ARTICOLO III.
Se ne’ secoli XIV., e XV. gl’Italiani
ebbero Poesie Sceniche.
Entro malvolentieri in certe quistioni, nelle quali veggo l’avversario traviato, non per debolezza d’intendimento, ma per difetto di volontà. Detta la propria causa di scoprire la sorgente dell’errore, ma intanto ne soffre la moderazione sempre bella nelle difese. Sforziamoci di dar luogo alla verità, e di contenere ne’ confini dell’urbanità l’espressioni.
Potrebbe [l’Italia] pretender questo vanto [di anteriorità sopra la Spagna
circa la Drammatica] “nel secolo XIV., se fosse certo ciò che scrive
l’Autore della Storia Critica de’ Teatri, cioè che la Poesia Drammatica
a imitazione degli Antichi
rinacque in Italia nel secolo XIV.”
1.
Come avrebbe potuto scrivere tali parole chi avesse letto il II. Capo del
II. Libro della Storia de’ Teatri? Intanto l’Apologista per confutarlo ha
dovuto leggerlo, e pure con disinvoltura ammirabile le ha scritte e stampate
in Italia. Or come si chiamerebbe quel non mostrarsi inteso di ciò che
certamente vi ha letto? quel sopprimere i fatti che vi si narrano? Zelo
patriotico, acutezza, ingegno? o piuttosto inganno, artificio, astuzia,
stratagemma? Il dritto delle Genti accorda nelle Guerre le insidie, gli
agguati, le sorprese, le finte: sono tali cose ugualmente accordate nelle
contese letterarie? Pare a me che in queste si permetta il ragionare, ma non
occultare il Vero e tradir l’Onesto: parmi che l’Onesto e il Vero debbano in
queste preferirsi mai sempre alla meschina glorietta di confondere e
soppiantare per qualunque via l’avversario. I cattivi e inonesti Avvocati, i
Legulei, le Rabule, le Arpie Legali pur troppo sogliono adoperare queste
armi vergognose dell’impostura in sostegno delle loro ingiuste cause. Ma
credo che il Filosofo, il Letterato, debba mirarle con nobile con virtuoso
orrore. Se però all’Apologista parrà dicevole l’usarle, vediamo noi, senza
impacciarcene, di ribattere le sue parole.
Non trova l’Apologista nella storia Scenica Italiana di quel tempo altra cosa eccetto che alcune rappresentazioni, nelle quali il giudizioso Tiraboschi riconosce soltanto un popolare spettacolo e una muta rappresentazione. Questo nostro valoroso Istorico ciò afferma per la rappresentazione rammentata dal Vasari e descritta dal Villani, come ancora per altre sacre rappresentazioni mentovate dal Muratori. E in ciò avrà più di un compagno. Ma il Signor D. Saverio Lampillas non altro ha trovato nella storia di quel Secolo, che tali mute rappresentazioni? Egli dunque ha letto assai alla sfuggita ciò che si narra nelle pagine 189. 190. e 191. della Storia de’ Teatri. Ivi si rapportavano tre Tragedie e due Commedie atte a dimostrare, che sin da allora gl’Italiani attesero a far risorgere la Scenica Poesia. Gran salto cogli occhi dovè fare l’Apologista per non vedere registrate nel mio Libro l’Achilleis, e l’Eccerinis Tragedie Latine del dotto Padovano Albertino Mussato! Le credè forse mute rappresentazioni? Esse sono (il sappia l’Apologista a suo dispetto) Favole Tragiche divise in cinque Atti, scritte in versi Giambici con uno stile facile, e per quei tempi non inelegante, e coll’intento d’imitar Seneca, a cui per altro rimane inferiore. Non è questo imitar gli Antichi? Non son queste TRAGEDIE DEL XIV. SECOLO? Nè anche vide ivi addotta la notizia della Tragedia, a noi non pervenuta, di Giovanni Manzini della Motta, rammentata però in una delle Lettere Latine dell’Autore, il quale nell’idearla vi ebbe il merito di mettere in iscena, al pari del Mussato, una storia nazionale, cioè la caduta di Antonio della Scala Signore di Verona. Chiuse parimente gli occhi per non vedervi riferita la Filologia Commedia del dolcissimo Petrarca, ch’egli però non volle conservarci; ma, ad onta della delicatezza di questo grande ingegno, che fu uno de’ primi promotori dell’erudizione Greca e Latina, verisimilmente essa dovea essere Commedia ragionevole, se non perfetta. Finalmente si lusingò l’Apologista di potere col suo savio silenzio coprire l’altra Commedia di quel tempo da me rammentata del dotto Pier Paolo Vergerio il Vecchio nato circa il 1349., intitolata PAULUS COMŒDIA ad juvenum mores corrigendos, che si conserva MS. in un Codice dell’Ambrosiana di Milano. Compatirei il Lampillas, come straniero, del non aver lette le Opere del Mussato, nè la Raccolta degli Scrittori delle cose Italiche del dottissimo Muratori, nella quale si rapportano le di lui Tragedie, e di non aver contezza della Commedia ESISTENTE del Vergerio. Ma come compatirlo, quando io le avea riferite nella mia Storia, e il Ch. Tiraboschi ch’egli scartabella e combatte ma non abbatte, ne ha pure favellato? Da ciò quali conseguenze volete che si deducano, Signor D. Saverio? Voi pretendete essere ingenuo, abborrite la mala fede degli Stranieri, vi pregiate d’imparzialità: dobbiamo dunque conchiudere, che non sapete ben leggere l’Italiano e il Latino? Dura sarebbe tale conseguenza, ma vergognosa quella che si tirerebbe contro della vostra onestà.
Adunque gl’Italiani possono ben dire colle pruove alla mano di CINQUE DRAMMI, che nel SECOLO XIV. cercarono di ricondurre in Europa la Drammatica imitando gli Antichi; il che non tentò verun’ altra moderna nazione prima della Italiana.
Ma il Quadrio (osserva l’Apologista) tiene per difettose le antiche produzioni Italiane teatrali. Nè io nego che alcun difetto possa notarvisi: come se ne possono notare ne’ buoni Drammatici Greci, non che in quelli che precedettero ad Eschilo, e come se ne notano in Seneca e in altri Drammatici Latini. Ma mi dica il Signor Quadrio, o il Signor Lampillas per lui, le composizioni di Livio Andronico, di Ennio, di Nevio, di Pacuvio, di Accio, erano meno Drammi scritti ad imitazione de’ Greci, per non essere esenti da difetti? Sincerità, Signor Lampillas, uguale alla perspicacia. Osservo però di volo, che il Quadrio, la cui inesattezza e i sovente non sani giudizj sono pur troppo noti, per Voi solo tratto tratto cangia natura. Se censura gli Spagnuoli, per Voi è un baccalare de’ precetti poetici: se scredita gl’Italiani, è un Letterato eruditissimo. Chi di Voi due è un Proteo?
Della stessa maniera si governa il Signor D. Saverio nel secolo XV. Dissimula francamente ciò che si narra nella Storia de’ Teatri: tanto più in tal tempo degno di riconvenzione, quanto è maggiore il numero de’ Drammi Italiani. Egli parla soltanto delle rozze e sacre rappresentazioni riprese dall’erudito Quadrio.
Ma era una rozza sacra rappresentazione la Progne Tragedia Latina di Gregorio Corraro pregiata secondo il Giraldi, da moltissimi letterati, e dal Maffei, e da quanti amano la regolarità e l’eleganza? Dice il Quadrio che fosse una rozza rappresentazione sacra la Tragedia dell’erudito Giovanni Sulpizio rappresentata in Roma sotto il Pontificato d’Innocenzio VIII.? Furono rozze rappresentazioni quelle di Carlo Verardi? Fu sacra rappresentazione la Tragedia del Laudivio della morte del Piccinino? Era sacra e rozza rappresentazione l’Orfeo tragica Pastorale in idioma Italiano del celebre Angelo Poliziano? Erano sacre e rozze rappresentazioni le Commedie Latine del medesimo secolo, la Polissena del dottissimo Leonardo Bruni, il Philodoxeos del celebre Leon Batista Alberti, la Philogenia di Ugolino da Parma, il Joseph di Pandolfo Collenuccio? Erano infine rozze e sacre rappresentazioni le Commedie Italiane del medesimo tempo, la Catinia traduzione della Latina di Secco Polentone Lusus Ebriorum, i Menecmi, il Cefalo Pastorale del Correggio, il Timone del Bojardo, l’Amicizia del Nardi, della quale soltanto dice qualche cosa l’Apologista? Ora tutte queste sceniche produzioni del secolo XV. che il Lampillas non cura di vedere, non danno al Signorelli dritto di affermare, che fra noi crebbero con tutta prestezza gli studj scenici, e che attendendo alle dipinture de’ caratteri e delle passioni, ed altri meriti de’ Drammi lodati, giustamente si asserisce che allora si coltivò la Poesia Scenica giusta la forma regolare degli Antichi? Queste cose io narrai nella mia Storia, che il Signor Abate Lampillas vuol non vedere, tutto che le vegga e le palpi; queste io dissi di presentare a’ poco instrutti dell’Italica Letteratura. Il Signor Lampillas, cui incresceva di ciò vedere, volle dare ad intendere, che io poteva sì bene spacciare queste cose co’ poco instrutti, ma non con gl’illuminati, e bene informati della nostra Letteratura, tra’ quali conta forse sestesso. Così dopo di aver commesso un manifesto delitto contro la veracità propria dell’uomo onesto, dopo di aver dissimulati, a guisa di un astuto inonesto Curiale, i fatti istorici innegabili, si lusingava il buono Signor Lampillas di uscir dal giudizio impunito con una (perdoni se nomino quì, come diceva Aristofane, zappa la zappa) con una buffoneria, fidando forse nel verso Oraziano,
Solventur risu tabulæ, tu missus abibis.
Ma gl’instruiti sanno che il mio racconto è verace, e autenticato dalle prove, da’ passi degli Autori, e dagli Scritti stessi de’ riferiti Drammatici (che quì non si tratta di Drammi immaginarj come quelli del Vasco Dias, nè delle Mille Tragedie del Malara conservate nella Biblioteca della Luna); e i mal instruiti aveano bisogno di chi glielo dicesse. Di buona fede, se è possibile, Signor Lampillas, mi direste, se, prima di leggere i Libri del Tiraboschi, e del Signorelli, sapevate che avessero mai esistiti al mondo nostro tali Drammatici Italiani del XV. secolo, che inutilmente fingete di non sapere ancora? Nè il Nasarre, nè l’erudito Montiano, nè il Signor Sedano, nè molti altri vostri dotti compatrioti che tralascio, diedero mai mostre di saperli. Io dunque diressi quelle notizie ad instruirne chi non le sapeva; e se Voi con questi altri gl’ignoravate, rimanete incluso nella lista de’ poco instruiti, che se poi ad arte fingete di esserlo tradite l’onestà. O bere, o affogare, Signor Lampillas, dicono gl’Italiani: o passar per non instruito, o confessar la mala fede. Scelta dolorosa tra il pugnale, e la pistola!