ARTICOLO VII.
Su i principali Requisiti per giudicar
dritto de’ Componimenti Scenici, Mente rischiarata, e Cuore
sensibile.
In quale angustia mi riduce l’accusa che son per proporre fattami
dall’Apologista! M’impegna in certo modo a cimentarmi col celebre P. Rapin!
Questo è il modo più proprio per avvilire l’avversario, metterlo a fronte di
un rinomato valentuomo, la cui sola riputazione basta ad opprimerlo. Ma io,
conoscendo me medesimo, mi dichiaro troppo debole per un Atleta sì
esercitato e vigoroso. Concedo ancora, se piace al Signor Lampillas,
che “nella mia Storia nulla io dico intorno
agli affetti che debbe eccitare la Tragedia, che mi assicuri il vanto
sopra il P. Rapin di giudicare drittamente de’ componimenti
Drammatici”
(p. 123.). Riserbomi solo il
ricordargli che io in verun luogo non ho mai ciò preteso, o dimostrato tale
orgoglio; e che il contrastare a qualcheduno un merito, non è lo stesso che
appropriarselo. Or l’accennata mia confessione, per dirla alla Francese, sì
umiliante, basta al rigido Apologista? Essa è dunque
bella e fatta. Tolto me di mezzo, vengasi al P. Rapin, di cui io dissi che
mancava di cuore, per ben giudicare di Poesie
Sceniche, espressione che irrita l’Apologista.
Il Francese Rapin era senza dubbio uno de’ più dotti uomini del suo tempo: le Comparazioni di alcuni Scrittori che ci ha lasciate, non sono già colme di sofisticherie e cavilli, brevi sostegni di scritture momentanee, ma ricche di buona erudizione, di aggiustatezza, e di sapienza: le Riflessioni sulla Poetica fondate nella dottrina Aristotelica spargono lumi utilissimi a profitto degli amatori della Poesia: i suoi Orti hanno una fragranza e un gusto di vera eleganza Latina. Questo è riconoscerne il pregio, e rendergli, col resto degli uomini inclinati alle Lettere, la giustizia dovuta. Ma se i suoi giudizj, specialmente su i Drammi, non sempre corrispondono al suo sapere, egli è forza ascrivere ciò a mancanza di cuore sensibile. Non soffre l’impaziente Signor Lampillas sì ardita proposizione, quasi che io, ciò dicendo, venissi a tacciare d’ignoranza sì celebre Scrittore. E per ribatterla vi si accinge; non col mostrare p. e. un bel passo patetico visto e notato da Rapin, in cui si manifestasse fornito di cuore, ma con allegare un sereno sensato ragionamento, in cui Rapin giudiziosamente afferma che lo Spettatore vuole essere commosso. Ma ciò chiama il Signor Lampillas aver cuore? Io il chiamo intendere. Altro è Mente e Ragione che ben discerne, altro è Cuore e Sensibilità che ben sente: entrambi Requisiti indispensabili a giudicar dritto degli Scenici componimenti. Ma il primo di essi, se si scompagna dal secondo, giudicherà dell’arte, e non del patetico; e sembra che il secondo per senso, trattandosi di commozioni e di affetti, perviene più prontamente del raziocinio a ravvisarli. Quindi è che suol vedersi un popolaccio intenerirsi (e come a tempo!) al pari e più ancora degl’intelligenti, alle lagrime di Alzira, d’Ipermnestra, d’Ines de Castro, e di Pamela; e questo popolaccio non saprebbe tessere un ben ordinato raziocinio giusto e dotto quanto quello di Rapin, acuto quanto potrebbe concepirlo il Signor Lampillas. Le lagrime di questo popolaccio dinotano ch’egli abbia cuore, e dove egli piange, è certo che vi è il patetico.
Non pare a voi, Signor Abate, che così sia? Voi, se la vostra censura non m’inganna, trovereste questo pregio di un cuore sensibile nell’inserire in un libro e quanto ci dissero della parte morale delle umane passioni Aristotile, Cicerone, Plutarco, Marco Antonino, Epitteto, ed altri Stoici, e quanto della fisica e morale insieme trattarono ne’ molti loro volumi La Chambre e Senaut, e nel breve eccellente Opuscolo che intessè sugli Affetti, indirizzato alla Regina di Svezia, l’immortale Filosofo e Geometra Renato Des Cartes. E forse trovereste ancora quel pregio nel saper ripetere tutto ciò che sulla ormai fino a’ barbieri nota diffinizione Aristotelica della Tragedia, sul terrore e la compassione da purgarsi in essa per mezzo di tali passioni, hanno ragionato, esposto, comentato i Robertelli, i Vettori, i Castelvetri, i Piccolomini, i Patrizj, i Riccoboni, i Maggi, i Villani, i Biscioli, i Gravini, gli Einsj, i Dacier, ed altri famosi trattatori di Poetica. Ma io non amo le ripetizioni intempestive fatte unicamente ad ostentazione e pompa; nè questo poi con vostra licenza, manifesterebbe un cuore fatto per sentire.
Or quale è dunque (incalzerà il Sign. Lampillas) la tanto da moderni Saputelli decantata Sensibilità? E’ cosa riserbata al solo Popolaccio? Non la conoscono i Dotti?
Sì, caro Signor Lampillas, i Dotti la conoscono; ed alcuni ve n’ha che ne sono impastati a segno, che non solo ne sogliono ragionare egregiamente, ma conservarla vigorosa fino alla estrema vecchiezza. Oh come la conobbe l’insigne Haller, l’ornamento di Berna, mancato di 69. anni nella Patria alla fine del 1777.! Quale innesto in questo genio raro delle più astruse scienze, e della Poesia più fina! di una Mente sublime oltremodo illuminata, e di un Cuore caldo, vigoroso, oltremodo sensibile! Egli seppe sentire, dipingere, e meditare. Egli sviluppando l’irritabilità della tela nervosa toccò la foce stessa della Sensibilità. Come la conobbe il Filosofo Ginevrino Gian-Giacomo Rousseau! A lui niuno negherà l’aver saputo internarsi negli avvolgimenti tortuosi del Cuore Umano, e filosofare, e meditare, senza punto ammortire la forza sensitiva della natura; di che ha date varie pruove (non fredde riflessioni) e colla sua eloquenza che porta il fuoco da per tutto, e colla vaghissima Pastorale le Divin du Village. La conobbe ancora mirabilmente M. de Voltaire, il quale alla intelligenza scientifica accoppiava la vivacità della fantasia e l’energia de’ sensi, cose singolarmente richieste a sentire, e conoscere se altri sente le passioni e nella società e nel teatro. Io non vò più oltre esemplificare, e tralascio ancora i Redi, i Manfredi, gli Zanotti, Filosofi, e Matematici illustri non meno che delicati Poeti, che hanno dato saggio di Mente illuminata, e di Cuore sensibile, onde si resero giudici competenti di Poesia. Ma come in questo articolo obbliare il tenero, il sensibile alle amicizie dalla sua verde età sino alla decrepitezza, l’immortale Metastasio? E chi negherà a questo Spirito gentile la profonda dottrina, che traluce ne’ suoi Poemi ugualmente, che una indubitata superiore sensibilità? Chi non dipenderebbe da’ suoi giudizj, intorno alla Poesia Drammatica più che da tutti i possibili Rapin, i quali decidono colla penna prima di aver sentito col cuore? I Dotti dunque, Signor Abate, i veri Dotti e conoscono la sensibilità, e se ne pregiano.
Ma vi è anche un altro genere di Dotti, che ne sanno favellare, se volete, e rintracciarne le sorgenti. Questi vi diranno, che sebbene l’Uomo sia nel genere degli animali, è nondimeno composto di un’ Anima immortale, e di un Corpo a lei strettamente congiunto; e che per la prima vanta una Ragione che lo costituisce superiore agli esseri, che ne son privi1, e pel secondo, benchè soggetto a tutte le leggi e forze dell’Universo e di ogni sua parte, si trova dotato di una elasticità e attività di fibbre, e di nervi, che lo rende atto a signoreggiare sul rimanente del mondo animale, minerale, e vegetabile. Vi diranno che questa elasticità di congegnazione, accoppiata a una fantasia mobilissima, forma l’Uomo per natura sommamente sensitivo agli urti degli oggetti che lo circondano. Aggiugneranno, che quantunque in tali forze attive debba riconoscersi una gradazione d’intensità, sia per la disuguaglianza delle organizzazioni, sia per la forza della Mente, che suole felicemente assoggettare il suo compagno, e regolarne la irritabilità, non per tanto sono esse forze comuni a tutta la specie umana. Ma vi confesseranno nel tempo stesso, che, scendendo agl’individui di essa specie, si trovano assai differenti, e qual più qual meno forniti di sensibilità. Il Vecchio p. e. col numero degli anni sentirà ammortiti i suoi sensi e la sua fantasia, e si ravviserà già diventato indifferente agli oggetti, che quelli e questa riguardano; là dove la gioventù tutta senso e fantasia vivacissima, si attacca agli oggetti, che la solleticano con una sensibilità eminente. Il placido Religioso tutto inteso alla contemplazione, coltivando la Mente, lascia per disuso e per riflessione intepidire i sensi e la prima vivacità della fantasia; ma i Selvaggi che sentono più che non pensano, sono estremamente sensibili. Del pari i Dotti, i Filosofi che si deliziano nel coltivare le forze mentali, poco sensibili all’ambizione, e a’ piaceri tengono così compressa l’elasticità de’ sensi, che questi ne tornano ottusi, e la sensibilità del loro cuore è in ragione inversa della loro forza mentale, e reciproca della scarsezza di elasticità de’ loro sensi. Quindi nasce che il Dotto, il Filosofo, riflette meglio, e la gioventù sente meglio, perchè questa tiene in continua azione le passioni, e
“. . . . . . a suo piacer l’aggira“L’odio, l’amor, la cupidigia, e l’ira,”
e quegli esercita continuamente il raziocinio.
Se il calzolajo, il mugnajo, los Chisperos (i fabbri) di Madrid, piangono in teatro al pianto d’Ines, il Dotto che vede l’artificio del Poeta, dove coloro veggono i personaggi imitati, e sentono una passion vera, ride in se stesso del loro pianto: quelli portano al teatro solo il cuore, l’altro soltanto mente e riflessione. Or quella chiamasi sensibilità, la quale poco solleva la voce in petto di quel Dotto. Socrate stesso non andava al teatro se non alcuna fiata alle nuove rappresentazioni di Euripide per l’amicizia, che seco avea. Dicesi che Newton mai non si era curato di udire una Musica. Un Geometra che sentiva lodar la Fedra, diceva, questa Fedra non pruova cosa veruna. Socrate, Newton, il Geometra, pel disuso, e per la contemplazione tutta volta alle scienze predilette, può dirsi, senza derogare al loro sapere, che mancavano di cuore.
La Natura è anteriore alla riflessione; ma se questa occupa tutto l’uomo, intorpidisce la natura, e annienta la sensibilità. Egli bisogna avere una mente illustrata avvezza ad esercitare il raziocinio: ma conservare le forze della fantasia e del cuore per sentire le voci della natura, che è il solo specchio di tutta la Poesia. Così equilibrando con senno le forze della mente, della fantasia, e del cuore, sempre riserbando alla mente il diritto di sovrastare senza tirannía, e al cuore quello di sentire senza trascurare di cedere al freno che lo richiami, ne risulterà un individuo capace di giudicar dritto di tutta l’amena Letteratura, e con ispezialità della Poesia Scenica.
Su tal fondamento possiamo distinguere gli uomini in tre classi: la prima di quelli che riflettono senza curarsi di sentire, come il Dotto imperturbabile; la seconda di coloro che sentono unicamente senza neppure accorgersene, come i selvaggi, i fanciulli, i volgari; la terza di quei, che senza immollare le ali alla sensibilità, fanno servire la Natura e la riflessione, il Cuore e la Mente, a guardarsi dagli errori, e ad essere più sensibili, e perciò più socievoli, più compassivi, più uomini in somma, che pretese divinità.
Ma lasciate le tesi, venghiamo alle ipotesi. In qual classe riporremo Rapin
circa la sensibilità? Egli è da indagarsi ne’ di lui giudizj. Scrisse egli
buone Riflessioni sulla Poetica, benchè in esse in prima
copiasse molte osservazioni Italiane, approfittandosi degli scritti del
Tasso, del Riccoboni, del Castelvetro, e di Paolo Beni, che egli chiamava,
Dottore
in tutto, fuorchè
nella corda che a lui dissonava, cioè quando parla della sua Nazione: di poi
vi censurasse per lo più mal fondatamente gl’Italiani e gli Spagnuoli,
chiamandoli ignoranti nelle regole Aristoteliche, malgrado di non pochi
Italiani ch’egli pur cita e trascrive: e appresso vi attaccasse con armi
fragili, non solo il Poema del Chiabrera e dell’Ariosto, ma quello del
Tasso, e finalmente tratto tratto vi contradicesse e Aristotile, di cui pure
affermava, che on s’égare dès qu’on ne le suit pas, e se
medesimo ancora in più di una censura. Ma con tutte le sue ottime
Riflessioni fatte sulla Poetica in generale, egli intanto conchiude, che
solo “Omero l’incoraggisce, e Virgilio lo riscalda, e gli altri Poeti
lo assiderano, tanto sono essi per lui languidi e freddi”.
Confessi il Signor D. Saverio, che da queste parole traspare non solo scarsezza di sensibilità, ma certa zotica affettata ostentazione di buon gusto. Freddo adunque e languido è per lui Esiodo è Teocrito? de’ quali il primo fu di età non meno che di frase ed espressione, e di naturalezza e semplicità vicino ad Omero, ed il secondo abbonda di tanta soavità, grazia, e delicatezza: così che da essi prese l’Epico Latino non poco di quel fuoco, che infiamma il P. Rapin. Languidi e freddi reputa ancora Pindaro, Simonide, Alceo, Stesicoro, Saffo, e Anacreonte? Lascio Orazio, lascio Ovidio, non che il Tasso e l’Ariesto, e il Camoens, e Dante, e il Petrarca, benchè in essi di bell’ardore si accendano tutti quelli, che ambiscono diventar Poeti, e che trovano le loro Poesie fatte appunto per mettere in movimento la sensibilità. Che se i Greci più sensibili, e vivaci, e pieni d’inimitabile entusiasmo come Pindaro, di fiamme perenni come Saffo, di amorosa delicatezza e vivacità e di poetica leggiadria come Anacreonte, se questi, dico, gelano l’infocato Rapin, come ardirsi a mentovare i Poeti delle moderne lingue? Ma non allontanandoci da que’ Greci, il Signor Lampillas a chi darebbe il pregio della sensibilità, e il diritto di sentenziare in materie poetiche all’Italiano Orazio Flacco, o al Francese Renato Rapin? Questi non trova calore che in Virgilio e in Omero, l’altro, concessi ad Omero i primi onori, osserva che l’elevatezza impareggiabile di Pindaro, la robustezza de’ versi di Simonide, Stesicore, ed Alceo, e la grazia e piacevolezza di quelli di Anacreonte, mai non si rimarranno sepolti nell’obblio. Osserva ancora l’istesso gran Critico e sommo Poeta (oh che grande osservatore, Signor Lampillas!), che
“Ancor respira amore,“Ancor l’intenso ardore“Ferve vivace e spira“Dell’Eolia donzella in sulla Lira1.”
Ha forse dato segno di sensibilità il P. Rapin con non ammettere in quella conchiusione i Tragici e Comici Poeti Greci, i Dominatori delle passioni, come gli chiamava il Presidente Montesquieu? Per concedergliela bisognerebbe non avere studiati altri libri che le di lui Riflessioni: ma ben altri ve ne sono, ne’ quali traspare un cuore delicato e una ragione chiaroveggente.
La Modestia δωρημα καλλιϛον ϑεῶν, il più bel dono degli Dei, secondo Euripide, mi consiglierebde a non parlar quì de’ nostri Poeti. Ma Plutarco mi avverte che havvi certa Verecondia viziosa, che bisogna superare, e perciò non mi asterrò dal favellarne. Domando adunque, se mostri punto di sensibilità questo Critico, il quale, come farebbe tra i gelsomini, e le violette un rinoceronte, rimane nauseato delle amene felicissime descrizioni del Tasso, fin anco dal P. Bonhours appellate maravigliose, e rigetta tutte le delizie del Palagio di Armida con tanto artificio, con tal grazia, e leggiadria delineate dal grand’Epico Italiano? Quanto più l’Eroe comparisce tutto pieno dell’amor della gloria, e virtuoso, e incapace di cedere alle insidie comunali donnesche, tanto più di arte manifesta il Poeta nel farne avvenire il cangiamento con verisimilitudine, per insegnarci a star sempre vigilanti; e le Grazie stesse par che gli abbiano porta la mano, e scelto il pennello per dipingere quel cumolo di piaceri col colorito di Tiziano, colla espressione di Raffaello, e colla grazia di Correggio. Ma Rapin, Senocrate novello, insensibile a tante venustà, recherebbesi a onta il fermarvi gli alteri sguardi, e solo si affretta a decretare, che quelle mollezze disdicono all’Epopea. E in qual nuovo Aristotile ha ciò appreso? E crede che l’Epopea non debba narrare se non orrori, ammazzamenti, e Antifati, e Scille, e Ciconj, e Polifemi, e Lestrigoni, senza esserle permesso di descrivere gli antri di Calipso, gl’incanti di Circe, i giardini e i conviti di Alcinoo, il canto di Demodoco sulla rete fabbricata da Vulcano per inviluppare Venere e Marte? In tal giudizio manca la mente e il cuore.
Col medesimo fondamento esclude dal Poema Epico le compassionevoli avventure
di Erminia che si rifugge a un tugurio pastorale. Egli volle perciò regalare
il Tasso dell’Humano capiti di Orazio, copiando
Quintiliano, quando parla del vizio Oratorio detto da’ Greci κοινισμος,
miscea di varj dialetti. Il Tasso (dice Rapin) “è assai difettoso
perchè frammischia nel suo Poema il carattere piacevole al serioso, e
tutta la forza e la maestà dell’Epica Poesia alla delicatezza
dell’Ecloga e della Poesia Lirica”.
Apparisce primieramente in
tal censura e la poca sensibilità di Rapin per la parte patetica de’
componimenti, e la falsità della dottrina, per cui non permette alla Epopea
altro che un solo genere di narrazione, contrariando agli esempj di Omero e
di Virgilio senza sostegno di verun Maestro. Di poi s’imputa al Tasso una
mescolanza di carattere piacevole al serioso a cagione delle disgrazie di
Erminia, che tanti patetici movimenti risvegliano in altri cuori. La
compassione forse, e il disastro che la sveglia, è una piacevolezza? E dove
trovasi lo scherzevole, il dilettoso, le badin nel
Canto VII. della Gerusalemme? Egli è badiner l’avvenirsi
ch’ella fa in Pastori tranquilli, liberi da appetiti e dall’ambizione, ma
per altro i più serj del Mondo? E dove vede l’Ecloga in quel Canto? Rifiuta
poi i Pastori l’Epopea? E l’esempio di Omero come potè sfuggire all’acutezza
del Critico? Nel XIV. dell’Odissea Ulisse non conversa lungamente con Eumeo
guardiano di porci? Aristotile non disse
che
nell’Epopea entrano i personaggi migliori, peggiori, e simili? Perchè dunque è quì
abbandonato da Rapin che si protesta volerlo seguire
costantemente? Oltre a ciò i Pastori del Tasso mettonsi forse a scherzare
buffonescamente per rallegrare Erminia? Nulla di questo. E pure il maestoso
Virgilio che riscalda sì bene il Rapin, mischia in fatti in certo modo il
piacevole al serio, inserendo nel suo gran Poema l’eccellente descrizione
de’ Giuochi Ginnici al Sepolcro di Anchise, imitata da quelle dell’uno, e
dell’altro Poema di Omero; e in essa oltre al piacevole si sveglia certa
specie di ridicolo per l’avventura di Darete. Così Rapin con sì famosa
censura travia, s’ègare, perchè si allontana dal suo
Aristotile, e dal calore di Virgilio (con pericolo di stecchirsi) per
motteggiare sinistramente il Tasso. Or quì, in vece di sensibilità (che gli
mancò, o compresse per astio contro dell’Epico
Italiano), non trova il Signor Lampillas quell’umor nero, melancolico,
misantropo, schernito dal perspicace Boileau?
“On peut être à la fois & pompeux & plaisant,“Et je haïs un sublime ennuyeux & pèsant;“J’aime mieux Arioste & ses fables comiques,“Que ces Auteurs toujours froids & mélancoliques,“Qui dans leur sombre humeur se croiroient faire affront,“Si les Graces jamais leur deroidoient le front.”
Non pare che questo Critico, che vale assai più del vostro Rapin, abbia a
dirittura voluto contrapporsi alla censura ingiusta fatta contro del Tasso?
Un giudice che avesse sensibilità e gusto pari alla dottrina, nel leggere il
Poema del Tasso, deciderebbe
così: “Riguardo
all’Iliade domandi a se stesso ogni lettore che penserebbe nel leggere
la prima volta l’Iliade e la Gerusalemme, senza sapere i nomi de’ loro
Autori nè i tempi, e senza pigliare altro giudice, che il proprio
piacere. Potrebbe egli negare in tutto la preferenza al Tasso? Non
troverebbe nell’Italiano più condotta, più interesse, più varietà, più
aggiustatezza, più Grazie, e una certa mollezza
contrapposta al sublime” (per non toccar sempre la stessa corda?
Aspettate che passino altri secoli, e forse non se ne farà più
comparazione).
Vi pare, Signor Lampillas, che questo giudice,
che si accorda col sentimento del Boileau, e diametralmente si oppone alla
censura di Rapin, deciderebbe con imparzialità, se fosse Italiano? Questo
sarebbe, vi sento rispondere, pintar como querer,
dipingersela a suo modo. Nò, gentilissimo Signor Abate, questo giudice non è
immaginario, non è stato da me personificato, non è Italiano: egli è
Francese, dotto, sensibile, atto a decidere sulla Poesia Epica; è M. de
Voltaire, che in tal maniera decreta nel Capitolo C. del Saggio
della Storia Universale.
Nè sesibilità nè maestria io trovo in chi pensa come Rapin (Rifles. XXIV.), che in Teatro nulla vaglia tanto a dilettare, quanto la Sorpresa. La Sorpresa non si vuole escludere dal Teatro, e nelle Favole specialmente ravviluppate può tirare l’attenzione dell’Uditorio: per la qual cosa l’adoperano immoderatamente coloro, che si compiacciono di Favole romanzesche. Ma essa apporta un piacere, che in ciascuna rappresentazione va scemando, perchè cessa di essere sorpresa. E nell’intento di eccitare la compassione, essa non solo nulla quasi contribuisce, ma sovente nuoce, e chi la insinua mostra tutt’altro che sensibilità. Essa è in somma un puro colpo di Teatro. Il Poeta, che disegna intenerirci alla morte di un Eroe, lungi dall’occultarcene gl’indizj per sorprenderci, incomincia dall’interessarci per lui, e ne va spargendo qualche dubbio, e la compassione a poco a poco va fermentando, finchè all’evento si scioglie in lagrime. Poteva Rapin osservar ciò in Virgilio nella morte di Pallante: egli c’innamora di lui, ci rende solleciti del suo rischio, ci eccita in fine pietà pel di lui destino. Poteva osservarlo negli antichi Tragici, nell’Edipo di Sofocle, nel disegno di Medea sui figli in Euripide, e in Seneca, nelle Troadi di quest’ultimo per Astianatte &c. All’incontro, in cambio di Rapin, il suo Encomiatore e Confratello può osservare nelle Poesie di Ossian come la morte di Aganateca, che avviene senza, che il Lettore l’attenda, anzi che intenerirci, c’istupidisce, e passiamo, senza compiangerla, ad altri oggetti, che il Poeta ci presenta. Questa dottrina compresero ancora il dotto Gravina, e l’Enciclopedista M. Diderot.
Nè migliore, nè più sensibili giudice si manifesta il P. Rapin nel dire, che niuna cosa fa la bellezza delle Tragedie, se non i ragionamenti appassionati. Egli prende l’effetto per la cagione, e commenda per bellezza principale ciocchè è solo una conseguenza di quello, che effettivamente la produce. E come spera egli bei discorsi appassionati, se la favola bene ordinata, ben costumata, non desta l’interesse per un personaggio collocato in situazioni deplorabili, e non suggerisce i discorsi appassionati? Manchi l’artificio della favola e del costume, e voi vedrete isterilire la fertilità, e la sensibilità del miglior Tragico. Le parole, la sentenza, sieguono la cosa, il fatto:
Verbaque provisam rem non invita sequentur.
E che mancava a Corneille, a Racine, a Voltaire per fare discorsi appassionati nell’Agesilao, nell’Alessandro, negli Sciti? Intanto essi in tali favole sembrano meno eloquenti e meno appassionati, che non sono nel Poliuto, nella Fedra, nell’Alzira. Onde tal differenza? L’orditura di una Favola bene scelta, e ben disposta, lo stato delle passioni, le situazioni tragiche, svegliano nella rappresentazione l’interesse, e prima nel Poeta l’entusiasmo, che gli dà anima, vivacità, calore, e per conseguenza discorsi ora sublimi, ora maravigliosamente appassionati:
. . . . . Cui lecta potenter erit res,Nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo.
Io non voglio Signor Lampillas, accumular quì tutte le false applicazioni
fatte dal Rapin della Dottrina Aristotelica agli esempj delle altrui Poesie,
perchè di molto mi dilungherei, nè l’oggetto di questo mio discorso è il
formare Autos contro Rapin, bensì il desiderio di
scagionarmi presso di Voi. Dico solo, che troppo vi è da spigolare nelle di
lui bellissime Riflessioni, e che un cuore, che si è mostrato sì poco
sensibile alle grazie, alle delicatezze, al calore, al patetico della
maggior parte degli ottimi Poeti antichi, e moderni, poca impressione dovea
fare nel vostro buon gusto, e non riscaldare il vostro zelo in sua difesa,
perchè io
dissi, che in quanto accennò delle
Tragedie del Trissino, e del Tasso, dimostrò mancar di
cuore per giudicarne drittamente. Senza ciò come non avrebbe scorto
il patetico di Euripide in quelle cose, che io scelsi di esse Tragedie? Non
vi si vede a maraviglia dipinta la natura, che soffre? espressa con
sentimenti non languidi, non freddi, ma vivaci, animati, spiranti tutto il
calore della passione, tratti dall’intimo del cuore umano? Appello al
sentimento interiore del Signor Apologista, e alla di lui imparzialità e
buona fede, sempre che voglia leggere quei Drammi, fatto però
anticipatamente uno sforzo generoso contro a’ pregiudizj
nazionali, per portare a tal lettura vista chiara e mente serena.
Vedrà allora, che quegli aurei spezzoni sfuggirono al Rapin per mancanza di cuore. Vedrà poscia con altr’occhio la difesa, che ne
imprende con più calore, che avvedutezza, e con certo tono un poco troppo
acuto, che può obbligare altri a rispondere in consonanza. E forse, senza
derogare interamente alla stima, che per altro merita per ogni riguardo il
P. Rapin, il cancellerà pure dal lato del P. Brumoy, che si distingue per
erudizione, per gusto, e per sincerità. E forse il Signor Lampillas non
rimarrà pago di ciò, che scrisse nella p. 193.: “Ma
dove trovare ne’ moderni censori del nostro Teatro quelle qualità
necessarie a giudicar dritto delle opere d’ingegno che noi ammiriamo in
un Brumoy e in un Rapin?”
Dove? Vel dirò io. In coloro che
mostrano, e possono mostrare a tutte le ore sempre con nuove prove, che
sanno distinguere il merito di Rapin da quello di un Brumoy, il quale ha
dato a divedere nel suo Teatro
Greco di quanto per ogni banda si eleva sulle Riflessioni, e su’
Rapin. Ditemi, per vostra fe, avete voi fatto simili esami prima di trarre
colpi da orbo? E se non ve ne siete curato, come vi arrogate il dritto di
decidere? di sentenziare, gonfiando la bocca, Noi
ammiriamo? di collocargli amendue in un seggio? Non vò dirvi di chi
è figlia l’ammirazione. Neppure vò riferire certi versi Oraziani dell’Arte
Poetica dell’evento, piacevole per gli astanti, di chi si mette in danza a
giocare alla palla, al disco, al trottolo, e a maneggiare altri simili
campestri arnesi.