ARTICOLO IX.
Pregiudizj dell’Autore della Storia de’
Teatri
rilevati dall’Apologista.
Un titolo urbanissimo leggesi nel Tomo IV. della P. II. del Saggio §. ix. p. 165. “Il Teatro Spagnuolo dal 1500. fino
all’Epoca di Lope de Vega difeso da’ Pregiudizj dell’Autore della Storia
Critica de’ Teatri”.
Quantunque io dovrei essere avvezzo a
simili gentilezze apologetiche, avendo l’Autor del Saggio
ne’ Volumetti precedenti regalato col medesimo titolo il Ch. Tiraboschi,
l’erudito Bettinelli, e tutti gl’Italiani, che anche col pensiero fossero
indiziati di essere Anti-Spagnuoli, contuttociò spiacemi, che il Signor
Lampillas vada alzando l’intonazione, perchè ripeto,
strascinerà tutti gli altri ad accordarvisi, e poi si querelerà della poca
urbanità e che so io.
Del resto egli con una
evidenza propria del suo famoso saggio dimostra tali miei Pregiudizj, ed io non solo mi dispongo a contenermi nel replicare,
ma penso di più dargli un attestato di rassegnazione col disfarmene e
riprovargli; e per mia umiliazione vò prima ripeterli,
I. PREGIUDIZIO.
Il Signorelli (dice l’Apologista p. 166.) quanto esalta giustamente il Teatro Spagnuolo sopra il Tedesco e il Francese, tanto lo mette al di sotto dell’Italiano.
RISPOSTA.
Il Signorelli domanda perdono al Signor Lampillas di questo peccato, ora che si è avveduto, che per vivere con lui in pace bisogna tessere un continuo panegirico delle Scene Spagnuole a dispetto del buon senso. E che ci vuol fare? Credeva il Signorelli troppo buonamente, che un Teatro regolare, ritratto de’ costumi del tempo che correa, formato su i Greci e i Latini, scritto in istile purgato e naturale, fosse da preferirsi a un altro Teatro privo di quasi tutti questi pregi. Ma il Lampillas mi dice che questo è un pregiudizio, ed io vi rinunzio incontanente. Anzi di più in conseguenza di tal disinganno, rinunzierò a un altro pregiudizio. Imperocchè io pensava che i Poemi Comici si dovessero esaminare dall’arte, dal colorito, dal piacevole, e dallo stile, e circa l’oscenità di alcuno di essi bastasse accennarla, come ho fatto io, ad esempio del dottissimo Brumoy che così trattò nelle Commedie di Aristofane, e come fece D. Blàs de Nasarre nelle Commedie oscene di Castillejo. Ma da quì innanzi penserò alla Lampigliana, e quelle Commedie esalterò, ad onore della Drammatica Poesia, che tratte sieno da qualche Flos Sanctorum, senza attendere punto al merito profano intorno all’arte e al gusto, con cui le altre fossero scritte. E per corollario di questo pregiudizio già distrutto, mi spoglierò di un’ altra falsa opinione, che io covava in mente. Io credeva che, per quanto si stimi un Autore, un ingegno libero non mai si obbliga a seguirlo ciecamente, quando la ragione nol consenta. Pregiudizio del Signorelli! Ma sgomberata mercè del Lampillas, la mia mente delle antiche sue fallaci idee, potrò quindi innanzi approvare, trascrivere, adottare senza esame, non solo quanto pensano i Ch. Tiraboschi, e Bettinelli, ma il Varchi, il Gorini Corio, e il Quadrio, purchè parlino a modo dell’Apologista, ed iscreditino per loro fini, le Commedie Italiane del cinquecento.
E’ vero, che il Signor Lampillas nota altri miei pregiudizj intorno al Rueda, e a Naarro di Torres, e a Nasarre; ma del primo ho già parlato, e circa i secondi stimo, che quella parte della Storia de’ Teatri, che di loro favella, non sia stata punto crollata per quanto in più pagine abbia ammonticato per conseguirlo il mio spregiudicato Maestro Apologista.
Trovo un’ altra imputazione a cui vo’ ancora soddisfare. Più di una fiata mi rinfaccia il Signor Lampillas, che io abbia più a disteso parlato del Teatro Greco, Latino, e Francese, che non dello Spagnuolo. Lasciamo che questa querela non avrà più luogo, pubblicata la nuova edizione del mio Libro. Lasciamo ancora, che io per uno de’ miei soliti pregiudizj pensava, che di quello più si dovesse parlare, che più conferisse a migliorar l’arte, ed instruire la gioventù. Vengo a dire il perchè nella prima edizione sì mi condussi: bene inteso, che se allora parlai poco dello Spagnuolo, meno assai parlai dell’Italiano, se si attenda alla lunghezza del tempo, in cui l’Italia ha coltivata la Drammatica.
Quando pensai a distendere una Storia Critica de’ Teatri a vantaggio della gioventù, credei a ciò conducente renderle, prima di ogni altra cosa, più famigliari i Drammi Greci, e Latini, che per la mollezza del tempo corrente, e per essersi essi allontanati dalle nostre usanze, venivano negligentati. Adunque cercai parlarne in guisa, che non istancando con soverchia e rancida pedanteria, appagar potessi la giovanile curiosità, per quelle ricchezze riposte. Appresso stimai, che il Teatro Francese meritasse men succinto ragguaglio, per le alterazioni vantaggiose fatte all’antica scena da questi ultimi felici Drammatici. E molto più perchè osservava, che la gioventù Italiana per simili idee sparse fra noi da varj anni, a gloria del Teatro Francese, cadeva nell’idolatria di esso; e consecrava indifferentemente ogni produzione scenica della Senna senza distinguere le smilze dalle robuste piante, le caduche dall’eterne, e quindi mi parve necessario aprirle cammino, apprestarle un lume, perchè potesse sceverarle, e mi convenne alquanto particolareggiare.
Stimai al contrario, che per tante Drammaturgie, Cataloghi, Biblioteche, e Critiche teatrali, la Drammatica Italiana fosse competentemente fra noi conosciuta, e sì la scorsi assai leggermente. Feci altrettanto del Teatro Spagnuolo, perchè per la superiorità del Francese, il vidi passato di moda, e giudicai, che nè i nostri, a’ quali era divenuto indifferente, nè i nazionali, che l’aveano sotto gli occhi, vi avrebbero preso interesse, tanto più che sapeano che i migliori loro Letterati sospiravano per una riforma. Ma qualche mio amorevole compatriota m’insinuò, che nel reimprimere il mio Libro parlassi pure del Teatro Italiano al pari degli altri, perchè non era così noto come io pensava, e perchè alcuni nostri Eruditi ne favellavano in termini assai generali secondo il proprio gusto o interesse, e non secondo la verità istorica, e gli emuli forestieri mettevano a profitto le loro parole per iscreditarlo. Adunque cedei a queste amichevoli rimostranze, e nella riforma della mia Opera distesi la nostra Istoria teatrale in guisa, che appagasse gli amici della verità, e delle nostre Lettere. E perchè nel tempo stesso mi trovava fornito di notizie ulteriori sul Teatro Spagnuolo, per rendere più proporzionate le membra della mia Storia, questo parimente ho aumentato quasi al pari dell’Italiano. E’ soddisfatto il Signor Lampillas? Trova in questa narrazione ancora qualche pregiudizio?
II. PREGIUDIZIO.
Il Signorelli (Lamp. p. 176.) non vuole stimar verisimile, che le farse (triviali, fredde, smunte, snervate) del Naarro potessero tollerarsi in Italia, dove si rappresentavano le Commedie del Macchiavelli, dell’Ariosto, del Bentivoglio: quando che si sa che Leone X. chiamava a Roma la Compagnia de’ Rozzi, i quali non rappresentavano quelle eleganti Commedie.
RISPOSTA.
Che semplicità del Signorelli! Egli credeva, che i Rozzi di Siena fossero Accademici eruditi addetti principalmente a coltivare la Scenica Poesia scrivendo e rappresentando. Credeva, che se essi non recitavano l’eleganti Commedie surriferite, altre ne producevano scritte da loro con purezza, grazia, ed arte (lontane certamente dalla freddezza, intollerabile in tutti i secoli, e in tutti paesi, di quelle di Naarro), e perciò comprese sotto il titolo di Commedie erudite 1. Ma il Signor Lampillas che stima pregiudizj la Storia e l’Evidenza, che sa convertire un Commediante Spagnuolo in un buon Poeta, e i di lui Dialoghi sul mestiere de’ Commedianti Spagnuoli in una Storia Teatrale delle antiche Nazioni, ha cangiato quì un’ Accademia di bella Letteratura in una Compagnia Comica. E siccome la di lui grave autorità fa tutta l’impressione dovuta nell’animo del Signorelli, la crederà anch’egli una Congrega di Arlecchini; e crederà in conseguenza, che le Commedie del Naarro potessero essere allora ascoltate in Italia, affermando non solo, che ciò fosse verisimile, ma vero ancora, s’egli così prescriverà.
III. PREGIUDIZIO.
Nè anche crede il Signorelli (Lam. p. 177.), che fossero stampate a’ tempi intorno a Leone X. le Commedie di Angelo Belocci detto il Ruzzante, le quali erano composte in varj dialetti.
RISPOSTA.
Veramente pensava il Signorelli, che non vi fosse stato in Italia verun Ruzzante chiamato Belocci, ma sì bene un Angelo Beolco1. Pensava che questo Ruzzante avesse composte talora Commedie con più di un dialetto (e non già con quanti ne usò l’Autore della Rodiana), ma che esse non erano punto fredde, e insulse come le Spagnuole del Naarro, anzi festevoli e lodate assaissimo nell’ Ercolano da Benedetto Varchi giudice favorito dell’Apologista. Ultimamente pensava, che le Commedie del Beolco non furono mica stampate a quei tempi di Leone X., come dice il Signor Lampillas, ma nella fine del secolo, nel 1598., secondochè si vede nell’Eloquenza Italiana di Monsignor Fontanini1. Ma questi sono fatti istorici, cioè i nemici capitali dell’Apologista, e per conseguenza vanno sotto la rubrica de’ Pregiudizj. Il Signorelli adunque adotta le ben ponderate opinioni del Signor Lampillas, ed al cenno di sì instruita scorta, è pronto a tenere per un tessuto di pregiudizj tutta la Storia Civile, e Letteraria universale.
IV. PREGIUDIZIO.
Il Signorelli (Lamp. p. 177.) insinua alla gioventù lo studio delle Commedie di Ariosto, cosa disapprovata dall’Apologista, perchè potrebbe temersi, che in vece del purgato stile imparasse il corrotto costume.
RISPOSTA.
Siccome non si schiva il frequentare la Casa
dell’Orazione per l’abuso fattone talvolta da chi vi amoreggia
con cenni, sorrisi, e parolette; nè si bandisce il ferro, perchè con
esso si versa il sangue
umano; nè dobbiamo
fisicamente cavarci gli occhi, perchè per essi può entrar
la morte: così pensava il Signorelli non doversi trascurare lo
studio di un eccellente modello dell’arte, quando anche alcuna cosa vi
si dicesse con qualche libertà. Ma poi (sia ciò detto con pace del
Signor Lampillas) non è punto vero, che nelle Commedie di Ariosto
s’insegni il corrotto costume. Questo è detto apologeticamente. Anzi al corrotto costume, a’ vizj
palliati, alla prepotenza, alla venalità, all’avarizia, alla più d’ogni
vizio detestabile ippocrisia, in esse si fa la guerra con una satira
spiritosissima. Forse alcune poche cose cercate col fuscellino vi noterà
il Signor Lampillas da riprendere; ma che queste sieno pochissime in
Ariosto, e poco degne di farsene caso, apparisce dall’essersi
disprezzate dalla vigilanza della Chiesa per tre secoli continui. E a
dir vero stupisco di voi, Signor Lampillas, che vi arrogate l’autorità
di proscrivere ciò che la Chiesa non disapprova, e d’involare alla
pubblica libera lettura Libri eccellenti per un capriccio apologetico.
Ciò potreste più acconciamente inculcare per le Commedie ed altro del
Libro del vostro Naarro, il quale appena pubblicato nel 1520. fu
riprovato dalla Chiesa, e restò proibito e negletto per 53. anni. Ma pur
questa sarebbe una cura inutile, perchè tal Libro, ad onta della seconda
Edizione, giacque ancora, e giacerà preda delle tignuole nella polvere,
dalla quale con infelice sforzo pretese cavarlo il Bibliotecario
Nasarre. Circa poi all’espressioni indecenti e a’ sacri detti applicati
profanamente, il Signor Lampillas farà stupire ogni lettore, che per
qualcheduno,
che potrà trovarsene in Ariosto,
alzi così rigidamente la voce, quando ne’ due passati secoli in tante
migliaja di Commedie Spagnuole i Graziosi fondano in ciò la principale
ricchezza de’ loro sali. Apra qualunque de’ loro Autori (appena
salvandosi da tal contagio il solo Solis, se non m’inganno), e gli
salterà agli occhi questa verità. Ciò che fa principalmente stordire nel
Teatro Spagnuolo (dice l’eruditissimo Ab. Arnaud) è l’applicazione
ridicola, che si fa incessantemente delle cose più gravi. “Il n’y
a guére dans les Prieres de l’Eglise, & dans les Livres Saints,
de passages connus, qui ne soient employés dans ces farces de la
maniere la plus indecent. Un Valet dit à une Servante, qu’il n’y a
guére de Pucelles; ne le suis-je pas? répond la Fille. Non credam, nisi videro, replique le Valet. A la fin d’une
Piéce un Bouffon renvoye les Spectateurs en leur disant, Ite Comoedia est &c.
1.”
Il sacro conservare
digneris si converte da un Grazioso di Calderon in conservar los dineros. Il per altro grazioso D. Agostin Moreto
ne abbonda. Non credo che tanti esempj ne porgano tutte le Commedie di
Ariosto, e Machiavelli unite insieme, quanti se ne incontrano nel solo
Marqués del Cigarral
Commedia del lodato Moreto. Dice Don Cosme
nella Giornata I., Ad Ephesios responsion; giura nella
II. Por el santissimo bote de la Magdalena Santa: dice
nella III. Valgame todo el Psalterio. Nella Confusion de un Jardin dice nell’esser preso un
Cavaliere nel Giardino:
“Es noche de Juebes Santos“Que se hace prision en huerto.”
Può darsi di questa maggior profanazione?
Infine era il Signorelli persuaso, che, quando anche nelle Commedie dell’impareggiabile Poeta Ariosto vi fossero alcune cose non totalmente decenti, esse non potessero esser mai tante, quante se ne leggono nelle Commedie Latine, a cagione de’ caratteri che vi s’introducevano, e non pertanto da quasi diciotto secoli l’Europa Cristiana legge, studia, comenta, traduce, ammira Plauto e Terenzio, e se ne raccomanda la lettura alla gioventù. E sarà poi delitto il consigliare, che si studiano quelle dell’Ariosto? Ma con tutto che la sonora voce della ragione parli in simil guisa al Signorelli, egli risolve abbandonarsi del tutto alla perspicacia e allo zelo rischiarato del Signor Lampillas.
V. PREGIUDIZIO.
Il Signorelli (Lamp. p. 178. sino a 182.) contro l’aspettazione dell’Apologista dà per cosa verisimile e vera, che un Cervantes, che con tanto senno ragionò contro le cattive Commedie, ne avesse poi composte otto sommamente spropositate.
RISPOSTA.
Anche di questo pregiudizio si emenderà il Signorelli, e crederà più alle rare congetture del Signor Lampillas, che agli occhi proprj, co i quali ha vedute e lette queste spropositatissime Commedie di Cervantes. E ciò farà con alacrità tanto maggiore, quanto che l’Apologista l’incoraggia con quel bellissimo ritrovato apologetico (che pure non venne in mente all’istesso Nasarre), che la malizia degli Stampatori sotto il nome e prologo di Cervantes pubblicò quelle stravaganti Commedie . . . sopprimendo le genuine, o trasformandole del tutto. Or chi non crederebbe che l’Apologista parlasse secondo che pensa, a quella gravità e serietà con cui afferma simil cosa? Io per me credo fermamente a quanto quì dice. E che importa che contro sì bella e felice pensata del Lampillas mormori l’istesso senso comune? Che lo stile delle otto Commedie senta il sapore usato di Cervantes? Che importa che si dovrebbe supporre questo Scrittore assai stupido e nemico della propria riputazione, perchè sotto gli occhi suoi vedesse e tollerasse cotal forfanteria senza ricercare novella delle sue Commedie soppresse? Che importa che sopravvivesse un anno a cotale oltraggio fatto al suo nome con simile soperchieria, e non ne procurasse il risarcimento, e non se ne lamentasse almeno, quando di molte minute particolarità delle sue cose ebbe egli cura di lasciar memoria ne’ suoi scritti? Questi sono piccioli scrupoli per le anime grandi che compongono Apologie, e i discepoli de’ Lampillas debbono avvezzarsi a superarli con un cuore di ferro. Lungi dunque dal Signorelli tutto ciò che non è instruzione Lampigliana.
VI. PREGIUDIZIO.
Uno de’ gravi pregiudizj del Signorelli si è (Lamp. p. 183.), che vuole prestar fede a Lope de Vega intorno alla corruzione del Teatro Spagnuolo prima di lui, e non all’Apologista, che pretende che prima di Lope vi fiorissero insigni Poeti Comici senza difetti e irregolarità.
RISPOSTA.
Il Signorelli lesse che, citato Lope dall’Accademia a discolparsi delle sue comiche stravaganze, recitò il suo discorso senza veruno intoppo. Si giustificò in faccia a’ contemporanei coll’esempio degli altri Poeti che ne scriveano ugualmente spropositate, piene di apparenze, piene di mostruosità, senza altre eccettuarne se non le basse Commedie del Rueda, e fu ascoltato pazientemente, e non riprovato da quel Corpo Erudito, il quale ben poteva urbanamente riconvenirlo, ch’egli occultasse il merito de’ loro buoni Drammatici. Ora su tali fondamenti conchiuse il Signorelli, che Lope o dovea essere il più sfacciato de’ Viventi (il che niuno ha detto mai), o dovea discolparsi colla verità alla mano. E’ vero che il Signor Lampillas si oppone a questa riflessione con dire, che se quei zelanti conservatori della sanità del Teatro Spagnuolo rimproverarono Lope pel di lui strano modo di comporre, il fecero perchè aveano veduto il loro Teatro in altro stato di salute prima di Lope. Ma questo Achille degli argomenti Lampigliani sembra assai debole al Signorelli: perchè potevano quei zelanti Accademici essere spinti a riconvenir Lope, non per aver veduto in migliore stato il loro Teatro, ma per sapere teoricamente che in migliore stato erano i Teatri Greci, e Latini, e che le stranezze di Lope si opponevano alla ragione, di cui essi, come Letterati instruiti, non ignoravano gl’insegnamenti. E poichè conoscevano le forze dell’ingegno di Lope, a lui si rivolsero, sperando, che, incamminato questo Poeta per la diritta via, trarrebbesi dietro tutti gli altri.
Che poi prima di Lope il Teatro Spagnuolo non contasse se non meschini Poeti, e non insigni conservatori della di lui sanità, il conferma il dotto Bibliografo Spagnuolo l’Antonio, dicendo che prima di Lope la Commedia Spagnuola reptabat, & balbutiebat olim inter manus Lupi de Rueda, Navarri, & similium, absque ulla spe ulterioris ad tolerabilem aliquem statum progressionis. Che quelli che seguirono questi primi Comici balbuzienti, introdussero la Commedia stravagante colle irregolarità accennate da Lope, il conferma ancora un passo della Commedia di Moreto El Marguès del Cigarral, dove così fa parlare un Grazioso:
“Despues que se introduxeron“Las Comedias en España“Pueden servir los lacayos“A’ los Estrados y Salas,“Y aùn hablar con las Señoras“De gerarquias mas altas“Que la Señora Marina,“Pues son Princesas ò Infantas.”
Un passo simile si legge nella Confusion de un Jardin del medesimo Moreto. In questa guisa favellano gli Scrittori Spagnuoli, che amano di migliorar le arti nella nazione, e che non sono Apologisti.
Or dove sono i decantati insigni Drammatici prima di Lope? Ma sì, che il Signor Lampillas mette fuori le tre Lettere del Cueba, in cui si registra una filza di nomi, e si dice che furono Comici eccellenti. Comici vi furono al certo moltissimi, ma che fossero eccellenti e regolari giusta i buoni principj, quì è dove s’intoppa. E che fondamento possiamo fare sulle asserzioni del Cueva mancando ogni altro sostegno? Del suo gusto teatrale siamo noi pienamente convinti? Chi ci assicura ancora, che le di lui lodi non rassomigliassero a quelle date da Cervantes alle Tragedie difettose dell’Argensola? Dove poi sono queste composizioni regolate? la nazione le ha lasciate perire per conservare le stravaganti?
Nò, che il Signor Lampillas le vede, le tocca, e nella p. 185. a me si
volge in questa guisa. “Ecco Signor D. Pietro, i semi della
Commedia Spagnuola del 500. le sembrano forse questi semi
originariamente pontici e silvestri?”
Ma dove sono mai,
ripeto, questi semi dolci, preziosi, di cui si pasce solo l’Apologista
tra tutti i nazionali e gli stranieri? Voi, Signor mio, par che me gli
cacciate sotto il naso, e pur Voi non sapete quali siano, nè dove siano,
nè se mai siano stati, e così mi lasciate più digiuno di Tantalo.
Sarebbero mai le Commedie di Cervantes? la
Tragedia di Andrès Rey? le Mille Tragedie del Malara?
E mi dite Ecco? Ecco dinota la presenza, o la
prossimità della cosa; e Voi non mi date per nutrirmi, che belle parole
su di ciò che voi stesso non sapete che cosa si fosse.
Riguardo al Cervantes, di cui dite, che nel Prologo avesse smentito il discorso di Lope, io veramente non trovo in tal Prologo simil cosa. Cervantes solo si attribuisce la gloria di essere stato il primo a togliere il Teatro Spagnuolo dall’infanzia (il che rassomiglia alle cose accennate dal Lope, e al reptabat, balbutiebat dell’Antonio). E poi afferma che distratto in altro sottentrò Lope, e si alzò colla Monarchia Comica soggettando i Commedianti. Nè di altri Autori corretti in esso ei favella, e le sue lodi si profondono su i contempoeanei seguaci del sistema Lopense. Or come smentì Lope nel suo Prologo? Forse citando le proprie Commedie come ben ricevute? Ma ben ricevute furono eziandio quelle di Lope, e ciò prova solo il plauso tributato dallo stesso volgo alle une e alle altre, non già la perfezione, della quale nè Voi nè altri potrà mai esser giudice, poichè non esistono.
Per vedere intanto il Signor Lampillas di ragguagliare i conti in qualche maniera, scappa fuori con una Dedicatoria del Varchi, in cui si parla con disprezzo delle Commedie Italiane. In prima, Signor Abate, pare a voi la stessa cosa una privata asserzione di un semplice Scrittore, e forse anche di qualche altro, e la confessione de’ difetti del Teatro Spagnuolo fatta dal Cervantes, dal Lope, dall’istessa Accademia Spagnuola, dal Lopez, dal Cascales, e in seguito da’ più gran Letterati Spagnuoli? Di poi tanto fondate Voi in una Dedicatoria, che alla fine d’ordinario suole essere una tacita insinuazione, e un panegirico indiretto a favore delle proprie produzioni! E da questa del Varchi pretendete ricavare la Storia della Commedia Italiana del 500.? Io voglio poi che il Varchi a ragione riprendesse le oscenità e le indecenze di alcune delle nostre Commedie, come di quelle dell’Aretino, del Vignali, del Groto. Ma che egli potesse asserire altrettanto di quelle del Secco, del Pino, del Contile, del Bentivoglio, dell’Oddi, del suo amico Annibal Caro, e di un gran numero di Toscani, se non si curarono delle ciance della sua Dedicatoria, nè di smentirlo i contemporanei, lo smentiranno senza esitare i Posteri co i fatti alla mano, colle evidenze, colle ragioni sode, e non con istrepitose declamazioni, e con vane stiracchiate congetture. Perdoni il Signor Lampillas, se quest’ultimo pregiudizio non ha voluto cedere sì presto alla di lui autorità; ma svanirà infine come tutti gli altri.