
indi ne risultava era bensì atto a rappresentar l
d’una tempesta, o qualche altro oggetto composto di parti diverse, di
che
si vedono tuttora esempi bellissimi ne’ contrappu
d’indole opposta, come sono il grave e l’acuto, non solo in due parti
che
cantassero ad una, ma anche in quattro, in sei, e
una, ma anche in quattro, in sei, e in più insieme; sovente accadeva
che
la commozione che potea destarsi nell’animo da un
quattro, in sei, e in più insieme; sovente accadeva che la commozione
che
potea destarsi nell’animo da una serie di suoni,
ente uso delle pause introdotte da loro, per cui molte volte avveniva
che
mentre l’una di esse parti cantava la metà o il f
i soppralodati Italiani intrapresero la riforma. Si credette da loro
che
ad ottener questo fine bisognava lasciar da banda
e l’incominciata edizione, trafugando il manoscritto originale. E ciò
che
fa la vergogna delle Lettere, e l’indignazione d’
a prese per istrumento il celebre Zarlino di Chioggia, uomo per altro
che
godendo d’altissima riputazione e fornito di somm
] Nè contento di questo il Galilei tanto vi si affaticò coll’ingegno,
che
trovò nuova maniera di cantar melodìe ad una voce
e di farle coll’accompagnamento degli strumenti, esse altro non erano
che
volgari cantilene intuonate da gente idiota senz’
lo squarcio sublime e patetico di Dante, ove parla del Conte Ugolino,
che
incomincia «La bocca sollevò dal fiero pasto», e
ca sollevò dal fiero pasto», e in seguito le lamentazioni di Geremia,
che
grande applauso trovarono allora presso agl’inten
ricevette allo stesso tempo nuovo lustro in Italia da Luca Marenzio,
che
la spogliò dell’antica ruvidezza e la fece cammin
itori, ma sopra tutti dal principe di Venosa uno de’ maggiori musici,
che
avresse avuti l’Italia, se all’ingegno mirabile c
io accoppiato né tvesse. Gli scrittori di quel tempo ci fanno sapere,
che
i madrigali suoi erano ammirati dai maestri e can
i erano ammirati dai maestri e cantati da tutte le belle: circostanza
che
dovea assicurar loro una rapida e universale cele
tata dal Galilei, e molte belle cose introdusse del suo nella musica,
che
contribuirono non poco a migliorarla. Uno de’ pri
alia sortisse allora del secolo più glorioso della sua letteratura, e
che
tanti scrittori bravissimi avessero di già arricc
olce e la più bella delle lingue europee, nullameno per le differenze
che
corrono fra l’armonia musicale e la poetica, dell
ono da quel sentiero i freddi rimatori del Cinquecento. Pietro Bembo,
che
prendendo a imitar il cantore di Laura altro non
che prendendo a imitar il cantore di Laura altro non ritrasse da lui
che
la spoglia; Angelo di Costanzo celebre per robust
, lavorato nello stile, abbindolato ne’ periodi, autore più di parole
che
di cose; Sanazzaro più vicino ai Latini nel suo p
ù di parole che di cose; Sanazzaro più vicino ai Latini nel suo poema
che
scrittor felice nella propria lingua; Rinieri, Va
ritorno troppo frequente e simmetrico delle rime nelle ottave. I cori
che
nelle tragedie italiane erano i soli destinati al
erano più idonei a far risaltare la pienezza e varietà degli accordi
che
la soavità della melodia. Restavano i soli madrig
gli accordi che la soavità della melodia. Restavano i soli madrigali,
che
servivano allora di materia alle musiche di camer
Ma la brevità ch’esigevano cotai componimenti, e la chiusa spiritosa
che
incominciò a introdursi circa que’ tempi, onde si
ra. né tralasciò di concorrer anch’egli poetando al medesimo fine, di
che
può far testimonianza la seguente canzonetta, ch’
ionali codesto valentuomo ignorato in oggi dai poeti e dai musici, ma
che
merita un luogo distinto fra gli uni e fra gli al
a Già sì cortese e pia, Non so perché, So ben
che
mai Non volge a me Quei dolci ret
Quei dolci reti: Ed io pur vivo e spiro! Sentite
che
martiro. Care, amorose Stelle, Voi pur
L’alma ferita. Ed or più non vi miro! Sentite
che
martiro. Ohimè! Che tristo e solo Sol’i
[16] Soprattutto egli attesta nella prefazione alle sue Nuove musiche
che
più vantaggio ne trasse dal commercio e suggerime
ntaggio ne trasse dal commercio e suggerimenti degli uomini letterati
che
da trentanni spesi nelle scuole musicali, e nell’
tanto studiarono sulla maniera d’accomodar bene la musica alle parole
che
finalmente trovarono, o credettero d’aver trovato
spinto Ottavio Rinuccini a comporre una qualche poesia drammatica, lo
che
egli fece colla Dafne, favola boscherecchia che s
poesia drammatica, lo che egli fece colla Dafne, favola boscherecchia
che
si rappresentò in casa del Corsi l’anno 1594, e f
a, era nondimeno dotato d’orecchio finissimo,e d’acuto discernimento,
che
gli aveano conciliato la stima e il rispetto de’
modulata nella maggior parte dal Peri fuori d’alcune arie bellissime
che
furono composte da Jacopo Corsi, e quelle del per
circostanze concorsero a render quello spettacolo uno de’ più compiti
che
d’allora in poi siano stati fatti in Italia. La n
allora in poi siano stati fatti in Italia. La novità dell’invenzione,
che
gli animi de’ fiorentini di forte maraviglia comp
ali e francesi oltre la presenza del Gran Duca e del Legato del papa,
che
de’ più virtuosi uomini d’Italia chiamati a bella
ei lettere giustificheranno la mia asserzione. Sentasi la narrazione,
che
fa Dafne della morte d’Euridice. «Orf. Ninfa, de
no dente, Ch’impallidì repente, Come raggio di Sol,
che
nube adombri. E dal profondo cuore
si allor nelle altrui braccia. Un sudor via più freddo assai
che
giaccio Spargea il bel volto, e le dorat
mmobil gelo.» [20] Non è men bella la scena dove Orfeo prega Plutone
che
gli restituisca la perduta sposa, della quale per
osa, della quale per esser troppo lunga non riferirò se non le stanze
che
canta Orfeo prima d’arrivar innanzi al re dell’In
ne usanze. La voga in cui erano allora le pastorali per la celebrità,
che
aveano acquistata il Pastor fido, e l’Aminta indu
rlare i pastori. Così non è maraviglia se s’ode Tirsi pregar l’Amore «
che
di dolcezza un nembo trabocchi in grembo», e che
irsi pregar l’Amore «che di dolcezza un nembo trabocchi in grembo», e
che
«svegli un riso di Paradiso», se si sente Arcetro
antica semplicità de’ Traci pastori a’ tempi d’Orfeo. Dall’uso ancora
che
allor si faceva della musica madrigalesca, e dal
iana preso l’andamento rapido e breve ch’esige il recitativo, avviene
che
l’Euridice debba piuttosto chiamarsi una filza di
’Euridice debba piuttosto chiamarsi una filza di madrigali drammatici
che
una tragedia, come è piaciuto al suo autore d’int
dalla troppo religiosa e mal intesa imitazion degli antichi è venuto
che
dovendosi dividere il dramma in cinque atti, né s
non ha potuto schivar il languore di molte scene e dell’ultimo atto,
che
riesce del tutto inutile. Il cangiar ch’ei fa la
poiché ad un tratto si passa dai campi amenissimi nell’Inferno senza
che
venga preparato, qualmente si dovrebbe, il passag
rvenne in seguito fino all’eccesso negli altri, come dall’esito lieto
che
diè alla sua favola non per altro motivo se non p
allegrezza» 58 trassero innavvedutamente i suoi successori una legge
che
lieto esser dovesse il fine di tutti i drammi. [2
pera dell’arte in quel genere, e si rammentava da loro non altrimenti
che
si rammenti in oggi la Serva Padrona posta in mus
a Doni nel suo trattato sulla musica scenica59, e dalla dissertazione
che
segue agli scherzi musicali di esso Claudio Monte
dute in lontananza di mari gonfi di flutti, procelle, tuoni e folgori
che
precipitavano dal cielo di nereggianti nubi artif
e Fauni, e Napee, e Sileni in nuove e disusate foggie vestiti, fiumi
che
con limpidissime acque scorrendo, lasciavano vede
iumi che con limpidissime acque scorrendo, lasciavano vedere le Ninfe
che
per entro guizzavano, insomma quanto v’ha di più
iona del melodramma. La variazione dei tempi, la diversità de’ gusti,
che
tanto influisce sulle cose musicali, e forse anco
da poco di varietà, e il tempo non è a sufficienza distinto a motivo,
che
i compositori erano soliti a non udir altra music
into a motivo, che i compositori erano soliti a non udir altra musica
che
la ecclesiastica e la madrigalesca, nelle quali s
ada battuta da que’ maestri per esprimer bene il recitativo è la sola
che
dovrebbero battere i compositori d’ogni secolo. E
ilosofi ragionavano. Lo studio delle cose antiche fece loro conoscere
che
quella sorte di voce, che da’ Greci e Latini al c
udio delle cose antiche fece loro conoscere che quella sorte di voce,
che
da’ Greci e Latini al cantar fu assegnata, da ess
li della favella ordinaria più spediti e veloci, avvicinandosi il più
che
si potesse all’altra sorte di voce propria del ra
e si potesse all’altra sorte di voce propria del ragionar famigliare,
che
gli antichi “continuata” appellavano. Le riflessi
ppellavano. Le riflessioni sulla propria lingua fecer loro avvertire,
che
nel parlar comune alcune voci s’intuonano in guis
oro avvertire, che nel parlar comune alcune voci s’intuonano in guisa
che
vi si può far armonia, o ciò che è lo stesso, dis
une alcune voci s’intuonano in guisa che vi si può far armonia, o ciò
che
è lo stesso, distinguerle per intervalli armonici
movimento. Osservarono infine que’ modi e quegli accenti particolari
che
gli uomini nel rallegrarsi, nel dolersi, nell’adi
lle altre passioni adoprano comunemente, a misura de’ quali conobbero
che
dovea farsi movere il basso or più or meno second
uali conobbero che dovea farsi movere il basso or più or meno secondo
che
richiedeva la lor lentezza o velocità, e tenersi
ella prefazione, e così almeno in gran parte (giacché non è possibile
che
nel principio della scoperta alla perfezion dell’
ero quei valenti compositori. [25] Maestri e musici del nostro tempo,
che
col fasto proprio della ignoranza vilipendete le
gloriose fatiche degli altri secoli, ditemi se alcun si trova fra voi
che
sappia tanto avanti nei principi filosofici dell’
’arte propria quanto sapevano quegli uomini del secolo decimosettimo,
che
voi onorate coll’urbano titolo di seguaci del ran
ncidume. [26] Parte principalissima della musica drammatica è l’aria,
che
non si dee sotto silenzio trapassare. Il cavalier
e non si dee sotto silenzio trapassare. Il cavalier Planelli pretende
che
verso la metà del secolo scorso cominciassero «a
r non aver voluto prendersi la briga di esaminare i fonti. Non è vero
che
tutto fosse recitativo nel melodramma italiano av
ra. Alla pagina II della musica del Peri alla citata Euridice si vede
che
Tirsi canta a solo i seguenti versi: «Nel puro a
Di Paradiso.» i quali sono un’aria perfetta non meno in musica
che
in poesia. Le ragioni sono perché vi precede la s
vo, perché manifestamente è un canto, per tutte le condizioni insomma
che
le arie a dì nostri distinguono. né si veggono so
ostro secolo si spiega in questi termini: «Intanto dobbiamo avvertire
che
nei drammi per lo passato non hanno mai avuto luo
entati intermedi d’ogni maniera»64. Non avea egli letto i cinque cori
che
chiudono i cinque atti dell’Euridice? Non avea ve
o, la Medusa, la Flora, la Sant’Ursola, e mille altre? Ignorava egli,
che
niuno de’ celebri melodrammi italiani fu senza co
ebri melodrammi italiani fu senza cori fin quasi alla metà del 1600 e
che
molti gli ebbero ancora nel rimanente del secolo?
della italiana poesia. [28] Facendo adunque la distribuzione di laude
che
a ciascun s’appartiene nell’invenzione dell’opera
che a ciascun s’appartiene nell’invenzione dell’opera seria, si vede
che
dee la città di Firenze il vanto riportarne princ
vede che dee la città di Firenze il vanto riportarne principalmente,
che
Giovanni Bardi e Jacopo Corsi furono i mecenati,
ca, e nell’arte d’intavolar le melodie Emilio del Cavalieri il primo,
che
da lontano adittò agli altri la strada, Giulio Ca
li altri la strada, Giulio Caccini e Jacopo Peri nella esecuzione, ma
che
deesi principalmente l’elogio al Rinuccini, il qu
nza in cui teneva gli altri, si fece il ritrovatore d’un nuovo genere
che
tanto lustro ha recato alla poesia, alla musica e
e. S’ignora dove e in qual anno si recitasse. L’autore fu un modenese
che
fece la musica e la poesia, chiamato Orazio Vecch
replicato dall’autore d’una iscrizione latina fatta pel suo sepolcro,
che
si conserva in Modena, e che vien rapportata dal
scrizione latina fatta pel suo sepolcro, che si conserva in Modena, e
che
vien rapportata dal Muratori nella sua Perfetta p
ione. L’Anfiparnaso venne poi in tal dimenticanza presso agl’Italiani
che
Appostolo Zeno, comecché in tal genere d’erudizio
ori d’ignorarne persin l’esistenza. né il Muratori ebbe altra notizia
che
quella che ricavò dalla mentovata iscrizione. Il
arne persin l’esistenza. né il Muratori ebbe altra notizia che quella
che
ricavò dalla mentovata iscrizione. Il Maffei nel
musicali, ove sempre rimase. né la musica né la poesia meriterebbono
che
se ne facesse menzione, se la circostanza d’esser
abella si mostri innamorata del capitano, nondimeno il beffeggia dopo
che
egli è partito, nel che le fanciulle del Cinquece
ata del capitano, nondimeno il beffeggia dopo che egli è partito, nel
che
le fanciulle del Cinquecento non differiscono pun
scena, non resterà meno meravigliato un musico della singolar armonia
che
si sente in quest’altra. [30] Francatrippa, servo
tibus! Sù prest: avrì sù: prest: Da hom da ben,
che
tragh zo l’us. Ebrei. Ahi Baruchai, Ba
el, Samuel! Venit a bess, venit a bess; Adonai;
che
le è lo Goi, Che è venut con lo parach
Goi, Che è venut con lo parachem. Altri Ebrei. L’è Sabbà,
che
non podem.» [31] Dicendo che la musica non si di
on lo parachem. Altri Ebrei. L’è Sabbà, che non podem.» [31] Dicendo
che
la musica non si disconviene a così fatta poesia,
te Roussier data in luce nel 1770, nella quale si pruova ad evidenza,
che
tutti quanti i teorici c’hanno scritto finora sù
teorici c’hanno scritto finora sù cotali materie non hanno spacciato
che
paradossi, falsità e pregiudizi per avere ignorat
i, falsità e pregiudizi per avere ignorato il vero ed unico principio
che
serve di base ad ogni sistema musicale, e che ser
vero ed unico principio che serve di base ad ogni sistema musicale, e
che
servì a quello degli Egiziani, dei Chinesi, dei G
esi, dei Greci, e di noi. 56. [NdA] Tra le apparenti contraddizioni
che
ci presenta l’esame dell’umano spirito, non è la
l’umano spirito, non è la minore a mio avviso quella d’amare l’unità,
che
tende a riconcentrare tutte le sensazioni in una
riconcentrare tutte le sensazioni in una sola, insieme colla varietà
che
tende a separarle e distinguerle. Non so, che alc
, insieme colla varietà che tende a separarle e distinguerle. Non so,
che
alcun metafisico abbia data una spiegazion conven
ata una spiegazion convenevole a questo fenomeno, ne io sono da tanto
che
speri di poterlo fare: abbiano, ciò nonostante, l
terlo fare: abbiano, ciò nonostante, le seguenti conghietture il peso
che
meritano. L’anima essendo fatta per sentire, cerc
dimento avuto, il desiderio d’un nuovo, e facendole sperare i diletti
che
nascono dalla novità; cerca altresì di mettere un
tto, le fa nascere una idea più vantaggiosa del proprio talento quasi
che
comprenda le cose, con maggiore facilità e pronte
facilità e prontezza: quindi l’amore della simmetria, la quale non è
che
il risultato della graduazione e dell’ordine che
tria, la quale non è che il risultato della graduazione e dell’ordine
che
si mette nelle parti d’un tutto. Ma siccome l’ani
ome l’anima non è fatta soltanto per sentire, ma anche per pensare, e
che
l’atto di pensare, apporta seco deduzione degli e
all’anima unitamente alla varietà, la quale nelle diverse sensazioni
che
le procura, le somministra la materia su cui eser
soddisfare a tutte le facoltà dello spirito. II. Che l’essenza di ciò
che
si chiama bello nella musica e nelle arti liberal
ario e dell’uniforme. III. Che essendo l’idea dell’unità più astratta
che
sensibile, il piacere che indi ne risulta, è piut
Che essendo l’idea dell’unità più astratta che sensibile, il piacere
che
indi ne risulta, è piuttosto di riflessione che d
sensibile, il piacere che indi ne risulta, è piuttosto di riflessione
che
di sentimento. IV. Che la cagion formale di esso
V. Che la cagion formale di esso piacere consiste nella soddisfazione
che
ha l’anima conoscendo la propria perfezione, e la
fazione che ha l’anima conoscendo la propria perfezione, e la facoltà
che
ha di poter formare rapidissimamente una serie di
taciti intorno all’oggetto propostole. V. Che l’unità in quelle cose
che
si gustano successivamente come, per esempio, nel
ente come, per esempio, nella musica, è più difficile a comprendersi,
che
nelle cose, le quali si veggono in un colpo d’occ
dell’archittetura o della pittura. La cagione si è perché il piacere
che
sente l’anima in ciascuno dei suoni o delle immag
é il piacere che sente l’anima in ciascuno dei suoni o delle immagini
che
si succedono, le fa sovente obbliare il rapporto
o delle immagini che si succedono, le fa sovente obbliare il rapporto
che
hagno gli uni e le altre col tutto. VI. Che appun
gione il volgo degli uditori ascolta spesso con trasporto una musica,
che
sembra cattiva, ed è tale pei veri intelligenti;
o se una pittura od una facciata d’un palazzo mancano di quella unità
che
richiede la simmetria. 57. [NdA] Errano grandem
e d’illustrare qualche punto curioso della Storia teatrale. In questa
che
alla prima mi si presenta, avrò motivo di aggiugn
trattare del Voto della Storia teatrale. Il Signor Lampillas pretende
che
io abbia letto male un passo dell’Opuscolo di Lui
sa conosciuti i Giuochi Scenici; e le rovine di tanti antichi Teatri,
che
sino a’ nostri giorni si conservano in diverse Ci
possessato del Popolo questo genere di divertimento”. Ed io ben credo
che
così avvenisse; ma per soddisfazione degli Strani
uove io desiderai nel comporre la mia Storia. L’Apologista però pensa
che
nulla manchi a quelle parole, e vi rinviene la pi
Giuochi Scenici in Ispagna sin da’ tempi de’ Romani, e si maraviglia,
che
io non l’abbia ravvisata: “Quale autorità più inc
ia, che io non l’abbia ravvisata: “Quale autorità più incontrastabile
che
i magnifici avanzi degli antichi Teatri conservat
elli. Ha forse il Velazquez additate almeno queste Città? Ha mostrato
che
tali magnifici avanzi sono di Teatri, e non di al
prendere di essere teatrali? Un avanzo di un Circo, di una Naumachia,
che
non abbia conservate le proprie note caratteristi
ottissimo Canonico Simmaco Mazzocchi De Ampitheatro Campano], e vedrà
che
l’Anfiteatro non era se non un doppio Teatro, e c
Campano], e vedrà che l’Anfiteatro non era se non un doppio Teatro, e
che
le scalinate, i recinti, le uscite, convengono ap
inate, i recinti, le uscite, convengono appuntino ad esso ugualmente,
che
al Teatro secondo le regole Vitruviane. Ci volea
l Velazquez, e la sua pretensione fu giusta; ed è il Signor Lampillas
che
alla bella prima prende quì per Giunone una nuvol
Avrei parimente accennate le rovine teatrali di Clunia e di Castulo,
che
si mentovano nel Saggio; ma confesso non averne a
no scrittore per quello di Clunia. Nè anche egli ebbe notizia, a quel
che
pare, di alcune rovine teatrali site presso il lu
zia, a quel che pare, di alcune rovine teatrali site presso il luogo,
che
oggi occupa Senetil de las Bodegas, dove fu Acini
io di un Antiquario Spagnuolo dell’Accademia della Istoria; asserendo
che
tuttavia vi si discernono le tre Porte della Scen
ria di Spagna, pubblicata nel 1781. Una Tarteso differente da Cadice,
che
portò pure questo nome, chiamata da’ Greci Cartei
i vestigj di un Teatro, ed anche di un Anfiteatro. A chi poi è ignoto
che
la vita di Apollonio scritta da Filostrato non si
gine e mezza per mostrare la Greca fede di Filostrato? Se io scrissi,
che
il Velazquez in vece di prorompere in invettive i
vincerlo di errore con pruove chiare, e non voci, ciò forse significa
che
io sia persuaso della verità del Romanzo di Filos
guitare l’ Apologista nelle sue congetture sul Teatro Saguntino, cioè
che
i Saguntini presero i Giuochi Scenioi da’ Greci,
reci, pensando io in questo discorso a ristrignermi a quello soltanto
che
a me appartiene. Accenno però di passaggio, ch’eg
ll’impresa. In prima ei si conforma al parere dell’erudito P. Mignana
che
stima essere il Teatro Saguntino stato innalzato
ato giusta il modello di quel di Atene. Ben potrebbe darsi: ma da ciò
che
ne consiegue? che tal Teatro si eresse da’ Greci,
llo di quel di Atene. Ben potrebbe darsi: ma da ciò che ne consiegue?
che
tal Teatro si eresse da’ Greci, come pensò Gaspar
hè mai lo fabbricarono conforme a’ Teatri antichi di Grecia piuttosto
che
a’ Teatri Romani”? L’erudito Apologista, dedito f
dedito forse tutto alle sublimi scienze, non si ricordò in ciò dire,
che
i Teatri Romani, come il Saguntino, furono tutti
ento per le parti essenziali1. Che poi il dottissimo P. Mignana stimi
che
il Teatro Saguntino non sia conforme alle regole
he il Teatro Saguntino non sia conforme alle regole Vitruviane, parmi
che
in ciò discordi dalla descrizione datane dal Mart
escrizione datane dal Martì nella Lettera al Zondadari. La differenza
che
v’incontra l’erudito Decano di Alicante, consiste
ntra l’erudito Decano di Alicante, consiste nell’essere gli scaglioni
che
servivano per sedere, più alti di due palmi e mez
ri precetti Vitruviani, e specialmente la situazione per esso eletta,
che
non può essere a quelli più simile. Nè mi stendo
etta, che non può essere a quelli più simile. Nè mi stendo a rilevare
che
nel Teatro di Morviedro non apparisca indizio del
luogo, ove situavansi i Vasi di rame ne’ Teatri Greci; ed è probabile
che
essendo costrutto alla Romana, non ne avesse punt
Musici e i Ballerini. Aggiunga ancora a queste cose l’Apologista ciò
che
scrive D. Antonio Ponz1: “Alla lettera del Martì
tosa, non essendo nè pianta nè alzato, ma un ammasso di cose nel modo
che
se la figurò chi non era Professore; ed in suo lu
ezza abbiano le congetture dell’Ercolano da lui adottate, per provare
che
nelle Spagne vi fossero Teatri prima che in Roma.
da lui adottate, per provare che nelle Spagne vi fossero Teatri prima
che
in Roma. Ed avverta ancora, che quando anche ciò
nelle Spagne vi fossero Teatri prima che in Roma. Ed avverta ancora,
che
quando anche ciò fosse dimostrato, non che dimost
n Roma. Ed avverta ancora, che quando anche ciò fosse dimostrato, non
che
dimostrabile, Roma ch’è una sola Città, benchè se
à, benchè sempre chiara, non derogherebbe a tante Città Italo-Greche,
che
vantarono magnifici Teatri, di cui esistono le re
-Greche, che vantarono magnifici Teatri, di cui esistono le reliquie,
che
si addurranno colle dovute prove a suo luogo; e c
ie, che si addurranno colle dovute prove a suo luogo; e ciò nel tempo
che
fioriva l’antica Grecia transmarina. Per non fare
ella storia de’ Teatri fa onorevole menzione di molti illustri Romani
che
abbellirono la scena .... ma non ricordò quanto s
ovette a Cornelio Balbo”; dicendo ciò per le quattro colonne di onice
che
egli espose rel suo Teatro. L’Autore dell’accenna
egli espose rel suo Teatro. L’Autore dell’accennata storia risponde,
che
del Teatro di Balbo fece menzione con ogni altro
la dal fuoco per malignità de’ di lui schiavi, la cui valuta si stimò
che
ascendesse a cento milioni di sesterzj, cioè a du
uanta milioni di reali Spagnuoli, oltre alle tremila statue di bronzo
che
si collocarono fralle trecensessanta colonne. Cos
nsessanta colonne. Così abbacinato da tali magnificenze di un privato
che
diveniva Edile, le quali saranno povertà per altr
medie prime, benchè sì difettose, promettevano un ingegno non volgare
che
giva formandosi: prese in prima a purgar la scena
biltà nello stile co’ precetti e col proprio esempio. Il primo saggio
che
fe delle sue forze nel tragico, fu la Medea Egli
o e Seneca, e nelle di loro opere attinse non meno l’amor del sublime
che
l’impeto e la foga che il trasportava al pari de’
loro opere attinse non meno l’amor del sublime che l’impeto e la foga
che
il trasportava al pari de’ suoi modelli nell’enfa
imene è tormentata, e della vendetta dell’ingiuria paterna coll’amore
che
ha per Chimene onde Rodrigo è posto in angustia.
oll’amore che ha per Chimene onde Rodrigo è posto in angustia. Vero è
che
Cornelio trasportando il fatto a Siviglia commise
o del Cid Siviglia trovavasi in potere de’ Mori, e non de’ Cristiani (
che
è il grande errore che nel Cid di Cornelio notò e
avasi in potere de’ Mori, e non de’ Cristiani (che è il grande errore
che
nel Cid di Cornelio notò esultando colla solità i
colla solità insolenza Vicente Garcia de la Huerta); vero è parimente
che
Scudery e l’Accademia Francese la censurano per v
tti non senza fondamento, anche per aderire al cardinal di Richelieu,
che
volle deprimerla non avendo potuto farla passar p
uto farla passar per sua. Ma il Cid è uno de’ felici frutti del genio
che
s’invidiano e si criticano più facilmente che non
felici frutti del genio che s’invidiano e si criticano più facilmente
che
non s’imitano. La parte che il lodato cardinale e
s’invidiano e si criticano più facilmente che non s’imitano. La parte
che
il lodato cardinale ebbe a qualche componimento s
il lodato cardinale ebbe a qualche componimento scenico, alcuni piani
che
ne distribuiva a Desmaret, Boisrobert, Colletet e
ne distribuiva a Desmaret, Boisrobert, Colletet ed altri, i soccorsi
che
ne tiravano tanti letterati, la guerra stessa che
d altri, i soccorsi che ne tiravano tanti letterati, la guerra stessa
che
egli faceva al Cid, ed i beneficii che in compens
ti letterati, la guerra stessa che egli faceva al Cid, ed i beneficii
che
in compenso versava sull’autore; tutto ciò, dico,
aneggiare l’argomento degli Orazii prese Corneille scorta migliore, o
che
ne dovesse a dirittura la via all’Orazia di Pietr
, o che ne dovesse a dirittura la via all’Orazia di Pietro Aretino, o
che
vi s’incaminasse sull’imitazione che di questa tr
all’Orazia di Pietro Aretino, o che vi s’incaminasse sull’imitazione
che
di questa tragedia italiana fatta ne avea ventici
freddi ed inutili. Si vorrebbe ancora ravvisare in que’ primi Romani
che
prese a dipignere rassomiglianza minore co’ più m
lime di tutto il suo lume. Chi non sente elevarsi e commuoversi a ciò
che
dice Orazio a Curiazio suo cognato, Albe vous a
in cui Augusto chiede su di ciò il parere di que’ medesimi cortigiani
che
stanno congiurando contro di lui. Nella seduzione
ingegnoso misto di grandi passioni private e di pubblici destini, in
che
è posto il carattere della vera. tragedia. La nob
è posto il carattere della vera. tragedia. La nobiltà ed il patetico
che
respirano le parole di Augusto nell’abboccamento
visata la bellezza e l’averla bene espressa. Confessiamo non pertanto
che
nè tragico timore nè compassione desta il pericol
agico timore nè compassione desta il pericolo del protagonista Cinna,
che
è un traditore senza scusa, che al proprio dovere
a il pericolo del protagonista Cinna, che è un traditore senza scusa,
che
al proprio dovere verso un sovrano e un benefatto
r una donna. Nondimeno questo desiderato vero effetto della tragedia,
che
in tal favola in verun conto si produce, vien com
poeta stesso ne minora la grandezza in più maniere. In prima con fare
che
Augusto rimproveri a Cinna son peu de merite, e d
io ti abbandonassi al tuo demerito. Il popolo potrebbe dirgli; passi
che
tu gli doni la vita; ma puoi tu divenire amico di
tù? Per la qual cosa non ebbe torto quel Maresciallo De la Fevillade,
che
udendo quest’altre parole orgogliose esclamò: oim
s Cinna. Si abbassa altresì il perdono di Augusto, perchè il poeta fa
che
Livia, personaggio affatto ozioso, sia quella che
perchè il poeta fa che Livia, personaggio affatto ozioso, sia quella
che
esorti Augusto ad esser clemente, togliendoli con
itar la tragica compassione, per essere la loro morte un vero trionfo
che
non lascia allo spettatore luogo a dolersi; pure
lersi; pure il Poliuto pel carattere eroico del martire e per l’amore
che
egli ha per la sua sposa Paolina che egli sacrifi
eroico del martire e per l’amore che egli ha per la sua sposa Paolina
che
egli sacrifica ai doveri della religione abbracci
egli sacrifica ai doveri della religione abbracciata, è una tragedia
che
tira tutta l’attenzione. Non meno teatrale è il c
eri e nelle frasi il genio di Lucano, e quindi di essersi elevato più
che
in altre sue tragedie. Ma gli ornamenti e le figu
a Cesare della di lui testa. Pur vi si scorgono alcuni tratti sublimi
che
non debbono nascondersi alla gioventù. Tale a me
Quantunque il Nicomede non iscarseggi di difetti, nè sia un argomento
che
si elevi alla grandezza ed al terror tragico si p
mento che si elevi alla grandezza ed al terror tragico si pel viluppo
che
per la qualità de’ caratteri di Prusia, di Arsino
come questo, Rome n’est plus dans Rome, elle est toute où je suis,
che
forse ebbe presente il Metastasio nel far dire a
te ne pregiavano l’atto quinto. Ma l’eccessiva crudeltà di Cleopatra,
che
qual altra Medea trucida Seleuco suo figlio, e pe
ggio delle gioventù particolareggiare su i loro difettia. Il Cornelio
che
dopo aver cessato di scrivere pel teatro, pure vi
, al fine da buon senno nel 1675 dopo la rappresentazione del Surena,
che
non fe scorno alla vigorosa vecchiezza di sì gran
osì facile (disse di lui con verità Giovanni Racine) trovare un poeta
che
abbia posseduti tanti talenti, l’arte, la forza,
; e pure i più deboli di questi potrebbero passar per eccellenti oggi
che
ci troviamo sì bisognosi ». Ingegno raro tutte in
leva e tira seco gli animi tutti. Si è già detto ch’egli è un’ aquila
che
s’innalza sopra le nubi mirando il sole senza pre
s’innalza sopra le nubi mirando il sole senza prender cura de’ baleni
che
si accendono e de’ fulmini che strisciano per l’a
il sole senza prender cura de’ baleni che si accendono e de’ fulmini
che
strisciano per l’atmosfera. Ma perchè la gioventù
lmini che strisciano per l’atmosfera. Ma perchè la gioventù non creda
che
tutto nel suo stile sia oro puro, vuolsi avvertir
ch’egli pur troppo pagò il tributo al mal gusto delle arguzie viziose
che
dominava sotto il regno di Luigi XIII e nel princ
nda di dialoghi romanzeschi, di monologhi ristucchevoli e di pensieri
che
oltrepassando i giusti limiti del sublime, cadono
n sofisti, in declamatori, e qualche volta in teologi. Ma il Voltaire
che
poche volte si mostrò indulgente verso il gran Co
mostrò indulgente verso il gran Cornelio, colse nel segno affermando
che
“ il di lui ingegno tutto ha creato in Francia do
rnelio grandeggia la virtù e l’eroismo vi si tratta con una sublimità
che
riscuote ammirazione; ma vi si accoppiano certi a
te ammirazione; ma vi si accoppiano certi amori per lo più subalterni
che
riescono freddi e poco tragici. In quelle del Rac
roico di un Romano o di un Greco. Ma subito prestano attenzione a ciò
che
rassomiglia a quel che sentono in se stesse; e va
un Greco. Ma subito prestano attenzione a ciò che rassomiglia a quel
che
sentono in se stesse; e vanno agevolmente seguita
n se stesse; e vanno agevolmente seguitando il poeta nelle commozioni
che
disviluppa, e ne favellano con vivacità e conosci
se vuol dirsi alla francese, del sentimento, anche senza tanti pregi
che
adornano le favole del Racine avrebbero bastato a
ebbero bastato a farle riuscire in Francia è nella corte di Luigi XIV
che
respirava per tutto amoreggiamenti anche nelle sp
zione, leggiadria e nobiltà di stile, ed una eloquenza sempre eguale,
che
è la divisa dell’immortalità onde si distinguono
latore del Parnasso Francese il vantaggio del raro dono della grazia,
che
la natura concede a’ suoi più cari allievi, agli
rano tante bellezze di Euripide, mal grado delle avventure di Erifile
che
muore in vece d’Ifigenia senza destar pietà, trov
Le-Batteux quasi per gentilezza volle discolparne il Racine con dire
che
lo stesso Euripide posto nelle medesime circostan
ime circostanze del tragico francese non l’avrebbe rifiutato. Certo è
che
anche Luigi Racine disapprovò quegli amori episod
che Luigi Racine disapprovò quegli amori episodici, e disse del padre
che
« doveva esser meno compiacente pel di lui secolo
nico difetto trovava nella Fedra Arnaldo d’Antilly, il quale confessò
che
senza tal galanteria la Fedra nulla conteneva ch
il quale confessò che senza tal galanteria la Fedra nulla conteneva
che
non conducesse alla correzione de’ costumi . Adun
imento di Eraclio agli occhi tutti divini di Eudossa , e la protesta
che
egli fa di aspirare al trono unicamente per la s
la protesta che egli fa di aspirare al trono unicamente per la sorte
che
ha di farne parte alla sua bella . Nel Sertorio s
gliuola di Asdrubale, manifestando solo una coquette comunale. Tomiri
che
nella Morte di Ciro del Quinault va cercando sul
edie come ogni altra eccessiva passione; ma si bene, qual sia l’amore
che
le degradi, e che indebolisca quasi tutte le trag
ra eccessiva passione; ma si bene, qual sia l’amore che le degradi, e
che
indebolisca quasi tutte le tragedie francesi, Gi
vincitor di Dario e dalla tragica gravità quanto il di lui Alessandro
che
sembra uno degli eroi da romanzo. La Tebaide, per
fattane dagli antichi. Nel Mitridate la compassione è più per Monima
che
pel protagonista, il quale poco più del nome riti
ca per iscoprir gli affetti di Monima. Mai non si ripeterà abbastanza
che
la tragedia quando rappresenti un’azione rinchius
gi, non ci obbliga a fare una piena eccezione alle tragedie francesi,
che
quasi tutte sono un tessuto d’interessi proprii d
torto conchiudeva così: «Le nostre tragedie più gravi altro non sono
che
commedie elevate.» Dacier, fralle altre critiche
nali, diceva: «Noi abbiamo tragedie, la cui costituzione è sì comica,
che
per farne una vera commedia basterebbe cangiarne
cosa più insipida, più volgare, più spiacevole del linguaggio amoroso
che
ha disonorato il teatro francese. Io già non parl
ro francese. Io già non parlo dell’amore energico, furioso, terribile
che
ben conviene alla vera tragedia; parlo… degli amo
pregi inimitabili di Pietro Corneille e di Giovanni Racine e di altri
che
gli seguirono, vengono in generale tacciati i tra
espressioni affettate, di figure sconvenevoli alla drammatica. A ciò
che
fra’ Greci e gl’Italiani chiamasi poesia, trovasi
niere poetiche calcando da gran poeta le tracce degli antichi tragici
che
studiava e si proponeva per modelli e per censori
va e si proponeva per modelli e per censoria. Non è perciò meraviglia
che
avesse portato a così alto punto l’espressione, l
lcune trasposizioni inusitate, e certe maniere non sempre limpide, di
che
giudichino di pieno diritto i nazionali. Certo è
limpide, di che giudichino di pieno diritto i nazionali. Certo è però
che
specialmente nell’Alessandro e ne’ Fratelli nemic
anche nel Mitridate, nell’Andromaca e nell’Ifigenia. Nella Fedra, più
che
la soverchia pompa del racconto di Teramene da og
il sentire con figure intempestive e con improprii e falsi pensieri,
che
il cielo guarda con orrore il mostro marino, la
re il mostro marino, la terra n’è scossa, l’aria infettata, e le onde
che
lo condussero alla riva, rinculano spaventate . M
ussero alla riva, rinculano spaventate . Ma senza tali nei nel Racine
che
studiava sì felicemente il cuore dell’uomo e la p
elicemente il cuore dell’uomo e la poesia originale de’ Greci, Racine
che
possedeva il rarissimo dono dello stile e della g
i, Racine che possedeva il rarissimo dono dello stile e della grazia,
che
avrebbe mai lasciato alla gloria della posterità?
ente Garcia de la Huerta, quando tutto mancasse, può ricavarsi da ciò
che
osò affermar del Racine in un gran papelon chiama
lgari della Francia ( uno de los mas comunes ): altro merito non ebbe
che
l’esatta osservanza delle regole, ed una scrupolo
rlocutori , e vi si trova un’ affettata regolarità ed ellenismo, con
che
procurò di supplire alla mancanza dell’ingegno .
? la scelta di un’azione tanto abbominevole e così piena di orrori ,
che
egli stando in Parigi non ebbe valore di veder la
entili elogii d’ignoranza, d’imbecillità, di meschinità, d’incapacità
che
lo spagnuolo declamatore temerario profonde a lar
getterà lo sguardo su i componimenti drammatici del signor Vincenzo,
che
sembra una immonda arpia di Stinfalo che imbratta
mmatici del signor Vincenzo, che sembra una immonda arpia di Stinfalo
che
imbratta e corrompe le imbandite mense reali di F
è-Milon nel dicembre del 1639 e morto in Parigi nell’aprile del 1699,
che
lasciò tralle sue carte il piano di una Ifigenia
le sue carte il piano di una Ifigenia in Tauride, dal quale apparisce
che
egli prima di mettere in versi una tragedia, form
prosa tutte le scene sino alla fine senza scriverne un verso, dopo di
che
diceva di averla terminata; e non avea torto. Da
verla terminata; e non avea torto. Da ciò veniva la facilità mirabile
che
avea nel verseggiare (ciochè è diametralmente opp
iù nobile per li costumi, fondata su di un principio novello. I Greci
che
nella poesia ravvisarono l’amore per l’aspetto de
nella tragedia con decenza e delicatezza; per la qual cosa dee dirsi
che
da lui cominciasse la scena tragica ad avere un c
ra, è veder le cose foscamente, e quali d’alto mare veggonsi le terre
che
pajono un groppo di azzurre nuvolette. Il più vol
attei nel Nuovo sistema d’interpretare i tragici greci osservò ancora
che
la tragedia de’ francesi non è la tragedia de’ g
ri , la qual Cosa non là diversifica nell’essenza. Diceva poi altresì
che
le tragedie francesi possono definirsi drammi di
tragedie francesi possono definirsi drammi di Menandro e di Terenzio
che
contengono soggetti ed argomenti tragici non comi
i e gli Spagnuoli, ora discostandosene, fuvvi qualche altro scrittore
che
pure vi si occupò con applauso. Tristano Eremita
cendo la parte di Erode il commediante Mondori declamò con tal vigore
che
offeso nel petto si rendette inabile a più compar
te del Cid per tante rappresentazioni con estremo piacer del pubblico
che
la vide senza stancarsene comparire in iscena di
re di Erode dipinto con bastante forza e verità, ed alcune situazioni
che
interessano, e l’intrepidezza di Marianne condott
interessano, e l’intrepidezza di Marianne condotta a morire, mostrano
che
Tristano meritò in certo modo gli applausi che ri
tta a morire, mostrano che Tristano meritò in certo modo gli applausi
che
riscosse da’ Francesi di quel tempo. L’abate Giov
tempo. L’abate Giovanni Andres però affermò con troppa sicurezza ciò
che
la storia rigetta, dicendo che Tristano tratta av
però affermò con troppa sicurezza ciò che la storia rigetta, dicendo
che
Tristano tratta avesse la sua Marianne dal Tetrar
e la sua Marianne dal Tetrarca de Jerusalen del Calderòn. Oltre a ciò
che
precedentemente noi affermammo della Marianna di
edro Calderòn de la Barca e di Tristano, vuolsi quì osservare ancora,
che
nell’anno 1636 quando si rappresentò la Marianne
veduto il Tetrarca de Jerusalen. Ciò si deduce dalla prima collezione
che
si fece de las Comedias de Don Pedro Calderòn da
r Maria Quiñones nel medesimo anno 1636, non trovandosi fralle dodici
che
l’autore sino a quell’anno avea composte la favol
ulle scene. Noi al contrario possiamo più ragionevolmente assicurare,
che
se Calderòn non ebbe contezza della Marianna ital
lla Marianna italiana composta cento anni prima, è ben più verisimile
che
l’autore spagnuolo tolto avesse questo argomento
ne di Hardy rappresentata in Parigi nel 1610, o di quella di Tristano
che
fece recitare e stampò la sua prima che non compa
1610, o di quella di Tristano che fece recitare e stampò la sua prima
che
non comparisse il Tetrarca del Calderòn. Tommaso
ragedie fortunate. L’Arianna si rappresentò nel 1672 nel tempo stesso
che
si recitava il Bajazette del Racine tragedia di g
consuma nel lavoro e nel maneggio della lima sullo stile, ed è quello
che
manca all’Arianna. Trasse Tommaso Cornelio il suo
e mal verseggiato) tante volte fu dal pubblico richiesto e si ripetè,
che
i commedianti infastiditi dopo ottanta recite chi
a da moderni tragici della Francia con tal frequenza ed intemperanza,
che
, al dir del Palissot, ne sono essi divenuti ridic
peranza, che, al dir del Palissot, ne sono essi divenuti ridicoli; or
che
diremo di certi ultimi Italiani che hanno portato
e sono essi divenuti ridicoli; or che diremo di certi ultimi Italiani
che
hanno portato al colmo questo difetto? Filippo Q
nel 1665 senza esser peggiore delle altre; e Pausania uscita nel 1666
che
ebbe miglior fortuna. Invano si rileverebbe l’eff
lpi, l’ineguaglianza de’ caratteri, ed altri difetti di quelle favole
che
si ascoltarono per qualche anno e sparvero senza
tudiato nè il genio nè i costumi delle nazioni; non ebbe altra scorta
che
il proprio ingegno e l’immaginazione. Faceva vers
te il dolore, e si trova solo certa tenerezza per lo più intempestiva
che
degenera in mollezza. Fu segno a’ morsi satirici
chessa di Borgogna e dal duca di Orleans col famoso commediante Baron
che
le dirigeva. Egli si valse di argomenti tratti da
io. Il suo Gionata e l’Assalonne non hanno veruna digressione amorosa
che
le deturpi, in ciò preferendo con senno la sola A
erlo atto a muovere la compassione. Ma si loda con ragione l’elezione
che
egli seppe fare de’ principali personaggi proprii
iuseppe venduto, il Giuseppe Prefetto in Egitto, il Daniele. Si crede
che
appartenga al secolo XVII parimente la Morte di S
cordarsi a’ compilatori francesi della Picciola Biblioteca de’ Teatri
che
veggansi in tal tragedia sparsi quà e là alcuni v
là alcuni versi felici e certe bellezze. Ma essi con noi converranno
che
vi si scorge principalmente un tuono continuato d
ia e di galanteria, per cui spariscono i tratti importanti di libertà
che
tutta ingombra l’anima di Solone. Le scene per lo
cene per lo più lunghe, oziose e quasi sempre fredde di quattro donne
che
v’intervengono, spargano per tutto, e specialment
rato, di cui non cercano di accertarsi nè gli amici nè i nemici, così
che
poco dopo Solone avvisa che Pisistrato combatte a
accertarsi nè gli amici nè i nemici, così che poco dopo Solone avvisa
che
Pisistrato combatte ancora, e la libertà soccomb
soccombe ; anzi Pisistrato stesso viene fuori, altro male non avendo
che
un braccio ferito. Nell’atto V Licurgo esce per f
ferito. Nell’atto V Licurgo esce per far sapere alle donne del dramma
che
il Senato è condisceso all’innalzamento di Pisist
che il Senato è condisceso all’innalzamento di Pisistrato al trono, e
che
Solone nell’opporsi a’ soldati di lui è stato mor
si mette a declamare lungamente con tutta l’inverisimiglianza per uno
che
stà spirando, e racconta verbosamente che Policri
l’inverisimiglianza per uno che stà spirando, e racconta verbosamente
che
Policrita, non è sua figlia e che si chiama Cleor
à spirando, e racconta verbosamente che Policrita, non è sua figlia e
che
si chiama Cleorante. In tutto il dramma egli ha u
Cleorante ad oggetto di valersene per impedire con autorità di padre
che
Pisistrato che l’ama opprimesse la patria. Ma qua
ggetto di valersene per impedire con autorità di padre che Pisistrato
che
l’ama opprimesse la patria. Ma quale scopo si pre
prefigge morendo con iscoprire il cambio fatto? Soltanto il far noto
che
il proprio sangue non si mescolerà con quello del
e non si mescolerà con quello dell’oppressore di Atene. Sembra dunque
che
l’eroe legislatore diventi nullo nella tragedia,
Sembra dunque che l’eroe legislatore diventi nullo nella tragedia, e
che
non si vegga in essa la sua virtù posta in azione
gedia, e che non si vegga in essa la sua virtù posta in azione sino a
che
non ne diviene la vittima. Il personaggio che più
posta in azione sino a che non ne diviene la vittima. Il personaggio
che
più chiama l’attenzione è Pisistrato combattuto d
ama l’attenzione è Pisistrato combattuto dall’amore e dall’ambizione,
che
vuole il regno e non vuol perdere Policrita. Inte
stessa Policrita appassionata amante di Pisistrato e della libertà, e
che
seconda le mire di Solone a costo del proprio amo
onda le mire di Solone a costo del proprio amore. Solone altro non fa
che
ondeggiare sperando nelle varie fazioni, e promet
rando nelle varie fazioni, e promettendo la pretesa figliuola a colui
che
contribuisca a distruggere il partito oppressore:
a ci obbliga tratto tratto a discostarci da questo valoroso esgesuita
che
per tanti altri pregi merita la nostra stima. a.
ra stima. a. Riflettendo il Voltaire alle lagrime del principe Condè
che
alla prima rappresentazione del Cinna, trovandosi
nfratelli doveano contare ancor questa favola del Quinault tra quelle
che
i Francesi trassero da’ loro compatriotti. Dovean
ella penisola di Spagna. Sebbene pochi sieno gli Eruditi Spagnuoli
che
non abbiano poco o molto favellato del proprio te
esso coltivarono con qualche ardore la scenica poesia. Le prime cose
che
in quella penisola ebbero certa immagine rapprese
bbe un catalogo compiuto, nulla avendone guadagnato il teatro, se non
che
potrebbero servire come di semenzai di pitture, e
a Giovanni Mena), e terminata men felicemente da Fernando de Roxas b,
che
s’impressse la prima prima volta in Salamanca ne
i ventuno, de’ quali solo il primo fu scritto dal primo autore. Non è
che
un lungo romanzo in dialogo, in cui mostrasi tutt
enza velo col pretesto di riprenderla a. Per una delle prove evidenti
che
la rappresentazione di tal Novella sarebbe assurd
resentazione di tal Novella sarebbe assurda ed impraticabile, si noti
che
i personaggi sogliono cominciar il dialogo in ist
nista, e si raffredda. La morte di Calisto è verisimile, ma la caduta
che
l’ammazza, è casuale, nè produce istruzione, perc
to amico spagnuolo) ad un anacoreta il più penitente ed esemplare non
che
ad un dissoluto, potrebbe accadere la stessa disg
e si giace in letto con Areusa a persuasione della vecchia scellerata
che
ciò stà vedendo; e questa situazione si rende tan
passione, fino a numerare gli atti ripetuti della loro tresca, mentre
che
una serva posta di sentinella vede e nota con mol
a posta di sentinella vede e nota con molta vivacità tutte le delizie
che
gustano gli amanti. In somma i movimenti, le paro
’azione, è quanto può dipingersi di più disonesto in un racconto, non
che
su di un teatro; e questi sventuratamente sono i
alosa mostruosità della Celestina all’Orfeo del Poliziano? Son sicuro
che
egli non lesse mai nè l’una nè l’altro. Lascio po
no? Son sicuro che egli non lesse mai nè l’una nè l’altro. Lascio poi
che
il carattere di Calisto è quasi fantastico, pieno
rati, declamatorio e pressochè senza verità di affetti. Lascio ancora
che
il carattere di Celestina per altro eccellentemen
to è generale in questo romanzo in dialogo. Chi può soffrire Melibea,
che
in procinto di precipitarsi si trattiene a ripete
Nerone, Agrippina, Erode, Fraate, Laodice, Medea? Chi il di lei padre
che
a vista della tragica morte della figliuola apost
enga chiamato nume, perchè si dipinga nudo, armato, cieco, fanciullo?
che
parla di Paolo Emilio, di Pericle, d’Ipermestra,
verità inimitabile e detestabile. Risulta da quanto abbiamo accennato
che
la Celestina giustamente proibita e giustamente l
e la maestria del pennello ne’ quadri de’ costumi, non permetteranno
che
tal libro perisca, e la gioventù potrebbe apprend
ti non fosse dipinto con soverchia espressione e con tal naturalezza,
che
può renderlo anzi pernicioso che istruttivo. Libr
a espressione e con tal naturalezza, che può renderlo anzi pernicioso
che
istruttivo. Libro divino lo chiamò intanto il Cer
del Poeta Entreverado; e l’autore del Dialogo de las lenguas affermò
che
in castigliano non v’ ha libro scritto con maggio
al versione fu uno Spagnuolo domiciliato in Italia chiamato, per quel
che
si dice da lui stesso, Alfonso Ordonez a. Celebre
ovella chiamata Commedia Eufrosina pur composta in prosa da un autore
che
si occultò sotto il nome di Giovanni Speraindeo.
. Si pubblico la prima volta dal portoghese Francesco Rodriguez Lobo,
che
poetò circa il tempo di Filippo III, e poi si tra
lla purezza dello stile trovansi frequentissime allusioni pedantesche
che
annojano. Una seconda commedia di Celestina compo
elia di un anonimo stampata in Madrid nel 1542 è pure un componimento
che
discende dalla Celestina. L’autore del Flos Sanct
tina scrisse la Selvagia commedia.Giovanni Rodriguez fece la Floriana
che
tratta degli amori del duca Floriano con Belisea
tornare a parlar di simili novelle drammatiche, accenniamo ancor quì
che
il famoso Lope de Vega in un volume ne scrisse an
li una in prosa secondo l’usanza tenuta in esse, e l’intitolò Dorotea
che
non si rappresentò, nè per la sua lunghezza era c
la seconda volta nel 1618; e la terza col titolo comedia Aulegrafia,
che
contiene una descrizione della corte, si pubblicò
ome il Plauto del Portogallo, e talmente applaudironsi le sue favole,
che
invogliarono Erasmo Roterdamo a studiar la lingua
le farse. Tra queste opere teatrali trovo distinte le seguenti: Auto (
che
in tal materia equivale a rappresentazione) de Am
Auto do Fidalgo Portuguez. Lasciò Gil due figliuoli ed una figliuola
che
gareggiarono col padre nel coltivar la poesia. Il
re del padre. Pabla Vicente chiamossi la figliuola, di cui corse fama
che
correggesse le composizioni paterne, oltre di ave
da Plauto, di cui ritiene molte grazie, e per un’altra picciola farsa
che
leggesi nelle di lui opere. Il dottor Francesco d
icendosi agora novamente impressa. Il soggetto si enuncia nel prologo
che
fa la Fama. Un Romano chiamato Pomponio ha un fig
ioni e colla propria autorità, e la Madre per via di devozioni, mezzi
che
riescono ugualmente infruttuosi, perchè la cortig
scritta a norma del verisimile e divisa in cinque atti cui non manca
che
vivacità ed azione. Se gli scrittori di quella pe
e vi riuscì felicemente. Egli scrisse in più di un genere in maniera
che
si novera tra’ primi poeti portoghesi. Ma le sue
poeti portoghesi. Ma le sue opere si pubblicarono quaranta anni dopo
che
cessò di vivere, cioè nel 1598 da Michele suo fig
ta anni dopo che cessò di vivere, cioè nel 1598 da Michele suo figlio
che
lasciato aveva fanciullo. Consistono in varie poe
villanie di Lavapies e de las Maravillas potessero oltraggiare altri
che
se stessi) perseguitato dagl’ingrati apologisti c
za, io, dico, straniero mi accingo a rilevare i pregi di tal tragedia
che
avrei potuto impunemente dissimulare come neglett
lla sua tragedia dalla tragica morte di doña Inès de Castro; nè parmi
che
lo dovesse al Camoens, il quale nelle Luisiadi co
nta anni dopo della di lui morte, la sua tragedia dovè comporsi prima
che
Camoens tornasse in Europa col suo poema composto
ro in cinque atti, e vi si osservano le regole del verisimile eccetto
che
nell’unità del luogo, seguendo l’azione parte in
ati. Veggasene uno squarcio dell’atto I, quando Inès racconta l’amore
che
ha per lei l’Infante Don Pietro, e la pena che ei
Inès racconta l’amore che ha per lei l’Infante Don Pietro, e la pena
che
ei soffre per vedersi ad altra congiunto: Suspir
opiata dal p. Girolamo Bermudez di Galizia nella Nise lastimosa senza
che
ne avesse fatto menzione. Il plagio è manifesto.
colla patetica aringa fatta al re Alfonso dalla stessa e col congedo
che
ella prende da’ figliuoli; la forma de’ versi saf
senza avvertirne almeno in qualche modo il pubblicoa. Altro non v’ha
che
appartenga al Bermudez che i discorsi lunghi, noj
qualche modo il pubblicoa. Altro non v’ha che appartenga al Bermudez
che
i discorsi lunghi, nojosi, impertinenti, la morta
tti, ottave, terzine ecc.; là dove il Ferreira di miglior gusto, fuor
che
ne’ cori, usò in tutta la tragedia con senno il v
crittore nato nel 1549 sotto l’Imperadore Carlo Quinto sei anni prima
che
cominciasse a regnar Filippo II, in un prologo ad
a regnar Filippo II, in un prologo ad otto sue commedie ci fa sapere
che
essendo egli fanciullo componevasi il teatro di M
chia tirata con due corde, la quale divideva dal palco la guardaroba (
che
sarebbe il postscenium degli antichi) e dietro di
i antichi) e dietro di questa manta stavano i musici, cioè gli attori
che
da principio cantavano senza chitarra qualche ant
da principio cantavano senza chitarra qualche antica novella in versi
che
in castigliano chiamasi romance. Allora tutti gli
iglia da un battiloro di Siviglia chiamato Lope de Rueda. Si pretende
che
costui fiorisse circa il tempo di Leone X; ma Cer
si pubblicarono in Valenza nel 1567 dal librajo Giovanni di Timoneda
che
fu anch’egli autore di alcune novelle e di tre co
del Rueda, dice Lope de Vega nell’Arte Nuevo, di stile assai basso e
che
rappresentano fatti di artefici mecanici ed amori
y entre plebeya gente, rimasero indi nel teatro per intermezzi, dopo
che
vi s’introdussero azioni ed amori di sovrani e pr
o prima del 1557 succedette nel teatro un tal Naharro nato in Toledo,
che
rappresentava assai bene la parte di Ruffiano cod
ostui il gusto più cittadinesco, e arricchì l’apparato comico di modo
che
non bastando il sacco, vi vollero i bauli per rin
per rinchiudervi i nuovi arredi scenici. Fece anche venir fuori quei
che
prima cantavano dietro della manta, e forse egli
li stesso gli rendè più accetti coll’acccompagnamento della chitarra,
che
si è veduta uscire sulle scene ispane sino a’ gio
ta uscire sulle scene ispane sino a’ giorni nostri. Dispose parimente
che
gli attori deponessero le barbe posticce e rappre
alenza nel 1521, Comedia Tebaida, Comedia Hypolita e Comedia Serafina
che
non mi è riuscito di sapere che cosa fossero. Si
, Comedia Hypolita e Comedia Serafina che non mi è riuscito di sapere
che
cosa fossero. Si fa inoltre menzione di un dramma
ano Castillejo morto nel 1596 scrisse alcune commedie rimaste inedite
che
io non ho potuto leggere, e che secondo il Nasarr
risse alcune commedie rimaste inedite che io non ho potuto leggere, e
che
secondo il Nasarre potrebbero passar per buone, s
treccio, senza decenza nel costume. Gli argomenti sono di quel genere
che
dee bandirsi da ogni teatro culto. Ecco l’azione
la rende l’autore incerto fralla decenza e e la verisimiglianza, cose
che
non sa conciliare, si avvolge in difficoltà e cad
costanza sì necessaria per impedire l’ammazzamento di Orfea poco meno
che
eseguito? È chiaro. Quando domandò il servo, la c
averlo consumato, perchè la commedia dovea terminare. Tralascisi poi
che
i personaggi usano in tal commedia quattro idiomi
insipido, il castigliano ed il valenziano; e neppur si metta a conto
che
l’Eremita cinguetti nel suo barbaro latino con se
dirsi delle otto la meno spropositata, ma in altro essa non consiste
che
in una languida filza di scene insipide malcucite
si, ma perchè il poeta ha stimato a capriccio di conchiudere, facendo
che
quel Marchese, il quale senza ragione si opponeva
nza ragione si opponeva al matrimonio di Febea sua sorella con Imeneo
che
l’ama, senza ragione ancora poi vi acconsenta, tu
per consenso de’ nazionali stessi preoccupati, è un dialogo insulso,
che
a Naarro piacque di chiamar commedia. Simili osse
migliori della nazione; ed era interesse della gioventù spagnuola, o
che
si lasciassero nell’obblio in cui caddero, o che
oventù spagnuola, o che si lasciassero nell’obblio in cui caddero, o
che
si valutassero per quelle che sono, affinchè non
sciassero nell’obblio in cui caddero, o che si valutassero per quelle
che
sono, affinchè non si prendessero per esemplari.
sero per esemplari. Or perchè increbbe al catalano Saverio Lampillas,
che
uno straniero provvedesse a quest’interesse della
illas, che uno straniero provvedesse a quest’interesse della gioventù
che
non merita di essere ingannata? Egli sel saprà. C
ede poi il Nasarre una notizia nè vera nè verisimile allorchè scrisse
che
esse si rappresentarono con indicibile applauso i
o pochi lustri prima dellà fine del secolo XVIII. Don Nicolas Antonio
che
parla distesamente del Naarro de Torres, afferma
las Antonio che parla distesamente del Naarro de Torres, afferma solo
che
dimorò in Roma in tempo di Leone X, e vi scrisse
temente d’invenzione per ingannare i compatriotti? Era poi verisimile
che
farse così triviali languide insipide magramente
del Naarro. Fa dunque torto, ripeto, alla veracità ed onestà non meno
che
all’erudizione di un uomo di lettere, la vana jat
zia aggiunta a questa istoriella mendace e gratuita del Nasarre, cioè
che
il Naarro insegnò agl’Italiani a scrivere commed
arre, cioè che il Naarro insegnò agl’Italiani a scrivere commedie, e
che
essi poco profitto trassero dalle di lui lezioni
ssero dalle di lui lezioni . È una rodomontata ed una falsità patente
che
eccita il riso. Di grazia chi scrivea Trofee, Tin
so. Di grazia chi scrivea Trofee, Tinellarie, Imenee, poteva mai, non
che
insegnare, esser discepolo di buona speranza in I
mai, non che insegnare, esser discepolo di buona speranza in Italia,
che
sin dal XV secolo avea fatta risorgere l’eloquenz
Negromante, la Calandra, il Geloso? Io non voglio omettere la nota I
che
nel 1789 si appose nel IV volume della Storia mia
ta I che nel 1789 si appose nel IV volume della Storia mia de’ teatri
che
appartiene a Carlo Vespasiano a. Egli così la las
nale a pronunziar seriamente tali scempiaggini, se avesse riflettuto,
che
per le continue guerre e inquietudini ch’ebbe la
’ignoranza divenne così grande in quella penisola, e tanto si distese
che
nel 1473, come apparisce dal Concilio, che nel de
nisola, e tanto si distese che nel 1473, come apparisce dal Concilio,
che
nel detto anno per ripararvi si tenne dal cardina
parlato con maggior circospezione, se si fosse anche ricordato di ciò
che
si narra da tanti scrittori c, cioè che Antonio d
fosse anche ricordato di ciò che si narra da tanti scrittori c, cioè
che
Antonio di Nebrixa nato nell’Andalusia il 1444, d
tà di Bologna, dopo essersi renduto ben istruito non men nelle lingue
che
nelle scienze, ritornasse alla sua patria, richia
un gran pezzo in Salamanca non ostante l’opposizione degli scolastici
che
di favorir le novità l’accusarono, inspirò a’ suo
a’ suoi nazionali l’amor delle lettere, onde fu caro al re Cattolico
che
lo volle perciò in corte per iscrivere la sua sto
, ove si morì nell’1522, e lasciò molte opere. La stessa cosa si dice
che
fatto avesse Ario Barbosa b nato in Aveiro nel Po
mersi. Del resto pur troppo vero si scorge in non pochi Spagnuoli ciò
che
di essi generalmente afferma il Baillet: Si l’on
Dottor Napoli-Signorelli. E perchè tanto gl’increbbe la storia? Quel
che
vi si avanza specialmente dell’ignoranza provata
nazionali lampanti, irrefragabili, imparziali? E se non l’ha fatto, a
che
tante ciarle? A che accozzar un capriccioso falla
irrefragabili, imparziali? E se non l’ha fatto, a che tante ciarle? A
che
accozzar un capriccioso fallace raziocinio ed asc
però un altro possibile incomparabilmente più comune e naturale, cioè
che
il Nasarre ignorasse o dissimulasse la barbarie d
(alla quale non mai si derogherà nè per tre nè per quattro scrittori
che
altri potesse citare) e spacciasse un fatto passa
are) e spacciasse un fatto passato solo dentro del suo cervello, cioè
che
ne fosse sbucciato un autore spagnuolo che usando
tro del suo cervello, cioè che ne fosse sbucciato un autore spagnuolo
che
usando nelle insipide sue commedie un latino barb
ere commedie a i maestri de’ Nebrissensi e de’ Barbosi, agl’Italiani,
che
, come osserva l’autore di questa eccellente stori
monco o storpiato nella battaglia navale di Lepanto contro i Turchi,
che
col valore e coll’ingegno non potè trovare tra’ c
e, al suo dire, con sommo applauso, delle quali altro non si conserva
che
qualche titolo. Quelle che egli ebbe in maggior p
pplauso, delle quali altro non si conserva che qualche titolo. Quelle
che
egli ebbe in maggior pregio, furono da lui nomina
e al riflettersi ch’egli lodò ancora come eccellenti alcune tragedie,
che
la posterità, come diremo, ha trovate cattive, no
cune tragedie, che la posterità, come diremo, ha trovate cattive, non
che
difettose. Di più egli nel suo prologo enunciò co
pubblicate un anno prima di morire, e pur sono talmente spropositate,
che
nel 1749, per procurar lo spaccio degli esemplari
una lunga dissertazione, in cui inutilmente si affanna per dimostrare
che
Cervantes le scrisse a bello studio così sciocche
e del Vega. Ma le parole del Cervantes hanno tutta l’aria d’ingenuità
che
manca alla dissertazione, e distruggono sì manife
e distruggono sì manifestamente le sofistiche congetture del Nasarre,
che
io stimo che non mai quell’erudito da buon senno
sì manifestamente le sofistiche congetture del Nasarre, che io stimo
che
non mai quell’erudito da buon senno prestò fede e
he non mai quell’erudito da buon senno prestò fede egli stesso a quel
che
si sforzò di persuadere agli altri. Almeno in ten
dimostrò il Nasarre nella falsità qualche acutezza ed erudizione. Ma
che
strana e ridicola giustificazione delle scempiagg
azione delle scempiaggini delle otto commedie del Cervantes fu quella
che
venne in mente all’esgesuita Lampillas? Egli supp
es fu quella che venne in mente all’esgesuita Lampillas? Egli suppose
che
uno stampatore le avesse cambiate. Egli dovea con
se che uno stampatore le avesse cambiate. Egli dovea con ciò supporre
che
Cervantes, il quale opravvisse un anno alla pubbl
ndo. I venticinque volumi impressi contengono appena una parte di ciò
che
scrisse pel teatro. Montalbàn afferma che le comm
ono appena una parte di ciò che scrisse pel teatro. Montalbàn afferma
che
le commedie furono più di mille ottocento, e che
o. Montalbàn afferma che le commedie furono più di mille ottocento, e
che
unite à los autos sacramentales, e ad altre picci
i quali quasi tutti ebbe il piacere di veder rappresentare o di udire
che
per le Spagne si rappresentavano. Egli componeva
onica e seducente, e della multiplicità degli eventi e delle cose più
che
maravigliose, cercò d’impadronirsi de’ cuori, e s
li, cose aliene dalla poesia comica, le quali dimostrano con evidenza
che
sull’incominciare i comici si rivolsero ad un nuo
denza che sull’incominciare i comici si rivolsero ad un nuovo sistema
che
confondeva i generi. Seguì Cervantes a lavorare s
onfondeva i generi. Seguì Cervantes a lavorare sul medesimo, per quel
che
appare non solo dalle ultime otto commedie che eg
sul medesimo, per quel che appare non solo dalle ultime otto commedie
che
egli produsse, ma da qualche titolo delle prime p
sin fama y galardòn. A parlar dunque senza preoccupazione egli trovò
che
altri l’avea preceduto nell’avvezzare il volgo al
lgo alle stravaganze. Egli il disse in faccia all’Accademia Spagnuola
che
allora fioriva in Madrida: Mandanme, ingenios no
en esta junta y Academia insigne ecc. E chi di que’ chiari individui
che
la componevano potè smentirlo? Trovò dunque il te
a commedia spagnuola sempre attenuta a tal sistema, ben possiamo dire
che
nacque da semi originariamente pontici e silvestr
si e non per rappresentarsi. Tralle commedie si contano ancora quelle
che
trasse o dalla Sacra Scrittura, come la Creacion
ipo, per non ammazzare i genitori, secondo la predizione di una cerva
che
parla, e che va in una terra lontanissima, ove ap
ammazzare i genitori, secondo la predizione di una cerva che parla, e
che
va in una terra lontanissima, ove appunto per err
e commedie dette di spada e cappa egli dipinse bene i costumi, se non
che
talvolta esagerò oltre i confini naturali per far
e, come si scorge in alcuni tratti della Dama Melindrosa, Nelle opere
che
ci lasciò, s’incontrano dodici componimenti col t
ol titolo di tragicommedie, le quali punto non differiscono da quelle
che
chiamò commedie. Altre sei delle sue favole volle
lo stile, vedesi la stessa mescolanza di compassione e di scurrilità
che
regna nelle altre sue favole. Molti sono i drammi
tali feste attribuir l’invenzione al Calderòn a, quando non s’ignora
che
tante Lope ne compose a. Quanto all’origine di qu
rudito bibliotecario Nasarre vorrebbe trarla da’ canti de’ pellegrini
che
andavano al sepolcro di san Giacomo in Galizia,
use da’ Concilii e dagli sforzi de’ pontefici. Ma niuno indizio si ha
che
nel corso del XV secolo quelle farse spirituali a
pe e di Calderòn, non avrebbe tralasciato di notarlo. Io son d’avviso
che
ne abbiano risvegliata l’idea le mute rappresenta
tervenuti nelle processioni non solo sonatori mascherati e danzantes (
che
nel tempo della mia dimora colà l’hanno sempre ac
nno sempre accompagnate) ma una figura detta Tarasca, simbolo a quel,
che
dicevasi, della gentilità o dell’eresia, che segu
Tarasca, simbolo a quel, che dicevasi, della gentilità o dell’eresia,
che
seguiva la processione in un carro, e quattro Gig
azionale prima di me mi ha sugerito nè cosa più ragionevole nè questo
che
io ho indicato a. Ma passiamo agli altri drammati
ole nè questo che io ho indicato a. Ma passiamo agli altri drammatici
che
fiorirono sul finir secolo XVI e sull’incominciar
la gravità dello stile di Antonio Mira de Mescua andaluzzo di Guadix
che
compose varii volumi di commedie sotto Filippo II
e di quella intitolata Mocedades del Cid, le gesta giovanili del Cid,
che
io vidi di tempo in tempo sulle scene. Probabilme
ubblicarono da Antonio di lui fratello nel 1574 in Toledo. Il Nasarre
che
cercava fuori di Lope e Calderòn le glorie dramma
Calderòn le glorie drammatiche della propria nazione; ed il Lampillas
che
faceva pompa di molte commedie per lo più cattive
ttive da lui nominate per essergli state sugerite da Madrid; ed altri
che
ora non vò ripetere, doveano anzi di simili erudi
anzi di simili erudite produzioni andare in traccia, e non attendere
che
uno straniero le disotterrasse. Vediamo ora se gl
i ebbero mai vere tragedie senza veruna mescolanza comica. Non è vero
che
essi non ne hanno veruna o che le loro tragedie
veruna mescolanza comica. Non è vero che essi non ne hanno veruna o
che
le loro tragedie non possono distinguersi dagli
o Linguet nella prefazione al suo Teatro Spagnuolo. Egli crede ancora
che
il Vega non ebbe idea della vera tragedia, e pur
rappresentare tragedia alcuna; e dirà vero. Io però in diciotto anni
che
dimorai in quella corte, ben posso attestare di a
nto altre dodici di cinque letterati Spagnuoli. Vuolsi avvertire però
che
fra questi io non pongo quel Vasco Diaz Tanco de
e però che fra questi io non pongo quel Vasco Diaz Tanco de Fregenal,
che
altri leggermente pretese che avesse scritte trag
ongo quel Vasco Diaz Tanco de Fregenal, che altri leggermente pretese
che
avesse scritte tragedie prima de’ suoi compatriot
urono impresse ovvero rimasero inedite. Niuno le vide, nè vi è alcuno
che
affermi di esservi documento che avessero una vol
edite. Niuno le vide, nè vi è alcuno che affermi di esservi documento
che
avessero una volta esistito. Il solo Vasco stesso
Vasco stesso se ne vanta nel suo Giardino dell’anima Cristiana. Dice
che
nella sua giovanezza compose quarantotto componim
a compose quarantotto componimenti inediti sacri, storici e morali, e
che
fra essi erano anche alcune tragedie di Assalone,
Assalone, Ammone, Saule e Gionata. Il carattere di questo Tanco fa sì
che
senza molto esitare si ripongano tali tragedie ne
ragedie nelle biblioteche immaginarie. Gli stessi nazionali attestano
che
egli adolecia de presumido (avea il morbo della p
resumido (avea il morbo della presunzione) e Nicolàs Antonio assicura
che
i titoli stessi degli opuscoli accennati pieni di
almeno quando nacque questo Tanco? S’ignora affatto. Solo ne sappiamo
che
viveva in tempi di Carlo Quinto: che nel 1527 scr
ignora affatto. Solo ne sappiamo che viveva in tempi di Carlo Quinto:
che
nel 1527 scrisse un opuscolo sulla nascita di Fil
Quinto: che nel 1527 scrisse un opuscolo sulla nascita di Filippo II:
che
nel 1547 pubblicò una traduzione della storia di
Giovio de Turcarum rebus intitolandola capricciosamente Palinodia: e
che
nel 1552 fe imprimere il riferito suo Giardino. A
cui mal si può intentar lite di anteriorità, e ad onta del disprezzo
che
il dotto Nicolàs Antonio mostrò per le millanteri
genal contrastare agli Italiani l’anteriorità della tragedia; dicendo
che
la di lui giovanezza poteva essere intorno al 15
penisola, della prima tragedia degl’Italiani) perchè non vi è specie
che
ripugni all’esser nato Vasco nel 1500 a; ed in
al compilatore del Parnasso Spagnuolo. Non si avvidero questi eruditi
che
un può essere in buona logica non mai produce per
perchè importi gran fatto l’esser primo, essendo i saggi ben persuasi
che
vale più di essere ultimo come Euripide o Racine
si che vale più di essere ultimo come Euripide o Racine o Metastasio,
che
anteriore come Senocle o Hardy o Hann Sachs. Nè
zo Giovanni Malara, le quali, sull’asserzione di Giovanni de la Cueva
che
le mentovò in alcuni suoi versi, sognarono i mode
a che le mentovò in alcuni suoi versi, sognarono i moderni apologisti
che
esisterono e si rappresentarono verso il 1579a. I
l suo lodatore e de’ moderni apologisti, non ci ha conservata memoria
che
di una sola sua tragedia intitolata Absalon; ed i
ua tragedia intitolata Absalon; ed il signor Sedano parimente afferma
che
il Malara si conosce soltanto per autore de la tr
ò dirsi essere stata tragedia vera; perchè il medesimo Cueva confessa
che
le tragedie del Malara non erano scritte secondo
a latina rappresentata nel 1551 nel convento dell’Escurial, due altre
che
senza dirne il titolo si nominano dal Salas Barba
533 dimorava in Italia; dunque (conchiude il signor Sedano), pudo ser
che
le componesse intorno al 1520, quando al suo dire
in cui nacque; e solo il medesimo Sedano ne dice col solito pudo ser
che
nacque forse nel 1497. Ma ciò concedendo ancora i
entava Sofonisba e Rosmunda. L’abate Lampillas vuol mostrare in prima
che
il Perez non era fanciullo allora, asserendo grat
ra, asserendo gratuitamente contro la congettura del medesimo Sedano,
che
egli potè nascere verso il 1494. Indi trasformand
scere verso il 1494. Indi trasformando le parole del Giraldi assicura
che
il Trissino terminò di scrivere la sua tragedia n
dando un poco quella della tragedia del Vicentino, e supponendo anche
che
il Perez scrivesse le sue traduzioni in Italia (l
anee le favole del Perez alle prime tragedie italiane. Vuole in oltre
che
l’Ecuba e la Vendetta di Agamennone non debbano c
n debbano chiamarsi traduzioni; ed a ciò altro non replichiamo se non
che
il signor Andres suo amico e compagno l’ha pure r
o Storico-critico articolo V. Ha però preteso il citato signor Andres
che
il Perez in esse talora migliora gli originali n
llanguiditi e stravolti con pensieri falsi. Non ne ripeto qui i passi
che
ne ho addotti in esempio nel mentovato mio Discor
so alla pag. 39 e alle seguenti. Volle pure il signor Andres asserire
che
il primo che abbia dato qualche saggio di un tea
9 e alle seguenti. Volle pure il signor Andres asserire che il primo
che
abbia dato qualche saggio di un teatro de’ Greci,
i d’Inès) si fa sentire assai più nella Nise per la Iunghezza di essi
che
raffredda le situazioni. È però lodevole la secon
o di Nise copiato con più esattezza dalla Castro; ed il signor Sedano
che
la lodò, non ne seppe la sorgente. Migliore ancor
lodò, non ne seppe la sorgente. Migliore ancora è la seconda del IV,
che
nel Ferreira a me sembra veramente tragica e ricc
della sua diletta sposa. La Nise laureada consiste nel vano sollievo
che
sperò il principe don Pietro asceso al trono face
arisce fiero, violento, atroce, basso ancora ed indecente. Le persone
che
vi s’introducono del custode, del portinajo, del
a, sono cose tutte disdicevoli in una tragedia, e mostrano abbastanza
che
il Bermudez non sapeva lavorar senza maestro. La
Bermudez non sapeva lavorar senza maestro. La scena terza dell’atto V
che
rappresenta il supplicio degli uccisori di Nise e
dicola ed impertinente, nè degna del genere tragico è l’azione del re
che
gli percuote colla frusta. Strappa il boja il cuo
io di tre Castigliani rifuggiti in Portogallo per gli uccisori d’Inès
che
si trovano nella Castiglia, domandandogli todos
os enemigos que allà tienes. Queste parole que allà tienes, indicano
che
que’ traditori dimorano tuttavia in Castiglia, or
l’atto V giustiziati? In somma ha questa favola tali e tanti difetti,
che
mi parve di un altro autore, ancor quando ignorav
tanti difetti, che mi parve di un altro autore, ancor quando ignorava
che
la prima fosse una semplice copia o traduzione, m
prima fosse una semplice copia o traduzione, malgrado dell’uniformità
che
si scorge nello stile e nella versificazione di e
tastico e fuor di natura il carattere del protagonista. Ciò vuol dire
che
sono tragedie, ma difettose. Nega questi difetti
nell’articolo VI del mio Discorso Storico-critico. Quì dirò soltanto
che
il Lampillas in panto di poesia drammatica si è a
ato di poco intelligente non solo colle sue critiche, ma colla scelta
che
fece di alcune commedie assai deboli e difettose,
nomia, tutt’altro in fine abbonda di grandi e molti difetti; nè so in
che
mai Cervantes avesse fondati i suoi esagerati enc
e mai Cervantes avesse fondati i suoi esagerati encomii. Reca stupore
che
uno scrittore che nel ragionar sulle composizioni
esse fondati i suoi esagerati encomii. Reca stupore che uno scrittore
che
nel ragionar sulle composizioni drammatiche dimos
date come modelli da proporsi ad esempio. Reca stupore ancor maggiore
che
il Lampillas ad onta della saggia censura del Sed
olla Zaira; cosa piacevole e comica per ogni riguardo, non altrimenti
che
se si mettessero le pitture cinesi a fronte delle
assezze sconvenevoli alla tragica gravità, la strage di dieci persone
che
rendono la favola atroce, dura, violenta, le ines
a, una macchina inutile allo scioglimento, cioè lo spirito d’Isabella
che
appare unicamente per congedare l’uditorio con un
; tutto ciò forma un cumulo di difetti tanto manifesti nell’Isabella,
che
bisogna essere molto preoccupato per non avveders
membra di Luperzio, il cuore, il sangue si presentano ad Alessandra,
che
è obbligata a lavarsi in quel sangue: i nomi stes
la ragione, da’ fatti e dall’autorità di eruditi nazionali, si ricava
che
gli Spagnuoli nel XVI secolo più di ogni altro po
re o quattro punti da lui toccati contro di me con tutta l’inurbanità
che
a lui era naturale, giacchè oppresso dalle merita
: non lascerò di dire, per avvertimento di chi forse gli rassomiglia,
che
se i nazionali mi avessero prevenuto in tessere u
itar con ingenuità i fonti onde le avessi tratte; a differenza di ciò
che
ha meco praticato più di un plagiario, e come dic
tarii dando al traduttore il nome di Alfonso Ulloa; ma egli ne’ versi
che
soggiungo, si appropria il cognome di Ordoñez: N
transunto Da me Alfonso Ordoñez nato Ispano. Ma ben si può supporre
che
l’uno e l’altro cognome gli appartenesse. a. M.
stina, e dall’Eufrosina credendole tragedie. a. Dee però avvertirsi,
che
questa favola di Don Duardo pubblicata sotto il n
uardo pubblicata sotto il nome di Gil Vicente il vecchio, si pretende
che
appartenesse a Don Luis Infante di Portogallo nat
, ed il Comento di Manuel Faria alle Rime del Camoens. a. Si avverta
che
nè il Nasarre che cercava in tutta la penisola dr
Manuel Faria alle Rime del Camoens. a. Si avverta che nè il Nasarre
che
cercava in tutta la penisola drammi regolari comp
i regolari composti prima del fiorir di Lope de Vega; nè il Lampillas
che
voleva mettere alla vista la stessa cosa con mino
llas che voleva mettere alla vista la stessa cosa con minori mezzi, e
che
conta sempre le glorie de’ Portoghesi come appart
ici ed apologisti ch’io sappia, seppero o mostrarono di sapere, prima
che
io ne facessi menzione, la regolarità di questa c
cattiva, Che ne sospira e geme e plora oppressa Sotto il giogo crudel
che
scuoter tenta; Non può, non lice, e la sua furia
uore, Castro Vede per tutto, e la consorte sdegna. a. Che abjetta,
che
ingrata, che steril cosa è un plagiario impudente
Vede per tutto, e la consorte sdegna. a. Che abjetta, che ingrata,
che
steril cosa è un plagiario impudente! Non pensa c
tta, che ingrata, che steril cosa è un plagiario impudente! Non pensa
che
coll’altrui mente, non balbetta che motti carpiti
un plagiario impudente! Non pensa che coll’altrui mente, non balbetta
che
motti carpiti, respira col non suo fiato. Vorrebb
, non balbetta che motti carpiti, respira col non suo fiato. Vorrebbe
che
tutto il mondo esistesse sol quanto bastasse ad a
io di Giambatista Vico non ebbe rossore di esprimere il suo desiderio
che
si perdesse la memoria de’ Principii di una Scien
di una Scienza Nuova di quel grande. Sventuratamente lo studio stesso
che
fanno i plagiarii per allontanar da essi il sospe
Ma se i morti non possono rivendicare i proprii lavori, tocca a’ vivi
che
non pasconsi di rapina, a svellere da simili roch
P. II. a. Il sempre invitto felice apologista Lampillas ebbe a male
che
io avessi chiamate visioni le ciance del Nasarre
iance del Nasarre sul Naarro. Avrebbe egli forse desiderato piuttosto
che
io gli dessi il titolo competente a coloro che n
e desiderato piuttosto che io gli dessi il titolo competente a coloro
che
non dicono il vero sapendo di non dirlo? A colo
nte a coloro che non dicono il vero sapendo di non dirlo? A coloro,
che
il proprio cuore condanna (ων η καρδια αυτων κατ
eva l’apostolo san Giovanni epist. III, v. 10? Bello è il patriotismo
che
ci lega alla propria nazione; lodevole lo zelo di
o su i Saggi apologetici di Saverio Lampillas. b. Si vuole avvertire
che
il Voltaire, il Bettinelli, gli Enciclopedisti, e
ed Italiani danno erroneamente a questo poeta il nome di Lopez” voce
che
in Ispagna esprime un cognome in numero plurale,
o la loro espulsione dalle Spagne. S’inganna parimente quando afferma
che
Lope fu il primo che nel secolo XVI ebbe idea de
alle Spagne. S’inganna parimente quando afferma che Lope fu il primo
che
nel secolo XVI ebbe idea della vera commedia, e c
ni giogo, e diede precetti adattati alle proprie commedie, affermando
che
per non udire i clamori di Plauto e di Terenzio,
acque nel 1562, cioè ottantaquattro anni dopo la nascita del Trissino
che
scrisse una Poetica? Come domiciliato in Italia i
miciliato in Italia il signor Eximeno poteva agevolmente aver notizia
che
Bernardino Daniello fece imprimere la sua Poetica
ello fece imprimere la sua Poetica nel 1536, cioè ventisei anni prima
che
fosse conceputo Lope de Vega: che l’Arte Poetica
nel 1536, cioè ventisei anni prima che fosse conceputo Lope de Vega:
che
l’Arte Poetica del vescovo di Ugento e poi di Cot
di Cotrone Antonio Minturno fu stampata nel 1564, cioè due anni dopo
che
il Vega venne al mondo: che quando nel 1560 si pu
fu stampata nel 1564, cioè due anni dopo che il Vega venne al mondo:
che
quando nel 1560 si pubblicò la prima volta in Vie
iscurrir desde el Aries à los Peces. Il signor Eximeno scrive ancora
che
delle prime commedie rappresentate in Europa dopo
stabilimento de’ barbari, si suppongono autori gli Spagnuoli. Ognuno
che
sappia la storia teatrale, vedrà che ei s’inganna
ono autori gli Spagnuoli. Ognuno che sappia la storia teatrale, vedrà
che
ei s’inganna anche in questo. E donde ricavò egli
pagnuole anteriori a tutte le altre? Le ci additi. Fanno pietà coloro
che
dove trattasi di fatti, giostrano con declamazion
l numero LII si vide intrusa questa forestiera arbitraria asserzione:
che
la nazione spagnuola è stata la prima ad aver un
ggia colla di lui arroganza ed impertinenza, e col cumolo di villanie
che
vomita contro gl’Italiani e i Francesi, de’ quali
nciatore Garcia de la Huerta io sempre chiamerò Spagnuola l’Accademia
che
fioriva in Madrid in tempo di Lope, alla quale eg
rso (dirigido à la Academia de Madrid). Non sono forse spagnuoli que’
che
nascono in Madrid? Un’ Accademia composta di Spag
? Un’ Accademia composta di Spagnuoli non dee chiamarsi Spagnuola? Or
che
puerilità affastella egli in quattro pagine inter
za e malignità, per confondere nella mia Storia l’Accademia di Madrid
che
fioriva sin dal declinar del secolo XVI e cominci
io lo farei certo, se vivesse, di aver veduto ed ascoltato moltissimi
che
l’affermavano, di che soleva io meravigliarmi col
vivesse, di aver veduto ed ascoltato moltissimi che l’affermavano, di
che
soleva io meravigliarmi col mio dotto amico Nicol
aterie teatrali il Lampillas; ed alzò poi sì bruscamente la voce dopo
che
l’autore della Storia de’ Teatri disse addio a qu
i merci? Dovea lo passando il mare prevedere la mala fede dell’Huerta
che
negherebbe ciò che era notorio, e recarne meco pe
assando il mare prevedere la mala fede dell’Huerta che negherebbe ciò
che
era notorio, e recarne meco per convincerlo, quan
carne meco per convincerlo, quando per le solite avverse combinazioni
che
mi hanno di tratto in tratto agitato, ho dovuto s
proprii scritti per averli colà lasciati? Ma la nazione imparziale e
che
conosce gli andamenti dell’Huerta, ben sa che io
la nazione imparziale e che conosce gli andamenti dell’Huerta, ben sa
che
io non asserii una cosa immaginaria. a. Vengono
i in buona forma, bisognerebbe infierir bassamente contro di un morto
che
più non sente i colpi nè può approfittarsi delle
degl’incauti e per illustrazione della storia degli Atti Sacramentali
che
quì si narra. Egli dice (ed in ordine è questo il
ce (ed in ordine è questo il secondo grave errore di cui mi riprende)
che
è mia colpevole negligenza il non aver rintracci
con qual fronte possa tacciarsi di colpevole negligenza uno straniero
che
si è industriato, come io ho fatto, di rinvenir q
industriato, come io ho fatto, di rinvenir qualche orma almeno di ciò
che
dell’in tutto si è realmente negletto da’ naziona
egletto da’ nazionali. Ma poi è egli vero ch’io l’abbia trascurato? E
che
altro io feci nelle Note su gli autos poste nella
u gli autos poste nella Storia de’ Teatri prodosta nel 1777? E quello
che
ora io dico nel testo con più parole, non era all
l testo con più parole, non era allora stato da me indicato? E questo
che
io ne dissi e ne dico, si scrisse da altri in Isp
ostrò di sapere più di me, mostrò almeno di saperne altrettanto prima
che
da me l’intendesse? Al contrario. Prima nulla mai
amolo. Mi getta sul viso una collezione di dodici autos con sus loas (
che
in questo luogo significano introduzioni drammati
ti, se ve ne ha oggi) più di mezzo secolo dopo del fiorir di Lope; di
che
più di un nazionale sincero allora non potè tratt
ffatto. Avessero per ventura i suoi posteri scavato qualche monumento
che
ne dia indizio? In niun conto. Donde dunque il tr
don-Quixote avea nominato un auto de las Cortes de la Muerte fingendo
che
si andasse a rappresentare in una terra dalla com
or de las Cortes de la Muerte , e quindi dedurre con logica tutta sua
che
Cervantes scrisse auti sacramentali. Nella qual c
ecco in quante guise egli ragionò goffamente. 1. Non può assicurarsi,
che
las cortes de la muerte fosse un auto sacramental
auto sacramentale; perchè nella penisola di Spagna vi sono stati auti
che
furono rappresentazioni drammatiche senza essere
; nè poi traile figure del carro de’ commedianti alcuna se ne mentova
che
a tal sacramento possa riferirsi. 2. Non dee tene
di Melisenda, or di Belianis, or di altro. 3. V’ è tutta l’apparenza
che
Cervantes per introdurre con qualche veri similit
esentazione (sacramentale o non sacramentale) senza esservi necessità
che
tal auto fosse stato una composizione antecedente
osse stato una composizione antecedentemente scritta. Ma fingasi pure
che
Cervantes avesse effettivamente composto quell’au
ll’origine di tali auti ? Questo titolo non s’immaginò nè si pubblicò
che
nel 1616 (perchè in tale anno, e non nel 1615, si
ingenium hominis, haud obscure ostendunt. Egli ne reca un epigramma
che
chiama barbaro scritto dopo il 1552. Noi lo trasc
potendosi leggere nella Biblioteca Ispana moderna, e ci basta il dire
che
tale epigramma annunzia uno scrittore buono a tut
il dire che tale epigramma annunzia uno scrittore buono a tutt’altro
che
a calzare il coturno nella prima giovanezza. a.
dicolo manifesto di questo sogno creduto storia dal Lampillas (e quel
che
è peggio anche dall’abate Andres che tralle altre
uto storia dal Lampillas (e quel che è peggio anche dall’abate Andres
che
tralle altre tragedie spagnuole cita quelle del M
trafiggendo uccidi; Tutti morremo. E non sento io nè piango La morte
che
mi cerca ed i miei giorni Di un colpo indegno in
sul fiorir recide, Sento la morte dolorosa e trista Per te, pel regno
che
vicina io scorgo In quell’amor che pur la mia cag
olorosa e trista Per te, pel regno che vicina io scorgo In quell’amor
che
pur la mia cagiona. No, non vivrà il mio Prence.
mi, abbracciate vostra madre. Appressatevi pur l’ultima volta Al seno
che
suggeste, e che mai sempre Fora vostro alimento,
vostra madre. Appressatevi pur l’ultima volta Al seno che suggeste, e
che
mai sempre Fora vostro alimento, ed or vi lascia.
alimento, ed or vi lascia. Ah v’abbandona già la madre vostra! Oimè!
che
troverà tornando il padre? Voi derelitti incontre
ogni disastro, Se alcun lor ne sovrasta. Ah grande Alfonso Dissipa tu
che
il puoi tanta procella. Mercè, pietà, perdono. Ah
Ardito spira Chi può senza rossore Rammentar come visse allor
che
muore Metastasio nel Temistocle. Storia criti
e gongoresche e mariniste, e venerazione e amore per Dante e Petrarca
che
bevvero in que’ puri fonti. Il cardinal Delfino e
ier Jacopo Martelli nato nel 1665 e morto nel 1727 secondo l’epitafio
che
ne fece l’illustre matematico e poeta Eustachio M
a comporre qualche dramma musicale, e si rivolse indi alle tragedie,
che
s’impressero in più volumi. Niuno può negargli nè
, che s’impressero in più volumi. Niuno può negargli nè la regolarità
che
sempre osserva, nè la ricchezza, la sublimità e l
caratteri e le passioni. Nocquegli in molte di esse la versificazione
che
prescelse, ad onta di averla renduta al possibile
elli, come sognando asserì il Barretti) sì per la rima e la monotonia
che
l’accompagna ; e le di lui tragedie dopo alcuni a
i tragedie dopo alcuni anni cessarono di rappresentarsi. Certo è però
che
i forestieri stessi non furongli avari de’ loro a
landesi ne manifestarono varii pregi ; e quelli di Trevoux asserirono
che
pochi tragici pareggiavano il Martelli. Certo è p
x asserirono che pochi tragici pareggiavano il Martelli. Certo è pure
che
la compagnia di Luigi Riccoboni le rappresentò co
so non equivoco in Verona, in Venezia, in Bologna. Certo è finalmente
che
chi comprende le vere bellezze tragiche, un gran
bellezze tragiche, un gran numero ne incontra nelle più accreditate,
che
sono secondo me : Perselide, Ifigenia in Tauri, A
raviglia in qual guisa laceri il suo cuore il sentimento della natura
che
pugna colla barbarie ed il sospetto. La delicatez
barbarie ed il sospetto. La delicatezza dell’ espressioni di Mustafo
che
va a morire, merita l’attenzione de’ cuori sensib
dirlo chiaramente a Perselide, e pur vorrebbe far sapere a Zeanghire
che
muore suo amico : Mustafo Quel che udisti e vedr
r vorrebbe far sapere a Zeanghire che muore suo amico : Mustafo Quel
che
udisti e vedrai, per pietà non gli dire, Se no, i
sian le sue ; sì uniti siate ambo in ambedue. Virtù piacciavi sempre,
che
alfin s’oltre la morte Siam qualche cosa, il prem
te fidi al Soldano, siane in difesa ai troni Il braccio del tuo sposo
che
com’io gli perdoni. Addio. Perselide Ma forse in
non cercar più nulla di qualunque mia sorte. Sol se qualche novella (
che
alfin verrà cred’ io) Giugnerà a Zeanghire, digl
verrà cred’ io) Giugnerà a Zeanghire, digli a mio nome addio : Digli
che
del suo nome nelle note a me care Partir tu mi ve
u mi vedesti, e finir di parlare. Simile tragedia piena di grandezza
che
commuove che tira tutta l’attenzione, non meritav
e finir di parlare. Simile tragedia piena di grandezza che commuove
che
tira tutta l’attenzione, non meritava di occupare
fei ? A ciò per avventura si opposero le loro letterarie querele. Ciò
che
diffinisce i primi progressi della tragedia itali
na sin dal principio del XVIII secolo, è appunto la saggia imitazione
che
fece il Martelli dell’ Ifigenia in Tauri e dell’
ia. I Francesi del XVII fecero un passo di più maneggiandoli in guisa
che
si adattassero al popolo ed al tempo in cui gli r
ell’ Andromeda ; ma qual vantaggio recar ciò poteva al moderno teatro
che
sì poco desiderava le stesse lodate tragedie de’
di ultima data. Non si proponga a modello, ma se ne rilevino i pregi
che
possiede. Se ne rigetti la versificazione, si cen
r saputo travestire ed applicare all’ azione quella sorte di sentenze
che
contengono massime di morale, nella quale arte il
parte de’ nostri poeti. Si mostrerà sempre un critico dozzinale colui
che
proponesse alla gioventù un solo scrittore per mo
llo per la difficoltà di trovarsene alcuno nel suo genere sì compiuto
che
tutte contenga le perfezioni. La filosofia consig
onsiglierà sempre a valersi della nota sagacità di quel greco pittore
che
raccolse da molte leggiadre donne gli sparsi preg
o nel 1723, Sofonisba e Virginia nel 1725, Sejano nel 1729, ed Orazia
che
si pubblicò unita con le altre nel 1752. Vinse eg
n di rado elevatezza e sublimità, e quel patetico e terribile tragico
che
agita ed interessa. Ma sceneggiava alla foggia an
a volta la locuzione con formole non pure, inusitate e scorrette. Più
che
altrove lo stile è affettato e lirico nel Sejano,
e lo stile è affettato e lirico nel Sejano, le sentenze più ricercate
che
non sono in Seneca, il linguaggio più spesso fang
el IV in cui Sejano intima il divorzio ad Apicata ; tragici i rimorsi
che
atterriscono Livia dopo la morte di Druso, ed opp
re a tutte le altre a cagione dell’ episodio della deflorata Volunnia
che
si trasmischia al fatto di Virginia. Migliori del
e gonfio, e ricco di passi nobili. Lodevole nell’atto I è il ritratto
che
in Tito si fa de’ partigiani del regno ed in Furi
iata degnamente esposta da Celio : nel IV i gravi sentimenti di Furio
che
tenta di richiamar Tito nel camin dritto : nel V
itore, il tenero abboccamento di lui colla madre, gli eroici non meno
che
patetici sentimenti di Bruto. Ma l’Orazia rappres
per lei sola tutto l’interesse sino all’ atto V ; là dove l’Aretino,
che
la fa morire nel III, lo divide fra lei ed il fra
nato, e per la patetica aringa di Publio in pro del figlio superstite
che
commuove il Popolo Romano. Non è dunque maravigli
lio superstite che commuove il Popolo Romano. Non è dunque maraviglia
che
al dire anche degli eruditi compilatori della Bib
o e la Polissena. Non fu solo il Martelli ne’ primi lustri del secolo
che
seppe unire alle bellezze del greco coturno la sa
guire l’orme de’ tragici francesi. Annibale Marchese trattò il Crispo
che
è un ritratto dell’ Ippolito greco, col patetico
colla purezza del linguaggio il Pansuti. Meritò la di lui Polissena,
che
da Pietro di Calepio si preferisse nel confronto
tume più convenevole, e per l’arte di muovere la compassione. Vero è,
che
all’ istesso Calepio sembra di trovare nella Poli
vivacità negli affetti, ed energia nella locuziòne. Vero è parimenti
che
egli riprende nelle nutrici introdotte dal Marche
ti che egli riprende nelle nutrici introdotte dal Marchese la perizia
che
mostrano della mitologia. Pure non è così grande
e l’uso) puo accordarsi loro certa specie di coltura ove si rifletta,
che
esse punto non rassomigliano alle moderne balie,
Milano di Ardore poi Marchese di San Giorgio del Ridolfo ; di maniera
che
questi due volumi contengono come un saggio accad
e voto ; i caratteri ben sostenuti ; le passioni portate a quel segno
che
permette l’eroismo cristiano che riscaldava il pe
i ; le passioni portate a quel segno che permette l’eroismo cristiano
che
riscaldava il petto dell’autore. Per saggio della
lla maniera di colorire da lui usata vedasi un frammento del racconto
che
fa Eustachio a Simile delle sue avventure col cor
d antri Gridan Teopista ancor ; l’ode la bella Cagion del pianto mio,
che
vuol nell’onde Precipitarsi, o per tornarmi in br
o ; e colla di lui astuzia contrasta la nobile franchezza di Recaredo
che
al fine gli dice : Udito ho sempre Ch’uomo al cu
iore della cristiana religione di perdonare ed amare il nemico, prima
che
il sig. di Voltaire avesse composta l’Alzira. Ma
ritrasse il Marchese egregiamente un principe penitente nel Maurizio
che
accompagna degnamente l’Ermenegildo. Quell’impera
el Maurizio che accompagna degnamente l’Ermenegildo. Quell’imperadore
che
si era macchiato di delitti e di atrocità, divenu
, e non con pene eterne, e quindi soggiace a’più dolorosi colpi prima
che
il tiranno Foca lo faccia uccidere. Aveva Maurizi
adre vuole stringerselo al seno, ma nel fissarvi lo sguardo si avvede
che
non è il suo picciolo Eraclio, ma sì bene il figl
on è il suo picciolo Eraclio, ma sì bene il figlio della stessa Irene
che
eroicamente lo sacrifica alla salvezza della prol
prole reale. Ecco un tratto eroico degno delle tragedie di prima fila
che
ha preceduto il sacrificio fatto da Arpago del pr
China del Voltaire, benche in questo è maggiore l’eroismo del cambio
che
fa Idamè del proprio figlio per l’Orfano reale, p
Idamè del proprio figlio per l’Orfano reale, perchè è il padre stesso
che
vuol sacrificare il suo sangue per la regia prole
vuol sacrificare il suo sangue per la regia prole. Meriterebbe anche
che
si trascrivesse il patetico e vivace racconto del
Maurizio e di lui stesso colorito col pennello di Dante, e ciò prima
che
il gran tragico francese pur or mentovato c’incan
degl’intelligenti conoscitori del teatro e del sublime e del patetico
che
tanto sovrastano ai declamatori esangui ed agli a
no, avendo sotto gli occhi l’Ermenegildo ed il Maurizio specialmente,
che
esse potrebbero meglio arricchire una nuova racco
labo sciolto ; ma la locuzione non è sempre pura e corretta. Ciò però
che
caratterizza singolarmente il suo pennello è il d
ume e la proprietà mirabile ne’personaggi imitati. I suoi Romani (ciò
che
per lo più si desidera in varie tragedie stranier
i far uso de’Cori per riunire alla tragica rappresentazione la musica
che
le conviene ; e questa può esser forse una delle
da eloquenza e bellezza poetica propria della scena. Ma Giulio Cesare
che
si rappresentò con sommo applauso, e si lesse con
eche favole l’argomento tragico più interessante, e compose la Merope
che
dopo la prima edizione di Modena del 1713 n’ebbe
mpre con applauso, ammirazione e diletto. Una delle migliori edizioni
che
se ne fecero, fu quella del 1735 colla prefazione
tovarla non si sovviene di quel patetico animato ma umano, e naturale
che
ti riempie in ogni scena e ti trasporta in Messen
ratteri ? del mirabile vivo ritratto di una madre ? della dolce forza
che
ti fanno le passioni espresse in istil nobile ed
Igino, in cui il vecchio Polidoro giugne a tempo a trattener la madre
che
stà per trafiggere il figliuolo ? del vivace atto
tria ? Dall’altra parte chi non sa ripetere colle parole del Voltaire
che
i Francesi schivi non soffrirebbero sul lor teatr
oltaire che i Francesi schivi non soffrirebbero sul lor teatro Ismene
che
parla della febbre di Merope ? che questa regina
offrirebbero sul lor teatro Ismene che parla della febbre di Merope ?
che
questa regina per iscarsezza d’arte del poeta si
arsezza d’arte del poeta si avventa due volte ad Egisto colla scure ?
che
le scene de’confidenti sono troppe ? che i coltel
olte ad Egisto colla scure ? che le scene de’confidenti sono troppe ?
che
i coltelli, i vasi, i tripodi, i canestri rovesci
ato carattere di amico del Maffei non avrebbe potuto versar su di lui
che
a metà e con moderatezza il suo fiele, si mascher
l’atto V. Volle poi quest’anonimo far pompa di erudizione, ed affermò
che
l’Italiano avea saccheggiato e sfigurato l’Amasi
e l’Italiano avea saccheggiato e sfigurato l’Amasi di m. la Grange, e
che
Voltaire rivendicando il furto avea restituito al
taire rivendicando il furto avea restituito alla nazione francese ciò
che
era suo. Preso poi da nuovo capogirlo aggiunse ch
zione francese ciò che era suo. Preso poi da nuovo capogirlo aggiunse
che
Merope era un argomento di tutti i paesi trattato
i tutti i paesi trattato già da Euripide. Qual cumulo di proposizioni
che
si combattono ! Se Euripide tutti precedette i tr
oposizioni che si combattono ! Se Euripide tutti precedette i tragici
che
conosciamo nel maneggiar tal favola, perchè sdegn
ora il Maffei ora il Voltaire ? perchè non s’informò da chi’l sapeva,
che
il Cavalerino, il Liviera, il Torelli precedetter
i, Telefonti e Cresfonti ? perchè poi non apprese almeno dal Voltaire
che
la Grange ed altri Francesi ed Inglesi trattarono
ri Francesi ed Inglesi trattarono questo argomento con tali sconcezze
che
le loro tragedie rimasero nascendo sepolte ? perc
ezze che le loro tragedie rimasero nascendo sepolte ? perchè non vide
che
senza la Merope del Maffei, senza quella ch’ei ch
enza la Merope del Maffei, senza quella ch’ei chiama povertà italiana
che
Voltaire copiò, ancor non avrebbe la Francia una
be avuto l’Inghilterra il Douglas di Home, tragedia (disse il Walker)
che
onora la lingua ed il teatro inglese, senza che f
dia (disse il Walker) che onora la lingua ed il teatro inglese, senza
che
fosse stata preceduta dalla Merope del Maffei ? L
che fosse stata preceduta dalla Merope del Maffei ? L’anonimo oscuro
che
tante cose ignorava, ebbe l’audacia, fidando nell
spettoso silenzio. Io auguro all’Italia e alla Francia molte tragedie
che
paregeino queste due Meropi, dovessero anche aver
li fra’raggi dell’immortalità. Merita somma lode l’avventurosa Verona
che
nel vestibolo dell’Accademia Filarmonica fece inn
re publico Anno MDCCXXVII Maggiori encomii merita la di lui modestia
che
al suo ritorno volle che si togliesse, a differen
Maggiori encomii merita la di lui modestia che al suo ritorno volle
che
si togliesse, a differenza di qualche orgoglioso
o volle che si togliesse, a differenza di qualche orgoglioso pedante,
che
a quel che intesi in altro paese, innalzò a se st
si togliesse, a differenza di qualche orgoglioso pedante, che a quel
che
intesi in altro paese, innalzò a se stesso un bus
rcitarsi. Ma rendono pregevole tal favola la regolarità e l’interesse
che
vi regna, lo stile non sempre elegante e sublime
esse, Serva di esempio la scena quinta dell’atto III, in cui Demodice
che
ha penetrato che il suo sposo Alceste sarà il com
empio la scena quinta dell’atto III, in cui Demodice che ha penetrato
che
il suo sposo Alceste sarà il competitore del frat
ome le mie nozze Si compiranno ? E s’egli è vincitore, M’unirò a quel
che
i miei fratelli uccise ? Di natura ed amor ambo p
el che i miei fratelli uccise ? Di natura ed amor ambo possenti Leggi
che
a’danni miei tutte vi unite Perchè appunto tra vo
i stile e per la semplicità dell’azione avvivata però da un movimento
che
va d’atto in atto crescendo. La sceneggiatura è p
basciadore di Jarba. Teatrale nell’ atto III è il contrasto di Didone
che
giugne gioliva e piena di speranze, con Enea che
contrasto di Didone che giugne gioliva e piena di speranze, con Enea
che
all’ ordine di Giove si disponeva a partire senza
poche compassate parole ; ma pregevole singolarmente è la pennellata
che
ne rileva il disdegno. Tratta dal naturale orgogl
a credere a se stessa di essersi disingannata e di ravvisare il torto
che
faceva al suo Sicheo, e ne ha onta. Si duole di v
suo Sicheo, e ne ha onta. Si duole di vedersi adorna di altre spoglie
che
delle vedovili. Ordina a Bargina di trovare Enea,
rgina di trovare Enea, ed imporgli di partir subito senza vederla. Ma
che
? Anna le riferisce l’imminente partenza di Enea,
sciar ? me abbandonar ? Ah tosto Si voli, si ritenga l’infedele… Ah !
che
più indugio ? Io stessa al lido, al porto Corro a
Ah ! che più indugio ? Io stessa al lido, al porto Corro a provar ciò
che
potranno i prieghi, Le lagrime, i sospiri ec. O E
a provar ciò che potranno i prieghi, Le lagrime, i sospiri ec. O Enea
che
mi abbandoni, o mie speranze, O sacra del moi spo
ombra gradita, O mio onore, o decoro, o forte amore, Si, troppo forte
che
al dover contrasti, Qual vincerà di voi ? Ottim
ci sveglia l’idea dell’ abbandono di Armida, e del combattuto Rinaldo
che
si sente morire, e pur la lascia. Didone sviene,
ta buona tragedia colle precedenti smentisce l’affettazione di taluno
che
imparando la storia letteraria d’Italia sulle imp
ulle importanti notizie giornaliere delle gazzette straniere, afferma
che
nei primi lustri del nostro secolo il teatro ital
teatro italiano ebbe soltanto drammi irregolari e mostruosi. Si noti
che
dalla Merope, dalla Demodice e dalla Didone si so
resse in Venezia l’Ezzelino del dottor Girolamo Baruffaldi ferrarese,
che
poi ebbe altre quattro edizioni ed in Venezia ste
à come poco necessario e lasciato impunito : qualche discorso segreto
che
si ode dall’ uditorio e non da’ personaggi che st
alche discorso segreto che si ode dall’ uditorio e non da’ personaggi
che
stanno in iscena : e la mancanza del tempo richie
uffaldi, nè se ne infinse, ma ingenuamente l’accennò nel ragionamento
che
vi premise. Si osserva nella condotta dell’ azion
tta dell’ azione qualche leggero intoppo. Antigona madre di Giocasta (
che
Creonte volle far morire per mano del proprio fig
e sotto virili spoglie, e domanda ad Ormindo il cammino della reggia,
che
ella non dee ignorare. Viene con animo di dar la
mene manifesta il suo disegno di uccidere il di lui padre, e pretende
che
egli vi concorra. « Io porterommi al tempio (ella
scita. Forse potrebbesi risecare qualche cicaleccio di Ormindo. Forse
che
più che tragedia parrà questa Giocasta un romanzo
orse potrebbesi risecare qualche cicaleccio di Ormindo. Forse che più
che
tragedia parrà questa Giocasta un romanzo drammat
ta un romanzo drammatico per tanti colpi di teatro e per le avventure
che
in essa si accumolano in poche ore. Ma tali nei v
situazioni interessanti ben condotte. Viva e patetica è la preghiera
che
fa nell’ atto I Osmene al padre per non isposar G
Appassionata è la narrazione delle proprie sventure e della fanciulla
che
diede alla luce. Grande il di lei coraggio ed il
s’intenerisce alla rimembranza della figlia perduta, e dice al marito
che
la cerchi, ed incontrandola (soggiugne) : Dille
ntrandola (soggiugne) : Dille del moi destin la cruda istoria, Dille
che
la sua madre al fin morìo Tradita e invendicata ;
ma non si rappresentarono mai. L’ultima fu dedicata ad Apostolo Zeno
che
la lodò. Il Conte di Calepio comendò la scelta de
o comendò la scelta del protagonísta nella Temisto, ma parve al Salio
che
egli ne avesse disapprovato tacitamente ogni altr
Calepio colla sua Confutazione di molti sentimenti del Salio, dopo di
che
più non si parlò delle di lui tragedie. Comunicat
versi, Atalia, David, Gionata, Virginia. Recitavansi in un teatrino,
che
sussisteva ancora verso la fine del secolo nel co
tragico di tre buone tragedie Demetrio, Giovanni di Giscala ed Agnese
che
si trovano impresse nelle Opere Poetiche del Vara
arano pubblicate nella reale stamperia di Parma nel 1789(a). L’autore
che
forse pensava di seppellirle con tante altre poet
relato nelle Novelle Letterarie di Venezia del Berno librajo veronese
che
nel 1745 su di un esemplare nè riveduto nè conces
L’azione immaginata con somiglianza del vero non è istorica, eccetto
che
nell’ àncora naturalmente impressa nel corpo de’S
rta e venendo poi fuori Berenice ed Araspe. Due oracoli sono le molle
che
muovono le passioni di una madre a danno del figl
e incognito, se le presenta con altro nome, n’è amato con altro amore
che
di madre, è poi perseguitato ed accusato di fello
à disviluppate le angustie dì Artamene combattuto dal colpevole amore
che
ha per lui la madre e dall’odio che Arsinoe ha pe
ne combattuto dal colpevole amore che ha per lui la madre e dall’odio
che
Arsinoe ha per Seleuco. Egli conchiude : Per vie
glio diviene reo di una congiura presso Seleuco ; il re pretende solo
che
si scagioni giurando che niun altro congiuri cont
ongiura presso Seleuco ; il re pretende solo che si scagioni giurando
che
niun altro congiuri contro di lui ; ma egli ciò n
emetrio. Vedasene il seguente squarcio poichè si è scoperto : Oimè !
che
strane Vicende ebbi a soffrir ! Fuida’nemici Salv
Chiesi a te le tue nozze. E chi non vede, S’io mi fo noto al genitor,
che
torna La falsa accusa tua sopra il tuo cavo ? Ma
chè il re lo manda a morire. Ma poco stante Seleuco rileva da Ircano,
che
Artamene è Demetrio suo figlio, e ne manda a sosp
e manda a sospendere l’esecuzione. L’agitazione di Seleuco nel dubbio
che
il soldato non giunga a tempo per impedirla, è pi
luni non si voglia ammettere tralle migliori tragedie italiane, credo
che
al compiuto trionfo del Varano si oppongano i due
nte l’effetto tragico, non sembra in esso vigoroso al pari del grande
che
concilia ammirazione ; ovvero, che è lo stesso, l
n esso vigoroso al pari del grande che concilia ammirazione ; ovvero,
che
è lo stesso, la compassione non par che sia condo
oncilia ammirazione ; ovvero, che è lo stesso, la compassione non par
che
sia condotta a quell’attivo fremito che ci scuote
tesso, la compassione non par che sia condotta a quell’attivo fremito
che
ci scuote si spesso in Euripide che si pretende i
a condotta a quell’attivo fremito che ci scuote si spesso in Euripide
che
si pretende invecchiato. L’altro ostacolo potrebb
re dall’ostinazione di Artamene a non palesarsi per Demetrio in tempo
che
non si sono ancora le cose portate agli estremi ;
alla madre tace eroicamente per non recarle onta e nocumento. So bene
che
tal condotta può colorirsi col timore che ha Deme
e onta e nocumento. So bene che tal condotta può colorirsi col timore
che
ha Demetrio di perdere totalmente la speranza di
totalmente la speranza di placare Arsinoe, e colla sicura conoscenza
che
ha dell’odio materno invincibile ; ma ne i grandi
si dovesse rompere. Queste osservazioni però basteranno per impedire
che
si registri sì nobil favola accanto alle migliori
re che si registri sì nobil favola accanto alle migliori ? Faranno sì
che
con affettata incontentabilità debba il sig. Andr
o sì che con affettata incontentabilità debba il sig. Andres ripetere
che
in Italia altra buona tragedia non esista fuorchè
des Journaux, o alcun maligno plagiario perpetuo sempre intento a far
che
si dimentichino i libri che ha saccheggiati. La n
o plagiario perpetuo sempre intento a far che si dimentichino i libri
che
ha saccheggiati. La nobiltà ed eleganza dello sti
tiranno del tempio di Gerusalemme. Singolarmente quest’ultima favola
che
empie il suo oggetto d’inspirare il terrore colla
bibliotecario del duca di Modena morto l’anno 1769, è l’altro autore
che
ci ha somministrate tragedie degne di mentovarsi
inelli, si contentò di spiegarsi in termini generali, ed accennò solo
che
le circostanze legavano loro le mani per non ispa
circostanze legavano loro le mani per non ispargervi tutti que’fiori
che
il fecondo lor genio avrebbe saputo far nascere,
on ciò (chiedere potrebbe un giovane desideroso di apprendere l’arte)
che
ho io imparato ? e che fuggirò ? che seguirò ? qu
be un giovane desideroso di apprendere l’arte) che ho io imparato ? e
che
fuggirò ? che seguirò ? quali fiori sparse il lor
desideroso di apprendere l’arte) che ho io imparato ? e che fuggirò ?
che
seguirò ? quali fiori sparse il lor genio fecondo
unque io mi sia, a formar de’teatri una storia generale ma ragionata,
che
desse a un argomento sì trito l’utile novità degl
leggi del proprio istituto astretto a contenersi entro certi confini
che
lasciano infruttuosa la più ricca fantasia, ed a
sciano infruttuosa la più ricca fantasia, ed a privarsi del vantaggio
che
apportano sul teatro le femmine, compose quattro
ettinelli confessò parer talora un po uniforme quella stessa nobiltà,
che
l’anima elevata del Granelli prestava a’ suoi per
o però le sue tragedie accomodate al bisogno de’pubblici teatri, fèce
che
ne fossero escluse, e che si rappresentassero sol
omodate al bisogno de’pubblici teatri, fèce che ne fossero escluse, e
che
si rappresentassero solo nel Collegio di San Luig
anza, rimanendone confinato il diletto entro pochi istruiti leggitori
che
ne ammirano singolarmente i pregi dello stile. No
te E dove non sarebbe egli giunto con quell’anima sublime e sensibile
che
pur manifesta, se in vece di limitarsi a rassomig
teatrale di Nabucco misto di grandi virtù, e di passioni grandi, tal
che
, come egli pur dice, in tutte le sue virtù si sco
lla quarta scena dell’atto I fa parlar Iddio : Chi son io, dice Dio,
che
ne l’Egitto Anzi che in me, le tue speranze affi
atto I fa parlar Iddio : Chi son io, dice Dio, che ne l’Egitto Anzi
che
in me, le tue speranze affidi ? Quella forse è la
salvezza e regno ? Degna di notarsi è pur la profezia dell’atto IV,
che
il Granelli ad imitazione di quella di Giojada de
n somma s’introduce questo personaggio scorgesi una saggia elevatezza
che
ispira un tacito religioso rispetto pe i decreti
a nell’atto II. Manasse seconda sua tragedia ci dipinge un penitente
che
potrebbe annojare per la sua abjezione, e pure è
ebbe annojare per la sua abjezione, e pure è condotto con tanto senno
che
serve ad aumentare la grandezza del dramma. Manas
ericolo. L’autore senza curarsi per altro di farsene un merito, pensa
che
di tal carattere non abbiasi esempio nè degli ant
biasi esempio nè degli antichi, nè de’moderni tragici. Io però credo,
che
fra gli antichi il Tieste di Seneca adombri il di
zie, e fra’moderni l’abbandono disperato del Radamisto del Crebillon,
che
riconosce e detesta i passati suoi falli, esprime
ssati suoi falli, esprime il dolore di questo re di Giuda. Ben è vero
che
in Manasse tutto è rettificato, e migliorato per
l’autore) dallo sciorsi per macchina, e dà luogo a una serie di cose
che
conduce a discoprire in Manasse la persona addita
e è la solita nobile, e grandiosa propria dell’autore, e sembra solo,
che
per gli ragionamenti troppo prolongati, benchè co
ed eleganti, serpeggi per sì bella tragedia qualche lentezza. Dione
che
liberò la Sicilia dalla tirannia de’Dionigi, e ri
poetico e naturale, e la stessa ricchezza di fiase e purità di lingua
che
è pur sì necessaria al teatro, e che sì di rado s
ezza di fiase e purità di lingua che è pur sì necessaria al teatro, e
che
sì di rado s’incontra. Aggiugne però il suo confr
riporre tralle prime tragedie italiane anzi il Sedecia e il Manasse,
che
il Dione. Oso profferire di non parermi l’ultimo
ano ingegno l’invenzione l’intreccio, e lo scioglimento di una favola
che
non produce in pro del protagonista (io ne appell
hi la legga o l’ascolti) tutto l’effetto della tragica compassione, e
che
non lascia intravvedere il frutto morale che il d
a tragica compassione, e che non lascia intravvedere il frutto morale
che
il drammatico dee prefigersi. Dione ha due favori
con tutti infedele e traditore ; ma poi intende dall’ingenuo Alcimene
che
Callicrate parlando seco si è mostrato fedelissim
e lo stesso Alcimene. Per tutto ciò non richiedeva la verisimiglianza
che
Callicrate nemico dichiarato di Alcimene, e menzo
di Alcimene, e menzognero convinto dovesse meritare assai minor fede
che
il suo rivale ? Pure Dione tutto si abbandona su
suo rivale ? Pure Dione tutto si abbandona su di codesto insidiatore,
che
può dirsi un Davo tragico (tante sono le bugie e
iatore, che può dirsi un Davo tragico (tante sono le bugie e le trame
che
accumola e intesse in ogni incontro), e ciò solo
dal re l’immunità per gl’inganni passati (come suol concedersi a’ rei
che
fanno denunzie utili allo stato), ma non già un p
dati Zacinti da lui dipendenti, e ne viene a man salva ucciso. Lascio
che
le menzogne di Callicrate non si sostengono senza
crate non si sostengono senza qualche studiata reticenza ; di maniera
che
se Celippo p. e. o Apollocrate non dicono appunti
i maniera che se Celippo p. e. o Apollocrate non dicono appuntino ciò
che
egli ha loro sugerito, crolla la macchina. Lascio
ugerito, crolla la macchina. Lascio ancora la poco verisimile ipotesi
che
di tutta la Sicilia (senza eccettuarne Dione pare
e intrinseco difetto nel piano. Previde il degno autore l’opposizione
che
singolarmente far si poteva alla somma credulità
far si poteva alla somma credulità di Dione, e disse in sua discolpa,
che
la storia l’ha esposto al pericolo di far parere
osto al pericolo di far parere Dione uomo troppo più facile e credulo
che
ad un eroe non conviene ; e pregò il leggitore a
ore consigliato me stesso ponendomi nelle circostanze di Dione, dico,
che
se Dione fosse almeno ugualmente entrato in dubbi
nel carattere, e secondata la prudenza indispensabile ad un uomo, non
che
ad un eroe, e minorato il proprio pericolo ? Egli
omo, non che ad un eroe, e minorato il proprio pericolo ? Egli è vero
che
la storia dà a Dione un carattere d’imprudente. C
avesse sugerito questa specie d’inavvertenza, il Granelli ben sapeva
che
la tragedia non ripete esattamente la storia, ma
e esattamente la storia, ma la corregge e rettifica nelle circostanze
che
possono nuocere a conseguire di eccitare il terro
ntreccio e nello scioglimento, e di non trovare in essa taccia veruna
che
osti a riporla tralle prime tragedie italiane. S
acrifizii e i voti tra Ozia e Jefte, la qual cosa sgombra ogni timore
che
agitava gli animi col pericolo della vita di Seil
to riprende tanto di forza quanto permette la determinazione di Seila
che
vuol rimanere offerta volontaria in olocausto. Ne
re i genitori e l’amante altre lagrime ella non ottiene se non quelle
che
spargevansi fra noi per le nostre fanciulle desti
Roma dal fiorentino Sebastiano e da Orsola Maria Neri bolognese. Egli
che
col proprio esempio insegnò l’arte di congiungere
he in latino i melodrammi del cardinale Ottoboni. Il riputato Fabroni
che
ne scrisse la vita, di tali componimenti afferma
, perchè que’giovani attori erano stati da lui così bene ammaestrati,
che
anche coloro che non aveano famigliarità coll’ant
ani attori erano stati da lui così bene ammaestrati, che anche coloro
che
non aveano famigliarità coll’antico idioma del La
vece di pronunziar secchi responsi da oracolo e giudizii magistrali,
che
lasciano la gioventù qual era prima di ascoltarli
e 1757. L’autore stesso nel Discorso del Teatro Italiano ci fa sapere
che
il Demetrio si rappresentò anche in Venezia nel 1
tria ! oh Israello ! a questo prezzo Dunque tuo re m’hai fatto ? Or
che
mi cale Di scettro e regno, se mi togli un figl
uo destino attende la riposta dell’oracolo, e vuol consolare il padre
che
risponde in termini di doppio significato alla ma
co utili all’azione e forse superflue sì la scena sesta dell’atto III
che
la prima del IV. In quella del III Saule domanda
ntenza, ma non mai essere incerto se debba o no far morire il figlio,
che
il cielo condanna. Egli intanto convoca un consig
nto convoca un consiglio di Abnero e Samuele per deliberare su di ciò
che
pur non è più in suo arbitrio. Nel Demetrio Polio
rie. L’imitazione può chiamarsi esatta, e pure questi versi non pare
che
abbiano destata la commozione, che recitandosi qu
atta, e pure questi versi non pare che abbiano destata la commozione,
che
recitandosi quelli del Cinna facea piangere il gr
gli sono individui di una repubblica non affatto estinta, sono nemici
che
hanno ancora l’armi alla mano, e la resistenza no
i alla mano, e la resistenza nobile di un nemico non è la stessa cosa
che
la trama infame di un vassallo beneficato e tradi
è tardi ; a questo prezzo Dal fiero eccidio ella campasse almeno. Ma
che
diremo di questi altri profferiti poco prima dall
emere all’udirli ? Ottimo nel principio dell’ atto III è il contrasto
che
si ammira in Timandro del padre e dell’arconte, d
l fratel non la divido. O non morrà, o noi morremo insieme. Il padre
che
s’intenerisce, pur li condanna dicendo : Basta,
ato, è seguita una volta la loro nobil gara ; nell’atto IV i medesimi
che
sono stati liberati da Demetrio, per salvare il p
e finalmente nella sesta scena tornano a gareggiare. Avrei desiderato
che
si bella situazione, benchè non nuova, e sì patet
co. Nol tacque il sig. Bettinelli ; ma avrebbe potuto ben dire ancora
che
l’ Ombra nella Semiramide apparsa in chiaro giorn
ne, e perciò rimane inferiore non meno all’Ombra introdotta ne’Persi,
che
al di lui Serse. I terrori di questo re nella sce
. I terrori di questo re nella scena prima dell’atto III, per l’ombra
che
l’ incalza e lo spaventa, sono alla solita saggia
ene uno squarcio : Un lamentevol suon parmi improvviso Da lunge udir
che
più s’appressa : io veggio Fra una pallida luce i
ferro, E al garzone il porgea. Parmi vederla, Parmi ascoltarla ancor,
che
tra i singhiozzi Ignoti sensi mormorava, e il nom
co, candido e naturale d’Idaspe, e soltanto quello odioso di Artabano
che
intriga se stesso nelle sue sofistiche sottigliez
e sue sofistiche sottigliezze, mi sembra ben poco plausibile. Intanto
che
tali valorosi scrittori emulando ora i Greci ora
ra i Greci ora i Francesi nobilitavano il coturno italiano con drammi
che
dalla sola invidia sotto pretesto di delicatezza
putato Gaspare Gozzi, appresso dal conte Alessandro Pepoli, ed allora
che
io era in Milano dal signor Torti con felicita, m
io era in Milano dal signor Torti con felicita, ma non si è impressa
che
io sappia. Nulla lascia a desiderare l’ottima ver
i Euripide le sue Disgrazie di Ecuba patetico e semplice componimento
che
non è nè tragedia propria nè traduzione ; ed è sc
a seguendo il progetto del fu Diderot. Diremo su di essa di passaggio
che
se si esamina come una sua imitazione libera, dal
à di azione. Oltre a ciò gli eventi si enunciano con certa uniformità
che
dee ristuccare nella rappresentazione. Di più nel
o il dotto abate Arnaud nella Gazzetta letteraria dell’Europa osservò
che
talvolta indebolisce alcune espressioni dell’orig
edie anche il Napoli-Signorelli autore di questa istoria, per l’opera
che
fece imprimere in tre tomi in Milano nel 1803 col
tro idioma e comparate. Il secondo presenta la versione del frammento
che
ci rimane del Cresfonte di Euripide comparandosi
el frammento che ci rimane del Cresfonte di Euripide comparandosi ciò
che
ce ne narrano Plutarco ed Aristotile colle differ
ciò che ce ne narrano Plutarco ed Aristotile colle differenti misure
che
presero in maneggiare tale argomento tutti quelli
fferenti misure che presero in maneggiare tale argomento tutti quelli
che
se ne sono occupati insino a noi, e segnatamente
oltaire tradotta ed analizzata ponendosi in vista il lodevole oggetto
che
ebbe il nominato autore e prima di lui il Maffei,
il Maffei, indi il Metastasio nel Ciro, e l’Alfieri nella sua Merope,
che
tutti vollero dipingere una madre ; e per tale sc
ardore per la poesia tragica il generoso invito del sovrano di Parma
che
vi ricondusse in pro delle belle arti nuovamente
d del Saurin ; ma è grandissimo forse il numero de’buoni componimenti
che
non ebbero verun modello ? La seconda corona di q
ubblicata in Vercelli nel 1782. Il più accigliato censore non negherà
che
tali tragedie conseguirono meritamente la promess
lopedici dell’utilità del disegno del real Protettore, e per mostrare
che
l’Italia non è sì lontana dal calzar con piena ri
iena riuscita il coturno ateniese ? Nè con ciò si pretende assicurare
che
abbiano le nominate tragedie tutta l’energia e la
i mentovato Giovanni Andres. Ma dalle mani almeno di questo scrittore
che
si compiace encomiar l’Ifigenia del Lassala e la
r coronato qualche altro Italiano de’nostri giorni ? Intorno al tempo
che
si maturava l’eccitamento della corte di Parma co
n arte e con giudizio, composero le loro tragedie Carlo Antonio Monti
che
pubblico nel 1760 in Verona il Servio Tullio, il
co nel 1760 in Verona il Servio Tullio, il conte Guglielmo Bevilacqua
che
nel 1766 fe imprimere la sua Arsene ben condotta
ore della tragedia Telane ed Ermelinda, di Ariarate, e de’ Longobardi
che
s’impresse nel 1769 ; il signor Girolamo Pompei c
e de’ Longobardi che s’impresse nel 1769 ; il signor Girolamo Pompei
che
diede alle stampe un’Ipermestra e la Calliroe pub
mpe un’Ipermestra e la Calliroe pubblicata nel 1769 ; il dottor Villi
che
serisse Idomeneo ; il conte Paradisi che compose
a nel 1769 ; il dottor Villi che serisse Idomeneo ; il conte Paradisi
che
compose gli Epitidi, ed il cavaliere Durante Dura
nte Paradisi che compose gli Epitidi, ed il cavaliere Durante Duranti
che
pubblicò in Brescia nel 1768 la Virginia. Io non
o atto sono l’espressioni di Virginia : buono il racconto non diffuso
che
fa Claudio della ferita che Virginia riceve dal p
Virginia : buono il racconto non diffuso che fa Claudio della ferita
che
Virginia riceve dal padre : assai compassionevoli
te per la semplicità delle greche favole, e pel decoro delle moderne,
che
vi si osserva. Viene in essa espresso con vivacit
ssa espresso con vivacità e delicatezza l’amor conjugale e paterno. E
che
importa ehe si riconduca sulle moderne scene un a
empi, e a tutti i paesi traggansi dal fondo del cuore umano, in guisa
che
commuovano e chiamino l’attenzione ? Questa trage
chiamino l’attenzione ? Questa tragedia in una sola azione principale
che
si va disviluppando senza bisogno di estrinseci e
i con pompa, e sovente combinati a forza. Tutto è per me teatrale ciò
che
sa interessar chi ascolta ; anzi allora questo ef
e senza molte ipotesi. Dico cio per certi nuovi antorelli subalterni
che
sogliono ripetere le voci da taluno usate senza a
p. e. mi sembrano le seguenti scene : quella di Penelope nell’atto II
che
intende la morte di Ulisse comprovata col di lui
l’atto III : la scena del IV tra Penelope ed Ulisse chiuso nell’armi,
che
si parlano con affetti convenienti al loro stato,
si parlano con affetti convenienti al loro stato, e si dividono senza
che
Ulisse si faccia conoscere. Nell’ atto V Penelope
e si faccia conoscere. Nell’ atto V Penelope si lamenta del tripudiar
che
fanno i proci per la morte di Ulisse, stando a me
i distinguono gemiti e lamenti, Penelope teme pel figlio. Intende poi
che
si è accesa una gran mischia tra’Proci, Telemaco
attasi del tutto, di un figlio unico suo sostegno, perduto Ulisse ; e
che
dee a lei importare l’origine della contesa in qu
ortare l’origine della contesa in quel punto ? E l’evento della pugna
che
dee occuparla tutta. Dopo di aver saputo da Mento
pugna che dee occuparla tutta. Dopo di aver saputo da Mentore ancora
che
tuttavia si combatte, può ella esser curiosa dell
sare, s’ella non fosse Penelope, se non fosse madre. Ma questo dubbio
che
molesterà chi legge o ascolta, si dilegua all’arr
ontro di essa, fingendole fatte da un altro. Esse però altro non sono
che
graziosi colpi e motteggi contro il mal gusto e l
comporre tragedie. Egli oppone ancora contro il proprio componimento
che
sia assai scarso di morali sentenze. Ma questa è
sse in fine dell’ atto IV, e sapere occultar se stesso ne’ personaggi
che
imita. Ma l’istesso riputato autore ha pubblicata
to autore ha pubblicata nel 1804 in Filadelfia presso Klert l’Arminio
che
merita di conoscersi, come una luminosa prova che
sso Klert l’Arminio che merita di conoscersi, come una luminosa prova
che
questo scrittore sapeva abbandonare gli antichi a
meno prosperi su i colli di Roma, benchè vi dimorasse lungamente, al
che
, dice : In maggiori teatri io fui men grande. A
ale ella si ritirò nelle foreste di Pimpla seco recando la sacra face
che
avea accesa nel petto di Sofocle. Attese che la n
co recando la sacra face che avea accesa nel petto di Sofocle. Attese
che
la notte boreale cedesse, e tornò col sacro fuoco
non volle l’Arte Recarlo in grembo e in lui stillar suo latte, L’Arte
che
te nudrio, saggio Addissono ! Tutti però si vol
ra faccia dell’ universo, Versate allor nell’ implorato canto Quelle
che
in sen volvete ignee faville. Grande è il nome d
olle istesse idee e vedute di Marco Bruto figlio di Cesare, ma non fa
che
infierisca contro del proprio padre ; ed in vece
sveglia dolci speranze in Italia nel secolo XIX, e mostra sempre più
che
il sig. Andres si è poco internato nella letterat
tato de’ Cherusci, il disegno di Arminio, l’amor di patria di Baldèro
che
ne informa Telgaste venuto da Roma, il quale vici
ler sovrastare alla patria, l’altro grande nell’ opporsi col riguardo
che
dee all’ambizioso padre di Velante. Invito la gio
a sua spedizione in Roma, e l’intenzione de’ Romani. Gismondo propone
che
per resistere è necessario che Arminio de’ Cherus
ntenzione de’ Romani. Gismondo propone che per resistere è necessario
che
Arminio de’ Cherusci il più grande governì solo.
rande governì solo. La nazione acclama. Si oppone Telgaste, e Baldèro
che
risolutamente dice al padre, Se il giorno Io da
e, Se il giorno Io da te non avessi, altro, tel guiro, Non cercherei
che
trapassarti il petto ; Ne trapassartel già, come
ena di Baldèro è così acconciamente misto il patetico alla grandezza,
che
chi si sovviene delle scene di Cesare e Marco Bru
ringa, Tu con sicuro piè potrai salirlo. e Baldèro : Solo un’ora è
che
regni, e già tu brami Morto ancora regnare in me
brami Morto ancora regnare in me ! Le ragioni interessanti energiche
che
adduce poi, sono tali, da che gli fa presenti i c
me ! Le ragioni interessanti energiche che adduce poi, sono tali, da
che
gli fa presenti i civili sanguinosi contrasti in
non sono. Insta ancora il figlio addolorato, gil cade a’ piedi, vuol
che
anzi l’uccida, se non può cangiarsi ; invano ; al
a, presentarti il ferro La mia man non dovea ; dovea far tosto Quello
che
or fo… Si ferisce. Questa morte aliena da Armini
e. Mostra il suo pentimento dell’ aver voluto opprimere la patria. Fa
che
a Telgaste si dia la sua spada, che Velante gli d
er voluto opprimere la patria. Fa che a Telgaste si dia la sua spada,
che
Velante gli dia la mano, abbraccia Tusnelda, e di
Lucca nel 1773 pubblicata una tragedia di Ulisse il dottor Franceschi
che
ne avea pure scritta un’altra il Coreso. Ma l’Uli
pali, seminando fra loro la diffidenza ; e tre fatti d’armi. Ecco ciò
che
in essa ci sembra più interessante oltre ad alcun
Telemaco, e poi si dà a conoscere. Parrà pero al critico imparziale,
che
con poca verisimiglianza Alcandro il confidente d
tecipe dell’arcano della di lui nascita, taccia sino al fine, e lasci
che
avvenga il parricidio. Egli si discolpa del suo s
estinto Io lo credei. Nè del suo amor gli effetti Io potei paventar,
che
di souverchio La fe della madrigna a me palese Er
fe della madrigna a me palese Era. Ma sebbene sia uno de’ possibili
che
egli non mai veduto avesse à conosciuto Ulisse ;
uto Ulisse ; è però una delle supposizioni inverisimili ed assai rare
che
l’unico confidente degli amori di Circe ed Ulisse
sai rare che l’unico confidente degli amori di Circe ed Ulisse, colui
che
fanciullo nascose Telegono and agnuno, non conosc
entar gli effetti dell’amore del suo allievo, egli parla contro a ciò
che
non ignorava ; poichè ben poteva su Telegono cade
l’altra favola ; la stessa galanteria subalterna d’Ippolito ed Aricia
che
indebolisce la Fedra francese, caratterizza gli a
negli amori di Cauno ed Idotea, e nel disegno di Mileto su di costei
che
l’odia. L’atto risorge colla vénuta di Bibli dest
Bibli apre il suo cuore ad Eurinoe. Le dice : E sarà vero, Eurinoe,
che
i Dei Voglian da me nuovi delitti ad onta D’un re
oe, che i Dei Voglian da me nuovi delitti ad onta D’un resto di virtù
che
m’han lasciato ? Come (riflette) appressarsi all
be egli penetrato il senso iniquo del moi discorso ? Risponde Eurinoe
che
ella l’ignora ; ma soggiugne che il vide fremere,
del moi discorso ? Risponde Eurinoe che ella l’ignora ; ma soggiugne
che
il vide fremere, arrossire e mirarla con isdegno.
. Intese L’ingrato, intese e non intender finse. Crudel ! Eurinoe. Ma
che
? forse dovea… Bibli T’intendo. Ah taci ! … É ver
hi. Un dio nemico M’insegue e mi minaccia. Andiam, non odi Il fulmine
che
fischia, il ciel che tuona ? Si oscura il giorno,
nsegue e mi minaccia. Andiam, non odi Il fulmine che fischia, il ciel
che
tuona ? Si oscura il giorno, fugge il sol … Non v
. Ma la scena terza, la quarta ben lunga, e la quinta di quest’ atto,
che
non ne contiene che sette, si aggirano intorno ad
la quarta ben lunga, e la quinta di quest’ atto, che non ne contiene
che
sette, si aggirano intorno ad Idotea, e trattengo
luna cadente ec. proprie del Celtico poeta, come si vede nel racconto
che
fa Calto di una sua visione. Ma nel rimanente lo
quello delle tragedie e talora delle opere musicali, la qual cosa par
che
dissuoni ; perchè le maniere e le formole de’ pop
eguenza non ha potuto scansare di far rimanere la scena vota ; regola
che
non osservarono nè gli antichi nè i nostri cinque
ine ed il Maffei nè anche da’ tironi si trasgredisce. Se il p. Salvi (
che
dicesi di aver composte altre tragedie ancora) no
poeta il cui dramma nè si vitupera nè si loda ! guai di quello ancora
che
ha solo se stesso per lodatore e qualche suo comp
te de’ Gerardeschi tragedia senza nome di autore, la quale non sembra
che
ottenga pienamente il fine tragico, tutto che deb
re, la quale non sembra che ottenga pienamente il fine tragico, tutto
che
debbono notarvisi alcuni passi lodevoli che ne ac
te il fine tragico, tutto che debbono notarvisi alcuni passi lodevoli
che
ne accenneremo. Forse l’orrore di una tragedia di
si lodevoli che ne accenneremo. Forse l’orrore di una tragedia di uno
che
muore di fame, prolongata per cinque atti, non pe
r dir così, riposata alla maniera di Caligola, quale è questa di Nino
che
dà luogo all’artifico, desta rincrescimento più c
è questa di Nino che dà luogo all’artifico, desta rincrescimento più
che
terrore. Forse tale argomento non esige cinque at
tempo in tempo rallentano gli affetti ; e un ambasciodore di Genova
che
viene ad implorar mercè e ad intercedere a favor
che viene ad implorar mercè e ad intercedere a favor di Ugolino, par
che
lavori contro l’intento esacerbando l’animo di Ni
zione di portar le armi contondizione di portar le armi contro Genova
che
lo protegge. Energiche in questa scena sono le su
ore. Entro al tuo bujo un favorevol raggio Pur mi rilusse. Io vidi, e
che
non vidi ? Vidi le stragi che in Italia e in Pisa
revol raggio Pur mi rilusse. Io vidi, e che non vidi ? Vidi le stragi
che
in Italia e in Pisa Nacquer dall’ odio mio. Il s
Il p. Serafini Giustiniani genovese fe imprimere nel 1751 il Numitore
che
riuscì sulle scene, mal grado della trascuraggine
o tratto dalla Ciropedia di Senofonte, per le quali non può dubitarsi
che
l’autore progredendo nella carriera avrebbe verif
he l’autore progredendo nella carriera avrebbe verificate le speranze
che
per esse si concepirono. Il bolognese Flaminio Sc
si concepirono. Il bolognese Flaminio Scarpelli produsse due tragedie
che
non debbono obbliarsi, il Creso ed il Pausania. I
stogli in Madrid otto giorni di lavoro. Lo stile era più metastasiano
che
non richiede la tragedia. La nobile Francesca Man
ira e la Saffo. Tutti questi scrittori meritano lode per alcun pregio
che
traspare nelle loro composizioni in mezzo alla la
o, del Marchese, del Granelli, del Maffei, del Conti, e più altri. Ma
che
diremo del Diluvio Universale, dell’Anticristo, d
i una prefazione contro di certo Dottore don Pietro Napoli-Signorelli
che
non avea lodate le sue tragedie, che l’Italia con
ore don Pietro Napoli-Signorelli che non avea lodate le sue tragedie,
che
l’Italia continua a chiamar mostruose ? Ne diremo
e tragedie, che l’Italia continua a chiamar mostruose ? Ne diremo ciò
che
altra volta ne scrivemmo, cioè che può ad esse ba
chiamar mostruose ? Ne diremo ciò che altra volta ne scrivemmo, cioè
che
può ad esse bastare l’aver servito alcuni anni di
uni anni di capitale a parecchie compagnie comiche. Aggiugneremo quel
che
ne dice un gazzettiere suo parziale, cioè che egl
iche. Aggiugneremo quel che ne dice un gazzettiere suo parziale, cioè
che
egli era il tragico del volgo e degli Ebrei. Ebbe
zzo ad un cumolo di stranezze. Fu egli dunque calzando il coturno ciò
che
era il napoletano Francesco Cerlone nelle sue chi
nè senza ragione, nella seconda tragedia, al conte Alessandro Pepoli
che
il proscritto Giulio Sabino, e la sua sposa ardis
rocemente contro del proprio padre, più perchè gli ha tolta la sposa,
che
perchè gli ha svenata la madre. Il senatore Mares
e perchè gli ha svenata la madre. Il senatore Marescalchi di Bologna,
che
fu alcuni anni ministro degli affari esteriori de
patra, di cui loderemo di buon grado varii tratti di romana grandezza
che
vi si possono notare. Accorderemo parimente all’i
la scena tragica di quello del Shakespear. Confesseremo non pertanto
che
la scena dell’ atto IV di Cleopatra ed Ottavio ne
entano ogni via per ingannarsi scambievolmente, ne sembra anzi comica
che
tragica. Aggiungeremo per amor del vero, che il c
e, ne sembra anzi comica che tragica. Aggiungeremo per amor del vero,
che
il carattere della sua Cleopatra insidiosa, menti
mentitrice, infingevole, civetta, potrà bene rassomigliarsi a quello
che
di essa accenna la storia, e forse non sarà lonta
nella sua casa in Parigi di udirne leggere dall’ autore l’atto primo
che
sommamente interessava. Sopra tutte le tragedie i
tto primo che sommamente interessava. Sopra tutte le tragedie inedite
che
io conosco, sarebbe a desiderarsi che venissero a
Sopra tutte le tragedie inedite che io conosco, sarebbe a desiderarsi
che
venissero alla luce le due che compose sono già m
che io conosco, sarebbe a desiderarsi che venissero alla luce le due
che
compose sono già molti anni il rinomato scrittore
il rinomato scrittore veneziano l’abate Placido Bordoni. L’erudizione
che
possiede, lo studio da lui fatto del cuore umano,
penna tanto esercitata, le raccomandano al pubblico. Il breve viaggio
che
egli fece in Napoli nel giugno del 1796, mi parto
insperatamente col piacere di riveder dopo tanti anni l’antico amico
che
conobbi in Madrid in casa dell’ ambasciadore Quir
o III, l’altro di udirgli leggere tali tragedie, e di ottenerne copia
che
le mie posteriori disgrazie mi fecero perdere. E
pia che le mie posteriori disgrazie mi fecero perdere. E piochè parmi
che
difficilmente l’autore penserà più ad imprimerle,
’autore penserà più ad imprimerle, il pubblico mi saprà qualche grado
che
io gliene ripeta alcuna notizia che ne avanzai ne
l pubblico mi saprà qualche grado che io gliene ripeta alcuna notizia
che
ne avanzai nelle Addizioni alla presente storia i
puto rintracciar nuovi argomenti per la scena tragica ne’ bassi tempi
che
ne sono così fecondi. L’istituzione dell’ Ordine
che, gli sugeri per la prima tragedia intitolata Ormesinda un’ azione
che
risale all’ anno 1244. Dallo storico Mariana si s
nda un’ azione che risale all’ anno 1244. Dallo storico Mariana si sa
che
Martos castello in Andalusia fu difeso verso il 1
tare, dal Barbosa, dal Caramuele, dall’ Heliot, dal Wion si sa ancora
che
i Cavalieri ad esso ascritti non solo si destinav
mi schiavi, quando altrimenti non potessero redimerne. Si sa eziandio
che
i professi facevano pure voti di povertà, di cast
nditrice della fortezza di Martos prigioniera in Fez del re Albumazar
che
le salvò la vita e ne divenne amante e con amor r
o, e le offre lo scettro. Osta al di lui amore la fede e la tenerezza
che
Ormesinda serba a Consalvo già destinatole sposo
iugne in Fez per riscattare gli schiavi, e trova Ormesinda viva. Teme
che
veduta da Consalvo possa egli vacillare ad onta d
nsalvo possa egli vacillare ad onta del suo voto ; e tenta di evitare
che
s’incontrino, ma invano. Intanto il generoso Albu
e con Ormesinda, e solo chiede in compenso di sapere il nome di colui
che
le fu destinato sposo. Alfonso assicura che è per
i sapere il nome di colui che le fu destinato sposo. Alfonso assicura
che
è per lei perduto e morto, ma Albumasar trova che
o. Alfonso assicura che è per lei perduto e morto, ma Albumasar trova
che
è vivo. Questa menzogna apparente, e qualche altr
etiche situazioni, ed esercitano singolarmente la virtù di Ormesinda,
che
implora per essi la pietà del sovrano. Intanto al
vrano. Intanto alcuni nemici Affricani assalgono la sede di Albumasar
che
va a combatterli. In procinto di restare ucciso è
ucciso è salvato da un guerriero ignoto ; ne cerca contezza, e trova
che
dee la propria vita alla grata virtuosa Ormesinda
sa Ormesinda, la quale gli è condotta innanzi mortalmente ferita. Ciò
che
vuolsi principalemente notare in tal componimento
ferita. Ciò che vuolsi principalemente notare in tal componimento, è
che
non vi è personaggio alcuno che non sia buono, o
lemente notare in tal componimento, è che non vi è personaggio alcuno
che
non sia buono, o non adempia i proprii doveri ; e
o che non sia buono, o non adempia i proprii doveri ; e la differenza
che
vi si scorge è la graduazione della virtù, la qua
bumasar, e più ancora in Ormesinda giugne all’ eroismo. Ecco le scene
che
mi sembrano più teatrali. In prima la quarta del
e mi sembrano più teatrali. In prima la quarta del II atto di Alfonso
che
trova viva la figlia, e le fa sapere che più non
uarta del II atto di Alfonso che trova viva la figlia, e le fa sapere
che
più non può esser suo Consalvo, perchè tra essi
di lei, e l’amor di Consalvo. III la sesta in cui sopravviene Alfonso
che
gli riprende, e vuole che Consalvo si allontani,
vo. III la sesta in cui sopravviene Alfonso che gli riprende, e vuole
che
Consalvo si allontani, alternando rimproveri, pre
i Alfonso si presenta ad Albumasar, il quale si meraviglia di Alfonso
che
vuol lasciare in Affrica Ormesinda per un arcano
iglia di Alfonso che vuol lasciare in Affrica Ormesinda per un arcano
che
non rivela ; e di Consalvo che si determina a rim
are in Affrica Ormesinda per un arcano che non rivela ; e di Consalvo
che
si determina a rimaner prigione, finchè l’altro n
ro non abbia condotti via gli schiavi. Egli stanco di soffrire ordina
che
s’incatenino. Arriva Ormesinda che prega che sien
vi. Egli stanco di soffrire ordina che s’incatenino. Arriva Ormesinda
che
prega che sieno liberati, e vuole ella stessa rim
tanco di soffrire ordina che s’incatenino. Arriva Ormesinda che prega
che
sieno liberati, e vuole ella stessa rimanere in c
tti, e gli fa chiudere in carcere. Ormesinda altro non potendo palesa
che
Alfonso è suo padre, e Consalvo il suo sfortunato
imane sospeso. V la terza scena dell’atto V, in cui Albumasar intende
che
Ormesinda è il guerriero che gli ha salvata la vi
na dell’atto V, in cui Albumasar intende che Ormesinda è il guerriero
che
gli ha salvata la vita, ed ammira i prodigii di v
l guerriero che gli ha salvata la vita, ed ammira i prodigii di virtù
che
opera in petto de’ Cristiani la religione. VI l’u
o l’interesse e la compassione. Per saggio dello stile e del patetico
che
serpeggia in questa favola, se ne vegga lo squarc
vegga lo squarcio seguente. Ormesinda Padre amato, ti lascio… ed or
che
il cielo Pietoso a’ miei lunghi sospir concesse A
e virtù coroni La sorte amica, e i giorni tuoi men foschi Risplendano
che
i miei….Tu poi, Consalvo, Che il ciel mi avea gi
mino De la fe, de la gloria…ama in mio padre La figlia estinta, e più
che
i nostri amori Miseri e sfortunati, un dì le nost
sano trarre altrui dagli occhi Lagrime di pietade e meraviglia. Sento
che
vengo meno…ah caro padre Ah Consalvo…deciso è il
innocenti e sterminati solo per la rapacità del nomato re di Francia
che
aspirava alle loro immense ricchezze, da i Coneil
quadri tragici e di situazioni patetiche alzata su di grandi passioni
che
urtansi con doveri grandi. Anagilda figlia di Ram
Anagilda figlia di Ramiro maestro de’ Templarii ama Enrico di Abarca
che
d’ordine sovrano dovè allontanarsi per guerreggia
, il quale ha ricevuti potenti soccorsi da Fernando di Ricla, destina
che
sia sposo della figlia ; ed ella che vede in Fern
si da Fernando di Ricla, destina che sia sposo della figlia ; ed ella
che
vede in Fernando un grande appoggio del suo parti
accetta. Enrico come ambasciadore viene a proporre patti di concordia
che
sono rigettati ; e terminata l’ambasciata in sens
terminata l’ambasciata in sensi amichevoli manifesta a Ramiro l’amore
che
ha per la sua figlia, e Ramiro mostra rincrescime
on esser più in tempo di gradire i suoi sentimenti. Ode in quel punto
che
Fernando è prigioniero ; si agita ; si volge ad E
già sposa di un altro ? Qual colpo ! qual fulmine per lei ! Fernando
che
sorviene, racconta in qual guisa fu liberato, e c
a meraviglia trova Anagilda immersa nel più gran dolore. Torna Enrico
che
ha saputo esser Ramiro padre di Anagilda, e trova
ricolo imminente, e si getta a’suoi piedi. Arriva il generale Rodrigo
che
di ciò lo rimprovera, e la sua venuta mostra l’es
o nel suo cuore il rispetto di figlio coll’amor di marito, situazione
che
corona l’atto IV. Arde Sagunto : caduti sono tutt
dicheremo alquanti. Notabile nell’atto II è la scena terza di Enrico,
che
come ambasciadore rileva i delitti apposti ai Tem
come ambasciadore rileva i delitti apposti ai Templarii, e di Ramiro
che
mostra la falsità delle imputazioni, e la loro in
ioni, e la loro innocenza e virtù con un’aringa degna della sublimità
che
si scorge nelle scene politiche di P. Cornelio. N
endonsi pregevoli la seconda e la terza, nella quale Anagilda intende
che
Enrico è in Morviedro, ed ha liberato Fernando ;
ma, dove Anagilda palesa all’ amante di essere già sposa di un altro,
che
non isdegnerebbe riconoscer per sua l’istesso Rac
sola ? Io figlia di Ramiro e di Fernando Sposa con te venir, con te,
che
sei L’amante d’Anagilda, ed il nemico Di Ramiro e
scena ultima, in cui spira Anagilda e Fernando : Anagilda Già sento
che
la vista.. oh Dio ! mi manca. Ahi che pena… che o
Fernando : Anagilda Già sento che la vista.. oh Dio ! mi manca. Ahi
che
pena… che orror vedermi al fine Dentro il campo n
: Anagilda Già sento che la vista.. oh Dio ! mi manca. Ahi che pena…
che
orror vedermi al fine Dentro il campo nemico e tr
ele Sarconi nel 1772. Non si può dire quale indignazione prese taluno
che
potè leggerla per lo strazio che ne fece. Egli sc
dire quale indignazione prese taluno che potè leggerla per lo strazio
che
ne fece. Egli scrisse ancora il Teodosio il Grand
combattimenti decisivi seguiti in mare e in terra, e di altré azioni
che
accadono in luoghi differenti. Colla falsa data d
adino tragedia senza nome di autore. Se si attenda ai tratti pungenti
che
vi si spargono insipidamente contro del pontefice
o filosofastro bramoso di lasciare svaporare la decisa sua rabbia più
che
di tessere una tragedia. Se riflettasi allo stile
iano alla prosa, nella locuzione si desidera purezza e proprietà. Ciò
che
unicamente può lodarsi è il vedervisi introdotta
dino ; il colpo di scena dell’ incontro inaspettato di lei col figlio
che
potrebbe far qualche effetto in teatro, se questo
elle vittime del 1799. Ammirando l’uomo stimabile diremo in succinto,
che
egli incominciò bene innoltrato nell’ età la carr
idata sul cassaro della nave, e l’appiccò al fatto della sua Tunisina
che
precede la rappresentazione. Il di più è un roman
ferisce dagli Esuli Tebani, giacchè vi si desidera decoro nel costume
che
couvenga alla nazione moresca, economia meglio or
ed aringa contro del Corradino del Caraccio. Alla prima dice in esso
che
la tragedia è un’azione pubblica, grande, interes
agedia l’esser nazionale, s’intende, e si è mille volte ripetuto ; ma
che
per essenza tale esser debba per dirsi tragedia,
i accorda. Se questo ne fosse un requisito essenziale, ne seguirebbe,
che
per noi moderni non sieno tragedie quelle che ci
enziale, ne seguirebbe, che per noi moderni non sieno tragedie quelle
che
ci rimangono del teatro greco, non potendosi aver
ntrionali. Con simil norma non riconosceremmo per tragedie le moderne
che
vertono su’ fatti orientali o americani o affrica
a, Carlo figlio di Filippo II di Spagna ecc. Si aggiunge nel Discorso
che
i Greci ciò dimostrarono con esempi e con precett
con precetti, e nè anche questo mi par vero. Trovasi forse prescritto
che
la tragedia debba essenzialmente esser nazionale
tengano argomenti greci, e perciò per essi nazionali, chi sosterrebbe
che
tali tutte state fossero le altre a noi non giunt
bbe che tali tutte state fossero le altre a noi non giunte ? Certo è,
che
alcune pur delle rimasteci esprimono fatti di pop
e le azioni grandi. Lascio poi la memoria, e qualche titolo rimastoci
che
indica azioni straniere, come i Persi e gli Egizi
. Accenneremo soltanto, senza fermarci su di esse, diverse altre cose
che
discordano dalla verità, cioè che il Gerbino si a
arci su di esse, diverse altre cose che discordano dalla verità, cioè
che
il Gerbino si accolse benignamente in teatro, e c
alla verità, cioè che il Gerbino si accolse benignamente in teatro, e
che
essa sia la prima tragedia dell’autore ; che il R
enignamente in teatro, e che essa sia la prima tragedia dell’autore ;
che
il Racine e il Metastasio hanno soltanto introdot
nno soltanto introdotti nelle loro favole amori freddi ed episodici ;
che
lo stile delle antiche tragedie Italiane, cioè qu
elle del XVI secolo, manchi di armonia. Ci arresteremo un poco su ciò
che
dicesi in tal discorso dell’ argomento del Corrad
scorso dell’ argomento del Corradino. Si maraviglia in prima l’autore
che
i Francesi non l’abbiano trattato, e si applaudis
non l’abbiano trattato, e si applaudisce della propria scelta, quasi
che
fosse stato il primo a recarlo in iscena, quando
quasi che fosse stato il primo a recarlo in iscena, quando è si noto
che
il Corradino del Caraccio comparve sin dal cadere
e il Corradino del Caraccio comparve sin dal cadere del XVII secolo ;
che
il sig. Gaspare Mollo quindici anni prima fece un
o ; che il sig. Gaspare Mollo quindici anni prima fece un Corradino ;
che
l’anonimo o il Salfi produsse prima di lui un alt
agedia ripiena di lunghi episodii e di scene inutili e di espressioni
che
si risentono dell’ infelicità del secolo XVII, le
sente. Si scusa finalmente per gli amori del suo Corradino ; sostiene
che
sono tragici perchè dominanti. Quanto a ciò dobbi
e sono tragici perchè dominanti. Quanto a ciò dobbiamo fare osservare
che
l’autore in prima confessa che la sua tragedia se
. Quanto a ciò dobbiamo fare osservare che l’autore in prima confessa
che
la sua tragedia senza amori sarebbe stata più tra
l pubblico lo spettacolo di due ore ? Se così è, perchè si maraviglia
che
i Francesi non abbiano trattato questo, argomento
ensa frammischiarvi episodii estrinseci ed amori impertinenti ? Piace
che
egli confessi di non aver saputo trattarlo senza
reci, o almeno da moderni Alfieri, Pindemonte, Granelli ecc. Dice poi
che
l’amore di Corradino e Gedippe è dominante e trag
di Corradino e Gedippe è dominante e tragico dopo di aver detto prima
che
è episodico e men tragico del fatto istorico(a)
nda il patetico naturale con allontanarsi dallo scambio de’due cugini
che
v’ intruse il Caraccio, dalla malignità e debolez
dagli episodii eterogenei del Pagano. Per riescirci altro non occorre
che
cercar di obbliare tutte queste tessiture fantast
ste tessiture fantastiche e rileggere la semplice storia. Il patetico
che
ne ritrarrà, l’eleverà sopra tutte le possibili d
he ne ritrarrà, l’eleverà sopra tutte le possibili dipinture fattizie
che
l’hanno sinora deturpato. Il regno di Napoli ha v
’ erudito barone Francesco Bernardino Cicala nato in Lecce nel 1766 ;
che
in Arcadia porta il nome di Melindo Alitreo autor
olarità la distingue, lo stile è nobile, i caratteri ben dipinti, sol
che
l’azione non sembra una perfettamente, tuttochè s
ampe, l’Erode Ascalonita senza amori, senza donne e senza confidenti,
che
sveglia la pietà per l’innocenza sventurata, ed i
ano a Polifonte, Merope ed Egisto. L’Ermione impressa nel 1798 sembra
che
pure racchiuda in un argomento tre casi rilevanti
e, degno del coturno ; cui gioverebbe purgare di alcune poche maniere
che
si risentono di troppo studio. Anche l’interesse
che maniere che si risentono di troppo studio. Anche l’interesse pare
che
si divida tra Oreste ed Ermione, benchè non iscon
reste ed Ermione, benchè non isconvenga. Ma l’Eretteo ultima tragedia
che
io conosco del Cicala in grazia dell’ amicizia, p
avventura supera le altre nell’ unità dell’ azione e dell’ interesse
che
è tutto per Ottene. I caratteri del padre amante
endicativo dissimulato Ismenio ; l’atroce impostore il Gran Sacerdote
che
aggira il re empiendolo di vani terrori e con ipp
ori e con ippocrito zelo facendo parlare la divinità ; Licida germano
che
ama Ottene e la patria e desta l’ardore de’ conci
e de’ concittadini abbattuti ; Ottene amante del fratello e del padre
che
all’ udire che i numi chiedono il suo sangue per
ini abbattuti ; Ottene amante del fratello e del padre che all’ udire
che
i numi chiedono il suo sangue per salvare la patr
giamento lieto, non per macchina, ma per l’arrivo opportuno di Licida
che
avendo ucciso Ismenio trafigge parimente l’empio
benchè proprio, ripetuto. Anche lo stile nobile sovente e sublime par
che
talvolta può stimarsi soverchio studiato, sparso
i soverchio studiato, sparso di qualche maniera latina. Questo autore
che
ci compensa delle meschine tragedie de’Corradini
1789 un’Ifigenia in Tauri, uno de’ due argomenti tragici della Grecia
che
Aristotile antiponeva ad ogni altro. Aveano tratt
naturale della favola senza l’intervento di una macchina. Sembra però
che
la venuta di Reso si faccia cadere comodamente ne
bra però che la venuta di Reso si faccia cadere comodamente nel punto
che
Oreste è per cadere sotto la sacra bipenne. La ri
sul monumento erettogli come morto ; ed anche in questo si bramerebbe
che
tali onori funebri e tal dolore d’Ifigenia non si
almente fondati sul sogno di lei e prima della notizia recata da Lico
che
in Argo regna Menelao. Mal grado di ciò e di qual
della scena quinta dell’atto I, O fortunata quella cerva alpestre
che
contiene un concetto non vero ; noi dobbiamo esse
; noi dobbiamo esser sinceramente paghi del lavoro del sig. Biamonti
che
ha dato nuovo e vivo interesse a questo argomento
reste coll’ amico nella scena terza dell’ atto IV. Ci basti accennare
che
rendono questa Ifigenia pregevole grandi affetti,
o i progressi del teatro tragico italiano, mentre quelli de’ Francesi
che
eransi tanto elevati, dopo del Voltaire, lungi da
etti, non si fa pompa di lirici ed epici ornamenti. La morte di un re
che
trasse verso il Tamigi tutta l’attenzione dell’ E
argomenti proprii del coturno. In esso non si rappresenta p. e. Ciro
che
prevale ad Astiage, Alessandro a Dario, Tamerlano
ge, Alessandro a Dario, Tamerlano a Bajazette, sventure di personaggi
che
altro non fanno che cangiar le catene de’ regni.
io, Tamerlano a Bajazette, sventure di personaggi che altro non fanno
che
cangiar le catene de’ regni. In questa tragedia s
gedia si vede una tremenda catastrofe della costituzione di un popolo
che
conculca le proprie leggi per alzare un tempio al
lli. Egli presenta in un medesimo quadro Carlo magnanimo e sensibile,
che
nel gran passaggio dal soglio al patibolo trafitt
i, e della naturale sua spietatezza vestita di empia politica : Farfè
che
rappresenta tutto l’entusiasmo inglese per la lib
sguardi l’atrocità enorme del mezzo di stabilirla : Federiga e Dacri
che
dimostrano in buon colorito la virtuosa debolezza
al gran fatto, e spoglia di ornamenti quasi sempre inutili al tragico
che
sa le vie del cuore. Serva di saggio ciò che dice
empre inutili al tragico che sa le vie del cuore. Serva di saggio ciò
che
dice Farfè nella bella scena quinta dell’ atto II
o sul foglio del Parlamento, Hai tu vaghezza Di grande tanto divenir
che
alcuno Pareggiar non ti possa ? Ardisci, o Carlo,
ù. Dovunque nato io fossi, Io comandar dovea. L’utile nome Di libertà
che
si l’Inglese apprezza, Quì mi chiama a regnar : a
one, abbandonando i greci argomenti. Pubblicò da prima sette tragedie
che
si trovano raccolte nell’ edizione di Venezia del
e dalle cronache Inglesi la prima intitolata Eduigi re d’Inghilterra,
che
perseguitato dallo zelo di Dunstano perde la vita
essersi congiunto in matrimonio con Elgiva sua cugina. In tal favola
che
ha un coro mobile nel primo e nel secondo, e nel
. Fu il Rodrigo sventurato anche nella rappresentazione, secondo quel
che
ne dice l’istesso autore, essendo stato pessimame
un partito avverso. Vi si vede una Clotilde violata involontariamente
che
ama però il suo violatore, e che continuando ad a
a Clotilde violata involontariamente che ama però il suo violatore, e
che
continuando ad amarlo pure scopre la sua vergogna
li si serba l’interesse della favola. Vedesi ciò nel patetico congedo
che
prende Zulfa dal marito nell’esser condotta al De
nè meno sconvenevole parrà la mediazione di Scilace padre di Cleonice
che
cerca tutte le vie di persuader la figlia a condi
amerlano, ed è piuttosto un tessuto di colpi di scena, cioè di fatti,
che
di situazioni tragiche. Normal e Cajeam interessa
ti, che di situazioni tragiche. Normal e Cajeam interessano ; ma Dara
che
abbandona subito la reggia e la città al consigli
bandona subito la reggia e la città al consiglio del fallace Jemla, e
che
poi vi torna quando è occupata dal fratello, non
enuncia valoroso ed accorto. Il colpo di Mirza colla pistola coperta
che
non prende fuoco e si scopre al cader del broccat
a non contribuire al tragico terrore. Non può recare onta all’ autore
che
il suo Oramzeb si rassomigli al Maometto di Volta
a sua astuta sincerità coll’ indurre Zopiro a seco unirsi. Ma Oramzeb
che
poteva mai ottenere col manifestarsi il più furbo
tto dell’ uditorio ; ma forse la provvida variazione di quella scena,
che
risparmia tanta atrocità, non toglie alla favola
cena, che risparmia tanta atrocità, non toglie alla favola il terrore
che
se ne attende. Finalmente sul fondamento istorico
ieno applauso in Bologna nel palazzo del marchese Francesco Albergati
che
vi sostenne egregiamente la parte di Uberto, ment
esentando l’autore stesso quella di Romeo. Ma questo attivo cavaliere
che
vedeva dal gran chiarore sorto da Asti coperta la
d Agamennone. Al suo nuovo sistema tragico adattò in prima l’Adelinda
che
avea già scritto, ed ebbe il piacere che si rappr
o adattò in prima l’Adelinda che avea già scritto, ed ebbe il piacere
che
si rappresentasse con molto applauso nel 1789 in
tare il contrasto de’ caratteri, e corrisponde a i passi dell’ azione
che
con calore si accelera verso lo scioglimento in c
dre e di sposo, non a torto vorrebbesi nella prima scena dell’atto II
che
si palesassero meglio le interne battaglie de’ su
i teneri affetti coll’amore della libertà e della patria. L’autore fa
che
Romeo sia in un dubbio politico, non parendogli G
tezze di Romeo dovrebbero prendere origine nelle sue private passioni
che
urtano co’ doveri di cittadino. Non per tanto l’a
rdono in prò della sua rivale. Imperocchè l’energia del suo carattere
che
non mai si smentisce, le sue furie gelose sommame
ttere che non mai si smentisce, le sue furie gelose sommamente attive
che
cagionano il mortal pericolo del marito, la forte
tragedia inglese in mezzo ad alcune nojosità presenta varie bellezze
che
avrebbero potuto entrare nella scena di Uberto e
se ne disbriga, e come Uberto mestra la sua indignazione avendo udito
che
Romeo avea palesati i congiurati : Uberto Lascia
altri, Ne arrossirei : lieto a’ miei ferri io torno. Romeo Ah Romeo,
che
ti resta ?.. Infamia e amore. I passi che a me p
io torno. Romeo Ah Romeo, che ti resta ?.. Infamia e amore. I passi
che
a me pajono più notabili in tal componimento, son
ra Gualtieri e Romeo si rende pregevole tanto per la parlata di Romeo
che
candidamente esprime i sentimenti del suo cuore a
Gualtieri Nè il terror d’aspri tormenti, Agonie della morte… Romeo Ah
che
di quelli È più barbaro assai l’amor di padre, Di
quarta scena del IV tra Adelinda e Romeo si ammira per la rivoluzione
che
cagiona nell’animo di Adelinda senza veruno sforz
che cagiona nell’animo di Adelinda senza veruno sforzo l’assicurarsi
che
Romeo non ama Gismonda. Adelinda tuttochè piena d
nda. Adelinda tuttochè piena di gelosia e di amore estremo pel marito
che
forma la tinta imperiosa del suo carattere, vuol
imperiosa del suo carattere, vuol salvarlo di ogni modo ; e credendo
che
non la salvezza della moltitudine de’ ribelli, ma
iù ! vieni al mio seno. Adelinda disingannata e piena di gioja crede
che
Romeo voglia palesare i congiurati a prezzo della
mento al considerare ch’ella, lui fedele, non se ne può disgiungere e
che
egli fermo nel proposito di tacere rimane esposto
rir con costanza la loro divisione, e i fervidi scongiuri di Adelinda
che
gli si prostra per ottener che ceda, danno a ques
one, e i fervidi scongiuri di Adelinda che gli si prostra per ottener
che
ceda, danno a questa scena molta vivacità, la qua
a vivacità, la quale all’arrivo di Erardo loro figlio aumenta a segno
che
Romeo intenerito più non resiste, e palesa quanto
a Gualtieri di appigliarsi alla clemenza, coll’incertezza del tiranno
che
per non perder la figlia quasi è disposto a conce
ato da altri anche in Francia(a), spinse il Pepoli a ritoccare la sua
che
aveva prodotta in Napoli ed in Venezia. I miglior
gli affetti di Carlo ed Isabella più commoventi. Per lo scioglimento,
che
che volle dirne il Cesarotti forse per indulgenza
affetti di Carlo ed Isabella più commoventi. Per lo scioglimento, che
che
volle dirne il Cesarotti forse per indulgenza, no
viso ; non solo pel genere di morte, ma perchè non si stimò ben fatto
che
comparisse in teatro giustificata dalla loro colp
loro colpa la punizione de’due amanti insieme colla gelosia del re, e
che
morissero abbracciati Isabella moglie di Filippo,
ora nel 1791. Essa nel 1794 s’impresse in Venezia con una mia lettera
che
favella tanto della produzione del Pepoli, quanto
uanto dissi in quella lettera sulla tragedia del Pepoli(a). Dirò solo
che
(oltre dell’ azione ben congegnata conforme al nu
le nobile e vigoroso per quanto comporta il genere) merita di notarsi
che
di tutte le Clitennestre da me lette, questa del
nto tramandatoci dall’antichità. Non sono molto contento, a dir vero,
che
il sig. Borsa abbia voluto rendere interessante e
in certo modo partecipe della pubblica compassione un’empia adultera
che
di propria mano trucida un gran re suo marito ed
sì malvagia donna. La compassione dee tutta eccitarsi pel gran marito
che
pieno di sincera tenerezza per la moglie arriva n
si prefisse il Pepoli. Agamennone è un personaggio veramente tragico
che
chiama a se l’attenzione e la pietà, e Clitennest
perfida, la quale avendo nutrito un odio inveterato contro di lui da
che
Ifigenia fu sacrificata in Aulide, l’accoglie e l
ademio Parmense, e dava ad intendere alla picciola parte del pubblico
che
cadeva a leggere le sue ciance antiletterarie, ch
parte del pubblico che cadeva a leggere le sue ciance antiletterarie,
che
il Duca l’aveva abrogato. Capisce egli che cosa v
sue ciance antiletterarie, che il Duca l’aveva abrogato. Capisce egli
che
cosa vuol dire abrogare ? Ne ha egli forse veduto
cosa vuol dire abrogare ? Ne ha egli forse veduto il decreto ? Vero è
che
per alcuni anni si tacque quella deputazione acca
deputazione accademica ; ma se ne manifestò la cagione ? Certo è però
che
dopo l’ultima favola coronata nel concorso del 17
putazione egli stesso, e non si tralasciò di riceversi i componimenti
che
si trasmisero al concorso. Certo è parimente che
versi i componimenti che si trasmisero al concorso. Certo è parimente
che
quel real Protettore concesse, come si è detto, a
le favole coronate. Or come osa dire il citato folliculario impostore
che
è mancato all’Italia quel debole allettamento ? L
atri, ed impressa tre volte in due anni ? Basti accennare in generale
che
ne formano la prestanza ed il carattere una versi
la sorella preparato almeno con raccapriccio maggiore. Ma chi direbbe
che
lo spettro dell’Aristodemo sia la stessa cosa con
Ma nell’Aristodemo del Monti e nel Serse del Bettinelli, il simulacro
che
infantano i rimorsi di questi gran delinquenti, s
a sarà prima a lui nota ? porravvi a tempo impedimento ? Ecco le cose
che
formano la sospensione dell’uditorio nell’indovin
mo dunque ha la catastrofe. Affermò il fabbricante di Colpi d’occhio,
che
tal favola è piena di atrocità ; ed in ciò pur s’
re fallito. Ma può mancar di calore, interesse e movimento una favola
che
con tanta forza eccita il tragico terrore, come s
scopre reo ; nello scioglimento sommamente patetico in cui Aristodemo
che
si è ferito a morte riconosce in Cesira la sua Ar
gga nella scena settima del III e nell’ultima dell’atto V i frammenti
che
dipingono lo spettro. Senta intanto Aristodemo ch
atto V i frammenti che dipingono lo spettro. Senta intanto Aristodemo
che
spira : … E ben che vuol mia figlia ? S’io la sv
e dipingono lo spettro. Senta intanto Aristodemo che spira : … E ben
che
vuol mia figlia ? S’io la svenai, la piansi ancor
siste nella morte di questo principe di Faenza seguita per la gelosia
che
di lui concepisce la Bentivoglio sua moglie ingan
mestica facta, perchè uscendo dagli argomenti forestieri nella guisa
che
i Romani abbandonarono tal volta le orme de’ Grec
o senza interessare lo stato si aggira su di una gelosia di una donna
che
cagiona un omicidio in una famiglia ragguardevole
dell’atto III della riconciliazione di Matilde e Manfredi col congedo
che
viene a prendere Elisa, della quale Matilde sospe
V della tragica situazione di Manfredi trafitto a torto, e di Matilde
che
ne conosce l’innocenza nel punto che egli spira.
i trafitto a torto, e di Matilde che ne conosce l’innocenza nel punto
che
egli spira. Per saggio dello stile rechiamo un fr
console Opilio sostenitore de’ Patricii. Tenero è l’incontro di Cajo,
che
arriva inaspettato in Roma, colla moglie e col fi
ro di Cajo, che arriva inaspettato in Roma, colla moglie e col figlio
che
abbandonano la propria casa per procacciarsi un a
fatte nel Foro da Cajo e da Opilio sono di tanta energia ed eloquenza
che
a vicenda tirano ad encomiarle i suffragii del po
ene e da una morte ignominiosa Cornelia sua madre dà a Cajo un ferro,
che
se ne vale per morir libero. Un quadro compassion
culti o manifesti, invidi o sinceri, e di censori periodici o candidi
che
servono alla verità e alle arti, o perfidi che mi
ri periodici o candidi che servono alla verità e alle arti, o perfidi
che
militano per. chi gli assolda e mordono chi ricus
a greca, perchè non hanno cori, non nutrici, non nunzii, non macchine
che
le sciolgano, non decorazioni pompose, non si lim
sciolgano, non decorazioni pompose, non si limitano al solo fatalismo
che
ne governi le molle. Or perchè il non Verace auto
itarono i Greci e ne adottarono le favole ? L’ebbe Saverio Bettinelli
che
nel Discorso del Teatro Italiano si pregio d’aver
otta delle favole è accomodata al moderno teatro. Il pregio singolare
che
distingue il conte Alfieri da molti contemporanei
grande di rintracciare entro il più intimo del cuore umano i pensieri
che
contribuirono a consumare i delitti. Nulla nelle
on dico già de’ vietati epici e lirici da lui abborriti, ma di quelli
che
l’uso costante de’tragici eccellenti antichi e mo
llusione manca del necessario soccorso delle proprietà indispensabili
che
accompagnano i troni ; e si vede inverisimilmente
ra popolata abbandonata, a guisa di un tugurio, ad uno o a due attori
che
vengono a tramare una congiura quasi al cospetto
nna, …. Ch’ei t’è padre e signor rammenti Mal tu così ; il mal suono
che
fa quest’ altra A te sol resta Come a me morte ;
Come a me morte ; la non rara mancanza degli articoli ec. Non saprei
che
desiderare nel rassomigliante ritratto del geloso
a nella scena quinta del IV, ma con eccellenza, Niun pregio ha in se
che
il simular pareggi. La storia lo rappresenta com
te nella scena quinta del III fra’ suoi adulatori iniqui consiglieri,
che
mi sembra un’immagine di quel cupo imperadore in
falsa empia accusa di un tentato parricidio, l’insidiosa sospensione
che
mostrâ sulla sorte del figlio : sono tratti di Ti
che mostrâ sulla sorte del figlio : sono tratti di Tiberiana finezza
che
tutta disvelano l’atrocità di quell’anima e l’abb
no l’atrocità di quell’anima e l’abborrimento concepito per un figlio
che
a lui non rassomiglia e che egli ha offeso e vuol
e l’abborrimento concepito per un figlio che a lui non rassomiglia e
che
egli ha offeso e vuol che mora per aver destata l
o per un figlio che a lui non rassomiglia e che egli ha offeso e vuol
che
mora per aver destata la sua gelosia. Polinice.
destata la sua gelosia. Polinice. I caratteri di Eteocle e Polinice
che
si abborriscono e di Giocasta che palpita per amb
. I caratteri di Eteocle e Polinice che si abborriscono e di Giocasta
che
palpita per ambedue, sono espressi con forza di c
si suddito un sol momento ed a costo di qualunque delitto non respira
che
indipendenza ed odio mortale. Polinice non soffre
a germana, ama e venera la madre, e nell’istesso fratello non abborre
che
l’ingiustizia e la mala fede, sente in somma la v
na al delitto Ottengo pari… io morc, e ti perdono. La dissomiglianza
che
ha posta Alfieri ne’ due fratelli, toglie veramen
a posta Alfieri ne’ due fratelli, toglie veramente a lui il vantaggio
che
presta a tale argomento l’odio fraterno fatalment
o che presta a tale argomento l’odio fraterno fatalmente invincibile,
che
gli antichi e Racine trattarono egregiamente, ond
nte, onde deriva un interesse indubitato. Nondimeno io son di avviso (
che
che ne senta un dotto amico critico non volgare)
onde deriva un interesse indubitato. Nondimeno io son di avviso (che
che
ne senta un dotto amico critico non volgare) che
o son di avviso (che che ne senta un dotto amico critico non volgare)
che
non è senza interesse la differenza Alfieriana. L
se la differenza Alfieriana. L’enorme proditorio di Eteocle moribondo
che
finge d’abbracciare il fratello e l’uccide, è un
oribondo che finge d’abbracciare il fratello e l’uccide, è un eccesso
che
tira contro di se tutta l’indignazione pubblica,
ndignazione pubblica, e produce un tragico terrore in pro di Polinice
che
muore e lo perdona, perchè non può dirsi orrore c
o di Polinice che muore e lo perdona, perchè non può dirsi orrore ciò
che
desta a un tempo spavento e compassione. Un altro
tempo spavento e compassione. Un altro critico non meno scorto oppone
che
lo scopo morale richiedeva che il giusto avesse e
n altro critico non meno scorto oppone che lo scopo morale richiedeva
che
il giusto avesse esito più felice del malvagio. M
sta l’ingiustizia del malvagio, non è questo appunto l’effetto morale
che
si prefige la tragedia di purgar le passioni col
o morale che si prefige la tragedia di purgar le passioni col terrore
che
risveglia ? Antigone. Di questa tragedia recitat
sola di notte s’inoltra in una reggia nemica per ottener da Antigone,
che
non conosce, il cenere del suo sposo ; primo mono
cercare Antigone e di aver con lei comune la pietà ed il dolore. Ciò
che
esse dicono non conoscendosi, è senza riflessione
li arditi sentimenti di questa in faccia al tiranno, l’ultimo congedo
che
prendono la vedova è la sorella di Polinice, rend
tteri d’Icilio, di Virginia e di Virginio, onde ben si rileva l’anima
che
chiudevano in seno gli antichi Romani. Particolar
seconda dell’atto III, in cui il forte Icilio freme al nome di patria
che
gli par che disconvenga usare sotto il Decemviro
’atto III, in cui il forte Icilio freme al nome di patria che gli par
che
disconvenga usare sotto il Decemviro Appio. Taci,
tte Timbevvi io l’odio del patrizio nome. Serbalo caro : a lor si dee
che
sono A seconda dell’aura o lieta o avversa, Or s
ncanza degli articoli e da troppo stravolti iperbati, qualche intoppo
che
si presenta nella condotta della favola, l’ondegg
repubblicani di addossare tutte le possibili scelleratezze ai despoti
che
abborrivano, non dovrebbe a mio avviso un culto p
ggi tollerare in iscena il nefando spettacolo di una perfida adultera
che
prosperamente viene a capo di trucidare l’addorme
on potrebbe addursi altra discolpa per l’autore e per gli spettatori,
che
si accomodano l’uno a scrivere e l’altro a vedere
scrivere e l’altro a vedere simili rappresentazioni, se non l’esempio
che
ne diede l’antichità. Ma siamo noi nel medesimo c
a siamo noi nel medesimo caso della tragedia de’ Greci ? Il fatalismo
che
di questa era il perno, lo è del pari della trage
qualche deità nemica, ma valendosi delle insidiose maniere di Egisto
che
avendo sedotta la cieca Clitennestra la conduce a
ibolo non da teatro. Simili principii non c’impediscono di confessare
che
in questa tragedia spicca singolarmente l’inimita
stra amando Egisto non è preparata a sacrificare il marito. Ma Egisto
che
aspira a vendicare il padre ed a regnare in Argo,
disegno sino all’atto IV col velo della modestia e dell’ amor grande
che
mostra di nutrir per lei. Disse, è vero, il Pepol
l’ amor grande che mostra di nutrir per lei. Disse, è vero, il Pepoli
che
era una caduta, una dimenticanza del poeta il far
vero, il Pepoli che era una caduta, una dimenticanza del poeta il far
che
Egisto disveli incautamente la sua intenzione con
regno. Ma essi aveano già mostrato di essersi intesi, e di convenire
che
non vi era che un crudo rimedio, il sangue di Atr
aveano già mostrato di essersi intesi, e di convenire che non vi era
che
un crudo rimedio, il sangue di Atride. Il tornar
etro Egisto ed insistere nel primo colore era inutile. Non restavagli
che
opporre ostacoli all’esecuzione per più irritarne
sendovi rimasto qualche gallicismo, come Atride già mi sospetta, e di
che
il sospetta, in mezzo a modi cruschevoli, ed otto
. Anche il resto di questa scena presenta un falso racconto di Egisto
che
manca di verisimile e che persuade Clitennestra,
scena presenta un falso racconto di Egisto che manca di verisimile e
che
persuade Clitennestra, perchè lo vuole il poeta(a
angue… Ma, secondo me, come male termina questa favola ! Egisto dice
che
già di funeste grida intorno suona la reggia tutt
ora il re d’ Argo ? Per successione ? non già ; per qualche esercito
che
abbia pronto alle porte d’ Argo ? nulla di ciò si
pronto alle porte d’ Argo ? nulla di ciò si è premesso ; per aderenze
che
abbia superiori al partito de’ figli del trafitto
di gloria privo, D’oro, d’armi, di sudditi, d’amici. Non gli resta
che
l’ attaccamento della regina ; ma egli vi rinunci
. Male dunque egli dice or d’ Argo il re son io, parole inconsiderate
che
smentiscono il suo carattere artifizioso e cauto
zione, quale l’ebbe Pietro Corneille per la sua Rodoguna. Si conviene
che
pregevole essa sia, ed una delle più perfette del
la forza tragica. Ottimamente vi si dipinge lo stato di Clitennestra
che
palpita alternativamente or pel figlio, or pel ma
r Egisto, col quale egregiamente si colorisce l’uccisione della madre
che
si frappone senza che la vegga. Se si voglia comp
regiamente si colorisce l’uccisione della madre che si frappone senza
che
la vegga. Se si voglia comparare coll’ Oreste del
de s’ inoltrano fin nella reggia, indeterminati tuttavia del pretesto
che
sceglieranno per presentarsi al re, e del nome st
ena seconda dell’ atto I, ed è intesa da Pilade ed Oreste. Era giusto
che
si sentisse ciò ch’ ella profferiva ; ma non rego
Era giusto che si sentisse ciò ch’ ella profferiva ; ma non regolare
che
una persona parli con se stessa se non in corte s
i rimprovera il tradimento e la viltà, quasi altro disegno non avesse
che
d’irritarlo, e morire invendicato. Pilade nella s
nza, giacchè Egisto non ha manifestato minore abborrimento per Pilade
che
per Oreste. Ed in fatti questo scambio amichevole
hevole di nomi rare volte non riesce insipido, cioè soltanto nel caso
che
l’ uno è libero e fuor di pericolo, e l’ altro in
dell’ autore, ed è l’unico ch’ egli abbia interamente inventato ; ciò
che
rincresce ai suoi ammiratori perchè è riuscito ma
entemente ; Placido Bordoni inventò interamente l’Ormesinda, e merita
che
si conosca dagl’ intelligenti ; Torquato inventò
e diede in esso un esimio modello del vero personaggio tragico ; ciò
che
dovea riflettersi dall’ Alfieri, e da altri che m
onaggio tragico ; ciò che dovea riflettersi dall’ Alfieri, e da altri
che
mostrano di non apprezzar quel gran Poeta. Non è
sino. Ella trionfa, versa tanto sangue, opprime tutti, uccide Romilda
che
ha tanta virtù Quanta il ciel mai ne acchiuse in
mana matrigna, e all’ uccisore di suo padre. Anche il prode Ildovaldo
che
ha più volte giurata la morte di Almachilde, esse
sere questa tragedia ? Dipingere (egli dice(a) un Nerone per impedire
che
vi sieno altri Neroni, per indurre un terribiliss
reno del divenirlo. Ma qual mezzo vi adopra ? Ne mostra forse il fine
che
fece ? i palpiti, i rimorsi, i terrori notturni c
tra forse il fine che fece ? i palpiti, i rimorsi, i terrori notturni
che
l’agitarono secondo Tacito nella notte precedente
ella notte precedente al suo esterminio ? Ne rileva la naturale viltà
che
l’ astrinse a divenire boja di se stesso ? Al con
o, più l’ amo, e più sempre D’amarla giuro. Bella maniera d’impedire
che
pulluli la perversa genìa de’ Neroni ! Vero è per
impedire che pulluli la perversa genìa de’ Neroni ! Vero è per altro,
che
questa Ottavia supera l’altra attribuita a Seneca
hanno passioni e vizii comici e comunali. Malgrado de’ tratti sublimi
che
in essa trovansi sparsi, nè il Cesarotti potè neg
’oppressione repentina della tirannia, e pel ravvedimento del tiranno
che
spira. L’eroismo trionfa in Timoleone senza tradi
stesso punito si rende compassionevole, ed ammaestra col morir meglio
che
non visse. Ma rincrebbe a due dotti critici che T
stra col morir meglio che non visse. Ma rincrebbe a due dotti critici
che
Timoleone alla vista del fratello ucciso mostri r
ietro Schedoni(b). L’autore si discolpò rispondendo al primo con dire
che
avea dati i rimorsi a Timoleone in grazia de’ mod
ne in grazia de’ moderni spettatori, i quali non potrebbero tollerare
che
un fratello uccisore dell’ altro l’avesse mirato
to con fermezza stoica (c). Nè anche, secondo me, sarebbe bastato ciò
che
il Cesarotti consiglia, cioè che Timoleone dicess
che, secondo me, sarebbe bastato ciò che il Cesarotti consiglia, cioè
che
Timoleone dicesse : io uccisi il tiranno, ora va
nto sul finire quando dovrebbero essere più energici. Io direi ancora
che
i rimorsi di Timoleone non gli disconvengono, nè
Timoleone non gli disconvengono, nè sono orribili a segno di mostrare
che
si fosse deturpato del più nefando delitto. Essi
ù nefando delitto. Essi sono anzi quali esser debbono di un cittadino
che
non si pente del bene che ha fatto alla patria, m
no anzi quali esser debbono di un cittadino che non si pente del bene
che
ha fatto alla patria, ma prova intanto intimo cor
doglio per averlo dovuto conseguire coll’ ammazzamento di un fratello
che
amava dopo della patria. Merope. Tra tante pruov
di un fratello che amava dopo della patria. Merope. Tra tante pruove
che
dimostrano Euripide gran tragico, ed Aristotile n
ed Aristotile non meno grande osservatore, può noverarsi la bellezza
che
mai non invecchia del soggetto del Cresfonte idea
rirsi per mostrare perchè un disarmato potè prevalere e prevenire uno
che
gli si avventò collo stile alla mano. Ottima è la
a quarta di Egisto con Merope e felice e naturale il candido racconto
che
a lei fa dell’ ucciso che singhiozzando nominava
ope e felice e naturale il candido racconto che a lei fa dell’ ucciso
che
singhiozzando nominava la madre sua, alla cui imm
ominava la madre sua, alla cui immagine si desta il palpito di Merope
che
si sovviene di suo figlio. È dipinta altresì egre
dre in ogni tratto, e singolarmente alla vista del cinto insanguinato
che
migliora il segno dell’ armatura da Voltaire sost
di Polidoro con Egisto nel punto in cui è esposto al furore di Merope
che
lo crede uccisore del proprio figlio anima l’atto
a l’atto IV. Pur la sua lunghezza potrebbe (stò per dire) far pensare
che
Polidoro siesi a bello studio fermato perchè arri
si a bello studio fermato perchè arrivasse Merope con Polifonte senza
che
potesse avvertirla. Finalmente sembra che Polifon
Merope con Polifonte senza che potesse avvertirla. Finalmente sembra
che
Polifonte nell’ ultima scena abbia più pazienza e
onte nell’ ultima scena abbia più pazienza e meno scorgimento di quel
che
a lui bene starebbe in lasciar tanto dire a Merop
imento di quel che a lui bene starebbe in lasciar tanto dire a Merope
che
tiene a’ Messenii lunghi discorsi sediziosi. Evit
ossimeranno alle doti inarrivabili dell’ Alfieri ! Deh quando avverrà
che
in un tragico italiano arrivi a congiungersi con
aliano arrivi a congiungersi con lo stile di Monti o di qualche altro
che
non trascuri di colorire, ed il patetico e la del
lerati, e nulla quasi i personaggi principali. Arrigo principe inetto
che
non sa distinguere nè la verità in bocca della re
ico. Il ministro protestante Lamorre ha i distintivi de’ falsi divoti
che
insinuano guerre stragi atrocità predicando pace
futuri casi di Maria, come ciò può avvenire senza superna ispirazione
che
non si presume in Lamorre ? Anche in questa trage
er impunito il regicida e gli altri fraudolenti ministri(a). Quindi è
che
lo stesso sagacissimo autore pronunziò su questa
uindi è che lo stesso sagacissimo autore pronunziò su questa tragedia
che
i personaggi principali sono deboli e nulli, e ch
su questa tragedia che i personaggi principali sono deboli e nulli, e
che
per ciò la reputa la più cattiva di quante ne ha
più cattiva di quante ne ha fatte o fosse per farne, e la sola forse
che
egli vorrebbe non aver fatta. La Congiura de’ Pa
, il quale ama lei, ama i figli, ma congiura contro i fratelli di lei
che
tiranneggiano la patria. L’avversione di Roma tra
Raimondo impaziente di trovarsi al tempio ed agitato per la tenerezza
che
ha per lei e pei figli. La sua venuta col pugnale
ella Toscana quale pretese dipignerlo l’autore ? Ed a qual Bruto vuol
che
si rassomigli ? A Giunio, o a Marco ? Qual sacrif
la bontà e la giustizia, non coll’ offenderla. E qual Bruto è costui
che
vorrebbe obbliare di esser uomo ? Dice : Deh pot
imondo offeso per essergli stato tolto l’impiego di gonfaloniere, par
che
aspiri a una vendetta più che a liberar la patria
to tolto l’impiego di gonfaloniere, par che aspiri a una vendetta più
che
a liberar la patria. Non dissento dal dir dell’er
ar la patria. Non dissento dal dir dell’erudito professor Carmignani,
che
il consiglio di Raimondo, Salviati e Guglielmo ne
Quando ancora la congiura riuscisse, altro non porterebbe sul teatro
che
un evento comunale. Nè l’interesse può essere pe’
l’interesse può essere pe’ tiranni renduti odiosi, nè pe’ congiurati
che
non aspirano che al sangue ed alla vendetta. Ed i
essere pe’ tiranni renduti odiosi, nè pe’ congiurati che non aspirano
che
al sangue ed alla vendetta. Ed in fatti l’autore
ergici, elocuzione senza durezze, e senza ornamenti superflui, azione
che
rapida core alfine senza riposi oziosi. In Cosimo
a per la perfidia di lui uccisore dell’innocente Diego ; ed è il solo
che
rimane nella tragedia impunito, la quale può anch
secrando misfatto. Nel leggerla preso non fui da quel tragico terrore
che
cercasi eccitare nella tragedia ; ma si bene da o
, da rincrescimento ed indignazione. E come poteva lusingarsi Alfieri
che
il suo Garzia riscossa avrebbe meritamente compas
ine e cade vittima del proprio padre, non già per l’esecrabil delitto
che
commette, ma per un altro, cioè per aver trafitto
nebre il proprio fratello. Egli non riscuote dal pubblico altra pietà
che
quella che si dà ai malvagi che spirano sul patib
oprio fratello. Egli non riscuote dal pubblico altra pietà che quella
che
si dà ai malvagi che spirano sul patibolo. E che
non riscuote dal pubblico altra pietà che quella che si dà ai malvagi
che
spirano sul patibolo. E che avviene di Pietro l’u
tra pietà che quella che si dà ai malvagi che spirano sul patibolo. E
che
avviene di Pietro l’unico fabbro d’ogni scellerat
id giusto e prode, Gionata ottimo amico di lui, lo zelante Achimelech
che
fa contrasto con Abner invido nemico di David, e
erdere le ricchezze col rimettersi le leggi di Licurgo. Si è asserito
che
questa tragedia manchi d’interesse e di moto. Io
sse e di moto. Io trovo in essa una serie di scene interessanti, cioè
che
tengono sveglia l’attenzione di chi ascolta, e no
ioè che tengono sveglia l’attenzione di chi ascolta, e non permettono
che
l’azione si rallenti ; trovo altresì che vi regna
hi ascolta, e non permettono che l’azione si rallenti ; trovo altresì
che
vi regna un patetico che lacera i cuori con posiz
ono che l’azione si rallenti ; trovo altresì che vi regna un patetico
che
lacera i cuori con posizioni compassionevoli insi
ioni compassionevoli insieme e degne dell’eroismo spartano. Ciò parmi
che
non lasci desiderare in essa nè moto maggiore nè
giore interesse. Ecco dove io trovo la serie accennata ed il patetico
che
vi scorgo. In prima l’osservo nella seconda scena
ui segue l’abboccamento di Agide con Leonida. L’eroica sua franchezza
che
tutti palesa i proprii nobili sensi patriotici e
l suo collega nel regno, disviluppano a meraviglia l’eroismo spartano
che
lo riempie. In seggio, egli dice, Riponi or tu,
a sicurezza di morire torna al suo carcere. E non interessa un quadro
che
presenta il contrasto dell’ antica virtù spartana
le ricchezze sostenuta dall’ingrato Leonida ? IV nell’atto V la prima
che
è un monologo di Agide, in cui si vede a un tempo
lità di figlio di marito e di padre. Onde meglio sostener l’interesse
che
in sì patetico contrapposto ? V la quarta di Agid
i Agide con Agiziade, in cui si disviluppano i suoi teneri sentimenti
che
non iscemano l’amor dominante della patria. Qual
gide Oh gioja...or dammi..... Agesistrata Scegli. Due ferri son, quel
che
tu lasci è il mio. Agide Oh cielo !…E vuoi… Agest
ati ad onta del comando di Leonida rimangono immobili. Agide gli dice
che
egli stesso lo trarrà d’impaccio ; raccomanda a l
accio ; raccomanda a lui la figlia e si ferisce. Ansare si meraviglia
che
avesse un ferro. Agesistrata ripiglia, due ne rec
si conterà tralle ottime dell’ Alfieri ? Sofonisba. Ci dice l’autore
che
Sofonisba è una delle cinque ultime tragedie da l
i concepite e verseggiate due o tre anni dopo le altre quattordeci, e
che
la lor dicitura li pare più maestosamente semplic
ca fortuna. Ha questa tragedia quattro soli personaggi, come le prime
che
fece imprimere ; ed è per questa solita inopia ch
ggi, come le prime che fece imprimere ; ed è per questa solita inopia
che
vi abbondano i monologhi, e vi si vede alcuna inv
a nobilmente delineata. Siface non è men generoso per amore di quello
che
si dimostra la consorte per fuggir la propria ver
to. Forse questi due principi Affricani cadono in tal rabbia amorosa,
che
non a torto vien ripresa dal sagace critico Pietr
o vien ripresa dal sagace critico Pietro Schedoni. Ciò però non parmi
che
pregiudichi all’effetto della tragedia, dovendo t
ne grande per se stesso, nella tragedia non ispiega se non l’amicizia
che
ha per Masinissa per salvarlo, scusarlo, compatir
o importante. Ben sel vide il valoroso autore, e candidamente affermò
che
egli raffredda l’azione ogni volta che se ne impa
autore, e candidamente affermò che egli raffredda l’azione ogni volta
che
se ne impaccia. Bruto primo è dedicata al genera
no Washington. V’intervengono sei personaggi, oltre del Popolo Romano
che
anche parla. Dopo il Giunio Bruto del Conti, e qu
simio, esservi duplicità di azione in tal tragedia ; l’una è il mezzo
che
i consoli impiegano per l’espulsione de’Tarquinii
i consoli impiegano per l’espulsione de’Tarquinii, l’altra l’effetto
che
produce in Bruto la congiura de’suoi figli. Io os
punisce. L’oggetto è un solo, lo stabilimento della potestà consolare
che
disviluppa in conseguenza l’eroismo di Bruto. Con
iluppa in conseguenza l’eroismo di Bruto. Convengo col critico sagace
che
la serie istorica dalla morte di Lucrezia a quell
st’effetto si ottenga o no, non può comprovarsi se non coll’interesse
che
vi prende il leggitore o lo spettatore nella rapp
leggitore o lo spettatore nella rappresentazione. E niuno avventurerà
che
non produca il suo effetto, vale a dire che non i
ione. E niuno avventurerà che non produca il suo effetto, vale a dire
che
non interessi la parlata di Bruto nell’atto I, e
rlata di Bruto nell’atto I, e la vista del corpo di Lucrezia trafitta
che
tutta infiamma l’indignazione del Popolo, e l’esp
giacciono nell’atto IV, disviluppa egregiamente il carattere di Bruto
che
obblia di esser padre, e rammenta solo di esser f
olo di esser figlio di Roma. Il pentimento de’figli più inconsiderati
che
colpevoli di tradimento lacera il cuore di sì gra
… Il pianto Dir più omai non mi lascia… Addio, miei figli. Possibile
che
ciò non interessi ? Tutto l’atto V che consiste i
Addio, miei figli. Possibile che ciò non interessi ? Tutto l’atto V
che
consiste in due non brevi scene, contiene l’espos
altri. Ma Bruto con eminente costanza aringa mostrando l’ingiustizia
che
si commetterebbe salvando solo i suoi figli ; e i
ma è Bruto. Popolo È il dio di Roma… Bruto Io sono L’uom più infelice
che
sia nato mai. Mirra dedicata alla contessa Luis
suo modo colla possibile decenza. Egli ha mostrata sempre Mirra senza
che
parli del suo detestabile amore. Egli ha preteso
a difficoltà col fuggirla. Macchiata Mirra dell’amore più detestabile
che
trovisi dall’antichità favoleggiato, ella si rend
l più rigido filosofo non prescriverebbe rimedii più attivi di quelli
che
a se Mirra stessa impone per seppellire nel fondo
A costo di morir languendo ella tace, ella sceglie uno sposo amabile
che
l’adora, ella impetra di abbandonare i suoi, come
abbandonare i suoi, come celebrate siensi le nozze. Ma onde proviene
che
si opponga a ciò che propone, ed era vicino ad ef
come celebrate siensi le nozze. Ma onde proviene che si opponga a ciò
che
propone, ed era vicino ad effettuarsi, e che cagi
ene che si opponga a ciò che propone, ed era vicino ad effettuarsi, e
che
cagioni così la morte di Pereo, ed incorra nello
Alfieri, e soverchiata dagl’interni tumulti, da quel nefando incendio
che
la divora, per esser pervenuto al punto in cui le
avrebbero potuto ottenere l’effetto conseguito dal Racine. Dico solo
che
ciò avrebbe scusato in parte il criminoso ardore
iù la compassione tragica. Qual pietà non avrebbe eccitata una fiamma
che
più non era in sua balia di vincere per la supern
a fiamma che più non era in sua balia di vincere per la superna forza
che
la preme ? Se ella allora con impeto da forsennat
rvito di questa molla. Appigliandosi alle vie più umane dipinge Mirra
che
manca di forza per eseguire la sua partenza. Cini
anza ; obbligata a parlare persiste a tacere ; a Ciniro par di vedere
che
ella ama, ed ella lo confessa col più angoscioso
lla ama, ed ella lo confessa col più angoscioso stento. Dubita Ciniro
che
sia oscura ignobile la sua fiamma, ed ella nega,
per l’ultima volta, Lasciami il piè ritrarre. Ciniro al fin le dice
che
i suoi modi le hanno tolto l’amor del padre. Mir
esta abbattuto dall’ orrore, dall’ira, dalla pietà. Arriva Cecri, ode
che
Mirra giace svenata di propria mano, e che ardeva
a pietà. Arriva Cecri, ode che Mirra giace svenata di propria mano, e
che
ardeva per Ciniro suo padre, il quale le dice, an
Che ti fa nullo a’tuoi stessi occhi, e avvinto Ti tiene schiavo, più
che
altrui non tieni. A esser Cesare impara oggi da B
suo figlio ; e la scena prende nuovo vigore per la natural tenerezza
che
in entrambi traluce, nulla togliendo al carattere
ma la libertà. Bruto nell’ atto V prende la parola nel Senato, e dice
che
Cesare è venuto per mostrare che sa trionfar di s
prende la parola nel Senato, e dice che Cesare è venuto per mostrare
che
sa trionfar di se stesso, e per far certo il Sena
per mostrare che sa trionfar di se stesso, e per far certo il Senato
che
saranno ristabilite le leggi. Cesare col dar ordi
si avventano a Cesare e l’uccidono. Incresce in tal rappresentazione
che
, mentre gli altri percuotono il dittatore, Bruto
iù da lui lontano o perchè si trattiene per esser suo figlio, dica E
che
io sol ferir nol possa ! Queste parole non sono
essere autore o dell’ una o dell’altra produzione, se non dipendesse
che
dalla scelta ? Terminano esse differentemente per
desse che dalla scelta ? Terminano esse differentemente per l’oggetto
che
entrambi gli autori si prefissero. Volendo Voltai
e mettere alla vista la Morte di Cesare passò a far comparire Antonio
che
col presentare il corpo di Cesare trafitto e most
a perseguitare gli uccisori. Alfieri si arrestò alla parlata di Bruto
che
persuade il Popolo a considerarlo come un tiranno
me un tiranno uceiso, perchè gli bastò di rilevare l’eroismo di Bruto
che
fa rinascere la libertà. Quanto a tutte le traged
agedie di Vittorio Alfieri, malgrado delle critiche o sagge o scempie
che
hanno inondata l’Italia, possono ben contarsi, a
el secolo XVIII. Che se alcun giovane volesse intendere la differenza
che
in esse a me par di vedere, dirò che reputo eccel
volesse intendere la differenza che in esse a me par di vedere, dirò
che
reputo eccellenti coll’ ordine seguente : Bruto p
zza e del meritato credito dell’ autore Maria Stuarda e Rosmunda. Sia
che
il genio degl’ Italiani più volentieri inclini a
le tracce di Euripide e di Racine il patetico proprio della tragedia,
che
certo sublime sistema politico proprio dell’ insi
ublime sistema politico proprio dell’ insigne Vittorio Alfieri, o sia
che
l’indole della nostra lingua rifugga da varie nov
onto, si rimane tutto solo esposto all’ altrui ammirazione. Non credo
che
altri siesi avvisato di tenergli dietro, ad eccez
tri siesi avvisato di tenergli dietro, ad eccezion del signor Foscolo
che
occupa oggi un posto non comune fra gli uomini di
he e francesi, impresse in Milano ; almeno l’ho tentato. Certo è però
che
Ippolito Pindemonte ha corso miglior sentiero nel
orso miglior sentiero nell’ Arminio. Conosco un Germanico manoscritto
che
dimostra parimenti che può ottenersi il sublime s
ell’ Arminio. Conosco un Germanico manoscritto che dimostra parimenti
che
può ottenersi il sublime senza stranezze di lingu
in Milano sul teatro già detto Patriotico ed ultimamente Filarmonico,
che
s’impresse nel 1804. Posso attestare come testimo
nico, che s’impresse nel 1804. Posso attestare come testimone oculare
che
al rappresentarsi il destino del saggio dell’ ant
e oculare che al rappresentarsi il destino del saggio dell’ antichità
che
fralle tenebre del gentilesmo seppe rintracciar l
questa tragedia rileva un trionfo della virtù di Socrate, ed un passo
che
lo conduce gloriosamente alla morte. Nell’ atto I
mente alla morte. Nell’ atto I egli si oppone agli amici e discepoli,
che
vogliono per lui domandare l’onore del Pritaneo.
esiste nel secondo alle amorevoli avvertenze dell’ arconte Policrate,
che
gl’ insinua di opporsi alla domanda de’ suoi amic
oli per salvar la vita al traditore Melito suo nemico, ed a Policrate
che
gli palesa la richiesta onorevole del re Archelao
nel IV Policrate intento a salvarlo manifesta al Consiglio l’offerta
che
fa Archelao di soccorrere Atene colle sue forze p
pone di differirsi l’esame del proposto soccorso, ma vorrebbe intanto
che
ad Archelao si concedesse Socrate. A ciò egli fra
Socrate in pace ed in guerra. L’insidioso Anito inerisce, ma insiste
che
si distrugga la taccia appostagli da Melito, e vu
, ma insiste che si distrugga la taccia appostagli da Melito, e vuole
che
Socrate manifesti l’esistenza de’ numi, e giuri o
ri ossequio a’sacerdoti. À ciò Socrate eroicamente esclama, Non v’ è
che
un Dio… Non v’ è che un Dio somma cagione eterna…
ti. À ciò Socrate eroicamente esclama, Non v’ è che un Dio… Non v’ è
che
un Dio somma cagione eterna… Ei non esteso Abbrac
Abbraccia l’infinito, e l’infinito Con lui nessun divide… Non conosco
che
Dio, lui solo adoro. Morte morte gridano allora
ompiesi il trionfo di Socrate nell’ atto V. Egli rimprovera i seguaci
che
tumultuano. Disarma il trasporto di Critone ; chi
stode, bee il veleno ed è sciolto. Giugne Telaira colla lieta novella
che
il Popolo ha dichiarato Socrate innocente e degno
. Contento io moro. Gli ultimi suoi respiri spendonsi nell’intendere
che
in Telaira celisi la sua figlia Fenarete, ed esse
emo… Lo spirito è immortal. Voi lo credete, E piangete così ?.. Sento
che
omai Cede il vigor… manca il respiro… Ah reggi Il
… Sei tu mia figlia ? Parlami. Telaira Ah padre ! Socrate Ed è questa
che
stringo La man ?.. Critone Del tuo Criton. Son io
ggia chiudendovi Annibale per trionfarne in Roma ; ma egli col veleno
che
avea nella sua gemma fugge l’obbrobrio. La traged
me egli dice, Io parlerò come combatto. Ma in fine gli dice Flaminio,
che
pretendi ? ed egli : Perseguitarvi, nuocervi, at
o bevuto il veleno delude la speranza del fallace Flaminio, e predice
che
un giorno anche Roma soggiacerà alla schiavitù, e
’ombra di Annibale. Mancando dice poscia : Nicomede ? Nicomede Parla
che
brami ? Annibale Odia i Romani… io moro. Ma gl’i
iore commedia, e per due migliori melodrammi eroico e giocoso. Dicesi
che
sono in Napoli venuti da più regioni Italiane olt
di Euripide ed il garbo e la grazia di Racine, e le fervorose faville
che
brillavano sul plettro della Lesbia Poetessa(a).
Poetessa(a). Se questo Concorso continuerà, nella calma dell’ Europa
che
si attende a momenti, non sarà difficile che la D
nella calma dell’ Europa che si attende a momenti, non sarà difficile
che
la Drammatica prenda nuovo vigore dentro il recin
isse contro il primo il famoso Femia sentenziato componimento scenico
che
porta la data di Cagliari del 1724 ed il nome di
ntò un verso di quattordici sillabe . Non è questo l’unico sproposito
che
ha scarabbocchiato l’obbliato Aristarco Scannabue
m in Gallia, vel quasi nostram libenter cooptabimus. (a). Odasi ciò
che
in tal proposito annotò sulla mia Storia de’teatr
sion qui par elle même a quelque chose de divin. E chi crederebbe mai
che
questo Eratostene della Francia, il quale predica
iniqua satira, sia poi egli stesso tante volte caduto in questi vizii
che
detesta ? Una evidentissima pruova fralle altre e
sta ? Una evidentissima pruova fralle altre ei ne diede nella lettera
che
scrisse prendendo il nome di m. la Lindelle contr
contro l’autore della Merope, col quale amichevolmente carteggiava, e
che
per ogni titolo meritava da lui riguardo come vir
rtuoso cavaliere, e come letterato insigne » ec. (a). Cooper Walker
che
la vide nel 1792, la riferisce nella Sezione III
nno Teatrale a Venezia lo stile lirico, la qual cosa è quello appunto
che
i Cori esigono, come si vede nelle tragedie grech
ms del Sistema Melodrammatico involate da certo commediante fallito (
che
frequentava in uno degli appartamenti del palazzo
altro. Delle due tragedie del Bordoni seppi dal sig. Zanoni nel 1810
che
l’ebbe egli da quel commedianto che le involè. Se
ni seppi dal sig. Zanoni nel 1810 che l’ebbe egli da quel commedianto
che
le involè. Sento che l’Ormesinda sia stata da non
oni nel 1810 che l’ebbe egli da quel commedianto che le involè. Sento
che
l’Ormesinda sia stata da non molto impressa. (a)
sa. (a). Così ne parlammo nel 1798 nelle Addizioni, Ho di poi inteso
che
si appartenga all’abate Francesco Salfi calabrese
appartenga all’abate Francesco Salfi calabrese di Cosenza. L’analisi
che
ne feci trovasi nelle Addizionì fatte alla Storia
nì fatte alla Storia de’ Teatri nel 1798. Se l’opera morì nascendo, a
che
riprodurne la centura ? Accenniamo soltanto di vo
ì nascendo, a che riprodurne la centura ? Accenniamo soltanto di volo
che
mancano allo stile que’ tratti vivaci che chiaman
Accenniamo soltanto di volo che mancano allo stile que’ tratti vivaci
che
chiamansi colori dell’ opera. (a). Chi ne brama
iamansi colori dell’ opera. (a). Chi ne bramasse l’analisi compiuta
che
già ne feci, consulti le citate Addizioni impress
na 196 alla 212. (a). Di tutto ciò si trovano le prove nell’ analisi
che
se ne impresse nelle citate Addizioni dalla pagin
os enunciata nel numero 100 del Mercurio del 1793. Visi aggiugne però
che
la Corte di Madrid non avrebbe voluto che si rapp
el 1793. Visi aggiugne però che la Corte di Madrid non avrebbe voluto
che
si rappresentasse, la qual cosa a me sembrò una p
a qual cosa a me sembrò una pura ciarla del gazzettiere. E’verisimile
che
quella corte fosse sollecita di far sopprimere un
i Filippo II nel componimento intitolato el Segundo Seneca de España,
che
appunto si aggira sulla rivolta delle Fiandre e s
a). Si trova anche inserita nel tomo IV a c. 97 de’miei Oi. (a). Ma
che
ne disse il gazzettiere enciclopedico traspiantat
d’occhio ? Che il Monti con quel testo Oraziano avea voluto enunciare
che
la tragedia del Manfredi era urbana, cioè che tra
o avea voluto enunciare che la tragedia del Manfredi era urbana, cioè
che
trattava di principi ma non di prima classe. Il b
gli ne indovini una ? Come è mai fatta la retina di cotal cianciatore
che
tutto gli dipinge a rovescio ? (a). Oltre agli s
i verificare ora se queste ultime sieno trascritte dal m s. spagnuelo
che
io lessi, non avendole più sotto gli occhi. L’Alf
ademia Napoleone. (a). Nel Parere sull’Ottavia. (a). Nella lettera
che
scrisse all’ Autore. (b). Nel ragionamento sopra
atore privo di occhi. Per rendergli la vista, esporremo quì l’epilogo
che
l’istesso celebre Autore fece del suo Salto di Le
arte Giuseppe De Marini e Luigi Vestri, attori massimi del lor tempo,
che
, affezionatisi alla fanciulla ben promettente di
lla, recitando a Padova colla Compagnia, provocò il seguente articolo
che
traggo dalle Varietà teatrali del ’24 (Venezia, R
tissime speranze di pareggiare ben presto le decantate prime attrici,
che
l’han preceduta. Nulla le manca ad essere nel num
rappresentare i suoi caratteri, e troppo bello e giocondo il difetto,
che
alcun rigido osservatore in qualche parte le addo
e addossa, d’essere cioè troppo giovine. Oh ! quanto meglio ciò conta
che
il vedere provetta attrice con tre dozzine d’anni
attrice. Al principio del 1824 seguì con la madre il Fabbrichesi
che
lasciava Napoli per condurre la Compagnia nell’It
za, per sostener le parti di prima attrice in quella filodrammatica….
che
lasciò dopo un anno per formare una compagnietta,
ella Bettini ; chè ogni sera il teatro riboccava di spettatori, tanto
che
, nella sola primavera di Trieste, sappiamo che il
a di spettatori, tanto che, nella sola primavera di Trieste, sappiamo
che
il Mascherpa guadagnò nette 27,000 lire austriach
scherpa guadagnò nette 27,000 lire austriache. Tornò poi col Nardelli
che
ella amava come padre, e che, in capo a tre anni,
lire austriache. Tornò poi col Nardelli che ella amava come padre, e
che
, in capo a tre anni, messa assieme la non lieve s
llo del veronese. Dai versi di un cigno livornese, non certo morente,
che
qui riproduco, e che debbo alla cortesia del dott
versi di un cigno livornese, non certo morente, che qui riproduco, e
che
debbo alla cortesia del dott. Diomede Bonamici, s
, non so dire da quali e quante proposte ella fu assediata ; proposte
che
non furon poi accettate, perchè ella si risolse p
e accoglienze festose, gli stessi onori prodigati alla grande attrice
che
la precedette, e che per ben diciassette anni fu
, gli stessi onori prodigati alla grande attrice che la precedette, e
che
per ben diciassette anni fu l’idolo di quel pubbl
ar parte della Compagnia dei Fiorentini per l’anno 1840 ; e soggiunge
che
la società si compone di esso lui, del cognato Ad
del cognato Adamo Alberti e di Prepiani socio di Tessari. Si capisce
che
l’attrice ha esposto le sue pretese ; a cui il Mo
ese ; a cui il Monti risponde il 21 dicembre : Dalla tua ho rilevato
che
tu o non hai piacere di far parte della nuova com
tu o non hai piacere di far parte della nuova compagnia propostati o
che
tu hai voluto scherzare……………. …. ti rammento anco
propostati o che tu hai voluto scherzare……………. …. ti rammento ancora
che
per ora dalla sopraintendenza posti assoluti non
praintendenza posti assoluti non se ne danno, come pure abbi presente
che
l’Egregio benemerito Fabbrichesi per pagar molto
o benemerito Fabbrichesi per pagar molto fu obbligato partire ad onta
che
aveva L. 4500 di più dalla Corte oltre L. 24,000
Monti, Ricevo la tua 21 spirante e la riscontro al momento. Si vede
che
tu conosci poco il mio carattere – per tua norma
ma io sono seria sempre e non amo per nulla scherzare. Vedo piuttosto
che
tu sei d’umore molto allegro. Come ? oltre il tuo
o. Come ? oltre il tuo invito di limitarmi sulla paga, mi dici ancora
che
la vostra Sopraintendensa non accorda posti assol
vostra Sopraintendensa non accorda posti assoluti ! Mi fai osservare
che
il mio amor proprio sarà appagato ? Non ho bisogn
nire a Napoli per godere di questa soddisfazione…. anzi più di quello
che
lo è nell’alta Italia non potrei desiderarlo. Con
che lo è nell’alta Italia non potrei desiderarlo. Conosco chiaramente
che
siete voi piuttosto che non aggradite troppo di a
a non potrei desiderarlo. Conosco chiaramente che siete voi piuttosto
che
non aggradite troppo di avermi nella vostra Compa
o che non aggradite troppo di avermi nella vostra Compagnia piuttosto
che
dire ch’io non amo di farne parte. Di quanto scri
o vi verrà in capo di pensare a me ricordatevi di parlare sul serio e
che
io non scherzo mai. Mamma ed io contraccambiamo
rio e che io non scherzo mai. Mamma ed io contraccambiamo gli augurj
che
c’invil per il nuovo anno. Salutami tua moglie e
prima attrice assoluta nella propria Compagnia alle stesse condizioni
che
ha col Nardelli, e soggiunge : Mi si dice che qu
alle stesse condizioni che ha col Nardelli, e soggiunge : Mi si dice
che
quest’ultimo non prosegua oltre il 39 ed è perciò
e : Mi si dice che quest’ultimo non prosegua oltre il 39 ed è perciò
che
le avanzo questa proposizione, in caso contrario
aprile il Monti torna alla carica dicendo : ………………………………….. Ecco ciò
che
ti offro : Posto assoluto di Iª donna – onorario
ime 4 commedie e le prime 4 tragedie a tua scelta ed oltre de’ riposi
che
dà la piazza, uno d’obbligo alla settimana…… L’1
ecc. scrive da Bergamo il 21 aprile 1840 rallegrandosi colla Bettini
che
debuttava a Torino quale prima attrice della Real
a sua nuova posizione per farle in caso delle proposte. Vi è un P. S.
che
trascrivo : In questo momento ricevo una lettera
uieta, nella qual parte piacque infinitamente. Soggiunge mio fratello
che
la prima sera non piacque nè al pubblico, nè ai c
ighi soggiunge : Fra i nuovi attori per Napoli, io sono stato quello
che
da principio ho trovato più opposizione degli alt
principio ho trovato più opposizione degli altri, come è vero altresì
che
più presto degli altri mi è riuscito di vincerla.
ni. L. Da Rizzo il 7 luglio 1840 scrive da Roma : Vengo assicurato
che
Ella non rimanga, dopo il corrente anno, nella Re
alla madre dell’Amalia : Ho veduto alcune lettere scritte da Torino
che
accertano lo scioglimento col signor Bazzi, di su
che accertano lo scioglimento col signor Bazzi, di sua figlia. è vero
che
io non porto un nome Reale ma ho sempre fatto ono
. Ora vien fuori Francesco Paladini da Ravenna il 25 agosto, dicendo
che
è in trattative di far società con Domeniconi, e
ndo che è in trattative di far società con Domeniconi, e quindi spera
che
la Bettini cui si dirige, accetti d’andare con es
n essi. Dopo ciò si sfoga contro le arti di una mala femmina ingrata,
che
dopo averlo lusingato per averlo in Compagnia, gl
ni fattele dalla Compagnia Reale, e conclude : Gli attori principali
che
avrei in vista e che potrei con certezza stabilir
agnia Reale, e conclude : Gli attori principali che avrei in vista e
che
potrei con certezza stabilire sono questi : Ferri
; di questi due ultimi mi si fanno grandi elogi – la coppia Pedretti
che
non abbandonerò mai…. Il 12 settembre il solito
dretti che non abbandonerò mai…. Il 12 settembre il solito Paladini,
che
avrà già recitato il Bicchier d’acqua, trovandosi
ntire le pretese per far parte di una Compagnia semi-sedentaria (sic)
che
si vuol formare colà a cominciare dal 1842. Un Ci
crive da Forlì il 17 settembre una supplica : Mi viene fatto suporre
che
quest’altro anno la brava, imparegiabile Bettini,
il caso io vado in tracia della mia fortuna, si come fu di Nardelli,
che
non fa che ripetere, la mia sorta la Devo alla Be
vado in tracia della mia fortuna, si come fu di Nardelli, che non fa
che
ripetere, la mia sorta la Devo alla Bettini…. Il
la Devo alla Bettini…. Il Paladini il 24 settembre da Roma annunzia
che
il progetto della Compagnia semi-sedentaria è cad
azzi per prendere la sua Compagnia per l’autunno 42, ma appena inteso
che
ella in quell’epoca non si trova più in codesta C
o fondate giustamente sulla somma e gran Bettini. Mi è stato supposto
che
ella faccia Compagnia per quel tempo : se ciò fos
erchè mi preme e desidero sommamente di combinare con quel capocomico
che
ella anderà…. Nello stesso giorno il Da Rizzo le
a anderà…. Nello stesso giorno il Da Rizzo le scriveva da Roma : So
che
finalmente Ella ha potuto ottenere il tanto brama
li elementi necessari a formare un’altra primaria Compagnia, nel caso
che
la signora Internari fosse contenta di proseguire
ive per l’anno 1842, e così Da Rizzo da Roma il 16 dello stesso mese,
che
accenna che fra gli attori disponibili per il ’42
no 1842, e così Da Rizzo da Roma il 16 dello stesso mese, che accenna
che
fra gli attori disponibili per il ’42 spera di tr
ndo delle pretese, dice : Circa all’onorario vi prego di considerare
che
la Compagnia Reale di Torino ha un provvedimento
siderare che la Compagnia Reale di Torino ha un provvedimento sovrano
che
manca alle altre Compagnie girovaghe e le 12,000
che manca alle altre Compagnie girovaghe e le 12,000 lire austriache
che
vi avevo accordato credo che sia il maggiore stip
ie girovaghe e le 12,000 lire austriache che vi avevo accordato credo
che
sia il maggiore stipendio che queste possano acco
austriache che vi avevo accordato credo che sia il maggiore stipendio
che
queste possano accordare ; non è questa un’ offes
al vostro sommo ed incontestabile merito, ma sono i meschini proventi
che
si ricavano dagli esercizi drammatici nel nostro
rvizio di S. M. Maria Luigia, ecc. Scrive da Bologna (20 ottobre ’40)
che
ha ricevuto la lettera che gli sopragiunse da Ven
a, ecc. Scrive da Bologna (20 ottobre ’40) che ha ricevuto la lettera
che
gli sopragiunse da Venezia e lagnandosi di non av
idenza, ho perchè non mi credevate vero ed onesto amico – ed assicuro
che
non ho fatto traspirare a nessuno la vostra lette
la !!!) datte un Baccio alla mamma, ecc. » Il Mascherpa ha indovinato
che
la Bettini si marita, e scrive da Bologna il 19 n
i si marita, e scrive da Bologna il 19 novembre ’40 : …. mi confermo
che
la vostra rissoluzione è fatta per accasarvi. Io
accasarvi. Io vi auguro tutti i beni e vi desidero tutte le felicità
che
non vi potranno mancare per la vostra onesta cond
a Reale. E torna Da Rizzo l’8 maggio 1841 da Firenze, con una lettera
che
trascrivo quasi integralmente : Angelica Creatura
mio nume tutelare. E da Bologna, in data 18 maggio : …. la persona
che
ambirebbe avervi per cardine principale della Com
a persona che ambirebbe avervi per cardine principale della Compagnia
che
vuol formare per Firenze, non escludendo una qual
Poggio-Cajano, è pronta ad assicurarvi l’onorario sopra quella Banca
che
meglio vi piacerà di indicargli. Non posso dirvi
ca tutte le strade di andarsene, manca alle prove, non vuole recitare
che
le parti che le vanno a genio – qui è giunta un g
trade di andarsene, manca alle prove, non vuole recitare che le parti
che
le vanno a genio – qui è giunta un giorno dopo gl
andare a Marsiglia e tornare alla Compagnia alla fine di 7bre (vedete
che
pretese) glielo negai, perchè come doveva fare co
(vedete che pretese) glielo negai, perchè come doveva fare con Genova
che
sono pagato ? il mestiere per lei serve da second
er lei serve da secondo ; si teme…. si vedrà ! ad ogni piazza si teme
che
fuga si deve stare sempre in guardia e a dirvi il
i il vero sono stanco di fare questa vita ; infelice quel Capo Comico
che
la prenderà….. Qui abbiamo il Bazzi che le scriv
; infelice quel Capo Comico che la prenderà….. Qui abbiamo il Bazzi
che
le scrive da casa (Milano, 19 settembre 1841) per
ico suo obb.mo servo ed amico Gaetano Bazzi. E qui giova aggiungere
che
il Bazzi, il Monti e Jacovacci si facevano scrive
i si facevano scrivere le lettere e le loro firme sembrano i saldatti
che
certi faleniami mettano nelle liste ! Da Jesi, Ga
ri di Roma sarebbero intenzionati di formare una Compagnia Drammatica
che
facesse onore alla nostra bella Italia : codesta
apprezzano il tuo merito singolare…. …. Questi signori non attendono
che
questa tua risposta ed io egualmente onde non res
mia idea di trovarmi nuovamente vicino alla prima attrice drammatica
che
possa vantare la nostra Italia. Aff.° Osseq. ser
embre : Eccellente Amalia, La tua lettera gelò il sangue a que’ tali
che
ideavano averti per prima attrice in una Compagni
ue a que’ tali che ideavano averti per prima attrice in una Compagnia
che
per primo scopo doveva riformare il teatro italia
to alla buona recitazione. Io chino il capo alle circostanze : fa ciò
che
credi, quello che il cuore ti detta. Solo ti preg
tazione. Io chino il capo alle circostanze : fa ciò che credi, quello
che
il cuore ti detta. Solo ti prego, qualora nel ven
gno lo permetterà) cooperare con que’ pochi ottimi artisti drammatici
che
abbiamo in Italia (dai quali cerco imparare e le
massime e l’arte) onde formare un buon gusto generale in tutta Italia
che
va purtroppo scadendo colpa la noncuranza in che
rale in tutta Italia che va purtroppo scadendo colpa la noncuranza in
che
si tengono le cose vere e naturali, le finitezze,
le esagerazioni, contrarie il più delle volte al buon senso. Speriamo
che
il bel giorno venga e tu che hai coltura e reale
più delle volte al buon senso. Speriamo che il bel giorno venga e tu
che
hai coltura e reale abilità artistica e sentiment
nsiste per scritturarla qual prima attrice in una delle due compagnie
che
sta formando : e l’11 dicembre 1841 Corrado Vergn
st’ opera ti frutterà mille benedizioni ed ogni felicità. – È inutile
che
io spinga il tuo cuore con maggiori parole, sono
inutile che io spinga il tuo cuore con maggiori parole, sono persuasa
che
tu farai ogni sforzo per rendere la felicità ad u
di avvicinarsi alla « odierna celebrità drammatica. » Camillo Ferri,
che
incontrammo sui primi gradini di questa scala epi
ggregare alla sua « riunione drammatica. » Mascherpa ha sentito dire
che
il matrimonio non si fa più, e quindi da Firenze
Lottini, Branchi e i coniugi Pelizza. Anche Mascherpa ha sentito dire
che
il matrimonio è andato in emaus e canta da Livorn
in via Mercato nuovo, é pressato il poveretto da molti capocomici
che
vorrebbero scritturare la Bettini, fra i quali il
ocomici che vorrebbero scritturare la Bettini, fra i quali il Checchi
che
sarebbe pronto a dare qualsiasi anticipazione. Ch
onto a dare qualsiasi anticipazione. Chiude l’epistolario il Paladini
che
il 24 aprile 1842 si lusinga ancora di potere con
di ammirazione e di devozione, si aggiungon lettere e versi di grandi
che
facevano a gara nel tributarle degnissime lodi. N
ento di quello ch’è bello. Arnoldo Fremy (Costetti, op. cit., p. 21),
che
la sentì a Venezia, scrisse nella Revue de Paris
p. 21), che la sentì a Venezia, scrisse nella Revue de Paris del 1837
che
Amalia Bettini era la emulatrice di Fanny Kemble
anto amore, con tanta forza descritto dal Pellico ; anzi si può dire,
che
lo stesso autore avrebbe provato una nuova compia
rattere, la Bettini lo ha scolpito ; ella ebbe dall’autore una parola
che
passata sulle sue labbra conduceva al fremito, al
lle sue labbra conduceva al fremito, all’applauso, al delirio. Pareva
che
l’attrice volesse col vigore della sua anima, col
sione degli atti, coll’ardore del desiderio rientrare nell’entusiasmo
che
destò quell’alto lavoro ; pareva che un altro sen
iderio rientrare nell’entusiasmo che destò quell’alto lavoro ; pareva
che
un altro sentimento, non meno nobile e generoso,
ne, seguirla in que’ suoi atteggiamenti varj, in quei rapidi trapassi
che
l’eccesso di una passione immensa, combattuta, re
ensa, combattuta, rendeva in lei profondi, subitamente veraci, è cosa
che
non si può significare in brevi parole. Quando un
aggio all’arte stessa, per cui tanto si affatica, per cui si può dire
che
viva. Abbiasi per ora la nostra ammirazione, che
per cui si può dire che viva. Abbiasi per ora la nostra ammirazione,
che
riputiamo il più bell’elogio al suo merito, quand
ale. Queste bellissime parole trovo inserite nel bellissimo articolo
che
il Fiacchi dettava nel Piccolo Faust di Bologna,
ziosa e se chiamava Stella, poi c’era un padre, una testaccia storta,
che
strepitava : è quella o nun è quella. La parte de
itò, na certa Amalia, un angelo de Dio, ’na cosa rara. Che pparlate !
che
mmosse ! tutte fatte da incantà. Benedetta quella
arlate ! che mmosse ! tutte fatte da incantà. Benedetta quella bbalia
che
l’ha infisciata e che j’ha dato er latte ! E sot
tutte fatte da incantà. Benedetta quella bbalia che l’ha infisciata e
che
j’ha dato er latte ! E sotto un ritratto della B
isegnato dal vero da Pietro Petronilla (collezione Paglicci-Brozzi) e
che
io non riproduco per la poca differenza che è fra
ezione Paglicci-Brozzi) e che io non riproduco per la poca differenza
che
è fra esso e il precedente, son messe le parole d
di riverenza ! Chiudo queste notizie colle parole, tuttavia inedite,
che
un egregio artista contemporaneo, e affezionato c
di memoria ferrea, poteva fare a meno del rammentatore ; ed in 5 anni
che
ebbi il piacere di esserle al fianco come diretto
considerare la sua parte dal numero dei foglietti, ma dall’interesse
che
poteva avere nell’intiera produzione, poneva in t
te potean dirsi suoi cavalli di battaglia ; chè ben poche eran quelle
che
, mercè sua, passavan senza una replica ; moltissi
quelle che, mercè sua, passavan senza una replica ; moltissime quelle
che
ne avean cinque, sei, otto, fin dieci. Fra le pro
o Spagnuolo. Che influiscano potentemente sull’eloquenza i modelli
che
prendonsi ad imitare, oltre all’avvertimento di O
i modelli che prendonsi ad imitare, oltre all’avvertimento di Orazio
che
inculcava lo studio ostinato de’ Greci esemplari,
e nobile, doveano fuor di dubbio segnalarsi nelle amene lettere tosto
che
ne’ buoni esemplari additata lor si fosse quella
che ne’ buoni esemplari additata lor si fosse quella forma del Bello
che
il Gusto inspira ed alimenta negli animi gentili.
sificazione più armonica e più acconcia a ricevere le forme leggiadre
che
gli antichi seppero ricavar dalla bella natura. G
ichi seppero ricavar dalla bella natura. Gli Spagnuoli ne’ tre secoli
che
precedettero il XVI conobbero in qualche modo i L
i Dante, Petrarca, Sannazzaro, Ariosto e Bembo; ed in quel puro fuoco
che
spirano siffatti scrittori, si riscaldarono Garci
rse lo spirito stesso di cavalleria, e l’amore delle avventure strane
che
spinse Cervantes a motteggiarne nel Don-Quixote,
motteggiarne nel Don-Quixote, rendeva alla nazione accetto un teatro
che
n’era pieno. Forse tutte queste ragioni unite ins
li menò sovente fuori di strada; a somiglianza di un fogoso destriero
che
trascorrendo a salti per iscoscesi dirupi urta, r
uto di metafore strane e ridevoli. Noi non ne rechiamo quì gli esempi
che
avevamo raccolti per presentargli al signor Vicen
esempi che avevamo raccolti per presentargli al signor Vicente Huerta
che
n’era cieco idolatra, perchè la di lui morte ci s
di dargliele a conoscere. Oltreacciò non ignorano i sensati spagnuoli
che
l’istesso Lope de Vega, che non fu de’ più sobrii
treacciò non ignorano i sensati spagnuoli che l’istesso Lope de Vega,
che
non fu de’ più sobrii scrittori, caratterizzò com
i gongoreschi di matte metafore. La gioventù dee però esser prevenuta
che
Gongora non manca di merito in altri generi. Egli
amorati con moltissima grazia, leggiadria, affetto e naturalezza; nel
che
ha avuto un emulo gentile e felice nel mio da mol
za eccessi: vaga e semplice mi sembra la V delle sue canzoni amorose,
che
incomincia, Buclas, o tortolilla, Y el tierno es
sposizione della favola, non avendo saputo introdurla se non con fare
che
il buffone in 160 versi ne racconti a se stesso i
con fare che il buffone in 160 versi ne racconti a se stesso i fatti
che
la precedono: le meschinità e improprietà dell’in
’irregolarità e la mancanza d’interesse. Del Dottor Carlino non si ha
che
il primo atto e buona parte del secondo. Questa f
seminata, non vi è però gettata col carro come nell’altra. Ma quello
che
ci fa godere che sia rimasta imperfetta, si è l’o
è però gettata col carro come nell’altra. Ma quello che ci fa godere
che
sia rimasta imperfetta, si è l’oscenità de’ fatti
he ci fa godere che sia rimasta imperfetta, si è l’oscenità de’ fatti
che
vi si maneggiano con isfacciatagine da bordello.
acciatagine da bordello. Carlino è un medicastro imbroglione ruffiano
che
professa tal mestiere senza verun rimorso; ed ha
senza verun rimorso; ed ha per compagna una Casilda civetta scaltrita
che
servegli di zimbello. Egli maneggia diversi intri
morosi, e specialmente uno di certo Gerardo con una Lucrezia maritata
che
traffica vergognosamente per compiacerlo a prezzo
da Giovanni Boccaccio è più dispiacevole posta alla vista sulle scene
che
nella lettura. Da questa favola del Gongora si ve
a sulle scene che nella lettura. Da questa favola del Gongora si vede
che
la commedia spagnuola non è sempre sì onesta matr
erio Lampillas. La nominata Venatoria è appena incominciata, e mostra
che
altro non rebbe divenuta che una copia delle past
enatoria è appena incominciata, e mostra che altro non rebbe divenuta
che
una copia delle pastorali italiane; perchè il pro
o da Cupido imita in parte quello dell’Aminta; e nelle due sole scene
che
lo seguono si narra l’avventura del bacio dato da
ura dell’ape. Composero anche pel teatro sotto Filippo III gli autori
che
soggiungo. Contemporaueo del Gongora fu Giovanni
iovanni Jauregui buon pittore e poeta emulo del Quevedo e del Gongora
che
produsse in Roma la bella sua versione dell’Amint
ommedie. Naturale di Siviglia su ancora Feliciana Henriquez de Guzman
che
compose los Jardines y Campos Sabeos tragicommedi
o de Salas Barbadillo. Ma di questi ed altri portoghesi e castigliani
che
tralasciamo, non essendo state le sceniche produz
lite ed obbliate universalmente sopraffatte dalla celebrità di quelle
che
si composero sotto Filippo IV. Questo monarca che
celebrità di quelle che si composero sotto Filippo IV. Questo monarca
che
guerreggiò con varia fortuna, specialmente con An
di Austria sua sorella, come regina di Francia e madre di Luigi XIV,
che
non seppe riparare i mali dell’espulsione di un i
rare i mali dell’espulsione di un immenso popolo di Mori Spagnuoli, e
che
nutrì ne’ vasalli senza trarne vantaggio l’indole
ici ch’egli amò con predilezione, fiorirono sotto di lui a tal segno,
che
il Vega, il Calderòn, il Solis, il Moreto, si les
alderòn, il Solis, il Moreto, si lessero e si produssero da’ Francesi
che
cominciavano a sorgere, e dagl’Italiani che andav
i produssero da’ Francesi che cominciavano a sorgere, e dagl’Italiani
che
andavano decadendo. Vuolsi che avesse egli stesso
ominciavano a sorgere, e dagl’Italiani che andavano decadendo. Vuolsi
che
avesse egli stesso composta qualche commedia pubb
un Ingenio secondo l’usanza spagnuola. È tradizione poco contrastata
che
frutto della penna di Filippo IV su il Conde de E
i vi sieno dipinti con forza. Quando anche Filippo non ne avesse dato
che
il solo piano, come molti stimano, essa merita di
rita di conoscersi originalmente sì in grazia del coronato inventore,
che
per la commedia stessa la quale da un secolo e me
propria casa di campagna, dove trovasi a diporto la regina. Il conte
che
veniva a veder Bianca, giugne opportunamente a sa
coperta di una mascheretta grata al suo liberatore gli dà una banda,
che
a que’ tempi si reputava un favore e una prova d’
a un favore e una prova d’inclinazione della dama verso del cavaliere
che
la riceveva. Si dividono scambievolmente obbligat
le parole delle metafore insolenti accompagnandole tutte con un gesto
che
le indichi. Di maniera che ho veduto io stesso l’
solenti accompagnandole tutte con un gesto che le indichi. Di maniera
che
ho veduto io stesso l’attore tutto grondante di s
ho veduto io stesso l’attore tutto grondante di sudore per lo studio
che
pone ad imitare i movimenti del becco, delle ali,
orvettar del cavallo, ed il guizzar del pesce. Il conte vuol riferire
che
entrò nel giardino, trovò una dama mascherata che
conte vuol riferire che entrò nel giardino, trovò una dama mascherata
che
si bagnava, cui fu tirato un colpo di pistola, e
dama mascherata che si bagnava, cui fu tirato un colpo di pistola, e
che
la difese dalle spade degli assalitori, e ne rice
spendono ben 125 versi, ne’ quali entra una scarsa vena del Tamigi
che
si fa un salasso di neve, una folta chioma arruff
oltà , l’incertezza del conte in discernere, se le gambe della dama
che
si bagnava, correvano sciolte in acqua , o se l’
vede dalla banda di dovergli la vita, oltre alla potente inclinazione
che
glielo raccomanda. Essex da’ moti del di lei volt
; egli innalza a lei le sue speranze; l’uno e l’altra frena la lingua
che
vuol trascorrere. Con un discorso interrotto most
erpretando) questi versi. La regina riprende la timidezza dell’amante
che
si discolpa col rispetto; entrambi fanno pompa di
come più opportuno il parlare. Ognuno vede la stravaganza del secolo
che
convertiva i personaggi in poeti improvvisatori.
in procinto di scoprirsi amante, quando comparisce Bianca colla banda
che
porta sopra di se, avendola ricevuta dal servo de
conte. La regina l’osserva, si agita, dà ordini, gli rivoca, non vede
che
la sua gelosia. Partita Bianca, il conte comincia
r nella reggia; non so come in questo punto non fo recidere quel capo
che
nutrì pensieri cotanto audaci. (Oh grandezza tu s
onte implorando il real favore perchè le diventi sposo. Ma Elisabetta
che
dal suo racconto ha bevuto tanto veleno, trasport
ha bevuto tanto veleno, trasportata le favella come una Regina gelosa
che
senza confessarlo ne ispira tutto il terrore. Tra
è molto tradita dallo stile. Bianca dal suo racconto vuol conchiudere
che
il conte è suo sposo, e la Regina ripiglia: Reg.
tuo sposo? (Io fremo, io più non vedo!) Bia. Come mio sposo? (o ciel
che
intendo!) Reg. Come mio sposo? (o ciel che inten
. Come mio sposo? (o ciel che intendo!) Reg. Come mio sposo? (o ciel
che
intendo!)Indegna, Folle, debol… Bia. Folle, debo
seco Alma nata a servirla ardisse indegna, Se amasse il conte… amar?
che
amar mirarlo Se ardisse solo, o cosa ancor che me
amasse il conte… amar? che amar mirarlo Se ardisse solo, o cosa ancor
che
meno Del mirarlo importasse, parti, o donna Ch’io
gno e dell’amore si addormenta. Bianca esce con una pistola alla mano
che
porta il nome del conte. Questi sopraggiugne e l’
il suo liberatore. Il conte, nelle cui mani è rimasta la pistola nega
che
Bianca abbia tentato quell’eccesso. Sei tu dunqu
dizii evidenti di alto tradimento. Per sua difesa altro egli non dice
che
di essere innocente. E condannato a perdere la te
aricando al servo di consegnarla poichè egli sarà morto. Ma la Regina
che
ha sottoscritta la sentenza per soddisfare in pub
pensa a liberarlo privatamente dalla morte per compensarlo della vita
che
le ha salvato. Entra a tal fine nella prigione co
tra a tal fine nella prigione colla mascheretta e coll’abito semplice
che
portò nella prima scena. La riconosce il conte; m
il compiace dandogli prima la chiave. Il conte le domanda il perdono
che
suol concedersi a’ rei che veggono la faccia del
la chiave. Il conte le domanda il perdono che suol concedersi a’ rei
che
veggono la faccia del sovrano. Nega la Regina di
a chiave nel fiume sottoposto alla finestra della prigione, e le dice
che
se non vuol essere ingrata, dee cercar nuova guis
traydor la suya pierda. Da questa lettera screduta la Regina ordina
che
si sospenda l’esecuzione della sentenza; ma il co
come ben dice il conte Pietro di Calepio, muore più per disperazione
che
per grandezza d’animo. Il gusto del monarca a gui
sensi per la nazione. La corte di Filippo IV si empì di verseggiatori
che
produssero a gara un gran numero di favole. Talor
cupati al lavoro di una sola commedia, dividendosene gli atti; ond’ è
che
se ne leggono più centinaja col titolo di Comedia
le, per azione e per orditura. L’argomento è una commediante rinomata
che
si converte, si disgusta dalla propria profession
ervo della compagnia detta di Eredia commediante famoso di quel tempo
che
n’era il capo. Si figura che tal compagnia rappre
Eredia commediante famoso di quel tempo che n’era il capo. Si figura
che
tal compagnia rappresenti in Valenza nel teatro d
eriore del teatro, e si veggono nella platea sparsi alcuni venditori,
che
, come è stato costume anche in Madrid sino ad alc
ecitare si distrae, e fa riflessioni morali sulla vanità de’ piaceri,
che
non entrano nella parte che rappresenta. Al fine
lessioni morali sulla vanità de’ piaceri, che non entrano nella parte
che
rappresenta. Al fine rapita da pio entusiasmo, in
rancesco de Roxas ha prodotte molte favole interamente sue. In quelle
che
si chiamano istoriche, lo stile è sommamente stra
te, e la condotta difettosissima. Di ciò può servir di esempio quella
che
intitolò los Aspides de Cleopatra, azione tragica
rral bellamente dipinto. Vedasene uno squarcio tratto dalla relazione
che
ne fa un suo servo, da noi tradotto con fedeltà:
carmo, Gracile, macilento, Cortissimo di busto, Longhissimo di gambe,
che
ha le mani Più ruvide di quelle de’ villani, I pi
che e pien di nodi e calli, Goffo un poco, un pò calvo, verdinero Più
che
poco, e ancor più schifoso e sozzo, Più di quaran
a lui vicina; Se dorme al suo poder, con tale orrendo Strepito russa,
che
s’ode in Toledo. Mangia come un studente, Beve co
uno dirà d’aver la posta Corsa sino a Siviglia, Egli, ad onta del mar
che
si frappone, Fino al Perù la corsi anch’io, ripig
sino ad or composte, E le conserva suggellate e chiuse, E alle figlie
che
avrà, vuol darle in dote. Ma vaglia il ver, bench
ompensa, Che sì sordido ha il cuore e meschinello, Che non daria quel
che
tacere è bello. Questa dipintura, oltre all’esse
poeta con altre pennellate ancora avviva il ritratto di Don Luca. Fa
che
egli imponga che nel passare Isabella sua sposa d
pennellate ancora avviva il ritratto di Don Luca. Fa che egli imponga
che
nel passare Isabella sua sposa da Madrid a Toledo
adrid a Toledo, si copra di una mascheretta. Ecco tradotta la lettera
che
le scrive, la quale spira tutta la gentilezza di
ho figli, viene ad essere mio cugino il mio successore. Mi vien detto
che
voi ed io possiamo averne quanti vorremo. Venite
iamo averne quanti vorremo. Venite questa notte a trattare del primo,
che
ci sarà tempo poi per gli altri. Mio cugino viene
ta nè udita. Nell’osteria di Torrejoncillo vi attendo; venite subito,
che
i tempi correnti non permettono di aspettar molto
i aspettar molto nelle osterie. Dio vi guardi, e vi dia più figliuoli
che
a me. Un altro bel colpo di pennello riceve da u
quitanza così dettata. Ho ricevuto da don Antonio Salazar una donna
che
ha da essere mia moglie, con suoi contrassegni bu
pulcella nelle fattezze. E la consegnerò tale e quanta ella e, sempre
che
mi sarà domandata in occasione di nullità o divor
asseggieri in Torrejoncillo, e nell’incontro colla sposa nell’atto I,
che
si rappresenta parte in Madrid e parte nel nomina
ernottano in Illescas nell’atto II. Degno di lui è pure nell’atto III
che
si rappresenta in Cabañas, il pensiero di far mar
endicarsene; perchè essendo poveri, mal grado del loro amore, forza è
che
vivano malcontenti. I caratteri sono ben dipinti;
iesta; il tempo si stende oltre il confine di un giorno, ma non tanto
che
la favola ne divenga inverisimile, restringendosi
adrid da un librajo. Di anni diciassette cominciò a scrivere commedie
che
si recitarono con applauso e s’impressero in due
i recitarono con applauso e s’impressero in due volumi nel 1639. Oggi
che
pochissime commedie dell’istesso Lope si rapprese
e dell’istesso Lope si rappresentano, havvene più d’una del Montalbàn
che
si ripete quasi in ogni anno in Madrid, cioè la L
che e comiche, di persone reali, basse e mediocri, un cumolo di fatti
che
formano anzi un romanzo che un dramma, in cui nel
ali, basse e mediocri, un cumolo di fatti che formano anzi un romanzo
che
un dramma, in cui nell’atto I interviene Sancio r
gno del di lui successore Ferdinando, rendono mostruosa questa favola
che
prende il nome da una Rica-Fembra di Galizia. Due
ta di tante stravaganze, cioè il carattere vendicativo di questa dama
che
parla nel proprio dialetto galiziano, e spira cer
selvaggia di Linda vestita di pelli e cresciuta senza saper parlare,
che
si va disviluppando a poco a poco per mezzo di un
he si va disviluppando a poco a poco per mezzo di una tenera simpatia
che
le ispira la veduta di un giovane principe. Linda
ane principe. Linda viene indi conosciuta per la figliuola di Lindona
che
ella avea gettata in mare per vendicarsi del prin
nte. La tradizione è accreditata presso gli Aragonesi con un sepolcro
che
si addita in Teruel. Su tale argomento Giovanni T
nti preghiere del povero egli rimane intenerito ed irresoluto a segno
che
al fine la nega ad ambedue; al povero perchè è ta
ore, cioè di permettergli di sperare la mano della figliuola nel caso
che
egli migliorasse di fortuna; ed a tale effetto ch
la nel caso che egli migliorasse di fortuna; ed a tale effetto chiede
che
destini uno spazio competente per tentar la sorte
tente per tentar la sorte. Condiscende il buon vecchio, e si conviene
che
Isabella rimarrà senza prender marito tre anni e
o, possa dare la mano a Ferdinando. Diego va a militare sotto Carlo V
che
muove contro Solimano. Nell’atto II i maneggi di
V che muove contro Solimano. Nell’atto II i maneggi di Elena fanno sì
che
per due anni e mezzo nè le lettere di Diego giung
a arrivare un finto soldato colla falsa notizia della morte di Diego,
che
riduce agli estremi la vita d’Isabella senza inde
so. Vorrebbe Isabella narrare come sia condiscesa alle nozze, ma teme
che
sopraggiunga il marito. L’affretta a partire. Tra
itata: Addio; con te restar non m’è concesso. Ti dirò solo in breve,
che
un soldato A noi recò di te nuove funeste; Che so
n breve, che un soldato A noi recò di te nuove funeste; Che sospirai,
che
piansi, Che morir volli… Oddio! non è più tempo D
che piansi, Che morir volli… Oddio! non è più tempo Di rammentar quel
che
obbliare è forza. Die. E di che è tempo? Isa. E
io! non è più tempo Di rammentar quel che obbliare è forza. Die. E di
che
è tempo? Isa. E di che è tempo?Di pensar ch’è qu
ammentar quel che obbliare è forza. Die. E di che è tempo? Isa. E di
che
è tempo?Di pensar ch’è questa L’ultima volta, oim
ie. Fuggi sola. Ove?A un giudice ricorri. Isa. A cui? Die. A cui?Dì
che
sei mia. Isa. A cui? Dì che sei mia.Non è più te
dice ricorri. Isa. A cui? Die. A cui?Dì che sei mia. Isa. A cui? Dì
che
sei mia.Non è più tempo. Die. Uccidimi. Isa. Ucc
cui? Dì che sei mia.Non è più tempo. Die. Uccidimi. Isa. Uccidimi.Io
che
t’amo? Die. Segui dunque ad amarmi. Isa. Segui d
aprò morire anch’io. Parte Isabella, la segue Diego; ma ella temendo
che
sia veduto dal marito, per far che vada via gli d
a, la segue Diego; ma ella temendo che sia veduto dal marito, per far
che
vada via gli dice che l’abborrisce. L’anima dell’
ella temendo che sia veduto dal marito, per far che vada via gli dice
che
l’abborrisce. L’anima dell’innammorato oppressa i
e spira di puro dolore, cagionando colla sua morte quella d’Isabella
che
gli muore accanto. La relazione ch’ella prima di
’estreme sue querele mal corrispondono alla scena patetica e naturale
che
abbiamo tradotta, essendo il rimanente pieno di a
quante volte la parte d’Isabella si eseguisca da un’ anima sensibile
che
per buona ventura o per arte non sia stata avvele
n sia stata avvelenata da’ pregiudizii istrionici. Tal era negli anni
che
io vi dimorai, la delicatissima attrice Pepita Hu
Maestro Tirsi de Molina. Egli accumolava di tal sorte gli avvenimenti
che
oltrepassava gli eccessi de’ suoi contemporanei.
alle Spagne al Perù con somma leggerezza. Il teatro odierno non parmi
che
di questo frate altra favola rappresenti eccetto
one. In Ispagna si è continuato a mostrarsi sulle scene sino al tempo
che
Antonio de Zamora non prese a trattar questo mede
tri, e si riproduce da’ ballerini pantomimi; ad onta del re di Napoli
che
esce col candeliere alla mano ai gridi d’Isabella
e avventure di don Giovanni Tenorio, de i di lui duelli, della statua
che
parla e camina, che va a cena, che invita il Teno
iovanni Tenorio, de i di lui duelli, della statua che parla e camina,
che
va a cena, che invita il Tenorio a cenare, che gl
, de i di lui duelli, della statua che parla e camina, che va a cena,
che
invita il Tenorio a cenare, che gli stringe la ma
ua che parla e camina, che va a cena, che invita il Tenorio a cenare,
che
gli stringe la mano e l’uccide, e dello spettacol
ledo. L’argomento appartiene al regno di Alfonso VIII re di Castiglia
che
per sette anni perseverò nell’amore di una Ebrea
a compose de’ fatti di lei un poema di 76 ottave intitolato la Raquel
che
si trova inserito nel Parnasso Spagnuolo. L’azion
gli evenimenti tragici, non offuscano del tutto l’energia e la verità
che
si osserva nella dipintura delle passioni e de’ c
na tempesta di metafore spropositate. Tale parmi nella giornata I ciò
che
Rachele risponde al padre che vuol sugerirle quel
sitate. Tale parmi nella giornata I ciò che Rachele risponde al padre
che
vuol sugerirle quel che dir debba al re. Non ho b
giornata I ciò che Rachele risponde al padre che vuol sugerirle quel
che
dir debba al re. Non ho bisogno, gli dice, delle
te, Y ha mucho que eres mi dueño. Tale nella giornata III il congedo
che
Rachele condotta a morire prende dal padre. Diam
aggior precisione, El Conde es muerto, y yo su hija soy. Ma in fine
che
brami? si dice a Chimene, ed ella presso il poeta
l’apparenza continuerà ancora. Sino all’anno 1664 non n’erano usciti
che
tre tomi, i quali poi crebbero a nove oltre a sei
li poi crebbero a nove oltre a sei altri impressi in Madrid nel 1717,
che
contengono settantadue autos sacramentales. Ma il
gliorare; non le amare invettive degli altri a cagione di molti pregi
che
possedeva. Blâs de Nasarre, il quale cercò abbass
non conoscere, o almeno non si curò di praticare veruna delle regole
che
è più difficil cosa ignorare che sapere: pensando
urò di praticare veruna delle regole che è più difficil cosa ignorare
che
sapere: pensando far pompa di acutezza nell’eleva
: pensando far pompa di acutezza nell’elevare lo stile, si perdè, non
che
nel lirico, nello stravagante, e, per dirla col s
’ attenzione degli spettatori con una serie di evenimenti inaspettati
che
producono continuamente situazioni popolari e viv
suoi ritratti per lo più manierati e poco somiglianti agli originali
che
ci presenta la natura; ma non si allontanano molt
on si allontanano molto dalle opinioni dominanti a’ giorni suoi. Oggi
che
si conosce colà tutto il ridicolo della smania ca
tutti Rodomonti e Pentesilee erranti; ma era cosa comune al suo tempo
che
un cavaliere prendesse di notte le sue armi, anda
le istoriche, e le commedie di spada e cappa. Quanto agli auti sembra
che
egli non avesse compresi gl’inevitabili inconveni
alla calle de las tres Cruces di Madrid. Con simile equivoco si dice
che
la Samaritana abita alla calle del Pozo. Con istr
tia. In quello intitolato gli Ordini Militari si figura insipidamente
che
Cristo venga a domandare la Croce al Mondo, e che
igura insipidamente che Cristo venga a domandare la Croce al Mondo, e
che
questo personaggio per concedergliela voglia sent
entirne l’avviso di Mosè, Giobbe, Davide e Geremia, i quali affermano
che
egli la meriti pel quarto del Padre; dopo di che
a, i quali affermano che egli la meriti pel quarto del Padre; dopo di
che
il Mondo si determina a dare a Cristo la Croce, a
re. Nel Laberinto del Mondo l’Innocenza rappresentata dalla Graziosa,
che
corrisponde alle nostre Servette e Buffe, in pres
a, che corrisponde alle nostre Servette e Buffe, in presenza di Theos
che
è Gesù Cristo venuto su di una nave a redimere il
atto usar l’artiglieria in tempo dell’imperadore Eraclio, citò Milton
che
pur l’introdusse nel combattimento degli Angeli,
lton che pur l’introdusse nel combattimento degli Angeli, ed aggiunse
che
l’uno e l’altro sublime ingegno pospose con ugu
ar l’uso del chocolate prima della venuta di Cristo; almeno non costa
che
gli Angeli avessero fatto uso ancora di questa po
i. Erano già tre mesi nel settembre del 1765 quando giunsi in Madrid,
che
per real rescritto del gran monarca Carlo III se
narca Carlo III se n’era proibita la rappresentazione per lo scandalo
che
producevano le interpretazioni arbitrarie e gli a
to ad oggetto di chiamare il concorso. Calderòn ne compose moltissime
che
possono dirsi senza esitanza stravaganti; p. e. l
sodio di Olinto e Sofronia del gran Torquato: la Aurora en Copacavana
che
a stento m’induco a crederla lavoro del Calderòn.
uta tutta fantastica per mezzo dell’Idolatria personaggio allegorico,
che
si agita, medita, eseguisce mille incantesimi sen
sce mille incantesimi senza perchè e senza sapere ella stessa nè quel
che
si voglia nè quel che intenti. Pur tra simili sue
senza perchè e senza sapere ella stessa nè quel che si voglia nè quel
che
intenti. Pur tra simili sue favole istoriche se n
o il nome di Hija del aire (figlia del vento) Calderòn non altrimenti
che
l’italiano Muzio Manfredi, pubblicò due favole su
è forse la più famosa delle sue rappresentazioni istoriche, e quella
che
più spesso ho veduta riprodursi sul teatro di Mad
eduta riprodursi sul teatro di Madrid. La favola si aggira sul timore
che
ha Marianna di una predizione di un astrologo che
i aggira sul timore che ha Marianna di una predizione di un astrologo
che
ella perirebbe preda di un gran mostro, e che Ero
dizione di un astrologo che ella perirebbe preda di un gran mostro, e
che
Erode col pugnale che sempre porta allato darebbe
o che ella perirebbe preda di un gran mostro, e che Erode col pugnale
che
sempre porta allato darebbe la morte alla persona
non abbia a temere del pugnale, lo getta in mare, supponendo il poeta
che
Gerusalemme fosse città marittima. Ma questo ferr
à marittima. Ma questo ferro fatale va a cadere appunto su di un uomo
che
a nuoto tenta salvarsi da un naufragio, e questi
viano. È condotto questo Tolomeo col pugnale fitto nel corpo, e prima
che
spiri fa un racconto del trionfo di Ottaviano e d
armata ebrea distrutta dalla tempesta. Ma egli a dispetto del pugnale
che
l’ha trafitto, vuole tutto ciò riferire in settan
lavorato di avorio e di coralli , il mare divenuto Nembrot de’ venti
che
pone monti sopra monti e città sopra città , la t
vola su di cui si salva Tolomeo fatta delfino impietosito , il ferro
che
l’ha trafitto divenuto cometa errante, che corre
no impietosito , il ferro che l’ha trafitto divenuto cometa errante,
che
corre la sfera dell’aria contro l’umano vascello
a ipotesi troppo inverisimile e ridevole per accreditar le situazioni
che
seguono, che un Idumeo signore di una parte della
ppo inverisimile e ridevole per accreditar le situazioni che seguono,
che
un Idumeo signore di una parte della Palestina ne
seguono, che un Idumeo signore di una parte della Palestina nel tempo
che
contendevano Ottaviano e Marcantonio dell’impero
spettatore a Gerusalemme ad ascoltare un dialogo di Marianna ed Erode
che
aringano ed argomentano a vicenda. In Menfi comin
de che aringano ed argomentano a vicenda. In Menfi comincia l’atto II
che
poi termina nella Giudea. Nell’intervallo degli a
Tetrarca fatto prigioniero, ed è condotto alla presenza di Ottaviano,
che
ha nelle mani il ritratto di Marianna. Erode s’in
uo pugnale. Per render verisimile questo attentato, dovrebbe supporsi
che
Ottaviano si trattenesse col nemico senza verun t
morte. La gelosia gli fa vedere la sua Marianna in potere del nemico
che
ne tiene varii ritratti. Pensa ad impedirgliene i
e tiene varii ritratti. Pensa ad impedirgliene il possesso ancor dopo
che
egli sarà morto, ed in una lettera ordina la di l
una damigella questa lettera passa nelle mani della stessa Marianna,
che
con somma maraviglia e dolore ne legge il contenu
tano l’amore e l’indignazione; nè a questo punto patetico altro manca
che
una esecuzione più naturale ed espressioni spogli
l suo appartamento per mai più non vederlo, giurando por los dioses
che
adoraa che si getterà in mare, se ardisce entrarv
tamento per mai più non vederlo, giurando por los dioses che adoraa
che
si getterà in mare, se ardisce entrarvi. Intende
notte a vederla. Quì Ottaviano diventa un innamorato di spada e cappa
che
si accinge ad un’ avventura notturna; là dove egl
chio della fama della regina. L’incontra, offerisce liberarla (quando
che
dovea e potea farlo decentemente colla propria au
e potea farlo decentemente colla propria autorità). Marianna gli dice
che
la sua prigionia è volontaria. Puerilmente ancora
Puerilmente ancora Ottaviano s’invaghisce un’altra volta del ritratto
che
spontaneamente le avea consegnato, e la regina gl
nderlo a viva forza. Ella minaccia di ammazzarsi col pugnale di Erode
che
Ottaviano porta al fianco. Non è questa una conte
a de’ fregi donneschi sparsi per la stanza; si avvede del suo pugnale
che
era rimasto in potere dell’imperadore; ode la voc
e poi si getta in mare. Questa è la favola del Tetrarca de Jerusalèn
che
l’autore volle chiamar tragedia, ad onta delle bu
rusalèn che l’autore volle chiamar tragedia, ad onta delle buffonerie
che
quì ho tralasciate, dell’irregolarità e delle avv
, dell’irregolarità e delle avventure comiche notturne; conchiudendo,
che
quì termina la tragedia, restando adempiuto l’inf
eta; perchè in vece di prefiggersi l’insegnamento di una verità, cioè
che
le passioni sfrenate e la pazza gelosia cagionano
zza gelosia cagionano ruine e miserie, egli si è studiato d’insegnare
che
esse provengono dall’influsso degli astri. Era qu
ra sua favola reale la Vida es sueño. Credè il signor Giovanni Andres
che
il Francese Tristano avesse tolto l’argomento del
tolto l’argomento della sua Marianna dal Tetrarca di Gerusalemme. Ma
che
mai trovò egli di rassomigliante nella condotta d
oeta di accreditar gli errori volgari dell’influsso? Ben però è certo
che
Lodovico Dolce precedè di un secolo Calderone e T
edia regolare recitata con tale applauso in casa di Sebastiano Erizzo
che
quando volle ripetersi nel ducal palazzo di Ferra
zzo che quando volle ripetersi nel ducal palazzo di Ferrara, la calca
che
vi accorse ne impedì la rappresentanza. E chi non
gedia regolare ed interessante? Ma siccome non dubitiamo di affermare
che
il Dolce per invenzione ed arte di tanto precedè
ed arte di tanto precedè il francese e lo spagnuolo, così confessiamo
che
egli, non osando abbandonar la storia, non miglio
ianna amante, offesa, virtuosa, sensibile e grande. Osserviamo ancora
che
l’Italiano nello scioglimento produsse assai megl
nello scioglimento produsse assai meglio l’effetto tragico di quello
che
fece lo spagnuolo colla morte di Marianna seguita
scuro per un equivoco mal congegnato. Ci sembra però nel tempo stesso
che
il Dolce avrebbe meglio eccitato il terrore, se n
di più delitti, e segnatamente di tradire tutte le semplici donzelle
che
le prestano fede. Dorotea trafugata dalla casa pa
le prestano fede. Dorotea trafugata dalla casa paterna viene da lui,
che
già n’è sazio, abbandonata in un deserto mentre d
a, ne’ cui monti (presa Granata da Ferdinando ed Isabella) si permise
che
dimorassero alcuni Mori come tributarii, i quali
ffricano, cerca lo sposo. Questa situazioue esigeva altre espressioni
che
le seguenti false e inverisimili. Ella domanda al
ritano di notarsi le querele di Dorotea, malgrado de’ freddi concetti
che
le deturpano. Nedarò una mia traduzione, e ne’ pa
Vender mi vuoi tiranno? A un mostro vile Vendermi! oimè! senza pensar
che
schiava Se mi fe un folle amor, libera io nacqui?
i? Di qual barbaro mai, di qual selvagio Tanta infamia si udì? Quella
che
amasti, Nè vo’ già dir la sposa tua, tu stesso Me
rso, e dell’infame busto Un cernefice vil quell’empio capo Recida… Ma
che
dico ? Oimè, ben mio, Mio sposo, mio signor, tua
è, ben mio, Mio sposo, mio signor, tua schiava io sono, Fa di me quel
che
vuoi. Ma se ti offesi, Se nel tuo sdegno incorsi,
nte giardin tutta si cangi. Il fiero Cagnerì cui tu mi vendi, Quel dì
che
in preda mi lasciasti al sonno, Amante si mostrò,
ii dal labbro tuo talvolta Che sposo mio saresti. Ah per sì caro Nome
che
meritai qualche momento, Signor, pietà, mercè, De
r di quì, dove co’ voti Dal Ciel t’implorerò giorni felici Quel tempo
che
il dolor della tua assenza, Della perdita tua, mi
sir pur temi, Se mi vedrà tornar teco a Granata, Io stessa a lei dirò
che
per errore Di sua casa salii, che vi ritorno I su
eco a Granata, Io stessa a lei dirò che per errore Di sua casa salii,
che
vi ritorno I suoi dubbii a calmar, che di mio pad
per errore Di sua casa salii, che vi ritorno I suoi dubbii a calmar,
che
di mio padre L’ira io fuggia, tu lei salvar crede
di mio padre L’ira io fuggia, tu lei salvar credendo Salvasti me ; ma
che
non v’è fra noi Ne mai fu arcano onde si adombri
or, femminil fasto. Ma se il mio pianto a intenerirti è vano Per quel
che
sono, a quel che fui deh pensa Nacqui di nobil pa
o. Ma se il mio pianto a intenerirti è vano Per quel che sono, a quel
che
fui deh pensa Nacqui di nobil padre, il sai, da l
Dorotea sposandola ed indi perda la testa su di un palco. Ognuno vede
che
questo atroce misfatto è lo stesso che commise un
ta su di un palco. Ognuno vede che questo atroce misfatto è lo stesso
che
commise un mostro Inglese in persona di una Carai
Se l’argomento della favola del Calderòn è finto, egli immaginò quel
che
eseguì il detestabile Inglese. Se egli trasse dal
perchè mai trasportò dalla nazione inglese alla propria quell’infamia
che
eccita il fremito dell’umanità? E se tralle antic
ntiche leggende spagnuole si rinviene eziandio questa spietatezza (di
che
lascio a’ nazionali la cura d’investigarlo) egli
za (di che lascio a’ nazionali la cura d’investigarlo) egli è da dire
che
l’umana malvagità volle copiare se stessa, e far
sa, e far ripetere nel declinar del passato secolo ad un Inglese quel
che
già avea eseguito uno Spagnuolo. Ma il merito par
roprio del genere, e dialogo quasi sempre naturale. Quindi è avvenuto
che
mentre le commedie dello stesso Lope e di quasi t
remmo addurne diverse degne di leggersi; ma ci contenteremo di quelle
che
più spesso si rappresentano, o che hanno alcun pr
ersi; ma ci contenteremo di quelle che più spesso si rappresentano, o
che
hanno alcun pregio particolare. Ben tessuto è il
ntrigo della commedia los Empeños de un acaso, dove per accidente più
che
per interesse passano i personaggi d’uno in un al
uggirsi via. Nell’altra un servo diventa la spia del proprio padrone,
che
è il segretario di una principessa da cui è occul
i anche in pubblico quanto passa, hanno stabilito tra loro una cifra,
che
rende inutili tutte le diligenze e gli avvisi del
della spia. Questo intrigo riesce piacevole, e sarebbe a desiderarsi
che
il poeta avesse renduta più verisimile la pratica
uta più verisimile la pratica della cifra. Senza mettersi per ipotesi
che
gli amanti sieno un Perfetti e una Corilla, cioè
i, è impossibile persuadere all’uditorio ch’essi s’intendano. Ecco in
che
consiste la cifra. Colui che comincia a parlare,
ll’uditorio ch’essi s’intendano. Ecco in che consiste la cifra. Colui
che
comincia a parlare, prende in mano un fazzoletto
mincia a parlare, prende in mano un fazzoletto per avvisare all’altro
che
stia attento. Indirizza poi a’ circostanti un dis
ò ogni prima parola di un verso s’intende diretta all’amante; di modo
che
raccogliendo in fine tutte le prime voci, ne risu
odo che raccogliendo in fine tutte le prime voci, ne risulti l’avviso
che
si vuol dare. Questa cifra è soggetta a due oppos
ifferenti colle medesime parole. E se Calderòn vivesse, confesserebbe
che
a tavolino distese egli con qualche studio ciò ch
sse, confesserebbe che a tavolino distese egli con qualche studio ciò
che
suppone che i suoi personaggi facessero estempora
erebbe che a tavolino distese egli con qualche studio ciò che suppone
che
i suoi personaggi facessero estemporaneamente. Si
suoi personaggi facessero estemporaneamente. Siane un saggio l’avviso
che
dà Laura all’amante nella giornata II. Ella vuol
vviso che dà Laura all’amante nella giornata II. Ella vuol dirgli ciò
che
segue: Flerida ha sabido ya que de aqui no te au
verso del discorso generale indirizzato a tutti gli altri; di maniera
che
ciascuno di questi versi fornisce le quattro prim
rsi fornisce le quattro prime parole de’ quattro versi del sentimento
che
si dirige agli astanti. Eccone la prima strofa:
erò la maniera di migliorar tale artificio, per fuggir l’incoveniente
che
risulta dal far parere che il personaggio sappia
tale artificio, per fuggir l’incoveniente che risulta dal far parere
che
il personaggio sappia esser la commedia scritta i
commedia No ay burlas con el amor contiene i caratteri di due sorelle
che
si contrastano; Leonora sensibile, facile e nell’
one dell’erudizione, greca e latina di Beatrice c’induce a sospettare
che
Moliere ne avesse tolta l’idea del suo componimen
nto le Donne Letterate; ma ciò è incerto, e dall’altra parte è sicuro
che
il vivacissimo colorito della favola francese ha
avere ammazzato un uomo, ed è da Flora nascosto. Ella intende poscia
che
l’ucciso è il di lei cugino, nè perciò lascia di
ità le cose sacre. Il buffone stà parlando col Podestà, e gli è detto
che
si contenga nel dovuto rispetto alla presenza del
acchiusa l’azione quasi nel tempo della rappresentazione. Ben si vede
che
l’autore volle tesserla con tale angustia, non pe
l’autore volle tesserla con tale angustia, non per osservar le regole
che
prescrive la verisimiglianza, ma per desiderio di
are amore per qualche virtù o a rilevare alcuna massima istruttiva. E
che
insegna quest’intrigo degl’Impegni in sei ore? Pe
iglianza un equivoco, per cui Nisa è creduta Porzia da un personaggio
che
viene a sposar quest’ultima. E quando l’equivoco
gio che viene a sposar quest’ultima. E quando l’equivoco si scioglie,
che
mai vi s’impara? Sarebbe incessantemente da incul
vi s’impara? Sarebbe incessantemente da inculcarsi a’ poeti scenici,
che
il diletto non mai dee andar disgiunto dall’inseg
ltrettanto non è concesso a tanti e tanti commediografi, bisogna dire
che
nelle di lui favole si nasconda un perchè, uno sp
nte volte si ripetono. Egli è questo perchè, questo spirito elettrico
che
sfugge al tatto grossolano di certi freddi censor
ge al tatto grossolano di certi freddi censori di Calderòn. Nel tempo
che
egli di tanti componimenti arricchiva il teatro c
quali il primo uscì in Madrid l’anno 1654; ma cessò di comporne tosto
che
fu iniziato negli ordini sacri, ai quali indi asc
oreto, forse in lui sarebbe surto il Moliere delle Spagne. La perizia
che
possedeva in rilevare il ridicolo di un carattere
nella III esclama valgame todo el Psalterio . Lo spettatore volgare
che
altra scuola pubblica non suole avere che il teat
rio . Lo spettatore volgare che altra scuola pubblica non suole avere
che
il teatro, si conferma con ciò nell’abito di abus
se. In questa favola motteggia sull’uso d’introdurre i servi buffoni,
che
sono gli arlecchini di quelle scene, ad assistere
spazio di dodici giorni; dicendo don Cosmo nella I giornata a Leonora
che
vada a Consuegra, dove egli si porterà passati di
giardino nel giro di una notte. Anche in essa riprese i compatriotti
che
appiccavano indivisibilmente agli innamorati i bu
ati i buffoni con manifesto detrimento della verisimiglianza. Egli fa
che
l’innamorato all’entrar nel giardino dia congedo
lagna di essere il primo servo con cui il padrone non si consigli, e
che
rimanga escluso da i di lui secreti maneggi. Si v
consigli, e che rimanga escluso da i di lui secreti maneggi. Si vede
che
Moreto volle comporre una favola dentro le regole
eno caricata di accidenti, e non meno dilettevole. Ma queste commedie
che
noi con ingenuità mettiamo alla vista, sono state
Lampilli? E lasciando gl’innumerabili insetti del Parnasso spagnuolo
che
professano di tutto ignorare, il signor Andres le
signor Andres le ha mai contate fralle buone della sua nazione, egli
che
s’immaginò di avere assicurato il suo trionfo col
a pure, egli mal conobbe? E Garzia de la Huerta, inurbano Gongorista,
che
solo stava bene in Orano, le ha mai poste in vist
ves santo, Que se hace prision en huerto. Non dee, però dissimularsi
che
nè gl’Impegni in sei ore, nè la Confusione di un
no pennelleggiate con somma maestria le passioni di una dama bizzarra
che
vuol parere superiore all’amore. Moliere la tradu
he interesse in tutta la favola progressivamente accresciuto a misura
che
si avanza verso il fine! Tutto questo si desidera
ura che si avanza verso il fine! Tutto questo si desidera nella copia
che
ne abbozzò Moliere. In prima questo gran comico f
enia; e con ciò alla bella prima ne diminuì l’evidenza e l’interesse,
che
fuor di dubbio noi prendiamo più facilmente per o
nteresse, che fuor di dubbio noi prendiamo più facilmente per oggetti
che
più a noi si avvicinano. Di poi quel Moròn france
pagnuolo comparisce un freddo buffone. Appresso l’Eurialo di Moliere,
che
è il conte di Urgel di Moreto, introduce il suo s
l suo stratagemma di fingersi nemico d’amore spogliato di circostanze
che
l’accreditino, ed in un modo languido che annoja
re spogliato di circostanze che l’accreditino, ed in un modo languido
che
annoja coloro che conoscono l’originale spagnuolo
rcostanze che l’accreditino, ed in un modo languido che annoja coloro
che
conoscono l’originale spagnuolo. Inoltre l’insipi
misto di certa sicurezza maestosa, di dispetto, e di un riso ironico,
che
pareva di aver letto nell’anima di Moreto. Nè anc
in cui Carlo si finge preso di un’ altra e la chiede in isposa, così
che
la gelosia finisce di trionfare del cuore di Dian
languidezza, con cui la principessa d’Elide vuole esigere da Aglante
che
la vendichi rifiutando la mano di Eurialo, se si
era in cui sí ravvisa un natural ritratto dei discendenti de’ nobili,
che
commettono azioni ingiuste degne d’ogni rimprover
d’ogni rimprovero, e pure credonsi onorati, purchè non rubino; quasi
che
l’infamia dipenda da questo solo genere di delitt
de ser guardar la muger. Il Parecido è una commedia di rassomiglianza
che
ha varie scene piacevoli, e dove il buffone ha un
o estemporaneamente, ossia a sogetto. Ma in questa si vuole osservare
che
il poeta per sostenere il sentimento opposto intr
he il poeta per sostenere il sentimento opposto introduce un fratello
che
non è la persona più scaltra del mondo nè la più
la; ed oltre a ciò essa è da riporsi tralle favole di cattivo esempio
che
danno peso appo i volgari alle massime perverse d
bre di Castiglia padrone di Alcalà e delle città, castelle e villaggi
che
le sono intorno, vantandosi egli di passeggiare
ontro i Mori a colpi di lancia. Egli gonfio non meno della ricchezza,
che
del legnaggio dice, … que en Castilla viò Ricos-
ortigiano chiamato Aguilera. Don Tello parla con poco rispetto del re
che
crede assente, ed il finto Aguilera alzandosi ne
coltarlo, ma mostrando di leggere una lettera, nè badando a don Tello
che
gli s’inginocchia davanti. Il buffone che al soli
era, nè badando a don Tello che gli s’inginocchia davanti. Il buffone
che
al solito assiste a questo incontro, rileva cotal
gli più di una volta ha mostrato disprezzo del valor personale del re
che
si teneva per prode, per ordine secreto del sovra
umiliato e convinto l’orgoglioso vassallo non meno del proprio podere
che
della gagliardia. Prima di passare alle commedie
a in mente quante volte i poeti spagnuoli hanno introdotti i sovrani,
che
deposta la maestà si trattengono in domestici col
ovrano Della terra e del ciel, quali non debbo Grazie alla tua pietà,
che
di tai doni Sì mi colmasti, che quanto si scopre
uali non debbo Grazie alla tua pietà, che di tai doni Sì mi colmasti,
che
quanto si scopre Dalla vicina rupe a quella valle
placido riposo Una gioja innocente appien gradito Rende lo stato mio;
che
l’uom felice Tant’è quant’ei si reputa. Lontano D
tamente il nome di novella drammatica. Vi si vede un re d’Inghilterra
che
smarrito in una foresta si ricovera solo in casa
avole del Moreto e dell’anonimo o di Matos. Non per tanto m. Sedaine,
che
ha scritto in Francia le Roi et le Fermier, e m.
enri IV, confessarono di aver seguita la favoletta inglese, ignorando
che
questa era una debole copia delle mentovate comme
attere e la passione, e se alcuna volta sottilizza rapito dal turbine
che
tutti gli altri aggirava, non mai incorre in meta
del Solis tradotto soltanto Un bovo hace ciento, commedia avviluppata
che
si continua a rappresentare; ma forse poteva fare
orse poteva fare scelta migliore fralle seguenti: Amparar al enemigo,
che
dal Celano in Napoli si tradusse in prosa intitol
ano in Napoli si tradusse in prosa intitolandola Proteggere l’inimico
che
ha più di una situazione interessante, locuzione
i Madrid. Una novella di Cervantes diede l’argomento a questa favola,
che
ha somma grazia in castigliano, e perde assai di
e ritenere i tratti originali della dipintura degli zingani Andaluzzi
che
acquistano ancor grazia maggiore nella rappresent
Andaluzzi che acquistano ancor grazia maggiore nella rappresentazione
che
ne fanno i nazionali. Più di una fiata ho veduta
ellente attrice Pepita Huerta, morta da molti anni, or dalla Carreras
che
già si era ritirata dal teatro quando io nella fi
sa. Rendevasi accetta la prima per certa grazia naturale tutta nobile
che
faceva trasparire in mezzo ai modi ed ai gerghi z
na grave infermità si destinò l’anno 1782 a rappresentarla nel passar
che
fece il Conte d’Artois per Madrid andando al camp
ma dopo la prima scena ella cadde in un profondo deliquio e convenne
che
la Graziosa per nome Apollonia supplisse sul fatt
nche si contiene nel termine di poco più di un giorno. Il personaggio
che
dà il titolo alla favola è tratto della commedia
esta commedia non è rimasta al teatro. Nella commedia el Amor al uso (
che
Tommaso Corneille tradusse ed intitolò l’Amour à
ed intitolò l’Amour à la mode) Solis ha pure rappresentata un’ azione
che
si compie in ventiquattro ore. Vi si dipingono vi
giovanili. È posta in vista la galanteria di una dama ed un cavaliere
che
mostrano di amarsi, avendo però ciascuno più d’un
di seguirlo in tal carriera. Verisimilmente questo valoroso scrittore
che
non calcò le vestigia nè di Lope nè di Calderòn n
sì avverso a quanto possa torgli il menomo uso della propria libertà,
che
giugne all’eccesso e ne diviene ridicolo. Il re d
fargli qualche grazia, e lo sprona a domandarne alcuna? Egli lo prega
che
se continua a dimorare in Zamora gli risparmii l’
inua a dimorare in Zamora gli risparmii l’onore di più chiamarlo. Ode
che
in una casa si stà cantando? Per goder da vicino
ersi senza levarsi da sedere. Andando per la città mena seco un servo
che
oltre ad un parasole porta sotto il braccio uno s
erve in istrada quando vuol riposarsi. Questo personaggio capriccioso
che
tal volta eccede e si rende inverisimile e tocca
n per tanto interessante pel valore di cui è dotato, e per la fedeltà
che
in ogni incontro mostra verso il sovrano. Tralle
i incontro mostra verso il sovrano. Tralle commedie di Antonio Zamora
che
raccolte in due tomi si sono impresse ne’ princip
due tomi si sono impresse ne’ principii del secolo XVIII, havvene due
che
oggi si rappresentano. La prima s’intitola No ay
no se compla, ni deuda que no se pague, cioè non vi è tempo prefisso
che
non arrivi, nè debito che non si paghi; ed è il C
e no se pague, cioè non vi è tempo prefisso che non arrivi, nè debito
che
non si paghi; ed è il Convitato di pietra in part
Tenorio in Napoli, e ritenne solo il prodigio della statua convitata
che
parla e camina e convita ed uccide Don Giovanni.
l’azione, i caratteri si contengono ne’ limiti di quel genere comico
che
si appressa alla farsa. Pecca ancora nell’unità d
surare, e non poche da lodare. La sudicia avarizia di Don Marcos Gil,
che
oltrapassa gli Euclioni e gli Arpagoni, è colorit
punita con un matrimonio di una finta ricchezza di una vedova indiana
che
in effetto è una povera donna di Salamanca. Anche
mpiglio, il Duello contra l’Innamorata. Non v’ha regola di verisimile
che
in esse non si trasgredisca, nè stranezza di stil
di verisimile che in esse non si trasgredisca, nè stranezza di stile
che
non possa notarvisi; e pur vi si scorge un artifi
zza di stile che non possa notarvisi; e pur vi si scorge un artificio
che
ne rende gli argomenti interessanti. Imprese Cand
lla prima favola una lezione scenica a’ principi col medesimo intento
che
ebbe il signor di Marmontel ne’ discorsi di Giust
elisario. E siccome nel libro di tal Francese la morale e la politica
che
vi si spargono, vengono avvelenate da una perpetu
le, oltre a quelli di religione; così nel dramma spagnuolo la lezione
che
si pretende dare a’ sovrani tende a distruggere u
ncipio erroneo ed a stabilire una falsità opposta. Un vassallo ardito
che
crede avere studiato, censura il governo di Traja
no per castigarlo se l’associa al trono. Il suo disegno e di mostrare
che
non vale lo studio scompagnato dall’esperienza; m
questa massima: que no es ciencia que se studia la del reinar , cioè
che
l’arte di regnare non si studia, la quale è manif
Il Camillo di Candamo avea studiato male; si doveva dunque insegnare
che
al principe conviene studiar bene. In fatti egli
In fatti egli vien dipinto ignorante non solo ne’ principii politici
che
mettono capo nella ragion naturale e delle genti,
n naturale e delle genti, ma ancor nella geografia e nella storia. Or
che
avea egli studiato? delle ciance pedantesche? Can
nsì a saperli scegliere per l’oggetto di studiar l’arte di regnare, e
che
questa si apprende non meno ne’ buoni libri che n
l’arte di regnare, e che questa si apprende non meno ne’ buoni libri
che
nel maneggio degli affari; altrimenti il popolo n
matori, e non già principi illuminati dalla sapienza. Se come Alfonso
che
fu detto il Savio, studieranno l’astronomia a seg
prezzo, di emendarne gli errori da padre e non da despoto; i principi
che
si dedicheranno a questo studio, calcheranno le o
anno le orme de’ Titi e degli Antonini, i quali furono dotti non meno
che
grandi e degni principi. Se apprenderanno a ben r
dunque dalla favola di Candamo risulta uno sciocco insegnamento, cioè
che
l’arte del regnare non s’impara se non col solo m
una norma, senza bussola, senza aver coltivata la ragione? ogni arte
che
si acquista a forza di pratica materiale, s’impar
rrando, e gli errori de’ principi sono sempre fatali. Questo soltanto
che
nella favola di Candamo merita lode, è che vi si
re fatali. Questo soltanto che nella favola di Candamo merita lode, è
che
vi si mostra coll’esempio di Camillo questa verit
è che vi si mostra coll’esempio di Camillo questa verità morale, cioè
che
un principe buono, che voglia bene adempiere il p
’esempio di Camillo questa verità morale, cioè che un principe buono,
che
voglia bene adempiere il proprio dovere, è un ver
uono, che voglia bene adempiere il proprio dovere, è un vero schiavo,
che
col manto reale ricopre le proprie dorate catene,
oli, ed il loro sale comico non bene avvertito da Saverio Bettinelli,
che
volle scherzare con una asserzione non vera, cioè
rio Bettinelli, che volle scherzare con una asserzione non vera, cioè
che
essi nè anche sapevano ridere senza gravità ; pe
e sapevano ridere senza gravità ; per servire alle leggi della storia
che
sol del vero si alimenta e si pregia, osserviamo
ggi della storia che sol del vero si alimenta e si pregia, osserviamo
che
rarissime sono le commedie che da tali rimproveri
ro si alimenta e si pregia, osserviamo che rarissime sono le commedie
che
da tali rimproveri si esimono. Ma non lasciamo di
e commedie che da tali rimproveri si esimono. Ma non lasciamo di dire
che
se essi al loro sale nativo, alla vivacità e feco
tivo, alla vivacità e fecondità dell’immaginazione, alla predilezione
che
hanno pel teatro, accoppiato avessero un prudente
mo ora quì appena accennato, ben si rileva perchè nel XVII ancor meno
che
nel precedente secolo si rinvengano vere tragedie
meno che nel precedente secolo si rinvengano vere tragedie. Montiano
che
ne fu il più diligente investigatore, appena giun
rta l’essere stato tanto benemerito del teatro spagnuolo) se avanzano
che
la vera tragedia o non si è coltivata o non si è
anni dal secondo al terzo atto, in cui si tratta della dichiarazione
che
fa Semiramide di esser donna, della cessione dell
essione dello scettro a Ninia palesandosene innamorata, e della morte
che
ne riceve. La Cruel Cassandra contiene molti fatt
tata delle favole del Virues. Ad eccezione di uno o di due personaggi
che
poco figurano nella multiplicità delle azioni con
inque cadaveri in una volta; talche soleva dire un erudito spagnuolo,
che
in vece di una tragica azione gli sembrava una ra
cella dorme, invia Ismenio a procurare un cocchio, e ferisce Tersillo
che
ricusa di secondarlo. Marcella tenta di fuggire;
come immaginò Virgilio. La favola spagnuola si aggira sul matrimonio
che
Jarba vuol contrarre con Didone. Ella tuttochè pi
la prima scena di unirsi all’Affricano. Alcuni capitani suoi vassalli
che
aspirano alle sue nozze, per turbare il trattato,
iudere le nozze con Jarba torna col pensiero a Sicheo; ma pur comanda
che
Jarba sia introdotto nella città. Questo re che n
icheo; ma pur comanda che Jarba sia introdotto nella città. Questo re
che
non si è veduto ne’ primi quattro atti, comparisc
pada di Jarba ed ha la corona a’ piedi ed una lettera in mano. Jarba (
che
sembra venuto in iscena unicamente a leggere quel
quel foglio e a disporre l’esequie di Didone) comprende dalla lettera
che
la regina per mantenere eterna fede a Sicheo ha s
o quattro volte, e terminato nel quinto. Il signor Montiano affermava
che
in questa favola si rispettano le regole; ma per
di tempo o di luogo. Il signor Lampillas poco intelligente di poesia
che
volle parlar di drammatica, stimò questa Dido una
almeno sono inutili, e nella quale Didone senza apparire la necessità
che
l’astringe a promettersi a Jarba, è posta nel cas
rte per non isposarlo? Ciò è tanto più sconvenevole, quanto più Jarba
che
viene in iscena sì tardi, si dimostra ben lontano
azioni e di racconti gratuiti e seccanti ? È argomento di perfezione,
che
mentre i personaggi subalterni cianciano a buon d
le proprie Rime Rime, e colla nominata tragedia. Reca però maraviglia
che
un ingegno così esercitato, e che oltreacciò preg
nata tragedia. Reca però maraviglia che un ingegno così esercitato, e
che
oltreacciò pregiavasi di avere per ben cinque ann
agedia sì cattiva, seguendo il sistema erroneo de’ compatriotti, anzi
che
l’esempio degli antichi e di Torquato. Il suo Pom
Dido del Virues non possiamo contare altre tragedie del XVII secolo,
che
la traduzione delle Troadi di Seneca fatta da Giu
ne delle Troadi di Seneca fatta da Giuseppe Antonio Gonzalez de Salas
che
s’impresse nel 1633, ma in essa quasi sempre egli
l Virues sono mai state rappresentate ne’ teatri di Madrid negli anni
che
io vi dimorai. Tale è la storia del Teatro Spagnu
Sopratutto ho atteso a schivare le loro inutili decisioni generali. E
che
giovano esse quando non sono verificate su i mede
ossa facilitarne l’esecuzione questa mia storia! Allora gli Spagnuoli
che
mostrano già molti progressi fatti nelle scienze,
li, e si volgeranno a calcare miglier sentiero. Allora si avvedranno,
che
tralle potenti cagioni che vi ostano; son da nove
re miglier sentiero. Allora si avvedranno, che tralle potenti cagioni
che
vi ostano; son da noverarsi gli scritti de’ Lampi
dulatori di se stessi, e de i difetti del teatro nazionale. Allora (o
che
io m’inganno) da scrittore antispagnuolo qual mi
nazione, di cui non meno nel Discorso sopra le sviste del Lampillas,
che
nell’Orazione funebre per Carlo III recitata ed i
ien chiamato da Nicolàs Antonio. a. Vedi il II discorso dal Montiano
che
riprende i riferiti difetti degli attori nazional
ora ascoltati. a. L’espressione originale è fondata sul doppio senso
che
hanno nell’idioma castigliano le parole Zelo e Ze
one ebrea e della stirpe sacerdotale degli Asmonei giura per gli dei
che
adora ? a. L’originale è più abbondante, e fors
è sembrato estremamente ricercato, ed incoerente il cumolo de’ simili
che
vi si profondono affettatamente: Monstruo, ingra
rvore della passione si è quì permesso una specie di delirio, facendo
che
Dorotea in quello stato dubiti se il Cagnerì sia
che Dorotea in quello stato dubiti se il Cagnerì sia una nuvola nera
che
si abbassi al mare delle di lei lagrime per poi p
i abbassi al mare delle di lei lagrime per poi precipitare in diluvio
che
inondi la terra . Si è tralasciato di tradurre qu
n finale istrionico solito a porsi nelle relaciones. Dorotea gli dice
che
si volgeranno contro di lui cielo, sol, luna, est
ego, tierra, viento. a. Teatro Spagnuolo tomo I. a. Da ciò si vede
che
Linguet ha raccolte ma non scelte le favole pel s
’autore ha composte altre favole difettose per condotta e per istile,
che
più non si recitano, come sono el Job de las muge
iginale veramente qui si diffonde per ben quaranta versi per dire ciò
che
quì si accenna in cinque; ma i concetti sono trop
ono, si dice in tanti versi, di tal sorte la campagna i miei armenti,
che
quando si appressano a bere nel più copioso rio,
bere. a. L’autore della Choix des petites pièces du Thèätre Anglois
che
vi ha inserita la favola di Dodsley commenda l’au
dsley commenda l’autore di essa come uomo onesto e scrittore filosofo
che
non perde di vista la correzione de’ costumi e la
di non trovarvisi nè saviezza d’intrigo nè regole di teatro lo credo
che
il maggior difetto di essa sia che manchi d’inter
trigo nè regole di teatro lo credo che il maggior difetto di essa sia
che
manchi d’interesse tanto il carattere del Mugnajo
della spagnuola composta da Agostin de Roxas. Essa altra cosa non era
che
certi dialoghi intitolati Viage entretenido, dove
le spagnuola e su l’opera del nominato Roxas; e quindi convien dire o
che
fu imposturato egli stesso, o che volle impostura
nato Roxas; e quindi convien dire o che fu imposturato egli stesso, o
che
volle imposturare.
à, si attenne alle regole precritte dal verisimile quasi in tutto ciò
che
compose. Lasciando di favellare delle sue prime t
l popolo nella rappresentanza seguitane nel 1629, ad onta de’ difetti
che
vi notò, e della debolezza dello stile, ne sentì
ella debolezza dello stile, ne sentì il pregio, e l’applaudì. Nè dopo
che
lo stesso Pietro Cornelio ebbe trattato quest’arg
blico si dilettò meno della Sofonisba del Mairet 2. Avvenne in fatti,
che
mentre rappresentavasi quella del Cornelio, molti
toria di quella regina, facendo morir Siface in battaglia, per evitar
che
si vedesse Sofonisba con due mariti vivi, ed aggi
per destar compassione, alla morte di Sofonisba quella di Massinissa,
che
secondo la storia visse sino all’estrema vecchiez
ssai inferiore alla sublimità di quello del Cornelio, e l’impudicizia
che
Siface rimprovera alla moglie, e gli artifizj ch’
lle. Chi non sente a un tempo stesso elevarsi e commuoversi a ciò
che
dice Orazio al cognato Albe vous a nommè, je ne v
servazioni sul Cinna. Incomparabili sono certamente questi versi,
che
disviluppano i sublimi sentimenti di un anima gra
ppano i sublimi sentimenti di un anima grande. Incresce non per tanto
che
a conseguire un pieno effetto in tutti i tempi, s
in tutti i tempi, si oppongano le due seguenti osservazioni. L’una è
che
da Augusto vien Cinna troppo avvilito con dirgli:
; per la qual cosa non ebbe torto quel maresciallo de la Feuillade,
che
ciò udendo esclamò; oimè! tu mi guasti il soïons
enire amico di chi manca di merito e di virtù. L’altra osservazione è
che
l’ozioso personaggio dell’imperatrice Livia nuoce
Quantunque il Nicomede non iscarseggi di difetti, nè sia argomento
che
si elevi alla grandezza e al terror tragico sì pe
omento che si elevi alla grandezza e al terror tragico sì pel viluppo
che
per la qualità de’ caratteri di Prusia, di Arsino
piano del primo atto di una Ifigenia in Tauride, dal quale apparisce
che
questo gran tragico moderno, prima di mettere in
erso veruno; ed egli avea ragione. Quindi veniva la facilità mirabile
che
avea nel verseggiare (facilità ignorata dall’impe
uerta il quale in un suo scartafaccio con impudenza indicibile asserì
che
Racine lavorava stentatamente) e la ragione fu in
te di Erode il commediante Mondori declamò con tal vigore ed energia,
che
offeso nel petto si rendette inabile a più compar
e del Cid per tante rappresentazioni con estremo piacer del pubblico,
che
la vide, senza stancarsene, riprodursi di tempo i
ere di Erode dipinto con bastante forza e verità, e alcune situazioni
che
interessano, e l’intrepidezza di Marianne condott
interessano, e l’intrepidezza di Marianne condotta a morire, mostrano
che
Tristano meritò in certo modo gli applausi che ri
tta a morire, mostrano che Tristano meritò in certo modo gli applausi
che
riscosse da’ Francesi di quel tempo. ADDIZIONE
di quel tempo. ADDIZIONE VII* Sulla Morte di Solone. Si crede
che
appartenga a questo secolo la Morte di Solone, tr
ordarsi a’ compilatori francesi della Picciola Biblioteca de’ Teatri,
che
vi si veggano sparsi quà e là alcuni versi felici
versi felici, e alquante bellezze. Ma essi debbono con noi convenire
che
vi si scorge principalmente un tuono continuato d
ia e di galanteria, per cui spariscono i tratti importanti di libertà
che
tutta ingombra l’anima di Solone. Le scene per lo
ene per lo più lunghe, oziose, e quasi sempre fredde di quattro donne
che
v’intervengono, spargono per tutto, e specialment
rato, di cui non cercano di accertarsi nè gli amici nè i nemici; così
che
poco dopo Solone avvisa che Pisistrato combatte a
accertarsi nè gli amici nè i nemici; così che poco dopo Solone avvisa
che
Pisistrato combatte ancora, e la libertà soccombe
à soccombe; anzi Pisistrato stesso viene fuori, altro male non avendo
che
un braccio fasciato. Nell’atto V Licurgo esce per
sciato. Nell’atto V Licurgo esce per far sapere alle donne del dramma
che
il senato è condisceso all’inalzamento di Pisistr
che il senato è condisceso all’inalzamento di Pisistrato al trono, e
che
Solone nell’opporsi a i soldati di lui è stato fe
si mette a declamare lungamente con tutta l’inverisimiglianza per uno
che
stà spirando, e racconta con troppe parole, che P
risimiglianza per uno che stà spirando, e racconta con troppe parole,
che
Policrita non è sua figlia, e che si chiama Cleor
ando, e racconta con troppe parole, che Policrita non è sua figlia, e
che
si chiama Cleorante. In tutto il dramma egli ha u
Cleorante ad oggetto di valersene per impedire con autorità di padre
che
Pisistrato suo amante opprimesse la patria. Ora m
di padre che Pisistrato suo amante opprimesse la patria. Ora morendo
che
scopo ha egli di scoprire il cambio fatto? Soltan
che scopo ha egli di scoprire il cambio fatto? Soltanto di far noto,
che
il suo sangue non si mescolerà con quello dell’op
ue non si mescolerà con quello dell’oppressore d’Atene. Sembra dunque
che
l’eroe legislatore diventi nullo nella tragedia,
Sembra dunque che l’eroe legislatore diventi nullo nella tragedia, e
che
non vi si veda la sua virtù posta in azione sino
la tragedia, e che non vi si veda la sua virtù posta in azione sino a
che
non ne diviene la vittima. Il personaggio che chi
posta in azione sino a che non ne diviene la vittima. Il personaggio
che
chiama più l’attenzione è Pisistrato combattuto d
più l’attenzione è Pisistrato combattuto dall’amore e dall’ambizione,
che
vuole il regno, e non vuol perdere Policrita. L’a
che vuole il regno, e non vuol perdere Policrita. L’altro personaggio
che
interessa è la stessa Policrita appassionata aman
stessa Policrita appassionata amante di Pisistrato e della libertà, e
che
seconda le mire di Solone a costo del proprio amo
onda le mire di Solone a costo del proprio amore. Solone altro non fa
che
ondeggiare sperando nelle varie fazioni, e promet
rando nelle varie fazioni, e promettendo la pretesa figliuola a colui
che
contribuisca a distruggere il partito oppressore:
i Lucilla ed Erasto, in cui essi lacerano vicende volmente le lettere
che
conservano, rendono i doni, rompono ogni corrispo
denza, e finiscono con andarsene uniti. Il Riccoboni però ci assicura
che
Moliere nel Dispetto imitò anche un’ altra commed
liana intitolata gli Sdegni amorosi, e questo titolo ben può indicare
che
da tal commedia trasse probabilmente la riferita
e probabilmente la riferita scena. Comunque sia la storia ci dimostra
che
siccome Guillèn de Castro &c. ADDIZIONE I
Castro &c. ADDIZIONE IX* Scaramuccia Eremita. Si osservi
che
una favola italiana anonima fredda e scandalosa i
mparisce dicendo, questo è per mortificar la carne. Un simile eremita
che
monta per una vite su di una finestra di una donn
dal sig. Bret nella sua edizione delle Opere di Moliere. Diceva Dubos
che
si ricordava d’aver letto, che Moliere doveva al
e delle Opere di Moliere. Diceva Dubos che si ricordava d’aver letto,
che
Moliere doveva al teatro italiano il suo Tartufo.
ragici suoi talenti, e svegliò nel pubblico e ne’ posteri viva brama,
che
egli avesse potuto o calzar più per tempo il cotu
stata l’arte di pulir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è
che
nella lettura che se ne fece, gli si notò la dure
lir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è che nella lettura
che
se ne fece, gli si notò la durezza della versific
a della versificazione e la scorrezione dello stile. Da prima, a quel
che
ci dicono i suoi nazionali, avea egli dato un fig
innamorato d’Ifigenia; ma il sig. Collè di gusto migliore gli avvertì
che
tali amori raffreddavano tutto il resto in argome
teatro francese il Callistene nel 1730, tragedia di semplice viluppo,
che
punto non riuscì sulle scene, e non vi tornò a co
e non vi tornò a comparire; il Gustavo Wasa più complicata nel 1733,
che
ebbe venti rappresentazioni successive, ed è rima
e difeso dal proprio autore con forza e con buono evento. Tra’ pregi
che
si notano in questa tragedia, è la nobiltà e la v
Tra’ pregi che si notano in questa tragedia, è la nobiltà e la virtù
che
regna in quasi tutti i personaggi non eccettuando
e la virtù che regna in quasi tutti i personaggi non eccettuandosene
che
il tiranno Cristierno col suo confidente. Ogni at
tura de’ costumi selvaggi e spagnuoli in contrasto. La rassomiglianza
che
in certo modo ha con l’Alzira, non ha nociuto al
ira, non ha nociuto al buon successo di Zuma. Le situazioni patetiche
che
vi regnano, l’interesse che produce, la pompa del
successo di Zuma. Le situazioni patetiche che vi regnano, l’interesse
che
produce, la pompa dello spettacolo e dello stile
no, l’interesse che produce, la pompa dello spettacolo e dello stile (
che
però talvolta eccede, e cade nell’enfatico) ed il
quell’anno con molta energia da madamigella Rancourt, tutto ciò fa sì
che
questa tragedia non lascia di ripetersi ancor ne’
die tradusse in gran parte dall’inglese il Beverlei di Odoardo Moore,
che
altri attribuisce a Lillo, altri a Tompson. Poche
lo scioglimento aggiungendovi il fanciullo Tomi figlio del giocatore,
che
occupa la maggior parte dell’atto quinto. Piacque
tto partorì il quinto su gli animi degli spettatori; ma a molti parve
che
l’orrore giugnesse a lacerare oltremodo il cuore,
a a molti parve che l’orrore giugnesse a lacerare oltremodo il cuore,
che
dal compiangere uno sventurato è costretto a pass
è costretto a passare ad inorridire al furioso attentato di Beverlei
che
in considerare a quale stato di miseria ha egli r
vventa con un pugnale. Questo fanciullo non appartiene all’originale,
che
si recitò la prima volta in Londra nel 1753. L’ab
el 1753. L’ab. Prevôt lo tradusse in francese intitolandolo le Joueur
che
si stampò in Parigi nel 1762. Il Socrate &c.
XVI* Drammi di Beaumarchais. Esse sono il Barbiere di Siviglia,
che
oltre dell’applauso ottenuto in Francia si è repl
occo festivo di Talia. Compose in prima i Figliuoli ingrati commedia,
che
poi intitolò la Scuola de’ Padri, nel 1728, che n
oli ingrati commedia, che poi intitolò la Scuola de’ Padri, nel 1728,
che
non ebbe quel felice successo, che prometteva il
olò la Scuola de’ Padri, nel 1728, che non ebbe quel felice successo,
che
prometteva il suo felice ingegno atto sommamente
dicolo de’ costumi correnti. Produsse in seguito l’Amante misterioso,
che
cadde affatto, ed appena potè il poeta consolarsi
, che cadde affatto, ed appena potè il poeta consolarsi coll’applauso
che
nel medesimo teatro ottenne per la sua pastorale
sua Metromania commedia ingegnosa, piacevole, spiritosa, e regolare,
che
appena rappresentata nel 1738 con invidiabile app
di Odoardo III, diede al teatro anche il Sidney scritto con eleganza,
che
non riuscì per esserne il soggetto lontano dal te
ci, ed il Mondo com’ é, di cui solo si conosce il titolo. Nel Mechant
che
è il suo capo d’opera teatrale, si dipinse un mal
ADDIZIONE XIX** Commedie del Marivaux. Voltaire diceva di lui
che
conosceva tutte le vie del cuore, fuorchè la via
. ADDIZIONE XX* Commedie piacevoli del Saurin. Il sig. Saurin
che
si è esercitato in diverse specie della poesia sc
g. Saurin che si è esercitato in diverse specie della poesia scenica,
che
riuscì competentemente con Spartaco e più con Bev
usarono forse più per capriccio o per piccioli interessi a noi ignoti
che
per debolezza del componimento, o per mancanza di
in Francia. Conviene all’imparzialità di uno storico l’avvertire,
che
la ridevole stravaganza degli abiti teatrali eroi
chi vide Parigi nel 1787, e e nel 1792, e mel riferì con asseveranza)
che
oggi sia interamente bandita da quelle scene. Si
ecenza richiesta negli argomenti e ne’ costumi descritti nelle favole
che
si rappresentano. ADDIZIONE XXII* Opera istor
storica riserbandosi la mitologica soltanto per alcune feste teatrali
che
alluder doveano alla nascita o ad altre occorrenz
olarità ed a verisimiglianza. In Francia nel XVII secolo ed in questo
che
cade hanno continuato a comparire i drammi di Qui
abbandonato il teatro lirico francese, mal grado dell’ottimo effetto
che
hanno prodotto le traduzioni e le imitazioni di q
re alla musica nel 1772 l’Ifigenia di Racine, e l’inviò al cav. Gluck
che
trovavasi in Vienna. Gluck postala in musica venn
gli dei si è rappresentato uno spettacolo brillante e maestoso”. Pare
che
i Francesi non tarderanno a ridursi sotto il vess
ni, caporione de’ quali si era dichiarato il fu Ranieri di Calsabigi,
che
sedusse anche il conte Pepoli, incapaci di riesci
DIZIONE XXIII* Spettatori rimossi dal palco scenico. Vero è però
che
in questi ultimi tempi sento essersi riparato all
di mischiarsi sulla scena gli spettatori agli attori. Vero è pur anco
che
il teatro della commedia francese ha ricevuti poc
a un prologo allusivo all’apertura del teatro. E’ un edificio isolato
che
rappresenta un parallelogrammo circondato da port
zza sopra 24 di larghezza. Sotto il peristilo si veggono cinque porte
che
introducono a un vastissimo vestibolo ornato da s
ci colonne doriche, il cui fondo ripete le cinque arcate dell’entrata
che
sono ad esse opposte, e formano altrettanti porti
tea (parterre) ed al paradiso da un lato, e dall’altro alla scalinata
che
mena al terzo ordine delle logge, ossiano palchet
l re con una iscrizione. La sala ha dodici colonne d’ordine composito
che
nella loro altezza comprendono due ordini di logg
unnii. Havvi oltreaciò tre scalinate in anfiteatro, cioè una in fondo
che
guarda il teatro, e le altre due da’ due lati del
criva quanto segue. 1. Si ritenga la nota (1) impressa nella pag. 6,
che
incomincia Voltaire negò questo &c. 2. Si r
esto &c. 2. Si ritenga anche la nota (2) della medesima pag. 6,
che
incomincia, La Sofonisba di Cornelio &c. 1.
ia, La Sofonisba di Cornelio &c. 1. Non increscerà a chi legge,
che
per dare una idea de’ teatri francesi del tempo d
de’ teatri francesi del tempo del Mairet, io accenni una parte di ciò
che
ne disse ne’ suoi Dialoghi il sig. Perrault. Essi
corde visibili si abbassavano per ismoccolarsi le candele da un uomo
che
saltava fuori a bella posta. La musica consisteva
8, dopo le parole, alla gloria della posterità, si ponga in nota ciò
che
siegue. *. Al Capo medesimo, pag. 30, lin. 9, do
, dopo le parole, vi si occupò con applauso, si tolgano le nove linee
che
seguono dalle parole, Nell’inverno in cui sino a
questo argomento, e si scriva la presente addizione. 1. Oltre a ciò
che
nel tomo precedente si è detto della Marianna del
ella Marianna del Dolce, del Calderon, e di Tristan, vuolsi osservare
che
nell’anno 1636, quando si rappresentò la Marianne
r Maria Quiñones nel medesimo anno 1636, non trovandosi tralle dodici
che
vi si leggono la favola dal Tetrarca nominato; la
grande effetto. Adunque il sig. Andres con troppa franchezza affermò
che
Tristano tratta avesse la sua Marianna dall’Erode
italiana del Dolce prodotta cento anni prima, è assai più verisimile
che
egli anzi tolto avesse quest’argomento da’ France
verisimile che egli anzi tolto avesse quest’argomento da’ Francesi, e
che
si fosse approfittato o della Marianne di Hardy,
e di Hardy, rappresentata in Parigi nel 1610, o di quella di Tristan,
che
fece recitare e stampare la sua prima della favol
linee seguenti da Abbiamo sino a La Storia dunque, e si aggiunga ciò
che
segue in nota. *. Al medesimo Capo III, pag. 44,
(1). *. Al medesimo Capo III, pag. 50, si riformi così la citazione
che
vi si trova. **. Al Capo V, pag. 76, lin. 26., d
le, si desidera forza, calore ed eleganza, si tolgano le cinque linee
che
seguono in detta pagina, e le nove della pag. 77
po le parole, la versificazione di questo scrittore, si aggiunga quel
che
qui si scrive. *. Al Capo V medesimo dalla pagin
i scriva l’addizione seguente. *. Al Capo VI in fine della pag. 135,
che
per errore tipografico si trova segnata 119 la se
ervare a’ maschi intere le patrie ricchezze. *. Al Capo VI pag. 136,
che
è la 120 la seconda volta, alla lin. 19, dopo le
o. **. Si continui sino alle parole affrettato bellamente dal notajo
che
sono nella pag. 137, indi si scriva come segue, t
tri drammi sino a della Guadalupæ. *. Al medesimo Capo VI, pag. 142,
che
è la 126 per la seconda volta, alla lin. 23 dopo
dopo le parole, certo parlar gergore a lui proprio, si aggiunga quel
che
segue. *. Al medesimo Capo VII, art. II pag. 163
po le parole, quand on y sçut representer les hommes, si aggiunga ciò
che
segue. *. Al medesimo Cap. VIII, art. III, pag.
esimo Capo ed articolo pag. 187 in vece delle ultime due linee Dicesi
che
in Bordò &c. si scriva ciò che segue.
vece delle ultime due linee Dicesi che in Bordò &c. si scriva ciò
che
segue.
del Teatro Greco. Frattanto la parte ridicola e satiresca de’ cori
che
precedettero alla poesia tespiana, appartata dall
errava per gli villaggi sotto il nome di comedia preso o dal vocabolo
che
nel Peloponneso significava la villa, o da κωμάζε
onneso significava la villa, o da κωμάζεω, banchettare. Ma il piacere
che
quantunque grossolano, recava a tutti tale spetta
iorarne la forma, togliendo per esemplare la tragedia osservando poi,
che
questa si arricchiva ne’ poemi eroici d’Omero, pe
na, falsa e graziosa del di lui Margite. Vennero allora in tanta fama
che
furono chiamati e ammessi a rappresentare in citt
Ma ricevé tal commedia tutta la sua perfezione dall’Attico Aristofane
che
sempre colla grazia e colle facezie temperava mir
e temperava mirabilmente l’amarezza della satira. Osserviamo intanto,
che
l’emulazione de’ poeti, la natura del governo, e
prosperità della repubblica, diedero a tal commedia i pregi e i vizi
che
la caratterizzano. Appena ebbero i comici, imitan
i comici, imitando i tragici, data forma e disposizione al lor poema,
che
gonfi della riuscita, presero a gareggiar co’ lor
erli ridicoli per mezzo di alcuni leggieri maliziosi cangiamenti; nel
che
consisteva la parodia che fu l’anima della commed
alcuni leggieri maliziosi cangiamenti; nel che consisteva la parodia
che
fu l’anima della commedia antica. La vittoria li
. La vittoria li dichiarò per gli comici, se non si riguardi ad altro
che
al merito dell’invenzione, e al piacer che produc
e non si riguardi ad altro che al merito dell’invenzione, e al piacer
che
produce la novità degli argomenti; imperciocché i
ri dalle favole di Omero e dalla mitologia assai ben nota; e i comici
che
provvedeansi nella propria immaginazione, present
utto nuovo. Di là uscirono quelle maravigliose dipinture allegoriche,
che
incantarono la grecia. Esse accoppiavano alla più
andoli del timore, potentissimo freno delle passioni eccessive. Atene
che
trovavasi in sì alto punto di prosperità, e per c
à, e per conseguenza, di moral corruzione, mirò senza orrore il fiele
che
sgorgava da questo fonte, si compiacque della spo
il fiele che sgorgava da questo fonte, si compiacque della sporcizia
che
vi regnava, vedendovi il ritratto fedele de’ suoi
vi il ritratto fedele de’ suoi costumi, e applaudì a quella malignità
che
mortificava i potenti che abborriva, e i virtuosi
suoi costumi, e applaudì a quella malignità che mortificava i potenti
che
abborriva, e i virtuosi che la facevano arrossire
uella malignità che mortificava i potenti che abborriva, e i virtuosi
che
la facevano arrossire. Qual maraviglia dunque che
rriva, e i virtuosi che la facevano arrossire. Qual maraviglia dunque
che
i comici insolentissero a segno, non che d’insult
sire. Qual maraviglia dunque che i comici insolentissero a segno, non
che
d’insultare ai cleoni poderosi, ma di perseguitar
ar empiamente la religione, e di rimproverare a tutti i cittadini ciò
che
leggesi nel dialogo tenuto nelle Nubi dal ragiona
elle Nubi dal ragionar dritto e dal torto?34 Risulta da queste cose,
che
ciò che ora chiamiamo commedia, non rassomiglia a
i dal ragionar dritto e dal torto?34 Risulta da queste cose, che ciò
che
ora chiamiamo commedia, non rassomiglia alla grec
per baldanza si allontana da ogni favola comica moderna. I frammenti
che
ci restano de’ primi comici, non basterebbero a d
ente impressi con caratteri indelebili. Ma la commedia principalmente
che
per destar l’attenzione e ’l diletto, ritrae e ra
ltà si riproduce sulle Scene nazionali senza notabili cangiamenti. Or
che
addiverrà d’una greca di ventidue, o ventitré sec
indietro, la quale passi nelle nostre contrade sì cambiate da quello
che
erano allora? E pure oggidì son tanti, i ridicoli
nte le commedie d’Aristofane! Mai abbastanza non si ripete a costoro,
che
il tuono decisivo e inconsiderato é quello della
toro, che il tuono decisivo e inconsiderato é quello della fatuità, e
che
debbono apprendere; e sovvenirsene allorché son t
debbono apprendere; e sovvenirsene allorché son tentati di decidere,
che
questo Aristofane era un atenieso, il quale fiori
IV secolo di Roma, tempo in cui i romani niuna cognizione aveano, non
che
dell’altre belle arti, della poesia teatrale, la
più felice successo da i popoli della magna Grecia, e della Sicilia,
che
, come dice e mostra il dottissimo Tiraboschi, «in
si trova nell’atto III la pittura al naturale del mercato di Atene il
che
dimostra che la decorazione non era punto trascur
’atto III la pittura al naturale del mercato di Atene il che dimostra
che
la decorazione non era punto trascurata nella com
mostra che la decorazione non era punto trascurata nella commedia. Ma
che
un venditor di porci insegni ai figli contraffare
a suo dispetto, si ravvisano in Agoracrito, venditor di carne cotta,
che
suo mal grado diviene in tal commedia uomo di sta
iviene in tal commedia uomo di stato. Non vi fu ipocrita o sia attore
che
ardisse di rappresentare, il personaggio del pote
isse di rappresentare, il personaggio del potente Cleone, né artefice
che
ne volesse far la maschera, come si dice nell’att
sasse. Egli riuscì così bene ad accusarlo di prepotenza e ladronecci,
che
’l popolo condannò Cleone a pagar cinque talenti,
a pagar cinque talenti, cioé intorno a tremila feudi; e quello pruova
che
la commedia antica era un’effettiva denunzia di s
era un’effettiva denunzia di stato37. La nota commedia delle Nuvole,
che
fu c composta nel nono anno della guerra del Pelo
vole, che fu c composta nel nono anno della guerra del Peloponneso, e
che
diede agli oziosi ateniesi tanta materia di ragio
agli oziosi ateniesi tanta materia di ragionare anche due mesi prima
che
l’autore ottenesse la licenza di porla sul teatro
e mesi prima che l’autore ottenesse la licenza di porla sul teatro, e
che
preparò la ruina di Socrate38, dimostra per tutto
flessioni. Se il servo affetta tanto l’uomo d’ingegno e d’importanza,
che
farà il padrone? E’ artificiosa e piacevole la sc
n questa e nelle precedenti commedie. Nel coro dell’atto I si accenna
che
Aristofane diede al pubblico la sua prima commedi
i de’ comici competitori di Aristofane. Egli ne sa la satira, dicendo
che
la sua commedia non comparisce, come le loro, con
iare i calvi, e a dilettar con danze oscene; non introduce un vecchio
che
va col bastone percotendo tutto ciò che incontra;
ene; non introduce un vecchio che va col bastone percotendo tutto ciò
che
incontra; non si presenta con fiaccole alla mano
dorna del proprio merito e di piacevolezze naturali. Qui pur si trova
che
Eupoli diede una commedia, intitolata Marica, nel
tofane) ha saccheggiato i miei Equiti, aggiugnendovi solo una vecchia
che
fa un ballo, disonesto, che pure é rubato a Frini
ei Equiti, aggiugnendovi solo una vecchia che fa un ballo, disonesto,
che
pure é rubato a Frinico. La commedia delle Vespe
nella propria casa, e sentenziar fu di un litigio ridicolo d’un cane
che
ha rubato una forma di cacio. In tutta la commedi
e serie formalità curiali per qualunque cosa di poco momento. Racine,
che
da tal commedia ha cavato i suoi Plaideurs, non h
o seguirlo passo passo; né anche ha potuto valersi della piacevolezza
che
risulta dal processo allegorico, né introdurvi il
so allegorico, né introdurvi il cane accusatore, e ’l cane difensore,
che
appartiene unicamente alla commedia antica. Oltra
reo é veramente un cane, e ’l cappone rubato non é altro, se non quel
che
si dice; dove che in Aristofane il cane rubator d
cane, e ’l cappone rubato non é altro, se non quel che si dice; dove
che
in Aristofane il cane rubator di un formaggio di
ttevano in vista i costumi de’ cittadini, ed erano fabbricate di modo
che
al carattere dell’uccello si accoppiavano i tratt
Aristofane tende a inspirar pensieri di Pace agli ateniesi, e quella
che
ne porta il titolo, é una di esse. Del di lei sal
i esse. Del di lei sale comico prenderà diletto il leggitore a misura
che
riuscirà negli sforzi che farà per dimenticar, me
mico prenderà diletto il leggitore a misura che riuscirà negli sforzi
che
farà per dimenticar, mentre legge, le favole comi
varie città, in un mortaio, immagine appartenente al basso comico, ma
che
subito mette sotto gli occhi popolarmente le pern
, particolar produzione di Megara. Il luogo dell’azione non é uno; da
che
Trigeo si vede prima in Atmone, indi in aria, e f
e. La cosa più degna di notarli in tal commedia é il giuoco di teatro
che
risolta dagli sforzi che sa il coro impiegato a t
otarli in tal commedia é il giuoco di teatro che risolta dagli sforzi
che
sa il coro impiegato a tirare alcune corde per is
tirano da un lato, altri dall’opposto, e si ritarda l’esecuzione; il
che
ingegnosamente allude alle città greche, le quali
ltori e vignaiuoli tirano concordemente e con sincerità, e son quelli
che
principalmente contribuiscono a sprigionar la pac
lata le Oratrici o l’Assemblea donnesca, il cui stile é più sollevato
che
in ogni altra, e si avvicina al tragico. Le comme
un bisogno naturale prende la vesta della moglie, e fa in piazza ciò
che
la natura gli comanda. La satira de’ poeti contem
ci, era molto in voga nella commedia antica; ed oltre a molti tratti,
che
si trovano da per tutto, e alle continue parodie,
Proserpina, rappresentata mentre Euripide vivea. Sono poetiche e più
che
comiche l’espressioni del servo del poeta Agatone
itazione del padrone. «Osservate, o popoli, un silenzio religioso, or
che
il coro delle muse disceso nel gabinetto del mio
, il mormorio». Le Rane s’intitola l’altra commedia contro Euripide,
che
già era morto. Essa ha per oggetto la comparazion
copiando la censura di Plutarco, o di Rapin, volle aggiugner del suo,
che
Aristofane non era né comico, né poeta; il che se
lle aggiugner del suo, che Aristofane non era né comico, né poeta; il
che
sembra detto con soverchia leggerezza. Anche M. d
M. de Marmontel ha interloquito su di ciò, ridendosi di madama Dacier
che
avea encomiato Aristofane. Ma questa famosa lette
ntendeva pienamente il greco, ed ha voto autorevole allorché afferma,
che
Aristofane é fino, puro, armonioso, ed empie di d
ane é fino, puro, armonioso, ed empie di dolcezza e di piacere coloro
che
possono aver la fortuna di leggerlo originale, fo
ere coloro che possono aver la fortuna di leggerlo originale, fortuna
che
auguriamo a quel moderno Scrittore di una lunga,
i, e per la fecondità; la pienezza, il sale attico, di cui abbonda, e
che
oggi a’ nostri orecchi non può penetrare. Il dott
ndo nel suo teatro greco l’arte e le bellezze dello stile. Questi sì,
che
possono farsene giudici; ma giudici siffatti, pro
ono farsene giudici; ma giudici siffatti, provveduti di tante qualità
che
richieggonsi a rettamente giudicare dell’opere in
i di tutti nelle sue composizioni la segreta ambizione de’ magistrati
che
governavano la repubblica, e de generali che coma
ambizione de’ magistrati che governavano la repubblica, e de generali
che
comandavano gli eserciti. Era la commedia nelle d
ecreto gli diedero la corona del sacro olivo, ch’era il maggior onore
che
far si potesse a un cittadino. Il gran re, cioé i
ri spartani, e de’ suggetti ordinari delle di lui satire, ebbe a dire
che
«i di lui consigli erano diretti al pubblico bene
, ebbe a dire che «i di lui consigli erano diretti al pubblico bene e
che
se gli ateniesi gli seguivano, si sarebbero impad
oniti della grecia» 45. Il gran Platone, l’idolo de’ nostri filosofi,
che
con tanti inutili sforzi si dibattono per assomig
forzi si dibattono per assomigliargli, scriveva a Dionigi il tiranno,
che
«per ben conoscere gli Ateniesi e lo stato della
ito, dolce e armonioso di questo poeta, e se n’era talmente invaghito
che
, onorò un sì eccellente comico con un distico del
il cuore di Aristofane, e mai più non l’abbandonarono 46. Ecco quello
che
agli occhi de dotti era Aristofane. Dopo ciò, cos
orte di questo gran valent’uomo viene a dirci, ch’egli altro non era,
che
un satirico sfrontato, un parodista, un superstiz
so, un bestemmiatore, un buffon da piazza, un Rabelais sulla scena, e
che
le di lui commedie sono un’ammasso di assurdità,
nte cotesto Gaulese, e di lingua greca, e di poesia, e della politica
che
conveniva alla repubblica ateniese, e di ciò che
ia, e della politica che conveniva alla repubblica ateniese, e di ciò
che
poteva in que’ tempi esser pregevole sul teatro,
re di essere impunitamente nominati e motteggiati sulla scena. Eupoli
che
fiorì nell’Olimpiade LXXXVIII, fu la vittima dell
ordine di Alcibiade gettato in mare. E comeché si pretenda da alcuni,
che
non morisse in mare, ma in Egina, e che dopo quel
omeché si pretenda da alcuni, che non morisse in mare, ma in Egina, e
che
dopo quel tempo avesse scritto altre favole, semp
na, e che dopo quel tempo avesse scritto altre favole, sempre é certo
che
per un editto di Alcibiade non si poté più nomina
satira. Cercando adunque di conseguir coll’industria l’effetto stesso
che
produceva il nominare i cittadini, gli dipinsero
ominare i cittadini, gli dipinsero sotto nomi fìnti con tal artificio
che
’l popolo non s’ingannava nell’indovinarli, e con
egge divenuta più ingegnosa e più dilettevole, il coro, nel quale più
che
in altra parte solea senza ritegni spaziar l’acer
comico, contemporaneo di Aristofane, é tenuto per il primo tra quelli
che
si distinsero nella commedia di mezzo e compose i
pervenuti se non pochi frammenti. Niuna cosa prova più pienamente ciò
che
abbiamo di sopra ragionato ne’ fatti generali del
e’ fatti generali della scenica poesia, quanto questo novello rigore,
che
incatenò i poeti. Esso raccolse, come in un centr
bio più dilicata e meno acre delle due precedenti, della quale sembra
che
avesse gittati i fondamenti l’istesso Aristofane
spetto agli affari greci, avea richiamato in Atene quell’utile timore
che
rintuzza l’orgoglio, rende men feroci i costumi,
e. Rifiutò ogni dipintura particolare, perché appresa dalla filosofia
che
i difetti d’un sol privato sotto una potenza che
resa dalla filosofia che i difetti d’un sol privato sotto una potenza
che
tutto adegua, non chiamano la pubblica attenzione
menti. Spiccò sopra tutti il famoso Menandro, discepolo di Teofrasto,
che
fiorì nell’Olimpiade CXV. Scrisse cento e otto co
ti, non arrossisci al sentirti proclamare mio vincitore50?» Ma quello
che
di lui rapporta il Giraldi51 coll’autorità di Plu
r infrazione della gioventù tratta dal proprio fuoco prima a scrivere
che
a pensare. Menandro mai non si applicava a verseg
no alla conchiusione; e tal caso facea di questa necessitaria pratica
che
, se non ne avesse scritto un sol verso, quando ne
e avea ordita la traccia, diceva di averla terminata52. Ne’ frammenti
che
di lui abbiamo, si ammira una locuzione nobile sì
uzione nobile sì, ma veramente comica, e vi si sente un sale grazioso
che
stuzzica il gusto, ma non amareggia il palato53.
arodie, mimi, e pantomimi. Ilarodia, o ilarotragedia, secondo l’idea
che
ce ne dà Ateneo, era una pavola festevole e di li
erloquivano Personaggi grandi ed eroici, ma vi si dipingevano i fatti
che
loro accadevano come uomini, non come eroi. I mim
vole buffonesche le quali poterono derivare da quelle farse satiriche
che
si andavano rappresentando per gli villaggi prima
farse satiriche che si andavano rappresentando per gli villaggi prima
che
la commedia acquistasse la forma regolare. Senarc
la musica. Dal contraffar con gli atteggiamenti tutte le cose, sembra
che
prendessero il nome quest’istrioni-ballerini. Da
ie imitazioni con gesti, pasti, fiumi, e parole, formarono quel tutto
che
si chiamò festa teatrale, la quale tutta consiste
si chiamò festa teatrale, la quale tutta consisteva nel coro, e quei
che
’l componevano, e cantavano e ballavano indistint
pagnato dagli stromenti, non lasciava di appressarsi più al favellare
che
al canto corale; e allora questa classe di attori
al canto corale; e allora questa classe di attori ad altre non attese
che
ad animar con musica moderata e con vivace energi
a qual cosa bisognò dividere gl’individui del coro in istrioni-musici
che
coltivassero il solo canto, e in istrioni-balleri
espressione; ma nel canto ch’é animato dalle parole, ebbe minor parte
che
nel ballo, il quale privo del soccorso della poes
portata dagli antichi all’eccellenza. Avanti quest’epoca, cioé avanti
che
la rappresentazione insegnasse al ballo a imitar
itar favole seguite e compiute tragiche e comiche, esso non era altro
che
una saltazione quasi senza oggetto, come il pirue
gli antichi coribanti e cureti era un rito strepritoso e bellico più,
che
un ballo delicato. I traci spiccarono nella salta
ella saltazione bellica, e se ne servivano ne’ gran conviti. Si vuole
che
Androne di Catania sia stato il primo che sonando
ne’ gran conviti. Si vuole che Androne di Catania sia stato il primo
che
sonando la tibia vi accompagnò i pasti e ’l movim
il loro Androne. Quali molle e ingegni non mette in opera il bisogno
che
ha l’uomo di riposare e divertirsi! In mezzo a ta
ma orchestra, in cui Euripide declamava le sue tragedie immortali. Or
che
perciò? Volgo, idioti, fanciulli di dieci, di tre
o lo storico Pausania, e Plutarco nella vita di Agesilao. Nulla parmi
che
si possa aggiugnere a ciò che giudiziosamente add
rco nella vita di Agesilao. Nulla parmi che si possa aggiugnere a ciò
che
giudiziosamente adduce il signor De la Guilletier
et Nouvelle per confutar l’errore del Cragio, il quale hassi creduto,
che
gli spartani non avessero avuto spettacoli scenic
vi si facevano ancora pubbliche rappresentazioni. E Ateneo rapporta,
che
gli spartani aveano alcune commedie ridicole, ma
ici, quali a tale nazione convenivano, e vi s’introducevano o ladroni
che
rubavano delle frutta, o medici stranieri. I loro
prannominato D. Saverio Mattei, intitolata la Filosofia della Musica,
che
i greci andavano al teatro, come noi andiamo agli
greci andavano al teatro, come noi andiamo agli esercizi spirituali,
che
la commedia era il lor catechìsmo, e la tragedia
loro predica grande. Ma le cose di sopra rapportate sono tutt’altro,
che
prediche, catechismi ed esercizi spirituali. Il p
Il pensiero dell’erudito autore é brillante, a dir vero, ma non altro
che
brillante; e l’espressioni mentovate sono pure es
e l’espressioni mentovate sono pure esagerazioni d’uno zelo virtuoso
che
aspira al miglioramento de’ teatri moderni, i qua
i spettatori erano animati in teatro da quel, medesimo spirito geloso
che
dettava sì spesso l’ostracismo contra il merito e
era la conservazione della libertà. 35. Epicarmo filosofo siciliano
che
fioriva a tempi di Gerone il vecchio nel V Secolo
ava essere insultato dall’alterigia di questo magisrato del Pritaneo,
che
quantunque povero fosse parlava spesso della sua
no anche qui posti in iscena e sberleffati. Il poeta tragico Girolamo
che
col suo sentimento avea fatto determinare i giudi
ere della Repubblica, e contendendo di magnificenza co’ primi d’Atene
che
gli facevano una spezie di corte, perché la di lu
a di lui mensa era dilicata, e la di lui borsa sempre aperta a coloro
che
l’adulavano, fu ancora esposto alla pubblica irri
no troppo seriamente. Dovrebbe oggigiorno farli lo stesso contra quei
che
perdono il tempo in simiglianti bagattelle, «quas
in questa commedia morso velenosamente sulla sua probità per la voce
che
correva in Atene, di non aver impiegato nella sta
commedia della pace fu eziandio posto in Berlina l’astronomo Metone,
che
vivea più col cielo che colla terra. 43. Pisandr
eziandio posto in Berlina l’astronomo Metone, che vivea più col cielo
che
colla terra. 43. Pisandro, uomo di bella statura
iù col cielo che colla terra. 43. Pisandro, uomo di bella statura, e
che
andava adorno e armato galantemente per darsi un’
in proverbio presso i Greci: «più codardo di Pisandro». 44. Ecco ciò
che
ne dice il signor Palissot: «La Poétique de M. Ma
dal signor Marmontel di aver comparato Turno a un asino, comparazione
che
non rinviensi affatto presso il poeta latino. Ins
ra forestiera, ch’essi poco o nulla conoscono, é un dono particolare,
che
la natura ha conceduto loro solamente. 45. Legga
nsare di que’ commediografi, i quali vi dicono in qualche prefazione,
che
si sono veduti confusi dopo di avere scritti due
po di avere scritti due de’ tre atti d’una commedia, per non saper di
che
trattar nel terzo? Questo terzo era da pensarsi i
a le parti di una pianta, ma tutte in piccolo le racchiude nel germe,
che
poi prende a sviluppare e nutrire. Bisogna imitar
, diceva Orazio, e le parole si presenteranno da se stesse». Menandro
che
fu la delizia de’ filosofi l’oggetto di tanti elo
zia la goffa tragedia del Paolino alla moda francese uscita nel 1740,
che
Montiano stesso nomina coll’ultimo disprezzo. La
rente consigua el alto honor de iros sirviendo. È poi da notarsi
che
ne’ primi tre atti Appio non dà indizio veruno di
na una volta ha parlato a Virginia senza trasporto e senza minacce. A
che
dunque tanto furore d’Icilio e tante declamazioni
lio e tante declamazioni degli altri? L’azione e la violenza di Appio
che
occasiona la morte di Virginia, comincia nell’att
rte di Virginia, comincia nell’atto IV, ed i tre primi altro non sono
che
una lenta protasi. Pari lentezza si scorge ne’ pr
era languidezza. Forse sono esse indebolite dalle arti cortigianesche
che
vi campeggiano aliene dalla ferocità de’ Goti non
liene dalla ferocità de’ Goti non da molto tempo avvezzi alla coltura
che
raffina gli artifizj. La favola sino all’atto V s
costui, de’ quali egli si querela più perchè offendono il suo amore,
che
perchè tema che possano nuocere allo stato. Quest
li egli si querela più perchè offendono il suo amore, che perchè tema
che
possano nuocere allo stato. Queste diffidenze art
ardano la pace ed insieme l’azione ne’ primi quattro atti. Sembra poi
che
ad un tratto nel V tutta svapori la ferocità e la
o di Ataulfo. Manca adunque questa favola di quella savia graduazione
che
progressivamente crescendo conduca le passioni al
uivoco preso nella scena 8 da Rosmunda. Ella entra dicendo a Sigerico
che
l’attenda, nè torna se non dopo due lunghe scene,
parole tutti i suoi disegni. Nè anche può piacere nel medesimo atto V
che
un Goto, un sovrano impetuoso soffra che un temer
piacere nel medesimo atto V che un Goto, un sovrano impetuoso soffra
che
un temerario vassallo alterchi con lui insolentem
fo, nelle insolenze di Rosmunda e nella di lei volontaria morte, cose
che
doveano soltanto accennarsi in pochi versi per no
chi versi per non iscemare o distrarre l’ attenzione ad altri oggetti
che
al gran misfatto dell’uccisione di Ataulfo. Lasci
ri oggetti che al gran misfatto dell’uccisione di Ataulfo. Lascio poi
che
l’istruzione morale che dee prefiggersi un buon t
isfatto dell’uccisione di Ataulfo. Lascio poi che l’istruzione morale
che
dee prefiggersi un buon tragico, non si scorge in
bblicò la sua prima tragedia la Lucrezia verseggiata coll’ assonante,
che
però nè anche si rappresentò. Lotta in essa l’aut
di un foglio periodico spagnuolo intitolato Aduana critica, ignorando
che
l’indole della poesia tragica è di abbellire util
è di abbellire utilmente e non già di ripetere la storia, pretendeva
che
Moratin avesse introdotto nella sua favola Bruto
catenato lo sceneggiamento. Ma presenta una eroina violata da un Moro
che
incresce oggi che si vuole una rigorosa decenza n
giamento. Ma presenta una eroina violata da un Moro che incresce oggi
che
si vuole una rigorosa decenza negli argomenti. Un
) contiene diverse buone imitazioni Virgiliane. In ogni modo l’autore
che
fra’ suoi correva una via sì poco battuta, non me
a’ suoi correva una via sì poco battuta, non meritava la persecuzione
che
sofferse d’inetti efimeri libelli e de’ motteggi
iscendente da quell’eroe. L’effetto di questa favola è l’ ammirazione
che
risulta dall’eroismo di Gusmano il quale preferis
a recherò al mio re? dice l’ambasciadore Moro nell’atto I; e Gusmano:
che
i Castigliani non rendono le fortezze finchè poss
sa la scena dell’atto II, in cui Gusmano esamina il valore del figlio
che
ha conseguito un momento di libertà sotto la paro
arifa. In fatti la mancanza di coraggio non si potrebbe confessare
che
ad un padre. Di poi non senza bellezza ripete que
enza bellezza ripete questa tinta con artificiosa variazione, e vuole
che
a lui fidi il di lui amore considerandolo solo co
e del giovane Gusmano, formano una situazione tragica assai teatrale,
che
si risolve colla magnanimità di Gusmano che getta
e tragica assai teatrale, che si risolve colla magnanimità di Gusmano
che
getta la propria spada al nemico. Intanto questa
Gusmano che getta la propria spada al nemico. Intanto questa tragedia
che
compensa i suoi nei con varie situazioni teatrali
ompensa i suoi nei con varie situazioni teatrali e con un patriotismo
che
rileva un atto eroico della storia nazionale, non
regiata, nè premiata, nè rappresentata in Madrid. La seconda tragedia
che
quivi comparve fu Don Sancho Garcia di Giuseppe C
a tenerezza materna, sono bene espressi. Solo vi ho sempre desiderato
che
la richiesta del Moro fosse preparata con più art
e egli esige da una madre la morte dell’unico di lei figliuolo; ed in
che
fonda la speranza di conseguirlo? nella sfrenata
; ed in che fonda la speranza di conseguirlo? nella sfrenata passione
che
ha per lui la contessa. Ma non dovea il poeta rif
passione che ha per lui la contessa. Ma non dovea il poeta riflettere
che
la di lei passione poteva scemare per sì cruda ri
la di lui avidità di regnare in Castiglia sotto qualche altro colore
che
non indebolisse l’unica molla della di lui speran
que cerca del crimen el castigo! Siffatta tragedia in una nazione
che
ne ha sì poche, dovea accogliersi, ripetersi, acc
tologia a’ nostri dì poco interessante, ovvero quel radicale ostacolo
che
oggi seco portano in teatro le deflorazioni e sim
e basterebbe ad apprestar materia per un poema epico; ma nella guisa
che
si vede maneggiata dal sig. Ayala, divide per tal
ione di un popolo intero per mezzo della fame, del ferro e del fuoco,
che
invece di commuovere esaurisce il fondo della com
arci di poeti antichi; ma vi si nota un dialogo elegiaco uniforme più
che
un’ azione tragica, e non poca durezza nello stil
l prelodato bibliografo de’ viventi, e prese a giustificarne l’Ayala,
che
non pertanto dopo la pubblicazione del mio libro
ia partenza da Madrid. Il dottor Guarinos punto non risentissi di ciò
che
accennai del dialogo uniforme ed elegiaco, e dell
e ch’io avessi reputato tale argomento più proprio per un poema epico
che
drammatico, come anche l’ osservazione sulle freq
ssima per un poema come io dissi? Ma è poi sicuro codesto bibliografo
che
il poema epico debba aver sempre un esito felice?
poema epico debba aver sempre un esito felice? Ciò essendo errò Omero
che
nell’Iliade si prefisse di cantar solo l’ira pern
prefisse di cantar solo l’ira perniciosa (μηνιν ουλομενεν) di Achille
che
tanti dolori cagionò agli Achivi? Errò Stazio can
rati? Errò Lucano nella Farsaglia cantando le funestissime guerre più
che
civili, la scelleratezza divenuta diritto, ed un
ù che civili, la scelleratezza divenuta diritto, ed un popolo potente
che
converte la destra vincitrice contro le proprie v
e. Ma venghiamo a più stretta pugna. Perchè mai affermò il Signorelli
che
tale argomento nella guisa che l’ha trattato il s
ugna. Perchè mai affermò il Signorelli che tale argomento nella guisa
che
l’ha trattato il sig. Ayala, mal conviene ad un d
o. Lo spirito umano nella mescolanza delle tinte e de’ suoni non meno
che
nella moltiplicità mal graduata delle stragi rima
ubre epicedio. Circa poi le declamazioni dice il protettor dell’Ayala
che
il Signorelli dovea farsi bien cargo della situaz
azione de’ Numantini. Ma egli stesso no se ha hecho bien cargo di ciò
che
io dissi e ripeto, cioè che esse converrebbero a’
i stesso no se ha hecho bien cargo di ciò che io dissi e ripeto, cioè
che
esse converrebbero a’ Numantini usate a tempo e p
mantini usate a tempo e parcamente, la qual cosa vuol dire in volgare
che
esse sono proprie di un popolo irritato contro Ro
irritato contro Roma, ma non dovrebbero occupare il luogo dell’azione
che
è l’essenza del dramma; non risentire l’affettazi
autore; e ci saremmo contentati del semplice primo giudizio moderato
che
ne demmo senza gli stimoli del cattivo avvocato b
utili circostanze un oracolo di Ercole Gaditano dato 14 anni innanzi,
che
però in niun modo si appressa alle bellezze del g
te, nè necessaria all’azione. Terma sacerdotessa dipinge a lungo quel
che
tutti sanno, cioè la strage che fa la fame ne’ Nu
rma sacerdotessa dipinge a lungo quel che tutti sanno, cioè la strage
che
fa la fame ne’ Numantini ridotti, mancate l’erbe
lugubre scena ne segue una amorosa di sette pagine di Olvia ed Aluro
che
conchiude l’atto. Giudichi il leggitore se in tal
argomento siasi convenevolmente inserito un languido amore subalterno
che
contrasta coll’immagine di un popolo che stà more
un languido amore subalterno che contrasta coll’immagine di un popolo
che
stà morendo di fame. E pur non è il peggior male
nnamorata vicina a morir di fame insieme coll’ amante e con tutti, di
che
si occupa singolarmente in questa scena? forse de
o: ella pensa a vendicare certo suo fratello col sangue dell’uccisore
che
non sa chi sia. Ella poi mostrasi sorpresa da un
ne Megara frettoloso, te lo dirò da poi; e finisce l’atto così, senza
che
niuno nè frettoloso nè a bell’ agio venga fuori.
ndranno uniti o disgiunti? se uniti non diranno più una parola di ciò
che
hanno incominciato? Ma non dubiti lo spettatore c
una parola di ciò che hanno incominciato? Ma non dubiti lo spettatore
che
Olvia dica altrove l’ arcano ad Aluro: il poeta r
simo luogo nel medesimo punto del loro discorso; ma bisogna attendere
che
passi tutto l’atto II. Notisi intanto che questa
corso; ma bisogna attendere che passi tutto l’atto II. Notisi intanto
che
questa è una delle scene patetiche in cui Olvia d
de’ Romani per la ragione ch’ egli è imparziale. Ma quest’imparziale
che
però milita tra’ Romani con diecimila soldati e v
avola una serie di minuti fatti spogliati della necessaria dipendenza
che
risveglia e sostiene l’ attenzione guidandola ad
vivi chi debba morire per alimento de’ superstiti. Si propone ancora
che
si ammazzino i vecchi per prolongar la vita de’ g
? Dicaci il sig. bibliografo: quì è forse la situazione de’ Numantini
che
eccita Dulcidio a declamar contro i Romani, ovver
io a declamar contro i Romani, ovvero è questa una scappata del poeta
che
vuol comparire tra’ personaggi? Eccoci all atto I
e in un più grave affare. Olvia dunque palesa al suo idolatrado Aluro
che
Giugurta preso di lei promette di passare in Numa
iecimila stranieri senza saputa del principe? II Olvia ha considerato
che
diecimila persone vogliono mangiare, e che Numanz
e? II Olvia ha considerato che diecimila persone vogliono mangiare, e
che
Numanzia manca pur di cadaveri da ripartire co’ n
a manca pur di cadaveri da ripartire co’ nuovi socj? III Olvia ignora
che
oggi la salute della patria non dipende dal minor
le forze nemiche, ma dal provveder di nutrimento i Numantini? ignora
che
le utili conseguenze dello scemamento degli assal
lente de’ funesti rapidi progressi della fame? IV Olvia è sicura poi
che
tal diserzione sia sincera e che non possa essere
si della fame? IV Olvia è sicura poi che tal diserzione sia sincera e
che
non possa essere uno stratagemma? è sicura in olt
sia sincera e che non possa essere uno stratagemma? è sicura in oltre
che
la salute della patria dipenda da Giugurta ancorc
oltre che la salute della patria dipenda da Giugurta ancorchè fido? e
che
altro spererebbe Olvia se avesse pattuito collo s
isposte della savia e tenera Olvia. Dulcidio annunzia al figlio Aluro
che
dee morire essendo il di lui nome uscito dall’urn
iange con lui per due pagine intere, dopo le quali si ricorda di dire
che
vuol morire in di lui vece. Gareggiano su di ciò;
e del Numantino, e questi insolentisce quasi altro oggetto non avesse
che
d’irritar gli assalitori. E questa scena inutile
di sentinella, e Giugurta la vede sola e viene a parlarle; di maniera
che
i nemici colla facilità di un attore che esce al
viene a parlarle; di maniera che i nemici colla facilità di un attore
che
esce al proscenio potevano penetrar fra’ Numantin
proscenio potevano penetrar fra’ Numantini. Or chi non ne conchiuderà
che
erano due inettissimi generali Megara che sì male
. Or chi non ne conchiuderà che erano due inettissimi generali Megara
che
sì male guardavasi dalle sorprese, e Scipione che
imi generali Megara che sì male guardavasi dalle sorprese, e Scipione
che
non sapeva approfittarsi delle negligenze? Incong
ncongruente è pure l’abboccamento di Giugurta con Olvia. Ella le dice
che
passi co’ suoi a Numanzia, mentre ella l’attender
si co’ suoi a Numanzia, mentre ella l’attenderà presso di un sepolcro
che
si eleva più degli altri, e gliel’ addita. Sì, sì
i altri, e gliel’ addita. Sì, sì (ripiglia lo stupido Giugurta) colui
che
vi giace fu da me ucciso, e perchè spirando ti ch
igine del suo innamoramento e la balordaggine di vantarsi di un fatto
che
poteva averla offesa. Olvia sdegnata lo discaccia
atto che poteva averla offesa. Olvia sdegnata lo discaccia, indi vuol
che
impugni la spada; egli fa a suo modo e parte. Un
ggi senza perchè empie le scene 6, 7 ed 8. Terma dà avviso a Dulcidio
che
Olvia se disfraza (si traveste); Dulcidio la vede
dio la vede venire e la conosce subito. Ella viene con algun disfraz (
che
si lascia al discreto lettore) e va esclamando, o
stas (o ceneri infauste) colla stessa grazia della Tomiri di Quinault
che
va cercando per terra ses tablettes. Dulcidio l’e
si a Giugurta per segno di pace, geroglifico veramente mal sicuro, ma
che
l’ Affricano riconoscerà subito essere di Olvia p
di lei sapere politico) chi comanda ama di veder eseguite certe cose
che
sapute prima egli non permetterebbe che si tentas
di veder eseguite certe cose che sapute prima egli non permetterebbe
che
si tentassero. Da tale ragione rimane persuaso il
al solito va e viene liberamente dal campo Romano al Numantino senza
che
Megara abbia mai saputo prevedere simili visite n
iene parlando sola a voce alta, perchè l’ode lo spettatore e Giugurta
che
dice Olvia es, i su espada me asegura. Vien
ia e senza udirne la voce, la raffigura e la rimprovera. Giugurta poi
che
avea udito Olvia che parlava sola, ora non ode pi
voce, la raffigura e la rimprovera. Giugurta poi che avea udito Olvia
che
parlava sola, ora non ode più ciò che dicono l’un
ugurta poi che avea udito Olvia che parlava sola, ora non ode più ciò
che
dicono l’una e l’altra. Terma vuol sapere in ogni
ra. Terma vuol sapere in ogni conto i disegni della sorella, e questa
che
gli ha comunicati a Dulcidio e ad Aluro ed ha fid
e non perchè Olvia dee dire a Terma una inutile bugia. Le dice dunque
che
si è travestita per uccidere Giugurta. Stando alt
avestita per uccidere Giugurta. Stando altercando esce Aluro in tempo
che
Terma dice, refrena tu furor, ed egli ciò udendo
mpo che Terma dice, refrena tu furor, ed egli ciò udendo dice, questa
che
parla è Olvia, certamente questo è inganno di Giu
poi senza veruna circostanza possono svegliargli l’idea di un nemico
che
a quell’ora dovrebbe essere nel campo de’ Romani?
Romani? Viene per quarto Dulcidio, e benchè di notte riconosce Aluro,
che
pur avea confuso un Affricano con la sua innamora
rita grida, ai de mi; non importa; Aluro non dee conoscerla per altri
che
pel traditore Giugurta. Torna Dulcidio con fiacco
, e l’autore ne ha condotto sì destramente il carattere e l’ affetto,
che
il di lei sangue non muove veruna compassione tra
a al leggitore il giudizio. Seguitando apparentemente la notte Megara
che
ha saputa la disfatta de’ Luziani ausiliarj e la
ha saputa la disfatta de’ Luziani ausiliarj e la debolezza de’ Vasei
che
si sono dati a’ Romani, chiama al campo di Scipio
ente nè la notte nè le trincere gliene impedivano la veduta), ditegli
che
vo’ parlargli. Che pretendi, Numantino? dice Scip
non hanno saputo distinguere le voci delle di lui sorelle. Domanda o
che
gli assalti o che mandi le legioni a trucidarli.
distinguere le voci delle di lui sorelle. Domanda o che gli assalti o
che
mandi le legioni a trucidarli. A questa richiesta
ie della Spagna, ora esitando nel voler dar morte ad un suo figliuolo
che
non prima di allora comparisce e va a precipitars
no bibliografo. Vedrà ancora se alla Numanzia dell’Ayala convenga ciò
che
ne disse il sig. Andres, cui piacque di collocarl
de mi cargo, Y aùn tal vez accreedor à gracias tuyas. Lascio poi
che
tal favola non ha verun carattere, non eccitando
ando uscirono la Lucrecia, la Hormesinda e le altre già riferite; dal
che
si vede che l’autore tardò a pubblicarla quindici
o la Lucrecia, la Hormesinda e le altre già riferite; dal che si vede
che
l’autore tardò a pubblicarla quindici anni in cir
tardò a pubblicarla quindici anni in circa. Rileva di più l’editore,
che
se i Franzesi dividendo le favole in cinque atti
stasi dal poeta, dà un singular merito à su obra. Conchiude l’editore
che
il piano della Rachele è pur sistema particolare
il piano della Rachele è pur sistema particolare del poeta, persuaso
che
ammaestra più e corregge meglio i costumi e dilet
e diletta maggiormente il gastigo del vizio ed il premio della virtù,
che
la compassione. Sappiamo in oltre per mezzo del m
che la compassione. Sappiamo in oltre per mezzo del medesimo editore,
che
si rappresentò repetidas veces, e che ne corsero
per mezzo del medesimo editore, che si rappresentò repetidas veces, e
che
ne corsero manoscritte più di duemila copie per A
duemila copie per America, Spagna, Francia, Italia, Portogallo5. Che
che
sia di ciò in Madrid si rappresentò solo quindici
. Che che sia di ciò in Madrid si rappresentò solo quindici anni dopo
che
fu scritta, sostenendo la parte di Rachele la sen
rdine proibita. A chi non ne avesse veduta alcuna copia delle duemila
che
se ne sparsero per li due mondi, non increscerà d
per li due mondi, non increscerà di vederne quì il più breve estratto
che
si possa. L’ argomento e la condotta a un di pres
presi con un dialogo di Garceran Manrique ed Hernan Garcia, dicendosi
che
Toledo è in festa, perchè compie quel dì il decen
dicendosi che Toledo è in festa, perchè compie quel dì il decennio da
che
Alfonso VIII tornò da Palestina dopo aver dalle f
Lusignano. Non so se ciò dica l’autore come storico o come poeta. So
che
nella terza crociata Riccardo re d’Inghilterra de
alemme tolta da questo Saracino nel 1187 a Guido Lusignano. So di più
che
nella difesa di Tiro si segnalò l’Italiano Corrad
o, e co’ nominati re fece maraviglie nell’assedio di Acra o Tolemajde
che
venne in lor potere6; e che poi si accordarono co
raviglie nell’assedio di Acra o Tolemajde che venne in lor potere6; e
che
poi si accordarono col soldano, restando a Lusign
ancia, e il marchese di Monferrato fu assassinato in Tiro7. So ancora
che
il Saladino seguitò a possedere Gerusalemme col S
ni per cessione di Giovanni di Brenna padre di Jolanta da lui sposata
che
era figlia ed erede di Maria primogenita d’Isabel
o re di Gerusalemme8. Fu quest’imperadore e re di Napoli e di Sicilia
che
nel 1228 passò in Terra Santa, guerreggiò, conqui
e’ Saracini colà avvezzi ad orare senza escludersene i Cristiani9. So
che
a tale spedizione accorsero molte migliaja di fed
se, ne vennero ben sessantamila. Ma niuno de’ citati cronisti ci dice
che
Alfonso VIII vi fusse andato con gli altri. Era e
, perchè il sig. Huerta individuo dell’Accademia dell’Istoria afferma
che
Alfonso guerreggiò in Palestina e conquistò Gerus
ò Gerusalemme e ’l Sepolcro? Non è questa una menzogna garrafal? Dirà
che
in una tragedia egli è poeta e non istorico. Ma n
Dirà che in una tragedia egli è poeta e non istorico. Ma niuno ignora
che
nelle circostanze istoriche delle persone introdo
poeta Diamante sua fida scorta vi era caduto prima. Manrique aggiugne
che
Alfonso sette anni prima vinse i Saracini nella b
a scena Manrique conta false vittorie e Garcia gliele mena buone, sol
che
questi si lagna che sia il re divenuto schiavo di
ta false vittorie e Garcia gliele mena buone, sol che questi si lagna
che
sia il re divenuto schiavo di Rachele ed il popol
manifesta avversione per Garcia. Egli ne sprezza le minacce, dicendo
che
i suoi pari Aquellos que en sangrientos caract
s sobre el noble papel del pecho escrita. In prima i Castigliani
che
in prosa ancora schivano con senno la vicinanza d
cattivo suono d’un verso sciolto rimato nel mezzo, come è il secondo,
che
con heridas recibidas diventa verso leonino. Di p
stilla, España, Europa, el Orbe, e parte senza dar retta a Rachele
che
resta con Ruben in una seconda inutile sessione.
Ruben in una seconda inutile sessione. Si vanno distinguendo le voci
che
cercano la morte di Rachele, la quale fugge all’a
o la morte di Rachele, la quale fugge all’avviso di Manrique. Alfonso
che
va e viene in quella sala senza sapersi perchè, t
viene in quella sala senza sapersi perchè, torna frettoloso, intende
che
Garcia conduce i sollevati, e si sdegna e dice,
amarsi fulmine per esagerarne i rapidi funesti effetti; ma aggiugnere
che
questo fulmine, cioè questa spada siasi spiccata
ntenza e maniera Gongoresca. Garcia si presenta al re, e gli dimostra
che
coloro che chiedono la morte di Rachele sono i pi
niera Gongoresca. Garcia si presenta al re, e gli dimostra che coloro
che
chiedono la morte di Rachele sono i più leali vas
ro che chiedono la morte di Rachele sono i più leali vassalli, quelli
che
l’accompagnarono in Palestina, che lo coronarono
sono i più leali vassalli, quelli che l’accompagnarono in Palestina,
che
lo coronarono re di Gerusalemme (Alfonso ben pote
no re di Gerusalemme (Alfonso ben poteva dargli una solenne mentita),
che
insieme con lui in Alarcos furono terrore degl’ i
arla in potere de’ sollevati? Lagnasi il re di tali parole, e le dice
che
l’esilia per salvarle la vita. Ella vuol riaccend
Esce Rachele piangendo con Ruben. Intanto frall’intervallo degli atti
che
cosa è avvenuta? Nulla? L’azione si è riposata? C
sarebbe contro la giudiziosa pratica de’ nostri tempi. Oggi si esige
che
l’azione inevitabilmente si avanzi al suo fine o
si avanzi al suo fine o in iscena o fuori di essa. Diceva l’ editore
che
l’azione della Rachele è tutta alla vista. Ma Rac
l’ editore che l’azione della Rachele è tutta alla vista. Ma Rachele
che
esce di nuovo con Ruben, fa supporre che la di le
tutta alla vista. Ma Rachele che esce di nuovo con Ruben, fa supporre
che
la di lei disperazione, il suo pianto, l’accinger
. Altra volta, ella dice, avrebbe per esse dichiarata la guerra a chi
che
sia; e ciò non va male: ma soggiugne, che avrebbe
dichiarata la guerra a chi che sia; e ciò non va male: ma soggiugne,
che
avrebbe fatto retrocedere il Tago verso la sorgen
er cautela ha ordinato a un campo di duemila cavalli e cento bandiere
che
marciavano verso Cuenca, a tornare a Toledo per f
Cervantes. Questi ordini, queste marce quando si sono eseguite? Dopo
che
il re ha disposto il bando di Rachele verso la fi
l’avesse mai veduta piangere, si maraviglia dell’ardore straordinario
che
in lui produce: quando se ha visto, sino en
si capisce come possa dirsi fenomeno rarissimo e pellegrino l’ardore
che
in lui cagiona il pianto di Rachele. Huerta poi c
llegrino l’ardore che in lui cagiona il pianto di Rachele. Huerta poi
che
ha verseggiato tutto il tempo della sua vita, non
ato tutto il tempo della sua vita, non si accorgeva de’ versi leonini
che
gli scappavano di tempo in tempo, come è il secon
año tan extraño. Egli al fine mal grado delle di lei lagrime conferma
che
parta; ma tosto ripiglia: che ho io profferito? p
mal grado delle di lei lagrime conferma che parta; ma tosto ripiglia:
che
ho io profferito? posso pensarlo? posso consentir
tesso il mio esiglio? É vero, dice Alfonso, ma ne fu cagione la paura
che
io ebbi, temor lo hizo. Questa ingenua confession
verni per lui, e colla maggior gravità di sovrano impone alla guardia
che
a lei obedisca, e la colloca sul trono. Rachele a
rare, dunque nell’intervallo degli atti si è fatto qualche altra cosa
che
non si vede in iscena, a dispetto della jattanzia
osa che non si vede in iscena, a dispetto della jattanzia dell’autore
che
si arrogava un merito esclusivo. Se poi nulla si
de Huerta ancora nel ridevole difetto di lasciar l’azione interrotta,
che
abbiamo notata in Ayala patrocinato dal Sampere y
altercare, schiamazzare, cacciar le spade e gridar muera muera, senza
che
vi sia almeno un domestico del partito del re o d
senza che vi sia almeno un domestico del partito del re o di Rachele
che
gli ascolti o gli osservi. Essi partono ad istanz
hele che gli ascolti o gli osservi. Essi partono ad istanza di Garcia
che
ne ottiene che si differisca l’eccidio di Rachele
colti o gli osservi. Essi partono ad istanza di Garcia che ne ottiene
che
si differisca l’eccidio di Rachele fine a che il
i Garcia che ne ottiene che si differisca l’eccidio di Rachele fine a
che
il re vada alla caccia. Manrique fa sapere a Garc
achele fine a che il re vada alla caccia. Manrique fa sapere a Garcia
che
Rachele l’esilia da Toledo, al che egli risponde
accia. Manrique fa sapere a Garcia che Rachele l’esilia da Toledo, al
che
egli risponde magnanimamente. L’autore fa nascere
r seguire anche quì il Diamante. La caccia però nel dramma di costui,
che
non si limita a un giorno, ma che abbraccia sette
a caccia però nel dramma di costui, che non si limita a un giorno, ma
che
abbraccia sette anni, non è ripiego inverisimile,
ola dell’Huerta il re s’invoglia di andare alla caccia poche ore dopo
che
il popolo ha chiesta la morte di Rachele, quel po
con farla sedere sul trono e con rivocare il bando degli Ebrei. Ed in
che
si fida? Ne’ soldati entrati in Toledo? E non dee
e si fida? Ne’ soldati entrati in Toledo? E non dee almeno sospettare
che
i nobili vantati da Garcia possano aver fra essi
ne interrotta da’ nuovi schiamazzi de’ Castigliani. Chiama la guardia
che
l’ha abbandonata, si volge a Manrique che si riti
tigliani. Chiama la guardia che l’ha abbandonata, si volge a Manrique
che
si ritira per cercare il re, s’indirizza a Ruben
volge a Manrique che si ritira per cercare il re, s’indirizza a Ruben
che
le dà un freddo consiglio e parte. Queste circost
nuto ne’ 24 versi ch’ella recita, per gli quali si richiede più tempo
che
non dovrebbero darle i Castigliani irritati e non
nuti da veruno ostacolo. L’azione si rallenta ancora per trenta versi
che
recita Garcia prima di offerirle di farla uscire
re per una porta secreta. Questo punto dell’azione richiedea più moto
che
parole. Rachele non l’accetta, ed i congiurati to
è scoccata e la correzione giunge tardi. Nel poema Rachele vuol dire
che
ferendola essi macchiano i loro acciari col sangu
inutile la preghiera. Inclitos aceros nel poema contiene una lusinga
che
nobilita la condizione de’ congiurati, il che non
ma contiene una lusinga che nobilita la condizione de’ congiurati, il
che
non esprime la diestra detto nudamente nella trag
e la ferisce. I Castigliani si ritirano; ma Ruben non seguita coloro
che
possono salvargli la vita promessagli; e perchè m
nsensatamente col pugnale alla mano? Rachele moribonda chiama Alfonso
che
giugne, ed ella spirando gli dice che la plebe so
achele moribonda chiama Alfonso che giugne, ed ella spirando gli dice
che
la plebe sollevata l’ha condannata a morire, e ch
spirando gli dice che la plebe sollevata l’ha condannata a morire, e
che
Ruben l’ha ferita. Alfonso recita un lamento di 2
lui versi, e non fugge. Chi vide rappresentar la tragedia mi assicurò
che
il pubblico si stomacò di vedere quell’insipida f
del carnefice nella persona di Ruben; ma, benchè prima alla sola idea
che
Rachele dovea allontanarsi avea voluto che un vas
enchè prima alla sola idea che Rachele dovea allontanarsi avea voluto
che
un vassallo gli togliesse la vita, ora alla vista
o gli uccisori alla sua presenza e gli perdona, contentandosi di dire
che
serva loro di pena contemplar lo horroroso de
altri fatti l’abbia senza necessità falsificata) perchè era persuaso
che
corregge meglia i costumi il gastigo del vizio ed
la morte; nè può eccitare la compassione tragica, ma quella soltanto
che
detta l’umanità per gli rei che vanno al patibolo
mpassione tragica, ma quella soltanto che detta l’umanità per gli rei
che
vanno al patibolo. Per convenire alla tragedia si
rendere meno odiosa senza lasciarla impunita. Questa è la differenza
che
passa tra una vera esecuzione di giustizia ed un
è: la teatrale l’accomoda al fine. Il poeta dee maneggiarlo in guisa
che
il personaggio destinato a commuovere si renda de
metter l’animo in agitazione per disporlo a ricevere l’ammaestramento
che
è l’oggetto morale della poesia. Rachele (eccetto
ia. Rachele (eccetto la gioventù e la bellezza) non ha qualità veruna
che
faccia sospirare per la di lei morte. Il Diamante
n vero dicendo esser tal piano un suo sistema particolare. Aggiugnerò
che
la Rachele del Diamante desta più della moderna l
ante egli ha stimato di escludere la Judia de Toledo dalla collezione
che
finalmente ha eseguita del Teatro Spagnuolo 16. L
ità della Raquel moderna sopra l’antica consiste nella versificazione
che
non è senza dolcezza, nello stile eccetto ne’ pas
ile eccetto ne’ passi dove degenera in gongoresco, e nella regolarità
che
però si trova ancora nelle riferite tragedie di M
uto ancora rifare la Venganza de Agamemnon del maestro Perez de Oliva
che
era in prosa, scrivendola sul gusto del Bermudez
ota coll’ usata sua modestia si vantava di correggere Sofocle per far
che
quedase con menos impropriedades, cioè che rimane
correggere Sofocle per far che quedase con menos impropriedades, cioè
che
rimanesse spoglio della maggior parte delle impro
gli avesse giuste idee delle proprietà convenienti al greco argomento
che
prese a rimpastare. Egli in prima tratto tratto i
de’ Greci alla guisa de’ becchini, invece di lasciarvi l’urna antica
che
conteneva le ceneri di un estinto, e che poteva p
e di lasciarvi l’urna antica che conteneva le ceneri di un estinto, e
che
poteva portarsi in mano, come rilevasi da Aulo Ge
olo e dall’istesso Sofocle18? Che miglioramento è quest’ altro di far
che
nasca in iscena e si proponga da Cillenio il pens
sca in iscena e si proponga da Cillenio il pensiero di fingere l’arca
che
ha da contenere un peso proporzionato ad un corpo
atahud per mettere in bocca di Oreste l’ indovinello, io sono un uomo
che
nel mio sepolcro solco i mari della fortuna. Sofo
ennestra moribonda; ed il sig. Huerta ve la spinge senza perchè, e fa
che
declami sola venti versi, e poi se ne torni dentr
ù centinaja di poeti non si sanno combinar nuove situazioni patetiche
che
formino quadri terribili alla maniera de’ Michela
a far di se spettacolo col paragone? Huerta ha pur tradotta la Zaira
che
noi non abbiamo letta; e ci auguriamo ch’egli ne
mo letta; e ci auguriamo ch’egli ne abbia tolte le improprietà meglio
che
non ha fatto nell’Agamennone di Sofocle19. Si son
n’ erudita dissertazione in cui additò le bellezze di quell’originale
che
Huerta stimava componimento cattivo di un imbecil
ubblicò nel 1768 una buona versione dell’Ifigenia del medesimo Racine
che
per Huerta è così dozzinal poeta; e nel 1776 fece
ar e dal Calderòn, e languidamente da altri. Non è tanto la sterilità
che
lo renda scabroso a maneggiarsi, quanto l’impossi
e della vendetta nel cuor di Marzio, colla funesta vittoria del primo
che
cagiona la di lui morte. Il Colomès ha unito lo s
Patetico è il discorso del sacerdote nell’atto III: felice l’immagine
che
Volunnia rappresenta a Marzio di se stesso possed
nnia rappresenta a Marzio di se stesso posseduto da’ rimorsi nel caso
che
trionfasse di Roma: grave la seconda scena dell’a
capo ancor più nell’Edipo di Sofocle e nella Semiramide del Manfredi,
che
nella Inès. Il sig. Colomès ha seguita l’Inès del
in questa del Colomès eseguito dal siniscalco del regno; ma i motivi
che
agitano la regina sono assai più attivi, perchè c
il carattere di Alfonso nella favola francese è di un padre sensibile
che
ama il valore del figliuolo, benchè sia disposto
tra il principe e la consorte, e bisogna dire a gloria di Metastasio
che
è maggiore ancora nel Demofoonte, perchè la sola
a lei ottenuto, e le toglie la vita, è ritrovato dell’autor francese,
che
gli è stato rubato da più moderni tragici dozzina
francese, che gli è stato rubato da più moderni tragici dozzinali, ma
che
non parmi ch’ egli dovesse a veruno nè gli è stat
gli è stato suggerito dalla storia della Castro. Era dunque più bello
che
il Colomès dopo di averlo trascritto lo riconosce
Colomès dopo di averlo trascritto lo riconoscesse dal sig. La Motte,
che
dire con poca gratitudine che per necessità dell’
itto lo riconoscesse dal sig. La Motte, che dire con poca gratitudine
che
per necessità dell’azione ha dovuto incontrarsi c
colpo con nuove acconce espressioni. La stessa istorica imparzialità
che
ci obbliga a tal confronto, ci fa dire che il Col
essa istorica imparzialità che ci obbliga a tal confronto, ci fa dire
che
il Colomès ha prestato a quest’argomento nuove be
morte del re, per leggere nell’animo del principe, e per assicurarsi
che
Agnese sia da lui amata. Per lo stile lascia rare
sostenuto, e con passi armoniosi e robusti compensa certe espressioni
che
parranno intralciate, più prosaiche e meno precis
te, più prosaiche e meno precise e vibrate. Debbo pur anco far notare
che
la ricchezza, l’energia e la maestà della lingua
a e le maniere usate da’ nostri gran poeti, danno all’Agnese un certo
che
di più grande che manca al cattivo verseggiatore
te da’ nostri gran poeti, danno all’Agnese un certo che di più grande
che
manca al cattivo verseggiatore La Motte. Pieno di
eno di poetica vivacità non iscompagnata dalla passione è il racconto
che
fa Agnese alla regina nell’atto II: quanto la ste
la più regolare ed appassionata uscita da un suo figlio, e desiderare
che
fosse stata scritta in castigliano. Si rileva da
voro. Uscì nel 1779 in Bologna l’Ifigenia in Aulide dell’ab. Lassala,
che
nel dedicarla alla contessa Caprara descrive l’in
ngere Agamennone col volto coperto. Ma Timante posteriore a Polignoto
che
fioriva verso l’olimpiade XC, non fu l’ inventore
che fioriva verso l’olimpiade XC, non fu l’ inventore di tal ripiego
che
appartiene all’istesso Euripide nato l’anno primo
glimento e le situazioni principali dell’azione. Sarebbe a desiderare
che
vi si fosse anche attenuto in certi passi. Il car
he vi si fosse anche attenuto in certi passi. Il carattere di Menelao
che
pur nel Greco autore sembra in certo modo incosta
oso: si esprime con bassezza e villania col fratello: nel cangiamento
che
fa si dimostra stravagante, incongruente ed oppos
ell’atto II, in cui Achille con gli occhi bassi dice alle principesse
che
gode del loro arrivo e che non può trattenersi e
con gli occhi bassi dice alle principesse che gode del loro arrivo e
che
non può trattenersi e parte. Sconcio e intempesti
ra del verso ne toglie ogni armonia. La locuzione è prosaica talmente
che
scrivendosi seguitamente non vi si distinguerebbe
bbero i versi. Circa la lingua tutto si dee perdonare a uno straniero
che
si studia di coltivar quella del paese ove abita.
ve abita. Non per tanto si trova espresso con passione e felicità ciò
che
nell’atto IV dice Ifigenia al padre tratto dal gr
uel, e rettificata alcuna delle varie espressioni false e gongoresche
che
vi sono, servendo al dovere di fedel traduttore n
punto alterare la nostra antica famigliarità. Meritava tanta saviezza
che
si rilevasse con giuste lodi, e noi le tributiamo
. L’esposta critica moderata, imparziale, lodativa ed amichevole anzi
che
no, punto non dispiacque allo stesso autore, che
a ed amichevole anzi che no, punto non dispiacque allo stesso autore,
che
accoppiava gusto e buon senno alla patria e stran
ento de’ meschini apologisti, i quali interpretano per male tutto ciò
che
non è panegirico: Gozando de la paz que al pue
provò il mio debole giudizio anche Giovanni Sampere o dottor Guarinos
che
siasi, il quale dopo la mia partenza da Madrid co
irgli ch’egli ha indebolito codesto suo argomento, per avere ignorato
che
non i soli nominati gran poeti, ma tutti i France
n poeti, ma tutti i Francesi fanno versi rimati. Dopo ciò si contenti
che
gli faccia sovvenire di poche cose se non le igno
i contenti che gli faccia sovvenire di poche cose se non le ignora: 1
che
il Sancho è scritto in pretto castigliano e non i
1 che il Sancho è scritto in pretto castigliano e non in francese: 2
che
non è elezione ne’ Francesi il rimar sempre, ma n
necessità, mancando essi del verso bianco da noi chiamato sciolto: 3
che
anche la poesia castigliana ha come l’italiana e
castigliana ha come l’italiana e l’inglese il suo bel verso suelto: 4
che
gli Spagnuoli hanno di più un endecasillabo coll’
cose avesse avvertito il bibliografo, mi avrebbe conceduto parimente
che
i versi rimati per coppia nella scena non sono i
cerone chiamato superbissimum. Io compiango i dottori e i bibliografi
che
non sentissero la monotonia dell’endecasillabo pa
a composta dal Sig. Huerta in Oran mentre quivi dovè dimorare, sembra
che
la Raquel vi sia stata rappresentata con altre da
ignorelli a dire nel tomo V delle Vicende della Coltura delle Sicilie
che
Huerta gongoreggia. 12. Corrieronle todo (i Mor
eggiò questo medesimo colore nella Clemenza di Tito; ma non v’impiegò
che
dieci versi, e Tito era un sovrano pieno di cure,
reduta originale la Raquel del sig. Huerta, non sapendo per avventura
che
egli altro non fece che versificare in nuova form
el del sig. Huerta, non sapendo per avventura che egli altro non fece
che
versificare in nuova forma la Judia de Toledo, ne
n fece che versificare in nuova forma la Judia de Toledo, nella guisa
che
il sig. Sebastian y Latre verseggiò di nuovo la P
cne y Filomena del Roxas; nè vi si dee notare altra differenza se non
che
l’Aragonese ingenuamente ne prevenne il pubblico,
venne il pubblico, ed Huerta l’ha dissimulato. 16. Questa collezione
che
abbraccia 35 favole, oltre della sua Rachele e de
uole, per eleggere Eco y Narciso nojosa favola mitologica di Calderon
che
più non si recita? 17. Ne’ due tometti delle Op
e del sig. Huerta si vede incisa Rachele moribonda coll’ ozioso Ruben
che
col pugnale alla destra stà aspettando colla sini
col pugnale alla destra stà aspettando colla sinistra sotto il mento
che
venga Alfonso e l’uccida. Questo rame è animato d
le un doppio erroneo significato. Carnicero in castigliano dinota ciò
che
i Latini dicono lanio, è gl’ Italiani macellajo.
iò che i Latini dicono lanio, è gl’ Italiani macellajo. Huerta voleva
che
carnifex destasse l’idea di boja insieme e di mac
no portando nelle mani (χεροιν) una picciola urna di bronzo, fingendo
che
contenga il mio corpo bruciato e ridotto in cener
lla scena della riconoscenza Elettra indirizzando la parola ad Oreste
che
crede morto, dice, come io traduco, Vieni pond
, dice, come io traduco, Vieni pondo ben lieve in picciol vaso,
che
picciol vaso significa quell’εν σμικρῷ κυτει, e n
20. Il medesimo sig. Andres rigido investigatore del perfetto a segno
che
in Italia non trova altra buona tragedia che la M
ore del perfetto a segno che in Italia non trova altra buona tragedia
che
la Merope, non si è dimenticato di tutte le infel
tragedia del Bermudez (scrisse il Colomès) è per gli Spagnuoli quello
che
è in Italia la Sofonisba, ed ha le virtù di quest
copiare la favola ed i pensieri del Ferreira, il secondo non si formò
che
su i Greci, e fu di esempio a tutte le nazioni mo
moderne nel far risorgere la tragedia. 22. Egli disse di Agamennone
che
volse il capo indietro, pianse dirottamente, e si
versione della Rachele non è stato punto alterato dopo di aver saputo
che
il sig. Don Pedro de la Huerta, in non so qual su
annojati delle cicalate sofistiche de’ piccioli entusiasti apologisti
che
sacrificano all’ amor di partito le arti e la ver
le Gongoresche e Mariniste e venerazione e amore per Dante e Petrarca
che
bevvero in que’ puri fonti. Il cardinal Delfino e
a comporre qualche dramma musicale, e si rivolse indi alle tragedie,
che
s’ impressero in più volumi. Niuno può negargli n
che s’ impressero in più volumi. Niuno può negargli nè la regolarità
che
sempre osserva, nè la ricchezza, la sublimità e l
caratteri e le passioni. Nocquegli in molte di esse la versificazione
che
prescelse, ad onta di averla renduta al possibile
rmoniosa, sì per esser nuova in teatro, sì per la rima e la monotonia
che
l’accompagna, e le di lui tragedie dopo alcuni an
i tragedie dopo alcuni anni cessarono di rappresentarsi. Certo è però
che
i forestieri stessi non furongli avari de’ loro a
Olandesi ne manifestarono varj pregi, e quelli di Trevoux asserirono
che
pochi tragici pareggiavano il Martelli. Certo è p
x asserirono che pochi tragici pareggiavano il Martelli. Certo è pure
che
la compagnia di Luigi Riccoboni le rappresentò co
so non equivoco in Verona, in Venezia, in Bologna. Certo è finalmente
che
chi comprende le vere bellezze tragiche, ve ne in
selide dell’atto III, Eccomi donna e sola fra barbari crudeli &c.
che
la dipinge egregiamente. Osserviamo ora in due fr
IV dopo aver deliberata la morte del suo gran figlio sente la natura
che
pugna colla barbarie e col sospetto. Egli dice:
na colla barbarie e col sospetto. Egli dice: Dunque le altere doti
che
amabile lo fanno, Che fur già mia delizia, gli
o fanno, Che fur già mia delizia, gli si volgono in danno? Io fui
che
gliele infusi, che l’educai perchè esso Fusse a
già mia delizia, gli si volgono in danno? Io fui che gliele infusi,
che
l’educai perchè esso Fusse amato, e perchè altr
per cent’occhi bastami il mio rimorso! Or sei morto, mio figlio, or
che
il pianto mi cade; Scacciam la debolezza sin co
sin colla crudeltade .. La delicatezza dell’espressioni di Mustafo
che
va a morire, è notabile: egli non vuol dirlo chia
dirlo chiaramente a Perselide, e pur vorrebbe far sapere a Zeanghire
che
muore suo amico: Quel che udisti e vedrai, per
de, e pur vorrebbe far sapere a Zeanghire che muore suo amico: Quel
che
udisti e vedrai, per pietà non gli dire, Se no,
ian le sue: sì uniti siate ambo in ambedue. Virtù piacciavi sempre,
che
alfin s’oltre la morte Siam qualche cosa, il pr
fidi al Soldano; siane in difesa a i troni Il braccio del tuo sposo
che
com’ io gli perdoni. Addio. Persel. Ma forse
on cercar più nulla di qualunque mia sorte. Sol se qualche novella (
che
al fin verrà cred’ io) Giugnerà a Zeanghire, dig
errà cred’ io) Giugnerà a Zeanghire, digli a mio nome addio: Digli
che
del suo nome nelle note a me care Partir tu mi
ogo delle Gemelle Capuane o di qualche altra del Teatro Italiano? Ciò
che
diffinisce i primi progressi della tragedia itali
rancesi del XVII secolo fecero un passo di più maneggiandoli in guisa
che
si adattassero al popolo ed al tempo in cui si ri
nell’Andromeda; ma qual vantaggio poteva ciò recare al moderno teatro
che
sì poco desiderava le stesse lodate tragedie de’
’ giorni nostri. Non si proponga a modello, ma se ne rilevino i pregi
che
possiede. Se ne censuri la versificazione, l’ uso
er saputo travestire ed applicare all’azione quella sorte di sentenze
che
contengono massime di morale, nella quale arte il
e’ nostri poeti &c. Si mostrerà sempre un critico dozzinale colui
che
proponesse alla gioventù un solo scrittore per mo
ttore per modello, alcuno non trovandosene nel suo genere sì compiuto
che
tutte contenga le perfezzioni. La filosofia consi
onsiglierà sempre a valersi della nota sagacità di quel Greco pittore
che
raccolse da molte leggiadre donne le sparse parti
o nel 1723, Sofonisba e Virginia nel 1725, Sejano nel 1729, ed Orazia
che
unita alle altre uscì nel 1742. Vinse egli per gr
travedere elevatezza e sublimità, e quel patetico e terribile tragico
che
agita ed interessa. Ma sceneggiava alla foggia an
volte la locuzione con formole poco pure, inusitate e scorrette. Più
che
altrove lo stile è affettato e lirico nel Sejano,
e lo stile è affettato e lirico nel Sejano, le sentenze più ricercate
che
in Seneca, il linguaggio più spesso fangoso, e ne
del IV in cui Sejano intima il divorzio ad Apicata, tragici i rimorsi
che
atterriscono Livia dopo la morte di Druso, e oppo
re a tutte le altre a cagione dell’ episodio della deflorata Volunnia
che
si frammischia al fatto di Virginia. Migliore del
io, e ricco di passi ben espressi. Lodevole nell’atto I è il ritratto
che
in Tito si fa de’ partigiani del regno, ed in Fur
ciata degnamente esposta da Celio: nel IV i gravi sentimenti di Furio
che
tenta di richiamar Tito nel camin dritto: nel V i
rvò per lei sola sino all’atto V tutto l’interesse, là dove l’Aretino
che
la fe morire nel III, lo divide fra lei ed il fra
nnato e per la patetica aringa di Publio in pro del figlio superstite
che
commuove il Popolo Romano. Non è dunque maravigli
lio superstite che commuove il Popolo Romano. Non è dunque maraviglia
che
, al dire anche degli eruditi compilatori della Bi
o e la Polissena. Non fu solo il Martelli ne’ primi lustri del secolo
che
seppe unire alle bellezze del greco coturno la sa
a seguendo le orme de’ tragici francesi. Il Marchese trattò il Crispo
che
è un ritratto dell’Ippolito greco, col patetico p
, colla purezza del linguaggio il Pansuti. Meritò la di lui Polissena
che
da Pietro di Calepio si preferisse nel confronto
più conveniente, e per l’arte di muovere la compassione. Egli è vero
che
all’istesso Calepio sembra di trovare nella Polis
tresì ch’ei riprende nelle nutrici introdotte dal Marchese la perizia
che
mostrano della mitologia. Ma pur non è sì grande
da l’uso), può accordarsi loro certa specie di coltura al riflettersi
che
esse non rassomigliano alle moderne balie, ma si
le grave e sublime, una costante regolarità, la sceneggiatura moderna
che
quasi mai non lascia vuoto il teatro, i caratteri
o, i caratteri degnamente sostenuti, le passioni portate a quel segno
che
permette l’eroismo cristiano che riscaldava il pe
ti, le passioni portate a quel segno che permette l’eroismo cristiano
che
riscaldava il petto dell’autore. Per saggio della
gio della di lui maniera di colorire vedasi un frammento del racconto
che
fa Eustachio a Simile delle sue avventure col Cor
ntri Gridan Teopista ancor: l’ode la bella Cagion del pianto mio,
che
vuol nell’onde Precipitarsi, o per tornarmi in
o; e colla di lui astuzia contrasta la nobile franchezza di Recaredo,
che
al fine gli dice: Udito ho sempre Ch’uomo al
giore della Cristiana religione di perdonare e amare il nemico, prima
che
Voltaire avesse composta l’Alzira. Prima ancora d
elli egli ritrasse egregiamente un sovrano penitente nel suo Maurizio
che
accompagna degnamente l’Ermenegildo. Quest’ imper
o Maurizio che accompagna degnamente l’Ermenegildo. Quest’ imperadore
che
si era macchiato di delitti e di atrocità, divenu
e non con pene eterne, e quindi soggiace a’ più dolorosi colpi prima
che
il tiranno Foca lo faccia uccidere. Avea Maurizio
adre vuole stringerselo al seno, ma nel fissarvi lo sguardo si avvede
che
non è il suo Eraclio, ma sì bene il figlio della
ede che non è il suo Eraclio, ma sì bene il figlio della stessa Irene
che
eroicamente lo sacrifica alla salvezza della prol
enne il Marchese anche l’Orfano della China del Voltaire. Meriterebbe
che
si trascrivesse il patetico e vivace racconto del
l Marchese più d’una tragedia degna dell’attenzione degl’intelligenti
che
non sono apologisti declamatori; e specialmente l
io singolare del di lui stile è la gravità, la precisione e la verità
che
richiede la passione e il teatro per la quale cos
endecasillabo; ma la locuzione non è sempre pura e corretta. Ciò però
che
caratterizza singolarmente il suo pennello è il d
me e la proprietà mirabile ne’ personaggi imitati. I suoi Romani (ciò
che
per lo più si desidera nelle tragedie francesi) v
far uso de’ cori per riunire alla tragica rappresentazione la musica
che
le conviene, e questa forse è una delle ragioni p
ia eloquenza e bellezza poetica propria della scena. Ma Giulio Cesare
che
si rappresentò con sommo applauso, e si lesse con
he favole il più interessante argomento tragico, e compose la Merope,
che
dopo la prima di Modena del 1713 ha avuto più di
mpre con applauso, ammirazione e diletto. Una delle migliori edizioni
che
se ne fecero fu quella del 1735 colla prefazione
ntovarla non si sovviene di quel patetico animato ma umano e naturale
che
ti riempie in ogni scena, e ti trasporta in Messe
caratteri? del mirabile vivo ritratto di una madre? della dolce forza
che
ti fanno le passioni espresse in istil nobile ed
Igino, in cui il vecchio Polidoro giugne a tempo a trattener la madre
che
sta per trafiggere il figliuolo? del vivace atto
arrata con maestria? Chi poi non sa ripetere colle parole di Voltaire
che
i Francesi schivi non soffrirebbero nel lor teatr
oltaire che i Francesi schivi non soffrirebbero nel lor teatro Ismene
che
parla della febbre di Merope? che questa regina p
soffrirebbero nel lor teatro Ismene che parla della febbre di Merope?
che
questa regina per iscarsezza d’arte del poeta si
carsezza d’arte del poeta si avventa due volte ad Egisto colla scure?
che
le scene de’ confidenti sono troppe? che i coltel
volte ad Egisto colla scure? che le scene de’ confidenti sono troppe?
che
i coltelli, i vasi, i tripodi, i canestri rovesci
ato carattere di amico del Maffei non avrebbe potuto versar su di lui
che
a metà e con moderatezza il suo fiele, si mascher
ssoluta? La Merope del Voltaire non ha difetti? Sovvenghiamoci di ciò
che
so n’è ragionato nel tomo precedente. I Francesi
l’atto V. Volle poi quest’anonimo far pompa di erudizione, ed affermò
che
l’Italiano avea saccheggiato e sfigurato l’Amasi
che l’Italiano avea saccheggiato e sfigurato l’Amasi del la Grange, e
che
il Voltaire rivendicando il furto avea restituito
taire rivendicando il furto avea restituito alla nazione francese ciò
che
era suo. Preso poi da un capogirlo aggiunse che M
nazione francese ciò che era suo. Preso poi da un capogirlo aggiunse
che
Merope era un argomento di tutti i paesi trattato
Euripide tutti precedette nell’inventar simil favola, perchè non dire
che
appartiene alla Grecia? Se è di tutti i paesi, pe
di furto or Maffei or Voltaire? perchè non s’informò da chi ’l sapea,
che
il Cavalerino, il Liviera, il Torelli precedetter
pi, Telefonti e Cresfonti? Perchè poi non apprese almeno dal Voltaire
che
la Grange ed altri Francesi ed Inglesi trattarono
ri Francesi ed Inglesi trattarono questo argomento con tali sconcezze
che
le loro tragedie rimasero nascendo sepolte? Perch
cezze che le loro tragedie rimasero nascendo sepolte? Perchè non vide
che
senza la Merope del Maffei, senza quella ch’ ei c
nza la Merope del Maffei, senza quella ch’ ei chiama povertà Italiana
che
Voltaire copiò, ancor non avrebbe la Francia una
e la Francia una Merope degna di passare a’ posteri? L’anonimo oscuro
che
tante cose ignorava, ebbe l’audacia di scagliarsi
l Voltaire, produzioni di due grand’ingegni, cui egli mirar non dovea
che
con rispettoso silenzio (Nota II). Io auguro all’
ilenzio (Nota II). Io auguro all’Italia e alla Francia molte tragedie
che
pareggino queste due Meropi, dovessero anche aver
rcitarsi. Ma rendono pregevole tal favola la regolarità e l’interesse
che
vi regna, lo stile non sempre elegante e sublime
ssa. Serva d’esempio la scena quinta dell’atto terzo, in cui Demodice
che
ha penetrato che il suo sposo Alceste sarà il com
pio la scena quinta dell’atto terzo, in cui Demodice che ha penetrato
che
il suo sposo Alceste sarà il competitore del frat
le mie nozze Si compiranno? E s’egli è vincitore, M’unirò a quel
che
i miei fratelli uccise? Di natura e d’amor ambo
he i miei fratelli uccise? Di natura e d’amor ambo possenti Leggi
che
a’ danni miei tutte vi unite, Perchè appunto tr
stile, e per la semplicità dell’azione avvivata però da un movimento
che
va d’ atto in atto crescendo. La sceneggiatura è
sciadore di Jarba. Teatrale è nell’atto terzo il contrasto di Didone,
che
giugne gioliva e piena di speranze, con Enea che
contrasto di Didone, che giugne gioliva e piena di speranze, con Enea
che
all’ordine di Giove era disposto a partire senza
rojano con poche compassate parole; ma pregevolissima è la pennellata
che
ne dipinge il disdegno. Tratta dal naturale orgog
credere a se stessa di essersi disingannata, e di ravvisare il torto
che
faceva al suo Sicheo, e ne ha onta: si duole di v
l suo Sicheo, e ne ha onta: si duole di vedersi adorna di altri abiti
che
de’ vedovili: ordina a Bargina che trovi Enea e l
e di vedersi adorna di altri abiti che de’ vedovili: ordina a Bargina
che
trovi Enea e l’ ingiunga di partir subito senza v
rgina che trovi Enea e l’ ingiunga di partir subito senza vederla. Ma
che
? Anna le riferisce l’ imminente partenza di Enea,
me abbandonar? Ah tosto Si voli, si ritenga l’infedele . . . Ah!
che
più indugio? Io stessa al lido, al porto Corro
Ah! che più indugio? Io stessa al lido, al porto Corro a provar ciò
che
potranno i prieghi, Le lagrime, i sospiri &
ciò che potranno i prieghi, Le lagrime, i sospiri &c. O Enea
che
mi abbandoni, o mie speranze, O sacra del mio s
a tradita, O mio onore, o dovere, o forte amore, Sì, troppo forte
che
al dover contrasti, Qual vincerà di voi? Ott
l’atto quarto ci sveglia l’idea dell’abbandono di Armida e di Rinaldo
che
si sente morire, e pur la lascia. Didone sviene c
toria letteraria d’Italia sulle notizie giornaliere francesi, afferma
che
ne’ primi lustri del nostro secolo il teatro ital
ma che ne’ primi lustri del nostro secolo il teatro italiano non ebbe
che
drammi irregolari e mostruosi. Si noti che dalla
l teatro italiano non ebbe che drammi irregolari e mostruosi. Si noti
che
dalla Merope, dalla Demodice e dalla Didone si so
resse in Venezia l’Ezzelino del dottor Girolamo Baruffaldi Ferrarese,
che
poi ebbe altre quattro edizioni ed in Venezia ste
tà come poco necessario e lasciato impunito: qualche discorso secreto
che
si ode dall’uditorio e non da’ personaggi che sta
ualche discorso secreto che si ode dall’uditorio e non da’ personaggi
che
stanno sulla scena: e la mancanza del tempo richi
dal fondo della torre, non essendo passati dalla chiamata alla venuta
che
sei versi soli recitati da Amabilia. Lo stesso au
uffaldi, nè se ne infinse, ma ingenuamente l’accennò nel ragionamento
che
vi premise. Si osserva nella condotta dell’azione
tta dell’azione qualche leggiero intoppo. Antigona madre di Giocasta (
che
Creonte volle far morire per mano del suo figliuo
a. Forse potrebbesi risecare qualche cicaleccio di Ormindo. Forse più
che
tragedia parrà questa Giocasta un romanzo drammat
ta un romanzo drammatico per tanti colpi di teatro e per le avventure
che
vi si accumulano in poche ore. Ma tali nei vengon
situazioni interessanti ben condotte. Viva e patetica è la preghiera
che
fa nell’atto I Osmene al padre per non isposar Gi
ni; passionata la narrazione delle proprie sventure e della fanciulla
che
diede alla luce; grande è il di lei coraggio ed i
’ intenerisce alla rimembranza della figlia perduta, e dice al marito
che
la cerchi, ed incontrandola (soggiugne) Dille
randola (soggiugne) Dille del mio destin la cruda istoria, Dille
che
la sua madre al fin morìo Tradita e invendicata
Ottone. Esse s’impressero nel 1727 dal Comino in Padova, ma non parmi
che
siensi mai rappresentate. L’ultima fu dedicata ad
i che siensi mai rappresentate. L’ultima fu dedicata ad Apostolo Zeno
che
la lodò. Il conte di Calepio comendò la scelta de
in Bassano, se non m’ inganna la memoria, e nella Biblioteca teatrale
che
faceva imprimere in Lucca il Diodati. Il marchese
n versi Atalia, David, Gionata, Virginia. Recitavansi in un teatrino,
che
ancor sussiste nel convento di Orvieto, da’ suoi
i tre buone tragedie Demetrio, Giovanni di Giscala e Agnese. L’autore
che
forse pensava di seppellirle con tante altre poet
relato nelle Novelle letterarie di Venezia del Berno librajo Veronese
che
nel 1745 su di un esemplare non ritoccato nè conc
L’azione immaginata con somiglianza del vero non è istorica, eccetto
che
nell’àncora naturalmente impressa nel corpo de’ S
rta e venendo poi fuori Berenice ed Araspe. Due oracoli sono le molle
che
muovono le passioni di una madre a danni del figl
e incognito, se le presenta con altro nome, n’è amato con altro amore
che
di madre, è poi perseguitato e accusato di fellon
à disviluppate le angustie di Artamene combattuto dal colpevole amore
che
ha per lui la madre e dall’odio che Arsinoe ha pe
ne combattuto dal colpevole amore che ha per lui la madre e dall’odio
che
Arsinoe ha per Seleuco. Egli conchiude: Per vi
oglio è fatto reo di una congiura presso Seleuco; il re pretende solo
che
si scagioni giurando che niun altro congiuri cont
congiura presso Seleuco; il re pretende solo che si scagioni giurando
che
niun altro congiuri contro di lui; ma egli ciò no
di Demetrio. Vedasene questo squarcio poichè si è scoperto: Oimè!
che
strane Vicende ebbi a soffrir! Fui da’ nemici
hiesi a te le tue nozze. E chi non vede S’io mi fo noto al genitor,
che
torna La falsa accusa tua sopra il tuo capo?
chè il re lo manda a morire. Ma poco stante Seleuco rileva da Ircano,
che
Artamene è Demetrio suo figlio, e ne manda a sosp
e manda a sospendere l’esecuzione. L’agitazione di Seleuco nel dubbio
che
il soldato non giunga a tempo per impedirla, è pi
da alcuni non si voglia ammettere tralle migliori tragedie, io credo
che
al compiuto trionfo del Varano si oppongano i due
credo che al compiuto trionfo del Varano si oppongano i due ostacoli
che
soggiungo. In prima il patetico onde deriva princ
nte l’effetto tragico, non sembra in essa vigoroso al pari del grande
che
concilia ammirazione; ovvero, che è lo stesso, la
in essa vigoroso al pari del grande che concilia ammirazione; ovvero,
che
è lo stesso, la compassione non par che sia condo
concilia ammirazione; ovvero, che è lo stesso, la compassione non par
che
sia condotta a quell’attivo fremito che ci scuote
tesso, la compassione non par che sia condotta a quell’attivo fremito
che
ci scuote sì spesso in Euripide che si pretende i
a condotta a quell’attivo fremito che ci scuote sì spesso in Euripide
che
si pretende invecchiato. L’altro ostacolo potrebb
e dall’ ostinazione di Artamene a non palesarsi per Demetrio in tempo
che
non si sono ancora le cose portate agli estremi;
alla madre tace eroicamente per non recarle onta e nocumento. So bene
che
tal condotta può colorirsi col timore che ha Deme
e onta e nocumento. So bene che tal condotta può colorirsi col timore
che
ha Demetrio di perdere totalmente la speranza di
totalmente la speranza di placare Arsinoe, e colla sicura conoscenza
che
ha dell’odio materno; ma nei grandi sconvolgiment
hè non si è scoperto. Queste osservazioni però basteranno per impedir
che
si registri sì nobil favola accanto alla Merope,
anto alla Merope, al Cesare ed a qualche altra eccellente? Faranno sì
che
con affettata incontentabilità si ripeta colle pa
lle parole del sig. Andres, per altro valoroso ed elegante scrittore,
che
in Italia non v’ha buona tragedia fuorchè la Mero
to vivace de’ caratteri non discordano dal Demetrio tanto nell’Agnese
che
nel Giovanni di Giscala tiranno del tempio di Ger
nni di Giscala tiranno del tempio di Gerusalemme. Quest’ultima favola
che
empie il suo oggetto d’inspirare il terrore colla
bibliotecario del Duca di Modena, morto l’anno 1769, è l’altro autore
che
ci ha somministrate tragedie degne di mentovarsi
leggi del proprio istituto astretto a contenersi entro certi confini
che
lasciano infruttuosa la più ricca fantasia, ed a
sciano infruttuosa la più ricca fantasia, ed a privarsi del vantaggio
che
apportano sul teatro le femmine, compose quattro
l non esser esse però accomodate al bisogno de’ pubblici teatri, fece
che
ne fossero escluse, e che si rappresentassero sol
modate al bisogno de’ pubblici teatri, fece che ne fossero escluse, e
che
si rappresentassero solo nel collegio di San Luig
anza rimanendone confinato il diletto entro pochi instruiti leggitori
che
ne ammirano singolarmente i pregi dello stile. No
e. E dove non sarebbe egli giunto con quell’anima sublime e sensibile
che
pur manifesta, se in vece di limitarsi a rassomig
e teatrale di Nabucco misto di grandi virtù e di grandi passioni, tal
che
, com’ egli pur dice, in tutte le sue virtù si sco
nella 4 scena dell’atto I fa parlare Iddio: Chi son io, dice Dio,
che
ne l’Egitto, Anzi che in me, le tue speranze af
I fa parlare Iddio: Chi son io, dice Dio, che ne l’Egitto, Anzi
che
in me, le tue speranze affidi? Quella forse è l
salvezza e regno? Degna di notarsi è pur la profezia dell’atto IV
che
il Granelli ad imitazione di quella di Giojada de
somma s’introduce questo personaggio scorgesi una saggia elevatezza,
che
inspira un tacito religioso rispetto pei decreti
a nell’atto II. Manasse seconda sua tragedia ci dipinge un penitente
che
potrebbe annojare per la sua abjezione, e pure è
ebbe annojare per la sua abjezione, e pure è condotto con tanto senno
che
serve ad aumentare la grandezza del dramma. Manas
ricolo. L’autore, senza curarsi per altro di farsene un merito, pensa
che
di tal carattere non abbiasi esempio nè degli ant
bbiasi esempio nè degli antichi nè de’ moderni tragici. Io però credo
che
fra gli antichi il Tieste di Seneca adombri il di
ie; e fra’ moderni l’abbandono disperato del Radamisto del Crebillon,
che
riconosce e detesta i passati suoi falli, esprima
ssati suoi falli, esprima il dolore di questo re di Giuda. Ben è vero
che
in Manasse tutto è rettificato e migliorato per l
r l’autore) dallo sciorsi per machina, e dà luogo a una serie di cose
che
conduce a discoprire in Manasse la persona addita
La dizione è la solita nobile e grandiosa dell’autore, e sembra solo
che
per gli ragionamenti troppo prolongati benchè pro
ed eleganti, serpeggi per sì bella tragedia qualche lentezza. Dione
che
liberò la Sicilia dalla tirannia de’ Dionigi, e r
oetico e naturale, e la stessa ricchezza di frase e purità di lingua,
che
è pur sì necessaria al teatro, o che sì di rado s
zza di frase e purità di lingua, che è pur sì necessaria al teatro, o
che
sì di rado s’incontra. Egli però aggiugne: ove tr
riporre tralle prime tragedie italiane anzi il Sedecia e il Manasse,
che
il Dione. Oso profferire di non parermi l’ultimo
ano ingegno l’invenzione, l’intreccio e lo scioglimento di una favola
che
non produce in pro del protagonista (io ne appell
hi la legga o l’ascolti) tutto l’effetto della tragica compassione, e
che
non lascia intravedere il frutto morale che il dr
la tragica compassione, e che non lascia intravedere il frutto morale
che
il drammatico dee prefiggersi. Dione ha due favor
con tutti infedele e traditore; ma poi intende dall’ingenuo Alcimene
che
Callicrate parlando seco si è mostrato fedelissim
re lo stesso Alcimene. Per tutto ciò non richiedea la verisimiglianza
che
Callicrate nemico dichiarato di Alcimene e menzog
o di Alcimene e menzognero convinto dovesse meritare assai minor fede
che
il suo rivale? Pure Dione tutto si abbandona su d
suo rivale? Pure Dione tutto si abbandona su di codesto insidiatore,
che
può dirsi un Davo tragico (tante sono le bugie e
iatore, che può dirsi un Davo tragico (tante sono le bugie e le trame
che
accumola e intesse in ogni incontro) e ciò solo p
al re l’immunità per gl’ inganni passati (come suol concedersi a’ rei
che
fanno denunzie utili allo stato) ma non già un pr
dati Zacinti da lui dipendenti, e ne viene a man salva ucciso. Lascio
che
le menzogne di Callicrate non si sostengono senza
icrate non si sostengono senza qualche studiata reticenza; di maniera
che
se Celippo p. e. o Apollocrate non dicono appunti
i maniera che se Celippo p. e. o Apollocrate non dicono appuntino ciò
che
egli ha loro suggerito, crolla la machina. Lascio
uggerito, crolla la machina. Lascio ancora la poco verisimile ipotesi
che
di tutta la Sicilia (senza eccettuarne Dione pare
e intrinseco difetto nel piano. Previde il degno autore l’opposizione
che
singolarmente far si poteva alla somma credulità
far si poteva alla somma credulità di Dione, e disse in sua discolpa,
che
la storia l’ha esposto al pericolo di far parere
osto al pericolo di far parere Dione uomo troppo più facile e credulo
che
ad un eroe non conviene; e pregò il leggitore a p
strato costanza nel carattere e minorato il suo pericolo? Egli è vero
che
la storia dà a Dione un carattere d’imprudente44.
ia gli avesse suggerito questa spezie d’inavvertenza, egli ben sapeva
che
la tragedia non ripete esattamente la storia, ma
e esattamente la storia, ma la corregge e rettifica nelle circostanze
che
possono nuocere ad eccitare il terrore e la compa
i sacrifizj e i voti tra Ozia e Jefte, la qual cosa sgombra il timore
che
agitava gli animi col pericolo della vita di Seil
sa riprende tanto di forza quanto permette la determinazione di Seila
che
vuol rimanere offerta volontaria in olocausto. Ne
re i genitori e l’amante altre lagrime essa non ottiene se non quelle
che
spargonsi oggidì per le nostre fanciulle che rend
on ottiene se non quelle che spargonsi oggidì per le nostre fanciulle
che
rendonsi religiose. Proseguendo alla nostra guisa
n vece di pronunziar secchi responsi da oracolo e giudizj magistrali,
che
lasciano la gioventù qual era prima di ascoltarli
patria! oh Israello! a questo prezzo Dunque tuo re m’hai fatto? Or
che
mi cale Di scettro e regno, se mi togli un figl
uo destino attende la risposta dell’oracolo e vuol consolare il padre
che
risponde in termini di doppio significato alla ma
poco utili all’azione e forse superflue sì la scena 6 dell’atto III,
che
la prima del IV. In quella del III Saule domanda
ntenza; ma non mai essere incerto se debba o no far morire il figlio,
che
il Cielo condanna. Egli intanto convoca un consig
nto convoca un consiglio di Abnero e Samuele per deliberare su di ciò
che
pur non è più in suo arbitrio. Nel Demetrio Polio
ie. L’imitazione può chiamarsi esatta, e pur questi versi non pare
che
abbiano destato la commozione che recitandosi que
esatta, e pur questi versi non pare che abbiano destato la commozione
che
recitandosi quelli del Cinna facea piangere il gr
gli sono individui di una repubblica non affatto estinta, sono nemici
che
hanno ancora l’ armi alla mano, e la resistenza n
i alla mano, e la resistenza nobile di un nemico non è la stessa cosa
che
la machina infame di un vassallo beneficato e tra
ardi; a questo prezzo Dal fiero eccidio ella campasse almeno. Ma
che
diremo di questi altri profferiti poco prima dal
fremere all’udirli? Ottimo nel principio dell’atto III è il contrasto
che
si ammira in Timandro del padre e dell’arconte, d
atel non la divido. O non morrà, o noi morremo insieme. Il padre
che
s’intenerisce, pur li condanna, dicendo: Basta
tato, è seguita una volta la loro nobil gara; nell’atto IV i medesimi
che
sono stati liberati da Demetrio, per salvare il p
e finalmente nella sesta scena tornano a gareggiare. Avrei desiderato
che
sì bella situazione, benchè non nuova, e sì patet
co. Nol tacque il dotto Bettinelli; ma avrebbe potuto ben dire ancora
che
l’ombra della Semiramide apparsa in chiaro giorno
la moltitudine, e perciò rimane inferiore non meno a quella de’ Persi
che
al di lui Serse. I terrori di questo re nella sce
erse. I terrori di questo re nella scena I dell’atto III, per l’ombra
che
l’incalza e lo spaventa, sono alla solita saggia
uno squarcio: Un lamentevol suon parmi improvviso Da lunge udir
che
più s’appressa: io veggio Fra una pallida luce
o, E al garzone il porgea. Parmi vederla, Parmi ascoltarla ancor,
che
tra i singhiozzi Ignoti sensi mormorava, e il n
co, candido e naturale d’Idaspe, e soltanto quello odioso di Artabano
che
intriga se stesso nelle sue sofistiche sottigliez
nelle sue sofistiche sottigliezze, mi sembra poco plausibile. Intanto
che
tali valorosi scrittori emulando ora i Greci ora
ra i Greci ora i Francesi nobilitavano il coturno italiano con drammi
che
dalla sola invidia, sotto pretesto di delicatezza
il Bruto del Voltaire si tradusse bellamente da una dama Lucchese. Ma
che
lascia a desiderare l’eccellente versione dell’Al
Teocrito il P. M. Giuseppe Maria Pagnini Pistojese? Non altro se non
che
il degno autore si determini a pubblicarla. Prege
uiscard del Saurin; ma è grandissimo il numero de’ buoni componimenti
che
non ebbero verun modello? La seconda corona di qu
ubblicata in Vercelli nel 1782. Il più accigliato censore non negherà
che
tali tragedie conseguirono meritamente la promess
lopedici dell’utilità del disegno del Real Protettore, e per mostrare
che
l’Italia non è sì lontana dal calzar con piena ri
piena riuscita il coturno Ateniese? Nè con ciò si pretende assicurare
che
abbiano le nominate tragedie tutta l’energia e la
re coronato qualche altro Italiano di questo secolo? Intorno al tempo
che
si maturava l’eccitamento della Corte Parmense co
n arte e con giudizio composero le loro tragedie Carl’ Antonio Monti,
che
pubblicò nel 1760 in Verona il Servio Tullio; il
cò nel 1760 in Verona il Servio Tullio; il conte Guglielmo Bevilacqua
che
nel 1766 impresse Arsene ben condotta e ben verse
nda, di Ariarate, e de’ Longobardi impressa nel 1769; il dottor Willi
che
scrisse Idomeneo; il sig. Girolamo Pompei che die
l 1769; il dottor Willi che scrisse Idomeneo; il sig. Girolamo Pompei
che
diede alle stampe un’ Ipermestra, e la Calliroe p
un’ Ipermestra, e la Calliroe pubblicata nel 1769; il conte Paradisi
che
compose gli Epitidi; ed il cavaliere Durante Dura
nte Paradisi che compose gli Epitidi; ed il cavaliere Durante Duranti
che
pubblicò in Brescia nel 1768 la Virginia. Io non
edesimo sono l’espressioni di Virginia: buono il racconto non diffuso
che
fa Claudio della ferita data dal padre a Virginia
ole per la semplicità delle greche favole e pel decoro delle moderne,
che
vi si osserva. Viene in essa espresso con vivacit
ssa espresso con vivacità e delicatezza l’amor conjugale e paterno. E
che
importa che si riconduca sulle moderne scene un a
con vivacità e delicatezza l’amor conjugale e paterno. E che importa
che
si riconduca sulle moderne scene un antico argome
tempi e a tutti i paesi traggansi dal fondo del cuore umano in guisa
che
commuovano e chiamino l’attenzione? Questa traged
chiamino l’attenzione? Questa tragedia in una sola azione principale
che
si va disviluppando senza bisogno di estrinseci e
ali49. Tali mi sembrano le seguenti: quella di Penelope nell’atto II,
che
intende la morte di Ulisse comprovata col di lui
ll’atto III: la scena del IV tra Penelope ed Ulisse chiuso nell’armi,
che
si parlano con affetti convenienti al proprio sta
parlano con affetti convenienti al proprio stato, e si dividono senza
che
Ulisse si faccia conoscere. Nell’atto V Penelope
se si faccia conoscere. Nell’atto V Penelope si lamenta del tripudiar
che
fanno i proci per la morte di Ulisse, mentre stan
i distinguono gemiti e lamenti, Penelope teme pel figlio. Intende poi
che
si è accesa una gran mischia tra’ proci, Telemaco
rattasi del tutto, di un figlio unico suo sostegno, perduto Ulisse; e
che
dee a lei importare l’origine della contesa in qu
portare l’origine della contesa in quel punto? È l’evento della pugna
che
dee occuparla tutta. Dopo di aver saputo da Mento
pugna che dee occuparla tutta. Dopo di aver saputo da Mentore ancora
che
tuttavia si combatte, può ella esser curiosa dell
sare, s’ella non fusse Penelope, se non fusse madre. Ma questo dubbio
che
molesterà chi legge o ascolta, si dilegua all’arr
contro di essa, fingendole fatte da un altro; ma esse altro non sono
che
graziosi colpi e motteggi contro il mal gusto e l
un nuovo modo di far tragedie. Egli oppone ancora al suo componimento
che
sia assai scarso di morali sentenze; ma questa è
isse in fine dell’atto IV, e sapere occultar se stesso ne’ personaggi
che
imita. Prima del Pindemonte avea in Lucca pubblic
e ne dichiarò nel discorso fatto all’Accademica Deputazione Parmense,
che
ciascuna di queste due avventure non potesse appr
cipali seminando fra loro la diffidenza; e tre fatti d’armi. Ecco ciò
che
ci sembra più interessante in questa favola, oltr
maco, e poi si dà a conoscere. Parrà poi forse al critico imparziale,
che
con poca verisimiglianza Alcandro il confidente d
rtecipe dell’arcano della di lui nascita, taccia sino al fine e lasci
che
avvenga il parricidio. Egli si discolpa del suo s
into Io lo credei. Nè del tuo amor gli effetti Io potei paventar,
che
di soverchio La fe della madrigna a me palese
iuto Ulisse, è però una delle supposizioni inverisimili ed assai rare
che
l’unico confidente degli amori di Circe ed Ulisse
sai rare che l’unico confidente degli amori di Circe ed Ulisse, colui
che
fanciullo nascose Telegono ad ognuno, non conosce
entar gli effetti dell’amore del suo allievo, egli parla contro a ciò
che
non ignorava, poicchè ben potea su Telegono cader
l’ altra favola: la stessa galanteria subalterna d’Ippolito ed Aricia
che
indebolisce l’interesse della Fedra, caratterizza
apre il suo cuore ad Eurinoe. Ella le dice: E sarà vero, Eurinoe,
che
i dei Voglian da me nuovi delitti ad onta D’u
che i dei Voglian da me nuovi delitti ad onta D’un resto di virtù
che
m’han lasciato? Come (riflette) appressarsi al
rato il senso iniquo del mio discorso? Eurinoe l’ignora, ma soggiugne
che
il vide fremere, arrossire e mirarla con isdegno;
Intese L’ingrato intese, e non intender finse. Crudel! Eur. Ma
che
? forse dovea . . . Bib. T’intendo. Ah taci .
n dio nemico M’insegue, e mi minaccia. Andiam, non odi Il fulmine
che
fischia, il ciel che tuona? Si oscura il giorno
gue, e mi minaccia. Andiam, non odi Il fulmine che fischia, il ciel
che
tuona? Si oscura il giorno, fugge il sol . . .
tà. Ma la scena terza, la quarta ben lunga e la quinta di quest’atto,
che
non ne contiene che sette, si aggirano intorno ad
a, la quarta ben lunga e la quinta di quest’atto, che non ne contiene
che
sette, si aggirano intorno ad Idotea, e trattengo
cadente &c. proprie del Celtico Poeta, come si vede nel racconto
che
fa Calto della visione avuta. Ma nel rimanente lo
delle nostre tragedie e talora delle opere musicali, la qual cosa par
che
dissuoni, perchè le maniere e le formole de’ popo
seguenza non ha potuto scansare di non lasciar la scena vuota, regola
che
non osservarono gli antichi nè i nostri cinquecen
regola che non osservarono gli antichi nè i nostri cinquecentisti, ma
che
in Francia e in Italia dopo Racine e Maffei nè an
Racine e Maffei nè anche da’ tironi si trasgredisce. Se il P. Salvi (
che
dicesi che abbia composte altre tragedie ancora)
affei nè anche da’ tironi si trasgredisce. Se il P. Salvi (che dicesi
che
abbia composte altre tragedie ancora) non avesse
poeta, il cui dramma non si vitupera nè si loda! guai a quello ancora
che
non ha per lodatore che se stesso e i suoi compia
si vitupera nè si loda! guai a quello ancora che non ha per lodatore
che
se stesso e i suoi compiacenti amici! L’indiffere
e de’ Gherardeschi tragedia senza nome di autore, la quale non sembra
che
ottenga pienamente il fine tragico, con tutto che
la quale non sembra che ottenga pienamente il fine tragico, con tutto
che
vi si notino alcuni passi lodevoli che ne accenne
nte il fine tragico, con tutto che vi si notino alcuni passi lodevoli
che
ne accenneremo. Forse l’orrore di uno che muore p
otino alcuni passi lodevoli che ne accenneremo. Forse l’orrore di uno
che
muore per fame, prolongato per cinque atti non pe
r dir così, riposata alla maniera de’ Caligoli, qual’è questa di Nino
che
dà luogo all’artifizio, rivolta gli animi in vece
di tempo in tempo rallentano gli affetti; e un ambasciadore Genovese
che
viene a implorar mercè e ad intercedere a favor d
e che viene a implorar mercè e ad intercedere a favor di Ugolino, par
che
lavori contro l’intento esacerbando l’animo di Ni
do quasi fosse a lui superiore. Nonpertanto è patetica la descrizione
che
fa Marco nella scena 2 dell’atto II, della rasseg
della libertà offertagli a condizione di portar le armi contro Genova
che
lo protegge: energiche in questa scena son le di
Entro al tuo bujo un favorevol raggio Pur mi rilusse. Io vidi, e
che
non vidi? Vidi le stragi che in Italia e in Pis
ol raggio Pur mi rilusse. Io vidi, e che non vidi? Vidi le stragi
che
in Italia e in Pisa Nacquer dall’odio mio. Il s
erdono. Niccolò Crescenzio regio professore di filosofia in Napoli
che
nel 1727 produsse il Coriolano tragedia languida
e giureconsulto e poeta latino50: il P. Serafino Giustiniani Genovese
che
impresse nel 1751 il Numitore riuscita sulle scen
rrato autori di alquante tragedie regolari: il conte Alessandro Verri
che
nel 1779 impresse in Livorno col modesto titolo d
Saffo: tutti, dico, questi scrittori meritano lode per qualche pregio
che
traspare in mezzo alla languidezza; ma essi servo
Varano, del Granelli, del Bettinelli, e singolarmente del Maffei. Ma
che
diremo del Diluvio Universale, dell’Anticristo, d
i una prefazione contro di certo Dottore Don Pietro Napoli Signorelli
che
non avea lodate le sue tragedie che l’Italia chia
tore Don Pietro Napoli Signorelli che non avea lodate le sue tragedie
che
l’Italia chiama mostruose? Ciò che ne dicemmo alt
he non avea lodate le sue tragedie che l’Italia chiama mostruose? Ciò
che
ne dicemmo altra volta, cioè che può bastar loro
e che l’Italia chiama mostruose? Ciò che ne dicemmo altra volta, cioè
che
può bastar loro il servir di capitale a parecchie
r di capitale a parecchie compagnie di commedianti. Aggiugneremo quel
che
ne dice un giornalista in parte suo parziale, che
. Aggiugneremo quel che ne dice un giornalista in parte suo parziale,
che
egli era il tragico del volgo e degli Ebrei. Egli
trali in mezzo alle stranezze; egli fu dunque calzando il coturno ciò
che
era il nostro Cerlone nelle sue chiamate commedie
, nè senza ragione, nella seconda tragedia al conte Alessandro Pepoli
che
il proscritto Giulio Sabino e la sua sposa ardisc
atrocemente contro del proprio padre più perchè gli ha tolto la sposa
che
perchè gli ha svenata la madre. Il senatore Mares
opatra, di cui loderemo di buon grado varj tratti di Romana grandezza
che
vi si possono notare. Accorderemo parimente all’i
alla scena tragica di quello del Shakespear. Confesseremo nonpertanto
che
la scena dell’atto IV di Cleopatra ed Ottavio nel
entano ogni via per ingannarsi scambievolmente, ne sembra anzi comica
che
tragica. Aggiungeremo per amor del vero che il ca
te, ne sembra anzi comica che tragica. Aggiungeremo per amor del vero
che
il carattere della sua Cleopatra insidiosa, menti
mentitrice, infingevole, civetta, potrà bene rassomigliarsi a quello
che
gli dà la storia, ma non essere nè sì tragico nè
ane Ebuzio da iniziarsi ne’ misteri de’ baccanti. Vivace la dipintura
che
fa dell’empietà di essi nell’atto II Fecenia spav
89 un’ Ifigenia in Tauri, uno de’ due argomenti tragici della Grecia,
che
Aristotile antiponeva ad ogni altro. Aveano tratt
zione alle moderne scene, per nulla dire del conte Gian Rinaldo Carli
che
l’avviluppò di amori, d’inganni e di avventure ro
glimento naturale della favola senza l’intervento di una machina; nel
che
però non sembra ideato con tutta l’arte questo co
ideato con tutta l’arte questo comodo arrivo di Reso nel punto stesso
che
Oreste è per cadere sotto la sacra bipenne. Parim
sul monumento erettogli come morto; ed anche in questo si bramerebbe
che
tali onori funebri e tal dolore d’Ifigenia non si
almente fondati sul di lei sogno e prima della notizia recata da Lico
che
in Argo regna Menelao. Mal grado di ciò, e di qua
scena 5 dell’atto I, O fortunata quella cerva alpestre &c.
che
contiene un concetto non vero, noi dobbiamo since
o, noi dobbiamo sinceramente congratularci col valoroso giovane poeta
che
ha saputo dar nuovo e vivo interesse a un argomen
Oreste coll’ amico nella 3 dell’atto IV &c. A noi basti accennare
che
rendono pregevole questa tragedia grandi affetti,
etti, non si fa pompa di lirici ed epici ornamenti. La morte di un re
che
trasse verso il Tamigi tutta l’ attenzione dell’E
e’ pochissimi argomenti proprj del vero coturno. In essa non mostrasi
che
Ciro p. e. prevalga ad Astiage, o Alessandro a Da
ndro a Dario, o Tamerlano a Bajazzette, sventure di personaggi eroici
che
altro non fanno che cangiar le catene de’ regni.
rlano a Bajazzette, sventure di personaggi eroici che altro non fanno
che
cangiar le catene de’ regni. Quì si vede una trem
. Quì si vede una tremenda catastrofe della costituzione di un popolo
che
conculca le proprie leggi per alzare un tempio al
ssalli. Ei presenta in un medesimo quadro Carlo magnanimo e sensibile
che
nel gran passaggio dal soglio al patibolo trafitt
enerezza de’ figli conserva il decoro reale e muore da forte: Cromuel
che
si ravvisa alla vastità de’ suoi disegni e alla n
disegni e alla naturale spietatezza vestita di empia politica: Farfè
che
rappresenta tutto l’entusiasmo Inglese per la lib
uale gli occulta l’atrocità del mezzo di stabilirla: Federiga e Dacri
che
dipingono la virtuosa debolezza compassionevole d
al gran fatto, e spoglia di ornamenti quasi sempre inutili al tragico
che
sa le vie del cuore. Serva di saggio ciò che dice
empre inutili al tragico che sa le vie del cuore. Serva di saggio ciò
che
dice Farfè nella bella scena 5 dell’atto II in cu
oglio del Parlamento: Hai tu vaghezza Di grande tanto divenir,
che
alcuno Pareggiar non ti possa? Ardisci, o Carlo
vunque nato io fossi, Io comandar dovea. L’utile nome Di libertà,
che
sì l’Inglese apprezza, Quì mi chiama a regnar:
nella storia di ogni nazione, ed ha sinora pubblicate sette tragedie
che
si trovano raccolte nell’edizione di Venezia del
se dalle cronache Inglesi la prima intitolata Eduigi re d’Inghilterra
che
perseguitato dallo zelo di Dunstano perde la vita
essersi congiunto in matrimonio con Elgiva sua cugina. In tal favola,
che
ha un coro mobile nel I, II e IV atto, e non nel
n partito avverso. Vi si vede una Clotilde violata involontariamente,
che
ama però il suo violatore, e che continuando ad a
Clotilde violata involontariamente, che ama però il suo violatore, e
che
continuando ad amarlo pure scopre la sua vergogna
i serba l’interesse della favola. Non per tanto è patetico il congedo
che
prende Zulfa dal marito nell’esser condotta al De
zze; nè meno sconvenevole parrà la mediazione di Scilace di lei padre
che
cerca tutte le vie di persuader la figlia ad anda
amerlano, ed è piuttosto un tessuto di colpi di scena, cioè di fatti,
che
di situazioni tragiche. Nurmal e Cajeam interessa
tti, che di situazioni tragiche. Nurmal e Cajeam interessano; ma Dara
che
abbandona subito la reggia e la città al consigli
bandona subito la reggia e la città al consiglio del fallace Jemla, e
che
poi vi torna quando è occupata dal fratello, non
roso nè privo di accortezza. Il colpo di Mirza colla pistola coperta,
che
non prende fuoco, e si scopre al cader del brocca
Maometto del Voltaire; ma se ne vede la discordanza nella confidenza
che
delle proprie scelleraggini ed insidie l’uno fa a
a sua astuta sincerità coll’ indurre Zopiro a seco unirsi. Ma Oramzeb
che
poteva mai ottenere col manifestarsi il più furbo
? Di tanto non faceva mestieri con un traditore com’ è Jemla per fare
che
scoprisse Dara. Dalla storia Romana prese un argo
to dello spettatore; ma forse la provvida variazione di quella scena,
che
risparmia tanta atrocità, non toglie alla tragedi
na, che risparmia tanta atrocità, non toglie alla tragedia il terrore
che
se ne attende. Finalmente sul fondamento istorico
n pieno applauso in Bologna nel palazzo del chiar. marchese Albergati
che
vi sostenne egregiamente la parte di Uberto, ment
in Roma recitandovi il valoroso Zanarini. L’argomento è quello stesso
che
Pausania suggerì al Dottori nel secolo passato; m
llo stesso che Pausania suggerì al Dottori nel secolo passato; ma ciò
che
formò l’azione del primo Aristodemo, serve di ant
ed impressa tre volte in due anni? Basti ormai accennare in generale
che
ne formano la prestanza ed il carattere una versi
la sorella preparato almeno con raccapriccio maggiore. Ma chi direbbe
che
lo spettro dell’Aristodemo sia la stessa cosa con
poli: ma nell’Aristodemo, come nel Serse del Bettinelli, il simolacro
che
adombra i rimorsi di questi gran delinquenti, si
ira sarà prima a lui nota? porravvi a tempo impedimento? Ecco le cose
che
formano la sospensione dell’uditorio. Affermò il
no la sospensione dell’uditorio. Affermò il fattore di Colpi d’occhio
che
tal favola è piena di atrocità, nel che s’inganna
il fattore di Colpi d’occhio che tal favola è piena di atrocità, nel
che
s’inganna o mentisce, mentre eccetto il suicidio
lliculario. Ma può mancar di calore, interesse e movimento una favola
che
esprime con tanta forza il terrore tragico, come
iscopre reo, nello scioglimento sommamente patetico in cui Aristodemo
che
si è ferito a morte, riconosce in Cesira la sua A
7 del III e dell’ultima dell’atto V. Ecco la dipintura dello spettro
che
fa il re a Gonippo: Allor che tutte Dormon
V. Ecco la dipintura dello spettro che fa il re a Gonippo: Allor
che
tutte Dormon le cose, ed io sol veglio, e siedo
quì t’aspetto, grida. Odasi ancora Aristodemo spirante: Ebben,
che
vuol mia figlia? S’io la svenai, la piansi anco
siste nella morte di questo principe di Faenza seguita per la gelosia
che
ha di lui la Bentivoglio sua moglie ingannata da
tica facta, perchè uscendo dagli argomenti forestieri, nella guisa
che
i Romani abbandonarono tal volta l’orme de’ Greci
ne’ buoni tutta l’indignazione colla verità e forza delle pennellate
che
lo ritraggono. Le scene per noi singolarmente pre
i Elisa; nel III la riconciliazione di Matilde e Manfredi col congedo
che
viene a prendere Elisa; nel IV gli affetti del vi
do che viene a prendere Elisa; nel IV gli affetti del virtuoso Ubaldo
che
si allontana dalla corte; nel V la tenerezza di M
o Ubaldo che si allontana dalla corte; nel V la tenerezza di Manfredi
che
ordina che si richiami nella scena 1, le furie di
e si allontana dalla corte; nel V la tenerezza di Manfredi che ordina
che
si richiami nella scena 1, le furie di Matilde in
l’ultima tragica situazione di Manfredi trafitto a torto e di Matilde
che
ne intende l’innocenza quando egli spira. Lo stil
bellezze delle scene indicate sono molte. Eccone un saggio. Zambrino
che
sostiene nella 2 scena dell’atto I doversi aggrav
occulti o manifesti, invidi o sinceri, e di censori periodici o buoni
che
servono alla verità e alle arti, o perfidi che mi
sori periodici o buoni che servono alla verità e alle arti, o perfidi
che
militano per chi gli assolda e mordono chi ricusa
lla greca, perchè non hanno cori, non nutrici, non nunzj, non machine
che
le sciolgano, non decorazioni pompose, non il sol
hine che le sciolgano, non decorazioni pompose, non il solo fatalismo
che
ne governi le molle55. Le passioni maneggiate con
otta delle favole è accomodata al moderno teatro. Il pregio singolare
che
distingue l’Alfieri da moltissimi contemporanei e
grande di rintracciare entro il più intimo del cuore umano i pensieri
che
contribuirono a consumare i gran delitti. Nulla n
’ vietati epici e lirici da lui meritamente abborriti56, ma di quelli
che
l’uso costante de’ tragici eccellenti antichi e m
llusione manca del necessario soccorso delle proprietà indispensabili
che
accompagnano i troni; e si vede inverisimilmente
mente una reggia per natura popolata abbandonata a uno e a due attori
che
vengono a tramare una congiura quasi al cospetto
, ch’ei t’è padre e signor rammenti Mal tu così; del mal suono
che
fa quell’ a te sol resta Come a me morte;
e morte; della mancanza degli articoli più volte &c. Non saprei
che
desiderare nel rassomigliante ritratto del geloso
ella nella scena 5 del IV, ma con eccellenza, Niun pregio ha in se
che
il simular pareggi &c. La storia lo rappre
armente nella scena 5 del III fra’ suoi adulatori iniqui consiglieri,
che
ci rimembra un’ immagine di quel cupo imperadore
ene delineato da Tacito. Polinice. I caratteri di Eteocle e Polinice
che
si abborriscono, e Giocasta che palpita per ambed
ce. I caratteri di Eteocle e Polinice che si abborriscono, e Giocasta
che
palpita per ambedue, sono espressi con forza di c
sa vedersi suddito un momento, ed a costo d’ogni delitto non respira
che
indipendenza ed odio mortale. Polinice non soffre
a germana, ama e venera la madre, e nell’istesso fratello non abborre
che
l’ingiustizia e la mala fede; sente in somma la v
sola di notte s’inoltra in una reggia nemica per ottener da Antigone,
che
non conosce, il cenere del suo sposo; primo monol
cercare Antigone e di aver con lei comune la pietà ed il dolore. Ciò
che
esse dicono, non conoscendosi, è senza riflession
monologhi di Appio e di Virginio in parte narrativi, qualche intoppo
che
si presenta nella condotta della favola, l’ondegg
a, la vigorosa scena 2 dell’atto III58, e la 3 passionata di Virginio
che
incontra la figliuola e la consorte col nobile di
mai.. Padre io non son . . . se ’l fossi . . . colla fiera luce
che
ne scende in Virginio, orribil lampo Mi fa
la riposta sorgente del gran misfatto. Le insidiose maniere di Egisto
che
conduce la cieca Clitennestra all’esecrabile assa
on latenti insinuazioni, mostra nel sig. Alfieri un filosofo teatrale
che
sa le vie onde si penetra nel fondo del cuor dell
o disegno sino all’atto IV col velo della modestia e del grande amore
che
mostra di nutrir per lei. Quindi nascono quattro
este e Pilade s’inoltrano fin nella reggia indeterminati del pretesto
che
sceglieranno per presentarsi al re, e del nome on
i rimprovera il tradimento e la viltà, quasi altro disegno non avesse
che
d’irritarlo e morire invendicato. Pilade nella 2
nte, giacchè Egisto non ha manifestato minore abborrimento per Pilade
che
per Oreste. Ma i difetti dello stile mi sembrano
con tutta la forza tragica. Eccellente è la dipintura di Clitennestra
che
palpita alternativamente or pel figlio or pel mar
ar Egisto, col quale si colorisce egregiamente l’aver uccisa la madre
che
si frappone, senza vederla. Rosmunda. Sembra il
alla barbara matrigna e all’uccisore di suo padre. Il prode Ildovaldo
che
ha più volte giurata la morte di Almachilde, esse
stesso punito si rende compassionevole ed ammaestra col morir meglio
che
non visse. Merope. Tra tante pruove che dimostra
d ammaestra col morir meglio che non visse. Merope. Tra tante pruove
che
dimostrano Euripide gran tragico ed Aristotile no
o ed Aristotile non men grande osservatore, può noverarsi la bellezza
che
mai non invecchia del soggetto del Cresfonte idea
n sua destra afferro, non dovea esser la prima azione di un disarmato
che
affronti uno che gli si avventa collo stile alla
rro, non dovea esser la prima azione di un disarmato che affronti uno
che
gli si avventa collo stile alla mano? Ottima è la
scena 4 d’Egisto con Merope, e felice e naturale il candido racconto
che
a lei fa dell’ ucciso che singhiozzando domandava
pe, e felice e naturale il candido racconto che a lei fa dell’ ucciso
che
singhiozzando domandava la madre sua, alla cui im
mandava la madre sua, alla cui immagine si desta il palpito di Merope
che
si sovviene del figlio. Dipinta eziandio egregiam
re in ogni tratto, e singolarmente alla vista del cinto insanguinato,
che
migliora il segno dell’armatura da Voltaire sosti
di Polidoro con Egisto nel punto in cui è esposto al furore di Merope
che
lo crede uccisore del proprio figlio, anima l’att
io figlio, anima l’atto IV; pur la sua lunghezza potrebbe far pensare
che
Polidoro siasi a bello studio fermato per far che
otrebbe far pensare che Polidoro siasi a bello studio fermato per far
che
giungesse Merope con Polifonte senza poterla avve
gesse Merope con Polifonte senza poterla avvertire. Finalmente sembra
che
Polifonte nell’ultima scena abbia più pazienza e
fonte nell’ultima scena abbia più pazienza e meno scorgimento di quel
che
a lui starebbe bene in lasciar dir tanto a Merope
gimento di quel che a lui starebbe bene in lasciar dir tanto a Merope
che
tiene discorsi sediziosi a’ Messenj. Evitar tutti
pregi? Oh chi congiungesse lo stile del sig. Monti o di qualche altro
che
non trascuri di colorire, a’ talenti veramente tr
e nel suo recinto di simili merci oltramontane, fossero pur di quelle
che
la sana criti ca ed un gusto fine riprovano perch
e Volsan, la Pastorella delle Alpi &c. Si è puerilmente affermato
che
la decadenza del credito di tali favole sia deriv
adenza del credito di tali favole sia derivata dall’essersi divulgato
che
i loro argomenti venivano delle novelle francesi.
le francesi. Ciò ben avrebbe potuto involare all’autore quella gloria
che
proviene dall’invenzione; ma potrebbe togliere a
ino, di Platina &c., ed occupavano i primi onori del coturno. Ciò
che
suol nuocere a’ moderni scrittori di drammi lugub
la Vanità dell’umana fermezza. Osservo nel Don Alonso molti requisiti
che
possono giustificare una tragedia cittadina; intr
se, terrore tragico giudiziosamente procurato meno con colpi di scena
che
con quadri e situazioni patetiche. Se ne dee pur
n ottimo oggetto morale, cioè di distruggere un colpevole pregiudizio
che
si occulta spesso sotto l’aspetto del dovere. Tro
. L’autore benchè in prosa si vale di uno stile immaginoso e poetico,
che
però non di rado riesce troppo studiato. Forse an
le scene 3, 4 e 5 sembreranno condotte oltre il verisimile. Un figlio
che
per una capricciosa debolezza di non abbandonare
a dell’amata sacrifica la vita di un padre e la propria: questo padre
che
per non dissimile capriccio di non dipartirsi dal
ato: questi personaggi, dico, mettendo di più in mortal pericolo, non
che
il virtuoso Sancio, la stessa benefattrice ed ama
ciano nell’animo certa idea d’inverisimiglianza ed un rincrescimento,
che
si oppone all’effetto della compassione che si vu
nza ed un rincrescimento, che si oppone all’effetto della compassione
che
si vuole eccitare. Ma nel Gernand raffiguro una c
Gernand raffiguro una commedia lagrimante piena di colpi scenici più
che
di situazioni, atroce per disegni scellerati che
di colpi scenici più che di situazioni, atroce per disegni scellerati
che
disonorano l’umanità, frammischiata di bassezze c
ischiata di bassezze comiche de’ servi Merville e Ricauld. Aggiungasi
che
il dimostrare la forza del destino che strascina
Merville e Ricauld. Aggiungasi che il dimostrare la forza del destino
che
strascina ad atrocità, non è l’oggetto più istrut
ò in natura, si dirà colle parole del Voltaire; ma noi siamo persuasi
che
l’arte dee scegliere fra gli eventi naturali quel
iamo persuasi che l’arte dee scegliere fra gli eventi naturali quelli
che
non distruggono un disegno dell’artista con un al
inora potuto ammirare il terzo dramma intitolato Nancy; ma per l’idea
che
può ricavarsene da’ fogli periodici, esser dee un
cavarsene da’ fogli periodici, esser dee una vera tragedia cittadina,
che
non degenera punto in commedia lagrimante. 35.
Caracci è stato saccheggiato più volte da’ volgari tragici posteriori
che
in ricompensa hanno voluto censurarlo senza compr
isse contro il primo il famoso Femia sentenziato componimento scenico
che
porta la data di Cagliari del 1724 ed il nome di
Bettinelli confessò parer talora un pò uniforme quella stessa nobiltà
che
l’anima elevata del Granelli prestava a’ suoi per
ui componimenti e quelli del Granelli, contentandosi di accennar solo
che
le circostanze legavano loro le mani per non ispa
circostanze legavano loro le mani per non ispargervi tutti que’ fiori
che
il fecondo lor genio avrebbe saputo far nascere,
ò (potrebbe forse chiedere un giovane desideroso d’apprendere l’arte)
che
ho io imparato? che fuggirò, che seguirò dunque?
iedere un giovane desideroso d’apprendere l’arte) che ho io imparato?
che
fuggirò, che seguirò dunque? quali fiori sparse i
vane desideroso d’apprendere l’arte) che ho io imparato? che fuggirò,
che
seguirò dunque? quali fiori sparse il lor genio f
nque io mi sia, a formar de’ teatri una storia generale ma ragionata,
che
desse a un argomento sì trito l’utile novità degl
mestiere. 46. L’autore nel Discorso del Teatro Italiano ci fa sapere
che
il Demetrio si rappresentò anche in Venezia nel 1
a parlando l’ab. Arnaud nella Gazzetta Letteraria dell’Europa osserva
che
talvolta indebolisce alcune espressioni dell’orig
ra, ma scritta in prosa armonica seguendo il progetto del fu Diderot,
che
però dovea rigettarsi da un eccellente verseggiat
rseggiatore qual si è mostrato il Ceruti. A qualche osservatore parrà
che
il solo titolo manifesti di non esserne una l’azi
atore parrà che il solo titolo manifesti di non esserne una l’azione:
che
gli eventi si enuncino con certa uniformità che p
esserne una l’azione: che gli eventi si enuncino con certa uniformità
che
può ristuccare: e che nella morte di Astianatte i
che gli eventi si enuncino con certa uniformità che può ristuccare: e
che
nella morte di Astianatte il dolor di Andromaca p
rincipale. La riposata critica potrà aver ragione senza impedire però
che
le anime sensibili perturbate nelle situazioni do
a decorati con pompa e combinati a forza. Tutto è per me teatrale ciò
che
sa interessar chi ascolta, ed è allora quest’effe
e senza molte ipotesi. Dico ciò per certi nuovi autorelli subalterni
che
ripetono le altrui voci senza afferrarne le idee.
io del consesso accademico Parmense, e dava ad intendere al pubblico,
che
il Duca l’avea abrogato. Capisce che vuol dire ab
e dava ad intendere al pubblico, che il Duca l’avea abrogato. Capisce
che
vuol dire abrogare? Ne ha egli forse veduto ii de
ce che vuol dire abrogare? Ne ha egli forse veduto ii decreto? Vero è
che
da alcuni anni tace quella Deputazione Accademica
eputazione Accademica; ma se n’è manifestata la cagione? Certo è però
che
dopo l’ultima favola coronata nel concorso del 17
arono a riceversi i componimenti trasmessi al concorso. Certo è pure,
che
il Real Protettore ha concesso all’Aristodemo gli
’l premio delle favole coronate. Or come osa dire il citato impostore
che
è mancato all’Italia questo debole allettamento?
Questa tragedia ha avuti di gran lodatori, e di censori non pochi. Ma
che
diremo a chi si accingesse a ripeterne senza biso
colmi di ritagli altrui mal collocati? Diremo col medesimo sig. Monti
che
è stata una provvidenza che l’ Aristodemo avesse
collocati? Diremo col medesimo sig. Monti che è stata una provvidenza
che
l’ Aristodemo avesse le sue secrezioni perchè non
mo avesse le sue secrezioni perchè non morissero tanti vermi. 54. Ma
che
ne disse il Gazzettiere Enciclopedico traspiantat
de’ Colpi d’occhio? Che il Monti con quel testo avea voluto enunciare
che
la sua tragedia era urbana, cioè che trattava di
quel testo avea voluto enunciare che la sua tragedia era urbana, cioè
che
trattava di principi ma non di prima classe. Il b
itarono i Greci nell’adottarne le favole? L’ebbe il chiar. Bettinelli
che
nel Discorso del Teatro Italiano si pregiava di s
egli ne indovini una? Com’ è mai fatta la retina di cotal cianciatore
che
tutto gli dipinge a rovescio? 57. Oltre agli sto
i trova impressa in francese fralle opere dell’ab. di San-Reale senza
che
si accenni di essere una pretta letterale traduzi
A questa scena maestrevole oppone con fondamento il sig. conte Pepoli
che
Egisto svela incautamente la sua intenzione prese
una caduta, una dimenticanza del poeta. Sembra però, s’io m’appongo,
che
avendo essi detto, Crudo rimedio . . . e sol ri
al punto di più non inorridire all’ idea di cercare una mano un ferro
che
trucidi il marito, sarebbe fuor di tempo l’uso di
cidi il marito, sarebbe fuor di tempo l’uso di quel primo colore. Ciò
che
segue ben dimostra di essersi fra lor perfettamen
i tragedie moderne. Non avendole vedute nulla diciamo nè del Cerauno,
che
secondo il conte Pepoli imita un po troppo la cel
archese Albergati: il Don Carlo del sig. Principe di Caposele: quelle
che
ci fa desiderare la nota erudizione e sensibilità
udizione e sensibilità del chiar. ab. Bordoni Veneziano: il Corradino
che
, dopo quello del Caracci, sappiamo di essere stat
ecitata. Non ci affrettiamo a parlare di queste tre tragedie, sapendo
che
l’autore nel tempo della pubblicazione del Gerbin
one del Gerbino pensò ad accumulare alcune sue riflessioni sul teatro
che
sono state accresciute con susseguenti cartucce,
gedie, coll’ ammettere com’ egli fa le favole cittadine e lagrimanti,
che
ne son piene a ricolmo, o, per meglio dire, che n
ttadine e lagrimanti, che ne son piene a ricolmo, o, per meglio dire,
che
non possono esserne senza?
Cavicchi Giovanni. Ferrarese, nacque il 1765 da onesta famiglia
che
l’avviò agli studi legali. Ma ottenuta la laurea,
io della maschera di Brighella nella quale riuscì mirabilmente, tanto
che
fu dal Fiorilli riconfermato per cinque anni come
no, Bologna, Livorno, Padova, trascinando il pubblico all’entusiasmo,
che
nella primavera del’55 al Valle di Roma diventò e
i fascini d’una figura oltre ogni dire simpatica, della quale pareva
che
tratto tratto si sprigionassero gli aneliti d’un’
erenza un’interpretazione efficacissima ognuna di quelle forme d’arte
che
erano in maggior voga vent’anni fa. Artista roman
rticolare di verità viva e potente, quasi cruda. In questi contrasti,
che
parevano cercati nella poetica di Victor Hugo, er
occhi parea rivivere quella sensiblerie delicata e un tantino leziosa
che
era la forma obbligata dell’epoca e che il Taine
delicata e un tantino leziosa che era la forma obbligata dell’epoca e
che
il Taine ci ha così stupendamente risuscitata nel
sua storia del Vecchio regime. Ciò doveva accadere naturalmente senza
che
la Cazzola si studiasse a farlo o s’accorgesse di
uella sensiblerie e la passione romantica esistevano affinità segrete
che
in quel tempo un’artista vera doveva indovinare e
i pura acqua, alla quale sovrabbondava il fuoco, produttore dei raggi
che
abbarbagliano. L’intuizione psichica di questa at
abbarbagliano. L’intuizione psichica di questa attrice era unica più
che
rara. L’inspirazione mai l’abbandonava. La squisi
eva tal grado di perfezione, da farvi credere ad un prodigio. L’arte,
che
pur sempre si appalesa nel riprodurre la natura,
ammatica. Non era bella, ma la mobilità della sua fisonomia era tale,
che
appariva quello che ella voleva ; il suo sguardo
lla, ma la mobilità della sua fisonomia era tale, che appariva quello
che
ella voleva ; il suo sguardo or scintillante, or
e a sua voglia o capriccio : di una mobilità eccezionale : più natura
che
arte : troppo contenuto in uno sdrucito recipient
sì : e dico con orgoglio a Clementina, e con rammarico per le altre —
che
ella fu grande, perchè fu vera, vera nel vero pat
e non in un forzato e ricercato verismo con combinazioni di nervosità
che
fanno della verità una menzogna, dell’arte un giu
le tante poesie scritte per lei scelgo il bel sonetto di Paolo Costa
che
le fu indirizzato nell’estate del 1858, a Faenza.
Paolo Costa che le fu indirizzato nell’estate del 1858, a Faenza. Di
che
loco beato, e di che stella scese costei, che agg
indirizzato nell’estate del 1858, a Faenza. Di che loco beato, e di
che
stella scese costei, che aggiorna l’età nostra ?
del 1858, a Faenza. Di che loco beato, e di che stella scese costei,
che
aggiorna l’età nostra ? E chi gli atti Le diede e
spirto d’amore e di pietate, ch’empie ogni petto di dolcezze nove, sì
che
fa dire altrui : Quei che comparte il ben quaggiù
e, ch’empie ogni petto di dolcezze nove, sì che fa dire altrui : Quei
che
comparte il ben quaggiù, La diede a questa etate
uolo, ma molto più caro per haver ritrovato al mio ritorno di Ferrara
che
l’hanno rassegnato sotto il patrocinio di V. A. S
re, et spero di servir nel ventre della Ser.ma Consorte la sua prole,
che
N. S. voglia, che sia in breve come lo spero. Int
rvir nel ventre della Ser.ma Consorte la sua prole, che N. S. voglia,
che
sia in breve come lo spero. Intanto l’aviso dell’
dove daremo principio in uno di questi Theatri marti V di aprile, con
che
in sieme con mia moglie divottam.te mell’inchino
a Chezzini, in compagnia del Canovaro e di quell’Austoni (Battistino)
che
diventò poi amministratore nella Compagnia da lui
Gia battista londerchi meritissimo secretario di S. A. S. di Ferrara,
che
traggo dall’Archivio di Stato di Modena. Ill.mo m
mia partita Come erra mio debito, ma fu la subita et jnnaspetata noua
che
mi uene di douer ritrouarmi al seruicio del ser.m
si per la morte del Cognato partito per Roma lo Ill.mo mont’Alto ; sò
che
oso troppo, e troppo ardisco à scriuere à lei che
l.mo mont’Alto ; sò che oso troppo, e troppo ardisco à scriuere à lei
che
se impiega in altri negocij che in leggere cosse
po, e troppo ardisco à scriuere à lei che se impiega in altri negocij
che
in leggere cosse che uenghino da sogeto cossi bas
à scriuere à lei che se impiega in altri negocij che in leggere cosse
che
uenghino da sogeto cossi basso come è il mio, pur
mio, pur mi affida la Gracia sua è la vecchia seruitù ch’io le tengo,
che
se non le agradirà, non le spiacerà almeno di hau
uitore, è pregherò sempre per lei è per la sua felliccissima famiglia
che
jddio la prosperi e conserui, frà tanto facendole
rlecchino Martinelli, pel matrimonio di Enrico IV con Maria De Medici
che
si celebrò il 17 dicembre ; poi a Parigi. E tanto
li, famoso rivoluzionario nelle compagnie comiche, l’animo inasprito,
che
associatosi alla rivolta la Diana (la Ponti ?) lo
e associatosi alla rivolta la Diana (la Ponti ?) lo accusò nientemeno
che
di volerlo assassinare. Nell’ottobre del ’601 la
, e nonostante le guerricciuole interne, tanto il Cecchini vi piacque
che
fu invitato, ma indarno, dalla Contessa Maria di
Il successo della compagnia fu completo ; e Don Giovanni de’ Medici,
che
allora era alla Corte della nipote e tanto amore
o amore mostrava alle commedie, scrisse l’ 8 marzo al Duca di Mantova
che
la principal causa di quel successo era da attrib
ibuirsi alla valentìa e alla saviezza di Pier Maria detto Fritellino,
che
con gran perspicacia manteneva l’unione e l’accor
uello (1613 e 1614) passato a Vienna alla Corte dell’Imperator Mattia
che
volle dargli patente di nobiltà. Anche nel 1619 s
operò, brigò, combattè strenuamente per la formazione della Compagnia
che
doveva andare a Parigi ; si diè d’attorno per esp
Arlecchino Martinelli, il quale aveva da vendicarsi di tutte le noie,
che
nel suo primo viaggio in Francia gli aveva procur
il grande emulo di Gabbrielli. Povero Frittellino !!! Che smacco ! E
che
accasciamento !… E come se ne doleva col Duca nel
o ! E che accasciamento !… E come se ne doleva col Duca nella lettera
che
qui diamo riprodotta autograficamente. [http://o
si dovesse cercar la causa nel carattere bestiale della moglie Orsola
che
, gelosa di Florinda, gelosa della Rotari, gelosa
ienza, poichè se volle compagni bisogna vadi per forza de prencipi, o
che
li pagi ; lasso il voler tirare più parte degli a
nteresse, il Cecchini subisse codesto diavolo in sottana : ma è certo
che
nell’una cosa o nell’altra si dee ricercar la cau
litto a tutela dell’onore ci appare il più probabile) c’ è davvero di
che
compiangere un povero marito ! Qual peccato che s
bile) c’ è davvero di che compiangere un povero marito ! Qual peccato
che
sia stata sin qui senza frutto la ricerca delle c
e cento ottave e dei quaranta sonetti del cav. Marino !… Il delitto,
che
vediam confermato nell’oroscopo tolto come gli al
raccomandato alla protettione dell’ Illustrissima Sua Casa nel tempo,
che
riscaldandomi gli ardori della gioventù, mi rende
cato dell’ honorate cagioni. Ma la Cecchini, da quella donna navigata
che
era, traeva poi argomento da tutto per mostrarsi
ttive, prese le difese del cognato, minacciando di morte tutti coloro
che
aveangli fatto dispiacere. Di Pier Maria Cecchini
nicamente abbiamo, come più volte ho detto, l’idea ben chiara di quel
che
potesse essere il comico a quei tempi e il suo mo
pei costumi. Commentando, per esempio, il passo di S. Gio. Grisostomo
che
condanna gli attori come rovina dell’altrui patri
ttori come rovina dell’altrui patrimonio, conchiude : Diremo adunque
che
quel glorioso Scrittore non hebbe altra intention
Diremo adunque che quel glorioso Scrittore non hebbe altra intentione
che
di far sapere, che quelle genti erano instrumenti
quel glorioso Scrittore non hebbe altra intentione che di far sapere,
che
quelle genti erano instrumenti per far distrugger
lle genti erano instrumenti per far distruggere i patrimonij a quelli
che
avviticchiavano la mente in le lor tresche ; onde
he avviticchiavano la mente in le lor tresche ; onde posiamo credere,
che
si come egli sempre santamente scrisse il vero, c
posiamo credere, che si come egli sempre santamente scrisse il vero,
che
così hoggi, vivendo, darebbe nome a i nostri comi
tta di veder comedia, con il qual prezzo si compra ancora quel tempo,
che
da molti potrebbe esser speso in quei trattenimen
quel tempo, che da molti potrebbe esser speso in quei trattenimenti,
che
somministrano viva cagione di spender non solo il
ale, acciò lasciaste di venire in questa città, poichè siate cagione,
che
i ridotti si chiudono, e che con essi la mia bott
e in questa città, poichè siate cagione, che i ridotti si chiudono, e
che
con essi la mia bottega fallischi. » Le Lettere
ii) gli procacciaron da molti poeti una bellissima corona di sonetti,
che
poi non fece imprimere, egli dice modestamente, e
he poi non fece imprimere, egli dice modestamente, essendosi accorto,
che
per abbassare il suo povero stile non ci voleva a
si accorto, che per abbassare il suo povero stile non ci voleva altro
che
l’altezza de’ loro concetti (Lett. III). Di molte
. III). Di molte sentenze son esse ricche, in cui è la prova evidente
che
il Cecchini era un profondo e fine osservatore. A
rive crudissime verità ; dice (Lett. XII) : Credete ch’io non sappia
che
ricevete dispiacere da questa mia ? Io lo so ; ma
questo parlo con soverchia libertà. Dormite prima di rispondermi, il
che
doveva far anch’ io prima di scrivervi. State san
a i giorni della vostra vita que’ della mia, userei di quelle parole,
che
sogliono usar i corteggiani desiderosi di farne b
o non voglio, se non corrispondenza a non voler nulla da me, vi dico,
che
non più di me, nè quanto me v’ amo : ma sì ben ta
e, vi dico, che non più di me, nè quanto me v’ amo : ma sì ben tanto,
che
niuno dopo me amo più di voi. A chi sparlava del
tà avuta dall’ Imperator Mattia, risponde (Lett. VI) : Le meraviglie
che
mi scrivete, che s’ han fatto molti nell’arrivo d
perator Mattia, risponde (Lett. VI) : Le meraviglie che mi scrivete,
che
s’ han fatto molti nell’arrivo della nuova, che S
glie che mi scrivete, che s’ han fatto molti nell’arrivo della nuova,
che
Sua Maestà Cesarea m’ ha privilegiato di Nobiltà,
on sono così grandi, come son quelle, ch’ io mi fo, quando veggo uno,
che
per antichità sia nobile, e per natura dissoluto
gli col giuditio, confermando col discorso, e approvando con le opere
che
molti villani sono più civili di lui. Sappiano qu
on le opere che molti villani sono più civili di lui. Sappiano quelli
che
si son maravigliati, e credano tutti, ch’è assai
io l’ esser giudicato meritevole d’ esser gentiluomo, e perciò fatto,
che
di già essendo, si dica non esserne degno. In me
erne degno. In me comincia et in te finisce, mi ricordo d’haver letto
che
disse un filosofo ad un pretensore di nobiltà vit
filosofo ad un pretensore di nobiltà vitioso. E per codesta nobiltà
che
con decreto di Vienna del 12 novembre 1614, firma
e a patire cagionate dalla invidia e sopr’ a tutto dalla incredulità,
che
risolse di pubblicar per intero il Decreto stesso
hi, 1628) abbiam già riportato i varj capitoli al nome dei personaggi
che
li concernono (V. Andreini Francesco, Andreini Gi
Secondo Servo : è cosa molto necessaria et molto dovuta nella comedia
che
dopo la parte di un servo astuto et ingegnoso il
ale spiritosamente attendi senza buffonerie al maneggio della favola,
che
ne succedi un altro totalmente dissimile, ecc. ec
e, e per dirvi tutto in una parola : eccovi Frittellino. » E a Cintio
che
gli consiglia di divenir quello che non fu mai, c
eccovi Frittellino. » E a Cintio che gli consiglia di divenir quello
che
non fu mai, cioè huomo da bene, Frittellino rispo
llino risponde : io ho una cosa molto difficile : il far un esercizio
che
non si abbia mai imparato. Abbiam dunque nella so
non si abbia mai imparato. Abbiam dunque nella sostanza un Brighella
che
ha semplicemente mutato di nome. Ma un’opera anco
uente sonetto : Mira tall’ hor il pastorello errante Del Biondo Dio,
che
’l sacro Delfo adora Superbo il tempio, e riveren
olta in latino de’Sette preclarissimi Dottori, fatta da S. Tommaso, e
che
è già a stampa innanzi ai Discorsi citati, e di S
dell’età presente. Di codesti capitoli verrò trascrivendo quelle cose
che
più mi pajon degne di nota. (Dal Cap. I) : Prima
ndo quelle cose che più mi pajon degne di nota. (Dal Cap. I) : Prima
che
si lasciasse comparire alcuno in su le pubbliche
e quel ch’egli sa, perchè vuol recitare, e se è instruito dell’ordine
che
si tiene, che in questo modo molti che vengono a
sa, perchè vuol recitare, e se è instruito dell’ordine che si tiene,
che
in questo modo molti che vengono a far comedie pe
, e se è instruito dell’ordine che si tiene, che in questo modo molti
che
vengono a far comedie per non lavorare, tornerebb
ie per non lavorare, tornerebbero a’ lavor senza far comedie, e certo
che
questo sarebbe cagione di molti beni. Il primo e
le leggi del recitare, nè s’inciamperebbe per balordaggine in parole,
che
punto si allargassero da gli honorati e lodevoli
fini del honestade, nè ci sarebbe tanta copia di sviati e Ciarlatani,
che
così spietatamente lacerassono questa povera come
e lacerassono questa povera comedia, la qual mi par tuttavia di udire
che
pianga e si lamenti per esser non solo per le boc
pubbliche piazze strascinata. Un altro bene seguirebbe doppo questi,
che
ristretto il numero de’recitanti, quel poco sareb
il numero de’recitanti, quel poco sarebbe così virtuoso, et esemplare
che
non si vedrebbe altro che soggetti nuovi e corret
el poco sarebbe così virtuoso, et esemplare che non si vedrebbe altro
che
soggetti nuovi e corretti, e colui che gli mettes
lare che non si vedrebbe altro che soggetti nuovi e corretti, e colui
che
gli mettesse fuori, sarebbe scarico di quel peso
arico di quel peso di leggere a un solo mille volte un solo soggetto,
che
in quello stesso fa poi anco mille errori, et si
fa poi anco mille errori, et si leverebbe quella spezie di gente, di
che
fa menzione l’eccellentissimo Garzoni nella sua P
ione l’eccellentissimo Garzoni nella sua Piazza Universale del Mondo,
che
si vede per le cittadi vestiti alla divisa con pe
Mondo, che si vede per le cittadi vestiti alla divisa con pennacchi,
che
prima che fossero suoi, furono di mille altri, co
e si vede per le cittadi vestiti alla divisa con pennacchi, che prima
che
fossero suoi, furono di mille altri, con cappe ba
che fossero suoi, furono di mille altri, con cappe bandate di veluto
che
inanzi che sia diventata banda era calzone affati
o suoi, furono di mille altri, con cappe bandate di veluto che inanzi
che
sia diventata banda era calzone affaticato prima
cittade e poscia in villa. O povera Comedia….. (Dal Cap. II) : Voi
che
fate professione di parlare in pubblico, raccorda
r pronto l’occhio, la mano, il piede, anzi tutta la persona, non meno
che
habbiate la lingua, poichè il concetto, senza il
etto, senza il gesto, è appunto un corpo senza lo spirito, havertendo
che
non si vuol gesticolare in quel modo che molti so
senza lo spirito, havertendo che non si vuol gesticolare in quel modo
che
molti sogliono fare, e ch’io molte volte ho vedut
in quel modo che molti sogliono fare, e ch’io molte volte ho veduti,
che
se girano gli occhi pajono spiritati, se muovono
ati, se muovono il piede sembrano ballerini, se le braccia barbagiani
che
volano, e se voltano il capo, scolari di Zan dell
muovere a tempo, con modo, con ordine e con misura, havertendo ancora
che
non è poco vitio adoprar sempre un sol braccio, o
e non è poco vitio adoprar sempre un sol braccio, o una sola mano, ma
che
si dee hor l’ una, hor l’altra et hora tutte due
hor l’altra et hora tutte due muovere, come più comporta il discorso
che
si recita. Lo stare avviluppato nel ferrajolo a c
l Cap. VII) : Prima guardarsi di parlar con il popolo, raccordandosi
che
non vi si prossume persona in quel luoco, se non
n altro personaggio si taccia subito, non impedendo il luoco a quello
che
cominciar dee a parlare e troncar qual si voglia
re e troncar qual si voglia bel discorso per non lasciar mutto colui,
che
di novo è giunto, havertendo però chi dee uscire
he di novo è giunto, havertendo però chi dee uscire di star sin tanto
che
conoschi esser giunto al fine del suo raggionamen
suo raggionamento quello ch’ è in scena, e poi uscito, dir si puocho,
che
quello che dianzi parlava non resti come una stat
amento quello ch’ è in scena, e poi uscito, dir si puocho, che quello
che
dianzi parlava non resti come una statua, se però
te, raccordandosi insieme ch’il dir breve e compendioso è quello solo
che
piace, et ch’ osservar si dee, non repplicando le
a, e secondo la necessità apporta la replica rassumer il discorso, si
che
solo si tocchi quello che già save il popolo. Rac
apporta la replica rassumer il discorso, si che solo si tocchi quello
che
già save il popolo. Raccordandosi l’autor della C
hi quello che già save il popolo. Raccordandosi l’autor della Comedia
che
il mettere in obbligo di ridir più volte una cosa
r della Comedia che il mettere in obbligo di ridir più volte una cosa
che
di già per parola e per effetto s’è veduta ed udi
nausea a chi ascolta, così anco fa bruttissimo vedere il personaggio
che
recita star attaccato alla scena, o venir troppo
o del Cecchini, scrive Domenico Bruni nelle sue Fatiche comiche : Ma
che
dirassi di Pietro Maria Cecchini che nel tempo ch
nelle sue Fatiche comiche : Ma che dirassi di Pietro Maria Cecchini
che
nel tempo che recitava inanti la Sacratissima Mae
iche comiche : Ma che dirassi di Pietro Maria Cecchini che nel tempo
che
recitava inanti la Sacratissima Maestà dell’Imper
perchè quello et altri comici moderni, non sono del numero di coloro
che
poco intendendosi di comedie pervertiscono l’arte
o l’arte, rendendosi indegni d’ esser posti nel numero de’ buoni, tal
che
, è necessario lo studio, e studio assiduo. Oltre
che, è necessario lo studio, e studio assiduo. Oltre di ciò, bisogna
che
la natura con un privilegio particolare assista i
; se no la fatica sarà gettata come a miei giorni è avvenuto e molti
che
professi nelle scienze ma dalla necessità astrett
cessità astretti per liberarsi dal Pedantesmo, vollero farsi comici ;
che
alla prima scena accortosi poco valere il sapere,
nome e il ritratto di esso Granduca, e per una pomposissima veste di
che
la Serenissima Arciduchessa si è compiacciuta di
tempo e in ogni luogo da ogni Signore : la qual cosa sta a provare in
che
gran conto fosse tenuto l’artista. Il ciarlatanis
valore, se ci facciamo a pensare a quel suo disprezzo per tutti quei
che
lo circondavano, e che, naturalmente, indignati p
a pensare a quel suo disprezzo per tutti quei che lo circondavano, e
che
, naturalmente, indignati per la tirannia gli face
erra apertamente e copertamente. « Mi abbandonate ? — egli diceva — E
che
m’importa ! Non ci sono io ? Io basto a tutto. »
o, ammirato, onorato da Re, da Principi, da popolo, è segno manifesto
che
i pregi dell’artista soverchiavan d’assai i difet
CAPO VII. Pastorali. Le favole pastorali
che
dopo il Cefalo del Correggio e l’Orfeo del Polizi
fra gli antichi. Imitinsi questi venerabili maestri nella grande arte
che
ebbero di ritrarre quasi sempre al vivo la natura
e sagacità ne’ generi da essi maneggiati, ma non si escluda tutto ciò
che
dopo di essi può l’umano ingegno inventare con la
rre una specie di pastorale, I Due Pellegrini a, componimento scenico
che
nella famosa cena data da don Garcia de Toledo a
asi pastoralis ecloga, avendo in effetto non poco dell’ecloga, se non
che
se ne allontana per contenere un’ azione compita
l’ecloga, se non che se ne allontana per contenere un’ azione compita
che
ha un nodo ed uno scioglimento di lieto fine. Anc
essendosi impressa nel 1526; ma l’azione si scioglie colla Luminaria
che
n’è una continuazione o seconda parte che unita a
si scioglie colla Luminaria che n’è una continuazione o seconda parte
che
unita alla Cecaria s’impresse nel 1535 in Venezia
ve sino al 1594 se ne ripeterono altre quattro edizioni. La pastorale
che
in un certo modo si scosta meno dal Ciclope di Eu
o si scosta meno dal Ciclope di Euripide, è l’Egle del Giraldi Cintio
che
egli intitolò Satira. S’impresse in Ferrara nel 1
. Fece la spesa l’Università degli scolari di legge. Domandiamo ora
che
musica fu quella che si fece a questa pastorale e
versità degli scolari di legge. Domandiamo ora che musica fu quella
che
si fece a questa pastorale ed alle altre che la s
ora che musica fu quella che si fece a questa pastorale ed alle altre
che
la seguirono? perchè quasi di tutte si trova scri
on vide ai componimenti scenici altra musica congiunta eccetto quella
che
animava i cori. Delle tragedie si dice espressame
cetto quella che animava i cori. Delle tragedie si dice espressamente
che
aveano i cori cantati. Nelle opere di Antonio Con
te che aveano i cori cantati. Nelle opere di Antonio Conti si afferma
che
furono cantati a Roma e a Vicenza i cori della S
rma che furono cantati a Roma e a Vicenza i cori della Sofonisba e
che
tuttavia resta la musica de’ cori della Canace
piacevol parlare ed armonia adempì l’uffizio suo . Delle commedie non
che
in versi, in prosa, si è osservato nel tomo prece
mmedie non che in versi, in prosa, si è osservato nel tomo precedente
che
la musica ne rallegrava gl’intervalli degli atti.
, el Musico por amor commedia spagnuola è tutta recitata, fuorchè ciò
che
cantasi da colui che si finge musico. Oltrechè in
commedia spagnuola è tutta recitata, fuorchè ciò che cantasi da colui
che
si finge musico. Oltrechè in molte migliaja di co
ttualmente col solo canto naturale della favella. Ora nelle pastorali
che
s’inventarono in quel tempo non si vollero gl’Ita
pose fece la musica, ciò benissimo conviene al nominato lavoro, senza
che
le abbiano interamente coperte di note, il che no
nominato lavoro, senza che le abbiano interamente coperte di note, il
che
non si rileva da monumento veruno; e così le past
na falsa e ridicola lode? Le pastorali dunque altra musica non ebbero
che
quella delle tragedie, cioè de’ cori; e noi andan
vazione all’evidenza. Intanto osserviamo sull’Egle stessa del Giraldi
che
messer Sebastiano da Montefalco che ne fu il prin
iamo sull’Egle stessa del Giraldi che messer Sebastiano da Montefalco
che
ne fu il principale attore, era l’istesso che rec
ebastiano da Montefalco che ne fu il principale attore, era l’istesso
che
recitò nella tragedia dell’ Orbecche, ed il Giral
20 di dicembre 1580. Monsignor Fontanini nel suo Aminta difeso crede
che
la prima edizione fosse quella del 1583 di Aldo,
nta difeso crede che la prima edizione fosse quella del 1583 di Aldo,
che
fu la quarta a. Tralle più nitide edizioni dell’A
azioni di Egidio Menagio a. La difesa dell’Aminta fatta dal Fontanini
che
s’impresse nel 1700, fu composta per rispondere a
n Sicilia colle note musicali del gesuita Erasmo Marotta da Randazza,
che
morì nel 1641 in Palermo. La futilità delle crit
lermo. La futilità delle critiche si manifestò non meno colle difese
che
coll’applauso generale che riscosse sì vago compo
ritiche si manifestò non meno colle difese che coll’applauso generale
che
riscosse sì vago componimento, e colla moltitudin
e riscosse sì vago componimento, e colla moltitudine delle traduzioni
che
se ne fecero oltramonti. In Francia si tradusse i
rsioni francesi riuscirono poco felici, sia per debolezza delle penne
che
l’intrapresero, sia perchè la prosa francese che
ebolezza delle penne che l’intrapresero, sia perchè la prosa francese
che
da i più si adoperò, è incapace di rendere compet
composti dall’aurore. Di questi medesimi tramezzi crede il Fontanini
che
si servissero quelli che rappresentarono l’Aminta
questi medesimi tramezzi crede il Fontanini che si servissero quelli
che
rappresentarono l’Aminta in Firenze per ordine de
do Buontalenti; la qual cosa riuscì con tal magnificenza ed applauso,
che
spinse il medesimo Torquato a recarsi di secreto
lutato e haciato in fronte, se ne partì subito involandosi agli onori
che
gli preparava quel principe a. Nè a’ dotti nè all
onori che gli preparava quel principe a. Nè a’ dotti nè alle persone
che
leggono per divertimento può esser ignoto l’argom
può esser ignoto l’argomento semplice di questa elegantissima favola
che
con una condotta regolare rappresenta una ninfa s
zo della pietà. Vana cura sarebbe ancora metterne in vista più questa
che
quella bellezza, men bello di ciò che si sceglie
ra metterne in vista più questa che quella bellezza, men bello di ciò
che
si sceglie non sembrando quello che si tralascia.
quella bellezza, men bello di ciò che si sceglie non sembrando quello
che
si tralascia. Mirabili sono fin anco i trascorsi
i come effetto della potenza dí amore. Ma quel sospirar delle piante,
che
potrebbe parer soverchio, con qual graziosa ironi
lla età dell’oro, per eleganza e per armonia maraviglioso meriterebbe
che
si trascrivesse interamente; ma chi l’ignora? Le
ma chi l’ignora? Le bellezze dello stile nelle particolarità narrate,
che
i Francesi chiamano beautez de detail, sono tante
amano beautez de detail, sono tante nella seconda scena dell’atto II,
che
pur dovrebbe questa tutta ripetersì. È bellissimo
’amore. La sua disperazione per la fuga dell’ingrata ninfa, il dolore
che
gli cagiona la novella di Nerina e la vista del v
olo di Aminta, ella non mostra gl’interni movimenti se non col pianto
che
le soprabbonda, e il poeta fa che Dafne gli vada
interni movimenti se non col pianto che le soprabbonda, e il poeta fa
che
Dafne gli vada disviluppando: Tu sei pietosa, tu
do: Tu sei pietosa, tu! tu senti al core Spirto alcun di pietade? Oh
che
vegg’io? Tu piangi, tu, superba? meraviglia! Che
saggera è dell’amore, Come il lampo del tuono… Questo è pianto d’amor
che
troppo abbonda. Tu taci? Ami tu, Silvia? Ami, ma
ompagnarlo. Le querele di lei sono con tal vaghezza e verità espresse
che
non possono mancare di commuovere l’anime sensibi
o mancare di commuovere l’anime sensibili. Eccellente è l’unica scena
che
forma l’atto V, ove sì leggiadramente si narra la
e viso a viso e bocca a bocca, ella l’inaffia del suo pianto. Un oimè
che
esce dalla becca di Aminta assicura Silvia della
di Aminta assicura Silvia della vita di lui: uno sguardo volto a lei
che
gli bagna il volto di lagrime, fa certo Aminta de
retto; Chi è servo d’amor, per se lo stimi. Ma non si può stimar, non
che
ridire. Per quanto si abbia di amore e di rispet
o si abbia di amore e di rispetto per gli antichi, convien confessare
che
essi, tuttochè vadano fastosi per un Sofocle ed u
ben per tempo e più volte s’impresse e sì tradusse in Francia, prima
che
quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Cald
, prima che quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Calderon; il
che
sempre più manifesta il torto del Linguet nel pre
eron; il che sempre più manifesta il torto del Linguet nel pretendere
che
le prime bellezze teatrali avessero i Francesi im
prendendo l’Aminta per esemplare ne seguì con tale esattezza le orme,
che
il suo Alceo, come ognun sa, ne acquistò il nome
e ognun sa, ne acquistò il nome di Aminta bagnato. Trovo non pertanto
che
monsignor Paolo Regio sin dal 1569 pubblicò in Na
ento amoroso. Ma questa si pubblicò in Venezia nel 1583, ed io trovo,
che
nella stessa città se ne impresse nel 1581 un’alt
rima a Zara. È però un cattivo componimento formato sopra incantesimi
che
producono nojose ed inverisimili situazioni, e vi
vi s’introducono per buffoni Calabaza spagnuolo e Graziano bolognese
che
parlano ne’ proprii idiomi. Altro dunque non ha d
gnese che parlano ne’ proprii idiomi. Altro dunque non ha di notabile
che
di aver preceduto il Pentimento amoroso. Il Groto
nese giovanetto nel 1583, quando fu dedicata alla nobile Camilla Lupi
che
vi sostenne la parte di Amarilli; e si stampò poi
so loco. Il senno, il senno Ch’altri sovente amando perde, amando Far
che
uomo acquisti. Ed in fatti Coridone di folle div
Una delle più vive battaglie letterarie si accese per questa favola,
che
vive e viverà a dispetto de’ critici per l’elegan
l’eleganza per l’affetto per le situationi teatrali e per l’interesse
che
ne anima tutte le parti. Pochi son quelli che si
trali e per l’interesse che ne anima tutte le parti. Pochi son quelli
che
si sovvengono delle censure famose per altro di G
di Angelo Ingenieri e di Nicola Villani, come altresì delle risposte
che
ad esse fecero, oltre dell’istesso Guarini, Giova
olo Beni e Ludovico Zuccoli. Ma il Pastor fido, malgrado de i difetti
che
vi si notano, sarà sempre un componimento glorios
i in questa favola ebbe anche fuori dell’Italie un censore nel Rapin,
che
misurava que’ pastori colla squadra de’ caprai de
tori colla squadra de’ caprai delle moderne campagne; senza avvertire
che
nell’ipotesi della pastorale del Guarini i pastor
onarne colla penetrazione naturale, non come filosofi, ma come uomini
che
le stanno soffrendo, ed esprimono al vivo ciò che
ofi, ma come uomini che le stanno soffrendo, ed esprimono al vivo ciò
che
sentono. Quel che noi però non troviamo degno di
i che le stanno soffrendo, ed esprimono al vivo ciò che sentono. Quel
che
noi però non troviamo degno di approvazione, si è
ntono. Quel che noi però non troviamo degno di approvazione, si è ciò
che
si esprime con concetti soverchio leccati e raffi
i spiega con maggior semplicità. Avvenne in somma al Pastor fido quel
che
nel secolo seguente seguì in Francia pel Cid di P
’Aminta la compassione, il Pastor fido giugne a quel grado di terrore
che
ci agita nel Cresfonte al pericolo del giovane vi
serba il suo amore. Ma questo Tirsi è appunto il medesimo pastorello
che
col nome di Credulo ella disdegna, e Amarilli è q
uesta ipotesi di non ravvisarsi, sebbene dopo dieci anni, due persone
che
tanto si amano, sembra veramente dura en mancante
lirico, spicca per la tenerezza e pel patetico il lamento di Credulo
che
vuol morire per la durezza della sua ninfa. Tener
a gareggiar coll’Aminta o col Pastor fido, ma supera moltissime altre
che
la seguirono, per l’affetto, e per l’interesse ch
a moltissime altre che la seguirono, per l’affetto, e per l’interesse
che
l’avviva. Non ebbe cori, ma solo cinque madrigale
e di Selvaggio nell’atto I. Che mi rileva errar per gli ermi boschi
che
contiene cinque stanze colla rigorosa legge del m
amosa Isabella Andreini padovana una delle migliori attrici italiane,
che
applicatasi alla poesia ne diede alla luce un sag
588 con una pastorale intitolata Mirtilla, la quale fu così ricercata
che
dal mese di marzo a quello di aprile se ne fecero
cero in Verona due edizioni (se crediamo alle due diverse dedicatorie
che
vi si leggono) essendo stata la prima dalla stess
L’azione rappresenta la vendetta presa da Amore di due anime superbe
che
lo bestemmiavano, Tirsi pastore ed Ardelia ninfa,
superbe che lo bestemmiavano, Tirsi pastore ed Ardelia ninfa, facendo
che
l’uno arda e non trovi loco Per amor di Mirt
ed in fatti nell’atto IV si vede Ardelia divenuta un novello Narciso
che
si vagheggia in un fonte. Non è da cercarsi in qu
ccio semplice o almeno moderatamente ravviluppato, nè quel linguaggio
che
richiede il genere drammatico. Sembra che allora
luppato, nè quel linguaggio che richiede il genere drammatico. Sembra
che
allora i poeti facessero a gara in trasportare ne
Noci capuano, e l’Amoroso Sdegno di Francesco Bracciolini pistojese,
che
ornarono l’ultimo lustro del secolo. La Cintia ch
ciolini pistojese, che ornarono l’ultimo lustro del secolo. La Cintia
che
s’impresse in Napoli nel 1594 dal Carlino e dal P
el 1594 dal Carlino e dal Pace, e si ristampò dal Maccarano nel 1631,
che
è l’edizione conosciuta dal Fontanini, consiste i
dizione conosciuta dal Fontanini, consiste in una ninfa creduta morta
che
dopo varii evenimenti vestita da uomo si presenta
opo varii evenimenti vestita da uomo si presenta a Silvano suo amante
che
trova innamorato di un’ altra, e s’introduce nell
di lui ricordandogli acconciamente la prima sua diletta, e comprende
che
ne ama la memoria, ma che ha tutto rivolto l’amor
nciamente la prima sua diletta, e comprende che ne ama la memoria, ma
che
ha tutto rivolto l’amore a Laurinia. Ode poi Silv
memoria, ma che ha tutto rivolto l’amore a Laurinia. Ode poi Silvano
che
questo suo amico favorisce in di lui pregiudizio
a morte ad un servo, il quale finge di averlo ucciso. Silvano intende
che
il finto Tirsi era la sua Cintia morta per la sua
a e l’amore, e cade in disperazione. La veracità del di lui dolore fa
che
gli si faccia sapere che è viva, e ne seguono le
sperazione. La veracità del di lui dolore fa che gli si faccia sapere
che
è viva, e ne seguono le loro nozze. La favola è d
i senza suddivisione di scene e senza cori. Il primo rigoroso comando
che
riceve il finto Tirsi da Silvano è di partire da
e e delicate. Nell’atto IV è benissimo espresso il dolore di Silvano,
che
dopo di aver saputo che Ormonte suo servo ha ucci
IV è benissimo espresso il dolore di Silvano, che dopo di aver saputo
che
Ormonte suo servo ha ucciso Tirsi, intende da Elc
aver saputo che Ormonte suo servo ha ucciso Tirsi, intende da Elcino
che
Tirsi è la sua Cintia. La pastorale poi del Bracc
lla sua patria pieno di onorata fama per le molte sue opere ingegnose
che
produsse. Alcuni anni prima e propriamente nel 1
ernia, afferma lo stesso autore d’ averla cara quanto la tragedia , e
che
con tre lettere in otto giorni gliela dimandò i
lui lettere dirette a tre Ebrei si ricava quanto impegno egli avesse
che
si rappresentasse colla maggior proprietà. Al l’e
si rappresentasse colla maggior proprietà. Al l’ebreo Leone di Somma
che
dovea inventar gli ahiti, raccomanda che sieno co
à. Al l’ebreo Leone di Somma che dovea inventar gli ahiti, raccomanda
che
sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza
iti, raccomanda che sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza
che
si vede trascurata nel grottesco vestito eroico d
ino prescrisse la qualità di ballo richiesta nelle quattro canzonette
che
s’interpongono negli atti; insegnando con ciò la
ette che s’interpongono negli atti; insegnando con ciò la convenienza
che
dovrebbero avere la danza e l’azione. Finalmente
Giaches Duvero incarica l’attenzione necessaria al genere di musica,
che
esigono le mentovate canzonette. E quì domando a
esigono le mentovate canzonette. E quì domando a que’ dotti scrittori
che
vorrebbero trarre l’origine dell’opera musicale d
cerla in tutte le pastorali, domando, dico, se loro sembri verisimile
che
il famoso Manfredi sì scrupoloso negli abiti e ne
il Contrasto amoroso fatto in Lorena l’anno 1591 a, in cui, per quel
che
scrive l’autore a donna Vittoria Gonzaga principe
astano amorosamente ciascuna per averlo per marito, ed è vinto da una
che
si chiama Nicea . Sotto nome di Flori egli pretes
de delle donne virtuose, ed in biasimo di chi non le ossequia. Sembra
che
questa pastorale sia rimasta inedita. Inedita par
questa pastorale sia rimasta inedita. Inedita parimente rimase quella
che
scrisse la mentovata Barbara Torelli Benedetti cu
e non vi si fa. Se dunque V. S. vuole aggiugnergliele ora, non so da
che
spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imp
merà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti
che
alle loro il fanno ; e fra tali poeti si vuol rip
le loro il fanno ; e fra tali poeti si vuol ripore l’istesso Manfredi
che
il fece alla sua boschereccia. Di un’ altra pasto
i quel secolo ricco di tanti buoni drammi. L’azione passa tra pastori
che
aspirano alle nozze di Erminia, non conoscendola
stori che aspirano alle nozze di Erminia, non conoscendola per quella
che
era stata regina di Antiochia. L’interesse non vi
one addololorato. Nell’atto V comparisce il principe Tancredi ferito,
che
ringrazia Dio della vittoria riportata del Circas
oscono il ferito; ed Erminia dopo averlo pianto come morto, si avvede
che
è vivo, e ne imprende la guarigione. Nè lo stile
rio Bettinelli celebre poeta del secolo XVIII errò ancora nel credere
che
quella cena del 1529 fosse stata data da don Garc
principali edizioni dell’Aminta nel catalogo dell’edizione Cominiana,
che
se ne fece in Padova l’anno 1722, ovvero nella Dr
è oltre all’essere assai ricca, ed al possedere non poche espressioni
che
alle nostre si confanno, essa ha qualche parola p
confanno, essa ha qualche parola poetica più della francese, e credo
che
ne avrebbe ancora più, se più conosciuto e second
rebbero averne una pari. a. Biblioteca Ital. cap. V. a. Odasi ciò
che
delle due pastorali italiane più celebri disse il
i, morì in Venezia nel 1613. a. Apollo dice di lui nel prologo: Un
che
del Tebro in su la riva nacque; E di sua etade è
articolo del conte Giuseppe Primoli (La Revue de Paris, I giugno ’97)
che
, a proposito di lei a punto, può ben chiamarsi il
il grande amba sciatore dell’arte italiana a Parigi. Aggiungerò solo
che
una volta, passando in rivista le origini de’ nos
d’ospedale ; e là mangiasse, quasi di soppiatto, la metà della zuppa,
che
a lei serbavan l’affezione e la pietà materna. Av
r modo di recitare ; ma dominava in lei una specie di sfiaccolamento,
che
la mostrava annoiata, quasi nauseata della vita.
innanzi a sè e sopra di sè, come in aspettazione di qualcosa di alto,
che
non sapeva ben definire, ma di cui presentiva l’a
gari, quale educazione intellettuale poteva andarsi formando ? Quella
che
le veniva dalle parti che recitava svogliatamente
ellettuale poteva andarsi formando ? Quella che le veniva dalle parti
che
recitava svogliatamente, quasi addormentatamente
ssa inerte, aspettante, come s’è detto, il soffio vitale. Ma il fuoco
che
le serpeva lento, lento, quasi inavvertito nelle
ene svilupparsi per gradi, alimentato dalla fiamma latente del genio,
che
aveva pur dato sprazzi e bagliori o non visti o n
olla Giulietta di Shakspeare, palesando con una fine trovata di rose,
che
il Primoli artisticamente illustrò nel citato art
rò nel citato articolo (pagine 492-493), quella forza di osservazione
che
doveva trasportarla più tardi a sì alte sfere. A
sostenendo le parti di amorosa or con la Piamonti, or con la Pasquali
che
tal volta sostituì nelle parti di prima attrice,
fu tenuta, si può dire, al fonte battesimale dalla Giacinta Pezzana,
che
soccorse la nuova stella saliente di forti consig
trionfi e di glorie. Ma fu la venuta a Torino di Sarah Bernhardt,
che
affermò, se non completò, la trasformazione artis
on completò, la trasformazione artistica della Duse. Veneratrice, più
che
ammiratrice di lei, anzichè piegare il capo sbald
a e della Francillon…. e di tutto ciò ch’ella rappresentava. Si disse
che
nella Duse era da notarsi una particolare attitud
e di quei lavori in cui dominasse il temperamento isterico…. Vero. Il
che
non impedì ch’ella fosse grande in ogni carattere
è piaciuta d’ingaggiar battaglia col pubblico, esumando lavori ardui
che
a niuna artista bastò l’animo di rendere accettab
ione tutta sua propria, piena di originalità e di colore individuale,
che
pare negletta, ed è studiata, che sembra faticosa
riginalità e di colore individuale, che pare negletta, ed è studiata,
che
sembra faticosa ed è spontanea, che non stupisce
che pare negletta, ed è studiata, che sembra faticosa ed è spontanea,
che
non stupisce e non colpisce per l’uso e l’abuso d
tà, per un fascino sottile di naturalezza, per un fremito di passione
che
sgorga, irrompe e si propaga rapidamente nella ma
ù restii provano quell’inquietudine, quella smania, quella agitazione
che
li strappa alla loro apatia abituale, e li travol
anni dal critico Yorick. Ma ve n’ha un altro più forte ancora, quello
che
determina la grandezza vera della Duse ; dietro a
’ per anelito di maggior fama, si credettero in dovere d’imitarla. In
che
? Naturalmente, non avendo nè l’ingegno di lei, n
strascicati, nasali, le alzate in punta di piedi, e altrettali cose,
che
se, per essere spontanee, non segnaron nella Duse
ccia, non nello strascichio della persona. I pregi della Duse, quelli
che
la elevaron dalla comune, eran nella compenetrabi
trabilità del tipo, nella minuziosità di osservazione di tutto quello
che
lo circondava, che lo faceva vivere e palpitare :
nella minuziosità di osservazione di tutto quello che lo circondava,
che
lo faceva vivere e palpitare : non lo studio solt
va, che lo faceva vivere e palpitare : non lo studio soltanto di quel
che
era in una parte, ma, e soprattutto, di quel che
dio soltanto di quel che era in una parte, ma, e soprattutto, di quel
che
non c’era. La grandezza della Duse era tutta gran
he non c’era. La grandezza della Duse era tutta grandezza di analisi,
che
sfuggiva all’occhio e alla mente dello spettatore
’arte era sempre soccorsa dalla natura, e questa da quella…. Per modo
che
in questa fusione, generata dal più profondo e pi
generata dal più profondo e più sottile degli studi, egli non vedesse
che
una parte, quella della natura, viva, parlante, p
sguardo, nell’ intonazione di una parola, in un gesto, in una pausa,
che
fu sempre il maggiore e miglior patrimonio degli
, vaporoso ; a volte ricorda in una smorzatura di voce la Désclée. Io
che
ho ammirato sinceramente, e sinceramente ammiro a
ato a parlare della verità di questa piccola fata. Gli artisti nostri
che
recitano con verità si somigliano : la Duse è ver
Come si spiega ? La verità è una !… Dunque ? Chi lo sa ! È una donna
che
ha la linea, ecco tutto. Un po’ francese, un po’
izione, morbidissima nel gesto, senza alti e bassi convenzionali, più
che
con un discorso, strappa l’applauso con un oh !,
dello stesso mese, a proposito della Signora dalle Camelie : Quello
che
in genere è ammirevole nella signora Duse è il co
: Quello che in genere è ammirevole nella signora Duse è il concetto
che
ella si va formando sempre nuovo delle parti che
a Duse è il concetto che ella si va formando sempre nuovo delle parti
che
ella rappresenta ; è la maniera sempre nuova di e
la maniera sempre nuova di esecuzione ; è l’odio manifesto a tuttociò
che
può farle acquistare una lode bugiarda, momentane
er le quali m’ebbi a fin di stagione dalla eletta artista il ritratto
che
qui riproduco, con dietro queste parole : A chi m
analizza…. – A chi conosco e ricordo come compagno d’arte – A persona
che
stimo. – E. Duse. Parole, che se rappresentan
do come compagno d’arte – A persona che stimo. – E. Duse. Parole,
che
se rappresentano un mio legittimo orgoglio, rappr
ntimento di modestia Eleonora Duse deve la perseveranza nello studio,
che
, arrotondando e perfezionando la sua natura d’art
cò sul piedistallo di gloria, in cui oggi si trova : natura d’artista
che
traspariva tutta, anche fuor di scena, ne’ gesti,
le parole, negli scritti. Ad un direttor di giornale, per un articolo
che
la portava alle stelle scriveva : (Debbo la comun
o la beata fra i beati, nel migliore dei mondi possibili, secondo ciò
che
annunzia l’egregio Suo…. E così sia ! — Amen ! —
io Suo…. E così sia ! — Amen ! — Sono anch’io un poco come quel tale,
che
finiva per essere sempre dell’opinione dell’ultim
ome quel tale, che finiva per essere sempre dell’opinione dell’ultimo
che
parlava, e per prova, mentre Le scrivo, mi si dic
ne dell’ultimo che parlava, e per prova, mentre Le scrivo, mi si dice
che
al Teatro Milanese c’è modo di passare nna serata
ì si rimane ragionevolmente, nel mondo ragionevole, e a sfera umana….
che
non è quello di…., che, secondo me, vede cose e p
ente, nel mondo ragionevole, e a sfera umana…. che non è quello di….,
che
, secondo me, vede cose e persone più in su del ve
ndo me, vede cose e persone più in su del vero. A un giovane autore
che
pare le si mostrasse in una lettera pien di amare
e in una lettera pien di amarezze rispondeva : Che benedetto ragazzo
che
siete !… Se la gente v’attacca e v’annoia, lascia
oia, lasciateli dire e fate la strada vostra. Se dicessero (e vedrete
che
tanto dà loro noia il successo che lo diranno) se
da vostra. Se dicessero (e vedrete che tanto dà loro noia il successo
che
lo diranno) se dicessero che la commedia non vale
drete che tanto dà loro noia il successo che lo diranno) se dicessero
che
la commedia non vale un soldo, che talento in zuc
cesso che lo diranno) se dicessero che la commedia non vale un soldo,
che
talento in zucca non ne avete…. e voi lasciateli
soldo, che talento in zucca non ne avete…. e voi lasciateli dire. Da
che
mondo è mondo, ne han dette delle assai più gross
re. Da che mondo è mondo, ne han dette delle assai più grosse a gente
che
vi valeva. Fate la vostra strada, senza voltarvi
Fate la vostra strada, senza voltarvi indietro. Se poi la smontatura
che
traspare dalla vostra lettera, è dovuta ad altre
, è dovuta ad altre cause — forse troppo intime — « benedetto ragazzo
che
siete » con tutto il bene bono che vi voglio mi p
roppo intime — « benedetto ragazzo che siete » con tutto il bene bono
che
vi voglio mi permetto di dorlotarvi con queste pa
e vi voglio mi permetto di dorlotarvi con queste parole : fate quello
che
credete sia un dovere di fare e lasciate fare al
he credete sia un dovere di fare e lasciate fare al tempo. È il tempo
che
fa e disfà per tutti. Createvi dei pensieri buoni
Bourget : ebbene. Salvatelo e schivatelo da qualunque scossa violenta
che
potrebbe rallentarvi l’andare. Pensate a conclude
telligente – mi rimettono in cammino con più lena – e con un coraggio
che
non è senza fiducia. Ho molti anni ancora di carr
che non è senza fiducia. Ho molti anni ancora di carriera…. e non ho
che
uno scopo. – Vi riescirò ? Certo la febbre è fort
ttobre dello stesso anno allo stesso Fiacchi, da Roma : L’ammalata –
che
pazientemente avete visitata ogni sera – è guarit
rita – ma quando si ha sofferto non si dimentica – e io non dimentico
che
ho passato delle ore buone con voi. Sono al lavo
ore buone con voi. Sono al lavoro da un mese e mezzo – e vi assicuro
che
il beato ozio – e benefico – di Bocca d’Arno – l’
d’Arno – l’ho ben scontato. Ora sto per partire – e vi scrivo – cosa
che
non ho fatto arrivando, perchè ero tremante, e av
Lontana dal teatro – dalla famiglia artistica, sola – lungo il mare –
che
ne fa tanto capire la nostra piccolezza, mi parev
ungo il mare – che ne fa tanto capire la nostra piccolezza, mi pareva
che
non avrei più saputo rendere l’espressione d’un’a
mi pareva che non avrei più saputo rendere l’espressione d’un’arte –
che
ha qualche volta delle ritrosie, dei silensi così
o ritrovato nella nota gaja del successo – solamente – una serenità –
che
mi promette bene per l’avvenire. – Voi mi capite,
poesia fortemente sentita e semplicemente resa, in questi altri brani
che
traggo come quelli dalle lettere al Fiacchi !! Il
are – in mare – una buona barca – una vela – e via a respirare l’aria
che
purifica anima e corpo. – Mi trovo così bene a Tr
fumo – l’odore puro, direi immacolato della montagna, da questo verde
che
riposa l’occhio irritato dalla luce del gas della
posa l’occhio irritato dalla luce del gas della città – da quest’aria
che
rimette a nuovo i polmoni affaticati – e calma le
ia che rimette a nuovo i polmoni affaticati – e calma le febbri sorde
che
dà il contatto con la città…. mi sento rinascere
lte idee – con molto senso di pietà e di perdono – verso tutto quello
che
ci turba e ci profana…… Il 23 luglio dell’ ’86 d
altra dando giocattoli a una bella piccina – di cui non sono la mamma
che
a certe ore, mentre per il più della giornata, io
e di molto sorriso, come lei. È questa la sola cosa, nella mia vita,
che
non mi è costata nè studio, nè fatica, nè sforzo
– il giorno – una piccola ruota – sotto il gran regolatore del sole –
che
non si sposta – che non mi sposta. Che gran silen
ccola ruota – sotto il gran regolatore del sole – che non si sposta –
che
non mi sposta. Che gran silenzio ! Delle cicale –
orte, nessuna musica della terra – nessun giornale – un piccolo frate
che
ogni giorno arriva scalzo e colla barba bianca pe
te progredisce, e il petto non mi duole – non sento più quell’arsura,
che
mi troncava la voce e la parola recitando. Insomm
– per Lei – la piccina mia – e un benessere assoluto del mio fisico,
che
cominciava a tarlarsi alla radice. – Ecco tutto.
fisico, che cominciava a tarlarsi alla radice. – Ecco tutto. Parole
che
mostran chiara la dolcezza della sua indole, e la
e tutte le qualità accademiche dell’arte e del bel mondo — vorrà dire
che
sarò abbrutita del tutto ! — Credo che dell’abbru
e e del bel mondo — vorrà dire che sarò abbrutita del tutto ! — Credo
che
dell’abbrutimento presente non faccia bisogno che
del tutto ! — Credo che dell’abbrutimento presente non faccia bisogno
che
io ne dia conferma. Sono intontonita esattamente,
l mondo, la tappa di Parigi fu sempre lontana troppo. È oggi soltanto
che
Eleonora Duse ha potuto, o voluto dar vita alla s
use. Quale mobilità in ogni tratto ! Ella possiede al sommo la faccia
che
noi vediamo il più spesso nelle malattie generali
dita, del busto, all’azione e contrazione del volto…. È perciò forse
che
la grande artista riesce oggi insuperabile nella
ie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img101.jpg] Parole
che
su per giù si posson ripetere oggi che la Eleonor
01-02_1897_img101.jpg] Parole che su per giù si posson ripetere oggi
che
la Eleonora Duse afferra e soggioga i pubblici di
camerino di Grenet-Dancourt, il gentile poeta e amabile monologhista,
che
aveva recitato alcuni de’suoi versi più caldi ; e
ncourt – ella si fa ben capire colla potenza dell’espressione. » Ciò
che
vi ha di veramente ammirevole nell’attrice, si è
e nell’attrice, si è la trasformazione successiva in emozioni diverse
che
la sua maschera rende così bene, e che ben si com
successiva in emozioni diverse che la sua maschera rende così bene, e
che
ben si comprendono senza alcun soccorso del testo
ne : poichè nessuna attrice possedè mai tanta mobilità di fisionomia,
che
è uno de’più rari pregi dell’artista drammatico.
da scapaccioni !!!!! E Franz Lenbach, racconta il Primoli (op. cit.),
che
si divertiva a fissar le diverse espressioni ch’
, aveva tappezzato il suo studio a Palazzo Borghese di trenta schizzi
che
personificavano i diversi moti dell’anima umana,
i, di tutta la stampa italiana e forastiera, sono altrettanti cantici
che
non morranno forse : ma il monumento di gloria le
o forse : ma il monumento di gloria le venne certo da A. Dumas figlio
che
in una nota alla Moglie di Claudio e nell’incompa
azione e di gratitudine profonda per l’intelletto eccezionale di lei,
che
, più che interprete fedele, fu, nella Bagdad spec
di gratitudine profonda per l’intelletto eccezionale di lei, che, più
che
interprete fedele, fu, nella Bagdad specialmente,
pubblico tutto d’artisti e con lavoro italiano. Mette bene il conto
che
io qui riferisca, a proposito della Cavalleria ru
iglioso e miracoloso delle forze e della nobiltà dell’ arte vera. Ciò
che
quella accolta di artisti applaudiva unanime, fre
a del loro amore per la loro arte, era tutto un omaggio di commozione
che
mandava oltre l’artista di passaggio, era il loro
ro tanto orgoglio ! Egli è veramente questo sentimento di gratitudine
che
ha dovuto provare la Duse, quando a lei saliva il
vazioni. Tra le poesie ch’ella inspirò, non dispiacerà al lettore
che
io metta qui i quattro sonetti che la Contessa La
inspirò, non dispiacerà al lettore che io metta qui i quattro sonetti
che
la Contessa Lara pubblicò nel Corriere di Roma de
phie-theatre/images/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img104.jpg] Fin
che
a ’l tradito che pur cerca oblio ne ’l segreto de
es/rasi_comici-italiani-01-02_1897_img104.jpg] Fin che a ’l tradito
che
pur cerca oblio ne ’l segreto de ’l genio, a ’l s
rca oblio ne ’l segreto de ’l genio, a ’l saggio, a ’l buono, a l’uom
che
parla ne la notte a Dio, una voce comanda, alta,
ica e dolorosa vita, è vano combattere : non v’ha male migliore…. fin
che
il demonio, stanco, non inventi altra cosa. TEOD
; mentre a l’ ansar de ’l petto ampio le freme il bizantino talisman,
che
chiude l’oblio de l’odio e de l’amore insieme. E
un po’ a ben altre estetiche, artista meno sincera. Molte delle cose
che
pei francesi rigidamente accademici, furono il no
o, e mi sembrò veramente trasformata. Oh…. nella scena colla sorella,
che
a lei confessa il proprio amore per Max…, qual de
ei modi, valser bene per me tutti gli Armando di Margherita ! E oggi,
che
abbiam potuto studiarla nelle sue varie manifesta
o le vince la mano, e ne appare talvolta la ricercatezza ? Forse quel
che
appare ricercatezza oggi, sarà domani il vero tri
d essi debbono a ogni modo vedere in lei un esempio salutare ; in lei
che
volendo, fermamente volendo, s’è venuta formando
ù raffinata esteriore e interiore. Gli attori nostri non dimentichino
che
, stil vecchio o stil novo, quando che il vogliano
attori nostri non dimentichino che, stil vecchio o stil novo, quando
che
il vogliano, potranno pur sempre tener lo campo d
ranno pur sempre tener lo campo della scena in tutto il mondo. Quando
che
il vogliano ! !… Da una fotografia del conte
e si ricavasse il compilatore del Parnasso Spagnuolo la rara scoperta
che
questa Sofonisba fosse stata una spezie di dialo
nque parlato di tal componimento per volgar tradizione ovvero secondo
che
gliel dipinse la propria poetica immaginazione. S
orse gli eredi stati distolti da tanti altri drammi di maggior pregio
che
di poi apparvero. Per la stessa ragione meritano
onimenti del principio del secolo descritti dal Quadrio nel tomo I. E
che
giova trattenersi sul Filolauro di Bernardo Filos
tomo I. E che giova trattenersi sul Filolauro di Bernardo Filostrato,
che
l’istesso Quadrio chiama atto tragico, benchè nel
ve sorgono marmorei edificii realia? Volgiamoci dunque alle ricchezze
che
ci appresta un secolo così fecondo. La Sofonisba
stigia de’ Greci, alcune ciarle, certe comparazioni liriche, lo stile
che
non si eleva a quel punto di sublime che fa grand
mparazioni liriche, lo stile che non si eleva a quel punto di sublime
che
fa grandeggiar la tragedia, sono difetti con abbo
o difetti con abbondante usura compensati dalla novità dell’argomento
che
l’autore non dovè nè alla Grecia nè al Lazioa, da
larità ed economia dell’azione, dal bellissimo carattere di Sofonisba
che
interessa dovunque appare (superiore in ciò di gr
tanto più tardi) e da un patetico animato da’ bei colori della natura
che
sempre trionfa nella vivace semplicità, quella se
natura che sempre trionfa nella vivace semplicità, quella semplicità
che
attinse il Trissisino da’ greci fonti. Un cuore n
a con Erminia, ed al quadro delle donne affollate intorno a Sofonisba
che
trapassa, di Erminia che la sostiene e del figliu
ro delle donne affollate intorno a Sofonisba che trapassa, di Erminia
che
la sostiene e del figliuolo che bacia la madre, l
a Sofonisba che trapassa, di Erminia che la sostiene e del figliuolo
che
bacia la madre, la quale inutilmente si sforza pe
l seguente frammento il colorito di questa scena lagrimevole: Sof. A
che
piangete? Non sapete ancora Che ciò che nasce a m
ta scena lagrimevole: Sof. A che piangete? Non sapete ancora Che ciò
che
nasce a morte si destina? Cor. Ahimè! che questa
? Non sapete ancora Che ciò che nasce a morte si destina? Cor. Ahimè!
che
questa è pur troppo per tempo; Che ancor non siet
of. Il bene esser non può troppo per tempo. Erm. Che duro bene è quel
che
ci distrugge! Sof. Accostatevi a me, voglio appog
tu non avrai più madre; Ella già se ne va, statti con Dio. Erm. Oimè!
che
cosa dolorosa ascolto! Non ci lasciate ancor, non
. I’ non posso far altro, e sono in via. Erm. Alzate il viso a questo
che
vi bacia. Cor. Riguardatelo un poco. Sof. Aime! n
sin dal XVI secolo si tradusse e s’imitò molte volte; di tal maniera
che
la Sofonisba oggi serbasi nel teatro tragico come
a imitata lo stesso Voltaìre nel XVIIIa. Adunque la prima ìstruzione
che
ebbero i Francesi di un dramma in cui venissero o
a qual cosa non si capisce perchè l’avvocato Linguet a abbia avanzato
che
i Francesi, quanto al teatro, non hanno dall’Ita
anto al teatro, non hanno dall’Italia ricevuto quasi verun favore , e
che
la prima idea delle bellezze che essi hanno prof
lia ricevuto quasi verun favore , e che la prima idea delle bellezze
che
essi hanno profuso sul teatro e ne’ loro scritti,
no presa da’ buoni autori Castigliani . Accordiamo di buon grado quel
che
egli aggiugne, cioè che il Dante, l’Ariosto e il
i Castigliani . Accordiamo di buon grado quel che egli aggiugne, cioè
che
il Dante, l’Ariosto e il Tasso stesso non hanno
allievi alcuni tra’ Francesi (senza andarne rintracciando il motivo
che
egli stesso con altri suoi compatriotti troverebb
ti troverebbe poco glorioso per la testa e per la lingua francese): e
che
Lope de Vega, il Castro e il Calderòn siensi più
bellezze teatrali , la storia contraddice all’asserzione del Linguet
che
brucia que’ grani d’incenso ad onore degli Spagnu
uet che brucia que’ grani d’incenso ad onore degli Spagnuoli. Piacemi
che
egli a nome de’ Francesi si mostri grato a quella
egli a nome de’ Francesi si mostri grato a quella ingegnosa nazione e
che
ripeta quel che altre volte ed assai prima di lui
Francesi si mostri grato a quella ingegnosa nazione e che ripeta quel
che
altre volte ed assai prima di lui osservarono i F
ono i Francesi stessi, gli Spagnuoli e gl’Italiani; ma è giusto forse
che
per confessare un debito voglia negarne un altro?
l 1526, corse poco dopo del Trissino il tragico aringo colla Rosmunda
che
fece recitare nel suo giardino in Firenze alla pr
l suo giardino in Firenze alla presenza di quel pontefice nel 1516, e
che
si stampò poi in Siena nel 1525. In essa prese ad
n Siena nel 1525. In essa prese ad imitare l’Ecuba di Euripide; e par
che
avesse voluto renderne lo stile più magnifico del
ella Sofonisba. Il signor Roscoe nella Vita di Lorenzo Medici osserva
che
il Rucellai preserva Rosmunda da i delitti di pro
diede alla luce se non dopo due secoli per opera del marchese Maffei,
che
la fece imprimere nel 1723 sull’esemplare possedu
anche il conte Pietro da Calepio, e non va esente dal cicaleccio, ciò
che
si vede sin dalla prima scena nella narrazione ch
al cicaleccio, ciò che si vede sin dalla prima scena nella narrazione
che
fa Oreste delle proprie avventure incominciando d
; egli le narra all’amico Pilade cui dovevano essere altrettanto note
che
a lui stesso; egli le narra ancora intempestivame
ra de’ barbari. Ma per tali nei si priveranno i leggitori del piacere
che
recano tanti bei passi pieni di eleganza e vaghez
universale lascerà seppellirgli nell’obblio, non vedendo nell’Oreste
che
languidezza ed imitazione del greco? Quanto a me
petto del tempio e le teste, i busti ed il monte di ossa degli uccisi
che
vi biancheggia; la bellezza del racconto che fa I
nte di ossa degli uccisi che vi biancheggia; la bellezza del racconto
che
fa Ifigenia della propria sventura quando fu in p
pensarlo? Dove ti lascio! donde son partito! Chi lascio! a cui vo io?
che
porto? ahi lasso! Porto la morte del suo re; a cu
e già sudate palme, Gli aspettati trionfi e la vittoria Del simulacro
che
portiamo in Argo? Con che volto potrò veder mio p
pettati trionfi e la vittoria Del simulacro che portiamo in Argo? Con
che
volto potrò veder mio padre? Con che occhi guarda
ulacro che portiamo in Argo? Con che volto potrò veder mio padre? Con
che
occhi guardar mai potrò Elettra Sorella a te, a m
contro di se tutta l’indignazione di chi legge. Il coro continuo poi
che
vi si adopra alla greca, disdicevole manifestamen
e ad un’ azione Romana, obbliga il poeta ad incoerenze, come è quella
che
L. Tarquinio gelosissimo del proprio secreto si s
oprio secreto si scopra alla moglie alla presenza di un coro di donne
che
sono seco. Pera. simili riflessioni a noi sembra
ri del cinquencento. Seguirono i greci esemplari piuttosto traducendo
che
imitando l’Alamanni, l’Anguillara ed il Giustinia
zione recò in italiano, ritenendone il titolo, l’Antigone di Sofocle,
che
si stampò in Venezia nel 1532. Per testimonio deg
meriti della toscana lingua Bembo, Trissino, Molza, Tolomeia. E quel
che
’nfino oltre le ripid’ Alpi Da Tebe in toscano ab
osi gli episodii di quest’Edipo dell’Anguillara. Non per tanto sembra
che
i contemporanei avessero vendicata l’opera e l’au
amo col conte da Calepio assai più difettoso l’Edipo del l’Anguillara
che
de’ tre pur difettosi Edipi francesi di Corneille
nacronismo totalmente inutile. Fu assai migliore la traduzione fedele
che
fece di tal tragedia il veneziano Giustiniano. Pe
hitetto seguita nel 1586 si terminò dallo Scamozzi. La parte di Edipo
che
si accieca, si sostenne egregiamente dal famoso L
olta troppo ricercato e più proprio di certi anni del seguente secolo
che
del cinquecentoa. Sperone Speroni degli Alvarott
ose la Canace tragedia pubblicata la prima volta in Venezia nel 1546,
che
dovea rappresentarsi in Padova l’anno 1542 dagli
to il disegno per la morte seguita di Angelo Beolco detto il Ruzzante
che
dovea recitarvi. L’autore sostenne per essa una g
ologo sostituire il personaggio di Venere. Vide questo gran letterato
che
il veleno de’ tragici componimenti de’ suoi conte
vi ornando ed infiorando la sua Canace con certe studiate espressioni
che
nuocono alla gravità tragica. E pure queste medes
della Canace esigevano stile più grave, e la favella della natura più
che
dell’arte manifesta. Questo, e l’introduzione di
e, e non poche scene vuote ed oziose e slogate, ed i racconti di cose
che
meglio avrebbero animata la favola poste alla vis
sta ed in azione, ed il non essersi l’autore approfittato de’ rimorsi
che
insorger doveano in Canace e Macareo ne’ loro mor
i appunto, per quanto mi ricorda, sfuggirono a’ censori contemporanei
che
in essa si perdettero in criticar le rime, i vers
e al figliuolino, banno una verità, un patetico, un interesse sì vivo
che
penetra ne’ cuori e potentemente commuove e pertu
Antivalomeni, Cleopatra, Arenopìa, Eufimia, Selene, Epitia. La prima
che
scrisse, a quel che egli dice, in meno di due mes
atra, Arenopìa, Eufimia, Selene, Epitia. La prima che scrisse, a quel
che
egli dice, in meno di due mesi, e che si stima la
a. La prima che scrisse, a quel che egli dice, in meno di due mesi, e
che
si stima la migliore, si rappresentò alla presenz
tò ancora alla presenza de’ cardinali Ravenna e Salviati. Sembra però
che
alla prima rappresentazione, e non a questa secon
Alamanni, facendo il Giraldi dire alla Tragedia, I’ dico l’Alamanni,
che
mi vide, Per mio raro destìno, uscire in scena.
Sulmone re di Persia gareggia colle atrocità degli Atrei, ed Orbecche
che
svena il padre, và del parí coll’Elettre matricid
divisa l’Orbecche in atti e scene e scritta in versi sciolti, se non
che
, come in quella del Trissino, havvi più d’un pass
te le tragedìe del Giraldi e specialmente l’Orbecche, fralle Italiane
che
conseguiscono l’ottimo fine della tragedia di pur
olse l’Orbecche con molto applauso e destò in tutti cotal compassione
che
niuno degli ascoltatori, potè contenere il pianto
one che niuno degli ascoltatori, potè contenere il pianto. Oggi stimo
che
farebbe lo stesso effetto in una città colta che
l pianto. Oggi stimo che farebbe lo stesso effetto in una città colta
che
ha assaporato il piacer delle lagrime del teatro,
ance della nutrice, l’espressioni di Oronte appassionato nell’atto II
che
si trattiene per molti versi su i casi del nocchi
cche esorta Sulmone alla pietà, e i lamenti del Coro delle donne dopo
che
Orbecche si è trafitta. Pietro Aretino, la cui pe
taliana. Pose prima di ogni altro in iscena l’avventura degli Orazii (
che
nè anche è argomento greco) ed ebbe la sorte di c
li Orazii (che nè anche è argomento greco) ed ebbe la sorte di coloro
che
tentando un mare sconosciuto hanno il vanto di sc
rire e vincere senza arricchirsi e trionfare. Scrisse dunque l’Orazia
che
dedicata al pontefice Paolo III sin dal l’anno 15
stinati da poi ad onorare i principi, ed il Calepio osserva a ragione
che
Pietro Cornelio s’inganna nel dire che sieno inv
il Calepio osserva a ragione che Pietro Cornelio s’inganna nel dire
che
sieno invenzioni del suo secolo . Un coro di virt
ia Orazia moglie di un Curiazio è oppressa dall’immagine di una pugna
che
debbe in ogni evento riuscire per lei funesta. Ne
razia per la notizia della morte dello sposo. Arriva nel III un servo
che
appende al tempio di Minerva le spoglie degli est
condannano alla morte, contraddicendo invano il di lui afflitto padre
che
appella al Popolo. Nel V il Popolo libera il reo
l Popolo. Nel V il Popolo libera il reo dalla pena di morte, ma vuole
che
soggiaccia all’infamia del giogo. Sdegna il magna
i: Publio prega: il Popolo è inesorabile: si ascolta una voce in aria
che
comanda ad Orazio di ubbidire. La regolarità di q
nte conseguito. Increscerà in essa in primo luogo il titolo di Orazia
che
dimostra esser essa il principal personaggio, e c
titolo di Orazia che dimostra esser essa il principal personaggio, e
che
morendo prima di terminar l’atto III, abbandona a
rendo prima di terminar l’atto III, abbandona ad un altro l’interesse
che
era tutto per lei. Orazio le succede; e l’interes
lo se il titolo di essa fosse l’Orazio? Parranno poi piuttosto foglie
che
ingombrano che fregi che abbelliscono l’azione al
di essa fosse l’Orazio? Parranno poi piuttosto foglie che ingombrano
che
fregi che abbelliscono l’azione alcune cose episo
osse l’Orazio? Parranno poi piuttosto foglie che ingombrano che fregi
che
abbelliscono l’azione alcune cose episodiche spar
che abbelliscono l’azione alcune cose episodiche sparse quà e là, di
che
può servire di esempio la dipintura di un cavallo
un cavallo a cui si rassomiglia la gioventù, distesa in dodici versi,
che
incomincia. La gioventù furor della natura. Si
ta, Io stesso, se ciò fosse, il punirei; e i Duumviri ripigliano, E
che
ha fatto il furioso dunque? E Publio, Estinte q
rali. Perdendosi l’impresa, ella dice, ognuno in Roma altro non perde
che
la libertà, Ma io, io, se Roma vince, perdo Il m
quando è in procinto di perdere il valoroso Orazio, l’unico figliuolo
che
gli rimane, allora mostra tutto il padre, implora
plorando la pietà del Popolo. Lo spirito d’ingenuità e di gratitudine
che
mosse prima il Cornelio, indi il Linguet a confes
mmuovere sino al fine pel timore e per la compassione; e si comprende
che
se il Corneille l’avesse anche in ciò imitato, av
tato, avrebbe fatto corrispondere agli ultimi atti della sua tragedia
che
riescono freddi ed inutili, a i primi pieni di ca
gedie tratte da’ Greci e da’ Latini. Nel 1566 se ne fece una edizione
che
conteneva Tieste, Giocasta, Didone, Medea, Ifigen
volle ripetersi in Ferrara nel palazzo del duca, tale fu il concorso
che
non potè recitarsi. Questa frequenza delle rappre
coltarle, indicano per avventura la mancanza di gusto per la tragedia
che
qualche trascrittor di giornali stranieri volle i
n essa ravvisarsi il primo esempio moderno di una tragedia cittadina,
che
i nostri scrittori nè seguirono nè pregiarono, e
gedia cittadina, che i nostri scrittori nè seguirono nè pregiarono, e
che
più tardi Inglesi, Francesi e Tedeschi hanno tant
nglesi, Francesi e Tedeschi hanno tanto nel secolo XVIII coltivata, e
che
ha trovato un apologista infervorato nell’esgesui
nico, ma ne fu ripreso da Apostolo Zeno. L’istesso Fontanini, e colui
che
aumentò le Drammaturgia dell’Allacci continuandol
ldato e la Daria come due diverse tragedie. Ma il lodato Zeno avverte
che
la Daria è un personaggio principale della traged
aria è un personaggio principale della tragedia del Soldato, e perciò
che
il Soldato e la Daria sono una sola tragedia, e n
quale non contiene certamente argomento greco, ma nazionale. Si crede
che
ne componesse sino a venti, tralle quali una del
Meleagro, la quale (dice il Manfredi nelle sue Lettere) mi diceste
che
sarebbe l’idea della tragedia toscana a. Sappiam
della tragedia toscana a. Sappiamo dal cavaliere Girolamo Tiraboschi
che
il Cavallerino tradusse anche il Cristo paziente
tragico dell’antichità, cioè dell’avventure del Cresfonte di Euripide
che
il tempo ci ha invidiato. Il Cavallerino ha la gl
cuni altri si veggono nell’ultima migliorati; si osserva non pertanto
che
alcuna volta trovansi i concetti espressi nell’im
e la fede data all’amico Germondo nell’effettuare con Alvida le nozze
che
avea contratte solo in apparenza; ma conosciutala
cagiona la morte di Alvida col narrarglielo, e si ammazza. L’errore
che
dà motivo a tanti disastri (ottimamente affermò
o un carattere compiutamente tragico, e degno della perfetta tragedia
che
va felicemente al vero suo fine di purgar con dil
ali, non fu mosso nè dalla tragica maestà dello stile nè dal patetico
che
regna nel Torrismondo. Egli che tralle altre preg
ca maestà dello stile nè dal patetico che regna nel Torrismondo. Egli
che
tralle altre pregiudicate sue opinioni pose in un
opinioni pose in un fascio i tragici Italiani e gli Spagnuoli, asserì
che
il Tasso ed il Trissino aveano la testa stravolta
che il Tasso ed il Trissino aveano la testa stravolta da’ romanzi, e
che
perciò non poterono pervenire al carattere di Sof
ito il torto manifesto di quel gesuita, ed appuntino l’opposto di ciò
che
egli afferma, cioè in vece di una testa guasta da
de’ bassi tempi. Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa,
che
ne’ tempi della cavalleria non potevano regnare n
in non si è mai pensato a sostenere contro i nostri poeti romanzieri,
che
i costumi della cavalleria errante fossero improp
ria errante fossero improprii per le passioni grandi. Solo si è detto
che
hanno essi abusato del maraviglioso con tanti vol
i stessi di que’ tempi come incompatibili col carattere tragico. Egli
che
tanto affettava d’insistere sull’osservanza delle
ristotile, in quale aforismo di quel grande osservatore aveva appreso
che
il carattere tragico consista nella modificazione
icazione de’ costumi, e non già nella qualità delle passioni? Di più,
che
le grandi passioni umane appartengano più ad un t
ni? Di più, che le grandi passioni umane appartengano più ad un tempo
che
ad un altro? E quando pure ciò fosse, per qual ca
delle perturbazioni più robuste? Io non so come non vedesse egli quel
che
tanti altri anche suoi compatriotti osservarono,
e egli quel che tanti altri anche suoi compatriotti osservarono, cioè
che
l’epoca de i duelli, delle giostre, de’ beni dell
i, de’ Tesei, e degli Achilli puntigliosi. Che se in vece di un Edipo
che
per timore di un oracolo si esiglia volontariamen
in vano le minacciate incestuose nozze, s’introduce un principe Goto
che
per servire all’amicizia si presta a sposare appa
ca? La censura del Rapin appoggia rotondamente in falso. L’altra cosa
che
non seppe veder questo critico francese, è che i
in falso. L’altra cosa che non seppe veder questo critico francese, è
che
i costumi del l’età in cui s’immagina che abbia d
questo critico francese, è che i costumi del l’età in cui s’immagina
che
abbia dominato nella Gozia questo Torrismondo, ri
re dell’erudito benchè infelice verseggiatore Chapelain) sono storie
che
rappresentano i costumi Europei di que’ tempi ? M
sono storie che rappresentano i costumi Europei di que’ tempi ? Ma a
che
mentovare i romanzi, quando la storia di quella b
primo de’ quali, secondo Bastiano Munster a, si tenne nel 938? Allora
che
Rapin andava criticando l’Ariosto, il Trissino ed
el 1272, nella quale dal principe di Châllons fu disfidato Eduardo I,
che
dalla Sicilia tornava in Inghilterra? Non pensò a
cavaliere Ribaumont nell’assedio di Calais? Non alle eroine militari
che
v’intervennero, celebrate dallo storico e filosof
la contessa di Montfort, quella di Blois, e la regina d’Inghilterra,
che
marciò in Iscozia alla testa di un esercito contr
frequentissime, specialmente in Francia nel secolo XV? Non fu allora
che
con buon senno disse un Inviato della Porta che a
olo XV? Non fu allora che con buon senno disse un Inviato della Porta
che
assisteva ad una giostra, per un vero combattime
pin il famoso combattimento de’ tredici Italiani con tredici Francesi
che
rimasero vinti ed uccisi con tanta gloria del val
uello del barone di Jarnac col favorito di Errico II la Chateigneraie
che
vi fu ferito a morte? In fine la disgrazia del me
mpo in cui fu composto il Torrismondo? Chè se la tragedia di Torquato
che
con tanta energia dipigne le passioni generali e
ali e comuni a tutti i tempi, quanto ai costumi ritrae al vivo quelli
che
regnavano in Europa e che più si avvicinavano all
pi, quanto ai costumi ritrae al vivo quelli che regnavano in Europa e
che
più si avvicinavano alle idee famigliari a quelli
ano in Europa e che più si avvicinavano alle idee famigliari a quelli
che
vivevano nel tempo stesso dell’autore; chi non ve
oscurar la gloria con un suo magistrale, quid habet Torrismundus? e
che
pregio ha mai codesto Torrismondo? Che pregio, e
regio ha mai codesto Torrismondo? Che pregio, egli dice? Ecco quello
che
a me sembra che abbia di eccellente. Un carattere
esto Torrismondo? Che pregio, egli dice? Ecco quello che a me sembra
che
abbia di eccellente. Un carattere tragico scelto
una nobile, elegante e maestosa gravità di stile: un patetico vivace
che
empie, interessa, intenerisce, commuove ed eccita
piacere delle lagrime. Sono forse moltissime le tragedie più moderne
che
possono vantarsi di altrettanto? Ne presentiamo q
che possono vantarsi di altrettanto? Ne presentiamo qualche squarcio
che
ne pardegno degli sguardi di un leggitore imparzi
ziale e sensibile. Veggasi in prima l’eleganza, l’energia e la verità
che
campeggia nella descrizione delle notturne inquie
si con qual tragica gravità ella esprima la delicatezza e sensibilità
che
avviva tutti i di lei concetti: Madre, io pur ve
del rifiuto ingiusto; E fia di peggio. E Torrismondo è questi, Questi
che
mi discaccia, anzi mi ancide, Questi ch’ebbe di m
rò schernita? Vivrò con tanto scorno? Ancor indugio? Ancor pavento? e
che
? la morte, o il tardo Morire? et amo ancor? ancor
rgogna il pianto? Che fan questi sospir? timida mano, Timidissimo cor
che
pure agogni? Mancano l’arme a l’ira, o l’ira a l’
Alvida moribonda e di Torrismondo addolorato. Ecco parte del racconto
che
se ne fa. … Il re trovolla Pallida
trovolla Pallida, esangue, onde le disse, Alvida, Alvida, anima mia,
che
odo, ahi lasso! Che veggio? ahi qual pensiero, ah
gravosa Ella rispose con languida voce. Dunque viver dovea di altrui
che
vostra, E da voi rifiutata?… Torrismondo giurand
la chiara luce Nel fior degli anni, e rispondea gemendo: In quel modo
che
lece io sarò vostra Quanto meco durar potrà quest
anto meco durar potrà quest’alma, E poi vostra morrommi. Spiacemi sol
che
il morir mio vi turbi, E vi apporti cagion d’amar
erchè l’estremo spirto Ne la bocca di lui spirava, e disse: O mio più
che
fratello, e più che amato; Esser questo non può,
to Ne la bocca di lui spirava, e disse: O mio più che fratello, e più
che
amato; Esser questo non può, che morte adombra Gi
disse: O mio più che fratello, e più che amato; Esser questo non può,
che
morte adombra Già le mie luci. Da poi ch’ella fu
or di Euripide ne’ riferiti tratti naturali, patetici e veri a segno
che
con ogni picciolo cambiamento si guasterebbero; p
lo cambiamento si guasterebbero; per non commuoversi nel leggerli (or
che
sarebbe rappresentandosi!); per resistere in somm
rappresentandosi!); per resistere in somma alle potenti perturbazioni
che
risvegliano, bisogna avere l’anima preoccupata o
Sante, o l’ignoranza de’ Carlencas, o la stupidità de’ nostri scioli
che
affettano nausea per tutto ciò che non è francese
, o la stupidità de’ nostri scioli che affettano nausea per tutto ciò
che
non è francese o inglese. Io non sono cieco ammir
se. Io non sono cieco ammiratore di questa buona tragedia di tal modo
che
non mi avvegga di varie cose che oggidì nuocerebb
di questa buona tragedia di tal modo che non mi avvegga di varie cose
che
oggidì nuocerebbero alla rappresentazione. Non si
ebbe ne’ fatti precedenti il bosco e l’altro delle ninfe incantatrici
che
servono di base al cambio di Rosmonda e di Alvida
i amorosi per indurre la figlia a maritarsi; della minuta numerazione
che
fa Torrismondo de’ giuochi da prepararsi per la v
o III, Dal freddo carro muover prima vedrem . Si bramerebbe in oltre
che
in certi passi lo stile non s’indebolisse. Tali c
conseguenza nulla pregiudicano alla sostanza ed al merito intrinseco
che
vi si scorge; ma vero è però che spogliato di tal
lla sostanza ed al merito intrinseco che vi si scorge; ma vero è però
che
spogliato di tali frondi spiccherebbe meglio la v
dia non tardò molto ad essere conosciuta in Francia per la traduzione
che
ne fece Carlo Vion parigino signor di Delibrai, c
per la traduzione che ne fece Carlo Vion parigino signor di Delibrai,
che
si stampò in Parigi nel 1626, e si ristampò nel 1
ta con pace del Linguet) il Torrismondo una delle produzioni italiane
che
diedero a’ Francesi le prime idee delle bellezze
Il Vicentino Giambatista Liviera di anni diciotto ebbe tanto di gusto
che
potè comprendere la bellezza dell’argomento del C
ell’argomento del Cresfonte di Euripide, e ne compose la sua tragedia
che
col medesimo titolo s’impresse in Padova nel 1588
felicità. In età assai giovenile compose in versi sdruccioli l’Altea
che
s’impresse nel 1556, e la Polissena, della quale
risse poi l’Astianatte in miglior metro stampato in Venezia nel 1589,
che
nel secolo XVIII s’inserì dal Maffei nel Teatro I
jani, tutto trovasi ammassato nell’atto I fatto da’ Giunone ed Iride,
che
è insieme prologo e parte dell’azione. Risparmiar
di Seneca nel bellissimo atto III delle Troadi, ma col miglioramento
che
l’azione è una, restringendosi alla sola morte di
ior naturalezza, e forse con robustezza minore. Ma bisogna confessare
che
nel l’atto IV l’Italiano rimane ben al di sotto d
ben al di sotto del Latino. Lascio tre versi d’Andromaca in occasione
che
il vecchio vuole imbrattare di sangue i cenci di
lità ed insipidezza priva di verità di gusto e di passione. Ma quello
che
più importa è che tutta la vaga scena di Seneca v
a priva di verità di gusto e di passione. Ma quello che più importa è
che
tutta la vaga scena di Seneca vi si vede malconci
romaca nella tragedia latina dissimulando e piangendo con Ulisse dice
che
il figliuolo è morto. Nell’Italiana Ulisse dice a
e dice che il figliuolo è morto. Nell’Italiana Ulisse dice alla prima
che
cerca Astianatte per menarlo ad esser sacrificato
o ad esser sacrificato, ed Andromaca atterrita esclama subito, Oimè!
che
religion crudele è questa? Che gran male hai tu d
ta questo, e vi minaccia questo? Queste sono esclamazioni imprudenti
che
contro al disegno di Andromaca debbono far conchi
tro al disegno di Andromaca debbono far conchiudere all’astuto Ulisse
che
Astianatte è vivo. Per la stessa ragione non dove
stianatte è vivo. Per la stessa ragione non doveasi appresso far dire
che
egli si è perduto, e che non si sa dove sia; ma c
stessa ragione non doveasi appresso far dire che egli si è perduto, e
che
non si sa dove sia; ma col tragico latino dirsi a
uto, e che non si sa dove sia; ma col tragico latino dirsi alla prima
che
è morto; perchè questa notizia bene accreditata d
o V non posso tralasciare di esaltare il giudizio di Torquato per ciò
che
soggiungo omesso nell’esame del Torrismondo. Egli
moderno, fa raccontare il suicidio di Alvida e Torrismondo a persone
che
non vi hanno il principale interesse. E come avre
ondella, e Valerio Fuligni di Vicenza. Il Mondella scrisse l’Issipile
che
s’impresse in Verona nel 1582. Il fatto storico d
gni dalla medesima invasione di Cipro trasse il suo Antonio Bragadino
che
nel 1585 la pubblicò dedicandola a Francesco M. I
de Orsilia sua moglie per isposare Acripanda, e fa esporre il bambino
che
ne avea avuto. Questo fanciullo è allattato da un
gridoro del Miari, la Tullia feroce di Pietro Cresci, ed alcun’ altra
che
si trova mentovata dal Quadrio. In esse vedesi ta
agici greci, e chi le svolgerà vi loderà non poche scene appassionate
che
tirano l’attenzione. A me non è permesso della lu
uni della di lui famiglia abitarono anche in Ravenna. Questa tragedia
che
s’impresse in Bergamo per Comin Ventura in quarto
oquenza, colla franchezza del dire e col giro e spezzatura del verso,
che
quel luogo che tiene l’Epido per l’orditura, la S
franchezza del dire e col giro e spezzatura del verso, che quel luogo
che
tiene l’Epido per l’orditura, la Sofonisba per l’
ssi. La notizia di questo secreto nodo mette la regina in tal furore,
che
medita la strage di Dirce e de’ figliuoli, e l’es
e e de’ figliuoli, e l’eseguisce in un sotterraneo. All’avviso fatale
che
ne riceve Nino si accoppia lo scoprimento che egl
aneo. All’avviso fatale che ne riceve Nino si accoppia lo scoprimento
che
egli fa di esser Dirce sua sorella. L’orrore e la
r Dirce sua sorella. L’orrore e la disperazione lo perturbano a segno
che
novello Oreste diventa matricida, indi trafigge s
miramide facendo le prime due scene dell’atto I, preparano al terrore
che
spazia in seguito per la reggia di Babilonia. Non
quanto ha disposto di Nino e di Dirce. Imposi (ella dice) a Simandio
che
dicesse A Nino ch’egli omai fosse disposto A mec
gli omai fosse disposto A meco unirsi in matrimonio, e ch’oggi Voglio
che
insiem celebriam le nozze, E che a questo non sia
irsi in matrimonio, e ch’oggi Voglio che insiem celebriam le nozze, E
che
a questo non sia risposta o scusa. A Dirce dissi:
a e culta, Ch’oggi sposa sarai di tal marito, Che a me grado ne avrai
che
tel destino. Prevede Imetra le vicine funeste co
aliena dal di lei stato, la quale fa ammirare l’arte del poeta senza
che
egli si discopra. Fralle altre cose cerca in tal
al guisa muoverla per l’ambizione e per la gloria: Ma tu, Semiramis,
che
in tutto il mondo Di gloria avanzi ogni famoso er
iramis, che in tutto il mondo Di gloria avanzi ogni famoso eroe….. Tu
che
figlia di dea ti chiami e sei E dea sembri negli
i negli atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole A
che
cerchi oscurarla? a che defraudi La fama? a che l
ante, Se la tua gloria gira al par del Sole A che cerchi oscurarla? a
che
defraudi La fama? a che le tronchi i più bei vann
ira al par del Sole A che cerchi oscurarla? a che defraudi La fama? a
che
le tronchi i più bei vanni? Qual Dio, qual legge
udi La fama? a che le tronchi i più bei vanni? Qual Dio, qual legge è
che
consenta al figlio Farsi consorte de la madre, e
ia nipote e figlio? Tutta traspare la feroce Semiramide nello sdegno
che
manifesta a tale ardito discorso. Non è ella una
gno che manifesta a tale ardito discorso. Non è ella una timida Fedra
che
ama insieme e paventa la vergogna di palesar l’am
vezza agli eccessi nè più ravvisandone l’orrore, afferma con baldanza
che
la ragione di stato soltanto la determina a siffa
delle leggi risponde: Quanto alle leggi, ogni dì nascon leggi; Ed io
che
posso, e mi conviene il farlo, Una faronne che da
dì nascon leggi; Ed io che posso, e mi conviene il farlo, Una faronne
che
da ora innanzi Lecito sia al figliuol sposar la m
metra; la regina non cangia parere, e la spinge a Dirce. Riflette poi
che
Imetra debba aver qualche secreto nel cuore contr
a Dirce, a lei, a Nino istesso, a quanti Colpa n’avranno, io mostrerò
che
importi Il macchinar contro il voler di donna Che
mmo interessante l’abboccamento di Dirce oppressa dal dolore con Nino
che
cerca consolarla. E ciò avremmo desiderato che Pi
sa dal dolore con Nino che cerca consolarla. E ciò avremmo desiderato
che
Pietro da Calepio avesse allegato per uno degli o
favola ingegnosa. E notabile nella scena quarta dell’atto II l’orrore
che
protesta Nino di avere per l’incesto, per cui si
lui disperazione per lo scioglimento. Nel medesimo atto si è disposto
che
Simandio vada francamente a scoprire alla regina
e con somma tranquillità ed allegrezza. Ma nell’equivoche espressioni
che
adopra, fa trasparire da lontano la perversità de
tetico. Udito in fine l’ammazzamento di Dirce Nino freme, non respira
che
vendetta, minaccia la madre, invano volendo Siman
e, invano volendo Simandio e Beleso farlo accorto della scelleraggine
che
medita. Egli va pur risoluto. Ma nell’atto V torn
to nel vuoto de i due atti. Il suo furore ha una specie di riposo. Or
che
ha egli fatto frattanto? Ha forse combattuto tral
come Anaferne si è sommerso nell’Eufrate, e la regina ha manifestato
che
Dirce era sua figlia. Ella ha sperato che tolta D
e la regina ha manifestato che Dirce era sua figlia. Ella ha sperato
che
tolta Dirce di mezzo altro ostacolo rimaner non d
Dirce di mezzo altro ostacolo rimaner non dovesse da vincere in Nino
che
quello del peccato; ma saprà Nino (ella dice per
e e sorella sua. Quale orrore non cagiona sì tremenda notizia a Nino
che
ha sempre mostrato spavento particolare per l’inc
ento particolare per l’incesto! Egli in prima va ripetendo le ragioni
che
accreditano la verità di tal notizia. A che (dic’
a va ripetendo le ragioni che accreditano la verità di tal notizia. A
che
(dic’egli) avrebbe ella Chiamata Dirce da sua ma
ssa sì l’avria liberamente Ad Anaferne, non l’essendo figlia? Ma quel
che
importa più, l’Armenia in dote? Non si dan regni
dote. Oltre di ciò facea ridendo un attoa Che la regina il fa sempre
che
ride. Nè il vidi mai che non scemasse molto Il pi
ridendo un attoa Che la regina il fa sempre che ride. Nè il vidi mai
che
non scemasse molto Il piacer ch’io prendea d’esse
o il linguaggio di un dolor disperato, seguendo Torquato anche in ciò
che
in esso si riprende, fa rivolger Nino a parlare a
a fortuna: lascia pur ch’io mora…. Sai ch’anzi eleggeva Il parricidio
che
l’incesto, e vuoi Ch’or viva incestuoso e parrici
o, e vuoi Ch’or viva incestuoso e parricida? Tu non m’ami se il vuoi:
che
se per questo Morta è mia madre, i miei figliuoli
n voce Singhiozzò, chiuse i lumi, e spirò l’alma. Bisogna confessare
che
questa Semiramide per uguaglianza, nobiltà e gran
vano in traccia di mostrarsi poeti quando meno abbisognava, può dirsi
che
Muzio ne sia stato esente. Invano la censurò il s
ell’invidia e della pedanteria; e se in vece di criticarla i pedanti,
che
sono alle lettere quel che è la rugine al ferro,
ria; e se in vece di criticarla i pedanti, che sono alle lettere quel
che
è la rugine al ferro, si fossero dedicati a rilev
re quel che è la rugine al ferro, si fossero dedicati a rilevarne ciò
che
avea di migliore per additarlo alla gioventù, for
erà dove si ami la poesia tragica? E chi potrà dubitarne? Certo niuno
che
l’abbia letto, che comprenda in che sia posto il
poesia tragica? E chi potrà dubitarne? Certo niuno che l’abbia letto,
che
comprenda in che sia posto il vero merito di un c
chi potrà dubitarne? Certo niuno che l’abbia letto, che comprenda in
che
sia posto il vero merito di un componimento tragi
mprenda in che sia posto il vero merito di un componimento tragico, e
che
non serbi in seno un interesse contrario alla ver
ragico, e che non serbi in seno un interesse contrario alla verità. E
che
mai (mi si permetta il dirlo) che mai spinse il s
interesse contrario alla verità. E che mai (mi si permetta il dirlo)
che
mai spinse il signor Giovanni Andres ad affermare
ffermare con mirabile franchezza de’ drammi Italiani del cinquecento,
che
la freddezza e la lentezza dell’azione or ne ren
zza e la lentezza dell’azione or ne rendono stucchevole la lettura, e
che
affatto intollerabile ne renderebbero la rapprese
qualche esperienza, onde senza taccia di leggerezza potesse affermare
che
ne sarebbe intollerabile la rappresentazione ? V
sta è storia ancora. Non seppe questi fatti il signor Andres, ovvero (
che
sarebbe peggio) gli volle dissimulare? Sarebbe a
vero (che sarebbe peggio) gli volle dissimulare? Sarebbe a desiderare
che
la bell’opera di questo erudito gesuita Spagnuolo
ento su qualche particolarità istorica della Semiramide notisi ancora
che
il Manfredi è stato il primo in Europa a recare s
enza, vigore ed eloquenza scolpiti i caratteri e animate le passioni,
che
ha invitati i posteri a contar la Semiramide tra
i posteri a contar la Semiramide tra gli argomenti teatrali. Quindi è
che
il Capitano Virues e don Pedro Calderòn de la Bar
ttosto determinati dalla tragedia del Manfredi abbigliata alla greca,
che
da’ gotici drammi del Virues e del Calderòn. Al
zzata a Gabriello Bambasi altro parmigiano accademico Innominato dice
che
pubblichi le sue tragedie la Lucrezia e l’Alidoro
. In fine nella 346 scritta al signor Muzio Sforza a Venezia desidera
che
gli si mandi un esemplare della traduzione di Gir
avendo saputo di essersi stampata. Debbo a queste notizie aggiugnere
che
a quel tempo vi furono altre due tragedie di penn
Segni, e le Fenicie di Euripide tradotta in latino da Pietro Vettori,
che
con altre di lui produzioni pur manoscritte si tr
eggitori alla Drammaturgia, all’opera del Quadrio, ed a qualche altro
che
si ha presa la cura di spolverarli nelle bibliote
ti del medesimo periodo. Tra essi possono togliersi dalla folla i due
che
soggiungo, perchè ridotti alle leggi della vera t
rgagli pubblicato in Venezia nel 1600. Il nome di Giammaria Cecchi fa
che
rammentiamo ancora l’Esaltazione della Croce di l
esso il Martelli nel 1592. Alcune tragedie Cristiane perdute si vuole
che
scrivesse ancora il benedettino mantovano Teofilo
rtificio in due grossi volumi di Lezioni sulla Poetica di Aristotile,
che
trovansi manoscritti nella ducal Biblioteca di Pa
a morte dell’autore. Ma la Merope s’impresse prima del 1591, per quel
che
ne scrisse il prelodato Muzio Manfredi a’ 18 di g
lodato Muzio Manfredi a’ 18 di gennajo di quell’anno. Ora (egli dice)
che
il signor conte Pomponio Torelli vi ha fatta la s
vi si disviluppa il di lui tirannico sistema e la ragion della forza
che
giustifica le scelleraggini. Ecco in qual guisa a
enta contro del Capitano della sua guardia: Le leggi e ’l giusto, di
che
tanto parli, E per parlarne assai poco ne intendi
essi le fanno, Ch’essi all’opera lor fosser soggetti. Ma quella legge
che
in diamante saldo Scrisse di propria man l’alma n
tremano i potenti, A questa sola ogni gran re s’inchina. Ella comanda
che
colui prevaglia, Che di genti, di forza, e di con
iglio, Di stato e di ricchezze gli altri avanzi. Che mal si converria
che
un uom sì degnon Obedisse a chi men di lui potess
a che un uom sì degnon Obedisse a chi men di lui potesse. Di maniera
che
l’ingiustizia mai non trascura di prevalersi a su
i accenna: ei la bipenne Alzando, disse: o sommo Giove, prendi Questo
che
per mio scampo t’offerisco. Ciò detto a Polifonte
, prendi Questo che per mio scampo t’offerisco. Ciò detto a Polifonte
che
rivolto Mirava fisso la regina nostra, Con improv
i fedele amante: se tutto ciò, dico, non contrastasse con tanti pregi
che
vi si osservano, potrebbe questo componimento con
o componimento contarsi tra gli eccellenti. Ma quanto al metodo greco
che
vi si tiene, ed al coro continuo che spesso nuoce
lenti. Ma quanto al metodo greco che vi si tiene, ed al coro continuo
che
spesso nuoce a’ secreti importanti della favola,
le quali per altro debbono esserci care essendo del numero di quelle
che
si allontanano dagli argomenti greci, e dipingono
azione nel Cinquecento divenne più ricco il teatro con gli argomenti,
che
i Greci e i Latini non ebbero, della Sofonisba, d
meriti non ebbe ragione il chiarissimo Saverio Bettinelli di asserire
che
aliora surse e giunse al colmo la tragica lette
oi da’ Francesi e da Spagnuoli, con molto maggior minutezza e povertà
che
non aveano i nostri mostrata nell’imitazione de’
colo, tolte le pastorali del Tasso e del Guarino, un poema drammatico
che
meritasse lo studio delle altre nazioni. Quanto
elle altre nazioni. Quanto è difficile entrare a sentenziare di cose
che
non sono della competenza di chi si arroga l’auto
on per altro, per la cultura, proprietà, purgatezza della loro lingua
che
a que’ tempi rifioriva? E pure il signor Andres s
a proporre al l’imitazione de’ moderni. La Spagna fu la prima nazione
che
abbracciasse l’esempio dell’Italia. Imitar dunq
per tante città, quando il rimanente dell’Europa altro quasi non avea
che
farse mostruose in lingue tuttavia rozze e barbar
arre talora con più recenti colori le bellezze de’ greci esemplari? E
che
pedanteria ed affettazione transalpina è quella d
moderni si sarebbero innoltrati sino all’odierna delicatezza di gusto
che
rende ingiusti ed altieri ancor certuni che non s
erna delicatezza di gusto che rende ingiusti ed altieri ancor certuni
che
non saprebbero schicchererare una sola meschina s
r certuni che non saprebbero schicchererare una sola meschina scena e
che
pur sono i più baldanzosi a render giustizia e a
evoir un joug qui paraissait si sèvère ? Non doveva sovvenirsi di ciò
che
fecero gl’Italiani un secolo e mezzo prima di Cor
duttor delle regole tra’ Francesi? Non pensò, ciò scrivendo, a quello
che
erano nel XVI secolo nella drammatica i snoi nazi
nel XVI secolo nella drammatica i snoi nazionali? Non fu egli stesso
che
disse. Pour les Français (nel XVI secolo) quels
le, les pièces de Chrètien et de Hardis. Conviene intanto osservare
che
i sopralodati ingegni Italiani, benchè per far ri
iarono quasi totalmente di quella musica, qualunque essa siesi stata,
che
in Grecia l’accompagnò costantemente. Si contenta
’intero spettacolo di quella nazione con tutte le circostanze locali,
che
a’ nostri parvero troppo aliene da’ tempi e da’ p
le loro penne. Ma per essere stata spogliata della musica dovea dirsi
che
la tragedia moderna non sia tale? E pure anche qu
Mattei ornamento del paese ammaestrato da Pitagora. Questa (dicea)
che
noi chiamiamo tragedia, è una invenzione de’ mode
enzione de’ moderni ignota del tutto agli antichi. Crede egli dunque
che
il canto esclusivamente la costituisca tragedia?
? Con sua buona pace egli s’inganna. Dessa è tale per l’azione grande
che
chiama l’attenzione delle intere nazioni, e non g
la giudiziosa diffinizione di Teofrasto), per le passioni fortissime
che
cagionano disastri e pericoli grandi, e pe’ carat
sopra della vita comune. Per tali cose essenziali le greche tragedie
che
noi leggiamo, si chiamano così, e non già perchè
le ed Eschilo non sono meno tragici nella lettura e nella nuda recita
che
in una rappresentazione cantata. Ora i nostri imi
e cantata. Ora i nostri imitarono la tragedia greca appunto in quello
che
ne costituisce l’essenza; mostrando con ciò quell
uello che ne costituisce l’essenza; mostrando con ciò quella saviezza
che
loro non supponeva il Mettei; il quale osò ancora
ci Tragici) lavorare le loro tragedie all’uso de’ Greci, senza sapere
che
fossero le greche tragedie. Un Torquato Tasso! u
Trissino! Uno Sperone Speroni! E sa il signor avvocato Mattei quello
che
dice egli stesso? E come non seppero essi che cos
avvocato Mattei quello che dice egli stesso? E come non seppero essi
che
cosa fossero le tragedie greche? Non furono i pri
furono i primi nostri scrittori, specialmente nel Cinquecento, quelli
che
mostrarono al l’Europa l’erudizione del greco tea
’Europa l’erudizione del greco teatro? Non insegnarono essi tutto ciò
che
poi si è ripetuto in altre o simili guise al di l
ò che poi si è ripetuto in altre o simili guise al di là da’ monti? E
che
si è scoperto di più a’ giorni nostri? Qual ripos
rcano ci ha rilevato la singolare erudizione di Saverio Mattei? Fòrse
che
la tragedia e la commedia greca si cantava? Ma qu
iate si è ciò ripetuto a sazietà intorno a tre o quattro secoli prima
che
nascesse don Saverio! a. Nel Prologo del Tomo V
uita Lampillas il giudizio del Varchi dichiarato nemico del Trissino,
che
nelle sue Lezioni biasimava la locuzione della So
ino, che nelle sue Lezioni biasimava la locuzione della Sofonisba (di
che
vedasi il citato articolo V del nostro Discorso S
i ed imitazioni francesi della Sofonisba, quella di Mairet fu l’unica
che
si sostenne lunga pezza in teatro, ed, al dir di
tazione del Trissino si videro osservate le regole delle tre unità, e
che
servì per ciò di modello alla maggior parte delle
e servì per ciò di modello alla maggior parte delle tragedie francesi
che
vennero dopo. Si verifica in ogni passo letterari
e francesi che vennero dopo. Si verifica in ogni passo letterario ciò
che
sostennero Guiglielmo Budeo, Fleury, Voltaire ec.
rario ciò che sostennero Guiglielmo Budeo, Fleury, Voltaire ec. e ciò
che
Carlo Duclos nel III vol. dell’Istoria di Luigi X
Paragone della tragica Poesia nel capo IV; art. II. a. Nel discorso
che
fa la Tragedia impresso dopo l’Orbecche. a. Fu q
erò in Francia, dove così bene incontrò la grazia del re Francesco I,
che
n’ebbe cariche onoratissime e premii considerabil
intorno alla Tragedia Italiana, Egli osserva sull’Adriana del Groto,
che
porta la data di novembre del 1578, e prendre il
l Groto produssero la Giulietta e Romeo del Shakespeare. a. Vedi ciò
che
ne dice il conte di Calepio nell’articolo V del c
i si perderebbe a confutare un superficiale scarabocchiatore di carta
che
parla de’ Greci e de’ Latini come un assonnato, e
iatore di carta che parla de’ Greci e de’ Latini come un assonnato, e
che
del Teatro Italiano altre notizie confessò di non
lmam in re litteraria sibi vindicare possint. a. Si vuol riflettere
che
il Tasso medesimo non era appieno contento della
ua tragedia, e vi andava facendo di mano in mano giunte e correzioni,
che
poi spedì a Bergamo in due fogli a Licino. L’accu
ale. Siamo pur giunti all’epoca vera, in cui la musica e la danza (
che
tanto diletto recavano ne’ cori teatrali ed in al
musica si conservava nelle chiese, ed accompagnava la danza e i versi
che
ne’ caroselli solevano cantarsi su’ carri ed altr
delle pastorali, ed anche i tramezzi delle commedie non meno in versi
che
in prosa. Il favorevole accoglimento fatto alla m
ecie di poesia rappresentativa, la quale avesse certe e proprie leggi
che
in varie cose la rendessero differente dalla trag
dalla tragedia e dalla commedia. Dovè dunque concepirsi di tal modo,
che
le macchine per appagare la vista, l’armonia per
a per dilettar l’udito, il ballo per destare quella grata ammirazione
che
ci tiene piacevolmente sospesi, e gli armonici, g
nte colla poesia anima del tutto, non già qualunque o simile a quella
che
si adopera in alcune feste, ma bensì drammatica
lle parole del più erudito filosofo e dell’uomo di gusto più squisito
che
abbia a’ nostri giorni ragionato dell’opera in mu
ttere sul teatro moderno Melpomene accompagnata da tutta quella pompa
che
a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle cor
l Saggio sopra l’opera in musica. Egli de i drammi del Rinuccini dice
che
furono i primi che circa il principio della tras
ra in musica. Egli de i drammi del Rinuccini dice che furono i primi
che
circa il principio della trascorsa età sieno stat
resentazione posta in musica dallo Zarlino per Errico III in Venezia,
che
uno sbozzo e quasi un preludio dell’Opera . Non
l’Opera . Non si sarebbero mai immaginato i moderni Anfioni teatrali,
che
i primi Cantanti, ovvero istrioni musicali, sieno
di cappella, animato dalla felice unione della musica e della poesia
che
osservò in tante feste e cantate e ne’ cori delle
in quarto, e di note musicali corredato dal medesimo autore. Sia poi
che
il nobile fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale
inseparabile in un componimento eroico e meglio ragionato, ovvero sia
che
le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dott
e idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti amici sopravvenissero, senza
che
essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo c
vvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo
che
il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Co
ll’Aretusa altro dramma del Rinuccini. Non per tanto osserva il Baile
che
Giacomo Rilli nelle Notizie intorno agli uomini i
che altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate
che
non erano drammatiche, ma unicamente attribuire i
a si fermasse talvolta dando luogo al nudo recitare: egli è manifesto
che
l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e ch
: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e
che
si dee riconoscere come inventore dell’opera buff
ia o eroica il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica
che
, secondochè ben disse sin dal 1762 l’Algarotti,
sogliono rimproverare all’Italia questo genere difettoso a lor parere
che
manda a morir gli eroi cantando e gorgheggiando a
e che manda a morir gli eroi cantando e gorgheggiando a. Bisogna dire
che
questi sieno i pretti originali degli Eruditos à
s à la violeta dell’ingegnoso nostro amico Joseph Cadhalso y Valle, e
che
appena leggono pettinandosi alcuni superficiali d
leggono pettinandosi alcuni superficiali dizionarii o fogli periodici
che
si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua
li periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua, e
che
con tali preziosi materiali essi pronunziano con
con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral franchezza
che
il canto rende inverisimili le favole drammatich
e drammatiche . Come risponderemo loro per porli nel dritto sentiero?
che
le antiche tragedie e commedie altro non erano ch
l dritto sentiero? che le antiche tragedie e commedie altro non erano
che
una specie di operaa? Ma bisognerebbe prima di og
i operaa? Ma bisognerebbe prima di ogni altra cosa far loro intendere
che
cosa importasse appo gli antichi orchestra, timel
e, serrane, e modo Frigio, Ipofrigio, Lidio, delle quali cose è forza
che
essi non abbiano mai avuta veruna idea. Diremo ch
quali cose è forza che essi non abbiano mai avuta veruna idea. Diremo
che
il canto è una delle molte supposizioni ammesse i
vaporato cervellino mal sosterrebbe il travaglio di analizzar le idee
che
sono concorse alla formazione degli spettacoli te
partito più proprio per la loro capacità rimandandogli a leggere ciò
che
in tal quistione scrisse giudiziosamente il signo
aver somministrati a’ Francesi tanti buoni componimenti scenici prima
che
conoscessero Lope de Vega, e Guillèn de Castro; p
almente per L’origine data al moderno melodramma comico ed eroico. Or
che
cosa fecesi in tal secolo dagli oltramontani? a
i in tal secolo dagli oltramontani? a. Un nostro critico sosteneva,
che
la musica è totalmente straniera all’arte poetic
musica è totalmente straniera all’arte poetica . Io per altro penso,
che
la poesia e la musica sieno nate gemelle. L’imita
non recitiamo versi senza una specie di canto, oltre alla musica vera
che
ebbero i nostri madrigali, le ballate, le canzoni
i in musica. a. Muratori Perfetta Poesia libro III. a. Ne incresce
che
tra’ nominati stranieri critici dell’opera vada a
e d’armonia duello, E cantando s’azzuffa e muor cantando. Credo però
che
questo nostro pregevole letterato abbia voluto bi
osse scritta come si conviene, non vi sarebbe maggior disconvenienza,
che
uno morisse cantando, che vecitando versi . a.
ene, non vi sarebbe maggior disconvenienza, che uno morisse cantando,
che
vecitando versi . a. Castelvetro, Patrizio, Nor
moni di Platone, Aristotile, Ateneo, Donato, Luciano, Tito Livio ecc.
che
gli antichi drammi si cantavano. Essi non discord
ecc. che gli antichi drammi si cantavano. Essi non discordano se non
che
circa il modo. b. Questo è quello che giammai n
o. Essi non discordano se non che circa il modo. b. Questo è quello
che
giammai non seppero osservare tanti critici perio
oltramontani, i quali inveiscono contro l’opera Italiana. Il diletto
che
partoriscono le favole poetiche proviene dalla do
, essendo essi obbligati ad imitare non a copiare il vero, in maniera
che
non perdano di vista ne’ loro lavori la materia p
ga temerità (aggiugne) sarebbe quella di un pittore anche eccellente,
che
ai divini contorni dell’Ercole di Glicone, e del
r la poesia a forza di analizzarla, e ridurla a un certo preteso vero
che
gli fa inviluppare in un continuo ragionar fallac
re a loro posta per confinar la drammatica a questo vero immaginario,
che
essi dureranno la vana fatica delle Danaidi, e no
i tutte le imitazioni poetiche certamente la rappresentativa è quella
che
più si appressa alla verità, e pure in quante gui
ese, Baron, Riccoboni, Zanarini, Garrick, la Battagli, la Landvenant,
che
ogni dì cangiano nomi, affetti, e costumi? Non co
dvenant, che ogni dì cangiano nomi, affetti, e costumi? Non comprende
che
il fasto, le pompe, le gemme, onde si adornano gl
onde si adornano gli attori, sono apparenze senza valore? Non intende
che
quella reggia, quel tempio, quella città che onde
enza valore? Non intende che quella reggia, quel tempio, quella città
che
ondeggia in prospettiva, è una tela dipinta? Per
adira, seguendo i movimenti, e le passioni de’ personaggi imitati? Ma
che
altro produce in tutti i secoli, e in tutti i pae
sti gazzettieri, e declamatori sedicenti filosofi dell’universo? Dopo
che
io ebbi queste medesime cose surriferite espresse
ebbi queste medesime cose surriferite espresse nella Storia de Teatri
che
pubblicai in un volume nel 1777, le vidi con piac
li accolte diversamente, avendole (siccome avviene di un umore stesso
che
in seno della serpe divien veleno, e dell’ape si
io Lampillas, ma in un modo così grazioso nel suo Saggio Apologetico,
che
mi diede motivo di rilevare la piacevolezza delle
on y trage, Ygual perdon al canto no concede? Il Signor Yriarte anzi
che
dissimular ciò che avea letto nel mio libro, e po
erdon al canto no concede? Il Signor Yriarte anzi che dissimular ciò
che
avea letto nel mio libro, e porsi nella classe de
classe de’ plagiarii, avrebbe potuto citarlo con ingenuità mostrando
che
i ragionatori di diverse nazioni concorrono nel m
e pedantesche. S’ingannò egli però nell’asserire nel citato squarcio
che
lo spettatore non concede ugual perdono al canto.
greci, e i filosofi e i grand’uomini di allora, i Socrati e i Pericli
che
vi assistevano, non mai dissero con cuore di ghia
n mai dissero con cuore di ghiaccio, come ora dicono i filosofastri,
che
improprietà! che stravaganza! vanno gli uomini a
cuore di ghiaccio, come ora dicono i filosofastri, che improprietà!
che
stravaganza! vanno gli uomini a morir cantando?
elmi, animano il canto e la poesia con quella vivace rappresentazione
che
tutto avviva, e gli animi tutti scuote e commuove
eggi e le volate la Bandi o il Pacchiarotti? Legge egli, per esempio,
che
l’ambizioso e innamorato Aquilio, il quale usa og
uale usa ogni arte per rompere la corrispondenza di Sabina, al vedere
che
l’amor novello di Adriano e gli sdegni di Sabina
tono per lui, prevede la propria vittoria; ma si dispone ad attendere
che
si maturi, e ad usar tutta l’arte di un esperto s
midore, il quale esamina il nemico, frena l’ira ed aspetta il momento
che
lo renda vincitore. Chiunque voglia far uso della
ostanze ove si trova? E di ciò contento, non si sovviene della musica
che
accompagna questo sentimento. Se ne sovviene vera
accompagna questo sentimento. Se ne sovviene veramente lo spettatore
che
è sul fatto, ma non altrimente che si sovviene de
e sovviene veramente lo spettatore che è sul fatto, ma non altrimente
che
si sovviene del verso, del musico, delle false ge
e come esige il suo stato? Del verso e del canto siamo già convenuti
che
servir debbono di mezzi per dilettarmi. Questo ra
re ragionevole penserebbe a cantar neppur sognando questo sentimento,
che
è una massima fredda . Ma egli forse non volle ve
sentimento, che è una massima fredda . Ma egli forse non volle vedere
che
Aquilio si vale di questa immagine come di un par
glia anzi idee marziali, e manifesta un contrasto di calore e di brio
che
Aquilio ben comprende che gli fa uopo contenere,
manifesta un contrasto di calore e di brio che Aquilio ben comprende
che
gli fa uopo contenere, ed il maestro di musica ch
ilio ben comprende che gli fa uopo contenere, ed il maestro di musica
che
ragiona dritto, saprebbe coll’armonia animar ques
a con fare scoppiare il colpo ben regolato e mostrarne la conseguenza
che
è il trionfo che tutto riempie il cuor d’Aquilio.
are il colpo ben regolato e mostrarne la conseguenza che è il trionfo
che
tutto riempie il cuor d’Aquilio. Oh quanti affett
da Imitare trova un bravo artista là dove un critico gelato non vede
che
fredde massime! Ma se non dee cantarsi quest’imma
ee cantarsi quest’immagine piena di affetti attivi, tuttochè sappiasi
che
i Greci animarono colla musica tutta una tragedia
a. Si canterà un lamento amoroso di una pastorella? Ma una pastorella
che
colle parole pianga l’amante morto o lontano e co
sica, o cantandolo lo tradirò io stesso. Non vi sarebbe altro rimedio
che
limitar la musica a i semplici concerti, e più no
Per altro se m. Sulzer taccia a torto di puerilità il più grand’uomo
che
abbia illustrato il teatro musicale, non ha poi t
bia illustrato il teatro musicale, non ha poi torto allorchè afferma,
che
l’opera merita d’essere riformata; e tengo anch’i
fermo (nè ciò pregiudicherà punto alla gloria del gran poeta Romano)
che
il melodramma non ha tuttavia la sua vera e perfe
ogressi, e cangiamenti del Contrappunto. [1] La universale ignoranza
che
oppresse l’Italia dopo la venuta de’ barbari, com
i recasse a tutte le arti e le scienze, di niuna fece peggior governo
che
della musica. Le cagioni di cotal singolarità son
lla musica. Le cagioni di cotal singolarità sono assai chiare. Avanti
che
la religione cristiana succedesse per divino cons
l gentilesimo, il fior della musica antica si ritrovava o negli inni,
che
cantavansi a’ falsi numi ne’ loro templi, o nelle
a’ falsi numi ne’ loro templi, o nelle drammatiche rappresentazioni,
che
si facevano nei teatri. Ora in niuno di cotai luo
strumenti, i quali il disagio loro, e la povertà mal comportavano, e
che
avrebbero col romore il solitario loro ritiro age
, qualora non vogliamo con siffatto nome chiamare il canto de’ salmi,
che
poco differiva dalla pronunzia ordinaria, o quell
i, che poco differiva dalla pronunzia ordinaria, o quello degli inni,
che
eseguivasi a due cori da’ Terapeuti, spezie di mo
che eseguivasi a due cori da’ Terapeuti, spezie di monaci orientali,
che
da alcuni eruditi sono stati, non so se con tutta
e confuse, non potevano far ispiccare il canto loro in altra maniera,
che
rinforzando il suono delle vocali per nasconder a
ento unito alla più lunga dimora della voce sulle rispettive sillabe,
che
ne era una conseguenza, fece rallentar tutti i’ t
rre più lungo intervallo tra i passaggi non meno di sillaba a sillaba
che
di suono a suono, e alterar così la durata de’ te
, e alla prosodia i suoi piedi: si smarrì ogni idea di poetico ritmo,
che
aggiugnea cotanta forza alla melodia, e si perdet
giugnea cotanta forza alla melodia, e si perdette la misura musicale,
che
era colla prosodia, e col ritmo strettamente cong
egli antichi invece del quale nuova poesia successe barbara, e rozza,
che
tutta la sua vaghezza traeva dal definito numero
a, e lenta di passaggi spogliati d’ogni dolcezza, senz’altra melodia,
che
quella che poteva nascere dalla forza, e dalla du
di passaggi spogliati d’ogni dolcezza, senz’altra melodia, che quella
che
poteva nascere dalla forza, e dalla durazione de’
ltri popoli dell’Europa. Infatti nelle lettere di Casiodoro si legge,
che
Clodoveo conquistatore delle Gallie, desiderando
la sua orte. Teodorico il compiacque, mandandogli uno de’ più valenti
che
vi fossero, e soggiungendo che glielo spediva aff
acque, mandandogli uno de’ più valenti che vi fossero, e soggiungendo
che
glielo spediva affinchè «temperasse colle soavi m
ca, aveano parimenti perduti molti segni musicali, ovvero siano note,
che
usavano i Greci. Sant’Ambrogio ampliò il canto fe
dire canto ecclesiastico usato nella chiesa fin dai primi secoli: lo
che
ei fece raccogliendo gli scarsi ma pregievoli fra
o per la naturale sua semplicità era più atto a commuovere di quello
che
sia la sfoggiata pompa della musica presente. Ne
giata pompa della musica presente. Ne faccia testimonianza il pianto,
che
il canto ambrogiano espresse dagli occhi di Sant’
gettando molte cantilene parte venute dai barbari, e parte licenziose
che
dalla musica effemminata dell’Oriente s’erano pro
pa e magnificenza San Vitaliano, istituendo un coro di mutici romani,
che
italiani furono detti dall’istitutore loro, come
i, zotici, e somiglianti ai bruti animali. La disputa divenne sì viva
che
lo stesso Imperador Carlo Magno dimorante allora
to da lui, né può attribuirsi la condotta di Carlo in tal circostanza
che
a somma venerazione per le cose di Roma, e forse
che a somma venerazione per le cose di Roma, e forse anche al bisogno
che
aveva di amicarsi i Romani per assicurar maggiorm
no accrebbe gran lustro alla musica ecclesiastica. L’antico scrittore
che
racconta il dissidio tra Francesi e Romani, dice
antico scrittore che racconta il dissidio tra Francesi e Romani, dice
che
Adriano Pontefice mandò in Francia maestri i qual
ganare in arte organandi. Il Muratori da tai parole pretende ricavare
che
l’organo fosse molto tempo avanti conosciuto in I
l basso secolo non vuol dire suonar l’organo, né fabbricarlo, né cosa
che
s’assomigli: significa inserire alcune terze nel
progresso del canto fermo cantato all’unisono in maniera per esempio
che
mentre una parte del coro cantava queste quattro
a musica giacque nell’estremo avvilimento affidata a musici imperiti,
che
credevano di seguitar Boezio senza comprenderlo,
pronunziavano a caso delle parole non intese da loro senz’altro aiuto
che
la memoria, né altra regola d’intuonazione che il
loro senz’altro aiuto che la memoria, né altra regola d’intuonazione
che
il loro rozzo ed imbarbarito orecchio. Guido Aret
ro rozzo ed imbarbarito orecchio. Guido Aretino monaco della Pomposa,
che
fiorì dopo il mille, è in que’ tempi tenebrosi ci
della Pomposa, che fiorì dopo il mille, è in que’ tempi tenebrosi ciò
che
nel mare agli occhi de’ naviganti smarriti è una
brosi ciò che nel mare agli occhi de’ naviganti smarriti è una torre,
che
veggasi biancheggiar da lontano. Egli vien credut
a gran fama acquistatasi, e la scarsezza dei monumenti hanno fatto sì
che
attribuite gli vengano tutte le scoperte delle qu
iani coi loro Teutes, e col loro Mercurio. Niuno, cred’io, pretenderà
che
mi trattenga a tutte narrarle minutamente, potend
narrarle minutamente, potendosi ciò ampiamente vedere in altri autori
che
ne parlano più di proposito; aggiugnerò bensì, ch
re in altri autori che ne parlano più di proposito; aggiugnerò bensì,
che
gran parte di esse scoperte non hanno altro fonda
o se non quello appunto della comun tradizione. Si dice, per esempio,
che
Guido fosse il primo a inventar le righe, e a col
i e righe, come di cose note e non mai inventate da lui, egli è certo
che
si trovano csempi dell’uno e dell’altro fin dai s
li aggiugnendo al diagramma, ovvero sia scala musicale degli antichi,
che
costava di quindici corde, la senaria maggiore, a
mpliato per consequenza il sistema. Ma oltrachè una falsità è il dire
che
il sistema musicale dei Greci non avesse se non q
a musicale dei Greci non avesse se non quindici suoni, essendo chiaro
che
le pretese aggiunte del monaco italiano altro non
che le pretese aggiunte del monaco italiano altro non avrebber fatto
che
restituire il diagramma alla sua antica estension
e ad uguagliarlo, come dimostra evidentemente il Meibomio 24, certo è
che
siffatta restituzione o ritrovamento non è di Gui
ando le diverse combinazioni in cui esse note possono collocarsi: ciò
che
s’appella propriamente solfeggiare; ma per testim
monumento si ricava aver egli fabbricato o inventato altro strumento
che
è una spezie di monocordo armonico, come egli ste
, le note a’ tempi di Guido Aretino e dopo lui non servivano ad altro
che
a segnar colla posizione loro i gradi, e le diffe
n quanto alla durata, né ricevevano a questo riguardo altra diversità
che
quella delle sillabe lunghe o brevi del linguaggi
o in una nota rispetto all’altra, e ciò si fece colla diversa figura,
che
si diè ad esse note, la quale segnava il loro ris
si diè ad esse note, la quale segnava il loro rispettivo valore; dal
che
ebbero origine la massima, la lunga, la breve, la
el medesimo Muris, il quale nel suo libro intitolato Speculum musica,
che
si conserva inedito fra i manoscritti della Real
’ suoi tempi. A chiunque sia versato nella teoria musicale è ben noto
che
il modo suppone il valor delle note, poiché quell
Ora il Muris in una copia del citato codice veduta da me, ci insegna
che
«gli antichi dicevano esser cinque i modi», intor
no del secolo XIV, il quale fece un lungo comento al libro del Muris,
che
si conserva inedito fra la raccolta di monumenti
sistenti nella libreria dei RR. PP. conventuali di Bologna, soggiugne
che
siffatta opinione circa il numero dei modi era co
attribuisce a lui l’usanza di lasciar ne canto imperfette le brevi. O
che
dunque il valor delle note sia stato ritrovato da
O che dunque il valor delle note sia stato ritrovato dal Francone, o
che
riconoscasi per inventore Guglielmo Mascardio, o
dal Francone, o che riconoscasi per inventore Guglielmo Mascardio, o
che
debbasi, come io fortemente sospetto, risalir anc
io fortemente sospetto, risalir ancora a’ tempi più antichi, certo è
che
il Muris non ebbe parte in così fatta scoperta. n
a quale non può trovarsi né canto regolare né melodia, siccome quella
che
serve a dividere i tempi esattamente, a far valer
un ordine a1 tutto, come fa la fintassi grammaticale nel discorso, e
che
dal valor delle note principalmente deriva. Egli
a. «I moderni», dice, «usano presentemente di misura molto tarda». Lo
che
è un indizio manifesto che avanti a lui si conosc
o presentemente di misura molto tarda». Lo che è un indizio manifesto
che
avanti a lui si conosceva. Non sarebbe inverosimi
zio manifesto che avanti a lui si conosceva. Non sarebbe inverosimile
che
gl’Italiani l’avesser trovata, sì perché non semb
ile che gl’Italiani l’avesser trovata, sì perché non sembra probabile
che
avesser musica da tanto tempo senza conoscer quel
obabile che avesser musica da tanto tempo senza conoscer quelle cose,
che
sono indispensabili a ben regolarla, come perché
o di quel monaco, vi si scorgono chiaramente i semi di tante scoperte
che
si riferiscono comunemente a’ tempi più tardi. [6
urità circa il tempo delle invenzioni, e degli inventori? Si risponde
che
ciò è provenuto dalla natura dei secoli dediti al
ava della loro utilità: dal niun commercio tra popoli confinanti, non
che
tra i lontani, onde avveniva che i nuovi ritrovat
commercio tra popoli confinanti, non che tra i lontani, onde avveniva
che
i nuovi ritrovati nelle scienze e nelle arti, o s
astica cerimonia, cui bastava aggiugnerne quello soltanto, e non più,
che
richiedevasi per soddisfar al bisogno: dalla manc
luoghi trasmettere, e di render note le proprie invenzioni. Talmente
che
nulla v’ha di più comune in quei tempi quanto l’a
comune in quei tempi quanto l’attribuire ad un autore delle scoperte
che
poi con più diligente ricerca si ritrova esser di
volentieri la storia dei secoli barbari all’orizzonte. Lo spettatore,
che
vede da lontano unirsi la terra col cielo, crede
. Lo spettatore, che vede da lontano unirsi la terra col cielo, crede
che
colà siano posti i limiti del mondo, ma a misura
asso, l’illusione sparisce, e più non vi si trova il confine. [7] Che
che
sia di ciò, quantunque siffatto ritrovato incontr
e l’arte del contrappunto. Altre varietà s’introdussero prima, e poi,
che
non a breve saggio come questo è, ma a più lunga
nella storia filosofica delle lettere. Ora ne’ tempi e nelle nazioni
che
chiamansi rozze, i principi della religione agisc
i principi della religione agiscono con maggior forza sugli spiriti,
che
ne’ tempi e nelle nazioni che diconsi illuminate,
iscono con maggior forza sugli spiriti, che ne’ tempi e nelle nazioni
che
diconsi illuminate, sì perché venendo per lo più
tre cose, le quali necessariamente corrompono i costumi, non è facile
che
i motivi religiosi abbiano gran potere, ove i viz
di sparger dubbi sulle verità più evidenti28 non è possibile ottenere
che
siffatto scetticismo non si stenda anche agli ogg
tali, e perché mettono a disagio le nostre passioni, si vorrebbe pure
che
non esistessero. La storia di tutti i tempi non è
i vorrebbe pure che non esistessero. La storia di tutti i tempi non è
che
una riprova continuati di questa verità incontras
sentazioni, e così accadde in fatti ne’ secoli barbari. I pellegrini,
che
spinti dalla divozione erano andati a visitar i l
e, la qual circostanza ebber essi comune ancora colla tragedia greca,
che
nacque, a ciò che si dice, nelle feste di Bacco f
anza ebber essi comune ancora colla tragedia greca, che nacque, a ciò
che
si dice, nelle feste di Bacco fra il tripudio e l
r per autori persone consecrate al servigio della religione. Ognun sà
che
i primi poeti greci furono insiem sacerdoti, e ch
eligione. Ognun sà che i primi poeti greci furono insiem sacerdoti, e
che
eglino medesimi recitavano al popolo i loro compo
ostantemente fino ai tempi di Sofocle, il primo fra i tragici antichi
che
cominciasse ad abbandonarlo. Similmente fra noi l
del mille: si sa parimenti da un antico storico citato dal Muratori,
che
vi si usò dal clero recitar in pubblico i ludi, c
ero recitar in pubblico i ludi, come fanno in oggi gli attori, e (ciò
che
dilegua affatto ogni dubbio) nel decretale di Gre
gni dubbio) nel decretale di Gregorio nono si asserisce espressamente
che
i preti diaconi e suddiaconi comparivano maschera
o. [9] Ma le diverse circostanze de’ tempi e de’ luoghi non permisero
che
le rappresentazioni sacre avessero presso a noi l
eravasi come una delle cariche più rispettabili dello Stato. Quindi è
che
la esercitavano persone scelte, le quali congiugn
gegno una perfetta cognizione degli affari politici, e delle opinioni
che
conveniva istillare negli animi del popolo. Sapev
ci a perfezionar il teatro, e a renderlo ognor più conforme alle mire
che
si proponeva il governo. All’incontro i poeti ita
l’Europa, una truppa d’uomini ignoranti, e senza educazione. I Preti,
che
per lo più erano gli autori e i direttori degli s
gueva dagli altri il suo sapere consisteva in una scienza di tenebre,
che
non aveva altro valore intrinseco se non quello c
ienza di tenebre, che non aveva altro valore intrinseco se non quello
che
le veniva dato dall’altrui ignoranza, in un gergo
gergo inintelligibile, in una serie di cavillazoni egualmente oscure
che
inutili alla sublime religione, che e’ pretendeva
di cavillazoni egualmente oscure che inutili alla sublime religione,
che
e’ pretendevano rischiarare. Alla dimenticanza de
o anche quella della morale. Giunsero non pochi fra loro a scordarsi,
che
la simonia, la venere sciolta e l’adulterio fosse
a que’ tempi destinati unicamente a rammentar ai preti quelle verità,
che
mai non ebber bisogno di pruova presso le nazioni
getti di esse passioni doveano deificarsi: conseguentemente leggiamo,
che
la bellezza de’ fanciulli e delle donne riscuotev
che la bellezza de’ fanciulli e delle donne riscuoteva onori divini;
che
Venere, Ganimede, Ebe, Adone, e le Grazie furono
, Ganimede, Ebe, Adone, e le Grazie furono posti ne’ seggi celesti, e
che
le meretrici perfino ebbero altari, e feste a lor
incipio comune delle une e delle altre. [11] Di più: in una religione
che
parlava molto ai sensi e pochissimo alla ragione,
una religione che parlava molto ai sensi e pochissimo alla ragione, e
che
rappresentava l’essere supremo sotto velami corpo
avea fior di senno dovea pregiare assai più un vile schiavo virtuoso,
che
non gli oggetti della pubblica venerazione. Epitt
’Omero, e giustificava pienamente il preteso paradosso degli Stoici: «
che
il Saggio è superiore a Giove». Perciò la divinit
alunque teatrale imitazione. Sapevano essi dalla pubblica tradizione,
che
la natura loro non liberava gli dei né i Semidei
e Bacco per conoscere qual conto facessero degli dei tanto il poeta,
che
metteva in bocca loro simili oscenità, quanto il
l poeta, che metteva in bocca loro simili oscenità, quanto il popolo,
che
ne applaudiva. né minori prove d’irreverenza si t
enza si trovano ne’ poeti tragici. Era le altre sentasi le bestemmie,
che
fa dir Euripide ad un suo personaggio:
Nulla è quaggiù. Non della gloria il lampo, Non la fortuna toglieran,
che
l’uomo Misero infine non divenga. i numi Turban l
dell’avvenir nulla sapendo Siamo costretti a venerarli…»30 [12] Al
che
s’aggiugne che, avendo il gentilesimo presi i suo
ulla sapendo Siamo costretti a venerarli…»30 [12] Al che s’aggiugne
che
, avendo il gentilesimo presi i suoi fondamenti ne
greca, il rappresentar sul teatro le opinioni religiose era lo stesso
che
richiamar il popolo alla ricordanza e all’ammiraz
eligione erano talmente legati fra loro, e, per così dire, innestati,
che
non poteva alcuno di tali oggetti cangiarsi senza
ire, innestati, che non poteva alcuno di tali oggetti cangiarsi senza
che
tutti gli altri non se ne risentissero. Ed ecco i
o l’opposto avviene fra noi. Il cristianesimo, quella religion santa,
che
trae dal cielo la sua origine, ci dà della natura
rae dal cielo la sua origine, ci dà della natura divina, e delle cose
che
le appartengono, una idea troppo rispettabile, pe
procurar all’uomo la felicità eterna, per cui la vita temporale non è
che
un breve e fuggitivo passaggio, raccomanda la pra
he un breve e fuggitivo passaggio, raccomanda la pratica delle virtù,
che
a tal fine conducono. La rinunzia a tutti i piace
aceri del secolo, l’annientamento di se medesimo, il timore d’un Dio,
che
ovunque è presente per esaminare le più ascose ri
a interminabile; ecco il vero spirito del cristianesimo. Beati coloro
che
sanno sparger lagrime in questa valle di pianto!3
conoscere i vari costumi de’ secoli, e fin dove possa giugner l’abuso
che
fa talvolta l’uomo degli oggetti più rispettabili
ppresentazioni si framischiavano a delle cerimonie cotanto licenziose
che
sarebbero affatto incredibili se attestate non ve
ed accreditati. Nelle chiese cattedrali si sceglieva ogni anno colui
che
dovea presiedere alla festa col titolo d’“arcives
rsi, il cui senso era il seguente: «Da parte di Monsignor Arcivescovo
che
Domenedio mandi a tutti voi un malanno al fegato
ssimili a lui, e questi erano i preti della stessa chiesa. Ne’ giorni
che
durava la festa (cioè dal Natale insino all’Epifa
iuocar ai dadi sopra l’altare, di mangiare e bere presso al sacerdote
che
celebrava la messa, di mettere degli escrementi n
come forsenati, o si mettevano a saltare e ballare con tale impudenza
che
alcuni restavano ignudi in presenza di tutti. Tal
della chiesa. Ivi si tosavano i capegli e si radeva la barba al prete
che
più si fosse distinto nella festa. Si faceva dopo
faceva dopo apparire in iscena un asino abbigliato con una gran cappa
che
arrivava fino in terra, d’intorno la quale gli at
, e prese voga persino nei monisteri dei frati e delle monache. E ciò
che
dovrebbe recare stupore (se pur v’ha qualche cosa
monache. E ciò che dovrebbe recare stupore (se pur v’ha qualche cosa
che
debba recarlo a chi conosce la natura dell’uomo,
atura dell’uomo, e la debolezza inconcepibile delle sue facoltà) si è
che
cotali stravaganti follie sembravano agli occhi d
i occhi di quella gente tanto conformi allo spirito del cristianesimo
che
chiunque osava vituperarle, era tenuto eretico e
etico e degno di scomunica. Non vi mancavan nemmeno degli apologisti,
che
in aria posata e ragionatrice ne istituissero le
aria posata e ragionatrice ne istituissero le difese. Si può credere
che
i loro argomenti erano egualmente sensati che la
difese. Si può credere che i loro argomenti erano egualmente sensati
che
la loro causa. Un Francese dottore in teologia gi
Francese dottore in teologia giunse a sostenere in una pubblica tesi
che
la surriferita festa era non meno grata al nostro
e la surriferita festa era non meno grata al nostro Signore di quello
che
fosse alla Madonna la festa della sua Concezione.
emo celebrarla ancor noi? Tutti gli uomini abbiamo una dose di pazzia
che
ha bisogno di svaporarsi; non è forse meglio, che
una dose di pazzia che ha bisogno di svaporarsi; non è forse meglio,
che
si fermenti nel tempio, e sotto gli occhi dell’Al
meglio, che si fermenti nel tempio, e sotto gli occhi dell’Altissimo
che
fra le domestiche mura? Il liquore della saviezza
ai ludi propriamente detti, la prima rappresentazione di cotal genere
che
sappiamo esser stata fatta in Germania, intitolat
all’Eresia, e dalla Ipocrisia, e persino la Sinagoga col gentilesimo,
che
anche essi ragionano» 33. Tale fu ancora un altro
mparire l’inferno con uomini contraffatti a guisa di demoni, ed altri
che
avevano la figura d’anime ignude, le quali erano
no avanti il tribunale del Padre Eterno per accusar il ricco Epulone,
che
si sta in ginocchione innanzi al giudice. L’Angel
] Conseguentemente a tante accuse il Padre Eterno comanda ai diavoli,
che
sel portino in gehennam ignis, ond’essi partono v
scella scarnata sotto il braccio, e sfida tutti tre a duello. Dalila,
che
arriva, sviene per la paura, e i colpi finiscono
o insieme una pavaniglia. [20] La Tentazione fu il titolo di un’altra
che
si recitò in Siviglia l’anno 1498, nella quale il
Tommaso ed Averroe. Vuol poi dargli a mangiare del pane e del cacio,
che
porta nella manica per fargli rompere il digiuno,
e a Floriano in forma d’una vecchia, e gli fa vedere le piccole corna
che
il frate porta sotto il cappuccio. L’eremita allo
tala Resurrezione s’introduceva il Padre Eterno dormendo, e un angelo
che
viene a destarlo con queste parole: «Ang.: Etern
Come! Egli è morto? Ang.: Da uomo d’onore. P. E.: S’io sapeva niente,
che
il diavolo mi porti.»36 [22] Tali furono insomm
, di bizzarre allusioni, d’allegorie grossolane, di spettacoli sconci
che
meritarono replicate volte le censure della chies
volte le censure della chiesa e nominatamente del papa Innocenzo III,
che
le proibì. Ma ripullularono esse di nuovo col med
e d’assurdità anche ne’ più colti secoli e in quelle nazioni altresì
che
si distinguevano nelle utili cognizioni, ed ottim
a Passione. In Ispagna, dove le antiche usanze durano più lungo tempo
che
per tutto altrove, si conservò fino a’ nostri gio
de’ salmi. Il secondo, in cui s’inventarono parecchie sorta di canto,
che
durano fino al presente, come sarebbe a dire l’an
e, gli introiti, le sequenze, i responsori, le prefazioni e tai cose,
che
s’alterarono coll’andar del tempo considerabilmen
, cioè quando sopra le sillabe e le antifone principalmente di quelle
che
appartengono agl’introiti, i compositori si ferma
ze introdotte nella musica ecclesiastica servì a infrascarla a segno,
che
papa Giovanni XXII si vide astretto a proibirne l
rne la maggior parte, e a determinar il numero e la qualità di quelle
che
potevano usarsi, come fece con bolla espressa che
a qualità di quelle che potevano usarsi, come fece con bolla espressa
che
trovasi fra le stravaganti. Il quarto, ove s’intr
, per così dire, dell’antica musica o per troppa indulgenza di coloro
che
presiedevano alle cose sacre, o per ismodata lice
olgo con poteva lasciar nell’animo quelle traccie profonde d’affetto,
che
visi dovrebbono imprimere. E come spesso accadeva
onde d’affetto, che visi dovrebbono imprimere. E come spesso accadeva
che
neppur i maestri di cappella intendessero il lati
mento grave e patetico, ovvero esprimendo con movimenti tardi parole,
che
indicavano celerità e brio. L’ignoranza di quei t
he indicavano celerità e brio. L’ignoranza di quei tempi fece altresì
che
i poeti destinati a comporre i motteti o gli inni
i o gli inni li lavorassero senza la menoma idea di buon gusto, ond’è
che
ricercavansi da loro le parole più barbare, s’usa
ettissimi, o incompatibili fra di loro37. Da ciò ne risultava altresì
che
il popolo da una banda, e i migliori spiriti dall
banda, e i migliori spiriti dall’altra disgustati dal misero strazio
che
si faceva della poesia, della musica, e del buon
abusi, se ne avvidero i supremi regolatori delle cose sacre del danno
che
poteva risentirne la religione, contro cui nessun
gione, contro cui nessun colpo si può scagliar più funesto di quello,
che
le viene indirizzato dalla corruzion del costume.
e, componendo la sua Messa, ove si vede adombrata la decenza e maestà
che
conviensi ad una musica sacra. Se non che l’esemp
ombrata la decenza e maestà che conviensi ad una musica sacra. Se non
che
l’esempio di questo grande armonista non ha avuta
esimo piede dopo due secoli, nonostanti alcune rispettabili eccezioni
che
, per esser poche, non bastano a derogare al costu
l teatro gli animi alle tenerezze di Cleonice e d’Alceste sono quelle
che
dispongono in oggi i fedeli nelle pubbliche solen
e il titolo e l’autore, si mostra gran dispiacere e maraviglia di ciò
che
dissi in questo luogo della filosofia, e (come av
, e (come avviene quando s’ha più cura di render odioso uno scrittore
che
d’esporre le cose nel suo genuino aspetto) si è t
i religiosi ad un senso tutto diverso, cioè a quello della filosofia,
che
seguendo il corso delle nazioni forma la partizio
ndannar l’uso della filosofia nelle produzioni letterarie, nonostante
che
le Rivoluzioni del teatro musicale formino una se
o nome della filosofia. Ma siccome io non mi rendo mallevadore di ciò
che
altri mi fan dire, ma di ciò soltanto che realmen
mi rendo mallevadore di ciò che altri mi fan dire, ma di ciò soltanto
che
realmente ho detto; così ho lasciata come si stav
come si stava la mia proposizione, la quale non ha altro senso se non
che
ne’ secoli chiamantisi illuminati, o filosofici i
cose più dubbie agli occhi del volgo, e di sparger dubbi sulle altre
che
al medesimo volgo sembrano verità incontrastabili
incuriosità ovvero sia scetticismo dei pretesi saggi due circostanze
che
hanno caratterizzato finora, e caratterizzeranno
to libro delle considerazioni sopra i costumi: «Vi sono dei principi,
che
non dovrebber nemmeno mettersi in questione. Havv
e non dovrebber nemmeno mettersi in questione. Havvi sempre a temere,
che
le verità più evidenti acquistino dalla discussio
, mi Salvator, dimitte culpas, parce peccatis meis ec.» Egli è chiaro
che
un bravo compositore se ne dovrebbe trovar imbara
tore se ne dovrebbe trovar imbarazzato per adattarvi sopra un Motivo,
che
avesse quella unità musicale senza cui non produr
te quaesivit cor meum”, ch’esprime uno slancio d’amore, non ha niente
che
fare col “demitte culpas”, che si dovrebbe render
ime uno slancio d’amore, non ha niente che fare col “demitte culpas”,
che
si dovrebbe render in tuono d’umiliazione.
quel Domenico Antonio Parrino (V.), comico e istoriografo napoletano,
che
in quel tempo appunto era al servizio del Duca di
co la lettera : Alt.za Ser.ma La supplico a condonarmi dell’ ardire
che
io ho preso di scriuere a V. A. S. La causa è la
nerlo la dentro, onde lascio considerare alla prudenza di V. A. S. in
che
labirinto stiamo tutti dui. Io ho procurato di da
i farlo uenire alla larga è fu risposto dal Sig.r Cap.no di Giustitia
che
è ordine espresso del Sig.r duca di Mantova perch
Mantova perche quest’ hoste li è andato a dire al istesso Sig.r Duca
che
il Sig.r Antonio erra una spia di V. A. S. et per
ra una spia di V. A. S. et per queste parole fu datto ordine espresso
che
fosse carcerato. Io ho saputo che si uogliono dar
ste parole fu datto ordine espresso che fosse carcerato. Io ho saputo
che
si uogliono dare li tormenti per farli dire quell
. Io ho saputo che si uogliono dare li tormenti per farli dire quello
che
non è la uerità la causa è il Sig.r Co. Violardi
dire quello che non è la uerità la causa è il Sig.r Co. Violardi onde
che
aforza di denaro in testa al Sig.r Antonio che io
ig.r Co. Violardi onde che aforza di denaro in testa al Sig.r Antonio
che
io farò il resto. La suplico per l’Amor di Dio et
el Sig.r Antonio appresso di V. A. S. ad aiutarlo in questa necessità
che
subito sortito delle Carceri sarà a baciare le ma
sarà a baciare le mani di V. A. Circa il Padre Francesco non occorre
che
uenghi a Mantoua perchè lo fariano prigione è se
glia rimettere puole spedire il Padre Francesco doue io li ho scritto
che
non ui sarà pericolo, è questo sarà all’ hosteria
à all’ hosteria di Cerese et l’ istesso Padre mi puol mandare auisare
che
anderò io in persona acciò sia sicuro à leuare il
auisare che anderò io in persona acciò sia sicuro à leuare il denaro
che
per uia denaro si cauerà fuori, La suplico per l’
cauerà fuori, La suplico per l’Amor di dio a far questa gratia acciò
che
possi fare le sante feste costì in Modena mentre
a sorte di vincere un terno al lotto di 400 bavare (quasi 2000 lire),
che
avrebbe dovuto sanargli molte piaghe. Nè men per
no ! Egli si fe' portare il letto a una osteria, e di là non si partì
che
dopo speso fin l’ultimo quattrino in pranzi e cen
nzi e cene da pazzo. Ridotto al mendicare, ricorse a uno strattagemma
che
l’arte gli suggerì. Egli recitava solo, per via,
per via, intere commedie…. ma lasciam la parola all’attore Colomberti
che
di quelle recite singolari ci lasciò la seguente
riva degli Schiavoni, vidi giungere un vecchio, seguito da un ragazzo
che
gli portava una sedia, che pose in mezzo al vacuo
giungere un vecchio, seguito da un ragazzo che gli portava una sedia,
che
pose in mezzo al vacuo fra le colonne di Marco e
mezzo al vacuo fra le colonne di Marco e Todero, ed il vicino canale
che
dalla Laguna va al Ponte dei Sospiri. Giunto in q
uolo, ed aspettò. A poco, a poco, e dalle vicine gondole, e da quegli
che
passavano si formò un semicircolo intorno alla se
n semicircolo intorno alla sedia, sulla quale era seduto il suddetto,
che
tutti salutava, e sorrideva a tutti. Quando il co
dialetto alcune parole di ringraziamento, e terminò coll’ annunziare
che
avrebbe recitato un lavoro tragi-comico, in tre a
incominciò, gridando : atto primo, scena prima ; e dopo di aver detto
che
il fatto aveva luogo in una grotta, prosegui nota
in una grotta, prosegui notando il nome dei personaggi dei due sessi,
che
egli avrebbe rappresentato, e così di tutti gli a
i sol nominati. Potei ascoltare le prime scene dell’ atto, e confesso
che
per l’ esecuzione, ammesso che l’ artista potesse
le prime scene dell’ atto, e confesso che per l’ esecuzione, ammesso
che
l’ artista potesse fare più personaggi senza trav
è mi trovai deluso, perchè il vecchio caffettiere del Teatro mi disse
che
quell’ uomo chiamavasi Giulio Minelli, che alla s
ttiere del Teatro mi disse che quell’ uomo chiamavasi Giulio Minelli,
che
alla sua epoca era stato un bravo Pantalone ; ma
Giulio Minelli, che alla sua epoca era stato un bravo Pantalone ; ma
che
, in vecchiaja, datosi al vino, si era ridotto in
Allora inventò di dar quel nuovo spettacolo sulla riva dei Schiavoni,
che
bastava a farlo vivere, se non bene, mediocrement
atica. Infuse la Provvidenza nel cuore umano un affetto indagatore
che
mosso dal bisogno o dal comodo o dal piacere dove
o d’indagare chiamossi da’ latini e poi da noi curiosità, come quella
che
dalla stupida inazione dell’ignoranza ci guida al
potè non avvedersi di alcuni barlumi e di certe faville mal distinte
che
nel giro delle cose vanno scappando fuori, e veng
o di cui si ammanta. Nacquero da ciò le tante moltiplici osservazioni
che
col tratto del tempo ridotte a metodo si denomina
è comune a tutti gli uomini e la natura da per tutto risponde a colui
che
ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che
tto risponde a colui che ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira,
che
pochissime sono le arti che da un primo popolo in
l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che pochissime sono le arti
che
da un primo popolo inventore passarono ad altri,
opolo inventore passarono ad altri, ed all’incontro moltissime quelle
che
la sola natura madre e maestra universale va comu
ropa, Manco-Capac e Mama-Oela-Huaco nel Nuovo Continente, non ostante
che
gli uni nulla sapessero degli altri, insegnarono
a valersene per sostentarsi. Scorrendo per diversi climi ben si vedrà
che
dove la terra non si smuove co’ vomeri di ferro s
trovate in paesi lontanissimi colla scorta del solo bisogno. E forse
che
moltissime arti di lusso parimente non s’incontra
popoli non abbiansi partecipate le loro scoperte. È noto dalla storia
che
le nazioni in se stesse ristrette esistono e fior
r molti secoli si guardano dal comunicare insieme, perchè quel timore
che
raccoglie gli uomini in società regna lungamente
oro più studiata tutte le arti e invenzioni quà e là disseminate. Dal
che
è avvenuto che per una forte accensione di fantas
a tutte le arti e invenzioni quà e là disseminate. Dal che è avvenuto
che
per una forte accensione di fantasia fondata per
biguo, in un paralogismo erudito, ciascuno ha creduto di vedere prima
che
altrove nelle antichità predilette Fenicie, Egizi
ilette Fenicie, Egizie, Greche, o Etrusche, le origini di tante cose,
che
col soccorso della sola natura l’umana ragione di
o Greco si prese per la sorgente di tutti gli altri. Ma fu un inganno
che
si dissipò tosto che apparve a rischiarar le ment
la sorgente di tutti gli altri. Ma fu un inganno che si dissipò tosto
che
apparve a rischiarar le menti una sapienza più sa
e. Da queste comunque egli avvenga passano nella fantasia le immagini
che
la rendono instruita del mondo. L’intelletto che
fantasia le immagini che la rendono instruita del mondo. L’intelletto
che
in essa si spazia, nel vederle, separarle, combin
iù o meno remotamente hanno un rapporto proporzionato alla sensazione
che
ne ricevè la machina nella quale esso signoreggia
ne ricevè la machina nella quale esso signoreggia e discorre; di modo
che
se l’urto fu piacevole, cioè se scosse con soavit
on soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme
che
lo cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioè
la come male. L’uomo adunque si avvezza dalla prima età per senso più
che
per raziocinio a fuggir quel dolore e quel male e
gir quel dolore e quel male e ad appetir quel piacere e quel bene. Or
che
ne segue? che egli ne acquista l’abito di rappres
e e quel male e ad appetir quel piacere e quel bene. Or che ne segue?
che
egli ne acquista l’abito di rappresentarsene le i
presentarsene le immagini. Al sovvenirsi di quel bene, per lo piacere
che
gliene ridondò, cerca di tornarlo a gustare forma
a di tornarlo a gustare formandosene esattamente l’idoletto, e allora
che
l’imitazione sembragli corrispondente agli oggett
ure, benchè da prima con qualche ribrezzo, del male, cioè delle forme
che
gli apportarono dolore; ma a poco a poco si avved
oè delle forme che gli apportarono dolore; ma a poco a poco si avvede
che
tale rimembranza non gli rinnova il dispiacere, e
più non ischiva di rappresentarsele, anzi si accostuma alla dipintura
che
se ne forma, e della verità del ritratto si compi
a verità del ritratto si compiace ancora; e quindi nasce quel diletto
che
si pruova nel ripetere a se stesso o ad altri con
Ora se l’uomo per natura si occupa continuamente a dipingersi le cose
che
lo circondano, in lui stesso si rinviene il princ
ircondano, in lui stesso si rinviene il principio di ogni imitazione,
che
è il perno, su cui volgesi la poesia; per la qual
Aristotile nella Poetica chiamava l’uomo animale attissimo a imitare
che
impara per rassomiglianza. Di tutte le imitazioni
degli oggetti. Cantano gli augelli, latrano i cani, perchè gli organi
che
servono all’espulsione della voce, facilitano lor
di nutrirsi si assuefanno alla vista della balia o della madre prima
che
si avveggano di ogni altra cosa. Fanciulli ci for
cosa. Fanciulli ci formiamo sugli uomini, e principalmente su quelli
che
ci sono più dappresso; e quindi diventiamo Don Ch
Bacchettoni, Spiriti-forti, secondochè il secolo avrà formati quelli
che
ne circondano puntigliosi, effemminati, ipocriti,
ti gli Algerini, seguono tutti l’occulta forza dell’esempio domestico
che
più di ogni altro è loro vicino. A chi attribuire
Alla maggior parte delle nazioni. Essa s’ingegna di copiar gli uomini
che
parlano ed operano; è adunque di tutte le invenzi
omini che parlano ed operano; è adunque di tutte le invenzioni quella
che
più naturalmente deriva dalla natura imitatrice d
almente deriva dalla natura imitatrice dell’uomo, e non è maraviglia,
che
essa germogli e alligni in tante regioni come pro
ma della fondazione di Roma, e certamente non la ricavarono da’ Greci
che
conobbero più tardi. Come poi sarebbe dall’Attica
a la scenica in Italia, quando varj monumenti istorici ci assicurano,
che
ancora dopo molte età, per la solita primitiva ge
i piccioli continenti Italiani si conoscevano tra loro? Il nome (non
che
altra cosa de’ Greci) il nome del famoso Pitagora
? Il nome (non che altra cosa de’ Greci) il nome del famoso Pitagora,
che
secondo Ovidio visse a’ tempi di Numa Pompilio, s
a Roma. I Tarantini quando alla peggio oltraggiarono l’armata Romana
che
navigava a forza di remi avanti la loro città, no
e pure già questi aveano non picciolo impero in Italia. Possiamo dire
che
gli stessi Romani, i quali senza contrasto riceve
il desiderio di render visibile insieme e magnifico il culto divino,
che
bastarono a promuover quella, non erano sufficien
fficienti a far nascer questa. Acciò si coltivino in un paese le arti
che
parlano al sentimento e alla immaginazione, e che
in un paese le arti che parlano al sentimento e alla immaginazione, e
che
acquistino quella delicatezza di gusto, che le re
o e alla immaginazione, e che acquistino quella delicatezza di gusto,
che
le rende stimabili, oltre l’influenza del clima d
o agiato ne’ cittadini e magnificenza ne’ principi, voglionsi costumi
che
inchinino alla morbidezza, in una parola vuolsi p
a, e fra le sue membra disciolta per la gelosia di piccoli principati
che
la dividevano, ora da locali e fisici sconvolgime
principati che la dividevano, ora da locali e fisici sconvolgimenti,
che
la convertirono qualche volta in palude e in dese
rte agli stranieri il dar la prima mossa del gusto a codesta nazione,
che
dovea superarli nell’avvenire, e nelle cose music
uo temperamento sempre vivace, alla giocondità, e al riso inchinevole
che
abbonda di vini spiritosi e di donne galanti, e c
mo sembra fatto a bella posta dalla natura per non aver altro impiego
che
quello di cantare e ballare. Gli odierni abitator
di quelle contrade hanno tuttora lo stesso pendio verso l’ilarità, lo
che
ha dato luogo in Francia ad un proverbio che corr
ndio verso l’ilarità, lo che ha dato luogo in Francia ad un proverbio
che
corre comunemente: «Che il Provenzale sdegnato mi
iano con una stilettata». Le disposizioni locali congiunte alla pace,
che
godevano quelle provincie sotto il lungo e felice
ro figliuoli, a imitazione degli antichi Rapsodi della Grecia, o (ciò
che
sembra più verosimile) come una reliquia dei comm
. Si distinguevano essi con vari nomi secondo i vari mestieri. Quelli
che
poetavano all’improvviso si chiamavano “Troubador
ovviso si chiamavano “Troubadores”, o “Trovatori”, “Canterres” quelli
che
cantavano i versi composti dai primi, e “Giullare
si composti dai primi, e “Giullares” ovvero siano “Giocolieri” coloro
che
suonavano un qualche strumento, o intertenevano i
popolo con varie buffonerie. L’impiego loro principale era lo stesso
che
sempre hanno avuto i poeti , ovunque la poesia no
a morale né lo strumento della legislazione, ma un passatempo ozioso,
che
non conduce agli onori, né alle ricchezze. Questo
e mani del genio, ma per lo più stimatori ingiusti del vero merito, e
che
avvezzi a non pregiare altro fuorché le distinzio
pubblico divertimento era quello delle nozze, oppur delle gran fiere,
che
tratto a tratto s’aprivano nelle città pel manten
zze delle donne, sfidandosi scambievolmente a pubbliche tenzoni poeti
che
e musicali, e vantandosi ciascuna di superar il s
superar il suo rivale non meno nella gentilezza e lealtà dell’amore,
che
nella prontezza dell’ingegno. Le donne, presso al
più caro, e la più spedita via di guadagnarsi il lor cuore; le donne
che
riguardano la costanza dell’uomo come il mezzo pi
nza, non poteano far a meno di non compiacersi del volontario tributo
che
pagavano ad esse i poeti . La gratitudine, virtù
no quelli amori scambievoli, cagion delle tante e sì strane avventure
che
si leggono nelle vite de’ trovatori. Se già esse
la crudele massima enunciata nei seguenti versi da Gilliberto, poeta
che
fioriva nel 1206: «Nus ne se puet avancier En a
ttare veruna ricompensa.» Se in ogni tempo vi sono stati degli amanti
che
hanno divinizzate le loro belle, anche in ogni te
le loro belle, anche in ogni tempo vi sono stati degli spiriti forti
che
hanno bestemmiato contro alla loro divinità. «Tut
per impadronirsi di Napoli e di Sicilia, molte truppe di Menestrieri,
che
venivano a loro servigio, cominciarono a farsi co
llo in azione introdussero anche presso al popolo la musica sì vocale
che
strumentale o la resero più comune. Dico più comu
«Timpana cum citharis, stivisque, lyrisque sonant haec» apparisce,
che
gli Italiani facevano uso della musica strumental
esia volgare può con tanto minor ragione negarsi ai Provenzali quanto
che
niuna delle moderne nazioni Europee ci presenta m
i Europee ci presenta monumenti di poesia profana posta sotto le note
che
gareggino nell’Antichità con quelli presentati da
i, benché siano antichi, non salgono però ad un’epoca cotanto rimota,
che
conceda ad essi il diritto di primeggiare sugli a
di primeggiare sugli altri popoli. Nullameno vi sono delle ripruove,
che
fanno vedere la musica applicata alla poesia volg
pi di Guido Aretino. Tra le altre bastine recar in mezzo la seguente,
che
mi è avvenuto di ritrovare, e che certamente non
bastine recar in mezzo la seguente, che mi è avvenuto di ritrovare, e
che
certamente non è stata da chi che sia pubblicata
, che mi è avvenuto di ritrovare, e che certamente non è stata da chi
che
sia pubblicata finora. Nell’Ambrogiana di Milano
to le note secondo la musica di que’ tempi. [4] Supponendo adunque
che
Francone scrivesse il suo trattato verso il 1100,
ovandosi di già citate poesie musicali, hassi ogni ragione di credere
che
siffatta usanza conosciuta fosse dai provenzali a
e prima del 1100, sino alla qual epoca non trovandosi alcun monumento
che
risalga nelle altre nazioni europee, ad essi pure
serzione della massima parte degli scrittori francesi, i quali dicono
che
l’epoca delle prime poesie composte nella loro li
ia, si componevano in latino. Il più antico monumento di cotal genere
che
abbiano i Francesi vien reputato un componimento
a la rozzezza de’ secoli) con regole giuste e con sodi principi senza
che
alcun ragionevole indizio vi sia onde poter sospe
note figurate, o per dir meglio, abbiamo non poca ragione di credere
che
fossero affatto sconosciute ad essi. Gli esempi,
gione di credere che fossero affatto sconosciute ad essi. Gli esempi,
che
s’adducono non sono tratti da loro, ma dagli Spag
i non sono anteriori alla metà del secolo decimoterzo; laddove da ciò
che
si è finora indicato in questo capitolo e nell’an
si è finora indicato in questo capitolo e nell’antecedente, apparisce
che
le note colla codetta all’insù o all’ingiù erano
ropa da mezzo al culto ecclesiastico, crescer fanciulla ne’ monisteri
che
la promossero, pigliare stabile consistenza e vig
te, abbellirsi insieme e corrompersi coll’uso del contrappunto, senza
che
sappiamo qual influenza avesser gli arabi in cota
così differente; così ne è lontano l’andamento dell’una e dell’altra,
che
il menomo vestigio non si scorge d’imitazione. Ni
conosciute egualmente da’ normanni, da’ goti, e da più altre nazioni,
che
dagli arabi dominatori. Ora se non è possibile im
dagli arabi dominatori. Ora se non è possibile imitar un quadro senza
che
si ravvisino nella copia i lineamenti dell’origin
ti gli spiriti, ne’ quali convengon gli uomini per puro istinto senza
che
ci sia d’uopo la comunicazion vicendevole; se il
into senza che ci sia d’uopo la comunicazion vicendevole; se il genio
che
riscaldò gli abitatori della fervida Arabia, pres
a fuori dalle nuvole, il bacio d’un’amante ad un sorso dell’idromele,
che
gli eletti gustano in Paradiso, l’alitto voluttuo
litto voluttuoso d’una bella quando sospira alla fragranza aromatica,
che
dai boschi della Idumea schiude il vento Imperado
ori degli arabi se non ravviso abbastanza quella prodigiosa influenza
che
si pretende aver essi acquistata sul gusto degli
ti piccoli vezzi propri di quella lingua, ma troverà nel tempo stesso
che
il suo gran difetto era quello d’essere troppo un
oesia e l’esposizione poco dilicata dei propri amori, ecco il ricinto
che
comprende pressoché tutto il parnaso provenzale.
va fin da loro stessi. Tebaldo Conte di Sciampagna, celebre trovatore
che
fiorì verso il 1235, si burla di cosiffatti poeti
«Le frondi e i fiori non servono a nulla nel canto fuorché a coloro
che
non sanno poetare altrimenti.» Un altro difetto d
ro passione alle innamorate in istile di gazzetta, e si direbbe quasi
che
volessero presentare il manuale dei loro sintomi
al capitano il diario della navigazione. La delicatezza non per tanto
che
scorgesi in alcuni tratti è piuttosto d’arguzia c
zza non per tanto che scorgesi in alcuni tratti è piuttosto d’arguzia
che
di sentimento, più epigrammatica che appassionata
uni tratti è piuttosto d’arguzia che di sentimento, più epigrammatica
che
appassionata; stile, che necessariamente nascer d
arguzia che di sentimento, più epigrammatica che appassionata; stile,
che
necessariamente nascer dovea dalla loro foggia di
poetar tenzonando, altro non cercandosi per vincere in simili giostre
che
i giuochi dell’ingegno, non la spontaneità, né la
per aver saputo suonare un gran numero di stromenti. Ecco la strofa,
che
tutti gli annovera: «Il chant avec flutte ou tro
manivelle ou l’archet Nul n’egale Colin Muset.» [10] Da ciò si vede
che
la musica strumentale era abbastanza numerosa e v
rono a lavorar le arie sulle parole, ma siffatte arie altro non erano
che
un semplice canto gregoriano, o, per dir meglio,
ui sì altamente si lagnava Giovanni Sarisberiense, ci farebbe credere
che
la musica profana non andasse esente da simile di
che la musica profana non andasse esente da simile difetto; tanto più
che
le poesie amorose e gentili, alle quali s’applica
la mollezza assai più scusabile. Pure volendo giudicare dai frammenti
che
ci restano, essi ci fanno vedere tutto il contrar
n altri non pochi da me veduti e disaminati è tanto semplice e povera
che
niuno si ravvisa di quei difetti attribuiti dal S
tra le parole e i suoni, cosicché ad ogni sillaba non più corrisponde
che
una sola nota. Cotal diversità fra la musica prof
a più voci, ciascuna delle quali cantando a modo suo, era più facile
che
degenerasse in confusione e in abuso, laddove le
tata dalle solite stravaganze39. [11] Ritornando ai menestrieri, quei
che
si sparsero per l’Italia venivano conosciuti dal
o il nome ora d’“uomini di corte”, ora di “ciarlatani”, denominazione
che
presero non dalla parola “circulus” né da “carola
iera italiana di pronunziare il vocabolo “charles” francese, a motivo
che
i trovatori cantavano spesso le azioni di Carlo M
tempi sono piene delle singolari azioni di questi uomini, del favore
che
ottenevano presso ai signori italiani, e de’ gran
a proibire con frequenti scomuniche i loro congressi, o perché temeva
che
portando gli uomini al dissipamento servissero ad
dissipamento servissero ad alienarli dall’utile e salutare tristezza
che
esige la religione, o perchè vedeva colar in mani
esige la religione, o perchè vedeva colar in mani profane quei doni,
che
potevano più utilmente convertirsi in limosine a
to da un Concilio tenuto in Ravenna all’anno 1286 con severi decreti,
che
possono leggersi nella raccolta del Labbeo. [12]
sso, fra i quali si trova nella storia del Ghirardacci all’anno 1288,
che
la Repubblica di Bologna spedisce un Decreto col
che la Repubblica di Bologna spedisce un Decreto col quale si vietava
che
i cantori francesi potessero fermarsi sulle pubbl
bensì una osservazione più confaccente allo spirito di quest’opera, e
che
ridonda insomma gloria dell’Italia. Questa si è c
di quest’opera, e che ridonda insomma gloria dell’Italia. Questa si è
che
la poesia provenzale povera nella sua origine e d
igine e di piccol pregio, finché rimase nel suo nativo terreno, tosto
che
fu traspiantata sotto il cielo italiano divenne n
’ Latini e de’ Greci. Anzi se vero è, come molti scrittori affermano,
che
il Petrarca trovasse fra i provenzali l’incitamen
trovasse fra i provenzali l’incitamento e l’esempio al suo poetare, e
che
il canzoniere di questo poeta debba considerarsi
quale compimento e perfezione di quel genere di poesia, converrà dire
che
il ramo della ragione poetica coltivata dai prove
oducesse frutti d’un sapore sconosciuto perfettamente agli antichi, e
che
che ne dicano in contrario gli idolatri dell’anti
esse frutti d’un sapore sconosciuto perfettamente agli antichi, e che
che
ne dicano in contrario gli idolatri dell’antichit
contrario gli idolatri dell’antichità, e gli armenti della filosofia
che
si pascolano negli orti d’Epicuro, superiore altr
ia che si pascolano negli orti d’Epicuro, superiore altrettanto a ciò
che
lasciarono in quel genere la Grecia e il Lazio qu
chiava de’ sensi, e quanto le idee dell’amor razionale sono più poeti
che
e più sublimi che non quelle dell’amor sensitivo
e quanto le idee dell’amor razionale sono più poeti che e più sublimi
che
non quelle dell’amor sensitivo o meccanico. [14]
limi che non quelle dell’amor sensitivo o meccanico. [14] Ma le cause
che
fecero coltivare a quei tempi la lirica amatoria,
ca amatoria, cioè i famosi parlamenti d’amore, la mollezza licenziosa
che
dalla corte papale d’Avignone e dalle altre città
della Francia, erasi rapidamente propagata pell’Italia, e l’influenza
che
fin d’allora ebber le donne sulle produzioni dell
i dell’ingegno trattennero il volo all’altra spezie di lirica eroica,
che
tanto imperio acquistò sulle menti dei Greci. Qui
ca eroica, che tanto imperio acquistò sulle menti dei Greci. Quindi è
che
se l’Italia ebbe in Cino da Pistoia, in Guido Cav
ione; perché essendo disgiunta dalla musica aver non poteva un vigore
che
non fosse effimero, né una energia che non fosse
sica aver non poteva un vigore che non fosse effimero, né una energia
che
non fosse fattizia; perché trar non si seppe alla
perché trar non si seppe alla unione di quelle due arti il vantaggio
che
sarebbe stato facile il ricavare in favore della
mo religioso nelle cerimonie ecclesiastiche colla musica semibarbara,
che
allora regnava, applicata ad una lingua, cui il p
rni non pensarono a dar all’impiego di poeta e di musico l’importanza
che
gli davano i Greci, giacché invece degli Stesicor
e gli davano i Greci, giacché invece degli Stesicori e dei Terpandri,
che
in altri tempi erano i legislatori e i generali d
delle nazioni, si sostituirono ne’ secoli barbari i monaci e i frati
che
convocavano a grado loro il popolo, intimavano la
erte corti, perché vi si potesse sviluppare quell’interesse generale,
che
fu mai sempre il motore delle grandi azioni. Però
fine legislativo e politico, contentiamoci d’esaminare le varie forme
che
prese dalle circostanze, dalla voluttà, dai costu
coppiar qualche volta la musica alla poesia per quel segreto vincolo,
che
l’una all’altre tutte le belle Arti avvicina. Que
e l’una all’altre tutte le belle Arti avvicina. Quel medesimo istinto
che
porta gli uomini ad esprimere coi particolari mov
onde ebbe origine il canto. Quella seducente e inespribile simpatia,
che
mille moti diversi ridesta in loro alla presenza
beni, e il Quadrio le ballate e le intuonate, ovvero siano canzonette
che
intuonavano gli amanti per dimostrar la loro pass
sere stati cotai componimenti un prodotto piuttosto della imitazione,
che
una libera ed espontanea emanazion del talento. C
una libera ed espontanea emanazion del talento. Ciò si vede dai nomi
che
diedero i primi Italiani alle stanze di siffate c
’io dica Lo tuo fallir d’ogni torto tortoso. Non però
che
alle genti sia nascoso: Ma per farne cruc
innanzi si nudrica. Dal secolo hai partita cortesia, E ciò
che
’n donna è da pregiar virtute, In gaia gi
ne a ballo in occasione di tale e sì profonda tristezza qual è quella
che
dee opprimere un amante per la morte dell’oggetto
a qual è quella che dee opprimere un amante per la morte dell’oggetto
che
ama, è ugualmente contrario alla imitazion natura
tto che ama, è ugualmente contrario alla imitazion naturale di quello
che
sarebbe in un pittore il dipigner agghiacciati i
n sollazzevol foggia diverse truppe di giovani cantavano certe poesie
che
presero il nome dalla circostanza. Vennero poscia
tastasio. Alle volte si lavoravano a bella posta componimenti poetici
che
tuttora si leggono raccolti in due volumi, e ne f
antati per tutta l’Italia, e posti in musica persin da celebri donne,
che
gareggiavano coi più gran compositori. L’Agazzari
menzione di molte altre misero sotto le note parecchie composizioni,
che
divennero alla moda presso alle radunanze più col
to nella musica, il novello raggio della quale si spiccò da un popolo
che
faceva profession di distruggere le arti e le sci
conquiste, a motivo delle quali i pacifici coltivatori delle lettere
che
abitavano quel paese tanto caro alle muse si rico
ndanza, il desiderio d’ogni sorta di gloria proprio di quelle nazioni
che
hanno conosciuto la libertà, e quel segreto bisog
uelle nazioni che hanno conosciuto la libertà, e quel segreto bisogno
che
ne’ tranquilli governi sprona lo spirito alla ric
mento delle Lettere. I Greci l’accelerarono pei codici degli antichi,
che
fecero maggiormente conoscere, e per altri disott
a musicale, la quale divenne col tempo il seminario de’ più gran geni
che
siansi veduti in Italia in cotal genere. Siena eb
utile quanto fosse altra mai a’ progressi del teatro italiano non men
che
alla musica per gl’intermezzi di canto e di suono
aliano non men che alla musica per gl’intermezzi di canto e di suono,
che
si frapponevano alle loro farse o commedie. In al
liorar la musica, come si vede fra le altre cose dalla bizzarra legge
che
costrigneva gli accademici a sortir qualche volta
on altri molti, ma sopra tutti Zarlino di Chioggia scrittore insigne,
che
divenne colle sue istituzioni armoniche maestro f
i presso alle altre nazioni acquistata quella celebrità nella musica,
che
ha poi nel passato secolo e nel presente ottenuta
ne sembrasse alquanto dura agli orecchi di que’ pregiudicati italiani
che
stimano se soli esser stati in ogni tempo gli arb
o gli arbitri del gusto nelle materie musicali, non hanno a far altro
che
consultar la testimonianza irrefragabile della St
onianza irrefragabile della Storia. Potrei citare Filippo di Comines,
che
lo dice, potrei aggiugnere l’Abate du Bos, che di
re Filippo di Comines, che lo dice, potrei aggiugnere l’Abate du Bos,
che
di proposito lo pruova, autori entrambi di sommo
gl’Italiani al paro degli altri, e forse più degli altri partecipano,
che
chiunque di patria e di linguaggio è diverso si s
e di linguaggio è diverso si stima, qualora non parla a grado nostro,
che
debba esser acciecato dall’odio o dall’ignoranza.
ni nipote di Francesco, del quale non posso ommettere un lungo testo,
che
conferma mirabilmente il mio assunto. Si trova qu
(dice, parlando de’ Fiaminghi) i veri maestri della musica, e quelli
che
l’hanno restaurata e ridotta a perfezione, perché
aurata e ridotta a perfezione, perché l’anno tanto propria, naturale,
che
uomini e donne cantan naturalmente a misura con g
a fanno e di voce e di tutti gli strumenti quella pruova ed harmonia,
che
si vede ed ode, talché se ne truova sempre per tu
i musica celeberrimi, o sparsi con onore, e gradi per il mondo.» 41 E
che
fra le corti straniere debbano annoverarsi quelle
corti straniere debbano annoverarsi quelle d’Italia, si pruova da ciò
che
molti di que’ Fiaminghi nominati dallo storico, c
tarono di qua dai monti massimamente nel perfezionar il contrappunto,
che
il gusto loro nazionale nella musica italiana tra
gran Muratori, il quale, parlando di Leonello d’Este Duca di Ferrara,
che
successe al suo padre Niccola Terzo nel 1441, dic
a di Ferrara, che successe al suo padre Niccola Terzo nel 1441, dice «
che
fece venir da Francia i cantori» 43, anzi i più b
udinese, e proposti per modello d’imitazione nel suo rarissimo libro,
che
ha per titolo Il vero modo di diminuire con tutte
della nobiltà milanese, ove parla di Galeazzo Sforza Duca di Milano,
che
vivea nel 1470. «Teneva questo raro principe tren
uesto raro principe trenta musici tutti oltramontani, e tutti scelti,
che
da esso erano benissimo pagati, ed al maestro di
pi di Girolamo Rosini, perugino, erano stati tutti spagnuoli, secondo
che
rapporta l’italiano Andrea Bolsena nelle osservaz
ioni per ben regolar il canto nella Cappella Pontificia45. I vantaggi
che
recarono essi alla musica non meno pratica che te
ntificia45. I vantaggi che recarono essi alla musica non meno pratica
che
teorica sono tanto riguardevoli, che ommettendoli
ssi alla musica non meno pratica che teorica sono tanto riguardevoli,
che
ommettendoli, farei torto alla scienza, alla stor
za, alla storia e alla mia patria. Bartolomeo Ramos Pereira o Pereia,
che
venne l’anno 1482 chiamato fin da Salamanca ad oc
ran vantaggio per la musica, e se questa può dirsi una gran scoperta,
che
meriti, che si scriva un libro a bella posta per
o per la musica, e se questa può dirsi una gran scoperta, che meriti,
che
si scriva un libro a bella posta per risaperne l’
ne fu l’inventore. Siffatta scoperta sconosciuta non meno al pubblico
che
al citato scrittore che ne ha ricercata l’origine
tta scoperta sconosciuta non meno al pubblico che al citato scrittore
che
ne ha ricercata l’origine, si ritruova nel compen
blicato in Roma in lingua spagnuola l’anno 166947 così per un destino
che
sembra proprio della nostra nazione, mentre si ce
n qualche biblioteca il vero inventore. Di Francesco Salinas non farò
che
un sol cenno, non potendo ignorarsi da chiunque h
ini: «fu autore stimatissimo, e di gran grido» 48. Oltre a’ mentovati
che
possono chiamarsi di prima classe, molti vi furon
amo di Navarra, Pietro di Montoya, Abraamo della Zerda, e tanti altri
che
più assai ne troverrebbe chi con diligenza svolge
ù lodevole fra gli eccessi quando non vien disgiunto dalla giustizia)
che
mosse il Cavaglier Tiraboschi a dire, parlando de
zia) che mosse il Cavaglier Tiraboschi a dire, parlando della musica,
che
«agli Italiani del secolo decimosesto dovette il
mosesto dovette il giugnere ch’ella fece a perfezione maggiore assai,
che
mai non avesse in addietro» 49. Se l’illustre sto
se in addietro» 49. Se l’illustre storico della letteratura Italiana,
che
tant’onore ha recato alla sua nazione, ignorò il
osi d’un’arte onde gl’Italiani vanno a ragione così superbi di quello
che
sarebbe stata in tanti altri punti poco interessa
. Se non ignorandoli, ha giudicato meglio di passarli sotto silenzio,
che
altri chiamerebbe ingiurioso, noi non sapremmo ch
li sotto silenzio, che altri chiamerebbe ingiurioso, noi non sapremmo
che
rispondere a chiunque l’accusasse di parzialità m
di parzialità manifesta. Ma gli Spagnuoli, i Francesi e i Fiaminghi,
che
si veggono privi di testimonianza così autorevole
ve giunsero le arti del disegno furono un’altra epoca dell’incremento
che
prese la musica italiana. Appena comparvero le co
di Raffaello d’Urbino, del Negroni, di Baldassare Peruzzi, e d’altri,
che
i principi italiani bramosi d’accrescer lustro e
r le tragedie nei cori, e le commedie nei prologhi e negli intermezzi
che
si framettevano. Quest’intermezzi sul principio e
de’ Conti di Vernio a imitazione degli antichi Peani, o nomi Pitici,
che
si celebravano nella Grecia in onore d’Apolline.
a: Muovi lampi, e saetta A far di te vendetta Contro il mostro crudel
che
la divora.» [30] Il Serpente allo strepito delle
la musica ad accompagnar qualche scena eziandio del componimento, del
che
abbiamo una pruova nella pastorale intitolata il
fiteatri o monumenti inalzati con cose mangiative, in fontane di vino
che
zampillavano nelle strade, in mascherate romorose
ica di tamburi e in tali altri divertimenti fatti più per la plebagia
che
per uomini cui la coltura avesse ringentilito lo
lo spirito. Il risorgimento benché lento della pittura, il commercio
che
vivifica le arti, onde viene alimentato a vicenda
mercio che vivifica le arti, onde viene alimentato a vicenda il lusso
che
rende squisite le sensazioni nell’atto che le mol
mentato a vicenda il lusso che rende squisite le sensazioni nell’atto
che
le moltiplica, e la connessione che hanno fra lor
squisite le sensazioni nell’atto che le moltiplica, e la connessione
che
hanno fra loro tutti gli oggetti del gusto fecero
loro tutti gli oggetti del gusto fecero avvertiti gli uomini di genio
che
l’immaginazione dei popoli civilizzati avea bisog
ione dei popoli civilizzati avea bisogno d’un pascolo men grossolano,
che
la novità e la dilicatezza ne doveano essere i pr
a novità e la dilicatezza ne doveano essere i principali ingredienti,
che
la favola da una banda e l’allegoria dall’altra p
potevano somministrare agli occhi una folla di piaceri sconosciuti, e
che
toccava a lui solo prevalersi del vero e del fint
lla fantasia e un vigore novello alla prospettiva. Si conobbe altresì
che
l’influenza di questa sullo spirito era assai deb
pettacoli frammezzati di poesia, di ballo, di musica e di decorazione
che
si trovano ne’ tempi più remoti, e che ponno cons
lo, di musica e di decorazione che si trovano ne’ tempi più remoti, e
che
ponno considerarsi come altrettanti sbozzi del me
bozzi del melodramma. Fa di mestieri confessare a gloria dell’Italia,
che
appunto in questa nazione troviamo i primi fonti
recar in mezzo la descrizione d’un solo di cotali abbozzi drammatici,
che
fa epoca nella storia delle Arti, che divenne all
o di cotali abbozzi drammatici, che fa epoca nella storia delle Arti,
che
divenne allora la maraviglia d’Europa, e che serv
nella storia delle Arti, che divenne allora la maraviglia d’Europa, e
che
servì non meno di stimolo che di modello a quante
ivenne allora la maraviglia d’Europa, e che servì non meno di stimolo
che
di modello a quante feste se ne fecero in seguito
ano Calco 52 da cui ne verrò raccogliendo quelle circostanze soltanto
che
possano giovare all’istruzione non meno che al di
elle circostanze soltanto che possano giovare all’istruzione non meno
che
al divertimento dei lettori. [34] In mezzo ad un
i vedeva una gran tavola, ma senza apparecchio di sorta alcuna. Tosto
che
il duca e la duchessa comparvero, incominciò la f
lasciarono in dono sulla tavola dopo avec eseguito un ballo figurato,
che
rappresentava l’ammirazione loro alla vista d’una
tre quadriglie di danzatori, e cantò a solo una spezie di recitativo
che
conteneva il racconto della sua avventura con Apo
do essere quel cervo l’incauto Atteone trasformato in simil guisa, ma
che
dovea nella sua disavventura reputarsi fortunato
in silenzio l’orchestra per dar luogo ai suoni dolcissimi d’una lira
che
percossa dalle dita d’Orfeo svegliava ne’ petti d
a e Teseo comparvero in iscena scortati da varie truppe di cacciatori
che
con danze vive e brillanti rappresentarono una ca
tata da un coro di ninfe coperte da un trasparente leggierissimo velo
che
portavano bacili d’argento pieni di siffatti ucce
di siffatti uccelli. Dall’altra si vedeva Ebe, Dea della giovinezza,
che
in preciose bottiglie recava il nettare ch’ella v
pastori d’Arcadia carichi d’ogni sorta di legumi, e Pomona e Vertunno
che
dispensavano i frutti più saporiti. Perché nulla
cendo gustar al palato degli sposi le squisitezze inventate da lui, e
che
acquistar gli fecero in altri tempi la riputazion
n ballo composto di dei marittimi e di tutti i fiumi della Lombardia,
che
portavano i pesci più squisiti, eseguendo nell’at
ssa, ed ella le si offrì per servente e compagna indivisa. Nel mentre
che
la fede coniugale parlava Semiramide, Elena, Mede
sua passione, e le seduzioni dell’amore. Sdegnata quella nel sentire
che
le ree femmine osassero contaminare con infami ra
o contaminare con infami racconti la purità di quel giorno, dà ordine
che
vengano scacciate dalla sua presenza, al cui comm
, Tomiri, Sulpizia e Penelope portando nelle mani le palme del pudore
che
aveano meritate nella loro vita. Dopo averle offe
nimata e grottesca ad uno dei più magnifici e sorprendenti spettacoli
che
abbia mai veduto l’Italia. [37] Oltre la festa de
in Roma verso l’anno 1480 d’ordine del Cardinal Riario, e nella farsa
che
Alfonso Duca di Calabria fece recitare in Castel
pretende sulla fede d’un manoscritto del celebre Ulisse Aldrobrandi,
che
fin dall’anno 1564 si cantasse nel palazzo della
’anno 1574 per divertimento d’Arrigo Terzo re di Francia 54. [38] Che
che
ne sia di ciò, cotali spettacoli altro non furono
38] Che che ne sia di ciò, cotali spettacoli altro non furono appunto
che
abbozzi, né alcuno di essi ci dà l’idea d’un dram
senza risaperle formar intorno ad esse cose un diritto giudizio. Dal
che
nascono in seguito le idee storte, le decisioni a
rti, e in particolare del dramma in musica: tutto per colpa di coloro
che
s’addossano l’incombenza di scrivere la storia de
tere, i quali agguisa de’ commentatori sono per lo più diffusi in ciò
che
niuno ricerca, e mancanti in quello che altri avr
ono per lo più diffusi in ciò che niuno ricerca, e mancanti in quello
che
altri avrebbe vaghezza d’esaminare con occhio fil
cchio filosofico. Fermiamoci noi non per tanto un poco più di quello,
che
non è stato fatto finora a maggior lume di questa
e non è stato fatto finora a maggior lume di questa materia, sperando
che
le nostre ricerche non siano per riuscire ingrate
i pubbliche debbono anteporsi alle private, così la sincera affezione
che
porto al Signor Abbate Andres, e la giusta stima
incera affezione che porto al Signor Abbate Andres, e la giusta stima
che
ho de’ suoi talenti, non mi dispensano dai rispon
nte esaminate le sue ragioni, e all’aver avanzato delle proposizioni,
che
a lui non sembrano abbastanza fondate. Verrò perc
utore della necessità, in cui mi mette egli stesso di trattenermi più
che
non vorrei, intorno al suo sistema favorito, che
o di trattenermi più che non vorrei, intorno al suo sistema favorito,
che
è quello di dar un’arabica origine alla poesia pr
lla edizione di Parma nel capitolo duodecimo. I. «I frequenti esempi,
che
i provenzali aveano alla vista del poetare degli
poetare degli arabi, e la pochissima, o per dir meglio, niuna notizia
che
si conservava de’ Greci e de’ Latini danno argome
che si conservava de’ Greci e de’ Latini danno argomento di credere,
che
gli arabi anziché gli antichi siano stati presi a
lontano si scorge fatto da loro ai riti, nomi, storia, costumanze, o
che
che altro si voglia degli arabi; Dunque, o nulla
tano si scorge fatto da loro ai riti, nomi, storia, costumanze, o che
che
altro si voglia degli arabi; Dunque, o nulla pruo
tini anziché degli arabi. II. «Gli arabi altre poesie non conoscevano
che
od amorose, od encomiastiche, o satiriche, o dida
i Latini, dai Greci, dai Celti, dai Persiani o dai Chinesi egualmente
che
dagli arabi, poiché essendo l’accennata divisione
cennata divisione appoggiata su rapporti generalissimi, egli è chiaro
che
i componimenti latini, Greci, Celti, Persiani o C
cavar la conseguenza in favore dei provenzali colla stessa giustezza
che
la cava il Signor Abbate. III. «Gli Arabi ebbero
ti da taluni componimenti drammatici. De’ Provenzali, dice il Millot,
che
furono commendati dal Nostradamus, e da altri com
dialoghi poetici si trovano in pressoché tutte le nazioni del mondo,
che
hanno coltivata la poesia; la loro esistenza pres
ore della loro influenza sui provenzali. IV. «Famose sono le tenzoni,
che
tanto erano in voga presso ai provenzali; ma simi
n dilungarmi oltre il bisogno in una erudizione inutile basti sapere,
che
simili tenzoni poeti che e musicali furono molto
ogno in una erudizione inutile basti sapere, che simili tenzoni poeti
che
e musicali furono molto in voga presso ai Greci,
li tenzoni poeti che e musicali furono molto in voga presso ai Greci,
che
le usavano ancora i bardi irlandesi, che furono c
lto in voga presso ai Greci, che le usavano ancora i bardi irlandesi,
che
furono comuni agli antichi galli, e che lo furono
ano ancora i bardi irlandesi, che furono comuni agli antichi galli, e
che
lo furono altresì agli scozzesi montanari, presso
eparazione della musica e della poesia racconta nella sezione ottava,
che
verso la fine dell’ultimo secolo Giovanni Glass e
imo secolo Giovanni Glass e Giovanni Maeldonald, bardi di professione
che
risiedevano in diverse tribù delle montagne di Sc
n un contrasto poetico e musicale. Ora come può assicurarci l’autore,
che
un siffatto costume si derivasse ai provenzali da
a maggiore somiglianza colla struttura e meccanismo dei versi arabici
che
con quella dei Greci e Latini. La ragione si è, p
la corda grave e la corda leggiera, il palo congiunto e il disgiunto,
che
davano qualche accento alle sillabe, e alternando
misura e quantità fu ignorata dai provenzali, dunque non si può dire,
che
i versi di questi avessero maggior somiglianza co
e, che i versi di questi avessero maggior somiglianza con gli arabici
che
con Latini e Greci. In secondo luogo, postochè la
e il trovar la chiara interpretazione) significassero appunto quello,
che
pretende il Signor Abbate, ciò non vorrebbe dir a
llo, che pretende il Signor Abbate, ciò non vorrebbe dir altro se non
che
gli arabi badarono ne’ loro versi all’accento di
e fra loro in diversa foggia, cioè al numero o ritmo; due circostanze
che
non meritavano d’essere rilevate come capi di som
ure la coltivarono presso ai provenzali. Fra i Provenzali, egualmente
che
fra gli arabi un mezzo certo d’ottenere l’accesso
ene. Nella Introduzione alla storia di Danimarca del Mallet si legge,
che
Ronvaldo, signore delle Orcadi, e Regner Lodbrog
licarono seriamente a quest’arte. Nella raccolta delle poesie danesi,
che
dovrò citare fra poco, si leggono i versi d’Arald
Nicolson nella prefazione alla Biblioteca storica d’Irlanda racconta
che
Snorro Sturloson signore e legislatore dell’isola
gliuolo di Fingal re di Scozia (seppure appartengono a lui le poesie,
che
corrono sotto il suo nome) è il più famoso tra i
no-chinese. Lo stesso si deve dire della stima, favore e accoglienza,
che
presso ai signori ebbero i poeticomune a tutte l’
el primo tomo della storia filosofica e politica di Raynal, si legge,
che
nel codice antico delle leggi e della religione i
onservato con tanta gelosia dai Brachmman, o bramini era un articolo,
che
prescriveva fra le altre prerogative del re anche
mmedianti. E poiché si tratta dei giullari provenzali, non occorreva,
che
il Signor Abbate s’incomodasse d’andare sino ai d
trovarla nella stessa Francia presso agli antichi facitori di farse,
che
andavano in giro per le diverse contrade del regn
diverse contrade del regno rappresentando i loro rozzi spettacoli, e
che
protetti prima dai signori furono poi sotto Carlo
e Andres stabilisce il gran edifizio dell’origine arabica delle poeti
che
facoltà in Europa; fondamenti ricavati da analogi
dagli altri; quanto a me non vi so trovare maggior fermezza di quella
che
un logico troverebbe nel seguente argomento: Il t
giacché la validità integrale d’un ragionamento non altronde risulta
che
dalla validità parziale delle ragioni che Io comp
amento non altronde risulta che dalla validità parziale delle ragioni
che
Io compongono. Oltracchè non solo le pretese part
e è applicabile ad altri popoli con eguale e forse maggiore giustezza
che
non agli arabi; essendo certo, che gli esempi del
eguale e forse maggiore giustezza che non agli arabi; essendo certo,
che
gli esempi del poetare, e la divisione dei poemi,
rebbe vedere al Signor Abbate se invece d’una Nota, se ne dovesse (lo
che
certamente non varrebbe il prezzo dell’opera) com
stimabile autore vediamo ciò ch’egli oppone alle mie. I. «La fretta,
che
l’autore si è preso d’aggiugnere alla sua opera g
teria.» Io le lessi, e le disaminai fin d’allora con quell’attenzione
che
basta per trovarle deboli e inconcludenti. II. «A
varle deboli e inconcludenti. II. «Altrimenti non avrebbe egli detto,
che
Guido Aretino, il quale fiorì nel secolo XI fu an
, quantunque entrasse colla vita nell’undecimo, egli è probabilissimo
che
si toccassero di qualche anno nella stessa età; l
probabilissimo che si toccassero di qualche anno nella stessa età; lo
che
basta per renderli coetanei in un’opera che dipin
anno nella stessa età; lo che basta per renderli coetanei in un’opera
che
dipinge a gran tratti, che descrive la storia del
he basta per renderli coetanei in un’opera che dipinge a gran tratti,
che
descrive la storia delle arti e non degli artefic
ran tratti, che descrive la storia delle arti e non degli artefici, e
che
non è una biografia, né un sistema cronologico. M
e che non è una biografia, né un sistema cronologico. Ma posto ancora
che
Guido nascesse poco tempo dopo la morte d’Alfarab
ricerche; eppure cotale scoperta sarebbe stata la spada d’Alessandro,
che
avrebbe troncato il nodo della controversia, non
e cascante di vezzi.» Dissi, ed ora lo torno a dire dopo nuovo esame,
che
il carattere della poesia provenzale massimamente
e di smancerie. Se il Signor Abbate ne dubitasse, si cercherà, quando
che
sia, di provarlo più a lungo. IV. «Non avrebbe de
erà, quando che sia, di provarlo più a lungo. IV. «Non avrebbe detto,
che
fra le due poesie il menomo vestigio non si scorg
ì, lo torno a dire di quella imitazione cioè immediata ed intrinseca,
che
caratterizza uno stesso spirito ed una origine st
tesso spirito ed una origine stessa; non di quei rapporti universali,
che
nulla provano, perché provano troppo, e sui quali
e sui quali il Signor Abbate inalza la sua fabbrica rovinosa. V. «Nè
che
l’uso della rima era conosciuto egualmente da nor
era conosciuto egualmente da normanni, da goti e da più altre nazioni
che
dagli arabi dominatori.» Che da molte nazioni fos
nosciuto l’uso della rima non può negarsi se non da chi voglia negare
che
il sole è sull’orizzonte nel mezzo giorno. Che in
ole alla prediletta arabica Dulcinea, ma v’ho trovata la stessa forza
che
in più altre pretensioni di quella Bella. VI. «Co
ritmo e la misura lo sono ad ogni musica, poiché altro esse non sono
che
la diversa combinazione del tuono e del tempo nec
dalla prosa. Due sorti si conoscono di poesia l’una chiamata metrica,
che
bada principalmente alla misura del tempo, e ques
l’appendice al suo Trattato de Letteratura Runica) egli è impossibile
che
i loro versi non avessero una tessitura, e una pr
comodata alla pronunzia della propria lingua e con quelle variazioni,
che
sono comuni ai metri di tutti i popoli della terr
amente mi sorprende tal obbiezione in bocca del Signor Abbate Andres,
che
aspira con ragione al titolo di critico filosofo.
oesie di Ossian. «Io finisco il mio canto. Le Dee m’invitano; le Dee,
che
Odino mi manda dalla sua sala. Io vado a sedere s
ruova contro la reale esistenza delle gotiche poesie, come le dispute
che
si fanno sul vero autore de versi aurei di Pitago
e d’altri simili rottami della greca letteratura, non sono una pruova
che
realmente non esistano, e non si leggano la batra
o di non sorprendere. VIII. «Dove trovar notizie della poesia gotica,
che
abbiano una qualche certezza?» Nei monumenti dell
zione alla storia di Danimarca del prelodato Mallet, nella prefazione
che
il Denis gesuita tedesco ha premesso alle sue poe
inoltrato, o no, nella materia, quanto esigeva, e forse più di quello
che
esigeva l’indole della mia opera. Confesserò bens
più di quello che esigeva l’indole della mia opera. Confesserò bensì,
che
stimandomi, qual sono, un pigmeo letterario e non
erò mi sono appigliato al men coraggioso, ma non men saggio consiglio
che
dà Virgilio agli agricoltori: «Laudato ingentia r
bate, il quale, prendendo ad illustrare in un grosso volume tutto ciò
che
appartiene agli arabi, e a far conoscere la loro
riva alla musica (facoltà cui eglino coltivarono con tanto impegno, e
che
forma uno dei rami più curiosi e più illustri del
arti di genio) di darci per ogni istruzione le due meschine notizie,
che
Alfarabi ed Albufaragio scrissero elementi di mus
Albufaragio scrissero elementi di musica ed una raccolta di tuoni, e
che
gli Spagnuoli e i Francesi presero dagli Arabi al
trumenti musicali dai Greci, dai Latini e dai settentrionali dal paro
che
dagli arabi. Peggio per noi se il facile contenta
debolezza del sistema da lui adottato. Allora, ricavando da tal esame
che
la musica araba aveva maggior conformità colla pe
musica araba aveva maggior conformità colla persiana e coll’orientale
che
non coll’europea, non si sarebbe affrettato a far
r a visitare la selva incantata, e motteggiando la codardia di coloro
che
l’aveano preceduto, al primo imbarazzo che trovò
ando la codardia di coloro che l’aveano preceduto, al primo imbarazzo
che
trovò nella oscurità, e nei prestigi del bosco to
er fatto cosa alcuna. X. «Egli mostra chiaramente non avere osservata
che
la poesia francese era distinta dalla provenzale.
dotta per negar la parentela fra la poesia araba e la provenzale si è
che
il timido e freddo poetare di questa non è analog
Signor Abbate non ha veduto, o non ha voluto vedere le altre ragioni,
che
oltre l’unica da lui citata indicai alle pagine 1
lui citata indicai alle pagine 146, 147 e 148 della prima edizione, e
che
si leggono ancora nella presente. Sono tratte que
tratte queste dall’indole diversa delle due poesie, dal niun vestigio
che
vi si scorge d’imitazione, dalla niuna allusione
tura europea la ragion sufficiente del nascimento delle facoltà poeti
che
e musicali senza dover ricorrere agli arabi. L’un
imido e freddo poetare degli uni, e l’ardito e fervido degli altri. A
che
si dovrà attribuire, che il Signor Abbate non abb
gli uni, e l’ardito e fervido degli altri. A che si dovrà attribuire,
che
il Signor Abbate non abbia veduto ciò che pur vi
A che si dovrà attribuire, che il Signor Abbate non abbia veduto ciò
che
pur vi si trova scritto? E qui abbia fine questa
vi si trova scritto? E qui abbia fine questa piuttosto dissertazione
che
nota, nella quale mi sono inoltrato perché la rip
fferente alle sue rispettabili obbiezioni. Del resto non dissimulerò,
che
tutte le dispute sul prima e sul poi, sul proprio
e sul derivato mi sembrano pure e prette quistioni de lana caprina, e
che
codeste ipotetiche letterarie trasmigrazioni ora
tici lasciano perfettamente le cose come si stavano, né provano altro
che
lo spirito di sistema dal paro inutile nelle lett
rovano altro che lo spirito di sistema dal paro inutile nelle lettere
che
nella metafisica. Chi avesse la brillante imagina
ade paragonerebbe codesti facitori d’ipotesi istoriche agli astronomi
che
abbracciarono il sistema dei cieli solidi, i qual
sua opera recenre alla pagina 307 mi rimprovera per aver io spacciato
che
Federico Secondo Imperatore apprendesse dal Conte
In qual tomo, in qual capitolo, in qual pagina, in qual riga ho detto
che
Federico traesse l’amore verso la poesia, e la pr
nte di Tolosa? II. Alla pagina 308 dello stesso tomo dopo aver detto,
che
nel gaudio popolare per la vittoria di Cortenova
to essersi conosciuta la musica strumentale in Italia allora soltanto
che
Federigo si trovò con Raymondo di Tolosa per asco
ri provenzali. Ma con qual ragione può farsi questa imputazione a me,
che
trovo introdotta la musica strumentale in Italia
ssa Matilde, cioè più d’un secolo prima della battaglia di Cortenova,
che
parlo fin d’allora di timpani, di cetere, di stiv
che parlo fin d’allora di timpani, di cetere, di stive, e di lire, e
che
alla pagina 150 della prima edizione ne cito in c
ma edizione ne cito in conferma un verso dell’antico monaco Donizone,
che
scrisse la vita di quella celebre principessa. II
ebre principessa. III. Alla pagina 307 mi condanna per aver asserito,
che
Federigo secondo gran protettore de’ poeti e de’
oriosamente adduce l’autorità del monaco Gotifredo, il quale racconta
che
Federigo cercò di persuadere ai principi di non a
, si devono forse confondere coi buffoni da piazza? Non è forse vero,
che
quell’Imperatore proteggesse le Lettere? Non amò
? Quale spirito muove adunque questo scrittore qualora mi fa dire ciò
che
non ho mai sognato di dire, e qualora m’intenta u
i sognato di dire, e qualora m’intenta un processo per aver detto ciò
che
dice egli stesso dietro a una folla di scrittori
in Aretino. La divinità si doveva a quest’ultimo colla stessa ragione
che
gli Egizi la davano ai gatti, ai serpenti, ed agl
ompendio por J. C. Il qual compendiatore ho buone ragioni di credere,
che
fosse il celebre Monsignor Giovanni Caramuel. 48
facevano essi colla cinnira o cetra strumento non conosciuto da noi,
che
rassomiglia ad una spezie di lira od arpa piccola
ttela della musica greca. 52. [NdA] In Nuptiis Ducium Mediolanensium
che
serve d’appendice al Libro XXII delle sue storie.
ti fino a Metastasio. Avanzamenti della prospettiva. [1] La Francia,
che
avea in parte contribuito a fare che gl’Italiani
la prospettiva. [1] La Francia, che avea in parte contribuito a fare
che
gl’Italiani trovassero il vero stile del recitati
elodramma in quella nazione per opera del Cardinal Mazzarini, i poeti
che
rivolsero l’ingegno a cotal genere di componiment
il loro gusto e la loro maniera su quella delle produzioni italiani,
che
levavano maggior grido. Non è adunque da maravigl
italiani, che levavano maggior grido. Non è adunque da maravigliarsi
che
i vizi d’un sì cattivo esemplare si propagassero
i d’un sì cattivo esemplare si propagassero ai melodrammi francesi, e
che
questi sprovveduti d’ogni poetico pregio cadesser
sero nello stesso avvilimento in cui erano caduti in Italia. Perrino,
che
fu il primo poeta che componesse opere nella prop
limento in cui erano caduti in Italia. Perrino, che fu il primo poeta
che
componesse opere nella propria lingua, Cambert, p
per molti anni la corte con spettacoli sconci in quel tempo medesimo
che
il gran Cornelio creava il teatro tragico, che Ra
in quel tempo medesimo che il gran Cornelio creava il teatro tragico,
che
Racine incominciava a gareggiar con Euripide, e c
l teatro tragico, che Racine incominciava a gareggiar con Euripide, e
che
sorgeva Moliere oscurando colle sue commedie la g
e commedie la gloria degli Aristofani e de’ Terenzi. Niuno crederebbe
che
Luigi Decimoquarto avvezzo ad ammirare tanti capi
tazione della Pomona, ove si parlava a lungo di pomi e di carciofoli,
che
potesse aver la sofferenza di sentir parlare nell
Venere, e l’Aurora col linguaggio delle fantesche e delle ostesse, e
che
non si raccapriciasse per lo spavento nel sentir
sse per lo spavento nel sentir codesta bestiale invocazion de’ demoni
che
si faceva nell’opera intitolata la Circe «Sus B
iffatto scongiuro era più a proposito per mandar in inferno i viventi
che
per trarne fuori i demoni. [2] Tal era lo stato d
agedie, per le quali era talmente incorso nella disgrazia di Boeleau,
che
il satirico non perdeva occasione di motteggiarlo
e a Quinaut essere il suo talento poco a proposito per la tragedia, e
che
meglio gli tornerebbe volgendolo ad altri generi
enti quanti sono i pezzi drammatico-lirici ch’egli compose. E certo è
che
prendendo egli ad abbellire il poetico mostro, ch
compose. E certo è che prendendo egli ad abbellire il poetico mostro,
che
si chiamava opera, gli diè quella regolarità e qu
e delle fate, sorgente perenne di deliri non meno sul teatro italiano
che
sul francese acquistò fra le sue mani del vigore,
edusa con altri esseri fantastici piacquero a quelli uditori medesimi
che
erano avvezzi a sparger lagrime sulle calamità di
rime sulle calamità di Fedra, e d’Ifigenia, non tanto per l’interesse
che
potevano eccitare siffatti personaggi (il quale p
vea ridursi pressoché al nulla) quanto per la bellezza delle comparse
che
somministravano. Massimamente in un paese e in un
r anco fatto sentire la varietà, le grazie, la dolcezza, e la melodia
che
manifestò poscia nelle composizioni de’ gran maes
nia de’ versi, la dilicatezza dell’affetto, tutte quelle doti insomma
che
caratterizzano la poesia musicale, e nelle quali
inaut non ha avuto alcun rivale in Francia né prima né poi. I lettori
che
amano di farne i confronti tanto giovevoli agli a
profane la Venere ignuda de’ Medici. Quando, traducendo le cose poeti
che
da un idioma in un altro non si è sicuro d’aver i
’ Pigmei, allorché s’affannavano per alzar da terra la clava d’Ercole
che
dormiva. [3] Si tratta di esprimere quella mescol
ti mitigati dalla speranza, quella eloquenza timida insieme ed ardita
che
ispira l’amore a coloro, che antiveggendo da lont
uella eloquenza timida insieme ed ardita che ispira l’amore a coloro,
che
antiveggendo da lontano l’incostanza dell’oggetto
amore a coloro, che antiveggendo da lontano l’incostanza dell’oggetto
che
adorano, cercano pure di richiamarlo con dolenti
r.» [4] Si vuol rappresentare il tormento più squisito e più crudele
che
possa trovar ricetto nel cuor d’un amante, la cer
Que pour faire des misérables?» [5] E non si creda già
che
Quinaut riuscisse bene soltanto nelle cose amoros
e cose amorose. Niun poeta francese, compreso anche lo stesso Boeleau
che
il deprimeva sì ingiustamente, l’ha uguagliato, q
r nouveau d’en devenir l’effroi.» [7] S’avverta innoltre al discorso
che
fa Ercole a Plutone; si rifletta al coro che nell
rta innoltre al discorso che fa Ercole a Plutone; si rifletta al coro
che
nella Proserpina ringrazia gli dei per la sconfit
creazione del mondo; si paragonino poi codesti squarci e molti di più
che
potrebbero in mezzo recarsi coll’ode sulla presa
à, indi si giudichi, se sia o no più facile il criticar un grand’uomo
che
l’uguagliarlo. [8] L’esempio di Quinaut annunziav
ostanze e cupidi del guadagno più non si potè mantenere col dispendio
che
esigevan le decorazioni e le appariscenze proprie
ia nella musica, rivolgendo verso i cantori l’attenzione del pubblico
che
si prestava da prima ai macchinisti, fu la cagion
e del pubblico che si prestava da prima ai macchinisti, fu la cagione
che
i musici si tenessero in maggior conto, e che pag
chinisti, fu la cagione che i musici si tenessero in maggior conto, e
che
paghe strabocchevoli richiedessero per le fatiche
e venne in seguito la necessità d’appigliarsi ad altri provvedimenti,
che
servissero a risparmiar da una parte ciò che si p
ad altri provvedimenti, che servissero a risparmiar da una parte ciò
che
si profondeva dall’altra. Della qual disposizione
tra. Della qual disposizione dovuta forse più alle cause accidentali,
che
a positivo disegno di migliorar il melodramma app
porsero mano alla riforma della poesia. Appena s’incominciò a capire
che
il vero, il grande, il patetico, il semplice eran
il patetico, il semplice erano le sole strade per giugnere al cuore,
che
immantinente sparì tutto quell’apparato di favole
grandi tratti dalla storia greca e romana, (quasi le due sole nazioni
che
somministrino argomenti al teatro, perché esse qu
ro, perché esse quasi le sole furono ove si conoscessero quelle virtù
che
possono riceversi dalla legislazione, e dalla fil
filosofia) si sostituirono sulle scene all’abbominio del buon gusto,
che
dominava per tutto. Si vide che la rapidità, la c
e scene all’abbominio del buon gusto, che dominava per tutto. Si vide
che
la rapidità, la concisione e l’interesse che part
inava per tutto. Si vide che la rapidità, la concisione e l’interesse
che
partoriscono la commozione, erano l’anima della p
he partoriscono la commozione, erano l’anima della poesia musicale, e
che
la lentezza, la monotonia, le dissertazioni e i l
molto i componimenti, il numero degli atti si ridusse a tre di cinque
che
solevano essere, si tolsero via gli inutili prolo
etto pensare. Una cognizione più intima del teatro gli fece avvertire
che
l’aria, essendo quasi l’epifonema o l’epilogo del
ensì colla opportuna graduazione ne’ suoi movimenti, non è verosimile
che
sull’incominciare d’un dialogo si vedesse di già
lmo della passione per rientrar poi immediatamente nello stile pacato
che
esige il recitativo. Lo che era incorrere nello s
rar poi immediatamente nello stile pacato che esige il recitativo. Lo
che
era incorrere nello stesso errore in cui incorrer
orazione, facendo in seguito succeder l’esordio. [9] Due difetti però
che
più d’ogni altro sformavano il melodramma s’assog
lodramma s’assoggettarono a particolar correzione, l’uno il disordine
che
regnava nei cangiamenti di scena, l’altro la mani
no i poeti di preparar le decorazioni. Il mostro descritto da Orazio,
che
aveva sembianza di donna su una cervice di cavall
ritarda i progressi dell’arte invece di accelerarli93; ma la licenza
che
indi ne risultava fu limitata dal buon senso pres
tava fu limitata dal buon senso prescrivendo al luogo le stesse leggi
che
al tempo, e misurando la successione per la perma
al tempo, e misurando la successione per la permanenza: vale a dire,
che
siccome alla durata dell’azione si permettono ven
rmettono ventiquattr’ ore, così permettonsi al luogo que’ cangiamenti
che
possono naturalmente avvenire camminando una gior
sono naturalmente avvenire camminando una giornata intiera. Tutto ciò
che
oltrepassa l’accennata regola è contrario egualme
ppunto tutta la corruzione del gusto di que’ tempi per non riflettere
che
o cangiandosi la scena, rimaneva lo stesso coro s
lla scena, e allora bisognava stiracchiar l’orditura del dramma acciò
che
vi fosse infine d’ogni atto una situazione la qua
onde si colse il doppio vantaggio e di togliere una inverosimiglianza
che
saltava agli occhi e di approfittarsi vieppiù del
della musica, le quali spiccano molto più nella monodia e nel duetto
che
nelle partizioni d’un coro. Riserbandosi poi ques
di mille sconvenenze a fatica ricompensate colle originali bellezze,
che
dopo venti e più secoli siamo pur costretti ad am
ù celebri poeti a quel tempo, de’ quali io non nominerò se non quelli
che
in qualche modo al cangiamento concorsero, lascia
al cangiamento concorsero, lasciando le ricerche più minute a coloro
che
stimano aver fatto gran via nella carriera del gu
cita e della morte, il numero e il titolo delle opere di tanti autori
che
il pubblico ha dimenticati da lungo tempo senza f
olti, e quasi tutti di carattere storico. Alcuni scrittori pretendono
che
quest’autore fosse il primo a volgere di tristo i
mo a volgere di tristo in lieto il fine della favola, ma il vero si è
che
l’usanza di finir lietamente i drammi è tanto ant
del Quadrio. Il marchese Scipione Maffei nella Ninfa fida fece vedere
che
i talenti per la poesia tragica sono diversi dai
iversi dai talenti per la poesia musicale, imperocché niun crederebbe
che
l’autore di quella pastorale scritta senza intere
sse, senza dolcezza di stile e senza spirito teatrale fosse lo stesso
che
avea composto la bellissima Merope. Lo stile dei
attribuiti si mostra ben lontano dalla maravigliosa cultura d’ingegno
che
risplende nelle sue liriche poesie, e principalme
tto e sostenuto, l’invenzione varia, gli avvenimenti preparati meglio
che
per l’addietro non si faceva, e il tutto procede
postolo Zeno vi porse mani aiutatrici, e gli rivestì di quella maestà
che
conviensi al linguaggio delle divine scritture. S
ta, l’Ezechia colle altre saranno sempre le migliori rappresentazioni
che
abbia l’Italia fino a’ tempi di Metastasio. E sic
e il suo carattere naturalmente il portava più a quel genere di stile
che
a qualunque altro, così in un altro luogo s’espri
occata la perfezione. Egli dee piuttosto chiamarsi un uomo di talento
che
un uomo di genio, e tra i componimenti suoi e que
i e quelli del Metastasio passa a un dippresso la medesima differenza
che
passerebbe tra amena e frondosa valle veduta al l
anche di stile poco elegante. Egli non conobbe abbastanza la rapidità
che
esige il melodramma; perciò le scene sono troppo
he, le favole troppo composte, e troppo cariche d’incidenti: talmente
che
v’ha di quelli fra i suoi drammi che fornirebbero
po cariche d’incidenti: talmente che v’ha di quelli fra i suoi drammi
che
fornirebbero ampia materia di lavoro a due o tre
poteva fare a meno di non cagionar lentezza e languore sì nell’azione
che
nella musica. Non era nemmeno dotato d’orecchio b
nella composizione delle arie. Talvolta gli cadono dalla penna alcune
che
si direbbe essere state lavorate colla morbidezza
dolce amore.» [15] Talvolta vengono fuori delle altre cose animate,
che
difficilmente potrebbe uguagliarle la stessa musa
ede ridotto Ulisse all’estremo di doverne scegliere tra due fanciulli
che
gli vengono presentati avanti per condannar l’uno
il figliuolo d’Andromaca, sentasi con qual energia s’esprime la madre
che
si trova presente alla fatale scelta, e che appie
nergia s’esprime la madre che si trova presente alla fatale scelta, e
che
appieno comprende la scaltrezza e la crudeltà d’U
[16] Si confronti codesta situazione con quella di Foca in Cornelio,
che
è presso a poco la stessa, e la maniera di esprim
inferiore al drammatico italiano. Ma siffatti esempi sono tanto rari
che
non bastano a sottrarlo dal difetto appostogli. A
sono più acconci a mettersi in una dichiarazione di guerra vandalica
che
in un melodramma. Altri l’accuserà forse di scars
segreto delle belle arti è quello di presentar gli oggetti in maniera
che
la fantasia non finisca dove finiscono i sensi, m
tti in maniera che la fantasia non finisca dove finiscono i sensi, ma
che
resti pur sempre qualche cosa da immaginare allo
l’orecchio non sente, così il discostarsi talvolta dalle prospettive
che
corrono al punto di mezzo, che sono, per così dir
discostarsi talvolta dalle prospettive che corrono al punto di mezzo,
che
sono, per così dire, il termine della potenza vis
e, il termine della potenza visiva e della immaginativa, fu lo stesso
che
aprire una carriera immensa alla immaginazione in
carriera immensa alla immaginazione industriosa e inquieta di coloro
che
guardano da lontano le scene. Di siffatto ritrova
i siffatto ritrovamento ne fu l’autore Ferdinando Bibbiena bolognese,
che
grandissimo nome s’acquistò dentro e fuori della
e, che grandissimo nome s’acquistò dentro e fuori della sua patria, e
che
venne meritamente chiamato il Paolo Veronese del
iva fu impiegata non più a esporre sotto gli occhi esseri fantastici,
che
non hanno alcuna relazione con noi, ma a rapprese
di Lope si bandì dal Teatro Spagnuolo l’indecenza. I. Ecco quel
che
de’ Drammi Italiani del Cinquecento dice il Signo
Le più celebrate Tragedie, le Commedie più regolate non furono altro,
che
una troppo timida e superstiziosa imitazione degl
ri? Avete pure molto talento, avete criterio, discernimento; vedreste
che
, se molte sono le dotte imitazioni dal Greco, e l
itura novella, nè ricavata servilmente dagli Antichi. Vedreste ancora
che
, quantunque varie Commedie si componessero felice
varie Commedie si componessero felicemente fra noi imitando le Latine
che
pur son Greche, vi si ritrassero però al vivo gl’
pur son Greche, vi si ritrassero però al vivo gl’Italiani moderni; di
che
saranno sempre testimonio la Clizia del Machiavel
le quali si palpano gl’Italiani del tempo degli Autori. Io non voglio
che
crediate alla mia nuova Storia teatrale quando si
diate alla mia nuova Storia teatrale quando si produrrà: ma su quello
che
io riferisco, pregovi a fermarvi, e a dubitar, sì
ere i vostri dubbj, confrontando da voi stesso i Drammi; e son certo,
che
se amate la verità, vi ravviserete quello che mai
i Drammi; e son certo, che se amate la verità, vi ravviserete quello
che
mai non pensavate, e stupirete di aver finora fat
no da farvi imboccare la lezione? E con qual fondamento istorico dite
che
la Drammatica Italiana fu solo una servile imitaz
ò nella Risposta a Giambattista Sacco disse ottimamente il Bonciario,
che
“non da’ rottami di Menandro, nè dalle intere fav
chè dove i Fatti sono contrarj, questi sforzi sono languidi soccorsi,
che
, se volete, possono far numero, ma non già peso;
umero, ma non già peso; sono come le foglie su di un cesto di frutta,
che
allo scoprirsi ciò che stà di sotto, restano spar
sono come le foglie su di un cesto di frutta, che allo scoprirsi ciò
che
stà di sotto, restano sparse per lo suolo. Oltre
scoprirsi ciò che stà di sotto, restano sparse per lo suolo. Oltre di
che
non sapete che i Fiorentini dicono, Tanto sa altr
he stà di sotto, restano sparse per lo suolo. Oltre di che non sapete
che
i Fiorentini dicono, Tanto sa altri quanto altri?
io un’ aria d’incertezza, di argomentazione precaria, di sospensione,
che
le cangia infine in pure declamazioni suggerite d
erite dalla paura di soggiacere, ed infonde brio e vigore negli emuli
che
se ne accorgono. L’avverto intanto di passaggio c
igore negli emuli che se ne accorgono. L’avverto intanto di passaggio
che
nella p. 195. parmi che citi fuor di proposito al
ne accorgono. L’avverto intanto di passaggio che nella p. 195. parmi
che
citi fuor di proposito alcune parole del Gravina.
195. parmi che citi fuor di proposito alcune parole del Gravina. Dite
che
“l’affettata imitazione rese fredde e nojose le m
le migliori Tragedie, e troppo dissolute le Commedie più celebrate, e
che
i più bravi ingegni inviluppati nella superstizio
re il giogo imposto dagli sterili interpreti di Aristotile”. E da ciò
che
ne avvenne secondo il Gravina? Dice forse, che qu
Aristotile”. E da ciò che ne avvenne secondo il Gravina? Dice forse,
che
questa fu la cagione della deformità del Teatro d
questa fu la cagione della deformità del Teatro del seguente secolo (
che
di questo parla il Gravina, e non già del XVI. co
ià del XVI. come voi credeste)? Al contrario questo Scrittore afferma
che
il Teatro si deturpò del tutto quando si cadde ne
atto dalla verisimilitudine, decoro, e proprietà, come spesso avviene
che
gli uomini rompendo il freno di eccedente rigore,
ima di lasciare le Commedie del Cinquecento. Non parmi, Signor Abate,
che
abbiate ragione di lagnarvi del Signorelli (Lamp.
della Commedia Italiana ravvisate anche dall’erudito Brumoy, accenna,
che
gli Autori di essa furono persone nobile condecor
to? Ben si può lagnare del Signor Lampillas l’Italia e ’l Signorelli,
che
alla parola Frati, soggiugne per capriccio, cioè
vi; nè Vescovi (se pure tutti i Frati per Voi non sono Vescovi) parmi
che
trovinsi introdotti ch’io sappia nelle Commedie I
ta Il Falso Nunzio di Portogallo, dove, oltre a un impostore falsario
che
con firme imitate si fa credere Nunzio e Cardinal
amp;c., si veggono ancora intervenire altri Prelati ed Ecclesiastici,
che
bassamente corteggiano l’impostore per vili monda
nel dettato della scaltrezza volgare, chiama ladro al contrario prima
che
ti ci chiami. Certamente nè Ariosto invano da Voi
a soggetto pubblicate dal Commediante Flaminio Scala nel 1611. Altro
che
cinquanta furono i canovacci Istrionici di quel t
e mancheranno alla Spagna, non dico i buffoneschi Sainetti e Tramezzi
che
terminano a bastonate, e los Titeres, e gl’insipi
mazioni, di pazze apparenze Cinesi in aria, in terra, e nell’inferno,
che
si vedono ogni anno in quattro o cinque Commedie
Colombo scritta da non so chi in Italia motteggiata dall’Apologista),
che
si recitò due anni sono. Il Brighella e l’Arlecch
e Spagnuole, sono uno sfogo necessario alla plebaglia e alle femmine,
che
vogliono ridere sgangheratamente delle Maschere I
gnuoli posti fra Diavoli, o trasformati in mille guise sulla scena, o
che
precipitano sotterra, o che vanno per aria a volo
trasformati in mille guise sulla scena, o che precipitano sotterra, o
che
vanno per aria a volo; e convien tollerarle. Cred
terra, o che vanno per aria a volo; e convien tollerarle. Credete voi
che
queste insipide sciocchezze de’ Graziosi Spagnuol
de’ Graziosi Spagnuoli siano meno sconcie delle Arlecchinate? Credete
che
chiamare il Buffone della Commedia Arlecchino o T
r perchè, Signor Abate, con produrre le Arlecchinate costringete quei
che
combattete a mettervi sotto gli occhi i Graziosi?
cciarono il coturno ed il socco. Non tacquero i Teatri degli Strioni,
che
doveano cercar del pane, e seguirono colle loro f
questa la Poesia, o i canovacci del Commediante Scala? Stimate forse
che
fossero pochi i buoni Drammi? Le Tragedie furono
mate forse che fossero pochi i buoni Drammi? Le Tragedie furono tante
che
di molto superano le Spagnuole de’ due secoli mes
cusa data contro del Signorelli (p. 212.). Vi lagnate perchè ho detto
che
le irregolarità delle Commedie Spagnuole e la poc
to che le irregolarità delle Commedie Spagnuole e la poca somiglianza
che
aveano cogli originali della natura le fecero and
a la irregolarità, e perchè que’ caratteri di Duellisti, e Matasiete,
che
in Ispagna un secolo primo non parvero alieni dal
e il popolo più non se ne dilettava. Il Fatto dimostra il poco frutto
che
ne ricavavano i Commedianti, perchè di bel nuovo
chè di bel nuovo si trovarono abbandonati. Or quì il Signor Lampillas
che
de’ fatti fa poco conto, e si attiene alle amate
sue congetture, dice così: “E vorrà il Signorelli darci ad intendere,
che
in quei tempi fosse sì delicato il gusto degl’Ita
licato il gusto degl’Italiani avvezzi alle più ridicole arlecchinate,
che
dovessero schifare le nostre Commedie per la manc
co perchè si soffrono le balordaggini de’ Graziosi e dell’Arlecchino,
che
trovò luogo anche in Francia, e poi ne’ Drammi d’
delicato? Quando così parlate degl’Italiani del secolo scorso, sembra
che
abbiate la fantasia riscaldata, e ingombra tutta
igne Filosofo Napoletano acquistava molto terreno colla Camera Ottica
che
a lui si attribuisce, e colla Camera Oscura che t
o colla Camera Ottica che a lui si attribuisce, e colla Camera Oscura
che
tantò illustrò la teoria della Luce, perfezionata
nell’archivio apologetico quali sono i tempi più luminosi? Fra quelli
che
non sono Apologisti sono i tempi delle Scienze; e
to ed il gusto. Ed in tai tempi il rischiarato Signor Lampillas stima
che
gl’Italiani non potessero giudicare della manifes
io de’ volgari. E volete Voi dare ad intendere a’ vostri compatrioti,
che
se gl’Italiani fossero stati sì avvezzi alle arle
dore per le Scienze occupò a quei tempi talmente gl’ingegni Italiani,
che
neglessero questo piacevole esercizio della Poesi
agiche, per pascolo de’ volgari, e delle donne, e di que’ forestieri,
che
nudi delle giuste notizie letterarie viaggiano, o
dichiarato pertinace nemico della verità istorica, dovete confessare,
che
la Musica a quei tempi s’impadronì degli animi It
iani, e l’Arlecchino parve freddo alla maggior parte, e rimase presso
che
interamente abbandonato. La Storia, amico, vi ass
teramente abbandonato. La Storia, amico, vi assale per ogni banda. Oh
che
gran nemico per gli Apologisti è la Storia! Mi ri
co per gli Apologisti è la Storia! Mi riconvenite ancora perchè dissi
che
in Italia alla prima piacquero i componimenti Spa
cipali. E’ verissimo, Signor D. Saverio, avvenne così appunto; ma Voi
che
altro non volete vedere fra noi, se non il Teatro
n volete vedere fra noi, se non il Teatro Istrionico, tornate a dire,
che
gl’Istrioni anzi le sfigurarono. Ed io in ciò con
igurarono, come per ignoranza sfigurano quanto tocccano. Ma avvertite
che
gli Scrittori le purgarono de’ difetti principali
Svolgete un poco qualche Libro di Storia letteraria, e Voi troverete
che
vi furono in Italia tuttavia moltissime Accademie
Lettere amene, nelle quali, benchè in istile alterato dal mal gusto,
che
allora infettava soprammodo anche la Penisola di
i, sono di questa natura. Essi per vizio radicale si allontanano, non
che
dalla semplicità, da un viluppo ragionevole; sono
erica alla Penisola. Vi appoggiate poi al Signor Goldoni per provare,
che
gl’Istrioni sconciarono le Commedie Spagnuole. Co
che gl’Istrioni sconciarono le Commedie Spagnuole. Conviene ripetervi
che
quì non si tratta degl’Istrioni, e che dovete leg
Spagnuole. Conviene ripetervi che quì non si tratta degl’Istrioni, e
che
dovete leggere gli Scrittori, se volete ragionar
conseguenze non vere? Ecco: Voi sostenete coll’autorità del Goldoni,
che
gl’Istrioni malmenarono le Commedie Spagnuole, e
on Pietro, se gl’Italiani purgarono le nostre Commedie”. Vale a dire,
che
in un branco d’Istrioni si contiene la Nazione It
dire, che in un branco d’Istrioni si contiene la Nazione Italiana? E
che
volete che io veda, accuratissimo Signor Apologis
in un branco d’Istrioni si contiene la Nazione Italiana? E che volete
che
io veda, accuratissimo Signor Apologista? Altro i
o io non vedo in tutti i sei Volumetti del Saggio Apologetico, se non
che
da premesse particolari dedotte conseguenze unive
in una Lettera ad Erasmo si ride della puerilità di certo amico suo,
che
l’esortava a leggere per due anni interi le Opere
l’esortava a leggere per due anni interi le Opere di Cicerone, furore
che
prese gli animi di molti, e subito il Signor Lamp
che prese gli animi di molti, e subito il Signor Lampillas conchiude
che
il Vives biasimava il gusto di Latinità degl’Ital
uaci col moderno Teatro novera il Signor Lampillas (p. 196.) l’onestà
che
v’introdussero: “La nuova Commedia bandì dal Teat
delle ruffiane e mezzani sostituì persone civili e nobili: in maniera
che
se non comparve la detta Commedia in sembianza di
e le ruffiane e i mezzani, ma loro sostituì i Graziosi e le Graziose,
che
, senza portar quel nome, esercitano lo stesso mes
nor Lampillas forse senza averla letta) si vede Celia Dama principale
che
fugge dalla propria Casa con Felisardo suo amante
los picos uno en otro, “Y decirse requiebros en el cuello.” Forza è
che
dica lo spettatore ciò vedendo, se ciò accade in
ciò vedendo, se ciò accade in luogo praticato dagli altri della Casa,
che
avverrà in parte più secreta! E così si bandisce
sarre), e non corretti e ripresi, come avveniva nelle favole antiche,
che
mostravano le meretrici quali erano, cioè spregev
ugne: “Le Donne al principio sono tutte nobili, mostrano una fierezza
che
in vece di amore infonde spavento, ma da poi da q
ri, di subornare i Servi . . . . discolpandosi colla passione amorosa
che
viene dipinta onesta e decente, che è la vera pes
colpandosi colla passione amorosa che viene dipinta onesta e decente,
che
è la vera peste della gioventù”. Or che vi pare,
ene dipinta onesta e decente, che è la vera peste della gioventù”. Or
che
vi pare, Signor D. Saverio di questa vostra genti
che vi pare, Signor D. Saverio di questa vostra gentil Dama poco meno
che
veneranda Matrona? E’ divenuta più onesta cangian
ertazione del Nasarre, non meno fondatamente diceva: “Sosterrò sempre
che
le Commedie che oggi si rappresentano (a riserba
sarre, non meno fondatamente diceva: “Sosterrò sempre che le Commedie
che
oggi si rappresentano (a riserba di alcuna rarist
i pensa solo a ingarbugliare: l’ingegno non conosce altro entusiasmo,
che
il cammino insegnato dagli Attori. E con tutti qu
sti soccorsi si producono certi mostri, certi parti informi immaturi,
che
chiarissimamente manifestano, che se la Commedia
stri, certi parti informi immaturi, che chiarissimamente manifestano,
che
se la Commedia esser debbe specchio della vita, s
vite presenti sono estremamente deformi a volerne giudicare da quello
che
si rappresenta nello specchio”. Il Signor Abate L
mpillas pel suo tenor di vita, per l’istituto, e per gli studj severi
che
avrà coltivati, si sarà ben poco mirato in questo
ù decente figura. Ed invero havvi Commedia tale fra’ migliori Autori,
che
fa stupire i ben costumati. Che carattere detesta
nroy? Avea dunque ragione il fu D. Nicolàs de Moratin, quando scrivea
che
il teatro nazionale, “Es la escuela de la maldad,
iencia, insultos, traversuras, y picardias”. Queste sono le dipinture
che
fanno gli stessi eruditi nazionali della decenza
etica novera le irregolarità delle Commedie di Calderòn, e gli errori
che
commette in Istoria, Mitologia, e Geografia; osse
li errori che commette in Istoria, Mitologia, e Geografia; osservando
che
nella Commedia Los tres afectos de amor ragiona d
ope, e di Virues pel Teatro disse l’erudito Montiano nel I. Discorso,
che
i Drammi Spagnuoli non son Commedie, “por las pes
a prende a difendere; ma non vò stancare i miei Leggitori. Dico solo,
che
il Sign. Lampillas può osservare, che nella Stori
re i miei Leggitori. Dico solo, che il Sign. Lampillas può osservare,
che
nella Storia de’ Teatri non si è detto, se non un
o, del Roxas, di La-Hoz &c., scegliendo tralle loro favole quelle
che
meritano la pubblica stima, e tutto ciò non è bas
pagnuola una fecondità prodigiosa; ma potrà dirsi riguardo al Teatro,
che
il non curare gli avvisi della Ragione, e i saggi
s, non piacemi (benchè ciò nè me, nè l’Italia tocchi poco, nè punto),
che
tanta pompa facciate dell’abbondanza di Lope, e d
mucho y bien, tapaba la boca à su propio concimiento”. Credete forse
che
per la brevità del tempo che si spende nel compor
à su propio concimiento”. Credete forse che per la brevità del tempo
che
si spende nel comporre, si trovi maggiore indulge
lligenti. Voi già saprete come Orazio3 dava la berta a quel Crispino,
che
lo disfidava a vedere a prova qual de’ due facess
a prova qual de’ due facesse più versi in un tempo prefisso; saprete
che
nell’Epistola a’ Pisoni consigliava, . . . . . C
endite, quod non Multa dies & multa litura coercuit. Saprete,
che
il sopraccitato Boilean suo fedel seguace prescri
se, “Et ne vous piquez point d’une folle vitesse.” Saprete in oltre,
che
quest’impeto di Lope rassomiglia a quello degl’Im
e, che quest’impeto di Lope rassomiglia a quello degl’Improvvisatori,
che
sono innumerabili, soprattutto in Italia, e che l
degl’Improvvisatori, che sono innumerabili, soprattutto in Italia, e
che
la di loro voce finisce, come quella de’ Cigni, c
legge degli stranieri e de’ nazionali! Ma è veramente per lo meglio,
che
non si legga. Riflettete poi, che questo è un pur
nali! Ma è veramente per lo meglio, che non si legga. Riflettete poi,
che
questo è un puro effetto di esercizio, e di vivac
iù molte centinaja ancora colla medesima precipitazione. E voi volete
che
un Lope, che per altro accompagnò in varie Poesie
inaja ancora colla medesima precipitazione. E voi volete che un Lope,
che
per altro accompagnò in varie Poesie Liriche la g
partecipi dell’infelice vanto della prestezza nel comporre Commedie,
che
gli è comune cogli Hardy e cogli Hann Sacs? Non v
re Commedie, che gli è comune cogli Hardy e cogli Hann Sacs? Non v’ha
che
de’ Terenzj, Signor Abate, i quali sanno scrivere
ali sanno scrivere solo sei Commedie da non perire giammai. Io credo,
che
più che ogni altra cosa questo genio di precipita
o scrivere solo sei Commedie da non perire giammai. Io credo, che più
che
ogni altra cosa questo genio di precipitazione ne
ta fa bene a crederlo, e a ripeterlo. Non per tanto io son di avviso,
che
se il Goldoni prese di mira il sistema della Comm
sistema della Commedia di Lope, forse ciò fu nelle prime sue favole,
che
scrisse pel Teatro Istrionico allora assai corrot
uce un genio proclive allo stravagante, all’esagerato, al romanzesco,
che
dovea allora essere accetto agl’Istrioni. Ma l’is
o non l’ha mai spinto ad imprimere nè anche una sola delle prime; ciò
che
dimostra che n’ebbe onta, e pentimento, e si avvi
i spinto ad imprimere nè anche una sola delle prime; ciò che dimostra
che
n’ebbe onta, e pentimento, e si avvide della mal
ma il Mondo, cioè i costumi, i caratteri, e le passioni degli uomini (
che
questo vuol dir Mondo, Signor Lampillas, e non gi
d anche il Teatro, cioè la pratica osservazione degli artificj comici
che
più sogliono risvegliare gli Spettatori (che ques
ne degli artificj comici che più sogliono risvegliare gli Spettatori (
che
questo vuol dir Teatro); ed a questi due Libri Mo
. Da questi studj nacque in lui l’amore per la Commedia di Carattere,
che
coltivò poi sempre scrivendo quel gran numero di
coltivò poi sempre scrivendo quel gran numero di componimenti Comici,
che
formano la raccolta del suo Teatro. Or questo Tea
nti Comici, che formano la raccolta del suo Teatro. Or questo Teatro,
che
mai ha di comune con quello di Lope? Se il Dottor
i comune con quello di Lope? Se il Dottor Goldoni credesse ancora ciò
che
scrisse in quella Prefazione, io non esiterei a d
iterei a dirgli, ch’egli non ha capito sestesso, nè il genere Comico,
che
poscia ha maneggiato con felicità, egli ha ottenu
nuto da Voltaire il titolo di Pittore. Nè crediate, Signor Lampillas,
che
l’avere egli detto, che non istudiava altri Libri
lo di Pittore. Nè crediate, Signor Lampillas, che l’avere egli detto,
che
non istudiava altri Libri fuorchè il Teatro e il
non istudiava altri Libri fuorchè il Teatro e il Mondo, significasse,
che
ad imitazione di Lope egli conculcasse le regole
se, che ad imitazione di Lope egli conculcasse le regole ragionevoli;
che
questo sarebbe uno de’ vostri farfalloni madornal
negar l’evidenza in tal proposito, come fa l’Apologista. Egli niega,
che
il Teatro Spagnuolo sia mai incorso in tali error
uò appropriare al nostro Teatro (scrive con istupenda franchezza) ciò
che
dice il Menzini, “Un che al prim’ atto le sue
tro (scrive con istupenda franchezza) ciò che dice il Menzini, “Un
che
al prim’ atto le sue guance ha nude “Di pelo, a
uto nel terzo atto con una barba sesquipedale? E Bernardo del Carpio,
che
nasce nel primo atto, non si vede in appresso div
quindici anni? Nè anche si troverà (soggiugne l’Apologista p. 242.),
che
si facciano viaggiare i personaggi da Madrid a Ro
rsonaggi da Madrid a Roma, e poi ritornare. Nè anche? E il Temistocle
che
comincia in Grecia, e va a terminare in Persia? E
he comincia in Grecia, e va a terminare in Persia? E la Nave Vittoria
che
scorre per tutte le parti della Terra, va in Amer
bugie scritte siano meno bugie delle profferite colla bocca. So però,
che
quanto quì dice il Signor Lampillas, si oppone al
ice il Signor Lampillas, si oppone alla verità manifesta, agli Drammi
che
si leggono e si recitano, e al testimonio di cinq
e la verità conosciuta? Siete voi dunque, Signor Abate, uno di quelli
che
il vostro giudizioso paesano D. Antonio Ponz dice
iudizioso paesano D. Antonio Ponz dice (Viag. de Esp. T. V. p. 318.),
che
si accendono e s’impegnano “en defender todo lo
a, juzgando que en esto consiste su reputacion”? Egli stesso vi dirà
che
“las malas defensas dan mas vigor a las razones
ancora parlando appunto delle Commedie nazionali difettose (p. 321.)
che
“las Gentes de juicio tienen por mas util enmend
ri seguendogli sempre senza raggiugnergli ne ripetevano i difetti più
che
le bellezze negli ultimi lustri del secolo XVII e
mi lustri del secolo XVII e ne’ primi del XVIII. Racine singolarmente
che
avea scoperto il miglior cammino e prodotto l’Ata
ide, prendono il tuono effemminato de’ romanzi di madamigella Scudery
che
dipingeva i borghiggiani di Parigi sotto il nome
i Campistron nato nel 1656 e morto nel 1723 scrisse diverse tragedie,
che
non cedono per regolarità a quelle di Racine, ess
so nella poesia tragica Riouperoux autore di un’ Ipermestra: La Fosse
che
della Venezia salvata di Otwai formò il suo Manli
hi Romani il fatto recente della congiura di Bedmar contro Venezia, e
che
compose anche una Polissena tragedia regolare: La
a tragedia regolare: La Grange Chancel nato nel 1678 e morto nel 1758
che
scrisse varie tragedie in istile trascurato e deb
ivacità; ma l’azione sembra difettosa. In fatti l’eccidio de’ Macabei
che
avviene nell’atto primo, eccita tanta commozione
idio de’ Macabei che avviene nell’atto primo, eccita tanta commozione
che
fa comparire languido il rimanente. Salmonea mode
aticarsi da’ Francesi e più lontane dalla natura. Non può riprendersi
che
Romolo venga dipinto come innamorato a differenza
he Romolo venga dipinto come innamorato a differenza de’ suoi soldati
che
altro non cercano che una donna; ma al conte di C
o come innamorato a differenza de’ suoi soldati che altro non cercano
che
una donna; ma al conte di Calepio sembra incredib
mbrano convenire più ad un innamorato francese del tempo di Artamene,
che
ad un Romolo eroe, guerriero, fervido, feroce. No
e ad un Romolo eroe, guerriero, fervido, feroce. Non è poi verisimile
che
Tazio vegga di lontano scintillare i pugnali nel
dovendo correre trallo sfoderarsi i ferri ed il trafiggerlo. Ersilia
che
nell’atto terzo dice da parte di avere scritto il
e, quanto di quello non meno eterogeneo della galanteria di Filottete
che
con rincrescimento si legge nell’Edipo del Voltai
contro l’idea lasciatacene dagli antichi. Qual pro da un cangiamento
che
mena il poeta a lottare colle opinioni radicate n
urre Achille dandogli costumi di Tersite, ovvero Ascanio o Astianatte
che
combattesse con Diomede o Ajace? La più applaudit
colta dal pubblico; nè è da dubitarsi dell’ asserzione del suo autore
che
niuna tragedia dopo il Cid siasi rappresentata in
felice successo, avendosene un testimonio glorioso nell’ approvazione
che
ne diede M. de Fontenelle nel 1732 quando si voll
orla avesse avuto presente qualche modello in tale argomento; so però
che
oltre al poema di Camoens si maneggiò in Lisbona
zioni ben prese e ben collocate di sì patetico argomento. Oltre a ciò
che
suggerì all’autore la nota sventura d’Inès, egli
tura d’Inès, egli ne ha renduta vie più lagrimevole la morte, facendo
che
ottenuta da Alfonso compunto la sospirata grazia
I plagiarj di professione copieranno questo colpo teatrale del veleno
che
impedisce il frutto dell’impetrata grazia, ma se
non sanno preventivamente commuovere con situazioni e quadri vivaci,
che
cosa in fine essi si troveranno fralle mani? l’ar
n fine essi si troveranno fralle mani? l’arida spoglia di un serpente
che
rinnovandosi la depone e si allontana. Riconosce
fezioni: ma non lascia di notarvi certa mancanza d’unità d’interesse,
che
La Motte nelle sue prose ostentava. Alfonso ed In
. Alfonso ed Inès ne hanno uno particolare non pur diverso ma opposto
che
solo nel fine si ricongiunge. Contro il tragico a
ncora) le belle doti di Costanza distraggono alquanto dall’attenzione
che
debbesi a quelle d’Inès. Riprende altresì di scon
che debbesi a quelle d’Inès. Riprende altresì di sconvenevolezza ciò
che
dice la Reina nella scena quarta dell’atto primo,
olezza ciò che dice la Reina nella scena quarta dell’atto primo, cioè
che
all’arrivo di Don Pietro in corte i di lui occhi
i Don Pietro in corte i di lui occhi distratti altro non vi cercavano
che
Inès; sembrandogli ciò poco verisimile in un mari
ggetto amato. Ma quest’ultima censura avrà poco peso per chi rifletta
che
Don Pietro è un marito per ipotesi del poeta tutt
quale gode fra mille pericoli e sospetti il possesso dell’amata, ciò
che
dee mantener sempre viva la sua fiamma. M. Crebil
ne l’anno 1674 e morto in Parigi nel 1762 è il primo tragico Francese
che
in questo secolo possa degnamente nominarsi dopo
forte colorito tutto suo. Lontano dalla grandezza del primo non meno
che
dalla delicatezza ed eleganza armoniosa del secon
tto è mirabile e veramente tragico quello di Radamisto nella tragedia
che
ne porta il nome: il suo Pirro è più grande ancor
eo, Tieste, Farasmane, Palamede sono dipinti con tutto il vigore. Ciò
che
nell’Elettra riguarda la vendetta di Agamennone è
ia tragedie de toute beauté al pari del Radamisto. A noi, oltre a ciò
che
abbiamo detto dell’Elettra, non sembra la Semiram
ista della manifesta ribellione de’ suoi ella dimostrasi così inetta,
che
non sa prendere verun partito per la propria salv
desidera ancora più decoro e più uguaglianza ne’ caratteri. Serse par
che
avvilisca il padre ed il monarca nell’ adoperarsi
ontro l’intenzione dell’autore) sembra lo stesso Consiglio di Persia,
che
condanna Dario alla morte senza punto sospettare
itata riputazione di ottimo tragico acquistata dal robusto Crebillon,
che
pure, come accenna il Voltaire, si vide tal volta
fezione nella tragica poesia. L’ultima sua tragedia fu il Triumvirato
che
ha varj pregi, ma che si rende singolarmente degn
poesia. L’ultima sua tragedia fu il Triumvirato che ha varj pregi, ma
che
si rende singolarmente degna di ammirazione per e
la cui gloria niuno de’ suoi contemporanei sinora ha pareggiata, non
che
adombrata. Dee a lui il coturno non solo varie fa
sue favole stesse, sparsa nelle sue opere multiplici e nell’edizione
che
fece del teatro di Cornelio. La prima direzione l
la letteratura greca e romana; le opere del Crebillon, e gli applausi
che
ne riscoteva, gli diedero i primi impulsi ad entr
i seguito, rappresentando il personaggio di Edipo il giovane Du Frene
che
poi divenne assai celebre attore, e quello di Gio
riticando l’Edipo di Sofocle, quello di Cornelio ed il proprio, o ciò
che
in una edizione del suo Edipo del 1729 scrisse co
e del suo Edipo del 1729 scrisse contro M. de la Motte. Ci basti dire
che
Voltaire conservò molte bellezze della greca trag
basti dire che Voltaire conservò molte bellezze della greca tragedia,
che
non seppe scansarne alcune durezze nella condotta
che non seppe scansarne alcune durezze nella condotta della favola, e
che
l’amoroso episodio di Teseo e Dirce da lui stesso
la prima un successo poco felice. Il famoso Michele Baron già vecchio
che
sostenne il carattere di Erode, Adriana le Couvre
e sostenne il carattere di Erode, Adriana le Couvreur insigne attrice
che
rappresentò quello di Marianna, le due persone ch
ur insigne attrice che rappresentò quello di Marianna, le due persone
che
compresero tutta l’energia di una vivace rapprese
compresero tutta l’energia di una vivace rappresentazione naturale, e
che
insegnarono la prima volta in Francia l’arte di d
offrire sino alla fine la rappresentazione. L’uditorio ravvisò non so
che
di ridicolo nel veleno presentato a Marianna in u
ranta volte. Giambatista Rousseau fece allora anch’egli una Marianna,
che
fu l’origine della lunga contesa ch’ebbe con lui
la di cui virtù non si smentisce mai. La nobile e patetica preghiera
che
gli fa Marianna Prenez soin de mes fils &c.,
i ella posta nel maggior rischio della sua vita sdegna di seguir Varo
che
vuol salvarla. Giunio Bruto rappresentata la pri
è uccisa, Bruto è stato dichiarato giudice del figliuolo. L’incontro
che
ne segue sommamente tragico del colpevole Tito co
di Bruto combattuta dalla paterna tenerezza. Tito confessa l’istante
che
l’ha perduto seguito da’ rimorsi vendicatori e ce
odia; basterà questa parola a rendermi la gloria e la virtù; si dirà
che
Tito morendo ebbe un vostro sguardo per mezzo de’
à che Tito morendo ebbe un vostro sguardo per mezzo de’ suoi rimorsi,
che
voi l’amavate ancora, che alla tomba egli portò l
vostro sguardo per mezzo de’ suoi rimorsi, che voi l’amavate ancora,
che
alla tomba egli portò la vostra stima. Questa pre
Ma egli si fa distinguere per l’umanità, pel patetico, per la libertà
che
regna nelle sue tragedie36. Egli ancora colla dip
ità l’ ha preservato quasi sempre (sia ciò detto con pace de’ pedanti
che
asseriscono il contrario) dalla taccia imputata a
tonio, facendo portare per ultimo colpo il corpo di Cesare in iscena,
che
il Shakespear con arte minore fa dimorare sempre
ligione e colla patria in Zaira, e ne costituisce una persona tragica
che
lacera i cuori sensibili. Per l’oggetto morale ch
na persona tragica che lacera i cuori sensibili. Per l’oggetto morale
che
si cerca in ogni favola, sarebbe in questa la cor
esta la correzione delle passioni eccessive per mezzo dell’infelicità
che
le accompagna. Ma il conte di Calepio critico non
di Calepio critico non volgare oppone non senza apparenza di ragione,
che
essendo Zaira uccisa appunto quando abbracciando
la religione de’ suoi maggiori è disposta a rinunziare alla felicità
che
attendeva dalle sue nozze, sembra che la di lei m
osta a rinunziare alla felicità che attendeva dalle sue nozze, sembra
che
la di lei morte non possa concepirsi come castigo
nto questo quadro felice interessa, commuove, ottiene tutto l’effetto
che
si prefigge la tragedia. Non basterebbe adunque r
la tragedia. Non basterebbe adunque rispondere alla proposta censura,
che
non sarebbe questa la prima volta che si facciano
spondere alla proposta censura, che non sarebbe questa la prima volta
che
si facciano giuste opposizioni a’ componimenti gi
Se montrent dans mon ame entre le ciel & moi. Ella non cerca
che
Orosmane. La medesima passione si manifesta in tu
rûlé pour toi. Ella (dice Fatima insultando Orosmane) si lusingava
che
Iddio forse vi avrebbe riuniti: oimè! a questo pu
fatte a sì bella tragedia in Francia meritano indulgenza per li pregi
che
vi si ammirano, pel magnanimo carattere di Orosma
, pel nobile e generoso di Nerestano, per la dolce ed umana filosofia
che
vi serpeggia. Io non conosco un altro dramma fran
a filosofia che vi serpeggia. Io non conosco un altro dramma francese
che
più felicemente ne’ tre ultimi atti vada al suo f
nza bisogno di veruno episodio e ricco delle sole tragiche situazioni
che
presenta l’argomento. Ella ha pure il merito di e
tto nomi differenti si trattava il medesimo soggetto, o per attendere
che
si rallentasse il trasporto che si avea per la Me
il medesimo soggetto, o per attendere che si rallentasse il trasporto
che
si avea per la Merope del Maffei. Comunque ciò si
l gusto francese togliendole l’aria di greca semplicità e naturalezza
che
vi serbò l’Italiano. Senza dubbio Voltaire ha tal
in maggior commozione gli affetti, dipingendo Merope in angustia tale
che
è costretta dal timore a scoprire ella stessa il
cora. Nell’ interessante scena quarta del medesimo atto III di Merope
che
crede vendicare in Egisto la morte del proprio fi
e vendicare in Egisto la morte del proprio figlio, sorge alcun dubbio
che
non lascia l’uditorio persuaso. Tu hai all’infeli
meritamente ripiglia: Comment? Que dis-tu? Ed Egisto coll’ ingenuità
che
lo caratterizza, Je vous jure, le dice, Par vo
rouble il me jette! Son nom? Parle: répons. Se egli avesse detto
che
suo padre si chiamava Narba, siccome ella sperava
a di sentire, avrebbe in lui riconosciuto il suo Egisto. Ma egli dice
che
suo padre si chiama Policlete, e la reina torna a
resfonte, e va per ferirlo. Ciò è senza ragione. La di lui candidezza
che
tutto confessa, dee almeno toglierle la sicurezza
lui candidezza che tutto confessa, dee almeno toglierle la sicurezza
che
esige la vendetta; tanto più che non si tratta so
a, dee almeno toglierle la sicurezza che esige la vendetta; tanto più
che
non si tratta solo di trucidare un innocente in v
pe a se stessa): se all’uccisore, io trovo in lui mio figlio. Il nome
che
non combina, non basta a metterla nello stato di
ossibili, pe’ quali l’armatura può essere, com’ è, di Egisto, e colui
che
si chiama di lui padre aver preso un nome ignoto
Merope del Maffei, per affrettar col desiderio la venuta del vecchio
che
impedisca l’ esecrando sacrificio di un figlio pe
isca l’ esecrando sacrificio di un figlio per mano della stessa madre
che
pensa vendicarlo. In tal tragedia non è solo ques
a madre che pensa vendicarlo. In tal tragedia non è solo questa madre
che
ragiona male, ragionando assai peggio Polifonte.
ragiona male, ragionando assai peggio Polifonte. Usurpatore scaltrito
che
col matrimonio di Merope procura di mettere un ve
se libero, Polifonte non dovea temere d’un giovane sì intraprendente
che
senz’armi ancora l’ha insultato? Incatenato poi o
l’ha insultato? Incatenato poi o libero non dovea egli temere ancora
che
la di lui presenza commovesse un popolo così affe
a di lui parzialità per la Merope Volteriana non potè lasciar di dire
che
nel miglior punto della passione rimane una fanta
o i Parigini allorchè si rappresentò, giacchè sappiamo da una critica
che
ne uscì subito, che l’atto quinto punto non piacq
è si rappresentò, giacchè sappiamo da una critica che ne uscì subito,
che
l’atto quinto punto non piacque. Se queste rifles
e con maestria l’ab. Cesarotti, ed altri eruditi esteri ed Italiani,
che
certi sedicenti profondi pensatori (i quali non p
quando non vogliano ripetere al loro solito senza citare, non saprei
che
cosa potranno dir su di essa, come millantano, in
dell’arte drammatica. Noi seguendo il nostro costume quello ne diremo
che
possa darne la più adeguata idea, non pensando se
stri quando ci sembrino giusti. Il Maometto tralle tragedie è quello,
che
fu tralle commedie il Tartuffo, cioè un capo d’op
elosia di mestiere e per naturale malignità de’ follicularj. Voltaire
che
in simili opere spendeva talora pochi giorni, si
ni nobili e tratte sempre dal soggetto, colle situazioni maravigliose
che
portano il terrore tragico al più alto punto, col
rtano il terrore tragico al più alto punto, coll’ interesse sostenuto
che
aumenta di scena in iscena, coll’ unione in un gr
nello di Polidoro e colla copia spiritosa del Tintoretto. Egli è vero
che
nella condotta dell’ azione si desidera qualche v
condotta dell’ azione si desidera qualche volta più verisimiglianza:
che
non sempre apparisce dove passino alcune scene: c
verisimiglianza: che non sempre apparisce dove passino alcune scene:
che
l’unità del luogo non vi si osserva: che l’azione
e dove passino alcune scene: che l’unità del luogo non vi si osserva:
che
l’azione procede con certa lentezza nell’atto II:
vi si osserva: che l’azione procede con certa lentezza nell’atto II:
che
i personaggi talora entrano in iscena non per nec
ole onde riceve le ultime fine pennellate il di lui ritratto, facendo
che
egli col suo gran nemico deponga la maschera e ma
di disegni, e lo chiami a parte dell’impero mostrandogli la necessità
che
non gli permette altro partito; quelle dell’ atto
ica e non usitata; e finalmente l’interessante terribile scioglimento
che
rende sempre più detestabile il carattere del ben
pre più detestabile il carattere del ben dipinto impostore. Ma coloro
che
vedevano nel Maometto mille difetti mentre i Pari
e i Parigini si affollavano ad ascoltarlo, imputarongli singolarmente
che
fosse una pericolosa e scandalosa rappresentazion
ù disgraziata. Voltaire stesso soddisfece a questa censura, mostrando
che
la passione amorosa gareggia in Maometto colla su
o che la passione amorosa gareggia in Maometto colla sua ambizione, e
che
la perdita di Palmira ed i rimorsi che in lui si
aometto colla sua ambizione, e che la perdita di Palmira ed i rimorsi
che
in lui si svegliano alla vista del di lei sangue,
mo aggiugnere qualche cosa alla stessa di lui difesa. Perchè si cerca
che
lo scellerato rimanga punito sulla scena? Certame
, cioè mostrare quanto la forza della virtù della religione Cristiana
che
consiste nel perdonare ed amare l’inimico, sovras
le virtù del gentilesimo. Quest’eroismo Cristiano trionfa nel perdono
che
dà il moribondo Gusmano all’idolatra che l’ha fer
ristiano trionfa nel perdono che dà il moribondo Gusmano all’idolatra
che
l’ha ferito a morte. Questo disegno non può abbas
esto disegno non può abbastanza lodarsi; ma il conte di Calepio stima
che
Voltaire non ebbe questo disegno prima di comporl
è ne prese il titolo da Alzira e non da Gusmano. A me però non sembra
che
il titolo di Alzira cangi la veduta segnalata dal
questa favola. Sempre ne’ piani delle favole del Voltaire si desidera
che
ne sieno le circostanze più verisimilmente accred
eno le circostanze più verisimilmente accreditate, sempre si vorrebbe
che
l’autore si occultasse meglio ne’ sentimenti de’
’amore della virtù. Alzira, Zamoro, Gusmano ed Alvaro sono personaggi
che
non si rassomigliano ne’ costumi, nelle debolezze
ce colorito di Tiziano. Quella maravigliosa opposizione di sentimenti
che
anima le più semplici favole, spicca soprattutto
li affetti di Zamoro e di Alzira. Quel contrasto di gioja e di dolore
che
passa nell’animo di Alzira al ritorno di Zamoro c
M. Giuseppe Maria Pagnini. Ravvisa, dice Gusmano a Zamoro De’ Numi
che
adoriam la differenza; I tuoi han comandata a t
ngiamento, eterno Dio, qual nuovo Sorprendente linguaggio! Zam. E
che
, vorresti Forzar me stesso al pentimento? Gus.
no intento a vendicarsi di Semiramide per mano di Ninia suo figliuolo
che
ignoto a se stesso vive sotto il nome di Arsace.
cca dello stesso suo nemico. Ma l’ ombra di Nino non ha altro oggetto
che
la vendetta di un delitto occulto, utile oggetto
poi l’ombra di Nino molte e rilevanti opposizioni. In prima un’ ombra
che
apparisce nel più chiaro giorno alla presenza de’
guerrieri della nazione, riesce così poco credibile al nostro tempo,
che
lascia un gran vuoto nell’animo dello spettatore
e non produce l’effetto tragico. II Manca di certa nota di terribile
che
simili apparizioni ricevono dalla solitudine e da
bile che simili apparizioni ricevono dalla solitudine e dalle tenebre
che
l’accreditano presso il volgo, e contribuiscono a
ti, vale a dire di quasi tutti gli uomini; perchè una vendetta atroce
che
si avvera dopo tanti pentimenti, scoraggia senza
i avvera dopo tanti pentimenti, scoraggia senza riscatto tutti coloro
che
hanno perduta l’innocenza; e nell’Olimpia dice ac
ieu fit du repentir la vertu des mortels. IV Che atrocità! Gli dei
che
vogliono vendicare la morte di Nino, ne ordinano
vero, Au sacrificateur on cache la victime, ma intanto Ninia sa
che
la Madre è la rea, Nino l’accusa e vuol vendetta,
lenare un marito, o condurre un figlio a trucidare sua Madre? Si dirà
che
si vuole impedire un incesto; ma Semiramide non c
Madre? La lettera di Nino moribondo a Fradate, non dice altro se non
che
io muojo avvelenato, e soggiugne ma criminelle ep
ugne ma criminelle epouse senza addurne indizio nè pruova. Lascio poi
che
manca nelle circostanze dell’azione cert’arte che
pruova. Lascio poi che manca nelle circostanze dell’azione cert’arte
che
l’accrediti. Meglio combinata col mausoleo si vor
mblea nazionale. Soprattutto dovrebbe mostrarsi evidente la necessità
che
obbliga Semiramide ad entrare nel mausoleo. Non h
più efficaci per liberare il figlio e punire Assur? L’evento tragico
che
ne segue, per non essere ben fondato, non persuad
ll’ingegno consiste nel ben concatenare i pensieri co’ fatti in guisa
che
gli eventi sembrino fatali, e facciano pensare al
a che gli eventi sembrino fatali, e facciano pensare allo spettatore,
che
posto egli in quella situazione si appiglierebbe
arde ce tombeau, contemple ton ouvrage; ma come ha egli saputo ciò
che
si è passato dentro del mausoleo? come sa egli ch
ha egli saputo ciò che si è passato dentro del mausoleo? come sa egli
che
la reina muore per mano di Ninia? Voltaire che av
mausoleo? come sa egli che la reina muore per mano di Ninia? Voltaire
che
avea ricavate le precedenti favole dal Dolce, dal
a spagnuola la sua Zulima, i cui due ultimi atti deludono le speranze
che
fanno nascere i precedenti. L’Orfano della China
edi di angustia. Poteva essere una cautela, benchè inutile, il tacere
che
fa Amenaide il nome di Tancredi nel biglietto che
inutile, il tacere che fa Amenaide il nome di Tancredi nel biglietto
che
la rende colpevole; ma la dichiarazione interrott
la dichiarazione interrotta dallo svenimento, indi dal ringraziamento
che
Tancredi non vuole ascoltare, lascia il lettore p
rapacità degli Arabi, de’ Greci, de’ Francesi e de’ Germani, ha certo
che
di grande: Grecs, Arabes, Français, Germains,
dell’eroe. L’ab. Sabatier des Castres nel libro de’ Tre Secoli decide
che
Alzira, Maometto, Merope e Zaira non sono compara
na. Questa decisione magistrale punto non ci trattiene dall’affermare
che
tralle migliori del Cornelio e del Racine possono
ro; ma tralasciamo di spaziarci sulle altre più abbondanti di difetti
che
di bellezze. Il sagace osservatore manifesta con
da chi non conosce l’arte. “Tutti coloro (diceva l’istesso Voltaire)
che
si vogliono far giudici degli autori, sogliono su
gliono su di essi scriver volumi; io vorrei piuttosto due pagine sole
che
ce ne additassero le bellezze”. Poche altre trage
i a sparger menzogne e tratti maligni sulle opere acclamate di coloro
che
non sono nel numero de’ loro benefattori. Una fol
truosità, di orrori, di ombre, di sepolcri e di claustrali disperati,
che
in vece di toccare il cuore spaventano e fanno in
istile trascurato e debole con viluppo romanzesco, ma non si sostenne
che
l’ Amasi che è l’argomento della Merope. Guymond
rato e debole con viluppo romanzesco, ma non si sostenne che l’ Amasi
che
è l’argomento della Merope. Guymond de la Touche
Touche nato nel 1729 e morto nel 1760 compose una Ifigenia in Tauride
che
rimase al teatro a cagione di alcune situazioni i
che rimase al teatro a cagione di alcune situazioni interessanti; ma
che
perde di credito nella lettura per lo stile duro
ot, non tutti ravvisarono in lui la mancanza di gusto, e que’ difetti
che
gli furono poscia rimproverati, e singolarmente l
le. Le Miére Parigino, il quale, secondo Palissot, è a Marmontel quel
che
Campistron è a Racine, ha prodotto Idomeneo, Tere
erse, Ipermestra e Barnevel tragedie non meno dure e secche di quello
che
fu la Pucelle di Chapelain39. M. Saurin cominciò
acrificati. M. de la Harpe produsse alla prima la tragedia di Warvick
che
a’ suoi fautori dava grandi speranze; ma l’ istes
ick che a’ suoi fautori dava grandi speranze; ma l’ istesso Palissot,
che
all’apparenza mostra esserne uno, conviene che il
a l’ istesso Palissot, che all’apparenza mostra esserne uno, conviene
che
il rimanente delle sue produzioni drammatiche non
Sofocle quasi rivenendo dalle passate stranezze sulle orme de’ Greci
che
si vogliono usciti di moda. M. Colardeau morto da
uali durano ancora i nomi. M. Savigny ha composto la Morte di Socrate
che
è piuttosto un panegirico di questo Ateniese che
la Morte di Socrate che è piuttosto un panegirico di questo Ateniese
che
una tragedia. Scrisse anche Irza superiore alle t
sinet de Sivry, Pompignan e Piron. Mad. du Bocage produsse le Amazoni
che
si trova colle di lei opere impresse in Parigi ne
rimase. Il commediante La Noue morto nel 1761 scrisse il Maometto II
che
rimase al teatro, e Voltaire gl’indirizzò un madr
el suo Maometto. Poinsinet nato in Parigi nel 1735 scrittore erudito,
che
ha tradotti varj poeti Greci e specialmente Arist
ente Aristofane senza averne conservato il calore ed il sale, secondo
che
affermano i giornalisti di Buglione, diede al tea
togliendone le situazioni da quella di Metastasio40, ed una Zoraide,
che
Voltaire pur mette in ridicolo; ma Palissot loda
Belloy morto nel 1775. Benchè privo egli si dimostri di certe qualità
che
enunciano l’uomo di gusto e d’ingegno, come altre
azionali? e tutti i compatriotti perchè gliel’ accordarono? Di grazia
che
altro rappresentano i Cinesi da tanti secoli? Che
ltro, quanti non abbacina! Belloy talmente si appropriò questa gloria
che
nella prefazione al suo Gastone e Bajardo se ne p
e al suo Gastone e Bajardo se ne pavoneggia fino all’estrema noja. Ma
che
diremo di quest’altra tragedia parimente di argom
o di puerilità? Che Belloy avea nelle prime esauriti i suoi tesori, e
che
non seppe idear quest’altra senza ripetersi? Sare
o? Chi leggerà senza ridere la tagliacantonata del Bajardo del Belloy
che
vuole impaurire Gastone, Si vous sçaviez le so
ez le sort de mon premier rival! o la graziosa antitesi di Gastone
che
abbraccia il rivale e sfodera la spada Embrass
ropria umiliazione? Bajardo dà a se stesso il titolo di eroe? Si vede
che
l’anima di Belloy era ben poco eroica, se prestav
i Belloy era ben poco eroica, se prestava tali bassezze a’ personaggi
che
voleva dipingere come eroi. Non è meno inconsider
delineato il carattere del Duca di Urbino enunciato come virtuoso, ma
che
intanto sin dall’atto primo non ignora i tradimen
sdegnato di comprenderne i secreti. É virtù questa falsità? L’autore
che
aspirava alla gloria di tragico, avea ben false i
perchè non attenderne l’evento sicuro? perchè disporre senza bisogno
che
uno di essi truciderà Bajardo e l’altro Gastone?
prendergli dal fondo de’ suoi ghiribizzi e dallo spirito di menzogna
che
lo predomina. Un disertore Francese poi, che piov
allo spirito di menzogna che lo predomina. Un disertore Francese poi,
che
piove dal cielo nell’atto V, scopre la congiura;
unto di senso comune? Che si dirà poi di quella specie di contradanza
che
fanno nell’atto IV Gastone, Avogaro ed Eufemia? É
se, gigantesche e puerili. É piacevole p. e. questa di Bajardo ferito
che
vuol tornare alla pugna e dice a’ soldati, Mort j
nque sugli altri di lui difetti nè piccioli nè pochi come poeta a ciò
che
ne dissero i Francesi stessi, e diamo qualche sgu
ntefice Giulio II e di tutta la nazione Italiana. Il tragico storico (
che
non è nè storico nè tragico) denigra la fama dell
ditore e un mezzano della propria figliuola, e con documenti istorici
che
alla storia contraddicono, pretende avvalorare le
Brescia sin dal 1426 si era data alla repubblica, per le oppressioni
che
soffriva sotto Filippo Visconti, a cui sempre ric
a e insolenza, massimamente verso le donne, e quasi tutti i cittadini
che
non potevano più soffrire, al dir del cardinal Be
lla città, non è ascoltato. I mali pubblici e le private offese fanno
che
si rivolga alla repubblica e prometta di aprire a
Brescia. Or non si può con fondamento ribattere la taccia di ribelle
che
gli s’imputa? Furono ribelli gli Spagnuoli che pe
e la taccia di ribelle che gli s’imputa? Furono ribelli gli Spagnuoli
che
per sette secoli combatterono contro de’ Mori per
l giogo? Ma sia pure l’ Avogadro un ribelle, cioè un suddito oppresso
che
non ha la virtù della tolleranza, e che disperand
lle, cioè un suddito oppresso che non ha la virtù della tolleranza, e
che
disperando di ottener giustizia dal nuovo signore
ne dell’antico. È però la stessa cosa essere in questa forma ribelle,
che
scellerato, ruffiano della figliuola, traditore d
esto tragico come Minerva da quello di Giove. Nè Avogadro fu un lâche
che
fuggì quando dovea morir combattendo. Non sono ma
ncesi da’ quali tentò liberar la patria oppressa. Adunque la crudeltà
che
usò con lui Gaston de Foix, sembra inescusabile.
y calunniandolo attribuisce ad un immaginario suo tradimento la morte
che
gli fu data se non per natural crudeltà, almeno p
intenerito. “A questo spettacolo (dicesi in fine) il duca di Nemours
che
sentiva commuoversi e credeva necessario il rigor
e, fe un segno e le due teste caddero a’ piedi suoi. Fu ciò un’ ombra
che
si mischiò al lustro del trionfo; ma i Francesi n
ombra che si mischiò al lustro del trionfo; ma i Francesi non videro
che
il trionfo”. Se Belloy per natura e per istudio f
discutere il fatto con esattezza, e l’esattezza consiste in osservare
che
ciò non si dica dallo storico della vita di Bajar
di una pruova istorica ad un’ argomento negativo. Osserva in seguito
che
Du-Bos varia dal primo racconto in qualche circos
to che Du-Bos varia dal primo racconto in qualche circostanza dicendo
che
i due figli di Avogadro furono giustiziati alcuni
dopo; ed anche di ciò vuol dubitare il Belloy per questa gran ragione
che
non sa d’ où il emprunte ce recit. Ma se egli dub
’ où il emprunte ce recit. Ma se egli dubitava di quanto ignorava, di
che
non dovè egli dubitar vivendo! Du-Bos che ignorav
tava di quanto ignorava, di che non dovè egli dubitar vivendo! Du-Bos
che
ignorava molto meno di lui della storia, narrò ci
ivendo! Du-Bos che ignorava molto meno di lui della storia, narrò ciò
che
si trova dagli storici riferito45. Volle poi il B
per denigrarlo e per vestirne un figlio infame del capo di Belloy! E
che
direbbero i suoi compatriotti se si mettesse sull
carnefice? Essendo amico della Francia avea quel pontefice desiderato
che
il famoso Bajardo accettasse, come era costume a
pa in quella guerra? Il proteggere la libertà Italiana. Temè in prima
che
le potesse nuocere la potenza e l’ambizione de’ V
gl’ Italiani generalmente “un raffinamento di perfidia e di crudeltà,
che
ci fa credere (aggiugne) oggi ancora che la vende
o di perfidia e di crudeltà, che ci fa credere (aggiugne) oggi ancora
che
la vendetta sia più ingegnosa e più implacabile i
ancora che la vendetta sia più ingegnosa e più implacabile in Italia
che
altrove”. Qual impudenza! E chi più del Belloy in
suo Fajele ed il più implacabile, il più vendicativo, il più inumano,
che
vince i Selvaggi e i Cannibali più accaniti e dà
ral generosità; ma la stomachevole vanità di Belloy ci obbliga a dire
che
i Francesi di que’ tempi non diedero molte pruove
aliana? Gli tolsero le armi e gli diedero agli Spagnuoli a condizione
che
gli rimandassero al campo Francese. Ma lasciamo l
sciamo le istorie, le note e le prefazioni del Belloy, e conchiudiamo
che
delle sue tragedie l’ Assedio di Calais, Gastone
mira, Don Pietro il crudele e Gabriela di Vergy già più non rimangono
che
i nomi, mancando loro la nota del genio, l’armoni
all’Oreste. 28. Voltaire riconosce nell’Amasi più arte e interesse,
che
nella Merope di Jean la Chapelle recitata nel 168
ltaire afferma ch’egli nel medesimo anno ne produsse due uno in versi
che
si rappresentò, l’altro in prosa non mai recitato
tato. 31. V. un frammento di una di lui lettera sulla considerazione
che
si dee a’ letterati. 32. V. il di lui discorso p
V. la di lui epistola a S. A. la Duchessa du Maine. 34. Oltre a ciò
che
si dice in varie collezioni delle sue opere, vedi
e Palissot. 35. Ne traduco per saggio gli ultimi versi: Procolo,
che
a morir menisi il figlio. Sorgi, misero oggetto
ti condanna, Ma se Bruto non era ei ti salvava. Oimè! del pianto
che
in sì larga vena Sgorga dagli occhi miei, ti ba
to! Va, non t’indebolir: porta al supplizio Tu quel maschio valor
che
in me non trovo; Più Romano di me mostrati a Ro
a. Roma di te si vendichi e ti ammiri. 36. Quel tetro e forte
che
hanno saputo dare alle tragiche passioni il Crebi
ire, dice il chiar. ab. Andres. Ci si permetta dirgli rispettosamente
che
il tetro e forte non è il carattere dell’autore d
s aimez cet esprit d’humanitè, de justice, de liberté qui y regne. Ma
che
mancherebbe all’opera eccellente sopra ogni lette
i è dalla stessa storia e migliorato dall’impegno del pittore non può
che
inspirare tutto l’orrore per lui agli occhi dello
servire all’oggetto tragico. Molto meno convenghiamo col sig. Andres
che
vorrebbe banditi dal teatro moderno i traditori,
l teatro moderno i traditori, gli empj, i gran furbi &c. La scena
che
richiede somma varietà, correrebbe rischio di rim
que’ pochi argomenti atti a maneggiarsi senza bisogno di scellerati,
che
contribuiscono a far esercitar l’eroismo e la vir
ll’energia delle passioni, ed in conseguenza a mantenervi la vivacità
che
interessa. L’esempio dell’antichità più venerata,
ta, de’ Francesi ne’ loro giorni più belli, del rimanente dell’Europa
che
se ne vale, risparmia alla gioventù quest’altra i
vale, risparmia alla gioventù quest’altra inutile catena dell’ingegno
che
sarebbe una nuova sorgente di sterilità. 38. Tro
sorgente di sterilità. 38. Trovo nelle Opere Postume di Federico II
che
a lui sembrava affatto ridicola. 39. Vedasene u
a distaccata dal Milanese per ottantatre anni. Non è dunque vero quel
che
dice il Belloy che era stata sotto il dominio Ven
lanese per ottantatre anni. Non è dunque vero quel che dice il Belloy
che
era stata sotto il dominio Veneto per soli dieci
o finto fuggia di città, riconosciuto, fermato e presentato a Gastone
che
nella pubblica piazza il fe decapitare . . . vole
otti vol. II de’ Fatti Veneti dall’anno 1504 al 1570. 46. Vedasi ciò
che
l’Avogadro scrisse al Senato Veneziano secondo il
edente, com’ egli nel '600 fosse, se non il direttore della Compagnia
che
andò a Parigi, per lo meno il conduttore o ammini
parla del valor suo artistico ; e forse egli era più bravo armeggione
che
buono attore, se, più tosto che Drusiano Martinel
e forse egli era più bravo armeggione che buono attore, se, più tosto
che
Drusiano Martinelli, spesse volte veniva altrui d
re '91 e da Caravaggio del 9 novembre al capitano Alessandro Catrani,
che
il D'Ancona riferisce per intero (op. cit., II, 5
i garbugli e le minaccie di morte per conto di una Malgarita comica,
che
si potrebbe credere, come già dissi, la Luciani,
à dissi, la Luciani, moglie del Capitano Rinoceronte (V. Garavini), e
che
il D'Ancona propenderebbe invece a ritener quella
'Ancona propenderebbe invece a ritener quella Margherita Pavoli (V.),
che
il Duca raccomandava il '92 ai Comici Uniti. Da e
a, proclamata dal compagno d’arte Leandro, come di lui homo dabene et
che
sempre fece onore alla sua patria, e la disonestà
ua patria, e la disonestà di Margherita, amante di Gasparo Imperiale,
che
, avuto il mandato di sfregiar nel volto l’Angelic
ica, mentr'era in palco a recitare, lo aveva passato a un tal Piazza,
che
poi confessò tutto, non volendosi immischiare in
lettera dell’ 11 marzo '98, in cui designa due individui imbauttati,
che
pare lo posteggiassero innanzi alla porta di casa
un guantaro, soldati entrambi di corte. Ma la lettera più curiosa, e
che
ci mette al nudo Drusiano e Angelica nella lor in
te al nudo Drusiano e Angelica nella lor intimità conjugale, è quella
che
il Capitano Catrani scriveva di Mantova il 29 apr
ano edificante : Mentre Drusiano è stato ultimamente in questa città
che
son da cinque mesi in circa, à visso sempre de mi
star alegramente sapendo bene de dove veniva la robba, et comportava
che
sua moglie stesse da me et venisse alla mia abita
stesse da me et venisse alla mia abitatione, et non atendeva ad altro
che
a dormire, magnare, et lasciava correre il mondo
perchè circa otto giorni sono io li ho fatto intendere per la massaia
che
si trovi da vivere, che non voglio ch' egli viva
sono io li ho fatto intendere per la massaia che si trovi da vivere,
che
non voglio ch' egli viva de mio, mena rovina et p
et parla di ricorso al Alt.ª Sua, et di più per haverli fatto sapere
che
quella casa è mia, poi che io ne pago il fitto (c
.ª Sua, et di più per haverli fatto sapere che quella casa è mia, poi
che
io ne pago il fitto (come mostrarò) et che se ne
che quella casa è mia, poi che io ne pago il fitto (come mostrarò) et
che
se ne proveda d’una, tratta alla peggio sua mogli
d’una, tratta alla peggio sua moglie, con farli quella mala compagnia
che
S. A. potrà sapere ; et di più per haver saputo c
la mala compagnia che S. A. potrà sapere ; et di più per haver saputo
che
'l mobile che è nella suddetta casa, è maggior pa
nia che S. A. potrà sapere ; et di più per haver saputo che 'l mobile
che
è nella suddetta casa, è maggior parte mio et che
aputo che 'l mobile che è nella suddetta casa, è maggior parte mio et
che
io lo vorrò quando mi tornerà comodo. Questi son
e mio et che io lo vorrò quando mi tornerà comodo. Questi son li capi
che
lo han fatto mettere in fuga a parlar di ricorso
mentre io ò speso per mantenerlo, esso à consentito a qualunque cosa
che
io ho, come infame che egli è. Da lungo tempo d
mantenerlo, esso à consentito a qualunque cosa che io ho, come infame
che
egli è. Da lungo tempo durava la tresca fra il
se v'era di mezzo un figliuolo di sei anni, tenuto sempre dal Catrani
che
l’amava, e or per vendetta disputatogli al Duca d
i un letto e lasciarli tanto da alimentare il figliuolo, se non volea
che
andasse mendicando, ovvero aprisse bottega pubbli
e in Parma il servo di S. A. chiama il Catrani a testimonio Carletto
che
sosteneva in commedia le parti di Franceschina, P
che Tristano era siffattamente intricato nelle faccende del fratello,
che
da lui stesso sappiamo in una lettera del 2 maggi
enissimi Principi. Giovanni Cinelli nella sua Biblioteca volante dice
che
gl’istrumenti di Scappino erano in tal novero, «
eca volante dice che gl’istrumenti di Scappino erano in tal novero, «
che
per farli sentire si recitava a bella posta una c
r la quale fu pubblicato il sonetto senza data e senza nome d’autore,
che
trovasi alla Braidense di Milano, nella Miscellan
dell’ artista poi la canzone ha infine queste tre strofe : — È fama,
che
le scene Il lugubre colore Giurassero a Scappin l
, che le scene Il lugubre colore Giurassero a Scappin loro Signore, E
che
nell’auuenire, E che nell’auuenire, Tragici casi
ubre colore Giurassero a Scappin loro Signore, E che nell’auuenire, E
che
nell’auuenire, Tragici casi sol faranno vdire, Fa
i Francesco Loredano, Giace sepolto in questa tomba oscura, Scappin,
che
fu buffon tra i commedianti, Or par che morto anc
questa tomba oscura, Scappin, che fu buffon tra i commedianti, Or par
che
morto ancor egli si vanti Di far ridere i vermi i
oni Virginia : PER LA MORTE DI SCAPPINO COMICO Proteo costui ben fù,
che
’n mille forme Su le scene variò voce, e sembiant
, Edippo, hor Dauo, et hor Mostro difforme. Il socco egli inalzò, più
che
triforme, Al coturno qual’hor uoce tonante Spiegò
se non sono un chiaro esempio di poesia, traggon valore dalla notizia
che
ci danno dell’opera artistica del Gabbrielli, che
alore dalla notizia che ci danno dell’opera artistica del Gabbrielli,
che
evidentemente non si arrestava alla maestria vari
mo et Ecc.mo Sig.r et Pron mio Col.mo Mi è stata così nuova la nuova
che
per cura del Sig. Flavio ho havuta, che se non fo
i è stata così nuova la nuova che per cura del Sig. Flavio ho havuta,
che
se non fosse la sincerità della mia coscienza che
. Flavio ho havuta, che se non fosse la sincerità della mia coscienza
che
mi accerta di essere innocente di quanto mi viene
(come tutta la compagnia ne farà per me fede) lo supplico di credere
che
la maggiore ambizione che io habbia, è di essere
ne farà per me fede) lo supplico di credere che la maggiore ambizione
che
io habbia, è di essere ammesso tra il numero de’
e io habbia, è di essere ammesso tra il numero de’ suoi servitori, et
che
confesso che la E. V. per far grazia a me ha trap
è di essere ammesso tra il numero de’ suoi servitori, et che confesso
che
la E. V. per far grazia a me ha trapassato i segn
t che confesso che la E. V. per far grazia a me ha trapassato i segni
che
bastano per dimostrare una benevolenza estrema on
ppo colpevole abusandomi della grazia sua, e particolarmente in tempo
che
l’E. V. scrive alla conpagnia godere della unione
ato detto pure una parola. Del recitare alla peggio, io non lo fò poi
che
sarebbe un offendere me stesso per far dispetto a
o ad altri. Ma perchè mio pensiero è solo di far conossere all’ E. V.
che
solo bramo di servirlo, mi scordo il torto fattom
ompagnia, ne sarà ammesso in qual si voglia benchè minimo negozio, da
che
potesse pretendere più di quello che nella letter
voglia benchè minimo negozio, da che potesse pretendere più di quello
che
nella lettera del Sig. Flavio ci viene prescritto
di quello che nella lettera del Sig. Flavio ci viene prescritto, poi
che
ogn’uno di noi solo ha per fine il mantenersi in
l si voglia interesse, strettezza di amicizia o vincolo di parentella
che
sia tra di noi, si come ogn’uno di Compagnia augu
e Florinda), sui quali egli dice fondata la Compagnia dei Confidenti,
che
mise assieme per suo gusto da circa sei anni, e c
a dei Confidenti, che mise assieme per suo gusto da circa sei anni, e
che
andava conservando sempre con ogni suo potere, te
particolari servitori. Dallo spoglio degli Archivi di Modena risulta
che
al Gabbrielli e compagni venuti da Venezia furon
ra il 31 ottobre, come si ha da un ricorso a Cesare Molzi per le noie
che
loro cagionava Fabrizio Napoletano (Domenico Anto
all’archivio dei Gonzaga e pubblico intera, per le notizie importanti
che
ci dà di alcuni comici : Ill.re Sig.r mio Dal Il
u datta una sua, la quale aperta a casa, dall’intendere il buon animo
che
S. A. tiene verso di me, d’allegrezza mi venero q
erso di me, d’allegrezza mi venero quasi le lachrime agli occhi. Godo
che
S. A. facci capitale di me, di mia moglie, del do
l dottore, del Capitano, di Citrullo e di Flavia, si come mi dispiace
che
siano messi inanzi a S. A., Fritellino, la moglie
alone della podagra e finalmente Mezzettino. Il perchè più brevemente
che
potrò con questa mia lo paleserò a V. S. et lo po
questa mia lo paleserò a V. S. et lo potrà mostrare a S. A., essendo
che
non metterei in carta cosa che non fosse vera. Se
et lo potrà mostrare a S. A., essendo che non metterei in carta cosa
che
non fosse vera. Se cominceremo a dir della S.ra L
che non fosse vera. Se cominceremo a dir della S.ra Lavinia, io dico,
che
difficilmente la potrà havere senza Beltrame, ess
enire se prima non gli era pagato il debito e fatto un donativo ; del
che
il Sig.r Hercole Marliani et il Luchesino ne potr
improviso, talchè la compagnia non si potrebbe servir di lei in altro
che
nel premeditato. Suo marito ha fatto un tempo da
io per suoi interessi non si partirà dalla Franceschina, e suo marito
che
in tutto fanno tre parti manco un quarto ; e dove
fanno tre parti manco un quarto ; e dove è un’altra serva non ci ha a
che
fare mia moglie e per conseguenza manc’io. Mezzet
re mia moglie e per conseguenza manc’io. Mezzettino non casca, e quel
che
importa non si disseparerà dall’Olivetta, che sar
ttino non casca, e quel che importa non si disseparerà dall’Olivetta,
che
sarebbe un altra serva. Fritellino è buono da far
rienza poichè se volle compagni bisogna vadi per forza de prencipi, o
che
li pagi ; lasso il voler tirare più parte degli a
ia molto gli disdice il voler fingere una semplice fanciulla, essendo
che
a questo tempo la scena vuol la gioventù. Il Pant
ioventù. Il Pantalone della Podagra è così mal trattato da detto male
che
l’anno passato con noi in Venetia non si potea ve
vestire ne allacciar la maschera, e per mettere nna statua in scena,
che
non mova altro che la lingua, non mi par bene. No
ar la maschera, e per mettere nna statua in scena, che non mova altro
che
la lingua, non mi par bene. Non voglio che S. A.
scena, che non mova altro che la lingua, non mi par bene. Non voglio
che
S. A. creda a questa mia, ma facci scrivere, che
par bene. Non voglio che S. A. creda a questa mia, ma facci scrivere,
che
vedrà non poter haver Cintio senza grande giunta,
agra haverà un zocco di natale. Ma quando S. A. sentisse la compagnia
che
V. S. ha sentito qui in Ferrara, a benchè una sol
Ferrara, a benchè una sol comedia, a lungo andare S. A. cognoscerebbe
che
la Celia al premeditato et improviso è la prima d
gnoscerebbe che la Celia al premeditato et improviso è la prima donna
che
reciti, poiche se la Compagnia od altri mettono f
nia od altri mettono fuori opere o comedie nove lei subito le recita,
che
la Lavinia ne altra donna non lo farà, se prima d
nna non lo farà, se prima di un messe non si hanno premeditato quello
che
nel soggietto si contiene. Della Flavia non ne pa
contiene. Della Flavia non ne parlo, poichè è la meglio seconda donna
che
reciti, sì per il premeditato quanto per l’improv
atica dei soggietti antichi e moderni. Bagattino nostro secondo Zane,
che
non casca ma vola qual V. S. non ha potuto sentir
i Citrullo, poichè gratia di S. A. siamo tenuti per buoni. È ben vero
che
l’innamorato non sono ne Cintio, ne il morto Aure
udio al paro di qualunque altro metti il piede sopra la scena, e quel
che
importa senza prettensione, nè giunta alcuna. Sov
orta senza prettensione, nè giunta alcuna. Sovvengavi o Sig.r Antonio
che
l’A. del Duca Vincenzo fel. mem. padre di S. A. c
i o Sig.r Antonio che l’A. del Duca Vincenzo fel. mem. padre di S. A.
che
hora vive gli venne l’istessa volontà che hora è
zo fel. mem. padre di S. A. che hora vive gli venne l’istessa volontà
che
hora è venuta a S. A., cioè di mettere insieme i
tà che hora è venuta a S. A., cioè di mettere insieme i meglio comici
che
recitassero ; onde per gli interessi e le discord
sgusti. Per tanto V. S. mi facci gratia di leggere a S. A. questa mia
che
non vi sij altro che V. S. e S. A. e significargl
S. mi facci gratia di leggere a S. A. questa mia che non vi sij altro
che
V. S. e S. A. e significargli ch’io non parlo da
parlo da Scapino, ma da Francesco, il quale si rimette a tutto quello
che
vuole S. A. e che verrò a servirlo con la lingua
ma da Francesco, il quale si rimette a tutto quello che vuole S. A. e
che
verrò a servirlo con la lingua per terra io, la m
n la lingua per terra io, la moglie, la madre, figliuoli e servitore,
che
fanno in tutto quatordeci persone. Mi perdoni V.
mia non è stata lettera, ma un processo, tutta via mi scusi, essendo
che
quello che ho fatto, ho fatto per bene e per avis
stata lettera, ma un processo, tutta via mi scusi, essendo che quello
che
ho fatto, ho fatto per bene e per avisare S. A. d
e di Gabbrielli era Spinetta (forse quella Luisa Gabbrielli-Locatelli
che
abbiam visto recitar nella Finta Pazza dello Stro
bile identificare nè Olivetta, nè Citrullo, nè Aurelio. Quest’ultimo,
che
fu ed è materia di studio de’più pazienti ricerca
nostre di teatro, potrebbe identificarsi per quel Marcello Di Secchi
che
il 1615 era colla moglie Nespola nella nuova Comp
o Spagnuolo. Che influiscano potentemente sull’eloquenza i modelli
che
prendonsi ad imitare, oltre all’avvertimento di O
i modelli che prendonsi ad imitare, oltre all’avvertimento di Orazio
che
inculcava lo studio ostinato de’ Greci esemplari,
nobile, doveano fuor di dubbio segnalarsi nelle amene lettere, tosto
che
ne’ buoni esemplari fosse loro additata quella fo
to che ne’ buoni esemplari fosse loro additata quella forma del Bello
che
il Gusto inspira ed alimenta negli animi gentili.
rsificazione più armonica e più acconcia a ricever le forme leggiadre
che
gli antichi seppero ricavar dalla bella natura. G
ichi seppero ricavar dalla bella natura. Gli Spagnuoli ne’ tre secoli
che
precedettero il XVI conobbero in qualche modo i L
i Dante, Petrarca, Sannazzaro, Ariosto e Bembo, ed in quel puro fuoco
che
spirano tali scrittori si riscaldarono i Garcilas
Forse lo spirito stesso di cavalleria e l’amor delle avventure strane
che
spinse Cervantes a motteggiarne nel Don Quixote,
motteggiarne nel Don Quixote, rendeva alla nazione accetto un teatro
che
n’era pieno. Forse tutte queste cagioni unite ins
li menò sovente fuori di strada, a somiglianza di un fogoso destriero
che
trascorrendo a salti per iscoscesi dirupi urta, r
sposizione della favola, non avendo saputo introdurla se non con fare
che
il buffone in 160 versi ne racconti a se stesso i
con fare che il buffone in 160 versi ne racconti a se stesso i fatti
che
la precedono: la meschinità e improprietà dell’in
’irregolarità e la mancanza d’interesse. Del Dottor Carlino non si ha
che
il primo atto e buona parte del secondo. Questa f
er tutto, non vi è però gettata col carro come nell’ altra. Ma quello
che
ci fa godere dell’essere rimasta imperfetta si è
i fa godere dell’essere rimasta imperfetta si è l’ oscenità de’ fatti
che
vi si maneggiano con isfacciataggine da bordello.
cciataggine da bordello. Carlino è un medicastro imbroglione ruffiano
che
professa tal mestiere senza verun rimorso; ed ha
senza verun rimorso; ed ha per compagna una Casilda civetta scaltrita
che
servegli di zimbello. Egli maneggia diversi intri
morosi, e specialmente uno di certo Gerardo con una Lucrezia maritata
che
traffica vergognosamente per compiacerlo a prezzo
copiata dal Boccaccio è più dispiacevole posta alla vista sulle scene
che
nella lettura. Da questa favola del Gongora si ve
a sulle scene che nella lettura. Da questa favola del Gongora si vede
che
la commedia Spagnuola non è sempre sì onesta matr
ente Lampillas. La nominata Venatoria è appena incominciata, e mostra
che
altro non sarebbe divenuta che una copia delle pa
atoria è appena incominciata, e mostra che altro non sarebbe divenuta
che
una copia delle pastorali Italiane; perchè il pro
o da Cupido imita in parte quello dell’Aminta, e nelle due sole scene
che
lo seguono si narra l’avventura del bacio dato da
ra dell’ ape. Composero anche pel teatro sotto Filippo III gli autori
che
soggiungo. Contemporaneo di Gongora fu Giovanni d
ommedie. Naturale di Siviglia fu ancora Feliciana Henriquez de Guzman
che
compose los Jardines y Campos Sabeos tragicommedi
o de Salas Barbadillo. Ma di questi ed altri Portoghesi e Castigliani
che
tralasciamo, non essendo state le sceniche produz
olte ed obbliate universalmente sopraffatte dalla celebrità di quelle
che
si composero sotto Filippo IV. Questo monarca che
celebrità di quelle che si composero sotto Filippo IV. Questo monarca
che
guerreggiò con varia fortuna, specialmente con An
a di Austria sua sorella come regina di Francia e madre di Luigi XIV,
che
espulse un popolo di Mori Spagnuoli, e che nutrì
ncia e madre di Luigi XIV, che espulse un popolo di Mori Spagnuoli, e
che
nutrì ne’ vassalli senza trarne vantaggio l’indol
ici ch’egli amò con predilezione, fiorirono sotto di lui a tal segno,
che
il Vega, il Calderon, il Solis, il Moreto si ’les
alderon, il Solis, il Moreto si ’lessero e si tradussero da’ Francesi
che
cominciavano a sorgere, e dagl’ Italiani che anda
tradussero da’ Francesi che cominciavano a sorgere, e dagl’ Italiani
che
andavano decadendo. Vuolsi che avesse egli stesso
minciavano a sorgere, e dagl’ Italiani che andavano decadendo. Vuolsi
che
avesse egli stesso composta qualche commedia pubb
di un Ingenio secondo l’uso Spagnuolo. E’ tradizione poco contrastata
che
frutto della penna di Filippo IV fu il Conde de E
i vi sieno dipinti con forza. Quando anche Filippo non ne avesse dato
che
il solo piano, come molti stimano, essa merita di
rita di conoscersi originalmente sì in grazia del coronato inventore,
che
per la commedia stessa la quale da un secolo e me
a propria casa di campagna dove trovasi a diporto la regina. Il conte
che
veniva a veder Bianca, giugne opportunamente a sa
e coperta d’una mascheretta grata al suo liberatore gli dà una banda,
che
a que’ tempi si reputava un favore e una prova d’
va un favore e una prova d’inclinazione della dama verso il cavaliere
che
la ricevea. Si dividono scambievolmente obbligati
parole delle metafore insolenti accompagnandone ciascuna con un gesto
che
le indichi. Di maniera che ho veduto io stesso l’
enti accompagnandone ciascuna con un gesto che le indichi. Di maniera
che
ho veduto io stesso l’attore tutto grondante di s
ho veduto io stesso l’attore tutto grondante di sudore per lo studio
che
pone ad imitare i movimenti del becco, delle ali,
orvettar del cavallo, ed il guizzar del pesce. Il conte vuol riferire
che
entrò nel giardino, trovò una dama mascherata che
conte vuol riferire che entrò nel giardino, trovò una dama mascherata
che
si bagnava, cui fu tirato un colpo di pistola, e
dama mascherata che si bagnava, cui fu tirato un colpo di pistola, e
che
la difese dalle spade degli assalitori, e ne rice
en centoventicinque versi, ne’ quali entra una scarsa vena del Tamigi
che
si fa un salasso di neve, una folta chioma arruff
ficoltà, l’incertezza del conte in discernere, se le gambe della dama
che
si bagnava correvano sciolte in acqua, o se l’acq
vvede dalla banda di doverle la vita, oltre alla potente inclinazione
che
glielo raccomanda. Essex da’ moti del di lei volt
; egli inalza a lei le sue speranze; l’uno e l’ altro frena la lingua
che
vuol trascorrere. Con un discorso interrotto most
e glossando questi versi. La regina riprende la timidezza dell’amante
che
si discolpa col rispetto; entrambi fanno pompa di
come più opportuno il parlare. Ognuno vede la stravaganza del secolo
che
convertiva i personaggi in poeti improvvisatori.
cinto di scoprirsi amante, quando comparisce Bianca colla banda posta
che
ha ricevuta dal servo del conte. La regina l’ oss
onte. La regina l’ osserva, si agita, dà ordini, gli rivoca, non vede
che
la sua gelosia. Partita Bianca, il conte comincia
r nella reggia; non so come in questo punto non so recidere quel capo
che
nutrì pensieri cotanto audaci. (Oh grandezza tu s
orando il favore della sovrana perchè le diventi sposo. Ma Elisabetta
che
dal suo racconto ha bevuto tanto veleno, trasport
ha bevuto tanto veleno, trasportata le favella come una regina gelosa
che
senza confessarlo ne inspira tutto il terrore. Tr
è molto tradita dallo stile. Bianca dal suo racconto vuol conchiudere
che
il conte è suo sposo, e la regina ripiglia: Com
uo sposo? (Io fremo, io più non vedo!) Bian. Come mio sposo? (o ciel
che
intendo!) Reg. Indegna, Folle, debol . . . Bia
a nata a servirla ardisse indegna, Se amasse il Conte . . . . amar?
che
amar! mirarlo Se ardisse solo, o cosa ancor che
Conte . . . . amar? che amar! mirarlo Se ardisse solo, o cosa ancor
che
meno Del mirarlo importasse, parti, o donna,
mpara, o Bianca, ove tal caso avvenga, (Ne soffra anche il tuo onor;
che
l’onor tuo E nulla ove son io) la tua sovrana
o, Non mirar tu: mai non amar chi ell’ ami. Non mi render gelosa;
che
se finta Sì terribile è l’ira in regio petto,
gno e dell’amore si addormenta. Bianca esce con una pistola alla mano
che
porta il nome del Conte; questi sopraggiugne e l’
l suo liberatore. Il conte, nelle cui mani è rimasta la pistola, nega
che
Bianca abbia tentato quell’eccesso. Sei tu dunque
ndizj evidenti di alto tradimento; egli per sua difesa altro non dice
che
di essere innocente; è condannato a perdere la te
aricando al servo di consegnarla poichè egli sarà morto. Ma la regina
che
ha sottoscritta la sentenza per soddisfare in pub
pensa a liberarlo privatamente dalla morte per compensarlo della vita
che
le ha salvato. Entra a tal fine nella prigione co
ra a tal fine nella prigione colla mascheretta e coll’ abito semplice
che
portò nella prima scena. La riconosce il conte; m
il compiace dandogli prima la chiave. Il conte le domanda il perdono
che
suol concedersi a’ rei che veggono la faccia del
la chiave. Il conte le domanda il perdono che suol concedersi a’ rei
che
veggono la faccia del sovrano. Nega la regina di
a chiave nel fiume sottoposto alla finestra della prigione, e le dice
che
se non vuole essere ingrata, cerchi nuova guisa d
raidor la suya pierda. Da questa lettera screduta la regina ordina
che
si sospenda l’esecuzione della sentenza, ma il co
come ben dice il conte Pietro di Calepio, muore più per disperazione
che
per grandezza d’animo. Il gusto del monarca a gui
sensi per la nazione. La corte di Filippo IV si empì di verseggiatori
che
produssero a gara un gran numero di favole. Talor
ccupati al lavoro di una sola commedia, dividendosene gli atti; ond’è
che
se ne leggono più centinaja col titolo comedia de
le, per azione e per orditura. L’argomento è una commediante rinomata
che
si converte, si disgusta della propria profession
ervo della compagnia detta di Eredia commediante famoso di quel tempo
che
n’era il capo. Si figura che tal compagnia rappre
Eredia commediante famoso di quel tempo che n’era il capo. Si figura
che
tal compagnia rappresenti in Valenza nel teatro d
eriore del teatro, e si veggono nella platea sparsi alcuni venditori,
che
, come è stato costume anche in Madrid sino ad alc
ecitare si distrae, e fa riflessioni morali sulla vanità de’ piaceri,
che
non entrano nella parte che rappresenta. Al fine
lessioni morali sulla vanità de’ piaceri, che non entrano nella parte
che
rappresenta. Al fine rapita da un santo entusiasm
rata. Ma il Roxas ha prodotte molte favole interamente sue. In quelle
che
si chiamano istoriche, lo stile è sommamente stra
te, e la condotta difettosissima. Di ciò può servir di esempio quella
che
intitolò los Aspides de Cleopatra, azione tragica
l acconciamente dipinto. Vedasene uno squarcio tratto dalla relazione
che
ne fa il di lui servo, da noi tradotto con fedelt
Gracile, macilento, Cortissimo di busto, Lunghissimo di gambe,
che
ha le mani Più ruvide di quelle de’ villani;
e pien di nodi e calli. Goffo un poco, un pò calvo, verdinero Più
che
poco, e ancor più schifoso e sozzo, Più di quar
i vicina. Se dorme al suo poder, con tale orrendo Strepito russa,
che
s’ode in Toledo. Mangia come un studente, Bev
dirà d’aver la posta Corsa sino a Siviglia, Egli, ad onta del mar
che
si frappone, Fino a Perù la corsi anch’io, ripi
ad or composte, E le conserva suggellate e chiuse, E alle figlie
che
avrà, vuol darle in dote. Ma vaglia il ver; ben
nsa, Che sì sordido ha il cuore e meschinello, Che non daria quel
che
tacere è bello. Questa dipintura, oltre all’es
poeta con altre pennellate ancora avviva il ritratto di Don Luca. Fa
che
egli imponga che nel passare Isabella sua sposa d
pennellate ancora avviva il ritratto di Don Luca. Fa che egli imponga
che
nel passare Isabella sua sposa da Madrid a Toledo
Madrid a Toledo, si copra d’una mascheretta. Ecco tradotta la lettera
che
le scrive, la quale spira tutta la gentilezza di
ho figli, viene ad essere mio cugino il mio successore. Mi vien detto
che
voi ed io possiamo averne quanti vorremo. Venite
iamo averne quanti vorremo. Venite questa notte a trattare del primo,
che
ci sarà tempo poi per gli altri. Mio cugino viene
ta nè udita. Nell’osteria di Torrejoncillo vi attendo; venite subito,
che
i tempi correnti non permettono di aspettar molto
i aspettar molto nelle osterie. Dio vi guardi, e vi dia più figliuoli
che
a me. Un’ altro bel colpo di pennello riceve il r
i quitanza così dettata: Ho ricevuto da Don Antonio Salazar una donna
che
ha da essere mia moglie, con suoi contrassegni bu
pulcella nelle fattezze. E la consegnerò tale e quanta ella è, sempre
che
mi sarà domandata in occasione di nullità o divor
asseggieri in Torrejoncillo, e nell’ incontro colla sposa nell’atto I
che
si rappresenta parte in Madrid e parte nel nomina
ledo pernottano in Illescas nell’atto II. Degno di lui nell’ atto III
che
si rappresenta in Cabañas, è il pensiero di far m
endicarsene; perchè essendo poveri, mal grado del loro amore, forza è
che
vivano malcontenti. I caratteri sono ben dipinti;
iesta; il tempo si stende oltre il confine di un giorno, ma non tanto
che
la favola ne divenga inverisimile, restringendosi
adrid da un librajo. Di anni diciassette cominciò a scrivere commedie
che
si recitarono con applauso e s’impressero in due
i recitarono con applauso e s’impressero in due volumi nel 1639. Oggi
che
pochissime commedie dell’istesso Lope si rapprese
ie dell’istesso Lope si rappresentano, havvene più d’una di Montalbàn
che
si ripete quasi in ogni anno in Madrid, cioè la L
che e comiche, di persone reali, basse e mediocri, un cumolo di fatti
che
formano anzi un romanzo che un dramma, in cui nel
ali, basse e mediocri, un cumolo di fatti che formano anzi un romanzo
che
un dramma, in cui nell’atto I interviene Sancio r
gno del di lui successore Ferdinando, rendono mostruosa questa favola
che
prende il nome da una Rica-Fembra di Galizia. Due
ta di tante stravaganze, cioè il carattere vendicativo di questa dama
che
parla nel proprio dialetto Galiziano, e spira cer
selvaggia di Linda vestita di pelli e cresciuta senza saper parlare e
che
si va sviluppando a poco a poco per mezzo di una
che si va sviluppando a poco a poco per mezzo di una tenera simpatia
che
le inspira la veduta di un giovane principe. Lind
ane principe. Linda viene indi conosciuta per la figliuola di Lindona
che
ella avea gittata in mare per vendicarsi del prin
nte. La tradizione è accreditata presso gli Aragonesi con un sepolcro
che
si addita in Teruel. Su tale argomento Giovanni T
nti preghiere del povero egli rimane intenerito ed irrisoluto a segno
che
al fine la nega ad ambedue, al povero perchè è ta
ola nel caso ch’egli migliorasse di fortuna; ed a tale effetto chiede
che
destini uno spazio competente per tentar la sorte
tente per tentar la sorte. Condiscende il buon vecchio, e si conviene
che
Isabella rimarrà senza prendere marito tre anni e
o, possa dare la mano a Ferdinando. Diego va a militare sotto Carlo V
che
muove contro Solimano. Nell’atto II i maneggi di
V che muove contro Solimano. Nell’atto II i maneggi di Elena fanno sì
che
per due anni e mezzo nè le lettere di Diego giung
fa venire un finto soldato colla falsa notizia della morte di Diego,
che
riduce agli estremi la vita d’Isabella senza inde
te. Vorrebbe Isabella narrare come sia condiscesa alle nozze, ma teme
che
sopraggiunga il marito. L’ affretta a partire. Tr
a, Addio; con te restar non mi è concesso. Ti dirò solo in breve,
che
un soldato Di tua morte recò nuove fallaci, C
ve, che un soldato Di tua morte recò nuove fallaci, Che sospirai,
che
piansi, Che morir volli . . . Ohdio! non è più
i, Che morir volli . . . Ohdio! non è più tempo Di rammentar quel
che
obbliare è forza! Die. E di che è tempo? Isa:
non è più tempo Di rammentar quel che obbliare è forza! Die. E di
che
è tempo? Isa: Di pensar ch’è questa L’ultima
ola. Isa: Ove? Die: A un giudice ricorri. Isa: A cui? Die: Di
che
sei mia. Isa: Non è più tempo. Die: Uccidimi.
: Di che sei mia. Isa: Non è più tempo. Die: Uccidimi. Isa: Io
che
ti amo? Die: Segui dunque ad amarmi: Isa: Ah
aprò morir anch’io. Parte Isabella, la segue Diego: ma ella temendo
che
sia veduto dal marito, per far che vada via, gli
a, la segue Diego: ma ella temendo che sia veduto dal marito, per far
che
vada via, gli dice che l’abborrisce. L’anima dell
lla temendo che sia veduto dal marito, per far che vada via, gli dice
che
l’abborrisce. L’anima dell’innamorato oppressa in
e spira di puro dolore, cagionando colla sua morte quella d’ Isabella
che
gli muore accanto. La relazione ch’ella prima di
lei estreme querele mal corrispondono alla scena patetica e naturale
che
abbiam tradotta, essendo il rimanente pieno di ar
te venga rappresentato il carattere d’Isabella da un’ anima sensibile
che
per ventura o per arte non sia stata avvelenata d
l maestro Tirsi de Molina. Egli accumulava gli accidenti di tal sorte
che
oltrepassava gli eccessi de’ suoi contemporanei.
alle Spagne al Perù con somma leggerezza. Il teatro odierno non parmi
che
di questo frate rappresenti altra favola se non e
tri, e si riproduce da’ ballerini pantomimi, ad onta del re di Napoli
che
esce col candeliere alla mano a i gridi d’ Isabel
e amorose avventure di Don Giovanni, de i di lui duelli, della statua
che
parla e camina, che va a cena, che invita Don Gio
di Don Giovanni, de i di lui duelli, della statua che parla e camina,
che
va a cena, che invita Don Giovanni a cenare, che
, de i di lui duelli, della statua che parla e camina, che va a cena,
che
invita Don Giovanni a cenare, che gli stringe la
che parla e camina, che va a cena, che invita Don Giovanni a cenare,
che
gli stringe la mano e l’uccide. Giambatista Diama
ledo. L’argomento appartiene al regno di Alfonso VIII re di Castiglia
che
per sette anni perseverò nell’amore di una Ebrea
compose de i di lei fatti un poema di 76 ottave intitolato la Raquel
che
si trova inserito nel Parnasso Spagnuolo. L’azion
gli evenimenti tragici, non offuscano del tutto l’energia e la verità
che
si osserva nella dipintura delle passioni e de’ c
dire, fralle metafore spropositate. Tale parmi nella giornata. I ciò
che
Rachele risponde al padre che vuol suggerirle que
itate. Tale parmi nella giornata. I ciò che Rachele risponde al padre
che
vuol suggerirle quel che dee dire al re. Non ho b
iornata. I ciò che Rachele risponde al padre che vuol suggerirle quel
che
dee dire al re. Non ho bisogno, gli dice, delle v
Y ha mucho que eres mi dueño. Tale nella giornata III il congedo
che
Rachele condotta a morire prende dal padre. Diama
or precisione, El conde es muerto, y yo su hija soy. Ma in fine
che
brami? si dice a Chimene; ed ella presso il poeta
l’apparenza continuerà ancora. Sino all’anno 1664 non n’erano usciti
che
tre tomi, che poi crebbero a nove oltre a sei alt
ontinuerà ancora. Sino all’anno 1664 non n’erano usciti che tre tomi,
che
poi crebbero a nove oltre a sei altri impressi in
he poi crebbero a nove oltre a sei altri impressi in Madrid nel 1717,
che
contengono settantadue auti sacramentali. Ma il n
ontengono settantadue auti sacramentali. Ma il numero tanto di questi
che
delle commedie apparisce molto maggiore perchè gl
ose da migliorare, nè le amare invettive degli altri, per molti pregi
che
possedeva. Blàs de Nasarre, il quale cercò abbass
non conoscere, o almeno non si curò di praticare veruna delle regole
che
è più difficil cosa ignorare che sapere: non sepa
urò di praticare veruna delle regole che è più difficil cosa ignorare
che
sapere: non separò mai il tragico dal comico: pen
ico: pensando di mostrare acutezza nell’elevar lo stile si perdè, non
che
nel lirico, nello stravagante106: abbellì i vizj
pe interessare gli spettatori con una serie di evenimenti inaspettati
che
producono continuamente situazioni popolari e viv
oi ritratti per lo più manierati e poco rassomiglianti agli originali
che
ci presenta la natura; ma non si allontanano molt
on si allontanano molto dalle opinioni dominanti a’ giorni suoi. Oggi
che
li conosce tutto il ridicolo della smania cavalle
tutti Rodomonti o Pentesilee erranti; ma era cosa comune al suo tempo
che
un cavaliere prendesse di notte le sue armi, anda
alla calle de las Tres-Cruces di Madrid. Con simile equivoco si dice
che
la Samaritana abita alla calle del Pozo. Con istr
ati negli auti107. In quello intitolato gli Ordini Militari si figura
che
Cristo venga a domandare la Croce al Mondo, e che
Militari si figura che Cristo venga a domandare la Croce al Mondo, e
che
questo personaggio per concedergliela voglia sent
entirne l’avviso di Mosè, Giobbe, Davide e Geremia, i quali affermano
che
egli la meriti per lo quarto del Padre; dopo di c
i quali affermano che egli la meriti per lo quarto del Padre; dopo di
che
il Mondo si determina a dare a Cristo la Croce, a
re. Nel Laberinto del Mondo l’Innocenza rappresentata dalla Graziosa,
che
corrisponde alle nostre Servette o Buffe, in pres
a, che corrisponde alle nostre Servette o Buffe, in presenza di Theos
che
è Gesù Cristo venuto su di una nave a redimere il
i. Erano già tre mesi nel settembre del 1765 quando giunsi in Madrid,
che
per real rescritto del gran monarca CARLO III se
an monarca CARLO III se ne proibì la rappresentazione per lo scandolo
che
producevano le interpretazioni arbitrarie e gli a
sso alle novità e chiamar il concorso. Calderon ne compose moltissime
che
possono dirsi stravaganti; p. e. las Armas de la
sodio di Olinto e Sofronia di Torquato Tasso: la Aurora en Copacavana
che
a stento m’induco a crederla uscita da Calderon.
uta tutta fantastica per mezzo dell’Idolatria personaggio allegorico,
che
si agita, medita, eseguisce mille incantesimi sen
guisce mille incantesimi senza perchè e senza sapere ella stessa quel
che
si voglia nè quel che intenti. Ma fra esse se ne
mi senza perchè e senza sapere ella stessa quel che si voglia nè quel
che
intenti. Ma fra esse se ne leggono alcune più int
il nome di Hija del aire (figlia dell’aria) Calderon, non altrimenti
che
il nostro Muzio Manfredi, pubblicò due favole sul
forse la più famosa delle di lui rappresentazioni istoriche e quella
che
più spesso ho veduta riprodursi sul teatro di Mad
eduta riprodursi sul teatro di Madrid. La favola si aggira sul timore
che
ha Marianna di una predizione di un astrologo, ch
aggira sul timore che ha Marianna di una predizione di un astrologo,
che
ella perirebbe preda di un gran mostro, e che Ero
izione di un astrologo, che ella perirebbe preda di un gran mostro, e
che
Erode col pugnale che sempre porta allato darebbe
, che ella perirebbe preda di un gran mostro, e che Erode col pugnale
che
sempre porta allato darebbe la morte alla persona
à marittima. Ma questo ferro fatale va a cadere appunto su di un uomo
che
a nuoto tenta falvarsi da un naufragio, e questi
aviano. É condotto questo Tolomeo col pugnale fitto nel corpo e prima
che
spiri fa un racconto del trionfo di Ottaviano e d
mata Ebrea distrutta dalla tempesta. Ma egli a dispetto di un pugnale
che
l’ha trafitto vuol ciò riferire in settantacinque
atra lavorato di avorio e coralli, il mare divenuto Nembrot de’ venti
che
pone monti sopra monti e città sopra città, la ta
tavola su di cui si salva Tolomeo fatta delfino impietosito, il ferro
che
l’ha trafitto divenuto cometa errante, che corre
fino impietosito, il ferro che l’ha trafitto divenuto cometa errante,
che
corre la sfera dell’ aria contro l’umano vascello
Roma. È una ipotesi troppo inverisimile per accreditar le situazioni
che
seguono, che un Idumeo signore di una parte della
ipotesi troppo inverisimile per accreditar le situazioni che seguono,
che
un Idumeo signore di una parte della Palestina ne
seguono, che un Idumeo signore di una parte della Palestina nel tempo
che
contendevano Ottaviano e Marcantonio, concepisca
spettatore a Gerusalemme ad ascoltare un dialogo di Marianna ed Erode
che
aringano ed argomentano a vicenda. In Menfi comin
de che aringano ed argomentano a vicenda. In Menfi comincia l’atto II
che
poi termina nella Giudea. Nell’intervallo degli a
Tetrarca fatto prigioniero, ed è condotto alla presenza di Ottaviano,
che
ha nelle mani il ritratto di Marianna. Erode s’in
suo pugnale. Per render verisimile quest’attentato, dovrebbe supporsi
che
Ottaviano si trattenga col nemico senza verun tes
. Ma chi lò salva dalla morte? Una copia grande del picciolo ritratto
che
cadendo dal muro si frappone e riceve il colpo de
morte. La gelosia gli fa vedere la sua Marianna in potere del nemico
che
ne tiene varj ritratti. Pensa ad impedirgliene il
ne tiene varj ritratti. Pensa ad impedirgliene il possesso ancor dopo
che
egli sarà morto, ed in una lettera ordina la di l
i una damigella questa lettera passa nelle mani della stessa Marianna
che
con somma maraviglia e dolore ne legge il contenu
tano l’amore e l’indignazione; nè a questo punto patetico altro manca
che
una esecuzione più naturale ed espressioni spogli
viano convinto da tal detto si arresta, ma ricusa di ascoltarla prima
che
discopra il suo volto. Marianna si discopre, ed è
al suo appartamento per mai più non vederlo, giurando por los dioses
che
adora109 che si getterà in mare se ardisce entrar
tamento per mai più non vederlo, giurando por los dioses che adora109
che
si getterà in mare se ardisce entrarvi. Intende O
notte a vederla. Quì Ottaviano diventa un innamorato di spada e cappa
che
si accinge ad un’ avventura notturna; là dove egl
chio della fama della regina. L’incontra, offerisce liberarla (quando
che
dovea e potea farlo decentemente colla propria au
e potea farlo decentemente colla propria autorità); Marianna gli dice
che
la sua prigionia è volontaria. Puerilmente ancora
Puerilmente ancora Ottaviano s’invoglia un’ altra volta del ritratto
che
spontaneamente le avea consegnato; e la regina gl
ol torglielo a forza; ella minaccia d’ammazzarsi col pugnale di Erode
che
Ottaviano porta al fianco. Non è questa una conte
a de’ fregi donneschi sparsi per la stanza; si avvede del suo pugnale
che
era rimasto in potere dell’imperadore; ode la di
poi si getta in mare. E questa è la favola del Tetrarca de Jerusalèn
che
l’ autore volle chiamar tragedia, ad onta delle b
usalèn che l’ autore volle chiamar tragedia, ad onta delle buffonerie
che
quì ho tralasciate, dell’irregolarità e delle avv
, dell’irregolarità e delle avventure comiche notturne; conchiudendo,
che
quì termina la tragedia, restando adempiuto l’ in
eta; perchè in vece di prefiggersi l’insegnamento di una verità, cioè
che
le passioni sfrenate e la pazza gelosia cagionino
zza gelosia cagionino ruine e miserie, egli si è studiato d’insegnare
che
esse provengono dall’influsso degli astri. Era qu
to nell’altra sua favola reale la Vida es sueño. Credè il sig. Andres
che
il Francese Tristano avesse tolto l’argomento del
tolto l’argomento della sua Marianna dal Tetrarca di Gerusalemme. Ma
che
mai trovò egli di rassomigliante nella condotta d
poeta di accreditar l’errore volgare dell’influsso? Ben però è certo
che
Ludovico Dolce precedè d’un secolo il Francese e
dia regolare recitata con tale applauso in casa di Sebastiano Erizzo,
che
quando volle ripetersi nel ducal palazzo di Ferra
zo, che quando volle ripetersi nel ducal palazzo di Ferrara, la calca
che
vi accorse ne impedì la rappresentanza. E chi non
gedia regolare ed interessante? Ma siccome non dubitiamo di affermare
che
il Dolce per invenzione ed arte di tanto precedè,
i tanto precedè, e vinse il Francese e lo Spagnuolo, così confessiamo
che
egli, non osando abbandonar la storia, non miglio
ianna amante, offesa, virtuosa, sensibile e grande. Osserviamo ancora
che
l’ Italiano nello scioglimento produsse assai meg
nello scioglimento produsse assai meglio l’effetto tragico di quello
che
fece lo Spagnuolo colla morte di Marianna seguita
ll’oscuro per un equivoco mal condotto; ma ci sembra nel tempo stesso
che
il Dolce avrebbe meglio eccitato il terrore, se n
di più delitti, e segnatamente di tradire tutte le semplici donzelle
che
le prestano fede. Dorotea trafugata dalla casa pa
e le prestano fede. Dorotea trafugata dalla casa paterna viene da lui
che
già n’è sazio, abbandonata in un deserto mentre d
a, ne’ cui monti, presa Granata da Ferdinando ed Isabella, si permise
che
vivessero alcuni Mori come tributarj, i quali di
ricano cerca lo sposo. Questa situazione richiedeva altre espressioni
che
le seguenti false e inverisimili: Dime (domand
itano di notarsi le querele di Dorotea, mal grado de’ freddi concetti
che
le deturpano. Ne darò una mia traduzione, e ne’ p
nder mi vuoi tiranno? A un mostro vile Vendermi, oimè, senza pensar
che
schiava Se mi fè un folle amor, libera io nacqu
Di qual barbaro mai, di qual selvaggio Tanta infamia si udì? Quella
che
amasti, Nè vo’ già dir la sposa tua, tu stesso
dall’infame busto Un carnefice vil quell’empio capo Recida ... Ma
che
dico? Oimè, ben mio, Mio sposo, mio signor, tua
en mio, Mio sposo, mio signor, tua schiava io sono, Fa di me quel
che
vuoi. Ma se ti offesi, Se nel tuo sdegno incorf
giardin tutta si cangi. Il fiero Cagnerì cui tu mi vendi, Quel dì
che
in preda mi lasciasti al sonno, Amante si mostr
di, Quel dì che in preda mi lasciasti al sonno, Amante si mostrò,
che
il ciel dispone, Ch’io nell’essere amata ed abb
al labbro tuo talvolta Che sposo mio saresti. Ah per sì caro Nome
che
meritai qualche momento, Signor pietà, mercè,
quì, dove co’ voti Dal ciel t’implorerò giorni felici Quel tempo
che
il dolor della tua assenza, Della perdita tua,
pur temi, Se mi vegga tornar teco a Granata, Io stessa a lei dirò
che
per errore Di sua casa salii, che vi ritorno
a Granata, Io stessa a lei dirò che per errore Di sua casa salii,
che
vi ritorno I suoi dubbj a calmar, che di mio pa
r errore Di sua casa salii, che vi ritorno I suoi dubbj a calmar,
che
di mio padre L’ira io fuggia, tu lei salvar cre
mio padre L’ira io fuggia, tu lei salvar credendo Salvasti me, ma
che
non v’è fra noi, Nè mai fu arcano onde si adomb
femminil fasto. Ma se il mio pianto a intenerirti è vano Per quel
che
sono, a quel che fui deh pensa. Nacqui di nobil
Ma se il mio pianto a intenerirti è vano Per quel che sono, a quel
che
fui deh pensa. Nacqui di nobil padre, il sai, d
Dorotea sposandola ed indi perda la testa su di un palco. Ognuno vede
che
questo atroce misfatto è quell’istesso che commis
u di un palco. Ognuno vede che questo atroce misfatto è quell’istesso
che
commise un mostro Inglese in persona di una Garai
. Se l’argomento della favola di Calderon è finto, egli immaginò quel
che
eseguì il detestabile Inglese. Se egli trasse dal
perchè mai trasportò dalla nazione Inglese alla propria quell’infamia
che
eccita il fremito dell’umanità? E se tralle antic
ntiche leggende Spagnuole si rinviene eziandio questa spietatezza (di
che
lascio a’ nazionali la cura d’investigarlo), egli
a (di che lascio a’ nazionali la cura d’investigarlo), egli è da dire
che
l’ umana malvagità volle copiare se stessa, e far
sa, e far ripetere nel declinar del passato secolo ad un Inglese quel
che
già avea eseguito uno Spagnuolo. Ma il merito par
roprio del genere, e dialogo quasi sempre naturale. Quindi è avvenuto
che
mentre le commedie dell’istesso Lope e di quasi t
remmo addurne diverse degne di leggersi; ma ci contenteremo di quelle
che
più spesso si rappresentano, o che hanno alcun pa
ersi; ma ci contenteremo di quelle che più spesso si rappresentano, o
che
hanno alcun particolar pregio. Ben tessuto è il v
ntrigo della commedia los Empeños de un acaso, dove per accidente più
che
per interesse passano i personaggi d’uno in un al
ggirsi via. Nell’ altra un servo diventa la spia del proprio padrone,
che
è il segretario d’ una principessa da cui è occul
carsi anche in pubblico quanto passa, hanno posto fra loro una cifra,
che
rende inutili tutte le diligenze e gli avvisi del
della spia. Quest’ intrigo riesce piacevole, e sarebbe a desiderarsi
che
il poeta avesse renduta più verisimile la pratica
duta più verisimile la pratica della cifra. Senza mettere per ipotesi
che
gli amanti sieno un Perfetti e una Corilla, cioè
i, è impossibile persuadere all’uditorio ch’essi s’intendano. Ecco in
che
consiste la cifra. Colui che comincia a parlare,
ll’uditorio ch’essi s’intendano. Ecco in che consiste la cifra. Colui
che
comincia a parlare, prende in mano un fazzoletto
mincia a parlare, prende in mano un fazzoletto per avvisare all’altro
che
stia attento. Indirizza poi a’ circostanti un dis
ò ogni prima parola di un verso s’intende diretta all’amante; di modo
che
raccogliendo in fine tutte le prime voci, ne risu
odo che raccogliendo in fine tutte le prime voci, ne risulti l’avviso
che
si vuol dare. Questa cifra è soggetta a due oppos
ifferenti colle medesime parole. E se Calderon vivesse, confesserebbe
che
a tavolino distese egli con qualche studio ciò ch
sse, confesserebbe che a tavolino distese egli con qualche studio ciò
che
suppone che i suoi personaggi facessero estempora
erebbe che a tavolino distese egli con qualche studio ciò che suppone
che
i suoi personaggi facessero estemporaneamente. Si
suoi personaggi facessero estemporaneamente. Siane un saggio l’avviso
che
dà Laura all’amante nella giornata II. Ella vuol
vviso che dà Laura all’amante nella giornata II. Ella vuol dirgli ciò
che
siegue: Flerida ha sabido ya que de aqui no
verso del discorso generale indirizzato a tutti gli altri, di maniera
che
ciascuno di questi versi fornisce le quattro prim
rsi fornisce le quattro prime parole de’ quattro versi del sentimento
che
si dirigge agli astanti. Eccone la prima strofa:
la maniera di migliorare tale artificio, per fuggir l’ inconveniente
che
risulta dal far parere che sappia il personaggio
ale artificio, per fuggir l’ inconveniente che risulta dal far parere
che
sappia il personaggio esser la commedia scritta i
commedia No ay burlas con el amor contiene i caratteri di due sorelle
che
si contrastano, Leonora sensibile, facile e nell’
ione dell’erudizione greca e latina di Beatrice c’induce a sospettare
che
Moliere ne avesse tolta l’idea delle sue Donne Le
e sue Donne Letterate; ma ciò è incerto, ed è sicuro dall’altra parte
che
il vivacissimo colorito della favola francese ha
a per aver ammazzato un uomo ed è da Flora nascosto. Ella intende poi
che
l’ucciso è il di lei cugino, nè perciò lascia di
ità le sagre cose. Il buffone stà parlando col Podestà, e gli è detto
che
si contenga nel dovuto rispetto alla presenza del
to racchiusa l’azione quasi nel tempo della rappresentazione. Si vede
che
l’ autore volle tesserla con tale angustia, non p
pirare amore per qualche virtù o a rilevare una massima istruttiva. E
che
insegna quest’intrigo degl’ Impegni in sei ore? P
iglianza un equivoco, per cui Nisa è creduta Porzia da un personaggio
che
viene a sposar quest’ultima; e quando l’equivoco
gio che viene a sposar quest’ultima; e quando l’equivoco si scioglie,
che
mai vi s’impara? Egli vorrebbe incessantemente in
s’impara? Egli vorrebbe incessantemente inculcarsi a’ poeti scenici,
che
il diletto non debbe mai andar disgiunto dall’ in
ltrettanto non è concesso a tanti e tanti commediografi, bisogna dire
che
nelle di lui favole si nasconda un perchè, uno sp
nte volte si ripetono. Egli è questo perchè, questo spirito elettrico
che
sfugge al tatto grossolano di certi freddi censor
quali il primo uscì in Madrid l’anno 1654; ma cessò di comporne tosto
che
fu iniziato negli ordini sacri a quali ascese. In
o, forse in lui si sarebbe veduto il Moliere delle Spagne. La perizia
che
avea in porre alla vista il ridicolo d’un caratte
a, nella III esclama valgame todo el Psalterio. Lo spettatore volgare
che
altra scuola pubblica non suole avere che il teat
erio. Lo spettatore volgare che altra scuola pubblica non suole avere
che
il teatro, si conferma con ciò nell’abito di abus
a ne rise. In questa motteggia sull’uso d’introdurre i servi buffoni,
che
sono gli arlecchini di quelle scene, ad assistere
spazio di dodici giorni; dicendo Don Cosme nella I giornata a Leonora
che
vada a Consuegra, dove egli si porterà passati di
n giardino nel giro d’una notte. Anche in essa riprese i compatriotti
che
appiccavano indivisibilmente agl’ innamorati i bu
ati i buffoni con manifesto detrimento della verisimiglianza. Egli fa
che
l’innamorato all’entrar nel giardino dia congedo
lagna di essere il primo servo con cui il padrone non si consigli, e
che
rimanga escluso da’ di lui secreti maneggi. Si ve
i consigli, e che rimanga escluso da’ di lui secreti maneggi. Si vede
che
Moreto volle comporre una favola dentro le regole
eno caricata di accidenti, e non meno dilettevole. Ma queste commedie
che
noi con ingenuità mettiamo alla vista, sono state
s santo que se hace prision en huerto. Non dee però dissimularsi
che
nè gl’ Impegni in sei ore, nè la Confusione d’un
no pennelleggiate con somma maestria le passioni di una dama bizzarra
che
vuol parere superiore all’amore. Moliere la tradu
he interesse in tutta la favola progressivamente accresciuto a misura
che
si avanza verso il fine! Tutto questo si desidera
ura che si avanza verso il fine! Tutto questo si desidera nella copia
che
ne abbozzò Moliere. In prima questo gran comico F
enia, e con ciò alla bella prima ne diminuì l’evidenza e l’interesse,
che
fuor di dubbio noi prendiamo più facilmente per o
nteresse, che fuor di dubbio noi prendiamo più facilmente per oggetti
che
più a noi si avvicinano. Di poi quel Moròn France
Spagnuolo comparisce un freddo buffone. Appresso l’Eurialo di Moliere
che
è il conte de Urgèl di Moreto, introduce il suo s
suo stratagemma di fingersi nemico di amore spogliato di circostanze
che
l’ accreditino, ed in un modo languido che annoja
e spogliato di circostanze che l’ accreditino, ed in un modo languido
che
annoja coloro che conoscono l’ originale Spagnuol
costanze che l’ accreditino, ed in un modo languido che annoja coloro
che
conoscono l’ originale Spagnuolo. In oltre l’insi
isto di certa sicurezza maestosa, di dispetto, e di una risa ironica,
che
pareva di aver letto nell’anima di Moreto. Nè anc
in cui Carlo si finge preso di un’ altra e la chiede in isposa, così
che
la gelosia finisce di trionfare del cuore di Dian
languidezza, con cui la Principessa d’Elide vuole esigere da Aglante
che
la vendichi rifiutando la mano di Eurialo, se si
a, in cui si ravvisa un natural ritratto de i discendenti de’ nobili,
che
commettono azioni ingiuste degne di ogni rimprove
di ogni rimprovero, e pure credonsi onorati purchè non rubino; quasi
che
l’infamia dipenda da questo solo genere di delitt
de ser guardar la muger. Il Parecido è una commedia di rassomiglianza
che
ha varie scene piacevoli e dove il buffone ha una
ani e recitata spesso all’improvviso. Ma in questa si vuole osservare
che
il poeta per sostenere il sentimento opposto intr
he il poeta per sostenere il sentimento opposto introduce un fratello
che
non è la persona più scaltra del mondo, nè la più
a; ed oltre a ciò essa è da riporsi tralle favole di cattivo esempio,
che
danno peso appo i volgari alle massime perverse d
bre di Castiglia padrone di Alcalà e delle città, castella e villaggi
che
le sono intorno, vantandosi egli di passeggiare s
contro i Mori a colpi di lancia. Egli gonfio non meno della ricchezza
che
del legnaggio dice, . . . . . . que en Castilla
ortigiano chiamato Aguilera. Don Tello parla con poco rispetto del re
che
crede assente, ed il finto Aguilera alzandosi ne
al fine ad ascoltarlo ma leggendo una lettera, nè badando a Don Tello
che
gli s’inginocchia davanti. Il buffone che al soli
era, nè badando a Don Tello che gli s’inginocchia davanti. Il buffone
che
al solito assiste a quest’incontro, rileva cotal
gli più d’ una volta ha mostrato disprezzo del valor personale del re
che
si teneva per prode, per ordine secreto del sovra
umiliato e convinto l’orgoglioso vassallo non meno del proprio potere
che
della gagliardia. Prima di passare alle commedie
na in mente quante volte i poeti Spagnuoli hanno introdotti i sovrani
che
deposta la maestà si trattengono in domestici col
no Della terra e del ciel, quali non debbo Grazie alla tua pietà,
che
di tai doni Sì mi colmasti, che quanto si scopr
non debbo Grazie alla tua pietà, che di tai doni Sì mi colmasti,
che
quanto si scopre Dalla vicina rupe a quella val
do riposo, Una gioja innocente appien gradito Rende lo stato mio;
che
l’uom felice Tant’è quant’ei si reputa. Lontano
amente il nome di novella drammatica. Vi si vede un re d’ Inghilterra
che
smarrito in una foresta si ricovera solo in casa
avole di Moreto, o dell’ Anonimo o di Matos. Non per tanto M. Sedaine
che
ha scritto in Francia le Roi & le Fermier, e
enri IV, confessarono di aver seguita la favoletta inglese, ignorando
che
questa era una debole copia delle nominate commed
attere e la passione, e se alcuna volta sottilizza rapito dal turbine
che
tutti gli altri aggirava, non mai incorre in meta
i lui tradotto soltanto Un bovo hace ciento commedia bene avviluppata
che
si continua a rappresentare; ma forse poteva far
forse poteva far migliore scelta fralle seguenti. Amparar al enemigo,
che
dal Celano in Napoli fu tradotta in prosa e intit
ha più d’una situazione interessante, locuzione propria, e un’ azione
che
non dura più di due notti, e tre giorni. La Xitan
Madrid. Una novella di Cervantes diede l’ argomento a questa favola,
che
ha somma grazia in castigliano, e perde nelle tra
scrivendo i tratti originali della dipintura degli zingani Andaluzzi
che
acquistano ancor grazia maggiore nella rappresent
Andaluzzi che acquistano ancor grazia maggiore nella rappresentazione
che
ne fanno i nazionali. Più di una fiata ho veduta
r dall’eccellente attrice Pepita Huertas già morta, or dalla Carreras
che
già si era ritirata dal teatro quando io lasciai
sa. Rendevasi accetta la prima per certa grazia naturale tutta nobile
che
faceva trasparire in mezzo a i modi ed a i gerghi
na grave infermità si destinò l’anno 1782 a rappresentarla nel passar
che
fece S. A. il conte d’Artois per Madrid andando a
dopo della prima scena ella cadde in un profondo deliquio e convenne
che
la Graziosa Apollonia supplisse sul fatto la di l
nche si contiene ne’ termini di poco più di un giorno. Il personaggio
che
dà il titolo alla favola è tratto dalla commedia
ta commedia non è rimasta sulle scene. Nella commedia el Amor al uso (
che
Tommaso Cornelio tradusse ed intitolò l’ Amour à
d intitolò l’ Amour à la mode) Solis ha pure rappresentato un’ azione
che
si compie in 24 ore. Vi si dipingono vivacemente
ili. Vi si mette in vista la galanteria di una dama e di un cavaliere
che
fanno vista di amarsi, avendo però ciascuno più d
di seguirlo in tal carriera. Verisimilmente questo valoroso scrittore
che
non calcò le vestigia di Lope nè di Calderon e de
sì avverso a quanto possa torgli il menomo uso della propria libertà,
che
giugne all’eccesso e ne diviene ridicolo. Il re d
arsi presto da quella noja. Il re vuol fargli qualche grazia, dicendo
che
domandi pure? Egli lo prega che se continua a dim
e vuol fargli qualche grazia, dicendo che domandi pure? Egli lo prega
che
se continua a dimorare in Zamora, gli risparmi l’
inua a dimorare in Zamora, gli risparmi l’onore di più chiamarlo. Ode
che
in una casa si stà cantando? Per goder da vicino
rsi senza levarsi da sedere. Andando per la città mena seco un servo,
che
oltre ad un parasole porta sotto il braccio uno s
ingo si serve in istrada per riposare. Questo personaggio capriccioso
che
tal volta eccede e si rende inverisimile e tocca
n per tanto interessante pel valore di cui è dotato, e per la fedeltà
che
in ogni incontro mostra al suo sovrano. Tralle co
gni incontro mostra al suo sovrano. Tralle commedie di Antonio Zamora
che
raccolte in due tomi si sono impresse ne’ princip
due tomi si sono impresse ne’ principj del nostro secolo, havvene due
che
oggi si rappresentano. La prima s’intitola No ay
plazo que no se cumpla, ny deuda que no se pague, cioè non vi è tempo
che
non giunga nè debito che non si paghi; ed è il Co
y deuda que no se pague, cioè non vi è tempo che non giunga nè debito
che
non si paghi; ed è il Convitato di pietra in part
Tenorio in Napoli, e ritenne solo il prodigio della statua convitata
che
parla e camina e convita indi uccide Don Giovanni
l’azione e i caratteri si contengono ne’ limiti di quel genere comico
che
si appressa alla farsa. Pecca ancora nell’unità d
surare, e non poche da lodare. La sudicia avarizia di Don Marcos Gil,
che
oltrepassa gli Euclioni e gli Arpagoni, è colorit
ben punita con un matrimonio di una finta ricchissima vedova Indiana
che
in effetto è una povera donna di Salamanca, Anche
piglio, il Duello contro l’innammorata. Non v’ha regola di verisimile
che
in esse non si trasgredisca, nè stranezza di stil
di verisimile che in esse non si trasgredisca, nè stranezza di stile
che
non possa notarvisi; e pur vi si divisa un artifi
zza di stile che non possa notarvisi; e pur vi si divisa un artificio
che
ne rende gli argomenti interessanti. Imprese Cand
la prima favola una lezione scenica a’ principi, col medesimo intento
che
ebbe M. de Marmontel ne’ discorsi di Giustiniano
elisario. E siccome nel libro di tal Francese la morale e la politica
che
vi si spargono, vengono avvelenate da una perpetu
oltre a quelli della religione; così nel dramma spagnuolo la lezione
che
si pretende dare a’ sovrani, tende a distruggere
incipio erroneo ed a stabilire una falsità opposta. Un suddito ardito
che
crede avere studiato, censura il governo di Traja
no per castigarlo se l’associa al trono. Il suo disegno è di mostrare
che
non vale lo studio scompagnato dell’esperienza; m
. Il Camillo di Candamo avea studiato male; si dovea dunque insegnare
che
al principe conviene studiar bene. In fatti egli
. In fatti egli vien dipinto ignorante non solo ne’ principj politici
che
mettono capo nella ragion naturale e delle genti,
n naturale e delle genti, ma ancor nella geografia e nella storia. Or
che
avea egli studiato? delle ciance? Candamo dunque
insegnare, non a disprezzare i libri, ma bensì a saperli scegliere, e
che
l’arte del regno ne’ buoni libri si apprende non
cegliere, e che l’arte del regno ne’ buoni libri si apprende non meno
che
nel maneggio degli affari; altrimenti il popolo n
ballerini e rimatori, e non già principi illuminati. Se come Alfonso
che
fu detto il savio, studieranno l’astronomia a seg
prezzo, di emendarne gli errori da padre e non da despoto, i principi
che
si dedicheranno a questo studio, calcheranno le o
dunque dalla favola di Candamo risulta uno sciocco insegnamento, cioè
che
l’arte del regnare non s’impara se non col manegg
una norma, senza bussola, senza aver coltivata la ragione? Ogni arte
che
si acquisti a forza di pratica materiale, s’impar
rrando; e gli errori de’ principi sono sempre fatali. Quello soltanto
che
nella favola di Candamo merita lode, è che vi si
re fatali. Quello soltanto che nella favola di Candamo merita lode, è
che
vi si mostra coll’ esempio di Camillo questa veri
che vi si mostra coll’ esempio di Camillo questa verità morale, cioè
che
un principe buono che voglia bene adempiere al su
’ esempio di Camillo questa verità morale, cioè che un principe buono
che
voglia bene adempiere al suo dovere, è un vero sc
ipe buono che voglia bene adempiere al suo dovere, è un vero schiavo,
che
col manto reale ricopre le proprie dorate catene,
l loro sale comico non bene avvertito da chi volle scherzare con dire
che
essi nè anche sapevano ridere senza gravità, per
he sapevano ridere senza gravità, per servire alle leggi della storia
che
del vero si alimenta, osserviamo che rarissime so
servire alle leggi della storia che del vero si alimenta, osserviamo
che
rarissime sono le commedie che da tali rimproveri
a che del vero si alimenta, osserviamo che rarissime sono le commedie
che
da tali rimproveri si esimono. Ma non lasciamo di
e commedie che da tali rimproveri si esimono. Ma non lasciamo di dire
che
se essi al loro sale nativo, alla vivacità e feco
tivo, alla vivacità e fecondità dell’immaginazione, alla predilezione
che
hanno pel teatro, accoppiato avessero un prudente
abbiamo ora appena accennato ben si rileva perchè nel XVII ancor meno
che
nel precedente secolo si trovino tragedie vere. M
cor meno che nel precedente secolo si trovino tragedie vere. Montiano
che
ne fu il più diligente investigatore appena giuns
rta l’essere stato tanto benemerito del teatro spagnuolo) se avanzano
che
la vera tragedia o non si è coltivata o non si è
e Unno. La Infeliz Marcela per avviso del Montiano è anzi una novella
che
una tragedia, in cui intervengono anche persone b
tragedia, in cui intervengono anche persone basse e comiche. L’unica
che
senza esitare possa chiamarsi tragedia, è la sua
18 insieme colle Rime e colla nominata tragedia. Reca però maraviglia
che
un ingegno così esercitato, e che di più pregiava
nata tragedia. Reca però maraviglia che un ingegno così esercitato, e
che
di più pregiavasi di aver per cinque anni frequen
ragedia sì cattiva, seguendo il sistema erroneo de’ compatriotti anzi
che
l’esempio degli antichi e di Torquato. Il suo Pom
a Dido del Virues non possiamo contare altre tragedie del XVII secolo
che
la traduzione delle Troadi di Seneca fatta da Giu
ne delle Troadi di Seneca fatta da Giuseppe Antonio Gonzalez de Salas
che
s’impresse nel 1633, in cui quasi sempre superò i
oprattutto ho badato a schivare le loro inutili decisioni generali. E
che
giovano esse quando non sono verificate su i mede
ossa facilitarne l’esecuzione questa mia storia! Allora gli Spagnuoli
che
mostrano già tanti progressi fatti nelle scienze
ali, e si volgeranno a calcare miglior sentiero. Allora si avvedranno
che
tralle potenti cagioni che vi ostano, son da nove
are miglior sentiero. Allora si avvedranno che tralle potenti cagioni
che
vi ostano, son da noverarsi gli scritti de’ Lampi
scrittore antispagnuolo qual mi vollero dipingere non meno i meschini
che
gl’ insolenti apologisti, sarò tenuto per uno de’
iti di una nazione, di cui non meno nel Discorso contro del Lampillas
che
nell’Orazione funebre per Carlo III recitata ed i
i metafore ridevoli e stravaganti. Noi non ne rechiamo qui gli esempi
che
avevamo raccolti per presentargli al sig. Huerta
o qui gli esempi che avevamo raccolti per presentargli al sig. Huerta
che
n’era cieco idolatra, perchè la di lui morte ci h
di dargliele a conoscere. Oltreacciò non ignorano i sensati Spagnuoli
che
l’ istesso Lope de Vega che non fu de’ più sobrj,
treacciò non ignorano i sensati Spagnuoli che l’ istesso Lope de Vega
che
non fu de’ più sobrj, motteggiò come inintelligib
itati groppi di matte metafore. La gioventù dee però essere informata
che
Gongora non manca di merito in altri generi. Egli
amorati con moltissima grazia, leggiadria, affetto e naturalezza; nel
che
ha avuto un emulo gentile e felice nel mio defunt
cessi: vaga e semplice mi sembra la quinta delle sue canzoni amo ose,
che
incomincia: Buelas, o tortolilla, y al tier
vien detto da Nicolàs Antonio. 103. Vedi il II Discorso del Montiano
che
riprende i riferiti difetti degli attori nazional
ascoltati. 104. L’ espressione originale è fondata sul doppio senso
che
hanno nell’ idioma Castigliano le parole zelo e z
atto usar l’artiglieria in tempo dell’imperadore Eraclio, citò Milton
che
l’ introdusse nel combattimento degli Angeli; ed
Milton che l’ introdusse nel combattimento degli Angeli; ed aggiunse
che
l’uno e l’altro sublime ingegno pospose con ugual
ar l’uso del cioccolate prima della venuta d Cristo; almeno non costa
che
gli Angeli avessero fatto uso ancora di questa po
stirpe sacerdotale degli Asmonei dovea giurare da gentile per gli Dei
che
adoro? 110. L’originale è più abbondante, e fo
mi è sembrato ricercato soverchio ed incoerente il cumulo de’ simili
che
vi si profonde affettatamente: Monstruo, ingra
rvore della passione si è quì permesso una specie di delirio, facendo
che
Dorotea in quello stato dubiti se il Cagnerì sia
che Dorotea in quello stato dubiti se il Cagnerì sia una nuvola nera
che
si abbassi al mare delle di lei lagrime per poi p
i abbassi al mare delle di lei lagrime per poi precipitare in diluvio
che
inondi la terra. Si è traiasciato di tradurre que
n finale istrionico solito a porsi nelle relaciones. Dorotea gli dice
che
si volgeranno contro di lui cielo, sol, luna, est
tierra, viento. 115. Teatro Spagnuolo tomo I. 116. Da ciò si vede
che
M. Linguet ha raccolte ma non scelte le favole pe
’autore ha composte altre favole difettose per condotta e per istile,
che
più non si rappresentano, come sono el Job de las
iginale veramente quì si diffonde per ben quaranta versi per dire ciò
che
quì si accenna in cinque; ma i concetti sono trop
secolo. Coprono, vi si dice, di tal sorte la campagna i miei armenti,
che
quando si appressano a bere nel più copioso rio,
sete. 119. L’autore della Choix de Petites Pieces du Théâtre Anglois
che
vi ha inserita la favola di Dodsley commenda l’au
dsley commenda l’autore di essa come uomo onesto e scrittore filosofo
che
non perde di vista la correzione de’ costumi e la
di non trovarvisi nè saviezza d’intrigo nè regole di teatro. Io credo
che
il maggior difetto di essa sia che manchi d’inter
rigo nè regole di teatro. Io credo che il maggior difetto di essa sia
che
manchi d’interesse tanto il carattere del Mugnajo
della Spagnuola composta da Agostin de Roxas. Essa non era altra cosa
che
certi dialoghi intitolati Viage entretenido dove
el mestiere e della vita laboriosissima de’ commedianti Spagnuoli; di
che
vedasi l’Antonio, e ’l mio Discorso. Lampillas du
co I. Quante novità forse un dì apporteranno i più comuni oggetti
che
ora ci veggiamo intorno senza prenderne alcuna cu
cettibili scaturiscono spesso i più notabili evenimenti. Quel chimico
che
vide la prima accidentale esplosione del nitro, i
annò l’innocente Cazica Anacoana, spopolò tutta l’America. Ma bisogna
che
un interesse personale determini il primo osserva
resse personale determini il primo osservatore a fissarvi lo sguardo:
che
la sua osservazione per un interesse più generale
rvazione per un interesse più generale si comunichi a’ circostanti: e
che
vada così di mano in mano continuando a prender f
ll’ Attica senza produrre veruna novità! Ma quell’abitatore d’Icaria,
che
ne sorprese uno nel suo podere, fu per sicurezza
sigliato dal proprio interesse a sacrificarlo a Bacco, e quei paesani
che
ciò videro, ricordandosi delle proprie vigne per
io e l’ubbriachezza svegliarono quella satirica derisione scambievole
che
piacque tanto e che perpetuò la festa. Quel motte
svegliarono quella satirica derisione scambievole che piacque tanto e
che
perpetuò la festa. Quel motteggiarsi a vicenda e
ni sacri cantati ballando formarono a poco a poco un tutto piacevole,
che
da τρυγη, vendemmia, si chiamò trigodia 40, e fu
e, che da τρυγη, vendemmia, si chiamò trigodia 40, e fu come il germe
che
in se conteneva la gran pianta della poesia dramm
inata serie delle umane idee, le quali vanno destandosi a proporzione
che
si maneggia l’arte, e la società avanza nella col
da tali principj la tragedia e la commedia Greca, non vuol far altro
che
dare un’ aria di novità e di apparente importanza
anza a’ proprj scritti, e formar la storia della propria fantasia più
che
dell’arte. Solevano i riferiti cori ed inni nomin
Atene la tragedia, spiegando tutto il patrio veleno contro di quel re
che
dipinsero come ingiusto e crudele, pel tributo da
ttarono favole ed affetti, e formarono uno spettacolo si dilettevole,
che
meritò di essere introdotto in Atene. Cherilo l’A
ttevole, che meritò di essere introdotto in Atene. Cherilo l’Ateniese
che
fiorì nell’ olimpiade LXIV, avea trovata la masch
ezza, di energia e di arte militare, e gli rappresentò con tanto brio
che
scosse gli spettatori di un modo che nel medesimo
e gli rappresentò con tanto brio che scosse gli spettatori di un modo
che
nel medesimo teatro fu creato capitano; giudicand
imo teatro fu creato capitano; giudicando assennatamente gli Ateniesi
che
chi sapeva tanto solidamente favellare delle oper
aggio della patria47. Frinico inventò ancora il tetrametro. Le favole
che
di lui si citano, sono: Pleuronia, gli Egizi, Att
con una multa di mille dramme. Questo Frinico di Melanta fu il poeta
che
rappresentando la mentovata tragedia preso da non
re di Pitagora sopravviene in un punto sì favorevole, corre lo spazio
che
rimaneva intentato, coglie il frutto delle altrui
orniti di quanto può contribuire all’illusione, ma così mal costruiti
che
sovente cedevano al peso e cadevano con pericolo
ntar l’azione de’ balli, e prescrivere i gesti e i movimenti del coro
che
danzava e cantava negl’ intervalli degli atti, to
benchè talvolta turgido, impetuoso, gigantesco e oscuro. Le tragedie
che
se ne sono conservate, s’intitolano Prometeo al C
be, Agamennone, le Coefore, l’Eumenidi, e i Persi. Di queste non meno
che
delle altre favole greche a noi giunte, in grazia
e l’energia de’ suoi concetti mista si vede a certa antica ruvidezza
che
gli concilia rispetto. Intervengono in questa fav
ardisco per saggio recare in Italiano il principio di esse per coloro
che
non amano le latine letterali traduzioni e soffro
o fiumi, E voi del mare interminabil onde, O madre o terra, o sol
che
a tutti splendi 50, A voi ragiono, s’altri, oimè
el futuro danno. Deh quale è a tanto duol termin prescritto? Oimè
che
parlo? oimè! la serie acerba Di mie sventure an
a questo nuovo successore. Traspare in Prometeo una grandezza d’animo
che
nelle disgrazie lo rende degno di rispetto. Non s
nè si ritratta e solo si lagna invocando la terra sua madre e l’etere
che
circonda la luce in testimonio dell’ingiustizia c
a madre e l’etere che circonda la luce in testimonio dell’ingiustizia
che
l’ opprime. Non ci fermiamo nelle minute obbiezio
ute obbiezioni del per altro erudito Robortelli fatte a questa favola
che
spira per tutto grandezza e nobiltà e un patetico
utti numi e cose simili. Leviamo un pò più su il guardo ed osserviamo
che
Prometeo è un personaggio totalmente buono e bene
meteo è un personaggio totalmente buono e benefattore dell’umanità, e
che
il buono effetto che se in teatro, c’ insegna, ch
o totalmente buono e benefattore dell’umanità, e che il buono effetto
che
se in teatro, c’ insegna, che sebbene Aristotile
re dell’umanità, e che il buono effetto che se in teatro, c’ insegna,
che
sebbene Aristotile ci diede una bellissima pratic
istotile ci diede una bellissima pratica osservazione nel prescrivere
che
il protagonista debba essere di una bontà mediocr
per legge generale inviolabile, altrimenti ne mormorerà il buon senno
che
ci porta ad ammirare giustamente il bellissimo ca
a delle Danaidi Supplichevoli si osserva una regolarità così naturale
che
con tutta la gran semplicità dell’ azione tiene s
nzione. Longino ottimo giudice ne cita un vago frammento dell’atto I,
che
nella nostra lingua potrebbe così tradursi: Se
a un tempo stesso Agamennone ucciso e sepolto. Si può notare eziandio
che
o la rappresentazione di questa tragedia dee dura
guardia posta sulla cima di una torre a veder se risplenda la fiamma
che
dee di montagna in montagna da Troja ad Argo prev
gamennone, vede appena il fuoco e ne porta la notizia a Clitennestra,
che
giugne il marito quasi nel medesimo punto. Noi ci
e il marito quasi nel medesimo punto. Noi ci contentiamo di osservare
che
quantunque l’azione sembri languire alquanto ne’
tezza dello stile e dell’ingegno di Eschilo. Le Coefore, ovvero Donne
che
portano le libazioni, rappresentano la vendetta d
a’ suoi figliuoli, argomento poi trattato ancora dai due gran tragici
che
vennero appresso. Sin dalla prima scena vi si esp
ma scena vi si espone lo stato dell’azione con arte e nitidezza tale,
che
l’antichissimo riformatore e padre della tragedia
quale tanti moderni fanno pietà, a differenza del celebre Metastasio
che
sempre mirabilmente vi riesce. L’energia e la for
glianza. Ma egli poi mostra molto giudizio nel medesimo atto, facendo
che
Oreste rifletta sull’impresa a cui si accinge: ch
simo atto, facendo che Oreste rifletta sull’impresa a cui si accinge:
che
si lagni dell’oracolo di Apollo onde è minacciato
minacciato de’ più crudeli supplicj, se lascia invendicato il padre:
che
s’intenerisca alla di lui rimembranza: che si mos
scia invendicato il padre: che s’intenerisca alla di lui rimembranza:
che
si mostri ancora sensibile ai mali de’ popoli sac
ono. Tutto questo rende in certo modo sopportabile il gran parricidio
che
è per commettere. Nè di ciò pago il savio poeta,
savio poeta, in una lunga scena di Elettra e del coro con Oreste, fa
che
questi appalesi la ripugnanza e l’incertezza che
coro con Oreste, fa che questi appalesi la ripugnanza e l’incertezza
che
lo tormenta, la quale si va poi dissipando col so
circostanze dell’ammazzamento di Agamennone, alle quali fremendo dice
che
darà la morte a Clitennestra, indi a se stesso. T
r disporre l’uditorio ad uno spettacolo oltremodo atroce di un figlio
che
si bagna del sangue di una madre. Segue nell’atto
di una madre. Segue nell’atto IV l’uccisione di Egisto, ed il pianto
che
sparge Clitennestra per quest’usurpatore serve di
ro, facendo vedere benchè in abbozzo l’ infelice situazione di Oreste
che
trasportato da’ rimorsi va perdendo la ragione. O
ggia mascherati e con si orribili modi e grida entrarono nella scena,
che
tutto il popolo si riempì di terrore, ed è fama c
rono nella scena, che tutto il popolo si riempì di terrore, ed è fama
che
vi morisse qualche fanciullo e più di una donna i
l giudizio del di lui delitto fatto nel V coll’ intervento di Minerva
che
presiede agli Areopagiti, di Apollo avvocato del
agiti, di Apollo avvocato del reo, e delle Furie accusatrici. Il coro
che
negl’ intermezzi è cantante, nel giudizio è parla
rima di Eschilo trattato da Frinico. La condotta n’è così maestrevole
che
il leggitore dal principio sino alla fine vi pren
ndo l’arte incantatrice degli antichi posseduta da ben pochi moderni,
che
la più semplice azione viene animata dalle più im
e viene animata dalle più importanti circostanze con tanta destrezza,
che
il movimento e l’ interesse va crescendo coll’ az
a, che il movimento e l’ interesse va crescendo coll’ azione a misura
che
si appressa al fine. Per non avere a tale artific
caligero ne censurò54 la soverchia semplicità, nè le diede altro nome
che
di semplice narrazione; ed il Nisieli che sì spes
ità, nè le diede altro nome che di semplice narrazione; ed il Nisieli
che
sì spesso declama contro gli antichi, ne adottò l
menta la dolorosa situazione del Consiglio di Persia. Queste bellezze
che
sfuggono alla pedanteria, non isfuggirono al giud
chè non mi si ascriva a delitto il dipartirmene per seguire l’affetto
che
m’inspira la lettura di questa favola. Io non mi
unto proposto in quest’opera di copiar ciecamente gli altrui giudizj (
che
sarebbe un’ infruttuosa improba fatica), ma bensì
improba fatica), ma bensì di comunicare co’ miei leggitori l’effetto
che
in me fanno le antiche e le moderne produzioni dr
no le antiche e le moderne produzioni drammatiche. Noi siamo persuasi
che
dopo di essersi la mente preparata co’ saldi inva
lettura e con una lunga esperienza del teatro, il cuore solo è quello
che
decide dei drammi e senza ingannarsi ne conosce e
zie delle sette tragedie di Eschilo, non c’ incresca di ascoltare ciò
che
alla solita sua maniera ne dice il notissimo avvo
Nuovo sistema d’ interpretare i tragici Greci. Altro per lui non sono
che
feste teatrali di ballo serio preparate da alcune
tutte le idee naturali scompigliate per lo prurito di dir cose nuove
che
al fine si risolvono in nulla. Se poi non le cono
lui parole ne concepirà una immagine tutta aliena dal vero, e crederà
che
le patetiche declamazioni in Eschilo preparassero
altra differenza può ravvisarsi trall’uno e gli altri, se non quella
che
si scorge ne’ caratteri di diversi artefici che l
altri, se non quella che si scorge ne’ caratteri di diversi artefici
che
lavorano in un medesimo genere, per la quale dist
no, l’Eumenidi, la Forza ecc.) punto non dimostrano, com’ egli crede,
che
allora la tragedia era una danza animata dall’int
a danza animata dall’intervento di questi genj mali e buoni piuttosto
che
una vera azione drammatica; ma pruovano solo che
li e buoni piuttosto che una vera azione drammatica; ma pruovano solo
che
Eschilo introdusse ne’ suoi drammi le ninfe, i nu
e, d’Iride, di una Furia, di un’ Ombra, della Morte ecc. Di grazia in
che
mai essi discordano da Eschilo su questo punto? E
usiasmo cantò alcuni versi notati di manifesta empietà, ed il governo
che
vigila per la religione e per li costumi, condann
condannò alla morte l’ardito poeta. Ma Aminia di lui minor fratello,
che
nella pugna di Salamina avea perduta una mano, al
iarono ad applaudirsi le tragedie del giovane Sofocle. La prima volta
che
questo nuovo tragico, contando anni ventotto di e
morì, e secondo Plutarco56 fu sotterrato presso Gela. O servisi però
che
la contesa di questi due gran tragici avvenne neg
erone mori nel secondo anno dell’olimpiade LXXVIII57. Adunque Eschilo
che
secondo i marmi di Arondel morì nel primo anno de
dovette sopravvivere a Jerone intorno a dodici anni. Vuolsi in oltre
che
quando Eschilo si ritirò alla corte di Jerone, tr
Eschilo non era ancora stato vinto da Sofocle58. Laonde converrà dire
che
egli due volte sia andato in Sicilia, l’una dopo
, dimoratovi qualche anno, seguì la morte di quel re. Si è però detto
che
Eschilo morisse tre anni dopo la vittoria di Sofo
rò detto che Eschilo morisse tre anni dopo la vittoria di Sofocle, il
che
non può conciliarsi coll’ epoca della di lui mort
i Sofocle, il che non può conciliarsi coll’ epoca della di lui morte,
che
seguì nell’ultimo anno dell’olimpiade LXXX, o nel
della LXXXI, essendo egli di anni sessantanove59. Ma il sommo credito
che
andava Sofocle acquistando, non nocque gran fatto
zione di Eschilo. Gli Ateniesi diedero pubblici attestati della stima
che
facevano delle di lui tragedie, avendo decretato6
ti della stima che facevano delle di lui tragedie, avendo decretato60
che
si rappresentassero anche dopo la di lui morte, o
tri non compartito, pel quale potè Aristofane fargli dire nelle Rane,
che
la sua poesia non era morta con lui. In fatti alc
ane, che la sua poesia non era morta con lui. In fatti alcuni tragici
che
si dedicarono a ritoccarne più di una, ne riporta
favole di Eschilo non sempre animata da quella interessante vivacità
che
può renderla accetta, qualche reliquia di rozzezz
ol movimento e colla vivacità e colla economia mirabile della favola,
che
colla magnificenza delle decorazioni. E perchè gl
e all’illusione indispensabile per disporre gli animi alle commozioni
che
si vogliono eccitare, fe dipingere la scena, seco
ie, delle quali venti furono coronate; ma non ne sono a noi pervenute
che
sette, cioè: Ajace, le Trachinie, Antigone, Elett
tile di Sofocle è talmente sublime, magnifico e degno della tragedia,
che
per caratterizzare la maestosa gravità di tal com
ofocleo (Nota VIII). Tale è poi l’aggiustatezza e la verisimilitudine
che
trionfa ne’ piani da lui disposti, che senza cont
statezza e la verisimilitudine che trionfa ne’ piani da lui disposti,
che
senza contrasto vien preferito a tutti i tragici
sposa Tecmessa; la pittura naturalissima della disperazione di Ajace
che
si ammazza; ed il tragico quadro che presenta la
sima della disperazione di Ajace che si ammazza; ed il tragico quadro
che
presenta la troppo tarda venuta di Teucro, ed il
tta da un gran pennello! Ma oh quanto si scarseggia di gran pennelli,
che
sappiano mettere in opera i bei colori della natu
rarne ogni minimo neo nello sceneggiamento e ogni leggera espressione
che
loro paresse bassa e grossolana, per non avere ab
avere abbastanza riflettuto alla natura eroica di que’ tempi lontani
che
i tragici intesero di ritrarre? Il garrire degli
o a’ tempi di Filippo, di Alessandro ed anche di Cassandro. Or quello
che
i Greci profferivano ne’ tempi della loro gran co
iudizio di giudicare dal decoro osservato ne’ moderni tempi di quello
che
convenisse a’ tragici Greci nel copiare Teseo ed
assai saggio. In tutta la scena di Menelao e di Teucro trovo soltanto
che
quegli riprende nell’altro la soverchia baldanza,
’ re irritato per la resistenza di Teucro gli rinfaccia di aver egli,
che
pur non è che un figlio di una cattiva, σέ . . .
per la resistenza di Teucro gli rinfaccia di aver egli, che pur non è
che
un figlio di una cattiva, σέ . . . . τὸν έκ της α
e villanie decantate. Perchè dunque attribuire agli antichi i difetti
che
non hanno, oltre a quelli che hanno per essere st
unque attribuire agli antichi i difetti che non hanno, oltre a quelli
che
hanno per essere stati i primi nell’arte? Perchè
i nell’arte? Perchè inventare nuovi errori? Non basta scoprire quelli
che
son veramente tali? Noi ultimi venuti possiamo di
romontorio Ceneo, ed è venuto a narrarlo in Trachinia. É mai naturale
che
egli avesse due volte valicato in tempo sì corto
ira alle accuse del figlio addolorato, silenzio eloquente artificioso
che
sempre in Sofocle precede le disperazioni e i sui
ni e i suicidj. Nell’atto quinto trovasi quello squarcio maraviglioso
che
latinamente con molta eleganza tradotto da Cicero
iuta per moltissime traduzioni si aggira su gli onori della sepoltura
che
erano tanto a cuore dell’ antichità63, prestati d
notabile nell’atto II la scena delle due sorelle Antigone ed Ismene,
che
disprezzando a competenza la morte accusano se st
ietato loro imeneo. Antigone n’è sepolta viva, Emone figliuolo del re
che
ama questa principessa, si ammazza, ed Euridice d
l re che ama questa principessa, si ammazza, ed Euridice di lui madre
che
ne intende il racconto, istupidita dal dolore par
La riconoscenza molto tenera fassi con più verisimilitudine di quello
che
avviene nella tragedia del predecessore, per mezz
el fratello tenendo l’urna delle di lui ceneri si rappresentò da Polo
che
sostenevane la parte, con tal vivacità che trasse
eri si rappresentò da Polo che sostenevane la parte, con tal vivacità
che
trasse dagli spettatori copiose lagrime. Con tutt
re benchè colpevole. Chi oggidì non fremerebbe alle parole di Elettra
che
incoraggisce Oreste a replicare i colpi, παισον δ
trasto delle voci della natura colla necessità di obedire all’oracolo
che
dovea fuor di dubbio lacerare in quel punto il cu
r supporre la tragedia ancora avvolta nelle fasce infantili nel tempo
che
si producevano simili componimenti che nulla hann
elle fasce infantili nel tempo che si producevano simili componimenti
che
nulla hanno di mediocre (Nota X). Torresti tu (di
ceva col solito discernimento Longino66 di esser piuttosto Bacchilide
che
Pindaro, e nella tragedia Jone Chio che Sofocle?
di esser piuttosto Bacchilide che Pindaro, e nella tragedia Jone Chio
che
Sofocle? . . . . E chi sarà quegli che avendo fio
ro, e nella tragedia Jone Chio che Sofocle? . . . . E chi sarà quegli
che
avendo fior di senno, messe tutte insieme le oper
e si prostra un coro di vecchi e di fanciulli: si rileva dalle parole
che
in lontananza dovea vedersi il popolo afflitto ra
i racconta come andò a vuoto un oracolo di Apollo, il quale presagiva
che
un di lei figlio dovea essere l’uccisore del padr
l re la morte da lui data a un vecchio in un luogo simile; e a misura
che
vanno i fatti rischiarandosi la favola diviene in
udia di torre il credito agli oracoli; e nell’ atto IV Edipo all’udir
che
Polibo suo creduto padre è morto in Corinto, ne d
nfallibilità di Apollo, e l’insuperabile forza del fato, quella forza
che
è il gran perno su cui si aggira il tragico teatr
esprime col silenzio l’intensità della sua pena ed il funesto disegno
che
indi a poco eseguisce. E quì veramente si vede il
o ho tolto A chi mi diè la vita. O sol, fia questa L’ultima volta
che
i tuoi raggi io miri 67. Ma quanto è tragico e
o Edipo acciecato! Quivi è il bel passo ammirato e citato da Longino,
che
il Giustiniani ha così tradotto nell’elegante, es
stesso ventre E nuore e mogli e madri, in un mischiando Tutto ciò
che
più turpe e più nefando Tra’ mortali si stima.
i vede egregiamente espresso quell’αῖμ’ εμφύλιον, sanguinem cognatum,
che
il dottissimo Brumoy desiderava nella per altro e
uesto passo fatta da Niccolò Boileau. Lacera finalmente tutti i cuori
che
non ignorano la potenza della sensibilità, la pre
infelice Vostro . . . . fratello. Non fuggite, o care, Queste man
che
dagli occhi a vostro padre Trasser la luce.
canti de’ cori: Santo oracol di Giove Che sì soave spiri, Con
che
annunzio venisti Dagli eccelsi di Delfo aurati
da li corpi un sopra l’altro estinti In largo e folto stuolo, Più
che
il foco leggere Fuggon l’alme di Stige ai trist
ato Signor Mattei affermi nella citata dissertazione alla pagina 210,
che
i nostri antichi traevano da quelle miniere (de’
sono sempre più maravigliato in leggendo poco dopo nella pagina 218,
che
dalla Greca tragedia aveano i Francesi e gl’ Ital
ntava senza sconcezza sul teatro della dotta Atene. E ciò ne dimostra
che
certo sublime idropico e romanzesco, e che io chi
a Atene. E ciò ne dimostra che certo sublime idropico e romanzesco, e
che
io chiamo di convenzione teatrale, perderebbe aff
le scene moderne a fronte delle patetiche situazioni naturali, sempre
che
vi fossero introdotte con leggiadria da un ingegn
sempre che vi fossero introdotte con leggiadria da un ingegno sagace
che
sapesse renderle, sulle vestigia di Sofocle, trag
stigia di Sofocle, tragiche e grandi. Può osservarsi in questa favola
che
i cori del primo e del terzo atto sembrano più pa
cori del primo e del terzo atto sembrano più parlanti del secondo; il
che
trovandosi ancora in altre può valer di pruova ch
ti del secondo; il che trovandosi ancora in altre può valer di pruova
che
non sempre terminavano gli atti con un canto somm
contrasto della virtù di Neottolemo colla politica di Ulisse. Piacemi
che
il soprallodato Conte di Calepio osservi che sia
itica di Ulisse. Piacemi che il soprallodato Conte di Calepio osservi
che
sia figura lirica l’apostrofe di Filottete al pro
rica l’apostrofe di Filottete al proprio arco, ed al fragore del mare
che
sentiva stando nell’antro di Lenno. Ma sì lieve n
Ma sì lieve neo non meritava di esser tanto esagerato in una tragedia
che
gli presentava molte bellezze da esercitare il gu
ve, cioè delle furie, la cui memoria di tanto orrore colmava i Greci,
che
non ardivano quasi mai mentovarle col loro vero n
sum. Il coro instruisce Edipo delle cerimonie praticate ne’ sacrificj
che
facevansi all’eumenidi, affinchè questo forestier
imare col più vivace colorito tutti gli affetti e quelli spezialmente
che
appartengono alla compassione. Euripide (dice Lon
tenze, e una ricchezza filosofica ne caratterizzano lo stile; di modo
che
i Greci l’appellavano filosofo tragico, e davano
i appressa, secondo Quintiliano, al genere oratorio con tale riuscita
che
a niuno de’ più eloquenti rimane inferiore (Nota
e favole; ciocchè pruova ch’egli poneva più cura a ritrarre la natura
che
a consigliarsi coll’arte. Secondo alcuni egli scr
gli scrisse settantacinque tragedie; ma contando le diciannove intere
che
ne rimangono, e i frammenti di molte altre raccol
bella edizione del Barnès, si può con altri asserire con più ragione
che
ne componesse sino a novantadue, otto delle quali
. Tale era Senocle (figlio del tragico Carcino anteriore ad Euripide)
che
più di una volta venne a lui preferito da’ giudic
rito da’ giudici, al dir di Eliano, sciocchi o subornati. Le tragedie
che
ne abbiamo intere sono: Elettra, Oreste, Ifigenia
a perderebbe anche al confronto di Eschilo per cagione della vivacità
che
in questo è maggiore; ma quella immaginata da Eur
con molta proprietà per mezzo dell’Ajo di Oreste e per una cicatrice
che
questi avea sulla fronte sin della fanciullezza.
focle però vince in tal riconoscenza e l’uno e l’ altro per l’effetto
che
produce in teatro; perocchè Oreste creduto morto
ro per l’effetto che produce in teatro; perocchè Oreste creduto morto
che
si trova inaspettatamente vivo, apporta la rivolu
re di Elettra si vede da Euripide dipinto molto più feroce e veemente
che
dagli altri due tragici. Elettra si prende da se
i pensa di trarla nella rete, disegno e fierezza atroce in una figlia
che
nè anche è mitigato dalle savie prevenzioni che o
atroce in una figlia che nè anche è mitigato dalle savie prevenzioni
che
osservammo in Eschilo. Ma qual è mai l’artifizio
casa perchè l’assista nel finto parto imminente. Era però verisimile
che
una madre la quale lasciavala perire nell’indigen
lla occasione ripigliare la materna tenerezza? Tuttavolta il poeta fa
che
Clitennestra vada per tal menzogna a trovar la fi
n verisimilitudine dalla regina? Mal grado però di simili negligenze,
che
noi schiettamente rileviamo, ma senza il fiele de
tragico decoro. Nel terzo si dipinge l’Assemblea Argiva, la quale par
che
alluda all’Areopago di Atene, e vi si satireggian
a per ogni parte la maravigliosa sua maestria nel trattar gli affetti
che
destano la compassione. Chi ha giudizio, gusto e
ne. Chi ha giudizio, gusto e sensibilità noterà il dilicato contrasto
che
fanno nell’atto terzo le innocenti naturali doman
n lo cura o non sa l’arte di farlo scappar fuori. Io compiango coloro
che
ne giudicano con questo entimema, le nostre princ
re languida e snervata, perchè al traduttore molto mancava del calore
che
riscaldava l’immaginazione del tragico Greco. Se
edi il mio pianto, Vedimi a’ piedi tuoi. Deh padre amato, Non far
che
acerba senza colpa io pera. Dolce è la vita, i
ltro assisa Scherzar vedesti e a me dicevi allora: Deh quanto fia
che
a nobile consorte E di me degno e di fortuna am
endendo Da le tue guance ch’oggi ancora io tocco) Non fia mai ver
che
in vecchia età ti lasci. No, no, teco io vivrò:
on Achille, ed il patetico delle preghiere di Clitennestra e la pietà
che
ne mostra quell’eroe, si converte in ammirazione
rsi sospesa e agitata da varj pensieri sulle conseguenze della difesa
che
di lei vuol prendere Achille. Una muta rappresent
veduta da’ semplici gramatici e da’ freddi critici, a’ quali fa uopo
che
sieno materialmente siffatte cose accennate in no
comparire nel volto d’Ifigenia la riflessione del pubblico interesse
che
a lei sopravvenne e si contrappose al primo terro
dalla pedantesca censura dell’ineguaglianza del carattere d’Ifigenia,
che
alla prima piange e prega per sottrarsi alla mort
tica, in cui Ifigenia rassegnata a morire prendre congedo dalla madre
che
le va rammentando i suoi più cari. Finalmente con
ngegno mostra l’immenso dolore del padre più eloquentemente di quello
che
avrebbero fatto i moderni declamatori teatrali. I
’iracondo Achille. Ora in tal congiuntura la situazione di Agamennone
che
si cuopre il volto, è perduta, e debbe parer men
propria. Essa ci fa vedere un Generale pieno del suo privato dolore,
che
si ricorda di esser padre e s’indebolisce in sì p
l di lui carattere, perchè da per tutto si è dimostrato più ambizioso
che
tenero, e per ritenere il comando ed il titolo di
n ciò l’originale, come ha pur fatto il P. Carmeli. Non è improbabile
che
gli atti di questa tragedia sieno sei, e che il q
rmeli. Non è improbabile che gli atti di questa tragedia sieno sei, e
che
il quinto termini dopo la tenera scena dell’ultim
tenera scena dell’ultimo addio della madre e d’Ifigenia, colle parole
che
questa dice alle fanciulle perchè cantino in onor
sua disgrazia. Non si vede però allora eseguito questo canto, e pare
che
vi manchi il coro. In tal caso l’atto sesto comin
Ἰὼ, Ἰὼ ἲδεστε, ahi, ahi, vedete, ed il sesto conterrebbe il racconto
che
fa il Nunzio a Clitennestra e la venuta di Agamen
il racconto che fa il Nunzio a Clitennestra e la venuta di Agamennone
che
lo conferma. Il Carmeli conservando la divisione
ro frall’incaminarsi d’Ifigenia al sacrifizio, e la venuta del Nunzio
che
racconta l’avventura già seguita, per la quale ma
zio che racconta l’avventura già seguita, per la quale manca il tempo
che
dovea correre verisimilmente per tante cose narra
la sul punto di esser da lei come sacerdotessa sacrificato, e la fuga
che
eseguiscono seco loro menandone la statua di Dian
tezza e giudizio è la bellissima riconoscenza per mezzo della lettera
che
Ifigenia pensa di mandare in Grecia ad Oreste. Fr
nzione dell’uditorio e a tenerlo sospeso. Osserviamo in questa favola
che
dopo la scena d’Ifigenia e Toante, il coro canta
della prima divisione terminerebbe col canto del coro, O rupi Cianee
che
congiungete i mari; il secondo conterrebbe il ter
ari; il secondo conterrebbe il terzo ed il quarto terminando col coro
che
incomincia, Tenero augelletto che errando vai; il
zo ed il quarto terminando col coro che incomincia, Tenero augelletto
che
errando vai; il terzo terminerebbe col coro sopra
sa più essenziale per conoscere l’eccellenza degli antichi tragici. E
che
importa che una situazione ben dipinta si colloch
ziale per conoscere l’eccellenza degli antichi tragici. E che importa
che
una situazione ben dipinta si collochi più in uno
. E che importa che una situazione ben dipinta si collochi più in uno
che
in altro atto, purchè sia ben preparata, e se ne
preparata, e se ne comprenda tutta l’arte e la vaghezza? Egli è vero
che
il noto traduttor de’ Salmí e il degno autor dell
or delle Probole il Signor Mattei stima tal divisione così importante
che
al suo dire niuno Europeo ha capito ancora che co
isione così importante che al suo dire niuno Europeo ha capito ancora
che
cosa sieno le tragedie Greche, perchè niuno, a su
ni enfatiche oggi fanno poca fortuna, e si comparano alle precauzioni
che
prendevano i sacerdoti gentili per accreditare i
a intitolata Elena si tratta di Elena virtuosa in Egitto, secondo ciò
che
ne racconta Erodoto72. Vi si maneggia la fuga di
la fuga di Menelao con quest’Elena ingannando astutamente Teoclimene
che
n’era innamorato. Per la disposizione sembra ques
ssai in patetico, in moto, in nobiltà, e in interesse. Nell’Alcestide
che
si offre vittima volontaria alla morte in cambio
ima volontaria alla morte in cambio di Admeto suo marito, desidererei
che
gli stupidi biasimatori degli antichi leggessero
uoi figli, il marito, il coro, formano un quadro così compassionevole
che
farà cader la penna dalla mano a chi oggi voglia
sti, inurbani e in niun modo tragici. Non per tanto si dee riflettere
che
Euripide era un gran maestro, nè avrà egli presen
n gran maestro, nè avrà egli presentato a’ suoi compatriotti una cosa
che
potesse contraddire ai loro costumi e alle passio
alsa accusa di Fedra sua madrigna ed amante. S’inganna però chi crede
che
si dicesse coronato Στεϕκνηϕορος, dalla corona ri
o la corona teatrale ne’ giuochi Olimpici o in Atene, e niuna si vede
che
ne avesse tratto il nome di coronata. Ippolito do
ata. Ippolito dopo il prologo viene in teatro con una corona in testa
che
indi offerisce a Diana, e per questa corona che e
n una corona in testa che indi offerisce a Diana, e per questa corona
che
egli porta, ricevè quell’aggiunto, della stessa m
ta corona che egli porta, ricevè quell’aggiunto, della stessa maniera
che
l’Ajace di Sofocle s’intitolò Μαςτιγοϕορος per la
maniera che l’Ajace di Sofocle s’intitolò Μαςτιγοϕορος per la sferza
che
egli portava in iscena. Nell’atto primo partito I
rridore? Un dio Un dio nemico t’agita e confonde. Fed. Misera me!
che
parlo? Ove son’ io? La ragion mi abbandona, è v
stessa ho rossor: coprimi, dico, Nascondi agli occhi altrui questo
che
il volto M’inonda e bagna involontario pianto.
i questo che il volto M’inonda e bagna involontario pianto. Sento
che
avvampo di vergogna. O cruda E pur cara follia!
Ah prevenirmi perchè mai non puoi? Perchè non dir tu stessa Ciò
che
forza è scoprire? Per altro l’illustre tragico
nè si ferma come fa Euripide a far dire da Fedra alla Nutrice, sai tu
che
mai sia una certa cosa che si chiama amore? e giu
e a far dire da Fedra alla Nutrice, sai tu che mai sia una certa cosa
che
si chiama amore? e giudiziosamente si appiglia su
sso il Racine è soverchio pomposo e poetico. Osserva il lodato Brumoy
che
all’incontro del mostro il poeta Greco pieno del
o Brumoy che all’incontro del mostro il poeta Greco pieno del terrore
che
ne presero i cavalli, non presta al suo Ippolito
acendolo disporre ad assalire il mostro: Racine passa più oltre, e fa
che
arrivi a lanciare un dardo e lo ferisca. Nel che
assa più oltre, e fa che arrivi a lanciare un dardo e lo ferisca. Nel
che
(soggiugne quell’erudito) si scorge il progresso
he (soggiugne quell’erudito) si scorge il progresso della mente umana
che
tende sempre alla perfezione. Io ardisco dissenti
dal di lui avviso. Ognuno de’ tre potrebbe trovare qualche partigiano
che
ne approvi l’immagine che rappresenta, ma il Grec
de’ tre potrebbe trovare qualche partigiano che ne approvi l’immagine
che
rappresenta, ma il Greco a me sembra assai più in
el maneggiare le passioni, materia essenziale della poesia drammatica
che
non varia per tempo nè per luogo. Il tacciar quel
he accorderemo a Udeno Nisieli, al Signor di Calepio e ad ogni altro,
che
Ippolito trafitto dalla sventura che soffre immer
gnor di Calepio e ad ogni altro, che Ippolito trafitto dalla sventura
che
soffre immeritamente, sia trascorso in una espres
a sventura che soffre immeritamente, sia trascorso in una espressione
che
sente alcun poco d’irreligione verso gli dei, che
in una espressione che sente alcun poco d’irreligione verso gli dei,
che
cosa avremo appreso de’ pregi inimitabili di ques
pregi inimitabili di questa bella tragedia? I giovani non ne sapranno
che
un neo forse in parte scusabile per la veemenza d
no che un neo forse in parte scusabile per la veemenza della passione
che
rare volte lascia all’uomo tutto l’uso della sua
la sua ragione; e forse da queste critiche esagerate su i difetti più
che
su i pregi degli antichi proviene la moderna non
Ippolito di Euripide e della Fedra del Racine 73. Osserva in generale
che
la tragedia Francese è più complicata, più involt
se è più complicata, più involta in vicende, in intrecci, in episodj,
che
la Greca. Essa ha più parti, e queste hanno bisog
moderni è così sovente sollevata dall’ ammirazione e dall’entusiasmo
che
abbattuta dal terrore e dalla pietà; sente in som
za. Non è così della tragedia Greca, la quale sembra odiare tutto ciò
che
può distrarre dal dolore. Dessa è perfettamente s
essa è perfettamente semplice. Una sola azione incominciata dal punto
che
può interessare si estende dal principio al fine,
me tragedie. Rende egli i dovuti elogj alla Fedra, ma conviene ancora
che
l’azione dell’Ippolito sia una ed unica, e che tu
ra, ma conviene ancora che l’azione dell’Ippolito sia una ed unica, e
che
tutto vi succeda con maggior verisimiglianza. “Ra
iunge all’azione principale l’azione episodica d’Ippolito e di Aricia
che
comprende più di quattrocento versi. Due amori, d
e non è in verun modo preparata nella Fedra, nè produce altro effetto
che
d’ incoraggire la regina a dichiarare ad Ippolito
chiarare ad Ippolito il suo incestuoso amore. Più decenza in Euripide
che
in Racine. Fedra appresso il Greco confessa il su
utti gli spettatori sposa del padre al figliuolo, e nel primo istante
che
si crede morto il marito. Euripide ha saputo cons
l dramma di Racine è una serie di quadri grandi di amore: amor timido
che
geme, amore ardito e determinato, amor furioso ch
amore: amor timido che geme, amore ardito e determinato, amor furioso
che
calunnia, amor geloso che spira sangue e vendetta
e, amore ardito e determinato, amor furioso che calunnia, amor geloso
che
spira sangue e vendetta, amor tenero che vuol per
so che calunnia, amor geloso che spira sangue e vendetta, amor tenero
che
vuol perdonare, amor disperato che si vendica sop
ira sangue e vendetta, amor tenero che vuol perdonare, amor disperato
che
si vendica sopra se stesso: ecco la tragedia di R
obili nella tragedia Greca! Niun tratto, niun movimento, niun dialogo
che
raffreddi la pietà degli spettatori, Giovane, orn
mente comportato, ed avrebbe avuta la stessa indulgenza per un popolo
che
dovea essere il suo giudice.” Questo esame ben d
Argens, il quale colla solita sua superficialità e baldanza asseriva
che
i poeti tragici Francesi tanto sovrastano agli an
pubblica Romana del tempo di Giulio Cesare superava in potenza quella
che
era sotto il Consolato di Papirio Cursore. Aggiun
o moderno derisore degli antichi si mostra nauseato di quell’Ippolito
che
Euripide ci dipinse, sembrandogli un Cavaliere fo
ce (pag. 48) colla solita sua sicura lettura e martellata erudizione,
che
questa tragedia è di Sofocle. Avventuratamente pe
e nelle aringhe; Polibio non è un storico, ma una spezie di parlatore
che
fa riflessioni sulla storia; gli Oratori Greci, s
incantati per la novità ad ogni picciolissimo oggetto. Questo Saggio
che
ben può chiamarsi del mal gusto e dell’imperizia
ammirava la pazienza de’ Romani nell’ascoltare Cicerone chiacchierone
che
non la finisce mai; essi doveano (aggiugne) aver
testa d’ une furieuse trempe per resistere a un torrente di loquacità
che
nulla dice . . . . Ma è dunque una fatalità che g
torrente di loquacità che nulla dice . . . . Ma è dunque una fatalità
che
gli antichi e chi gli ammira, abbiano ad esser pe
argomenti ha somministrato ad Euripide la Guerra Trojana e gli eventi
che
ne dipendono. Oltre alle Ifigenie ed Elena, egli
e Ifigenie ed Elena, egli scrisse Ecuba, Andromaca, le Trojane e Reso
che
ci sono pervenute intere, e Palamede, Filottete,
a scena di Ulisse con Ecuba e Polissena nell’ atto primo, dove coloro
che
intendono ed amano le dipinture naturali, si sent
j tratti pittoreschi e tragici, come il nobile contegno di Polissena,
che
non vuole esser toccata nell’attendere il colpo:
ena, che non vuole esser toccata nell’attendere il colpo: il coraggio
che
mostra nel lacerar la veste ed esporre il petto n
ertate Volgendo gli occhi in certo atto pietoso, Che alcun non fu
che
i suoi tenesse asciutti, La sottil vesta con le
Nella scena in cui le si enuncia la morte di Polidoro, osserva Brumoy
che
vi sono sparse alcune strofette, alle quali forse
ersi più piccioli; la qual cosa con pace del Signor Mattei, fa vedere
che
gl’ interpreti de’ tragici Greci compresero il lo
gl’ interpreti de’ tragici Greci compresero il loro artificio per ciò
che
la musica riguarda. Egli stesso non fece di più n
cena in maniera diversa dalla Salviniana. Non saprei però dissimulare
che
il terzetto preteso vi si è formato a piacere nel
imulare che il terzetto preteso vi si è formato a piacere nella guisa
che
potrebbe formarsi, volendosi, anche nelle tragedi
trebbe formarsi, volendosi, anche nelle tragedie Inglesi o Russe, non
che
nelle Greche. Tale terzetto poi secondo me rallen
Son io? vaneggio? Qual furor mi trasporta? E’ cruda furia Questa
che
il cor, la mente, infiamma, accende, Lacera e s
zetto, Dunque è ver? o questo è inganno. A un furor da baccante
che
trasporta Ecuba fuori di se, far succedere un dub
le? Ecuba con tutta sicurezza del suo infortunio e con enfasi afferma
che
vede una strage inopinata, incredibile, tutta nuo
utta nuova. Or perchè cambiar questo pensiero in peggio? Non crederei
che
il Sig. Mattei peritissimo nella Greca lingua e n
do d’interpretarla, si fosse fatto ingannare dalla voce απιστα, quasi
che
Ecuba non credesse vero quel che avea sotto gli o
o ingannare dalla voce απιστα, quasi che Ecuba non credesse vero quel
che
avea sotto gli occhi. Sa egli bene che questa voc
e Ecuba non credesse vero quel che avea sotto gli occhi. Sa egli bene
che
questa voce quì manifesta l’enorme, atroce, stupe
esta voce quì manifesta l’enorme, atroce, stupenda serie di disgrazie
che
l’opprime. Osserviamo in oltre che ne’ Greci i ca
troce, stupenda serie di disgrazie che l’opprime. Osserviamo in oltre
che
ne’ Greci i cantici per l’ordinario non hanno luo
go se non conosciuta perfettamente la sventura. Ma in questo squarcio
che
si è voluto convertire in terzetto, si va cercand
questa tragedia sono tratti dal soggetto e pieni di passione non meno
che
di bellezze poetiche. Veggasi quello dell’atto pr
le senza violentare il genio della nostra lingua: Patria (ahi duol
che
ne ancide!) Ilio superbo, Or più non fia che a
a: Patria (ahi duol che ne ancide!) Ilio superbo, Or più non fia
che
a le nemiche genti Inaccessibil rocca Asia ti a
; Nè a’ lidi intorno pei Trojani campi Surgon le Argive tende. Io
che
raccolte Le sparse trecce e in vago giro avvint
azione dell’ Andromaca di Racine; perchè questa è la vedova di Ettore
che
teme per la vita di Astianatte, e nella tragedia
e nella tragedia Greca è la stessa Andromaca, ma già moglie di Pirro,
che
teme per la vita di Molosso avuto da questo secon
desta più compassione il nobile dolore di Andromaca vedova di Ettore,
che
la semplicità di Andromaca moglie di Pirro. È not
scambievoli di Andromaca ed Ermione presso Euripide. Osservisi ancora
che
nell’atto quarto Ermione e Oreste fuggono da Ftia
o, e vien portato il cadavere di Pirro, la qual cosa sembra sconcezza
che
offende ogni verisimilitudine. Nella tragedia int
fatte in Troja. Le profezie di Cassandra nell’atto secondo, e l’addio
che
Ella dà alla madre e alla patria, sono degne di o
ngono a farne conoscere tutto il patetico, e molto meno questa nostra
che
si ristrigne a un solo passo spogliato della situ
i, E di tuo padre il nome Che tanti ne salvò, ti fia funesto. A
che
sei tu d’Ettore figlio, io sposa? Per dominar s
r te. Morì già Ettorre, Nè dall’avello, per serbarti in vita, Fia
che
risorga. Di sostegno privo, In man del crudo in
Fa ch’io raccolga . ., Oh barbari, spietati, Inumani, tiranni, e
che
vi fece Un misero fanciullo? Il furor vostro
nella distribuzione dell’azione, particolar pregio di Sofocle; per il
che
pretende alcuno che ad esso e non ad Euripide app
dell’azione, particolar pregio di Sofocle; per il che pretende alcuno
che
ad esso e non ad Euripide appartenga, benchè altr
co76. Non è però il parere men sicuro quello del Barnès e del Carmeli
che
la stimano di Euripide, se si attenda tanto al ve
e, se si attenda tanto al vecchio consentimento di moltissimi critici
che
la noverarono sempre tralle di lui tragedie, quan
famigliari a questo tragico. L’argomento è lo strattagemma di Ulisse
che
con Diomede ammazza questo re di Grecia nel campo
e e a Diomede, la quale vedendo sopraggiunger Paride, per salvarli fa
che
il Duce Trojano travegga, ed ella si fa credere V
agedie dell’ antichità, donde trassero la materia tante e tante altre
che
portano il medesimo titolo. Contiene l’atroce ven
uova sposa di Giasone e del di lei padre Creonte è terribile. I figli
che
cercano scampar dalla madre che barbaramente gl’
ei padre Creonte è terribile. I figli che cercano scampar dalla madre
che
barbaramente gl’ inseguisce e gli riconduce dentr
gli trucida, formano un movimento teatrale sommamente tragico. Quello
che
mai non piacerà in questa favola è il personaggio
mote tradizioni e antichità patrie, non ha voluto omettere il ricetto
che
Medea trovò presso Egeo. Notisi però che la vende
a voluto omettere il ricetto che Medea trovò presso Egeo. Notisi però
che
la vendetta da lei presa contro Giasone ne’ propr
in Corinto in un tempio supponendolo asilo inviolabile. Ma i Corintii
che
odiavano questa straniera, gli uccisero, siccome
presso lo Scoliaste di Euripide sulla Medea; e per ischivar l’infamia
che
ad essi ne ridondava, si avvisarono probabilmente
stessa madre. Carcino tragico anteriore ad Euripide introdusse Medea
che
si discolpava di tale imputazione77. Ma Carcino n
ca sostituendovi una sua invenzione; e perciò non sembra inverisimile
che
i Corintii avessero ricorso ad Euripide poeta esi
l’eccellenza del poeta passò alla posterità come storia. Egli è certo
che
Eliano78 afferma esser fama anche a’ suoi tempi (
esser fama anche a’ suoi tempi (fiorendo egli dopo quelli di Adriano)
che
i Corintii solevano offerire quasi in perpetuo tr
gli di Edipo e Giocasta avvenuta nell’assedio di Tebe. Lodovico Dolce
che
ne fece una libera imitazione, ne tolse il prolog
co Dolce che ne fece una libera imitazione, ne tolse il prologo, e fe
che
Giocasta narrasse a un servo tutti gli evenimenti
tutti gli evenimenti passati di Edipo. E perchè narrare al servo ciò
che
era pubblico e noto ad ogni Tebano? Scarsezza di
za di arte. Vi è poi in Euripide una scena fra un vecchio ed Antigone
che
da un luogo elevato osservano l’armata Argiva e n
uogo elevato osservano l’armata Argiva e ne vanno descrivendo i capi,
che
è una felice imitazione di un passo del terzo lib
che è una felice imitazione di un passo del terzo libro dell’Iliade,
che
dal Tasso pur si trasportò nella Gerusalemme. Il
. Nè anche se n’è curato il Signor di Calepio cui sembra inverisimile
che
Antigone stando sulle mura di Tebe assediata pote
guere i personaggi del campo Argivo e le loro armature. É da credersi
che
prima di fare questa censura quel dotto critico s
co, ma di carattere diversi, e per lo dolore interessante della madre
che
s’interpone, e cerca di contenerli e disarmarli.
o a piè dell’altare in mezzo a’ sacerdoti: il tempio è pieno di donne
che
portano rami di olivo: Adrasto Re d’Argo resta ne
vi si trovano varie allusioni alle Greche antichità e tradizioni; il
che
, come altrove accennammo non lasciavano di fare i
Furia chiamata da Iride viene a turbare la ragione di Ercole a segno,
che
questi di sua mano saetta i proprj figliuoli. Nul
erra, nascene la vittoria, con altri successi da riempiere storie più
che
da formare una tragedia. La favola enunciata in q
a subito sveglierà ne’ lettori l’idea di un dramma Cinese o Spagnuolo
che
comprenda più azioni passate in molti anni. E pur
Eraclidi, e ristretta dentro un discreto periodo di tempo. Ecco quel
che
si legge nella tragedia di Euripide. Gli Argivi a
a di un esercito congregato prima d’incominciare il dramma, e non già
che
si congrega dopo il ritorno di Copreo come pur di
teniesi a proteggere gli Eraclidi, leggesi nell’atto primo. L’oracolo
che
comanda un sacrificio di una vergine illustre per
idi in una penosissima incertezza, non essendo nè onesto nè sperabile
che
qualche illustre Ateniese s’induca in favore di p
offre vittima volontaria. Interessante e tenero n’è l’ultimo congedo
che
prende da essi e da Jolao. Nell’atto terzo un Mes
rcito a favore de’ congiunti. Se ne rallegra Alcmena; ma è da notarsi
che
ella verun motto non fa sul destino di Macaria de
la di lei morte. Si racconta ancora il miracolo di Jolao ringiovenito
che
ha imprigionato Euristeo, bene alieno dalle nostr
i, lo manda a morire. In questa tragedia ancora Euripide nulla omette
che
possa ridondare in onore di Atene sua patria80.
ragedia così intitolata. Questo Jone a se stesso ignoto e alla madre,
che
di poi si congiunse in matrimonio con Suto, è all
ilievi, diciferandone le storie. Jon. Vedete quì il figlio di Giove
che
colla dorata falce ammazza l’idra di Lerna. Cor.
ce ammazza l’idra di Lerna. Cor. Lo vedo bene. Jon. E quest’altro
che
gli è dappresso e porta una fiaccola accesa. Cor
e porta una fiaccola accesa. Cor. Chi è mai egli? Sembra una figura
che
siamo solite di rappresentare ne’ nostri ricami.
così è condotta tutta la scena. Virgilio in simil guisa descrive Enea
che
osserva le dipinture del tempio di Cartagine; ma
reggia. Notabile nel medesimo atto primo è la scena di Creusa e Jone
che
non si conoscono. Il ragionamento di Jone a Suto
’Atalia e da Metastasio nel Gioas. Così non v’ha bellezza in Euripide
che
questi due gran maestri della poesia rappresentat
puto incastrare ne’ loro componimenti. L’altra scena di Jone e Creusa
che
termina l’atto quarto e che dovrebbe essere la pr
ponimenti. L’altra scena di Jone e Creusa che termina l’atto quarto e
che
dovrebbe essere la prima del quinto, è una di que
tto quarto e che dovrebbe essere la prima del quinto, è una di quelle
che
meritano maggiore attenzione. Interessa ancora pe
ggiore attenzione. Interessa ancora per la vivacità il riconoscimento
che
avviene nel quinto; ma le domande di Jone intorno
d’incoerenze e di difetti. La situazione di una madre e di un figlio,
che
non conoscendosi per errore si tramano la morte,
e sue, e si avvicina allo spettacolo satirico e alle antiche tragedie
che
trattavano soltanto di Bacco. Havvi nell’atto qua
l’infelice Penteo già fuor di senno vestito come una baccante e Bacco
che
glì va rassettando la veste e l’acconciatura. Mol
il figliuolo dilaniato. Il Ciclope è un dramma satirico, ed è il solo
che
ci è pervenuto di simil genere; ma di esso favell
a degli Abderiti avvenuta a’ tempi di Lisimaco. Era questa una febbre
che
di ordinario durava sette giorni, e riscaldava di
rava sette giorni, e riscaldava di modo l’immaginazione degl’ infermi
che
faceva diventarli rappresentatori. In tal periodo
addosso da Arideo Macedone e da Crateva Tessalo poeti invidiosi, più
che
della gloria poetica, del di lui favore presso il
ferite nell’olimpiade XCIII (Nota XVI); e Archelao n’ebbe tal dolore,
che
al riferir di Solino volle recidersi i capelli, e
tà di Pella. I Macedoni talmente si gloriavano di possederne le ossa,
che
le negarono concordemente agli ambasciadori Ateni
rne le ossa, che le negarono concordemente agli ambasciadori Ateniesi
che
le domandavano per seppellirle nella patria terra
ssero secondo Pausania un cenotafio, ossia voto sepolcro lungo la via
che
da Atene conduceva al Pireo. Sofocle che ad Eurip
a voto sepolcro lungo la via che da Atene conduceva al Pireo. Sofocle
che
ad Euripide sopravvisse, mentre vivea questo suo
che epigramma; ma poichè fu morto mostrò un dolore sì vivo e sì vero,
che
non meno per ciò si rende meritevole degli applau
non meno per ciò si rende meritevole degli applausi della posterità,
che
per aver prodotto l’Edipo e il Filottete. Ègli l’
decidere qual di essi fusse più riuscito ne’ due differenti sentieri
che
batterono. Plutarco tuttavolta presso Stanley nel
ta presso Stanley nelle Note ad Eschilo senza preferirne veruno vuole
che
ciascuno di essi abbia avuto alcun pregio partico
orrere nel certame85. Delle di lui tragedie non per tanto si racconta
che
avendole Socrate ascoltate l’insinuò di bruciarle
ono in tal carriera in Atene Platina, due Carcini, un altro Euripide,
che
secondo Suida compose dodici favole e vinse due v
sto Alceo tragico da alcuni si attribuisce la favola Cœlum, se è vero
che
sia stata una tragedia, come la chiama Macrobio c
Cœlum, se è vero che sia stata una tragedia, come la chiama Macrobio
che
ne rapporta tre versi86. L’altra favola Endimione
ppartenga. Contemporaneo del grande Euripide fu tra gli altri Senocle
che
ne’ Giuochi Olimpici restò di lui vincitore colle
mpo visse pure Euforione e Bione, e lo scrittore di tragedie non meno
che
di commedie Agatone che Platone onorò della sua a
e Bione, e lo scrittore di tragedie non meno che di commedie Agatone
che
Platone onorò della sua amicizia. Che che di lui
eno che di commedie Agatone che Platone onorò della sua amicizia. Che
che
di lui motteggi Aristofane nelle Tesmoforie, è ce
micizia. Che che di lui motteggi Aristofane nelle Tesmoforie, è certo
che
Aristotile nella Poetica celebra la tragedia di A
tta la vita, fu ancora poeta, ed Aristosseno scrittore musico afferma
che
avea composto alcune tragedie che volle pubblicar
ristosseno scrittore musico afferma che avea composto alcune tragedie
che
volle pubblicare sotto il nome di Tespi. Egli pas
are sotto il nome di Tespi. Egli passa per uno scrittore capriccioso,
che
talvolta attribuiva ad altri le proprie fatiche e
lvolta si appropriava le altrui, cioè quelle di Omero e di Esiodo, di
che
l’incolpa Camaleone. Acheo Siracusano fu un altro
che l’incolpa Camaleone. Acheo Siracusano fu un altro poeta tragico,
che
compose dieci tragedie, e si vuole che dal di lui
ano fu un altro poeta tragico, che compose dieci tragedie, e si vuole
che
dal di lui Etone satirico avesse Euripide imitato
ionisio il maggiore tiranno Siracusano scrisse ancora favole tragiche
che
niuno volle con lui tener per buone. Coltivò pure
elopida, Telegono. Egli fu ammazzato di un colpo di freccia, per quel
che
appare da questi versi di Ovidio in Ibin notati d
ciullezza udito da Demetrio Calcondila peritissimo delle Greche cose,
che
i Preti Greci ebbero tanto credito e tale autorit
Greci ebbero tanto credito e tale autorità presso i Cesari Bizantini,
che
per di loro favore ebbero la libertà di bruciare
bruciare la maggior parte degli antichi poeti, e specialmente quelli
che
parlavano di amori; alla qual disgrazia soggiacqu
tempi più a noi vicini ad Apollinare seniore Alessandrino, scrittori
che
principalmente fiorirono sotto Giuliano Apostata.
er quanto comporta l’odierno linguaggio della Grecia serva, e l’unica
che
abbia meritato ne’ bassi tempi di esser letta e p
amo alla poesia comica. 40. Ateneo Deipnos. lib. II. 41. Vedi ciò
che
dice l’Ab. Vatry nelle sue erudite Ricerche sull’
a di Cercione, dalla quale Nettuno ebbe Ippotoonte uno dei dieci eroi
che
diedero il nome alle dieci tribù di Atene. Il sec
e alcuni poemi in di lui lode; ma questo principe lo stimava sì poco,
che
soleva dire, che avrebbe voluto essere piuttosto
di lui lode; ma questo principe lo stimava sì poco, che soleva dire,
che
avrebbe voluto essere piuttosto il Tersite de’ po
re, che avrebbe voluto essere piuttosto il Tersite de’ poemi di Omero
che
l’Achille di quelli di Cherilo. 47. Eliano Stor
o quest’ultima avventura del Frinico di Melanta all’ altro più famoso
che
fu figliuolo di Poliframmone. Vi fu un terzo Frin
l quale cominciò a fiorire nell’olimpiade LXXXVI. 50. L’originale ha
che
per tutti giri. 51. Nell’originale si nomina il
o Scoliaste di Aristofane presso il citato Stanley. 61. L’ opinione
che
io porto sulle novità introdotte di mano in mano
i leggitori la ragione. Diogene Laerzio nella Vita di Platone accennò
che
la tragedia veniva prima rappresentata dal solo c
e accennò che la tragedia veniva prima rappresentata dal solo coro, e
che
dipoi Tespi, per fare che esso riposasse, trovò u
veniva prima rappresentata dal solo coro, e che dipoi Tespi, per fare
che
esso riposasse, trovò un attore degli episodj, Es
le fosse il sentimento di Laerzio, verrebbe contraddetto dalle favole
che
ci rimangono di questi due tragici. Aristotile co
da una a due, e diminuì le parti del coro . . . . . Ma Sofocle ordinò
che
fossero tre i rappresentatori. Sulle quali parole
la sua esposizione: Tespi, secondo Laerzio, trovò un contrafacitore,
che
contrafaceva ballando, sonando e cantando, l’azio
oè in ballatori, cantori e sonatori. Non vuole adunque il Castelvetro
che
per gli rappresentatori successivamente introdott
attore o una classe o specie di attori per ballare, cantare e sonate,
che
altra cosa rimaneva al coro? In oltre lo stesso C
ra cosa rimaneva al coro? In oltre lo stesso Castelvetro dice (c. 86)
che
quando si ballava, si cantava e si sonava, non si
va e si sonava, non si recitava la tragedia: ciò essendo bisogna dire
che
la tragedia si recitasse da chi non ballava, non
tasse da chi non ballava, non cantava e non sonava, e per conseguenza
che
gli attori introdotti, contro l’esposizione del C
o diverso da chi ballava, cantava e sonava. Or quest’uffizio, secondo
che
io l’intendo, si era di declamar la tragedia con
do che io l’intendo, si era di declamar la tragedia con certa armonia
che
non giugneva alla melodia che costituisce il cant
declamar la tragedia con certa armonia che non giugneva alla melodia
che
costituisce il canto propriamente, e di questa cu
di questa cura si allegerì il coro, come accenna Aristotile con dire
che
Eschilo ne diminuì le parti. Nel disconvenir però
ezie e non già in individui, come si espresse Laerzio, per la ragione
che
soggiungo. Se fossero stati semplici individui ac
ero stati semplici individui accresciuti uno per volta, ne seguirebbe
che
Eschilo non avesse introdotti nelle sue tragedie
a, ne seguirebbe che Eschilo non avesse introdotti nelle sue tragedie
che
due soli attori, oltre il coro, la qual cosa come
Vulcano e Prometeo, cioè quattro personaggi. Conviene però avvertire
che
classe non par che debba quì dinotare soltanto la
, cioè quattro personaggi. Conviene però avvertire che classe non par
che
debba quì dinotare soltanto la moltitudine, ma l’
mi, secondi e terzi. In fatti Aristotile stesso nel luogo citato dice
che
Eschilo fu il primo a far riconoscere il rapprese
hilo adunque aggiugnendo una seconda spezie di declamatori alla prima
che
Tespi avea tratta dal coro, assegnò loro certo gr
ra principale il rappresentatore delle prime parti; e la terza spezie
che
vi accrebbe Sofocle, dovette essere di attori anc
i interlocutori benchè di terza spezie. Non vogliamo però dissimulare
che
il lodato Metastasio tanto nell’Estratto della Po
quella di Orazio, mostrasi propenso ad ammettere l’opinione di coloro
che
stimano non essere stati più di tre effettivament
eci, ciascuno de’ quali rappresentava due o tre parti, non altrimenti
che
i commedianti Cinesi. Forse nè anche le compagnie
Signor di Calepio, per darie una giusta misura, l’ impegno di Teucro
che
vigorosamente si oppone ai Greci duci perchè non
n tradurre questo passo ho solo posposta l’apostrofe alla luce Ω φως,
che
nell’originale va innanzi all’epilogo dei delitti
originale va innanzi all’epilogo dei delitti o errori di Edipo. Trovo
che
elegantemente in ciò si è attenuto all’ originale
o il paterno dolore; ma in Abramo traluce una forza eroica sovraumana
che
lo guida e rende di gran lunga più grave e più ve
dazione. Essa addita alla gioventù la vera arte di tessere un dramma,
che
consiste in porre sotto gli occhi un’ azione che
i tessere un dramma, che consiste in porre sotto gli occhi un’ azione
che
vada sempre crescendo per gradi, finchè per neces
nare col coro Αὖρα, ποντιας αὖρά, Aure, marine aure: il II con quello
che
incomincia Εμοί χρῆν συμφοραν, Dovea un infortuni
εδωκας, Non ancor pagasti. A ciò ne ha determinato qualche incoerenza
che
nasceva dalle antiche divisioni. 76. Per non rif
a in Atene Teseo; ma il poeta valendosi de’ privilegj della poesia fa
che
la protezione degli Eraclidi sia presa da i di lu
assomigliante di molto alle Supplici, dove aveva già introdotto Teseo
che
guerreggia e vince per loro. 80. Sul medesimo so
ripide l’epoca del maggior lustro della tragedia. E ciò non vuol dire
che
i moderni abbiano a disperare di poter mai produr
o a disperare di poter mai produrre tragedie maravigliosamente belle (
che
anzi noi pretendiamo che l’arte mai non avrà a la
i produrre tragedie maravigliosamente belle (che anzi noi pretendiamo
che
l’arte mai non avrà a lagnarsi della poca fecondi
cie di componimenti perfetti benchè dissimili); ma sì bene vuol dire,
che
la tragedia Greoa, fondata sul sistema della fata
rbaro disprezzo per la lingua, la letteratura e le maniere de’ popoli
che
non sono Francesi, asserisce con magistrale super
e’ popoli che non sono Francesi, asserisce con magistrale superiorità
che
nelle mani di Sofocle e di Euripide la tragedia é
Sofocle e di Euripide la tragedia étoit à son berceau. Ma le ragioni
che
ne adduce danno a divedere di non essersi egli mo
empo, essi fanno gran senno e meritano somma lode. Conveniamo adunque
che
sono ancor essi riusciti egregiamente nella poesi
or essi riusciti egregiamente nella poesia tragica: conveniamo di più
che
qualche volta hanno uguagliati gli antichi nel co
ualche volta hanno uguagliati gli antichi nel colorire le passioni, e
che
spessissimo gli hanno superati nell’esporre, nel
del merito rispettivo degli uni e degli altri nel proprio genere. Ma
che
perciò? Chi ardirà di sentenziare su i generi ste
a avere in testa un guazzabuglio di fosche idee? Il fatto ci assicura
che
da più migliaja d’anni nella culta Europa si vegg
amente in favore delle tragedie moderne: quando si potesse assicurare
che
pari evento felice esse avrebbero avuto sul teatr
ap. 20. 87. Altrove ne cita un verso, il cui senso è questo: bisogna
che
la fortuna sia ajutata dall’ industria, e che l’i
senso è questo: bisogna che la fortuna sia ajutata dall’ industria, e
che
l’industria venga pur dalla fortuna ajutata. V. V
uesto sacro poetico omaggio passò poscia in costumanza, e la gioventù
che
lo cantava, incominciò a poco a poco ad animarlo
lo convertì in ricreazione17. Ecco la sacra informe materia teatrale
che
nasce, per ciò che nel precedente volume divisamm
reazione17. Ecco la sacra informe materia teatrale che nasce, per ciò
che
nel precedente volume divisammo, in ogni terreno,
, per ciò che nel precedente volume divisammo, in ogni terreno, senza
che
se ne prenda da altri popoli l’esempio, nella qua
oesia scenica; ma tra’ Romani sì l’accennata sacra poesia gesticolata
che
i rozzi diverbii Fescennini ebbero bisogno dell’e
ani la lingua Latina, si valeano della propria con molta grazia23; al
che
allude il noto verso di una favola di Titinio cit
de il noto verso di una favola di Titinio citato da Pompeo Festo24. E
che
a’ Romani non riuscisse malagevole il gustare del
lagevole il gustare delle grazie di quella lingua, può dedursi da ciò
che
scrive Tito Livio del Console L. Volunnio, il qua
to Livio del Console L. Volunnio, il quale militando contro i Sanniti
che
la parlavano ancora, spedì alle vicinanze del fiu
ticolare vennero in simil guisa privilegiate e conservate ancora dopo
che
la scena Latina ammise drammi migliori? Perchè, s
so e del Casaubon28, gli arguti copiosi sali e le vivaci piacevolezze
che
le condivano, non erano da oscenità veruna contam
dalla natural gravità Italica temperate, al dir di Valerio Massimo29,
che
non recarono veruna taccia a chi le rappresentava
chi le rappresentava. Si è però preteso da taluni troppo leggermente
che
esse fossero sin dalla loro origine basse non sol
ciò si ricava? Non da Livio, non da Strabone, non da Valerio Massimo
che
ne favellano. Le favole Atellane (disse il Gesuit
alla Romana severità, cangiando l’Italica di Valerio in Romana, quasi
che
fossero sinonimi, o quasi che i nostri Osci fosse
o l’Italica di Valerio in Romana, quasi che fossero sinonimi, o quasi
che
i nostri Osci fossero fuori dell’Italia. Ma egli
asi che i nostri Osci fossero fuori dell’Italia. Ma egli dovea sapere
che
da prima la denominazione d’Italia propriamente d
he da prima la denominazione d’Italia propriamente designava il paese
che
tennero gli Osci, gli Ausoni e gli Enotrii30, e c
esignava il paese che tennero gli Osci, gli Ausoni e gli Enotrii30, e
che
più tardi poi sotto nome d’Italia s’intese tutto
Enotrii30, e che più tardi poi sotto nome d’Italia s’intese tutto ciò
che
Apennin parte e ’l mar circonda e l’alpe, e in co
osceni da principio. Gli Osci (dice pure lo stesso Cantel) dall’usar
che
facevano parole turpi ed oscene sortirono il nome
che lingue dell’Italia? E se osceno è vocabolo Romano, come può stare
che
esso desse la denominazione agli Osci nazione più
esso desse la denominazione agli Osci nazione più antica di Roma? Ma
che
giuochetto vizioso è poi questo di tal Francese!
l proprio nome dall’ oscenità32. L’una cosa non distrugge l’altra? Ma
che
gli Osci non poterono così nominarsi dalla parola
dalla parola osceno, chiaro apparisce ancora agli occhi degli eruditi
che
ragionano, dal sapersi che tali popoli da prima c
apparisce ancora agli occhi degli eruditi che ragionano, dal sapersi
che
tali popoli da prima chiamaronsi Opici (parola ch
onano, dal sapersi che tali popoli da prima chiamaronsi Opici (parola
che
si allontana di molto da osceno) o da οϕις second
ις secondo alcuni, o da un accorciamento di Etiopici secondo altri; e
che
in appresso i Romani pronunziando male il vocabol
a de’ mimi Greci già ricevuti nella scena Romana. Tacito ci fa sapere
che
Tiberio dopo varie inutili lagnanze de’ Pretori,
olo Osco caro un tempo alla plebe a tal colpevole indecenza trascorso
che
bisognava reprimerlo coll’ autorità de’ Padri; ed
a. Mancava alla gloria di Roma vincitrice quella coltura dell’ingegno
che
dalle nazioni allontana la barbarie e ingentilisc
i e poeti furono Semigreci, cioè Greci delle Calabrie, perchè i primi
che
v’introdussero l’amore della letteratura e la con
io Salinatore, di cui ammaestrava i figliuoli, e Greco di nazione. Ma
che
non nascesse nella Grecia d’oltramare, può dedurs
che non nascesse nella Grecia d’oltramare, può dedursi dall’osservare
che
Salinatore di cui egli era schiavo, non militò se
era schiavo, non militò se non contro gl’ Italiani e i Cartaginesi; e
che
appartenesse ai Greci delle Calabrie si argomenta
la Grecia vinta in guerra e soggiogata da’ Romani pochi lustri prima
che
Andronico vi fosse condotto schiavo. Nè dubbiamen
coltivò più di un genere poetico, avendo l’anno 546 composto un inno
che
per placare i numi si cantò solennemente da venti
si il popolo di udirne talora ripetere i più bei pezzi, un di avvenne
che
fatto roco impetrò di far cantare per lui al suon
e ne nacque l’usanza di dividere la declamazione dall’azione, usanza
che
non so per qual singolarità di gusto serbossi pos
e, Inone, Laodamia o Protesilaodamia, Tereo, Teucro. Cicerone afferma
che
le favole Liviane non meritavano di leggersi la s
ta38, ed Orazio le pregiava ancor meno. Questo è il destino di coloro
che
inventano o precedono ogni altro in qualche impre
se al 546, ma s’ignora l’anno della sua morte. Cinque o sei anni dopo
che
Livio ebbe introdotta la poesia teatrale in Roma,
curgo, Protesilaodamia. Il Patrici conta fino a venti favole di Nevio
che
tutte trasportò dalle Greche, e tra esse nomina i
he tutte trasportò dalle Greche, e tra esse nomina il Trifalo. Quella
che
intitolò Alimoniæ Remi & Romuli potrebbe cred
merito, e ne volle lasciare a’ posteri la memoria nel bello epitafio
che
per se compose, in cui misto alla nobiltà e all’e
ra Punica, ne’ quali fece uso de’ versi Saturnii. Ma Cicerone osserva
che
Ennio, benchè miglior poeta di Nevio, scrivendo d
iglior poeta di Nevio, scrivendo delle guerre Romane tralasciò quella
che
Nevio avea cantato quasi schivando il paragone. T
a Terenzio43. Nevio avea militato nella prima guerra Punica, per quel
che
da lui stesso ricavò Varrone44, e la di lui morte
più la vita. Secondo Eusebio egli morì in Utica nell’olimpiade cxliv (
che
cade nel nominato anno 549) cacciato da’ nobili R
ade cxliv (che cade nel nominato anno 549) cacciato da’ nobili Romani
che
solea mordere nelle sue favole. Contemporaneo di
ue, per valore, per illustri amicizie e per lettere. Questo scrittore
che
a’ suoi tempi recò grande ornamento alla città di
fece, arricchir l’ultima col soccorso delle altre. Trovò egli ancora
che
dopo la comparsa di Andronico e l’introduzione de
ere le farsette satiresche recitate dagli Atellani col nome di Esodii
che
poi rimase al teatro, e che i moderni hanno riten
ecitate dagli Atellani col nome di Esodii che poi rimase al teatro, e
che
i moderni hanno ritenuti nominandoli tramezzi all
ntremeses alla Spagnuola, e petites pieces alla Francese. Ennio stimò
che
anche fuori del teatro potessero piacere al popol
Latini simili agli Oraziani, a’ quali diede il nome di satire, se non
che
sull’esempio de’ Greci e dello stesso Omero meseo
ino in versi esametri in istile per quel tempo elegante; perchè Nevio
che
l’avea preceduto colla narrazione della prima gue
verbo, può ricavarsi dal sesto libro de’ Saturnali di Macrobio. Ond’è
che
i posteri sempre sospireranno coll’ erudito Scali
gito ebbe luogo tra’ Latini comici più pregevoli; ma fu posposto, non
che
a Nevio e a Terenzio, a Turpilio e a Lucio stesso
tate da’ Greci, e Scipione originale di argomento Romano. I frammenti
che
se ne conservano ancora49, ci fanno desiderare ch
omano. I frammenti che se ne conservano ancora49, ci fanno desiderare
che
il tempo avesse distrutta l’Ottavia attribuita a
Ennio detta Scipione. Avremmo dato di buon grado il Tieste di Seneca
che
già conosciamo, per quello di Ennio da lui compos
sua Medea esule forse non temerebbe il confronto di quella di Seneca
che
pure è la migliore di questo Cordovese, giacchè C
diceva: E qual mai sarà tanto, per dir così, nemico del nome Romano,
che
ardisca sprezzare e rigettare la Medea di Ennio?
orse il giudizio altrove mostrato da Ennio potrebbe indurci a credere
che
nell’Ecuba avesse schivata la duplicità dell’ azi
greca tragedia. Per vederne la guisa possono confrontarsi gli squarci
che
soggiungo. Nella tragedia di Euripide Ecuba così
la medesima forza il medesimo discorso pronunziato da persone oscure
che
da illustri. Ennio imita questo pensiero, ma ne t
ue oratio æqua non æque valet. Quest’insigne poeta de’ suoi tempi,
che
fu l’amico di Scipione Africano il maggiore e di
di Ennio, mostra in diversi tratti vigorosi sparsi nelle sue commedie
che
era dotato d’ingegno al pari di Aristofane, ma no
do la maniera, i sali, e le lepidezze del Siciliano Epicarmo, disegno
che
manifestò in varii luoghi, e specialmente nel pro
vole, ma per evitare la satira de’ particolari, non altronde le tolse
che
dalla commedia nuova, siccome è manifesto da molt
e mani di tutti non esigono minute analisi, e basterà per la gioventù
che
quì se ne osservino alcune particolarità che repu
basterà per la gioventù che quì se ne osservino alcune particolarità
che
reputo più degne di notarsi. Anfitrione. Se non
la foggia della Greca ilarodia, non saprei scerne altra fralle Latine
che
più se le avvicini. Rintone inventore, come si di
ro, come leggesi in Ateneo. Da’ loro frammenti non si scorge la guisa
che
essi tennero nel condurre i loro Anfitrioni; ma è
uisa che essi tennero nel condurre i loro Anfitrioni; ma è verisimile
che
come Plauto nel suo essi vi trattassero in una ma
ola perduta intitolata Alcmena. Plauto nel prologo fa dire a Mercurio
che
la sua favola è una tragedia; ma prevedendo la ma
e di convertirla in commedia senza alterarne i versi. Riflettendo poi
che
doveano favellare da una parte principi e dei, pe
e dall’altra alcuni servi comici non convenienti alla tragedia, dice
che
la renderà una favola mista chiamata tragicommedi
icommedia. Scherza egli in tal guisa sull’indole della propria favola
che
non ignorava di essere una vera commedia, come è
vola che non ignorava di essere una vera commedia, come è da credersi
che
fossero ancora le Rintoniche. Dalla somiglianza d
ta e Birria attribuita al Boccaccio, ma scritta da Giovanni Acquetini
che
fiorì col Burchiello nel 1480, come dimostra l’ A
ne, molte altre aggiugnendone. Mercurio nel prologo di Plauto accenna
che
per servire al Tonante la notte si è prolongata,
un bel emploi Que le grand Jupiter m’apprête. Mercurio ripiglia
che
siffatte cose possono reputarsi viltà tralle pers
che siffatte cose possono reputarsi viltà tralle persone volgari, ma
che
tra’ grandi non si guarda così sottile: Lorsqu
r de paroître, Tout ce qu’on fait est toujours bel & bon. Al
che
la Notte con maliziosa sommessione risponde: “Su
lla vostra perspicacia. Bel bello (replica Mercurio) Madama la Notte,
che
di voi stessa corre voce che sapete in tanti clim
ello (replica Mercurio) Madama la Notte, che di voi stessa corre voce
che
sapete in tanti climi diversi essere la fida cons
essere la fida conservatrice di mille dilettosi intrighi; ed io credo
che
in tal materia fra noi due si giostri con armi ug
a piacevolezza di tale argomento col dare a Sosia per moglie Clèantis
che
è il personaggio di Tessala introdotto da Plauto,
è il personaggio di Tessala introdotto da Plauto, e coll’ immaginare
che
essa al pari della sua padrona Alcmena ammetta in
il pretendere ch’egli abbia ad essere una norma universale. Comprendo
che
la pratica del teatro dimostra, non esser priva d
il Bayle fassi da alcuni, i quali mirano gli oggetti da un lato solo)
che
in ciò il Francese abbia superato il suo modello.
o scioglimento usato dall’uno e dall’altro comico. Il Latino, secondo
che
ben conveniva in un teatro ripieno di superstizio
onveniva in un teatro ripieno di superstiziosi adoratori di Giove, fa
che
questo padre degli dei preceduto dallo strepito d
l’accaduto, e comandi ad Anfitrione di rappacificarsi colla moglie, e
che
costui piegando la fronte al decreto soggiunga,
ciam ita ut jubes . . . . Ibo ad uxorem intro. Ma il Francese ora
che
tali divinità sono appunto divenute comiche larve
nto divenute comiche larve, accomodando l’azione a’ tempi moderni, fa
che
Sosia con molta piacevolezza tronchi il complimen
ffaires toujours Le meilleur est de ne rien dire. Egli è vero
che
non senza ragione Madame Dacier imputa a Plauto l
a scena terza dell’atto quarto sollevi il tuono, e minacci al sentire
che
Alcmena è in procinto d’infantare, Numquam æde
vocem comœdia tollit, Iratusque Chremes tumido delitigat ore, Ma
che
pro? I pedanti loschi vorrebbero ridurre questo p
nazione della gioventù a un limitato numero di picciole idee. Ma essa
che
è la speranza delle belle arti, rompa oramai que’
o. Il Mureto, lo Scaligero, il Castelvetro, l’Einsio, hanno osservato
che
Plauto pecca in questa favola contro la verisimig
che Plauto pecca in questa favola contro la verisimiglianza, facendo
che
Alcmena nel tempo solo della rappresentazione, ci
le commedie Plautine per la forza, la proprietà e e la Salsa facondia
che
regna nell’elocuzione, e per la sontuosa abbondan
rgirippo innamorato di Filenia meretrice e bisognoso di danaro, senza
che
egli possa sovvenirlo, perchè le proprie entrate
uardo d’ingannare un ruffiano, e vestito da marinajo menarmi la donna
che
io amava. Mio figliuolo ha bisogno di venti mine
di buon grado il servo pregato dal proprio padrone si presta a quello
che
farebbe per naturale inclinazione. Intanto un mer
a quello che farebbe per naturale inclinazione. Intanto un mercatante
che
ha comprato da Demeneto alcuni asini, ne manda il
o riceve poi Argirippo, il quale con questa chiave riapre quell’uscio
che
l’era stato chiuso in sul viso. Si destina la cen
riso sacrifica in più di un luogo il verisimile e il decoro. Un servo
che
pria di consegnare il danajo sospirato all’innamo
l’astringe a portarlo sulle spalle in una pubblica strada: un vecchio
che
cena colla bagascia del figliuolo, e si fa da lei
ro soffrirebbe senza bisbigliare lo spettacolo di un padre mentecatto
che
seconda sino a tal segno le debolezze di un figli
ri ruffiane delle figliuole, cui per una legge Imperatoria si dispose
che
si tagliasse il naso, come anche il costume delle
ro pel proprio intento favorisce uno de’ servi. La moglie del vecchio
che
ha educata la fanciulla, conosacendo la malizia d
a. L’azione termina, scoprendosi Casina ingenua e cittadina Ateniese,
che
è destinata per consorte al figliuolo del vecchio
ciò si accenna appena con due soli versi dalla Caterva degli attori,
che
congeda l’uditorio: Hæc Casina hujus reperietu
Plauto ne compose la sua Casina sommamente applaudita la prima volta
che
si rappresentò, e, per quanto si dice nel prologo
resentò, e, per quanto si dice nel prologo recitato nella ripetizione
che
se ne fece, superò tutte le altre favole, Hæc
, dalla quale parimente derivarono varie commedie moderne. Tra’ primi
che
l’imitarono in Italia fu Lodovico Dolce nella sua
l Ruffiano. Non so se Difilo avesse intitolata la sua favola προτονος
che
significa rudens, non avendocene Plauto conservat
a forza; ma sono difese dal servo di Pleusidippo e dal vecchio Demone
che
abita in que’ contorni. Vi accorre lo stesso Pleu
n pescatore raccoglie nelle reti un involto appartenente al ruffiano,
che
contiene molte sue ricchezze e una cestina cogli
alo, e Pleusidippo ottiene per consorte la sua bella Palestra. Arturo
che
impietosito della fanciulla e crucciato contra de
rto negli arzigogoli del pescatore Grippo si fa un ritratto di coloro
che
da picciole speranze sollevati si promettono gran
itolo. Notasi nel prologo di questa favola una novità simile a quella
che
abbiamo osservata in alcune di Aristofane, cioè l
ualche coro ragiona a lungo delle proprie favole e delle altrui, cose
che
niuna relazione hanno coll’ azione rappresentata.
tagonista a parlar nel tempo stesso e come prologo e come personaggio
che
rappresenta nell’azione: Duas res simul nunc a
onati di Siena ed alquanti altri Italiani hanno introdotti gli attori
che
parlano coll’ uditorio, mostrando di sapere di es
di essere ascoltati. Gli Spagnuoli nelle commedie del passato secolo,
che
in questo continuano a rappresentarsi, fanno che
del passato secolo, che in questo continuano a rappresentarsi, fanno
che
il loro Grazioso quasi sempre narri al popolo asc
ore i disegni del poeta. Moliere stesso nell’Avaro introduce Arpagone
che
s’indirizza agli spettatori. Gli abusi o le licen
in busca de’ suoi. Intanto per un’altra via arriva alla nave il padre
che
a prima vista rimane preso di Pasicompsa l’amata
er faticare nella loro casa, ma volerla comperare a conto di un amico
che
gliel’ha chiesta. Ripugna in vano Carino, e Pasic
a nome di Lisimaco, nella cui casa è condotta. La moglie di Lisimaco
che
era in villa arriva in sua casa in tal punto, e t
aggiugne, lo consola, intercede per lui presso il padre, e ne ottiene
che
gli ceda Pasicompsa. Notabile a mio avviso in que
voco pieno di arte e di sale comico quello di Pasicompsa nel supporre
che
Lisimaco le favelli del suo Carino, mentre quegli
intende del vecchio per cui l’ha comperata. Patetico è poi il congedo
che
Carino prende dalla patria nella prima scena dell
dalla madre è mandata ad abitare in casa del giovine Lesbonico, dopo
che
per le sue prodigalità ha dissipato quanto avea.
condizione il dargliela indotata, vuole assegnarle un picciolo podere
che
gli è rimasto. Ripugna Lisitele per non ispogliar
e gli è rimasto. Ripugna Lisitele per non ispogliarlo dell’unica cosa
che
può sostentarlo, temendo che ridotto alla mendici
tele per non ispogliarlo dell’unica cosa che può sostentarlo, temendo
che
ridotto alla mendicità non pensi indi a sparir da
ippi per la dote della sorella. Un sicofanta prezzolato con tre nummi
che
danno il titolo alla commedia, si addossa il cari
ire il concertato, alla prima dà in Carmide stesso padre di Lesbonico
che
rimpatria, e ne risulta una scena sommamente piac
decente e nobile e condotta con regolarità e piacevolezza, dimostra,
che
se Filemone inventava sempre con simil grazia acc
i racconto, non può darsi pace al riflettere alla malignità di coloro
che
vanno seminando novelle e giudicando sinistrament
traggo fuor di tal genìa Che da’ lor detti inzampognar mi feci. O
che
gente! o che forche! o che linguacce! O che sfa
i tal genìa Che da’ lor detti inzampognar mi feci. O che gente! o
che
forche! o che linguacce! O che sfacciati! Quant
Che da’ lor detti inzampognar mi feci. O che gente! o che forche! o
che
linguacce! O che sfacciati! Quanto in città pas
nzampognar mi feci. O che gente! o che forche! o che linguacce! O
che
sfacciati! Quanto in città passa, Tutto fingon
i! Quanto in città passa, Tutto fingon saper, ma nulla sanno. Ciò
che
pensa ciascun, ciò che domani O da quì a un mes
a, Tutto fingon saper, ma nulla sanno. Ciò che pensa ciascun, ciò
che
domani O da quì a un mese ha da pensar, ben san
n, ciò che domani O da quì a un mese ha da pensar, ben sanno. Ciò
che
all’orecchio il re da solo a sola Susurra alla
gli trattien, purchè quanto alla bocca Lor si presenta, possan dir
che
sanno. Tutto il mondo volea che il mio vicino
bocca Lor si presenta, possan dir che sanno. Tutto il mondo volea
che
il mio vicino Fosse d’Atene anzi di vita indegn
enza, E i malvagi ciarloni assai più pochi, Che sanno sempre quel
che
mai non sanno. Il Penulo. In greco s’intitolò
onservato il nome dell’autore. Consiste l’argomento in un Cartaginese
che
va in cerca di un nipote e di due sue figliuole p
tti in una lingua morta e ignorata, e della quale non rimangono libri
che
accrescano le umane cognizioni, che sembrami il s
e della quale non rimangono libri che accrescano le umane cognizioni,
che
sembrami il saggio fine dello studio delle lingue
io Cinese, Etiopico, Pehlvi, Zend, Malaico, Persiano e Copto. Un uomo
che
avesse sì strano gusto, copiando alla peggio gli
le orme di cotali oracoli, con maggior senno e vantaggio osserveremo
che
nella seconda scena del medesimo quinto atto il s
mo che nella seconda scena del medesimo quinto atto il servo Milfione
che
appena sa qualche parola Punica, va a parlare al
he parola Punica, va a parlare al Cartaginese, ma appunto per lo poco
che
sa del di lui idioma ne interpreta le risposte al
a qual cosa Annone gli parla nella lingua del paese, e viene a sapere
che
vive in Agorastocle il perduto suo nipote. Questa
quale trovasi in potere di un ruffiano. Propone perciò al Cartaginese
che
finga di conoscere le due sorelle del suo paese p
figliuole perdute. A ciò Annone prende un’ aria di tristezza, e dice
che
furono in fatti a lui rubate due figlie insieme c
tu fingi a maraviglia bene: il principio non può esser migliore. Più
che
io non vorrei (replica Annone). Ottimamente (Milf
prosegue): o astutissimo, trincato, scaltrito Cartaginese! Che volto!
che
lagrime! che malinconia! Evviva. Tu superi me ste
astutissimo, trincato, scaltrito Cartaginese! Che volto! che lagrime!
che
malinconia! Evviva. Tu superi me stesso che sono
! Che volto! che lagrime! che malinconia! Evviva. Tu superi me stesso
che
sono l’architetto di questa frode. Questo comico
ago. Il Persiano. Si tratta in questa favola dell’astuzia di un servo
che
aggira un ruffiano. Eccone la condotta. Atto I. T
Eccone la condotta. Atto I. Tossilo servo fra se ragionando conchiude
che
la costanza di un amante povero supera le più glo
jo per soddisfare alla sua passione, ma non ottiene altro in risposta
che
un non ne ho. Vede Sagaristione altro servo, e gl
tento? Tos. Assai, se il mio pensier riesce. Sagaristione osserva
che
l’amico è pallido e sparuto. Tossilo gli confessa
ssere innamorato. Che mi dì tu! quegli risponde: è quì venuta la moda
che
i poveri servi facciano all’ amore? Tossilo rispo
ettendo trattarlo con ogni lautezza. Afferma non aver egli altra cura
che
lo crucii se non quella di riscattare dalle mani
vendo intero intero, Sa dio se raccorrò quanto tu chiedi. Tu vuoi
che
chi di sete sta morendo Cavi acqua dalla pomice
trattiene. Torna fuori Tossilo, ed ha pensato con un’ astuzia di fare
che
lo stesso padrone della sua bella sborsi il danar
duto e di ordinare a’ servi di sua casa un banchetto per un suo amico
che
attende. Saturione con gran giubilo comprende ess
gli dice) bene a tempo, caro Saturione. Menti amico (egli risponde),
che
io non vengo miga Saturione, ma Esurione. Questi
editarsi un uomo in una conversazione di persone ben nate, basterebbe
che
profferisse alcuna di queste inezie, che i France
persone ben nate, basterebbe che profferisse alcuna di queste inezie,
che
i Francesi chiamano turlupinades. Tossilo gli dic
urlupinades. Tossilo gli dice ch’ei mangerà, purchè si ricordi di ciò
che
jeri gli disse. Mi ricordo, sì, risponde, che non
urchè si ricordi di ciò che jeri gli disse. Mi ricordo, sì, risponde,
che
non vuoi che la murena e il congrio si riscaldino
rdi di ciò che jeri gli disse. Mi ricordo, sì, risponde, che non vuoi
che
la murena e il congrio si riscaldino. Non di ques
congrio si riscaldino. Non di questo (l’ altro) ma de’ seicento nummi
che
dovevi prestarmi. Mi ricordo anzi (Saturione) che
de’ seicento nummi che dovevi prestarmi. Mi ricordo anzi (Saturione)
che
tu me ne pregasti, e che io non ebbi che darti. U
ovevi prestarmi. Mi ricordo anzi (Saturione) che tu me ne pregasti, e
che
io non ebbi che darti. Un parassito con danajo è
Mi ricordo anzi (Saturione) che tu me ne pregasti, e che io non ebbi
che
darti. Un parassito con danajo è indegno di porta
buon parassito. Orsù (dicegli in fine Tossilo) da te altro non voglio
che
la tua figliuola . . . . La mia figliuola? (inter
gliuola . . . . La mia figliuola? (interrompe Saturione) No, per Dio,
che
finora a quell’uscio non ha fiutato verun cane. N
vaga, è vezzosa, e tu non sei conosciuto dal ruffiano Dordalo. Certo
che
no (replica Saturione). Vuoi tu che io sia conosc
ciuto dal ruffiano Dordalo. Certo che no (replica Saturione). Vuoi tu
che
io sia conosciuto da altri che da chi mi dà da ma
to che no (replica Saturione). Vuoi tu che io sia conosciuto da altri
che
da chi mi dà da mangiare? Or dunque (ripiglia Tos
dà da mangiare? Or dunque (ripiglia Tossilo) tu puoi darmi il danajo
che
io cerco, permettendomi di vendere la tua figliuo
vendere la mia figliuola? Anzi non io (Tossilo dice) ma qualche altro
che
possa fingersi forestiere, cosa non difficile, no
che possa fingersi forestiere, cosa non difficile, non essendo scorsi
che
sei mesi dalla venuta del ruffiano da Megara in q
renti. Satur. Nè taci ancora? Ella è tre volte più astuta di quello
che
tu brami. Toss. Ottimamente. Prendi anche un ve
ami. Toss. Ottimamente. Prendi anche un vestito per mascherar colui
che
dee fingersi forestiere e vendere tua figlia. Sa
Edili le hanno già apparecchiate. Nelle quali parole si vuol notare
che
mentovando il Corago e gli Edili si fanno sparire
e loro picciole macchie, seguendo l’avviso Oraziano. Tossilo aggiugne
che
sborsato che avrà il ruffiano il prezzo di questa
le macchie, seguendo l’avviso Oraziano. Tossilo aggiugne che sborsato
che
avrà il ruffiano il prezzo di questa finta schiav
n altro spedisce a lei Pegnio, incaricandogli di affrettarsi in modo,
che
possa trovarsi in casa quando egli pensi che sia
di affrettarsi in modo, che possa trovarsi in casa quando egli pensi
che
sia ancora da Lenniselene. Pegnio risponde, ti ob
e vai? dice Tossilo: E Pegnio: in casa per trovarmici mentre tu pensi
che
io sia da Lenniselene; motto, ovvero, come dicono
zo e botta adottatata da’ Pulcinelli ed Arlecchini. Parte Tossilo. Ma
che
fa intanto Sofoclidisca? Ella è fuori: non vede T
potevano rappresentare in una medesima veduta più luoghi di tal modo
che
un personaggio posto a favellare in una banda del
va essere coperto e non veduto da chi agiva in un’ altra fino a tanto
che
non venisse avanti nel pulpito. S’incontrano poi
pajo di buoi, e pensa valersene per prestarlo a Tossilo. Vede Pegnio
che
esce dalla casa del ruffiano, e vorrebbe domandar
ponde colla solita insolenza e parte. Esce Tossilo dicendo alla fante
che
consoli la padrona, essendo già disposto e pronto
cavarlo dal medesimo ruffiano. L’introduce in sua casa, perchè pensa
che
avrà bisogno della di lui opera. Atto III. Viene
colla Vergine sua figliuola abbigliata all’ orientale. Le rammenta a
che
viene, e come sarà venduta. La Vergine con saviez
Verg. M’hai tu per figlia o serva? Sat. Per tutto quello io t’ho
che
alla mia pancia Tornerà conto. Io su di te coma
Sat. Temi tu ch’io ti venda da buon senno? Verg. Nol temo, no, ma
che
si finga, spiacemi. Sat. Ti spiaccia pur, sarà
emo, no, ma che si finga, spiacemi. Sat. Ti spiaccia pur, sarà quel
che
vogl’ io. Verg. Sarà? Sat. Sarà: che cianci?
Ti spiaccia pur, sarà quel che vogl’ io. Verg. Sarà? Sat. Sarà:
che
cianci? Verg. A ciò sol pensa. Quando un padr
glia, Non palpita il meschino in quell’istante? Così tem’ io quel
che
accader non debbe. Ma ella si affanna in vano:
der non debbe. Ma ella si affanna in vano: Saturione non si ricorda
che
delle cene di Tossilo e vuol compiere l’ordinata
modo sciogliendosi dal contratto; ma si ferma al sentire lo strepito
che
fa la di lui porta nell’aprirsi. Esce Tossilo bal
aldanzosamente, e vedendo Dordalo con disprezzo ed alterigia gli dice
che
prenda pure il danaro aspettato con tanta diffide
fidenza. Con pari insolenza rispondegli Dordalo. Rimangono di accordo
che
il ruffiano giuridicamente dichiarerà libera Lenn
po di avere alquanto esitato, cerca di vederla insieme col forestiere
che
l’ha condotta. La vede e secondo l’ usanza di chi
. La scena in cui esce Sagaristione favellando colla fanciulla mentre
che
gli altri due stanno ad ascoltare, è nella quale
veneri e di buon senso. Ne tradurremo qualche frammento. Sagar. Or
che
dici d’Atene? Non ti parve Splendida e vaga? V
Io la città sol vidi, Gli usi e gli abitator poco conobbi. Tos. O
che
savio principio! Dord. Da un sol motto La sav
ossilo per accreditare l’inganno con finto zelo suggerisce a Dordalo,
che
nulla conchiuda prima di aver domandato alla fanc
dalo, che nulla conchiuda prima di aver domandato alla fanciulla quel
che
conviene; indi di soppiatto avverte la Vergine a
Ella scaltramente soddisfa ad ogni domanda con parole di doppio senso
che
ingannano il ruffiano e danno piacere allo spetta
oppio senso che ingannano il ruffiano e danno piacere allo spettatore
che
ne comprende il vero significato. Quest’artificio
specie di commedia, ed è la più ingegnosa fonte del ridicolo, sempre
che
i sentimenti equivoci sieno naturali e non già ti
rati al proposito cogli organi. Serva di esempio quest’altro squarcio
che
io così traduco: Toss. Questi, o figliuola, è u
ti chiediam ragion. Verg. Stupir? perchè? Non permette il destin
che
mi fa serva, Che del mio mal meravigliar mi deb
non piangere. Verg. Oh Dio! Toss. (Sia maledetta! Che trincata,
che
scaltra! ha senno: oh quanto Aggiustato rispond
quanto Aggiustato risponde!) Dor. (Il nome tuo? Toss. Ora temo
che
sbagli.) Verg. Al mio paese Lucrida era chiam
prati (Tutto finor va bene) Dor. Ove nascesti? Verg. Per quello
che
mi disse un dì mia madre, In cucina, in un cant
da il poeta mostrare ch’ella siasene dimenticato, e si salvi con dire
che
la sua patria è la città dove ora serve, e cose s
expalponides, Quod semel arripides, nunquam postea eripides. il
che
graziosamente s’imitò da Giambatista della Porta,
ssano in istrada; ma quel bagordo dove segue? Metastasio60 non istima
che
si celebrasse in istrada, e suppone che siasi cam
egue? Metastasio60 non istima che si celebrasse in istrada, e suppone
che
siasi cambiata la scena. Ma figurandosi cambiato
tte nell’ interiore di una casa ancor dalla strada, ovvero immaginare
che
il servo baldanzoso Tossilo, per far disperar Dor
altro ruffiano aggirato e truffato, e tanto più graziosamente, quanto
che
n’è prima avvertito da un vecchio, il quale per u
e ne sono esposte sulla scena; e Cicerone nel suo Catone ci fa sapere
che
Plauto stesso oltre modo se ne compiaceva. Tra i
sapere che Plauto stesso oltre modo se ne compiaceva. Tra i vantaggi
che
ci presenta l’esame delle opere degli antichi, è
atta dal servo per soprappiù di avvisare il ruffiano nel tempo stesso
che
l’ ingannava; la qual cosa eseguisce con graziosi
. Notabile nella commedia di Plauto è la sfacciataggine del ruffiano,
che
con alacrità confessa tutte le sue malvagità. Cal
gnatus, nummum non habes. Questa è la solita risposta de’ furfanti
che
deridono i buoni, e si animano a continuare nelle
insegnare a detestarla, e per rendere più accetta al popolo la beffa
che
poscia ne riceve quell’indegno che la tiene in bo
ere più accetta al popolo la beffa che poscia ne riceve quell’indegno
che
la tiene in bocca e nel cuore. Si osservi che in
ne riceve quell’indegno che la tiene in bocca e nel cuore. Si osservi
che
in questa favola ancora Pseudolo distrugge l’ ill
trarne ridevoli conseguenze contro gli antichi. Egli non può ignorare
che
da essi non si vuole apprendere il modo di sceneg
ò ignorare che da essi non si vuole apprendere il modo di sceneggiare
che
varia secondo i tempi e le nazioni, ma la sempre
di ocellus fabularum Plauti 61. Curculione. Dal nome di un parassito
che
inganna un soldato millantatore, prende il titolo
mani di Fedromo di lei innamorato corrisposto. Quell’anello medesimo
che
ha servito all’inganno, fa che la Vergine venga r
ato corrisposto. Quell’anello medesimo che ha servito all’inganno, fa
che
la Vergine venga riconosciuta per sorella del sol
i perdere le vesti date in affitto a Curculione. Lo spirito di verità
che
rende i componimenti rappresentativi interessanti
tera, è stata pur tradotta nel secolo XV da Paride Ceresara, per quel
che
apparisce da una lettera di Lodovico Eletto Manto
l’altra, Altera manu fert lapidem, panem ostentat altera. e ciò
che
risponde Megadoro all’avaro Euclione, il quale di
fallo come dea di tutte quante le altre. In tanto si vuole osservare
che
Euclione nel fine dell’atto terzo dice volere and
ha detto volere andare. O dunque bisogna dire col celebre Metastasio
che
i luoghi di tal favola sien due, o secondo noi co
secondo noi concepire un teatro composto di più spartimenti in guisa
che
vi sieno segnati più luoghi richiesti per eseguir
in episodj. Corre allo scioglimento, e talvolta accenna soltanto quel
che
conduce alla catastrofe; e pure in così fatta sem
tà di argomento e di condotta versa in tal copia i vezzi e le facezie
che
l’erudito Dousa ne rimaneva attonito. Ma tale è p
gegno fecondissimo di Plauto. Si osserva nella Cestellaria una novità
che
altrove rarissime volte si rinviene. Il prologo f
tto primo. Con Plautina felicità veggonsi nella scena di Alcesimarco,
che
è la prima dell’atto secondo, dipinte vivamente l
e gli amareggiati diletti dell’amore. I Menecmi. Di questa commedia,
che
dalla compiuta somiglianza di due gemelli Siracus
le grazie, le scene equivoche, il groppo e lo scioglimento, non credo
che
siavi nazione moderna che non abbia traduzioni o
che, il groppo e lo scioglimento, non credo che siavi nazione moderna
che
non abbia traduzioni o almeno imitazioni. Nel XV
to. Tralascio poi di tutte distintamente riferire le tante imitazioni
che
se ne fecero ne’ precedenti secoli in Italia co’
è sessanta anni fa vi fu spogliato e ammazzato un forestiere da colui
che
vendè la casa al vecchio padrone. Questa menzogna
’arrivo di un creditore; ma il servo per giustificare il debito finge
che
il figliuolo abbia comperata la casa di un altro
forza di bugie ne ottiene la permissione dal padrone di quella, senza
che
nè l’uno nè l’ altro vecchio nulla penetri della
che nè l’uno nè l’ altro vecchio nulla penetri della fola. Si osservi
che
nell’andare a vederla il padrone della casa va vi
o a vedere l’interiore della casa, e il teatro rimane vuoto nel tempo
che
si spende a vedere il gineceo, o appartamento del
primo verso della scena seguente, quid tibi visum est hoc mercimonii,
che
subito succede alle parole, equidem haud usquam a
alle parole, equidem haud usquam a pedibus abscedam tuis, dimostra o
che
la scena, come abbiam detto, sia rimasta vuota ne
biam detto, sia rimasta vuota nel tempo necessario a veder la casa, o
che
vi manchino forse de’ versi detti da Simo prima d
, o che vi manchino forse de’ versi detti da Simo prima di partire, o
che
il poeta abbia contato sull’indulgenza dello spet
titolo le Rétour imprevû. E’ stato osservato da Metastasio il bisogno
che
essa ha di mutazioni di luoghi per rappresentarsi
oldato millantatore. Αλαζων, jactator, fu chiamata in greco la favola
che
Plauto intitolò Miles gloriosus; ed è il servo Pa
favola che Plauto intitolò Miles gloriosus; ed è il servo Palestrione
che
ciò manifesta nella prima scena dell’atto secondo
sta nella prima scena dell’atto secondo, adoprata in vece di prologo,
che
per la seconda volta troviamo in Plauto fatto da
comune, per la cui apertura passa la donna a veder l’amante. Il servo
che
la custodisce, la vede nella vicina casa abbracci
servo alletta il soldato colla speranza di possedere un’ altra donna
che
si finge una matrona onorata moglie di un vecchio
tatore da questo nuovo acquisto, per non ricevere disturbo dall’amica
che
ha in casa, risolve di lasciarla partire colla pr
asa, risolve di lasciarla partire colla pretesa sorella e colla madre
che
già si dice imbarcata. Appena l’innamorato vestit
e imbarcata. Appena l’innamorato vestito da marinajo l’ha menata via,
che
il soldato pieno di speranza e di amore per l’ide
si vuol collocare tralle più piacevoli di Plauto per lo sale grazioso
che
la condisce, e per la vivace dipintura del vano c
e lo sdegno, e riescono nell’intento. I vecchi cadono nelle debolezze
che
riprendevano ne’ figliuoli. Il parlare allo spett
dramma, è cosa comune nelle favole di Plauto. E’ degno di osservarsi
che
nella scena seconda dell’atto secondo Pistoclero
scena seconda dell’atto secondo Pistoclero racconta al servo l’amore
che
Bacchide ha per Mnesiloco, e Crisalo annojato non
oclero) di sentire la buona ventura del tuo padrone? Non è il padrone
che
m’incresce (risponde Crisalo) ma è l’attore che m
one? Non è il padrone che m’incresce (risponde Crisalo) ma è l’attore
che
m’infastidisce e mi ammazza. Epidico, non dico al
ico. Questa è la favola mentovata nelle Bacchidi. Epidico è un servo,
che
in vece di riscattare una figliuola naturale del
figliuola naturale del vecchio Perifane suo padrone compra una donna
che
suona e canta sull’ arpa (fidicina) per secondare
o del giovane Stratippocle. Oltre a ciò per procurargli quaranta mine
che
dee a un usurajo per aver comprata un’ altra donn
ta mine che dee a un usurajo per aver comprata un’ altra donna, fa sì
che
lo stesso Perifane compri un’ altra cantatrice, c
ltra donna, fa sì che lo stesso Perifane compri un’ altra cantatrice,
che
per altro è libera, dandogli speranza che non man
ompri un’ altra cantatrice, che per altro è libera, dandogli speranza
che
non mancherebbe di esser ricomprata da un soldato
ndogli speranza che non mancherebbe di esser ricomprata da un soldato
che
l’ ama. Ma il soldato ricusa di ricomprarla accor
ndosi di non esser quella ch’egli desidera. Dall’altra parte Perifane
che
tiene in casa come sua figlia la sonatrice compra
a il vecchio contro Epidico. Ma per buona ventura di costui si scopre
che
l’ultima fanciulla comprata da Stratippocle era v
ui sorella naturale, ed Epidico per tal felice evento ne ottiene, non
che
il perdono, la libertà. Contasi questa favola tra
r la copia de’ vezzi e per la continuata eleganza69. Stico. Il servo
che
presta il nome a questa commedia, è un personaggi
ervo che presta il nome a questa commedia, è un personaggio episodico
che
per niun modo influisce nell’azione principale. Q
o fermezza è premiata col ritorno di essi già divenuti ricchi. Sembra
che
a Plauto non bastasse tale argomento per una inte
a che a Plauto non bastasse tale argomento per una intera commedia, e
che
avesse voluto supplirvi colla languida e in niun
ta con una pennellata maestra nel prologo in tal guisa: La giovane
che
alberga in quella casa Fronesia è detta, e tutt
coglie Della moda e del secolo i costumi. Ella non cerca mai quel
che
altri porse, Ma cerca e toglie quel ch’egli pur
mpo stesso tre merlotti, uno della villa, uno della città, e un altro
che
viene da’ paesi esteri. A quest’ultimo da lei tra
trarne regali e per richiamarlo all’antica amistà. Le arti meretricie
che
adopera variamente coi tre innamorati in compagni
secondano, sono copiate al naturale dalo procedure di simili femmine
che
trafficano i loro vezzi. Lo scioglimento avviene
ezzi. Lo scioglimento avviene colla riconoscenza del bambino supposto
che
era preso da una giovane amata da Dinarco uno deg
lo stile, è questa commedia noverata tralle buone, e fu cara al poeta
che
la compose. I Prigioni. Tralle antiche commedie
ommedie rispettate dal tempo, la favola più decente e pudica è questa
che
Plauto intitolò Capteivei. Egione ha due figliuol
è questa che Plauto intitolò Capteivei. Egione ha due figliuoli, uno
che
di anni quattro gli fu rubato da uno schiavo e ve
eduto Filocrate, lo ravvisa per Tindaro e scopre l’inganno ad Egione,
che
vedendosi aggirato lo condanna a cavar pietre. To
compagnia di Filocrate, e lo riconosce per lo stesso malvagio schiavo
che
rubò e vendè l’altro suo figlio di quattro anni,
e nel ricercarsi le particolarità del ratto e della vendita, trovasi
che
il servo Tindaro è l’altro figlio di Egione. L’un
ola. Filocrate nel fine dell’atto secondo parte dal luogo della scena
che
è Calidone di Etolia: va in Elide: tratta quivi i
Elide: tratta quivi il cambio degli schiavi: si sa nell’ atto quarto
che
è tornato e nel quinto comparisce egli stesso, av
anciullesche, e vogliono indi gludicarne canuti dalle idee elementari
che
ivi ne ricevettero, imparino dall’argomento di qu
i che ivi ne ricevettero, imparino dall’argomento di questa commedia,
che
gli antichi comici molte altre invenzioni avranno
ici molte altre invenzioni avranno immaginate assai diverse da quelle
che
leggiamo nelle reliquie de’ loro scritti a noi pe
e cessino dal dettar pettoruti in tuono di oracolo aforismi generali
che
contraddicono all’ imitazione dell’immensa natura
i senza filosofia sono i selvaggi dell’orbe letterario: non ostentano
che
spalle nude, armi di legno e presunzione senza mo
. Ed ecco succintamente mostrato qual sia Plauto nelle venti commedie
che
di lui ci sono rimase. Osservatore non sempre esa
e alla nobile. Contesero gli antichi intorno al numero delle commedie
che
scrisse. Altri secondo Servio gliene attribuirono
Gellio col filosofo Favorino riconosce per favole Plautine la Beozia
che
si ascriveva ad Aquilio, la Nervolaria, ed il Fre
oco sicuro, quando tutto il rimanente non corrisponde. Spesso avviene
che
un numero limitato di versi non infelici scappi f
to. Il lodato Varrone solamente vent’una ne assegna a Plauto, e vuole
che
le commedie intitolate Gemini, Leones, Condalium,
, Ἀγριχος, Commorientes, appartengano a Marco Acutico70. Certo è però
che
Plauto miglior poeta che mercatante caduto in mis
appartengano a Marco Acutico70. Certo è però che Plauto miglior poeta
che
mercatante caduto in miseria e postosi a lavorare
ervato il titolo della terza. Ora queste tre aggiugnendosi alle venti
che
ne abbiamo, passerebbero il numero di vent’una da
Plautine. Certo Lelio, al dir di Gellio, uomo eruditissimo affermava
che
venticinque veramente erano le commedie da Plauto
ava che venticinque veramente erano le commedie da Plauto composte, e
che
altre appartenevano ad altri più antichi comici,
lui ritoccate nel ripetersene le rappresentazioni. E’ noto l’epitafio
che
Plauto compose a se stesso, in cui dimostra la pe
l’epitafio che Plauto compose a se stesso, in cui dimostra la perdita
che
nella sua morte era per fare la commedia: Post
appo i Romani la lingua e certi versi, ed un certame mimico speciale,
che
si celebra per instituto de’ maggiori, continua a
lica severitate temperatum, ideoque vacuum nota est. 30. Oltre a ciò
che
rilevasi da Polibio, da Livio, da Virgilio, da St
eistero nel 1625 ne fece una imitazione volgendola al fatto di Saulle
che
promette la figliuola a Davide. 55. Pauxillati
ubi liber ero ec. Il leggitore consulterà con diletto l’originale,
che
l’Angelio ha così tradotto: . . . . Adesso sto
Re. Indi per mio Diporto vo comperarmi una nave, E far lo stesso,
che
facea Stratonico Viaggiando. e andando in giro
he facea Stratonico Viaggiando. e andando in giro pe’ paesi. Dopo
che
il nome mio si sarà reso Chiaro, e famoso, fond
65. V. Gio: Alberto Fabrizio Bibl. Lat. lib. I, c. 1. 66. Vedasi ciò
che
ne dice il più volte citato Dousa nel III libro c
lla porta, o dentro di una cucina: segue nelle camere della meretrice
che
si adorna: continua nella casa medesima con un so
a. Un Letterato Spagnuolo mio amico anni sono mi diceva in Madrid,
che
Metastasio avea imitato alcuna cosa di Calderòn.
. A me così non pareva, nè egli me ne adduceva prova veruna. Replicai
che
ciò non appariva dalle Opere del nostro Poeta, e
licai che ciò non appariva dalle Opere del nostro Poeta, e soggiunsi,
che
sebbene avesse egli succiato qualche mele dagli A
oi entrare nella Storia de’ Teatri, increbbe allora all’Amico, e vedo
che
oggi incresce eziandio al Signor Lampillas (p. 23
llas (p. 232.). Risposta netta alla maniera Spartana. Additatemi quel
che
ne imitò. Così dissi all’Amico, e così ripeto all
diritta via per convincermi? Ma Voi vi dilettate anzi delle tortuose
che
delle diritte vie, Voi volete conseguirlo per mez
? E se vi ci trovaste l’Opere di Lutero, Zuinglio, Melantone, direste
che
ne siegue la dottrina? Nè anche Zenone formerebbe
Cavalieri antiqui.” “Mi dica, Signor D. Pietro; Non confessa ella,
che
il Calderòn in certi suoi componimenti, che si ap
ietro; Non confessa ella, che il Calderòn in certi suoi componimenti,
che
si appressano più alla Tragedia, ha molti tratti
icavar questi tratti da Calderòn”? M’ingegnerò di appagarvi. Ma prima
che
io dica questo perchè, convenite Voi meco in pens
i. Ma prima che io dica questo perchè, convenite Voi meco in pensare,
che
da genere a genere corra la proprietà delle due l
in pensare, che da genere a genere corra la proprietà delle due linee
che
prolongate infinitamente non mai si toccano? Non
si avvicinano come Drammatici in un punto, da cui partendo, a misura
che
s’innoltrano nel loro cammino rispettivo, si disc
a miniera, in cui dovea travagliare il nostro Metastasio. In fatti in
che
consistono i Drammi Calderonici? In Autos Sacrame
an Monarca, ha stimato proibirne la rappresentazione per le buffonate
che
si mischiavano con sì augusto Mistero, e per le p
mischiavano con sì augusto Mistero, e per le proposizioni assurde, e
che
sentono qualche temerità, che all’Autore cadevano
stero, e per le proposizioni assurde, e che sentono qualche temerità,
che
all’Autore cadevano innocentemente dalla penna1.
re cadevano innocentemente dalla penna1. Converrà il Sign. Lampillas,
che
il Poeta Italiano mai non avrebbe perdute le ore
nti ripiene di stranezze, di apparenze, di miracoli finti2, di demonj
che
vi compariscono a stuoli, soggiacquero al destino
na El Diablo Predicador, el Purgatorio de San Patricio &c. Volete
che
da queste Sacre Farse, che contro le Bolle Pontif
Purgatorio de San Patricio &c. Volete che da queste Sacre Farse,
che
contro le Bolle Pontificie narrano prodigj immagi
ttono in bocca del Demonio mille bestemmie contro il Creatore, volete
che
in questo torbido fonte beva un Metastasio? E per
quale inopia di buone acque? Rimangono le Favole Istoriche. In queste
che
cosa avrebbe potuto imitare il nostro Poeta? l’ar
icante1. Or come avrebbe il di lui grande Allievo cercato imitare ciò
che
chiamavasi dal Maestro peste teatrale? Quanto all
Gelosia produce varie scene tra Mariane, ed Erode, le quali Voltaire,
che
su tale argomento compose una Tragedia, punto non
ariane, e negli argomenti di Erode per dissiparli la loro dialettica,
che
converte questi due personaggi reali in due disce
he converte questi due personaggi reali in due discepoli degli Arabi,
che
pugnano in un Circolo? Avrebbe Metastasio imitata
son questi (dirà già fra se il Sig. Lampillas) i Drammi Calderonici,
che
si avvicinano alla Tragedia? In questi non trovan
potea Metastasio imitarli? non trarne un sentimento, un verso almeno
che
non fosse mostruoso? Ecco, Signor Apologista, s’i
ingegno, alcune buone pennellate patetiche degne d’osservarsi. Ma Voi
che
per congruità partecipate alquanto delle miniere
partecipate alquanto delle miniere Americane, non avete inteso dire,
che
alcune ve n’ha sì scarse che si abbandonano? Il d
iniere Americane, non avete inteso dire, che alcune ve n’ha sì scarse
che
si abbandonano? Il diligente Bowles non accenna l
o di alcune miniere di Spagna? Trovansi in Napoli miniere di argento,
che
per non fruttificare quanto bisogna alla spesa, s
ruttificare quanto bisogna alla spesa, si lasciano sotterra. E volete
che
Metastasio, grande sopra tutti i Calderoni possib
tabile? Il fate voi sì povero? il credete un accattatore? Vi pare poi
che
quei tratti ch’io dico, sieno sì proprj di Calder
Vi pare poi che quei tratti ch’io dico, sieno sì proprj di Calderòn,
che
altrove, e con molto minor fatica nello scavarli,
astretto a posarsi non può seguire l’esuberante fluidità di Calderòn,
che
spazia per molti versi, quelle rettoriche espoliz
rsi, quelle rettoriche espolizioni, quelle amplificazioni ridondanti,
che
costituiscono la di lui gala. Metastasio dunque n
arás tu nombre impresso.” Arrestato da queste meschinità secentiste,
che
fanno di un remo una penna, di un mare un pezzett
fanno di un remo una penna, di un mare un pezzetto di carta, in somma
che
avviliscono gli oggetti proprj con traslati pover
si fiumi ricchi di abbondante saporosa pescagione? Ecco gli ostacoli,
che
, ad onta de’ tratti patetici che io ammiro nel vo
orosa pescagione? Ecco gli ostacoli, che, ad onta de’ tratti patetici
che
io ammiro nel vostro Poeta, avrebbero impedito il
i favi. E quello spirito elettrico (sento dirvi ancora), quel perchè,
che
voi, Sig. Napoli, riconoscete in Calderòn, dov’eg
prodigiosa varietà di accidenti accumulati un sopra l’altro, in modo
che
lo spettatore ne rimanga incessantemente sorpreso
so. L’Opera esige una Poetica differente dalla Calderonica e Lopense,
che
che voglia l’Apologista insinuare nomando alla ri
L’Opera esige una Poetica differente dalla Calderonica e Lopense, che
che
voglia l’Apologista insinuare nomando alla rinfus
olce veruno? Quivi poi molto meno. Compone forse Commedie Metastasio,
che
abbisogni imitare il vostro viluppo romanzesco? L
dell’imitazione del nostro Poeta. Ma l’Avvocato Linguet non afferma,
che
se Calderòn fosse Greco, non si nominerebbe senza
na de’ Critici Filosofi, come vi soggiacquero tanti altri Greci, oggi
che
più non si giura sull’autorità. Ma il Signor Ling
degli altri mostri Calderonici, bensì delle Commedie di Capay Espada,
che
ancor io concorro a lodare, tutto che per lo più
delle Commedie di Capay Espada, che ancor io concorro a lodare, tutto
che
per lo più gli accidenti si rassomiglino in quasi
narj, presunti, o stiracchiati a forza di congetture apologetiche. Or
che
vi pare, Sig. Abate? Le Opere di Calderòn vedute
i mettono in brio l’Apologista. Ma egli o s’infinge, o non si avvede,
che
questo sagace Impostore non dice già de’ vostri P
e’ vostri Poeti, ma de’ vostri Attori. Ed invero gli Attori pubblici,
che
non sogliono essere i più delicati rappresentator
tre questo Filosofo mascherato comincia il suo discorso dal mostrare,
che
la semplicità amata da’ Greci, da’ Francesi, e da
’ Francesi, e da’ buoni Italiani, non si amò dalla Nazione Spagnuola,
che
si fondò nel viluppo romanzesco. “E siam d’accord
l viluppo romanzesco. “E siam d’accordo (soggiugne nella Sessione I.)
che
un tal viluppo ha il suo pregio intero nelle Comm
egnoso il viluppo, lo scioglimento sia naturale, e questa è la spina,
che
per lo più guasta la fioritura delle loro vaghe i
le Favole Spagnuole per le Tragedie. Or come volete, caro Sig. Abate,
che
Metastasio impari da esse a ravviluppare, invilup
esciani, si può farsi un giusto criterio del valore di questa attrice
che
recitò ugualmente bene le parti serie e le comich
arti serie e le comiche, quelle in italiano e quelle in dialetto :… e
che
, vecchia, recitò le parti di madre ammirata e app
rla il velenoso autore del Teatro, Antonio Piazza (Tom. II, pag. 21),
che
il Bartoli chiamaingrato contro tutti quelli, che
(Tom. II, pag. 21), che il Bartoli chiamaingrato contro tutti quelli,
che
l’hanno infinite volte nelle sue indigenze assist
u chiamata la Bresciani dopo l’interpretazione della Sposa Persiana),
che
fece tanto romore ne’ tempi andati. Quella parte
Sposa Persiana), che fece tanto romore ne’ tempi andati. Quella parte
che
tanto onore le fece, non la rinunzia ad alcuna, n
nemmeno se la volessero scorticare. Colla tremante sua voce asserisce
che
il Goldoni l’ha fatta per lei, e che non deve ced
olla tremante sua voce asserisce che il Goldoni l’ha fatta per lei, e
che
non deve cederla mai. Suo marito, quando ella rec
ecita, va nel parterre a batter le mani. Alcuni gondolieri a Venezia,
che
di ciò se ne accorsero, gli andavano sempre vicin
avano sempre vicini, e applaudivano la sua cara metà, con quella voce
che
si fa sentire tanto dagli orecchi, come dal naso.
ia, ma bisognava soffrir e tacere. Era questi zoppo, e pareva Vulcano
che
avesse presa la Beffana per moglie. Oh che bel ma
ti zoppo, e pareva Vulcano che avesse presa la Beffana per moglie. Oh
che
bel matrimonio ! Che smorfie ! Che dolcezze recip
amarlo sempre colviscere mie, mio core, anima mia, parole paralitiche
che
le ballavano in bocca prima di uscire ; veder lui
itare il vomito alli stomachi più forti eziandio. Nelle brevi parole
che
precedono La Dalmatina, tragicommedia di cinque a
ha sostenuto con tanto spirito e verità il carattere della Dalmatina,
che
ha meritato gli applausi di tutti, e specialmente
(Teatro, ediz. Pitteri. Venezia, mdcclxiii, Tom. IX). Ma la commedia
che
aveva, già cinque anni prima, dato fama di grande
prima volta in Venezia l’autunno del 1753, con successo meraviglioso,
che
diè poi tanto nel naso al Gozzi, da fargli stampa
nel naso al Gozzi, da fargli stampare il Canto della Sposa Persiana,
che
è la più volgare e acerba critica della commedia.
recita, Goldoni (Memorie, vol. II) scrive : Son debitore dei diletti
che
mi procurò questa commedia a Madama Bresciani che
ebitore dei diletti che mi procurò questa commedia a Madama Bresciani
che
rappresentava la parte d’Ircana ; ed era appunto
sciani che rappresentava la parte d’Ircana ; ed era appunto per essa,
che
avevala immaginata e composta. Gandini non voleva
punto per essa, che avevala immaginata e composta. Gandini non voleva
che
l’ impiego di sua moglie venisse usurpato ; egli
na ; ma per evitare i contrasti, feci una parte alla seconda amorosa,
che
a quella della prima prevalse. Fui ben ricompensa
e con maggior forza, con maggior energia e con maggior verità di quel
che
fece Madama Bresciani in una parte così important
he fece Madama Bresciani in una parte così importante. Quest’attrice,
che
aggiungeva al suo spirito ed alla sua intelligenz
nzia bellissima, fece tanta impressione in questa fortunata commedia,
che
in appresso non la chiamaron fuorchè col nome d’
squali) : Il popolo interessato per essa, non so se per il carattere
che
rappresenta, o per il merito singolarissimo dell’
atto a una compagna le era una trafittura al cuore. Il povero Goldoni
che
nonostante la sua infinita serenità d’animo, dovè
ale l’attrice non avesse a temer confronti : e scrisse la Donna sola,
che
piacque molto alla Bresciani e che fu da lei, se
nfronti : e scrisse la Donna sola, che piacque molto alla Bresciani e
che
fu da lei, se ben capita la satira, mirabilmente
quantunque fosse fatta per averne uno maggiore ; ma Madama Bresciani,
che
di sua natura era capricciosa un poco ancor essa,
indeboli la buona riuscita della commedia. E per rimediare ai torti
che
questa eccellente attrice gli faceva, il Goldoni,
oscano, aveva cosi bene imparate le maniere e la pronunzia veneziana,
che
recava un egual piacere, tanto nelle commedie del
E il 1762 recitò la Bresciani un Addio, pure in dialetto veneziano,
che
si trova stampato negli Atti Granelleschi del Goz
la lengua sciolta, Vorria stassera domandar licenza De poder dir quel
che
non ho mai dito, Ma ogni sfogo per mi saria un de
el numero preval. Solamente el se lagna, e ghe despiase, Che se diga,
che
el guasta la moral, E che penne lo scriva veneran
e el se lagna, e ghe despiase, Che se diga, che el guasta la moral, E
che
penne lo scriva venerande Con parole sporchissime
mor, tanto me fido, Veneziani cortesi, e de bon cuor, Che nell’ anno,
che
vien, spero, e confido Egual prosperità, se no ma
ità, se no maggior. Avvilirne i vorria, ma me ne rido. Ghe vol altro,
che
Fiabe, a farse onor, E Maghi, e Strighe, e Satire
orni in letto, E ho dubità, ma son tornada in drio. Gho una passion,
che
me devora el petto, Quando no posso far l’obbligo
messo in boca, Nol fa parer un’ omo de talento, Ma no diremo gnanca,
che
’l sia un’oca ; E ne dispiase solo del lamento, C
del lamento, Che fe, d’esser offesa, cara gnoca, E sfidemo el Poeta,
che
menazza, A dir, dove i Attori se strapazza. Circa
a, Se el pensa colla testa, o colla panza. Quanto a vu, semo allegri,
che
siè sana, E ve stimemo Attrice d’importanza, Ma d
o con qualche differenza. Gh’ è cascà sie Commedie, e l’accidente Fa,
che
incontra la settima qualcossa, Le sie più lu no c
la settima qualcossa, Le sie più lu no conta, e impertinente El vol,
che
lo lodemo d’ogni cossa. Se vu no ghe pensè, gnan
, gnanca la zente Ghe pensa. Ircana, via, no vegnì rossa, Solo pensè,
che
l’ultima composta Settecento Ducati la ve costa.
tanto in drio, Nol lo diria, se dirlo nol podesse. El ne lo mostrerà,
che
el ghe xe drio ; Nol lo fa per invidia, nè intere
Popolo, ne par, Perchè un Cristian se scuota, ha da bastar. La rabbia
che
lo rode, caro ben, Per bocca vostra ghe fa dir as
tterli lu basta in derision, El Pubblico trattando da cordon. Savemo,
che
le Fiabe sulla scena A un Poeta no basta a far on
sie zorni avemo fatto piena, E nu femo l’onor, e el desonor. Diseghe,
che
no l’abbia tanta pena, Perchè el palesa quel, che
l desonor. Diseghe, che no l’abbia tanta pena, Perchè el palesa quel,
che
el ga in tel cuor, E alfin el perderà cervello, e
del Poeta la cassella. Almanco, se le Fiabe no corona, Le ga de bon,
che
chi le fa, le dona. Diseghe, cara fia, con liber
l’ è un Poeta a scriver condannà, Come Santo Bagozzi, in venezian ; E
che
, se un pochettin l’aspetterà, L’ancuo no xe compa
n pochettin l’aspetterà, L’ancuo no xe compagno del doman ; Che quel,
che
xe stampà, sta tra la zente, Ma cinquanta sbattue
la zente, Ma cinquanta sbattue no dise gnente. Ste cinquanta sbattue,
che
al vostro muso, Cara, vien dae, e a inchini, e a
atti, col titolo : I viaggiatori ridicoli pel Duca di Parma nel 1756
che
lo creò in quell’anno suo poeta di Corte. Alle re
ezia, tip. dell’Ancora, 1887). E dallo spoglio della Gazzetta Veneta (
che
non mi fu possibile vedere) fatto dal Tessier (Gi
vedere) fatto dal Tessier (Giornale degli eruditi, Tom. III) vediamo
che
la Bresciani recitò nel 1760 vari altri prologhi
sa nova. Restò poi colla Compagnia del suocero sino alla sua morte,
che
accadde in Brescia la primavera del 1780.
t.), è dato oggi poter ricostruire intera la figura di questo artista
che
trascinava il pubblico all’entusiasmo con un gest
a ricorrer mai allo spediente volgare di certi lazzi e certe cascate,
che
furon prerogativa del suo predecessore Antonio Co
del rinomato Costantino Costantini detto Gradelino. Lo stesso Grimm,
che
della Commedia Italiana si mostrò sì poco tenero,
ostrò sì poco tenero, ebbe parole di calda ammirazione per lo spirito
che
il Bertinazzi sapeva mettere ne’suoi gesti, nella
ffatta eleganza di contorni, da muover l’applauso del pubblico, senza
che
il suo labbro avesse profferito una sillaba. Lo J
aba. Lo Jal riporta la frase tradizionale de’ vecchi detta a’ giovani
che
andavano in visibilio alla ornata recitazione del
ornata recitazione del Laporte, Arlecchino del Teatro del Vaudeville,
che
era : « Se aveste veduto Carlino ! » e il D’ Orig
o Tommasino del Teatro italiano a Parigi (Tommaso Antonio Visentini),
che
recitava appunto gli arlecchini, e tentatosi inva
surrogarlo degnamente (il Costantini, come abbiam detto, più acrobata
che
attore, finì coll’annoiare), fu chiamato Carlo Be
forza, scenario italiano del Riccoboni, in cui egli non aveva da dire
che
poche parole. La sera della rappresentazione (8 a
ntazione (8 aprile 1741) fu anche quella della riapertura del teatro,
che
secondo il costume era stato chiuso durante la qu
8 aprile. Firmato : Il Duca di Rochechouart. Carlino piacque a segno
che
il D’Origny (vol. II, 177) lasciò scritto : « Egl
sì esatta, una recitazione così corretta, un ingegno così pieghevole,
che
se ne affrettò l’ammissione » ; infatti l’anno di
etta, assai bene immaginata e meglio condotta, ha per base l’amicizia
che
il papa e l’artista si eran giurata, e sopratutto
cui parla della sua celebrità, e dell’esser diventato di moda, tanto
che
le belle signore davano il nome di Carlino a’ pic
tanto che le belle signore davano il nome di Carlino a’ piccoli cani
che
tenevan sotto ’l braccio, o in tasca, sono verame
veramente belle. Nella prima, per esempio, venuto Carlino a scoprire
che
il Curato di Saint-Méry avea ricusato di seppelli
anei, poichè celato costantemente sotto la maschera, non è conservato
che
in un pastello assai mediocre, di cui poche copie
imento del depositario, gli procacciò, dopo morto, un elogio funebre,
che
resterà pur sempre il migliore attestato delle gr
re, che resterà pur sempre il migliore attestato delle grandi qualità
che
il Bertinazzi possedeva e come artista e come uom
uo Elogio funebre di Carlino, del quale il Campardon riporta la fine,
che
io credo utile metter qui tradotta. Carlino s
odo vero di servire convenientemente : e dettò a tal’uopo istruzioni,
che
formerebber, se osservate, de’servitori esemplari
fondo dell’anima, gli accadde di esclamare : Ho paura di non esserci
che
io solo al mondo di veramente onesto ! ! ! Mori a
t nous fit pleurer à sa mort. Per dare un’idea della sua bontà, dirò
che
, rubatagli una vistosa somma di danaro da un uomo
a regina per salvarlo, e sovente fu udito sclamare : Non è del danaro
che
mi accoro, ma…. della fiducia che mi aveva ispira
u udito sclamare : Non è del danaro che mi accoro, ma…. della fiducia
che
mi aveva ispirato quel tristo…. Lo amavo ! ! Dall
glie di Carlin Bertinazzi. E domanda : ma da quando in qua si è usato
che
la moglie porti non il cognome, ma il nome, anzi
ognome, ma il nome, anzi il vezzeggiativo del nome del marito ? Dov’è
che
il signor Spinelli ha trovato questo ? La domanda
Augmentation d’appointements pour M.me Carlin in data 29 marzo 1763,
che
comincia : La dame Carlin en consideration etc.,
e la Réception de M.me Carlin à demi-part, in data 16 settembre 1765,
che
comincia Recevoir la dame Carlin etc., etc. ; poi
ecesso e d’inumazione, contratto di matrimonio, ecc. Fra gli oggetti,
che
in un ingente furto commesso in suo danno un gior
gli oggetti, che in un ingente furto commesso in suo danno un giorno
che
egli era andato a desinar fuori di casa gli furon
sta del Figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato fu la sola : sappiamo
che
anche nell’ Amor paterno la parte di Arlecchino f
la parte di Arlecchino fu sostenuta dal Bertinazzi. Ecco una lettera
che
il Goldoni scrive da Parigi l’8 di novembre 1774
rancesco Albergati Capacelli, al proposito dell’Arlecchino Coralli, e
che
tolgo dai Fogli sparsi del Goldoni raccolti da A.
resso di me per qualificarlo ed impegnarmi a far per lui tutto quello
che
da me potesse dipendere. Sono molti anni, che ho
ar per lui tutto quello che da me potesse dipendere. Sono molti anni,
che
ho rinunciato del tutto a scrivere per gl’Italian
lo, e conviene ch’io glie ne spieghi il mistero. L’Arlecchino attuale
che
ha molto merito per la Francia, e ne avrebbe poch
comune dei Commedianti : la gelosia. S’io faccio una commedia nuova,
che
convenga al signor Coralli, si crederà in istato
ignor Coralli, si crederà in istato di sostenerla meglio di lui, dirà
che
le cose nuove non appartengono ai debutanti, che
meglio di lui, dirà che le cose nuove non appartengono ai debutanti,
che
gli attuali e provetti devono essere preferiti ;
ignor Coralli ha dello spirito e lo credo abilissimo per il carattere
che
ha intrapreso di sostenere, ma per fargli del ben
e che ha intrapreso di sostenere, ma per fargli del bene bisognerebbe
che
l’altro avesse la bontà di andarsene o di morire.
dell’attuale deve far del torto al signor Coralli per delle ragioni,
che
non dipendono da lui, ma dalla natura, cioè pour
succès ; come mi propongo altresì di renderle conto esatto di quello
che
accadrà a suo tempo, giacchè è deciso che il sign
erle conto esatto di quello che accadrà a suo tempo, giacchè è deciso
che
il signor Coralli non sarà esposto sulla scena ch
, giacchè è deciso che il signor Coralli non sarà esposto sulla scena
che
dopo Pasqua, per dargli tempo d’imparare il franc
costumi, celebre nell’impiego di Arlecchino, e godeva una riputazione
che
mettevalo al pari di Domenico e Tommasino in Fran
lico : aveva saputo così bene guadagnare la benevolenza del Parterre,
che
gli parlava con una libertà e famigliarità, di cu
attore e gli spettatori. Tuttavia anche a lui accadeva talvolta quel
che
accadde, e accade pur troppo, ad altri dei e semi
e alle panche. La Commedia Italiana de’vecchi tempi non sapeva ancora
che
cosa volesse significare la frase far forno (chiu
) in uso oggidì con poco decoro dell’arte. Del Bertinazzi si racconta
che
recitò una sera davanti a due sole persone, conse
: se incontrate qualcuno uscendo di qui, fatemi il piacere di dirgli
che
noi rappresenteremo domani Arlecchino eremita. I
scenario di Carlo Goldoni Il figlio d’ Arlecchino perduto e ritrovato
che
il Bertinazzi rappresentò a Parigi il 13 giugno 1
ritrovato che il Bertinazzi rappresentò a Parigi il 13 giugno 1758, e
che
io traduco dall’ Histoire anecdotique et raisonné
usticamente ; i vicini ballano e cantano per festeggiare la sua sposa
che
ha lasciato il letto dopo il parto. Non lontana d
vire della conformità delle circostanze e delle età, dice a Pantalone
che
il bambino che tien Rosaura è il figlio di Arlecc
ormità delle circostanze e delle età, dice a Pantalone che il bambino
che
tien Rosaura è il figlio di Arlecchino. Pantalone
lo colle sue mani ad Arlecchino. Scapino, ancor più imbrogliato, teme
che
Arlecchino tornato a casa e trovatovi un altro ba
stra ad Arlecchino la sua gran contentezza. Celio, marito di Rosaura,
che
sa dell’accaduto, sopravviene, e cerca pretesti p
te di affidargli il loro figliuolo. Arlecchino si schermisce, dicendo
che
gli appartiene ; Celio replica ch’ei potrebbe ing
cendo che gli appartiene ; Celio replica ch’ei potrebbe ingannarsi, e
che
il bambino non è suo. Nascono in Arlecchino sospe
ende, ed infierisce contro Celio. Pantalone sopravviene, e Arlecchino
che
l’ha in conto di sapiente, lo prega a trar l’oros
Pantalone glie ne dà promessa. Al secondo atto, Scapino svela a Celio
che
Rosaura non è altrimenti figlia di Pantalone. Que
o, amato alla sua volta da Dorinda ; noi sorvoleremo questo episodio,
che
fu aggiunto per la Cantatrice che esordi quella s
; noi sorvoleremo questo episodio, che fu aggiunto per la Cantatrice
che
esordi quella sera. Arlecchino viene con Pantalon
e il fanciullo e parte. Sopravviene Scapino, vede l’incendio, e crede
che
il figlio di Celio sia abbruciato ; e per toglier
il figlio d’Arlecchino ch’egli ha tra le braccia, e di farle credere
che
quello sia il suo. Camilla desolata dello sdegno
no. Volge mestamente gli occhi verso la capanna, rimpiangendo la pace
che
vi godeva ; la vede, preda delle fiamme, inabissa
iamme, inabissarsi d’un tratto. L’orrore e il terrore la vincono così
che
va a traverso le ruine per salvare il suo piccino
accosta per muovergli rimprovero ; Scapino la placa, dandole il bimbo
che
le dice esser suo figlio. Camilla vuol rapirgliel
vuol rapirglielo, dicendo ch’egli è suo ; ed eccoti arriva Pantalone
che
obbliga Rosaura a cederlo ; ella sviene, e Fileno
ura a cederlo ; ella sviene, e Fileno accorre in suo soccorso ; Celio
che
la vede nelle sue braccia, è preso da gelosia. Il
di dispetti, fra Celio e Rosaura ; Scapino li riconcilia. Arlecchino
che
ha trovato il figlio di Celio nelle mani di un co
ha trovato il figlio di Celio nelle mani di un contadino, ha creduto
che
fosse il suo, e s’avanza accarezzandolo. Camilla
accarezzandolo. Camilla giunge da un altro lato col suo vero figlio,
che
Pantalone le ha fatto restituire. Essi sono entra
ndono di aver tra le braccia il figlio legittimo, e pretende ciascuno
che
quello dell’altro sia un figlio supposto ; il che
e pretende ciascuno che quello dell’altro sia un figlio supposto ; il
che
dà luogo ad una scena fra i due attori (lazzi). I
cchino, gli strappa con destrezza, e strappa anche a Camilla il bimbo
che
hanno tra le braccia, e fugge inseguito da entram
braccia, e fugge inseguito da entrambi. Rosaura s’imbatte in Fileno,
che
le parla ancora. Scapino loro svela che son frate
Rosaura s’imbatte in Fileno, che le parla ancora. Scapino loro svela
che
son fratello e sorella ; s’abbracciano ; Celio ar
ascia andare al furore, e gli chiede suo figlio, e tanto l’importuna,
che
Celio, al colmo dell’ira, vuol batterlo ; Arlecch
lo respinge a colpi di testa. « Io ti ferirò – egli dice – colle armi
che
tu m’hai fatto. » Al quinto atto, Pantalone veden
– colle armi che tu m’hai fatto. » Al quinto atto, Pantalone vedendo
che
tutto è scoperto, permette di render conto a Rosa
. Tutto sta nel sapere qual sia il vero figlio di Arlecchino. Scapino
che
è al giorno dell’intrico, scioglie il bandolo del
è al giorno dell’intrico, scioglie il bandolo della matassa, dicendo
che
quello che ha Celio è suo, e ridà a Camilla e ad
o dell’intrico, scioglie il bandolo della matassa, dicendo che quello
che
ha Celio è suo, e ridà a Camilla e ad Arlecchino
il celebre Autore, cui dobbiamo esserne grati, è senza dubbio quello
che
ha seguito più da vicino le orme di Plauto e degl
vicino le orme di Plauto e degli antichi autori comici. La commedia,
che
io non oserei chiamare eccellente, e nella quale
nebleau dinanzi alla Corte, e non piacque, a cagione di certe libertà
che
gli artisti s’aveano prese, mescolando alle scene
dezze del Cocu imaginaire. Della qual cosa molto si dolse il Goldoni,
che
trovò modo di rincarar la dose de’rimproveri agli
e schietto, chiamandolo piccola bagattella, composizione avventurosa,
che
, lui vivo, non avrebbe mai visto la luce pubblica
i – dice Goldoni stesso – ma erano incastonati nel rame. Si conosceva
che
qualche scena era stata fatta da un autore, ma l’
lasciato sedurre dagli applausi. E tanti furon davvero gli applausi,
che
ad essa dovette il Goldoni la sua andata a Parigi
rigi assistè a nuove rappresentazioni di quella fortunata bagattella,
che
’sta volta, con suo grande stupore, fu innalzata
er la ignoranza e petulanza e arroganza de’comici ! Tanto se ne dolse
che
non volle più saperne di commedie a braccia, e pe
omo alla composizione di una commedia dialogata in tre atti in prosa,
che
fu appunto l’Amor Paterno (V. Tomo XII, dell’ Edi
a, Venezia, 1788), data a Parigi la prima volta il 4 febbraio 1763, e
che
se segnò un nuovo grande trionfo per l’Arlecchino
n pare ne segnasse uno per l’autore. Il Des Boulmiers (ivi, pag. 498)
che
dell’opere goldoniane si mostra sincero e profond
l pubblico, l’avean chiamato, per ridar vita alla lor Scena Italiana,
che
cominciava a essere negletta. Questo illustre aut
rve averci ricondotto per alcun tempo gli spettatori, con molte opere
che
i conoscitori hanno a buon diritto avuto in conto
pubblico, guastato da certe frivolezze, le abbandonò ben presto ; il
che
non scema certo il merito del signor Goldoni, com
ù larghe cognizioni per poter dare all’ingegno suo tutta la giustizia
che
gli è dovuta. Adunque non potendo apprezzar come
nque non potendo apprezzar come si conviene l’opere sue, non mi resta
che
far conoscere la sua rara modestia, pubblicando l
aterno avesse avuto un successo buono schiettamente, il Des Boulmiers
che
aveva alzato alle stelle il Figlio d’ Arlecchino,
ebbe taciuto. Dopo il successo entusiastico di questa, è ben naturale
che
si ascoltasse con rispetto un nuovo lavoro e maga
là nelle parti buone, tanto da fare scrivere dal Goldoni al Paradisi
che
la commedia fortunatamente era riuscita bene ; e
e nella prefazione di essa (Ediz. Pasquali, Venezia,mdcclxi, Tomo V),
che
la fortuna avea voluto fargli del bene, che la co
Venezia,mdcclxi, Tomo V), che la fortuna avea voluto fargli del bene,
che
la commedia era stata ben ricevuta, e che il pubb
vea voluto fargli del bene, che la commedia era stata ben ricevuta, e
che
il pubblico lo aveva incoraggito. È lecito dunque
coraggito. È lecito dunque a chi specialmente legga tra le linee, più
che
dal Malamani (op. cit.) tenere dal Masi (Lettere
o Goldoni e Venezia nel Secolo xviii , Padova, Fratelli Salmin, 1882)
che
ne confermarono il fiasco ; e dal Goldoni stesso
li Salmin, 1882) che ne confermarono il fiasco ; e dal Goldoni stesso
che
nelle Memorie (V. Tomo III, Cap. IV) colla solita
olita ingenuità, dice secco secco al proposito : questa non ebbe fuor
che
quattro rappresentazioni ! Quanto alla lettera in
tinazzi recitasse anche a viso scoperto : e questa importante notizia
che
trovo nell’opera non comune di Luigi Riccoboni :
attori o attrici, fra’quali cinque, compreso Scaramuccia, non parlano
che
bolognese, veneziano, lombardo, napoletano : e qu
rin molte persone, tutti vi prendon parte, non escluso l’ Arlecchino,
che
toglie la sua maschera ; e tutti declamano de’ ve
mitar le più straordinariamente ridicole della natura. Ecco un pregio
che
può dirsi unico nella classe de’comici, poichè ne
se de’comici, poichè nelle compagnie delle altre nazioni, gli attori,
che
sono almeno una trentina, non recitan che le part
altre nazioni, gli attori, che sono almeno una trentina, non recitan
che
le parti che per natura o per arte loro si attagl
i, gli attori, che sono almeno una trentina, non recitan che le parti
che
per natura o per arte loro si attagliano ; ed è r
che le parti che per natura o per arte loro si attagliano ; ed è raro
che
uno, o due al più, possano rappresentare differen
possano rappresentare differenti caratteri. Dalle quali parole, più
che
di vergogna, pare che il Riccoboni traesse una co
differenti caratteri. Dalle quali parole, più che di vergogna, pare
che
il Riccoboni traesse una conseguenza di orgoglio
sa. Non è qui il caso di analizzare se dal rappresentar le sole parti
che
meglio si addicono al tale o alla tale attrice, n
e le condizioni del nostro paese, io credo si potrà sempre affermare,
che
se per rispetto di sè, dell’arte, del pubblico, l
a penisola di Spagna. Sebbene pochi sieno quegli eruditi Spagnuoli
che
non abbiano poco o molto favellato del proprio te
o teatro, tuttavolta se ne desiderava ancora una storia seguita prima
che
io l’abbozzassi nella generale de’ teatri pubblic
specialmente verso la fine di esso, la scenica poesia. Le prime cose
che
in quella penisola ebbero qualche immagine rappre
bbe un catalogo compiuto, nulla avendone guadagnato il teatro, se non
che
potrebbero servir come di semenzai di pitture e d
Giovanni di Mena) e terminata men felicemente da Fernando de Roxas29,
che
s’impresse la prima volta in Salamanca nel 1500,
i ventuno, de’ quali solo il primo fu scritto dal primo autore. Non è
che
un lungo romanzo in dialogo, in cui mostrasi tutt
nza velo col pretesto di riprenderla30. Per una delle pruove evidenti
che
la rappresentazione di tal Novella sarebbe assurd
resentazione di tal Novella sarebbe assurda ed impraticabile, si noti
che
i personaggi sogliono cominciar il dialogo in ist
e cade e si raffredda. La morte di Calisto è verisimile, ma la caduta
che
l’ammazza è casuale nè produce istruzione, perchè
o amico Spagnuolo) ad un anacoreta il più penitente ed esemplare, non
che
ad un dissoluto, potrebbe accadere la stessa disg
si giace nel letto con Areusa a persuasione della vecchia scellerata
che
lo stà vedendo, e ciò che rende questa situazione
eusa a persuasione della vecchia scellerata che lo stà vedendo, e ciò
che
rende questa situazione più scandalosa, si è che
o stà vedendo, e ciò che rende questa situazione più scandalosa, si è
che
il dialogo di tutti e tre è scritto con somma pro
passione, sino a numerare gli atti ripetuti della loro tresca, mentre
che
una serva posta di sentinella vede e nota con mol
’azione, è quanto può dipingersi di più disonesto in un racconto, non
che
su di un teatro; e questi sventuratamente sono i
osa mostruosità la preferenza sopra l’Orfeo del Poliziano? Lascio poi
che
il carattere di Calisto è quasi fantastico, pieno
’immaginazione, declamatorio e pressochè senza affetti; lascio ancora
che
quello di Celestina, per altro eccellentemente di
tto è generale in questo romanzo drammatico. Chi può soffrire Melibea
che
in procinto di precipitarsi si trattiene a ridurs
Nerone, Agrippina, Erode, Fraate, Laodice, Medea? Chi il di lei Padre
che
, a vista della tragica morte della figliuola, apo
chè si chiami dio, perchè si dipinga nudo, armato, cieco e fanciullo?
che
parla di Paolo Emilio, di Pericle, di Anassagora,
e verità inimitabile e detestabile. Risulta da quanto si è accennato
che
la Celestina giustamente proibita e giustamente l
e la maestria del pennello ne’ quadri de’ costumi, non permetteranno
che
tal libro perisca, e la gioventù potrebbe apprend
del Poeta Entreverado; e l’autore del Dialogo de las Lenguas affermò
che
in Castigliano non v’ha libro scritto con maggior
re di essa fu uno Spagnuolo domiciliato in Italia, chiamato, per quel
che
dice egli stesso, Alfonso Ordoñez32. Celebre fu a
ovella chiamata Comedia Eufrosina pure composta in prosa da un autore
che
si occultò sotto il nome di Giovanni Speraindeo.
. Si pubblicò la prima volta dal Portoghese Francesco Rodriguez Lobo,
che
poetò circa il tempo di Filippo III, e poi si tra
lla purezza dello stile trovansi frequentissime allusioni pedantesche
che
annojano. Una Seconda Commedia di Celestina compo
oselia di un anonimo stampata in Madrid nel 1542 è anche componimento
che
discende dalla Celestina. L’autore del Flos Sanct
ina scrisse la Selvagia commedia. Giovanni Rodriguez fece la Floriana
che
tratta degli amori del Duca Floriano con Belisea
tornare a parlar di simili novelle drammatiche, accenniamo ancor quì
che
il famoso Lope de Vega ne scrisse anch’egli una i
una in prosa secondo l’usanza osservata in esse, e l’intitolò Dorotea
che
non si rappresentò, nè per la sua lunghezza era c
a seconda volta nel 1618: e la terza col titolo di Comedia Aulegrafia
che
contiene una descrizione della corte, si pubblicò
ome il Plauto del Portogallo, e talmente applaudironsi le sue favole,
che
invogliarono Erasmo Roterdamo a studiar la lingua
le farse. Tra queste opere teatrali trovo distinte le seguenti: Auto (
che
in tal materia equivale a rappresentazione) de Am
Auto do Fidalgo Portuguez. Lasciò Gil due figliuoli ed una figliuola
che
gareggiarono col padre nel coltivar la poesia. Il
re del padre. Pabla Vicente chiamossi la figliuola, di cui corse fama
che
correggesse le composizioni paterne, oltre ad ave
da Plauto di cui ritiene molte grazie, e per un’ altra picciola farsa
che
leggesi nelle di lui opere. Il dottor Francesco d
cendovisi agora novamente impresa. Il soggetto si enuncia nel prologo
che
ne fa la Fama. Un Romano chiamato Pomponio ha un
ioni e colla propria autorità, e la madre per via di devozioni; mezzi
che
riescono ugualmente infruttuosi, perchè la cortig
scritta a norma del verisimile e divisa in cinque atti, cui non manca
che
vivacità ed azione. Se gli scrittori di quella pe
e vi riuscì felicemente. Egli scrisse in più di un genere in maniera
che
si novera tra’ primi poeti Portoghesi; ma le sue
aranta anni dopo la di lui morte, cioè nel 1598 da Michele suo figlio
che
lasciato avea fanciullo. Consistono in varie poes
all’Huerta (se Huerta potesse colle native villanie oltraggiare altri
che
se stesso), perseguitato dagl’ ingrati apologisti
sto straniero, io dico, si accinge a rilevare i pregi di tal tragedia
che
avrebbe potuto impunemente dissimulare come negle
lla sua tragedia dalla tragica morte di Doña Inès de Castro; nè parmi
che
lo dovesse al Camoens che nelle Luisiadi con tant
gica morte di Doña Inès de Castro; nè parmi che lo dovesse al Camoens
che
nelle Luisiadi con tanta energia e passione ne ca
tragedia dovè comporsi prima del 1558, cioè almeno dodici anni prima
che
Camoens tornasse in Europa col suo poema composto
ro in cinque atti, e vi si osservano le regole del verisimile eccetto
che
nell’unità del luogo, seguendo l’azione parte in
ati. Veggasene uno squarcio dell’atto I, quando Inès racconta l’amore
che
ha per lei l’Infante Don Pietro, e la pena ch’ei
a dal P. Girolamo Bermudez di Galizia nella sua Nise lastimosa, senza
che
ne avesse fatto menzione. Il plagio è manifesto.
o involò al Portoghese senza avvertirne il pubblico37. Altro non v’ha
che
appartenga al Bermudez che i discorsi lunghi, noj
a avvertirne il pubblico37. Altro non v’ha che appartenga al Bermudez
che
i discorsi lunghi, nojosi, impertinenti, la morta
tti, ottave, terzine ecc.; là dove il Ferreira di miglior gusto, fuor
che
ne’ cori, usò in tutta la tragedia con senno il v
scrittore nato nel 1549 sotto l’imperador Carlo Quinto sei anni prima
che
cominciasse a regnar Filippo II, in un prologo ad
a regnar Filippo II, in un prologo ad otto sue commedie ci fa sapere
che
essendo egli fanciullo componevasi il teatro di M
chia tirata con due corde, la quale divideva dal palco la guardaroba (
che
sarebbe il postscenium degli antichi), e dietro d
antichi), e dietro di questa manta stavano i musici, cioè gli attori
che
da principio cantavano senza chitarra qualche ant
principio cantavano senza chitarra qualche antica novelletta in versi
che
in castigliano chiamasi romance. Allora tutti gli
araviglia da un battiloro Sivigliano chiamato Lope de Rueda. Si vuole
che
costui fiorisse circa il tempo di Leone X; ma Cer
si pubblicarono in Valenza nel 1567 dal librajo Giovanni de Timoneda
che
fu anch’egli autore di alcune novelle e di tre co
del Rueda, dice Lope de Vega nell’Arte Nuevo, di stile assai basso e
che
rappresentano fatti di artefici mecanici ed amori
entre plebeya gente, rimasero indi nel teatro per intermezzi, dopo
che
vi s’introdussero azioni ed amori di sovrani e pr
o prima del 1567 succedette nel teatro un tal Naharro nato in Toledo,
che
rappresentava assai bene la parte di Ruffiano cod
stui il gusto più cittadinesco, e arricchì l’apparato comico di modo,
che
non bastando il sacco vi vollero i bauli per rinc
per rinchiudervi i nuovi arredi scenici. Fece anche venir fuori quei
che
prima cantavano dietro della manta, e forse egli
li stesso gli rendè più accetti coll’ accompagnamento della chitarra,
che
si è veduta uscire sulle scene Spagnuole sino a’
uscire sulle scene Spagnuole sino a’ nostri giorni. Dispose parimente
che
gli attori deponessero le barbe posticce, e rappr
lenza nel 1521, Comedia Tebaida, Comedia Hypolita e Comedia Serafina,
che
non mi è riuscito di vedere nè di sapere che cosa
lita e Comedia Serafina, che non mi è riuscito di vedere nè di sapere
che
cosa fossero. Si fa in oltre menzione di un dramm
ano Castillejo morto nel 1596 scrisse alcune commedie rimaste inedite
che
io non ho potuto leggere, e che secondo il Nasarr
risse alcune commedie rimaste inedite che io non ho potuto leggere, e
che
secondo il Nasarre potrebbero passar per buone, s
treccio, senza decenza nel costume. Gli argomenti sono di quel genere
che
dee bandirsi da ogni teatro culto. Ecco l’azione
costanza sì necessaria per impedire l’ammazzamento di Orfea poco meno
che
eseguito? E’ chiaro: quando domandò il servo, la
averlo consumato, perchè la commedia dovea terminare. Tralascisi poi
che
i personaggi usano in tal commedia quattro idiomi
insipido, il castigliano ed il valenziano; e neppur si metta a conto
che
l’eremita cinguetta nel suo barbaro latino con se
e migliori della nazione; ed era interesse della gioventù Spagnuola o
che
si lasciassero nell’obblio in cui caddero, o che
gioventù Spagnuola o che si lasciassero nell’obblio in cui caddero, o
che
si dassero a conoscere per quelle che sono, affin
o nell’obblio in cui caddero, o che si dassero a conoscere per quelle
che
sono, affinchè non si prendessero per esemplari.
on si prendessero per esemplari. Or perchè increbbe all’Ab. Lampillas
che
uno straniero provvedesse a quest’interesse della
pillas che uno straniero provvedesse a quest’interesse della gioventù
che
non merita di essere ingannata? Egli se ’l saprà.
de poi il Nasarre una notizia nè vera nè verisimile, allorchè scrisse
che
esse si rappresentarono con indicibile applauso i
lle Spagne prima del Nasarre morto da pochi anni. Don Nicolàs Antonio
che
parla distesamente del Naarro di Torres, afferma
làs Antonio che parla distesamente del Naarro di Torres, afferma solo
che
dimorò in Roma in tempo di Leone X, e vi scrisse
temente d’invenzione per ingannare i compatriotti? Era poi verisimile
che
farse così triviali, languide, insipide e magrame
del Naarro. Fa dunque torto, ripeto, alla veracità ed onestà non meno
che
all’erudizione di un uomo di lettere, la vana jat
ana jattanzia aggiunta a questa istoriella gratuita del Nasarre, cioè
che
il Naarro insegnò agl’ Italiani a scrivere commed
arre, cioè che il Naarro insegnò agl’ Italiani a scrivere commedie, e
che
essi poco profitto trassero dalle di lui lezioni.
essi poco profitto trassero dalle di lui lezioni. E’ una rodomontata
che
eccita il riso. Di grazia chi scrivea Trofee, Ser
. Di grazia chi scrivea Trofee, Serafine, Tinellarie, poteva mai, non
che
insegnare, esser discepolo di buona speranza in I
a mai, non che insegnare, esser discepolo di buona speranza in Italia
che
sin dal XV secolo avea fatta risorgere l’ eloquen
monco o storpiato nella battaglia navale di Lepanto contro i Turchi,
che
col valore e coll’ ingegno non potè trovare tra’
e, al suo dire, con sommo applauso, delle quali altro non si conserva
che
qualche titolo. Quelle ch’ egli ebbe in maggior p
al riflettersi ch’ egli lodò ancora come eccellenti alcune tragedie,
che
la posterità (come diremo) ha trovate cattive non
lcune tragedie, che la posterità (come diremo) ha trovate cattive non
che
difettose. Di più egli nel suo prologo enunciò co
pubblicate un anno prima di morire, e pur sono talmente spropositate
che
nel 1749, per procurar lo spaccio degli esemplari
una lunga dissertazione, in cui inutilmente si affanna per dimostrare
che
Cervantes le scrisse a bello studio così sciocche
Ma le parole del prologo del Cervantes hanno tutta l’aria d’ingenuità
che
manca alla dissertazione, e distruggono sì manife
e distruggono sì manifestamente le sofistiche congetture del Nasarre,
che
io stimo che non mai quest’erudito da buon senno
sì manifestamente le sofistiche congetture del Nasarre, che io stimo
che
non mai quest’erudito da buon senno prestò fede e
he non mai quest’erudito da buon senno prestò fede egli stesso a quel
che
si sforzò di persuadere agli altri. Almeno in ten
no in tentarlo dimostrò il Nasarre qualche acutezza ed erudizione; ma
che
strana e ridicola giustificazione delle scempiagg
azione delle scempiaggini delle otto commedie del Cervantes fu quella
che
venne in testa al Sig. Lampillas? Egli suppose ch
ervantes fu quella che venne in testa al Sig. Lampillas? Egli suppose
che
uno stampatore l’avesse cambiate. Egli dovea con
ose che uno stampatore l’avesse cambiate. Egli dovea con ciò supporre
che
Cervantes, il quale sopravvisse un anno alla pubb
più secondo. I 25 volumi impressi contengono appena una parte di ciò
che
scrisse pel teatro. Montalbàn afferma che le comm
ono appena una parte di ciò che scrisse pel teatro. Montalbàn afferma
che
le commedie furono più di mille e ottocento, e ch
Montalbàn afferma che le commedie furono più di mille e ottocento, e
che
unite à los autos sacramentales e ad altre piccio
li quasi tutti Lope ebbe il piacere di veder rappresentare o di udire
che
per le Spagne si rappresentavano. Egli compose qu
li, cose aliene dalla poesia comica, le quali dimostrano con evidenza
che
sull’incominciare i comici si rivolsero ad un nuo
denza che sull’incominciare i comici si rivolsero ad un nuovo sistema
che
confondeva i generi. Seguì Cervantes a lavorare s
eva i generi. Seguì Cervantes a lavorare sul medesimo piano, per quel
che
appare non solo dalle ultime otto commedie ch’egl
n fama y galardòn. A parlar dunque senza preoccupazione egli trovò
che
altri l’avea prevenuto nell’avvezzare il volgo al
go alle stravaganze. Egli il disse in faccia all’ Accademia Spagnuola
che
allora fioriva in Madrid46, Mandanme, ingenios
esta junta y Academia insigne ecc. E chi di que’ chiari individui
che
la componevano potè smentirlo? Trovò dunque il te
commedia Spagnuola sempre attenuta a tal sistema, ben possiamo dire,
che
nacque da semi originariamente pontici e silvestr
i, e non per rappresentarsi. Tralle commedie si contano ancora quelle
che
trasse o dalla Sacra Scrittura, come la Creacion
ipo, per non ammazzare i genitori, secondo la predizione di una cerva
che
parla, e va in una terra lontanissima ove appunto
e commedie dette di spada e cappa egli dipinse bene i costumi, se non
che
talvolta esagerò oltre i confini naturali per far
e, come si scorge in alcuni tratti della Dama Melindrosa. Nelle opere
che
ci lasciò, s’incontrano dodici componimenti col t
ol titolo di tragicommedie, le quali punto non differiscono da quelle
che
chiamò commedie. Altre sei delle sue favole volle
lo stile, vedesi la stessa mescolanza di compassione e di scurrilità
che
regna nelle altre sue favole. Molti sono i drammi
tali feste attribuir l’invenzione al Calderon47, quando non s’ ignora
che
tante Lope ne compose48. Quanto all’origine di qu
dotto bibliotecario Nasarre vorrebbe trarle dai canti de’ pellegrini
che
andavano al sepolcro di San Giacomo in Galizia, d
luse da’ concilj e dagli sforzi de’ pontefici. Ma niuno indizio si ha
che
nel corso del XV secolo quelle farse spirituali a
e di Calderon, non avrebbe tralasciato di notarlo. Io sono di avviso
che
ne abbiano risvegliata l’idea le mute rappresenta
tervenuti nelle processioni non solo sonatori mascherati e danzantes (
che
nel tempo della mia dimora colà l’hanno sempre ac
no sempre accompagnate), ma una figura detta tarasca, simbolo, a quel
che
dicevasi, della gentilità o dell’eresia, che segu
tarasca, simbolo, a quel che dicevasi, della gentilità o dell’eresia,
che
seguiva la processione in un carro, e quattro gig
io recitari mos est in Hispania 49. Ma passiamo agli altri drammatici
che
fiorirono sul finir del secolo XVI e sull’incomin
la gravità dello stile di Antonio Mira de Mescua Andaluzzo di Guadix,
che
compose varj volumi di commedie sotto Filippo III
di quella intitolata Mocedades del Cid (le gesta giovanili del Cid),
che
si vede di tempo in tempo sulle scene. Probabilme
ubblicarono da Antonio di lui fratello nel 1574 in Toledo. Il Nasarre
che
cercava fuori di Lope e Calderon le glorìe dramma
e e Calderon le glorìe drammatiche della sua nazione, ed il Lampillas
che
faceva pompa di molte commedie per lo più cattive
anzi di simili erudite produzioni andare in traccia, e non attendere
che
uno straniero le disotterrasse. Ma vediamo se gli
i ebbero mai vere tragedie senza veruna mescolanza comica. Non è vero
che
essi non ne hanno veruna, o che le loro tragedie
veruna mescolanza comica. Non è vero che essi non ne hanno veruna, o
che
le loro tragedie non possono distinguersi dagli a
o Linguet nella prefazione al suo Teatro Spagnuolo. Egli crede ancora
che
il Vega non ebbe idea della vera tragedia, e pure
rappresentare tragedia alcuna, e dirà vero. Io però in diciotto anni
che
dimorai in quella corte ben posso attestare di av
nto altre dodici di cinque letterati Spagnuoli. Vuolsi avvertire però
che
tra questi io non pongo quel Vasco Diaz Tanco de
e però che tra questi io non pongo quel Vasco Diaz Tanco de Fregenal,
che
altri leggermente pretese che avesse scritte trag
ongo quel Vasco Diaz Tanco de Fregenal, che altri leggermente pretese
che
avesse scritte tragedie prima de’ suoi compatriot
urono impresse ovvero rimasero inedite. Niuno le vide, nè vi è alcuno
che
affermi di esservi documento che avessero una vol
edite. Niuno le vide, nè vi è alcuno che affermi di esservi documento
che
avessero una volta esistito. Il solo Vasco stesso
Vasco stesso se ne vanta nel suo Giardino dell’anima cristiana. Dice
che
nella sua giovinezza compose quarantotto componim
a compose quarantotto componimenti inediti sacri, storici e morali, e
che
fra essi erano anche alcune tragedie di Assalone,
Assalone, Ammone, Saule e Gionata. Il carattere di questo Tanco fa sì
che
senza molto esitare si ripongano tali tragedie ne
ragedie nelle biblioteche immaginarie. Gli stessi nazionali attestano
che
egli adolecia de presumido (avea il morbo della p
de presumido (avea il morbo della prosunzione); e l’Antonio assicura
che
i titoli stessi degli opuscoli accennati pieni di
se almeno quando nacque questo Tanco? S’ignora affatto. Se ne sa solo
che
viveva in tempo di Carlo Quinto: che nel 1527 fec
S’ignora affatto. Se ne sa solo che viveva in tempo di Carlo Quinto:
che
nel 1527 fece un opuscolo sulla nascita di Filipp
lo Quinto: che nel 1527 fece un opuscolo sulla nascita di Filippo II:
che
nel 1547 pubblicò una traduzione della storia di
Giovio De Turcarum rebus intitolandola capricciosamente Palinodia: e
che
nel 1552 fe imprimere il riferito suo Giardino. A
cui mal si può intentar lite di anteriorità, e ad onta del disprezzo
che
il dotto Nicolàs Antonio mostrò per le millanteri
enal contrastare agl’ Italiani l’ anteriorità della tragedia, dicendo
che
“la di lui giovanezza poteva essere intorno al 15
nisola, della prima tragedia degl’ Italiani), “perchè non vi è specie
che
ripugni all’esser nato Vasco nel 1500”51; ed in q
al compilatore del Parnasso Spagnuolo. Non si avvidero questi eruditi
che
un può essere in buona logica non mai produce per
perchè importi gran fatto l’esser primo, essendo i saggi ben persuasi
che
vale più di esser ultimo come Euripide o Racine o
uasi che vale più di esser ultimo come Euripide o Racine o Metastasio
che
anteriore come Senocle o Hardy o Hann Sachs. Nè a
o Giovanni Malara, le quali, sull’ asserzione di Giovanni della Cueva
che
le mentovò in alcuni suoi versi, sognarono i mode
a che le mentovò in alcuni suoi versi, sognarono i moderni apologisti
che
esisterono e si rappresentarono verso il 157952.
l suo lodatore e de’ moderni apologisti, non ci ha conservata memoria
che
di una sola sua tragedia intitolata Absalon; ed i
sua tragedia intitolata Absalon; ed il Sig. Sedano parimente afferma,
che
il Malara si conosce soltanto per autore de la tr
ò dirsi essere stata tragedia vera; perchè il medesimo Cueva confessa
che
le tragedie del Malara non erano scritte secondo
a latina rappresentata nel 1571 nel convento del Escuriale, due altre
che
senza dirne il titolo si nominano dal Salas Barba
l 1533 dimorava in Italia; dunque (conchiude il sig. Sedano) pudo ser
che
le componesse intorno al 1520, quando al suo dire
in cui nacque; e solo il mentovato Sedano ne dice col solito pudo ser
che
forse nacque nel 1497. Ma ciò concedendo ancora i
no la Sofonisba e la Rosmunda. L’Ab. Lampillas vuol mostrare in prima
che
il Perez non era fanciullo allora, asserendo grat
scere verso il 1494. Indi trasformando le parole del Giraldi assicura
che
il Trissino terminò di scrivere la sua tragedia n
co ritardando quella della tragedia del Vicentino, e supponendo anche
che
il Perez scrivesse le sue traduzioni in Italia (l
anee le favole del Perez alle prime tragedie Italiane. Vuole in oltre
che
l’Ecuba e la Vendetta di Agamennone non debbano c
n debbano chiamarsi traduzioni; ed a ciò altro non replichiamo se non
che
il dotto suo amico l’Ab. Andres l’ha pure riconos
nès) si fa sentire assai più nella Nise per la lunghezza de’ discorsi
che
raffredda le situazioni. E’ però lodevole la seco
gno di Nise copiato con più esattezza dalla Castro; ed il sig. Sedano
che
la lodò, non ne seppe la sorgente. Migliore ancor
non ne seppe la sorgente. Migliore ancora è la seconda dell’atto IV,
che
nel Ferreira a me sembra veramente tragica e ricc
della sua diletta sposa. La Nise Laureada consiste nel vano sollievo
che
sperò il principe Don Pietro asceso al trono face
pparisce fiero, atroce, violento, anche indecente e basso. Le persone
che
vi s’introducono del custode, del portinajo, del
a, sono tutte cose disdicevoli in una tragedia, e mostrano abbastanza
che
il Bermudez non sapea lavorar senza maestro. La s
Bermudez non sapea lavorar senza maestro. La scena terza dell’atto V
che
rappresenta il supplicio degli uccisori di Nise e
dicola ed impertinente; nè degna del genere tragico è l’azione del re
che
gli percuote colla frusta. Strappa il boja il cuo
s enemigos que allà tienes. Queste parole que allà tienes indicano
che
que’ traditori si trovano ancora in Castiglia; or
l’atto V giustiziati? In somma ha questa favola tali e tanti difetti,
che
mi parve di un altro autore, ancor quando ignorav
tanti difetti, che mi parve di un altro autore, ancor quando ignorava
che
la prima fosse una semplice copia e traduzione, m
prima fosse una semplice copia e traduzione, malgrado dell’uniformità
che
si scorge nello stile e nella verisificazione di
tico e fuor della natura il carattere del protagonista. Ciò vuol dire
che
sono tragedie, ma difettose. Nega questi difetti
nell’articolo VI del mio Discorso storico critico. Quì dirò soltanto
che
il sig. Lampillas in punto di poesia drammatica s
ato di poco intelligente non solo colle sue critiche, ma colla scelta
che
fece di alcune commedie assai deboli e difettose
ri, l’ economia, tutt’altro in fine abbonda di gran difetti; nè so in
che
mai avesse il Cervantes fondati i suoi esagerati
mai avesse il Cervantes fondati i suoi esagerati encomj. Reca stupore
che
uno scrittore che nel ragionar sulle composizioni
antes fondati i suoi esagerati encomj. Reca stupore che uno scrittore
che
nel ragionar sulle composizioni drammatiche dimos
ate come modelli da proporsi ad esempio. Reca stupore ancor maggiore,
che
il Lampillas, ad onta della saggia censura del Se
assezze sconvenevoli alla tragica gravità, la strage di dieci persone
che
rendono la favola atroce, dura, violenta, le ines
a, una machina inutile allo scioglimento, cioè lo spirito d’ Isabella
che
appare unicamente per congedare l’uditorio con un
tutto ciò, dico, è un cumolo di difetti così manifesti nell’Isabella,
che
bisogna esser molto preoccupato per non avvederse
membra di Luperzio, il cuore, il sangue, si presentano ad Alessandra,
che
è obbligata a lavarsi in quel sangue: i nomi stes
, da’ fatti e dall’autorità de’ medesimi eruditi nazionali, si ricava
che
gli Spagnuoli nel XVI secolo più di ogni altro po
: non lascerò di dire, per avvertimento di chi forse gli rassomiglia,
che
se i nazionali mi avessero prevenuto in tessere u
itar con ingenuità i fonti onde le avessi tratte; a differenza di ciò
che
ha meco praticato più di un plagiario. 27. Trasc
estina e dell’Eufrosina credendole tragedie. 34. Dee però avvertirsi
che
questa favola di Don Duardo pubblicata sotto il n
Duardo pubblicata sotto il nome di Gil Vicente il vecchio si pretende
che
appartenesse a Don Luis Infante di Portogallo nat
il Comento di Manuel Faria alle Rime del Camoens. 35. Nè il Nasarre
che
cercava in tutta la penisola drammi regolari comp
la drammi regolari composti prima del fiorir di Lope; nè il Lampillas
che
voleva mettere alla vista la stessa cosa, e che c
Lope; nè il Lampillas che voleva mettere alla vista la stessa cosa, e
che
conta sempre le glorie de’ Portoghesi come appart
iva, Che ne sospira e geme e plora oppressa Sotto il giogo crudel
che
scuoter tenta. Non può, non lice, e la sua furi
Castro Vede per tutto, e la consorte sdegna. 37. Che ab jetta,
che
ingrata, che steril cosa è un plagiario impudente
per tutto, e la consorte sdegna. 37. Che ab jetta, che ingrata,
che
steril cosa è un plagiario impudente! Non pensa c
tta, che ingrata, che steril cosa è un plagiario impudente! Non pensa
che
coll’ altrui mente, non balbetta che motti carpit
n plagiario impudente! Non pensa che coll’ altrui mente, non balbetta
che
motti carpiti, respira col non suo fiato. Vorrebb
, non balbetta che motti carpiti, respira col non suo fiato. Vorrebbe
che
tutto il mondo esistesle sol quanto bastasse ad a
Ma se i morti non possono rivendicare i proprj lavori, tocca a’ vivi
che
non pasconsi di rapine, a svellere da simili roch
li rochi corbacci le piume involate a’ nobili augelli. E quindi nasce
che
tanti si fanno un pregio di coprirli di vergogna.
re Diodoro Delfico nella XVI lettera sugli Epigrammi) poco doviziosi,
che
provvedonsi, o prendono a nolo un abito, cioè un’
l chiar. Tiraboschi coll’ usata sua moderazione e saviezza osservava,
che
la sincerità suol esser più frequente e maggiore
z. Veneziana. 41. Il sempre invitto apologista Lampillas ebbe a male
che
io avessi chiamate visioni le ciance del Nasarre
sioni le ciance del Nasarre sul Naarro. Avrebbe egli forse desiderato
che
io gli dessi il titolo competente a coloro che no
egli forse desiderato che io gli dessi il titolo competente a coloro
che
non dicono il vero sapendo di non dirlo? a coloro
etente a coloro che non dicono il vero sapendo di non dirlo? a coloro
che
il proprio cuore condanna (ων η καρδια αυτων κατα
eva l’Apostolo San Giovanni epist. III, v. 20? Bello è il patriotismo
che
ci lega alla propria nazione: lodevole l’ impegno
he su di ciò il mio Discorso Storico-Critico. 44. Si vuole avvertire
che
il Voltaire, il Bettinelli, gli Enciclopedisti, e
ed Italiani danno erroneamente a questo poeta il nome di Lopez, voce
che
in Ispagna esprime un cognome in numero plurale,
ompatriotti domiciliati in Italia. S’inganna parimente quando afferma
che
Lope fu il primo che nel secolo XVI ebbe idea del
ti in Italia. S’inganna parimente quando afferma che Lope fu il primo
che
nel secolo XVI ebbe idea della vera commedia, e c
ni giogo, e diede precetti adattati alle proprie commedie, affermando
che
per non udire i clamori di Plauto e di Terenzio,
acque nel 1562, cioè ottantaquattro anni dopo la nascita del Trissino
che
scrisse una Poetica? Come domiciliato in Italia p
omiciliato in Italia poteva il Sig. Eximeno con facilità aver notizia
che
Bernardino Daniello fece imprimere la sua Poetica
ello fece imprimere la sua Poetica nel 1536, cioè ventisei anni prima
che
fosse conceputo Lope de Vega: che l’Arte Poetica
nel 1536, cioè ventisei anni prima che fosse conceputo Lope de Vega:
che
l’Arte Poetica del vescovo di Ugento e poi di Cot
di Cotrone Antonio Minturno fu stampata nel 1564, cioè due anni dopo
che
il Vega venne al mondo; che quando nel 1570 si pu
fu stampata nel 1564, cioè due anni dopo che il Vega venne al mondo;
che
quando nel 1570 si pubblicò la prima volta in Vie
iscurrir desde el aries à los peces. Il Sig. Eximeno scrive ancora
che
delle prime commedie rappresentate in Europa dopo
stabilimento de’ barbari, si suppongono autori gli Spagnuoli. Ognuno
che
sappia la storia teatrale, vedrà ch’ei s’ inganna
pagnuole anteriori a tutte le altre? Le ci additi. Fanno pietà coloro
che
dove trattasi di fatti, giostrano con declamazion
nel 1782 al numero LII si vide intrusa questa forestiera asserzione,
che
la nazione Spagnuola è stata la prima ad aver un
ropositi gareggia colla di lui impertinenza, e col cumolo di villanie
che
vomita contro gl’ Italiani e i Francesi, de’ qual
iani e i Francesi, de’ quali il buon uomo perfettamente ignorava, non
che
il valor letterario, lo stesso linguaggio. 46.
sciocchezze del Sig. Huerta io sempre chiamerò Spagnuola l’Accademia
che
fioriva in Madrid in tempo di Lope, alla quale eg
rso (dirigido à la Academia de Madrid). Non sono forse Spagnuoli quei
che
nascono in Madrid? Un’ Accademia composta di Spag
Un’ Accademia composta di Spagnuoli non dovrà chiamarsi Spagnuola? Or
che
puerilità affastella egli in quattro pagine inter
nza e malignità per confondere nella mia storia l’Accademia di Madrid
che
fioriva sin dal declinar del secolo XVI e nel com
io lo farei certo, se vivesse, di aver veduto ed ascoltato moltissimi
che
l’assermavano; di che soleva io maravigliarmi col
vivesse, di aver veduto ed ascoltato moltissimi che l’assermavano; di
che
soleva io maravigliarmi col mio dotto amico e buo
o scritto pel Sig. Lampillas, ed alzò poi sì bruscamente la voce dopo
che
l’autore della Storia de’ Teatri disse addio a qu
sando il mare recarne meco, quando per le solite avverse combinazioni
che
mi perseguitano, ho dovuto soggiacere alla perdit
prj scritti per averli colà lasciati? Ma la nazione imparziale ben sa
che
io non asserisco una cosa immaginaria. 48. Vengo
i in buona forma, bisognerebbe infierir bassamente contro di un morto
che
più non sente i colpi nè può approfittarsi delle
egl’ incauti e per illustrazione della storia degli Atti Sacramentali
che
quì si narra. Egli dice (ed è il secondo grave er
con qual fronte possa tacciarsi di colpevole negligenza uno straniero
che
si è industriato almeno di rinvenir qualche orma
straniero che si è industriato almeno di rinvenir qualche orma di ciò
che
dell’intutto si è veramente negletto da’ nazional
egletto da’ nazionali. Ma poi è egli vero ch’io l’abbia trascurato? E
che
altro io feci nelle note su gli auti poste nella
nelle note su gli auti poste nella Storia prodotta nel 1777? E quello
che
ora dico nel testo con più parole, non era allora
esto con più parole, non era allora stato da me accennato? Questo poi
che
io ne dico, si scrisse da altri prima di me? V’è
e più di me? mostrò anzi di saper queste cose quali esse siensi prima
che
io le dicessi? Al contrario; prima nulla ne ha de
autos? Mi getta sul viso una collezione di dodici atti con sus loas (
che
in questo luogo significano introduzioni in dialo
ragoza nel 1644, cioè più di mezzo secolo dopo del fiorir di Lope; di
che
più d’un di lui nazionale non ha potuto trattener
r più. Cervantes fiorì forse prima del Vega? No; al più non può dirsi
che
suo coetaneo. Si trova forse nelle opere del Cerv
atto. Avessero per avventura i suoi posteri scavato qualche monumento
che
ne dia indizio? In niun conto. Donde dunque il tr
on Quixote avea nominato un auto de las Cortes de la Muerte, fingendo
che
si andasse a rappresentar in una terra dalla comi
autor de las Cortes de la muerte, e quindi dedurne con ottima logica
che
Cervantes scrisse auti sacramentali. Nel che ecco
edurne con ottima logica che Cervantes scrisse auti sacramentali. Nel
che
ecco in quante guise egli ragionò male. I. Non pu
el che ecco in quante guise egli ragionò male. I. Non può assicurarsi
che
las cortes de la muerte fosse un auto sacramental
auto sacramentale; perchè nella penisola di Spagna vi sono stati auti
che
furono rappresentazioni drammatiche senza essere
; nè poi tralle figure del carro de’ commedianti se ne mentova alcuna
che
a ciò possa riferirsi. II. Non v’è fondamento da
di Melisenda, or di Belianis, or di altro. III. V’è tutta l’apparenza
che
Cervantes per introdurre con qualche verisimilitu
ccreditarla con fingere un titolo di un auto, senza esservi necessità
che
tal auto fosse stato una sua composizione anteced
stato una sua composizione antecedentemente scritta. Ma fingasi pure
che
Cervantes avesse effettivamente composto quell’ a
’origine di tali auti? Questo titolo non s’immaginò nè si fe pubblico
che
nel 1616 (perchè in tale anno, e non nel 1615, si
næ ingenium hominis haud obscurè ostendunt. Egli ne reca un epigramma
che
chiama barbaro scritto dopo il 1552. Noi lo trasc
potendosi vedere nella Biblioteca Ispana Moderna, e ci basta il dire
che
tale epigramma annunzia uno scrittore buono a tut
il dire che tale epigramma annunzia uno scrittore buono a tutt’altro
che
a calzare il coturno nella prima gioventù. 51. N
dicolo manifesto di questo sogno creduto storia dal Lampillas (e quel
che
è peggio anche ultimamente dal chiar. Ab. Andres
ampillas (e quel che è peggio anche ultimamente dal chiar. Ab. Andres
che
tralle altre tragedie spagnuole cita quelle del M
mio Discorso Storico-critico art. IV. 55. Il sig. Andres ha preteso
che
talora migliorano gli originali nel dialogo. Io r
llanguiditi e stravolti con pensieri falsi. Non ne ripeto quì i passi
che
ne ho recati in esempio nel citato Discorso alla
rso alla pag. 39 e alle seguenti. Volle anche il sig. Andres asserire
che
il primo che abbia dato qualche saggio d’un Teatr
39 e alle seguenti. Volle anche il sig. Andres asserire che il primo
che
abbia dato qualche saggio d’un Teatro de’ Greci è
figgendo uccidi; Tutti morremo. E non sento io nè piango La morte
che
mi cerca ed i miei giorni Di un colpo indegno i
fiorir recide; Sento la morte dolorosa e trista Per te, pel regno
che
vicina io scorgo In quell’amor che pur la mia c
osa e trista Per te, pel regno che vicina io scorgo In quell’amor
che
pur la mia cagiona. No, non vivrà il mio Prence
abbracciate vostra madre. Appressatevi pur l’ultima volta Al seno
che
suggeste, e che mai sempre Fora vostro alimento
ra madre. Appressatevi pur l’ultima volta Al seno che suggeste, e
che
mai sempre Fora vostro alimento, ed or vi lasci
imento, ed or vi lascia. Ah v’abbandona già la madre vostra! Oimè
che
troverà tornando il padre! Voi derelitti incont
disastro, Se alcun lor ne sovrasta. Ah grande Alfonso, Dissipa tu
che
il puoi tanta procella. Mercè pietà perdono. Ah
secolo gli sforzi degl’ Italiani in prò della poesia drammatica. Essi
che
aveano assicurato al lor paese il vanto di farla
lor paese il vanto di farla risorgere, compresero prima d’ogni altro
che
per riuscirvi bisognava ridurre le incondite fars
confronto ad avvedersi della rozzezza de’ proprii drammi, e conchiuse
che
più efficace espediente si richiedeva per richiam
ga e vigorosa emula de’ Greci e de’ Latini. Di grazia poteva sperarsi
che
nascesse al teatro un Racine ed un Voltaire subit
Laudivio? ed un Moliere dopo il Polentone o il Bojardi? Nò; bisognava
che
prima calcasse il coturno un Trissino ed un Rucel
eridere, dovrebbero riflettere tanti e tanti moderni filosofi critici
che
per affettar gusto sopraffino rimproverano all’It
ti ed immaturi o son vicini a’ precipizj, o non avvengono felicemente
che
per prodigj; ed i prodigj sono pur così rari in n
ciò si troverà animato da un puro ed elegante stile, da quel balsamo
che
solo può conservare incorruttibili (non che i dra
te stile, da quel balsamo che solo può conservare incorruttibili (non
che
i drammi ed ogni genere poetico e tutta l’amena l
mena letteratura) le scienze stesse. I. Drammi Latini. Leone X
che
illustrò i primi anni di sì bel secolo, amando l’
ò per eccitare i più grand’ingegni a coltivar la drammatica. Quindi è
che
si videro da prima in quella gran città divenuta
ro Tommaso Inghiramo74 dotto professore di eloquenza ed orator grande
che
sin che visse ne portò il soprannome di Fedro. Ol
so Inghiramo74 dotto professore di eloquenza ed orator grande che sin
che
visse ne portò il soprannome di Fedro. Oltre poi
timiamo più opportuno registrarla fralle molte latine degl’ Italiani,
che
lasciarla sola nel teatro Francese di questo seco
l’anno 1529 diede alla luce la sua tragedia intitolata Imber Aureus,
che
si reimpresse nel 1530 in Norimberga, e si rappre
Argivi avendo consultato l’oracolo sulla scelta di un genero intende
che
di Danae sua figliuola uscirebbe il di lui ucciso
co’ migliori di Seneca, e forse gli supera per lo candore. Ma intanto
che
compiange la principessa destinata a morir vergin
he compiange la principessa destinata a morir vergine, vede il popolo
che
in atto di stupore accorre alla reggia. Egli stes
con la sua Nutrice. Atto II. Ode il coro le voci lamentevoli di Danae
che
deplora la sua sventura. Ella desidera la morte,
fa apprestare un lauto banchetto e dell’oro, per rimunerare i ciclopi
che
ne sono stati i fabbri. La mercede ad essi distri
he ne sono stati i fabbri. La mercede ad essi distribuita, l’ebbrezza
che
gli opprime, la pugna che ha con gli altri Polife
La mercede ad essi distribuita, l’ebbrezza che gli opprime, la pugna
che
ha con gli altri Polifemo, e la di lui morte, emp
scene Ateniesi, nelle quali ebbero luogo le contese piuttosto comiche
che
tragiche delle Baccanti, di Jone, di Alceste; ma
a pioggia d’oro penetrata nella torre pieno d’eleganza e di vaghezza,
che
viene così preparato dalle commozioni di Danae ch
nza e di vaghezza, che viene così preparato dalle commozioni di Danae
che
vuol parlarne alla Nutrice: Nutrix, age, mea nu
ctare contigit! Gajamente è delineata la nuvoletta di color di rosa
che
si leva dal mare, ed a guisa di un augelletto si
i descrive la trasformazione di quest’oro in un vaghissimo giovanetto
che
si palesa pel gran padre degli uomini e degli dei
languidezza e l’ episodio poco tragico dell’atto terzo ne sono i nei
che
possono notarvisi, e che forse tali non parvero a
o poco tragico dell’atto terzo ne sono i nei che possono notarvisi, e
che
forse tali non parvero all’autore pieno della let
divenne il Seneca del regno di Napoli anzi dell’Italia, per lo studio
che
ebbe di recare egli solo nella latina favella mol
luto e le Nubi; e con tal senno e garbo e buon successo egli il fece,
che
niuno de’ moderni latini drammi composti prima e
o si erano già accennate, di rendere con più precisione in latino ciò
che
in greco si disse con copia. Facendo moderato uso
e in Euripide nell’atto I il Pedagogo alla Nutrice) ama più se stesso
che
gli altri, e chi ciò fa per giustizia e chi per p
gli ritiene interamente le più importanti scene, come quella di Medea
che
cerca ed ottiene da Creonte un giorno d’indugio a
ttiene da Creonte un giorno d’indugio alla sua partenza, tutte quelle
che
ha con Giasone, il racconto della morte del re e
he il racconto del mostro marino è una prova del gusto del Cosentino,
che
orna moderatamente l’originale senza pompeggiare,
pompeggiare, come fanno Seneca e Racine, senza l’inverisimile ardire
che
si fa mostrare ad Ippolito nell’affrontare il mos
ostrare ad Ippolito nell’affrontare il mostro78, senza imitar Seneca,
che
quando Teseo dovrebbe solo essere occupato della
atientem anguibus. Desta tutto il terrore la riconoscenza di Agave
che
nella pretesa testa del leone ucciso ravvisa quel
ella Tebaide, recare nella lingua del Lazio, senza i difetti di stile
che
le s’ imputano, le Fenisse di Euripide. Per nostr
masse con predilezzione Euripide, si attenne però a quella di Sofocle
che
per gravità di dizione e per economia sorpassa l’
ifesta parimente in essa il suo buon senno col seguire più fedelmente
che
non in altre l’originale, non avendo dovuto risec
i bene di cedere ai potenti80. Martirano muta solo l’idea della forza
che
presenta la potenza, in quella della giustizia, c
ento di Elettra avendo in mano l’urna delle pretese ceneri di Oreste,
che
noi pur traducemmo con esattezza nel IV volume de
Eschilo, benchè con più libera imitazione, specialmente nel descriver
che
fa la situazione di Tifeo atterrato dal fulmine d
al di lui Cristo, ben possiamo con compiacenza e sicurezza affermare
che
per sì maestosa e grave tragedia debbe in questo
per vedere Aristofane ritratto con tutte, le sue grazie comiche senza
che
si rimanga offeso dalla di lui oscenità, bisogna
el gran comico. Noi esortiamo la gioventù a leggerle, colla sicurezza
che
il travaglio di confrontarle coll’ originale e co
e si ricavasse il compilatore del Parnasso Spagnuolo la rara scoverta
che
questa Sofonisba fosse stata una spezie di dialog
que parlato di tal componimento per volgare tradizione ovvero secondo
che
gliel dipinse la propria immaginazione. Scrisse i
orse gli eredi stati distolti da tanti altri drammi di maggior pregio
che
dipoi apparvero. Per la stessa ragione meritano b
onimenti del principio del secolo descritti dal Quadrio nel tomo I. E
che
giova trattenersi sul Filolauro di Bernardo Filos
tomo I. E che giova trattenersi sul Filolauro di Bernardo Filostrato,
che
esso Quadrio chiama atto tragico, ma che nella Dr
auro di Bernardo Filostrato, che esso Quadrio chiama atto tragico, ma
che
nella Drammaturgia dell’Allacci è detto solaccios
ve sorgono marmorei edificj reali83? Volgiamoci dunque alle ricchezze
che
ci appresta un secolo così fecondo. La Sofonisba
o difetti con abbondante usura compensati dalla novità dell’argomento
che
l’autore non dovè nè alla Grecia nè al Lazio84, d
larità ed economia dell’azione, dal carattere bellissimo di Sofonisba
che
interessa in ogni parte dell’azione (in ciò super
Pietro Cornelio) e da un patetico animato da’ bei colori della natura
che
sempre trionfa nella vivace semplicità; quella se
natura che sempre trionfa nella vivace semplicità; quella semplicità
che
attinse il Trissino ne’ greci fonti. Un cuore non
a con Erminia, ed al quadro delle donne affollate intorno a Sofonisba
che
trapassa, di Erminia che la sostiene e del figliu
ro delle donne affollate intorno a Sofonisba che trapassa, di Erminia
che
la sostiene e del figliuolino che bacia la madre
Sofonisba che trapassa, di Erminia che la sostiene e del figliuolino
che
bacia la madre la quale inutilmente si sforza per
seguente frammento il colorito di questa scena lagrimevole: Sof. A
che
piangete? non sapete ancora Che ciò che nasce a
scena lagrimevole: Sof. A che piangete? non sapete ancora Che ciò
che
nasce a morte si destina? Cor. Ahimè! che quest
n sapete ancora Che ciò che nasce a morte si destina? Cor. Ahimè!
che
questa è pur troppo per tempo, Che ancor non si
Il bene esser non può troppo per tempo. Erm. Che duro bene è quel
che
ci distrugge! Sof. Accostatevi a me, voglio app
on avrai più madre; Ella già se ne va, statti con dio. Erm. Oimè!
che
cosa dolorosa ascolto! Non ci lasciate ancor, n
I’ non posso far altro, e sono in via. Erm. Alzate il viso a questo
che
vi bacia. Cor. Riguardatelo un poco. Sof. Aim
in dal XVI secolo si tradusse, e s’ imitò molte volte; di tal maniera
che
la Sofonisba oggi serbasi nel teatro tragico come
ta lo stesso Voltaire nel XVIII (Nota X). Adunque la prima istruzione
che
ebbero i Francesi di un dramma in cui venissero o
sa non si capisce perchè il famoso avvocato Linguet 86 abbia avanzato
che
i Francesi, quanto al teatro, non hanno dall’Ital
uanto al teatro, non hanno dall’Italia ricevuto quasi verun favore, e
che
la prima idea delle bellezze che essi hanno profu
talia ricevuto quasi verun favore, e che la prima idea delle bellezze
che
essi hanno profuse sul teatro e ne’ loro scritti,
Castigliani. Accordiamogli di buon grado quel ch’egli aggiugne, cioè
che
il Dante, l’Ariosto e il Tasso stesso, non hanno
iotti troverà poco glorioso per la testa e per la lingua Francese); e
che
Lope de Vega, il Castro e ’l Calderon si sieno pi
e bellezze teatrali, la storia contraddice all’asserzione del Linguet
che
brucia que’ grani d’incenso ad onore degli Spagnu
me de’ Francesi si mostri grato a quella colta e ingegnosa nazione, e
che
ripeta quel che altre volte ed assai prima di lui
si mostri grato a quella colta e ingegnosa nazione, e che ripeta quel
che
altre volte ed assai prima di lui osservarono i F
ervarono i Francesi stessi, gli Spagnuoli e gl’ Italiani; ma è giusto
che
per confessare un debito voglia negarne un altro?
l 1526, corse poco dopo del Trissino il tragico aringo colla Rosmunda
che
fece recitare nel suo giardino in Firenze alla pr
l suo giardino in Firenze alla presenza di quel pontefice nel 1516, e
che
si stampò poi in Siena nel 1525. In essa prese ad
n Siena nel 1525. In essa prese ad imitare l’Ecuba di Euripide; e par
che
avesse voluto renderne lo stile più magnifico del
diede alla luce se non dopo due secoli per opera del Marchese Maffei,
che
la fece imprimere nel 1723 sull’esemplare possedu
anche il Conte Pietro da Calepio, e non va esente dal cicaleccio; il
che
si vede sin dalla prima scena nella narrazione ch
dal cicaleccio; il che si vede sin dalla prima scena nella narrazione
che
fa Oreste delle proprie avventure incominciando d
ra de’ barbari. Ma per tali nei si priveranno i leggitori del piacere
che
recano tanti bei passi pieni di eleganza e vaghez
etteratura lascerà seppellirgli nell’ obblio, non vedendo nell’Oreste
che
languidezza ed imitazione del greco? Quanto a me
etto del tempio e le teste e i busti ed il monte di ossa degli uccisi
che
vi biancheggia; la bellezza del racconto che fa I
nte di ossa degli uccisi che vi biancheggia; la bellezza del racconto
che
fa Ifigenia della propria sventura quando fu in p
sarlo? Dove ti lascio! donde son partito! Chi lascio? a cui voio?
che
porto? ahi lasso! Porto la morte del suo re; a
à sudate palme, Gli aspettati trionfi e la vittoria Del simulacro
che
portiamo in Argo? Con che volto potrò veder mio
ati trionfi e la vittoria Del simulacro che portiamo in Argo? Con
che
volto potrò veder mio padre? Con che occhi guar
ro che portiamo in Argo? Con che volto potrò veder mio padre? Con
che
occhi guardar mai potrò Elettra Sorella a te, a
llontanò dagli argomenti greci, seguendo in ciò piuttosto il Trissino
che
il Rucellai. Egli trasse dalla storia de’ re di R
eccita contro di se l’indignazione di chi legge. Il coro continuo poi
che
vi si adopra alla greca, disdicevole manifestamen
e ad un’ azione Romana, obbliga il poeta ad incoerenze, com’ è quella
che
L. Tarquinio gelosissimo del proprio secreto si s
roprio secreto si scopra alla moglie alla presenza d’un coro di donne
che
sono seco89. Per simili riflessioni a noi sembra
ori del cinquecento. Seguirono i greci esemplari piuttosto traducendo
che
imitando l’ Alamanni, l’Anguillara e ’l Giustinia
vazione recò in Italiano ritenendone il titolo l’Antigone di Sofocle,
che
si stampò in Venezia nel 1532. Per testimonio deg
iti della toscana lingua Bembo, Trissino, Molza, Tolomei90: E quel
che
’nsino oltre le rigid’ alpi Da Tebe in toscano
iosi gli episodj di quest’Edipo dell’Anguillara. Non per tanto sembra
che
i contemporanei avessero vendicata l’opera e l’au
iamo col Conte di Calepio assai più difettoso l’Edipo dell’Anguillara
che
de’ tre pur difettosi Edipi francesi di Cornelio,
nacronismo totalmente inutile. Assai migliore fu la traduzione fedele
che
fece di tal tragedia il Veneziano Giustiniano. Pe
o nel famoso Teatro Olimpico di Vicenza opera del prelodato Palladio,
che
per la morte di questo insigne architetto seguita
hitetto seguita nel 1586 si terminò dallo Scamozzi. La parte di Edipo
che
si accieca, fu sostenuta egregiamente dal famoso
olta troppo ricercato e più proprio di certi anni del seguente secolo
che
del cinquecento. Sperone Speroni degli Alvarotti
ose la Canace tragedia pubblicata la prima volta in Venezia nel 1546,
che
dovea rappresentarsi in Padova l’anno 1542 dagli
to il disegno per la morte seguita di Angelo Beolco detto il Ruzzante
che
dovea recitarvi. L’autore sostenne per essa una g
ologo sostituire il personaggio di Venere. Vide questo gran letterato
che
il veleno de’ tragici componimenti de’ suoi conte
vi ornando ed infiorando la sua Canace con certe studiate espressioni
che
nuocono alla gravità tragica. E pure queste medes
della Canace esigevano stile più grave e la favella della natura più
che
dell’arte manifesta. Questo, e l’introduzione di
e, e non poche scene vuote ed oziose e slogate, ed i racconti di cose
che
meglio avrebbero animata la favola poste alla vis
ista ed in azione, e ’l non essersi l’autore approfittato de’ rimorsi
che
doveano insorgere in Canace e Macareo ne’ loro mo
i appunto, per quanto mi ricorda, sfuggirono a’ censori contemporanei
che
in essa criticarono le rime, i versi corti e cota
al figliuolino, hanno una verità, un patetico, un interesse sì vivo,
che
penetra ne’ cuori e potentemente commuove e pertu
Antivalomeni, Cleopatra, Arenopia, Eufimia, Selene, Epitia. La prima
che
scrisse, a quel che egli dice, in meno di due mes
atra, Arenopia, Eufimia, Selene, Epitia. La prima che scrisse, a quel
che
egli dice, in meno di due mesi, e che si stima la
a. La prima che scrisse, a quel che egli dice, in meno di due mesi, e
che
si stima la migliore, si rappresentò alla presenz
tata ancora alla presenza de’ Cardinali Ravenna e Salviati; ma sembra
che
alla prima rappresentazione, e non a questa, si f
amanni, facendo il Giraldi dire alla Tragedia, I’ dico l’Alamanni,
che
mi vide, Per mio raro destino, uscire in scena.
Sulmone re di Persia gareggia colle atrocità degli Atrei, ed Orbecche
che
svena il padre, va del pari coll’ Elettre matrici
divisa l’Orbecche in atti e scene e scritta in versi sciolti, se non
che
, come in quella del Trissino, havvi più di un pas
tte le tragedie del Giraldi e specialmente l’Orbecche fralle Italiane
che
conseguiscono l’ottimo fine della tragedia di pur
lse l’Orbecche con molto applauso, e destò in tutti cotal compassione
che
niuno degli ascoltatori potè contenere il pianto.
ione che niuno degli ascoltatori potè contenere il pianto. Oggi stimo
che
farebbe lo stesso effetto in una città colta che
l pianto. Oggi stimo che farebbe lo stesso effetto in una città colta
che
ha assaporato il piacer delle lagrime del teatro,
ance della nutrice, l’espressioni di Oronte appassionato nell’atto II
che
si trattiene per molti versi su i casi del nocchi
liana. Fu egli il primo a porre sulla scena l’avventura degli Orazii (
che
nè anche è argomento greco); ed ebbe la sorte di
i Orazii (che nè anche è argomento greco); ed ebbe la sorte di coloro
che
tentando un mare sconosciuto hanno il vanto di sc
liani, ed anche di Carlo V; ed è questo il primo esempio de’ prologhi
che
servirono di poi a onorare i principi; ed il Cale
ervirono di poi a onorare i principi; ed il Calepio osserva a ragione
che
Pietro Cornelio s’inganna nel dire che sieno inve
d il Calepio osserva a ragione che Pietro Cornelio s’inganna nel dire
che
sieno invenzione del suo secolo. Un coro di virtù
ia Orazia moglie di un Curiazio è oppressa dall’immagine di una pugna
che
debbe in ogni evento riuscire per lei funesta. Ne
Orazia colla notizia della morte dello sposo. Arriva nel III un servo
che
appende al tempio di Minerva le spoglie degli est
condannano alla morte, contraddicendo invano il di lui afflitto padre
che
appella al popolo. Nel V il popolo libera il reo
l popolo. Nel V il popolo libera il reo dalla pena di morte, ma vuole
che
soggiaccia all’infamia del giogo. Sdegna il magna
i: Publio prega: il popolo è inesorabile: si ascolta una voce in aria
che
comanda ad Orazio di ubbidire. La regolarità di q
nte conseguito. Increscerà in essa in primo luogo il titolo di Orazia
che
dimostra esser essa il principal personaggio, e c
titolo di Orazia che dimostra esser essa il principal personaggio, e
che
morendo prima di terminar l’ atto III, abbandona
ndo prima di terminar l’ atto III, abbandona ad un altro l’interesse,
che
era tutto per lei. Orazio le succede; e l’interes
o se il titolo di essa fosse l’ Orazio? Parranno poi piuttosto foglie
che
ingombrano che fregi che abbelliscono l’azione al
di essa fosse l’ Orazio? Parranno poi piuttosto foglie che ingombrano
che
fregi che abbelliscono l’azione alcune cose episo
sse l’ Orazio? Parranno poi piuttosto foglie che ingombrano che fregi
che
abbelliscono l’azione alcune cose episodiche spar
che abbelliscono l’azione alcune cose episodiche sparse quà e là, di
che
può servire di esempio la dipintura di un cavallo
un cavallo a cui si rassomiglia la gioventù, distesa in dodici versi,
che
incomincia La gioventù furor de la natura ec.
io stesso, se ciò fusse, il punirei; e i Duumviri ripigliano, E
che
ha fatto il furioso dunque? E Publio, Estin
rali. Perdendosi l’impresa, ella dice, ognuno in Roma altro non perde
che
la libertade, Ma io, io, se Roma vince, perdo
quando è in procinto di perdere il valoroso Orazio, l’unico figliuolo
che
gli rimane, allora fa vedere tutto il padre, impl
plorando la pietà del popolo. Lo spirito d’ingenuità e di gratitudine
che
mosse prima il Cornelio, indi il Linguet a confes
mmuovere sino al fine pel timore e per la compassione; e si comprende
che
se il Cornelio l’ avesse anche in ciò imitato, av
itato, avrebbe fatto corrispondere gli ultimi atti della sua tragedia
che
riescono freddi ed inutili, ai primi pieni di cal
edie tratte da’ Greci, e da’ Latini. Nel 1566 se ne fece un’ edizione
che
conteneva Tieste, Giocasta, Didone, Medea, Ifigen
volle ripetersi in Ferrara nel palazzo del Duca, tal fu il concorso,
che
non potè recitarsi. Questa frequenza delle rappre
hè in essa può ravvisarsi il primo esempio di una tragedia cittadina,
che
i nostri scrittori nè seguirono nè pregiarono, e
gedia cittadina, che i nostri scrittori nè seguirono nè pregiarono, e
che
poscia gl’ Inglesi, i Francesi e i Tedeschi hanno
i, i Francesi e i Tedeschi hanno tanto nel nostro secolo coltivata, e
che
ha trovato un apologista nel Signor Ab. Andres 92
Modena, la quale non contiene argomento greco ma nazionale. Si crede
che
ne componesse sino a venti, tralle quali una del
di Meleagro, la quale (dice il Manfredi nelle sue lettere) mi diceste
che
sarebbe l’idea della tragedia Toscana 93. Sappiam
arebbe l’idea della tragedia Toscana 93. Sappiamo dal Cav. Tiraboschi
che
il Cavallerino tradusse anche il Cristo paziente
a del più bel soggetto dell’antichità, cioè del Cresfonte di Euripide
che
il tempo ci ha invidiato. Il Cavallerino ha la gl
e la fede data all’amico Germondo nell’effettuare con Alvida le nozze
che
avea contratte solo in apparenza; ma conosciutala
, cagiona la morte di Alvida col narrargliele, e si ammazza. L’errore
che
dà motivo a tanti disastri (ottimamente affermò i
do un carattere compiutamente tragico e degno della perfetta tragedia
che
va felicemente al vero suo fine di purgar con dil
li, non fu mosso nè dalla tragica maestà dello stile, nè dal patetico
che
regna nel Torrismondo. Egli che tralle altre preg
a maestà dello stile, nè dal patetico che regna nel Torrismondo. Egli
che
tralle altre pregiudicate sue opinioni pose in un
opinioni pose in un fascio i tragici Italiani e gli Spagnuoli, asserì
che
il Tasso ed il Trissino aveano la testa stravolta
ì che il Tasso ed il Trissino aveano la testa stravolta da’ romanzi e
che
perciò non poterono arrivare al carattere di Sofo
ito il torto manifesto di quel gesuita, ed appuntino l’opposto di ciò
che
egli afferma, cioè in vece di una testa guasta da
de’ bassi tempi. Ma Rapin dovea dimostrare prima di ogni altra cosa,
che
ne’ tempi della cavalleria non potevano regnare n
pin non si è mai pensato a sostenere contro i nostri poeti romanzieri
che
i costumi della cavalleria errante fossero improp
lleria errante fossero improprj per le gran passioni. Solo si è detto
che
hanno essi abusato del maraviglioso con tanti vol
i stessi di que’ tempi come incompatibili col carattere tragico. Egli
che
tanto affettava d’insistere sull’osservanza delle
Aristotile, in quale aforismo di quel grande osservatore avea appreso
che
il carattere tragico consista nella modificazione
ificazione de’ costumi e non già nella qualità delle passioni? di più
che
le gran passioni umane appartengano più ad un tem
sioni? di più che le gran passioni umane appartengano più ad un tempo
che
ad un altro? E quando pure ciò fosse, per qual ca
delle perturbazioni più robuste? Io non so come non vedesse egli quel
che
tanti altri, anche suoi compatriotti, osservarono
egli quel che tanti altri, anche suoi compatriotti, osservarono, cioè
che
l’epoca de’ duelli, delle giostre, de’ beni della
i, de’ Tesei e degli Achilli puntigliosi. Che se, in vece di un Edipo
che
per timore di un oracolo si esiglia volontariamen
e invano le minacciate nozze incestuose, s’introduce un principe Goto
che
per servire all’amicizia si presta a sposare appa
gravità tragica? La censura del Rapin appoggia in falso. L’altra cosa
che
non seppe veder questo critico Francese, è che i
in falso. L’altra cosa che non seppe veder questo critico Francese, è
che
i costumi dell’età in cui s’immagina che abbia do
r questo critico Francese, è che i costumi dell’età in cui s’immagina
che
abbia dominato nella Gozia questo Torrismondo, ri
ell’erudito benchè infelicissimo verseggiatore Chapelain) sono storie
che
rappresentano i costumi Europei di que’ tempi? Ma
) sono storie che rappresentano i costumi Europei di que’ tempi? Ma a
che
mentovare i romanzi, quando la storia di quella b
rimo de’ quali, secondo Bastiano Munster 94, si tenne nel 938? Allora
che
Rapin andava criticando l’Ariosto, il Trissino ed
nel 1272, nella quale dal principe di Châlons fu disfidato Eduardo I
che
dalla Sicilia tornava in Inghilterra? Non pensò a
l cavaliere Ribaumont nell’assedio di Calais? Non all’eroine militari
che
v’ intervennero celebrate dallo storico e filosof
e, la contessa di Montfort, quella di Blois e la regina d’Inghilterra
che
marciò in Iscozia alla testa di un esercito contr
frequentissime, specialmente in Francia, nel secolo XV? Non fu allora
che
con buon senno disse un inviato della Porta che a
olo XV? Non fu allora che con buon senno disse un inviato della Porta
che
assisteva ad una giostra, per un vero combattimen
pin il famoso combattimento de’ tredici Italiani con tredici Francesi
che
rimasero vinti ed uccisi con tanta gloria del val
uello del barone di Jarnac col favorito di Errico II la Chateigneraie
che
vi fu ferito a morte? in fine la disgrazia del me
mpo in cui fu composto il Torrismondo? Ora se la tragedia di Torquato
che
con tanta energia dipigne le passioni generali e
ali e comuni a tutti i tempi, quanto ai costumi ritrae al vivo quelli
che
regnavano in Europa e che più si avvicinavano all
pi, quanto ai costumi ritrae al vivo quelli che regnavano in Europa e
che
più si avvicinavano alle idee famigliari a quelli
ano in Europa e che più si avvicinavano alle idee famigliari a quelli
che
viveano nel tempo stesso dell’autore, chi non ved
e oscurar la gloria con un suo magistrale, quid habet Torrismundus? e
che
pregio ha mai cotesto Torrismondo. Che pregio egl
pregio ha mai cotesto Torrismondo. Che pregio egli dice? Ecco quello
che
a me sembra che abbia di eccellente. Un carattere
otesto Torrismondo. Che pregio egli dice? Ecco quello che a me sembra
che
abbia di eccellente. Un carattere tragico scelto
una nobile, elegante e maestosa gravità di stile: un patetico vivace
che
empie, interessa, intenerisce, commuove ed eccita
piacere delle lagrime. Sono forse moltissime le tragedie più moderne
che
possono vantarsi d’altrettanto? Ne presentiamo qu
e che possono vantarsi d’altrettanto? Ne presentiamo qualche squarcio
che
ci sembra degno degli sguardi di un leggitore imp
iale e sensibile. Veggasi in prima l’eleganza, l’ energia e la verità
che
campeggia nella descrizione delle notturne inquie
si con qual tragica gravità ella esprima la delicatezza e sensibilità
che
avviva tutti i di lei concetti: Madre, io pur
rifiuto ingiusto; E fia di peggio. E Torrismondo è questi, Questi
che
mi discaccia, anzi m’ancide, Questi ch’ebbe di
hernita? Vivrò con tanto scorno? Ancora indugio? Ancor pavento? e
che
? la morte, o ’l tardo Morire? et amo ancor? anc
na il pianto? Che fan questi sospir? timida mano, Timidissimo cor
che
pure agogni? Mancano l’arme all’ira, o l’ira al
Alvida moribonda e di Torrismondo addolorato. Ecco parte del racconto
che
se ne fa: . . . . . . . . Il re trovolla Pall
volla Pallida, esangue, onde le disse, Alvida, Alvida, anima mia,
che
odo, ahi lasso! Che veggio? ahi qual pensiero,
avosa Ella rispose con languida voce: Dunque viver dovea d’altrui
che
vostra, E da voi rifiutata? . . . . . . Torri
hiara luce Nel fior degli anni, e rispondea gemendo: In quel modo
che
lece io sarò vostra Quanto meco durar potrà que
meco durar potrà quest’alma, E poi vostra morrommi. Spiacemi sol
che
il morir mio vi turbi, E v’apporti cagion d’ama
è l’estremo spirto Ne la bocca di lui spirava, e disse: O mio più
che
fratello, e più che amato, Esser questo non può
Ne la bocca di lui spirava, e disse: O mio più che fratello, e più
che
amato, Esser questo non può, che morte adombra
e: O mio più che fratello, e più che amato, Esser questo non può,
che
morte adombra Già le mie luci. Da poi ch’ella
or di Euripide ne’ riferiti tratti naturali, patetici e veri a segno
che
con ogni picciolo cambiamento si guasterebbero; p
lo cambiamento si guasterebbero; per non commuoversi nel leggerli (or
che
sarebbe rappresentandosi!); per resistere in somm
rappresentandosi!); per resistere in somma alle potenti perturbazioni
che
risvegliano, bisogna avere l’anima preoccupata o
Sante, o l’ignoranza del Carlencas, o la stupidità de’ nostri scioli
che
affettano nausea per tutto ciò che non è Francese
, o la stupidità de’ nostri scioli che affettano nausea per tutto ciò
che
non è Francese. Io non sono cieco ammiratore di q
se. Io non sono cieco ammiratore di questa buona tragedia di tal modo
che
non mi avvegga di varie cose che oggidì nuocerebb
di questa buona tragedia di tal modo che non mi avvegga di varie cose
che
oggidì nuocerebbero alla rappresentazione. Non si
ebbe ne’ fatti precedenti il bosco e l’antro delle ninfe incantatrici
che
servono di base al cambio di Rosmonda e d’Alvida.
morosi per indurre la figliuola a maritarsi; della minuta numerazione
che
fa Torrismondo de’ giuochi da prepararsi per la v
III, Dal freddo carro muover prima vedrem ecc. Si bramerebbe in oltre
che
in certi passi lo stile non s’indebolisse. Tali c
conseguenza nulla pregiudicano alla sostanza ed al merito intrinseco
che
vi si scorge; ma vero è però che spogliato di tal
lla sostanza ed al merito intrinseco che vi si scorge; ma vero è però
che
spogliato di tali frondi spiccherebbe meglio la v
dia non tardò molto ad essere conosciuta in Francia per la traduzione
che
ne fece Carlo Vion Parigino signor di Delibrai, c
per la traduzione che ne fece Carlo Vion Parigino signor di Delibrai,
che
si stampò in Parigi nel 1626, e si ristampò nel 1
ta con pace del Linguet) il Torrismondo una delle produzioni Italiane
che
diedero a’ Francesi le prime idee delle bellezze
Il Vicentino Giambatista Liviera d’anni diciotto ebbe tanto di gusto
che
potè comprendere la bellezza dell’argomento del C
ell’argomento del Cresfonte di Euripide, e ne compose la sua tragedia
che
col medesimo titolo s’impresse in Padova nel 1588
felicità. In età assai giovanile compose in versi sdruccioli l’Altea
che
s’impresse nel 1556, e la Polissena, della quale
se di poi l’Astianatte in miglior metro stampato in Venezia nel 1589,
che
nel nostro secolo s’inserì dal Maffei nel Teatro
ojani, tutto trovasi ammassato nell’atto I fatto da Giunone ed Iride,
che
è insieme prologo e parte dell’azione. Risparmiar
di Seneca nel bellissimo atto III delle Troadi, ma col miglioramento
che
l’azione è una, restringendosi alla sola morte d’
ior naturalezza, e forse con robustezza minore. Ma bisogna confessare
che
nell’atto IV l’Italiano rimane ben al di sotto de
n al di sotto del Latino. Lascio i tre versi d’Andromaca in occasione
che
il vecchio vuole imbrattare di sangue i cenci di
tata; puerilità priva di gusto, di verità e di passione. Ma quello
che
più importa è che tutta la vaga scena di Seneca v
priva di gusto, di verità e di passione. Ma quello che più importa è
che
tutta la vaga scena di Seneca vi si vede malconci
romaca nella tragedia latina dissimulando e piangendo con Ulisse dice
che
il figliuolo è morto. Nell’italiana Ulisse dice a
e dice che il figliuolo è morto. Nell’italiana Ulisse dice alla prima
che
cerca Astianatte per menarlo ad essere sacrificat
d essere sacrificato, ed Andromaca atterrita esclama subito, Oimè!
che
religion crudele è questa? Che gran male hai tu
questo, e vi minaccia questo? Queste sono esclamazioni imprudenti
che
contro al disegno di Andromaca debbono far conchi
ro al disegno di Andromaca debbono far conchiudere all’astuto Ulisse,
che
Astianatte è vivo. Per la stessa ragione non dove
stianatte è vivo. Per la stessa ragione non doveasi appresso far dire
che
egli si è perduto, e che non si sa dove sia; ma c
stessa ragione non doveasi appresso far dire che egli si è perduto, e
che
non si sa dove sia; ma col tragico latino dirsi a
V, non posso tralasciare di esaltare il giudizio di Torquato per ciò
che
soggiungo omesso nell’esame del Torrismondo. Egli
moderno, fa raccontare il suicidio di Alvida e Torrismondo a persone
che
non vi hanno il principale interesse. E come avre
ni della di lui famiglia abitarono ancora in Ravenna. Questa tragedia
che
s’ impresse in Bergamo per Comin Ventura in quart
quenza, colla franchezza del dire, e col giro e spezzatura del verso,
che
quel luogo che tiene l’ Edipo per l’orditura, la
ranchezza del dire, e col giro e spezzatura del verso, che quel luogo
che
tiene l’ Edipo per l’orditura, la Sofonisba per l
ssi. La notizia di questo secreto nodo mette la regina in tal furore,
che
medita la strage di Dirce e de’ figliuoli e l’ese
e e de’ figliuoli e l’eseguisce in un sotterraneo. All’ avviso fatale
che
ne riceve Nino, s’accoppia lo scovrirsi Dirce per
rce per sua sorella. L’orrore e la disperazione lo perturbano a segno
che
novello Oreste diventa matricida, indi trafigge s
iramide, facendo le due prime scene dell’atto I, preparano al terrore
che
indi spazia per la reggia di Babilonia. Non è un
quanto ha disposto di Nino e di Dirce. Imposi (ella dice) a Simandio
che
dicesse A Nino ch’egli omai fosse disposto A
omai fosse disposto A meco unirsi in matrimonio, e ch’oggi Voglio
che
insiem celebriam le nozze, E che a questo non s
in matrimonio, e ch’oggi Voglio che insiem celebriam le nozze, E
che
a questo non sia risposta o scusa. A Dirce diss
culta, Ch’oggi sposa sarai di tal marito, Che a me grado n’avrai
che
tel destino. Prevede Imetra le vicine funeste
guisa muoverla per l’ambizione e per la gloria: Ma tu, Semiramis,
che
in tutto il mondo Di gloria avanzi ogni famoso
che in tutto il mondo Di gloria avanzi ogni famoso eroe ..... Tu
che
figlia di dea ti chiami e sei, E dea sembri neg
li atti e nel sembiante, Se la tua gloria gira al par del Sole, A
che
cerchi oscurarla? a che defraudi La fama? a che
Se la tua gloria gira al par del Sole, A che cerchi oscurarla? a
che
defraudi La fama? a che le tronchi i più bei va
l par del Sole, A che cerchi oscurarla? a che defraudi La fama? a
che
le tronchi i più bei vanni? Qual dio, qual legg
La fama? a che le tronchi i più bei vanni? Qual dio, qual legge è
che
consenta al figlio Farsi consorte de la madre,
nipote e figlio? Tutta traspare la feroce Semiramide nello sdegno
che
manifesta a tale ardito discorso. Non è ella una
gno che manifesta a tale ardito discorso. Non è ella una timida Fedra
che
ama insieme e paventa la vergogna di palesar l’am
ezza agli eccessi nè più ravvisandone l’orrore, afferma con baldanza,
che
la ragione di stato soltanto la determina a siffa
e leggi risponde, Quanto alle leggi, ogni dì nascon leggi; Ed io
che
posso, e mi conviene il farlo, Una faronne che
ascon leggi; Ed io che posso, e mi conviene il farlo, Una faronne
che
da ora innanzi Lecito sia al figliuol sposar la
metra; la regina non cangia parere, e la spinge a Dirce. Riflette poi
che
Imetra debbe aver qualche secreto nel cuore contr
Dirce, a lei, a Nino istesso, a quanti Colpa n’avranno, io mostrerò
che
importi Il macchinar contro il voler di donna
teressantissimo l’ abboccamento di Dirce oppressa dal dolore con Nino
che
cerca consolarla. E ciò avremmo desiderato che il
sa dal dolore con Nino che cerca consolarla. E ciò avremmo desiderato
che
il Signor di Calepio avesse allegato per uno degl
avola ingegnosa. E’ notabile nella scena quarta dell’atto II l’orrore
che
protesta di aver Nino per l’incesto, nel che si m
ta dell’atto II l’orrore che protesta di aver Nino per l’incesto, nel
che
si mette sempre più in vista il tragico contrasto
lui disperazione per lo scioglimento. Nel medesimo atto si è disposto
che
Simandio vada francamente a scoprire alla regina
e con somma tranquillità ed allegrezza; ma nell’equivoche espressioni
che
adopra, fa trasparire da lontano la perversità de
etico. Udito in fine l’ ammazzamento di Dirce Nino freme, non respira
che
vendetta, minaccia la madre, invano volendo Siman
e, invano volendo Simandio e Beleso farlo accorto della scelleraggine
che
vuol commettere. Egli va pur risoluto. Ma nell’at
dell’uno atto e dell’altro. Il suo furore ha una specie di riposo. Or
che
ha egli fatto frattanto? Ha forse combattuto tral
come Anaferne si è sommerso nell’Eufrate, e la regina ha manifestato
che
Dirce era sua figlia. Ella ha sperato che tolta D
e la regina ha manifestato che Dirce era sua figlia. Ella ha sperato
che
tolta Dirce di mezzo, non rimanga altro ostacolo
e tolta Dirce di mezzo, non rimanga altro ostacolo da vincere in Nino
che
quello del peccato; ma saprà Nino (ella dice per
e sorella sua. Qual orrore non cagiona sì tremenda notizia a Nino
che
ha sempre manifestato spavento particolare per l’
ento particolare per l’incesto! Egli in prima va ripetendo le ragioni
che
accreditano la verità di tal notizia. A che (dic’
a va ripetendo le ragioni che accreditano la verità di tal notizia. A
che
(dic’egli) avrebbe ella Chiamata Dirce da sua
sì l’avria liberamente Ad Anaferne, non l’essendo figlia? Ma quel
che
importa più, l’Armenia in dote? Non si dan regn
Oltra di ciò facea ridendo un atto 99, Che la regina il fa sempre
che
ride: Nè il vidi mai che non scemasse molto I
do un atto 99, Che la regina il fa sempre che ride: Nè il vidi mai
che
non scemasse molto Il piacer ch’io prendea d’es
o il linguaggio di un dolor disperato, seguendo il Tasso anche in ciò
che
in lui si riprende, fa rivolgerlo a parlare al lu
a: lascia pur ch’io mora .... Sai ch’anzi eleggeva Il parricido
che
l’incesto, e vuoi Ch’or viva incestuoso e parri
e vuoi Ch’or viva incestuoso e parricida? Tu non m’ami sel vuoi:
che
se per questo Morta è mia madre, i miei figliuo
Singhiozzò, chiuse gli occhi e spirò l’ alma. Bisogna confessare
che
questa Semiramide per uguaglianza, nobiltà e gran
vano in traccia di mostrarsi poeti quando meno abbisognava, può dirsi
che
Muzio ne sia stato esente. Invano la censurò il s
dell’invidia e della pedanteria; e se in vece di criticarla i pedanti
che
sono alle lettere quel ch’è la ruggine al ferro,
re quel ch’è la ruggine al ferro, si fossero dedicati a rilevarne ciò
che
avea di migliore per additarlo alla gioventù, for
erà dove si ami la poesia tragica? E chi potrà dubitarne? Certo niuno
che
l’abbia letta, che comprenda il vero merito d’un
poesia tragica? E chi potrà dubitarne? Certo niuno che l’abbia letta,
che
comprenda il vero merito d’un componimento tragic
abbia letta, che comprenda il vero merito d’un componimento tragico e
che
non abbia un interesse contrario alla verità101.
e che non abbia un interesse contrario alla verità101. Notisi ancora
che
il Manfredi è stato il primo in Europa a mostrare
lenza vigore ed eloquenza scolpiti i caratteri e animate le passioni,
che
ha invitati i posteri a contar la Semiramide trag
i posteri a contar la Semiramide tragli argomenti teatrali. Quindi è
che
il Capitano Virues e Don Pedro Calderon de la Bar
erminati piuttosto dalla tragedia del Manfredi abbigliata alla greca,
che
da’ gotici drammi del Virues e del Calderon. Al M
zzata a Gabriello Bambasi altro Parmigiano accademico Innominato dice
che
pubblichi le sue tragedie la Lucrezia e l’Alidoro
. In fine nella 346 scritta al Signor Muzio Sforza a Venezia desidera
che
gli si mandi un esemplare della traduzione di Gir
o Segni, e le Fenicie di Euripide recata in latino da Pietro Vettori,
che
con altre di lui produzioni pur manoscritte si tr
leggitori alle drammaturgie, all’opera del Quadrio ed a qualche altro
che
si ha presa la cura di spolverarli nelle bibliote
ti del medesimo periodo. Tra essi possono togliersi dalla folla i due
che
soggiungo perchè ridotti alle leggi della vera tr
rgagli pubblicato in Venezia nel 1600. Il nome di Giammaria Cecchi fa
che
rammentiamo ancora l’Esaltazione della Croce di l
esso il Martelli nel 1592. Alcune tragedie Cristiane perdute si vuole
che
scrivesse ancora il Benedettino Mantovano Teofilo
rtifizio in due grossi volumi di Lezioni sulla Poetica di Aristotile,
che
trovansi manoscritti nella Ducal Biblioteca di Pa
a morte dell’autore. Ma la Merope s’impresse prima del 1591, per quel
che
ne scrisse il prelodato Manfredi a’ 18 di gennajo
l prelodato Manfredi a’ 18 di gennajo di quest’anno: Ora (egli disse)
che
il Signor Conte Pomponio Torelli vi ha fatta la s
nti 19 e 20. Noto n’è l’argomento e i punti interessanti dell’azione,
che
debbonsi al greco inventore; ma la regolarità, l’
vi si disviluppa il di lui tirannico sistema e la ragion della forza
che
giustifica le scelleraggini. Ecco in qual guisa a
ta contro del Capitano della sua guardia: Le leggi e ’l giusto, di
che
tanto parli, E per parlarne assai poco ne inten
le fanno, Ch’essi all’opera lor fosser soggetti. Ma quella legge
che
in diamante saldo Scrisse di propria man l’alma
ano i potenti, A questa sola ogni gran re s’inchina. Ella comanda
che
colui prevaglia Che di genti, di forza, e di co
o, Di stato e di ricchezze gli altri avanzi. Che mal si converria
che
un uom sì degno Obedisse a chi men di lui potes
n uom sì degno Obedisse a chi men di lui potesse ecc. Di maniera
che
l’ingiustizia mai non trascura di prevalersi a su
ere verisimile l’ardito colpo di Telefonte. Per ordine del tiranno fa
che
i satelliti rimangansi all’entrata del tempio, e
e del tiranno fa che i satelliti rimangansi all’entrata del tempio, e
che
Gabria nel darne e farne eseguir gli ordini vada
cenna: ei la bipenne Alzando, disse; o sommo Giove, prendi Questo
che
per mio scampo t’offerisco. Ciò detto a Polifon
endi Questo che per mio scampo t’offerisco. Ciò detto a Polifonte
che
rivolto Mirava fiso la regina nostra, Con imp
edele amante: se tutto ciò, dico, non contrastasse con tanti pregi
che
ha, potrebbe questo componimento contarsi fra gli
o componimento contarsi fra gli eccellenti. Ma quanto al metodo greco
che
vi si tiene, ed al coro continuo che spesso nuoce
lenti. Ma quanto al metodo greco che vi si tiene, ed al coro continuo
che
spesso nuoce a’ secreti importanti della favola,
le quali per altro debbono esserci care essendo nel numero di quelle
che
si allontanano dagli argomenti greci, e dipingono
per tante città, quando il rimanente dell’Europa altro quasi non avea
che
mostruose farse in lingue tuttavia rozze e e barb
arre talora con più recenti colori le bellezze de’ greci esemplari? E
che
pedanteria ed affettazione transalpina è quella d
moderni si sarebbero inoltrati sino all’odierna delicatezza di gusto
che
rende ingiusti ed altieri ancor certuni che non s
erna delicatezza di gusto che rende ingiusti ed altieri ancor certuni
che
non saprebbero schiccherare una sola meschina sce
or certuni che non saprebbero schiccherare una sola meschina scena, e
che
pur sono i più baldanzosi a regger giustizia e a
ecevoir un joug qui paraissoit si sévére? Non dovea sovvenirsi di ciò
che
fecero gl’ Italiani un secolo e mezzo prima di Co
duttor delle regole tra’ Francesi? Non pensò, ciò scrivendo, a quello
che
erano nel XVI secolo nella drammatica i suoi nazi
a drammatica i suoi nazionali (Nota XIII)? Conviene intanto osservare
che
i soprallodati ingegni Italiani, benchè per far r
gliarono quasi totalmente di quella musica, qualunque ella sia stata,
che
in Grecia l’ accompagnò costantemente. Si content
’intero spettacolo di quella nazione con tutte le circostanze locali,
che
a’ nostri parvero troppo aliene da’ tempi e da’ p
le loro penne. Ma per essere stata spogliata della musica dovea dirsi
che
la tragedia moderna non sia tale? E pure anche qu
ei ornamento del paese ammaestrato da Pitagora. Questa (egli dice104)
che
noi ora chiamiamo tragedia, è una invenzione de’
venzione de’ moderni ignota del tutto agli antichi. Crede egli dunque
che
il canto esclusivamente la costituisca tragedia?
Con sua buona pace egli s’ inganna. Dessa è tale per l’azione grande
che
interessa l’intere nazioni, e non già pochi priva
la giudiziosa diffinizione di Teofrasto), per le passioni fortissime
che
cagionano disastri e pericoli grandi, e pe’ carat
sopra della vita comune. Per tali cose essenziali le greche tragedie
che
noi leggiamò, si chiamano così, e non già perchè
ide e Sofocle non sono meno tragici nella lettura e nella nuda recita
che
in una rappresentazione cantata. Ora i nostri imi
e cantata. Ora i nostri imitarono la tragedia greca appunto in quello
che
ne costituisce l’essenza; mostrando con ciò maggi
ello che ne costituisce l’essenza; mostrando con ciò maggior saviezza
che
non volea dargliene il Signor Mattei, il quale os
ci tragici) lavorare le loro tragedie all’uso de’ Greci, senza sapere
che
fossero le Greche tragedie. Un Tasso! Un Trissino
die. Un Tasso! Un Trissino! uno Speroni! E sa il Signor Mattei quello
che
dice egli stesso? Ma come non seppero essi che co
l Signor Mattei quello che dice egli stesso? Ma come non seppero essi
che
cosa fossero le greche tragedie? Non furono i pri
furono i primi nostri scrittori, specialmente del cinquecento, quelli
che
mostrarono all’Europa l’erudizione del greco teat
’Europa l’erudizione del greco teatro? Non insegnarono essi tutto ciò
che
poi si è ripetuto in altre e simili guise di là d
ciò che poi si è ripetuto in altre e simili guise di là da’ monti? E
che
si è scoperto di più a’ giorni nostri? Qual nuova
cosa ci ha rivelato la singolare erudizione del Signor Mattei? Forse
che
la tragedia e la commedia greca si cantava? Ma qu
iate si è ciò ripetuto a sazietà intorno a tre o quattro secoli prima
che
nascesse il Signor Don Saverio! III. Teatri m
fondatamente per tutte le sue parti gl’ Italiani la greca erudizione,
che
seppero allora mettere alla vista fin anche nel t
per una privata, benchè nobile accademia, e per la città di Vicenza,
che
non è delle maggiori d’Italia, il possedere un te
aver veduto dentro il recinto delle sue muraglie nascere un Trissino,
che
mostrò all’Europa il sentiero della vera tragedia
gloria de’ Vicentini. Non è così ben tenuto il teatrino di Sabbioneta
che
pure sussiste; ma è parimente di forma antica e b
eretto questo teatro dall’istesso Vespasiano Gonzaga Duca di Traetto,
che
fabbricò Sabbioneta, uomo dottissimo e fautore de
a si costruì ancora un teatro nel 1579; e il famoso cieco Luigi Groto
che
ivi sortì i natali, compose per tal teatro una de
a Alfonso da Este fece innalzare un teatro stabile secondo il disegno
che
ne diede l’immortale Ludovico Ariosto. Ma di ques
74. Vedi l’epistola 35 del libro XXIII di Erasmo, il quale però parmi
che
lo chiami Pietro; ma Giano Parrasio che lo commen
i Erasmo, il quale però parmi che lo chiami Pietro; ma Giano Parrasio
che
lo commenda assai, e lo considera come il restaur
nza del teatro, e Paolo Giovio, e Pierio Valeriano, e Leandro Alberti
che
lo conobbe in Roma, tutti lo chiamano Tommaso. 7
ssinoche nelle sue Lezioni biasimava la locuzione della Sofonisba (di
che
veggasi il citato art. Vù del Discorso Stor. Crit
Paragone della tragica poesia nel capo IV, art. II. 90. Nel discorso
che
fa la Tragedia impresso dopo l’Orbecche. 91. Ved
l discorso che fa la Tragedia impresso dopo l’Orbecche. 91. Vedi ciò
che
ne dice il Conte Calepio nell’articolo V del capo
edita, e ne fu corretto dal Signore Zeno. L’istesso Fontanini e colui
che
aumentò la Drammaturgia dell’Allacci continuandol
altra tragedia del Leonico la Daria, ma il lodato Zeno avverte ancora
che
Daria è un personaggio principale della tragedia
a che Daria è un personaggio principale della tragedia del Soldato, e
che
la Daria, e ’l Soldato sono una sola tragedia. 9
i si perderebbe a confutare un superficiale scarabocchiatore di carta
che
parla de’ Greci e de’ Latini come un assonnato, e
iatore di carta che parla de’ Greci e de’ Latini come un assonnato, e
che
del teatro Italiano altre notizie confessò di non
mam in re litteraria sibi vindicare possint. 97. Si vuol riflettere
che
il Tasso medesimo non era appieno contento della
sua tragedia e vi andava facendo di mano in mano giunte e correzioni
che
poì spedì a Bergamo in due fogli a Licino. L’accu
na lettera del Tasso a Licino ed un’ altra al Signor Cristofano Tasso
che
trovansi nel vol. IX delle di lui Opere, l’ una a
n lagrimoso rivo In un languido oimè proruppe, e disse. 101. E
che
mai spinse il Signor Andres ad affermare con tant
d affermare con tanta franchezza de’ drammi Italiani del cinquecento,
che
la freddezza e la lentezza dell’azione or ne rend
zza e la lentezza dell’azione or ne rendono stucchevole la lettura, e
che
affatto intollerabile ne renderebbero la rapprese
di essi qualche esperienza per affermare senza sospetto di leggerezza
che
ne sarebbe intollerabile la rappresentazione? Vid
Signor Andres, ovvero gli ha voluto dissimulare? Sarebbe a desiderare
che
la bell’ opera di questo Spagnuolo erudito sopra
pe Ruggeri, ora con Francesco Augusto Bon e Paolo Baldigara. Si vuole
che
, stando al fianco di Francesco Bon, artista insup
tanza nello studio non mai attenuata, vi riuscisse così mirabilmente,
che
parve a tutti, se non uguagliare il maestro, a lu
e Angiolini [una macia di veneto (?)] recasse, come bomba, l’annunzio
che
tutta la condotta era sotto sequestro. S’alzò un
nzato in età, dovè darsi a’caratteristi, in cui non fece quelle prove
che
sperò. Inquieto, stravagante, violento, tanto si
ò. Inquieto, stravagante, violento, tanto si risentì dell’insuccesso,
che
a Milano, mentre si trovava nella Compagnia di An
La Fondazione et origine, ecc. ecc., dedicata al Conte Ercole Pepoli,
che
consta di 13 pagine di stampa, compreso il fronte
, in occasione di dover recitare a Bologna nel carnevale del 1611…. e
che
qui io pubblico intero, assieme alla riproduzione
Bartolomeo (Ranieri ?). In fatto l’ingegno, il giuditio, il sale
che
sta riposto in questa guardarobba di scienze, in
ma volat ; la quale non sa spifferare dalla sua sonora sampogna altro
che
le lodi di questo Dottore, Plusquamdottore, Archi
ttore, Archimandritta di tutti i Dottori. In somma dice, e dice bene,
che
melius est nomen bonus, quam divitias multas ; og
forza a dispensargli parte della mia dotta dottoraggine ; di maniera,
che
spesso spesso son forzato di desiderare, ò che tu
oraggine ; di maniera, che spesso spesso son forzato di desiderare, ò
che
tutti i Dottori ne sappiano quanto Spacca, ò che
ato di desiderare, ò che tutti i Dottori ne sappiano quanto Spacca, ò
che
Spacca non ne sappia tanto, per non hauer del con
porta ; apro, e veggo Mercurio co gli stivali in piedi, tutto sudato,
che
per hauer troppo corso, non poteua quasi rihauere
i rihauere il fiato ; lo fò passare, lo fò sedere, e gli domando quel
che
voglia dal fatto mio ; egli affannato mi dice. Gl
però hanno bisogno della presenza vostra ; Io galantamente rispondo,
che
per fargli seruitio sono in ordine, lui di posta
, quei Barbassori si sarebbon date tante le maledette pugna nel naso,
che
sarebbe piouuto mostarda per otto giorni, e la sp
nt’huomo in tanta lite. Non prima mi fui posto nel Soglio giudicesco,
che
tutti in truppa, come tanti Zingari, cominciarono
mato ; e perchè si legge (non mi ricordo doue, à carte non sò quante,
che
vbi non est ordinem, ibi est confusionem) cominci
est confusionem) cominciando da’ più degni, chiamo il primo Saturno,
che
venga à espormi la sua pretensione. Vien M. Satur
, me n’andai vn gran pezzo ramingo pe ’l mondo, & il primo luogo,
che
mi paresse sicuro per habitarui, fù alle sponde d
luogo, che mi paresse sicuro per habitarui, fù alle sponde del fiume,
che
hora si chiama Reno ; Quiui feci fabricare una Ci
luogo felice ; e perche gli abitatori di quella mi chiamauano Rè, io
che
sapevo d’essere stato scacciato dal Regno, rispon
ato scacciato dal Regno, rispondeuo Re nò, Re nò ; e di qui il fiume,
che
passa per la città di Felsina, fù dipoi sempre no
sai per doue oggi è Bologna, & alloggiato da vn mio pouero amico,
che
staua in una piccola casetta su la riva del Reno,
per ricompensa, facendone Signore quel mio ospite ; & in memoria,
che
sotto forma di Toro, o Boue haueuo goduto la donn
uto la donna amata, nominai la nuova Città Bononia, dalle parole Bos,
che
vuol dir Bue, Non, che significa non, & Jam,
inai la nuova Città Bononia, dalle parole Bos, che vuol dir Bue, Non,
che
significa non, & Jam, che s’espone già ; cioè
alle parole Bos, che vuol dir Bue, Non, che significa non, & Jam,
che
s’espone già ; cioè Bos non jam ; per mostrare, c
a non, & Jam, che s’espone già ; cioè Bos non jam ; per mostrare,
che
non era già vn Bue, ma Gioue quello che portò via
è Bos non jam ; per mostrare, che non era già vn Bue, ma Gioue quello
che
portò via Europa. Harei dato la sentenza in fauor
ntenza in fauore al padre Gioue, se non hauessi veduto Mastro Apollo.
che
già haueua la bocca aperta per dire il fatto suo
erta per dire il fatto suo ; però fattolo accostare, gli diedi cenno,
che
parlasse ; Egli con la testa rossa per la collera
i cenno, che parlasse ; Egli con la testa rossa per la collera, disse
che
quello, che era opera manarum suorom, quegli altr
parlasse ; Egli con la testa rossa per la collera, disse che quello,
che
era opera manarum suorom, quegli altri babbuassi
om, quegli altri babbuassi se lo voleuano attribuire a sè stessi ; ma
che
la vera verità era, che egli già innamorato morto
si se lo voleuano attribuire a sè stessi ; ma che la vera verità era,
che
egli già innamorato morto della Ninfa Dafne, non
di pigliarla per forza, e contrar seco legitimo adulterio ; la Ninfa,
che
era furba, auuedutasi della ragìa, à gambe fratel
uedutasi della ragìa, à gambe fratello, e lui dietro ; corsero tanto,
che
arriuarono alle sponde del fiume Reno in Toscana,
fabricare in quel luogo vna Città, e la chiamò Felsina, dalle parole,
che
seguitando Dafne diceua, fel sinas, fel sinas ; c
sinas, fel sinas ; cioè, o Ninfa, sinas, lascia, dal verbo sinos, is,
che
stà per lasciare, e fel, che vuol dire fiele, e s
nfa, sinas, lascia, dal verbo sinos, is, che stà per lasciare, e fel,
che
vuol dire fiele, e si piglia per l’amarezza, e cr
ne voglia di piantargli in mano vn tu hai ragione tanto lungo, se non
che
Marte imbizarrito senza esser chiamato si fece in
zi, e disse : Potta di Giuda, ch’io non vo bestemmiare ; è possibile,
che
voi siate tanto sfacciata canaglia, che mi voglia
vo bestemmiare ; è possibile, che voi siate tanto sfacciata canaglia,
che
mi vogliate leuar la gloria delle mie fatiche ? I
lle mie fatiche ? Io hò fabricato Bologna di mia mano, e molto prima,
che
impregnando Rea dessi cagione all’origine di Roma
zze, quando io spasimauo per Venere, e lei in amarmi non era un’ oca,
che
quel becco cornuto di Vulcano voleua far del ritr
nel portar Venere di Cielo in terra. È vero (soggiunse allor Venere)
che
voi ò Marte faceste quella Città, ma la faceste d
mia commissione ; e però io debbo esserne detta la fondatrice ; oltre
che
il nome lo prese da me, e non da voi (come falsam
me, e non da voi (come falsamente andate dicendo). Io, io fui quella
che
spalancata la mia larga bottega, chiamai quella C
utta dolcezza, e senza alcuna sorte d’amaritudine, dal nome fel, lis,
che
vuol dir fiele, e dalla prepositione sine, che si
ne, dal nome fel, lis, che vuol dir fiele, e dalla prepositione sine,
che
significa senza, quasi Felle sine, senza fiele, s
nifica senza, quasi Felle sine, senza fiele, senza amarezza. Alla fè,
che
questa mi cauò quasi diffatto della brachetta la
i diffatto della brachetta la sentenza à favor suo ; ma ricordandomi,
che
in questa materia giudicevole Tanti causa mali fe
tenni il ritto desiderio col freno della ragione ; e chiamai Pallade,
che
quasi quasi s’era pisciata sotto per la paura dou
o dalla bocca al naso ; Igitur adunque sappia la Dottoraggine vostra,
che
Illa ego qui quondam sbalzata fuor del mazzucco d
trar l’istesso anco co’l nome, la chiamai, non Atene, nò, ma Bononia,
che
vuol dire Città che non ha ignoranti, dal nome Bò
co’l nome, la chiamai, non Atene, nò, ma Bononia, che vuol dire Città
che
non ha ignoranti, dal nome Bò, o Bue, che volgarm
ononia, che vuol dire Città che non ha ignoranti, dal nome Bò, o Bue,
che
volgarmente si piglia per ignorante ; dalla ditti
auatosi il capelletto, e di mio ordine messo in vn canto quel baston,
che
suol portare in mano, fece vna bella, e lunga cic
mano, fece vna bella, e lunga cicalata, mostrando come tutto quello,
che
haueuano ditto gli altri Dei era Alchimia, e non
o ditto gli altri Dei era Alchimia, e non poteua stare a martello ; e
che
lui solo era il pater patriæ Bononiensis ; vedend
martello ; e che lui solo era il pater patriæ Bononiensis ; vedendosi
che
tutti i Bolognesi come figliuoli, e descendenti d
asi Bonus logos, cioè buon parlare, dalla parola Latina bonus, a, um,
che
significa buono, e dalla voce Greca Logos, che vu
a Latina bonus, a, um, che significa buono, e dalla voce Greca Logos,
che
vuol dire il parlare. Ergo (conclue Mercurio), io
in jure, impostogli il debito silentio, così pronuntiò. Si vede bene,
che
siete vn monte d’ignorantoni, & insolentazzi,
ntoni, & insolentazzi, pensando e volendo far credere à gl’altri,
che
vn solo di voi habbia potuto fabricare vna Città
come è Bologna, e dotare i suoi Cittadini di tante gratie, e fauori,
che
gli rendono onorati, & ammirati da tutto il M
urio la vesti d’vn bellissimo drappo di grata, e natural facondia. Il
che
fatto viuo vocis oraculo, gli poneste quel bel no
oraculo, gli poneste quel bel nome Bononia in latino, per dimostrar,
che
Bona omnia in ea sunt, e Bologna in volgare, perc
oè rimbomba, e si fà sentire da lontano. O voletene più bestiazze ? à
che
far tanti romori ? che possiate essere accisi. Ri
ntire da lontano. O voletene più bestiazze ? à che far tanti romori ?
che
possiate essere accisi. Rimasero tutti con vn pal
Alla porta d’ Oriente, me ne rimandarono nel mio studio ; e si vede,
che
dal gran caldo son diuentato vn pò pò nero : Ma ’
si) pregato da’ miei compagni à farui il Prologo d’vna bella Comedia,
che
hanno in animo di recitare, in quel cambio hò vol
a m’ è avvenuto, e quanto in servitio vostro hò operato ; se vi pare,
che
meum labor sit dignum mercedem suam, fate silenti
; se vi pare, che meum labor sit dignum mercedem suam, fate silentio,
che
io per hora altro non chieggo, e voi in tal modo
er hora altro non chieggo, e voi in tal modo confermerete esser vero,
che
in Bologna non ha luogo l’ignoranza, l’ingratitud
bonorum, no, notitia, ni, nimis, a, amabilis. Ma se per lo contrario (
che
non credo) ci denegherete la solita attentione, a
e, anch’ io cantando la Palinodia, a Gentil’ huomini, e virtuosi dirò
che
si sono troppo auari de’ lor beni, e fauori, pur
ale. Siamo pur giunti all’epoca vera, in cui la musica e la danza (
che
tanto diletto recavano ne’ cori teatrali ed in al
musica si conservava nelle chiese, ed accompagnava la danza e i versi
che
ne’ caroselli soleano cantarsi su i carri ed altr
delle pastorali, ed anche i tramezzi delle commedie non meno in versi
che
in prosa. Il favorevole accoglimento fatto alla m
ecie di poesia rappresentativa, la quale avesse certe e proprie leggi
che
la rendessero in varie cose differente dalla trag
dalla pastorale e dalla commedia. Dovè dunque concepirsi di tal modo,
che
le macchine per appagare la vista, l’armonia per
per dilettare l’ udito, il ballo per destare quella grata ammirazione
che
ci tiene piacevolmente sospesi agli armonici, gra
nte colla poesia anima del tutto, non già qualunque o simile a quella
che
si adopera in alcune feste, ma bensì drammatica e
e parole del più erudito filosofo e dell’ uomo del più squisito gusto
che
abbia a’ nostri dì ragionato dell’opera in musica
ttere sul teatro moderno Melpomene accompagnata da tutta quella pompa
che
a’ tempi di Sofocle e di Euripide solea farle cor
cento148. Non si sarebbero mai immaginato i moderni Anfioni teatrali,
che
i primi Cantanti, ovvero istrioni musicali, sieno
di cappella, animato dalla felice unione della musica e della poesia
che
osservò in tante feste e cantate e ne’ cori delle
in quarto, e di note musicali corredato dal medesimo autore. Sia poi
che
il nobile Fiorentino Ottavio Rinuccini (il quale
inseparabile in un componimento eroico e meglio ragionato, ovvero sia
che
le medesime idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dott
e idee del Vecchi a lui ed a’ suoi dotti amici sopravvenissero, senza
che
essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo c
vvenissero, senza che essi nulla sapessero del Modanese: egli è certo
che
il Rinuccini, col consiglio del signor Giacomo Co
ll’Aretusa altro dramma del Rinuccini. Non per tanto osserva il Baile
che
Giacomo Rilli nelle Notizie intorno agli uomini i
che altro squarcio si cantavano, e molto meno a quelle poesie cantate
che
non erano drammatiche, ma unicamente attribuire i
componimenti scenici, ne’ quali sarebbe un delitto contro al genere,
che
la musica si fermasse talvolta dando luogo al nud
a si fermasse talvolta dando luogo al nudo recitare: egli è manifesto
che
l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e ch
: egli è manifesto che l’opera s’inventò nella fine del secolo XVI, e
che
si dee riconoscere come inventore dell’opera buff
a o eroica il Rinuccini, e Giacomo Peri come primo maestro di musica,
che
, secondochè ben disse sin dal 1762 l’Algarotti, c
sogliono rimproverare all’Italia questo genere difettoso a lor parere
che
manda a morir gli eroi cantando e gorgheggiando15
che manda a morir gli eroi cantando e gorgheggiando150. Bisogna dire
che
questi sieno i pretti originali degli eruditos à
s à la violeta dell’ ingegnoso mio amico il signor Cadalso y Valle, e
che
appena leggano pettinandosi alcuni superficiali d
leggano pettinandosi alcuni superficiali dizionarj o fogli periodici
che
si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua
li periodici che si copiano tumultuariamente d’una in altra lingua, e
che
con tali preziosi materiali essi pronunziano con
con tali preziosi materiali essi pronunziano con magistral sicurezza,
che
il canto rende inverisimile le favole drammatiche
i meglio istruiti? Che le antiche tragedie e commedie altro non erano
che
una specie di opera151? Ma bisognerebbe prima d’o
opera151? Ma bisognerebbe prima d’ogni altra cosa far loro intendere
che
cosa fosse fra gli antichi orchestra, timele, mel
e, serrane, e modo Frigio, Ipofrigio, Lidio, delle quali cose è forza
che
non abbiano veruna idea. Diremo che il canto è un
, Lidio, delle quali cose è forza che non abbiano veruna idea. Diremo
che
il canto è una delle molte supposizioni ammesse i
svaporato cervellino mal sosterrebbe il travaglio di analizzar le dee
che
sono concorse alla formazione degli spettacoli te
partito più proprio per la loro capacità, rimandandogli a leggere ciò
che
in tal questione scrisse giudiziosamente M. Dider
aver somministrati a’ Francesi tanti buoni componimenti scenici prima
che
conoscessero Lope de Vega e Guillèn de Castro; pe
almente per l’origine data al moderno melodramma comico ed eroico. Or
che
cosa fecesi in tal secolo oltramonti? 146. Un n
a fecesi in tal secolo oltramonti? 146. Un nostro critico sosteneva
che
la musica è totalmente straniera all’arte poetica
musica è totalmente straniera all’arte poetica. Al contrario io penso
che
la poesia e la musica sieno nate gemelle. L’imita
non recitiamo versi senza una specie di canto, oltre alla musica vera
che
ebbero i nostri madrigali, le ballate, le canzoni
l Saggio sopra l’opera in musica. Egli dei drammi del Rinuccini dice,
che
furono i primi che circa il principio della trasc
era in musica. Egli dei drammi del Rinuccini dice, che furono i primi
che
circa il principio della trascorsa età sieno stat
resentazione posta in musica dallo Zarlino per Errico III in Venezia,
che
uno sbozzo e quasi un preludio dell’opera. 149.
ll’opera. 149. Muratori Perfetta Poesia lib. III. 150. Ne incresce
che
tra’ nominati critici dell’opera vada a mettersi
onia duello, E cantando s’azzuffa e muor cantando. Mi credo però
che
questo nostro insigne letterato voglia biasimare
osse scritta come si conviene, non vi sarebbe maggior disconvenienza,
che
uno morisse cantando, che recitando versi. 151.
ene, non vi sarebbe maggior disconvenienza, che uno morisse cantando,
che
recitando versi. 151. Castelvetro, Patrizio, No
moni di Platone, Aristotile, Ateneo, Donato, Luciano, Tito Livio ec.,
che
gli antichi drammi si cantavano. Essi non discord
ano. Essi non discordano se non circa il modo. 152. Questo è quello
che
non hanno glammai saputo osservare tanti critici
oltramontani, i quali inveiscono contro l’opera Italiana. Il diletto
che
partoriscono le favole poetiche proviene dalla do
, essendo essi obbligati ad imitare, non a copiare il vero in maniera
che
non perdano di vista ne’ loro lavori la materia p
ega temerità (aggiugne) sarebbe quella di un pittore anche eccellente
che
a i divini contorni dell’Ercole di Glicone o dell
ar la poesia a forza di analizzarla e ridurla a un certo preteso vero
che
gli fa inviluppare in un continuo ragionar fallac
ure a loro posta per confinar la dramatica a questo vero immaginario,
che
essi dureranno la vana fatiga delle Danaidi, e no
i tutte le imitazioni poetiche certamente la rappresentativa è quella
che
più si appressa alla verità; e pure in quante gui
iccoboni, Garrick, Zanarini, e la Clairon, la Battagli, la Ladvenant,
che
ogni dì cangiano nomi, affetti e costumi? Non com
advenant, che ogni dì cangiano nomi, affetti e costumi? Non comprende
che
il fasto, le pompe, le gemme, onde si adornano gl
onde si adornano gli attori, sono apparenze senza valore? Non intende
che
quella reggia, quel tempio, quella città che onde
enza valore? Non intende che quella reggia, quel tempio, quella città
che
ondeggia in prospettiva, è una tela dipinta? Per
adira, seguendo i movimenti e le passioni de’ personaggi imitati? Ma
che
altro produce in tutti i secoli e in tutti i paes
ti, gazzettieri e declamatori sedicenti filosofi dell’ universo? Dopo
che
io ebbi queste cose ragionate nella Storia de’ te
i accolte diversamente; avendole (siccome avviene di un umore stesso,
che
nella serpe divien veleno e nell’ape si converte
e. L’impugnò il Lampillas, ma in un modo così grazioso nel suo Saggio
che
mi diede motivo di rilevare la piacevolezza delle
e, Decoracion y trage, Igual perdon al canto no concede? Ma sì
che
il concede. Cantavansi i drammi greci, e i filoso
greci, e i filosofi e i grand’uomini di allora, i Socrati e i Pericli
che
vi assistevano, non mai dissero con cuore di ghia
on mai dissero con cuore di ghiaccio, come ora dicono i filosofastri,
che
improprietà! che stravaganza! o vanno gli uomini
n cuore di ghiaccio, come ora dicono i filosofastri, che improprietà!
che
stravaganza! o vanno gli uomini a morir cantando?
cini, animano il canto e la poesia con quella vivace rappresentazione
che
tutto avviva, e gli animi tutti scuote e commuove
i e le volate la Gabrieli e il Pacchiarotti? Legge egli, per esempio,
che
l’ ambizioso e innamorato Aquilio, il quale usa o
uale usa ogni arte per rompere la corrispondenza di Sabina, al vedere
che
l’amor novello di Augusto e gli sdegni di Sabina
tono per lui, prevede la propria vittoria, ma si dispone ad attendere
che
si maturi, e ad usar tutta l’arte di un esperto s
midore, il quale esamina il nemico, frena l’ira ed aspetta il momento
che
lo renda vincitore. Chiunque voglia far uso della
anze ove ei si trova? E di ciò contento, non si sovviene della musica
che
accompagna questo sentimento. Se ne sovviene vera
ne sovviene veramente lo spettatore ch’è sul fatto, ma non altrimenti
che
si sovviene del verso, del musico, delle gioje fa
e come esige il suo stato? del verso e del canto siamo già convenuti
che
servir debbono di mezzi per dilettarmi. Questo ra
re ragionevole penserebbe a cantar neppur sognanda questo sentimento,
che
è una massima fredda. Ma egli forse non volle ved
sentimento, che è una massima fredda. Ma egli forse non volle vedere
che
Aquilio si vale di questa immagine come di un par
glia anzi idee marziali, e manifesta un contrasto di calore e di brio
che
Aquilio comprende che dee contenere; e un Piccini
i, e manifesta un contrasto di calore e di brio che Aquilio comprende
che
dee contenere; e un Piccini, un Sacchini, un Gluc
iare il colpo ben regolato e mostrarne la conseguenza ch’è il trionfo
che
tutto riempie il cuor d’Aquilio. Oh quanti affett
da imitare trova un bravo artista là dove un critico gelato non vede
che
fredde massime! Ma se non dee cantarsi quest’imma
ee cantarsi quest’immagine piena di affetti attivi, tuttochè sappiasi
che
i Greci animarono colla musica tutta una tragedia
ra? Si canterà un lamento amoroso d’una pastorella? Ma una pastorella
che
colle parole pianga l’amante morto o lontano, e c
sica, o cantandolo lo tradirò io stesso. Non vi sarebbe altro rimedio
che
limitar la musica a i semplici concerti, e più no
a illustrato il teatro musicale, egli poi non ha torto quando afferma
che
l’opera merita di essere riformata; e tengo anch’
fermo (nè ciò pregiudicherà punto alla gloria del gran poeta Romano)
che
il melodramma non ha tuttavia la sua vera e perfe
tica. Infuse la provvidenza nel cuore umano un affetto indagatore,
che
mosso dal bisogno, o dal comodo, o dal piacere, d
di sapere chiamossi da’ latini, e poi da noi, curiosità, come quella
che
dalla stupida inazione dell’ignoranza ci guida al
vatore non poté non avvedersi di alcuni barlumi e faville maldistinte
che
nel giro delle cose vanno scappando fuori, e veng
é comune a tutti gli uomini e la natura da per tutto risponde a colui
che
ben l’interroga, é chiaro a chi diritto mira, che
to risponde a colui che ben l’interroga, é chiaro a chi diritto mira,
che
pochissime sono le arti che se un primo popolo in
l’interroga, é chiaro a chi diritto mira, che pochissime sono le arti
che
se un primo popolo inventore passarono ad altri,
opolo inventore passarono ad altri, ed all’incontro moltissime quelle
che
la sola natura, madre e maestra universale va com
opa, Manco-Capac, e Mama-Oela-Huaco nel nuovo continente, non ostante
che
gli uni non sapessero degli altri, insegnarono a
alersene per sostentarsi. Si vedrà bene, scorrendo per diversi climi,
che
dove la terra non si smuove co’ vomeri di ferro,
trovate in paesi distantissimi colla scorta del solo bisogno. E forse
che
moltissime arti di lusso parimente non s’incontra
opoli non abbiansi partecipate le loro scoperte. E’ noto dalla storia
che
le nazioni in se stesse ristrette esistono e fior
e per molti secoli ripugnano a comunicare insieme, perché quel timore
che
raccoglie gli uomini in società, regna lungamente
loro più studiata, tutte le arti e invenzioni seminate qua e là. Dal
che
é avvenuto che per una forte accensione di fantas
ata, tutte le arti e invenzioni seminate qua e là. Dal che é avvenuto
che
per una forte accensione di fantasia sondata per
ambiguo, in un paralogismo, ciascun di loro ha creduto di veder prima
che
altrove, nelle antichità predilette fenicie, egiz
dilette fenicie, egizie, greche, o etrusche, le origini di tante cose
che
col soccorso della sola natura l’umana ragione sv
o greco si prese per la sorgente di tutti gli altri. Ma fu un inganno
che
si dissipò tosto che comparve a rischiarar le men
la sorgente di tutti gli altri. Ma fu un inganno che si dissipò tosto
che
comparve a rischiarar le menti una sapienza più s
. Da queste, comunque egli avvenga, passano nella fantasia l’immagini
che
la rendono instrutta del mondo. L’intelletto che
fantasia l’immagini che la rendono instrutta del mondo. L’intelletto
che
in essa si spazia, nel vederle, separarle, combin
meno remotamente hanno seco un rapporto proporzionato alla sensazione
che
ne ricevette la macchina, nella quale esso signor
icevette la macchina, nella quale esso signoreggia e discorre di modo
che
le l’urto fu piacevole, cioé se scosse con soavit
on soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme
che
’l cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioé
ome male. Si avvezza dunque l’uomo fin dalla prima età, per senso più
che
per raziocinio, a fuggir quel dolore e quel male,
ir quel dolore e quel male, e ad appetir quel piacere e quel bene. Or
che
ne siegue? Ch’egli ne acquista l’abito di rappres
appresentarsene le immagini. Al sovvenirsi di quel bene per lo piacer
che
gliene ridondò, si studia di tornarlo a gustare c
i tornarlo a gustare con formarsene esattamente l’idoletto, ed allora
che
l’imitazione sombragli corrispondente agli oggett
ammenta pure da prima con qualche ribrezzo del male, cioé delle forme
che
gli cagionarono dolore; ma a poco a poco s’avvede
ioé delle forme che gli cagionarono dolore; ma a poco a poco s’avvede
che
tal rimembranza non gli rinnova il dispiacere, e
non fugge più dal rappresentarsele, anzi si accostuma alla dipintura
che
se ne forma, e della verità del ritratto si compi
a che se ne forma, e della verità del ritratto si compiace ancora; il
che
sembra la fonte del piacere che si gode nel ripet
à del ritratto si compiace ancora; il che sembra la fonte del piacere
che
si gode nel ripetere a se stesso o agli altri con
o. Or se l’uomo per natura si occupa continuamente a ritrarre le cose
che
lo circondano, in lui stesso si rinviene il princ
ristotile nella poetica chiamò l’uomo animale attissimo ad imitare, e
che
impara per rassomiglianza. Di tutte le imitazioni
degli oggetti. Cantano gli augelli, latrano i cani, perché gli organi
che
servono all’espulsione della voce, facilitano lor
lla voce, facilitano loro l’imitazione di quelli della propria specie
che
si avvezzano a veder prima d’ogni altro. L’oggett
di nutrirsi si assuefanno alla vista della balia o della madre prima
che
s’avveggano del rimanente del mondo. Fanciulli ci
mondo. Fanciulli ci formiamo sugli uomini, e principalmente su quelli
che
ci son più dappresso; ond’é che diventiamo Don-ch
li uomini, e principalmente su quelli che ci son più dappresso; ond’é
che
diventiamo Don-chisciotti, damerini, bacchettoni,
, bacchettoni, spiritiforti, secondoché il secolo avrà formati quelli
che
ne circondano, puntigliosi, effemminati, ipocriti
osi i cinesi, pirati gli algerini, tutti sieguono l’esempio domestico
che
più d’ogni altro é lor vicino. A chi attribuiremo
Alla maggior parte delle nazioni. Ella s’ingegna di copiar gli uomini
che
parlano ed operano; é adunque di tutte l’invenzio
uomini che parlano ed operano; é adunque di tutte l’invenzioni quella
che
più naturalmente deriva dalla natura imitatrice d
ta la scenica in Italia, quando vari monumenti storici ci assicurano,
che
ancor dopo molte età, per la solita primitiva gel
i piccioli continenti italiani si conoscevano tra loro? Il nome (non
che
altra cosa de’ greci) il nome del famoso Pitagora
o? Il nome (non che altra cosa de’ greci) il nome del famoso Pitagora
che
, secondo Ovidio, visse a’ tempi di Numa Pompilio,
traggiarono alla peggio, senza far differenza alcuna, l’armata romana
che
navigava a forza di remi avanti la loro città, no
re questi aveano già non picciolo impero in Italia. Possiamo pur dire
che
ancora la nazione romana, la quale senza contrast
atica. Infuse la Provvidenza nel cuore umano un affetto indagatore
che
mosso dal bisogno o dal comodo o dal piacere dove
d’indagare, chiamossi da’ Latini e poi da noi Curiosità, come quella
che
dalla stupida inazione dell’ignoranza ci guida al
potè non avvedersi di alcuni barlumi e di certe faville mal distinte
che
nel giro delle cose vanno scappando fuori, e veng
o di cui si ammanta. Nacquero da ciò le tante moltiplici osservazioni
che
col tratto del tempo ridotte a metodo si denomina
comune a tutti gli uomini, e la natura da per tutto risponde a colui
che
ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che
tto risponde a colui che ben l’interroga, è chiaro a chi dritto mira,
che
pochissime sono le arti che da un primo popolo in
l’interroga, è chiaro a chi dritto mira, che pochissime sono le arti
che
da un primo popolo inventore passarono ad altri,
polo inventore passarono ad altri, ed al l’incontro moltissime quelle
che
la sola natura, madre e maestra universale, va co
ropa, Manco-Capac e Mama-Oela Huaco nel Nuovo Continente, non ostante
che
gli uni nulla sapessero degli altri, insegnarono
a valersene per sostentarsi. Scorrendo per diversi climi ben si vedrà
che
dove la terra non si smuove co’ vomeri di ferro,
trovate in paesi lontanissimi colla scorta del solo bisogno. E forse
che
moltissime arti di lusso parimente non s’incontra
popoli non abbiansi partecipate le loro scoperte. É noto dalla storia
che
le nazioni in se stesse ristrette esistono e fior
r molti secoli si guardano dal comunicare insieme, perchè quel timore
che
raccoglie gli uomini in società regna lungamente,
ssi più studiata tutte le arti e invenzioni quà e là disseminate. Dal
che
è avvenuto che per una forte accensione di fantas
a tutte le arti e invenzioni quà e là disseminate. Dal che è avvenuto
che
per una forte accensione di fantasia fondata per
biguo, in un paralogismo erudito, ciascuno ha creduto di vedere prima
che
altrove nelle antichità predilette Fenicie, Egizi
dilette Fenicie, Egizie, Greche, o Etrusche, le origini di tante cose
che
col soccorso della sola natura l’umana ragione di
o Greco si prese per la sorgente di tutti gli altri. Ma fu un inganno
che
si dissipò tosto che apparve a rischiarar le ment
la sorgente di tutti gli altri. Ma fu un inganno che si dissipò tosto
che
apparve a rischiarar le menti una sapienza più sa
erne. Da queste, comunque avvenga, passano nella fantasìa le immagini
che
la rendono istruita del mondo. L’intelletto che i
fantasìa le immagini che la rendono istruita del mondo. L’intelletto
che
in essa si spazia, nel vederle, separarle, combin
iù o meno remotamente hanno un rapporto proporzionato alla sensazione
che
ne ricevè la macchina nella quale esso signoreggi
e ricevè la macchina nella quale esso signoreggia e discorre, di modo
che
se l’urto fu piacevole, cioè se scosse con soavit
on soavità la tela de’ nervi, l’intelletto apprende per bene le forme
che
la cagionarono: se la scossa fu dolorifica, cioè
la come male. L’uomo adunque si avvezza dalla prima età per senso più
che
per raziocinio a suggir quel dolore e quel male,
ir quel dolore e quel male, e ad appetir quel piacere e quel bene. Or
che
ne segue? che egli ne acquista un abito di rappre
e quel male, e ad appetir quel piacere e quel bene. Or che ne segue?
che
egli ne acquista un abito di rappresentarsene le
presentarsene le immagini. Al sovvenirsi di quel bene, per lo piacere
che
gliene ridondò, cerca di tornarlo a gustare forma
a di tornarlo a gustare formandosene esattamente l’idoletto, e allora
che
l’imitazione sembragli corrispondente agli oggett
pure, benchè da prima con certo ribrezzo, del male, cioè delle forme
che
gli apportarono dolore; ma a poco a poco si avved
oè delle forme che gli apportarono dolore; ma a poco a poco si avvede
che
tale rimembranza non gli rinnova il dispiacere, e
iù. non ischiva di rappresentarsele, anzi si accostuma alla dipintura
che
se ne forma, e della verità del ritratto si compi
Ora se l’uomo per natura si occupa continuamente a dipingersi le cose
che
lo circondano, in lui stesso si rinviene il princ
ircondano, in lui stesso si rinviene il principio di ogni imitazione,
che
è il perno, su cui volgesi la poesia; per la qual
Aristotile nella Poetica chiamava l’uomo animale attissimo ad imitare
che
impara per rassomiglianza. Di tutte le imitazioni
degli oggetti. Cantano gli augelli, latrano i cani, perchè gli organi
che
servono al l’espulsione della voce facilitano lor
di nutrirsi si assuefanno alla vista della balia e della madre prima
che
si avveggano di ogni altra cosa. Fanciulli ci for
cosa. Fanciulli ci formiamo sugli uomini, e principalmente su quelli
che
ci sono più dappresso, e quindi diventiamo Don Ch
acchettoni, o spiriti-forti, secondochè il secolo avrà formati quelli
che
ne circondano, puntigliosi, effeminati, ipocriti,
i gli Algerini, seguono tutti l’occulta forza del l’esempio domestico
che
più di ogni altro è loro vicino. A chi attribuire
Alla maggior parte delle nazioni. Essa s’ingegna di copiar gli uomini
che
parlano ed operano; è adunque di tutte le invenzi
omini che parlano ed operano; è adunque di tutte le invenzioni quella
che
più naturalmente deriva dalla natura imitatrice d
ma della fondazione di Roma, e certamente non la ricavarono da’ Greci
che
conobbero più tardi. Come poi sarebbe dal l’Attic
a la scenica in Italia, quando varj monumenti istorici ci assicurano,
che
ancora dopo molte età, per la solita primitiva ge
i piccioli continenti Italiani si conoscevano tra loro? Il nome (non
che
altra cosa de’ Greci) il nome del famoso Pitagora
? Il nome (non che altra cosa de’ Greci) il nome del famoso Pitagora,
che
secondo Ovidio visse a’ tempi di Numa Pompilio, s
a Roma. I Tarantini quando alla peggio oltraggiarono l’armata Romana
che
navigava a forza di remi avanti la loro città, no
e pure già quegli aveano non picciolo impero in Italia. Possiamo dire
che
gli stessi Romani, i quali senza contrasto riceve
CAPO IV. Pastorali del Cinquecento. Le favole pastorali
che
dopo il Cefalo del Correggio e l’ Orfeo del Poliz
giudizio ne i generi da essi maneggiati: ma non escludiamo tutto ciò
che
dopo di essi può l’ingegno umano inventare colla
na specie di pastorale. I due Pellegrini 130 suo componimento scenico
che
nella famosa cena data da Don Garzia di Toledo a
e Maurolico quasi pastoralis ecloga, avendo molto dell’ecloga, se non
che
se n’allontana per contenere un’ azione compiuta
l’ecloga, se non che se n’allontana per contenere un’ azione compiuta
che
ha il suo nodo e uno scioglimento di lieto fine.
essendosi impressa nel 1526; ma l’azione si scioglie colla Luminaria
che
n’è una continuazione o seconda parte, che s’ imp
i scioglie colla Luminaria che n’è una continuazione o seconda parte,
che
s’ impresse unita colla Cecaria nel 1535 in Venez
ancora se ne fecero altre quattro edizioni sino al 1594. La pastorale
che
in certo modo si scosta meno dal Ciclope di Eurip
ece la spesa l’università degli scolari delle leggi. Domandiamo ora,
che
musica fu quella che si fece a questa pastorale,
sità degli scolari delle leggi. Domandiamo ora, che musica fu quella
che
si fece a questa pastorale, ed alle altre che la
a, che musica fu quella che si fece a questa pastorale, ed alle altre
che
la seguirono? perchè quasi di tutte si trova scri
on vide ai componimenti scenici altra musica congiunta eccetto quella
che
animava i cori. Delle tragedie si dice espressame
cetto quella che animava i cori. Delle tragedie si dice espressamente
che
aveano i cori cantati. Nelle opere di Antonio Con
te che aveano i cori cantati. Nelle opere di Antonio Conti si afferma
che
furono cantati a Roma e a Vicenza i cori della So
ferma che furono cantati a Roma e a Vicenza i cori della Sofonisba; e
che
tuttavia resta la musica de’ cori della Canace. Q
piacevol parlare ed armonia adempì l’ufficio suo. Delle commedie, non
che
in versi, in prosa si è osservato nel capo preced
mmedie, non che in versi, in prosa si è osservato nel capo precedente
che
la musica ne rallegrava gl’ intervalli degli atti
, el Musico por amor commedia Spagnuola è tutta recitata, fuorchè ciò
che
cantasi da colui che si finge musico. Oltrechè in
commedia Spagnuola è tutta recitata, fuorchè ciò che cantasi da colui
che
si finge musico. Oltrechè in molte migliaja di co
ttualmente col solo canto naturale della favella. Ora nelle pastorali
che
s’inventarono in quel tempo, non si vollero gl’ I
pose fece la musica, ciò benissimo conviene al nominato lavoro, senza
che
le abbiano interamente notate, il che non si rile
viene al nominato lavoro, senza che le abbiano interamente notate, il
che
non si rileva da monumento veruno; e così le past
na falsa e ridicola lode? Le pastorali dunque non ebbero altra musica
che
quella delle tragedie, cioè de’ cori; e noi andan
erzione all’evidenza. Intanto osserviamo sull’Egle stessa del Giraldi
che
M. Sebastiano da Montefalco che ne fu il principa
serviamo sull’Egle stessa del Giraldi che M. Sebastiano da Montefalco
che
ne fu il principale attore, era l’istesso che rec
ebastiano da Montefalco che ne fu il principale attore, era l’istesso
che
recitò nella tragedia dell’Orbecche, ed il Girald
20 di dicembre 1580. Monsignor Fontanini nel suo Aminta Difeso crede
che
la prima edizione fosse quella del 1583 d’Aldo, c
inta Difeso crede che la prima edizione fosse quella del 1583 d’Aldo,
che
fu la quarta132. Tralle più nitide edizioni dell’
zioni di Egidio Menagio133. La difesa dell’Aminta fatta dal Fontanini
che
s’ impresse nel 1700, fu composta per rispondere
n Sicilia colle note musicali del gesuita Erasmo Marotta da Randazza,
che
morì nel 1641 in Palermo. La futilità delle criti
alermo. La futilità delle critiche si manifestò non meno colle difese
che
coll’ applauso generale che riscosse sì vago comp
itiche si manifestò non meno colle difese che coll’ applauso generale
che
riscosse sì vago componimento, e colla moltitudin
e riscosse sì vago componimento, e colla moltitudine delle traduzioni
che
se ne fecero oltramonti. In Francia si tradusse i
aux; in prosa si tradusse in Parigi nel 1666, e poi nell’Aja nel 1679
che
si ristampò nel 1681. Queste ed altre versioni fr
rsioni francesi riuscirono poco felici, sia per debolezza delle penne
che
l’intrapresero, sia perchè la prosa francese che
ebolezza delle penne che l’intrapresero, sia perchè la prosa francese
che
da i più vi si adoperò, è incapace di rendere com
omposti dall’autore. Di questi medesimi intermezzi crede il Fontanini
che
si servissero quelli che rappresentarono l’Aminta
uesti medesimi intermezzi crede il Fontanini che si servissero quelli
che
rappresentarono l’Aminta in Firenze per ordine de
do Buontalenti; la qual cosa riuscì con tal magnificenza ed applauso,
che
spinse il medesimo Torquato a portarsi di secreto
lutato e baciato in fronte, se ne partì subito involandosi agli onori
che
gli preparava il Granduca135. Nè a’ dotti nè alle
i onori che gli preparava il Granduca135. Nè a’ dotti nè alle persone
che
leggono per divertimento può essere ignoto l’ arg
uò essere ignoto l’ argomento semplice di questa elegantissima favola
che
con una condotta regolare rappresenta una ninfa s
zo della pietà. Vana cura sarebbe ancora metterne in vista più questa
che
quella bellezza, men bello di ciò che si sceglie
ra metterne in vista più questa che quella bellezza, men bello di ciò
che
si sceglie non sembrando quello che si tralascia.
quella bellezza, men bello di ciò che si sceglie non sembrando quello
che
si tralascia. Mirabili sono fin anco i trascorsi
ri come effetto della potenza d’amore. Ma quel sospirar delle piante,
che
potrebbe parer soverchio, con qual graziosa ironi
ma chi l’ignora? Le bellezze dello stile nelle particolarità narrate,
che
i Francesi chiamano beautez de detail, sono tante
amano beautez de detail, sono tante nella seconda scena dell’atto II,
che
pur dovrebbe copiarsi tutta. È bellissimo il racc
’amore. La sua disperazione per la fuga dell’ingrata ninfa; il dolore
che
gli cagiona la novella di Nerina e la vista del v
lo di Aminta, ella non mostra gl’ interni movimenti se non col pianto
che
le soprabbonda, e il poeta fa che Dafne gli vada
interni movimenti se non col pianto che le soprabbonda, e il poeta fa
che
Dafne gli vada disviluppando: Tu sei pietosa, t
Tu sei pietosa, tu! tu senti al core Spirto alcun di pietade? Oh
che
vegg’io! Tu piangi, tu, superba? meraviglia!
dell’amore, Come il lampo del tuon . . . . Questo è pianto d’amor
che
troppo abbonda. Tu taci? Ami tu, Silvia? Ami, m
ompagnarlo. Le di lei querele sono con tal vaghezza e verità espresse
che
non possono mancare di commuovere l’anime sensibi
o mancare di commuovere l’anime sensibili. Eccellente è l’unica scena
che
forma l’atto V, ove sì leggiadramente si narra la
Aminta assicura Silvia della di lui vita: un di lui sguardo verso lei
che
gli bagna il volto di lagrime, fa certo Aminta de
o; Chi è servo d’amor, per se lo stimi; Ma non si può stimar, non
che
ridire. Per quanto si abbia di amore e di risp
ben per tempo e più volte s’impresse e si tradusse in Francia, prima
che
quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Cald
, prima che quivi si conoscessero Lope de Vega, Castro e Calderon; il
che
sempre più manifesta il torto del Linguet nel pre
eron; il che sempre più manifesta il torto del Linguet nel pretendere
che
le prime bellezze teatrali avessero i Francesi im
prendendo l’Aminta per esemplare ne seguì con tale esattezza le orme
che
il suo Alceo, come ognun sa, ne acquistò il nome
ognun sa, ne acquistò il nome di Aminta bagnato. Trovo non per tanto
che
monsignor Paolo Regio sin dal 1569 pubblicò in Na
ento amoroso. Ma questa si pubblicò in Venezia nel 1583, ed io trovo,
che
nella stessa città un’ altra se ne impresse nel 1
no prima a Zara. E’ un cattivo componimento fondato sopra incantesimi
che
producono nojose e inverisimili situazioni, e vi
vi s’introducono per buffoni Calabaza Spagnuolo e Graziano Bolognese
che
parlano ne’ proprj idiomi. Altro dunque non ha di
ognese che parlano ne’ proprj idiomi. Altro dunque non ha di notabile
che
di aver preceduto il Pentimento amoroso. Il Groto
nese giovanetto nel 1583, quando fu dedicata alla nobile Camilla Lupi
che
vi sostenne la parte d’Amarilli; e si stampò poi
Una delle più vive battaglie letterarie si accese per questa favola,
che
vive e viverà, a dispetto de’ critici, per l’eleg
eleganza, per l’affetto, per le situazioni teatrali e per l’interesse
che
ne anima tutte le parti. Pochi son quelli che si
trali e per l’interesse che ne anima tutte le parti. Pochi son quelli
che
si sovvengono delle censure famose per altro di G
di Angelo Ingegnieri e di Nicola Villani, come altresì delle risposte
che
loro fecero, oltre all’istesso Guarini, Giovanni
Pescetti e Ludovico Zuccoli. Ma il Pastor fido, malgrado de i difetti
che
vi si notano, sarà sempre un componimento glorios
i in questa favola ebbe anche fuori dell’Italia un censore nel Rapin,
che
misurava que’ pastori colla squadra de’ villani e
squadra de’ villani e caprai delle moderne campagne; senza avvertire,
che
nell’ipotesi della pastorale del Guarini i pastor
onarne colla penetrazione naturale, non come filosofi, ma come uomini
che
le stanno soffrendo. Quel che noi però non trovia
rale, non come filosofi, ma come uomini che le stanno soffrendo. Quel
che
noi però non troviamo degno d’approvazione, si è
i spiega con maggior semplicità. Avvenne in somma al Pastor fido quel
che
nel secolo seguente seguì in Francia pel Cid di P
’Aminta la compassione; il Pastor fido giugne a quel grado di terrore
che
ci agita nel Cresfonte al pericolo del giovane vi
serba il suo amore. Ma questo Tirsi è appunto il medesimo pastorello
che
col nome di Credulo ella disdegna, e Amarilli è q
uesta ipotesi di non ravvisarsi, sebbene dopo dieci anni, due persone
che
tanto si amano, sembra veramente dura e mancante
lirico, spicca per la tenerezza e pel patetico il lamento di Credulo
che
vuol morire per la durezza della sua ninfa. Tener
gareggiar coll’ Aminta o col Pastor fido; ma supera moltissime altre
che
la seguirono, per l’affetto e per l’interesse che
ra moltissime altre che la seguirono, per l’affetto e per l’interesse
che
l’avviva. Non ebbe cori, ma solo cinque madrigale
Selvaggio nell’atto I, Che mi rileva errar per gli ermi boschi,
che
contiene cinque stanze colla rigorosa legge del m
amosa Isabella Andreini Padovana una delle migliori attrici Italiane,
che
applicatasi alla poesia ne diede alla luce un sag
588 con una pastorale intitolata Mirtilla, la quale fu così ricercata
che
dal mese di marzo a quello di aprile se ne fecero
L’azione rappresenta la vendetta presa da Amore di due anime superbe
che
lo bestemmiavano, Tirsi pastore ed Ardelia ninfa,
superbe che lo bestemmiavano, Tirsi pastore ed Ardelia ninfa, facendo
che
l’ uno arda e non ritrovi loco Per amor di Mi
ed in fatti nell’atto IV si vede Ardelia divenuta un novello Narciso
che
si vagheggia in un fonte. Non è da cercarsi in qu
ccio semplice o almeno moderatamente ravviluppato, nè quel linguaggio
che
richiede il genere drammatico. Sembra che allora
luppato, nè quel linguaggio che richiede il genere drammatico. Sembra
che
allora i poeti facessero a gara in trasportare ne
Noci Capuano, e l’Amoroso sdegno di Francesco Bracciolini Pistojese,
che
ornarono l’ultimo lustro del secolo. La Cintia, c
iolini Pistojese, che ornarono l’ultimo lustro del secolo. La Cintia,
che
s’ impresse in Napoli nel 1594 dal Carlino e dal
el 1594 dal Carlino e dal Pace, e si ristampò dal Maccarano nel 1631,
che
è l’edizione conosciuta dal Fontanini, consiste i
dizione conosciuta dal Fontanini, consiste in una ninfa creduta morta
che
dopo varj evenimenti vestita da uomo si presenta
dopo varj evenimenti vestita da uomo si presenta a Silvano suo amante
che
trova innamorato d’ un’ altra, e s’introduce nell
nimo di lui ricordandogli acconciamente la prima sua diletta, e trova
che
ne ama la memoria, ma che ha rivolto tutto l’amor
acconciamente la prima sua diletta, e trova che ne ama la memoria, ma
che
ha rivolto tutto l’amore a Laurinia. Ode poi Silv
memoria, ma che ha rivolto tutto l’amore a Laurinia. Ode poi Silvano
che
questo suo amico favorisce in di lui pregiudizio
la morte ad un servo il quale finge d’averlo ucciso. Silvano intende
che
il finto Tirsi era la sua Cinzia morta per la sua
a e l’amore, e cade in disperazione. La veracità del di lui dolore fa
che
gli si faccia sapere che è viva, ed ei la toglie
sperazione. La veracità del di lui dolore fa che gli si faccia sapere
che
è viva, ed ei la toglie per consorte. La favola è
senza suddivisione di scene, e senza cori. Il primo rigoroso comando
che
riceve il finto Tirsi da Silvano è di partire da
e e delicate. Nell’atto IV è benissimo espresso il dolore di Silvano,
che
dopo aver saputo che Ormonte suo servo ha ucciso
to IV è benissimo espresso il dolore di Silvano, che dopo aver saputo
che
Ormonte suo servo ha ucciso Tirsi, intende da Elc
aver saputo che Ormonte suo servo ha ucciso Tirsi, intende da Elcino
che
questo Tirsi è la sua Cinzia. La pastorale poi de
lla sua patria pieno di onorata fama per le molte sue opere ingegnose
che
produsse. Alcuni anni prima e propriamente nel 15
i Vernia afferma l’istesso autore d’averla cara quanto la tragedia, e
che
con tre lettere in otto giorni gliela domandò il
lui lettere dirette a tre Ebrei si ricava quanto impegno egli avesse
che
si rappresentasse colla maggior proprietà. All’ E
si rappresentasse colla maggior proprietà. All’ Ebreo Leone di Somma
che
dovea inventar gli abiti, raccomanda che sieno co
à. All’ Ebreo Leone di Somma che dovea inventar gli abiti, raccomanda
che
sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza
iti, raccomanda che sieno convenienti a’ personaggi Assiri; diligenza
che
si vede trascurata nel grottesco vestito eroico d
lo prescrisse la qualità del ballo richiesto nelle quattro canzonette
che
s’interpongono negli atti; insegnando con ciò la
ette che s’interpongono negli atti; insegnando con ciò la convenienza
che
dovrebbero avere la danza e l’azione. Finalmente
usica Giaches Duvero incarica l’attenzione dovuta al genere di musica
che
esigono le mentovate canzonette. E qui domando a
esigono le mentovate canzonette. E qui domando a que’ dotti scrittori
che
vorrebbero trarre l’origine dell’opera musicale d
cerla in tutte le pastorali, domando, dico, se loro sembri verisimile
che
il famoso Manfredi sì scrupoloso negli abiti e ne
il Contrasto amoroso fatto in Lorena l’anno 1591143, in cui, per quel
che
scrive l’autore a D. Vittoria Gonzaga principessa
astano amorosamente ciascuna per averlo per marito, ed è vinto da una
che
si chiama Nicea. Sotto nome di Flori egli pretese
ode delle donne virtuose e in biasimo di chi non le riverisce. Sembra
che
questa pastorale sia rimasta inedita. Inedita par
questa pastorale sia rimasta inedita. Inedita parimente rimase quella
che
scrisse la stessa Barbara Torelli Benedetti cugin
e non vi si fa. Se dunque V. S. vuole aggiugnergliele ora, non so da
che
spirito mossa, oltre alla gran fatica ch’ella imp
merà, e non leverà, per non dannare affatto l’uso di tutti quei poeti
che
alle loro il fanno; e fra tali poeti si vuol ripo
e loro il fanno; e fra tali poeti si vuol riporre l’ istesso Manfredi
che
il fece alla sua boschereccia. Di un’ altra pasto
i quel secolo ricco di tanti buoni drammi. L’azione passa tra pastori
che
aspirano alle nozze di Erminia, non conoscendola
stori che aspirano alle nozze di Erminia, non conoscendola per quella
che
era stata regina d’Antiochia. L’interesse non vi
Egone addolorato. Nell’atto V comparisce il principe Tancredi ferito,
che
ringrazia Dio della vittoria riportata del Circas
scono il ferito, ed Erminia, dopo averlo pianto come morto, si avvede
che
è vivo e ne imprende la guarigione. Nè lo stile n
a delle Sic. pag. 313. 131. L’Ab. Bettinelli errò ancora nel credere
che
questa cena del 1529 fosse stata data da Don Garz
principali edizioni dell’Aminta nel catalogo dell’edizione Cominiana
che
se ne fece in Padova l’anno 1722, ovvero nella Dr
hè, oltre all’ essere assai ricca, ed all’avere non poche espressioni
che
alle nostre si confanno, essa ha qualche parola p
confanno, essa ha qualche parola poetica più della Francese; e credo
che
n’avrebbe ancora in maggior copia, se più fosse s
ndovi mano. Roma e Atene vorrebbero averne una pari. 137. Odasi ciò
che
delle due nostre pastorali più celebri disse il s
età sua, specialmente dal papa Gregorio XIII e dal duca Ercole d’Este
che
l’impiegarono in affari importanti, morì in Venez
orì in Venezia nel 1613. 140. Apollo dice di lui nel prologo, Un
che
del Tebro in su la riva nacque, E di sua etate
uesto sacro poetico omaggio passò poscia in costumanza, e la gioventù
che
lo cantava, incominciò a poco a poco ad animarlo
e lo convertì in ricreazionea. Ecco la sacra informe materia teatralo
che
nasce (per ciò che nel primo volume divisammo) in
creazionea. Ecco la sacra informe materia teatralo che nasce (per ciò
che
nel primo volume divisammo) in ogni terreno, senz
nasce (per ciò che nel primo volume divisammo) in ogni terreno, senza
che
se ne prenda da altri popoli l’esempio, nella qua
oesia scenica; ma tra’ Romani sì l’accennata sacra poesia gesticolata
che
i rozzi diverbii Fescennini ebbero bisogno dell’e
lani la lingua latina si valevano della propria con molta graziab; al
che
allude il noto verso di una favola di Titinio cit
ude il noto verso di una favola di Titinio citato da Pompeo Festoc. E
che
aì Romani non riescisse malagevole il gustare del
lagevole il gustare delle grazie di quella lingua, può dedursi da ciò
che
scrive Tito Livio del Console L. Volunnio, il qua
to Livio del Console L. Volunnio, il quale militando contro i Sanniti
che
anche la parlavano, spedì alle vicinanze del fium
ticolare vennero in simil guisa privilegiate e conservate ancora dopo
che
la scena latina ammise drammi migliori? Perchè, s
iso e del Casaubonb, gli arguti copiosi sali e le vivaci piacevolezze
che
le condivano, non erano da oscenità veruna contam
dalla naturale gravità Italica temperate, al dir di Valerio Massimoc,
che
non recarono taccia veruna a chi le rappresentava
chi le rappresentava. Si è pèrò preteso da taluni troppo leggermente
che
esse fossero sin dalla loro origine basse non sol
ciò si ricava? Non da Livio, non da Strabone, non da Valerio Massimo
che
ne favellano. Le favole Atellane (disse il gesuit
alla Romana severità, cangiando l’Italica di Valerio in Romana, quasi
che
fossero sinonimi, o quasi che i nostri Osci fosse
o l’Italica di Valerio in Romana, quasi che fossero sinonimi, o quasi
che
i nostri Osci fossero fuori dell’Italia. Dovea eg
i che i nostri Osci fossero fuori dell’Italia. Dovea egli però sapere
che
da prima la denominazione d’Italia propriamente d
he da prima la denominazione d’Italia propriamente designava il paese
che
tennero gli Osci, gli Ausoni e gli Enotriia, e ch
designava il paese che tennero gli Osci, gli Ausoni e gli Enotriia, e
che
più tardi poi sotto nome d’Italia s’intese tutto
Enotriia, e che più tardi poi sotto nome d’Italia s’intese tutto ciò
che
Apennin parte e il mar circonda e l’Alpe , ed in
osceni da principio. Gli Osci (dice pure lo stesso Cantel) dall’usar
che
facevano parole turpi ed oscene sortirono il nome
che lingue dell’Italia? E se osceno è vocabolo Romano, come può stare
che
esso desse la denominazione agli Osci nazione più
esso desse la denominazione agli Osci nazione più antica di Roma? Ma
che
giuochetto vizioso è poi questa sentenza del Cant
il proprio nome dall’oscenitàa. L’una cosa non distrugge l’altra? Ma
che
Osci non poterono prendere il proprio nome dalla
dalla parola osceno, chiaro apparisce ancora agli occhi degli eruditi
che
ragionano, dal sapersi che tali popoli da prima c
apparisce ancora agli occhi degli eruditi che ragionano, dal sapersi
che
tali popoli da prima chiamaronsi Opici (parola ch
onano, dal sapersi che tali popoli da prima chiamaronsi Opici (parola
che
si allontana di molto da osceno) ovvero dalla voc
ις secondo alcuni, o da un accorciamento di Etiopici secondo altri; e
che
in appresso i Romani pronunziando male il vocabol
ura delle Due Sicilie a. Senza altro qui aggiugnere basterà accennare
che
egli I toglie agli Osci l’originalità di tali fav
i l’originalità di tali favole da tutti gli antichi loro accordata, 2
che
le crede la stessa cosa che il dramma Satirico de
le da tutti gli antichi loro accordata, 2 che le crede la stessa cosa
che
il dramma Satirico delle Greche Tetralogie, equiv
equivocandosi su di un passo di Diomede e di un altro di Vettorino, 3
che
le raffigura nel Ciclope di Euripide sol perchè i
nel Ciclope di Euripide sol perchè in questo intervengono i Satiri, 4
che
stimò che le commedie Satiriche di L. Silla fosse
e di Euripide sol perchè in questo intervengono i Satiri, 4 che stimò
che
le commedie Satiriche di L. Silla fossero Atellan
chiamaronsi così non ricordandosi della Commedia Antica de’ Greci, 5
che
colle sue congetture fa supporre che le Atellane
lla Commedia Antica de’ Greci, 5 che colle sue congetture fa supporre
che
le Atellane non sono indigene de’ nostri paesi, m
re fa supporre che le Atellane non sono indigene de’ nostri paesi, ma
che
gli Osci le presero da’ Fenici, perché questi le
ca documento veruno? È un volo d’immaginazione. Se questo è tutto ciò
che
egli pensò aggiungere a quanto ne disse chi prima
sse chi prima di lui parlò di teatri, ben poteva risparmiarsi la pena
che
si diede di distruggere ciò che ne scrissero gli
atri, ben poteva risparmiarsi la pena che si diede di distruggere ciò
che
ne scrissero gli antichi, e di edificare su di un
a de’ mimi Greci già ricevuti nella scena Romana. Tacito ci fa sapere
che
Tiberio dopo varie inutili lagnanze de’ Pretori,
lo Osco caro un tempo alla plebe a tal colpevole indecenza trascorso,
che
bisognava reprimerlo col l’autorità de’ Padri, ed
a. Mancava alla gloria di Roma vincitrice quella coltura dell’ingegno
che
dalle nazioni allontana la barbarie e ingentilisc
i e poeti furono Semigreci, cioè Greci delle Calabrie, perchè i primi
che
v’introdussero l’amore della letteratura e la con
io Salinatore, di cui ammaestrava i figliuoli, e Greco di nazione. Ma
che
non nascesse nella Grecia d’oltremare, può dedurs
che non nascesse nella Grecia d’oltremare, può dedursi dall’osservare
che
Salinatore, di cui egli era schiavo, non militò s
era schiavo, non militò se non contro gl’Italiani e i Cartaginesi; e
che
appartenesse ai Greci delle Calabrie, si argoment
la Grecia vinta in guerra e soggiogata da’ Romani pochi lustri prima
che
Andronico fosse condotto schiavo in Roma. Nè dubb
oltivava più di un genere poetico, avendo l’anno 546 composto un inno
che
per placare i numi si cantò solennemente da venti
si il popolo di udirne talora ripetere i più bei pezzi, un di avvenne
che
fatto roco impetrò la permissione di far cantare
e ne nacque l’usanza di dividere la declamazione dall’azione, usanza
che
non so per qual singolarità di gusto serbossi pos
e, Inone, Laodamia o Protesilaodamia, Tereo, Teucro. Cicerone afferma
che
le favole Liviane non meritavano di leggersi la s
ltaa, ed Orazio le pregiava ancor meno. Questo è il destino di coloro
che
inventano o precedono ogni altro in qualche impre
se al 546, ma s’ignora l’anno della sua morte. Cinque o sei anni dopo
che
Livio ebbe introdotta la poesia teatrale in Roma,
rotesilaodamia. Francesco Patrizio conta sino a venti favole di Nevio
che
tutte trasportò dalle Greche, e tra esse nomina T
o che tutte trasportò dalle Greche, e tra esse nomina Trifalo. Quelle
che
intitolò Alimoniae Remi et Romuli potrebbe creder
merito, e ne volle lasciare a’ posteri la memoria nel bello epitafio
che
per se compose, in cui misto alla nobiltà e all’e
rra Punica, ne’ quali fece usò de versi Saturnii. Ma Cicerone osserva
che
Ennio, benchè miglior poeta di Nevio, scrivendo d
glior poeta di Nevio, scrivendo delle cose Romane tralasciò la guerra
che
Nevio aveva cantato quasi schivando il paragone.
a Terenziob. Nevio aveva militato nella prima guerra Punica, par quel
che
da lui stesso ricavo Varronea; e la di lui morte
più la vita. Secondo Eusebio egli mori in Utica nell’olimpiade CXLIV (
che
cade nell’anno nominato 549) cacciato da’ Nobili
de CXLIV (che cade nell’anno nominato 549) cacciato da’ Nobili Romani
che
morder soleva nelle sue favole. Contemporaneo di
e, per valore, per illustri amicizie e per lettere. Questo scrittore,
che
a’ suoi tempi recò grande ornamento alla città di
e possedendo perfettamente le tre lingue Osca, Greca e Latina, ond’è
che
soleva dirsi che aveva tre cuori, potè, come fece
fettamente le tre lingue Osca, Greca e Latina, ond’è che soleva dirsi
che
aveva tre cuori, potè, come fece, arricchir quest
, arricchir quest’ultima col soccorso delle altre. Egli trovò in Roma
che
dopo la comparsa di Andronico e l’introduzione de
nere le farsette satiresche recitate dagli Atellani col nome di Epodi
che
poi rimase al teatro, che i moderni hanno ritenut
e recitate dagli Atellani col nome di Epodi che poi rimase al teatro,
che
i moderni hanno ritenuti nomandoli all’italiana t
de fiesta ed entremeses, e alla francese petites pièces. Ennio stimo
che
anche fuori del teatro potessero piacere al popol
atini simili agli Oraziani; e ad essi diede il nome di Satire; se non
che
sull’esempio de’ Greci e dello stesso Omero mesco
ino in versi esametri in istile per quel tempo elegante; perchè Nevio
che
l’aveva preceduto colla narrazione della prima gu
a verbo, può ricavarsi dal VI libro de’ Saturnali di Macrobio. Ond’ è
che
i posteri sempre sospireranno coll’erudito Scalig
be luogo tra’ Latini Comici più pregevoli, benchè fusse posposto, non
che
a Nevio e a Terenzio; a Turp lio e a Lucio stesso
ragedie Greche, e Scipione originale di argomento Romano. I frammenti
che
se ne conservanoa, ci fanno desiderare che il tem
omento Romano. I frammenti che se ne conservanoa, ci fanno desiderare
che
il tempo avesse distrutta l’Ottavia attribuita a
Ennio detta Scipione. Avremmo dato di buon grado il Tieste di Seneca,
che
conosciamo, per quello di Ennio composto nel sett
sua Medea Esule forse non temerebbe il confronto di quella di Seneca
che
pure è la migliore di questo Cordovese; giacchè C
icevaa: E qual mai sarà tanto, per dir cosi, nemico del nome Romano,
che
ardisca sprézzare e rigettare la Medea di Ennio?
e ardisca sprézzare e rigettare la Medea di Ennio? Forse il giudizio
che
Ennio altrove manifesta, potrebbe indurci a crede
e il giudizio che Ennio altrove manifesta, potrebbe indurci a credere
che
nell’Ecuba schivata avesse la duplicità dell’azio
greca tragedia. Per vederne la guisa possono confrontarsi gli squarci
che
soggiungo. Nella tragedia di Euripide, Ecuba in t
la medesima forza il medesimo discorso pronunziato da persone oscure
che
da illustri. Ennio imita questo pensiero, ma ne
ue oratio aequa non aeque valet. Questo insigne poeta de’ suoi tempi
che
fu l’amico di Scipione Affricano il maggiore, e d
di Ennio, mostra in diversi tratti vigorosi sparsi nelle sue commedie
che
era dotato d’ingegno al pari di Aristofane, ma no
ndo la maniera, i sali e le lepidezze del Siciliano Epicarmo, disegno
che
manifesto in varii luoghi e specialmente nel prol
vole, ma per evitare la satira de’ particolari, non altronde le tolse
che
dalla commedia Nuova, come si scorge da molte sue
mani di tutti, non esigono minute analisi, e basterà per Ila gioventù
che
se ne osservino alcune particolarità più degne di
la foggia della greca Ilarodia, non saprei scerne altra tralle Latine
che
più le si avvicini. Rintone inventore (come si è
n altro, come afferma Ateneo. Da loro frammenti non si ravvisa la via
che
essi tennero in costruire i loro Anfitrioni; ma è
via che essi tennero in costruire i loro Anfitrioni; ma è verisimile
che
come Plauto nel suo essi vi trattassero comicamen
ola perduta intitolata Alcmena. Plauto nel prologo fa dire a Mercurio
che
la sua favola è una tragedia. Ma prevedendo la me
e di convertirla in commedia senza alterarne i versi. Riflettendo poi
che
dovevano favellare da una parte principi e numi,
e dall’altra alcuni servi comici non convenienti alla tragedia, dice
che
la renderà una favola mista chiamata tragicommedi
icommedia. Scherza egli in tal guisa sull’indole della propria favola
che
non ignorava di essere una vera commedia, come è
avola che non ignorava di essere una vera commedia, come è da credere
che
fossero pur le Rintoniche. Dalla somiglianza di S
ta e Birria attribuita al Boccaccio, ma scritta da Giovanni Acquetini
che
fiori col Burchiello nel 1480, come dimostra l’Ar
e molte altre aggiungendovene. Mercurio nel prologo di Plauto accenna
che
per servire al Tonante la notte si è prolongata,
oute un bel emploi Que le grand Jupiter m’apprête. Mercurio ripiglia
che
siffatte cose possono riputarsi viltà tralle pers
che siffatte cose possono riputarsi viltà tralle persone volgari, ma
che
tra’ grandi non si guarda cosi sottile: Lorsque
a l’heur de paroitre, Tout ce qu’on fait est toujours bel et bon. Al
che
la Notte con maliziosa sommessione risponde: «Su
lla vostra perspicacia. Bel bello (replica Mercurio) Madama la Notte,
che
di voi stessa corre voce che sapete in tanti clim
ello (replica Mercurio) Madama la Notte, che di voi stessa corre voce
che
sapete in tanti climi diversi essere la fida cons
essere la fida conservatrice di mille dilettosi intrighi; ed io credo
che
in tal materia fra noi due si giostri con armi ug
a piacevolezza di tale argomento col dare a Sosia per moglie Cleantis
che
è il personaggio di Tessala introdotto da Plauto,
e è il personaggio di Tessala introdotto da Plauto, e coll’immaginare
che
essa al pari di Alcmena sua padrona ammetta in ca
. Ogni popolo ha un gusto particolare, ed è stravagante il pretendere
che
il proprio gusto abbia ad essere norma a tutti gl
e il proprio gusto abbia ad essere norma a tutti gli altri! Comprendo
che
la pratica del teatro dimostra non esser priva di
e fassi da alcuni i quali sogliono mirar gli oggetti da un lato solo)
che
in ciò il Francese superò il suo modello. Dicasi
onveniva in un teatro ripieno di superstiziosi adoratori di Giove, fa
che
questo padre degli Dei preceduto dallo strepito d
l’accaduto, e comandi ad Anfitrione di rappacificarsi colla moglie, e
che
costui piegando la fronte al decreto soggiunga:
iunga: Faciam ita ut jubes… Ibo ad uxorem intro. Ma il Francese ora
che
tali divinità sono appunto divenute comiche larve
nto divenute comiche larve, accomodando l’azione a’ tempi moderni, fa
che
Sosia con molta piacevolezza tronchi il complimen
elles affaires toujours Le meilleur est de ne rien dire. Egli è vero
che
non senza ragione Madama Dacier imputa a Plauto l
ella scena 3 dell’atto IV sollevi il tuono del dire, e minacci udendo
che
Alcmena è in procinto d’infantare, Numquam aedep
et vocem comoedia tollit, Iratusque Chremes tumido delitigat ore. Ma
che
pro? I pedanti loschi vorrebbero ridurre questo p
nazione della gioventù a un limitato numero di picciole idee. Ma essa
che
è la speranza delle belle arti, rompa oramai que’
o. Il Mureto, Io Scaligero, il Castelvetro, l’Einsio, hanno osservato
che
Plauto pecca in questa favola contro la verisimig
o che Plauto pecca in questa favola contro la verisimiglianza facendo
che
Alcmena nel tempo solo della rappresentazione, ci
elle commedie Plautine per la forza, la proprietà e la salsa facondia
che
regna nell’elocuzione, e per la sontuosa abbondan
rgirippo innamorato di Filenia meretrice e bisognoso di denaro, senza
che
egli possa sovvenirlo, perchè le proprie entrate
uardo d’ingannare un ruffiano, e vestito da marinajo menarmi la donna
che
io amava. Mio figliuolo ha bisogno di venti mine
Di buon grado il servo pregato dal proprio padrone si presta a quello
che
per naturale inclinazione farebbe. Intanto un Mer
a quello che per naturale inclinazione farebbe. Intanto un Mercatante
che
ha comprato da Demeneto alcuni asini, ne manda il
o riceve poi Argirippo, il quale con questa chiave riapre quell’uscio
che
gli era stato chiuso in sul viso. Si destina la c
si sacrifica in più di un luogo il verisimile ed il decoro. Un servo
che
prima di consegnare il danajo sospirato all’innam
l’astringe a portarlo sulle spalle in una pubblica strada: un vecchio
che
cena colla bagascia del figliuolo, e si fa da lei
si soffrirebbe senza bisbigliare lo spettacolo di un padre mentecatto
che
seconda a tal segno le debolezze di un figliuolo?
ri ruffiane delle figliuole, cui per una legge imperatoria si dispose
che
si tagliasse il naso, come anche il costume delle
ro pel proprio intento favorisce uno de’ servi. La moglie del vecchio
che
ha educata la fanciulla, conoscendo la malizia de
. L’azione termina con iscoprirsi Casina ingenua e cittadina Ateniese
che
à destinata per consorte al figliuolo del vecchio
a ciò si accenna appena con due soli versi dalla Caterva degli attori
che
congeda l’uditorio: Haec Casina hujus reperietur
Plauto ne compose la sua Casina sommamente applaudita la prima volta
che
si rappresentò, e per quanto si dice nel prologo
o, dalla quale parimente derivarono varie commedie moderne. Tra primi
che
l’imitarono in Italia fu Lodovico Dolce nella sua
l Ruffiano. Non so se Difilo avesse intitolata la sua favola προτονος
che
significa rudens, non avendone. Plauto conservato
a forza; ma sono difese dal servo di Pleusidippo e dal vecchio Demone
che
abita in quei contorni. Vi accorre l’istesso Pleu
scatore raccoglie nelle sue reti un involto appartenente al Ruffiano,
che
contiene molte ricchezze e una cestina con gli or
regalo, e Pleusidippo ottiene per consorte la bella Palestra. Arturo
che
impietosito della fanciulla e crucciato contro de
IV negli arzigogoli del pescatore Grippo si fa un ritratto di coloro
che
da picciole speranze sollevati si promettono gran
itolo. Notasi nel prologo di questa favola una novità simile a quella
che
abbiamo osservata in alcune di Aristofane, cioè l
ualche coro ragiona a lungo delle proprie favole e delle altrui, cose
che
niuna relazione hanno coll’azione rappresentata.
na relazione hanno coll’azione rappresentata. Plauto introduce Carino
che
è il protagonista a parlar nel tempo stesso e com
tagonista a parlar nel tempo stesso e come prologo e come personaggio
che
interviene nell’azione: Duas res simul nunc ager
Gl’Intronati di Siena ed alquanti altri Italiani introdussero attori
che
parlano coll’uditorio, mostrando di sapere di ess
pere di essere ascoltati. Gli Spagnuoli nelle commedie del XVI secolo
che
nel seguente continuarono a rappresentarsi, fanno
del XVI secolo che nel seguente continuarono a rappresentarsi, fanno
che
il loro Grazioso quasi sempre narri al popolo asc
ore i disegni del poeta. Moliere stesso nell’Avaro introduce Arpagone
che
s’indrizza agli spettatori. Gli abusi o le licenz
in busca de’ suoi. Intanto per un’altra via arriva alla nave il padre
che
a prima vista rimane preso di Pasicompsa l’amata
ticare nella loro casa, ma volerla egli comperare a conto di un amico
che
glie l’ha chiesta. Ripugna invano Carino, e Pasic
a nome di Lisimaco, nella cui casa è condotta. La moglie di Lisimaco
che
era in villa arriva in sua casa in tal punto, e t
aggiugne, lo consola, intercede per lui presso il padre, e ne ottiene
che
gli ceda Pasicompsa. Notabilo, a mio avviso in qu
ivoco pieno d’arte e di sale comico quello di Pasicompsa nel supporre
che
Lisimaco le favelli del suo Carino, mentre quegli
parlar del vecchio per cui l’ha comperata. Patetico è poi il congedo
che
Carino prende dalla patria nella I scena dell’att
dalla madre è mandata ad abitare in casa del giovine Lesbonico, dopo
che
per le sue prodigalità ha dissipato quanto aveva.
ua condizione dargliela indotata, vuole assegnarle un picciolo podere
che
gli è restato. Ripugna Lisitele per non ispogliar
e gli è restato. Ripugna Lisitele per non ispogliarlo dell’unica cosa
che
può sostentarlo, temendo che ridotto alla mendici
tele per non ispogliarlo dell’unica cosa che può sostentarlo, temendo
che
ridotto alla mendicità non pensi indi a sparir da
oncertato, alla prima imbatte nello stesso Carmide padre di Lesbonico
che
rimpatria, e ne risulta una scena sommamente piac
decente e nobile e condotta con regolarità e piacevolezza, dimostra,
che
se Filemone inventava sempre con simil garbo, acc
i racconto, non può darsi pace al riflettere alla malignità di coloro
che
vanno seminando novelle e giudicando sinistrament
mi traggo fuor di tal genia Che da’ lor detti inzampognar mi feci. O
che
gente! o che forche! o che linguacce! O che sfacc
or di tal genia Che da’ lor detti inzampognar mi feci. O che gente! o
che
forche! o che linguacce! O che sfacciati! Quanto
a Che da’ lor detti inzampognar mi feci. O che gente! o che forche! o
che
linguacce! O che sfacciati! Quanto in città passa
ti inzampognar mi feci. O che gente! o che forche! o che linguacce! O
che
sfacciati! Quanto in città passa, Tutto fingon sa
ciati! Quanto in città passa, Tutto fingon saper, ma nulla sanno. Ciò
che
pensa ciascun, ciò che domani O da quì a un mese
passa, Tutto fingon saper, ma nulla sanno. Ciò che pensa ciascun, ciò
che
domani O da quì a un mese ha da pensar, ben sanno
ascun, ciò che domani O da quì a un mese ha da pensar, ben sanno. Ciò
che
all’orecchio il Re da solo a sola Susurra alla Re
n gli trattien, purchè quanto alla bocca Lor si presenta, possan dir
che
sanno. Tutto il mondo volea che il mio vicino Fos
la bocca Lor si presenta, possan dir che sanno. Tutto il mondo volea
che
il mio vicino Fosse d’Atene anzi di vita indegno,
ldicenza, E i malvagi ciarloni assai più pochi, Che sanno sempre quel
che
mai non sanno. Il Penulo. In greco s’intitolo Κα
onservato il nome dell’autore. Consiste l’argomento in un Cartaginese
che
va in cerca di un nipote e di due sue figliuole p
tti in una lingua morta e ignorata, e della quale non rimangono libri
che
accrescano le umane cognizioni; che sembrami il s
e della quale non rimangono libri che accrescano le umane cognizioni;
che
sembrami il saggio fine dello studio delle lingue
gio Cinese, Etiopico, Pehlvi, Zend, Malaico, Persiano, Copto. Un uomo
che
avesse sì strano gusto, copiando alla peggio gli
i cotali venditori di fole, con maggior senno è vantaggio osserveremo
che
nella seconda scena del medesimo V atto il servo
rveremo che nella seconda scena del medesimo V atto il servo Milfione
che
appena sa qualche parola punica, va a parlare al
he parola punica, va a parlare al Cartaginese, ma appunto per 10 poco
che
sa del di lui idioma, ne interpreta le risposte a
a qual cosa Annone gli parla nella lingua del paese, e viene a sapere
che
vive in Agorastocle il perduto suo nipote. Questa
quale trovasi in potere di un ruffiano. Propone perciò al Cartaginese
che
voglia prestarsi a fingere di conoscere le due so
e figliuole perdute. A ciò Annone prende un’aria di tristezza, e dice
che
furono in fatti a lui rubate due figlie insieme c
tu fingi a meraviglia bene; il principio non può esser migliore. Pin
che
io non vorrei (replica Annone). Ottimamente (Mi
rosiègue): O astutissimo, trincato, scaltrito Cartaginese! Che volto!
che
lagrime! che malinconia! Evviva. Tu superi me ste
astutissimo, trincato, scaltrito Cartaginese! Che volto! che lagrime!
che
malinconia! Evviva. Tu superi me stesso che sono
! Che volto! che lagrime! che malinconia! Evviva. Tu superi me stesso
che
sono l’architetto di questa frode. Questo comico
ogo. Il Persiano. Si tratta in questa favola dell’astuzia di un servo
che
agira un ruffiano. Eccone la condotta. Atto I. To
Eccone la condotta. Atto I. Tossilo servo fra se ragionando conchiude
che
la costanza di un amante povero supera le più glo
jo per soddisfare alla sua passione, ma non ottiene altro in risposta
che
un non ne ho . Vede Sagaristione altro servo, e
e altro servo, e gli va incontro. Dopo i saluti, questi gli domanda,
che
si fa? Si vive , risponde Tossilo; Contento (dic
ro)? Assai (Tossilo) se il moi pensier riesce. Sagaristione osserva
che
l’amico è pallido e sparuto. Tossilo gli confessa
ssere innamorato. Che mi dì tu, quegli risponde; è qui venuta la moda
che
i poveri servi amoreggino? Questo è il mio destin
ettendo trattarlo con ogni lautezza. Afferma non aver egli altra cura
che
lo crucia, se non quella di riscattare dalle mani
non quella di riscattare dalle mani di un Ruffiano una bella schiava
che
egli ama. Mancangli a tal uopo seicento nummi, e
mi vendo intero intero, Sa Dio se raccorrò quanto tu chiedi. Tu vuoi
che
chi di sete stà morendo, Cavi acqua dalla pomice.
vedere se vi è rimasto dal dì passato qualche cosa da ingollare, vede
che
la porta si apre e si trattiene. Torna fuori Toss
llare, vede che la porta si apre e si trattiene. Torna fuori Tossilo,
che
ha pensato con un’ astuzia di fare che lo stesso
rattiene. Torna fuori Tossilo, che ha pensato con un’ astuzia di fare
che
lo stesso padrone della sua bella sborsi il danaj
i non averlo veduto, e di ordinare a’ servi un banchetto per un amico
che
attende. Saturione con giubilo comprende esser lu
gli dice, bene a tempo, caro Saturione. Menti, amico , egli risponde,
che
io non vengo miga Saturione, ma Esurione. Questi
ato. Oggidi per iscreditarsi un uomo tra persone ben nate, basterebbe
che
proferisse alcuna di queste inezie che i Francesi
a persone ben nate, basterebbe che proferisse alcuna di queste inezie
che
i Francesi chiamano turlupinades. Tossilo gli dic
lupinades. Tossilo gli dice ch’egli mangerà, purchè si ricordi di ciò
che
jeri gli disse. Mi ricordo, si , risponde, che n
chè si ricordi di ciò che jeri gli disse. Mi ricordo, si , risponde,
che
non vuoi che la murena e il congrio si riscaldino
i di ciò che jeri gli disse. Mi ricordo, si , risponde, che non vuoi
che
la murena e il congrio si riscaldino. Non di ques
ongrio si riscaldino. Non di questo ( l’altro) ma de’ seicento nummi
che
dovevi prestarmi. Mi ricordo anzi (Saturione) ch
de’ seicento nummi che dovevi prestarmi. Mi ricordo anzi (Saturione)
che
tu me ne pregasti, e che io non ebbi che darti. U
vevi prestarmi. Mi ricordo anzi (Saturione) che tu me ne pregasti, e
che
io non ebbi che darti. Un parassito con danajo è
Mi ricordo anzi (Saturione) che tu me ne pregasti, e che io non ebbi
che
darti. Un parassito con danajo è indegno di porta
uon parassito. Orsù (dicegli in fine Tossilo) da te altro non voglio
che
la tua figliuola… La mia figliuola? (Interrompe
tua figliuola… La mia figliuola? (Interrompe Saturione) No, per Dio,
che
finora a quell’uscio non ha fiutato verun cane. N
e vaga e vezzosa, e tu non sei conosciuto dal ruffiano Dordalo. Certo
che
no (Saturione); vuoi tu che io sia conosciuto da
i conosciuto dal ruffiano Dordalo. Certo che no (Saturione); vuoi tu
che
io sia conosciuto da altri che da chi mi dà da ma
lo. Certo che no (Saturione); vuoi tu che io sia conosciuto da altri
che
da chi mi dà da mangiare? Or dunque (ripiglia To
dà da mangiare? Or dunque (ripiglia Tossilo) tu puoi darmi il danajo
che
io cerco, permettendomi di vendere la tua figliuo
ndere la mia figliuola? Anzi non io (Tossilo dice); ma qualche altro
che
possa fingersi forestiere; cosa non difficile, no
che possa fingersi forestiere; cosa non difficile, non essendo scorsi
che
sei mesi dalla venuta del Ruffiano da Megara in q
o il banchetto, se dee dipendere da questo intrigo. Tossilo conchiude
che
egli rimarrà digiuno, se non vende la figliuola.
taci pure (ripiglia l’altro); ella è tre volte più astuta di quello
che
tu brami. E Tossilo: Ottimamente. Prendi anche u
E Tossilo: Ottimamente. Prendi anche un vestito per mascherar colui
che
dee fingersi forestiere e vendere tua figlia. All
i personaggi della favola, e venire innanzi gl’istrioni e le persone
che
assistono al l’esecuzione dello spettacolo, sicco
e loro picciole macchie, seguendo l’avviso Oraziano. Tossilo aggiugne
che
come il ruffiano avrà sborsato il danajo per prez
n altro spedisce a lei Pegnio, incaricandogli di affrettarsi in modo,
che
possa trovarsi in casa quando egli pensi che sia
di affrettarsi in modo, che possa trovarsi in casa quando egli pensi
che
sia ancora da Lenniselene. Pegnio risponde, ti o
ai? dice Tossilo; e Pegnio: in casa, per trovarmici mentre tu pensi
che
io sia da Lenniselene ; motto, ovvero, giusta la
tta adottata in seguito da Pulcinelli ed Arlecchini Parte Tossilo. Ma
che
fa intanto Sofoclidisca? Ella è fuori: non vede T
potevano rappresentare in una medesima veduta più luoghi di tal modo
che
un personaggio posto a favellare in una banda del
na poteva essere coperto e non veduto da chi agiva in un’altra fino a
che
non venisse avanti nel pulpito. S’incontrano poi
n pajo di buoi e pensa valersene per prestarlo a Tossilo. Vede Pegnio
che
esce dalla casa del ruffiano, e vorrebbe domandar
e colla solita sua insolenza e parte. Esce Tossilo dicendo alla fante
che
consoli la padrona, essendo già disposto e pronto
i cavarlo dal medesimo ruffiano. L’introduce in sua casa perchè pensa
che
avrà bisogno della di lui opera. Atto III. Viene
e colla Vergine sua figliuola abbigliata all’orientale. Le rammenta a
che
viene, e come sarà venduta. La Vergine con saviez
ssi il mio?M’hai tu per figlia o serva? Sat. Per tutto quello io t’ho
che
alla mia pancia Tornerà conto. Io su di te comand
ue mai. E quando il pensi men, t’esce sul viso. Ver. Nol temo, no; ma
che
si finga, spiacemi. Sat. Temi tu ch’io ti venda d
iacemi. Sat. Temi tu ch’io ti venda da buon senno? Ver. Nol temo, no;
che
si finga, spiacemi. Sat. Ti spiaccia pur, sarà qu
Nol temo, no; che si finga, spiacemi. Sat. Ti spiaccia pur, sarà quel
che
vogl’io. Ver. Sarà? Sat. Sarà?Sarà; che cianci?
. Ti spiaccia pur, sarà quel che vogl’io. Ver. Sarà? Sat. Sarà?Sarà;
che
cianci? Ver. Sarà? Sarà; che cianci?A ciò sol pe
he vogl’io. Ver. Sarà? Sat. Sarà?Sarà; che cianci? Ver. Sarà? Sarà;
che
cianci?A ciò sol pensa. Quando un padron di basto
si spoglia, on palpita il meschino in quell’istante? Cosi tem’io quel
che
accader non debbe. Ma ella si affanna in vano. S
modo sciogliendosi dal contratto; ma si ferma al sentire le strepito
che
fa la di lui porta nell’aprirsi. Esce Tossilo bal
ldanzosamente, e vedendo Dordalo, con disprezzo ed alterigia gli dice
che
prenda pure il danaro aspettato con tanta diffide
fidenza. Con pari insolenza rispondegli Dordalo. Rimangono di accordo
che
il raffiano giuridicamente dichiarerà libera Lenn
po di avere alquanto esitato, cerca di vederla insieme col forestiere
che
l’ha condotta. La vede, e secondo l’usanza di chi
ine veneri e di buon senso. Ne tradurremo qualche frammento: Sag. Or
che
dici di Atene? Non ti pare Splendida e vaga? Ver.
aga?Io la città sol vidi, Gli usi e gli abitator poco conobbi. Tos. O
che
savio principio! Dor. O che savio principio!Da u
usi e gli abitator poco conobbi. Tos. O che savio principio! Dor. O
che
savio principio!Da un sol motto La saviezza di le
Tossilo per accreditare l’inganno con finto zelo suggerisce a Dordalo
che
nulla conchiuda prima di aver domandato alla fanc
rdalo che nulla conchiuda prima di aver domandato alla fanciulla quel
che
conviene; indi di soppiatto avverte la Vergine a
Ella scaltramente soddisfa ad ogni domanda con parole di doppio senso
che
ingannano il ruffiano e danno piacere allo spetta
oppio senso che ingannano il ruffiano e danno piacere allo spettatore
che
ne comprende il vero significato. Questo artifici
specie di commedia, ed è la più ingegnosa fonte del ridicolo, sempre
che
i sentimenti equivoci sieno naturali, e non già t
ti al proposito con gli argani. Serva di esempio quest’altro squarcio
che
io cosi traduco: Tos. Questi, o figliuolo, è un
. Ver. Noi ti chiediam ragion.Stupir? perchè? Non permetto il destin
che
mi fa serva, Che del mio mal meravigliar mi debba
Oh Dio! Tos. Deh non piangere. Oh Dio!(Sia maledetta! Che trincata e
che
scaltra! ha senno: oh quanto Aggiustato risponde!
stato risponde!) Dor. Aggiustato risponde!)Il nome tuo Tos. Ora temo
che
sbagli) Ver. Ora temo che sbagli)Al mio paese Lu
ustato risponde!)Il nome tuo Tos. Ora temo che sbagli) Ver. Ora temo
che
sbagli)Al mio paese Lucrida era chiamata. Tos. L
r va bene). Dor. (Tutto finor va bene).Ove nascesti? Ver. Per quello
che
mi disse un dì mia madre, In cucina in un canto a
da il poeta mostrare ch’ella siesene dimenticato, e si salvi con dire
che
la sua patria è la città dove ora serve, e cose s
orum expalponides, Quod semel arripides, nunquam postea eripides; il
che
graziosamente s’imitò da Giambattista della Porta
assano in istrada; ma quel bagordo dove segue? Metastasioa non istima
che
si celebrasse in istrada, e suppone che siesi cam
segue? Metastasioa non istima che si celebrasse in istrada, e suppone
che
siesi cambiata la scena. Figurandosi però cambiat
fatte nell’interiore di una casa ancor dalla strada, ovvero supporre
che
il servo baldanzoso Tossilo, per far disperar Dor
altro ruffiano aggirato e truffato, e tanto più graziosamente, quanto
che
n’è prima avvertito da un vecchio, il quale per u
se ne sono esposte nella scena. Cicerone nel suo Catone ci fa sapere
che
Plauto stesso oltremodo se ne compiaceva. Tra’ va
fa sapere che Plauto stesso oltremodo se ne compiaceva. Tra’ vantaggi
che
ci presenta l’esame delle opere degli antichi, co
atta dal servo per sovrappiù di avvisare il ruffiano nel tempo stesso
che
l’ingannava; la qual cosa eseguisce con graziosis
a. Notabile nella commedia di Plauto è la sfacciataggine del ruffiano
che
con alacrità confessa tutte le sue malvagità. Cal
e gnatus, nummum non habes. Questa è la solita risposta de’ furfanti
che
deridono i buoni e si animano a continuare nelle
insegnare a detestarla, e per rendere più accetta al popolo la beffa
che
ne riceve poscia quell’indegno che la tiene in bo
ere più accetta al popolo la beffa che ne riceve poscia quell’indegno
che
la tiene in bocca e nel cuore. Si osservi che in
ve poscia quell’indegno che la tiene in bocca e nel cuore. Si osservi
che
in questa favola ancora Pseudolo distrugge l’illu
trarne ridevoli conseguenze contro gli antichi. Egli non può ignorare
che
da essi non vuolsi apprendere il modo di sceneggi
può ignorare che da essi non vuolsi apprendere il modo di sceneggiare
che
varia secondo i tempi e le nazioni, ma la sempre
ola ocellus fabularum Plauti a Curculione. Dal nome di un Parassito
che
inganna un soldato millantatore, prende il titolo
di Fedromo di lei innammorato corrisposto. Per quell’anello medesimo
che
ha servito all’inganno, la vergine viene riconosc
i perdere le vesti date in affitto a Curculione. Lo spirito di verità
che
rende i componimenti rappresentati interessanti,
ta intera, pur si tradusse nel secolo XV da Paride Ceresara, per quel
che
apparisce da una lettera di Lodovico Eletto Manto
as. Altera manu fert lapidem, panem ostendit altera; come ancora ciò
che
risponde Megadoro all’avaro Euclione, il quale di
a fallo come Dea di tutte quante le altre. Si vuole intanto osservare
che
Euclione nel fine dell’atto III dice di volere an
detto di volere andare. O dunque bisogna dire col celebre Metastasio
che
i luoghi di tal favola sien due; o secondo noi co
secondo noi concepire un teatro composto di più spartimenti iu guisa
che
vi sieno segnati più luoghi richiesti per eseguir
lla fanciulla esposta, la quale è fortemente innamorata di un giovine
che
l’ama ancora. Questo valoroso Comico non ha bisog
episodii. Corre allo scioglimento, e talvolta accenna soltanto quello
che
mena alla catastrofe; e pure in cosi fatta sempli
tà di argomento e di condotta versa in tal copia le facezie e i vezzi
che
l’erudito Dousa ne rimaneva attonito. Ma tale per
gegno fecondissimo di Plauto. Si osserva nella Cistellaria una novità
che
altrove rarissime volte si rinviene. Il prologo f
ell’atto I. Con Plautina felicità veggonsi nella scena di Alcesimarco
che
è la prima dell’atto II dipinte vivamente le cont
e gli amareggiati diletti dell’amore. I Menecmi. Di questa commedia,
che
dalla compiuta somiglianza di due gemelli Siracus
le grazie, le scene equivoche, il groppo e lo scioglimento, non credo
che
sievi nazione moderna che non abbia traduzioni o
che, il groppo e lo scioglimento, non credo che sievi nazione moderna
che
non abbia traduzioni o almeno imitazioni. Nel XV
i Plauto. Tralascio poi di tutte distintamente riferire le imitazioni
che
se ne fecero ne’ precedenti secoli in Italia co’
a, profonde, e si carica di debiti. Arriva il padre in une de’ giorni
che
egli in compagnia di donne ed amici stà gozzovigl
hè sessant’anni fa vi fu spogliato e ammazzato un forestiere da colui
che
vendè la casa al vecchio padrone. Questa mensogna
’arrivo di un creditore; ma il servo per giustificare il debito finge
che
il figliuolo abbia comperata la casa di un altro
forza di bugie ne ottiene la permissione dal padrone di quella, senza
che
nè l’uno nè l’altro vecchio nulla penetri della f
che nè l’uno nè l’altro vecchio nulla penetri della fola. Si osservi
che
nell’andare a vederla il padrone della casa va vi
osservare l’interiore della casa, ed il teatro rimane voto nel tempo
che
si spende a vedere il gineceo o appartamento dell
imo verso della scena seguente, quid tibi visum est hoc mercimonii ,
che
subito succede alle parole, equidem haud usquam
lle parole, equidem haud usquam a pedibus abscedam tuis , dimostra o
che
la scena, come dicemmo, sia rimasta vota nel temp
s , dimostra o che la scena, come dicemmo, sia rimasta vota nel tempo
che
si consuma a vedere l’interiore della casa, o che
asta vota nel tempo che si consuma a vedere l’interiore della casa, o
che
vi manchino forse de’ versi detti da Simo prima d
, o che vi manchino forse de’ versi detti da Simo prima di partire, o
che
il poeta abbia contato sull’indulgenza dello spet
titolo le Retour imprevû. È stato osservato da Metastasio il bisogno
che
essa ha di mutazioni di luoghi per rappresentarsi
oldato millantatore. Αλαζων, jactator, fu chiamata in greco la favola
che
Plauto intitolò Miles gloriosus; ed è il servo Pa
favola che Plauto intitolò Miles gloriosus; ed è il servo Palestrione
che
ciò manifesta nella 1 scena dell’atto II, adopera
ò manifesta nella 1 scena dell’atto II, adoperata in vece di prologo,
che
per la seconda volta troviamo da Plauto posto in
omune, per la cui apertura passa la donna a vedere l’amante. Il servo
che
la custodisce, la vede nella vicina casa abbracci
tatore da questo nuovo acquisto, per non ricevere disturbo dall’amica
che
ha in casa, risolve di lasciarla partire colla pr
asa, risolve di lasciarla partire colla pretesa sorella e colla madre
che
già si dice imbarcata. Appena l’innamorato vestit
e imbarcata. Appena l’innamorato vestito da marinajo l’ha menata via,
che
il Soldato pieno di speranza e di amore per l’ide
si vuol collocare tralle più piacevoli di Plauto per lo sale grazioso
che
la condisce, e per la vivace dipintura del vano c
e lo sdegno, e riescono nell’intento. I vecchi cadono nelle debolezze
che
riprendevano ne’ figliuoli. Il parlare allo spett
l dramma, è cosa comune nelle favole di Plauto. È degno di osservarsi
che
nella scena 2 dell’atto II Pistoclero racconta al
i che nella scena 2 dell’atto II Pistoclero racconta al servo l’amore
che
Bacchide ha per Mnesiloco, e Crisalo annojato non
oclero) di sentire la buona ventura del tuo padrone? Non è il padrone
che
m’incresce (risponde Crisalo) ma è l’attore che
ne? Non è il padrone che m’incresce (risponde Crisalo) ma è l’attore
che
m’infastidisce e mi ammazza. Epidico, non dico a
dico. Questa è la favola mentovata nelle Bacchidi. Epidico è un servo
che
in vece di riscattare una figliuola naturale del
figliuola naturale del vecchio Perifane suo padrone, compra una donna
che
suona e canta sull’arpa (fidicina) per secondare
o del giovane Stratippocle. Oltre a ciò per procurargli quaranta mine
che
dee a un usurajo per aver comprata un’altra donna
anta mine che dee a un usurajo per aver comprata un’altra donna fa si
che
lo stesso Perifane compri un’altra cantatrice, ch
’altra donna fa si che lo stesso Perifane compri un’altra cantatrice,
che
per altro è libera, dandogli speranza che non man
compri un’altra cantatrice, che per altro è libera, dandogli speranza
che
non mancherebbe di esser ricomprata da un soldato
ndogli speranza che non mancherebbe di esser ricomprata da un soldato
che
l’ama. Ma il soldato ricusa di ricomprarla accorg
ndosi di non esser quella ch’egli desidera. Dall’altra parte Perifane
che
tiene in casa come sua figlia la sonatrice compra
a il vecchio contro Epidico. Ma per buona ventura di costui si scopre
che
l’ultima fanciulla comperata da Stratippocle era
ei sorella naturale, ed Epidico per tal felice evento ne ottiene, non
che
il perdono, la libertà. Contasi questa favola tra
er la copia de’ vezzi e per la continuata eleganzaa Stico. Il Servo
che
presta il nome a questa commedia, è un personaggi
ervo che presta il nome a questa commedia, è un personaggio episodico
che
per niun modo influisce nell’azione principale. Q
o fermezza è premiata col ritorno di essi già divenuti ricchi. Sembra
che
a Plauto non bastasse tale argomento per una inte
a che a Plauto non bastasse tale argomento per una intera commedia, e
che
avesse voluto supplirvi colla languida e in niun
iata con pennellata maestrevole nel prologo in tal guisa: La giovane
che
alberga in quella casa Fronesia è detta, e tutti
empo stesso tre merlotti, uno della villa, uno della città e un altro
che
viene da’ paesi esteri. A quest’ultimo da lei tra
trarne regali e per richiamarlo all’antica amistà. Le arti meretricie
che
adopera variamente coi tre innamorati in compagni
secondano, son copiate al naturale dalle procedure di simili femmine
che
trafficano i loro vezzi. Lo scioglimento avviene
ommedia rispettate dal tempo, la favola più decente e pudica è questa
che
Plauto intitolò Capteivei. Egione ha due figliuol
è questa che Plauto intitolò Capteivei. Egione ha due figliuoli, uno
che
di anni quattro gli fu rubato da uno schiavo e ve
ilocrate, lo ravvisa pel servo Tindaro, e scopre l’inganno ad Egione,
che
vedendosi aggirato condanna Tindaro a cavar pietr
compagnia di Filocrate, e lo riconosce per lo stesso malvagio schiavo
che
rubò e vendè l’altro suo figlio di quattro anni,
e nel ricercarsi le particolarità del ratto e della vendita, trovasi
che
il servo Tindaro è l’altro figlio di Egione. L’un
ta favola. Filocrate in fine dell’atto II parte dal luogo della scena
che
è Calidone di Etolia: va in Elide: tratta quivi i
va in Elide: tratta quivi il cambio degli schiavi: si sa nell’atto IV
che
è tornato: nel V comparisce egli stesso, avendo c
anciullesche, e vogliono indi giudicarne canuti dalle idee elementari
che
ivi ne ricevettero; imparino dall’argomento di qu
i che ivi ne ricevettero; imparino dall’argomento di questa commedia,
che
gli antichi Comici molte altre invenzioni avranno
ici molte altre invenzioni avranno immaginate assai diverse da quelle
che
leggiamo nelle reliquie de’ loro scritti a noi pe
e cessino dal dettar pettoruti in tuono di oracolo aforismi generali
che
contraddicono dell’imitazione dell’immensa natura
a filosofia sono i selvaggi dell’orbe lettarario: altro non ostentano
che
spalle nude, armi di legno e presunzione senza mo
i avere succintamente dimostrato qual sia Plauto nelle venti commedie
che
di lui ci rimangono. Osservatore non sempre esatt
e alla nobile. Contesero gli antichi intorno al numero delle commedie
che
Plauto scrisse. Altri con Servio gliene attribuis
Gellio col filosofo Favorino riconosce per favole Plautine la Beozia
che
si ascriveva ad Aquilio, la Nervolaria, e Fretum.
, poco sicuro, ove tutto il rimanente non corrisponda. Spesso avviene
che
un numero limitato di versi non infelici scappi f
auto. Il lodato Varrone soltanto ventuna a Plauto ne assegna, e vucle
che
le commedie intitolate Gemini, Leones, Condalium,
ia, Ἀγριχος, Commorientes, appartengano a Marco Acuticoa Certo è però
che
Plauto miglior poeta che mercatante caduto in mis
, appartengano a Marco Acuticoa Certo è però che Plauto miglior poeta
che
mercatante caduto in miseria e postosi a lavorare
nservato il nome della terza. Ora queste tre aggiugnendosi alle venti
che
ne abbiamo, passerebbero il numero di ventuna da
r Plautine. Certo Lelio al dir di Gellio, uomo eruditissimo affermava
che
venticinque veramente erano le commedie da Plauto
mava che venticinque veramente erano le commedie da Plauto composte e
che
altre appartenevano ad altri più antichi comici,
lui ritoccate nel ripetersene le rappresentazioni. È nato l’epitafio
che
Plauto compose a se stesso, in cui dimostra la pe
l’epitafio che Plauto compose a se stesso, in cui dimostra la perdita
che
nella sua morte era per fare la commedia: Postqu
appo i Romani la lingua, e certi versi, ed un certame mimico speciale
che
si celebra per istituto de’ maggiori, continua a
giori, continua a rappresentarsi sulla scena Romana. b. Vedasi ciò
che
si dice da Giacomo Guitero lib. II c. 10 de V et.
lica severitate temperatum, ideoque vacuum nota est. a. Oltre a ciò
che
rilevasi da Polibio, da Livio, da Virgilio, da St
I, lib. VII. a. De Claris Oratoribus num. 18. a. Strano sembrami
che
il noto Carlo Denina nella parte I del Discorso s
parte I del Discorso sulla Letteratura abbia senza appoggio asserito
che
Gneo Nevio venne dalla Magna Grecia come Androni
ecia. Anzi Plauto nella sua favola Miles Gloriosus (at. II, sc. 2) fa
che
Palestrione Greco lo chiami Poeta Barbaro , cioè
cia. Il Comico stesso nella commedia Capteivei mostra più chiaramente
che
i Greci appellavano barbari gl’Italiani. Il paras
e ripiglia, Quid tu per barbaricas urbes juras? Noto è pur troppo
che
barbaro di sua origine significò straniero, quale
i alla Joro nazione non apparteneva. Così Diodoro (libro XIV) dicendo
che
i Cartaginesi trassero ajuti da’ barbari d’Italia
è straniera. Aulo Gellio nel rimproverare a Nevio il fastoso epitafio
che
per se stesso compose, dice che i suoi bei versi
proverare a Nevio il fastoso epitafio che per se stesso compose, dice
che
i suoi bei versi mostravano tutta la nativa alter
cioè del proprio paese. E’ inutile accumolare altri argomenti su ciò
che
finora niuno pose mai in dubbio. Pur ne piace ram
io animata coll’iscriziionz Nevius poeta Cap.; era dall’altra un lupo
che
teneva sotto un agnello con bastone nel mezzo. Il
e teneva sotto un agnello con bastone nel mezzo. Il lodato Denina par
che
abbia scritte le ultime sue operette .in fretta,
he oggi, ed abbonderanno sempre simili Ennii critici di que’ medesimi
che
essi saccheggiano. b. Vedasene il giudizio che n
tici di que’ medesimi che essi saccheggiano. b. Vedasene il giudizio
che
ne porto Volcazio Sedigito presso Gellio nel libr
i del Calogerà). Il luogo presso Taranto designato per Rudia si vuole
che
fosse la terra delle Grottaglie. Quello della Rud
udia si vuole che fosse la terra delle Grottaglie. Quello della Rudia
che
oggi ne conserva il nome, trovasi sei miglia dist
ito Niccolò Eugenio Angelio nella traduzione delle commedie di Plauto
che
pubblicò in Napoli nel 1783 in dieci tomi: … Qua
meistero nel 1625 ne fece una imitazione volgendola al fatto di Saule
che
promette la figliuola a Davide. a. Pauxillatim
ubi liber ero ecc. Il leggitore con diletto consulterà l’originale,
che
l’Angelio ha cosi tradotto: Adesso
ato Re. Indi per mio Diporto vo’ comperarmi una nave, E far lo stesso
che
facea Stratonico Viaggiando e andando in giro pè
esso che facea Stratonico Viaggiando e andando in giro pè paesi. Dopo
che
il nome mio si sarà reso Chiaro e famoso, fonderò
XXXII. a. Fabrizio Bibl. Latina lib. I, c. 1. a. Giova vederne ciò
che
ne dice il più volte citato Dousa nel libro III c
alla porta, o dentro d’una cucina: segue nelle camere della meretrice
che
si adorna: continua nella casa medesima con un so
e scintilla fino nella Drammatica cogl’Inni Dionisiaci, e co i Satiri
che
vi comparivano. Questi semi dierono in appresso n
noi perduti, eccetto il Polifemo di Euripide. Non si curarono, a quel
che
sembra, di coltivarla i Latini: ma de’ loro Dramm
sono rimaste troppo scarse reliquie per assicurarsene. Certo è però,
che
tralle Maschere, che appartengono alla antica Ita
scarse reliquie per assicurarsene. Certo è però, che tralle Maschere,
che
appartengono alla antica Italia, trovansene di mo
he appartengono alla antica Italia, trovansene di molte satiresche; e
che
i Romani nel copiare i Teatri Greci materiali, se
l Dramma Satiresco la sua Scena, e le decorazioni corrispondenti. Che
che
sia di ciò, Virgilio, Calfurnio rinnovarono in It
ancora nell’Orfeo del Poliziano un Dramma Pastorale con fine tragico,
che
in nulla rassomigliava al Ciclope di Euripide, e
Italia, benchè sembrasse diversamente al P. Brumoy e ad altri ancora,
che
vorrebbero ricavarlo dal Ciclope; nè le altre mod
Tasso. Quì ci muove lite l’Apologista erudito, e pretende seriamente,
che
in Ispagna nacque la Scenica Pastorale. E perchè
erchè “sino al 1554. quando uscì il sacrifizio del Beccari, può dirsi
che
non fu conosciuto in Italia questo nuovo genere D
sto nuovo genere Drammatico.” Le quali parole in sostanza significano
che
non inventarono la Pastorale, perchè non l’invent
ale, perchè non l’inventarono. Queste sono appunto di quelle ragioni,
che
in Ispagna diconsi de Pedro Grullo, e in Italia d
nche questi, come la Sofonisba, Dialoghi Allegorici? La vera risposta
che
vi conviene, è il verso di Giovenale, Sic volo,
Allegorico. Dice appresso (p. 157.): “Ciò posto . . . . (Piano: Posto
che
? Nulla avete voi posto nè stabilito: dovreste dir
e? Nulla avete voi posto nè stabilito: dovreste dire piuttosto, Posto
che
io per capriccio non vò riconoscere per Pastorali
vò riconoscere per Pastorali nè il Cefalo, nè l’Orfeo, nè l’Egle, non
che
i due Pellegrini; e poi proseguire il vostro arzi
roseguire il vostro arzigogolo). “Ciò posto (dice dunque), ognun vede
che
fino a questi tempi non può dirsi inventato dagl’
e i vostri vetri colorati, di cui parla Plutarco, ognuno vedrà quello
che
a voi sembra di vedere; altrimenti ognuno vedrà,
gnuoli sostituisca il nostro Apologista. L’inventore della Pastorale,
che
, secondo lui, prevenne gl’Italiani, fu il Battilo
n tali non dubbie ignoranze vogliono venire a competenza in un punto,
che
dipende dalle date? Rigetta l’Apologista l’opinio
che dipende dalle date? Rigetta l’Apologista l’opinione del Quadrio,
che
il Rueda fiorisse verso il 1560., e stima ch’egli
così: ma non per la piacevole ragione asseritane dal Lampillas, cioè
che
poco dopo il Rueda morì. Forse non si può morire
icorre alle sue famose congetture. Ed io perchè di me ancora non dica
che
gl’Italiani dissimulano le sue ragioni, vo’ rappo
che gl’Italiani dissimulano le sue ragioni, vo’ rapportarle. La prima
che
propone, è questa che si legge alla p. 168.: “Nel
ulano le sue ragioni, vo’ rapportarle. La prima che propone, è questa
che
si legge alla p. 168.: “Nella serie storica de’ p
trovata in qualche scavazione incisa in Tavole enee, come l’Eugubine,
che
possa valere di prova invitta a decidere di anter
ondamenta per le vostre torri, Sig. Lampillas! In secondo luogo dite,
che
Castillejo certamente fiorì da’ primi anni del se
quaranta. Questa parola certamente parmi della natura delle certezze,
che
avete intorno alla vita di Vasco di Fregenal, del
e provando l’incertezza coll’incertezza. Di Castillejo è certo solo,
che
servì di Segretario a Ferdinando, fratello dell’I
llo dell’Imperadore Carlo V., a cui succedè nell’Imperio di Alemagna;
che
menò la maggior parte della vita nella Corte; e c
erio di Alemagna; che menò la maggior parte della vita nella Corte; e
che
in fine si ritirò vestendo l’abito de’ Cistercien
rì nel 1596.1. Se dovea egli fiorire ne’ primi anni del XVI., se quel
che
i Greci dicono ἀκμὴ, vigore, sia dell’età, sia de
ia dell’età, sia dell’ingegno, il dimostrò a quel tempo, egli è forza
che
nascesse nel XV., nè verso gli ultimi anni, perch
a un possibile rarissimo a cui ricorrete, si presumerà contro di voi,
che
asserite volontariamente cose non vere, per giugn
nte cose non vere, per giugnere al vostro intento. Di poi non si vede
che
ondeggiate in un elemento instabile senza bussola
de che ondeggiate in un elemento instabile senza bussola? Avete detto
che
Castillejo fiorì ne’ primi anni del secolo; e dit
Castillejo fiorì ne’ primi anni del secolo; e dite poi nella p. 178.,
che
fiorì verso il 1530. Or fino a quanto per gli Apo
oltre ch’ei fiorisse verso il 1530. fino al 40. Presto dunque bisogna
che
lasciasse di fiorire chi prolongò la vita sino al
fioriva Lope de Rueda. Non è questa una illazione ben dedotta? Lascio
che
la parola amico del Rueda porta la marca dell’off
el Saggio. Mi ristringo solo a domandare, se pare al Sig. Apologista,
che
quest’amicizia possa dirsi contratta intorno al 1
i lui morte, è pruova della loro amicizia? E su tali fondamenti parvi
che
possa regger la macchina innalzata dalla cieca fi
llas a leggere El Viage Entretenido del buon Poeta Agostino de Roxas,
che
egli forse in fide parentum stimò che fosse una S
l buon Poeta Agostino de Roxas, che egli forse in fide parentum stimò
che
fosse una Storia de’ Teatri delle antiche Nazioni
dito Bibliografo D. Nicolas Antonio smentisce l’Apologista. Egli dice
che
Agostino de Roxas Commediante fiorì tra il secolo
medianti Spagnuoli, e de’ loro costumi, sono in verità ben altra cosa
che
una Storia de’ Teatri delle antiche Nazioni e del
oria de’ Teatri delle antiche Nazioni e del Teatro Spagnuolo. Bisogna
che
qualche maladetto incantatore nemico di tutti i D
, impressa nel medesimo Madrid, nel medesimo tempo: veda se può dire,
che
il testo dell’Antonio sia viziato: pensi se qualc
Cervantes) avesse cambiato il Libro del Roxas: in somma faccia egli,
che
farà sempre bene al solito. Mi dica solo; questa
o sembra al Lampillas un bellissimo Dramma Pastorale. Faccia il Cielo
che
questo ancora non sia un mulino a vento, preso pe
nosce il genere, non dall’azione, ma dal numero de’ versi, osservando
che
anche col toglierne un lungo ragionamento in lode
anche col toglierne un lungo ragionamento in lode della Casa di Alba (
che
in vero starebbe acconciamente allogato, se quest
a quattro persone in cinque scene! Noti ancora la Spagna e l’Italia,
che
l’istesso Apologista, il quale toglie a’ due Pell
, il quale toglie a’ due Pellegrini del Tansillo il titolo di Dramma,
che
pure ha un’ azione che l’allontana dalle Ecloghe,
e Pellegrini del Tansillo il titolo di Dramma, che pure ha un’ azione
che
l’allontana dalle Ecloghe, l’istesso Apologista,
nte Dramma l’Albanio, in cui non v’ha operazione alcuna compiuta, nel
che
è posta l’essenza del Dramma, come è chiaro dalla
illas aspirando (senza saper perché) all’anteriorità della Pastorale,
che
è l’Itaca che fugge davanti al nostro Catalano Ul
o (senza saper perché) all’anteriorità della Pastorale, che è l’Itaca
che
fugge davanti al nostro Catalano Ulisse, ha trasf
avanti gli occhi nel ricordare i trapassati valentuomini. Non è però
che
ignoriamo che a Garcilasso s’imputi la mancanza d
chi nel ricordare i trapassati valentuomini. Non è però che ignoriamo
che
a Garcilasso s’imputi la mancanza della lima, e c
erò che ignoriamo che a Garcilasso s’imputi la mancanza della lima, e
che
l’Albanio sua seconda Ecloga ceda in perfezione a
ai non pensò a convertire la sua Ecloga in una produzione drammatica,
che
subito ne diverrebbe insulsa, mostruosa, e fanciu
l’edizioni fattesene nella Penisola di Spagna. Or chi avrebbe pensato
che
il Lampillas, il quale volle escludere dal numero
volle escludere dal numero delle pastorali il Cefalo, e l’ Orfeo, non
che
i due Pellegrini degl’Italiani, ad onta poi di Ga
gressi del teatro Latino. Roma dedita alle armi favoriva poco le arti
che
potevano ammollire il valore, e trascurò la dramm
Se non molto amandola pure ne tollerò lo spettacolo, non permise però
che
vi si mettessero sedili (Nota III) affinchè il po
ella città un teatro, ma il Console P. Cornelio Scipione Nasica vietò
che
si terminasse, e fece vendere all’incanto tutti i
le alimenta, le arti prendono il volo, e si elevano sino all’altezza
che
può comportare un clima. Ciò avvenne al teatro La
splendore. Piena come è di gravità e maestà, servì felicemente coloro
che
impresero con coraggio a coltivar la tragica poes
n quello del sagacissimo imitatore degli antichi poeti Antonio Moreto
che
fu da lui stesso composto76. Pacuvio al pari di E
pittore non ignobile, e dagli antichi si trova commentata la pittura
che
fece pel tempio di Ercole nel Foro Boario77. Egli
gno della sua elegantissima gravità, oltre al pregio della verecondia
che
manca a quelli di Nevio e di Plauto, siccome altr
imi suoi giorni (Nota IV), capitovvi Lucio Azzio altro famoso tragico
che
passava in Asia. Pacuvio l’avea conosciuto in Rom
Edili, a’ quali Azzio ne avea presentata un’ altra non contandone più
che
trenta79. Azzio almeno cinquant’anni più giovane
in Roma. Nell’andare in Asia non mancò di visitare il vecchio tragico
che
cortesemente l’albergò per molti giorni. Trattene
incresce; i pomi duri ed acerbi stagionandosi diventano dolci; quelli
che
da principio nascono teneri e quasi vizzi, cresce
o in vece di maturarsi imputridiscono. Così sono gl’ ingegni: bisogna
che
si lasci al tempo l’ agio di ridurli a una maturi
unse a superar la fama e il merito di Azzio. Era talmente rispettato,
che
per avere ardito un istrione soltanto di nominarl
nto di nominarlo in teatro, ne fu severamente castigato. Decimo Bruto
che
nel 615 fu console e nel 623 trionfò per tante vi
gna, fu l’amico e il protettore di Lucio Azzio. Egli de’ di lui versi
che
sommamente pregiava, volle ornare l’ingresso de’
e’ poeti Giulio Cesare personaggio decorato nella repubblica non meno
che
di lettere adorno, Accio nonmai si levò in piedi;
nè tanto per loro colpa, quanto del tempo in cui fiorirono. Da coloro
che
vogliono parere eruditi si attribuisce ad Accio m
ati da Cicerone85, ne’ quali si descrive la maraviglia di un pastore,
che
non avendo mai veduto un vascello, scoperse dall’
ndo mai veduto un vascello, scoperse dall’alto di una montagna quello
che
portava gli argonauti, siccome apparisce da’ Fram
apparisce da’ Frammenti de’ tragici Latini. Oltre a questi argomenti
che
Accio trasse da’ Greci, compose una tragedia inte
ragedia interamente Romana intitolata Bruto. Paolo Manuzio86 pretende
che
questa fosse rappresentata celebrandosi i giuochi
inari, a’ quali presedè il fratello di Marco Antonio in vece di Bruto
che
si era allontanato da Roma. Mà Pietro Bayle colla
colla II e IV epistola del XVI libro di Cicerone ad Attico dimostra,
che
la tragedia di Azzio allora rappresentata fu Tere
iò ignorato da tutti gli altri comentatori, perchè Maturanzio credeva
che
vi fosse stato rappresentato l’Atreo, e Beroaldo
ità e lungamente? Non se ne ricava altro vantaggio se non il generale
che
sempre diletta, di porre alla vista senza errori
, Aulo Gellio e Macrobio. Il Vossio trattando de’Poeti Latini afferma
che
Azzio scrisse ancora qualche commedia, e ne cita
7, così piene di esempj, di arguzie e di piacevolezze le sue aringhe,
che
sembravano quasi scritte in istile Attico, benchè
die del medesimo gusto: somma grazia di stile ma senza nerbo. Attilio
che
fiorì verso il cominciar del settimo secolo di Ro
si reputò del tutto immeritevole di esser letta da Cicerone medesimo
che
lo chiama poeta durissimo 89. Ma egli prevalse ne
ondo Eusebio, e morì in Napoli nel secondo anno dell’olimpiade CLXIX,
che
cade nell’anno di Roma 651. Osserva però il Bayle
limpiade CLXIX, che cade nell’anno di Roma 651. Osserva però il Bayle
che
Lucilio mentova la legge Licinia stabilita l’anno
. A’ tempi di Quintiliano ebbe Lucilio molti ammiratori, i quali, non
che
a tutti i satirici, ad ogni altro poeta lo prefer
ti con alcuni scolii e impressi in Lione nel 1597. Bayle però avverte
che
oltre alla diligenza del Douza essi aveano bisogn
collocato dal Sedigito dopo di Nevio, cioè nel quarto luogo, e Luscio
che
presso lo stesso critico occupa il nono ed è pref
one di servo, come afferma Aulo Gellio, acquistò il cognome di Stazio
che
presso i Romani antichi era un nome di schiavo, p
felicità della scelta e per l’ottima disposizione degli argomenti; il
che
rende ben rincrescevole la perdita delle di lui f
ntitolata Plozio, favole di Menandro da Cecilio imitate. Egli è vero,
che
Gellio, come dicemmo, pruova ch’egli fosse inferi
eriore al suo modello; ma l’essere stato concordemente preferito, non
che
a Nevio e ad altri comici, a Plauto ed a Terenzio
i nove mesi. Menandro nella commedia detta Plozio o Monile 97 affermò
che
il parto perfetto viene dopo il decimo mese, la q
amico di Ennio godette una riputazione sì grande e sì bene stabilita,
che
quando Terenzio presentò agli Edili l’Andria, gli
li l’Andria, gli s’impose di leggerla prima a Cecilio. Si dice ancora
che
il novello autore male in arnese arrivò in tempo
. Si dice ancora che il novello autore male in arnese arrivò in tempo
che
Cecilio giaceva per cenare, ed a principio si fec
o e più ancora. Il chiar. Tiraboschi99 con prudente ambiguità propone
che
quanto narrasi avvenuto con Cecilio debba intende
avvenuto con Cecilio debba intendersi di qualche altro rinomato poeta
che
allora ci vivesse. Non pertanto lo scrittore dell
i luglio del 1765 ricorre a un Edile nomato Acilio, al quale pretende
che
Terenzio andasse a leggere l’Andria, e non a Ceci
che Terenzio andasse a leggere l’Andria, e non a Cecilio; insinuando
che
il passo di Donato o Suetonio sia guasto e vi si
ibus daret, jussus ante Acilio recitare, non apparendovi la relazione
che
dovrebbe naturalmente vedervisi, della persona di
ranza da prima avuta del nuovo poeta, a cagione dell’ abito, da colui
che
stava cenando, e dell’attenzione che in lui cagio
a cagione dell’ abito, da colui che stava cenando, e dell’attenzione
che
in lui cagionarono i primi versi, e della giustiz
onoscitore di poesia comica di pari condizione col novello scrittore,
che
ad un Edile di classe più elevata. Finalmente noi
elevata. Finalmente noi sappiamo per un prologo dello stesso Terenzio
che
a’ suoi tempi destinavasi dal magistrato un poeta
leggere al poeta Luscio la migliore delle sue commedie; ma non parmi
che
gli Edili si assumessero mai la carica di giudici
ero mai la carica di giudici letterarii delle poesie teatrali, carica
che
in appresso, come diremo, si vide addossata a cin
ione dell’erudito Ab. Arnaud adottata pure da M. Millet, ed a credere
che
Cecilio ben due volte nominato nel passo del biog
fia il congetturare, seguendo l’ordine naturale delle cose, piuttosto
che
cangiare il poeta revisore o sostituirgli un Edil
he cangiare il poeta revisore o sostituirgli un Edile, potrebbe dirsi
che
l’Andria per ordine degli Edili fosse stata antic
ine degli Edili fosse stata anticipatamente letta al poeta Cecilio, e
che
questi dopo averla approvata si morisse prima che
al poeta Cecilio, e che questi dopo averla approvata si morisse prima
che
nel 587 si rappresentasse. É forse improbabile ch
a si morisse prima che nel 587 si rappresentasse. É forse improbabile
che
passassero varii mesi ed anche un anno dal pensar
sero varii mesi ed anche un anno dal pensare e disporre lo spettacolo
che
solea farsi con tanta spesa, all’esecuzione di es
spettacolo che solea farsi con tanta spesa, all’esecuzione di esso, e
che
intanto Cecilio si morisse? è improbabile che il
l’esecuzione di esso, e che intanto Cecilio si morisse? è improbabile
che
il giovane Cartaginese senza credito avesse bisog
d’incantare un dotto e consumato conoscitore quella venustà di stile
che
indi rapì dalla scena gli animi tutti de’ più vol
alla scena gli animi tutti de’ più volgari spettatori? quell’eleganza
che
dopo tanti secoli conserva la medesima imperiosa
VI)? quella proprietà e purezza di locuzione approvata e imitata, non
che
da altri, da un Tullio e da un Orazio? quell’arte
zzosa urbanità nel motteggiare? quella delicatezza e matronal decenza
che
trionfa nelle dipinture ch’ei fa de’ costumi? Le
nza che trionfa nelle dipinture ch’ei fa de’ costumi? Le sei commedie
che
ne abbiamo leggonsi da’ fanciulli (o da quei che
umi? Le sei commedie che ne abbiamo leggonsi da’ fanciulli (o da quei
che
sono tali a dispetto degli anni) con una specie d
liceria venuta da Andro e del giovane Panfilo disturbati per le nozze
che
Simone padre di costui gli prepara con una figlia
primo il modo di raccontare con grazia, eleganza, precisione, e, quel
che
monta più, con passione: . . . . . . . . Funus
ca ivi ancora è la preghiera di Criside moribonda narrata da Panfilo,
che
io ardisco di tradurre in simil guisa: Mis. Mer
in simil guisa: Mis. Merita, io questo so, la poverina, Panfilo,
che
di lei tu ti sovvenga. Pan. Ch’io di lei mi sov
Panfilo, tu vedi La beltà di costei, la giovanezza, E non ignori
che
a guardar l’onore, A conservar la roba entrambe
side. Ella vorrebbe riconvenirlo sottovoce: ma Davo all’incontro vuol
che
risponda apertamente confessando la verità. Ognun
n voce bassa, non tute ipse . . . . Ma Davo con alta voce e con volto
che
esclude ogni sospetto d’intelligenza, l’interromp
igenza, l’interrompe dicendo, concede ad dexteram. E perchè? Per quel
che
io ne penso, per farla avvicinare a Cremete, affi
di quanto ella dica. Ma l’annotatore Farnabio interpreta all’opposto,
che
Davo a lei parli sommessamente, e la faccia passa
mmessamente, e la faccia passare a destra per allontanarla da Cremete
che
si trova alla sinistra. Non si accorse quell’erud
oce. Ma in questa Terenzio lavora con maggior delicatezza. Egli vuole
che
Miside senza veruna prevenzione manifesti in pres
artito di esporre la serva senza prevenirla? Perchè pensa con ragione
che
costretta a rispondere quel che il caso esige, la
prevenirla? Perchè pensa con ragione che costretta a rispondere quel
che
il caso esige, la verità senza il belletto dell’
i occhi di Cremete. E così avviene. Il vecchio ne rimane sì persuaso,
che
pensa di rompere il contratto, e a tal fine va in
Partito Cremete, Davo in segno di allegrezza vuole accarezzar Miside,
che
sdegnata lo ributta, dicendo, non mi toccare, fur
, avrebbe ripugnato a tal disegno. Alcuni critici ancora hanno detto,
che
questa favola conteneva due azioni, una degli amo
. Strana critica: perchè da un’ azione seguono due matrimonj, si dirà
che
sia doppia? Se si rappresentasse il ratto delle S
e il ratto delle Sabine, sarebbero tante le azioni quanti i matrimonj
che
produrrebbe? L’ azione dell’Andria è quest’una, l
il Capuano Marco Mondo, l’ultimo de’ Segretarii della Città di Napoli
che
illustrarono la loro carica colla dottrina e coll
o prende il titolo di Ἐκυρα, socrus, secondo Donato, dalla gran parte
che
hanno le suocere nell’azione. Apparentemente l’um
ato motivo alla discordia e alla separazione. Ma non è così. Filomena
che
aveva avuta la sventura di essere una notte viole
suocera. Torna Panfilo tutto acceso dell’amor della moglie nel punto
che
questa partorisce, nè di lui al suo credere. Mirr
e per non esservi astretto dal padre si vale del pretesto della madre
che
non è di accordo colla moglie. All’incontro il pa
on è di accordo colla moglie. All’incontro il padre di Filomena crede
che
l’amore di Bacchide tenga Panfilo avvolto negli a
nti si giustifica, e Lachete le insinua di persuaderne le donne. Ella
che
non è delle peggiori del suo mestiere, condiscend
to da Panfilo. Quest’anello avea egli tolto a una fanciulla una notte
che
la sforzò senza conoscerla; e questa fanciulla è
hiaro del successo con estremo piacere ripiglia la moglie. Si osservi
che
il poeta nell’atto quinto fa che Bacchide entri i
acere ripiglia la moglie. Si osservi che il poeta nell’atto quinto fa
che
Bacchide entri in casa di Mirrina, e narri ed asc
ascolti più cose, e ne avvenga la felice riconoscenza dell’anello, e
che
indi n’esca; ma intanto non si sono recitati che
cenza dell’anello, e che indi n’esca; ma intanto non si sono recitati
che
foli dodici versi, ne’ quali dee supporsi trascor
ggior riflessione, se vogliono ritrarre dalla drammatica quel diletto
che
ben di rado si prova nella lettura delle moderne
nella seconda scena dell’atto primo è il ritratto della buona moglie
che
giugne a cancellare dal cuore di un marito l’amor
e sul proprio stato. Egli si trova di lei innamorato, e pensa infanto
che
non può ritenerla per sua, avendo ella partorito
questa terza scena, e l’espressioni son tutte dettate dalla passione
che
vi domina. Egli ripete a se stesso il fatto, anim
e, o concettuzzi mendicati, o tratti di spirito leccati. Egli in fine
che
ha promesso di tacere, così conchiude: Pollici
Lo stato di Panfilo va poi peggiorando a’ momenti. Fidippo ha saputo
che
Filomena ha partorito, e nella quarta scena viene
aputo che Filomena ha partorito, e nella quarta scena viene a dirgli,
che
se vuol rompere il contratto, il faccia pure, pur
a pure, purchè si prenda il bambino. Lachete si rallegra del nipotino
che
gli è nato. Panfilo sempre più si attrista, che s
rallegra del nipotino che gli è nato. Panfilo sempre più si attrista,
che
se prima di esser nato il bambino poteva esitare
va esporre il bambino, e seppellire nell’obblìo l’accaduto, oggi però
che
è palese ch’ella abbia partorito, non dee ricever
non dee riceverla, o nel riceverla dee riconoscere per suo un bambino
che
di lui non nacque: Etsi jamdudum fuerat ambigu
unc non est, cum eam consequitur alienus puer. Ma dall’altra parte
che
cosa risponderà egli a Lachete che fa premura che
ienus puer. Ma dall’altra parte che cosa risponderà egli a Lachete
che
fa premura che accetti il bambino? Con qual prete
Ma dall’altra parte che cosa risponderà egli a Lachete che fa premura
che
accetti il bambino? Con qual pretesto il rifiuter
a quale richiede un poeta di cuore assai sensibile e dilicato; genere
che
presso gli accennati oltramontani è degenerato in
bugli, non furberie servili, non buffoneria; ma ciò appunto manifesta
che
in tutt’altro può consistere la vera piacevolezza
; non di quella bontà immaginaria della scuole morali, nè dell’eroica
che
ha luogo nelle tragedie, ma di quella civile bont
nè dell’eroica che ha luogo nelle tragedie, ma di quella civile bontà
che
ci allontana dalle colpe senza preservarci dalle
Edili Curuli Ses. Giulio Cesare e Cn. Cornelio Dolabella, e per quel
che
dicesi nel prologo che ora la precede, il popolo
io Cesare e Cn. Cornelio Dolabella, e per quel che dicesi nel prologo
che
ora la precede, il popolo impaziente per lo spett
erla. Alluse Orazio all’evento dell’Ecira, quando attribuì all’ardore
che
inspiravano simili spettacoli, lo scoraggimento d
r meglio dire neppure si ascoltò, perchè recitato appena l’atto primo
che
fu bene accolto, si levò un romore, che davansi i
recitato appena l’atto primo che fu bene accolto, si levò un romore,
che
davansi i giuochi gladiatorj, ed ecco che il popo
accolto, si levò un romore, che davansi i giuochi gladiatorj, ed ecco
che
il popolo abbandona il teatro e si affolla a pren
l meglio conoscersi riceverono migliore accoglimento, così si lusinga
che
abbia in questa di Terenzio a rinnovarsi il passa
Duplex quæ ex argumento facta est simplici. Giulio Scaligero dice
che
il poeta la chiamò doppia, perchè una metà se ne
orsa la notte ne’ giuochi si terminò all’ apparir dell’alba103. Passi
che
una commedia di giusta mole siasi recitata in Rom
ome è stato anche da altri avvertito104. Ma questa cosa potrebbe fare
che
un poeta assennato chiamasse doppia una favola di
semplice? Tommaso Farnabio rigettando l’opinione di Scaligero giudica
che
il poeta dica di averla fatta doppia, perchè nell
condizione di questa fanciulla, e nel carattere del vecchio Menedemo
che
si punisce della severità usata col figliuolo, me
io del servo nel cavar danaro dalle mani del vecchio Cremete. Si vede
che
questi sono due argomenti dal poeta connessi con
i con molta arte, i quali formano una commedia ravviluppata e doppia,
che
sarebbe semplice senza il secondo. A qualche pret
hi sa (dicasi ciò con buona pace di certe pretese divinità terrestri)
che
il male non consista, anzi che ne’ miei giudizj,
e di certe pretese divinità terrestri) che il male non consista, anzi
che
ne’ miei giudizj, in quel che da tanti anni pose
rrestri) che il male non consista, anzi che ne’ miei giudizj, in quel
che
da tanti anni pose nelle loro teste salde radici?
in quel che da tanti anni pose nelle loro teste salde radici? Chi sa
che
a tali campioni emeriti di Elicona non debbano ri
rno. Un periodo però di 24 ore o poco più potrebbe contenere l’azione
che
vi si dipigne. Nuoce all’unità del luogo la compa
che vi si dipigne. Nuoce all’unità del luogo la comparsa di Menedemo
che
zappa, la qual cosa suppone un campo; e la necess
uppone un campo; e la necessità di una strada pubblica con varie case
che
richiede il rimanente della commedia105. Ma quest
ua Antifila ch’egli lasciò povera con una sola fante. Vengono i servi
che
sono iti a prenderla, e dicono fra loro di aver l
oro di aver lasciato indietro le donne con tutta la folla delle serve
che
le precedono e le seguono, e cariche di oro e di
de spe decidi! Ma è un equivoco artifiziosamente condotto dal poeta,
che
all’apparenza giustifica le querele di Clinia. Si
iù lungamente si attristi per un falso sospetto. Antifila è la stessa
che
era prima; ed eccone l’elegantissimo racconto che
ntifila è la stessa che era prima; ed eccone l’elegantissimo racconto
che
rasserena l’amante. Il poeta spiega in esso la su
ti i comentatori antichi e moderni delle commedie Terenziane, osserva
che
l’autore Latino errò nel dire che la sua nasceva
delle commedie Terenziane, osserva che l’autore Latino errò nel dire
che
la sua nasceva dall’Epidicazomenos, avendo dovuto
o dovuto dire dall’Epidicazomene. Formione è il nome di un parassito,
che
maneggia il più importante dell’azione. Egli dà a
diletta sonatrice di cetera. Egli anche sapendo il secreto di Cremete
che
in Lenno sposò un’ altra moglie, essendo già mari
chio, e al fine scopre il tutto alla stessa Nausistrata; onde avviene
che
Antifone rimane sposo della sua Fannia riconosciu
monìa, così l’ azione quì disposta non soffre sospensione, ed è forza
che
si risolva; e la venuta di Demifone è la risoluzi
soluzione della scena. Ed avendo Fedria e Geta con Demifone conchiuso
che
si chiami Antifone e Formione, que’ due partono p
Demifone s’incamina verso la sua casa Deos penates salutatum. Quì sì
che
termina l’azione incominciata, e può essere accon
nveniente nasce ancora dal collocarsi per prima dell’atto II la scena
che
incomincia, Itane tandem uxorem duxit Antipho inj
ormione con Geta, tutto procederà con ogni verisimiglianza; lo spazio
che
corre da un atto all’altro darà luogo alla ricerc
a e al racconto del fatto. Tuttavolta nel dividersi in tal guisa pare
che
non regga il rimanente, nè possa terminar l’atto
i può qui terminar l’atto II e cominciare il III Enim vero Antipho? E
che
hanno fatto frattanto Geta e Antifone che si è en
il III Enim vero Antipho? E che hanno fatto frattanto Geta e Antifone
che
si è enunciato? Hanno dormito, mentre i Ludii o a
o altri pantomimi saltavano? Converrà dunque congiungere le tre scene
che
ora formano l’ atto III con quelle del II, le qua
i pedanti tutti. Madama Dacier comprese la difficoltà, e per evitare
che
gli atti diventassero quattro, e per lasciare il
alla foggia marziale di Alessandro. Egli ve n’ha un’ altra più giusta
che
consiste in ben dividerne gli atti senza mutilar
nc reperire possim, cogito: Atto V Quid agam ecc. L’altra divisione
che
regge ugualmente, e lascia i giusti intervalli al
abile naturalezza, In quo hæc discebat ludo, ex adverso ei loco ecc.,
che
qui riferiremo cogli eleganti versi del lodato Mo
a quivi sedendo, ecco ad un tratto, Che in noi si abbatte un giovan
che
piangeva. Abbiam di ciò stupore; e lui preghiam
overtade; ho visto adesso In questo vicinato una donzella Misera,
che
facea tristo lamento Per la sua madre morta, ch
donzella Misera, che facea tristo lamento Per la sua madre morta,
che
giaceva Ad essa dirimpetto, e niuno amico Ave
assione. Avea la stessa Fanciulla il volto bello a meraviglia. Ma
che
più dico? Eravam noi già tutti Commossi. Quando
è bella molto. E tanto bella più tu la diresti, Quanto nulla ha,
che
sua bellezza aiti: Scarmigliati i capelli, i pi
buon viso. Le parole non ricevono soccorso da veruna prosa marginale,
che
ne dichiari l’azione, e pure essa chiarissimament
e ne dichiari l’azione, e pure essa chiarissimamente si comprende; il
che
convince d’ignoranza qualche moderno mal instruit
e; il che convince d’ignoranza qualche moderno mal instruito pedante,
che
crede essere state le antiche tragedie e commedie
che tragedie e commedie mutilate da’ gramatici di quella ideata prosa
che
notava le azioni de’ personaggi. E chi di grazia
de’ personaggi. E chi di grazia ha rivelato a costui sì bel secreto,
che
gli autori nel pubblicar le loro favole l’empivan
abbisognavano di tali soccorsi marginali. Essi di più erano persuasi,
che
un poeta dovesse talmente nel dramma manifestate
un poeta dovesse talmente nel dramma manifestate i proprii concetti,
che
facesse comprendere, di quale azione dovesse anim
quale azione dovesse animarla e abbellirla il rappresentatore. Quelli
che
leggono con intelligenza e riflessione, non ne ab
desiderate noterelle del pari inutili per le teste leggere di coloro
che
leggono pettinandosi o amoreggiando. Osservinsi l
coloro che leggono pettinandosi o amoreggiando. Osservinsi le parole
che
seguono: Quid si assimulo? satin’ est? Get. G
Non. An. Quid si sic? Get. Sat est. Hem istuc serva. È chiaro
che
Antifone avrà accompagnato l’azione e il volto ad
volto ad ogni espressione, cangiandosi sempre per piacere al servo. E
che
avrebbero fatte qui alcune meschine note marginal
hine note marginali? Senza dubbio foscamente avrebbero accennato quel
che
con più vantaggio si lascia all’abilità dell’atto
ascosa. Ant. Oh come è mai turbato! Get. Nè mi resta a pensar più
che
un momento. Il padron m’è a ridosso. Ant. Che
quale strada mi farò a cercarlo? Fed. V’ha nominato. Ant. Ah sì,
che
me l’aspetto, Di sentirmi annunziar qualche gra
Ant. Geta. Get. E’ quel cui cerco appunto. Ant. Di’ per pietà,
che
nuove porti; e sbrigati, Se puoi, ’n una parola
mia? S’io sono astretto A dovermi, da te, Fania, staccare, Non so
che
far della mia vita. Get. O via, Antifon, s’è
a ai forti Ajuto dà. Ant. Non sono in me. Get. Bisogna Or più
che
mai, che siate in voi. Se il padre S’avvedrà, c
i Ajuto dà. Ant. Non sono in me. Get. Bisogna Or più che mai,
che
siate in voi. Se il padre S’avvedrà, che voi si
Bisogna Or più che mai, che siate in voi. Se il padre S’avvedrà,
che
voi siate spaurito, Farà giudizio, che voi siat
oi. Se il padre S’avvedrà, che voi siate spaurito, Farà giudizio,
che
voi siate in frodo. Fed. É ver. Ant. Non so c
o della piazza? Ant. E’ desso? Non ho cuor di rimanere. Get. Ehi,
che
fate, Antifon? Qui, qui restate. Ant. Il mio de
nalmente è la scena di Geta e Formione, ascoltando da parte Demifone,
che
nelle communi edizioni è la terza dell’atto II, e
contumeliosius. Eccone la di lui traduzione: Dem. Avete inteso mai,
che
altr’uomo al mondo Abbia sofferto un più villan
e Demifon sostiene, Che questa Fania non è sua parente? Sostiene,
che
costei non gli è parente? Get. Sì certo. Dem.
conoscere suo padre; Di lei non si fa conto. Osserva un poco Quel
che
fa l’avarizia. Get. Se tu ardisci D’avarizia
D’avarizia tacciare il mio padrone, Ti darò ben risposta. Dem. Oh
che
sfrontato! Ei fin s’inoltra a querelarsi il pri
accontato, Che questo suo parente a lui voltate Avea le spalle. E
che
buon uomo! Io certo A’ miei giorni il miglior n
reimi Con questa vostra casa a nimicizie Sì fiere per sua figlia,
che
in un modo Tanto villano tuo padron disprezza?
oto. Dem. Noto a me? For. Di certo. Dem. Io vi dico di no. Voi,
che
volete Che mi sia noto, fate che mi torni All
rto. Dem. Io vi dico di no. Voi, che volete Che mi sia noto, fate
che
mi torni Alla memoria. For. Eh via. Com’ è po
. Dem. E così? For. Geta, il nome suggeriscimi, Se ti sovviene,
che
abbiam detto or ora. Eh, eh non lo vò dir. Voi
ste. Dem. Io pigliarmi di voi gioco? Get. Stilfone. For. Alfin,
che
importa a me? Stilfone. Dem. Chi? For. Stilfo
Bonitasque vestra adjutans atque æquanimitas. Potrebbe aggiugnersi
che
la quinta volta fu nella stessa Roma nel secolo X
e il prologo il celebre Antonio Mureto. La sesta volta sarebbe questa
che
si è rappresentata in Parma da’ giovani studenti
sità l’anno 1784, e vi fece un nuovo prologo il prelodato P. Pagnini,
che
per l’eleganza e la venustà secondo me merita di
ur ergo fabula, Cui Phormio nomen. ecc. L’Eunuco. Questa commedia
che
Terenzio trasse da Menandro, fu dagli Edili compe
e l’anno di Roma 593. Non per tanto dalla Dacier e dal Fabro si vuole
che
non si fosse rappresentata la seconda volta nel s
sì interpretando essi quell’acta II. Convengo non essere improbabile,
che
sì bella commedia piacesse a’ Romani per tal modo
e improbabile, che sì bella commedia piacesse a’ Romani per tal modo,
che
se ne volessero ripetere il diletto nel medesimo
a, la terza, la settima volta; or perchè solo in questa favola vuolsi
che
significhi bis, puntellandola con supplirvi la pa
perchè far menzione di due sole? Potrebbe però rispondersi in prima,
che
il biografo intenda di dire, che siasi rappresent
Potrebbe però rispondersi in prima, che il biografo intenda di dire,
che
siasi rappresentata due volte in poco spazio di t
, perchè questo farebbe stato un avvenimento ben raro in Roma, e tale
che
avrebbe richiesto un racconto speciale) senza poi
to speciale) senza poi tenersi più ragione di altre ripetizioni, cosa
che
sarà avvenuta ad altre commedie di Cecilio, di Pl
endovi maggior verisimiglianza nell’interpretazione del Fabro II die,
che
in questa II anno. L’analogia poi esige che s’int
tazione del Fabro II die, che in questa II anno. L’analogia poi esige
che
s’interpreti la seconda volta, e non già due volt
dell’Eunuco ha da ricevere la spiegazione di due volte in un dì? Che
che
sia però di questo, dobbiamo osservare che Terenz
di due volte in un dì? Che che sia però di questo, dobbiamo osservare
che
Terenzio in tutte le sue favole, e con ispecialit
te dalla Fantasima e dal Tesoro di Menandro; e ci racconta, come dopo
che
gli Edili ebbero comperata la commedia dell’Eunuc
ebbero comperata la commedia dell’Eunuco, Luscio si adoperò per modo
che
ottenne la facoltà di esaminarla (inspiciundi) e
adoperò per modo che ottenne la facoltà di esaminarla (inspiciundi) e
che
si cominciò a recitare, forse dallo stesso Terenz
Plauto. Terenzio nel prologo si discolpa, negando di aver mai saputo
che
Nevio e Plauto l’avessero posta in iscena; ma con
Plauto l’avessero posta in iscena; ma confessa ancora colla ingenuità
che
accompagna sempre gli uomini che non iscarseggian
; ma confessa ancora colla ingenuità che accompagna sempre gli uomini
che
non iscarseggiano di merito, che dal Colace di Me
ità che accompagna sempre gli uomini che non iscarseggiano di merito,
che
dal Colace di Menandro egli ha tratto i personagg
pitture degl’ innamorati Fedria e Cherea sono così vere e leggiadre,
che
diventano una tacita satira di quasi tutti gl’ in
amorato, rammentandosi di Fedria sulla soglia di Taide. Quattro versi
che
danno principio a questa favola, sono la disperaz
tessi di Terenzio: Fed. Che farò dunque? Non vi andrò? Nemmeno Or
che
di suo volere a se mi chiama? O mi armerò piutt
ha di questa Nè più gloriosa, nè più forte impresa. Ma pensa ben,
che
se cominci, e cessi A mezza strada, se da lei l
he se cominci, e cessi A mezza strada, se da lei lontano Dimostri
che
la vita ti rincresca, E senza esser chiamato, e
quanto in odio a lei, te stesso abborri, Tu sei perduto. Si avvedrà
che
schiavo, Che in lacci sei, che ti dibatti invan
bborri, Tu sei perduto. Si avvedrà che schiavo, Che in lacci sei,
che
ti dibatti invano, E del suo fasto diverrai lo
no, E del suo fasto diverrai lo scherno. Pensaci ben, padrone, or
che
vi è tempo. Ciò che in se non ha modo nè consig
diverrai lo scherno. Pensaci ben, padrone, or che vi è tempo. Ciò
che
in se non ha modo nè consiglio, Guidar colla pr
vorrai, sarà lo stesso Che volere impazzir colla ragione. E quel
che
irato or nel tuo cuor rivolgi: Io lei? che quel
colla ragione. E quel che irato or nel tuo cuor rivolgi: Io lei?
che
quel . . .? che me? . . . che non . . .? Vedrai .
E quel che irato or nel tuo cuor rivolgi: Io lei? che quel . . .?
che
me? . . . che non . . .? Vedrai . . . Oh! pria m
rato or nel tuo cuor rivolgi: Io lei? che quel . . .? che me? . . .
che
non . . .? Vedrai . . . Oh! pria morrò; saprà qu
tato sdegno Ti chiamerai, chiedendo in grazia ancora Un supplicio
che
lavi ogni tua colpa. Fed. Ribalda, indegna! Or
E il so, nè mi trattengo, e da occhi aperti, Corro a morir, nè so
che
far mi debba. Par. Non sai che far? La libertà
occhi aperti, Corro a morir, nè so che far mi debba. Par. Non sai
che
far? La libertà perduta Al minor prezzo che pos
i debba. Par. Non sai che far? La libertà perduta Al minor prezzo
che
possibil fia Cerca di riscattar; e se non puoi
ori I mali e le molestie dell’amore, E alla meglio soffrir quelle
che
ha seco. Ma la tempesta de’ poderi nostri Ecc
he ha seco. Ma la tempesta de’ poderi nostri Ecco fuori sen vien,
che
i dolci frutti Che noi coglier dobbiam, via se
one potrebbero addursi varii squarci pregevoli; ma basti il seguente,
che
sempre più può ammaestrare gli scrittori teatrali
pensare di un innamorato. Addio, mia bella Taide (dice Fedria) sino a
che
passino questi due giorni. Addio, mio caro Fedria
eri così ha felicemente espressi il Fortiguerra: . . . . . . . Quel
che
vogl’ io? Vò che presente a codesto soldato T
ente espressi il Fortiguerra: . . . . . . . Quel che vogl’ io? Vò
che
presente a codesto soldato Tu stia come lontana
e aspetti, A me pensi, in me speri, e in me ti allegri, In somma
che
di me tutta tu sii, Quando io son tutto tuo.
e, e si confrontino: Son morto: mi è sparita la fanciulla: Ed io
che
fino a qui le tenni d’occhio, Più non la vedo.
E qual terrò camino? Non sollo. Ma quest’unica speranza Mi resta,
che
dovunque ella si sia, Non potrà lungo tempo sta
dolcezza: Evvi alcun qui dappresso? Non vi è alcuno. Evvi alcun
che
mi seguiti? Nessuno. Or dunque potrò io liberam
o, E mi ammazzasse con cento domande, Dove io vada? donde esca? e
che
pretenda? Perchè tanta allegrezza e tanto brio?
commedie di Terenzio, nella quale si abbatteranno in moltissime altre
che
lasciansi alla loro diligenza, abbondandone quest
uum adhuc Phædria & Parmeno scenam occupent. Suppone l’annotatore
che
Fedria e Parmenone, mentre Taide favella, stiano
ncella e dell’eunuco da condursi nella di lei casa. Ma l’azione parmi
che
avvenga diversamente da quello ch’egli pensa. Fed
Parmenone entra nella propria casa per accingersi al picciolo viaggio
che
vuol fare in villa per passarvi il biduo penoso.
ch’ella ama di buon senno; accenna di volere col dono della fanciulla
che
attende dal soldato, rendersi benevolo il di lei
pezialmente agl’ innamorati, in procinto di andar via ripete al servo
che
eseguisca i suoi ordini intorno al menare l’ancel
per la quale abbiasi a rifiutare la comune divisione. L’unico motivo
che
ebbe l’annotatore di censurarla, è che Fedria par
mune divisione. L’unico motivo che ebbe l’annotatore di censurarla, è
che
Fedria parla della medesima cosa accennata con Ta
dria parla della medesima cosa accennata con Taide. Ma sarebbe strano
che
in due parole la ripetesse nel momento di partire
n due parole la ripetesse nel momento di partire? Lascio poi da parte
che
la divisione da quel letterato proposta senza ver
a senza verun bisogno, mi sembri sproporzionata, perchè egli vorrebbe
che
i due primi atti ne formassero un solo, ed il II
videsse in due ben piccioli. Gli Adelfi. Non so come mai i gramatici
che
da varii passi degli antichi raccolsero le notizi
izie appartenenti alla vita di Terenzio, abbiano francamente asserito
che
questa favola fosse tratta da una di Menandro. Ni
a una di Menandro. Niun critico, per quanto io sappia, ha considerato
che
Terenzio stesso a chiarissime note ha detto di do
erla al comicissimo Difilo, e intitolarsi in Greco Synapothnescontes,
che
i comentatori interpretarono devoti, consecrati a
nsecrati a correre la stessa sorte col loro sovrano. Ci dice in oltre
che
Plauto dalla favola di Difilo trasse la sua intit
auto dalla favola di Difilo trasse la sua intitolata Commorientes; ma
che
avendo in essa lasciata intatta l’avventura del g
entes; ma che avendo in essa lasciata intatta l’avventura del giovane
che
tolse a viva forza una meretrice a un ruffiano, e
e e Demea sono gli originali di moltissime copie moderne di caratteri
che
graziosamente si combattono sulle scene. Mizione
Eschino, e ne censura e riprende il fratello Mizione. Egli ha saputo
che
Eschino ha violentata la casa di un ruffiano, bas
n ruffiano, bastonandolo e togliendogli una meretrice. Ma egli ignora
che
questa donna è l’amata da Ctesifone, cui Eschino
ne, cui Eschino ha preteso favorire col torla al ruffiano. Crede egli
che
Ctesifone sia in villa, mentre si trova colla sua
fonte di piacevolezza contenga il carattere di questo vecchio severo
che
s’immagina di essere abbastanza vigilante, e di s
gli sconcerti di sua casa prima di ogni altro, quando egli è il solo
che
n’è sempre all’oscuro: Primus sentio mala nost
i Eschino e di Panfila. Eccita parimente il riso quando, accorgendosi
che
l’indulgenza di Mizione lo rende a tutti caro ed
questa commedia si vogliono collocare le ottime regole di educazione
che
si ricavano dalla prima scena, le quali usate col
oc qui nequit, Fateatur se nescire imperare liberis. Io mi credo
che
questi aurei versi ben ponderati risparmierebbero
lti la fatica di accumular volumi sull’ educazione domestica. Per ciò
che
riguarda la comica piacevolezza merita di osserva
, e in guisa tale A bene oprar l’avvezzo. Finalmente Gli comando,
che
come in uno specchio Egli contempli di ciascun
a per meglio spiegarmi . . . . Sir. Non ho tempo Or di ascoltarti,
che
mi son comprati Que’ pesci a gusto mio, e a me
bbe a colpa Una tal negligenza, quanto a voi Quelle cose non far,
che
avete detto. Però nel modo stesso a’ miei conse
d a tutti, Per quanto so, do regole e precetti. Insin comando lor
che
fissin gli occhi Nelle stoviglie, come in uno s
rcar Mizione altrove, insegnandogli un camino lungo e intralciato, sì
che
non ne esca in tutto il giorno. Ciò è stato imita
a del medesimo atto quarto è notabile la riprensione moderata e savia
che
fa ad Eschino il buon Mizione, e che recheremo pa
la riprensione moderata e savia che fa ad Eschino il buon Mizione, e
che
recheremo parimente colle parole del più volte lo
sun diritto avevi. Già questa ella è gran colpa, Ma pure umana, e
che
commiser molti, E delle volte ancor que’ che fu
pa, Ma pure umana, e che commiser molti, E delle volte ancor que’
che
fur buoni. Ma perchè, dimmi, dopo fatto il male
a dargli alcun rimedio? Forse da te cercasti a provvederci? O già
che
ti prendea di me vergogna, Nè da te stesso mel
uella sventurata Hai rovinato, ed anco il tuo figliuolo, Per quel
che
ti appartenne. Ti credevi, Che a te, dormendo c
i Demea, e l’epilogo delle disgrazie e dei delirii della sua famiglia
che
egli fa nella scena ultima del medesimo atto quar
rvare prorsus, non potest hanc familiam. L’ultima favola fu questa
che
Terenzio espose sulle scene Romane. Ciò avvenne,
dal consolato di Cn. Cornelio Dolabella e M. Fulvio Nobiliore in poi,
che
cade nell’anno 594. Vuolsi che di anni trentaquat
olabella e M. Fulvio Nobiliore in poi, che cade nell’anno 594. Vuolsi
che
di anni trentaquattro in circa s’imbarcasse per l
itorno dalla Grecia, e perissero con lui cento e otto commedie greche
che
avea tradotte. Ma chi leggerà attentamente le sei
eleganza e delicatezza composte in Roma, crederà con somma difficoltà
che
avesse potuto scrivere commedie a centinaja, senz
coltà che avesse potuto scrivere commedie a centinaja, senza supporre
che
vissuto fosse sino all’ultima vecchiaja in Grecia
nza supporre che vissuto fosse sino all’ultima vecchiaja in Grecia, e
che
avesse trascurato di tornare in Roma dove le sue
cora d’imitar l’oratore e tragico soprallodato Cajo Tizio; e Cicerone
che
ce ne istruisce, esalta l’ingegno, l’argutezza e
assimi celebrati da Nerone, quest’imperadore permise per magnificenza
che
gli attori saccheggiassero la suppellettile della
gnificenza che gli attori saccheggiassero la suppellettile della casa
che
ardeva. Orazio ne dice che appo i Romani Afranio
accheggiassero la suppellettile della casa che ardeva. Orazio ne dice
che
appo i Romani Afranio si considerava come il comi
razio ne dice che appo i Romani Afranio si considerava come il comico
che
più si avvicinava a Menandro, Dicitur Afrani t
Dicitur Afrani toga convenisse Menandro. Senza dubbio lo studio
che
posero tali scrittori, e singolarmente Nevio, Pla
lustro notabile. Ma forse per non avere essi ad altra gloria aspirato
che
a quella di traduttori ingegnosi, si rimasero ind
ose tolte a’ Greci una immaginazione più tosto temperata e giudiziosa
che
originale ed atta ad inventare. Quindi è che Quin
o temperata e giudiziosa che originale ed atta ad inventare. Quindi è
che
Quintiliano ingenuamente confessava esser la comm
l primo teatro stabile fabbricato in Roma, colla frescura delle acque
che
fecevi serpeggiare, vi attemperò gli ardori estiv
sio ad Catullum disvelò la di lui impostura. Il Bayle osservò l’altra
che
fece il medesimo Moreto per ingannare Giuseppe Sc
inum certamina exercabantur, dice lo Storico. Si vuole però osservare
che
l’età di Accio non conviene col personaggio di Ce
e che l’età di Accio non conviene col personaggio di Cesare Dittatore
che
venne dopo di lui. Dunque qui si parla o di un al
VIII ad Atticum. 96. De Senectute. 97. Πλοκιον significa monile,
che
bene esser potè il titolo della commedia di Menan
bbe nel teatro antico un nome proprio femminile diminutivo ugualmente
che
Glycerium, Phronesium, Phanium. 98. Vedi Gellio
Aristotile e Diocle filosofo furono dell’avviso di Cecilio, stimando
che
potesse benissimo una donna partorir di otto e di
gliuoli di sette mesi, di Cesonia di otto e di un altro di undici, di
che
possono vedersi le Osservazioni di Emondo Merillo
e di non dubbia onestà undici mesi dopo la morte del marito, decretò
che
il parto si tenesse per legittimo, ascoltati prim
ciò il § 30 del libro De Jure Naturali, Gentium, & XII Tabularum
che
è il secondo delle Origini del Dritto Civile del
ile del lodato Gravina. Ma i Fisici moderni sono discordi da’ Giudici
che
per umanità hanno voluto prolongare o abbreviare
ella Lett. Ital. t. I, par. III, lib. II. 100. Non si vuole omettere
che
il fondamento de’ dubbii e delle correzioni propo
rima. 101. Vi sono alcuni autoruzzi d’oggidì, i quali non vorrebbero
che
si parlasse degli antichi, perchè (dicono) di ess
o. Ma questi gigantelli letterarii manifestano essi stessi il bisogno
che
si ha di ben ragionar dell’antichità; perchè nel
e quindi la non curanza di tanti moderni, specialmente oltramontani,
che
ne giudicano leggermente e guastano colle loro ci
leggermente e guastano colle loro ciance il gusto della gioventù. Dal
che
proviene la necessità assoluta di richiamarla all
, e di parlar piuttosto con sobrietà, gusto e dottrina degli antichi,
che
di scarabocchiar su materie non indegnamente altr
ella prima scena dell’atto I. Narrata la morte della Genovese Fulvia (
che
è la Criside di Terenzio) così prosegue: Currado
gio. Ghiotta assai forse? Cur. E di un’ aria sì modesta e graziata
che
non si può dir cosanè più vaga nè più vezzosa; e
. L’esequie intanto s’innoltrava, e noi altri tenevam dietro. Giunti
che
fummo finalmente alla sepoltura, e spalancata fu
rno al corpo il corrotto assai grande. Quando la sorella della Fulvia
che
ti ho detto, fattasi senza aver riguardo alla boc
i senza aver riguardo alla bocca della fossa assai vicino, mancò poco
che
non vi si precipitasse dentro. Or qui smarrito Ri
ncò poco che non vi si precipitasse dentro. Or qui smarrito Rinuccio (
che
è il personaggio del Panfilo Terenziano) venne ad
o Terenziano) venne ad un tratto a palesare il segreto di quell’amore
che
tanto accortamente avea saputo nascondere e dissi
rse egli, e per lo mezzo della persona abbracciatala, ah Marietta mia
che
fai? perchè vuoi ire a male? Ed ella tutta sciogl
adere in braccio, con un atto di tanta confidenza e di tanto affetto,
che
fece ben conoscere non esser queste le prime tene
Fortiguerra: Prima di tutto noi giugnemmo appena Alla sua casa,
che
battè la porta Dromone, ed esce fuor donna atte
iavistello E riprese a filar l’usata lana. Quì, Clinia, si poteo,
che
in altro tempo, Nè in altro luogo si saria potu
tempo, Nè in altro luogo si saria potuto, Chiaramente vedere, in
che
maniera Vivuta ella si sia da te lontana; Poi
del tutto nuovi ed improvvisi Quando giugnemmo a lei Cosa vedemmo
che
larga materia Ci diè di argomentar, com’ ella i
parato delle macchine, dei voli e delle decorazioni. Se i compositori
che
vennero dopo il Rinuccini avesser tenuto dietro a
di quel grande ingegno, e con pari filosofia disaminato la relazione
che
ha il maraviglioso col melodramma, avrebbono faci
lor favolose invenzioni, crear un nuovo sistema di poesia drammatica
che
aggradasse alla immaginazione senza dispiacer al
ce dappoi in Francia il Quinaut, il solo tra tutti i poeti drammatici
che
abbia saputo maneggiar bene il maraviglioso. Ma e
n può farsi alcun progresso nella carriera del buon gusto, e stimando
che
il piacere del volgo fosse l’unica misura del bel
icamente stabilita dalla religione e dalla storia, non può far a meno
che
non degeneri in assurdità, perocché l’immaginazio
ione più non riconosce alcun termine dove fermarsi. Se dunque avverrà
che
il maraviglioso, che si vuol introdurre, invece d
e alcun termine dove fermarsi. Se dunque avverrà che il maraviglioso,
che
si vuol introdurre, invece di appoggiarsi sulla p
opolare opinione, le sia anzi direttamente contrario, allora le poeti
che
e romanzesche invenzioni, prive d’ogni autorità e
oni, prive d’ogni autorità e d’ogni esempio, non avranno altra regola
che
il capriccio di chi le inventa. Saranno giudizios
ricco di fantasia lirica, ugualmente benemerito della propria lingua,
che
sprovveduto delle altre doti che caratterizzano u
nte benemerito della propria lingua, che sprovveduto delle altre doti
che
caratterizzano un gran poeta, contribuì coll’auto
altre doti che caratterizzano un gran poeta, contribuì coll’autorità
che
aveasi acquistata fra suoi nazionali in un secolo
coll’autorità che aveasi acquistata fra suoi nazionali in un secolo,
che
di già inchinava al cattivo gusto, a guastar il d
rascorre dal poeta in cinque atti brevissimi. Basta ciò per conoscere
che
le scene debbono essere disunite, il dialogo sleg
teri immaginari, contradicentisi e senza interesse. Lo scarso affetto
che
regna è tutto lirico, cioè tratto dalla immaginaz
he regna è tutto lirico, cioè tratto dalla immaginazion del poeta, ma
che
lascia il cuor vuoto. Infatti qual espressione di
to. Infatti qual espressione di melodia può cavarsi dalla invocazione
che
fa l’Aurora all’Amore? «Saettator fornito D’alto
di farsi amare da un cuor ritroso è mai quello di addurre per motivo,
che
se Cefalo non le risponde nell’affetto: «Il Sol
cer ogni critica. [5] Dietro alla scorta di lui non pensarono i poeti
che
ad abbagliar gli occhi senza curarsi del rimanent
iò fino a quattordici volte. Si vide il campo di Dario cogli elefanti
che
portavano sul dosso torri piene di soldati armati
rminate classi. Non poche tra queste per opera de’ bravi macchinisti,
che
allora fiorivano, e principalmente di Giacomo Tor
cesco Gonzaga con Margarita di Savoia con sontuosità e grandezza tale
che
fa stordire i lettori. Si trova alla distesa la d
dovico XIII re di Francia e vedova di Vittorio Amadeo Duca di Savoia,
che
a quei tempi regolava come tutrice i popoli di Sa
quei tempi regolava come tutrice i popoli di Savoia e del Piemonte, e
che
molto si compiaceva di siffatti divertimenti insi
d’Agliè non men celebre pel suo buon gusto nelle decorazioni teatrali
che
per politiche disavventure77, Meritano particolar
stria, e per quella di Torino il Vascello della felicità, e l’Arionne
che
furono veduti al palazzo reale nel Carnovale del
ebrandosi la nascita di Madama di Francia. Non isgradiranno i lettori
che
io ne dia ioro un qualche saggio a fine di esporr
io stato delle invenzioni sceniche nel secolo scorso. Allo scoprirsi
che
fece il regio salone con grandissimo strepito di
ti apparir gli elementi diversamente simbolleggiati, cioè un vascello
che
significava l’acqua, un teatro per la terra, un m
ano le vivande sul dosso de’ mostri marini. Frattanto in uno scoglio,
che
inalzavasi non molto lontano, si rappresentò la f
arrare le sue disavventure, facendolo dappoi riconoscere dai marinari
che
l’aveano tradito. Alla perfine le Sirene fecero u
nari che l’aveano tradito. Alla perfine le Sirene fecero un balletto,
che
fu invenzione del Duca Carlo Emanuele. [6] Vinegi
inuatamente. I lumi erano in tanta copia e con tal artifizio disposti
che
gli occhi degli spettatori sostener non potevano
degli spettatori sostener non potevano il vivace chiarore dei raggi,
che
dai cristalli venivano ripercossi e vibrati. Nel
poeta di merito assai inferiore a quello di Metastasio, si supponeva
che
gli abitanti delle vicine provincie preparassero
ssima pianura, in mezzo alla quale si vedeva sospeso in aria un globo
che
avea la figura di mappamondo. Al romore d’una bri
obo maestosamente avanzarsi verso la parte anteriore del teatro senza
che
apparissero in modo alcuno le scerete molie, che
ore del teatro senza che apparissero in modo alcuno le scerete molie,
che
lo spingevano. Giunto appena sotto gli occhi di C
vano. Giunto appena sotto gli occhi di Cesare, si spaccò in tre parti
che
rappresentavano le tre parti del mondo conosciute
dio di Persepoli, capitale antica della Persia, una mina sotterranea,
che
coll’aiuto della polvere faceva andar in aria una
aceva andar in aria una parte della città, ora il leggiadro Alcibiade
che
veniva in sulle scene sopra un carrozzino alla mo
orato di Frine le donava in regalo un orologio da saccoccia di questi
che
si chiamano mostre; alle volte la stessa cortegia
i ed eroi mischiati tra buffoni, un miscuglio di tragico e di comico,
che
non aveva né la vivacità di questo né il sublime
oesia; anzi un costume l’introdurre dei serventi scilinguati e gobbi,
che
interrompessero con mille buffonerie gli avvenime
ii. Che bel sentire, per esempio, il seguente vezzosissimo soliloquio
che
fa Sifone nell’Ercole in Tebe: «Go-go-go-gobo a
on mi conosci affè, Gente a vedere eroi po-poco avvezza; Io son colui
che
taglia, buca e spezza. Ho la lingua col restio Ma
i che taglia, buca e spezza. Ho la lingua col restio Ma per dar mazza
che
vola No che gobbo non son io. Ma me-menti per la
, buca e spezza. Ho la lingua col restio Ma per dar mazza che vola No
che
gobbo non son io. Ma me-menti per la gola. Son ca
E Marte in bravur: Pa-pa-ri è il valore alla bellezza: Io son colui,
che
taglia, buca e spezza. Con questa bizzarria Tutti
l dia-dia dia-dia-dia. A casa il dia-dia a casa il diavolo» bellezza
che
può essere agguagliata soltanto da quest’altro am
solo erano ricercali, falsi e puerili, ma in siffatta guisa indecenti
che
sembravano rappresentaci a bella posta sulle scen
rappresentaci a bella posta sulle scene per giustificar il rimprovero
che
diè il Conte Fulvio Testi ai poeti italiani di qu
vuol cacciar via dalle scuole dove insegnava la filosofia una donna,
che
vi si era furtivamente introdotta. Ella resiste,
resiste, il filosofo insiste, per dimesticare il quale la cortegiana,
che
conosceva per isperienza tutto l’impero delle pro
andano, ricusano, ridomandano a vicenda e si danno dei baci. E quello
che
v’ha di più obbrobrioso si è che una musica tener
icenda e si danno dei baci. E quello che v’ha di più obbrobrioso si è
che
una musica tenera, voluttuosa e rinforzata dagli
stra Pur son vostra: Di rubini almo tesoro, Mio ristoro, idolo mio, E
che
più bramar degg’io?» indi affrettando la notte t
amante, Se giugnesti a veder quanto mi costa Questo finto rigore, So
che
avresti pietà del mio dolore. Anch’io vorrei pote
e del secolo dal seguente squarcio di un monologo tratto da un dramma
che
fu con sommo applauso rappresentato in pressoché
uale divenne lavoro pregiatissimo d’un rinomato poeta. Egli è Ercole,
che
indirizza in questa guisa il discorso alle donne:
re gli uomini. Nell’Elio Pertinace dell’Avverara havvi un personaggio
che
si spiega pei seguenti termini: «Orologio rasse
onaggi seri coi ridicoli, interrompendo le scene in prosa colle poeti
che
strofi, che arie s’appellano, e mischiando squarc
coi ridicoli, interrompendo le scene in prosa colle poeti che strofi,
che
arie s’appellano, e mischiando squarci di prosa a
chi più d’ogni altro recava loro vergogna ed oltraggio. Tanto è vero
che
il giudizio de’ contemporanei è poco sicuro per g
e’ contemporanei è poco sicuro per gli autori, come lo è pei sovrani;
che
il pregiudizio a quelli, a questi l’adulazione tr
nsati, o talvolta l’invidia gli calpesta con ingiuste criminazioni; e
che
alla imparziale posterità solamente appartiensi i
r con quel raggio di luce regolator del pubblico sentimento la nebbia
che
intorno agli oggetti si sforzano d’avvolgere le n
miseramente serve all’inferiore, talché il poeta quel luogo ci tenga
che
tiene il violinista ove suoni per ballo» 78. Non
giudico pertanto pregio dell’opera il trattenermi intorno agli autori
che
scrissero in secolo così sventurato79 né intorno
intorno ai titoli dei drammi loro, de’ quali può a ragione asserirsi
che
ne perisse la memoria col suono. Chi tanto abbond
tanto abbondasse d’ozio e di voglia troverà ampiamente nel Quadrio di
che
soddisfarsi. Aggiugnerò soltanto che fra i moltis
roverà ampiamente nel Quadrio di che soddisfarsi. Aggiugnerò soltanto
che
fra i moltissimi componimenti che mi è convenuto
he soddisfarsi. Aggiugnerò soltanto che fra i moltissimi componimenti
che
mi è convenuto leggere per formarmi una giusta id
giusta idea del gusto di que’ tempi, a fatica ho trovato alcuni pochi
che
non partecipano quanto gli altri della universal
e delineati. Il tempo fa il prologo. Escono un medico e uno speziale,
che
si rallegrano scambievolmente di ciò che i mali d
no un medico e uno speziale, che si rallegrano scambievolmente di ciò
che
i mali degli uomini fanno il loro guadagni, e che
mbievolmente di ciò che i mali degli uomini fanno il loro guadagni, e
che
la terra seppelisce tutti i loro spropositi. La v
a credenza: Se solo e un’apparenza Questa
che
oggi si chiama Cavaglieresca vita:
a perché la verità lo beffeggia per le sue millanterie. Otto villani,
che
ballano al suono d’una bizzarra sinfonia di zucch
uale fra le altre recita la seguente arietta: «Al Perù
che
occorre andare, E disagi ognor soff
er sé e affatto inutile, ma il sensale si scansa adducendo per motivo
che
: «Questa roba non ha spaccio:
Queste s’ingegnan solo Far comparir altrui quel
che
non è.» Finalmente Talia, che è la musa del teat
Far comparir altrui quel che non è.» Finalmente Talia,
che
è la musa del teatro, l’accoglie, ma solo a condi
nte Talia, che è la musa del teatro, l’accoglie, ma solo a condizione
che
la verità, se vuol comparir in pubblico, dovrà ca
to, sembianze, favella, e maniere. «Così forse avverrà
che
mascherata Più dal mondo scacciata
ramma fino a più della metà del Seicento non si trova un solo maestro
che
abbia promosso d’un passo la espression musicale.
o tenuto perciò dagl’intelligenti piuttosto come buon contrappuntista
che
come buon musico. L’armonia era ben concertata, e
l Frescosialdi, del Cornetto, ed altri, eccettuato Claudio Monteverde
che
seguitò più da vicino le pedate del Caccini e del
teverde che seguitò più da vicino le pedate del Caccini e del Peri, e
che
avrebbe fatto epoca nella storia della musica sce
rodussero nella musica strumentale mille chiamato da loro galanterie,
che
si riducevano a trilli, strascichi, tremoli, fint
riducevano a trilli, strascichi, tremoli, finte, sincopi e tal cose,
che
accrebbero maggiormente la corruzione. Uno dei ve
rammarico.» [19] Come non può a meno di non recar meraviglia la pena
che
si prese il Pardieri, compositore ignoto d’un più
itore ignoto d’un più ignoto componimento rappresentato in Bologna, e
che
aveva per titolo L’Amore in cucina, di esprimere
ediocrità delle cose musicali proveniva da varie cagioni. Il piacere,
che
gustava il popolo nelle macchine e nelle decorazi
ere, che gustava il popolo nelle macchine e nelle decorazioni, faceva
che
si stimasse più un buon macchinista che un poeta
e e nelle decorazioni, faceva che si stimasse più un buon macchinista
che
un poeta o un musico: quindi mancò l’emulazione t
Seicento, onde mancò a’ musici la istituzione convenevole. Gli è vero
che
visse a que’ tempi Giambattista Doni, scrittore g
era ove s’imprende a trattare tutta, quanta è, l’armonica facoltà, ma
che
incontrò la disapprovazione degli scienziati pei
sua accusa a tutta l’Italia, e «maravigliandosi (sono le sue parole)
che
non solo dal più celebre paese del mondo ma da uo
i Buontempi, perugino, nella sua Storia della musica 81 di far vedere
che
i musici e i compositori italiani che fiorivano i
a della musica 81 di far vedere che i musici e i compositori italiani
che
fiorivano in Roma allorché si pubblicò ivi la Mus
ttato, o in altra maniera concorsero al compimento di quell’opera, di
che
l’autore ne ricava per essa un buon augurio di du
pal cagione fu il dicadimento della poesia, giacché tale è il vincolo
che
passa fra codeste due facoltà sorelle, che, ove l
giacché tale è il vincolo che passa fra codeste due facoltà sorelle,
che
, ove l’una si guasti, è pressoché indispensabile
facoltà sorelle, che, ove l’una si guasti, è pressoché indispensabile
che
si corrompa anche l’altra. Con parole vuote d’int
vuote d’interesse e di affetto non poteva congiungersi se non musica,
che
nulla esprimesse, e quando il sentimento era cari
a aggirarsi se non intorno ad ornamenti superflui. Aggiungasi inoltre
che
i versi piccoli di quattro e cinque sillabe solit
ttevano i compositori in necessità di valersi di note minutissime, lo
che
rendeva la musica stemperata, e che la frequenza
i valersi di note minutissime, lo che rendeva la musica stemperata, e
che
la frequenza de’ versi rimati gli costringeva a f
li costringeva a far sentir troppo spesse, e vicine le consonanze, lo
che
la rendeva monotona. [22] Dallo stato svantaggios
ntori bravissimi, ma principalmente da una singolar genia di persone,
che
cominciò nel secolo decimosettimo a comparir sull
era per lo più eseguito da fanciulli. Ma l’ingrossamento della voce,
che
succedeva in loro col crescer dell’età, e la diff
lla voce, che succedeva in loro col crescer dell’età, e la difficoltà
che
si trovava nel conseguire, ch’eglino dassero al c
unuchi. La relazione sconosciuta, ma da tutti gli anatomici avverata,
che
passa tra gli organi della generazione, e que’ de
mpedisce in colpco, cui vien proibito lo sviluppo ulteriore del sesso
che
s’ingrossino i ligamenri della gola per la minor
o che s’ingrossino i ligamenri della gola per la minor copia di umori
che
vi concorre, gli rende più atti a vibrarsi, e con
ro. Da una bolla di Sisto V indirizzata al Nunzio di Spagna si ricava
che
l’uso degli eunuchi era molto comune in quella na
per dir meglio, alla effemminatezza della nostra musica mi fa credere
che
gl’Italiani se ne prevalessero subito dopo l’inve
opra tutti Loretto Vittori, di cui Giano Nicio eritreo fa tali elogi,
che
sembrano ad uom mortale non poter convenire82. [2
blema assai difficile a sciorsi se convenga o no alla morale pubblica
che
le donne rappresentino negli spettacoli. L’esempi
ppresentino negli spettacoli. L’esempio degli antichi Greci e Romani,
che
escluse le vollero costantemente; il rischio, cui
a alcun vantaggio il pudore, ove tanti ne ha la licenza; l’ascendente
che
prendono esse sugli animi dello spettatore non me
e sugli animi dello spettatore non meno contrario al fine del teatro,
che
pericoloso al buon ordine della società; la molle
e pericoloso al buon ordine della società; la mollezza degli affetti,
che
ispirano coi loro atteggiamenti espressivi di già
zione naturale della bellezza e del sesso; lo spirito di dissipamento
che
spargono fra giovani scapoli, i cattivi effetti d
i comparir sul teatro. Ma dall’altra parte i disordini forse maggiori
che
nascevano dal sostituir invece loro giovinastri v
ra eziandio; la influenza grande nella società, e maggiore in teatro,
che
i nostri sistemi di governo permettono alle donne
in teatro, che i nostri sistemi di governo permettono alle donne, dal
che
nasce, che essendo elleno la parte più numerosa e
che i nostri sistemi di governo permettono alle donne, dal che nasce,
che
essendo elleno la parte più numerosa e la più pre
vivo in sul teatro i donneschi diritti; l’amore, il quale per cagioni
che
non sono di questo luogo, è divenuto il carattere
questo luogo, è divenuto il carattere dominante del moderno teatro e
che
non può debitamente esprimersi, né convien che si
e del moderno teatro e che non può debitamente esprimersi, né convien
che
si esprima da altri oggetti, che da quelli fatti
ò debitamente esprimersi, né convien che si esprima da altri oggetti,
che
da quelli fatti dal ciclo per ispirarlo; la ristr
nostri teatri picciolissimi a paragon degli antichi, dove la distanza
che
passa tra gli attori e gli spettatori è tale, che
i, dove la distanza che passa tra gli attori e gli spettatori è tale,
che
i personaggi non possono agevolmente prendersi in
e. La qual permissione tanto più divenne necessaria nel dramma quanto
che
non ci era maniera di supplire per altro verso al
ti, la Laodamia del Muti, le Valeri, le Campane, le Adriane con altre
che
furono con indicibil plauso sentite in diversi te
tore dell’Asia e di Mitridate 84. [25] Tuttavia la maniera di cantare
che
regnava nell’universale, non sembra che meritasse
uttavia la maniera di cantare che regnava nell’universale, non sembra
che
meritasse cotanti applausi. A eccezione di que’ p
ra gli altri cantori si erano di già lasciati infettare da quel vizio
che
ha pressoché in ogni tempo sfigurata la musica it
a e della poesia si trasfusero nel canto eziandio, né poteva avvenire
che
la melodia fosse naturale, ove le note e le parol
rilità delle modulazioni, le stemperano poi e le triturano in maniera
che
si rendono insopportabili. Dal qual morbo sono pa
eri: non so se questi giudichino con piena cognizione di causa, ma so
che
almeno non cadono in simili inedie così frequente
erito è alquanto sfavorevole all’Italia. Basti sapere per mia difesa,
che
l’autore non è uno straniero, ma un italiano, e u
e’ parolai, presso a’ quali un Sonetto lavorato alla Bembesca val più
che
la scoperta delle stelle Medicee, inalzano a gara
e, del Porta, e di tanti altri fisici e matematici del secolo passato
che
non quelli di Bembo, Casa, Varchi, Cota, Molza, T
i geni superiori nelle belle lettere, o nelle arti, essendo verissimo
che
un Michelagnolo, un Raffaello, un Ariosto e un Ta
mpio va meno superba per aver prodotto Corneille, o Moliere di quello
che
vada per aver avuto Mallebranche o Cartesio, come
o a propagar presso ai posteri la gloria della Grecia i poemi d’Omero
che
i libri d’Aristotile o le oziose metafìsiche disp
olo dove si coltivano le scienze utili al secolo dove altro non si fa
che
parlare con eleganza. Dal che io conchiudo, che i
ze utili al secolo dove altro non si fa che parlare con eleganza. Dal
che
io conchiudo, che il seicento in Italia è preferi
dove altro non si fa che parlare con eleganza. Dal che io conchiudo,
che
il seicento in Italia è preferibile a1 Cinquecent
ni teatrali dopo nate le lingue moderne. L’orrore e la desolazione
che
alla venuta de’ barbari settentrionali si distese
furono nè le più fatali conseguenze di quel rapido incendio di guerra
che
le sconvolse. Col tempo si riparano le rovine, gl
l paese, diventarono i primi Cinesi. Ma i figli degli antichi Tartari
che
inondarono le provincie del Romano Impero sotto i
sovrano per difendere i proprii diritti. Quindi il continuo sospetto
che
alimentava la discordia delle parti: quindi venne
ni in una mutua guerra, quando poca è la sicurezza personale e presso
che
nulla la libertà, quando gli spiriti gemono agita
concepì il bel disegno di spargere la coltura ne’ suoi vasti dominii,
che
oltre la Francia stendevansi in gran parte dell’I
in gran parte dell’Italia, e della Germania, e della Spagna. Il primo
che
in Francia tenne scuola nel di lui palagio, fu lo
profferita, per la qual cosa in essi richiede vasi più forza di corpo
che
di mente. La maggior parte degli ecclesiastici in
Italia, in Francia, e nelle Spagne. Chi avrebbe mai allora indovinato
che
in queste nuove lingue doveva col tempo rifiorire
eva col tempo rifiorire la più sfoggiata eloquenza Ateniese e Romana?
che
tutte le Muse doveano abbellirle di tutte le loro
nazioni dalla barbarie alla coltura, indi da questa a quella, giunta
che
sia l’una e l’altra al grado estremo. L’estrema b
re d’Asia poi, la presa di Costantinopoli fatta da’ Latini, il passar
che
fecero le più fertili Isole dell’Arcipelago con u
mento del commercio in Italia come nella sua più nobil sede. Quindi è
che
il celebre Ottone vescovo di Frisinga zio dell’im
vo di Frisinga zio dell’imperadore Federigo I Barbarossa nel ritratto
che
dopo la mettà del XII secolo fece dell’Italiab, f
la mettà del XII secolo fece dell’Italiab, fralle altre cose attesta
che
le città Italiane de’ suoi tempi erano senza dub
ere il giogo de’ signori, e di stabilire un governo libero ed eguale,
che
agli abitanti assicurasse la proprietà de’ beni,
pendenza e di libertà fermentava nel cuor dell’Italia con tal vigore,
che
prima di terminare l’ultima crociata tutte le cit
erabili avevano dagl’imperadori comperati o ottenuti tanti privilegii
che
si potevano chiamar libere a. Qual meraviglioso i
ttacolo non fu allora agli Oltramontani l’Italia florida e coraggiosa
che
osava la prima assalire e battere l’orribil mostr
le sue catene diede allo stato cittadini utili e industriosi. Ed ecco
che
intorno a questo tempo cominciarono i talenti a m
ntrodussero le danze e i divertimenti ludrici. Il Clero cui importava
che
i popoli non venissero distratti dalla divozione,
o Balsamone autore del XII secolo sul Canone 62 del Concilio Trullano
che
proibisce agli uomini il prender vesti femminili,
i uomini il prender vesti femminili, e coprirsi con maschere, osserva
che
a suo tempo ancora nel Natale di Cristo, e nell’E
o del Decretale, si conseguì finalmente nel principio del XIII secolo
che
si abolisse simile contaminazione de’ templi. Res
feste bizzarre, le quali oltramonti ebbero più il carattere di follia
che
di giuoco. Era nota bile nella cattedrale di Roan
sinaria, nella quale compariva Balaam su di un’asina, e varii profeti
che
aveano predetta la venuta del Messia, e Virgilio,
ulli nella fornacea Correva il popolo volentieri alla festa de’ pazzi
che
si celebrava dal Natale all’Epifania in molte chi
Non riusciva men cara a’ popoli di quel tempo la festa degl’Innocenti
che
era un tralcio di quella de’ Pazzi, e si celebrav
tolo di tragedie e commedie, le di lui favole altro esser non doveano
che
meri monologhi o diverbii per lo più satirici sen
azione, posti in musica da lui stesso, e cantati insieme colla moglie
che
egli menava seco iu cambio de’ ministrieri e de’
a dels Preyres è il titolo rimastoci di uno de’ dialoghi del Faidits,
che
si vuole che fosse una commedia da lui recitata i
s è il titolo rimastoci di uno de’ dialoghi del Faidits, che si vuole
che
fosse una commedia da lui recitata in Italia stan
o da Monferrato. Si parla eziandio di alcune pastorali de’ Provenzali
che
erano piccioli dialoghi ne’ quali confabulava il
me e dall’inventar favole e narrarle in versi; in Canteres, o Cantori
che
aggiungevano il canto ai versi de’ Trovatori; e i
ai versi de’ Trovatori; e in Giullares, ovvero Giullari o Giucolieri,
che
equivalevano a’ Giocolieri o buffoni, i quali nel
i quali nelle pubbliche piazze, nelle fiere, e nelle feste o conviti
che
solevano dare le persone doviziose, intertenevano
nche dal ballo. Generalmente si dissero in latino barbaro Ministelli,
che
poscia si chiamarono in italiano da Giovanni Vill
sino, nel Poitù, nell’Alvernia, in somma in tutta la parte di Francia
che
si diceva Gallia Gotica, o Meridionale, o Provenz
Provenzale. Furono detti Trovatori quelle persone decorate ed ingenue
che
coltivarono la Gaja Scienza, cioè la poesia tutta
cioè la poesia tutta a que tempi rivolta a sviluppar concetti amorosi
che
comprendeva la scienza d’amore; e per lo più tali
Europeo. Non può ragionevolmente rigettarsi l’opinione di chi afferma
che
tali poeti degl’infimi tempi e de’ mezzani non av
i Irlandesi. Furono questi i successori de’ Greci poeti, come Tirteo,
che
nelle battaglie accendevano e sostenevano co’ lor
costanza. Inglesi, Scozzesi, Sassoni e Danesi ebbero’ simili cantori,
che
sommamente si tennero in pregio. In quanta stima
barie, cioè nell’878, volendo spiare la situazione dell’armata Danese
che
avea fatta irruzione nel suo reame, si presentò a
o della potente influenza de’ ministrieri sull’animo de’ combattenti,
che
avendo fatta la conquista del paese di Galles, pe
ma non assurda , radunati in un luogo tutti i Bardi del paese, ordinò
che
si uccidesseroa. Ma sotto il regno di Riccardo II
e del secolo XIV trovansi i ministrieri decaduti, nè altro essi erano
che
cantori volgari poco pregiati; anzi a tal segno d
rano che cantori volgari poco pregiati; anzi a tal segno degenerarono
che
verso la fine del secolo XVI fu pubblicata una le
di, delle persone senza mestiereb Tornando al secolo XIII osserviamo
che
in Alemagna fiorivano i Minnesoenger, ovvero Cant
no teatrale. Si mentovano nelle Spagne i versi cantati da’ pellegrini
che
visitavano in Galizia il sepolcro dell’apostolo s
i a quel tempo il monaco Gonsalo Berceo forse il più antico Spagnuolo
che
poetò in lingua castigliana. Non-dimeno ne’ suoi
castigliana. Non-dimeno ne’ suoi componimenti non se ne trova alcuno
che
al teatro si appartenga. L’Italia che già contava
onimenti non se ne trova alcuno che al teatro si appartenga. L’Italia
che
già contava varii non ispregevoli poeti, come Gui
a che già contava varii non ispregevoli poeti, come Guitton di Arezzo
che
perfezionò il Sonetto invenzione degl’Italiani, D
canti, Brunetto Latini, ed il migliore di tutti Dante Alighieri: pare
che
sia l’unica nazione che ci presenti qualche teatr
ed il migliore di tutti Dante Alighieri: pare che sia l’unica nazione
che
ci presenti qualche teatral monumento del secolo
elebrò in Piacenza nel borgo e nella piazza di s. Antonino un giuoco,
che
nella Cronaca Piacentinaa cosî seccamente si enun
giani, ed il Patriarcaa. Ma sulle riferite parole non può assicurarsi
che
fosse rappresentazione animata dalle parole. Apos
aro per erudizione, probità ed accuratezza, ricavò da varie cronache,
che
in Padova nel Prato della Valle fecesi una rappre
nel dì di Pasqua di Risurrezione del 1243 o 1244b. Pretese il Bumaldi
che
Fabrizio da Bologna nel 1250 componesse volgari t
qual cosa, come ognun sa, in Dante significa stile sublime, nè indica
che
fosse autore di tragediea. Quel che però non amme
ignifica stile sublime, nè indica che fosse autore di tragediea. Quel
che
però non ammette dubbio veruno, è che in Roma nel
fosse autore di tragediea. Quel che però non ammette dubbio veruno, è
che
in Roma nel 1264 fu istituita la Compagnia del Go
runo, è che in Roma nel 1264 fu istituita la Compagnia del Gonfalone,
che
per oggetto principale si prefisse il rappresenta
on potersi mettere in conto di teatrali. Vuole altresì con fondamento
che
il nominarsi versi recitati pe’ teatri non sempre
atri non sempre additi un’azione drammatica. Passa inoltre a dubitare
che
le accennate rappresentazioni di Padova, del Friu
figurate dal Clero in tempo di Pasqua e di Pentecoste. Veramente noi
che
reputiamo drammatiche, ed espresse con parole que
ed espresse con parole quest’ultime, non possiamo recarne nè squarcio
che
il dimostri nè testimonio sincrono che espressame
n possiamo recarne nè squarcio che il dimostri nè testimonio sincrono
che
espressamente l’affermi. Tutta volta la parola lu
samente l’affermi. Tutta volta la parola ludus usata da’ cronisti par
che
favorisca più il nostro avviso che il dubbio del
arola ludus usata da’ cronisti par che favorisca più il nostro avviso
che
il dubbio del celebre Storico. Forse non si direb
el dramma si composero dal Vescovo di s. Leo Giuliano Dati fiorentino
che
fiorì circa il 1445, e per gran parte del XVI seg
ella stessa guisa, siccome attesta Andrea Fulvioa. Verisimilmente ciò
che
continuò a farsi nel XV e XVI, praticossi nel XIV
in cui si compose indubitatamente il dramma del Dati, nell’imprimersi
che
si fece nel declinar del secolo XVI il libro degl
on avrebbe in essi dovuto esprimersi questa varietà essenziale, cioè,
che
le rappresentazioni da mute che si furono nel XII
ersi questa varietà essenziale, cioè, che le rappresentazioni da mute
che
si furono nel XIII, passarono poscia ad animarsi
tra ne accenneremo appresso dell’Alemagna. Vedrassi nel seguente capo
che
in Francia sin dal tempo di Filippo il Bello vi f
vatoa? Ma per essere periti tanti drammi greci e latini potrà negarsi
che
si composero e si recitarono nella Grecia e nel L
negarsi che si composero e si recitarono nella Grecia e nel Lazio, e
che
rassomigliarono a quelli che ci rimangono? Egli è
i recitarono nella Grecia e nel Lazio, e che rassomigliarono a quelli
che
ci rimangono? Egli è vero che in Francia, nelle F
l Lazio, e che rassomigliarono a quelli che ci rimangono? Egli è vero
che
in Francia, nelle Fiandre ed altrove furonvi alcu
lcuni Misteri rappresentati alla muta per le strade; ma gli scrittori
che
ne parlano, dicono espressamente che si esposero
per le strade; ma gli scrittori che ne parlano, dicono espressamente
che
si esposero solo alle vista; or quando poi tal ci
o poi tal circostanza non si specifica, sembra ragionevole il credere
che
allora si parli di rappresentazioni cantate e rec
i rappresentazioni cantate e recitate. Per altro non può negarsi quel
che
osserva il medesimo Tiraboschi, cioè che siffatti
r altro non può negarsi quel che osserva il medesimo Tiraboschi, cioè
che
siffatti Misteri, ed i versi cantati su’ teatri d
on tutto ciò debbono entrare nella storia drammatica come primi saggi
che
ricondussero a poco a poco in Europa la poesia sc
ale greca e latina; essendo come le povere scaturgini de’ gran fiumi,
che
con ogni diligenza e con diletto curiosamente si
to. Con testimonii sicuri pruova l’illustre storico questi tre punti:
che
Carlo Magno a un Italiano fu debitore del primo
un Italiano fu debitore del primo volgersi ch’egli fece agli studii:
che
non mandò straniero alcuno in Italia a tenervi sc
li studii: che non mandò straniero alcuno in Italia a tenervi scuola;
che
da lui molti Italiani inviati furono in Francia a
nto il fare di certi apologisti di ultima moda, combattere l’evidenza
che
gli molesta, con l’autorità di un nome solo, foss
molesta, con l’autorità di un nome solo, fosse poi anche quello, non
che
dell’erudito sig. Denina, di un Sherlok, purchè d
purchè dica male dell’Italia. Il medesimo sig. Lampillas per mostrare
che
gl’Italiani erano a que’ tempi ignoranti e barbar
ato dal Mabillon. Ma con sua pace legga con gli occhi aperti, e vedrà
che
il Tiraboschi punto non reca in testimonio di buo
ri Carolini contro il culto delle immagini. E crede il sig. Lampillas
che
in altro senso che in questo vengano dal vescovo
il culto delle immagini. E crede il sig. Lampillas che in altro senso
che
in questo vengano dal vescovo di Orleans esaltati
dottissimi ed eloquentissimi? Nelle parole di tal prelato, ed in ciò
che
dice di Adriano il Tiraboschi, si attenda allo ze
alla vaghezza dello stile. Che se volesse il sig. Lampillas mostrare,
che
gl’Italiani di que’ miseri tempi erano nel latino
nel latino idioma più barbari degli oltramontani, dovrebbe far vedere
che
fuori dell’Italia si scrivesse latinamente con pi
ed eleganza del famoso storico de’ Longobardi Paolo di Varnefrido; e
che
non fossero stati Italiani ma Spagnuoli quelli ch
o di Varnefrido; e che non fossero stati Italiani ma Spagnuoli quelli
che
Carlo Magno chiamò in Francia per insegnarvi la g
pregio di discordare il più volte rammemorato Lampillas, pretendendo
che
la Spagna si governasse per alcuni secoli col co
arico sino dal 506. Egli si dimostra in tal fatto così poco istruito,
che
fa sospettare di essergli stata da altri sugerita
a di essa il perdono de’ leggitori. Ignora primieramente l’apologista
che
molti anni prima di Alarico il padre di lui chiam
olti anni prima di Alarico il padre di lui chiamato Eurico o Evarico (
che
cominciò a regnare l’anno 486) avea già dato a’ V
arico pubblicata in. Tolosa col titolo di Breviario; ed è quell’unica
che
, non saprei dir come, conosce il Lampillas; bench
a che, non saprei dir come, conosce il Lampillas; benchè anche ignori
che
questa non contenne leggi gotiche, com’egli dice,
l codice Teodosiano formato dal giureconsulto Aniano sotto Alarico, e
che
fu ricevuta anche in Italia prima che l’Ostrogoto
onsulto Aniano sotto Alarico, e che fu ricevuta anche in Italia prima
che
l’Ostrogoto Teodorico pubblicasse il suo editto.
e leggi di Aragona, del contado di Barcellona, di Valenza. Noi dunque
che
sappiamo quel che seppe il Lampillas, e quel che
, del contado di Barcellona, di Valenza. Noi dunque che sappiamo quel
che
seppe il Lampillas, e quel che non seppe ancora (
Valenza. Noi dunque che sappiamo quel che seppe il Lampillas, e quel
che
non seppe ancora (e cel perdonino i Lampigliani)
n seppe ancora (e cel perdonino i Lampigliani) gli facciamo avvertire
che
quì non si questiona se la Spagna col resto dell’
nte Fuero Juzgo recato in mezzo dal medesimo Lampillas. Questo volume
che
fu compilato nel regno di Sisenando, il quale ave
tri disordini, se in essa agiva con maggior forza la medesima cagione
che
gli produceva altrove? Differenti cagioni (dice
nella Spagna il governo feudale nel suo pieno vigore più lungo tempo
che
in Francia e in Inghilterra. Fin sotto Ferdinand
li precedenti. Al dir del medesimo istorico, le divisioni sanguinose
che
sì rinnovavano incessantemente tra il sovrano e l
, per proteggere i viaggiatori, e perseguitare i malviventi. Io credo
che
a tali lagrimosi eventi punto non attese il Lampi
non attese il Lampillas, e riposò placidamente sulle leggi di Alarico
che
suppose dal VI secolo felicemente osservate in Is
tratto di alcuni secoli seguenti. Dopo avere egli, colla intelligenza
che
si è veduto, assicurato al codice di Alarico il v
di braccia a croce, e di duelli. Vuole egli forse darci ad intendere
che
nella Spagna non aveano luogo i giudi ii di Dio e
isuonano gli stessi teatri di quella penisola; dovrebbe sapere ancora
che
sino al XVI secolo per estirpare le bizzarrie del
ccio, e per certe costumanze strane, e non fondate in verun diritto ,
che
è quello appunto che affermava il Signorelli, e c
tumanze strane, e non fondate in verun diritto , che è quello appunto
che
affermava il Signorelli, e che per bizzarria, per
n verun diritto , che è quello appunto che affermava il Signorelli, e
che
per bizzarria, per capriccio, e per istrana malfo
to in tali materie?) Avrebbe in quelle Sette Partite non solo trovato
che
i duelli erano frequentissimi, ma che fu necessar
Sette Partite non solo trovato che i duelli erano frequentissimi, ma
che
fu necessario regolarli con una legislazione part
’apologista, e di chi sacò per lui la cara, e il nominò, per far noto
che
era il Lampillas sotto la di lui protezione, ne a
artita si vieta nel tit. 13, leg. 10 di seppellir ne’ cimiterii colui
che
morisse nello steccato. Nella II al tit. 21 si pa
egna il modo di fare i cavalieri e gli scudieri, e nella 21, si dice,
che
gli antichi cavalieri combattevano a favor degli
abiliti i duelli derisi come proprii dell’Italia dal signor Lampillas
che
ci permetterà di dirgli, che de’ fatti di sua cas
proprii dell’Italia dal signor Lampillas che ci permetterà di dirgli,
che
de’ fatti di sua casa tanto sa egli quanto un Ote
dio evo? Mal grado della universale barbarie era tutt’altra da quella
che
la dipinse l’apologista. A quei tempi sotto l’Ost
so editto di Teodorico. Entrati poi a regnarvi i Longobardi, ecco ciò
che
seguì in Italia secondo il racconto di Paolo Diac
tori, per governare non meno la propria nazione tra noi traspiantata,
che
gl’Italiani che volessero soggettarvisi, il celeb
are non meno la propria nazione tra noi traspiantata, che gl’Italiani
che
volessero soggettarvisi, il celebre editto di Rot
ie aggiunte alle leggi Longobarde, e so ne venne a formare un Codice,
che
, secondochè ben dice un nostro dotto scrittore,
ebrogio, Montesquieu. Avvenne a que’ tempi ancora, cioè sin dal 1001,
che
secondo Camillo Pellegrino un certo Capuano copiò
di un cane, cioè dovea pagare una somma nove volte maggiore di quel
che
valeva il cane . Or dove sono le onze di carne d
l sig. Lampillas, e chi gli ha accordato il suo autorevol patrocinio,
che
questo bel bacio era una legge non de’ Longobardi
ne a ricadere sul derisore, come ora è avvenuto. Pongasi poi da parte
che
quando pur fossero veramente goffe alcune delle l
tempi, per ben giudicarne, se ne dovrebbe rintracciare lo spirito più
che
le parole, ed aver riguardo alle circostanze. Dov
riguardo alle circostanze. Dovea piuttosto riflettersi alla saviezza
che
spirano quasi da per tutto le leggi Longobarde, e
za che spirano quasi da per tutto le leggi Longobarde, e al vantaggio
che
alcune di esse hanno riportato ancor sulle Romane
gigantesche nello stile. Or faccia il Lampillas il confronto di ciò
che
si fe insegnare dal Bettinelli col riferito giudi
Bettinelli col riferito giudizio del Montesquieu. Osservi il diva rio
che
passa tralle leggi promulgate in quella mezzana e
e de’ Visigoti e de’ Borgognoni. Queste ultime, ad onta di quel bacio
che
ha posto in buono umore il Lampillas (vedasi il d
el celebre Presidente riputate giudiziose, e preferite alle Visigote,
che
dall’apologista Barcellonese (che è tutt’altro ch
diziose, e preferite alle Visigote, che dall’apologista Barcellonese (
che
è tutt’altro che un Montesquieu) vengono chiamate
ite alle Visigote, che dall’apologista Barcellonese (che è tutt’altro
che
un Montesquieu) vengono chiamate savissime. Le Lo
ate savissime. Le Longobarde poi sono anteposte a tutte. Da tutto ciò
che
si è ragionato in questa nota può comprendere il
che si è ragionato in questa nota può comprendere il sig. Lampillas,
che
non basta un poco di talento contenzioso misto ad
gusto, nè il declamare in ogni incontro, per entrare a parlar di cose
che
non si sono studiate bene nè punto nè poco. a.
libro V delle Storie Fiorentine di Niccolò Macchiavelli, il quale par
che
si appressi a ciò che quì si accenna, benchè egli
iorentine di Niccolò Macchiavelli, il quale par che si appressi a ciò
che
quì si accenna, benchè egli nol renda abbastanza
si contenta di averne qualche leggiera notizia, accenniamo soltanto,
che
tal festa stimossi una imitazione de’ Saturnali d
trane guise. Creavasi eziandio un Vescovo, e talora un Papa de’ Pazzi
che
officiava solennemente, e benediceva il popolo. I
tere per superarsi a vicenda cantando e clamando e fort cridar sino a
che
una delle parti rimanesse vincitrice. In qualche
san Giovanni un’altra prosa detta del bue a. Malgrado della coltura
che
già illuminava la Francia, quest’altra festa di q
e lacere, e mettevansele a rovescio, mostravano di leggere su i libri
che
tenevano volti all’ingiù con occhiali fatti di co
ti. a. Michele Nostradamus fu medico, astrologo e profeta Narbonese
che
di anni 62 finì di vivere nel 1568. Le Vite de’ P
volta stampate in Lione l’anno 1575, sono piuttosto favolosi racconti
che
vere storie. L’hanno ben dimostrato i Maurini nel
a una collezione di antiche poesie Inglesi uscita in Londra nel 1765,
che
fu pure annunziata nella Gazzetta Letteraria di P
ti teatri di Europa. Non fu dunque in mezzo alla luce del Cinquecento
che
in Italia s’istituì tal Compagnia, ma sì bene nel
iliar colla verità certa orgogliosa filosofia dello spagnuolo Arteaga
che
sempre ragiona prima di assicurarsi de’ fatti, e
pagnuolo Arteaga che sempre ragiona prima di assicurarsi de’ fatti, e
che
in conseguenza si avvolge per un mondo fantastico
ofi. a. Con nostro singolar compiacimento abbiamo in seguito notato
che
il su degno nostro amico di remota data, ornament
II della Compagnia del Gonfalone ed altre simili. E perchè l’autorità
che
ne reca, riduce ad evidenza il mio avviso che dal
li. E perchè l’autorità che ne reca, riduce ad evidenza il mio avviso
che
dal primiero suo discordava, ne trascriviamo le p
nelle sue Memorie del beato Errico p. I) perciocchè in essi si legge,
che
i canonici di quella chiesa doveano dare in anno
di più le nostre prime asserzioni ne abbisognassero. Accenniamo solo
che
in Lanciano in Abbruzzo una tragica sacra rappres
l Venerdì santo, del Mortorio di Cristo, dopo una pomposa processione
che
usciva dalla chiesa di san Filippo Neri, fatta a
Dei balli [4.1] Ma
che
cosa è finalmente questo nostro ballo, dietro al
nante. Finito un atto, saltano fuori tutto a un tratto dei ballerini,
che
per nulla non hanno che fare con l’argomento dell
altano fuori tutto a un tratto dei ballerini, che per nulla non hanno
che
fare con l’argomento dell’opera. Se l’azione è in
opera? e il ballo è buffo. Niente vi ha di meno degradato e connesso,
che
proceda più per salti, se in tale occasione è lec
o, che proceda più per salti, se in tale occasione è lecito il dirlo,
che
sia più contrario alla legge della continuità leg
ontrario alla legge della continuità legge inviolabile della natura e
che
l’arte, di lei imitatrice, dee fare in ogni cosa
, dee fare in ogni cosa di non trasgredire. Ma lasciando star questo,
che
nella odierna licenza potrà parere una troppo gra
licenza potrà parere una troppo grande sofisticheria, cotesto ballo,
che
tanto pur diletta, non è poi altro, a considerarl
he tanto pur diletta, non è poi altro, a considerarlo in sé medesimo,
che
un capriolare sino all’ultimo sfinimento, un salt
mo, che un capriolare sino all’ultimo sfinimento, un saltar disonesto
che
non dovrebbe mai aver l’applauso delle persone ge
i passi e di pochissime figure. Dopo un assai sgarbato concerto, ecco
che
si distacca dalla truppa un paio di ragazzi. Non
, ecco che si distacca dalla truppa un paio di ragazzi. Non falla mai
che
l’uno non incominci dal rubare all’altro un mazze
mile balletto a due; e si conchiude finalmente con un altro concerto,
che
è di un pelo e di una buccia col primo. Conoscine
ei ballerini, il carattere dei balli non mai. [4.2] Chiunque, in ciò
che
si spetta alla danza, se ne sta alle valentìe di
nsiero più là, ha da tenere senz’altro per fole di romanzi molte cose
che
pur sono fondate in sul vero: quei racconti, per
te cose che pur sono fondate in sul vero: quei racconti, per esempio,
che
si leggono appresso gli scrittori, degli tragicis
io, che si leggono appresso gli scrittori, degli tragicissimi effetti
che
operò in Atene il ballo delle Eumenidi, di ciò ch
agicissimi effetti che operò in Atene il ballo delle Eumenidi, di ciò
che
operava l’arte di Pilade e di Batillo, l’uno de’
ol ballo a misericordia e a terrore, l’altro a giocondità e a riso, e
che
a’ tempi di Augusto divisero in parti una Roma. E
tempi di Augusto divisero in parti una Roma. Egli avviene ben di rado
che
ne’ nostri ballerini si trovi congiunta con la gr
ità nei movimenti senza la quale il ballo è di fatica a quelli ancora
che
stanno a vedere. [Sebbene questi non sono che i r
fatica a quelli ancora che stanno a vedere. [Sebbene questi non sono
che
i rudimenti della danza, o piuttosto la parte mat
forma di essa è tutt’altra cosa. La danza deve essere una imitazione
che
, per via de’ movimenti musicali del corpo, si fa
o mirabilmente espressi gli avvenimenti tutti del grazioso intermezzo
che
porta quel nome. E veramente nel comico, o sia gr
osi veduti tra noi dei balli degni di applauso ed anche dei ballerini
che
aveano, come disse colui, le mani e i piedi eloqu
ni da Batillo. Ma nelle danze serie o eroiche, è pur forza confessare
che
i Francesi vincono e noi e tutt’altre nazioni. E
larmente non ci dovremmo mostrar ritrosi di prendere dai Francesi con
che
perfezionare la nostra opera; da quella nazione c
Francesi con che perfezionare la nostra opera; da quella nazione cioè
che
ha preso da esso noi la opera medesima.
to sprezzabile, come il presente sonetto a suo marito. Cigno felice,
che
spiegando i vanni, varcando vai sovra i cerulei c
disserri i lampi de’ gran tesori de’ superni scanni ; vivi pur, vivi,
che
il volar degli anni lieve incarco ti fia, già che
i ; vivi pur, vivi, che il volar degli anni lieve incarco ti fia, già
che
tu stampi d’ eternitade il calle, ond’ oggi avvam
’ oggi avvampi d’ immortal luce in questo mar d’ affanni. E me beata,
che
dal tuo bel lume qual la terra dal sol, virtute a
(il Bronzino giovine) le fece in Firenze un tal bellissimo ritratto,
che
ispirò al Cav. Marino il presente madrigale : «
le : « Bronzin, mentre ritraggi questo fior di beltà, beltà gentile,
che
co’ detti, e co’ raggi degli occhi vaghi, e del f
lorinda, ed altra Flaminia (la Cecchini), come si vede da una lettera
che
essa Florinda scrisse da Torino al Cardinal Gonza
sa Florinda scrisse da Torino al Cardinal Gonzaga il 4 agosto 1609, e
che
dall’ introduzione di A. Bartoli (pag. cxxxviii)
del Cavalier Marino, l’ udrà sicuro, poi ch’ io faccio mia cura acciò
che
le capitino alle mani. Mi farà favore di parlar d
ani. Mi farà favore di parlar di costei con questo S.re Ambasciatore,
che
udrà cose scelleratissime. Tutti li compagni scla
no. Io per sopportare questo humoraccio faccio quanto posso, ma credo
che
non durerò. Per tanto, caro il mio Sig.re, procur
sciare, perchè non c’ è ordine ; et per cavarne S. A. il vero, faccia
che
parli con l’ Ambasciatore ; per vita sua, per l’
ero, faccia che parli con l’ Ambasciatore ; per vita sua, per l’ amor
che
mi porta, procuri che non potendo più soffrirla,
con l’ Ambasciatore ; per vita sua, per l’ amor che mi porta, procuri
che
non potendo più soffrirla, ch’ io con gli altri c
tendo più soffrirla, ch’ io con gli altri compagni possa impiantarla,
che
vedrà che nessuno starà seco, poi che è da tutti
soffrirla, ch’ io con gli altri compagni possa impiantarla, che vedrà
che
nessuno starà seco, poi che è da tutti odiata ; i
tri compagni possa impiantarla, che vedrà che nessuno starà seco, poi
che
è da tutti odiata ; in grazia me ne avvisi ch’ io
o, poi che è da tutti odiata ; in grazia me ne avvisi ch’ io le giuro
che
se ottengo questo, che allora soffrirò più di cor
diata ; in grazia me ne avvisi ch’ io le giuro che se ottengo questo,
che
allora soffrirò più di core, sapendo ch’ io potre
dei Cecchini, col pericolo di partorire entrando in lettiga. Ecco ciò
che
scriveva Giovan Battista : Era tutta questa Comp
Compagnia in arme, ma molto più s’ offendevano con la lingua arrotata
che
con il ferro, ond’ io quasi stetti per tornare a
quasi stetti per tornare a dietro. Lodato Dio, accomodai il tutto, ma
che
? Feci per l’ appunto come colui che per un poco
dato Dio, accomodai il tutto, ma che ? Feci per l’ appunto come colui
che
per un poco ripara a una gran corrente d’ acqua,
punto come colui che per un poco ripara a una gran corrente d’ acqua,
che
da un poco rompendo ogni riparo più impetuosa che
corrente d’ acqua, che da un poco rompendo ogni riparo più impetuosa
che
mai l’ acqua scorre et innonda. L’ Andreini supp
a — et io quasi voto, a ciò l’ A. V. non senta un giorno qualche nova
che
le dispiaccia. » (V. A. D’ Ancona, Nozze Martini-
ndò la Florinda, e coll’ arte sua, rinnovando la division de’ partiti
che
furon già come abbiam detto per altre attrici, se
gettare a terra ogni trofeo eretto dalla Signora Flaminia : non c’ è
che
ridire. Ma chi era codesto Cintio, pel quale la S
dirittura frenesìe ? Non il primo Cintio, di cui s’ ignora il nome, e
che
si fece conoscere a Roma nel 1550 (V. Sand, T. I,
Cintio (Cintio Fidenzi) Fabrizio. » Lasciamo stare il nome di Cintio,
che
è evidentemente una inesattezza del Sand ; a lui
lito dal Cinelli (Biblioteca volante, scansia undecima. Modena, 1695)
che
« fu il Fidenzi di bello e gioviale aspetto, di f
ena, 1695) che « fu il Fidenzi di bello e gioviale aspetto, di faccia
che
tondeggiava, di capello castagno, di bianca carn
to, ed in somma appariscente e proporzionato alla parte d’ Innamorato
che
rappresentava. » Ma ecco che stando a Francesco
proporzionato alla parte d’ Innamorato che rappresentava. » Ma ecco
che
stando a Francesco Bartoli, egli nacque intorno a
l 1596, e però non poteva essere cogli Accesi il 1609. Ed è possibile
che
la storia non ci abbia detto nulla sul conto di u
la sul conto di un così rimarchevole personaggio ? È possibile, dico,
che
questo amante della Cecchini, annunciato dalla An
l’ odio di mestiere, di cui ci parve di veder l’ origine nelle parole
che
il Cecchini stesso dettava al proposito del carat
giungevasi l’ odio generato per la dignità offesa della donna galante
che
vedeva il ricco sciame de’ corteggiatori volgersi
? Che la Cecchini fosse una specie di demonio è omai fuor di dubbio :
che
l’ Andreini le avesse dato nel naso co’ suoi trio
le avesse dato nel naso co’ suoi trionfi è molto probabile, tanto più
che
a questa, sposa onesta e fedelissima a suo marito
lo, La bell’ Adriana. Città di Castello, 1888), eran tributati onori,
che
avrebber fatto correr l’ acquolina in bocca all’
spiegar gli aspri martiri, e trar da mille cor mille sospiri. Oltre
che
nell’ Arianna, ella cantò anche nel balletto dell
l Cav. D. Ascanio Sandrio scriveva alla Duchessa di Mantova : « Credo
che
S.A. darà una festa a mille fonti alli III.mi Car
ta a mille fonti alli III.mi Card.li, dove sarà un Balletto di Sirene
che
nell’ aqua nuotando danzar ano, et una Piscatoria
me, come vedremo, anche maggiori n’ebbe l’Andreini. È peccato davvero
che
non siensi potute rintracciare le cento ottave e
netti del Cav. Marino su quell’ intrico di retroscena, come è peccato
che
, per quante ricerche fatte, io non abbia potuto t
licando qui alcune delle poesie inedite in lode dei coniugi Andreini,
che
sono in un Codice Morbio, così descritto dall’egr
Morbio I. — Codice cartaceo miscellaneo di 53 carte composto di fogli
che
prima stavano ciascuno da sè. Formato massimo cm.
lagrimoso humore Vicenza tutta al tuo partire, è, rade Sono le penne,
che
di lei pietade Non mostrino, scrivendo il suo dol
e penne, che di lei pietade Non mostrino, scrivendo il suo dolore. Ma
che
? se da mortal corpo se ’n uola L’alma à gloria i
bbiamo qui vari madrigali di Don Venantio Galvagni, non de’ peggiori,
che
ce ne dicon qualcosa. Le chiome, gl’ occhi, e i
l Sig.r Gio. Battista Andreini — Mantova, accompagnati da una lettera
che
stimo inutile riprodur qui. Riproduco invece il s
che stimo inutile riprodur qui. Riproduco invece il seguente sonetto
che
a me pare il migliore della raccolta : Sopra la
colle semplici iniziali I. R., D. P. M., I. F., M. M. ; poesie tutte
che
furon pubblicate in appendice dello studio, più v
l’uno, ignoto, scritto Sopra i uarij effetti di pallore, e rossore,
che
si uiddero sul uolto di Florinda mentre recitaua
agricoltore Che del tuo sole al raggio Havrei perpetuo maggio, Anzi,
che
coglierei da le radici Del tuo immenso ualor frut
ti felici. Al quale tien dietro la Risposta della S.ra Florinda Tu,
che
per faticosi erti camini Cerchi con nobil core Me
il seguente madrigale di Benedetto Pamoleo : FLORINDA, è pur il uer
che
, i, Giri eterni Faccian nell’alma mia dolce conce
i ; Che ’l Cielo pareggiarli anche non puote, Ma non stupisco io già,
che
possi tanto ; Ch’Angiolo al uolto sei, Sirena al
stimonianze del casato vero di Virginia Andreini, sebbene paia strano
che
nel ’18, anno in cui fu scritto l’ idillio (fu an
a, ma assai misere per concetto. Trascelgo le poche dalla prima parte
che
ci dicon le lodi di Florinda. Non mai spiegò Pav
ender le Stelle amor presume ; il bel candore, il bel vermiglio sale,
che
dir non si può : l’un l’altro prevale. Quasi nove
al primo albore ch’ apron vermiglie il rugiadoso seno ; s’egli avvien
che
propinquo il suo candore spieghi giglio gentil fi
ssi col misto lor vario colore sì dubbioso e cangiante il loco ameno,
che
non si può giammai scerner col ciglio se sia gigl
si scorgean, pure e vivaci invitatrici a morsi, a scherzi, a baci. Ma
che
parl’io di voi labbra amorose, e quei begli occhi
voi labbra amorose, e quei begli occhi suoi sacro all’obblio ? Occhi,
che
di sua mano amor compose, non occhi no : ma stral
l cor dolce veleno, ond’egli arda a tutt’or d’eterna sete : voi, pria
che
l’angue ohimè nodrissi ’n seno, mirai : nel Ciel
go e sospiro) mi disperaste in un volubil giro. Sotto a quegli archi,
che
un bel nero oscuro le due degli occhi suoi serene
due degli occhi suoi serene stelle luce porgean più rilucente e pura
che
dal nascente Sol l’auree fiammelle ; tali, mentre
ò l’alma natura, pinse all’ eterna Dea l’antico Apelle ; l’antica Dea
che
pur tra queste sponde, genitrice d’amor, produsse
solchi d’or, neglette ad arte, le biondissime chiome, emule agli ori,
che
a noi più schietti il fosco indo comparte. Giva
r umil ch’ora raccolte, or sparte, a quello aurato vel sembrar le fea
che
diè’n preda a Giason l’empia Medea. Ed ecco l’ o
po, del quale spero, con quello di Gio. Batta Andreini, e cogli altri
che
verrò pubblicando, di dar presto la chiave per la
l’haverla già l’A. V. S. raccomandata alla S.ma Caterina Medici alhor
che
viveva meritissima Duchessa di Mantova, in modo t
Medici alhor che viveva meritissima Duchessa di Mantova, in modo tale
che
fu degna in virtù d’ una validiss.ª raccomandazio
a stessa Ser.ma Caterina d’essere posta nella Scuola di quelle figlie
che
protette erano da così gran Protettrice. Partita
pericoloso per donna. Il favore adunque sarà (All’ A. V. S. piacendo)
che
siccome l’A. V. si degnò di scriver lettera effic
ente lettera alla M.tà dell’ Imperatrice (alla qual servitù è un anno
che
serve con le commedie) che in grazia di V. A. S.
’ Imperatrice (alla qual servitù è un anno che serve con le commedie)
che
in grazia di V. A. S. voglia haver per raccomanda
ndata la suddetta Leonora, tenuta a battesimo dall’ A. V. S. e far si
che
d’alcuno ajuto sovvenuta sia sì dalla M.tà dell’
M.tà dell’Imperatore, grazie come tutto giorno fanno in figliuolette
che
prive di protezione non hanno chi chieda e suppli
plicante è serva di 25 anni della Ser.ma Casa, e perchè è stata degna
che
due suoi figliuoli siano stati tenuti a battesimo
t ambi di gloriosa memoria. Pongasi adunque l’A. V. S. e per la Madre
che
è tanto che serve questa S.ma Casa Gonzaga e per
oriosa memoria. Pongasi adunque l’A. V. S. e per la Madre che è tanto
che
serve questa S.ma Casa Gonzaga e per la servitù c
Madre che è tanto che serve questa S.ma Casa Gonzaga e per la servitù
che
di continuo fa a queste M.tà d’un anno intero, ot
e anche, o meglio, ingenue paiono a me le parole dello stesso Bartoli
che
concernono il matrimonio della Lidia con Lelio. L
Andreini non era davvero marito esemplare ; ed è ormai fuor di dubbio
che
l’amore fra la Rotari e lui esisteva già, vivente
erenissima Altezza lo applicar l’animo, et vestirsi dell’ afflitioni,
che
apporta a diversi la baldina, la quale con un’ ar
con un modo tanto occulto notrice un incendio così grave in compagnia
che
ci è impossibile il vivere in questo travaglio. I
ode sott’ occhio havendo ridotto questo negotio con una tal volpagine
che
l’istessa Florinda prega che lei non si disgusti
tto questo negotio con una tal volpagine che l’istessa Florinda prega
che
lei non si disgusti acciochè il marito non li fac
disgusti acciochè il marito non li faccia qualche burla. dico signore
che
si tratta di cose concernenti alla vita e da ques
dico signore che si tratta di cose concernenti alla vita e da queste
che
V. A. intende ne sieguono poi di quelle che la pr
nti alla vita e da queste che V. A. intende ne sieguono poi di quelle
che
la prudenza sua si puol immagginare. Arlecchino n
e’ suoi interessi non capisce altra cosa. Orsù non parliamo di questo
che
la materia c’ è amplissima. Io replico a V. A. et
sà il desiderio ch’ io ho di ritornare con salute a riveder l’A. V.,
che
con baldina non faremo mai cose buone nè in Franc
ia. Levar dunque costei et pigliar quel Pavolino in Compagnia, mi par
che
siano due cose necessariissime, rimetendomi sempr
et devot.mo Serv.e Pier Maria Cecchini. « L’istessa Florinda prega
che
lei non si disgusti acciocchè il marito non li fa
da Milano al Duca con queste parole : Le stratageme et persecucioni
che
me vengono dalla Florinda et suo marito et i mali
la Florinda et suo marito et i mali trattamenti loro sono così grandi
che
mi hano ormai ridotto a rovina e a precipicio. Mi
di che mi hano ormai ridotto a rovina e a precipicio. Mi fano parlare
che
io resti questo verno a Milano, et perchè non mi
che io resti questo verno a Milano, et perchè non mi pare giusto, et
che
io niego di restargli, mi ha il ditto marito di F
ha il ditto marito di Florinda tirato a termine di fare questione, il
che
succedeva se Iddio non gli metteva la mano. E ch
etteva la mano. E chiesto aiuto al Duca, e avutolo con ordini recisi
che
a lui davano alcun potere in faccia ai compagni,
a ai compagni, trovò Gio. Battista Andreini sdegnosamente ribelle, il
che
si rileva con ampiezza da quest’altra lettera col
ttera di V. S. Ill.ma la quale ha servito anco per risposta di quelle
che
io scrissi a S. A. S., ho voluto parteciparla a t
iamo et vestemo, ma Lelio marito di Florinda non volse venire, et ben
che
io supplicassi et gli mandassi doi volte un servi
io supplicassi et gli mandassi doi volte un servitore publico a dirli
che
io volevo parlar de ordine di S. A. S., con tutto
detto Lelio ridendo voltò via, nè volse ascoltarmi. Ammettiamo pure
che
ci fosse un po’di esagerazione e di maligna insin
queste : non volevo dir tanto ; ma mi affido ch’io lo dico a padrone
che
non lasciarà perder questa mia et penetrare facil
mia et penetrare facilmente il tutto. Ammettiamo : è certo nondimeno
che
l’Andreini non la cedeva al Cecchini sia nei disp
affare della Baldina gli aveva messo addosso l’inferno, ed è naturale
che
alle scene di gelosia della povera Florinda che p
nferno, ed è naturale che alle scene di gelosia della povera Florinda
che
parve davvero una terribile donna a modo, egli sc
ssime, maravigliando come avesse ad ascoltarsi più tosto un mentitore
che
un povero giove che aveva sempre professato di es
come avesse ad ascoltarsi più tosto un mentitore che un povero giove
che
aveva sempre professato di essere servo di S.A.S.
mbre 1626 da Cremona l’Andreini arriva a dire persino della Cecchini,
che
il mondo non può più sostener di veder lei tanto
egregio avversario, aggiunge paurosamente : sopratutto non si tratti
che
questo avviso venga da me che pur troppo sarà sos
paurosamente : sopratutto non si tratti che questo avviso venga da me
che
pur troppo sarà sospettato. Da Galeotto a Marina
a me che pur troppo sarà sospettato. Da Galeotto a Marinaro, non c’è
che
dire : facevano a chi poteva dirsene di più gross
are chi avesse il disopra nella tenzone. Dell’Andreini si sa per fino
che
un cotale italiano voleva farlo assassinare ; ond
nni prima succedeva in Compagnia quel famoso scandalo per la Baldina,
che
fece scappar la Virginia come spiritata ! ! ! Mor
la quale sopportava non rassegnata, per paura, come dice il Cecchini,
che
il marito non le facesse una qualche burla ! ! !
ttera del Cecchini, concernente gli scandali provocati dalla baldina,
che
altra non era che la Lidia Virginia Rotari, già m
, concernente gli scandali provocati dalla baldina, che altra non era
che
la Lidia Virginia Rotari, già moglie di Baldo Rot
all’altra Lidia di Bagnacavallo, la comica famosissima de’confidenti,
che
di non molti anni l’aveva preceduta, o più tardi,
e il pallore, gli atti per convertir vana sorella in Teatro fingesti,
che
gl’Insubri traesti a dir, di verità lingua cospar
rta : non è Lidia costei ; mirala : è Marta. Ed ecco i due madrigali
che
Gio. Battista Andreini dettò per la signora Eular
scivo ardore Maddalena un Vesevo ha un Enna al core : Marta Egeria,
che
Egei forma di pianto già d’estinguer tai fochi ha
a’ que’ Regi nidi (proprio d’ Insubri a ministrar Compense) narran :
che
’nfrà di lor tal gloria ha sparta, una sol MADDAL
addalena, ecc. Milano, Malatesta, 1652). Il Sand mette fra le amorose
che
fecer parte della Compagnia dei Gelosi dal 1576 a
emme de G. B. Andreini). Avrebbe dovuto dire più esattamente : quella
che
circa trent’ anni dopo diventò la seconda moglie
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