TOMO V. LIBRO VII
ADDIZIONE I*
Composizioni
del Mairet: meschinità del teatro
francese.
Giovanni Mairet nato in Besanzone nel gennajo del 1604, e quivi morto nel gennajo del 1686, studiando i tragici italiani, dotato d’ingegno e di sagacità, si attenne alle regole precritte dal verisimile quasi in tutto ciò che compose. Lasciando di favellare delle sue prime tragicommedie la Criseide, la Silvia, e la Silvanira, ossia la Morta viva, egli sulle tracce del Trissino produsse la sua Sofonisba; e benchè nell’imitarlo variasse la condotta della propria favola, osservò non per tanto le tre unità1; ed il popolo nella rappresentanza seguitane nel 1629, ad onta de’ difetti che vi notò, e della debolezza dello stile, ne sentì il pregio, e l’applaudì. Nè dopo che lo stesso Pietro Cornelio ebbe trattato quest’argomento, il pubblico si dilettò meno della Sofonisba del Mairet 2. Avvenne in fatti, che mentre rappresentavasi quella del Cornelio, molti spettatori correvano alla tragedia del Mairet, e dopo lo spazio di trent’anni in cui si andò tratto ripetendo sul teatro francese, si manteneva ancora. Scorgesi il giudizio del Mairet nelle alterazioni fatte alla storia di quella regina, facendo morir Siface in battaglia, per evitar che si vedesse Sofonisba con due mariti vivi, ed aggiungendo, per destar compassione, alla morte di Sofonisba quella di Massinissa, che secondo la storia visse sino all’estrema vecchiezza. Tralle situazioni notate come inimitabili dal generoso ingenuo P. Cornelio nella tragedia del Mairet, egli novera il contrasto di Scipione con Massinissa, e la disperazione di questo principe. Contuttociò lo stile del Mairet rimane assai inferiore alla sublimità di quello del Cornelio, e l’impudicizia che Siface rimprovera alla moglie, e gli artifizj ch’ella adopera per ingannarlo, offendono la decenza e la gravità tragica. Mairet compose altre due tragedie non molto inferiori alla Sofonisba, le quali si rappresentarono nel 1630, cioè la Cleopatra favola ben condotta, ed il Grande ed ultimo Solimano regolare, ed interessante, in cui l’autore afferma di essersi prefisso di vestire alla francese il Solimano del conte Prospero Bonarelli 1.
ADDIZIONE II*
Versi pregevoli
di P. Corneille.
Chi non sente a un tempo stesso elevarsi e commuoversi a ciò che dice Orazio al cognato Albe vous a nommè, je ne vous connois plus? Qual diletto poi, e qual maraviglia non si prova alla risposta di Curiazio,
Je vous connois encore, & c’est ce qui me tue!
ADDIZIONE III*
Osservazioni sul
Cinna.
Incomparabili sono certamente questi versi, che disviluppano i sublimi sentimenti di un anima grande. Incresce non per tanto che a conseguire un pieno effetto in tutti i tempi, si oppongano le due seguenti osservazioni. L’una è che da Augusto vien Cinna troppo avvilito con dirgli: “tu faresti pietà anche a chi invidia la tua fortuna,
Si je t’abbandonnois à ton peu de merite;
per la qual cosa non ebbe torto quel maresciallo de la Feuillade, che ciò udendo esclamò; oimè! tu mi guasti il soïons amis, Cinna, potendosi bene un uomo clemente indurre a perdonare una persona spreggevole, ma non già a divenire amico di chi manca di merito e di virtù. L’altra osservazione è che l’ozioso personaggio dell’imperatrice Livia nuoce molto in questa tragedia coll’esortare Augusto ad esser clemente, perchè gli toglie il merito di quel glorioso perdono.
ADDIZIONE IV*
Sul
Nicomede.
Quantunque il Nicomede non iscarseggi di difetti, nè sia argomento che si elevi alla grandezza e al terror tragico sì pel viluppo che per la qualità de’ caratteri di Prusia, di Arsinoe e di Flaminio; pure il cuor grande di Nicomede innamora, e porta la magnanimità a un punto assai luminoso.
ADDIZIONE V**
Pratica di Giovanni
Racine.
Racine nato in Fertè-Milon nel dicembre del 1639 e morto in Parigi nell’aprile del 1699, lasciò tralle sue carte il piano del primo atto di una Ifigenia in Tauride, dal quale apparisce che questo gran tragico moderno, prima di mettere in versi qualche favola, formatone il piano, la scriveva in prosa; e poichè ne avea disposte tutte le scene, diceva di aver fatta la tragedia, tuttochè non ne avesse composto verso veruno; ed egli avea ragione. Quindi veniva la facilità mirabile che avea nel verseggiare (facilità ignorata dall’imperito cianciatore Vicente Huerta il quale in un suo scartafaccio con impudenza indicibile asserì che Racine lavorava stentatamente) e la ragione fu indicata da Orazio,
Verbaque provisam rem non invita sequentur. Senza dubbio Racine apprese tal pratica da Menandro, il quale (come abbiamo osservato nel tomo I di questa istoria) non cominciava a comporre i versi delle sue favole prima di averne disposto tutto il piano.
ADDIZIONE VI*
Marianne di
Tristano Eremita.
Tristano Eremita nato nel 1601 e morto nel 1635, mentre nell’inverno del 1636 si rappresentava il Cid 1, produsse la sua Marianne, nella quale rappresentando la parte di Erode il commediante Mondori declamò con tal vigore ed energia, che offeso nel petto si rendette inabile a più comparire in teatro, ed indi a non molto finì di vivere. Mirabile fu il successo di questa Marianne, essendosi sostenuta a fronte del Cid per tante rappresentazioni con estremo piacer del pubblico, che la vide, senza stancarsene, riprodursi di tempo in tempo per lo spazio di quasi cento anni, come osserva il Fontenelle. Il sig. di Voltaire la rammenta con disprezzo, nè senza ragione, se si riguardi allo stile generalmente basso e sparso d’inezie, di pensieri falsi e di ornamenti stranieri alla poesia scenica. Ma il carattere di Erode dipinto con bastante forza e verità, e alcune situazioni che interessano, e l’intrepidezza di Marianne condotta a morire, mostrano che Tristano meritò in certo modo gli applausi che riscosse da’ Francesi di quel tempo.
ADDIZIONE VII*
Sulla Morte di
Solone.
Si crede che appartenga a questo secolo la Morte di Solone, tragedia di cui s’ignora l’autore non mentovata dagli scrittori drammatici di quel tempo, e non rappresentata mai nè in francese nè in italiano. Può veramente accordarsi a’ compilatori francesi della Picciola Biblioteca de’ Teatri, che vi si veggano sparsi quà e là alcuni versi felici, e alquante bellezze. Ma essi debbono con noi convenire che vi si scorge principalmente un tuono continuato di fredda elegia e di galanteria, per cui spariscono i tratti importanti di libertà che tutta ingombra l’anima di Solone. Le scene per lo più lunghe, oziose, e quasi sempre fredde di quattro donne che v’intervengono, spargono per tutto, e specialmente ne’ primi tre atti, un languore mortale. A un tratto poi nel quarto si enuncia la morte di Pisistrato, di cui non cercano di accertarsi nè gli amici nè i nemici; così che poco dopo Solone avvisa che Pisistrato combatte ancora, e la libertà soccombe; anzi Pisistrato stesso viene fuori, altro male non avendo che un braccio fasciato. Nell’atto V Licurgo esce per far sapere alle donne del dramma che il senato è condisceso all’inalzamento di Pisistrato al trono, e che Solone nell’opporsi a i soldati di lui è stato ferito mortalmente. Dopo alcune scene galanti ed elegiache, come le indicate degli altri atti, comparisce nell’ultima Solone moribondo, il quale si mette a declamare lungamente con tutta l’inverisimiglianza per uno che stà spirando, e racconta con troppe parole, che Policrita non è sua figlia, e che si chiama Cleorante. In tutto il dramma egli ha usato un artificio e una reticenza poco tragica su i natali di Cleorante ad oggetto di valersene per impedire con autorità di padre che Pisistrato suo amante opprimesse la patria. Ora morendo che scopo ha egli di scoprire il cambio fatto? Soltanto di far noto, che il suo sangue non si mescolerà con quello dell’oppressore d’Atene. Sembra dunque che l’eroe legislatore diventi nullo nella tragedia, e che non vi si veda la sua virtù posta in azione sino a che non ne diviene la vittima. Il personaggio che chiama più l’attenzione è Pisistrato combattuto dall’amore e dall’ambizione, che vuole il regno, e non vuol perdere Policrita. L’altro personaggio che interessa è la stessa Policrita appassionata amante di Pisistrato e della libertà, e che seconda le mire di Solone a costo del proprio amore. Solone altro non fa che ondeggiare sperando nelle varie fazioni, e promettendo la pretesa figliuola a colui che contribuisca a distruggere il partito oppressore: opporsi alla fortuna di Pisistrato contro il volere del popolo e del senato ateniese: e svelare l’inutile arcano. Tutto potrebbe condonarsi, se nel dramma poi dominasse minor noja, freddezza, e languore.
ADDIZIONE VIII*
Sul Dispetto amoroso
del Moliere.
La commedia del milanese Niccolò Secchi fornì al Moliere, come abbiamo notato, quella del Dispetto amoroso; ma la commedia italiana termina assai meglio della francese, il cui quinto atto mal congegnato raffredda tutta la favola. Dall’altra parte nella commedia del Secchi non vedesi vestigio della bella scena del Dispetto di Lucilla ed Erasto, in cui essi lacerano vicende volmente le lettere che conservano, rendono i doni, rompono ogni corrispondenza, e finiscono con andarsene uniti. Il Riccoboni però ci assicura che Moliere nel Dispetto imitò anche un’ altra commedia italiana intitolata gli Sdegni amorosi, e questo titolo ben può indicare che da tal commedia trasse probabilmente la riferita scena. Comunque sia la storia ci dimostra che siccome Guillèn de Castro &c.
ADDIZIONE IX*
Scaramuccia Eremita.
Si osservi che una favola italiana anonima fredda e scandalosa intitolata Scaramuccia eremita, si recitava in Parigi, mentre vi si proibiva il Tartufo. In essa un eremita vestito da frate monta di notte per una scala sulla finestra di una donna maritata, e vi ricomparisce dicendo, questo è per mortificar la carne. Un simile eremita che monta per una vite su di una finestra di una donna, ha dipinto nel secolo decimottavo anche il napoletano Pietro Trinchera nella sua Tavernola abbentorata.
ADDIZIONE X*
Sul Tartufo di
Moliere.
Ne convengono col Baile (Diz. Crit. art. Poquelin. Nota I.) Leris nel Dizionario de’ Teatri di Parigi, e l’ab. Dubos mentovato dal sig. Bret nella sua edizione delle Opere di Moliere. Diceva Dubos che si ricordava d’aver letto, che Moliere doveva al teatro italiano il suo Tartufo. Vedasi anche il Riccoboni nelle Osservazioni sulle commedie e sul gusto di Moliere. Il sig, Bret però si oppone all’avviso de’ riferiti scrittori.
ADDIZIONE XI**
Tragici dopo Campistron.
Diedero allora qualche passo nella poesia tragica La Fosse, Riouperoux, e La Grange-Chancel. Antonio La Fosse detto d’Aubigny nato in Parigi nel 1653 e morto a’ 2 di novembre del 1708 corse la carriera tragica poichè Campistron avea rinunziato al teatro. La Fosse ne ravvivò il languore, e pieno com’era della lettura degli antichi Greci e Latini fe rappresentare ed imprimere nel 1696 Polissena sua prima tragedia applaudita e ripetuta, e non per tanto censurata con poco fondamento, contando anni quarantatre di sua età. Nel suo Teseo manifestò ugual sublimità ne’ pensieri, vivacità ne’ caratteri, nobiltà e purezza nello stile, armonia nella versificazione, benchè la lavorasse con fatiga, e giudizio nello scioglimento. Nel suo Manlio Capitolino formato sulla Venezia salvata di Otwai, col trasportare agli antichi Romani il fatto recente della congiura di Bedmar contro Venezia, diede un saggio più vigoroso, più deciso de’ tragici suoi talenti, e svegliò nel pubblico e ne’ posteri viva brama, che egli avesse potuto o calzar più per tempo il coturno, o prolongar più la vita.
Riouperoux compose Ipermestra tragedia regolare sul fatto delle Danaidi.
La Grange-Chancel nato nel 1678 e morto nel 1758 scrisse varie tragedie in istile per altro debole e trascurato e con viluppo romanzesco. Nel suo Amasi regna una molle galanteria sconvenevole all’argomento della Merope da lui appropriata a’ personaggi della storia di Egitto. Si recitò nel 1701.
ADDIZIONE XII*
Ifigenia in
Tauride.
Intanto Guymond de la Touche nato nel 1729 in Châteu-Roux nel Berri, e morto nel 1760 in Parigi compose una Ifigenia in Tauride, nella quale immaginò a suo modo lo scioglimento. Essa fu molto bene accolta in teatro, e vi rimase a cagione di varie situazioni interessanti, e singolarmente per l’atto III in cui si maneggiano con energia le contese di Pilade ed Oreste, e pel IV in cui segue la riconoscenza di Oreste ed Ifigenia. Non ostante l’autor giovane non ancora avea acquistata l’arte di pulir lo stile e di tornir meglio i suoi versi; ond’è che nella lettura che se ne fece, gli si notò la durezza della versificazione e la scorrezione dello stile. Da prima, a quel che ci dicono i suoi nazionali, avea egli dato un figlio a Toante, facendolo innamorato d’Ifigenia; ma il sig. Collè di gusto migliore gli avvertì che tali amori raffreddavano tutto il resto in argomento sì tragico. La Touche sentì la giustezza della critica, ed in otto giorni soppresse quel personaggio ozioso, e quell’amor freddo.
Il maestro della Poetica francese &c.
ADDIZIONE XIII*
Gustavo
del Piron: Zuma del Le Feuvre.
Alessio Piron nato in Digione nel 1689 e morto in Parigi nel gennajo del 1755, fralle altre specie drammatiche, coltivò la tragica poesia, e diede al teatro francese il Callistene nel 1730, tragedia di semplice viluppo, che punto non riuscì sulle scene, e non vi tornò a comparire; il Gustavo Wasa più complicata nel 1733, che ebbe venti rappresentazioni successive, ed è rimasto al teatro ripetendosi sempre con ugual successo; ed il Fernando Cortes rappresentata nel 1744 senza applauso. Il credito dunque di uno de’ tragici francesi degno di rammemorarsi con onore vennegli dal Gustavo censurato da varj critici di non molto conto, e difeso dal proprio autore con forza e con buono evento. Tra’ pregi che si notano in questa tragedia, è la nobiltà e la virtù che regna in quasi tutti i personaggi non eccettuandosene che il tiranno Cristierno col suo confidente. Ogni atto presenta un punto importante dell’azione; le situazioni sono patetiche senza languidezza e senza esagerazione; lo stile è appassionato, naturale, e molte volte energico; gli accidenti dall’intervallo dell’atto quarto per tutto il quinto sembrano troppo accumulati riguardo al tempo della rappresentazione, ma a giustificarne la verisimiglianza non mancano esempj nella storia, e molto meno dee contrastarsi al poeta la facoltà di fingerne, purchè ne faccia risultare il diletto dell’uditorio, ed il trionfo della virtù, come appunto avviene nel Gustavo.
Intorno al 1777 o 1798 si produsse con applauso sulle scene francesi Zuma tragedia del sig. Le Fevre, la quale vi si è veduta ricomparire sempre con egual diletto, e vi si è rappresentata di nuovo nel 1793. E’ una dipintura de’ costumi selvaggi e spagnuoli in contrasto. La rassomiglianza che in certo modo ha con l’Alzira, non ha nociuto al buon successo di Zuma. Le situazioni patetiche che vi regnano, l’interesse che produce, la pompa dello spettacolo e dello stile (che però talvolta eccede, e cade nell’enfatico) ed il personaggio di Zuma rappresentato in quell’anno con molta energia da madamigella Rancourt, tutto ciò fa sì che questa tragedia non lascia di ripetersi ancor ne’ tempi correnti.
ADDIZIONE XIV*
Beverlei del Saurin.
Bernardo Giuseppe Saurin parigino nato nel maggio del 1706 e morto nel novembre del 1781, oltre delle riferite tragedie tradusse in gran parte dall’inglese il Beverlei di Odoardo Moore, che altri attribuisce a Lillo, altri a Tompson. Poche cose vi alterò il Saurin ne’ primi quattro atti, contento soltanto di toglierne le irregolarità. Ne cangiò lo scioglimento aggiungendovi il fanciullo Tomi figlio del giocatore, che occupa la maggior parte dell’atto quinto. Piacquero universalmente i primi quattro atti, e con ispecialità il quarto. Mirabile effetto partorì il quinto su gli animi degli spettatori; ma a molti parve che l’orrore giugnesse a lacerare oltremodo il cuore, che dal compiangere uno sventurato è costretto a passare ad inorridire al furioso attentato di Beverlei che in considerare a quale stato di miseria ha egli ridotto il figlio, per liberarnelo, se gli avventa con un pugnale. Questo fanciullo non appartiene all’originale, che si recitò la prima volta in Londra nel 1753. L’ab. Prevôt lo tradusse in francese intitolandolo le Joueur che si stampò in Parigi nel 1762.
Il Socrate &c.
ADDIZIONE XV*
Su i
drammi piangolosi.
Il Disertore, l’Umanità, l’Indigente sono drammi fuor di dubbio interessanti, ne’ quali però il gusto non si riposa interamente. Non eccedono &c.**.
Sedaine, Falbaire, Mercier hanno coltivato questo genere comicolugubre con particolar riuscita. La fortuna gli ha abbandonati in molti loro drammi. Il Filosofo senza saperlo, la Scommessa, Maillar, o Parigi salvato del Sedaine, non sono stati applauditi dal pubblico francese. Il Mercier sembra di aver degenerato nell’Abitante della Guadalupa. In quello &c.
ADDIZIONE XVI*
Drammi di
Beaumarchais.
Esse sono il Barbiere di Siviglia, che oltre dell’applauso ottenuto in Francia si è replicata traducendosi con egual successo in Italia e nelle Spagne; e la stravagante Giornata pazza, ovvero il Matrimonio di Figaro, rappresentata nel 1784, la quale dopo settantacinque rappresentazioni successive fu proibita dall’arcivescovo di Parigi. Sono tratte &c.
ADDIZIONE XVII**
Commedie del
Piron.
Il prelodato sig. Piron meritamente collocato fra gli scrittori tragici calzò anche il socco festivo di Talia. Compose in prima i Figliuoli ingrati commedia, che poi intitolò la Scuola de’ Padri, nel 1728, che non ebbe quel felice successo, che prometteva il suo felice ingegno atto sommamente a rilevare il ridicolo de’ costumi correnti. Produsse in seguito l’Amante misterioso, che cadde affatto, ed appena potè il poeta consolarsi coll’applauso che nel medesimo teatro ottenne per la sua pastorale le Corse di Tempe. Ma alla sua Metromania commedia ingegnosa, piacevole, spiritosa, e regolare, che appena rappresentata nel 1738 con invidiabile applauso si noverò per una delle migliori del teatro francese, dovrà il Piron la sua riputazione maggiore in questo genere. Il piano &c.
ADDIZIONE XVIII*
Commedie del
Gresset.
Glambatista Luigi Gresset nato in Amiens nel 1709 e quivi morto a’ 16 di giugno del 1777, l’autore della graziosa novelletta le Vert vert, e della tragedia di Odoardo III, diede al teatro anche il Sidney scritto con eleganza, che non riuscì per esserne il soggetto lontano dal tempo presente e dal costume francese. Pubblicò la commedia del Mèchant rappresentata nel 1740 con moltissimo applauso. Scriste poi altre due commedie inedite perdute, o dall’autore stesso soppresse, cioè il Secreto della commedia da lui letta a’ suoi amici, ed il Mondo com’ é, di cui solo si conosce il titolo. Nel Mechant che è il suo capo d’opera teatrale, si dipinse un malvagio &c.
ADDIZIONE XIX**
Commedie del
Marivaux.
Voltaire diceva di lui che conosceva tutte le vie del cuore, fuorchè la via reale, o maestra. Una delle più stimate commedie di Pietro Marivaux è quella intitolata le False Confidenze lavorata sul medesimo conio delle altre sue favole, nelle quali si trova sempre una sorpresa dell’amore. Vi si scopre al solito spirito e finezza soverchia nella condotta della favola. Questa commedia si è di nuovo rappresentata in Parigi nel 1793.
ADDIZIONE XX*
Commedie piacevoli
del Saurin.
Il sig. Saurin che si è esercitato in diverse specie della poesia scenica, che riuscì competentemente con Spartaco e più con Beverlei, compose anche alcune commedie. I Rivali e l’Orfanella lasciata in legato non riscossero applauso. Il Matrimonio di Giulia non si recitò, perchè i commedianti la ricusarono forse più per capriccio o per piccioli interessi a noi ignoti che per debolezza del componimento, o per mancanza di piacevolezza. L’Aaglomano ritratto ben espresso si ricevè con plauso. Singolarmente i Costumi correnti (Moeurs du tems) picciola commedia in prosa piacque, e riscosse glî encomii del Voltaire.
ADDIZIONE XXI**
Vestiti teatrali
correnti in Francia.
Conviene all’imparzialità di uno storico l’avvertire, che la ridevole stravaganza degli abiti teatrali eroici derisa meritamente dal celebre Martelli, e osservata da altri in Francia sino a quindici anni fa in circa, vuolsi (se non s’ingannò chi vide Parigi nel 1787, e e nel 1792, e mel riferì con asseveranza) che oggi sia interamente bandita da quelle scene. Si è, dicesi, tale improprietà di vestiti corretta, ed i personaggi vi si abbigliano con la naturalezza e la decenza richiesta negli argomenti e ne’ costumi descritti nelle favole che si rappresentano.
ADDIZIONE XXII*
Opera
istorica e mitologica in Francia.
Ciò appunto avvenne in Italia sin dal passato secolo, e non molto dopo le opere del Rinuccini vi si coltivò l’opera eroica istorica riserbandosi la mitologica soltanto per alcune feste teatrali che alluder doveano alla nascita o ad altre occorrenze di gran personaggi, e di principi, ai quali sconciamente e con niuna verisimiglianza sarebbesi disceso col rappresentarvisi gli eroi dell’antichità; là dove con certa apparenza di proprietà poteva parlarsene in un argomento mitologico non soggetto a regolarità ed a verisimiglianza. In Francia nel XVII secolo ed in questo che cade hanno continuato a comparire i drammi di Quinault, e l’ultima recita dell’Armida colla musica di Lulli seguì nel dicembre del 1764 col solito applauso e concorso; nè per essersi poi posta in musica dal cav. Gluck e rappresentata a’ 23 di settembre del 1777 si è veduta con minor diletto; e con tal musica novella continua a rappresentarsi ogni mese.
Non per tanto dal racconto fattone in quest’articolo apparisce a quali
stravaganze siesi abbandonato il teatro lirico francese, mal grado
dell’ottimo effetto che hanno prodotto le traduzioni e le imitazioni di
qualche opera del Metastasio colà recitata colla
musica de’ nostri ultimi celebri maestri. Nè questo nè il buon senno di
uno scrittore francese ha punto giovato a richiamar su quelle scene
l’opera eroica all’imitazione degli uomini da quella
de’ demoni e delle furie ballerine. Io parlo del sig. Bailli de Rollet poeta stimabile di drammi musicali de’ nostri
giorni. Egli seppe adattare alla musica nel 1772 l’Ifigenia di Racine, e l’inviò al cav. Gluck che trovavasi in Vienna. Gluck
postala in musica venne a Parigi per farla
eseguire, e comparve sulla scena nell’aprile del 1774 con assai felice
successo. Rollet seguì il piano di Racine, e ne abbreviò soltanto l’azione, togliendone
l’episodio di Erifile, e mettendo alla vista dell’uditorio lo
scioglimento. “Senza il soccorso delle macchine (dicesi nel Mercurio del maggio di quell’anno) senza
l’intervento degli dei si è rappresentato uno spettacolo brillante e
maestoso”.
Pare che i Francesi non tarderanno a ridursi
sotto il vessillo della verità e del senno prendendo ad imitar gli
uomini ancor nella scena musicale; ed intanto alcuni Italiani, caporione
de’ quali si era dichiarato il fu Ranieri di Calsabigi, che sedusse anche il conte Pepoli, incapaci di riescir nell’opera di Zeno, e di Metastasio, si sono ingegnati,
senza effetto per altro, di alienarne la propria nazione predicando
coll’esempio, e colle parole a favore delle furie danzatrici.
ADDIZIONE XXIII*
Spettatori rimossi dal palco
scenico.
Vero è però che in questi ultimi tempi sento essersi riparato all’inconveniente di mischiarsi sulla scena gli spettatori agli attori. Vero è pur anco che il teatro della commedia francese ha ricevuti pochi anni fa notabili miglioramenti. Vi si veggono eziandio i ritratti dipinti de’ più celebri drammatici della nazione; e nel Foyer architettato con magnificenza vi sono collocati i mezzi busti di marmo di Rotrou, de’ due Cornelli, di Racine, di Moliere, di Regnard, Des Touches, Du Fresni, Dancourt, Piron, Crebillon &c., ed al piè della scalinata si è alzata la statua intera marmorea di Voltaire.
Nel teatro dell’Opera &c.
ADDIZIONE XXIV**
Teatro di
Bordeaux.
In Bordeaux il dì 7 di aprile del 1780 si aprì una nuova sala di spettacoli assai magnifica, e vi si rappresentò Atalia con i cori preceduta da un prologo allusivo all’apertura del teatro. E’ un edificio isolato che rappresenta un parallelogrammo circondato da portici, la cui facciata di 200 piedi consiste in un maestoso colonnato d’ordine corintio con peristilo, le cui colonne hanno tre piedi di diametro, e su di esso corre una balaustrata con piedistalli con figure analoghe alla destinazione del luogo. Le facciate laterali e la posteriore son decorate col medesimo ordine di architettura, ma in pilastri con una galleria in arcate su tutta la lunghezza. La facciata dell’entrata è sulla piazza di 50 tesi di lunghezza sopra 24 di larghezza. Sotto il peristilo si veggono cinque porte che introducono a un vastissimo vestibolo ornato da sedici colonne doriche, il cui fondo ripete le cinque arcate dell’entrata che sono ad esse opposte, e formano altrettanti portici aperti. Tre di questi nel mezzo comunicano alla principale scalinata, e i due estremi terminano alla platea (parterre) ed al paradiso da un lato, e dall’altro alla scalinata che mena al terzo ordine delle logge, ossiano palchetti. La porta di entrata è riccamente adorna. Due cariatidi grandi rappresentano Talia e Melpomene, e quando si costruì quest’edificio eranvi al di sopra le armi del re con una iscrizione. La sala ha dodici colonne d’ordine composito che nella loro altezza comprendono due ordini di logge. I primi palchi seguono il piano circolare della sala composta di tre scaglioni in anfiteatro con una balaustrata. Il secondo e terzo ordine di palchi sono negl’intercolunnii. Havvi oltreaciò tre scalinate in anfiteatro, cioè una in fondo che guarda il teatro, e le altre due da’ due lati della sala, il cui fondo è di marmo bianco venato.