ello. Bondì bondì Pedraz Bondì e bon’an Zambù Volem fa sto parentad
Che
l’altr’ jer ve n’ ho parlad In la fiola de Pedrol
sposo Zan Frogniocola Gnigniocola Frogniocola Toca la man alla sposa
Che
’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Che sa mo fa l
niocola Toca la man alla sposa Che ’l fa allegrezza tutta Val pelosa.
Che
sa mo fa la sposa La sa tester la tila S’a vedese
sposo Zan Frogniocola Frogniocola Gnigniocola Toca la man alla sposa
Che
’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Che sa mo far
niocola Toca la man alla sposa Che ’l fa allegrezza tutta Val pelosa.
Che
sa mo far ol spos Che ’fa conza i laccez Stagniat
la sposa Che ’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Che sa mo far ol spos
Che
’fa conza i laccez Stagniati, e candeler Da valen
sposo Zan Frogniocola Gnigniocola Frogniocola Toca la man alla sposa
Che
’l sa allegrezza tutta Val pelosa. Feu in za vn p
sposo Zan Frogniocola Gnigniocola Frogniocola Toca la man alla sposa
Che
’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Za che le chi
sposo Zan Frogniocola Frogniocola Gnigniocola Toca la man alla sposa
Che
’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Si inuidat in
at in Val pelosa A vn grandisem mangiament Vegni via tutti al banchet
Che
’l se cos vn gras porchet Con do pegor, e vn agne
sposo Zan Frogniocola Gnigniocola Frogniocola Toca la man alla sposa
Che
’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Che ’l se faz
iocola Toca la man alla sposa Che ’l fa allegrezza tutta Val pelosa.
Che
’l se fazza ades un bal E che ’l balla in sem el
balla in sem el spos, Slargheu donne in tra vù E nu homen stem tra nù
Che
nu alter per natura Sem più gros n’ la centura E
sposo Zan Frogniocola Gnigniocola Frogniocola Toca la man alla sposa
Che
’l fa allegrezza tutta Val pelosa. Qui comincia
lcano che avesse presa la Beffana per moglie. Oh che bel matrimonio !
Che
smorfie ! Che dolcezze reciproche ! Che carezze !
se presa la Beffana per moglie. Oh che bel matrimonio ! Che smorfie !
Che
dolcezze reciproche ! Che carezze ! Udire quella
glie. Oh che bel matrimonio ! Che smorfie ! Che dolcezze reciproche !
Che
carezze ! Udire quella brutta vecchiaccia a chiam
. Ecco l’uno e l’altra : ADDIO Questa è per onor mio la sesta volta,
Che
me presento a sta benigna Udienza, L’ultima sera
l mestier con modestia esercitar, E pur zente ghe xe (ne so dir come)
Che
i Attori strapazza, e stampa el nome. Del Poeta
no i ghe fa nè ben, nè mal ; El Pubblico el respetta, el se compiase,
Che
dei discreti el numero preval. Solamente el se la
dei discreti el numero preval. Solamente el se lagna, e ghe despiase,
Che
se diga, che el guasta la moral, E che penne lo s
nto del vostro amor, tanto me fido, Veneziani cortesi, e de bon cuor,
Che
nell’ anno, che vien, spero, e confido Egual pros
uor sieu benedetti. RISPOSTA Ve ringraziemo, Ircana. El complimento
Che
’l vostro Direttor v’ ha messo in boca, Nol fa pa
no diremo gnanca, che ’l sia un’oca ; E ne dispiase solo del lamento,
Che
fe, d’esser offesa, cara gnoca, E sfidemo el Poet
, dove i Attori se strapazza. Circa ai nomi stampai, credeme, Ircana,
Che
se stampa anca el nome al Re de Franza. Domandegh
a Settecento Ducati la ve costa. L’ ha guastà la moral ; volesse Dio,
Che
sto peccà sul toni nol gavesse. Chi l’ ha propost
e ga de bon, che chi le fa, le dona. Diseghe, cara fia, con libertà,
Che
nol se creda un’ omo sovruman, Che l’ è un Poeta
. Diseghe, cara fia, con libertà, Che nol se creda un’ omo sovruman,
Che
l’ è un Poeta a scriver condannà, Come Santo Bago
che, se un pochettin l’aspetterà, L’ancuo no xe compagno del doman ;
Che
quel, che xe stampà, sta tra la zente, Ma cinquan
da un letterato amico, si disse di Filippo IV nella pagina 203 v. 9:
Che
espulse un popolo di Mori &c. Si corregga cos
ina 203 v. 9: Che espulse un popolo di Mori &c. Si corregga così:
Che
non riparò i mali dell’ espulsione di un popolo d
i sogni falsi, per quella di Corno i veri. CORO Sacrosanto Himeneo,
Che
alberghi in Helicona Con la tua casta madre, Là d
loria de gli eccelsi Heroi. Vago Himeneo gentile A l’honestade amico,
Che
il bel uirgineo nodo Al sesso feminile Sciogliend
o pudico, E col tuo giogo antico Vinci gli animi indomiti, e superbi,
Che
in bella coppia vniti Quai diuengono mogli, e qua
risi Hanno in commun ne i tuoi beati Elisi. Questa è la Coppia uera,
Che
quale Hermafrodito Non pur duo Corpi insieme Ma l
vnisce, e intiera Fa vna sostanza, e un seme. O dolce, e bel legame,
Che
fosti in Cielo ordito Per man de l’infinito E sem
ielo ordito Per man de l’infinito E sempiterno Amor, di quello stame,
Che
il viuer volge ancora, Tal che a scioglierti un h
o lieto, e benigno, Polinnio, & Afrodite Talmente insieme annoda,
Che
influsso empio e maligno, O rio voler non goda Ve
i | la primavera dell’anno 1766. Alludesi alla bellissima Commedia “
Che
anche una Donna sa custodir un segreto” Pensier
l Sesso gentil il Volgo insano ; Lo crede infido a custodir l’Arcano,
Che
facile riceve, e presto scioglie. Lo dice avvezzo
drà la Donna della Fè custode, Costante all’uopo, e di valore accesa,
Che
il bel Sesso gentil merita lode. Il 1782 era an
o ch'ella soleva recitare al pubblico l’ultima sera della stagione :
Che
è mai la gioja de'Mortali ?… Un’aura, Che lieviss
tima sera della stagione : Che è mai la gioja de'Mortali ?… Un’aura,
Che
lievissima passa, un fior che spande Le vergini d
ttata da questa, in me rinasce Vigor novello a scior la voce estrema,
Che
spiega a Voi d’un grato core i sensi : Parte di q
no ; povere fasce i primi segni Dier d’infelicitate in quelle parti,
Che
poi seguimmi in ogni estran paese ; Così Penia mi
Semplice mossi il travagliato fianco Da celeste desir l’anima punta ;
Che
ne fu poi disgiunta Da chi togato altrui sembrava
egno ; Di prisca gloria segno. Ben ne dà in mille carte altero grido,
Che
più d’una assaltò famosa penna ; E ben ne fan mag
no Opra d’ Astro maligno Contr’ Ilio, sia influenza, o fato, o sorte,
Che
’l tutto adduce a inevitabil morte Vostra fede no
fin ch’ebbe duo segni il sole Passati (e fur il Sagittario, e l’altro
Che
gli è freddo vicin) parco men vissi. Poco chiede
città si sparse in ogni canto Fama d’allegra allor comparsa schiera,
Che
per gioia d’altrui condotta s’era. Seco m’aggiuns
mutin color candido in nero. L’ Aquinate nol muta ; or tanto basti ;
Che
ben suo detto val più, ch’altri mille ; S’inciela
governo De la terra, e del ciel Motor immoto. Ma, perchè mi sia noto,
Che
’l propor, e ’l dispor varia potenza Variar mi co
i. Monte sostenitor d’antico muro Terminator di nostra Italia antica,
Che
’l vecchio piè d’ Adria ne l’onde bagni Quanto sa
l’onde bagni Quanto sarammi il ricordarmi duro Di te. Felice Ancùro,
Che
potesti salvar da la nemica Voragine, benchè Mida
gabbie di spezzate navi, E de la gente udir le strida e i pianti
Che
percuotono i legni, o ingoian l’onde. E del fig
esmo, ed io con tanta fretta Spingo le incaute mani a dargli aita
Che
il ricopro di sassi e di ruine. Talor veggio ca
prego te se quinci avrai l’uscita Libera, come spero e come credo (
Che
in te non han d’incrudelir cagione) Che vogli de
a, come spero e come credo (Che in te non han d’incrudelir cagione)
Che
vogli de l’afflitta illustre donna Aver cura e
i de l’afflitta illustre donna Aver cura e pietate e quella parte
Che
manca in me d’ufficioso figlio Con suo vantaggi
antaggio amicamente adempi Si ch’ella paga al fin di quelle doti,
Che
maggiori in te splendono e più belle In una par
ppe II. ADDIZIONE IV** Sull’espulsione de’ Mori dalle Spagne.
Che
non riparò i mali dell’espulsione di un immenso p
Ed or più non vi miro! Sentite che martiro. Ohimè!
Che
tristo e solo Sol’io piango il mio duolo,
f. Ninfa, deh! Sii contenta Ridir perché t’affanni,
Che
tacciuto martir troppo tormenta. Daf. Com’esser p
Quando (ria sorte acerba!) Angue crudo e spietato,
Che
celato giacea tra fiori, e l’erba, Punse
ospir mortale, Sì spaventoso ohimè! Sospinse fuore,
Che
quasi avesse l’ale Giunse ogni Nifa al d
re dell’Inferno: «Funeste piaggie, ombrosi, orridi campi,
Che
di stelle o di Sole Non vedeste già mai
n voi sospir: E voi, deh per pietà del mio martiro,
Che
nel misero cor dimora eterno, Rimbombate
eterno, Rimbombate al mio pianto, ombre d’Inferno. Ohimè!
Che
sull’Aurora Giunse all’occaso il Sol deg
so il Sol degli occhi miei, Misero! E sù quell’ora,
Che
scaldarmi a bei raggi mi credei, Morte s
i questi lumi Fatti al tuo dipartir fontan’e fiumi,
Che
fai per entro a’ tenebrosi orrori? Forse
a Quand’altri mi narrò, Che Amor è viperetta,
Che
morde quanto può. Quel dir sì m’ingannò,
Lirindo ed egli me, Ben chiaro allor m’avvidi,
Che
serpe Amor non é.» [27] Più grossolano e meno s
rò vergot, maide negot. Ch’i fa la sinagoga? O!
Che
il diavolo v’affoga. Tich, tach, tich,
Chi ha pulset a sto porton? Fran. Son mi, son mi, messir Aron. Ebrei.
Che
cheusa volit? Che cheusa volit? Franc. A voraff’i
o porton? Fran. Son mi, son mi, messir Aron. Ebrei. Che cheusa volit?
Che
cheusa volit? Franc. A voraff’impegnà sto Brandam
a bess, venit a bess; Adonai; che le è lo Goi,
Che
è venut con lo parachem. Altri Ebrei. L’è Sabbà,
ensatrice o comparativa. Da ciò si ricavano le seguenti deduzioni: I.
Che
niuna produzione dell’ingegno può dilettare compi
ticolare è capace di soddisfare a tutte le facoltà dello spirito. II.
Che
l’essenza di ciò che si chiama bello nella musica
riposta nella felice contemperazione del vario e dell’uniforme. III.
Che
essendo l’idea dell’unità più astratta che sensib
he indi ne risulta, è piuttosto di riflessione che di sentimento. IV.
Che
la cagion formale di esso piacere consiste nella
combinazioni e di raziocini taciti intorno all’oggetto propostole. V.
Che
l’unità in quelle cose che si gustano successivam
ente obbliare il rapporto che hagno gli uni e le altre col tutto. VI.
Che
appunto per l’indicata cagione il volgo degli udi
Dosent an ancora plus Ch’el nasi quel valorus E terribel fier porchet
Che
fu pader del zampet Hom d’ingegno e de dottrina.
l Pentoli Pentoli fe Burati Burati criò ol Bocal Ol Bocal fe l’orinal
Che
fu poi detto Fascina. Bona sera o Bertolina. Ol F
rus fe Rocca e Fus E de Fus naq Zan Pestel Zan Pestel hauea un fradel
Che
si chiama Zan Farina. Bona sera o Bertolina. Zan
zza Zan Bagozza fe Guzana E Guzana Zan carozza Zan carozza fe catozza
Che
fe poi quel Zan Caualla Che morì dentro una stall
zza fe catozza Che fe poi quel Zan Caualla Che morì dentro una stalla
Che
pelaua una galina. Bona sera o Bertolina. Zan cau
ba rada Zan Douigh Zan Douigh fe Barba righ Barba righ fe la quintana
Che
vendeua la sua lana A i fachi de voltolina. Bona
n Braghetta Che cagand mai non si netta Zan Braghetta eb quattro fioi
Che
volend robbà i fasoi Fu impicat una mattina. Bona
rz naq la Pedrina E dell’ultim Zan Tripu Zan Tripu fe un gran poltrun
Che
si chiamaua Zan Pedral Che mori di carneual Che’l
Una troja, e un porchet Una piegora, e un multu Non è par al tu zanul
Che
ti vol ben cara manina. Bona sera o Bertolina. Pe
sera o Bertolina. Perchè vegh che tro al bordel Tut ol me rasonament
Che
t’e ti che un mat ceruel Com s’è vist in tra la g
lag dunq alla tognuola Un bel caspi de fenoch E seg lag la grattarola
Che
la possa fa di gnioch Et puo lag a Zan Batochio M
possa fa di gnioch Et puo lag a Zan Batochio Me fradel quella bajada
Che
s’adroua a fa la jada E puo lag a te mamina Un be
È pur mercè. Deh sperar ci fate almeno Chiaro il Sol, copiosa l’onda,
Che
allor sì la pianta abonda Più feconda Che non è.
aro il Sol, copiosa l’onda, Che allor sì la pianta abonda Più feconda
Che
non è. Facevan parte della compagnia quasi tutti
li la commedia si presentò e il poeta a cui per loro ordine si lesse.
Che
se Cecilio si converte in Acilio, il quale era ne
enga? Ah in mezzo al cuore Impresse io porto le preghiere estreme
Che
per Gliceria Criside mi porse. Presso a morir m
inconveniente nè anche sfuggito da’ mentovati codici della Vaticana.
Che
se Geta cercando Antifone il vede venire sì oppor
mentre sen tornava a casa. Ora quivi sedendo, ecco ad un tratto,
Che
in noi si abbatte un giovan che piangeva. Abbia
a dirimpetto, e niuno amico Aveva, o conoscente, o di suo sangue,
Che
desse mano al funerale, in fuora Di una sol vec
resta a pensar più che un momento. Il padron m’è a ridosso. Ant.
Che
ha costui? Get. Quando il saprà, come farò a ca
l mio? Get. Ci avete colto, Ant. Son morto. Fed. Eh via. Ant.
Che
dovrò far? Fed. Che dici? Get. Ho veduto suo
colto, Ant. Son morto. Fed. Eh via. Ant. Che dovrò far? Fed.
Che
dici? Get. Ho veduto suo padre, vostro zio. An
egge, la Sentenza v’obbligò. Avete inteso? Ma chi è quel vecchio,
Che
veggo là nel fondo della piazza? Ant. E’ desso?
itto. Io leverogli il ruzzo. Poter del mondo! e Demifon sostiene,
Che
questa Fania non è sua parente? Sostiene, che c
affitto. E quel buon vecchio A me più e più volte ha raccontato,
Che
questo suo parente a lui voltate Avea le spalle
miglior non ho veduto. Get. Vedi bel paragon di te e di lui. For.
Che
ti venga la rabbia. E s’io per tale Tenuto non
Dem. Bada a te. Get. Costui non ha fatto altro in vostra assenza
Che
affibbiarvi tutt’oggi delle ingiurie, Da voi no
ma vi domando in grazia, Quel giovine, se pur non v’è d’incomodo,
Che
mi diate risposta, e mi spieghiate Chi è quel v
oto a me? For. Di certo. Dem. Io vi dico di no. Voi, che volete
Che
mi sia noto, fate che mi torni Alla memoria. F
, fate che mi torni Alla memoria. For. Eh via. Com’ è possibile
Che
quel vostro cugin non conosceste? Dem. Voi mi f
gna! Ah s’egli avesse Lasciato mai qualche migliar di scudi. Dem.
Che
ti colga il malanno. For. Allor sareste Primo
a II dell’Eunuco ha da ricevere la spiegazione di due volte in un dì?
Che
che sia però di questo, dobbiamo osservare che Te
asi, sempre inculcando di leggersi i versi stessi di Terenzio: Fed.
Che
farò dunque? Non vi andrò? Nemmeno Or che di su
a lei, te stesso abborri, Tu sei perduto. Si avvedrà che schiavo,
Che
in lacci sei, che ti dibatti invano, E del suo
tai cose instabili con ferma Norma regger vorrai, sarà lo stesso
Che
volere impazzir colla ragione. E quel che irato
no In fede mia ammorzerà repente Solo una insidiosa lagrimuccia
Che
, dopo lungo strofinarsi d’occhi, In essi a sten
empesta de’ poderi nostri Ecco fuori sen vien, che i dolci frutti
Che
noi coglier dobbiam, via se ne porta. Della bel
edria; ma infocata, vivida, impetuosa è quella del giovinetto Cherea.
Che
maestrevole varietà nel maneggiare un medesimo af
simo volto! In questo punto Cancello dal mio cuor tutte le donne,
Che
mi fan noja i visi del paese. Leggansi in ques
ar l’interna mia allegrezza O Giove, adesso è il tempo certamente
Che
soffro in pace, se mi fai morire, Acciochè a lu
contamini questo mio piacere. Ma vorrei pure abbattermi in taluno
Che
curioso mi venisse appresso, E mi ammazzasse co
sto mio, e a me si aspetta Lo stare attento, onde non vadan male:
Che
tanto a noi si ascriverebbe a colpa Una tal neg
e non far, che avete detto. Però nel modo stesso a’ miei conservi
Che
al figlio tu comandi, io pur comando. Questo è
to han poco quest’altro; Quello è squisito, raro: un’ altra volta
Che
tu lo debba cuocer, ti rammenta Di non mutare i
ed anco il tuo figliuolo, Per quel che ti appartenne. Ti credevi,
Che
a te, dormendo colla pancia all’aria, Dovessero
a casa, che battè la porta Dromone, ed esce fuor donna attempata,
Che
non sì tosto l’uscio aperse, ch’entro Dromon pa
per bruno della vecchia, Senza oro intorno, come si ornan quelle,
Che
si ornan per se sole, e non per gli altri; Nè c
uoi Balletti diversi. Questa è la saggia Eularia, e questa è quella
Che
gli affetti del Ren, faconda impera, Che gli Orac
a Eularia, e questa è quella Che gli affetti del Ren, faconda impera,
Che
gli Oracoli espon, qualhor favella, Franca, Egit
Allor che al Campo di forbito acciaro Splende invitta la sua virtù….
Che
bel veder le delicate dita, Quando per fulminar p
Quando apparve in sonnio Il fratello al fratello in forma e in abito
Che
s’era dimostrato sul proscenio Nostro più volte a
al governo, gli sconcerti privati. Un Ferrarese discolpa i Rettori:
Che
san di questo li Rettori? Credi tu Che intend
arese discolpa i Rettori: Che san di questo li Rettori? Credi tu
Che
intendano ogni cosa? E Lizio risponde: …… Anzi
se non dove guadagno veggano, E l’orecchio più aperto aver dovrebbono
Che
le taverne gli uscii le domeniche. E quì si avve
Wycherley in Inghilterra. Il nostro insigne poeta così ne parla: ……
Che
fuor che titoli E vanti e fumi, ostentazioni e fa
O riavere, o morire.Non correre In tanta fretta, Erofilo; ricordati
Che
noi siamo in pericolo di perdere La cassa; attend
quella, e poi. Er. La cassa; attendi a quella, e poi.Che attendere,
Che
cassa? Più m’importa la mia Eulalia, Che quanta r
quella, e poi.Che attendere, Che cassa? Più m’importa la mia Eulalia,
Che
quanta roba è al mondo. Ove ti pensi tu, Ch’abbia
n, veduto andarvi?Oh bestia Come si può veder, se va invisibile? Tem.
Che
altro sa far? Cint. Che altro sa far?De le donne
ia Come si può veder, se va invisibile? Tem. Che altro sa far? Cint.
Che
altro sa far?De le donne e degli uomini Sa trasfo
Ch’un divien potestate, commissario, Notajo, pagator degli stipendii,
Che
li costumi umani lascia, e prendeli O di lupo, o
sati: … Ma in quali case essere Sentite donne voi ch’abbiano grazia,
Che
tutto il dì non vi vadano i giovani, Essendo o no
imista, medico, astrolago e mago, sapendo di tali cose quello stesso
Che
sa l’asino e ’l bue di sonar gli organi. Aggiugn
Faz. Comparazion, di grandine o di fulmine. Ah che la cassa recano
Che
hai detto! Tem. Che hai detto!Ov’è? Faz. Che ha
di grandine o di fulmine. Ah che la cassa recano Che hai detto! Tem.
Che
hai detto!Ov’è? Faz. Che hai detto! Ov’è?Vieni o
Ah che la cassa recano Che hai detto! Tem. Che hai detto!Ov’è? Faz.
Che
hai detto! Ov’è?Vieni ove sono e vedila. Tem. Chi
. Lascia far dunque a me.Che vuoi far? Tem. Lascia far dunque a me.
Che
vuoi far? Eccola. Faz. Che di tu? Ma con chi par
e vuoi far? Tem. Lascia far dunque a me. Che vuoi far? Eccola. Faz.
Che
di tu? Ma con chi parlo io? Ove diavolo Corre cos
a…O Fazio Gran pietà! Faz. Gran pietà!Che pietade? Tem. Gran pietà!
Che
pietade? O caso orribile! Non m’ho potuto ritene
accorron tutti.O Dio! Tem. V’accorron tutti. O Dio!Non posso credere
Che
il trovi vivo. Nibio parte precipitosamente. Tem
trà commutare in qualche opera pia, non essendovi obbligo sì grande,
Che
non si possa scior con l’elemosine. Trovasi in q
dir la verità, che conoscendosi Bugiardo? e meglio le parole vengono
Che
si partan dal cuor che quella ch’escano Sol dalla
, per l’altro verso; più basso… Oh oh, or muori a posta tua. Oh bene.
Che
cosa è a far co’ savii! Chiavria mai imparato a m
o mi lascerei scorticare. Nic. La cosa va bene. Pirro stà nella fede.
Che
hai tu? Con chi combatti tu, Pirro? Pir. Combatto
atti tu, Pirro? Pir. Combatto ora con chi voi combattete sempre. Nic.
Che
dice ella? che vuole ella? Pir. Pregami che io no
che vuole ella? Pir. Pregami che io non tolga Clizia per donna. Nic.
Che
l’hai tu detto? Pir. Che io mi lascerei prima amm
gami che io non tolga Clizia per donna. Nic. Che l’hai tu detto? Pir.
Che
io mi lascerei prima ammazzare che la rifiutassi.
la vostra donna e il vostro figliuolo e tutti gli altri di casa. Nic.
Che
importa a te? Stà ben con Cristo, e fatti beffe d
nulla faremo di perfetto, se dietro ai di lei vestigii non andremo:
Che
come uno scultore, un dipintore Non potrà mai dip
la loro casa. Accorro, egli dice, ai gridi di Fulvio, e gli domando,
Che
avete? che vi duol, padron mio caro? Su su (disse
suo lume mi toglieva il sonno, Sento un subito strepito, il maggiore
Che
mai sentissi alla mia vita, e veggo L’uscio che s
Gis. Che Giulietta, bestia? Sat. Oh padrone, che ho io veduto! Gis.
Che
hai spiritato? Sat. Io ho veduta, io ho veduta la
e volte discopre errori del Manso sulle cose che riguardano Torquato!
Che
sia poi piuttosto da riferirsi tal favola al Tass
to e di gusto che neppure di una sola possa sostenersi la lettura a?
Che
se egli seppe soltanto per tradizione che esistev
dare idea del teatro di Atene sulle rappresentazioni de’ Neurospasti?
Che
, se per dare a conoscere il teatro de’ Francesi,
enir a rendere I miei conti di villa a Simone, il qual sempre dubita.
Che
tutti i fattor ch’hanno le sue faccende in man il
ndo apparve in sonnio Il fratello al fratello in forma e in abito
Che
s’era dimostrato sul proscenio Nostro più volte
l governo, gli sconcerti privati. Un Ferrarese discolpa i Rettori:
Che
san di questo li rettori? credi tu Che intendan
arese discolpa i Rettori: Che san di questo li rettori? credi tu
Che
intendano ogni cosa? E Lizio risponde: . . .
n dove guadagno veggano; E l’orecchie più aperte aver dovrebbono,
Che
le taverne gli uscj le domeniche. E quì si avv
rley in Inghilterra. Il nostro insigne poeta così ne parla: . . . .
Che
fuor che titoli E vanti e fumi, ostentazioni e
o morire. Volp. Non correre In tanta fretta, Erofilo: ricordati
Che
noi siamo in pericolo di perdere La cassa; atte
o in pericolo di perdere La cassa; attendi a quella, e poi. Erof.
Che
attendere? Che cassa? Più m’importa la mia Eula
perdere La cassa; attendi a quella, e poi. Erof. Che attendere?
Che
cassa? Più m’importa la mia Eulalia, Che quanta
. Erof. Che attendere? Che cassa? Più m’importa la mia Eulalia,
Che
quanta roba è al mondo. Ove ti pensi tu, Ch’abb
rvi? Cint. Oh bestia, Come si può veder, se va invisibile? Tem.
Che
altro sa far? Cint. De le donne e degli uomini
n divien podestate, commissario, Notajo, pagador degli stipendii,
Che
li costumi umani lascia, e prendeli O di lupo,
. . Ma in quali case essere Sentite donne voi ch’abbiano grazia,
Che
tutto il dì non vi vadano i giovani, Essendo o
ista, medico, astrologo e mago, sapendo di tali cose quello stesso
Che
sa l’asino e ’l bue di sonar gli organi. Aggiu
casa di Massimo si turbano: . . . . Faz. Ah che la cassa arrecano
Che
hai detto! Tem. Ov’è? Faz. Vieni ove sono, e
. Non ci è? Faz. No, dicoti. Tem. Lascia far dunque a me. Faz.
Che
vuoi far? Tem. Eccola. Avvertisci a risponder
oi far? Tem. Eccola. Avvertisci a rispondermi a proposito. Faz.
Che
di tu? Ma con chi parl’ io? Ove diavolo Corre c
Tem. Non ci si può più vivere. Tutta è piena di traditor. Faz.
Che
gridi tu? Tem. E d’assassini. Faz. Chi t’ha o
mo! Faz. Mi par che tu sia ... Tem. O Fazio, Gran pietà! Faz.
Che
pietade? Tem. O caso orribile! Non m’ho potut
ccioli V’accorron tutti. Nib. Oh dio? Tem. Non posso credere,
Che
’l trovi vivo. Nibio parte precipitosamente. Te
à commutare in qualche opera pia, non essendovi obbligo sì grande,
Che
non si possa scior con l’elemosine. Trovasi in
la verità, che conoscendosi Bugiardo? e meglio le parole vengono
Che
si partan dal cuor, che quelle ch’ escano Sol d
’altro verso; più basso . . . . Oh ob, or muori a posta tua. Oh bene.
Che
cosa è a far co’ savj! chi avria mai imparato a m
mi lascerei scorticare. Nic. La cosa va bene. Pirro stà nella fede.
Che
hai tu? Con chi combatti tu, Pirro? Pirr. Comba
tu, Pirro? Pirr. Combatto ora con chi voi combattete sempre. Nic.
Che
dice ella? che vuole ella? Pirr. Pregami ch’io
vuole ella? Pirr. Pregami ch’io non tolga Clizia per donna. Nic.
Che
l’hai tu detto? Pirr. Ch’io mi lascerei prima a
ostra donna, e il vostro figliuolo, e tutti gli altri di casa. Nic.
Che
importa a te? Stà ben con Cristo, e fatti beffe d
hè il più delle volte è temeraria La gelosia che vi presenta cose
Che
’n effetto non sono; e non è doglia Nè miseria
ulla faremo di perfetto, se dietro a i di lei vestigj non andremo:
Che
come uno scultore, un dipintore Non potrà mai d
loro casa. Accorro, egli dice, a i gridi di Fulvio, e gli domando,
Che
avete? che vi duol, padron mio caro? Su su (dis
casa, Nè mai più porvi alla mia vita il piede. Voi dovete sognar:
Che
v’è incontrato? Nol posso dire, egli mi rispon
lume mi toglieva il sonno, Sento un subito strepito, il maggiore
Che
mai sentissi alla mia vita, e veggo L’uscio che
Che Giulietta, bestia? Sat. Oh padrone, che ho io veduto! Gisip.
Che
hai spiritato? Sat. Io ho veduta, io ho veduta
quante volte discopre errori del Manso intorno alle cose di Torquato!
Che
sia poi piuttosto da riferirsi tal favola al Tass
o e di gusto che neppure di una sola possa sostenersi la lettura 128?
Che
se egli seppe solo per tradizione che vi fossero
r a rendere I miei conti di villa a Simone, il qual sempre dubita
Che
tutti i fattor ch’hanno le sue faccende in man il
Diotti, lo scritturò come primo amoroso per la quareresima del 1878.
Che
cosa divenisse il Diotti in pochissimo tempo, tut
ì ? Rammento i tuoi primi passi nell’arte, nell’ ’80 ! Quante ansie !
Che
dolorosi dubbi (effetto di modestia innata) ti to
media si presentò e il poeta a cui per ordine di essi Edili si lesse.
Che
se Cecilio si converte in Acilio, il quale era ne
, io questo so, la poverina, Panfilo, che di lei tu ti sovvenga. Pan.
Che
io di lei mi sovvenga? Ah in mezzo al cuore Impre
sovvenga? Ah in mezzo al cuore Impresse io porto le preghiere estreme
Che
per Gliceria Criside mi porse. Presso a morir mi
recipere , inconveniente nè anche sfuggito ne’ codici della Vaticana.
Che
se Geta cercando Antifone il vede venire sì oppor
ttar, mentre sen tornava a casa. Ora quivi sedendo, ecco ad un tratto
Che
in noi si abbatte un giovan che piangeva. Abbiam
essa dirimpetto, e niuno amico Aveva, o conoscente, o di suo sangue,
Che
desse mano al funerale, in fuora Di una sol vecch
via. Ant. Son morto. Eh via.Che dovrò far? Fed. Son morto. Eh via.
Che
dovrò far?Che dici? Get. Ho veduto suo padre, vos
La Legge, la Sentenza v’obbligò. Avete inteso? Ma chi è quel vecchio,
Che
veggo là nel fondo della piazza? Ant. È desso? No
e: zitto. Io leverogli il ruzzo. Poter del mondo! E Demifon sostiene,
Che
questa Fannia non è sua parente? Sostiene che cos
e in affitto. E quel buon vecchio A me più e più volte ha raccontato,
Che
questo suo parente a lui voltate Avea le spalle.
il miglior non ho veduto. Get. Vedi bel paragon di te e di lui. For.
Che
ti venga la rabbia. E s’io per tale Tenuto non l’
iama? Oh!…Bada a te. Get. Costui non ha fatto altro in vostra assenza
Che
affibbiarvi tutt’oggidelle ingiurie Da voi non me
prima vi domando in grazia, Quel giovine, se pur non v’è d’incomodo,
Che
mi diate risposta, e mi spieghiate Chi è quel vos
osse noto. Noto a me?Di certo. Dem. Io vi dico di no. Voi, che volete
Che
mi sia noto, fate che mi torni Alla memoria. For.
che mi torni Alla memoria. For. Alla memoria.Eh via. Com’è possibile
Che
quel vostro cugin non conosceste? Dem. Voi mi fat
ergogna! Ah s’egli avesse Lasciato mai qualche migliar di scudi. Dem.
Che
ti colga il malanno. For. Che ti colga il malann
ato mai qualche migliar di scudi. Dem. Che ti colga il malanno. For.
Che
ti colga il malanno.Allor saresti Primo a dir su
l’Eunuco ha da ricevere l’insolita spiegazione di due volte in un di?
Che
che sia però di questo, dobbiamo osservare che Te
iesi, sempre inculcando di leggersi i versi stessi di Terenzio: Fed.
Che
farò dunque? Non vi andrò? Nemmeno Or che di suo
dio a lei, te stesso abberri, Tu sei perduto. Si aviedrà che schiavo,
Che
in lacci sei, che ti dibatti invano, E del suo fa
Tu se tai cose instabili conferma Norma regger vorrai, sarà lo stesso
Che
volere impazzir colla ragione. E quel che irato o
disdegno In fede mia ammorzerà repente Solo una insidiosa lagrimuccia
Che
dopo lungo strofinarsi d’occhi, In essi a stento
la tempesta de’ poderi nostri Ecco fuori sen vien, che i dolci frutti
Che
noi coglier dobbiam, via se ne porta. Della bell
edria; ma infocata, vivida, impetuosa è quella del giovinetto Cherea.
Che
maestrevole varietà nel maneggiare un medesimo af
lissimo volto! In questo punto. Cancello dal mio cuor tutte le donne,
Che
mi fan noja i visi del paese. Leggansi in quest’
fogar l’interna mia allegrezza. O Giove, adesso è il tempo certamente
Che
soffro in pace, se mi fai morire, Acciochè a lung
Non contamini questo mio piacere. Ma vorrei pure abbattermi in taluno
Che
curioso mi venisse appresso, E mi animazzasse con
a gusto mio, e a me si aspetta Lo stare attento, onde non vadan male;
Che
tanto a noi si ascriverebbe a colpa Una tal negli
e cose non far che avete detto. Però nel modo stesso a’ miei conservi
Che
al figlio tu comandi, io pur comando. Questo è tr
lavato han poco quest’altro; Quello è squisito, raro: un’ altra volta
Che
tu lo debba cuocer, ti rammenta Di non mutare int
o, ed anche il tuo figliuolo, Per quel che ti appartiene. Ti credevi,
Che
a te, dormendo colla pancia all’aria, Dovessero g
a sua casa, che batte la porta Dromone, cd esce fuor donna attempata,
Che
non sì tosto l’uscio aperse, ch’entro Dromon pass
iò per bruno della vecchia; Senza oro intorno, come si ornan quelle,
Che
si ornan per se sole, e non per gli altri; Nè cop
rdinando, le consacro a voi, e in voi più bello il fasto lor riluce.
Che
se in queste costanza ha i pregi suoi, son vostri
ilia, or che più vuoi ? Romolo. Romolo, or che più brami ? Ersilia.
Che
più speri, alma mia. Romolo. Che più paventi, o
omolo, or che più brami ? Ersilia. Che più speri, alma mia. Romolo.
Che
più paventi, o core. a 2. Fra catene d’amore. R
di questa scena lagrimevole: Sof. A che piangete? Non sapete ancora
Che
ciò che nasce a morte si destina? Cor. Ahimè! che
ce a morte si destina? Cor. Ahimè! che questa è pur troppo per tempo;
Che
ancor non siete nel vigesimo anno! Sof. Il bene e
nel vigesimo anno! Sof. Il bene esser non può troppo per tempo. Erm.
Che
duro bene è quel che ci distrugge! Sof. Accostate
Giace nel fondo di quest’alta torre In parte sì solinga e sì risposta
Che
non vi giunge mai raggio di sole, Un luogo destin
he non vi giunge mai raggio di sole, Un luogo destinato a’ sacrifici,
Che
soglion farsi da’ re nostri all’ombre, A Proserpi
sta del feciale nell’atto I, Fattor degli astri larghi e degli avari
Che
nell’empiree logge affiggi il trono Del volubil c
ti; e quest’altra del II: Gli abbracciamenti e i baci sono i frutti
Che
le viscere, il cor, gli spirti e l’alma Colgono c
e però vuoi Piuttosto al collo del tuo corpo un laccio,
Che
la corda a la gola del tuo nome. Ma in generale
fatto il furioso dunque? E Publio, Estinte quelle lagrime insolenti
Che
aveano invidia a la Romana gloria ; risposta sub
mi tempi eroici degli Ercoli, de’ Tesei, e degli Achilli puntigliosi.
Che
se in vece di un Edipo che per timore di un oraco
, quid habet Torrismundus? e che pregio ha mai codesto Torrismondo?
Che
pregio, egli dice? Ecco quello che a me sembra ch
: … Oimè! giammai non chiudo Queste luci già stanche in breve sonno,
Che
a me forme di orrore e di spavento, Il sogno non
forme di orrore e di spavento, Il sogno non presenti, ed or mi sembra
Che
dal fianco mi sia rapito a forza Il caro sposo, e
estra, e m’avvicino al fianco, Ei trema, e tinge di pallore il volto,
Che
sembra (onde mi turba e mi sgomenta) Pallidezza d
et amo ancor? ancor sospiro? Lacrimo ancor? non è vergogna il pianto?
Che
fan questi sospir? timida mano, Timidissimo cor c
sangue, onde le disse, Alvida, Alvida, anima mia, che odo, ahi lasso!
Che
veggio? ahi qual pensiero, ahi qual inganno! Qual
ultimi baci; al vostro sposo Gli altri pregata di serbar vi piaccia,
Che
non sarà mortal sì duro colpo. Ma invan sperò, pe
ha da coprire Astianatte: Fia meglio trarre il sangue dal mio core,
Che
sendo il sangue suo conforme al mio, La fraude ne
omaca atterrita esclama subito, Oimè! che religion crudele è questa?
Che
gran male hai tu detto in poche voci! e poi Ah
h’io ti trovi tutta lieta e culta, Ch’oggi sposa sarai di tal marito,
Che
a me grado ne avrai che tel destino. Prevede Ime
on discopra in ciò cosa diversa, Non pur contraria, al desiderio mio,
Che
a Dirce, a lei, a Nino istesso, a quanti Colpa n’
vranno, io mostrerò che importi Il macchinar contro il voler di donna
Che
possa quanto vuol. Preparata con tal maestria s
egni alle altrui figlie in dote. Oltre di ciò facea ridendo un attoa
Che
la regina il fa sempre che ride. Nè il vidi mai c
er parlarne assai poco ne intendi, Non hanno sovra i principi potere,
Che
mal si converria, s’essi le fanno, Ch’essi all’op
questa sola ogni gran re s’inchina. Ella comanda che colui prevaglia,
Che
di genti, di forza, e di consiglio, Di stato e di
, di forza, e di consiglio, Di stato e di ricchezze gli altri avanzi.
Che
mal si converria che un uom sì degnon Obedisse a
e, nell’aprir la bocca ai detti, Fece costui col labro un cotal atto,
Che
il mio consorte ritornommi in mente. a. Vedi l
l la terra dal sol, virtute apprendo involandomi teco al tempo edace.
Che
se Florinda tua su ricche piume innalzi al Cielo,
huom saggio dolor partendo apporte ? Và pur honor de l’Amorosa scola
Che
ciascun t’ oda, è ’l tuo ualor ti sia Contr’ à co
i et dolci sguardi Acutissimi dardi ; Ma uolto nel mirar tanto soave,
Che
tal nel suo bel regno Amor non haue. Quel sì preg
immi qual sì bel arco, Anzi amoroso artiglio, Ponesti al nero ciglio,
Che
prende l’alme e i cori in mezzo al uarco ? Ove pr
ell’ immensa del Ciel stellata mole Vedesi lampeggiar la Dea d’Amore.
Che
questa altera Diua emula al sole Vnisce a’ raggi,
giardini Di virtude, e d’Amore. Ah foss’ io d’ eloquenza agricoltore
Che
del tuo sole al raggio Havrei perpetuo maggio, An
MONTAN sublime, e saggio Non disdegnar d’un picciol fior l’homaggio ;
Che
forse di Parnaso a’ i colli aprici Produrà nel su
eterni Faccian nell’alma mia dolce concento ? Pur è uer, e lo sento,
Che
mi rubasti il core : E gli diè la tua forma, il f
n sì soaui e dolci note E fra rubini ardenti Sciogli musici accenti ;
Che
’l Cielo pareggiarli anche non puote, Ma non stup
uere le due Virginie : io ritengo più probabile la seconda ipotesi. —
Che
anche la Rotari fosse attrice valente sappiamo da
può darsi, non è vero : o saranno mie copie, o reciteranno male. Ah !
Che
forza di argomentare ! che testa da foro ! Era gr
l’ altro ; cosi aveva il comodo di star sempre vicino alla sua Bella.
Che
bel vedere in Casa uniti que' due celebri Persona
questa scena lagrimevole: Sof. A che piangete? non sapete ancora
Che
ciò che nasce a morte si destina? Cor. Ahimè! c
morte si destina? Cor. Ahimè! che questa è pur troppo per tempo,
Che
ancor non siete nel vigesimo anno Sof. Il bene
l vigesimo anno Sof. Il bene esser non può troppo per tempo. Erm.
Che
duro bene è quel che ci distrugge! Sof. Accosta
ce nel fondo di quest’alta torre In parte si solinga e si riposta
Che
non vi giunge mai raggio di sole, Un luogo dest
on vi giunge mai raggio di sole, Un luogo destinato a’ sacrifici,
Che
soglion farsi da’ re nostri all’ombre, A Proser
el feciale nell’atto I, Fattor degli astri larghi e degli avari,
Che
nell’empiree logge affiggi il trono Del volubil
e quest’altra del II, Gli abbracciamenti e i baci sono i frutti
Che
le viscere, il cor, gli spirti e l’ alma Colgon
. . . . . e però vuoi Piuttosto al collo del tuo corpo un laccio,
Che
la corda a la gola del tuo nome. Ma in general
il furioso dunque? E Publio, Estinte quelle lagrime insolenti
Che
aveano invidia a la Romana gloria, risposta su
imi tempi eroici degli Ercoli, de’ Tesei e degli Achilli puntigliosi.
Che
se, in vece di un Edipo che per timore di un orac
le, quid habet Torrismundus? e che pregio ha mai cotesto Torrismondo.
Che
pregio egli dice? Ecco quello che a me sembra che
Oimè! giammai non chiudo Queste luci già stanche in breve sonno,
Che
a me forme d’orrore e di spavento Il sogno non
rme d’orrore e di spavento Il sogno non presenti: ed or mi sembra
Che
dal fianco mi sia rapito a forza Il caro sposo,
a, e m’avvicino al flanco; Ei trema, e tinge di pallore il volto,
Che
sembra (onde mi turba e mi sgomenta) Pallidezza
mo ancor? ancor sospiro? Lacrimo ancor? non è vergogna il pianto?
Che
fan questi sospir? timida mano, Timidissimo cor
ue, onde le disse, Alvida, Alvida, anima mia, che odo, ahi lasso!
Che
veggio? ahi qual pensiero, ahi qual inganno, Qu
imi baci; al vostro sposo Gli altri pregata di serbar vi piaccia,
Che
non sarà mortal sì duro colpo. Ma invan sperò,
da coprire Astianatte: Fia meglio trarre il sangue dal mio core,
Che
sendo il sangue suo conforme al mio, La fraude
a atterrita esclama subito, Oimè! che religion crudele è questa?
Che
gran male hai tu detto in poche voci; e poi
ti trovi tutta lieta e culta, Ch’oggi sposa sarai di tal marito,
Che
a me grado n’avrai che tel destino. Prevede Im
discopra in ciò cosa diversa, Non pur contraria al desiderio mio;
Che
a Dirce, a lei, a Nino istesso, a quanti Colpa
no, io mostrerò che importi Il macchinar contro il voler di donna
Che
possa quanto vuol. Preparata con tal maestria
alle altrui figlie in dote. Oltra di ciò facea ridendo un atto 99,
Che
la regina il fa sempre che ride: Nè il vidi mai
arlarne assai poco ne intendi, Non hanno sovra i principi potere,
Che
mal si converria, s’essi le fanno, Ch’essi all’
sta sola ogni gran re s’inchina. Ella comanda che colui prevaglia
Che
di genti, di forza, e di consiglio, Di stato e
forza, e di consiglio, Di stato e di ricchezze gli altri avanzi.
Che
mal si converria che un uom sì degno Obedisse a
ll’aprir la bocca ai detti, Fece costui col labbro un cotal atto,
Che
’l mio consorte ritornommi in mente. 100. T
ttina subito da modena questo Nobile cum mali pensieri uerso Ottauio,
Che
è quanto e sucesso sin’hora e ui sia di nouo, e f
annesse littere uenute di venetia e portate dall’ordinario di milano,
Che
sarà il fine col fargli hum.ª et osseq.ma riueren
bbastanza bene : fa il suo carattere in modo da non si poter meglio. (
Che
cosa non può la consuetudine). » Nel 1754, andand
mbato del Teatro de' Fiorentini. Aurelio !… Comico insigne !… 1630 !…
Che
finalmente si possa identificare in questo Testa
questo genere, perché l’imitazione della natura diverrà più perfetta.
Che
se alcun m’opponesse che i vantaggi di sopra indi
lla leggerezza sua solita nel giudicare non ebbe difficoltà di dire: «
Che
è una lingua affatto giochevole, che altro non in
he molti di quelli ch’ei nomina non si trovano frale parole toscane: «
Che
le continue terminazioni in vocale fanno una musi
principali bellezze della musica italiana nascono appunto da queste: «
Che
la lingua italiana non può esprimere la natura, e
non può dare alle cose l’aria, e vaghezza lor propria, e convenevole:
Che
le metafore continue, e le allegorie sono le deli
le allegorie sono le delizie degl’Italiani, e degli Spagnuoli ancora:
Che
le loro lingue portano sempre le cose a qualche e
ancora: Che le loro lingue portano sempre le cose a qualche estremo:
Che
la maggior parte delle parole italiane, e spagnuo
zza, e l’oscurità fossero un vizio delle parole, e non degli autori: «
Che
i Chinesi e quasi tutti i popoli dell’Asia cantan
le sue decisioni coll’applauso di qualche scioperato parigino19? [18]
Che
se alcun volesse filosofando ricercare onde abbia
contro a sì leggiera asserzione, nel quale si proverebbe ad evidenza:
Che
la pronunzia gutturale della nostra lingua si rid
ia, che passeggi orgogliosamente sulla faccia della terra. Me felice!
Che
avrò per compagno nella derisione, siccome lo ho
ale e quale di una donna. Fa la civetta a spese dell’onore ?… Oibò !…
Che
robaccia !… Non la fa punto ? Peggio ancora !… Es
Colombine. M’hanno detto che Vosignoria vuol parlarmi…. ha, ha, ha !
Che
figura graziosa ! Vossignoria mi pare un Dindon à
omediarò quando havrò trovà dei Comedianti per Comediar. Colombine.
Che
personaggio fate ? Arlequin. Fo il personaggio p
nar il sentimento. Come sono questi: «Oh che felici pianti!
Che
amabile martir! Purché si possa dir:
anti Un’alma allor si fa, Un’alma, che non ha
Che
un sol desio.» [4] Dei pieni, rapidi e volubili
e in Sciro: «Se un’alma annodi, Se un core accendi,
Che
non pretendi Tiranno Amor? Vuoi, che al
Si trova un cor. E vuoi, che baci Le sue catene,
Che
sia contento Nel suo dolor. Se un core
l suo dolor. Se un core annodi, Se un’alma accendi,
Che
non pretendi Tiranno Amor?» [5] Non vi
«Lodi al gran Dio, che oppresse Gli empi nemici suoi:
Che
combattè per noi, Che trionfò così. Venn
esse Gli empi nemici suoi: Che combattè per noi,
Che
trionfò così. Venne l’Assiro intorno Col
smarrisce l’umano pensier; L’innocenza è quell’astro divino,
Che
rischiara fra l’ombre il sentier.» [17] Alle vol
ar, da cui Tutte dipendan l’altre? Ach. E ciò dimostra,
Che
v’è Dio; non ch’è solo. Esser non ponno Qu
i sol delle immortali Essenze creatrici; ancor diresti,
Che
i miei Dei non son Dei! Oz. Sì, perché molti. Ach
inte, e se distinte Han confini tra lor. Dir dunque dei
Che
ha confin l’infinito, o non son Dei. Ach. Da ques
dire parlando colla sua cetra. «Quella cetra ah pur tu sei,
Che
addolcì gli affanni miei, Che d’ogni alma
la cetra ah pur tu sei, Che addolcì gli affanni miei,
Che
d’ogni alma a suo talento D’ogni cor la v
il figlio… Ah no: È troppa crudeltà. Eccomi… oh Dei!
Che
fo? Pietà, consiglio. Che barbaro dolor
crudeltà. Eccomi… oh Dei! Che fo? Pietà, consiglio.
Che
barbaro dolor! L’empio dimanda amor:
or: Lo sposo fedeltà, Soccorso il figlio.»100 [28]
Che
quadro energico ed animato per chi ha un cuore se
poi da me col sonno via ten parti. Nè altramente da me ritrosa fuggi
Che
pecorella dechine dal lupo, Cui l’età vecchia i b
à pastorale, qual verità di carattere nei sentimenti del greco poeta!
Che
raffinamento in quelli dell’italiano! Il primo ti
. Per esempio Elisa nel Re Pastore: «Dal dì primiero
Che
ancor bambina io ti mirai, mi parve Amabile, gent
sospiro Interrotto con arte: un tronco accento
Che
abbia sensi diversi: un dolce sguardo,
ento Che abbia sensi diversi: un dolce sguardo,
Che
sembri a tuo mal grado Nel suo furto s
ecchiasti Non dovresti invidiarne. Io giurerei,
Che
fra pochi non sei tenaci ancora Dell’a
pure, che non finisce così tosto. «Am. Attendi. Arg. Ascolta. Megac.
Che
attender? Arist. Che ascoltar? Megac. Non si ritr
così tosto. «Am. Attendi. Arg. Ascolta. Megac. Che attender? Arist.
Che
ascoltar? Megac. Non si ritrova Più
Ingrato! E tanto M’odi dunque, e mi fuggi,
Che
per esserti unita S’io m’affretto a
mpio del mondo orribil Vallo, Per tua gloria maggior vinci poi tanto,
Che
pure hai l’alma al par d’un bel cristallo.
honorarla di farli prouedere di un luoco opportuno a potere recitare.
Che
il tutto riceuera per gratia singularissima. Quam
ozzi, i quali non rappresentavano quelle eleganti Commedie. RISPOSTA.
Che
semplicità del Signorelli! Egli credeva, che i Ro
bella e felice pensata del Lampillas mormori l’istesso senso comune?
Che
lo stile delle otto Commedie senta il sapore usat
Che lo stile delle otto Commedie senta il sapore usato di Cervantes?
Che
importa che si dovrebbe supporre questo Scrittore
tal forfanteria senza ricercare novella delle sue Commedie soppresse?
Che
importa che sopravvivesse un anno a cotale oltrag
questo Poeta per la diritta via, trarrebbesi dietro tutti gli altri.
Che
poi prima di Lope il Teatro Spagnuolo non contass
sque ulla spe ulterioris ad tolerabilem aliquem statum progressionis.
Che
quelli che seguirono questi primi Comici balbuzie
gran preferenza sugli altri tipi. E qui vorrei aprire una parentesi.
Che
il pensiero di quei taluni sia esatto non oserei
imo altrui la fiamma sacra, certo l’Emanuel fu maestro dello Zacconi.
Che
se poi per maestro si volesse intendere colui dal
da lui, metodico per eccellenza, sui diversi modi di estrinsecazione.
Che
vuol dire mai questo circoscrivere l’arte a un ta
ire mai questo circoscrivere l’arte a un tale o tal altro sacerdote ?
Che
in arte vi sia chi impotente a far del suo, cammi
so, È sul labbro il tuo nome. Ecco, a te intorno un dolce alito spira
Che
il bel volto accarezza, E l’alma nostra in fremit
CAPO IV. Teatro Spagnuolo.
Che
influiscano potentemente sull’eloquenza i modelli
Reg. Sì l’onor tuo calpesti? E alla presenza mia svelar non temi
Che
il Conte adori? Bian. Io non credei cotanto O
Cinguetta al pari d’un ben grasso erede. Con grazia tal ragiona,
Che
ad ogni motto una novella appicca, Che sempre è
Con grazia tal ragiona, Che ad ogni motto una novella appicca,
Che
sempre è lunga, e non è giammai buona. Non v’ha
iglia. Di spade si favella? Ei solo se ne intende. Ad ogni lama
Che
non ha impronta, egli un maestro assegna. Cento
cator, bugiardo e stolto, Con un sol vezzo ogni suo neo compensa,
Che
sì sordido ha il cuore e meschinello, Che non d
ogni suo neo compensa, Che sì sordido ha il cuore e meschinello,
Che
non daria quel che tacere è bello. Questa dipi
rò solo in breve, che un soldato Di tua morte recò nuove fallaci,
Che
sospirai, che piansi, Che morir volli . . . Ohd
dato Di tua morte recò nuove fallaci, Che sospirai, che piansi,
Che
morir volli . . . Ohdio! non è più tempo Di ram
a: Di pensar ch’è questa L’ultima volta, oimè, ch’io ti favello,
Che
tu mi vedi . . . addio . . . . Ti amai, lo sai,
r dirlo? infin son moglie. Vanne, tel dissi già, lasciami, parti,
Che
se ti miro più, perdermi posso, E perdermi non
Die: Ben mio . . . Isa: Vanne. Die: Ah tu speri invan, crudele,
Che
tal freddezza e tal contegno io soffra. Isa: Ch
invan, crudele, Che tal freddezza e tal contegno io soffra. Isa:
Che
far poss’ io? Die: Al padre dir ch’io vivo. Is
lui parla Dorotea: Mostro, barbaro, ingrato, ove trascorri? 110
Che
tenti? E a tanto orror giugner potesti Senza te
felice 111 ! Or tu vorrai Darmi in sua man, nè sentirai quel gelo
Che
suol provarsi ancor per chi si abborre? Se amor
n può, ti renda onor geloso. Io pure udii dal labbro tuo talvolta
Che
sposo mio saresti. Ah per sì caro Nome che meri
h non lasciarmi, oimè! Presa in Benamexi In man del Cagnerì 112.
Che
se per non serbar la data fede Fuggir mi vuoi,
mitatori in Francia prima di Moliere ed in Italia nel passato secolo.
Che
se altrettanto non è concesso a tanti e tanti com
er altro frettolosamente sembra assai fredda a fronte dell’originale.
Che
vivacità in Moreto! Che delicato contrasto di un
sembra assai fredda a fronte dell’originale. Che vivacità in Moreto!
Che
delicato contrasto di un orgoglio nutrito sin dal
ito sin dalla fanciullezza, e di un amor nascente nel cuore di Diana!
Che
interesse in tutta la favola progressivamente acc
i colmasti, che quanto si scopre Dalla vicina rupe a quella valle
Che
di alte olive sì folta verdeggia, Tutto a me se
gran mercè, per me si aduna. Nè la ricchezza è la maggior ventura
Che
mi donasti; un placido riposo, Una gioja innoce
ppio mascherato cortigiano. Meno tranquilli i dì fra miei pastori
Che
mi onorano a gara, ed i miei voti A’ cittadini
cader poi con più fatal ruina. Temo l’esempio di robusta quercia
Che
de’ venti al soffiar spesso si spezza, Quando d
a i rari portentosi accenti Tiensi la Notte assai più bella, e parmi
Che
stian su l’ale taciturni i Venti ; E so che Febo
orda, per esempio, l’abate del Nessuno va al Campo di Paolo Ferrari ?
Che
irresistibili effetti di riso in quella misurata,
e si rincorrono, s’incalzano, s’intrecciano con prodigiosa rapidità !
Che
nota elegante, che sciccherìa egli ha saputo mett
rire, ella ne prenderebbe un altro. Io! risponde la regina, Io! . .
Che
al tuo fato io sopravviva e d’altri Sposa io di
tutto è una finzione, un veleno ma finto; oibò! che mal esempio? “Re.
Che
titolo porta questa favola? “Aml. La Trappola. E
lonio, il quale vedendo venire Amlet, si ritira per ascoltare. “Aml.
Che
mi comandate, o Madre? “Reg. Amlet, troppo hai tu
troppa libertà. “Aml. E voi mi domandate con troppa perversità. “Reg.
Che
vuol dir ciò, Amlet? “Aml. E che vuol dir ciò, Ma
in cui ravvisiate il più occulto della vostra coscienza. “Reg. Oimè!
Che
pensi di fare? Vuoi tu ammazzarmi? . . . . Chi mi
“Aml. Oh spiriti celestiali, difendetemi, copritemi colle ali vostre!
Che
vuoi, ombra veneranda? “Reg. Oh Dio! egli è fuor
i dal vero. Egli non conobbe l’arte, e copiò vigorosamente la natura.
Che
tragico incomparabile non diverrebbe chi sapesse
he pare le si mostrasse in una lettera pien di amarezze rispondeva :
Che
benedetto ragazzo che siete !… Se la gente v’atta
chè ero tremante, e avevo paura. – Avevo paura, non ve lo nascondo. –
Che
volete…. io sono ancora impressionabile…. e l’amb
il gran regolatore del sole – che non si sposta – che non mi sposta.
Che
gran silenzio ! Delle cicale – una superba pianta
te ! — E tu la dama ! — Così di baci e sgraffi l’amor vive. L’amore !
Che
scorno a la ragione ! Ma negarlo chi osa, o signo
an, che chiude l’oblio de l’odio e de l’amore insieme. E il futuro ?
Che
rimane a far più alla gloriosa artista ? Ha ella
oggi, che abbiam potuto studiarla nelle sue varie manifestazioni !!..
Che
amorosa sollecitudine nelle concezioni ! Che inge
arie manifestazioni !!.. Che amorosa sollecitudine nelle concezioni !
Che
ingegnosa varietà nelle intonazioni ! !… Quale sa
orme incerte e poco più che fanciullesche nel sentiero delle lettere.
Che
secolo maraviglioso quello che si conosce in Ital
araviglioso quello che si conosce in Italia col nome del Cinquecento!
Che
sfoggio di ricchezze letterarie! Rinacque allora
estra, e m’avvicino al fianco; Ei trema, e tinge di pallore il volto,
Che
sembra (onde mi turba e mi sgomenta) Pallidezza d
ida: …………… Giammai non chiudo Queste luci già stanche in breve sonno
Che
a me forme d’orrore e di spavento Il sogno non pr
e forme d’orrore e di spavento Il sogno non presenti: ed or mi sembra
Che
dal fianco mi sia rapito a forza Il caro sposo, e
e guise di là da’ monti? E che si é scoperto di più a’ giorni nostri?
Che
ci dice di più il signor Mattei? Che la tragedia
coperto di più a’ giorni nostri? Che ci dice di più il signor Mattei?
Che
la tragedia e la commedia greca si cantava? Ma qu
Quando apparve in sonnio Il fratello al fratello in forma e in abito
Che
s’era dimostrato sul proscenio Nostro più volte a
itava un poco più di diligenza dal nuovo maestro di poetica francese.
Che
direbbe M. de Marmontel d’un letterato filosofo e
to rende inverisimili le favole drammatiche». Come risponderemo loro?
Che
le antiche tragedie e commedie altro non erano ch
Rousseau a M. Brossette, parlando Di giudici e pedanti sì scorretti
Che
hanno maggior la foggia, che i becchetti. (Burchi
? O segretario di Corte per tutto quanto concerneva i comici stessi ?
Che
il nome del Bertoldi fosse legato a tutto quanto
sdegnate onorarmi questa sera : Essendo donna io pur conosco a fondo
Che
sia la donna, e come vada il mondo. La donna ha
CAPO I. Teatro Spagnuolo.
Che
influiscano potentemente sull’eloquenza i modelli
sa io son!Sì l’onor tuo calpesti? E alla presenza mia svelar non temi
Che
il conte adori? Bia. Che il conte adori?Io non c
lpesti? E alla presenza mia svelar non temi Che il conte adori? Bia.
Che
il conte adori?Io non credei cotanto Oltraggiar l
ede, Cinguetta al pari d’un ben grasso erede. Con grazia tal ragiona,
Che
ad ogni motto una novella appicca, Che sempre è l
erede. Con grazia tal ragiona, Che ad ogni motto una novella appicca,
Che
sempre è lunga, e non è giammai buona. Non v’ha p
o, ripiglia. Di spade si favella? Ei solo se ne intende. Ad ogni lama
Che
non ha impronta, egli un maestro assegna. Cento c
seccator, bugiardo e stolto, Con un sol vezzo ogni suo neo compensa,
Che
sì sordido ha il cuore e meschinello, Che non dar
ezzo ogni suo neo compensa, Che sì sordido ha il cuore e meschinello,
Che
non daria quel che tacere è bello. Questa dipint
Ti dirò solo in breve, che un soldato A noi recò di te nuove funeste;
Che
sospirai, che piansi, Che morir volli… Oddio! non
un soldato A noi recò di te nuove funeste; Che sospirai, che piansi,
Che
morir volli… Oddio! non è più tempo Di rammentar
è tempo?Di pensar ch’è questa L’ultima volta, oimè, ch’io ti favello,
Che
tu mi vedi.. Addio… Ti amai, lo sai. Partisti…
Isa. Ben mio…Vanne… Die. Ben mio… Vanne…Ah tu speri invan, crudele,
Che
tal freddezza e tal contegno io soffra. Isa. Che
peri invan, crudele, Che tal freddezza e tal contegno io soffra. Isa.
Che
far poss’ io? Die. Che far poss’ io?Al padre dir
tal freddezza e tal contegno io soffra. Isa. Che far poss’ io? Die.
Che
far poss’ io?Al padre dir ch’io vivo. Isa. È vano
pari infelicea ! Or tu vorrai Darmi in sua man, nè sentirai quel gelo
Che
suol provarsi ancor per chi si abborre? Se amor n
r non può, ti renda onor geloso. Io pure udii dal labbro tuo talvolta
Che
sposo mio saresti. Ah per sì caro Nome che merita
r altro frettolosamente, sembra assai fredda a fronte dell’originale.
Che
vivacità in Moreto! Che delicato contrasto di un
sembra assai fredda a fronte dell’originale. Che vivacità in Moreto!
Che
delicato contrasto di un orgoglio nutrito sin dal
ito sin dalla fanciullezza, e di un amor nascente nel cuore di Diana!
Che
interesse in tutta la favola progressivamente acc
Sì mi colmasti, che quanto si scopre Dalla vicina rupe a quella valle
Che
di alte olive sì folta verdeggia, Tutto a me serv
tua gran mercè, per me si aduna. Nè la ricchezza è la maggior ventura
Che
mi donasti; un placido riposo Una gioja innocente
doppio mascherato cortigiano ! Meno tranquilli i dì fra miei pastori
Che
mi onorano a gara, ed i miei voti A’ cittadini on
Per cader poi con più fatal ruina. Temo l’esempio di robusta quercia
Che
de’ venti al soffiar spesso si spezza, Quando deb
tutti siamo a lacrimare astretti, se fingi tu d’inumidire il ciglio.
Che
più ? Tu sai tutte le vie del core, e in noi risv
fine della tragicommedia : Compito, amici, ho alfin l’alto disegno,
Che
formava fedel le vostre glorie. Darà un lustro ma
compagna nell’esiglio. Romeo risolutamente rigetta l’offerta. Adel.
Che
dici? Tu potrai? . . . Rom. Che dici? Tu potrai
utamente rigetta l’offerta. Adel. Che dici? Tu potrai? . . . Rom.
Che
dici? Tu potrai? . . . Posso smentirti. Adel. O
tuoi men foschi Risplendano che i miei . . . . Tu poi, Consalvo,
Che
il ciel m’avea già destinato sposo, E mi ritols
ante d’Anagilda, ed il nemico Di Ramiro e Fernando? Ogni soccorso
Che
m’offra il braccio tuo per me diventæ Onta o ma
orror . . . vedermi al fine Dentro il campo nemico e tra coloro,
Che
han dato morte al padre mio . . . se qualche Co
e’ secentisti, dice, come potrò Scacciar dal sen la deitâ suprema
Che
tempio ed ara nel mio cor possiede, Che vi rice
dal sen la deitâ suprema Che tempio ed ara nel mio cor possiede,
Che
vi riceve l’idolatro incenso. Fa poscia una ind
or ben largo premio ottonni In quella notte (oh sempre cara notte
Che
non cancellerà dall’alma mia O tempo o sorte) i
e il suo ardore, perchè. Non mai si estingue in nobil cor la face
Che
amore accese, e la virtù nutrio. Passi che una
ltimi sguardi. Dimmi Zelinda, Il caro amico nel partir che disse?
Che
mai t’impose? profferì il mio nome? E quì l’aut
la tragedia è un’ azione pubblica, grande, interessante, e nazionale.
Che
pregio sia della tragedia l’esser nazionale, s’in
ne recai, e s’uccide. Leon. Di maraviglia e di terror son pieno!
Che
dirà Sparta? Ans. Che dirà Sparta? I corpi lor
Leon. Di maraviglia e di terror son pieno! Che dirà Sparta? Ans.
Che
dirà Sparta? I corpi lor si denno Alla plehe so
iqua La fiamma mia, nè mai . . . Cin. La fiamma mia, nè mai . . .
Che
parli? iniqua? Ove primiero il genitor tuo stes
la sapesse . . . Ciniro . . . Cin. Se la sapesse . . . Ciniro . . .
Che
ascolto! Mir. Che dico? ahi lassa! non so quel
iro . . . Cin. Se la sapesse . . . Ciniro . . . Che ascolto! Mir.
Che
dico? ahi lassa! non so quel ch’io dica . . Non
men concesso A lei sarà . . . di morire . . . al tuo fianco. Cin.
Che
vuoi tu dirmi? ... Oh qual terribil lampo Da qu
se . . Mir. Da questi accenti! . . . Empia tu forse . . Oh cielo!
Che
diss’io mai? Me misera! . . Ove sono? Ove mi as
Ardeva ella per . . . Ciniro. Cec. Ardeva ella per . . . Ciniro.
Che
ascolto! Oh delitto! Cin. Oh delitto! Deh vie
e ne scongiuro . . . . Ardisci, ardisci, il laccio infame scuoti,
Che
ti fa nullo a’ tuoi stessi occhi, e avvinte Ti
o Cesare ... Ces. Cedi, o Cesare ... Ingrato! ... snaturato! ...
Che
far vuoi dunque? Bru. Che far vuoi dunque? O sa
Cesare ... Ingrato! ... snaturato! ... Che far vuoi dunque? Bru.
Che
far vuoi dunque? O salvar Roma io voglio, O per
icco corredo tragico che possano gl’Italiani additare agli stranieri.
Che
se a chi legge piacesse ancora d’intendere la dif
azzi! quante ragazze! Chi ne avea due, chi tre, alcuni fino a cinque.
Che
concorso, che folla di gente! I padri vanno ad in
cietà, ragni in amore, Studj profondi e varj Di noi naturalisti
Che
siam della natura i segretarj. Errighet. Ma voi
e siam della natura i segretarj. Errighet. Ma voi da questi studj
Che
ricavate poi? Macar. Che ricavate poi? Molto, M
tarj. Errighet. Ma voi da questi studj Che ricavate poi? Macar.
Che
ricavate poi? Molto, Ma dama. Primieramente app
ova fresche. Errigh. E ne’ ragni? Macar. E ne’ ragni? Rifletto,
Che
per essi potrebbe Fiorire un altro ramo di comm
’ha fin del Cavallo Trojano che entra in Troja col manto della pietà.
Che
che sia di ciò si ravvisa in lui uno de’ migliori
A eterni Caratteri di stelle Segnata fu l’union nostra.
Che
roba! dirò valendomi della gentile esclamazione d
partito che le propone. Quando poi egli dice, Così comprendo
Che
a Ricimero ti stringe Consuetudine, affetto,
ompiangendola soggiunse, A qual crudel sorte Ti espone l’orrore
Che
mostri per me! Questa prevenzione fattale in ge
’un ignoto. Conoscimi dunque, dice il cavaliero, sono Adallano. . . .
Che
ne risulta? Un quartetto: scioglimento tragico ed
egli, meglio si riserba ad esprimersi una studiata coltura di essi,
Che
in mille dolci nodi gli avvolgea. E quando pur
Prendi l’effigie Del morto sposo, Parlami . . . accennami,
Che
vuoi da me? La tua di lagrime Bagnata Elvira
Godono fra’ delitti; ed han saputo Formarsi un volto, un core,
Che
non sente pietà, non ha rossore; Queste idee po
inante da se stessa si applaude come una delle soavi amabili tiranne!
Che
roba! direbbe Calsabigi. *. Si avverta che per t
rimane, Eugenio, più a risolvere. Eug. Eugenio, più a risolvere.
Che
dici? E abbandonar mi vuoi? Rach. E abbandona
nque il mio morir? Non mai. Anzi quoi dì che la mia pena interna,
Che
nel sen chiuderò, torre mi debbe, Implorerò dal
uderò, torre mi debbe, Implorerò dal ciel che a lui gli accresca,
Che
fu parte di me . . . che di mia vita Esser sign
lupo che dèvora ; Anzi ’l tuo fedel servo, afflitto Lucido. Lidia.
Che
vuoi da me ? Già te l’ho detto, insipido, che d’a
ninfa ti procacci. Intendimi, nè più sopra di me tua mente fermisi :
Che
più possibil fia gli monti altissimi veloci andar
siffatte scorrettezze. Ma in ogni modo : com’ Ella riempie la scena !
Che
anima ! Che vita ! Il pubblico, il quale, più del
rrettezze. Ma in ogni modo : com’ Ella riempie la scena ! Che anima !
Che
vita ! Il pubblico, il quale, più del godimento i
cento teste, e assaporasse nel conflitto l’ebbrezza della vittoria….
Che
lanci di leonessa ! che ruggiti di tigre ! che gr
sero sulla scena ! Con quale spontaneità si movevan que' personaggi !
Che
lagrime sgorgavano da quegli occhi infiammati ! C
e li anni che non si faranno Comedie li pagarò il cinque per cento :
Che
le spese si farrano nel teatro per benificio de C
alla tortura. B. Alla tortura! A. Alla tortura!Senza dubbio. E parti
Che
a quel modo colui senza delitti Viver potrebbe? I
e presso Menandro così favella: O quanto è sventurato il malaccorto
Che
nulla possedendo a nozze corre, E di figliuoli ca
si consiglia! Egli non pensa Ciò che conviensi, pien del suo disegno
Che
tristi giorni e lunghi guai gli appresta. Ei dal
ndo al dì la madre tua ti espose Con questa legge tu fra noi venisti,
Che
a tuo piacer girar dovesse il mondo: Se tal felic
una piccola scena recitata da lei, assumeva proporzioni gigantesche !
Che
deliziosa macchietta, ad esempio, quella dell’ope
’ giorni tuoi Il più bel giorno è questo. Sangar. A te del pari
Che
a me concesso è il vanto Di apprestar del gran
dì sacro a Cibele Il festivo apparato. Ati. È ver, ma a questo
Che
dividi con me, l’onor tu accoppj D’esser d’un g
Mi manca ogni valore: Per te senza speranza ardo d’amore. Sangar.
Che
? Tu! Ati. Pur troppo è ver. Sangar. M’ami? A
ai la tua sventura. Ati. Ah se ti perdo, ah se a morir son presso
Che
mi resta a temer? Sangar. Perdere è poco L’og
a tanto che la Compagnia dell’ A. V. S. sia in stato di andar fuori.
Che
della grazia Quam Deus etc. Di fuori : All’ Alte
con ogni accurata diligenza invigila alla cura e difesa della città.
Che
razza di vigilanza e di cura avesse delle cittadi
La sera della farsa venne, e a un dato punto Novelli entrò in iscena.
Che
cosa facesse, o dicesse non so ; e nessuno seppe,
saltò su a dire : « Tu farci piangere ? Tu ? Ammattisci, figliuolo ?
Che
! Che ! De'miei non ne buschi ! » E disertò il te
su a dire : « Tu farci piangere ? Tu ? Ammattisci, figliuolo ? Che !
Che
! De'miei non ne buschi ! » E disertò il teatro !
labbro di quel fiero avvalorati I carmi di Cornelio ebbero un suono,
Che
da la corte del maggior Luigi Non fu udito giamma
fa bella del natio suo riso La classica Commedia,16 e a chi l’accento
Che
immortale segnò tragica penna Fa possente suonar
orata ? Ond’è che a noi d’intorno tanta pietà veggiam sì tosto nata ?
Che
mai da'nostri cigli a spremer vale così larga ven
, si ritirò nella sua Bologna, dove morì il 19 febbrajo dell’ '85.
Che
cosa fosse Giuseppe Rodolfi come artista, niuno h
e accoglie gli amorosi omaggi. Ciò vedendo Ofelia dice ad Amlet: Of.
Che
è questo? Aml. Questo è un assassinamento. Of. Al
morire, ella ne prenderebbe un altro. Io? (risponde la regina) Io!…
Che
al tuo fato io sopravviva e d’altri Sposa diventi
Tutto è una finzione, un veleno ma finto; oibo! che mal esempio? Re.
Che
titolo porta questa favola? Aml. La Trappola. È u
uale e vedendo venire Amlet si ritira per ascoltare non veduto. Aml.
Che
mi comandate, o madre? Reg. Amlet troppo hai tu o
n troppa libertà. Aml. E voi mi domandate con troppa perversità. Reg.
Che
vuol dire ciò, Amlet? Aml. E che vuol dire ciò, m
, in cui ravvisiate il più occulto della vostra coscienza. Reg. Oimè!
Che
pensi di fare? Vuoi tu ammazzarmi?… Chi mi ajuta,
Aml. Oh spiriti celestiali, difendetemi! Copritemi colle ali vostre!
Che
vuoi, ombra veneranda? Reg. Oddio! Egli è fuori d
te la natura. Tè questo pennello, La genitrice ritrarrai con essoa
Che
tragico incomparabile non diverrebbe chi sapesse
, che interrompessero con mille buffonerie gli avvenimenti più serii.
Che
bel sentire, per esempio, il seguente vezzosissim
ionfante, E questo coso tondo Sulle re-rene è un pezzo di quel mondo,
Che
regger gli aiutai col vecchio Atlante. Mi fece Na
zza in questa guisa il discorso alle donne: «Donne, coi vostri vezzi
Che
non potete voi? Fabbricate nei crini Labirinti ag
te voi? Fabbricate nei crini Labirinti agli eroi. Solo una lagrimetta
Che
da magiche stille esca di fuore, Fassi un Egeo cr
rimetta Che da magiche stille esca di fuore, Fassi un Egeo cruccioso,
Che
sommerge l’ardir, l’alma e il valore; E il vento
bandona al momento. «Vanne, vanne da me,
Che
se solo consiste il far il grande I
el mondo ma da uomo così famoso potessero venir fuori cotante inedie.
Che
se in questa guisa s’anderà avanti nello studio d
i Lorino con Madama ? Alla cena che fa il di lei marito sul balcone ?
Che
verità si ravvisa nella collocazione di tali pers
te difficoltà a metterlo nel vostro Giornale de’Letterati ? » « Fall.
Che
dite mai, Messer Torchio ! E la buona fede d’un G
i ! Quante ragazze ! Chi ne aveva due, chi tre, alcuni sino a cinque.
Che
concorso, che folla di gente ! I padri vanno ad i
olvi ? Rachele Nulla a me rimane, Eugenio, più a risolvere. Eugenio ?
Che
dici ? E abbandonar mi vuoi ? Rachele Non per un
il mio morir ? Rachele Non mai. Anzi quei dì che la mia pena interna,
Che
nel sen chiuderò torre mi debbe, Implorerò dal ci
n chiuderò torre mi debbe, Implorerò dal ciel che a lui gli accresca,
Che
fu parte di me… che di mia vita Esser signor dove
profferire, e minaccia di trucidare piuttosto il proprio figliuolino.
Che
fate scellerata ? le dice il marchese atterrito,
di loro presso Alessandro. Aristotile propone un mezzo termine, cioè
Che
in bel mezzo dell’elmo il Re si appicchi Tutta ar
a libertà la non mai serva Atene Rossane, Non mai serva ? Efestione,
Che
favole ! Antipatro, Impostori ! Efest. Serva sem
De buoni tutti sempre. Demostene poi dice ad Alessandro, Ti fo noto
Che
a pieni voti ogni di lei Tribù Suo cittadin volen
no, o Pigliatutto, e sculta Ella è in eterno, la tua egregia scelta
Che
di lor mista nasce. Ecco sparite A un tratto l’ O
Trionfi pur, se il debbe, quel che pare Sovra quel ch’è. e Mercurio :
Che
in mio volgar direbbesi, L’impostura trionfi. Ch
edicendo. Agostino rimane, e dice ; Oh fetor de’costumi Italicheschi
Che
giustamente fanci esser l’obrobrio D’Europa tutta
! oh che scritto ! oh che marito ! Ed io qual padre ! Meraviglia fia
Che
in Italia il Divorzio non si adoperi, Se il Matri
uesto teatro il dotto architetto Vincenzo Lamberti(a) mortonel 1789 ?
Che
non compieva gli oggetti essenziali di un teatro,
omigliante, come esisteva per nostro vanto un Aristofane Napoletano ?
Che
che sia di ciò il Socrate tornò poi sulle scene e
n società, ragni in amore, Studii profondi e varii Di noi naturalisti
Che
siam della natura i segretarii. Errighet. Ma voi
e siam della natura i segretarii. Errighet. Ma voi da questi studii
Che
ricavate poi ? Macar. Molto, Madama. Primierament
Distinguon le uova freche. Errighet. E ne’ ragni ? Macar. Rifletto,
Che
per essi potrebbe Fiorire un altro ramo di commer
ui mancò con lutto universale della Virtù, del Sapere e della Poesia.
Che
diremo noi di si raro e felice ingegno che corris
noi di si raro e felice ingegno che corrisponda alla sua grandezza ?
Che
egli era si eccellente che ha ispirato ne’contemp
suo sistema, ed in taluno il partito di torcere dalle sue vestigia ?
Che
gli splendidi suoi difetti stessi, i quali appart
ry (disse lo stesso mordace esgesuita) Metastasio tirò la sua Didone.
Che
cosa fu quest’ Ambigu di cui si cibava il Badini
o dovea crudel mercede. Sesto (L’anima mi trafigge e non sel crede.)
Che
contrasto sommamente interessante fa quell’aspett
e nè più armoniosa, nè più dolce di questa : « Oh che felici pianti,
Che
amabili martir, Pur che si possa dir, Quel core è
. Di due bell’alme amanti Un’ alma allor si fa ; Un’ alma che non ha,
Che
un sol desio. Voltaire parlando della scena 6 d
e Adallano A eterni Caratteri di stelle Segnata fu l’union nostra.
Che
roba, caro Calsabigi ! dirò valendomi della genti
compiangendola dice di più : A qual crudel sorte Ti esp ne l’orrore
Che
mostri per me ! Questa prevenzione fattale in ge
ida di un ignoto. Conoscimi dunque, dice il cavaliere, sono Adallano…
Che
ne risulta ? Fulmini, duelli, sangue ? No, un qua
ingua lo riserbano col gran Toscano ad una studiata coltura di essi,
Che
in mille dolci nodi gli avvolgea. E quando pur t
do E sanguinoso, Prendi l’effigie Del caro sposo, Parlami… accennami,
Che
vuoi da me ? La tua di lagrime Bagnata Elvira, Di
e calma Godono fra’delitti : ed han saputo Formarsi un volto, un core
Che
non sente pietà, non ha rossore. Queste idee pot
nuocere non poteva alla condotta del dramma il tornelo, anzi giovare.
Che
poteva risultare da un duetto di una prima cantan
ra cerca ancor pretesti, e Fatima vuole irritarla contro dell’amante.
Che
mi ha egli fatto? ella ripiglia, e lo giustifica.
i più: forzar ti vo’ ad amarmi. Alzira insino ad or non è vissuta
Che
sventurata per le mie fierezze, Pel maritaggio
de clemence . . . Dieu fit du repentir la vertu des mortels. IV
Che
atrocità! Gli dei che vogliono vendicare la morte
dopo il fatto Le ciel est Jatisfait; la vengeance est comblée.
Che
empio Sacerdote! Qual è maggiore scelleraggine, f
ordarono? Di grazia che altro rappresentano i Cinesi da tanti secoli?
Che
rappresentarono i Greci se non gli evenimenti del
Che rappresentarono i Greci se non gli evenimenti della loro storia?
Che
i Latini stessi nello Scipione di Ennio, nelle Ot
tessi nello Scipione di Ennio, nelle Ottavie di Mecenate e di Seneca?
Che
gl’ Italiani ne’ Piccinini, negli Ezzelini, negli
he gl’ Italiani ne’ Piccinini, negli Ezzelini, negli Ugolini &c.?
Che
gl’ Inglesi e gli Spagnuoli in quasi tutte le lor
nella storia, nella tragedia apparisce vano, millantatore, meschino.
Che
relazione hanno poi colla congiura de’ Francesi g
e impose à la valeur, Et comment un Heros se punit d’une erreur.
Che
meschinità! Bajardo chiama augusta la propria umi
figlia del principale congiurato. V’ha in ciò punto di senso comune?
Che
si dirà poi di quella specie di contradanza che f
ee traduzioni de’ Greci Bucolici e di Anacreonte, e delle Pescagioni?
Che
è ciò innanzi all’Annalista della Sicilia? al Cri
il mar, che fu per lui si in calma, a me turbato minacciar la morte.
Che
dopo le ricerche di Fr. Bartoli col dato di una i
di Mantova per andar colà a recitare, potrebb'essere Lombardo nostro.
Che
abbia poi questi che vedere con Bernardino Lombar
a, e troppo piccina…. (però ero simpatica, e questo ve lo dico io !).
Che
dolore per la povera vecchia ! Era su me sola che
ni !… Tre anni senza bere vino !… Dovevo farmi il vestiario ? !…
Che
lusso !… « Ah, povera macia ! » direte voi. Ma ch
le promisi. Maar. Ma con che mente, oimè? An. Con quella mente
Che
avea promesso all’altra; intender puoi. In tutt
areggiate v’ho con le parole, E senza alcuno indugio intenderete,
Che
vi pareggerò co i fatti ancora. Sventuratament
gi Quel valor sì sublime, Quella virtù, siasi poi finta o vera,
Che
d’ogn’intorno splende? Ah che la scorgi, E pur
d’ogn’intorno splende? Ah che la scorgi, E pur troppo la scorgi,
Che
per essa or l’onori, il premj e l’ami, Là dove
rò, sia pena, o sia misfatto, L’approveranno, o fuggiran gli dei.
Che
approvino, che fuggano, sia fatto. Quest’energ
n certo che sol mormorò morendo, E trafisse la vergine innocente,
Che
generata avea. L’anima bella Osservato l’inditt
à in periglio? Tu puoi carezzar anco Una Vestale pallida tremante
Che
già miri spirar la santa fiamma. E’ bella e no
di Roma, quell’uomo prode, per valermi dell’espressione di Pope,
Che
lotta col destino Tralle tempeste e grandemente
) vuol essere amico di Catone, proponetene il prezzo e le condizioni.
Che
licenzj (risponde tosto Catone con magnanimità)
morte di Marco. Marco . . . incomincia Porzio, e Catone l’interrompe:
Che
ha egli fatto? ha abbandonato il posto? No, dice
di sprigionar lo spirito prima di un suo decreto: Oh numi voi
Che
penetrate il cuor dell’uomo, e i suoi Intimi mo
li condisce, si distrugga il frutto morale del dramma. Ma perchè ciò?
Che
connessione ha l’una cosa coll’ altra? La di lui
o ad entrare nel Parlamento fatta da Constant nella propria persona. “
Che
non ho io fatto per voi? dice alla moglie nella s
assava gli anni 18, e 40 uomini provetti vestiti tutti dalla società.
Che
vaga pompa! che decorazione invidiabile! Oh chi p
« El gemini de la vostra sfera, Allegreto d’i Sepolini da Comachio. »
Che
il Burchiella fosse valoroso attore sappiamo da C
ate fine impor con gran prudenza : Meco omai, che son Felsina, venite
Che
m’offero condurvi alla presenza De'saggi figli mi
indifferente in mezzo alle tanto applaudite armoniose ricchezze? [5]
Che
se nei suoni non vuolsi considerare la facoltà ch
o gl’inventori delle tragedie si paragonavano coi più gran capitani. «
Che
giovamento adunque» , dice questo scrittore, «fe
n massima parte rinunziato con discapito delle lingue e della poesia.
Che
si dirà poi dell’arte che avevano i loro musici n
gli accenti, onde così spiccata e sensibile rendevasi l’inflessione?
Che
della minutezza con cui si badava non solo alla n
sentano simultaneamente all’anima una medesima sensazione o immagine?
Che
dove la misura non s’accorda esattamente colle pa
la misura musicale debbe anche partecipare di siffatta irregolarità?
Che
mai si può accordare il valor delle note ove le s
valor delle note ove le sillabe prive siano di quantità determinata?
Che
il movimento ed il tempo mancheranno della dovuta
heranno della dovuta precisione se vogliono tener dietro alle parole?
Che
al più solo potranno averla nei concerti purament
onsiste nella espressione di qualche individuale concetto dell’animo?
Che
a motivo di cotal incertezza il musico si vede so
scoltanti mercè la finezza dell’arte praticata in tutte le sue parti.
Che
se qualche rara volta giugne la nostra musica a m
117. [NdA] Libro I. De musica nell’edizione del Meibomio. 118. [NdA]
Che
i Romani conoscessero l’influenza del ritmo nella
no dei suonatori di flauto cambiasse il modo nella misura espondaica.
Che
peccato, che fra le tante belle invenzioni di Pit
assomigliante, come esiste per nostro vanto un Aristofane Napoletano?
Che
che sia di ciò il Socrate è poi ritornato sulle s
ui mancò con lutto universale della virtù, del sapere e della poesia.
Che
diremo noi di sì raro e felice ingegno che corris
l suo sistema, ed in alcuni il partito di torcere dalle sue vestigia?
Che
i di lui splendidi difetti stessi, i quali appart
y (disse lo stesso mordace esgesuita) Metastasio ha tratto la Didone.
Che
cosa fu quest’obbliato Ambigu, di cui si cibava i
dovea crudel mercede. Ses. (L’anima mi trafigge e nol sel crede!)
Che
contrasto sommamente interessante fa quell’aspett
nè più armoniosa nè più dolce di questa: Oh che felici pianti,
Che
amabile martir, Purchè si possa dir Quel co
bell’ alme amanti Un’ alma allor si fa, Un’ alma che non ha
Che
un sol desio. Voltaire parlando della scena 6
grido a varie riprese : l’Angeleri è morto ! e mi getto sul letto !
Che
età avesse l’Angeleri non ho potuto accertare, no
gli Addisoni, i Dryden, i Dacier, i Muratori, i Gravina, i Marcelli.
Che
già non avrebbono più ragione di dire esser l’ope
dà da leggere una lettera venuta da Genova, e sua sorella era morta.
Che
fatal colpo per me ! Non era un Amante che piange
giorno è questo. Sangaride. Il più bel giorno è questo.A te del pari
Che
a me concesso è il vanto Di apprestar del gran dì
bele Il festivo apparato. Ati Il festivo apparato.È ver, ma a questo
Che
dividi con me, l’onor tu accoppi D’esser d’un gra
on sai la tua sventura. Ati Ah se ti perdo, ah se a morir son presso,
Che
mi resta a temer? Sangaride Che mi resta a temer
avido Uso a tremar non era, Volgersi malinconico Stupidamente a sera.
Che
se ingannarlo un alito Può ancor di gioventù, La
la soavità del canto, e ’l son più del musico Trace, e più d’Anfion.
Che
s’un tolse a Pluton so Mujer, e se l’altro tirò i
Achille Majeroni è morto a Bologna ieri (20) alle sei pomeridiane.
Che
vita artistica spensierata fu la sua ! Era figlio
i Amanti Leali, argomento preso dagli antichi romanzieri francesi169.
Che
ne sia di tutto ciò, Ronsardo attribuisce al suo
assioni. Egli non conobbe l’arte, e ritrasse vigorosamente la natura.
Che
tragico incomparabile risulterebbe dall’uno e dal
sogni, E spergiurando accreditar le fole, Di codesti oziosi bigherai
Che
passano la vita affastellando Novelle, rattopando
ipetendole ognor con nuove giunte. Ned io mi traggo fuor di tal genia
Che
da’ lor detti inzampognar mi feci. O che gente! o
aria certo minor la maldicenza, E i malvagi ciarloni assai più pochi,
Che
sanno sempre quel che mai non sanno. Il Penulo.
(Milfione prosiègue): O astutissimo, trincato, scaltrito Cartaginese!
Che
volto! che lagrime! che malinconia! Evviva. Tu su
amico è pallido e sparuto. Tossilo gli confessa di essere innamorato.
Che
mi dì tu, quegli risponde; è qui venuta la moda c
chè poveretti, è meglio, o padre, Viver con poco e conservar l’onore:
Che
se alla povertà l’infamia accoppi, Persa è la fed
a conservarla io penso, Ch’è poco ancor di cento doppii un muro. Tos.
Che
ne dici? Dor. Che ne dici?Che vuoi? Tos. Che ne
nso, Ch’è poco ancor di cento doppii un muro. Tos. Che ne dici? Dor.
Che
ne dici?Che vuoi? Tos. Che ne dici? Che vuoi?Te
o doppii un muro. Tos. Che ne dici? Dor. Che ne dici?Che vuoi? Tos.
Che
ne dici? Che vuoi?Te fra que’ dieci Compagni ella
uro. Tos. Che ne dici? Dor. Che ne dici?Che vuoi? Tos. Che ne dici?
Che
vuoi?Te fra que’ dieci Compagni ella ha contato,
iediam ragion.Stupir? perchè? Non permetto il destin che mi fa serva,
Che
del mio mal meravigliar mi debba. Tos. Deh non pi
h non piangere.Oh Dio! Tos. Deh non piangere. Oh Dio!(Sia maledetta!
Che
trincata e che scaltra! ha senno: oh quanto Aggiu
l fosso a meraviglia). Dor. Ma saltò il fosso a meraviglia).Io spero
Che
se ti compro, Lucrida sarai Ancor per la mia casa
di trivial spregevol cibo. Nobile, ampio recar, splendido piatto
Che
profumando gìa l’aria d’intorno Di grati odori,
concepir con qual misura Gli sottoposi il foco! E che ne avvenne?
Che
, come, se rapisce un buon boccone Correndo in g
, e posto alla tortura. B. Alla tortura? A. Senza dubbio. E parti
Che
a quel modo colui senza delitti Viver potrebbe?
la copia fatta in fretta é sommamente fredda a fronte dell’originale.
Che
vivacità in Moreto! Che delicato contrasto d’un o
é sommamente fredda a fronte dell’originale. Che vivacità in Moreto!
Che
delicato contrasto d’un orgoglio antico e di un a
ntrasto d’un orgoglio antico e di un amor nascente nel cuor di Diana!
Che
interesse nella favola progressivamente aumentato
simo grado. Comincia : « Tu Mondo, come più mondo potrai chiamarti ?
Che
se il tuo nome derivi dall’esser di belle cose ad
’era gravida, e vicina al parto, lasciò del felice alvo il caro peso.
Che
fosse nobile e ben nata ne poteano le sue belle c
e, e le genti stupite ed immobili non sapeano da qual luogo partirsi.
Che
dirò delle pastorali da lei prima introdotte in s
, chiuso l’adito ad ogni impiego, sospettato di eresia e scomunicato.
Che
fare ? Era di passaggio una Compagnia di comici,
e ora, somigliavamo nella truccatura del Rossi al Duca di Sermoneta !
Che
nobiltà, che grandezza, nelle scene aspre col fig
oneta ! Che nobiltà, che grandezza, nelle scene aspre col figliuolo !
Che
arte somma in quella finale col servo, poi colla
, E spergiurando accreditar le fole, Di cotesti oziosi bigherai
Che
passano la vita affastellando Novelle, rattoppa
endole ognor con nuove giunte. Ned io mi traggo fuor di tal genìa
Che
da’ lor detti inzampognar mi feci. O che gente!
certo minor la maldicenza, E i malvagi ciarloni assai più pochi,
Che
sanno sempre quel che mai non sanno. Il Penulo
(Milfione prosegue): o astutissimo, trincato, scaltrito Cartaginese!
Che
volto! che lagrime! che malinconia! Evviva. Tu su
amico è pallido e sparuto. Tossilo gli confessa di essere innamorato.
Che
mi dì tu! quegli risponde: è quì venuta la moda c
poveretti, è meglio, o padre, Viver con poco e conservar l’onore.
Che
se alla povertà l’infamia accoppi, Persa è la f
servarla, io penso, Ch’è poco ancor di cento doppj un muro. Toss.
Che
ne dici? Dord. Che vuoi? Toss. Tu fra que’ di
Ch’è poco ancor di cento doppj un muro. Toss. Che ne dici? Dord.
Che
vuoi? Toss. Tu fra que’ dieci Compagni ella h
. Verg. Stupir? perchè? Non permette il destin che mi fa serva,
Che
del mio mal meravigliar mi debba. Toss. Deh non
. Toss. Deh non piangere. Verg. Oh Dio! Toss. (Sia maledetta!
Che
trincata, che scaltra! ha senno: oh quanto Aggi
qualche intoppo, Ma saltò il fosso a meraviglia.) Dor. Io spero
Che
se ti compro, Lucrida sarai Ancor per la mia ca
n. Io le promisi. Maar. Ma con che mente? oimè! Ann. Con quella mente
Che
avea promessa all’altra; intender puoi. In tutto
Io pareggiate v’ho con le parole, E senza alcuno indugio intenderete,
Che
vi pareggerò co’ fatti ancora. Sventuratamente q
n scorgi Quel valor sì sublime, Quella virtù, siasi poi finta o vera,
Che
d’ogni intorno splende?… Or dimmi non son questi
lo farò, sia pena, o sia misfatto, L’approveranno o fuggiran gli Dei,
Che
approvino, che fuggano, sia fatto. Quest’energia
Un certo che sol mormorò fremendo, E trafisse là vergine innocente,
Che
generata avea. L’anima bella Osservato l’inditto
eluse con parole di molta lode Francesco Andreini, tra cui queste :
Che
il signor Flaminio Scala detto Flavio in Comedia,
mpagnia persuadere per accettabile la superiorità et la suggezzione ?
Che
carità christiana harei havuta verso questi pover
hristiana harei havuta verso questi poveri huomini et loro famiglie ?
Che
atto di cortesia o di gratitudine harei io dimost
alla poca grazia, che e’ mostrano nel pronunziare e nello esprimersi.
Che
se ne’ principi primi dell’arte loro pur sono cos
er tutto questo, che molto ancora egli non ci abbia a metter del suo.
Che
altro fa la coregrafia se non prescrivere anch’es
rir per te. A teatral talento Natura in te riunì Incantatore accento,
Che
ogni alma impietosì. Come le guance tingi D’innoc
la camera. Ella se le prese, pianse, e si fece venire le convulsioni.
Che
più ? Lo stesso suo amante, il nido della tollera
di Lorino con Madama? alla cena che fa il di lei marito sul balcone?
Che
verità si scorge nel situare tali personaggi, sen
vreste difficoltà a metterlo nel vostro Giornale de’ Letterati? Fall.
Che
dite mai, Messer Torchio? E la buona fede d’un Gi
se aveste anche due libbre di caffè puro d’Alessandria . . . . Torc. (
Che
indiscreto!) Vi sarà anche il caffè. Fall. E sei
e de’ Teatri, il nostro dotto Vincenzo Lamberti morto lo scorso anno?
Che
non compieva gli oggetti essenziali di un teatro,
e possa servire di archetipo all’alta meta che si propongono le arti.
Che
fa dunque l’artefice? Guidato dalla percezione in
gene nell’Olimpiade, o nell’inno «S’un’alma annodi S’un core accendi
Che
non pretendi Tiranno amor?» nell’Achille in Scir
fra ceppi ancora Questa fronte ognor serena: È la colpa e non la pena
Che
può farmi impallidir.» e quel sentimento medesim
r tenzone ora una tromba, ora un violino, ora un corno da caccia? Oh!
Che
sì che Giovenale nel vedere la strana violenza ch
ne avrebbe avuto ragion di esclamare «Quis tam ferreus ut teneat se?»
Che
sì che l’aveva quel francese autore d’un poema su
ver dormito fino a quel punto, richiesto all’improviso da un abbate: «
Che
ne dice ella, signore? Chi crede abbia il torto f
. Dice bene, V. S. Illustriss., tutti hanno ragione egualmente». [55]
Che
se a questa classe voglionsi aggiugnerc gli ippoc
sma che può chiamarsi l’ancora della speranza per gli ignoranti. [57]
Che
poi mancando nel canto moderno le due spezie d’im
ione si cambiasse in un vero canto, o divenisse molto simile ad esso.
Che
talmente avvenisse presso ai Greci non cel lascia
di, come fecero tante volte Eschilo ed Euripide, Filemone e Menandro.
Che
questo fosse il loro uso cel dimostra oltre l’aut
ra cerca ancor pretesti, e Fatima vuole irritarla contro dell’amante.
Che
mi ha egli fatto? ella ripiglia, e lo giustifica.
he di più : forzar ti vò ad amarmi. Alzira insino ad or non è vissuta
Che
sventurata per le mie fierezze, Pel maritaggio mi
ice dopo il fatto, Le ciel est satisfait; la vengeance est comblèe.
Che
empio Sacerdote! Qual è maggiore scelleraggine, f
ordarono? Di grazia che altro rappresentano i Cinesi da tanti secoli?
Che
rappresentarono i Greci se non gli evenimenti del
e rappresentarono i Greci se non gli evenimenti della propria storia?
Che
i Latini stessi nella tragedia Scipione di Ennio,
la tragedia Scipione di Ennio, nelle Ottavie di Mecenate e di Seneca?
Che
gl’Italiani ne’ Piccinini, negli Ezzelini, negli
Seneca? Che gl’Italiani ne’ Piccinini, negli Ezzelini, negli Ugolini?
Che
gl’Inglesi e gli Spagnuoli in quasi tutte le loro
de nella storia, nella tragedia apparisce vano millantatore meschino.
Che
relazione hanno poi colla congiura de’ Francesi g
able impose à la valeur, Et comment un Heros se punit d’une erreur.
Che
meschinità! Bajardo chiama augusta la propria umi
figlia del principale congiurato. V’ha in ciò punto di senso comune?
Che
si dirà poi di quella specie di contradanza che f
lto), incolpa della tua morte la spietata tua genitrice: mori . . . .
Che
veggio? La bambina è diventata un’ otre di vino,
ggio colà giù la gran bestiaccia. Bac. Cos’ è? San. Tutto. Bac.
Che
tutto? San. Un cento-facce, Un cento-forme: o
tu le capre da Felleo come faceva tuo padre vestito di grosso panno?
Che
comici contrapposti graziosissimi! I moderni non
o morbo cavalleresco, e promette di rimunerarlo giurando per gli dei.
Che
sorte di dei giuri tu? ripiglia Socrate. Tu dei s
che si presenta alla scoperta, pare che ne distrugga ogni illusione.
Che
che sia di ciò, egli parla di se stesso, loda le
non pagare. Socr. E quale è questo? Strep. Dimmi un poco. Socr.
Che
mai? Strep. Se io pagando una maliarda di Tessa
Oimè! . . . . Che Giove non mi vegga! . . . Dov’è Pistetero? Pist.
Che
cosa è questa? Chi è costui che viene così copert
e mi seguiti? Pist. Non veggio alcuno io. Ma tu chi sei tu? Prom.
Che
ora abbiamo? Pist. E’ un poco più del mezzodì.
ro . . . Pist. O che mai dì tu! (conoscendolo per Prometeo) Prom.
Che
fa Giove? Dà serenità o nuvole agli uomini? Pist
lo si ha compero! Ma 107 non mi vincerai ) Voglio, o mio Popolo,
Che
sfaccendato colle mani a cintola Tu sorba una s
l’udir questa voce melatissima Di gioja vi traballano le natiche.
Che
se poi vezzeggiandovi vi aggiungono, Mia grassa
ni domanda accordasi Sol per quel grasso, e il popolo ne gongola,
Che
di un majale riportò la gloria. In vece di maj
e così favella in Menandro: O quanto è sventurato il mal accorto
Che
nulla possedendo a nozze corre, E di figliuoli
consiglia! Egli non pensa Ciò che conviensi, pien del suo disegno
Che
tristi giorni e lunghi guai gli appresta. Ei da
l dì la madre tua ti espose, Con questa legge tu fra noi venisti,
Che
a tuo piacer girar dovesse il mondo: Se tal fel
te giù piombar si vegga, E strisciar per lo suolo. E ben gli stà:
Che
infermo oltre ogni creder per natura, Oltre ogn
guente, la grandezza del teatro è la portata della voce, e non altro.
Che
troppo avrebbe del ridicolo che altri facesse un
veduta di tutta la scena, e alcune altre che qui riferire non giova.
Che
se per avventura si domandasse quale sia la più c
altri suoi pigionali) mi compariva dinanzi col matterello in mano. –
Che
cosa vuol dire : strike ? – Picchiare !… – e via
ma stridente a ogni gaiezza della vita, solea sclamar sospirando : «
Che
peccato ! Un così bell’artista ! Una così forte p
Della musica [2.1]
Che
se niuna facoltà o arte a’ giorni nostri di ciò a
abbiano a riempiere d’avanzo e ad intronare gli orecchi dell’udienza.
Che
se pure taluni la pongono come esordio, convien d
be da commettere la musica, quale noi la vorremmo nella nostra opera.
Che
già avendo essi scosso di per sé il giogo di alcu
io d’Israel; né sia chi sorga, Dal lampo della spada,
Che
strisciare su voi farà il mio sdegno. Che
ella spada, Che strisciare su voi farà il mio sdegno.
Che
se dove s’invoca L’alto mio nome alzo la
esto Nero, e funesto,
Che
ovili, e pascoli Vi strug
orosi provvedimenti saria mestieri ogni cosa riordinare e correggere.
Che
già niun legislatore non si metterà a dar nuove l
gatone scrittore tragico e comico, onorato del l’amicizia di Platone.
Che
che di lui motteggi Aristofane nelle Tesmoforie,
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