ARTICOLO II.
Se i Mori Spagnuoli ebbero Poesia
Scenica.
Si dimostrò nella storia de’ Teatri, che i Mori-Ispani non si dilettarono di Scenica Poesia. Pure l’Apologista, scortato da Nasarre e fidato nelle forze del proprio ingegno, vorrebbe in ogni conto trovarla fra loro; nel che parmi che corra dietro alla pietra Filosofale o alla Elitropia di Calandrino. E perchè il Signorelli, consultando il Saggio della Poesia Arabica, e la Biblioteca Arabico-Ispana dell’erudito Signore Casiri, affermò che questo Bibliografo diceva nettamente che gli Arabi non conobbero gli spettacoli teatrali, l’Apologista intoppò in quel nettamente. Mi conviene qui ripetere, che giusta il Casiri, gli Arabi non rappresentarono, secondo il costume Europeo, nè Tragedie nè Commedie, e che niuno Scrittore dice che ne avessero scritte. E ciò non equivale a dire nettamente che essi non conobbero, ovvero (per non dar presa alle sottigliezze) non coltivarono gli spettacoli teatrali? Insieme colle Arabe Poesie si è conservata memoria di tanti puerili contrapposti, giuochi di parole, e acrostichi adoperati da’ verseggiatori Arabo-Ispani; e intanto nè opera veruna di Poesie sceniche, nè memoria di esse trovasi in veruno Scrittore, e ciò non basta ad affermare che non ne avessero? E perchè ne avrebbero essi scritte, se il dotto Casiri ci dice nettamente, che non aveano per usanza di rappresentarle?
Dell’argomento del Signor Lampillas tolto dalla coltura degli Arabi, vedrà egli stesso la debolezza. Dicami di grazia, non potrebbe un Popolo Asiatico essere competentemente colto, e non compiacersi de’ divertimenti Europei? Colta era la Spagna prima della metà del secolo XVI., nè allora coltivò gran fatto la Drammatica. Dotta e colta sotto Francesco I. era la Francia, e gli spettacoli scenici erano rozzi ed informi. Gli Alemanni aveano de’ Leibnitz, e tuttavia ascoltavano in Teatro Giovanni Salciccia. Creatore della Nazione Russa, ammiratore delle arti e delle scienze degl’Inglesi, degli Olandesi, de’ Francesi fu Pietro il Grande, inoltre, amava la magnificenza e le feste, nè si dilettava di sceniche rappresentazioni. Adunque le danze, le quadriglie, le musiche, e giuochi di canne, i tornei, e simili feste potevano empiere talmente il gusto de’ Mori di Spagna, che non dessero loro luogo a desiderare altri spettacoli, tuttochè Averroe avesse scritta una parafrasi della Poetica di Aristotile. E quantunque volesse supporsi che tal parafrasi corresse di mano in mano per tutti i Mori Spagnuoli; ciò appunto meglio svilupperebbe il loro genio avverso agli spettacoli scenici. Ma quanti di essi si saranno curati di leggerla! Sa bene il Signor Lampillas quanti Libri rimangono sepolti nelle Biblioteche per non essere del gusto e dell’indole generale della Nazione, e quanti altri all’opposto non con altro condimento accomodati eccetto di quello di secondare i pregiudizj e la vanità de’ paesani, corrono per qualche anno.
Prende l’Apologista un altro argomento da ciò che scrisse il Signorelli d’intorno a’ trovatori della Drammatica, cioè doversi attribuire alla maggior parte delle nazioni. La Natura (argomenta) accoppiata all’Arte come mai non insegnò agli Arabi l’idea de’ Giuochi Scenici in più di sette Secoli? E se il lusso e la mollezza (aggiugne) arrivò tra Mori Spagnuoli all’eccesso, pel desiderio di piacere alle Donne e gli rese fecondi di tante festive invenzioni, come restarono tra loro sconosciuti gli scenici spettacoli? Io non so come in sì deboli argomenti fondi la sua Apologia il Signor Lampillas uomo per altro di talento! Appunto per questo (vi rifletta bene l’Apologista) essi neglessero gli spettacoli scenici, perchè pieni erano e paghi di tante loro invenzioni festive, che rendevangli sicuri coll’esperienza di piacere alle Donne. Il lusso forse e la mollezza, prendono sempre gli oggetti stessi, gli stessi mezzi per ispiegarsi? Un Filosofante acuto, come il Signor Apologista, non affermerà simil cosa, purchè voglia far uso del suo criterio, e scorrere col pensiero per le Nazioni. Oltre a ciò quando mai ha il Signorelli asserito che tutte le nazioni, formate appena inventano la Drammatica, benchè egli la tragga dalla natura dell’uomo? Tardi Roma udì quest’impulso naturale, e sull’esempio de’ Drammi Greci della ludrica Etrusca, e delle Farse Osche coltivò la Poesia Scenica. E pure già competentemente colta sapea e darsi leggi, serbar riti religiosi, e governarsi, e guerreggiare e vincere, e fabbricare con istupenda solidità e magnificenza, e verseggiare, e dilettare il Popolo con feste e giochi. Gli abitatori delle Arabie forse un tempo, alterandosi le loro usanze, sentiranno quel conato che spinge l’uomo alla imitazione dell’uomo per giuoco. I Mori Ispani occupati in istabilirsi negli stati conquistati, in rendersi indipendenti dell’Africa; in combattere coi Regni nascenti e poi adulti di Lione, di Castiglia, di Navarra, di Portogallo, mai sempre in tempeste ne’ sette o otto Secoli; e dall’altro canto soddisfatti negl’intervalli di ciò che amavano ed esercitavano per usanza inveterata, non ebbero agio nè di studiare la Parafrasi di Averroe, nè di dare alla spinta naturale d’imitazione altro cammino e novelli oggetti. Che se per le colpe de’ Cristiani la Provvidenza avesse loro duplicate le forze della mano e del senno, se da’ loro acquisti sorta fosse, invece di varj piccioli dominj una sola potente Monarchia, o al più due, forse il loro Regno durerebbe tranquillo e rispettato, e forse ad esempio di altre colte nazioni, cangerebbero oggetti, così riguardo alla Filosofia, rigettando la Peripatetica, come alla Poesia rifiutando i frivoli giuochetti meccanici della loro versificazione, e camminerebbero sulle tracce di Galileo e Newton, di Virgilio e di Omero, in cerca della Natura; e chi sa che non ne nascesse un Euripide Moro?
Rimane ora a ribattere un altro argomento dell’
Apologista. “Chi non sa (egli dice) quali e quante siene state le
vicende dell’Imperio Africano in Ispagna, niente inferiori a quelle del
Greco e Romano Imperio? Se dunque le vicende di questi seppellirono
sotto le loro rovine tanti componimenti Drammatici Greci e Latini, non
fia maraviglia che sotto le rovine dell’Imperio Arabico in Ispagna sieno
restati sepolti molti componimenti Arabo-Drammatici.”
Pare che
il Signor Apologista abbia voluto serbare per le ultime fortune il più
debole, il più inefficace de’ suoi argomenti. Molti componimenti Greci e
Latini sono periti: ma tanti ne sono rimasti da provarci il loro studio in
questo genere. Se dunque le tante vicende di quest’Imperj (maggiori oltre
misura di quelle dell’Arabico) non ci hanno privato interamente de’ loro
Drammi, le vicende dell’Arabico in Ispagna, potevano rapirci la maggior
parte di simili Poesie, ma non mai tutte, se ve ne fossero state. In oltre
tra’ Greci e tra’ Romani, smarriti i componimenti Scenici, furono nondimeno
rammentati in altri libri di quelle nazioni; là dove ne’ libri degli Arabi
conservati in varie Biblioteche non vi ha un solo Autore che mentovi un
Dramma Arabico1. Finalmente tra’ Greci e tra’ Romani,
quando tutti i libri soggiaciuti fossero a un incendio generale,
rimanevano sempre in piedi tanti parlanti testimonj di
tali studj nelle rovine de’ loro Teatri: ma in Ispagna in poco più di tre
Secoli, benchè di altri Arabici edificj trovinsi oggi molti avanzi
considerevoli, per qual fatalità non è rimasta pietra di verun Teatro
Moro-Ispano? Faccia il Signor Lampillas il confronto di
questi argomenti co’ suoi, e di buona fede ci dica, quali di loro
preponderino nel suo perspicace del pari e imparziale giudizio.