TOMO IV. LIBRO V
ADDIZIONE I*
Analisi dell’Hamlet di Shakespear.
Non ci addosseremo mai la fatiga per noi singolarmente ardua troppo di presentar partitamente analisi compiute de i drammi di questo maraviglioso Inglese, ben persuasi della difficoltà che incontrano, non che altri, non pochi Inglesi medesimi in bene afferrarne lo spirito e l’energia dello stile e la grandezza de’ pensieri. Sceglieremo non per tanto tralle poche nominate l’Amlet, per esporne la tessitura e le principali bellezze, senza omettere qualche scena che ci sembri disdicevole alla gravità tragica.
Atto I. Alcuni soldati che fanno la guardia avanti del real palazzo del re di Danimarca, si trattengono sull’apparizione di una fantasima spaventevole. Esce un Morto, in cui essi ravvisano le sembianze del defunto re Amlet vestito di armi, il quale nel voler parlare al cantar del gallo sparisce.
La scena si cangia nell’interiore della regia. Il re attuale e la regina madre del giovine principe Amlet trattano di alcuni affari del regno; indi il re accorda a Laerte la licenza di tornare in Francia. Cade appresso il discorso sulla profonda tristezza di Amlet, cui danno consigli ed insinuazioni perchè si sforzi di sollevarsi. Amlet restato solo riflette fra se alla criminosa precipitazione di sua madre che apdena passato un mese dalla morte del re suo marito che tanto l’amava, si è congiunta in matrimonio col fratello del re, che ora ne occupa il trono. Sopravvengono Orazio e Marcello due de’ soldati che videro l’ombra del trapassato re. Dice Amlet che sempre l’ha presente; Orazio che egli l’ha veduto effettivamente la scorsa notte, e ne racconta l’apparizione. Amlet dopo varie domande risolve di recarsi nel luogo dove apparve.
Sala della casa del vecchio Polonio. Laerte prende congedo da sua sorella Ofelia e da Polonio suo padre, vecchio cicalone che con molte parole scagliando massime ad ogni tratto, lo spinge ad imbarcarsi. Polonio sul medesimo stile prosegue colla figlia in proposito del principe Amlet che l’ama, versando copiosamente regole e sentenze morali in tuono famigliare, e le impone di più non parlargli.
Torna la scena del muro della regia, dove giugne Amlet accompagnato da i due soldati. Si ode strepito d’istromenti musicali dalla reggia, perchè il re stà in tavola banchettando e bevendo. Amlet in tal proposito moralizza a lungo. Appare il Morto. Amlet gli domanda, se sia Amlet suo padre, e perchè dal sepolcro torni a vedere i raggi della luna? Il Morto gli accenna di seguirlo ed Amlet gli va appresso. Giungono in parte più remota.
“Aml.
Dove vuoi tu portarmi? parla; già io non passo più oltre.
“Mort.
Mirami.
“Aml.
Ti miro.
“Mort.
E’ già quasi giunta l’ora di dovermi restituire alle tormentose fiamme.
“Aml.
Anima infelice!
“Mort.
Non compatirmi: ascolta soltanto attentamente ciò che son per rivelarti.
“Aml.
Parla: ti prometto ogni attenzione.
“Mort.
Ascoltato che mi avrai, promettimi vendetta.
“Aml.
Perchè?
“Mort.
Io sono l’anima di tuo padre destinata per certo tempo a vagar di notte, e condannata al fuoco durante il giorno, affinchè le fiamme purifichino le colpe che commisi nel mondo . . . . . Se mai sentisti tenerezza per tuo padre . . .
“Aml.
Oh Dio!
“Mort.
Vendica la sua morte; vendica un omicidio crudele e atroce.
“Aml.
Omicidio?
“Mort.
Sì, omicidio spietato, il più ingiusto e il più fraudolento . . . . .”
Il Morto racconta, come suo fratello innamorato della moglie e del regno suo, lo fece avvelenare mentre dormiva nel giardino versandogli nell’orecchio certo velenoso licore sì contrario al sangue dell’uomo, che a guisa di mercurio s’insinua, penetra tutte le vene, gela il sangue, e ammazza prontamente. Così restò morto Amlet, ed il regno e la sposa fu occupato dall’incestuoso e tiranno fratello. Soggiugne:
“Mort.
Orribile malvagità! orribile! Deh se ascolti la voce della natura, non voler soffrire, che il talamo reale di Danimarca sia il letto dell’infamia e dell’incesto. Avverti però di qualunque modo tu ti accinga all’impresa a non macchiar l’anima con un delitto incrudelendo contro tua madre. Lascia che la punisca il cielo; lascia che quelle punte acute che tiene fitte nel petto, la feriscano e la tormentino. Addio, addio, ricordati di me.”
Amlet con espressioni ed invocazioni di ogni maniera mostra l’orrore onde è preso, indi dice:
“Aml.
Ricordarmi di te? Sì, alma infelice; scancellerò dalla mia fantasia ogni altra idea ed impressione, eccetto il tuo comando; sì, lo giuro.”
Vengono i soldati, Amlet fa che giurino di non palesare a veruno
l’apparenza di quella notte . . . Parte con essi dicendo fra se:
“La natura è sconcertata . . . . iniquità esecrabile! . . .
oh non fossi nato mai a doverla punire!”
Atto II. Polonio in sua casa spedisce un messo al figlio in Parigi con tante ammonizioni mischiate d’inezie e minutezze, che dimostra la dipintura di un vecchio che cinguetta in tuono famigliare, basso talvolta, e proprio della scena comica. Viene sua figlia Ofelia, e gli narra la novità di Amlet divenuto folle.
Nella Reggia il re e la regina con cortigiani trattano della mutazione di
Amlet impazzito. Arriva Polonio, il quale gravemente ragiona sulla di
lui follia, dicendo: Vostro figlio è pazzo, e tale lo
chiamo perchè (a ben riflettere) altra cosa non è la follia se non che uno è interamente matto.
E’ questa la ragione Plautina, quelli sono cattivi i quali
non sono buoni. Viene Amlet leggendo; Polonio gli domanda come
stia; bene, risponde Amlet; mi conoscete? (replica Polonio), ed Amlet,
perfettamente; tu sei il pescivendolo. E prosegue dicendo cose che
sembrano totalmente fuori di ragione, benchè vi si osservi certo metodo
e molta acutezza. Nel medesimo tenore parla con Guildenstern e
Rosencrantz, i quali d’ordine reale gli parlano per leggere nell’interno
del suo cuore. Il discorso passa in seguito su i commedianti da esso
incontrati per via, che compongono la compagnia
tragica di Elsingor. Essi in fatti sopraggiungono. Amlet parla ad
alcuni di essi con famigliarità; vuol poi sentir declamare una scena
sulla morte di Priamo. Egli stesso prima ne declama con forza ed energia
alcuni versi; indi ordina all’attore di proseguire, come eseguisce.
Domani, gli dice poi, rappresenterete la Morte di
Gonzago, cui io aggiugnerò alquanti versi; e gli fa partire.
Amlet resta riflettendo al potere della rappresentazione, per cui un
attore a suo grado dirige gli affetti, trasforma il volto, piagne,
affievolisce la voce, e si compone ad esprimere la passione per
commuovere. “Or che farebbe (soggiugne) se avesse i medesimi
motivi di dolore che io tengo? E pure io disgraziato rimango stupido
e muto a mirare i miei torti? . . . Altro adunque io non so fare che
piagnere? . . . Ma no: udii dire che assistendo talvolta alla
rappresentazione di una favola alcune persone molto colpevoli, sono
state così vivamente ferite per l’illusione del teatro, che alla
presenza di tutti hanno manifestati i loro delitti; perchè la colpa,
benchè priva di lingua, sempre si manifesta quando men si attende.
Io farò che quegli attori rappresentino avanti di mio
zio qualche scena che rassomigli alla morte di mio
padre. Così lo trafiggerò nella parte più sensibile del cuore;
osserverò i suoi sguardi, se cangia di calore, se palpita; so quello
che dovrò far io. L’apparizione che mi si presentò, potrebbe essere
opera di spirito infernale cui non è difficile il trasformarsi; chi
sa, se essendo sì poderoso su di una perturbata fantasia, avesse
voluto valersi della mia debolezza e malinconia, per ingannarmi, e
machinar la mia ruina . . .! Io acquisterò prove più solide, e la
rappresentazione ordita sarà il lacciuolo per sorprendere e
avviluppare la coscienza del re”.
Atto III. Reggia. Il re desideroso di leggere
nell’interno del nipote si tiene in disparte per intendere ciò che dica
Amlet ad Ofelia. Egli viene dicendo fra se: “Esistere, o non
esistere: questa è la questione. Qual è più degna impresa
dell’animo, tollerare i colpi penetranti dell’avversa fortuna,
ovvero opporsi fortemente a questo torrente di calamità? Morire è
dormire. Non altro? . . .”
Prosegue lungamente su tal punto.
Al fine si abbocca con Ofelia, ma il loro dialogo delude le speranze del
re nascosto, il quale ne deduce che non
è già
amore che cagiona i di lui trascorsi e con chiude così: “Qualche
idea egli tiene nell’animo che fomenta la sua tristezza, la quale
può produrre alcun male”.
Egli pensa evitarlo facendolo
partir subito per Inghilterra. Condiscendendo però alla proposta di
Polonio, acconsente che prima Amlet parli con la regina dopo la
rappresentazione, per tentare di trargli dal seno il suo secreto.
Polonio si esibisce ad ascoltar occulto quanto diranno.
Sala. Amlet dà varj avvertimenti a’ commedianti per ben rappresentare; indi uscendo Orazio, di cui egli si fida, gl’ingiunge, che mentre si rappresenta la scena da lui aggiunta, tenga egli l’occhio attento su di suo zio; l’esamini con ogni cura; dice che egli farà lo stesso; uniranno poi le loro osservazioni per giudicare ciò che indicherà il di lui esteriore.
Viene il re, la regina ed altri. Si suona una marcia danese. Amlet ripiglia la finzione della follia. Si dà principio alla rappresentazione muta a suono di trombette.
Gli attori che sostengono le parti del re e della regina del dramma, si abbracciano affettuosamente; la regina s’inginocchia con gran rispetto; il re la fa alzare, e piega la testa sul petto della sposa, indi si pone a giacere in un letto di fiori, e si addormenta; la regina si ritira. Un altro attore si avvicina al re, gli toglie la corona, la bacia, versa nel di lui udito un licore avvelenato, e parte. Torna la regina, e trovato morto il marito manifesta un gran dolore; s’uccisore con altri due ritirano il cadavere. L’assassino fa premure affettuose alla regina, ella resiste un poco, al fine ne ammette l’amore. Ciò vedendo Ofelia dice ad Amlet, che è questo?
“Aml.
Questo è un assassinamento.
“Ofel.
Al parere adunque questa scena muta contiene l’argomento del dramma”.
Si finge nella prima scena che il re e la regina esprimano i loro affetti. Il re mostra timore, che se egli venisse a morire, ella ne prenderebbe un altro. Io! risponde la regina,
Io! . . Che al tuo fato io sopravviva e d’altriSposa io diventi? E creder puoi capaceDi tradimento tal la tua diletta?No: chi un altro ne impalma, il primo uccise.
A questo punto il re Danese commosso e colpito dice ad Amlet:
“Re.
Ti sei bene informato dell’azione di questo dramma? Tiene alcuna cosa di mal esempio?
“Aml.
Non signore, che mal esempio? tutto è una finzione, un veleno ma finto; oibò! che mal esempio?
“Re.
Che titolo porta questa favola?
“Aml. La Trappola.
E’ un titolo metaforico. Il Duca si chiama Gonzago, e la sua consorte Battista”.
Viene un commediante ad avvelenare quel che dorme, ed Amlet dice:
“Vedete? Ora l’avvelena nel giardino, per usurpargli lo stato
. . . Tosto vedrete che la sposa s’innamora dell’uccisore”.
A ciò il re si alza; tutto resta sospeso; egli parte. Ahi! Orazio, dice
Amlet; quanto disse lo spirito è troppo certo! Polonio lo chiama per
parte della regina; egli manda tutti via, e parte.
Sala del palazzo. Il re ordina a Rosencranta e a Guildenstern di partire per Inghilterra portando secoloro Amlet. Si pone indi ad orare; riflette ai suoi eccessi, fida nella misericordia divina, senza però pensare a risarcire i danni e a discendere dal trono. Arriva Amlet, l’osserva, va per ferirlo; pensa poi che se l’ammazza mentre stà orando, gli assicura la gloria eterna. No, dice; l’ucciderò quando gozzovigli, giuochi, bestemmi, e dorma ubbriaco, affinche l’anima sua rimanga nera e maladetta come l’inferno che dee accoglierlo. Va dalla madre.
Appartamento della regina. Ella parla con Polonio, il quale vedendo venire Amlet, si ritira per ascoltare.
“Aml.
Che mi comandate, o Madre?
“Reg.
Amlet, troppo hai tu offeso tuo Padre.
“Aml.
Voi, Madre, troppo avete offeso il mio.
“Reg.
Tu rispondi con troppa libertà.
“Aml.
E voi mi domandate con troppa perversità.
“Reg.
Che vuol dir ciò, Amlet?
“Aml.
E che vuol dir ciò, Madre?
“Reg.
Ti dimentichi di chi son io?
“Aml.
No, per Dio, che non mi dimentico che siete la regina congiunta in matrimonio col fratello del vostro primo marito; e al ciel piacesse che così non fosse. Ah! sete mia Madre.
“Reg.
E bene, io ti porrò alla presenza di chi ti faccia parlare con più senno.
“Aml.
Venite, sedete; di quì non si parte, non vi moverete, prima che vi ponga innanzi uno specchio, in cui ravvisiate il più occulto della vostra coscienza.
“Reg.
Oimè! Che pensi di fare? Vuoi tu ammazzarmi? . . . . Chi mi ajuta, Cieli! . . .
“Pol.
Ajuto chiede! . . . oh! . . .”
Amlet si accorge di essere inteso, pensa che sia il re che stia ascoltando, finge che sia un topo, e lo ferisce; Polonio grida, son morto. Amlet torna alla madre, l’obbliga ad ascoltarlo; le rimprovera l’assassinamento del padre, ed il di lei matrimonio col regicida. La regina confusa, compunta, abbattuta, confessa il suo torto, e lo prega a più non dire. Esce il Morto veduto da Amlet, e non dalla regina.
“Aml.
Oh spiriti celestiali, difendetemi, copritemi colle ali vostre! Che vuoi, ombra veneranda?
“Reg.
Oh Dio! egli è fuor di se!
“Aml.
Vieni forse a riprendere la negligenza di tuo figlio, che indebolito dalla compassione e dalla tardanza obblia l’importante esecuzione del tuo terribil precetto? Parla.
“Mort.
Non obbliarla: vengo a riaccendere il tuo ardore quasi estinto.”
Ordina poi che parli alla madre piena di sp avento.
“Aml.
A che pensate, o Madre?
“Reg.
Oimè! A che pensi tu che così dirigi i tuoi sguardi dove non v’è cosa alcuna . . . A chi miri?
“Aml.
A lui, a lui; vedetelo . . . . qual pallida luce esce da lui! Ahi di me! la sua presenza e il suo dolore basterebbe a commuovere le stesse pietre. Ahi! non mirarmi così; quest’aspetto contristato può distruggere i miei disegni crudeli, e far correr lagrime in vece del sangue che domandi.
“Reg.
A chi dici tu queste cose?
“Aml.
Nulla vedete in quel canto?
“Reg.
Nulla, e pur vedo tutto quello che vi è.
“Aml.
Nè anche ascoltaste nulla?
“Reg.
Nulla fuor di quello che noi stiamo parlando.
“Aml.
Mirate lì, lì . . . lo vedete? . . . ora si allontana . . .
“Reg.
Chi mai?
“Aml.
Mio Padre, mio Padre co’ suoi medesimi arnesi . . . vedete . . . ora va via.”
La madre stima tutto ciò illusione pura della disordinata fantasia del figlio. Amlet la disinganna mostrando tutta la sensatezza, e la commuove. Le dà poscia sani consigli per separarla a poco a poco dal colpevole suo nuovo sposo . . . Di poi ripigliandosi le dice, che anzi nol faccia; ed ironicamente le insinua di tosto recarsi a lui, di porsi nel suo letto, e fralle sue braccia di scoprirgli che la pazzia di Amlet è finta, e che tutto è un artificio. La regina l’assicura che di ciò ella non è capace.
Atto IV. Intende il re l’uccisione di Polonio, e risolve senz’altro di mandare Amlet in Inghilterra per sicurezza comune. Il re fa venire Amlet alla sua presenza, e gl’impone che si accinga subito a partir per Inghilterra. Ordina che si porti il cadavere di Polonio alla Cappella. Orazio fa sapere alla regina che Ofelia è divenuta pazza. Ella stessa viene cantando, e dà indizii che la morte del padre ha cagionato lo sconcerto della ragione di lei; ma ad ogni domanda che le si fa risponde con un’ arietta musicale, e poi parte.
Pieno il re di timori e di sospetti per le mormorazioni del popolo, accenna che è venuto di Francia il fratello di Ofelia; si occulta. Si ode strepito grande. Un Cavaliero chiama la guardia, e avvisa al re che fugga, perchè il volgo va seguendo Laerte furibondo, e l’acclama re. Vengono infrante le porte. Entra Laerte pieno di furore con disegno di vendicare la morte di suo padre, che ha cagionata anche la follia di Ofelia. Il re gli parla, assicurandolo di non aver egli avuta colpa veruna nella morte di Polonio. Lo prega ad ascoltarlo da parte, protestando che se lo trovasse colpevole, gli cederebbe di buon grado il regno; ma se conoscerà la sua innocenza, si uniranno insieme cercando entrambi ogni più opportuno sollievo al suo dolore. Partono.
Esce Orazio, cui due marinai presentano alcune lettere. Orazio legge; è una lettera di Amlet che dice:
“Orazio, come avrai letta questa lettera, dirigerai gli uomini che
te la recano, al re, pel quale ho dato loro un altro plico. Dopo due
giorni di navigazione fummo inseguiti da un pirata assai bene
armato. Il nostro legno poco veloce ci obbligò a porre tutta la
nostra speranza nel valore; gettaronsi i rampiconi; io prima di
tutti saltai nell’imbarcazione nemica, la quale nel tempo stesso si
dispiccò dalla nostra, ed io rimasi solo e prigioniero. Essi mi
hanno trattato con moderazione come ladri compassionevoli,
ed io gli ho ben compensati. Tu fa in modo,
che il re riceva le carte che gli mando, indi vieni a vedermi con
tanta diligenza come se fuggissi dalla morte. Saprai arcani che ti
renderanno attonito. Gli stessi che ti hanno consegnata la lettera,
ti condurranno da me. Guildenstern, e Rosencrantz hanno seguito il
lor camino verso Inghilterra; molto debbo dirti su di essi. Addio;
tuo sempre Amlet”.
Orazio parte co’ marinai per eseguire i
di lui comandi.
Il re ha raccontata a Laerte la verità dell’accaduto; gli dice poi di non aver potuto vendicare ancora il sangue del di lui padre nell’uccisore Amlet, sì per l’amore che gli tiene la madre, come per l’affezione del popolo. L’esorta a fidarsi di lui.
Un messo reca lettere del principe pel re e per la madre. Il re leggendo intende che Amlet è tornato nudo e solo, e che verrà domani. Palesa poi a Laerte un espediente che gli è sovvenuto per disfarsi di Amlet. Sul supposto che verisimilmente egli ricuserebbe d’imprendere un nuovo viaggio, per farlo morire in guisa che la sua morte sembri casuale alla madre stessa, propone che godendo Laerte gran fama di destrezza nel maneggiar la spada, ed essendo Amlet pieno di opinione di se stesso per la perizia della scherma, il re pensa di fargli susurrare all’udito di tal sorte il valore di Laerte, che si darà luogo ad una scommessa, altri tenendo la parte di Laerte, altri del principe. Preventivamente si prepareranno alcuni fioretti colla punta scoperta, che sarà avvelenata, e Laerte destramente ne prenderà uno per se; così potrà ferirlo, e la sua morte si attribuirà al solo caso. Aggiugne il re che per assicurare il colpo, farà anche ammanire una tazza pur con veleno, affinchè se venisse a fallire il fioretto, Amlet stanco ed affaticato chiedendo da bere resti per la tazza ucciso. La regina viene a dire che Ofelia tratta dalla sua follia si è affogata nel fiume vicino, la qual cosa vie più accende la furia di Laerte.
Atto V. Cimiterio. Aprono l’atto due becchini parlando di Ofelia che si ha da sotterrare in terra sacra, dicendo l’uno che ciò stà ben disposto dal giudice, l’altro che stà mal disposto, perchè ella si è ammazzata da se coll’affogarsi: scena comica bassa. Cade il loro discorso sulla nobilità di coloro che maneggiano la zappa, come becchini, zappatori &c., i quali esercitano la professione di Adamo.
Esce Amlet con Orazio. Un becchino zappa e canta. Amlet osserva l’insensibilità di colui, che nell’aprire una sepoltura stà cantando, Il becchino getta al suolo una testa di un morto; Amlet riflette che quella potrebbe appartenere a qualche uomo di stato, che vivendo pretese ingannare il cielo stesso; ovvero a qualche cortigiano infingevole; o anche a qualche cavaliero che es altar soleva il cavallo di un altro, perchè intendeva di chiederglielo in prestito &c. Dopo simili osservazioni va a parlare a’ becchini, e la conversazione riesce lunga e comica per le loro risposte, e morale per le riflessioni di Amlet.
Viene il re e la regina, ed il corpo di Ofelia accompagnato da’ sacerdoti
&c. Si copre di terra il corpo. Laerte attacca briga con Amlet.
Partono tutti, restando Amlet ed Orazio. Il principe racconta che mentre
dormivano Rosencrantz e Guildenstern egli entrò leggermente, e
s’impossessò delle loro carte, tornò nel suo camerino, aprì i dispacci,
e scoprì il tradimento che gli faceva il re, dando ordine preciso di
ammazzarlo per assicurar la tranquillità della Danimarca e
dell’Inghilterra. Ne mostra
l’ordine ad Orazio.
Aggiugne che egli scrisse in nome del re di Danimarca a quel
d’Inghilterra di far per quiete comune morire immediatamente i due
messaggi; e suggellò la carta col sigillo del padre che seco avea, sul
quale erasi formato quello che usa il presente re. Fatto ciò, chiuso di
nuovo il plico, lo ripose nel luogo stesso, senza che siasene osservato
il cambio. Al dì seguente avvenne il combattimento navale già additato
nella lettera scritta ad Orazio. Un cortigiano adulatore viene a
manifestare la scommessa fatta dal re a favore di Amlet di sei cavalli
barbari contro sei spade francesi co’ pugnali corrispondenti. Il re
scommette, che in dodici assalti Laerte darà ad Amlet solo tre colpi, e
Laerte s’impegna a dargliene nove. Amlet accetta l’impegno, e ordina che
si rechino in quella sala i fioretti. Altro messo del re vuol sapere, se
Amlet intenda assaltar subito con Laerte. Amlet risponde che se
quell’ora è comoda al re, egli è pronto. Amlet confessa ad Orazio di
sentir qualche cosa nel suo cuore che l’affanna. Orazio vorrebbe
dissuaderlo dall’impresa. Amlet dice, che egli si ride di tali presagj;
pur nella “morte (aggiugne) di un uccellino interviene
una provvidenza irresistibile; se è giunta l’ora
mi, bisogna attenderla . . . . tutto consiste in trovarsi prevenuto
allorchè giunga; se l’uomo al terminar di sua vita ignora sempre ciò
che potrebbe avvenire dapoi, che importa che la perda presto o
tardi? sappia morire.”
Viene il re e la regina con tutta la corte. Il re presenta Laerte ad
Amlet, il quale gentilmente gli cerca perdono, discolpando il passato
col disordine della sua ragione. Laerte ed Amlet prendono ciascuno il
suo fioretto, e si dispongono all’assalto. Il re ordina che si copra la
mensa di bicchieri colmi di vino. Se Amlet dà la prima o la seconda
stoccata o nel terzo assalto colpisce l’avversario, ordina che si
scarichi tutta l’artiglieria. Il re berà alla salute di Amlet buttando
nel bicchiere una onice più preziosa di quella che hanno usato i quattro
ultimi sovrani Danesi. Incomincia l’assalto. Amlet dà la prima stoccata
a Laerte; il re bee, e vuole che egli beva ancora: Amlet vuol prima fare
il secondo assalto, e dà un altro colpo a Laerte. La regina vuol bere
alla salute del figlio; il re cerca impedirlo; ella si ostina, e bee; il
re si contrista . . . Tornano
i combattenti
all’assalto; si colpiscono entrambi, e restano feriti. La regina va
mancando. Il re vuol far credere che al vedere il sangue sia svenuta; ma
ella grida: no, no, la bevanda, la bevanda . . . Amlet,
sono avvelenata . . . . Amlet ordina che si chiudano le porte,
e che si trovi il traditore: Laerte morendo dice che il traditore è
presente. “Tu sei morto, Amlet, non ti resta che mezz’ora di
vita; la punta del ferro che tieni in mano è avvelenata, e . . ., mi
ha morto; io ne avea una simile, e tu sei morto; tua madre ha bevuto
la morte in quel vino . . . non posso più . . . il re . . . il re è
il malvagio autore di tante stragi”.
“Aml. Questa punta è avvelenata? E bene faccia il suo effetto . .
. Trafigge il re. . .”
Amlet muore. Termina la tragedia
coll’arrivo di Fortimbras il quale dice che paleserà tutto tosto che
saranno esposti alla pubblica veduta que’ cadaveri, aggiugnendo l’ultima
disposizione di Amlet in favore del Principe di Norvegia.
Ognuno vede la popolarità di questa favola originata dalla varietà degli
accidenti, ed alcune interessanti situazioni tragiche che vi sono come
la scena dell’ombra con Amlet nell’atto
I, e
l’altra di Amlet colla madre nell’atto II. Ognuno ne vede altresì la
irregolarità, ed il disprezzo delle sagge regole del verisimile, Ma i
dotti non meno Inglesi che stranieri convengono tutti del difettoso e
del mirabile del dramma, delle bassezze e de’ gran tratti che vi si
notano. Basti per tutti il sentimento di Voltaire
intorno al merito dell’autor dell’Amlet il più degno
di giudicarne. “Shakespear (egli disse) non ha
presso gl’Inglesi altro titolo che quel di divino. Pure le sue
tragedie sono altrettanti mostri. Quanto può immaginarsi di assurdo,
di stravagante, di mostruoso, tutto si trova in esse. Sulle prime io
non sapeva intendere, come gl’Inglesi potessero ammirare un autore
così stravagante; ma in progresso mi accorsi che aveano ragione . .
. . Essi al par di me vedevano i falli grossolani del loro autor
favorito, ma sentivano meglio di me le sue bellezze, tanto più
singolari per esser lampi che brillavano in una oscurissima notte.
Tale è il privilegio del genio; egli corre senza guida, senz’arte,
senza regola, per incognite strade; si smarrisce alle volte, ma
lascia dietro di se tutto ciò che non è se non esattezza e
ragione”.
Abbiamo osservato nel parlar de’ drammatici Italiani l’esattezza di tanti industriosi scrittori intenti a far risorgere l’arte teatrale de’ Greci. Osserviamo ora in Shakespear la mancanza di erudizione, di emuli, e di modelli supplita dall’ingegno che lo scorgeva a riflettere sull’uomo, e studiare i movimenti del proprio cuore, e ritrarre le passioni dal vero. Egli non conobbe l’arte, e copiò vigorosamente la natura. Che tragico incomparabile non diverrebbe chi sapesse ben congiungere l’uno e l’altro studio!
Ma questo gran tragico studiando la natura mancò di giudizio nell’imitare ciò che nelle società si riprenderebbe. Non è inverisimile* &c.
ADDIZIONE II*
Su i piccioli critici
Spagnuoli.
Sull’esperienza del passato (io lo prevedo) non imiteranno la nostra ingenuità, come non l’hanno imitata finora, gli apologisti Spagnuoli; e se mai s’intalenteranno, scossi al fine dalla mia storia teatrale, di compilarne anch’essi una particolare del proprio teatro, che prima non ebbero in verun conto, essi del Signorelli non saranno menzione, se non per declamar contro di lui allorchè non dice a lor modo. Il meno impudente la spoglierà, la prenderà per iscorta, e mostrerà poi di averla appena veduta citata. Gl’insolenti la citeranno per criticarne qualche data o nome scambiato, o errore di ortografia nelle parole castigliane; ed allora mettendo en casa el buen dia per accreditarsi di amigos del pais, inveiranno contro di lui con personalità villane immaginate e con motti presi dalla feccia de’ quartieri di Lavapies, de las Maravillas, e de San Lorenzo sulle orme del poetastro Ramòn La-Cruz e del petulante ludimagistro La Huerta.
ADDIZIONE III*
Sulla
Celestina.
La qual notizia rilevasi dall’edizione fattasene in Valenza nel 1529.
ADDIZIONE IV**
Altre commedie
del Naarro.
Non minori assurdità e incoerenze si rinvengono nella Tinellaria, oltre di trovarvisi l’indicata mescolanza di linguaggi, altri parlando in italiano, altri in francese, altri in portoghese. L’Imenea potrebbe dirsi delle otto la meno spropositata, ma essa in altro non consiste che in una languida filza di scene insipide e mal cucite, nelle quali si ripetono varie situazioni, si ritraggono i caratteri senza niuna verità, e l’azione si scioglie, non perchè trovisi giunta al segno di svilupparsi per necessità, ma perchè il poeta ha stimato arbitrariamente di conchiudere, facendo che quel marchese, il quale senza ragione si opponeva al matrimonio di Febea sua sorella con Imeneo che l’ama, senza ragione ancora poi vi consenta, tuttochè mutata non sia o la situazione, o lo stato, o le circostanze de’ personaggi. La Giacinta per consenso pur de’ nazionali preoccupati è un dialogo insulso, che a Naarro piacque di chiamar commedia. Simili osservazioni ci apprestano le altre commedie della Propaladia; ma non vogliamo abusare della pazienza de’ leggitori.