ARTICOLO VIII.
Degl’Inventori del Dramma
Pastorale.
La Poesia Pastorale ha una origine immemorabile, testimonio la Cantica di Salomone, e le Greche Poesie Bucholiche di Teocrito, Mosco, Simmia, e Bione. I Greci antichissimi ne portarono qualche scintilla fino nella Drammatica cogl’Inni Dionisiaci, e co i Satiri che vi comparivano. Questi semi dierono in appresso nascimento alla Poesia Satiresca, ma i Drammi di questo genere sono per noi perduti, eccetto il Polifemo di Euripide. Non si curarono, a quel che sembra, di coltivarla i Latini: ma de’ loro Drammi ci sono rimaste troppo scarse reliquie per assicurarsene. Certo è però, che tralle Maschere, che appartengono alla antica Italia, trovansene di molte satiresche; e che i Romani nel copiare i Teatri Greci materiali, secondo Vitruvio non lasciarono di apprestare al Dramma Satiresco la sua Scena, e le decorazioni corrispondenti. Che che sia di ciò, Virgilio, Calfurnio rinnovarono in Italia colle loro Ecloghe i Teocriti e i Bioni. Al risorgere delle Lettere, non l’Ecloghe soltanto, ma i Satiri risorsero ancora nell’Egle del Giraldi Cintio. Di essa così discorre l’Autore nella Dedicatoria ad Ercole II. di Este IV. Duca di Ferrara, dichiarandola per Satira distinta dalla Tragedia e dalla Commedia:
Non quæ te tragico perturbet fabula fletu,Huc veniet grandi, aut quatiat quæ pulpita voceArdua materies, multorum & viribus impar,Quæve astus Davi referat sermone pedestri,Lenonisve dolos, tenerosque Cupidinis ignes,Hunc simul indocto & docto trita orbita vati,Sed quæ nunc demum Satyros denudet agrestes,Et Faunos, Panesque simul deducere sylvisAudeat, & blando te oblectet ludicra risu.
Intanto nel secolo XV. era nato nell’Italia ancora nell’Orfeo del Poliziano un Dramma Pastorale con fine tragico, che in nulla rassomigliava al Ciclope di Euripide, e nell’antichità non avea esempio. Anche il nobile Niccolò Correggio scrisse allora un Dramma sull’avventura di Procri e Cefalo e dell’Aurora, intitolandolo Cefalo, il quale è fuor di dubbio una Pastorale. Adunque l’invenzione di questo Dramma appartiene di tutta ragione all’Italia, benchè sembrasse diversamente al P. Brumoy e ad altri ancora, che vorrebbero ricavarlo dal Ciclope; nè le altre moderne Nazioni possono sì di buon’ ora additarne pesta nelle loro contrade. Prese indi forma migliore la Pastorale nel XVI. fralle mani del Beccari, e si perfezionò fra quelle del Tasso.
Quì ci muove lite l’Apologista erudito, e pretende seriamente, che in Ispagna nacque la Scenica Pastorale. E perchè questo è uno de’ possibili non lontanissimi dal convertirsi in atto, e un tanto accurato ragionatore come il Signor Lampillas, non avrà avanzata simil cosa senza documenti, vediamo quali essi siano.
Incomincia dall’escludere i pretesi Drammi Pastorali Italiani con questa
grave decisione (p. 155.). Gl’Italiani non furono
gl’inventori della Pastorale, perchè “sino al 1554. quando uscì il
sacrifizio del Beccari, può dirsi che non fu conosciuto in Italia questo
nuovo genere Drammatico.”
Le quali parole in sostanza
significano che non inventarono la Pastorale, perchè non
l’inventarono. Queste sono appunto di quelle ragioni, che in
Ispagna diconsi de Pedro Grullo, e in Italia del Dottor Graziano, le quali si conobbero anche da’ Latini,
avendocene Plauto dato qualche esempio:
Hos quos videtis stare captivos duos,Hi stant, non sedent.E malis multis id quod minimum est, id minimum est malum.
Ma venghiamo a’ fatti. Per qual ragione l’Apologista esclude il Cefalo, e l’Orfeo del XV. secolo? Perchè, risponde, essi non meritano il nome di Pastorali. Gli avete dunque letti? esaminati? Ditene dunque perchè non meritano questo nome. Fossero anche questi, come la Sofonisba, Dialoghi Allegorici? La vera risposta che vi conviene, è il verso di Giovenale,
Sic volo, sic jubeo, stat pro ratione voluntas.
Adunque il capriccio apologetico è una ragione? Caro Sig. D. Saverio, voi volete far ridere Italia, e Spagna.
Si strugge poi il nostro Sig. Abate per trovare ragioni da rimovere dal giudizio I due Pellegrini del Tansillo, e l’Ecloga del Caro; e intanto si lascia dietro un nemico non meno forte del Cefalo, e dell’Orfeo, cioè l’Egle del Giraldi pubblicata nove anni prima del sacrifizio del Beccari. Ma l’Egle per l’Apologista può essere un altro Dialogo Allegorico.
Dice appresso (p. 157.): “Ciò posto . . . . (Piano: Posto
che? Nulla avete voi posto nè stabilito: dovreste dire piuttosto, Posto che
io per capriccio non vò riconoscere per Pastorali nè il Cefalo, nè l’Orfeo,
nè l’Egle, non che i due Pellegrini; e poi proseguire il vostro arzigogolo).
“Ciò posto (dice dunque), ognun vede che fino a questi tempi non
può dirsi inventato dagl’Italiani il Dramma Pastorale”.
Ognun
vede eh? Se voi ad ognuno presterete i vostri vetri
colorati, di cui parla Plutarco, ognuno vedrà quello che a
voi sembra di vedere; altrimenti ognuno vedrà, ognuno palperà, leggerà,
declamerà l’Orfeo, l’Egle, il Cefalo, e non vedrà mica una voce apologetica impalpabile, invisibile, come l’ecco.
Vediamo però a quest’inventori Italiani della Pastorale riprovati ed esclusi, quali inventori Spagnuoli sostituisca il nostro Apologista. L’inventore della Pastorale, che, secondo lui, prevenne gl’Italiani, fu il Battiloro Commediante Sivigliano Lope de Rueda. Benissimo, noi ci rallegriamo della felice scoperta. Ma quando nacque questo Rueda? quando fiorì? quando cessò di vivere? Nulla di ciò sanno con sicurezza nè l’Apologista, nè i suoi compatrioti. E con tali dubbietà, anzi con tali non dubbie ignoranze vogliono venire a competenza in un punto, che dipende dalle date? Rigetta l’Apologista l’opinione del Quadrio, che il Rueda fiorisse verso il 1560., e stima ch’egli erri in questa data. Sarà così: ma non per la piacevole ragione asseritane dal Lampillas, cioè che poco dopo il Rueda morì. Forse non si può morire nel più bello del fiorire?
Non potendo l’Apologista presentare data veruna da contrapporre all’epoche
fisse de’ componimenti, e degli Scrittori Italiani, ricorre alle sue famose
congetture. Ed io perchè di me ancora non dica che gl’Italiani dissimulano
le sue ragioni, vo’ rapportarle. La prima che propone, è questa che si legge
alla p. 168.: “Nella serie storica de’ primi Autori
delle Commedie Spagnuole dopo il Rueda si vede nominato il Castillejo,
il quale certamente fiorì da’ primi anni di quel
secolo sino al quaranta”.
In prima questa serie
istorica de’ Comici Spagnuoli si è forse trovata in qualche
scavazione incisa in Tavole enee, come l’Eugubine, che possa valere di prova
invitta a decidere di anteriorità tra Rueda, e Castillejo? Quali fondamenta
per le vostre torri, Sig. Lampillas! In secondo luogo dite, che Castillejo
certamente fiorì da’ primi anni del
secolo sino al quaranta. Questa parola certamente parmi
della natura delle certezze, che avete intorno alla vita di Vasco di
Fregenal, del Maestro Perez, e di Lope de Rueda. E donde
cavate voi questa certezza? Così l’Apologista tremendo in
congetturare, ed argomentare va seminando lite da lite, e provando
l’incertezza coll’incertezza. Di Castillejo è certo solo, che servì di
Segretario a Ferdinando, fratello dell’Imperadore Carlo V., a cui succedè
nell’Imperio di Alemagna; che menò la maggior parte della vita nella Corte;
e che in fine si ritirò vestendo l’abito de’ Cisterciensi, e morì nel
1596.1. Se dovea egli fiorire ne’ primi anni del XVI., se quel che i Greci
dicono ἀκμὴ, vigore, sia dell’età, sia dell’ingegno, il
dimostrò a quel tempo, egli è forza che nascesse nel XV., nè verso gli
ultimi anni, perchè l’esercizio della Poesia, specialmente scenica ne
richiede alquanti. Visse dunque il Castillejo più di un secolo intero? Non è
impossibile; ma si vuol provare, altrimenti da un possibile rarissimo a cui
ricorrete, si presumerà contro di voi, che asserite volontariamente cose non
vere, per giugnere al vostro intento. Di poi non si vede che ondeggiate in
un elemento instabile senza bussola? Avete detto che Castillejo fiorì ne’ primi anni del secolo; e dite poi nella p. 178., che fiorì verso il 1530. Or fino a
quanto per gli Apologisti durano que’ primi anni? Fino a’
30.? a una terza parte del secolo? Così andate cangiando linguaggio, e
perdendo terreno. Dite in oltre ch’ei fiorisse verso il 1530. fino al 40.
Presto dunque bisogna che lasciasse di fiorire chi prolongò la vita sino al
1596., sopravvanzandogli ben cinquautasei
anni
infruttuosi per le Lettere. Sono queste le angustie di
Termopile, o il passaggio delle finestrelle della
Savoja?
Puntella l’Apologista la riferita congettura sul Rueda con un’ altra ugualmente invincibile. Lo Stampatore Valenziano Giovanni Timoneda impresse nel 1567. le Commedie, e i Colloquj del Rueda: ma Timoneda era amico del Rueda, e impresse in Siviglia qualche opera nel 1511.; dunque allora fioriva Lope de Rueda. Non è questa una illazione ben dedotta? Lascio che la parola amico del Rueda porta la marca dell’officina Lampigliana, e la data dell’Edizione del Saggio. Mi ristringo solo a domandare, se pare al Sig. Apologista, che quest’amicizia possa dirsi contratta intorno al 1511., perchè allora quel Valenziano stampò alcuna cosa in Siviglia? Non poteva formarsi venti, trenta, o più anni appresso? E l’avere il Timoneda stampate le Commedie del Rueda dopo la di lui morte, è pruova della loro amicizia? E su tali fondamenti parvi che possa regger la macchina innalzata dalla cieca filautia? Quai ragioni, amico D. Saverio! E poi chiamate deboli le congetture del Signorelli?
Ammetto intanto la correzione già da me stesso fatta anticipatamente nel mio Libro dell’enorme equivoco di aver chiamati Colloqui Pastorali tutte le Favole del Lope, quando tra essi vi sono anche delle Commedie. Intanto in contracambio avverto il Sig. Lampillas a leggere El Viage Entretenido del buon Poeta Agostino de Roxas, che egli forse in fide parentum stimò che fosse una Storia de’ Teatri delle antiche Nazioni, ed anche dello Spagnuolo. L’erudito Bibliografo D. Nicolas Antonio smentisce l’Apologista. Egli dice che Agostino de Roxas Commediante fiorì tra il secolo XVI., e il XVII., e scrisse alcuni Dialoghi intorno al mestiere, e a’ costumi de’ Commedianti, mostrando la loro laboriosissima vita; e il suo Libro impresso in Madrid nel 1583., nel 1603., e nel 1614., ed anche in Lerida, s’intitolò El Viage entretenido. Ora, caro Abate Apologista, alcuni Dialoghi del mestiere, della vita laboriosa de’ Commedianti Spagnuoli, e de’ loro costumi, sono in verità ben altra cosa che una Storia de’ Teatri delle antiche Nazioni e del Teatro Spagnuolo. Bisogna che qualche maladetto incantatore nemico di tutti i Don Chisciotti di ogni specie abbia trasformato quell’Autore ed il suo Libro. Ma non si perda d’animo, Signor Lampillas: trovi qualcheduna delle sue sugose congetture per distruggere il racconto dell’Antonio: veda se vi fosse stato più di un Agostino de Roxas, più di un’opera col medesimo titolo, impressa nel medesimo Madrid, nel medesimo tempo: veda se può dire, che il testo dell’Antonio sia viziato: pensi se qualche Stampatore (come per la sua scoperta apologetica avvenne alle Commedie di Cervantes) avesse cambiato il Libro del Roxas: in somma faccia egli, che farà sempre bene al solito. Mi dica solo; questa trasformazione de’ Dialoghi del Roxas su la vita de’ Commedianti Spagnuoli in Istoria Teatrale antica e Spagnuola, è un errore di lettura, o malignità? Eh Signor Lampillas, per queste vie non itur ad astra, e gli Spagnuoli, e gl’Italiani non passano così facilmente per corrivi delle vostre astuzie. Ma finisca omai questa tiritiera sull’inventore della Pastorale.
Un altro ne riconosce il Signor Lampillas nel nobile Poeta Garcilasso de la Vega. Questo felice ingegno compose alcune ottime Ecloghe, ed una di esse intitolata Albanio sembra al Lampillas un bellissimo Dramma Pastorale. Faccia il Cielo che questo ancora non sia un mulino a vento, preso per un Gigante, una mandra di pecore per un Esercito, una scena di Pupi cangiati in Mori. L’Apologista numera nell’Ecloga nominata cinque Scene, e riconosce il genere, non dall’azione, ma dal numero de’ versi, osservando che anche col toglierne un lungo ragionamento in lode della Casa di Alba (che in vero starebbe acconciamente allogato, se quest’Ecloga fosse un Dramma), resta ancora ricca di versi 1200. Ed ecco il fondamento del giudizio del Signor Lampillas per istallare a Dramma un’ Ecloga, le uscite de’ personaggi e il numero de’ versi. Rapin insegna di siffatte cose? Ottima economia poi sarebbe per un Dramma quella di 1200. versi distribuiti a quattro persone in cinque scene! Noti ancora la Spagna e l’Italia, che l’istesso Apologista, il quale toglie a’ due Pellegrini del Tansillo il titolo di Dramma, che pure ha un’ azione che l’allontana dalle Ecloghe, l’istesso Apologista, dico, chiama coraggiosamente Dramma l’Albanio, in cui non v’ha operazione alcuna compiuta, nel che è posta l’essenza del Dramma, come è chiaro dalla stessa voce1. Così l’egregio Signor Lampillas aspirando (senza saper perché) all’anteriorità della Pastorale, che è l’Itaca che fugge davanti al nostro Catalano Ulisse, ha trasformata una bell’Ecloga in molte parti, tenera, e delicata, in un informe, difettoso, meschino Dramma Pastorale1. Con poche altre di queste opere pie ch’egli presti alla sua Nazione, possiamo dire addio alla Letteratura Spagnuola. Macte, Signor D. Saverio.